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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7564 del 2023, proposto da: Ca. Eu. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ca. Pe. e Cr. Be., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ni. Za., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; nei confronti Tu. Fu. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Co. e Gi. Gi., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo, sezione staccata di Pescara, n. 95/2023. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e di Tu. Fu. s.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore il Cons. Laura Marzano; Nessuno presente per le parti nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La società appellante ha impugnato la sentenza del 20 febbraio 2023, n. 95 con cui il Tar Abruzzo, sezione staccata di Pescara, ha respinto il ricorso proposto per l'annullamento dell'ordinanza n. 150 del 18 aprile 2019, emessa dal Comune di (omissis), ex art. 35 del d.P.R. n. 380 del 2001 e artt. 54 e 1161 del codice della navigazione, di ingiunzione allo sgombero di un'area di mq.460, appartenente al demanio marittimo e occupata sine titulo, con obbligo di ripristino dello stato dei luoghi. Il Comune di (omissis) si è costituito con atto formale. La controinteressata, Tu. Fu. s.r.l. si è costituita depositando memoria difensiva e documentazione ed ha chiesto la reiezione dell'appello. In vista della trattazione, il comune e la controinteressata hanno depositato memorie conclusive, alle quali l'appellante ha replicato con memoria del 7 maggio 2024. Con separati atti tutte le parti costituite hanno chiesto la decisione della causa sugli scritti. All'udienza pubblica del 28 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 2. L'appellante, gestore di un campeggio in (omissis), lungo la SS 16 sud, ha impugnato in primo grado il suindicato provvedimento censurandolo per violazione dell'art. 35 del d.P.R. n. 380 del 2001, degli artt. 32, 54, 1161 del codice della navigazione, dei principi dell'affidamento e di proporzionalità nonché per eccesso di potere sotto il profilo del difetto di presupposti, di istruttoria e di motivazione, del travisamento dei fatti, dello sviamento. In particolare sosteneva l'erroneità del richiamo all'art. 35 del d.P.R. n. 380 del 2001, non essendo state segnalate opere abusive per le quali, comunque, non avrebbe avuto responsabilità avendo assunto la gestione del campeggio nel 1993, con l'area già occupata e osservando che il decorso del tempo avrebbe ingenerato l'affidamento sul consolidarsi della situazione. Sosteneva inoltre: che non sussistesse l'occupazione abusiva; che l'Agenzia del demanio non avesse prodotto un circostanziato atto di accertamento sul punto; che non fosse stato considerato l'atto di donazione del 7 febbraio del 1934; che non fosse stato allegato il menzionato verbale del 22 febbraio 2018 dell'Ufficio circondariale marittimo; che fosse mancato il contraddittorio procedimentale; che sarebbero intervenuti fenomeni naturali di spostamento del demanio, con esondazione tra l'altro del torrente Bu.; che vi sarebbe stato un processo di urbanizzazione; che sarebbe stato apposto un termine; che le mappe catastali non sarebbero aggiornate e, comunque, non sarebbero indicati foglio e particella; che si sarebbe dovuto attivare il procedimento di cui all'art. 32 del codice della navigazione. 3. Il Tar ha respinto il ricorso osservando in sintesi: che il riferimento all'art. 35 del d.P.R. n. 380 del 2001 appare pertinente, in quanto sia nell'ordinanza di sgombero sia negli atti endoprocedimentali è fatto riferimento a opere edilizie abusive; che il provvedimento costituisce misura a carattere reale, da indirizzarsi come tale all'attuale occupante, in relazione materiale con la cosa, in grado di ricondurre a legittimità lo stato di fatto, prescindendo quindi dai profili di responsabilità ; che in ogni caso la attuale occupante dell'area è anche responsabile della sottrazione dell'immobile al soggetto pubblico, legittimo proprietario; che, trattandosi di opere abusive su suolo pubblico demaniale, l'atto di sgombero assume carattere strettamente vincolato, a nulla rilevando dunque il decorso del tempo dalle condotte abusive, che peraltro permangono, con inconfigurabilità di un affidamento tutelabile volto alla conservazione di una situazione di illecito permanente. Il primo giudice ha, poi, rilevato che non risulta comprovata l'assenza di occupazione abusiva, considerato che la relazione tecnica prodotta dalla parte ricorrente non appare sufficiente, per difetto di chiarezza (cfr. in particolare pag. 6, deposito del 22 dicembre 2022) e che anche le risultanze catastali, in quanto predisposte per fini essenzialmente fiscali, non rivestono carattere dirimente ai fini dell'individuazione dei profili proprietari, avendo valore meramente indiziario. Inoltre il Tar ha osservato: che l'atto di sgombero risulta emesso all'esito di una compiuta e articolata istruttoria, comprendente sopralluoghi, verbali e relazione tecnica d'ufficio nonchè interventi dell'Ufficio circondariale marittimo e dell'Agenzia del demanio, oltre che dell'amministrazione comunale; che l'ordinanza impugnata è stata preceduta da comunicazione di avvio del procedimento del 26 marzo 2019, circostanziata e corredata di allegati, cui sono seguite le osservazioni controdeduttive del privato dell'8 aprile 2019, dunque nel pieno rispetto del contraddittorio procedimentale. Infine ha affermato: che l'atto di donazione del 7 febbraio 1934 non appare idoneo a sovvertire le risultanze emerse dall'attività istruttoria dell'amministrazione, essendo stata prodotta solo una nota di trascrizione, molto risalente nel tempo, riferita a soggetti dell'epoca, non sufficientemente circostanziata e specifica in ordine all'oggetto; che non possono assumere rilievo non meglio precisati fenomeni naturali, di urbanizzazione, di apposizione di un termine di confine; che l'avvio del procedimento di delimitazione delle zone del demanio marittimo, ex art. 32 del codice della navigazione, è rimesso a valutazioni eminentemente discrezionali dell'amministrazione, qualora sussistano obiettivi profili di incertezza sul punto, precisando che appartengono alla giurisdizione del Giudice ordinario le liti in tema di accertamento di confini. 4. L'appello è affidato ad un unico motivo di "Travisamento dei fatti e dei presupposti; errata individuazione della fattispecie oggetto di ricorso. Violazione/falsa applicazione dell'art. 35 TU Edilizia - Violazione/falsa applicazione degli artt. 54 e 1161 del codice di navigazione - Eccesso di potere per difetto di istruttoria, difetto di motivazione, difetto dei presupposti e sviamento. Omessa pronuncia". In sintesi l'appellante sostiene che la sentenza sarebbe errata nella parte in cui ha disatteso le contestazioni di indeterminatezza mosse all'ordinanza di sgombero. Ricorda che l'ordinanza di sgombero si fonda su un asserito sconfinamento ("occupazione abusiva di una porzione di circa mq 460 di area demaniale marittima di forma pressochè triangolare") senza, tuttavia, descrivere l'ubicazione dell'area occupata, non essendo indicato il foglio di mappa né la particella. Insiste sulla censura di difetto di istruttoria non essendo, a suo dire, sufficienti gli atti rinvenuti in sede di accesso (nota Agenzia del demanio del 16 marzo 2019 prot. 2019/3606; nota Agenzia del demanio del 6 marzo 2019 prot. 2019/2596; nota dell'Ufficio circondariale marittimo del 22 febbraio 2018). Inoltre gli atti depositati dal comune cui la sentenza fa riferimento non includerebbero alcun verbale di sopralluogo e riguarderebbero un diverso procedimento. Ripropone la censura di difetto di motivazione in quanto, a suo dire, il riferimento ad altri atti o documenti contenuto nell'ordinanza non sarebbe stato reso intellegibile mediante la doverosa allegazione degli atti richiamati. Contesta che, al fine di individuare l'area abusivamente occupata, possa tornare utile la relazione tecnica depositata in atti dal comune il 19 novembre 2018 redatta dalla responsabile della Pianificazione edilizia e ambiente, relativa al diverso procedimento che ha condotto alla revoca dell'autorizzazione amministrativa oggetto di separato ricorso, non essendo tale relazione agli atti del procedimento che ha condotto all'ordinanza di sgombero: si tratterebbe, dunque, di motivazione postuma inammissibile. Senza prestare acquiescenza a detta allegazione postuma, l'appellante osserva, in ogni caso, che dalla stessa parrebbe che l'occupazione demaniale abusiva ivi descritta sia connessa al mancato rispetto della fascia di rispetto della strada statale SS 16 e dell'area ove insiste il bocciodromo: nel precisare che tale area non è triangolare e non è ricompresa in una fascia di mq 460, fa presente che il camping vanta un regolare contratto per l'utilizzo delle aree lungo tutto la fascia stradale (concessione ANAS prot. 11378/1994). Inoltre sostiene che la fascia di rispetto sarebbe di 5 metri e risulterebbe rispettata anche per il bocciodromo. Contesta che sia stato eseguito un sopralluogo e fa presente che, in ogni caso, lo stesso sarebbe dovuto avvenire in contraddittorio con la titolare del diritto di superficie, e con i vari proprietari dell'area costituente il campeggio Europa. Inoltre contesta che vi siano opere abusive e che vi sia stato sconfinamento e, sul punto, torna a richiamare gli atti di provenienza della proprietà . Lamenta l'omessa pronuncia, da parte del Tar, sulla richiesta di verificazione che accertasse la demanialità o meno dell'area in questione. Sostiene che l'ordinanza ex art. 35 del testo unico dell'edilizia possa essere legittimamente adottata soltanto nei confronti del responsabile dell'abuso, a differenza di quella di cui all'art. 31, d.P.R. n. 380 del 2001, che può essere adottata, oltre che nei confronti del responsabile dell'abuso, anche nei confronti del proprietario non responsabile. 5. Il Comune di (omissis) ha ribadito l'eccezione, già sollevata in primo grado, di inammissibilità del ricorso introduttivo per omessa notifica alle altre amministrazioni interessate, coinvolte nell'accertamento che ha condotto all'emanazione dell'ordinanza impugnata (e i cui atti si censurano anche nell'appello), ovvero l'Ufficio circondariale marittimo di (omissis) e l'Agenzia del demanio di Pescara; in ogni caso ha dedotto l'infondatezza dell'appello e del ricorso introduttivo osservando che le censure dell'appellante non sarebbero idonee a incidere sulla correttezza della sentenza impugnata. La controinteressata Tu. Fu. s.r.l. - proprietaria di due sezioni di terreno (p.lla (omissis) sub (omissis) e p.lla (omissis) e p.lla (omissis) sub (omissis)) direttamente confinanti con l'area demaniale marittima indebitamente occupata dall'appellante, nonché del complesso alberghiero denominato "Hotel Ex.", ai cui clienti, a causa di tale abusiva occupazione, è precluso di accedervi liberamente e di raggiungere non solo la spiaggia, ma anche la porzione di sua concessione in corrispondenza di quella zona - ha eccepito l'inammissibilità del ricorso introduttivo chiedendone comunque la conferma di rigetto. In punto di fatto ha ricordato che l'area demaniale marittima di che trattasi è ricompresa all'interno del sito di interesse comunitario denominato "Marina di (omissis)" che, con legge regionale dell'Abruzzo n. 5 del 30 marzo 2007 è divenuta anche riserva naturale regionale, ove sono presenti le ultime formazione dunali della costa abruzzese di notevole valenza naturalistica e delle rarissime specie vegetali e animali in via estinzione, la cui integrità rischia di essere definitivamente pregiudicata nel caso in cui l'indebita occupazione dovesse protrarsi ulteriormente. In diritto fa presente che sarebbe illegittima non solo l'occupazione dell'anzidetta area demaniale marittima, ma l'intero campeggio, poiché - come accertato a seguito di ulteriori sopralluoghi eseguiti sempre dall'Ufficio circondariale marittimo di (omissis) congiuntamente all'Agenzia del demanio e all'ufficio urbanistica del Comune di (omissis) - la pressoché totalità delle strutture ivi esistenti sono prive di qualsiasi titolo abilitativo e ricadenti all'interno della fascia di inedificabilità assoluta del locale torrente "Bu." e di quella di rispetto della S.S. 16 Adriatica. 6. Si può prescindere dall'esame delle eccezioni preliminari, essendo l'appello infondato. Come rilevato dal Tar non è ravvisabile il dedotto difetto di istruttoria. Nel corso del procedimento avviato a seguito dell'accertamento compiuto dall'Ufficio circondariale marittimo, l'appellante il 5 aprile 2019 ha formulato le proprie osservazioni dimostrando di avere compreso quale fosse l'area a cui faceva riferimento l'ufficio, invocando una situazione "consolidata da tempo" e chiedendo la sospensione del procedimento essendo in corso accertamenti nell'ambito di non meglio identificate istanze di sanatoria presentate; non ha invece fornito alcune documentazione per smentire quanto accertato dall'ufficio. Nel corso dei sopralluoghi congiunti svolti, nei giorni 26 settembre 2018 e 9 ottobre 2018, dal Settore urbanistica del comune, dall'Ufficio circondariale marittimo e dall'Agenzia delle dogane, sono stati rilevati due profili di illegittimità : ossia una serie di irregolarità edilizie e l'occupazione di area non riconducibile a quelle indicate in progetto. Sono seguite, dunque, due attività provvedimentali: l'una diretta allo sgombero dell'area demaniale illegittimamente occupata e alla rimozione delle opere edilizie abusive ivi insistenti e una diretta alla revoca dell'autorizzazione del 21 giugno 1993 per lo svolgimento dell'attività di campeggio. Il presente giudizio riguarda la prima delle indicate attività che, al pari della seconda, risulta ben esplicata nella relazione tecnica a firma del responsabile della Pianificazione edilizia e ambiente del comune in cui, dopo aver elencato i titoli rilasciati e le richieste di sanatoria, si conclude che "Dall'esame delle pratiche sopra richiamate si evince che, ad oggi, il Campeggio non dispone di alcun titolo autorizzatorio, ed è, pertanto interamente abusivo, fatta salva la definizione dei condoni richiesti". Nella relazione si dà atto che non è stato possibile effettuare un rilievo puntuale dei manufatti esistenti e non autorizzati, a causa dell'assenza dei titolari delle aree. All'esito di tali verifiche è emerso anche che "Alcune delle opere abusive (bocciodromo e suo ampliamento) insistono sulla proprietà Demanio dello Stato ramo Strade, mentre le stesse strutture abusive descritte al punto 3°, ricadono, in parte nella fascia di rispetto della Strada Statale SS 16 (30 metri)...". A ciò è conseguita da una parte la diffida alla demolizione delle opere abusive, inviata a tutti i soggetti proprietari del camping, e le successive ordinanze di demolizione e di ripristino (nn. 120, 121, 144, 145, 213, 214 del 21 maggio 2019) e, dall'altra, l'ordinanza di sgombero dell'area demaniale per cui è causa, inviata al sig. Ma. Ni., quale legale rappresentante della ditta Ca. Eu.. Quindi l'ordinanza di sgombero è stata adottata all'esito dell'unica attività istruttoria, riguardante i due evidenziati profili di illegittimità, pertanto non coglie nel segno la doglianza per cui gli atti su cui si fonda l'ordinanza sarebbero riferibili ad un diverso procedimento. A ciò deve aggiungersi che tale provvedimento ha natura doverosa e vincolata e va emesso sulla base del mero accertamento di fatto dell'occupazione sine titulo, nel caso di specie sostanzialmente incontestato, sicchè anche sotto tale profilo non è configurabile il dedotto difetto di istruttoria né è richiesta una particolare motivazione. Né, a fronte dell'illegittima occupazione di beni demaniali, può rilevare il tempo trascorso non essendo configurabile alcun affidamento "legittimo" a fronte di una occupazione chiaramente "illegittima", protrattasi per mera inerzia dell'amministrazione. Il provvedimento impugnato nel presente giudizio è finalizzato allo sgombero e al ripristino dell'area demaniale, sicchè lo stesso legittimamente è adottato nei confronti del soggetto che abbia la materiale disponibilità dell'area: pertanto è irrilevante che, in ipotesi, l'occupazione sia avvenuta prima che lo stesso assumesse la gestione del campeggio. Nel caso di specie si sovrappongono i due rilevati profili di illegittimità : l'occupazione abusiva di area demaniale e la realizzazione sulla stessa di opere abusive. In caso di abuso realizzato su suolo di proprietà pubblica, operando la regola dell'accessione, non si pone un'esigenza di coinvolgimento di chi ha la materiale disponibilità del bene, che in alcun modo può ostacolare il ripristino dello stato di un luogo che non gli appartiene; al contrario, se l'abuso è stato realizzato su proprietà privata, e il responsabile dello stesso non è reperibile, in quanto ad esempio neppure più in vita, ovvero, più banalmente, è venuto meno ogni suo rapporto con il bene, il coinvolgimento del proprietario è indispensabile per accedere allo stesso, consentendogli anche, in via preferenziale, di demolire spontaneamente, ove preferisca evitare l'esecuzione d'ufficio (Cons. Stato, sez. II, 15 novembre 2023, n. 9799). Dunque, stante la stretta connessione tra i due accertati profili di abusività, non coglie nel segno nemmeno l'ulteriore censura con cui l'appellante sostiene che l'unico legittimato passivo contemplato dall'art. 35, del d.P.R. n. 380/2001 sarebbe il responsabile dell'abuso e non anche i soggetti che a qualunque titolo acquistino successivamente la disponibilità dell'area demaniale. L'art. 35 del testo unico dell'edilizia, utilizzando il riferimento al solo "responsabile" dell'abuso, ha chiaramente a mente che il responsabile non può in alcun modo divenire proprietario, in quanto, appunto, ha costruito su suolo pubblico. Da qui la piana soluzione interpretativa secondo la quale "nella particolare ipotesi relativa alla sanzione degli abusi realizzati sul demanio e sui beni appartenenti al patrimonio dello Stato o di enti pubblici, il proprietario è esonerato totalmente dal coinvolgimento nel procedimento sanzionatorio. In questi casi specifici le sanzioni demolitorie possono essere legittimamente irrogate unicamente nei confronti del responsabile dell'abuso" (Cons. Stato, sez. VI, 4 maggio 2015, n. 2211): questo è il senso da attribuire, in fattispecie di questo tipo, alla nozione di "responsabile". Quantunque non riproposta ma meramente menzionata, anche la censura concernente le risultanze catastali è infondata atteso che secondo un consolidato orientamento, ai fini della determinazione dell'effettiva proprietà del bene, alle risultanze catastali "non può essere riconosciuto un definitivo valore probatorio, bensì una valenza meramente sussidiaria rispetto a quanto desumibile dagli atti traslativi" (Cons. Stato, Sez. II, 27 dicembre 2023, n. 11249). Infine si deve convenire con il Tar che la nota di trascrizione prodotta, assai risalente, non presenta elementi di tale specificità e chiarezza idonei a suffragare le tesi dell'appellante che, pertanto, risultano del tutto indimostrate e infondate. Conclusivamente, per quanto precede, esaminate tutte le censure pertinenti, che esauriscono il tema dedotto in giudizio, l'appello deve essere respinto. 7. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante alla rifusione delle spese del presente grado di giudizio, nella misura di Euro 2.000,00 (duemila) in favore di ciascuna parte costituita, oltre oneri di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024, con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere Laura Marzano - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BONI Monica - Presidente Dott. LIUNI Teresa - Consigliere Dott. CAPPUCCIO Daniele - rel. Consigliere Dott. MONACO Marco M. - Consigliere Dott. RUSSO Carmine - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS) ((OMISSIS)) il (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS) ((OMISSIS)) il (OMISSIS); avverso la sentenza del 11/05/2022 della CORTE di ASSISE di APPELLO di MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere MARCO MARIA MONACO; udito il Sostituto Procuratore Generale LUCA TAMPIERI che ha concluso il rigetto dei ricorsi; uditi gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) che insistono per dei ricorsi rispettivamente proposti. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di Assise di Appello di Milano, con sentenza del 11/5/2022, ha confermato le sentenze di condanna rispettivamente pronunciate dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di COMO il 27/10/2021, all'esito del giudizio abbreviato, nei confronti di (OMISSIS) e, all'esito del giudizio ordinario, dalla Corte di Assise di COMO il 7/10/2021 nei confronti di (OMISSIS), entrambi imputati in concorso dei reati di omicidio di cui agli articoli 575 in relazione all'articolo 576, comma 1 n. 2 c.p., occultamento di cadavere di cui agli articoli 412 e 61 n. 2 c.p. e detenzione e porto di un'arma da fuoco calibro 7,65 di cui agli articoli 61 n. 2 c.p. e 10 e 12 L. 497/74. 2. I due imputati sono stati rinviati a giudizio per avere cagionato la morte di (OMISSIS), avvenuta il 5 marzo 2017, con due separati decreti di giudizio immediato in virtu' dei diversi momenti nei quali e' stata eseguita l'ordinanza con la quale e' stata disposta nei loro confronti la misura della custodia cautelare in carcere. (OMISSIS) ha chiesto procedersi con le forme del rito abbreviato, nel corso del quale ha reso interrogatorio e ha dichiarato, in estrema sintesi, di avere lavorato per (OMISSIS) provvedendo ai pagamenti della sostanza stupefacente acquistata, svolgendo i compiti che man mano gli venivano assegnati ma sempre e comunque senza sapere quali fossero le intenzioni e i programmi di (OMISSIS), cio' anche con riferimento alla gestione dei rapporti intercorsi con la vittima e con alcuni soggetti calabresi a cui si e' fatto riferimento nel corso delle indagini. Il processo nei confronti di (OMISSIS), invece, si e' svolto con le forme del rito ordinario e durante l'istruttoria dibattimentale sono stati sentiti diversi testimoni quali gli operanti, che hanno riferito in ordine alle indagini effettuate, e' stata disposta la trascrizione delle intercettazioni e l'imputato ha reso dichiarazioni spontanee. 2.1. All'esito dei due processi i giudici di primo grado, sulla base al compendio indiziario contenuto in ciascun processo, hanno pronunciato sentenza di condanna, ognuno ritenendo che il rispettivo imputato avesse commesso il reato contestato. Secondo la conforme ricostruzione contenuta nelle sentenze di merito le indagini hanno preso le mosse il 2 aprile 2017 allorche', durante una domenica ecologica, alcuni ragazzi hanno rinvenuto il cadavere di un uomo in un bosco a (OMISSIS) nel (OMISSIS). A seguito dei primi accertamenti e' emerso che la vittima era sottoposta a indagini dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Venezia per traffico internazionale di stupefacenti e che le utenze a questa riferibili, cosi' come quelle di molti altri soggetti, erano intercettate. Dall'analisi dei risultati di tali indagini, quindi, la polizia giudiziaria ha estrapolato alcune utenze e analizzandone i contatti, il traffico e, anche ascoltando le conversazioni e leggendo i messaggi intercorsi, ha ricostruito gli spostamenti della vittima nei mesi antecedenti l'omicidio, sino al giorno in cui questo e' stato commesso. Nello specifico sono emersi i rapporti tra (OMISSIS), che operava in Veneto, e i due attuali ricorrenti, che avevano la loro sfera d'azione in Lombardia e che avevano acquistato, per loro conto e anche nell'interesse di alcuni soggetti di origine calabrese, ingenti quantitativi di sostanza stupefacente dalla vittima. Nel corso di tali rapporti (OMISSIS), anche in nome e conto del gruppo di calabresi per il quale fungeva anche da garante, avrebbe maturato un debito di circa 300.000,00 Euro che (OMISSIS), trovatosi esposto a causa della perdita di un ingente quantitativo di sostanza stupefacente, gli aveva chiesto di saldare in tempi brevi. Dall'analisi dei tabulati sono emersi numerosi contatti tra gli imputati e la vittima finalizzati a risolvere tale situazione e anche un viaggio effettuato da (OMISSIS) e (OMISSIS) in Calabria proprio al fine di recupera almeno una parte della somma. Tornato dalla Calabria senza avere avuto la somma richiesta (OMISSIS), coadiuvato da (OMISSIS), avrebbe cercato di far andare (OMISSIS) in Lombardia simulando un incontro decisivo con uno dei calabresi che avrebbe dovuto versargli quanto meno una buona parte di quanto dovuto. Dai contatti intercorsi e attraverso gli spostamenti delle utenze telefoniche riferibili agli imputati e alla vittima, sono stati cosi' ricostruiti cinque viaggi che i due ricorrenti, il piu' delle volte (OMISSIS), avrebbero effettuato dalla Lombardia al Veneto nei giorni 1, 2, 3, 4 e 5 marzo. In data 5 marzo 2017, finalmente, (OMISSIS) si sarebbe fatto convincere a farsi accompagnare in Lombardia e quella sera stessa sarebbe stato ucciso. Nei giorni immediatamente successivi, poi, (OMISSIS) ha lasciato la casa che condivideva con (OMISSIS) e si e' trasferito in albergo fino al 18 marzo quando ha lasciato l'Italia per andare, dopo un breve transito in (OMISSIS), prima in Francia e, dopo, in Germania, dove e' stato arrestato per cessione di stupefacenti e da dove, una volta scontata la pena, e' stato estradato in Italia. (OMISSIS), invece, si e' allontanato dall'Italia il 2 aprile 2017, il giorno del rinvenimento del cadavere, e si e' trasferito in (OMISSIS), dove e' stato catturato e da li' estradato in Italia. Nelle sentenze di primo grado i giudici di merito hanno valorizzato i contatti emersi dall'analisi del traffico telefonico relativo alle varie utenze attribuite a vario titolo agli imputati e, nello specifico, i contatti e gli spostamenti da questi effettuati nei giorni immediatamente precedenti la scomparsa di (OMISSIS) e, anche, le "indagini" effettuate dal fratello della vittima e la denuncia da questo presentata. 2.2. Avverso le due sentenze di primo grado gli imputati, ognuno facendo riferimento al processo celebrato nei propri confronti, hanno presentato appello. La Corte territoriale, ritenuto che fosse necessario procedere a una valutazione unitaria, ha sentito le parti sul punto e ha riunito i processi. Nello specifico la Corte territoriale ha fatto riferimento alla giurisprudenza di legittimita' per la quale la riunione di due processi celebrati con diverso rito e' possibile purche' la Corte d'appello utilizzi, per ognuno degli imputati, esclusivamente le prove acquisite nel rito dallo stesso scelto. Il giudice dell'appello, in ordine a tale aspetto, ha evidenziato che le prove erano in questo caso sovrapponibili in quanto gli atti di p.g. erano nella sostanza entrati nella conoscenza del giudice del dibattimento con l'audizione degli operanti e le intercettazioni erano state trascritte senza che vi fossero contestazioni circa la corrispondenza delle stesse ai c.d. brogliacci. All'esito del giudizio di appello le due sentenze, come indicato all'inizio, sono state confermate dalla Corte territoriale che ha nella condiviso il giudizio di convergenza indiziaria effettuato dai primi giudici. Secondo il giudice dell'impugnazione, d'altro canto, la diversa conclusione circa la persona che si era recata in Veneto a prendere la vittima il 5 marzo 2017 (secondo il giudice di primo grado del processo a carico di (OMISSIS) in Veneto a prendere la vittima sarebbe andato lo stesso (OMISSIS) e (OMISSIS) sarebbe rimasto in Lombardia, per la Corte di Assise di Appello, invece, (OMISSIS) sarebbe andato in Veneto e (OMISSIS) avrebbe effettuato i sopralluoghi in Lombardia) sarebbe nella sostanza indifferente in quanto ci sarebbe stata una totale fungibilita' nell'uso delle utenze riferibili ai due imputati, cio' anche per quelle apparentemente "personali". Ragione questa per la quale la Corte non ha ritenuto credibile la tesi difensiva di (OMISSIS) che ha affermato essere andato lui a prendere (OMISSIS) in Veneto per portarlo in Lombardia e di avere agito esclusivamente quale factotum e senza sapere quali fossero le reali intenzioni di (OMISSIS). 3. Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso gli imputati che, a mezzo dei rispettivi difensori, hanno dedotto i seguenti motivi. 3.1. Avv. (OMISSIS) per (OMISSIS) 3.1.1 Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli articoli 17, 19, 191 e 602 c.p.p. Nel primo motivo la difesa rileva che a seguito della riunione, alla quale pure era stato prestato assenso, la Corte territoriale sarebbe incorsa in una "confusione probatoria" cosi' che di fatto la pronuncia a carico del ricorrente si fonderebbe anche sulle prove acquisite nel corso del giudizio abbreviato in cio' violando il criterio che la giurisprudenza di legittimita' pone come indefettibile al fine di consentire la riunione di due processi celebrati con riti diversi. 3.1.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla dichiarazione di responsabilita' per i reati di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, occultamento di cadavere e detenzione a porto d'arma da fuoco. Nel secondo motivo la difesa rileva che la Corte territoriale avrebbe effettuato una valutazione confusa degli elementi emersi nei due processi e avrebbe proceduto a una errata valutazione degli indizi pervenendo a una conclusione che, in assenza di prove dirette, sarebbe il risultato di un ragionamento privo di effettiva consistenza. I riferimenti alle "indagini" effettuate dal fratello della vittima sarebbero inconferenti. Alcune delle utenze indicate e ritenute come significative, come quella con finale 544, utilizzata proprio il giorno 5 marzo 2017, non sarebbero mai state nella disponibilita' del ricorrente. Il tenore e il significato di alcuni messaggi sarebbero stati travisati o comunque non sarebbero stati correttamente compresi. La spiegazione fornita all'allontanamento dall'Italia del ricorrente sarebbe sbagliata, cio' in quanto l'imputato non si sarebbe dato alla fuga. Tutto l'impianto accusatorio, di fatto fondato sull'importanza attribuita alla geolocalizzazione effettuata attraverso i tabulati di cella sarebbe inconsistente 3.1.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla circostanza aggravante della premeditazione. Nel terzo motivo la difesa censura la conclusione circa la ritenuta sussistenza della premeditazione criticando i passaggi della motivazione sul punto e, in specifico, il rilievo attribuito dalla Corte ai viaggi effettuati in Veneto, all'interesse che avrebbe avuto il ricorrente di eliminare (OMISSIS) e, da ultimo, alle circostanze relative al noleggio dell'autovettura e al rinvenimento della pala con le tracce biologiche della vittima in prossimita' del cadavere. Circostanze queste che non avrebbero un effettivo valore dimostrativo quanto alla configurabilita' dell'aggravante. 3.1.4. Vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. 3.1.5. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'articolo 603 c.p.p. con riferimento al rigetto di assunzione di nuove prove. Nel quinto motivo la difesa rileva che sarebbe del tutto ingiustificato il diniego di rinnovare l'istruttoria dibattimentale al fine di verificare quanto contenuto nei c.d. criptofonini e di procedere all'audizione dei testi indicati, i "venditori" delle schede telefoniche. 3.2. Avv. (OMISSIS) per (OMISSIS) 3.2.1. Vizio di motivazione in relazione agli articoli 546 c.p.p. e 575 cod. Pen. in ordine alla responsabilita' dell'imputato per tutti i reati contestati. Nel primo articolato motivo la difesa rileva la carenza e la manifesta illogicita' della valutazione effettuata e della motivazione quanto al compendio indiziario posto a fondamento della dichiarazione di responsabilita' del ricorrente. Nello specifico la difesa censura: -la ritenuta attribuibilita' delle utenze a (OMISSIS) e cio' soprattutto sotto il profilo della fungibilita' dei due imputati nell'uso delle stesse. Una volta ritenuto che la stessa utenza possa essere stata utilizzata da diversi utenti, infatti, non sarebbe logico limitare tale fungibilita' ai soli due attuali imputati, soprattutto in un contesto nel quale la stessa Corte territoriale ha ritenuto che fossero coinvolti altri soggetti, peraltro anche in qualche modo individuati e pure indicati nelle sentenze di merito. Ragione questa per la quale quella che la difesa chiama "fungibilita' limitata" sarebbe illogica; -il ribaltamento causale che determina l'attribuzione a (OMISSIS) piuttosto che a (OMISSIS) il viaggio in Veneto effettuato in data 5 marzo 2017 per andare a prendere e accompagnare la vittima in Lombardia, cio' in considerazione del fatto che l'altra utenza, finale 810, ha effettuato i sopralluoghi nel posto in cui poi e' stato ritrovato il cadavere e senza che questo, per lo stesso principio della fungibilita' dell'uso delle utenze, consenta di stabilire con certezza chi vi abbia proceduto; -le conclusioni, che sarebbero il risultato di una semplificazione probatoria, circa il ruolo avuto da (OMISSIS) e la consapevolezza dello stesso in ordine al programma, di altri, di uccidere (OMISSIS); - la lettura attribuita dai giudici di merito al messaggio del 3/3/2017, "portalo", che sarebbe palesemente illogica; - il rilievo attribuito allontanamento dell'imputato nei giorni successivi la sparizione della vittima; - il mancato riconoscimento del ruolo gregario che avrebbe avuto il ricorrente che non aveva la consapevolezza di quanto sarebbe successo. 3.2.2. Vizio di motivazione in ordine all'elemento soggettivo. Nel secondo motivo la difesa evidenzia che i giudici di merito non avrebbero dato adeguato conto degli elementi posti a fondamento della ritenuta sussistenza di una consapevole, cosciente e volontaria partecipazione del ricorrente all'omicidio in quanto sul punto non sarebbe sufficiente la presunzione che (OMISSIS) condividesse i propositi e gli interessi di (OMISSIS). 3.2.3. Vizio di motivazione in relazione alla premeditazione. Nel quarto motivo la difesa rileva che la conclusione in ordine alla sussistenza dell'aggravante sarebbe carente. La Corte territoriale, infatti, avrebbe del tutto omesso di considerare che l'uccisone di (OMISSIS) avrebbe potuto essere stata il risultato di una decisione estemporanea, cioe' la conseguenza di una discussione sorta per il pagamento di quanto dovuto, e non il risultato di una programmazione. L'organizzazione del viaggio, d'altro canto, diversamente da quanto indicato nelle sentenze, non sarebbe sul punto significativa in quanto sarebbe stato pianificato per il diverso fine di discutere del pagamento del debito. 3.2.4 Vizio di motivazione in relazione alla richiesta di considerare il contributo fornito dal (OMISSIS) ai sensi dell'articolo 114 c.p.. 3.2.5. Vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. CONSIDERATO IN DIRITTO I ricorsi sono complessivamente infondati. 1. Ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS). 1.1. Nel primo motivo la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione agli articoli 17, 19, 191 e 602 c.p.p. evidenziando che la Corte territoriale, disposta la riunione tra i processi celebrati con diverso rito, sarebbe incorsa in una "confusione probatoria" e avrebbe cosi' violato il principio enucleato dalla giurisprudenza di legittimita' secondo il quale in questo peculiare caso di riunione il giudice deve tenere conto del diverso regime di ammissione delle prove e deve, pertanto, procedere a valutazioni separate. La doglianza e' infondata. La giurisprudenza di legittimita' ha piu' volte ribadito che la riunione e la trattazione congiunta in fase d'appello di procedimenti celebrati nei confronti di piu' coimputati con riti diversi (nella specie, l'uno con rito ordinario e l'altro con rito abbreviato) non e' causa di abnormita' o di nullita' della decisione, ne', tanto meno, di una situazione di incompatibilita' suscettibile di tradursi in motivo di ricusazione per il giudice, poiche' la coesistenza di tali procedimenti comporta solo la necessita' che, al momento della decisione, siano tenuti rigorosamente distinti i diversi regimi probatori rispettivamente previsti per ciascuno di essi (cfr. Si, n. 35293 del 1/2/2021, Rho, n. m; Sez. 1, n. 26642 del 10/4/2019, Villacaro, n. m.; Sez. 3, n. 35476 del 12/04/2016, B., Rv. 268122 - 01; Sez. 3, n. 14592 del 19/02/2015, Crini, Rv. 263054 - 01). La Corte territoriale, disposta la riunione anche con il consenso delle parti, si e' conformata ai principi enucleati sul punto. I giudici dell'appello, infatti, hanno dimostrato di avere proceduto a un'attenta analisi delle prove acquisite nei due diversi processi di primo grado. Nelle due parti distinte della sentenza la Corte territoriale ha fatto riferimento agli elementi rispettivamente emersi a carico di ognuno dei due imputati, dando conto del diverso regime di acquisizione ed evidenziando la diversa valutazione delle prove effettuata in ordine all'affermazione di responsabilita'. La conclusione in ordine alla responsabilita' di (OMISSIS) (OMISSIS) si fonda sulle fonti di prova acquisite dalla polizia giudiziaria nel corso delle indagini compendiate nelle e comunicazioni notizie di reato, sui tabulati delle utenze individuate, sui brogliacci delle intercettazioni contenenti le conversazioni e i messaggi intercorsi e dall'interrogatorio reso dall'imputato. La decisione resa nei confronti di (OMISSIS), invece, si basa sulle prove testimoniali, sulla perizia di trascrizione delle intercettazioni acquisite nel corso del dibattimento e tiene conto delle dichiarazioni spontanee dell'imputato. In tale contesto la preliminare considerazione secondo la quale molte delle prove acquisite nei due giudizi sono perfettamente sovrapponibili risulta corretta e non ha determinato alcuna "confusione probatoria". Il contenuto delle comunicazioni di notizie di reato e delle intercettazioni presenti negli atti del giudizio abbreviato, infatti, e' stato acquisito nel corso del dibattimento attraverso l'audizione dei testi che tali documenti hanno redatto ovvero con le trascrizioni delle conversazioni e dei messaggi. Le dichiarazioni delle persone informate dei fatti oggetto dei relativi verbali sono state acquisite in dibattimento esaminando i testimoni. Nello specifico, d'altro canto, non e' emersa alcuna differenza tra l'efficacia rappresentativa delle prove acquisite nel giudizio abbreviato e quelle assunte in dibattimento e nello stesso ricorso e al di la' di considerazioni generiche, non e' indicato alcun elemento specifico che possa far ritenere che la Corte abbia erroneamente posto a fondamento della decisione a carico del ricorrente prove acquisite nel solo giudizio abbreviato, ovvero, ad esempio, che il contenuto di una comunicazione di reato acquisita e utilizzata nell'abbreviato sia diverso dal tenore della dichiarazione resa sul punto in dibattimento dal soggetto che l'ha redatta. 1.2. Nel secondo motivo la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla dichiarazione di responsabilita' rilevando che la Corte territoriale avrebbe effettuato un'analisi confusa degli elementi emersi nei due processi e avrebbe proceduto a una errata valutazione degli indizi pervenendo a una conclusione che, in assenza di prove dirette, sarebbe il risultato di un ragionamento privo di effettiva consistenza. Le doglianze, formulate anche nei termini della violazione di legge ma che afferiscono esclusivamente la completezza e logicita' della motivazione, tese anche a sollecitare una diversa e non consentita lettura delle prove, sono manifestamente infondate. 1.2.1. La Corte, la cui motivazione si salda ed integra con quella del giudice di primo' grado, ha infatti fornito congrua risposta alle critiche contenute nell'atto di appello e ha esposto gli argomenti per cui queste non erano coerenti con quanto emerso nel corso dell'istruttoria dibattimentale. Alla Corte di cassazione, d'altro canto, e' precluso, e quindi i motivi in tal senso formulati non sono consentiti, sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito. Il controllo che la Corte e' chiamata ad operare, e le parti a richiedere ai sensi dell'articolo 606 lettera e) c.p.p., infatti, e' esclusivamente quello di verificare e stabilire se i giudici di merito abbiano o meno esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (cosi' Sez. un., n. 930 del 13/12/1995, Rv 203428; per una compiuta e completa enucleazione della deducibilita' del vizio di motivazione, da ultimo Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv 280601; Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, Furlan, Rv. 276062: Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217; Sez. 6, n. 47204, del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482). Sotto tale aspetto, a fronte di una motivazione coerente e logica quanto alla consistenza del compendio indiziario ogni ulteriore critica, che trova peraltro fondamento in una diversa ed alternativa lettura dell'istruttoria dibattimentale, risulta del tutto inconferente ("esula dai poteri della Cassazione, nell'ambito del controllo della motivazione del provvedimento impugnato, la formulazione di una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, giacche' tale attivita' e' riservata esclusivamente al giudice di merito, potendo riguardare il giudizio di legittimita' solo la verifica dell-iter" argomentativo di tale giudice, accertando se quest'ultimo abbia o meno dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto ad emettere la decisione", in questo senso Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217). 1.2.2. La Corte territoriale, invero, ha dato conto di avere proceduto a una verifica attenta e puntuale della tenuta del compendio indiziario acquisito a carico del ricorrente e cio' anche in riferimento alle specifiche censure evidenziate dalla difesa nell'atto di appello. La valutazione cosi' effettuata, nella quale si e' tenuto sia conto della consistenza e della tenuta di ogni singolo elemento e poi si e' proceduto a una lettura complessiva, risulta adeguata e coerente. La ricostruzione quanto alla riferibilita' delle utenze, ai rapporti intercorsi fino al giorno dell'omicidio tra la vittima e il ricorrente, nonche' ai viaggi e agli spostamenti in Veneto e in Calabria, diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, non e' il frutto di alcuna commistione probatoria. Il rinvio della Corte territoriale a quanto gia' evidenziato nella parte relativa al coimputato (OMISSIS), infatti, e' stato correttamente effettuato facendo riferimento alle dichiarazioni rese dai testi (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che hanno reso un'articolata deposizione in ordine alle indagini svolte e ai relativi atti. Sotto tale profilo la considerazione del giudice dell'appello circa l'assenza di elementi contrari all'attribuzione delle utenze agli imputati e le trasferte che questi avrebbero fatto, non determina alcuna inversione dell'onere della prova quanto, piuttosto, rende conto dell'assenza di plausibili letture alternative a quella cui era pervenuto il giudice di primo grado. L'esistenza di contatti tra l'imputato e la vittima, la circostanza che tra i due esistessero dei rapporti illeciti, la necessita' che era sorta di recuperare delle somme presso "i calabresi" e che di cio' se ne sarebbe dovuto occupare (OMISSIS), d'altro canto, risultano nella sostanza essere stati confermati dallo stesso ricorrente e sono comunque stati oggetto di una puntuale e attenta e conforme ricostruzione che, in assenza di palesi illogicita', non e' sindacabile in questa sede. Ad analoghe conclusioni, inoltre, deve pervenirsi quanto all'attribuibilita' di alcune delle utenze a (OMISSIS) o, meglio, della conclusione quanto alla riferibilita' di tutte le utenze a entrambi gli imputati che le utilizzavano indifferentemente. Sul punto i giudici di merito hanno evidenziato i riscontri emersi non solo dall'analisi del traffico telefonico, ovvero dalla geolocalizzazione degli spostamenti, ma, anche e soprattutto, dal contenuto dei messaggi (in alcuni dei quali, ad esempio, si fa riferimento alla necessita' che il ricorrente aveva di tornare in Lombardia entro il lunedi' mattina cfr. pag. 23 della sentenza impugnata, ovvero anche al nome del ricorrente, "sono Moke", cfr. pag. 22 della sentenza impugnata e "ma sei Mondi", cfr. pag. 38 della sentenza impugnata) ovvero dal collegamento esistente tra i messaggi inviati da due utenze diverse, evidentemente riconducibili alla stessa persona o, considerata la fungibilita' di utilizzo, agli imputati, cio' con riferimento specifico all'utenza con finale 544. In ordine a tale utenza, infatti, utilizzata solo in data 5 marzo 2017, risulta una continuita' tra i messaggi inviati la sera del 4 marzo 2017 dall'utenza con finale 810 (in uso al ricorrente) per concordare l'incontro del giorno successivo e quello, appunto, inviato il 5 marzo 2017 dall'utenza con finale 544, "sono nel parcheggio" (cfr. pagine 83 e 84 della sentenza impugnata). Anche sotto tale profilo, pertanto, le censure della difesa quanto al mancato approfondimento dei temi da questa indicati nell'appello quanto alla c.d. geolocalizzazione risultano del tutto generiche non specificando quali incertezze o errori siano ravvisabili nell'attribuzione delle utenze o nella loro geolocalizzazione, come pure le ulteriori critiche in merito al tenore dei messaggi ovvero agli altri elementi emersi e valutati dal giudice dell'appello. Quanto alle obiezioni della difesa circa la lettura fornita dai giudici di merito dei messaggi, va ricordato che la portata dimostrativa del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto che e' rimessa alla valutazione del giudice di merito e, quindi, si sottrae al sindacato di legittimita' se tale valutazione, come nel caso di specie, e' motivata in conformita' ai criteri della logica e delle massime di esperienza (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 - 01; Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Gregoli, Rv. 282337 - 01; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, D'Andrea, Rv. 268389 - 01; Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, Folino, Rv. 267650 - 01; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Vecchio, Rv. 257784 - 01; Sez. 6, n. 17619 del 08/01/2008, dep. 30/04/2008, Gionta, Rv. 239724). In sede di legittimita', infatti, puo' essere prospettata una diversa interpretazione del significato di un'intercettazione da quella proposta dal giudice di merito soltanto qualora la difesa rilevi la sussistenza di un travisamento della prova, ovvero evidenzi che il giudice ha indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformita' risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, 2018. Di Maro, Rv. 272558 - 01; Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, dep. 2014, Napoleoni, Rv. 259516 01; Sez. 6, n. 11189 del 08/03/2012, Asaro, Rv. 252190 - 01; Sez.2, n. 38915 del 17/10/2007, dep. 19/10/2007, Donno, Rv. 237994). 1.2.3. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi quanto alle ulteriori censure della difesa in ordine agli altri elementi di riscontro indicati dai giudici di merito. i. Le modalita' dell'allontanamento del ricorrente dall'Italia sono state correttamente ritenute significative del coinvolgimento dello stesso nell'omicidio. La motivazione della sentenza impugnata, con i riferimenti alle intercettazioni effettuate, nelle quali si da' atto che la partenza per l'(OMISSIS) non era prevista ma e' stata decisa repentinamente il pomeriggio del 2 aprile 2017, dopo il ritrovamento del cadavere e dopo le richieste di notizie da parte del fratello della vittima, tanto da spostare anche il matrimonio gia' fissato nei giorni immediatamente successivi, e' insindacabile in questa sede perche' fruttp di corretta valutazione dei dati probatori e di logico procedimento inferenziale. ii. Gli elementi tratti dalle dichiarazioni rese da (OMISSIS), cosi' come quelle di (OMISSIS), sono stati correttamente valorizzati. Sebbene i testi non conoscessero il nome del ricorrente prima del 5 marzo 2017, hanno comunque dato conto di elementi che hanno consentito di individuarlo in funzione della provenienza dello stesso, "il ragazzo di 9Scutari", della presenza di un vistoso tatuaggio sul collo e del luogo di residenza. Caratteristiche queste attribuite alla persona che il giorno 5 marzo 2017 era andata a prendere (OMISSIS) in Veneto anche dalla ex moglie della vittima, (OMISSIS), le cui dichiarazioni, pure se riferite dal teste (OMISSIS), in assenza di una espressa richiesta di esame da parte della difesa, sono utilizzabili ai sensi dell'articolo 195 c.p.p. (cfr. da ultimo Sez. 3, n. 33100 del 07/06/2022, F., Rv. 283651 - 02). Il motivo, inoltre, risulta generico anche a ragione della mancata confutazione di quanto riferito da (OMISSIS), che aveva appreso dal fratello poi ucciso che il "ragazzo di (OMISSIS)" e i soggetti calabresi avevano maturato un debito nei suoi confronti per oltre 300.000,00, mai saldato. iii. Le critiche circa l'uso del termine "montanaro" e l'attribuibilita' di questo al ricorrente ovvero ad altra persona risultano del tutto inconferenti. La Corte territoriale, infatti, non ha fatto riferimento a tale termine al fine di individuare il ricorrente quanto, piuttosto, per dare conto della spiegazione da questo data alla vittima della ragione per la quale la persona che lo aveva cercato non si era permessa di andare a casa sua senza che lui stesso fosse presente. iv. Le considerazioni circa la necessita' di acquisire i c.d. criptofonini e di sentire i titolari degli esercizi commerciali dove sono state acquistate le sim relative alle utenze sono prive di consistenza in quanto, come evidenziato nella sentenza impugnata, tali elementi risultano del tutto ininfluenti a fronte del quadro indiziario emerso a carico del ricorrente. v. L'assenza di testimonianze e prove dirette, infine, come correttamente indicato nella sentenza impugnata, assume un rilievo neutro e non inficia la tenuta del ragionamento posto a fondamento dell'affermazione di responsabilita'. 1.3. Nel terzo motivo la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione circa la ritenuta sussistenza della premeditazione censurando, in specifico, il rilievo attribuito dalla Corte ai viaggi effettuati in Veneto, all'interesse che avrebbe avuto il ricorrente di eliminare (OMISSIS) e, da ultimo, alle circostanze relative al noleggio dell'autovettura e al rinvenimento della pala con le tracce biologiche della vittima in prossimita' del cadavere. Le doglianze sono infondate. La Corte territoriale, la cui motivazione si salda e integra con quella del giudice di primo grado, ha fatto sul punto coerente riferimento agli elementi emersi nel corso del processo e ha cosi' ritenuto la sussistenza sia dell'elemento cronologico che di quello psicologico richiesti dalla giurisprudenza di legittimita' (cfr. da ultimo Sez. 1, n. 37825 del 29/04/2022, Tiscornia, Rv. 283512 - 01). In merito alla premeditazione, infatti, il rilievo attribuito ai numerosi contatti intercorsi tra le parti, al tenore degli stessi, tesi a individuare il luogo dove la vittima si trovava e poi a farla andare in Lombardia, ai viaggi effettuati e alle modalita' nel complesso utilizzate, alla promessa di cessione dell'auto Lexus Infinity che l'imputato sapeva essere stata noleggiata e non suscettibile di cessione, appare formalmente giustificato e logicamente connesso a un fatto programmato e attivato da tempo. Nel contesto cosi' delineato, poi, le ulteriori circostanze relative al rinvenimento della pala e, soprattutto, il fatto che siano stati effettuati dei sopralluoghi sul luogo dove poi e' stato rinvenuto il cadavere prima ancora dell'arrivo della vittima in Lombardia, risultano decisivi quanto alla sussistenza dell'aggravante contestata. 1.4. Nel terzo motivo la difesa deduce il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La doglianza e' manifestamente infondata. La sentenza impugnata, con riferimento alla misura della pena inflitta all'imputato ha fatto buon governo della legge penale e ha dato conto delle ragioni che hanno guidato, nel rispetto del principio di proporzionalita', l'esercizio del potere discrezionale ex articoli 132 e 133 c.p. della Corte di merito, e cio' anche in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche, tenuto conto, quanto a quest'ultimo aspetto, della gravita' del fatto cosi' correttamente ritenuta per i mezzi e le modalita' utilizzate, per il danno cagionato alla vittima, per l'intensita' del dolo e per i motivi che lo hanno determinato (cfr. pagine 97 e 98 per come richiamate a pag. 128). Le censure mosse a tale percorso argomentativo, assolutamente lineare, sono meramente assertive, inconsistenti e, in parte, orientate anche a sollecitare, in questa sede, una nuova e non consentita valutazione della congruita' della pena (cfr. Sez. Un. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Rv. 266818). La sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell'articolo 62 bis c.p., d'altro canto, e' oggetto di un giudizio di fatto e puo' essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talche' la stessa motivazione, purche' congrua e non contraddittoria, non puo' essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell'interesse dell'imputato (cfr. Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, RV. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, RV. 248244; n. 42688 del 24/09/ 2008, Caridi, RV 242419). Il giudice, nell'esercizio del suo potere discrezionale deve quindi motivare nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l'adeguamento della pena concreta alla gravita' effettiva del reato ed alla personalita' del reo. Pertanto, il diniego delle circostanze attenuanti generiche puo' essere legittimamente fondato anche sull'apprezzamento di un solo dato negativo, oggettivo o soggettivo, che sia ritenuto prevalente rispetto ad altri, disattesi o superati da tale valutazione (cfr. Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, RV. 265826; n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, RV. 249163; Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, Straface, RV. 248737) 1.5. Nel quinto e ultimo motivo la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all'articolo 603 c.p.p. con riferimento al rigetto di assunzione di nuove prove rilevando che sarebbe del tutto ingiustificato il diniego di rinnovare l'istruttoria dibattimentale al fine di verificare quanto contenuto nei c.d. criptofonini e di procedere all'audizione dei testi indicati, i "venditori" delle schede telefoniche. La doglianza e' manifestamente infondata ed esplorativa. La rinnovazione in appello dell'istruttoria dibattimentale, infatti, e' un istituto di carattere eccezionale, al quale puo' farsi ricorso, in deroga alla presunzione di completezza dell'istruttoria espletata in primo grado, esclusivamente allorche' il giudice dell'impugnazione ritenga, nella propria discrezionalita', che l'integrazione sia indispensabile, nel senso che non e' altrimenti in grado di decidere sulla base del solo materiale gia' a sua disposizione. A fronte di una richiesta di rinnovazione dell'istruttoria fondata sull'indicazione di prova preesistente al giudizio di appello ma non ancora acquisita, d'altro canto, l'articolo 603, comma 1, c.p.p., attribuisce al giudice il potere discrezionale di accogliere o meno la sollecitazione in ossequio alla regola di giudizio della "non decidibilita' allo stato degli atti", cosi' che la motivazione del provvedimento nel quale siano indicate, anche in sintesi (come nel caso di specie con il riferimento all'inutilita' di acquisire i dati eventualmente contenuti nei presunti criptofonini, della cui esistenza non si ha neanche certezza, ovvero di identificare chi materialmente ha acquistato le sim card utilizzate, cfr. pagine 118 e 121 della sentenza impugnata), le ragioni della scelta operata, non incorre in vizi di manifesta illogicita' (cfr. Sez. U, Sentenza n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Rv. 266818; Sez. U, n. 2780 del 24/01/1996, Panigoni, Rv. 203574; Sez. 4, n. 1184 del 03/10/2018, dep. 2019, Motta Pelli s.r.l., Rv. 27511401). Nel caso in esame, poi, non e' stata specificato quali siano le utenze da verificare e dig ne abbia la disponibilita' e cio' ha precluso la fattibilita' di ogni verifica al riguardo. 2. Ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) (OMISSIS). 2.1. Nel primo articolato motivo la difesa deduce il vizio di motivazione in relazione agli articoli 546 c.p.p. e 575 c.p. in ordine alla responsabilita' dell'imputato per tutti i reati contestati rilevando la carenza e la manifesta illogicita' della valutazione effettuata e della motivazione quanto al compendio indiziario posto a fondamento della dichiarazione di responsabilita' del ricorrente. o' Le doglianze, tese anche a sollecitare una diversa valutazione delle prove che non e' consentita in questa sede, sono manifestamente infondate. Anche con riferimento alle censure sollevate da (OMISSIS) (OMISSIS) in ordine al processo celebrato con le forme del giudizio abbreviato, infatti, richiamato quanto evidenziato sub. 1.2.1., si deve rilevare che la Corte territoriale ha reso una motivazione adeguata e coerente gli elementi acquisiti nel corso delle indagini rispondendo in termini puntuali alle critiche gia' dedotte nei motivi di appello. Nello specifico. i. La conclusione quanto all'attribuibilita' delle utenze a (OMISSIS) e alla fungibilita' dei due imputati nell'uso delle stesse si fonda su di una ricostruzione puntuale degli spostamenti delle utenze, dei contatti intercorsi tra le stesse e tra queste e la vittima e questa, alla quale sono addivenuti in senso conforme entrambi i giudici di merito, in assenza di elementi dirimenti di segno contrario, non e' sindacabile in questa sede. Cio' neanche sotto il profilo prospettato dalla difesa secondo la quale, una volta che si e' comunque ipotizzato che nell'omicidio siano coinvolti altri soggetti, sarebbe illogico ritenere che la fungibilita' fosse limitata ai soli imputati dell'attuale processo. A fronte del ragionamento sviluppato nelle sentenze di merito, nella totale assenza di elementi che consentano di attribuire ad altri l'uso di una delle utenze individuate, infatti, quanto sostenuto dalla difesa e' il frutto di una mera affermazione di possibilita' in astratto. ii. L'attribuzione a (OMISSIS), piuttosto che al ricorrente, del viaggio effettuato in data 5 marzo 2017 per andare a prendere e accompagnare la vittima in Lombardia e' motivata facendo riferimento a elementi concreti ai quali la difesa si limita a contrapporre la fungibilita' nell'uso delle utenze. La conclusione sul punto, invero, si fonda sulla continuita' dei messaggi intercorsi la sera prima tra (OMISSIS) e la vittima e, a ben vedere, anche sulle dichiarazioni rese da (OMISSIS) e da (OMISSIS) circa la persona, il ragazzo di (OMISSIS) con un visibile tatuaggio sul collo, con cui (OMISSIS) si e' incontrato la mattina del 5 marzo 2017 in Veneto. Sotto tale profilo, quindi, l'attribuzione del viaggio a (OMISSIS) risulta essere non congetturaleima basata su concreti elementi di fatto cosi' come, proprio in virtu' della fungibilita' delle utenze e del coinvolgimento del ricorrente in tutte le fasi preparatorie dell'omicidio, risulta logico ritenere che (OMISSIS) si sia quindi occupato di effettuare i necessari sopralluoghi a (OMISSIS). La questione circa la fungibilita' nell'uso delle utenze fra due soggetti determinati, infatti, non esclude di poter individuare chi in effetti abbia utilizzato in una o piu' occasioni una determinata utenza quanto, piuttosto, consente di ritenere che la specifica attribuzione sia nella sostanza indifferente, fermo restando che, una volta individuato quale dei due imputati sta utilizzando in quel momento concreto una o piu' utenze, l'altro sta necessariamente utilizzando le altre che sono nella comune detenzione. iii. Quanto alla presunta illogicita' nella quale sarebbero incorsi i secondi giudici in merito alla lettura del messaggio del 3 marzo 2017 (quello nel quale il ricorrente, in cio' peraltro confermando di utilizzare una delle utenze individuate, afferma di riferirsi a una busta di denaro e non alla vittima) si rinvia a quanto indicato nel punto 1.2.2. circa i limiti del sindacato di questa Corte nella lettura delle conversazioni e dei messaggi intercettati. Nel caso di specie, d'altro canto, e' del tutto logica l'interpretazione fornita dalla Corte territoriale, che fa riferimento al tenore complessivo della chat, rilevando che in questa non vi e' nessuna espressa indicazione al denaro ovvero a buste da consegnare a (OMISSIS). Cio' anche considerato che la spiegazione fornita dall'imputato sulla pluralita' di viaggi per consegnare 5.000, Euro alla volta non e' plausibile ed e' illogica per i rischi connessi al trasporto del denaro e che il trasporto, di contro, e' coerente con l'intento di condurre la vittima in zona prossima a quella ove volevano i coimputati. iv. Ad analoghe conclusioni, infine, si deve pervenire in relazione alle critiche sollevate nel ricorso in merito al rilievo indiziario attribuito dai giudici di merito all'allontanamento dell'imputato nei giorni successivi la sparizione della vittima. Le circostanze e le modalita' con le quali l'allontanamento si e' verificato, proprio in concomitanza con i primi tentativi di (OMISSIS) di contattare (OMISSIS), quasi immediatamente individuato come l'ultima persona che aveva incontrato il fratello (cfr. anche pag. 115 della sentenza di primo grado), sono infatti significativi della necessita' avvertita dal ricorrente di evitare che si potesse risalire a lui come il "ragazzo di Valona", "socio" di (OMISSIS) che, secondo le logiche criminali, doveva essere collegato alla sparizione del fratello e che pertanto avrebbe potuto subire le conseguenze di una eventuale vendetta, sicuramente temuta dallo stesso (OMISSIS), ben consapevole delle regole imposte dal (OMISSIS), da lui stesso evocato. 2.2. Nell'ultima parte del primo motivo e, piu' compiutamente, nel secondo, la difesa deduce il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo evidenziando che i giudici di merito non avrebbero dato adeguato conto degli elementi posti a fondamento della conclusione secondo la quale (OMISSIS) aveva partecipato consapevolmente e volontariamente alla commissione dell'omicidio, cio' considerato che il ricorrente aveva sempre svolto un ruolo subalterno a quello del coimputato e che, quindi, non vi sarebbe la prova che sapesse quali erano le reali intenzioni di (OMISSIS) in ordine alla sorte di (OMISSIS), non essendo comunque sufficiente la presunzione che (OMISSIS) condividesse i propositi e gli interessi criminali di (OMISSIS). Le doglianze sono infondate. La Corte territoriale, seppure in termini sintetici nella parte specificamente dedicata alla sussistenza dell'elemento psicologico, ha dato comunque complessivamente atto della consapevole partecipazione del ricorrente alla commissione del reato evidenziando come lo stesso abbia contribuito alle fasi relative all'esecuzione dell'omicidio. Pure volendo ritenere che (OMISSIS) non abbia deliberato l'eliminazione di (OMISSIS), infatti, risulta che lo stesso ha effettuato i viaggi in Veneto, ha mantenuto i contatti con la vittima (anche facendogli credere di essere (OMISSIS)) finalizzati a convincerla ad andare in Lombardia e, da ultimo, ha effettuato i sopralluoghi nel posto dove poi e' stato rinvenuto il cadavere, ha fatto perdere le proprie tracce subito dopo il delitto. Elementi questi che, complessivamente considerati, impongono, pertanto, di ritenere che il ricorrente abbia fornito un consapevole e volontario contributo all'esecuzione dell'omicidio e che la motivazione in punto di sussistenza dell'elemento psicologico sia adeguata. In cio' non assumendo alcun rilievo, d'altro canto, qualsivoglia considerazione in ordine alla condivisione o meno degli interessi e dei propositi del concorrente nel reato, con il quale la sentenza impugnata ricostruisce identita' anche parziale di movimenti e di affari criminali. 2.3. Nel terzo motivo la difesa deduce il vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dell'aggravante della premeditazione in quanto la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare che l'uccisone di (OMISSIS) avrebbe potuto essere stata il risultato di una decisione estemporanea, cioe' la conseguenza di una discussione sorta per il pagamento di quanto dovuto, e non il risultato di una programmazione. La doglianza e' infondata. Come gia' evidenziato nel punto 1.3., al quale e quali si rinvia, infatti, la Corte territoriale, la cui motivazione si salda e integra con quella del giudice di primo grado, ha fatto sul punto coerente riferimento agli elementi emersi nel corso del processo in ordine e ha cosi' ritenuto la sussistenza della circostanza aggravante, conformandosi cosi' alla giurisprudenza di legittimita' (cfr. da ultimo Sez. 1, n. 37825 del 29/04/2022, Tiscornia, Rv. 283512 - 01). In merito alla premeditazione, infatti, il rilievo attribuito alla partecipazione del ricorrente al c.d. "piano trappola", condiviso ed attuato da entrambi gli imputati che lo hanno congiuntamente posto in essere e all'attivita' di costante ausilio fornita da (OMISSIS) a (OMISSIS), appare congruamente giustificato e immune da vizi logici. Nel contesto cosi' delineato, poi, le ulteriori circostanze relative al rinvenimento della pala e, soprattutto, il fatto che prima ancora dell'arrivo della vittima in Lombardia siano stati effettuati dei sopralluoghi nel posto dove poi e' stato rinvenuto il cadavere, come gia' in precedenza evidenziato, risultano decisivi quanto alla sussistenza dell'aggravante contestata. 2.4 Nel quarto motivo la difesa deduce il vizio di motivazione in relazione alla richiesta di considerare il contributo fornito dal (OMISSIS) ai sensi dell'articolo 114 c.p.. La doglianza e' manifestamente infondata. La giurisprudenza di questa Corte e' consolidata nel ritenere che l'articolo 114 c.p. si applichi laddove l'apporto del correo risulti obbiettivamente cosi' lieve da apparire, nell'ambito della relazione eziologica, quasi trascurabile e del tutto marginale (cfr. Sez. 2, n. 46588 del 29/11/2011, Eraki EI Sayed, RV. 251223; n. 9491 del 07/06/1989, Pedori, RV. 184773; Sez. 6, n. 3053 del 27/10/1981, Stipo, RV. 152864). In tema di concorso di persone nel reato, infatti, ai fini dell'integrazione della circostanza attenuante della minima partecipazione di cui all'articolo 114 c.p., non e' sufficiente una minore efficacia causale dell'attivita' prestata da un correo rispetto a quella realizzata dagli altri quanto, piuttosto, e' necessario che il contributo sia di efficacia causale cosi' lieve rispetto all'evento da risultare trascurabile nell'economia generale dell'"iter" criminoso (cfr. Sez. 4, n. 49364 del 19/07/2018, P, Rv. 274037; Sez. 2, n. 835 del 18/12/2012, dep. 2013, Modafferi e altro, Rv. 254051; Sez. 3, n. 9844 del 17/11/2015, dep. 2016, Barbato, Rv. 266461), ovvero accessorio nel generale quadro del percorso criminoso di realizzazione del reato. (Sez. 6, n. 24571 del 24/11/2011, dep. 2012, Piccolo e altro, Rv. 253091) In tale corretto contesto, nel caso di specie il giudice di appello, con motivazione adeguata e coerente, ha evidenziato le ragioni per le quali il ruolo del ricorrente non possa essere ritenuto marginale e la richiesta difensiva di applicazione della circostanza attenuante prevista dall'articolo 114 c.p. dovesse essere disattesa. Nello specifico, infatti, la Corte territoriale ha evidenziato come il ruolo svolto dal ricorrente sia stato fondamentale per il "buon fine" dell'operazione e cio', eventualmente, anche volendo dare credito alle dichiarazioni rese dallo stesso quanto all'avere svolto "solo" il ruolo di autista che ha consegnato la vittima a chi avrebbe poi proceduto all'eliminazione, ruolo questo a cui non potrebbe comunque attribuirsi un rilievo marginale ovvero accessorio. 2.5. Nel quinto e ultimo motivo la difesa deduce il vizio di motivazione quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La doglianza e' manifestamente infondata per le ragioni esposte nel punto 1.4. al quale integralmente si rinvia. 3. Il rigetto dei ricorsi comporta la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROSI Elisabetta - Presidente Dott. CIANFROCA Pierluigi - Consigliere Dott. AIELLI Lucia - Consigliere Dott. FLORIT Francesco - Consigliere Dott. ARIOLLI Giovanni - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 13/05/2022 del TRIBUNALE di SANTA MARIA CAPUA VETERE; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere GIOVANNI ARIOLLI; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ALESSANDRO CIMMINO, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso. udito il difensore. L'avvocato (OMISSIS) in difesa della Parte civile (OMISSIS), chiede il rigetto del ricorso, deposita conclusioni scritte e nota spese. L'avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS) insiste per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO (OMISSIS) ricorre avverso la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 13/05/2022, che ha confermato la sentenza del Giudice di Pace di Caserta, con cui il ricorrente e' stato condannato alla pena di giustizia in ordine al reato di invasione di terreni o edifici. 1. Il ricorrente, con tre motivi, deduce: 1.1. "nullita' della sentenza per violazione di legge ed erronea applicazione della legge penale in relazione all'articolo 633 c.p. ed al mancato riconoscimento della sussistenza del principio ne bis in idem", per avere il Tribunale confermato la sentenza di primo grado "limitandosi ad argomentare che si trattava di fatti diversi, aventi ad oggetto condotte diverse e particelle diverse da quelle prese in esame" senza, peraltro, accertare se si trattasse di una nuova condotta invasiva o della protrazione di un'occupazione gia' realizzata, a fronte della sentenza irrevocabile della Corte di appello di Napoli che ha prosciolto l'imputato (sent. 4218/2016), ai sensi dell'articolo 131-bis c.p., in relazione alla stessa porzione di terreno ((OMISSIS)); 1.2. "nullita' della sentenza per vizio di motivazione (nella specie omessa motivazione e travisamento di prova) ed erronea applicazione della legge penale in relazione all'articolo 633 c.p. quanto alla mancanza dell'elemento oggettivo", per avere i giudici del merito omesso di "esaminare tutti gli elementi loro rappresentati, nonche' di fornire una corretta interpretazione degli stessi". In particolare, avrebbero omesso di effettuare un'adeguata valutazione delle dichiarazioni rese dalla persona offesa all'udienza del 05/11/2019 e travisato quelle della teste (OMISSIS) escussa ex novo nella stessa sede e dalla quale emergerebbe che l'originario ingresso nel fondo e' avvenuto in modo legittimo, cosi' da escludere la sussistenza dell'elemento soggettivo richiesto dall'articolo 633 c.p.; 1.3. "nullita' della sentenza per violazione di legge, nonche' per manifesta illogicita' della motivazione quanto alla omessa dichiarazione ed applicazione dell'istituto della prescrizione", poiche', configurando l'articolo 633 c.p. un reato istantaneo ad effetti permanenti, la condotta successiva all'invasione finalizzata all'occupazione non avrebbe alcuna rilevanza penale laddove il perdurare degli effetti non derivi da un'attivita' continua e costante del soggetto agente. Di talche', eventuali effetti permanenti, non dovrebbero incidere sulla prescrizione. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' inammissibile. 1. Il primo motivo di ricorso, con il quale si lamenta la mancata applicazione del principio "ne bis in idem" e' manifestamente infondato, avendo il Tribunale evidenziato le ragioni in forza delle quali va esclusa l'identita' tra il fatto in questione e quello oggetto della sentenza irrevocabile della Corte d'appello di Napoli (sent. 4218/2016), specificatamente allegata nel ricorso. Al riguardo, si e' affermato che "per quanto originati dalla stessa vicenda" si tratta di "fatti diversi" (pag. 4): ad eccezione dell'identita' di persone, trattandosi del medesimo soggetto attivo e della medesima persona offesa, si rinviene una sostanziale differenza tra gli elementi costituivi del reato in questione e quelli del reato oggetto della sentenza richiamata dall'imputato, il quale, peraltro, era stato inizialmente qualificato ai sensi dell'articolo 646 c.p. Si precisa, infatti, che la sentenza emessa dalla Corte d'appello di Napoli, in riforma della sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, riguarda l'appropriazione indebita di una porzione di terreno di proprieta' della persona offesa corrispondente alla recinzione e alla siepe di confine che divideva la (OMISSIS) dalla (OMISSIS) - poiche' l'imputato "operando con mezzi meccanici (...) sulla (OMISSIS) ed effettuando un riporto di terreno alla (OMISSIS) nella sua disponibilita'" si e' appropriato della predetta porzione di terra -, accertata il 13/07/2010 e riqualificata nel reato di cui all'articolo 633 c.p.. Pertanto, il giudice dell'impugnazione, con motivazione esaustiva e scevra da vizi di logicita', ha escluso il "ne bis in idem", non ravvisando i presupposti del cosiddetto "divieto del secondo giudizio", trattandosi di fatti storici diversi, avvenuti in tempi ed in luoghi differenti (nel caso in esame all'imputato e' contestato di avere occupato dal 2008 il terreno della persona offesa, sito in (OMISSIS) Loc. (OMISSIS) e contraddistinto con (OMISSIS), ovvero di avere esteso l'occupazione del cantiere edile alla porzione "est" di suddetto terreno, per la quale non aveva alcuna autorizzazione, non limitandola alla sezione "ovest" come da scrittura privata intercorsa tra le parti). Si e' fatta, quindi, corretta applicazione del principio di diritto enunciato dalla Corte di legittimita' secondo cui, "ai fini dell'applicazione del principio del "ne bis in idem" di cui all'articolo 649 c.p.p., per medesimo fatto deve intendersi identita' degli elementi costitutivi del reato, con riferimento alla condotta, all'evento e al nesso causale, nonche' alle circostanze di tempo e di luogo, considerati non solo nella loro dimensione storico-naturalistica ma anche in quella giuridica, potendo una medesima condotta violare contemporaneamente piu' disposizioni di legge" (ex multis, Sez. 1, n. 42630 del 27/04/2022, Piccolomo, Rv. 283687-01; Sez. 3, n. 21994 del 01/02/2018, Pigozzi, Rv. 273220-01; Sez. 5, n. 50496 del 19/06/2018, Bosica, Rv. 274448-01; Sez. 2, n. 52606 del 31/10/2018, Bianucci, Rv. 275518-02). Pertanto, alla luce delle considerazioni svolte, non si rivela appropriato il richiamo all'orientamento espresso dalla Corte di legittimita' con la sentenza n. 7911 del 20/01/2017, poiche', oltre che rappresentare un orientamento minoritario che puo' considerarsi ormai superato (v. Sez. 2, n. 40771 del 19/07/2018, Vetrano, Rv. 274458-01; Sez. 2, n. 4393 del 04/12/2018, Maniscalco, Rv. 274902-01; Sez. 2, n. 16363 del 13/02/2019, Bevilacqua, Rv. 276096; Sez. 2, n. 29657 del 27703/2019, Cerullo, Rv. 277019-01; Sez. 2, n. 46692 del 02/10/2019, Tomasello, Rv. 277929-01), concerne una situazione diversa da quella in esame, vale a dire l'ipotesi di un'occupazione abusiva realizzata in un momento successivo alla gia' intervenuta sentenza di condanna in relazione alla stessa area contestata. 2. Il secondo motivo di ricorso, con cui si lamenta il travisamento di prova e la mancanza dell'elemento oggettivo e soggettivo del reato di cui all'articolo 633 c.p. e' inammissibile, poiche' finalizzato a prefigurare una rivalutazione e/o alternativa rilettura delle fonti probatorie, estranee al sindacato di legittimita' a fronte di un percorso motivazionale, giuridicamente corretto e logicamente coerente, che ha condotto all'affermazione della penale responsabilita' dell'imputato per il reato di cui all'articolo 633 c.p.. A seguito della riforma dell'articolo 606, comma 1, lettera e) c.p.p., il vizio di omessa motivazione puo' essere dedotto solo quando il giudice di merito ha ingiustificatamente negato l'ingresso nella sua decisione ad un elemento di prova, risultante dagli atti processuali, dotato di efficacia scardinante dell'impianto motivazionale, non invece quando il giudice di merito ha dato, coerentemente ed esaustivamente, una valutazione degli elementi di prova diversa da quella prospettata dal ricorrente. Parimenti, l'illogicita' manifesta e la contraddittorieta' della motivazione sussistono quando gli altri atti del processo, specificamente indicati nel gravame, inficiano radicalmente, dal punto di vista logico, l'intero apparato motivazionale e non invece quando sono stati coerentemente e adeguatamente valutati nel provvedimento di merito, seppure in modo diverso rispetto alla tesi prospettata (Sez. 6, n. 35964 del 28/09/2006, Foschini, Rv.234622-01; Sez. 5, n. 8096 dell'11/01/2007, Lussanna, Rv. 235734-01; Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, Talamanca, Rv. 276432-01). Invero, lungi dall'aderire "in maniera stereotipata alla decisione del giudice di prime cure", il giudice del merito ha adeguatamente motivato sulle dichiarazioni, "precise e dettagliate", della persona offesa, le quali "risultano puntualmente riscontrate dalle altre risultanze istruttorie": in particolare, dalla "copiosa documentazione acquisita (anche fotografica)" dalla quale "si evince in modo chiaro che all'imputato era stata attribuita la facolta' di depositare materiali e utilizzare a tal fine soltanto la zona ovest della (OMISSIS), mentre quella est rimaneva di pertinenza delle proprietarie fino a diverso atto" (pagg. 4-5) e dalle dichiarazioni del teste (OMISSIS), il quale confermava gli accordi intervenuti tra la persona offesa e l'imputato riferendo che, a seguito di un sopralluogo avvenuto nell'agosto 2008, contrariamente a quanto stabilito, la zona est della (OMISSIS) risultava occupata con uomini e mezzi fino al 2010, con materiali e attrezzature fino al 2013 e con l'abbandono di una gru nel periodo successivo (pagg. 3-5 sent. di primo grado). Per quanto concerne la censura inerente al travisamento delle dichiarazioni della teste (OMISSIS), occorre ricordare che in forza della regola della "autosufficienza" del ricorso, operante anche in sede penale, il ricorrente che intenda dedurre in sede di legittimita' il travisamento di una prova testimoniale ha l'onere di suffragare la validita' del suo assunto mediante la completa trascrizione dell'integrale contenuto delle dichiarazioni rese dal testimone (Sez. 4, n. 37982 del 03/10/2008, Rv. 241023) mentre, nella specie, il verbale di udienza del 05/11/2019 allegato al ricorso contiene unicamente l'esame della p.o. (OMISSIS). Inoltre, qualora ci si trovi innanzi, come nel caso in esame, ad una cd. doppia conforme (doppia pronuncia di uguale segno) il vizio di travisamento della prova puo' essere rilevato in sede di legittimita' solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l'argomento probatorio asseritamente travisato e' stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado. Infatti, in considerazione del limite del devolutum (che impedisce che si recuperino, in sede di legittimita', elementi fattuali che comportino la rivisitazione dell'iter costruttivo del fatto, salvo il caso in cui il giudice d'appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice) il sindacato di legittimita', deve limitarsi alla mera constatazione dell'eventuale travisamento della prova, che consiste nell'utilizzazione di una prova inesistente o nell'utilizzazione di un risultato di prova incontrovertibilmente diverso, nella sua oggettivita', da quello effettivo": ex plurimis, Sez. 5, n. 18975 del 13/02/2017, Rv. 269906 - 01; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, Rv. 269217 - 01). Conseguentemente, alla luce della ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito, non risulta continente il richiamo alla giurisprudenza di legittimita' secondo cui l'invasione non ricorre laddove il soggetto, entrato legittimamente in possesso del bene, prosegua nell'occupazione contro la sopraggiunta volonta' dell'avente diritto, poiche' dalle sentenze emerge che la detenzione legittima della (OMISSIS) concerneva soltanto la parte ovest del fondo, come da scrittura privata tra le parti, mentre la parte est del suddetto terreno, per la quale non sussisteva alcuna autorizzazione, era stata illegittimamente occupata a partire dall'agosto 2008 fino almeno all'ottobre 2019. 3. L'ultimo motivo di ricorso, con il quale si lamenta l'intervenuta prescrizione del reato e' manifestamente infondato: in aderenza al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita' va ribadito che, avendo il delitto di invasione di terreni o edifici, di cui all'articolo 633 c.p., natura permanente quando l'occupazione si protrae nel tempo - determinando un'immanente limitazione della facolta' di godimento spettante al titolare del bene - il termine di prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui cessa l'occupazione, con l'allontanamento dell'occupante dall'edificio o dal terreno ovvero, in mancanza, con la pronunzia della sentenza di primo grado (Sez. 2, n. 46692. Del 02/10/2019, Tomasello, Rv. 277929-01; Sez. 2, n. 29657 del 27/03/2019, Cerullo, Rv. 277019-01; Sez. 2, n. 40771 del 19/07/2018, Vetrano, Tv. 274458-02; Sez. 3, n. 16859 del 16/03/2010, Greco, Rv. 247160). Pertanto, il dies a quo del termine di prescrizione del reato deve individuarsi il 30/10/2019, poiche' dalle dichiarazioni integrative rese il 05/11/2019 dalla persona offesa "emergeva in modo chiaro che l'occupazione dell'area interessata si era protratta almeno fino alla settimana prima della sua deposizione, sia con materiale da risulta che con una gru abbandonata sul posto" (v. pag. 3 della sentenza impugnata). Pertanto, alla data odierna il reato non risulta estinto per prescrizione. 4. All'inammissibilita' del ricorso consegue, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa per le ammende, cosi' determinata in ragione dei profili di inammissibilita' rilevati (Corte Cost., 13 giugno 2000 n. 186). 5. Consegue, altresi', la condanna dell'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile (OMISSIS), liquidate come in dispositivo tenendo conto dell'attivita' defensionale svolta, della notula presentata e della tariffa legale. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di assistenza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro tremilaottocento, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FERRANTI Donatella - Presidente Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere Dott. ESPOSITO Aldo - Consigliere Dott. BELLINI Ugo - Consigliere Dott. CAPPELLO Gabriella - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 18/11/2022 del TRIB. LIBERTA' di REGGIO CALABRIA; svolta la relazione dal Consigliere GABRIELLA CAPPELLO; udito l'Avvocato generale Pasquale FIMIANI, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l'avvocato (OMISSIS) del foro di ROMA in difesa di (OMISSIS), anche in sostituzione dell'avvocato (OMISSIS) del foro di PALMI, il quale ha insistito per l'accoglimento del ricorso, chiedendo la rimessione della questione inerente all'articolo 416 bis.1 c.p. alle SS.UU.. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza pronunciata a norma dell'articolo 309 codice di rito, il Tribunale di Reggio Calabria ha confermato l'ordinanza con la quale il GIP del Tribunale cittadino aveva applicato a (OMISSIS) la misura della custodia cautelare in carcere in quanto gravemente indiziato dei reati di cui ai capi 1), 2), 4), 5), 6) 7) e 8) della contestazione provvisoria (partecipazione a un'associazione per delinquere di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, commi 1, 2 3 e 4, reato aggravato ai sensi degli articoli 61 bis e 416 bis.1 c.p. e piu' reati fine ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, anch'essi aggravati ai sensi degli articoli 61 bis e 416 bis.1 c.p. (concorso in importazioni di ingenti quantitativi di cocaina)). 2. Secondo quanto emerge dall'ordinanza impugnata, il compendio probatorio e' in prevalenza costituito dal contenuto di comunicazioni scambiate giovandosi di un sistema criptato, ma anche da intercettazioni, dagli esiti del controllo dei tabulati telefonici, dalle geolocalizzazioni, da riprese video e da attivita' di riscontro della polizia giudiziaria. In premessa, il Tribunale ha rigettato la doglianza difensiva, riproposta in ricorso, inerente alla utilizzabilita' delle citate comunicazioni (che si sostanziano in una messaggistica scambiata su una piattaforma chiamata (OMISSIS)) trasmesse dall'autorita' giudiziaria francese. Il sistema, com'e' ormai emerso in altri procedimenti, consente lo scambio di comunicazioni mediante uso di cripto-telefonini, modificati in modo da garantirne la inviolabilita' (consentendo, cioe', di disattivarne la geolocalizzazione, i servizi Google, il Bluetooth, la fotocamera e quant'altro possa generare rischi di captazione). Il Tribunale ha descritto il sistema precisando che il materiale probatorio rappresentato da queste chat era stato acquisito in forza di specifici O.E.I. emessi dal pubblico ministero procedente. Ha, poi, richiamato le origini dell'indagine che aveva consentito a law enforcement agencies (squadre composte dalle polizie francese, belga e olandese) di violare la piattaforma criptata, il cui utilizzo si arrestava infatti nel marzo 2021, allorquando si era diffusa la notizia dell'avvenuta violazione. Gli esiti dell'indagine presupposta (quella, cioe', condotta dalle squadre investigative sopra citate sulla piattaforma utilizzata dai dispositivi controllati) avevano poi permesso di acquisire e analizzare milioni di messaggi scambiati ed e' in questo contesto che si inserisce l'indagine condotta dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria. La polizia giudiziaria operante, infatti, analizzando il traffico telefonico storico delle celle abitualmente abbinate alle utenze "ufficiali" in uso agli indagati, aveva individuato alcuni PIN collegati alla citata piattaforma criptata (avendo gli inquirenti appurato che, proprio in concomitanza della divulgazione della notizia che quella applicazione non era piu' sicura, l'attivita' dei dispositivi associati a quella piattaforma era stata sospesa). Di qui l'iniziativa investigativa del pubblico ministero procedente di inviare a stretto gin appositi O.E.I. all'AG francese, a partire dal 13 aprile 2021, aventi uno specifico oggetto, ben descritto nell'ordinanza impugnata: la trasmissione dei messaggi gia' decifrati riferibili alle comunicazioni che avevano riguardato i PIN d'interesse, conservate in un server che, a sua volta, la stessa autorita' richiesta (Tribunal judicial de Paris) aveva acquisito ai sensi dell'articolo 706-102-1 del codice di rito penale francese, cioe' a seguito di richiesta di accesso a dati conservati in un sistema informatico (vedi note alle pagg. 7-8 della ordinanza impugnata). Pertanto, secondo il Tribunale, i singoli O.E.I. non avevano avuto ad oggetto l'acquisizione dell'esito di intercettazioni, disposte su ordine di quell'AG francese specificamente richiesta (cioe' il citato Tribunale di Parigi), di un flusso di comunicazioni in atto al momento della acquisizione autorizzata dal Tribunale di Parigi, bensi' l'acquisizione di dati informatici gia' decriptati, conservati in un server e riferibili a scambi di comunicazioni (messaggi, video, foto) gia' avvenute. Il Tribunale del riesame, poi, ha ripercorso le fasi dell'acquisizione del materiale informatico, rinviando al contenuto degli ordini emessi, richiamando, ai fini della utilizzabilita' interna, il protocollo descritto nell'articolo 234 bis c.p.p., e - stante la natura di dati non pubblici - ha ritenuto integrato il necessario consenso del titolare di essi, identificandolo nel soggetto che ne poteva disporre in maniera autonoma, vale a dire l'autorita' giudiziaria francese trasmittente che li deteneva legittimamente. Ribadito, poi, il principio per il quale le regole cli acquisizione probatoria sono quelle del Paese membro dell'Unione Europea richiesto e non quelle del Paese richiedente, ha richiamato la giurisprudenza formatasi sulle attivita' d'indagine intraprese dallo Stato estero, rispetto alle quali ha ritenuto il limite invalicabile della non violazione di norme inderogabili e dei principi fondamentali del nostro ordinamento, precisando che essi non coincidono, tuttavia, con il complesso delle regole dettate dal nostro codice di rito, spettando a chi eccepisce una incompatibilita' l'onere di dimostrarla, essendo precluso all'autorita' richiedente un vaglio sulla legittimita' delle modalita' esecutive dell'atto, ove non sia indicata una specifica modalita' nella richiesta, a maggior ragione allorquando l'atto d'indagine sia stato gia' compiuto nel corso di autonome iniziative dell'autorita' straniera. Inoltre, per quel giudice, dalla mancata conoscenza di dati relativi alla decriptazione della messaggistica, non potrebbe ipso facto inferirsi l'alterazione del dato originale, poiche' il relativo algoritmo non muta in alcun modo il contenuto del dato, evenienza che, nella specie, era stata peraltro prospettata in termini astratti e, quindi, ipotetici. Inconferente, poi, e' stato ritenuto il rinvio della difesa a un precedente di questa stessa sezione (sez. 4, n. 32915/2022, Lori): secondo il ragionamento rinvenibile nell'ordinanza impugnata, infatti, in quel diverso caso (pur inerente a messaggistica scambiata sulla piattaforma (OMISSIS)), era stato censurato il provvedimento del PM cli rigetto dell'ostensione alla difesa della documentazione riferibile alle comunicazioni criptate, consegnate tramite Europol e non direttamente dall'autorita' giudiziaria dello Stato estero, come nel caso di specie, nel quale il materiale informatico era stato trasmesso dal Tribunale di Parigi. Il Tribunale ha rilevato che in atti erano versati tutti i documenti inviati dall'autorita' francese in risposta ai singoli O.E.I. e depositati i provvedimenti genetici con i quali l'AG francese aveva disposto l'acquisizione della messaggistica, emergendo da essi il richiamo alle norme procedurali relative alla acquisizione di dati informatici (gia' presenti), riferibili alla piattaforma (OMISSIS), esaminate dal Tribunale di Reggio Calabria e riportate nella nota sopra richiamata. Nella ordinanza si e', infine, ribadito che, nel contesto della cooperazione penale tra Paesi membri UE, vige la presunzione di legittimita' in ordine all'attivita' di acquisizione dei dati trasmessi, precisandosi al contempo che gli stessi sono sempre sottoposti alle regole processuali e sostanziali proprie del Paese richiedente. In merito alla identificazione degli indagati, quali users dei singoli PIN associati ai dispositivi, il Tribunale ha dato atto di quanto esposto nella informativa circa il metodo utilizzato: si era accertato, infatti, che alcuni indagati erano utilizzatori di cripto-telefonini per scambio di messaggistica sulla piattaforma (OMISSIS), ove ogni user e' identificato con un PIN, al quale e' a sua volta associato un nickname coincidente con il nomignolo, con il quale gli indagati venivano chiamati durante le conversazioni intercettate. Cosi', muovendo dall'analisi dei riferimenti operati dagli stessi utilizzatori dei dispositivi (soprannomi/nomignoli, nome e cognome, particolari di vita o accadimenti attribuiti a determinati soggetti), era stato possibile associare PIN e nickname a ciascun indagato, anche grazie ai riscontri di polizia operati sull'oggetto dei riferimenti di volta in volta fatti dai soggetti interessati. Quanto a (OMISSIS), egli e' stato identificato come user dei PIN 7NS74S e PUCNL9, con nickname "Berlino". L'identificazione era avvenuta incrociando plurimi dati: in una intercettazione telematica del 12/11/2020, (OMISSIS) aveva fornito numerose notizie a tal fine utili, dicendo al (OMISSIS) che "Berlino" era un tale " (OMISSIS)" che viveva a Goia Tauro e, in risposta, il (OMISSIS) ne indicava il cognome " (OMISSIS)", facendo riferimento a un episodio - l'incendio di un peschereccio - che era stato riscontrato al pari dei dati anagrafici. L'abbinamento del nickname cosi' attribuito all'indagato al PIN (OMISSIS) era avvenuto grazie al servizio di geolocalizzazione delle utenze certamente riferibili al predetto, avendo tale accertamento consentito di seguire l'utilizzatore in relazione agli appuntamenti e alle distanze percorse, assolutamente compatibili con i dati ricavati dal contenuto delle chat scambiate con quel PIN. Quanto, invece, all'associazione con il PIN (OMISSIS), l'utilizzatore era lo stesso del PIN di cui si e' gia' detto, perche' vi era continuita' nell'uso dello stesso nickname "(OMISSIS)", esclusa ogni possibilita' di omonimia, stanti le stesse affermazioni dell'utilizzatore (Sono (OMISSIS) nuovo contatto), che aveva inviato il nuovo PIN usando il precedente. Gli elementi identificativi raccolti sull'utilizzatore di tale secondo PIN sono peraltro rappresentati da riferimenti di analogo tenore di quelli che avevano consentito di associare all'indagato anche il primo PIN (natante incendiato al quale si era riferito (OMISSIS) per far comprendere in modo criptico all'interlocutore (OMISSIS) il luogo dove il (OMISSIS) effettivamente si trovava). Cio' premesso, il Tribunale ha ritenuto sussistente un grave quadro indiziario della intraneita' del (OMISSIS) al sodalizio di cui al capo 1) della incolpazione provvisoria, ma anche in ordine ai singoli reati-fine, rilevando, quanto alla prima, che gli elementi acquisiti avevano consentito di accertare, anche mediante il monitoraggio delle singole importazioni, il modus operandi del gruppo. Pertanto, muovendo proprio dai reati fine, il Tribunale ha effettuato una ricostruzione di ciascun episodio, sulla scorta degli elementi acquisiti, esposti nell'ordinanza, anche attraverso la trascrizione di alcune comunicazioni, ritenute di pregnante significato. In particolare, ha descritto le singole operazioni di c.d. esfiltrazione dal porto di Gioia Tauro delle partite di cocaina provenienti dal Sudamerica, per le quali si rinvia alle pagg. da 13 a 14 dell'ordinanza impugnata, dando conto di un modus operandi ripetitivo e collaudato, in forza del quale l'organizzazione importatrice si rivolgeva a uno dei gruppi criminali (due dei quali attivi in Gioia Tauro e Palmi) per la esfiltrazione della droga da quel porto; a loro volta, i gruppi criminali incaricati definivano i dettagli delle operazioni, assegnando il "lavoro" a vere e proprie "squadre" di operai portuali infedeli, che provvedevano a interferire sugli ordinari turni lavorativi, onde garantire la loro presenza all'arrivo della droga; a costoro spettava di trasferire la droga dal container arrivato a quello di uscita che veniva, poi, prelevato tramite impiego di altre compagini criminali che avevano lo specifico compito di ritirare il carico mediante mezzi pesanti, sfruttando le attivita' di aziende compiacenti (nell'ordinanza viene efficacemente descritto il movimento dei containers che venivano affiancati e coperti dall'alto per scongiurare la possibilita' di controlli, cosicche' il trasbordo avveniva in modo indisturbato e coperto). Tale complessa organizzazione era semplificata e, in un certo senso, improvvisata, per carichi piccoli, richiedendo invece particolare programmazione per quelli grossi. In tale schema, (OMISSIS), in cooperazione con (OMISSIS) e (OMISSIS), era uno dei soggetti preposti all'uscita della droga dal porto di Gioia Tauro e alla consegna della stessa nei luoghi indicati dai vertici associativi, previa individuazione del container da impiegare per occultare i carichi esfiltrati, oltre a provvedere alla materiale contraffazione del sigillo da apporre al container utilizzato per l'uscita. Quanti agli elementi gravemente indizianti il concorso dell'indagato nei singoli reati scopo, gli stessi sono stati esposti alle pagg. da 15 a 20 dell'ordinanza impugnata e ad esse si rinvia per comodita' espositiva. In quelle pagine, peraltro, sono stati riportati stralci di conversazioni ritenute piu' pregnanti ai fini dimostrativi della condotta di reato di volta in volta considerata, in relazione alle diverse operazioni di esfiltrazione poste in essere e alle cessioni che l'incolpazione riconduce all'indagato (trattasi, specificamente, del recupero di due delle originarie quattro partite di cocaina, di cui al capo 2), il giorno 22/11/2020, in cui il ruolo dell'indagato e' stato quello di curare il trasporto fuori dall'area portuale; della cessione all'indagato di Kg. 20 di cocaina, da parte dei fratelli SCIGLITANO, l'acenti parte dei carichi esfiltrati, capo 4); della cessione di parte di tale quantitativo a (OMISSIS), capo 5), e a due soggetti non identificati in due separate occasioni, capi 6) e 7); nonche' del concorso nell'operazione descritta nel capo 8), unitamente ai co-indagati (OMISSIS) e (OMISSIS)). Il Tribunale, in conclusione, ha ritenuto che gli elementi disponibili consentissero di affermare l'esistenza di una organizzazione dedita al narcotraffico, le condotte superando il mero concorso nel reato, per convergere in un agire finalizzato all'interesse comune del gruppo, in virtu' di un intreccio di rapporti, contatti e incontri tra sodali, incaricati di svolgere ciascuno un proprio ruolo, avendo costoro agito in un arco temporale apprezzabile, in un contesto associativo che disponeva di provviste economiche consistenti e mezzi impiegati per far giungere in Italia ingenti carichi di droga, attraverso un vincolo stabile e duraturo e la programmazione di un numero indeterminato di importazioni. L'accordo iniziale era indicativo di una particolare pervicacia criminale, una capacita' organizzativa supportata da una trama di contatti e cautele denotanti estrema professionalita' e non comune capacita' di movimentare poderosi carichi di cocaina, grazie all'appoggio di "squadre" di portuali infedeli e di soggetti operanti all'interno degli uffici dell'amministrazione doganale o portuale. In tale contesto, e' stato possibile distinguere i singoli livelli dell'organizzazione criminosa: a livello apicale vi erano coloro che coordinavano le operazioni, rapportandosi con i narcotrafficanti esteri e i committenti, individuando i containers e coordinando infine le attivita' di dettaglio; a livello sottostante, un piu' nutrito gruppo di partecipi, ognuno con un proprio ruolo (accertare i tempi degli sbarchi, individuare i containers di uscita, provvedere alla contraffazione dei sigilli e alle esfiltrazioni, fare da tramite tra vertici e operai infedeli). Il gruppo era poi dotato di mezzi (cripto telefonini e radiotrasmittenti, utilizzati dai sodali per comunicare tra di loro). Quanto all'indagato, il Tribunale ha ritenuto che le sue condotte assumessero indubbia valenza indicativa della intraneita' al sodalizio, egli facendo parte della collaudata "squadra", avendo manifestato il suo interesse per la buona riuscita delle importazioni dal Sud America, essendosi prodigato per essa nella piena consapevolezza di interagire con altri associati, nel contesto di una strutturata organizzazione criminale. Ha, poi, ritenuto la gravita' indiziaria anche in ordine alle due aggravanti, quella della transnazionalita' e quella mafiosa, reputando sussistente la prima, alla luce delle modalita' dell'approvvigionamento della droga, cioe' tramite autonomi gruppi attivi nel settore, come ha ritenuto di ricavare dai quantitativi trasportati e dall'organizzazione del trasporto, il carico contenendo anche il sigillo clonato da sostituire una volta scaricata la droga. Quanto all'altra aggravante, ha rilevato il difetto di interesse, posto che la sua contestazione non avrebbe riverberato alcun effetto sul regime cautelare, tenuto conto del titolo dei reati contestati. Infine, quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale le ha ravvisate in quella di cui all'articolo 274 c.p.p., lettera a), avuto riguardo alla necessita' di un approfondimento dei fatti e di altri eventuali episodi e alla necessita' di individuare correi e altri partecipi, esigenze che potrebbero essere frustrate dall'occultamento di tracce dell'attivita' illecita e dalla concertazione di linee difensive, tenuto anche conto della messa in atto di accorgimenti in tal senso anche durante lo svolgimento dell'attivita' criminosa (il rinvio e' all'utilizzo dei cripto-telefonini e delle radiotrasmittenti); ma anche nel pericolo attuale e concreto di reiterazione criminosa, rinviando, da un lato, alla gravita' delle modalita' della condotta, dimostrative del fatto che il (OMISSIS), ove non ristretto, potrebbe porre in essere reati della stessa specie; dall'altro, alla sua personalita', egli essendosi reso disponibile, attraverso un sistema collaudato e non occasionale, ad importare quantitativi non esigui di cocaina avvalendosi di canali illeciti esteri. Ha, inoltre, valorizzato la pervicacia dell'indagato, non arrestatosi neppure a fronte dei controlli delle forze dell'ordine, ritenendo la misura piu' afflittiva l'unica in grado di scongiurare la reiterazione di analoghe condotte, risolutivamente rinviando alla doppia presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della sola misura inframuraria, in difetto di elementi di segno contrario. 3. L'indagato ha presentato tre distinti atti di ricorso, due dei quali a firma dell'avv. (OMISSIS), l'altro a firma dell'avv. (OMISSIS). 3.1. I ricorsi a firma dell'avv. (OMISSIS). 3.1.1. Con un primo ricorso, questo difensore ha formulato quattro motivi. Con il primo, ha dedotto violazione di legge penale e processuale penale con riferimento alla condotta di partecipazione alla associazione criminosa di cui al capo 1) dell'incolpazione provvisoria. L'indagato avrebbe avuto rapporti con il solo (OMISSIS) e il Tribunale non avrebbe preso in considerazione le osservazioni difensive formulate con una memoria, attribuendo un ruolo associativo non confermato dagli elementi indiziari raccolti, egli non essendo titolare e neppure dipendente di una ditta di trasporti, ne' avendo mai contraffatto sigilli sui containers. Con il secondo, ha dedotto vizio della motivazione, nella specie di manifesta illogicita' per omessa valutazione della memoria difensiva: la difesa aveva evidenziato che, secondo l'ipotesi accusatoria, l'indagato, oltre a svolgere un ruolo associativo nelle operazioni di esfiltrazione, sarebbe stato anche interessato ad approvvigionarsi di droga da cedere ai suoi clienti, ma in tal modo non sarebbe possibile comprendere quale sia l'effettivo contributo del predetto al sodalizio, emergendo una sola occasione (quella di cui al capo 2), durante la quale egli si sarebbe limitato a chiedere informazioni sul carico, interessamento peraltro finalizzato ad accaparrarsene una parte, senza neppure conoscere l'identita' del committente. Egli, peraltro, era comparso solo dopo la conclusione delle operazioni di esfiltrazione, non comprendendosi neppure a quale dei due gruppi, contestati nel medesimo capo d'incolpazione, apparterrebbe. Inoltre, il suo PIN non era inserito nelle chat di gruppo, la sua presenza essendo limitata all'acquisto di parte del carico di droga e neppure consta una spiegazione, sia pur in termini logico-giuridici, della sua consapevolezza di agire in forza di un vincolo associativo, egli dovendo, al contrario, di volta in volta, avviare trattative per acquistare parte della droga, cio' che, secondo la difesa, dimostrerebbe l'assenza di un accordo stabile, la sua condotta non avendo superato il livello del rapporto sinallagmatico-contrattuale. Con un terzo motivo, ha dedotto violazione della legge penale e processuale penale con riferimento alla valutazione della gravita' indiziaria per il capo 2), rilevando che in maniera contraddittoria i giudici territoriali avrebbero ritenuto l'indagato interessato all'affare, ma non utilmente coinvolto in esso, neppure a livello morale potendosi configurare un contributo, atteso che quello attribuito all'indagato non avrebbe alcuna efficacia etiologia rispetto alle operazioni di fuoriuscita del carico, la data di contestazione del 22 novembre 2020 rientrando pienamente nell'arco temporale descritto nel capo 4). Infine, con un quarto motivo, ha dedotto violazione di legge quanto al capo 8), anche per omessa valutazione della memoria difensiva, essendo emerso che l'indagato voleva carpire informazioni per un successivo acquisto. 3.1.2. Con l'altro ricorso, lo stesso difensore ha formulato un motivo unico, con il quale ha dedotto violazione di legge penale e processuale penale con riferimento all'aggravante mafiosa, rilevando che la stessa ordinanza genetica non recherebbe una chiara enunciazione del percorso logico, in base al quale l'indagato avrebbe favorito plurime cosche storiche di âEuroËœndrangheta, essendo emerse solo notizie di conoscenze personali e occasionali di singoli soggetti, egli essendo risultato addirittura inviso a COPELLI, referente apicale di una delle cosche, tenuto anche conto della esiguita' dell'arco temporale nel quale i fatti s'inseriscono. 3.2. Ricorso a firma dell'avv. (OMISSIS). Questo difensore ha formulato tre motivi. Con il primo, ha dedotto inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilita' con riferimento alle chat acquisite attraverso gli ordini Europei di indagine, rilevando che trattasi, nella specie, di vere e proprie intercettazioni, apprese dall'AG richiesta nel momento in cui le chat venivano create nel cripto-telefonino del mittente e trasmesse a quello del destinatario, momento nel quale il messaggio viene registrato. Richiama le caratteristiche di quella piattaforma, per rilevare che quel sistema non contempla la memorizzazione della messaggistica, unico sistema per captare i messaggi essendo quello di operare nel momento del loro transito. Assume che a seguito dell'OEI, l'Autorita' giudiziaria richiesta avrebbe eseguito la "mission", effettuando ricerche e procedendo alla estrazione delle conversazioni riguardanti gli IMEI oggetto del singolo O.E.I. associati ai due PIN d'interesse con riferimento all'indagato. Ma i dati di conoscenza sarebbero parziali, limitati alla attivita' di estrazione eseguita dalla polizia francese, il che non consentirebbe di conoscere la durata dell'attivita' di captazione, i termini iniziali e finali, le modalita', la polizia delegata, la presenza o meno di un'autorizzazione da parte dell'Autorita' giudiziaria francese, il che renderebbe il dato intercettativo inutilizzabile, il vizio genetico non potendo essere superato dal fatto che la prova proviene da uno Stato estero. Con un secondo motivo, ha dedotto violazione di legge con riferimento al rinvio al protocollo di cui all'articolo 234 bis c.p.p.: il difensore lamenta la condizione di ignoranza sull'attivita' posta in essere dalle autorita' francesi, essendo rimasta sconosciuta quella della polizia francese intesa ad abbinare i numeri IMEI identificativi dei cripto-telefonini ai PIN d'interesse, trattandosi di messaggi criptati, rispetto ai quali nulla e' dato conoscere sull'algoritmo utilizzato per la decrittazione. Il deducente, poi, rinvia a un precedente di questa di legittimita' del 2022 per inferirne la necessita', ai fini del rispetto delle prerogative difensive, della disponibilita' dei dati inerenti alle modalita' di acquisizione dei dati di cui si discute. Con il terzo motivo, infine, la difesa ha dedotto vizio motivazionale quanto alla ritenuta gravita' indiziaria di una partecipazione dell'indagato al sodalizio. Le risultanze, secondo il deducente, non darebbero conto di un ruolo associativo dell'indagato, gli stessi elementi valorizzati dal Tribunale dimostrando il dedotto deficit probatorio, non avendo quei giudici attribuito un ruolo specifico all'indagato, delineato in maniera complessa, facendo riferimento alle operazioni di esfiltrazione, al manifestato interesse a comprare una parte del carico esfiltrato, alla consegna della droga una volta portata fuori dall'area portuale, fatti pero' non sorretti da idonea gravita' indiziaria. 4. L'avv. (OMISSIS) ha depositato motivi aggiunti, con i quali ha sviluppato i motivi 1) e 2) del ricorso, con riferimento alla violazione del principio del contraddittorio, anche alla luce delle decisioni gia' assunte da questa Corte di legittimita' in analoghi procedimenti che si pongono in contrasto con il precedente di cui sopra (sez. 4 Lori del 2022). Osserva, inoltre che, nella specie, il mancato accesso ai dati relativi alla acquisizione delle chat avrebbe ripercussioni sul controllo della linea di custodia dei dati stessi, la tesi recepita dai pronunciamenti che si discostano dal precedente suindicato facendo riferimento a un dato probabile e non certo, rinvenibile in un elaborato depositato in altro procedimento. Sotto altro profilo, si contesta l'assunto della inattaccabilita' dell'algoritmo impiegato, siccome priva di supporto scientifico. Ancora, si rileva l'impossibilita' di una verifica in concreto della genuinita' ed integrita' dei dati e delle modalita' di acquisizione degli stessi - coperte, come consentito dalla disciplina nazionale dello Stato che ha materialmente eseguito l'attivita' di captazione (la Francia), da segreto di Stato. In conclusione, chiede a questa Corte di valutare la rimessione della questione alle Sezioni Unite, stante il rilevato contrasto, osservando che molte Corti Europee hanno gia' sollevato questione pregiudiziale davanti alla Corte del Lussemburgo in relazione alla stessa vicenda e con riferimento agli articoli 6 e 31 della Direttiva UE 2014/41, sollecitando pertanto questa Corte a operare analogamente. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso va rigettato. 2. Il primo tema da esaminare riguarda la questione inerente alla utilizzabilita' delle chat scambiate su piattaforma (OMISSIS), oggetto del primo motivo a firma dell'avv. (OMISSIS), sviluppato anche con i motivi aggiunti. 3. Il motivo e' infondato. La questione e' stata prospettata, non gia' in relazione alla violazione del disposto di cui all'articolo 309 c.p.p., comma 5, ("Il presidente cura che sia dato immediato avviso all'autorita' giudiziaria procedente la quale, entro il giorno successivo, e comunque non oltre il quinto giorno, trasmette al tribunale gli atti presentati a norma dell'articolo 291, comma 1, nonche' tutti gli elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indagini"), essendo incontestato che la misura e' stata emessa alla luce del compendio riversato in sede di riesame. Pertanto, non e' in discussione, in questa sede, la sussistenza di una violazione idonea a far scattare la sanzione processuale prevista dal comma 10 della norma richiamata. 3.1. Cio' posto, venendo al punto cruciale della doglianza difensiva" occorre effettuare una premessa di tipo generale e di inquadramento normativo. Intanto, il PM ha agito nell'ambito dei poteri previsti nel Capo I del Titolo III (Procedura attiva) del Decreto Legislativo 21 giugno 2017, n. 108, contenente le norme di attuazione della direttiva 2014/41/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 3 aprile 2014, relativa all'ordine Europeo d'indagine penale. Il pubblico ministero non ha richiesto all'autorita' giudiziaria dell'altro Stato membro UE di procedere a un atto d'indagine, ma ha agito ai sensi dell'articolo 45 del decreto citato (Richiesta di documentazione inerente alle telecomunicazioni), ai limitati fini di chiedere la trasmissione di documentazione acquisita, non gia' d'iniziativa dell'autorita' richiedente, ma in possesso di quella richiesta con l'O.E.I. che l'aveva ottenuta in forza di una propria autonoma iniziativa, nel corso di un diverso procedimento pendente in quel Paese. Occorre, inoltre, chiarire la natura dell'ordine di cui si discute. Si tratta di uno strumento inteso a implementare le esistenti forme di cooperazione penale nell'ambito dell'Unione, in coerenza con le linee poste dalla direttiva recepita: esso rientra nella cooperazione giudiziaria in materia penale di cui all'articolo 82, paragrafo 1, TFUE, che si fonda sul principio di riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie. Tale principio, che costituisce la "pietra angolare" della cooperazione giudiziaria in materia penale, e' a sua volta fondato sulla fiducia reciproca nonche' sulla presunzione relativa che gli altri Stati membri rispettino il diritto dell'Unione e, in particolare, i diritti fondamentali (CGUE, 11 novembre 2021, Gavanozov, in C-852/19, in cui al § 54, la Corte del Lussemburgo ha operato un richiamo alla sentenza 8 dicembre 2020, Staatsanwaltschaft Wien (Ordini di bonifico falsificati), C-584/19, punto 40). Nell'ambito di un procedimento riguardante un ordine Europeo di indagine, la garanzia di tali diritti spetta cosi' in primo luogo allo Stato membro di emissione, che si deve presumere rispetti il diritto dell'Unione e, in particolare, i diritti fondamentali riconosciuti da quest'ultimo (v., per analogia, sentenza del 23 gennaio 2018, Piotrowski, C-367/16, punto 50, richiamata al § 55). La direttiva 2014/41, inoltre, si basa sul principio dell'esecuzione dell'ordine Europeo di indagine. Il suo articolo 11, paragrafo 1, lettera f), consente alle autorita' di esecuzione di derogare a tale principio, in via eccezionale, a seguito di una valutazione caso per caso, qualora sussistano seri motivi per ritenere che l'esecuzione dell'ordine Europeo di indagine sarebbe incompatibile con i diritti fondamentali garantiti, in particolare, dalla Carta (CGUE C-852/19 cit. § 59). 3.2. Possiamo affermare, dunque, che la previsione di tale strumento si correla all'esigenza di assicurare un meccanismo efficace, di carattere generale, rispettoso del principio di proporzione (posto dall'undicesimo Considerando della direttiva), e sua volta collegato a quello del reciproco riconoscimento e della fiducia nel rispetto del diritto dell'Unione (di cui al sesto Considerando) da parte degli Stati membri e che, comunque, deve assicurare il rispetto dei diritti fondamentali (dodicesimo Considerando). In tale cornice, si inseriscono l'articolo 2 della direttiva, secondo cui "Gli Stati membri eseguono un OEI in base al principio del riconoscimento reciproco e conformemente alla presente direttiva" e l'articolo 9, secondo cui "L'autorita' di esecuzione riconosce un OEI, trasmesso conformemente alle disposizioni della presente direttiva, senza imporre ulteriori formalita' e ne assicura l'esecuzione nello stesso modo e secondo le stesse modalita' con cui procederebbe se l'atto d'indagine in questione fosse stato disposto da un'autorita' dello Stato di esecuzione, a meno che non decida di addurre uno dei motivi di non riconoscimento o di non esecuzione ovvero uno dei motivi di rinvio previsti dalla presente direttiva". Pertanto, l'ordine Europeo di indagine deve aver ad oggetto una prova acquisibile nello Stato di emissione e deve essere eseguito in conformita' di quanto previsto nello Stato di esecuzione per il compimento di un analogo atto di acquisizione probatoria, potendosi peraltro presumere il rispetto di tale disciplina e dei diritti fondamentali, salvo concreta verifica di segno contrario (sez. 6, n. 48330 del 25/10/2022, Borrelli, Rv. 284027, in motivazione, in fattispecie analoga a quella all'esame). Tale ricostruzione dello strumento di cooperazione penale all'esame e' del tutto coerente, peraltro, con i principi affermati dalla corte del Lussemburgo in ordine alla Direttiva 41/2014/UE: essa, infatti, ha lo scopo, come risulta dai considerando da 5 a 8, di sostituire il quadro frammentario e complesso esistente in materia di acquisizione di prove nelle cause penali aventi dimensione transfrontaliera e tende, mediante l'istituzione di un sistema semplificato e piu' efficace basato su un unico strumento denominato "ordine Europeo di indagine", a facilitare e ad accelerare la cooperazione giudiziaria al fine di contribuire a realizzare l'obiettivo assegnato all'Unione di diventare uno spazio di liberta', sicurezza e giustizia, fondandosi sull'elevato livello di fiducia che deve esistere tra gli Stati membri. A tal riguardo, emerge in particolare dai considerando 2, 6 e 19 di detta direttiva che l'ordine Europeo di indagine e' uno strumento che rientra nella cooperazione giudiziaria in materia penale di cui all'articolo 82, paragrafo 1, TFUE, il quale e' fondato sul principio del riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie. Tale principio, che costituisce la "pietra angolare" della cooperazione giudiziaria in materia penale, e' esso stesso fondato sulla fiducia reciproca nonche' sulla presunzione relativa che gli altri Stati membri rispettino il diritto dell'Unione e, in particolare, i diritti fondamentali. In tale contesto, l'articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2014/41 definisce l'ordine Europeo di indagine come una decisione giudiziaria emessa o convalidata da un'autorita' giudiziaria di uno Stato membro al fine di far eseguire uno o piu' atti di indagine specifici in un altro Stato membro al fine di acquisire prove, conformemente a tale direttiva, comprese quelle gia' in possesso delle autorita' competenti dello Stato membro di cui trattasi ((GC) C-584/19 - Staatsanwaftschaft Wien, §§ 39-41). 3.3. Nel caso all'esame (come, del resto, in quello esaminato dal giudice di legittimita' nel precedente da ultimo richiamato), l'ordine Europeo di indagine deve solo dar conto dello specifico oggetto della prova, essendo rimessa allo Stato di esecuzione, con le modalita' previste in quell'ordinamento, la concreta acquisizione della prova da trasferire. E, nella specie, la richiesta ha riguardato la "Acquisizione di informazioni o di prove gia' in possesso dell'autorita' di esecuzione", con riferimento alle chat, ai files, agli audio e ai video inerenti ai PIN degli users del sistema (OMISSIS) d'interesse per la presente indagine. Tali prove e' indiscusso siano state gia' acquisite dal Tribunal judiciaire de Paris autonomamente e non su richiesta dell'ufficio di Procura procedente nel nostro Paese. E' altrettanto certo, poi, per quanto efficacemente evidenziato nel provvedimento impugnato, che l'autorita' richiesta non ha ottenuto quei dati in forza di un'autorizzazione a procedere a intercettazioni di flussi in corso (il punto e' analiticamente e ampiamente spiegato nell'ordinanza censurata, nella quale si e' dato anche atto delle regole processuali interne, attivate dal Tribunale francese, nonche' spiegato il riferimento al periodo di "4 mesi" indicato nei provvedimenti giudiziari francesi, indicativo non gia' di un'acquisizione di dato dinamico, ma della validita' dell'autorizzazione con riferimento ai singoli accessi per l'acquisizione dei dati conservati nel server). Si e' trattato, dunque, di acquisire una prova statica, gia' presente, non soggetta ad una procedura dinamica di acquisizione. L'Autorita' francese, dunque, in questo caso come in quello nella diversa sede esaminato, si e' resa garante del rispetto delle procedure dello Stato di esecuzione (la Francia), avendo il Tribunale del riesame dato atto che dalla documentazione trasmessa era dato verificare la modalita' di acquisizione e conservazione dei dati da parte dell'Autorita' giudiziaria francese. 3.4. A fronte di tale premessa, non puo' non rilevarsi come la censura difensiva si fondi su un errato presupposto. La difesa ritiene esistente un potere di vaglio della legittimita' del procedimento di acquisizione della documentazione di che trattasi in capo all'autorita' decidente italiana, ma l'argomento e' smentito dal contesto normativo di riferimento e dalla natura dello strumento investigativo utilizzato. La critica difensiva sconta l'omesso, effettivo confronto con quanto opportunamente precisato dal Tribunale che, in piu' passaggi della motivazione censurata, ha sottolineato il distinguo rispetto al precedente di questa sezione richiamato dalla difesa (sez. 4, n. 32915/2022, Lori), nel quale era stata scrutinata una questione processuale parzialmente diversa (avente sempre a oggetto la messaggistica acquisita attraverso l'accesso ai servers di (OMISSIS)): in quella sede, infatti, la difesa aveva formulato espressa istanza di accesso al pubblico ministero per avere la disponibilita', tra l'altro, anche della "documentazione" (comprensiva dei tiles) consegnata da un organo di indagine, quale EUROPOL, a seguito dell'accesso ai server di (OMISSIS), con indicazione delle modalita' di acquisizione da parte di quella polizia. Situazione, dunque, non sovrapponibile a quella in esame, nella quale la Procura di Reggio Calabria ha chiesto la trasmissione di documenti che erano gia' stati autonomamente acquisiti dal giudice francese. Pertanto, deve ritenersi corretto l'incedere argomentativo dei giudici del riesame allorquando richiamano il principio generale di presunzione di legittimita' delle prove acquisite dall'autorita' giudiziaria di un altro Stato membro dell'Unione Europea: si e' gia' affermato, infatti, che l'utilizzazione degli atti trasmessi mediante rogatoria attiva, non e' condizionata ad un accertamento da parte del giudice italiano concernente la regolarita' delle modalita' di acquisizione esperite dall'autorita' straniera, in quanto vige la presunzione di legittimita' dell'attivita' svolta e spetta al giudice straniero la verifica della correttezza della procedura e l'eventuale risoluzione di ogni questione relativa alle irregolarita' lamentate nella fase delle indagini preliminari (in tal senso, sez. 3, n. 1396 del 12/10/2021, dep. 2022, Torzi, in cui in motivazione si rinvia anche a sez. 5, n. 1405 del 16/11/2016, dep. 2017, Ruso, Rv. 269015 01; a sez. 2, n. 24776 del 18/5/2010, Mutari, Rv. 247750 - 01; e a sez. 1, n. 21673 del 22/1/2009, Pizzata, Rv. 243796 - 01; ma anche a sez. 5, n. 45002 del 13/7/2016, Crupi, Rv. 268457 - 01, in cui si e' ritenuta la utilizzabilita' della documentazione di atti compiuti autonomamente da autorita' straniere in un diverso procedimento penale all'estero - anche al di fuori dei limiti stabiliti dall'articolo 238 c.p.p. e articolo 78 disp. att. c.p.p., con il solo limite che tale attivita' non sia in contrasto con norme inderogabili e principi fondamentali, i quali, pero', non si identificano necessariamente con il complesso delle regole dettate dal nostro codice di rito, spettando inoltre a chi eccepisca tale incompatibilita' l'onere di dare la prova di essa, proprio in un caso in cui la richiesta aveva riguardato l'acquisizione di documentazione, come nella specie, e non l'esecuzione, da parte dell'autorita' straniera, di un atto di acquisizione probatoria). In conclusione, va ribadito quanto gia' affermato da questa Corte di legittimita' e da questa stessa sezione, piu' in generale: il diritto straniero e' un fatto e spetta a chi eccepisce il difetto di compatibilita' delle norme di quell'ordinamento con quelle interne dimostrarne il contenuto, e cio' tanto piu' laddove si tratti, come nel caso di specie, del diritto di un Paese membro dell'Unione Europea (sez. 4, n. 19216 del 6/11/2019, dep. 2020, Ascone, Rv. 274296, principio affermato in materia di intercettazioni, ma ancor piu' valido nel caso di acquisizione di documentazione). 3.5. Una volta riaffermato che la messaggistica di che trattasi non costituisce esito di captazione di conversazioni durante il flusso dinamico delle stesse, bensi' acquisizione di dati informatici direttamente utilizzabili a fini di prova (vedi, in motivazione, sez. 1, n. 34059 del 1/7/2022, Mo/isso), corretto e' il riferimento alla norma interna alla stregua della quale il materiale e' stato ritenuto utilizzabile: in altre decisioni, questa Corte ha gia' confermato l'avvenuta individuazione proprio nell'articolo 234 bis c.p.p. (introdotto dal Decreto Legge 18 febbraio 2015, n. 7, articolo 2, comma 1 bis, convertito, con modificazione, nella L. 17 aprile 2015, n. 43), a mente del quale "E' sempre consentita l'acquisizione di documenti e dati informatici conservati all'estero, anche diversi da quelli disponibili al pubblico, previo consenso, in quest'ultimo caso, del legittimo titolare". Il Tribunale, nell'ordinanza impugnata, ha affrontato la questione sotto il profilo della esistenza di un valido consenso all'acquisizione, trattandosi di dati non pubblici, detenuti dal Tribunale di Parigi che ne poteva legittimamente disporre. Orbene, una volta chiarita la natura dei dati acquisiti, e' rispetto ad essa che va verificata, ai fini della successiva utilizzabilita' nel presente procedimento, la legittimita' della loro apprensione con lo strumento azionato (nella specie, l'ordine di indagine emesso dal pubblico ministero). I dati acquisiti sono pienamente utilizzabili anche sotto tale profilo. In plurime decisioni di questa Corte, ormai, si e' riconosciuta l'applicabilita', ai casi come quello all'esame, della disposizione di cui all'articolo 234 bis c.p.p., stante la natura di documento del dato acquisito (come sopra chiarita), ritenuto il consenso all'acquisizione da parte del "legittimo titolare" di quei documenti o dati conservati all'estero, da intendersi come soggetto che di quei documenti o di quei dati poteva disporre: requisito in presenza del quale (in alternativa all'ipotesi di documento di pubblico dominio) e' pienamente legittimo il compimento di un'attivita' di acquisizione diretta di documentazione all'estero e che, invece, se assente, avrebbe reso necessaria l'attivazione di procedure di cooperazione giudiziaria internazionale (sez. 6, n. 18907/21, Civale, cit., in motivazione). Nella specie, i dati non sono stati richiesti a un detentore privato (per esempio, la (OMISSIS) che gestiva, prima della sua violazione da parte di polizie straniere, la piattaforma della quale si discute), ma ad un'autorita' giudiziaria che, nell'ambito di un diverso e autonomo procedimento, li aveva acquisiti dal server ove i dati stessi erano stati immagazzinati nell'ambito di altra indagine avente ad oggetto proprio la violazione di quella piattaforma (resa pubblica nel marzo del 2021). Rispetto a tale ricostruzione, pertanto, pare del tutto improprio parlare di consenso, dovendosi piuttosto verificare se, rispetto alla norma interna, chi ha trasmesso i dati ne potesse legittimamente disporne. E la risposta non puo' che essere positiva, sempre nei limiti del vaglio di coerenza con i principi fondamentali del nostro ordinamento, poiche' l'attivita' di acquisizione si e' addirittura svolta sotto la direzione di un giudice (il Tribunale di Parigi). In ogni caso, l'eventuale difetto del mancato consenso della societa' di gestione del server non configurerebbe la violazione di una norma inderogabile o di un principio fondamentale del nostro ordinamento, trattandosi di norma processuale interna, che non si identifica necessariamente con i principi fondamentali del nostro ordinamento (sul punto sez. 5, n. 45002 del 13/7/2016, Crupi, Rv. 268457, cit.). In realta', non assume rilevanza, in questa sede, la questione se quei dati siano stati acquisiti dalla magistratura francese ex post o in tempo reale (quindi come "dati freddi" o come "flussi di comunicazioni"). Infatti, quando la magistratura italiana chiese di ottenere quei dati e (a maggior ragione) quando quei dati le furono trasmessi, i flussi di comunicazione non erano certamente piu' in corso. La situazione non era dissimile, dunque, da quella che si verifica quando viene acquisito ex post un flusso di comunicazioni, scritte o per immagini, memorizzato sulla memoria di un apparecchio telefonico. In questi casi, la giurisprudenza ha costantemente ritenuto che la disciplina degli articoli 266 e ss. c.p.p. non possa trovare applicazione essendo destinata ad operare solo con riferimento a flussi di comunicazioni in atto (sez. 5, n. 1822 del 21/11/2017, Parodi, Rv. 272319; sez. 3, n. 29426 del 16/4/2019, Molitemo, Rv. 276358; sez. 6, n. 22417 del 16/3/2022, Sgromo, Rv. 283319). 3.6. In definitiva, deve rilevarsi che la misura e' stata emessa sulla scorta della documentazione posta nella disponibilita' della difesa, con pieno rispetto dunque delle regole del contraddittorio e delle prerogative difensive. Essa e' costituita da atti richiesti all'autorita' giudiziaria francese che li aveva autonomamente acquisiti secondo le regole processuali proprie di quello Stato membro. La verifica del rispetto delle norme inderogabili e dei principi fondamentali del nostro ordinamento e' stata operata dal Tribunale che, oltre ad avere richiamato in nota (vedi pagg. 7 e 8 della ordinanza impugnata) le norme processuali penali francesi, ha precisato che l'apprensione di quei dati era stata disposta dall'autorita' giudiziaria e non da un organo di polizia, in maniera coerente con il principio fondamentale posto dall'articolo 15 della nostra Costituzione. 3.7. Neppure puo' essere accolta la sollecitazione della difesa, contenuta nei motivi aggiunti, a rimettere la decisione alle Sezioni unite per asserito, esistente contrasto in punto utilizzabilita' dei dati dei quali si discute, essendosi gia' sopra chiarita la diversita' del contesto fattuale nel quale si e' inserito il precedente di questa Sezione (sentenza Lori del 2022) ed evidenziato il consolidarsi dell'orientamento seguito dalle altre sezioni e da questa stessa sezione sui punti al vaglio nel presente procedimento. Allo stesso modo, non puo' esser recepita la sollecitazione a promuovere questione pregiudiziale davanti alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, ai sensi dell'articolo 267 TFUE. Sul punto, deve intanto premettersi che, nel giudizio di cassazione, non sussistono i presupposti per il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione Europea ai sensi del citato articolo, ove la parte si limiti a censurare direttamente l'incompatibilita' con il diritto Euro-unitario delle conseguenze di fatto derivanti dall'interpretazione del diritto interno, senza sollecitare un'esegesi generale e astratta della normativa nazionale ritenuta incompatibile con quella Europea (sez. 6, n. 44436 del 4/10/2022, Pa/amara, Rv. 28415101); e va pure ribadito che l'interpretazione fornita dalla CGUE dell'articolo 267, comma 3 TFUE, laddove prevede l'obbligo del rinvio per il giudice di ultima istanza, e' nel senso che non v'e' obbligo di rimettere in via pregiudiziale le questioni relative all'interpretazione delle norme comunitarie alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea quando il giudice nazionale abbia constatato che la questione non sia pertinente ne' rilevante, che la disposizione comunitaria abbia gia' costituito oggetto di interpretazione e che la corretta applicazione del diritto comunitario si imponga con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi (sez. 3, n. 33101 del 07/06/2022, Prandini, Rv. 283519-02; sez. 4, n. 32899 del 8/1/2021, Casta/do, Rv. 281997). 3.7.1. Cio' posto, questa Corte ha fugato i dubbi interpretativi opposti a difesa e ritiene, pertanto, di non dover sollevare la questione pregiudiziale sollecitata. Nella specie, i quesiti proposti dalla difesa attengono all'interpretazione dell'articolo 6 della direttiva UE 2014/41, che indica quali debbano essere le "condizioni di emissione e trasmissione di un OEI" e, secondo il deducente, dovrebbe chiedersi alla Corte di Giustizia "se un ordine Europeo di indagine (in prosieguo: l'"OEI") volto all'acquisizione di prove gia' in possesso dello Stato di esecuzione (nel caso di specie: la Francia) debba essere emesso da un giudice, se, in base alla normativa dello Stato di emissione (nel caso di specie: l'Italia), la raccolta delle prove che ne costituisce la base avrebbe dovuto essere ordinata dal giudice in un caso interno analogo". Il quesito non e' pertinente, ne' rilevante nel caso in esame. Come gia' chiarito, i dati acquisiti dal pubblico ministero italiano mediante OEI sono qualificabili come "dati freddi" ai sensi dell'articolo 234 bis c.p.p. e l'ordinamento interno non richiede che l'acquisizione di questo tipo di dati debba essere ordinata da un giudice. Dovrebbe chiedersi, in subordine, "se cio' trovi applicazione quantomeno nel caso in cui lo Stato di esecuzione abbia eseguito la misura di cui trattasi nel territorio dello Stato di emissione con l'obiettivo di mettere successivamente i dati ottenuti a disposizione delle autorita' inquirenti dello Stato di emissione interessate ai dati ai fini dell'esercizio dell'azione penale" e "se un OEI mirante all'acquisizione di prove debba sempre essere emesso da un giudice (o da un organismo indipendente non coinvolto nelle indagini penali), senza tener conto delle norme nazionali in materia di competenza dello Stato di emissione, qualora la misura riguardi gravi ingerenze in diritti fondamentali di rango elevato". I quesiti si ispirano a quelli sottoposti alla CGUE dal Landgericht Berlin il 24 ottobre 2022 (causa C-670/22, come risulta anche dagli allegati alla memoria contenente i motivi aggiunti). Quella autorita', infatti, dovendo utilizzare elementi di prova acquisiti con OEI emessi dal pubblico ministero tedesco ed eseguiti dalla magistratura francese, aventi ad oggetto dati analoghi, ha investito la Corte di Giustizia ai sensi dell'articolo 267 TFUE. Non e' chi non veda come, in quella diversa sede, la questione pregiudiziale sia stata sollevata alla luce delle norme processuali dell'ordinamento tedesco, avendo l'autorita' tedesca peraltro prospettato che le attivita' eseguite dallo Stato di esecuzione avevano avuto ab origine l'obiettivo di mettere successivamente a disposizione delle autorita' inquirenti dello Stato di emissione i dati ottenuti. Pertanto, anche tale quesito e' irrilevante nel caso all'esame, nel quale la magistratura italiana ha chiesto di acquisire i risultati di attivita' di indagine autonomamente svolte dalla magistratura francese e gia' esaurite alla data dell'emissione degli OEI. 3.7.2. Ma la questione e' irrilevante anche con riferimento all'autorita' di emissione dell'OEI. La difesa ha omesso di considerare che, in base all'articolo 2 della Direttiva 2014/41/UE, l'OEI puo' essere emesso indifferentemente da "un giudice, un organo giurisdizionale, un magistrato inquirente o un pubblico ministero competente nel caso interessato"; oppure da autorita' non giudiziarie, ma competenti a svolgere indagini nell'ambito dei procedimenti penali e a disporre l'acquisizione di prove in conformita' del diritto nazionale, sebbene, in tal caso, l'ordine debba essere convalidato da un'autorita' giudiziaria che sara' considerata autorita' d'emissione ai fini della trasmissione dell'ordine stesso. Nella specie, l'OEI e' stato emesso da un pubblico ministero italiano, quindi da un magistrato indipendente da altri poteri dello Stato, stante lo statuto disegnato dalla nostra Carta fondamentale. Trattasi, dunque, di un magistrato certamente rientrante nell'elenco sopra richiamato, contenuto nella citata Direttiva, non ponendosi, dunque, per il nostro ordinamento, neppure astrattamente, l'esigenza di una verifica di coerenza sotto tale profilo. Sul punto, pare peraltro utile osservare come la Corte del Lussemburgo abbia addirittura statuito che l'articolo 1, paragrafo 1, e l'articolo 2, lettera c), della direttiva 2014/41 devono essere interpretati nel senso che rientra nelle nozioni di "autorita' giudiziaria" e di "autorita' di emissione", ai sensi delle disposizioni sopra citate, il pubblico ministero di uno Stato membro o, piu' in generale, la procura di uno Stato membro, indipendentemente dal rapporto di subordinazione legale che potrebbe esistere tra tale pubblico ministero o tale procura e il potere esecutivo di tale Stato membro, e dall'esposizione di detto pubblico ministero o di detta procura al rischio di essere soggetti, direttamente o indirettamente, ad ordini o istruzioni individuali da parte del predetto potere (vedi C-584/19, citata). 3.7.3. Quanto, poi, ai residui quesiti, gli stessi ineriscono piu' specificamente alla problematica del c.d. affidavit interstatale, ricavabile dall'articolo 6, § 1, lettera a) della piu' volte menzionata Direttiva, dubitando il ricorrente della compatibilita' della disciplina dello Stato richiesto (la Francia che ha opposto il segreto di stato sulle attivita' di captazione) con il nostro ordinamento, per impossibilita' di verificare quanto trasmesso. In tale prospettiva, il ricorrente ha sollecitato di proporre la questione se: - l'articolo 6, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2014/41 osti a un OEI volto al trasferimento di dati gia' disponibili nello Stato di esecuzione (la Francia) derivanti da un'intercettazione di telecomunicazioni - in particolare, dati relativi al traffico e all'ubicazione, nonche' registrazioni dei contenuti delle comunicazioni - qualora, in primo luogo, l'intercettazione effettuata dallo Stato di esecuzione riguardi tutti gli utenti di un determinato indirizzo di comunicazione, in secondo luogo, venga richiesto, tramite l'OEI, il trasferimento dei dati relativi a tutti gli indirizzi utilizzati sul territorio dello Stato di emissione e, in terzo luogo, non vi fossero indizi concreti della commissione di gravi reati da parte di detti singoli utenti al momento in cui e' stata disposta ed eseguita la misura di intercettazione ne' al momento dell'emissione dell'OEI; - l'articolo 6, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2014/41 osti a tale OEI qualora l'integrita' dei dati ottenuti grazie alla misura di intercettazione non possa essere verificata dalle autorita' dello Stato di esecuzione a causa dell'assoluta riservatezza dei dati; - l'articolo 6, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2014/41 osti a un OEI volto al trasferimento di dati di telecomunicazione gia' in possesso dello Stato di esecuzione (la Francia), qualora la misura di intercettazione di detto Stato alla base della raccolta dei dati sarebbe stata illegittima ai sensi del diritto dello Stato di emissione (l'Italia) in un caso interno analogo; - in subordine, cio' valga almeno allorche' lo Stato di esecuzione abbia effettuato l'intercettazione sul territorio dello Stato di emissione e nell'interesse di quest'ultimo. Premesso che i due ultimi quesiti sono del tutto de-assiali rispetto al thema decidendum, nella specie non avendo avuto l'OEI ad oggetto la richiesta di acquisizione di una prova da parte dello Stato richiesto, ma solo la trasmissione di una prova gia' acquisita da quel Paese che neppure e' stata acquisita al fine di metterla poi a disposizione dello stato richiedente, anche i primi due sono comunque irrilevanti, introducendo questioni non pertinenti e imponendosi la corretta applicazione del diritto unionale con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi. Nella specie, infatti, la Procura della Repubblica di Reggio Calabria non ha chiesto alla Autorita' giudiziaria francese la trasmissione di dati relativi a tutti citi indirizzi utilizzati sul territorio italiano da una generalita' di utenti non individuata, bensi' la trasmissione di dati transitati su utenze riferibili ad alcuni specifici PIN, nell'ambito di un procedimento penale nel quale erano gia' emersi concreti indizi di reato. Quando gli OEI furono emessi, infatti, erano gia' in corso per quei reati operazioni di intercettazione regolarmente autorizzate dall'autorita' giudiziaria italiana. Il secondo quesito inerisce al controllo della integrita' dei dati trasmessi e, sul punto, pare sufficiente un rinvio a quanto gia' esposto a proposito delle censure, ritenute infondate, al ragionamento dei giudici territoriali, le chat essendo state trasmesse su supporto informatico dal Tribunale di Parigi che ne ha attestato la genuinita' della catena di custodia. 3.7.4. Anche gli ulteriori quesiti mancano l'obiettivo di introdurre dubbi in ordine alla corretta applicazione della Direttiva n. 41/2014, come implementata nel nostro ordinamento. La difesa, invero, continua a reiterare un erroneo approccio metodologico, omettendo di considerare il sistema delineato dalla Direttiva stessa, come sopra gia' ampiamente ricordato, opponendo un ipotetico abbassamento del livello delle garanzie difensive che, tuttavia, il legislatore sovranazionale ha debitamente preso in carico, disegnando uno strumento, come l'OEI, che presuppone l'osservanza delle garanzie dell'indagato e il rispetto del principio del giusto processo, anche mediante un rinvio, nei considerando, agli arti:. 48 e 52 della Carta di Nizza (considerando 12) e alle direttive 2010/64/UE, 2012/13/UE e 2013/48/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio che riguardano i diritti procedurali nei procedimenti penali (considerando 15). Il legislatore Europeo, peraltro, ha richiamato l'obbligo del rispetto dei diritti fondamentali e dei principi giuridici fondamentali, sanciti dall'articolo 6 TUE e dei diritti, delle liberta' e dei principi sanciti nella Carta (considerando 18), ma ha anche precisato che, nonostante la creazione di uno spazio di liberta', di sicurezza e di giustizia nell'Unione si fondi sulla fiducia reciproca e su una presunzione di conformita', da parte di tutti gli Stati membri, al diritto dell'Unione e, in particolare, ai diritti fondamentali, si tratta di una presunzione solo relativa che implica che, in caso vi siano seri motivi per ritenere che l'esecuzione di un atto di indagine richiesto in un OEI comporti la violazione di un diritto fondamentale e che lo Stato di esecuzione venga meno ai suoi obblighi in materia di protezione dei diritti fondamentali riconosciuti nella Carta, l'esecuzione dell'OEI dovrebbe essere rifiutata (considerando 19). In tale prospettiva, l'articolo 11, §1, lettera f), della Direttiva costituisce l'autorita' di esecuzione garante della compatibilita' dell'OEI con gli obblighi dello Stato di esecuzione ai sensi dell'articolo 6 TUE e della Carta, cosicche' deve ritenersi che in tale Stato si impone il controllo del rispetto dei diritti fondamentali e degli altri diritti processuali della persona sottoposta a indagini o imputata, con possibilita' di un controllo sulla decisione (mezzi di impugnazione). Nella specie, i dati sono stati forniti dal Tribunale di Parigi e, pertanto, nella acquisizione degli stessi e' intervenuta una autorita' giurisdizionale. A fronte di cio', la denuncia della violazione delle garanzie fondamentali dell'indagato o dell'imputato da parte delle autorita' dello Stato di esecuzione dinanzi all'autorita' dello Stato di emissione dell'OEI non puo' tradursi nella mera enunciazione dell'ipotesi, ma deve avere contenuto puntuale e adeguato corredo dimostrativo, requisiti non soddisfatti nel caso all'esame. 3.7.5. Infine, la difesa ha formulato dei dubbi anche con riguardo all'articolo 31 alla interpretazione dell'articolo 31, §§ 1 e 3, direttiva UE 2014/41, chiedendo porsi questione se: - una misura correlata con l'accesso clandestino ad apparecchiature terminali volta ad ottenere dati relativi al traffico, all'ubicazione e alle comunicazioni di un servizio di comunicazione via Internet costituisca un'intercettazione di telecomunicazioni ai sensi dell'articolo 31 della direttiva 2014/41; - la notifica di cui all'articolo 31, paragrafo 1, della direttiva 2014/41 debba essere sempre trasmessa a un giudice o se cio' valga quantomeno quando, in base al diritto dello Stato notificato (l'Italia), la misura prevista dallo Stato di intercettazione (la Francia) potrebbe, in un caso interno analogo, essere ordinata solo da un giudice; - ove l'articolo 31 della direttiva 2014/41 miri anche alla protezione dei diritti dei singoli utenti dei servizi di telecomunicazioni interessati, detta protezione si estenda anche all'utilizzo dei dati ai fini dell'esercizio dell'azione penale nello Stato notificato (l'Italia) e, in caso affermativo, detta finalita' sia equiparata alla finalita' ulteriore di proteggere la sovranita' dello Stato membro notificato. La questione e' irrilevante. L'autorita' giudiziaria italiana non ha chiesto l'esecuzione di intercettazioni, ne' e' stata richiesta in tal senso. Pertanto, non sussistono dubbi interpretativi sul punto specifico. Infine, non vi e' alcun dubbio da dirimere "sulle conseguenze giuridiche di una disciplina che pare aver legittimato, sulla scorta del principio di affidavit interstatale, l'acquisizione di prove in violazione del diritto dell'Unione". Si deve ribadire, infatti, che la premessa secondo la quale i dati trasmessi dalla Francia siano stati acquisiti in violazione del diritto dell'Unione non ha ricevuto in atti alcun riscontro. Pertanto, irrilevanti sono i rimanenti quesiti proposti dalla difesa con i motivi aggiunti. 4. Il secondo motivo del ricorso a firma dell'avv. (OMISSIS) e' parimenti infondato. La difesa censura l'omessa conoscenza dell'algoritmo utilizzato per la decriptazione della messaggistica acquisita, la doglianza dovendosi correlare al tema, invero prospettabile in termini meramente ipotetici, della corrispondenza del dato originale con quello trasmesso. La censura non coglie nel segno perche' confonde il tema della genuinita' del dato decrittato con quello della garanzia di integrita' della catena di custodia. Sotto il primo profilo, pare opportuno ribadire quanto gia' chiarito in altre decisioni di questa Corte di legittimita': l'attivita' di acquisizione di dati in giacenza (definiti freddi) o l'intercettazione di dati telematici in transito permette l'acquisizione, qualora il messaggio telematico sia criptato mediante un impiego di un algoritmo o di una chiave di cifratura e trasformato in un mero dato informatico, di una stringa informatica composta da un codice binario. In questo caso - come si e' gia' detto - l'intelligibilita' del messaggio e' subordinata all'attivil:a' di decriptazione che presuppone la disponibilita' dell'algoritmo che consente di trasformare il codice binario in un contenuto dimostrativo, ma ogni messaggio cifrato e' inscindibilmente accoppiato alla sua chiave di cifratura, sicche' la sola chiave esatta produrra' una decifratura corretta, dovendosi escludere che possa decifrarne una parte corretta e una non corretta; ne' vi sono possibilita' che una chiave errata possa decrittare il contenuto, anche parziale, del codice umano contenuto (sez. 1, n. 6364 del 13/10/2022, clep. 2023, Calderon, Rv. 283998, in motivazione, ma anche sez. 1, n. 6363, Minichino, n. m., in pari data). Del tutto pertinente, pertanto, e' il rinvio operato dal Tribunale ai principi gia' affermati da questa Corte di legittimita' con riferimento alle intercettazioni di flussi comunicativi, essendo gia' stato chiarito, sia pur con riferimento alla decriptazione della messaggistica con sistema Blackberry (quindi, "pin to pin" e non "end to end", come nella specie) che l'uso dell'algoritmo esclude la possibilita' di alterazioni o manipolazioni dei testi captati, in quanto, secondo la scienza informatica, ne consente la fedele riproduzione, salvo l'allegazione di specifici e concreti elementi di segno contrario (sez. 4, n. 30395 del 21/4/2022, Chianchiano, Rv. 283454; sez. 6, n. 14395 del 27/11/2019, dep. 2020, Testa, Rv. 275534). Trattasi di principi che, senza alcuna contraddittorieta' del ragionamento giustificativo che su di essi si fondi, come denunciato a difesa, possono applicarsi al caso all'esame, restando indifferente la distinzione tra messaggistica gia' acquisita e captazione di flussi di comunicazione. Del resto, proprio in tema di messaggistica scambiata con sistema cifrato " (OMISSIS)" e "ENCROCHAT", si e' pure affermato che la decriptazione delle conversazioni e delle comunicazioni e' attivita' distinta dalla captazione, tali dati costituendo rappresentazioni comunicative incorporate in una base materiale con un metodo digitale, ovvero dati informatici che hanno consentito la intelligibilita' del contenuto di stringhe redatte secondo il sistema binario (sez. 6, n. 18907 del 20/4/2021, Civale, Rv. 281819, in motivazione; sez. 1, nn. 6363 e 6364 del 13/10/2022, dep. 2023, cit.). 5. Il terzo motivo del ricorso a firma dell'avv. (OMISSIS) e tutti i motivi dei due atti di ricorso a firma dell'avv. (OMISSIS) sono manifestamente infondati. Premesso che il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimita', in relazione alla peculiare natura del giudizio e ai suoi limiti, la sola verifica delle censure inerenti alla adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze gia' esaminate dal giudice di merito (sez. 2, n. 27866 del 17/6/2019, Mazzelli, Rv. 276976), va affermata la inammissibilita' del motivo di ricorso che censuri l'erronea applicazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 3, se e' fondato su argomentazioni che si pongono in confronto diretto con il materiale probatorio, e non, invece, sulla denuncia di uno dei vizi logici, tassativamente previsti dall'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), riguardanti la motivazione della sentenza di merito in ordine alla ricostruzione del fatto (sez. 6, n. 13442 del 8/3/2016, De Angelis, Rv. 266924; sez. 2, n. 38676 del 24/5/2019, Onofri, Rv. 277518; Sez. U, n. 29541 del 16/7/2020, Filardo, Rv. 280027). Nella specie, oltre a rilevarsi l'assenza della denunciata violazione di legge che si risolve sostanzialmente nella censura del percorso motivazionale seguito dai giudici territoriali, va considerata la natura del materiale probatorio esaminato dai giudici del merito, per ribadire il principio consolidato (sia pur in materia di intercettazioni) per il quale la interpretazione e la valutazione del contenuto di conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito, il cui apprezzamento non puo' essere sindacato in sede di legittimita' se non nei limiti della manifesta illogicita' ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (sez. 3, n. 44938 del 5/10/2021, Gregoli, Rv. 282337). La ricostruzione della associazione e' avvenuta alla stregua degli elementi riversati nella ordinanza impugnata, dai quali il Tribunale ha tratto l'esistenza degli elementi costitutivi del reato associativo, tratteggiandone i connotati e la convergenza verso un obiettivo comune del gruppo, dando conto del ruolo del (OMISSIS) all'interno di quest'ultimo, ponendo in risalto elementi fattuali ricavabili anche dalle modalita' di consumazione di alcuni reati fine, ritenuti espressione del modus operandi del gruppo. I deducenti, di contro, si sono limitati a fornire una lettura alternativa delle emergenze fattuali, preclusa in questa sede, deputata unicamente al rilievo di violazioni di legge, tuttavia inesistenti, o di incongruita' motivazionali smentite pero' dalla esaustivita' e logicita' delle argomentazioni spese nell'ordinanza impugnata. In realta' le doglianze difensive (anche quelle veicolate con memoria) sono state esaminate dal Tribunale che, nel darne atto, vi ha replicato, contrariamente a quanto asserito nel secondo motivo di ricorso a firma dell'avv. (OMISSIS), ritenendole inidonee a scalfire la gravita' degli elementi indiziari raccolti. Cosicche' deve escludersi l'asserito "silenzio" motivazionale in ordine a quanto dedotto con tale memoria, aggiungendosi peraltro che - in sede di legittimita' - non e' censurabile il silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando risulti che la stessa sia stata disattesa dalla motivazione complessivamente considerata (sez. 1 n. 27825 del 22/5/2013, Caniello, Rv. 256340; sez. 5 n. 6746 del 13/12/2018, dep. 2019, Curro', Rv. 275500). Inoltre, va ricordato, quanto al ruolo associativo, che non vi e' alcuna contraddittorieta' nel ragionamento in base al quale si e' ritenuto, sulla scorta delle informazioni ricavate dagli scambi tra gli indagati, che il (OMISSIS), non solo era stato impegnato nella fase della esfiltrazione che, come analiticamente indicato nella ordinanza, avveniva con un articolato modus operandi, applicato a operazioni ripetitive e della stessa specie, avvalendosi di squadre di portuali e di altri operatori infedeli, presupponendo, dunque, una piena consapevolezza dell'asservimento al sodalizio; ma era stato coinvolto anche nella fase del trasporto fuori dall'area portuale, senza che il suo interesse ad accaparrarsi una parte della droga possa esser letto per cio' solo in maniera contraddittoria rispetto alla disponibilita' manifestata con riferimento a fasi precedenti dell'operazione. Cio' che e' necessario, infatti, e' che i rapporti tra i soggetti che interagiscono in tale contesto si traducano in forme di interazione nell'ambito di un gruppo organizzato e non di relazioni di tipo diretto ed immediato, prive di riferimenti al ruolo esponenziale dei predetti per conto della consorteria (sez. 3, n. 9036 del 31/1/2022, Santoro, Rv. 282838). In tal senso, assume rilievo anche il coinvolgimento in un solo reato-fine, allorquando le connotazioni della condotta dell'agente, consapevolmente servitosi dell'organizzazione per commettere il fatto, ne rivelino, secondo massime di comune esperienza, un ruolo nelle dinamiche operative del gruppo criminale (sez. 3, n. 36381 del 9/5/2019, Cruzado, Rv. 276701-06), ruolo che si atteggi specificamente, in funzione delle dinamiche operative e della crescita criminale dell'associazione (sez. 6, n. 1343 del 4/11/2015, dep. 2016, Policastri, Rv. 265890; n. 50965 del 2/12/2014, D'Aloia, Rv. 261379). 6. Infine, e' infondato il motivo formulato con l'ulteriore ricorso dell'avv. (OMISSIS). Quanto all'aggravante mafiosa, infatti, va premesso che, per la sua configurabilita', non e' richiesta la sussistenza di una compagine mafiosa o camorristica di riferimento, non solo quando e' contestato l'utilizzo del metodo mafioso, ma anche quando e' addebitata la finalita' agevolativa, anche se, in questa seconda evenienza, occorre che lo scopo sia quello di contribuire all'attivita' di un'associazione operante in un contesto di matrice mafiosa, in una logica di contrapposizione tra gruppi ispirati da finalita' di controllo del territorio con le modalita' tipiche previste dall'articolo 416 bis c.p. (sez. 2, n. 27548 del 17/5/2019, Ga//e//i, Rv. 276109-01). Nella specie, il Tribunale ha descritto la fase della "committenza" dei lavori di esfiltrazione da parte dell'organizzazione criminale importatrice che si rivolge a uno dei gruppi criminosi (due dei quali operativi in Gioia Tauro e Palmi), al fine di organizzare le operazioni di esfiltrazione della droga dal porto, sino alla fase della consegna della droga nel luogo indicato dalla committenza. In ogni caso e risolutivamente, ai fini della valutazione dell'interesse all'annullamento, deve rilevarsi che, confermato il grave quadro indiziario nei termini di cui alla incolpazione provvisoria (ivi compresa l'aggravante speciale della transnazionalita' di cui all'articolo 61 bis c.p., non contestata dalla difesa), la legittimita' della misura non puo' ricondursi all'eventuale difetto dei presupposti di detta aggravante, stante l'assenza di ripercussioni sull'an o sul quomodo della cautela (sez. 3, n. 20891 del 18/6/2020, Piccirillo, Rv. 279508) anche quanto alla riduzione dei termini di fase della misura in atto (sez. 3, n. 36731 del 17/4/2014, Inzerra, Rv. 260256). Pertanto, anche sotto tale profilo, la Corte non ritiene esistenti dubbi interpretativi o questioni sulle quali si delinei un contrasto che impongano di accogliere la sollecitazione difensiva. 7. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e la trasmissione degli atti alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PEZZULLO Rosa - Presidente Dott. PISTORELLI Luca - Consigliere Dott. SESSA Renata - Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - rel. Consigliere Dott. CIRILLO Pierangelo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 14/01/2022 della CORTE APPELLO di NAPOLI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere MATILDE BRANCACCIO; udito il Sostituto Procuratore Generale ANDREA VENEGONI che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata in accoglimento del primo motivo di ricorso. uditi i difensori: l'avv. (OMISSIS) del foro di Roma, che insiste per l'accoglimento del ricorso; l'avv. (OMISSIS) del foro di Nola, che si riporta ai motivi del ricorso e insiste per l'accoglimento dello stesso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata la Corte d'Appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Nola datata 9.1.2020, ha confermato la condanna di (OMISSIS), per il delitto di concorso in bancarotta fraudolenta documentale, alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione, nonche' alle pene accessorie fallimentari indicate nella misura di cinque anni; ha rideterminato, invece, la pena inflitta nei confronti di (OMISSIS) in anni due di reclusione, in relazione al delitto di concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale, concessegli le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante dell'articolo 219, comma 1, n. 1, L. Fall., rimodulando nei suoi confronti anche le pene accessorie previste dall'articolo 216, u.c., L.F. nella durata di due anni. I reati di bancarotta al centro della piu' ampia vicenda processuale si riferiscono al fallimento della societa' (OMISSIS) s.r.l., dichiarato con sentenza del 2.4.2014; viene in esame, in questa sede, la contestazione di cui al capo a), bancarotta fraudolenta documentale, ascritta agli amministratori, di diritto e di fatto, della fallita nonche' al commercialista della societa', (OMISSIS), condannato nel suo ruolo di extraneus, concorrente nel delitto, per aver fornito consigli ed indicazioni che hanno portato all'occultamento o alla soppressione delle scritture contabili contestate, al fine di impedire la ricostruzione degli affari della fallita, in vista della dichiarazione di decozione. 2. Ha proposto ricorso avverso tale sentenza d'appello l'imputate (OMISSIS), tramite i difensori di fiducia, deducendo quattro motivi di censura diversi. 2.1. Il primo argomento difensivo si incentra sulla violazione degli articoli 247, 252 e 355 c.p.p., denunciando l'illegittima apprensione di un CD contenente file audio (importanti per la prova della responsabilita' del ricorrente, n.d.r.), all'esito di un'attivita' di perquisizione e sequestro indirizzata a soggetti diversi dall'imputato ricorrente - il quale, tra l'altro, in quel momento non era neppure iscritto nel registro degli indagati - e genericamente rivolta a sequestrare, oltre ai beni ed alle scritture contabili della societa' fallita, anche "qualsiasi altra documentazione utile ai fini di indagine". Tale indicazione, alquanto generica, avrebbe richiesto la necessita' che il sequestro del CD fosse legittimato da un provvedimento apposito di convalida successiva, provvedimento che, a dispetto di quanto lascia intendere la sentenza impugnata, non e' mai stato adottato, neppure tardivamente. 2.2. Il secondo motivo di ricorso denuncia carenza o manifesta illogicita' della motivazione della sentenza d'appello, la' dove ha rigettato la richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale volta ad espletare una perizia audio per analizzare i contenuti del CD con le registrazioni di conversazioni tra il ricorrente ed altri interlocutori, utilizzate nell'affermazione della sua responsabilita'. L'imputato aveva chiesto la perizia poiche' i dispositivi informatici contenenti le registrazioni non sono stati ritrovati presso di lui, ma in casa e nelle pertinenze dell'abitazione del coimputato (OMISSIS), ne' vi e' prova che egli sia uno degli interlocutori delle conversazioni (e non rileverebbe, quale prova del fatto che egli abbia ammesso di esserlo, la circostanza processuale che il ricorrente, per difendersi nel merito, abbia risposto alle domande relative al contenuto di tali conversazioni, durante il suo esame dibattimentale). Il concorso dell'imputato nella soppressione delle scritture contabili, avvenuta successivamente alle conversazioni registrate, non e' mai stato realmente provato: il consulente della fallita, (OMISSIS), non le ha consegnate al ricorrente, nell'aprile 2011, bensi' a (OMISSIS). 2.3. Il terzo argomento di censura eccepisce mancanza e manifesta illogicita' della motivazione in relazione alla condanna per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale. La prova fondamentale per l'attribuzione della condotta di concorso dell'extraneus nel reato e' stata individuata, dai giudici di merito, nel contenuto delle conversazioni trascritte dalle registrazioni del CD in sequestro, ritrovato nel corso dell'attivita' di indagini preliminari, nelle quali si e' creduto di individuare il ricorrente come interlocutore e dalle quali si e' ritenuto che egli abbia ideato la soppressione delle scritture contabili. Tuttavia, la registrazione dell'espressione rivelatrice ("...non dare le carte"), letta secondo le indicazioni della consulenza trascrittiva acquisita nel corso dell'udienza del 2.3.2020, dimostra che l'imputato pronuncia una frase interrogativa, sicche' essa non sarebbe un elemento da cui desumere che egli abbia concorso all'ideazione della trama delittuosa. 2.4. Il quarto motivo di ricorso denuncia vizio di motivazione contraddittoria o manifestamente illogica, quanto al rigetto della censura d'appello dedicata ad escludere l'aggravante dell'aver causato un danno di rilevante gravita'. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' parzialmente fondato, limitatamente al quarto motivo di ricorso ed al vizio di motivazione afferente all'aggravante prevista dall'articolo 219, comma 1, L. Fall.. 2. Il primo motivo di censura e' manifestamente infondato ed anche diffusamente generico. Anzitutto deve rilevarsi l'inesattezza della prospettiva difensiva (ancorche' evocata dal PG nella sua requisitoria), che si muove su di un piano di inefficacia cautelare del sequestro alla base della prima acquisizione (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 9858 del 21/1/2016, Yun, Rv. 266465), laddove la questione sottoposta al Collegio attiene al diverso profilo dell'utilizzabilita' probatoria dei contenuti di quanto sequestrato (il CD con le registrazioni tra presenti, dalle quali, anche, e' stata tratta la prova del concorso del ricorrente nel reato). E riguardo a tale utilizzabilita', non puo' che rilevarsi come, sia dai verbali d'udienza in atti che dalla motivazione delle due sentenze di merito, ed in particolare dalla pronuncia di primo grado, risulti che il CD e la trascrizione della registrazione delle conversazioni registrazione operata da uno degli interlocutori e, come e' stato ritenuto affidabilmente (cfr. pag. 5 della sentenza d'appello), da attribuirsi al coimputato (OMISSIS) (che ha patteggiato la pena, con sentenza divenuta definitiva), presso il quale e' stato ritrovato e sequestrato il CD - sono stati acquisiti al fascicolo dibattimentale all'udienza del 2.3.2020, utilmente riconosciuti dalla consulente tecnica autrice delle trascrizioni. All'udienza del 2.3.2020, poi, nessuna obiezione e' stata formulata dalla difesa, che ha svolto anche il controesame del consulente. L'utilizzabilita' delle prove costituite dalle registrazioni trascritte, dunque, deriva dalla fonte autonoma dell'acquisizione dibattimentale, acquisizione operata dal Tribunale senza l'obiezione della difesa e su richiesta del pubblico ministero; di talche' deve ritenersi superata e manifestamente priva di pregio la censura, ancorche' generica, sulla mancata convalida del sequestro operato dalla polizia giudiziaria. Quanto alla genericita' del motivo, deve segnalarsi come il ricorrente non abbia in alcun modo enunciato la decisivita' dell'obiezione sulla prova, sottintendendola, forse, soltanto nella richiesta di eliminazione del supporto audio con le registrazioni poi trascritte dal novero delle prove utilizzabili. Orbene, al di la' della necessita', ai fini dell'ammissibilita' della censura, di specificare le ragioni in base alle quali la prova che si chiede di espungere sia decisiva, necessita' di cui pure il ricorso non si e' fatto carico (cfr. Sez. U, n. 23868 del 23/4/2009, Fruci, Rv. 243416, secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, e' onere della parte che eccepisce l'inutilizzabilita' di atti processuali indicare, pena l'inammissibilita' del ricorso per genericita' del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresi' la incidenza sul complessivo compendio indiziario gia' valutato, si' da potersene inferire la decisivita' in riferimento al provvedimento impugnato), la difesa neppure si e' preoccupata di ragionare in termini di inutilizzabilita', evocando soltanto l'inefficacia del sequestro, inutilmente per le ragioni gia' esposte. Inoltre, non si e' neppure dato conto del fatto che, oltre alla prova costituita dalle registrazioni trascritte delle conversazioni intervenute tra il ricorrente ed altro coimputato, vi e' in atti la prova costituita dall'esame dell'imputato che, per quanto contestata nei suoi contenuti con la seconda censura difensiva, quanto meno doveva essere presa in esame per evidenziare, nell'ambito del primo motivo di ricorso, la decisivita' della prova di cui si chiede l'espunzione. Del resto, la sentenza di primo grado, in particolare, ha chiarito che il ricorrente non ha affatto negato di essere uno dei due interlocutori, insieme a (OMISSIS), della registrazione, da cui e' stata tratta in particolare la conversazione-chiave utilizzata nei suoi confronti; anzi egli ha fornito particolari sul momento in cui la conversazione era avvenuta, pur fornendo una diversa lettura delle espressioni verbali registrate (cfr. pag. 25 della sentenza del Tribunale di Nola). 2.1. Proprio le ultime osservazioni consentono di superare agevolmente anche le obiezioni difensive contenute nel secondo e nel terzo motivo di ricorso, in cui si denuncia un contrasto della motivazione della sentenza impugnata circa l'atteggiamento del ricorrente, contestando sia il portato della conversazione registrata tra questi e (OMISSIS), che la stessa individuazione dell'imputato quale interlocutore. Da un lato, infatti, si e' ben chiarito dai giudici di merito, in entrambe le sentenze del giudizio di cognizione, che e' stato lo stesso imputato ad accettare la qualita' di interlocutore, nel corso del suo esame, al netto dell'ammissione circa i contenuti delle conversazioni registrate. Da qui l'inammissibilita', per genericita' e richiesta di rivedere il merito della decisione, anche del motivo di ricorso dedicato a sindacare la scelta della Corte d'Appello di non procedere alla rinnovazione istruttoria richiesta per una perizia apposita con una nuova analisi tecnica: i giudici di secondo grado hanno ritenuto inutile disporre un nuovo accertamento tecnico, alla luce della certezza gia' in atti, sia dell'individuazione del ricorrente come interlocutore (insieme a (OMISSIS)) che dei contenuti trascritti. D'altro canto, l'eccezione formulata con il secondo motivo di censura e' comunque fuori fuoco. Il concorso dell'imputato nella soppressione delle scritture contabili, secondo la difesa, non sarebbe mai stato realmente provato, poiche' il consulente della fallita, (OMISSIS), non le avrebbe consegnate al ricorrente, nell'aprile 2011, bensi' ad altro soggetto ( (OMISSIS), altra coimputata nel connesso reato di bancarotta patrimoniale, in quanto amministratrice di diritto della fallita, per un determinato periodo) e perche' non vi sarebbe prova che il ricorrente abbia mai avuto in suo possesso la documentazione contabile della fallita. E tuttavia risulta evidente l'errore ermeneutico in cui incorre il ricorso, poiche' all'imputato e' attribuita una condotta di concorso morale nel reato, quale extraneus, nel reato commesso in concorso con gli intranei qualificati (i due amministratori (OMISSIS) e (OMISSIS), separatamente giudicati), mediante istigazione ed ideazione della strategia delittuosa finalizzata alla soppressione ed all'occultamento delle scritture contabili, e non gia' di concorso materiale: e', dunque, irrilevante che non sia stato lui a ricevere materialmente le scritture contabili, cosi' come priva di significato e' l'osservazione che non vi sarebbe prova che le medesime scritture siano state mai in suo possesso. Infatti, la giurisprudenza costante di questa Corte regolatrice ritiene l'atipicita' del contributo concorsuale disciplinato dall'articolo 110 c.p., sicche' il contributo causale del concorrente morale puo' manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa, tra le quali l'istigazione o determinazione all'esecuzione del delitto, l'agevolazione alla sua preparazione o consumazione, il rafforzamento del proposito criminoso di altro concorrente, la mera adesione o autorizzazione o approvazione per rimuovere ogni ostacolo alla realizzazione di esso (cfr. Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, Andreotti, Rv. 226101; Sez. 2, n. 43067 del 13/10/2021, Taglialatela, Rv. 282295; Sez. 3, n. 30035 del 16/3/2021, R., Rv. 281968); pur precisandosi che tale atipicita' concorsuale non esime il giudice di merito dall'obbligo di motivare sulla prova dell'esistenza di una reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalita' efficiente con le attivita' poste in essere dagli altri concorrenti, non potendosi confondere l'atipicita' della condotta criminosa concorsuale, pur prevista dall'articolo 110 c.p., con l'indifferenza probatoria circa le forme concrete del suo manifestarsi nella realta' (cfr. Sez. U Andreotti, cit.). Sulle basi generali che concernono il concorso di persone nel reato proprio non esclusivo, deve ribadirsi, altresi', che risponde del reato di bancarotta fraudolenta colui che, pur non rivestendo la qualifica di imprenditore commerciale (ovvero di amministratore, direttore generale, sindaco o liquidatore di societa' fallita), ed essendo, dunque, un extraneus rispetto al reato, apporti un concreto contributo materiale o morale alla produzione dell'evento (Sez. 5, n. 5158 del 27/2/1992, Capriolo, Rv. 189959; vedi, altresi', coerentemente, Sez. 5, n. 2245 del 14/12/2022, dep. 2023, Vallepiano, Rv. 284118, per un'ipotesi speculare relativa al concorso materiale). Il principio vale anche per il concorso morale nella bancarotta fraudolenta documentale: ne risponde chi, estraneo al reato poiche' coinvolto, come nel caso di specie, non gia' in quanto amministratore o gestore della fallita, bensi' perche' professionista (commercialista) incaricato di fornire consulenze, abbia indotto l'amministratore legale ad attuare condotte di occultamento, distruzione o sottrazione delle scritture contabili, al fine di impedire la ricostruzione degli affari economici della societa' e di recare pregiudizio ai creditori, ideando una vera e propria strategia delittuosa e determinando l'amministratore a realizzarla. La prova del contributo morale di istigazione e vera e propria ideazione del reato proviene, per il ricorrente, dalla chiara indicazione delle conversazioni registrate, trascritte ed acquisite in dibattimento - pienamente utilizzabili, per quanto gia' osservato - delle quali si evidenzia il tenore inequivoco nella sentenza impugnata: (OMISSIS), nel tentativo dichiarato di "limitare i danni", in vista dell'imminente fallimento, prospetta possibili "avvicinamenti" illeciti del curatore ed esplicitamente suggerisce a (OMISSIS) di "non dare le carte" (aggiungendo "..noi non gli diamo in mano una carta della contabilita' 2011: ci sta tutto quanto ma noi non gli daremo niente.. questo e' per imbriacare le carte.. Alla fine le carte non ce ne stanno per ricostruire"). Il tentativo di rivedere la lettura dei contenuti di tali conversazioni si infrange, infine, contro il consolidato principio secondo cui l'interpretazione dei contenuti del linguaggio utilizzato in conversazioni, finanche intercettate, e' questione di fatto, sottratta al sindacato di legittimita' e rimessa alla valutazione del giudice di merito se logica rispetto alle massime di esperienza utilizzate (cfr. Sez. U, n. 22471 del 26/2/2015, Sebbar, Rv. 263715: nel caso di specie, neppure puo' parlarsi di interpretazione, alla luce della chiarezza delle frasi pronunciate dal ricorrente ed attribuitegli al di la' di ogni ragionevole dubbio, per sua stessa ammissione. Anche il secondo ed il terzo motivo di censura, pertanto, sono inammissibili. 4. Fondato e', invece, l'ultimo motivo di ricorso, che denuncia vizio di motivazione contraddittoria o manifestamente illogica, quanto al rigetto della censura d'appello dedicata ad escludere l'aggravante dell'aver causato un danno di rilevante gravita'. La motivazione del provvedimento impugnato, infatti, sconta al riguardo una non chiara formulazione, pregiudicata ulteriormente dalla laconicita' ed unicita' del richiamo argomentativo. Si legge, infatti, "Non si condivide la tesi difensiva in ordine all'esclusione dell'aggravante del danno di rilevante entita', atteso che l'assenza delle scritture contabili, con riferimento alla massa dei creditori, alle dimensioni dell'impresa, nonche' alla possibilita' di esercitare azioni e strumenti a tutela dei loro interessi." La frase sembra interrotta o, quanto meno, frutto di un refuso, sicche' rimane non adeguata, poiche' non chiara e significativamente carente, la motivazione utilizzata dai giudici d'appello per rispondere alla censura difensiva dedicata ad escludere la significativa aggravante prevista dall'articolo 219, comma 1, L. Fall.. In proposito, peraltro, e' utile rammentare che la circostanza aggravante del "danno patrimoniale di rilevante gravita'" di cui all'articolo 219, comma 1, L.F. si configura solo se ad un fatto di bancarotta di rilevante gravita', quanto al valore dei beni sottratti all'esecuzione concorsuale, corrisponda un danno patrimoniale per i creditori che, complessivamente considerato, sia di entita' altrettanto grave (Sez. 5, n. 48203 del 10/7/2017, Meluzio, Rv. 271274). 5. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata limitatamente alla circostanza aggravante del danno di rilevante gravita' ex articolo 219, comma 1, L. Fall., con rinvio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Napoli. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nel resto. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente all'aggravante di cui all'articolo 219 L.F. e rinvia per nuovo esame sul punto ad altra Sezione della Corte d'Appello di Napoli. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROSI E. - Presidente Dott. MESSINI D'AGOSTINI Piero - Consigliere Dott. DE SANTIS Anna M - Consigliere Dott. PERROTTI M. - Consigliere Dott. RECCHIONE S - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 01/03/2022 della CORTE di APPELLO di MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. SANDRA RECCHIONE; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. COCOMELLO ASSUNTA, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi; L'Avv. (OMISSIS), in difesa delle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) chiede il rigetto dei ricorsi deposita conclusioni scritte e nota spese; l'Avv. (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS), l'Avv. (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS), l'Avv. (OMISSIS), e l'Avv. (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS) chiedono l'accoglimento dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1.Ai ricorrenti veniva contestata la "promozione di" (attribuita a (OMISSIS)) e la "partecipazione a" (riconosciuta a (OMISSIS) e (OMISSIS)) una associazione funzionale alla consumazione di un numero indeterminato di truffe verso istituti bancari e persone private, all'esercizio di attivita' di promozione di strumenti finanziari senza autorizzazione, nonche' al rilascio, senza essere iscritti nell'apposito albo, di garanzie finanziarie. Veniva contestato ai ricorrenti di presentarsi quali rappresentanti della societa' di diritto inglese " (OMISSIS)", con succursale operativa a (OMISSIS) e con stabile rappresentanza a (OMISSIS), nonche' con altre sedi operative in localita' italiane ed estere e di avere effettuato, in assenza delle autorizzazioni di legge, attivita' di promozione di servizi finanziari diretti a creare le garanzie per l'accesso al credito bancario di clienti che versavano in gravi situazione economiche, attraverso la predisposizione di un articolato meccanismo, che prevedeva il rilascio di obbligazioni ed il loro impiego in societa' che avrebbero dovuto garantire il credito, ma che, invece, servivano solo ad incamerare fraudolentemente l'anticipo versato dai clienti. La Corte d'appello di Milano: (a) confermava la condanna dei tre ricorrenti per il reato associativo, escludendo l'aggravante della transnazionalita' e rilevando il mancato decorso del termine di prescrizione, (b) dichiarava la prescrizione di tutte le truffe contestate a (OMISSIS) e (OMISSIS), ad eccezione di quelle descritte ai capi 15) e 19), in relazione alle quali confermava la condanna di (OMISSIS), (c) confermava la condanna per le truffe contestate a (OMISSIS), tenuto conto che, a causa del riconoscimento della recidiva, le stesse non risultavano prescritte; (d) assolveva i ricorrenti dalle condotte inizialmente ascritte alla fattispecie prevista dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 166 riqualificate dal Tribunale in quella prevista dalla L. n. 108 del 1998, articolo 16, comma 7, ritenendo che i fatti contestati non sussistessero; (e) assolveva i ricorrenti dai reati previsti dal Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 132 contestati ai capi 4) e 18). 2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS) che deduceva: 2.1. violazione di legge: la sentenza sarebbe stata emessa prima della decisione sulla l'istanza di rimessione, che sarebbe stata 6 depositata il 7 marzo 2022, con violazione del diritto di difesa; 2.2. violazione di legge (articolo 266 c.p.p. e ss.) e vizio di motivazione: la procedura di acquisizione delle intercettazioni sarebbe viziata; si deduceva che i supporti prodotti dal pubblico ministero in data 23 gennaio 2018 non proverrebbero da Torino luogo dell'ascolto - e, dunque, non sarebbero autentici, mentre i CD depositati dal consulente sarebbero solo copie; anche in questo caso sarebbe stato leso il diritto di difesa; 2.3. omessa motivazione: la difesa aveva impugnato tutti i provvedimenti relativi alla utilizzabilita' delle intercettazioni, ma la Corte di appello avrebbe omesso di motivare. 2.4. Violazione di legge (articolo 495 c.p.p.) in ordine alla mancata rinnovazione del dibattimento in seguito al mutamento del collegio: la sentenza sarebbe contraddittoria ed illogica, dato che avrebbe legittimato la compressione del diritto della difesa ad ottenere nuove prove in seguito al mutamento del giudice. 2.5. Violazione di legge (articolo 603 c.p.p.) per mancata rinnovazione del dibattimento in appello: il rigetto della richiesta difensiva sarebbe illegittimo. 2.6. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla conferma dell'affermazione di responsabilita': si contestava integralmente la capacita' dimostrativa delle prove raccolte e si ribadivano le numerose violazioni del diritto di difesa gia' denunciate nel corso del processo. Si deduceva che la motivazione sarebbe illegittima in quanto avrebbe una struttura per relationem, e non avrebbe tenuto in considerazione le allegazioni difensive; nello specifico si contestava la mancata acquisizione di quattro faldoni di documenti allegati dalla difesa. 2.7. Violazione di legge (521 c.p.p.): sarebbe stato leso il diritto di difesa attraverso un mutamento della qualificazione giuridica della condotta da "abusivismo finanziario" ad "abusiva mediazione creditizia"; le doglianze proposte al riguardo non sarebbero state esaminate dalla Corte di appello; 2.8. Violazione di legge (416 c.p.) e vizio di motivazione in ordine alla conferma della responsabilita' per l'associazione a delinquere, in quanto non sarebbero sussistenti, ne' indicati, gli elementi costitutivi programma criminoso, ne' quelli dimostrativi del pactum sceleris e dell'elemento soggettivo; 2.9. violazione di legge (articolo 178 c.p.p. e ss.): si deduceva che il pubblico ministero non avrebbe osteso tempestivamente gli atti e che sarebbe stato impedito alla difesa di opporsi al loro deposito in udienza; 2.10. violazione di legge e vizio di motivazione: si deduceva la carenza di motivazione in ordine ai motivi di appello che deducevano la mancanza di registrazioni-audio delle udienze e le discrasie tra le trascrizioni ed i verbali di udienza; si deduceva altresi' che mancherebbero le trascrizioni integrali e che i verbali di udienza sarebbero omissivi; 2.11. violazione di legge (articolo 133 c.p.) in ordine al trattamento sanzionatorio, che sarebbe stato inflitto riconoscendo illegittimamente l'aggravante del danno ingente e della recidiva. 2.12. Violazione di legge (articolo 538 c.p.p.) e vizio di motivazione in ordine alla conferma delle statuizioni civili. 2.13. Le ragioni del ricorso venivano ribadite con motivi aggiunti, con i quali si invocava anche la astensione di tutti i componenti del collegio. 3. Ricorreva per Cassazione il difensore di (OMISSIS), che deduceva: 3.1. violazione di legge (articolo 157 c.p.) e vizio di motivazione in ordine al calcolo del termine di prescrizione: si contestava la decisione della Corte di appello, che aveva considerato conclusa l'attivita' associativa quando era stata eseguita l'ordinanza che applicava le misure cautelari, ovvero il 15 ottobre 2015, laddove il termine della condotta avrebbe dovuto essere individuato nel (OMISSIS), quando veniva captata l'ultima intercettazione rilevante. 3.2. Violazione di legge (articolo 416 c.p.) e vizio di motivazione in ordine alla conferma della responsabilita', che non avrebbe tenuto conto del ruolo marginale di (OMISSIS), che avrebbe fornito un contributo occasionale e marginale al progetto criminoso, non essendo mai intervenuto nella fase ideativa delle truffe, ne' in quella della consumazione delle stesse; si rimarcava, infatti, che le vittime avevano riferito di non avere mai trattato direttamente con lo stesso. Si deduceva, inoltre, (a) che il ricorrente non avrebbe mai partecipato alle riunioni durante le quali erano state organizzate le truffe e che avrebbe limitato il proprio apporto all'attivita' esterna di supporto nell'apertura delle societa' di diritto anglosassone; (b) che era emerso che i correi non nutrivano alcuna fiducia nel ricorrente; (c) che lo stesso aveva messo in dubbio la legalita' dell'operazione; (d) che non sarebbe stato effettuato nessuno pagamento a (OMISSIS) da parte delle vittime. Da ultimo si deduceva che mancherebbe ogni valutazione in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo, il cui riconoscimento sarebbe contraddetto dal contenuto della telefonata in cui (OMISSIS) aveva messo in dubbio la legalita' delle operazioni. In conclusione: si deduceva che il ricorrente aveva avuto un ruolo marginale e che le condotte emerse sarebbero inidonee ad integrare, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, la fattispecie associativa. 4. Ricorreva per Cassazione il difensore di (OMISSIS) che deduceva: 4.1. vizio di motivazione: la Corte territoriale avrebbe fornito una motivazione illogica e contraddittoria, in quanto, non essendo stati incriminate le persone che avrebbero svolto la decisiva funzione di "mediatore" nella consumazione delle truffe, il progetto associativo verrebbe meno; a cio' si aggiungeva che, da quanto emerso dalle intercettazioni, il ricorrente avrebbe ritenuto corretta l'operazione. Si deduceva (a) che tutti i clienti erano imprenditori, sicche' gli stessi sarebbero stati consapevoli del rischio che si assumevano; (b) che la liceita' delle operazioni si evincerebbe, tra l'altro, dalla perizia di Pietrangeli e dalla produzione di articoli specializzati che dimostrerebbero che la (OMISSIS) avrebbe accettato i titoli (OMISSIS) emessi nel (OMISSIS), contrariamente a quanto aveva riferito il Cap. (OMISSIS); (c) che il luogo ove era avvenuta la contrattazione non avrebbe potuto essere considerato idoneo ad indurre in errore, considerato che si trattava di un ufficio ordinario e non lussuoso; (d) che l'operazione non sarebbe andata a buon fine perche' i clienti non sarebbero stati nelle condizioni di ottenere finanziamenti dalle banche a causa dei loro pessimi rating e dell'assenza di un valido business -plan; (e) che il fatto che ricorrente fosse stato presente in occasione di alcuni incontri con i clienti non implicherebbe un suo ruolo attivo nell'associazione. 4.2.Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al calcolo del termine di prescrizione: la data di cessazione del presunto sodalizio non poteva che essere quella o dell'ultima condotta contestata ((OMISSIS)); inoltre sarebbero state erroneamente calcolate le sospensioni; in particolare si deduceva che i sessantaquattro giorni di sospensione calcolati dalla Corte territoriale in relazione all'emergenza pandemica non avrebbero potuto essere considerati, in ragione del fatto che il termine per il deposito della motivazione della sentenza di primo grado era scaduto il 5 febbraio 2020 e che il ritardo del deposito, dopo la scadenza del massimo termine di legge, non avrebbe potuto incidere negativamente sugli imputati. 4.3. Omessa motivazione in ordine le doglianze proposte con l'atto d'appello in relazione alle truffe: si ribadiva che (OMISSIS) non avrebbe percepito alcun compenso e che non vi sarebbero gli elementi per riconoscere la sua responsabilita' in ordine alle truffe contestate ai capi 15) e 19), dato che le operazioni non erano state concluse a causa della grave situazione economica in cui versavano i clienti; 4.4. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dell'aggravante prevista dall'articolo 61 c.p., n. 7: non sarebbe stato provato che le parti civili avessero subito una grave perdita economica; si ribadiva che le vittime non avevano la possibilita' di ottenere finanziamenti e che le stesse, aderendo alla proposta, sarebbero state consapevoli del rischio. Infine, si deduceva che il danno sarebbe stato calcolato senza fare riferimento ad ogni singola posizione ed in modo generico; 4.5. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla prescrizione per i capi 15) e 19) in relazione ai quali la prescrizione sarebbe decorsa prima della sentenza di appello; 4.6. violazione di legge (articolo 133 c.p.) e vizio di motivazione in ordine alla definizione del trattamento sanzionatorio: non sarebbero stati indicati i parametri alla base della determinazione della pena base, ne' le ragioni poste a sostegno della quantificazione degli aumenti per la continuazione. 4.7. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alle statuizioni civili: mancherebbe la motivazione in ordine al danno, che non poteva essere addebitato a chi, come (OMISSIS), non aveva incassato nulla. Per quanto riguardava il danno non patrimoniale, si sosteneva che anche questo non avrebbe potuto essere riconosciuto, non essendo stata fornita la prova del danno presupposto ovvero quello patrimoniale. Si allegava che, in relazione alle singole posizioni delle persone offese, (OMISSIS) avrebbe avuto una condotta marginale, inidonea produrre i danni che gli sarebbero stati addebitati. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' inammissibile. 1.1.Il primo motivo di ricorso e' inammissibile in quanto generico: si contesta la mancata considerazione di un'istanza di rimessione che non e' stata allegata, ne' precisata nel contenuto. Si ribadisce, sul punto, il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui per l'appello, come per ogni altro gravame, il combinato disposto degli articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera c) e articolo 591, comma 1, lettera c) codice di rito comporta la inammissibilita' dell'impugnazione in caso di genericita' dei relativi motivi. Per escludere tale patologia e' necessario che l'atto individui il "punto" che intende devolvere alla cognizione del giudice di appello, enucleandolo con puntuale riferimento alla motivazione della sentenza impugnata, e specificando tanto i motivi di dissenso dalla decisione appellata che l'oggetto della diversa deliberazione sollecitata presso il giudice del gravame (Sez. 6, n. 13261 del 6.2.2003, Valle, Rv. 227195; Sez. 4, n. 40243 del 30/09/2008, Falcioni, Rv. 241477; Sez. 6, n. 32227 del 16/07/2010, T. Rv. 248037, Sez. 6, n. 800 06/12/2011, dep. 2012, Bidognetti, Rv. 251528). Peraltro, in materia, le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno stabilito che l'appello, al pari del ricorso per cassazione, e' inammissibile per difetto di specificita' dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificita', a carico dell'impugnante, e' direttamente proporzionale alla specificita' con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato (Sez. un n. 8825 del 27/10/2016, Galtelli, Rv. 268822). 1.2. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono inammissibili in quanto ripropongono, in modo reiterativo, questioni gia' ampiamente trattate dalla sentenza di appello, senza identificare vizi logici manifesti decisivi del percorso motivazionale posto a sostegno della sentenza impugnata, ne' allegare travisamenti decisivi della prova. Si ribadisce che e' inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli gia' dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019 Bourtatour, Rv. 277710; Sez. 6, n. 20377 dell'11/03/2009, Arnone Rv. 243838; Sez. 6 n. 12 del 29/10/1996, dep. 1997, Del Vecchio, Rv. 206507). Nel caso in esame la Corte d'appello, valutando le questioni proposte da (OMISSIS) in relazione alle intercettazioni, rilevava (a) che la mancata iniziale acquisizione dei supporti digitali al fascicolo del dibattimento era dovuto ad un errore del perito che si era occupato della trascrizione nel 2016, il quale aveva omesso di depositare i supporti utilizzati per la trascrizione; (b) tale omissione risultava essere stata sanata dal deposito effettuato dal pubblico ministero, su impulso della difesa, il 23 gennaio 2018: la Procura di Milano aveva infatti depositato i supporti informatici trasmessi dal Procuratore della Repubblica di Torino, all'esito di una nuova perizia estrattiva realizzata sui server in cui erano conservate le registrazioni; (c) dei supporti acquisiti veniva effettuata copia autentica dal perito nominato dal Tribunale. Con motivazione ineccepibile, la Corte di appello riteneva che non era possibile dubitare della conformita' agli originali di tale copia, tenuto conto che l'attivita' di estrazione e duplicazione era stata effettuata in fasi distinte da due pubblici ufficiali; a cio' si aggiungeva che la difesa non aveva addotto alcun elemento idoneo a dimostrare la falsita' del materiale raccolto (pagg. 51 e ss. della sentenza impugnata). Si tratta di una motivazione coerente con le emergenze processuali, priva di vizi logici, che si sottrae ad ogni censura in questa sede. 1.3.Sono manifestamente infondate anche le censure rivolte nei confronti del rigetto della richiesta di rinnovazione del dibattimento (motivi quarto e quinto): si censurava sia la mancata rinnovazione chiesta ai sensi dell'articolo 603 c.p.p., sia la contrazione della rinnovazione delle prove testimoniali all'esito del mutamento del collegio. 1.3.1. In materia di rinnovazione del dibattimento in appello il collegio riafferma che la rinnovazione dell'istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell'istruttoria espletata in primo grado, e' un istituto di carattere eccezionale al quale puo' farsi ricorso esclusivamente allorche' il giudice ritenga, nella sua discrezionalita', di non poter decidere allo stato degli atti. (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266820 - 01). A cio' si aggiunge che per "prova decisiva" sia da intendere unicamente quella che, non incidendo soltanto su aspetti secondari della motivazione (quali, ad esempio, quelli attinenti alla valutazione di testimonianze non costituenti fondamento della decisione) risulti determinante per un esito diverso del processo, nel senso che essa, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che, ove fosse stata esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia (Sez. 3, n. 9878 del 21/01/2020, R. Rv. 278670 - OSez, 4, n. 6783 del 23/01/2014, Di Meglio, Rv. 259323; Sez.2, n. 16354 del 28/04/2006, Maio, Rv. 234752). La prova richiesta deve comunque superare il vaglio della rilevanza in relazione al compendio probatorio disponibile: si tratta di una valutazione che rientra tra gli apprezzamenti tipici della giurisdizione di merito che, se espressi con motivazione logica e coerente con le emergenze processuali, si presenta insindacabile in sede di legittimita'. Nel caso in esame la Corte d'appello, con motivazione esente da ogni censura, rilevava che le richieste di rinnovazione proposte ai sensi dell'articolo 603 c.p.p. non erano accoglibili in quanto le prove delle quali si chiedeva la assunzione non risultavano assolutamente necessarie per la decisione, ma anzi si connotavano per il loro carattere "esplorativo" (pagg. 57 e 58 della sentenza impugnata). 1.3.2. Con riguardo alle censure relative alla contrazione delle prove ammesse rispetto a quelle richieste all'esito del mutamento del collegio, si riafferma che l'intervenuto mutamento della composizione del giudice attribuisce alle parti il diritto di chiedere sia prove nuove sia, indicandone specificamente le ragioni, la rinnovazione di quelle gia' assunte dal giudice di originaria composizione, fermi restando i poteri di valutazione del giudice di cui agli articoli 190 e 495 c.p.p. anche con riguardo alla non manifesta superfluita' della rinnovazione stessa (Sez. U, n. 41736 del 30/05/2019, Bajrami, Rv. 276754 - 02). In coerenza con tali indicazioni ermeneutiche la Corte d'appello riteneva legittima l'ordinanza del Tribunale che, il 20 giugno 2019, autorizzava l'esame di venti testimoni a fronte della richiesta di escussione di cinquanta persone - in ragione del fatto che tre testimoni erano stati esaminati dal collegio in nuova composizione mentre venti erano comuni alle altre difese. La Corte di appello ha rilevato l'ampio spazio assegnato al ricorrente per esercitare i suoi diritti di difesa e la correttezza delle valutazioni in ordine alla superfluita' delle prove escluse: anche in questo caso non si registra alcuna lesione delle prerogative difensive. 1.4. Il sesto motivo di ricorso e' inammissibile in quanto si profila generico (si richiama la giurisprudenza citata al §.1.1.), oltre che reiterativo delle doglianze proposte con la prima impugnazione. Lo stesso si risolve, peraltro, nella richiesta di integrale della rivalutazione della capacita' dimostrativa delle prove, attivita' esclusa dal perimetro che circoscrive la competenza del giudice di legittimita'. 1.4.1. In materia di estensione dei poteri della Cassazione in ordine alla valutazione della legittimita' della motivazione si riafferma che la Corte di legittimita' non puo' effettuare alcuna valutazione di "merito" in ordine alla capacita' dimostrativa delle prove, o degli indizi raccolti, dato che il suo compito e' limitato alla valutazione della tenuta logica del percorso argomentativo e della sua aderenza alle fonti di prova che, ove si ritenessero travisate devono essere allegate - o indicate - in ossequio al principio di autosufficienza (tra le altre: Sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015,0., Rv. 262965). Tenuto conto che parte rilevante del compendio probatorio posto a sostegno della conferma della responsabilita' risulta composto da intercettazione, il collegio ribadisce che le intercettazioni non possono essere rivalutate in sede di legittimita' se non nei limiti del travisamento, che deve essere supportato da idonea allegazione: si riafferma cioe' che in sede di legittimita' e' possibile prospettare un'interpretazione del significato di un'intercettazione "diversa" da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza di travisamento della prova, ossia nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformita' risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017 - dep. 2018, Di Maro, Rv. 272558; Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013 - dep. 2014, Napoleoni e altri, Rv. 259516). La valutazione della credibilita' dei contenuti delle conversazioni captate e', infatti, un apprezzamento di merito che investe il significato e, dunque la capacita' dimostrativa della prova, sicche' la sua critica e' ammessa in sede di legittimita' solo ove emerga una illogicita' manifesta e decisiva della motivazione o una decisiva discordanza tra la prova raccolta e quella valutata. 1.4.2. Nel caso in esame, contrariamente a quanto dedotto, la Corte d'appello effettuava una analitica valutazione delle doglianze difensive, offrendo una risposta specifica alle stesse. La Corte di appello confermava le valutazioni del Tribunale in ordine all'articolato meccanismo truffaldino posto in essere da (OMISSIS) e dai suoi sodali, fondandosi sugli elementi introdotti nel processo dalle persone offese, dai testimoni, dagli investigatori e dai periti, elementi che trovavano definitiva ed inconfutabile conferma nel contenuto delle intercettazioni (pagg. 72 e ss. della sentenza impugnata). Con riguardo, nello specifico, alla deduzione relativa alla mancata acquisizione di quattro torni di documenti, il collegio ritiene che la motivazione della sentenza impugnata, con la quale e' stata confermata la legittimita' della decisione del Tribunale - che non aveva ammesso la produzione - non si presta ad alcuna censura; al riguardo, appare decisivo il fatto che non risultava essere stato chiarito quale fosse la rilevanza degli stessi, il che impediva alla Corte di appello di verificarne decisivita' in ordine all'accertamento della responsabilita' (pag. 63 della sentenza impugnata). 1.5. Non supera la soglia di ammissibilita' il settimo motivo, con il quale si deduce una lesione del diritto di difesa correlata al mutamento della qualificazione giuridica della condotta ascritte alla fattispecie prevista dal Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 166 e riqualificate dal Tribunale in quella prevista dalla L. n. 108 del 1998, articolo 16, comma 7. Contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, si tratta di una riqualificazione ininfluente in relazione alle condanne per il reato associativo e le truffe, dato che concerne reati per i quali vi e' stata assoluzione perche' "il fatto non sussiste"; tale riqualificazione, invero, non ha alcuna incidenza sui reati in relazione ai quali vi e' stata la conferma dell'accertamento di responsabilita', tenuto conto che vi e' stato un accurato vaglio sia in ordine alla sussistenza della condotta associativa, che di quella fraudolenta agita in danno degli imprenditori in difficolta' finanziarie; tale vaglio resiste alle doglianze difensive, e prescinde alla riqualificazione delle condotte per le quali vi e' stata assoluzione. 1.6. L'ottavo motivo, che contesta radicalmente la conferma della responsabilita' in ordine al reato associativo, non e' consentito. Anche in questo caso la doglianza si risolve nella richiesta di rivalutare la capacita' dimostrativa delle prove e non individua vizi logici manifesti e decisivi del percorso motivazionale posto a sostegno della decisione di conferma (si richiama la giurisprudenza citata al § 1.4.1.). Secondo la Corte d'appello le concordi dichiarazioni testimoniali e le intercettazioni avevano dimostrato con certezza la serialita' della condotta incriminata: le vittime erano imprenditori in gravi difficolta' economiche, ai quali - a causa delle difficolta' finanziarie in cui versavano - era precluso l'accesso al credito; questi venivano contattati da un mediatore o da un consulente e, una volta presentati a (OMISSIS) e (OMISSIS), ricevevano la prima spiegazione del meccanismo attraverso il quale avrebbero potuto accedere ai finanziamenti bancari. Le persone offese, quindi, sottoscrivevano a (OMISSIS) - e talvolta in (OMISSIS) - un contratto di mandato irrevocabile dal contenuto "fumoso", al quale era legato un cronoprogramma articolato e versavano un primo acconto, funzionale all'avvio della pratica; successivamente le vittime venivano invitate in (OMISSIS) per formalizzare la costituzione della Ltd inglese o per aprire il conto corrente della societa' estera; seguivano talora ulteriori operazioni, nella maggior parte dei casi non comprese dagli imprenditori-vittime, che avevano solo l'obiettivo di ottenere l'accesso ai finanziamenti bancari, fine ultimo dell'operazione. Invero, nonostante il versamento dell'acconto la procedura si concludeva, di solito, con il recesso della (OMISSIS), causato, secondo la versione di comodo offerta alle vittime, dall'inadempimento delle stesse o dal mutamento di normative non meglio precisate. A cio' si aggiungeva che al recesso non faceva mai seguito la restituzione agli offesi delle somme versate (la condotta emergeva con chiarezza dalla telefonata intercettata al progr. n. 9619 del 24 Febbraio 2014). Emergeva, altresi', la precisa ripartizione dei ruoli all'interno dell'associazione: (OMISSIS) era il promotore del sodalizio, ovvero l'uomo a cui si rivolgevano i mediatori, le vittime, e gli associati (OMISSIS) e (OMISSIS); egli era anche il direttore delle sedi di (OMISSIS), nonche' il punto di riferimento delle strutture operative in Italia e all'estero all'interno delle quali, pero', non rivestiva alcuna carica formale. (OMISSIS) informava i clienti dell'esito delle pratiche operava sui conti correnti situati in (OMISSIS) sui quali pervenivano gli accrediti delle somme di denaro erogate dai clienti a titolo di acconto per le prestazioni concordate: le intercettazioni delle numerosissime conversazioni intercorse tra (OMISSIS) e (OMISSIS) accreditavano inconfutabilmente il suo ruolo gestore nelle trattative con i clienti. Il compendio probatorio tratteggiato indicava univocamente la responsabilita' del ricorrente, sia per la sussistenza del consorzio, che per la identificazione del ruolo di promotore di (OMISSIS) (pagg. 69 e ss. della sentenza impugnata). 1.7. Sono manifestamente infondati il nono ed il decimo motivo, con i quali il ricorrente ripropone le eccezioni processuali, risolte con ordinanze endoprocessuali, la cui legittimita' era stata confermata da entrambe le sentenze di merito. Nel dettaglio: (a) la Corte d'appello rilevava che il sistema "ordinario" di documentazione dell'attivita' d'udienza e' quello della verbalizzazione stenotipica, derogabile solo in presenza di emergenze eccezionali, che non erano state ritenute sussistenti nel caso di specie, sicche' la richiesta di audio-registrazione integrale delle udienze appariva del tutto ingiustificata; (b) la Corte di appello rilevava inoltre che non sussistevano riscontri oggettivi - non indicati neanche con il ricorso per Cassazione - all'asserito difetto di coincidenza tra le trascrizioni ed i verbali di udienza. Infine, non supera la soglia di ammissibilita' la deduzione circa la "mancata ostensione" degli atti da parte dell'accusa, tenuto conto che la stessa non risulta circostanziata e non rivela la decisivita' del presunto vizio. 1.8. L'undicesimo motivo che contesta il trattamento sanzionatorio non e' consentito, in quanto si risolve nella richiesta di un nuovo esercizio della discrezionalita' in ordine alla definizione del trattamento sanzionatorio. 1.8.1.La Corte rilevava - con motivazione che si sottrae ad ogni censura - che non erano emersi elementi di positiva valutazione idonea a giustificare il riconoscimento delle attenuanti generiche e che (a) la gravita' degli addebiti a carico di (OMISSIS), (b) la peculiare pericolosita' e professionalita' nell'agire criminoso dimostrate dallo stesso nell'organizzare e promuovere il sodalizio, (c) i plurimi e specifici precedenti vantati, (d) il comportamento processuale privo di segnali di resipiscenza ostavano all'invocato ridimensionamento della pena (pag. 109 della sentenza impugnata). 1.8.2. Veniva ampiamente giustificato anche il riconoscimento dell'aggravante del danno ingente: la Corte di appello riteneva che, per ritenere sussistente l'aggravante, non rilevava solo il materiale esborso delle somme versate dalle vittime, ma altresi' la grave perdita economica subita in conseguenza del fallimento dell'operazione, che si configurava come una sorta di "salvavita" per le imprese decotte, nella quale erano state investite le ultime risorse disponibili. Si tratta di una motivazione coerente con l'ampia discrezionalita' riconosciuta al giudice di merito nella valutazione della gravito' del danno, che deve essere valutato in relazione a tutti i pregiudizi subiti in concreto dalle vittime. 1.8.3. Si rileva, a margine, che il mutamento del regime di procedibilita' del reato di truffa (sempre procedibile a querela con l'entrata in vigore della c.d. "riforma Cartabia") non rileva tenuto conto dell'inammissibilita' del ricorso (Sez. U, Sentenza n. 40150 del 21/06/2018, Salatino, Rv. 273551 - 01). 1.9. Le contestazioni in ordine alle statuizioni civili (undicesimo motivo) non superano la soglia di ammissibilita'. Il collegio riafferma che il provvedimento con il quale il giudice di merito, nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno, assegna alla parte civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva non e' impugnabile per cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento (Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014, P.C. e G, Rv. 261536; Sez. U, n. 2246 del 19/12/1990 - dep.1191, Capelli, Rv. 186722-01). A cio' si aggiunge che, nel caso in esame, la Corte di appello, con motivazione ineccepibile, riteneva che non si rilevavano i presupposti per una revoca, ovvero mitigazione, delle provvisionali, a fronte di un fumus pacificamente accertato del danno patito dalle parti civili e della modesta entita' della provvisionale riconosciuta (pag. 108 della sentenza impugnata). La motivazione contestata non si presta ad alcuna censura in questa sede. 1.10. L'inammissibilita' del ricorso principale si estende ai motivi aggiunti. Si ribadisce, infatti, che rinammissibilita' del motivo originario si estende ai motivi nuovi dato che in materia di impugnazioni, l'indicazione di motivi generici nel ricorso, in violazione dell'articolo 581 c.p.p., lettera c), costituisce di per se' motivo di inammissibilita' del proposto gravame, anche se successivamente, ad integrazione e specificazione di quelli gia' dedotti, vengano depositati nei termini di legge i motivi nuovi ex articolo 585 c.p.p., comma 4, (tra le altre: Sez. 6, n. 471414 del 30/10/2008, Arruzzoli, Rv. 242129). 2. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' inammissibile. 2.1.il primo motivo che invoca la retrodatazione della data di consumazione del reato associativo non supera la soglia di ammissibilita' perche' richiede una valutazione della capacita' dimostrativa delle prove esclusa dalla competenza del giudice di legittimita' (si richiama la giurisprudenza citata al § 1.4.1). In relazione ad analoga doglianza avanzata con la prima impugnazione la Corte ha offerto una motivazione ineccepibile, rilevando che la data dell'esecuzione della custodia cautelare indicava il termine dell'attivita' associativa, considerato che non vi erano prove indicative della ulteriore prosecuzione della stessa. L'invocata retrodatazione, alla data dell'ultima intercettazione, non poteva essere presa in considerazione, dato che il termine delle attivita' investigative non indicava il termine dell'attivita' criminosa. Il termine dell'attivita' associativa veniva invece fatto risalire all'arresto di tutti i sodali, evento sicuramente idoneo ad interrompere l'azione del consorzio. 2.2. Anche il secondo motivo - che contesta la conferma della responsabilita' di (OMISSIS) per la partecipazione all'associazione - non e' consentito, in quanto ripropone le doglianze gia' avanzate con l'atto d'appello, superate dalla sentenza impugnata con motivazione priva di fratture logiche ed aderente alle emergenze processuali. La Corte di appello, ribadendo il percorso logico argomentativo segnato dal Tribunale, rilevava come (OMISSIS) fosse il trait d'union del gruppo con l'estero, tenuto conto che lo stesso ricopriva la carica di amministratore unico delle agenzie (OMISSIS), (OMISSIS) s.r.l., facenti parte del "Corporate Group" di (OMISSIS) e costituiva oltre cinquanta societa' aventi il medesimo dominio di posta elettronica. Da numerose conversazioni intercettate era emerso che (OMISSIS), oltre ad essere uno dei collaboratori piu' stretti di (OMISSIS), era anche un dipendente della New Limited - come risultava chiaramente dal contenuto della conversazione registrata al progr. n. 2261 del 22 marzo 2014 - ed era il referente dell'associazione per l'apertura delle filiali estere. Dal compendio probatorio raccolto era emerso con chiarezza che (OMISSIS) eseguiva le direttive di (OMISSIS), si occupava della costituzione delle societa' inglesi e curava che le stesse avessero una veste formale credibile, idonea a trarre in inganno i clienti. Tale condotta era supportata - nella valutazione ineccepibile della Corte territoriale dalla piena consapevolezza dell'agire criminoso: che (OMISSIS) fosse consapevole del suo ruolo nell'organizzazione emergeva, infatti, con chiarezza dal contenuto delle intercettazioni registrate ai progr. n 10865 del 6 marzo 2014 e n. 2661 del 22 marzo 2014. Segnatamente, dalla conversazione del 22 marzo 2014 emergeva chiaramente la tensione progettuale ed organizzativa dei sodali, che intendevano approntare nuove tecnologie idonee a comunicare in tempo reale lo stato delle pratiche ed aprire altre filiali all'estero. Si tratta di prove che, nella persuasiva valutazione effettuata dai giudici di merito, confermavano l'indeterminatezza del programma criminoso e la vitalita' dell'associazione (pag. 86 della sentenza impugnata). Nonostante tale corposo compendio probatorio, la difesa insisteva nel proporre una lettura sminuente del ruolo di (OMISSIS), che tuttavia non trovava alcuna conferma nelle emergenze processuali. Contrariamente a quanto dedotto, con motivazione priva di vizi logici e coerente con le prove raccolte, la Corte di merito ribadiva che il ricorrente aveva avuto un ruolo decisivo nell'ambito dell'associazione, considerato che si occupava delle societa' di diritto inglese, anche se non aveva alcun contatto diretto con i clienti (il che giustificava il fatto che le vittime non avessero fatto riferimento a (OMISSIS)). La motivazione, sul punto, non si presta dunque ad alcuna censura in questa sede. 3.Infine: e' inammissibile anche il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS). 3.1. Il primo ed il terzo motivo di ricorso, con i quali il ricorrente contestava radicalmente la legittimita' della conferma di responsabilita' sia per il reato associativo, che per le due truffe non prescritte (descritte ai capi 15) e 19) non raggiungono la soglia di ammissibilita', in quanto si risolvono nella richiesta di rivalutazione della capacita' dimostrativa delle prove e ripropongono doglianze gia' avanzate con la prima impugnazione e disattese dalla Corte territoriale, con motivazione logica e coerente con le emergenze processuali (si richiama la giurisprudenza citata al § 1.4.1.). La Corte di appello, con motivazione puntuale e priva di fratture logiche, rilevava che le testimonianze delle persone offese avevano attestato la costante presenza di (OMISSIS) agli incontri con (OMISSIS), sia in Italia, che Svizzera; segnatamente: (OMISSIS) si coordinava con (OMISSIS) per la costituzione delle societa' inglesi e svolgeva l'attivita' di referente e procuratore di BHC Investment per la fornitura di titoli storici; le testimonianze raccolte (significative quella di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) trovavano conferma nelle intercettazioni, che manifestavano in modo assolutamente inequivoco l'impegno di (OMISSIS) per l'attuazione delle truffe gestite dal sodalizio (pagg. 84 e 85 della sentenza impugnata). La Corte d'appello confermava, inoltre, la responsabilita' per le truffe, rilevando come le testimonianze delle persone offese risultassero - anche in questo caso - confermate da documenti ed intercettazioni: tale completo compendio probatorio consentiva di ricostruire analiticamente lo schema delle azioni fraudolente in danno di imprenditori in crisi di liquidita' e di svelare il "ferrato connubio (OMISSIS)- (OMISSIS)", che forniva all'esterno una parvenza di affidabilita' e garanzia di buon esito delle operazioni proposte. Contrariamente a quanto dedotto, sia con l'atto di appello, che con il reiterativo ricorso per cassazione, risultava impossibile ricondurre le condotte emerse ad una lecita pratica contrattuale (pag. 89 della sentenza impugnata). Si tratta di motivazione persuasiva, coerente con le prove raccolte e priva di vizi logici, che si sottrae ad ogni censura in questa sede. 3.2.Il secondo motivo di ricorso, che invoca la retrodatazione del termine di consumazione del reato associativo, cui conseguirebbe l'estinzione del reato per il decorso del termine di prescrizione, e' sovrapponibile a quello proposto da (OMISSIS); si rinvia, sul punto, a quanto gia' esposto sub § 3.1.. 3.3. Il quarto motivo di ricorso e' manifestamente infondato. Il ricorrente contesta la valutazione in ordine alla sussistenza dell'aggravante correlata alla causazione di un danno ingente, ribadendo che le parti civili avevano interesse ad ottenere i finanziamenti, tenuto conto che le stesse versavano in una situazione che gli impediva l'accesso al credito, sicche' le stesse erano ben consapevoli del rischio che correvano e lo avevano accettato. Si tratta di una doglianza che e' gia' stata valutata dalla Corte territoriale con motivazione ineccepibile, che non si presta ad alcuna censura in questa sede. Gia' con l'atto d'appello (OMISSIS) si era doluto della mancata specificazione delle situazioni economiche di ciascuna persona offesa ed aveva invocato la disapplicazione dell'aggravante. La Corte di merito aveva invece rilevato che il danno patrimoniale correlato alla truffa contrattuale non puo' ritenersi integrato solo dalla perdita economica subita dal contraente-vittima, ma anche dalla mancata acquisizione di un utile; nel caso in esame, doveva pertanto essere considerato non solo il valore economico del contratto, ma anche alla grave perdita economica subita dagli offesi in conseguenza del fallimento dell'operazione che aveva deviato le ultime risorse a disposizione delle vittime verso la proposta truffaldina: gli offesi avevano cosi' perduto la possibilita' di tentare altre strade per procurarsi la liquidita' necessaria per garantire la sopravvivenza delle loro attivita' (sul punto le testimonianze delle vittime risultavano confermate dalla documentazione prodotta dalle parti civili e dal pubblico ministero pag. 91 della sentenza impugnata). Si tratta di una motivazione che, come gia' rilevato in occasione dell'esame del ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS), esprime in modo puntuale le ragioni della sussistenza dell'aggravante in coerenza con l'ampia discrezionalita' esercitabile per effettuare tale valutazione e della rilevanza di tutti i pregiudizi patiti dalle vittime. 3.4.Con l'ultimo motivo di ricorso si invocava la prescrizione per i capi 15) e 16) ritenendo deducendo che il termine sarebbe decorso prima della sentenza di appello. Si tratta di doglianza manifestamente infondata in quanto dall'analisi degli atti risultano centosessanta giorni di sospensione della prescrizione (come rilevato a pag. 89 della sentenza impugnata), sicche', alla data della pronuncia della sentenza di secondo grado, i termini di prescrizione non risultavano decorsi. Il collegio ritiene che, contrariamente a quanto dedotto, sia legittimo anche il calcolo dei sessantaquattro giorni di sospensione dovuti all'emergenza pandemica. Invero, a fronte del fatto che il dispositivo della sentenza di primo grado e' stato letto il 7 novembre 2019, poiche' la sentenza e' stata depositata il 7 aprile 2020, dunque oltre il novantesimo giorno dalla decisione, il 9 marzo 2020 - giorno in cui entrava in vigore la disciplina speciale - era pendente il termine per l'impugnazione che, nel caso di specie, decorreva dalla notifica alle parti del deposito della sentenza. Lo slittamento del dies a quo del termine per impugnare, nel caso di deposito fuori termine e' previsto dall'articolo 582 c.p.p., comma 2 lettera c): si tratta di uno slittamento che non e' arbitrario, ma stabilito ex lege. Pertanto tale termine, come tutti quelli che decorrevano nel periodo "8 marzo- 11 maggio 2020", deve considerarsi legittimamente prolungato, con correlata sospensione dei termini di prescrizione, nel pieno rispetto delle disposizioni eccezionali introdotte in relazione all'emergenza pandemica. 4.Alla dichiarata inammissibilita' del ricorso consegue, per il disposto dell'articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonche' al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in Euro tremila. Devono essere condannati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sia (OMISSIS), che (OMISSIS) (non si condanna (OMISSIS), dato che tale imputato con il ricorso non ha impugnato le statuizioni civili); tali spese, tenuto conto dei parametri vigenti si liquidano in complessivi Euro 3686,00, oltre accessori di legge. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna inoltre gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenuta nel presente giudizio dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che liquida per ciascuno in complessivi Euro 3686,00, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BELTRANI Sergio - Presidente Dott. BORSELLINO Maria Daniela - Consigliere Dott. DI PISA Fabio - Consigliere Dott. PACILLI G.A.R. - rel. Consigliere Dott. NICASTRO Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza n. 450/2021 emessa dalla Corte d'appello di Potenza il 24 settembre 2021; Visti gli atti, la sentenza e i ricorsi; udita nell'udienza del 7 febbraio 2023 la relazione fatta dal Consigliere Giuseppina Anna Rosaria Pacilli; udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Raffaele Gargiulo, che ha chiesto di rigettare il ricorso di (OMISSIS) e di annullare senza rinvio limitatamente alla confisca e di rigettare nel resto il ricorso di (OMISSIS); uditi l'avv. Luigi Angelucci, difensore di (OMISSIS), e gli avv.ti (OMISSIS), in sostituzione dell'avv. (OMISSIS), difensori di (OMISSIS), i quali hanno chiesto l'accoglimento dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 24 settembre 2021 la Corte di appello di Potenza, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale della stessa citta' il 12 marzo 2018, per cio' che rileva in questa sede, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) in ordine al reato di truffa pluriaggravato, perche' estinto per prescrizione, e ha confermato le statuizioni civili di primo grado. Ha confermato, inoltre, la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), condannato alla pena ritenuta di giustizia per il reato di usura pluriaggravato. 2. Avverso la sentenza della Corte territoriale hanno proposto ricorsi per cassazione i difensori di (OMISSIS) e (OMISSIS). 3. Il difensore di (OMISSIS) ha dedotto i seguenti motivi. 3.1 erronea applicazione dell'articolo 644 c.p. in relazione all'articolo 379 c.p. L'affermazione di responsabilita' dell'imputato sarebbe stata basata sulle dichiarazioni della persona offesa, poco credibile, sui pizzini, oggetto di consulenza tecnica di ufficio, e sulle dichiarazioni di (OMISSIS), che avrebbe sostenuto che, in un periodo in cui doveva andare al mare, aveva chiesto all'imputato di ricevere circa 60.000,00 Euro, che gli avrebbe consegnato la persona offesa. Seppure fosse vera la circostanza della consegna di denaro da parte della persona offesa all'imputato su ordine di (OMISSIS), in assenza di ulteriori riscontri, i fatti sarebbero qualificabili ai sensi dell'articolo 379 c.p. e non come usura; 3.2 vizi di motivazione su un risultato di una prova incontestabilmente diverso da quello reale. La sentenza impugnata avrebbe operato un mero rinvio alla sentenza di primo grado, senza dare risposta ai motivi di gravame con particolare riferimento a quelli relativi alla vendita dell'autovettura Porsche 911, il cui valore sarebbe servito per pagare i debiti contratti con (OMISSIS). Dalla trascrizione delle conversazioni intercettate emergerebbe, inoltre, che la persona offesa e i suoi interlocutori non avrebbero mai fatto riferimento all'imputato e i pizzini, oggetto di perizia, sarebbero tutti generici e senza una data certa, oltre che falsi, in quanto gli stessi risultavano vergati nel 2008, cosi' come riportato a pagina 73 e 8 dell'allegato 16 della C.T.U.; 3.3 violazione di legge, per non essere stata dichiarata la prescrizione del reato. Non vi sarebbe certezza sul periodo dell'ultimo pagamento, effettuato nei confronti dell'imputato da parte della persona offesa, sicche' bisognerebbe applicare lo stesso dato temporale preso in considerazione per i coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS) e, per l'effetto, ritenere abbondantemente decorso il termine di prescrizione. 4. Il difensore di (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)) ha dedotto i seguenti motivi: 4.1 mancanza di motivazione sull'atto d'appello, depositato dall'avv. (OMISSIS). La Corte d'appello avrebbe preso in considerazione solo i motivi di appello contenuti nell'atto depositato dal codifensore avv. (OMISSIS). La fondatezza di tale rilievo si evincerebbe anche dal fatto che la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto delle prove valorizzate nell'atto di appello, tra cui la sentenza emessa nel procedimento a carico di (OMISSIS), i pizzini, trasfusi graficamente nell'atto di appello medesimo, le dichiarazioni dei testi d'accusa favorevoli e, nel contempo, decisive per l'imputato; 4.2 vizi della motivazione. La Corte di appello ha confermato le prescrizioni civili, condividendo la valutazione delle risultanze istruttorie, operata dal Tribunale, e richiamando le propalazioni della parte civile (OMISSIS) e della teste (OMISSIS), ex segretaria di (OMISSIS), la quale aveva riferito di aver consegnato personalmente a (OMISSIS) una somma pari a Euro 150.000,00. La Corte di appello avrebbe trascurato tutti i rilievi, riportati nel secondo motivo del presente ricorso, e avrebbe travisato la prova complessivamente acquisita, da cui non emergerebbe che la procura a vendere l'immobile in Bari fosse stata rilasciata da (OMISSIS) in favore di (OMISSIS), che, invece, sarebbe stato ignaro dell'esistenza di tale procura e che, del resto, non sarebbe mai stato coinvolto nell'operazione contrattuale in questione, come emerso dalle dichiarazioni della teste (OMISSIS); 4.3 violazione di legge in relazione agli articoli 578 e 578 bis c.p.. Premesso che il giudice di secondo grado, pur prendendo atto della sopravvenuta causa estintiva del reato, per la presenza della parte civile e ai fini delle statuizioni civili, ha l'obbligo di motivare, il ricorrente ha dedotto che la Corte d'appello avrebbe omesso di motivare sulla ritenuta responsabilita' dell'imputato. 5. Il difensore di (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)) ha dedotto i seguenti motivi: 5.1 violazione di legge per non avere la Corte di appello dato risposta a tutti i motivi di appello e per non aver considerato l'atto di appello dell'avv. (OMISSIS) ne' nell'enunciazione dei motivi, proposti nell'interesse di (OMISSIS), ne' nella motivazione; 5.2 violazione e falsa applicazione degli articoli 2643, 2657 e 1724 c.c. Con l'atto di appello era stata censurata l'erronea valutazione dei mezzi di prova e, quindi, l'omesso apprezzamento dell'ininfluenza della procura irrevocabile a vendere del 20 febbraio 2004, autenticata dal notaio (OMISSIS). La Corte d'appello avrebbe ritenuto rilevante la procura a vendere, avendo trascurando pero' che: al momento della redazione di essa l'imputato non sarebbe stato presente; in nessun atto risulterebbe che egli avesse ricevuto la procura e avesse avuto conoscenza dell'esistenza del documento; la procura non sarebbe stata rinvenuta presso l'imputato ma presso la persona offesa. Per di piu', la procura non sarebbe efficace, poiche' se avente natura di atto unilaterale, sarebbe mancata l'accettazione dell'imputato; se avente natura di atto bilaterale, sarebbe difettata la sottoscrizione del procuratore. Peraltro, (OMISSIS) aveva gia' in precedenza conferito incarico di intermediazione immobiliare a una societa' e tale incarico non risulterebbe ne' revocato ne' sospeso, sicche' la procura irrevocabile a vendere in questione era affetta da nullita' per sopravvenuta mancanza/inesistenza dell'oggetto; 5.3 violazione dell'articolo 192 c.p.p. e vizi della motivazione, per non essere la persona offesa stata sentita come imputato di procedimento connesso, con conseguente valutazione delle sue dichiarazioni unitamente agli altri elementi di prova. Secondo il ricorrente, le sue dichiarazioni, come quelle dell'altra testimone, sarebbero state sconfessate dal fatto che la procura a vendere non sarebbe stata rinvenuta nella disponibilita' dell'imputato; la procura a vendere non sarebbe mai stata eseguita da (OMISSIS), avendo trovato attuazione il mandato di intermediazione immobiliare rilasciata al soggetto che poi ha curato l'affare; l'immobile non sarebbe stato venduto da (OMISSIS) ma direttamente dal proprietario; non sarebbe vero che l'importo, ricavato dalla vendita, sarebbe stato versato a (OMISSIS) tramite (OMISSIS), essendo invece stato trattenuto da (OMISSIS), che ne avrebbe liberamente disposto; 5.4 violazione dell'articolo 153 c.p., avendo la Corte territoriale errato nel calcolare la prescrizione del reato, che si sarebbe verificata il 13 giugno 2012, ossia dinanzi al giudice di primo grado, dovendosi applicare la legge antecedente al 2005 ed essendo i prestiti usurari stati effettuati nell'anno 2004; 5.5 violazione dell'articolo 578 bis c.p.p. e articoli 240 bis e 322 bis c.p., articolo 644 c.p., u.c.. Dopo aver ricordato che e' stata sottoposta a confisca la casa di famiglia, a lui pervenuta per successione paterna nell'agosto del 1978, il ricorrente ha dedotto che l'immobile non potrebbe essere frutto o provento del reato in contestazione. Peraltro, l'immobile sarebbe del valore di Euro 1.512.350,00 e, quindi, la confisca non sarebbe stata disposta nei limiti degli interessi usurari. 6. Si da' atto che sono pervenute conclusioni scritte e nota spese nell'interesse della parte civile (OMISSIS). CONSIDERATO IN DIRITTO 1. La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente alla confisca disposta nei confronti di (OMISSIS) mentre i ricorsi, proposti da quest'ultimo, sono inammissibili nel resto; il ricorso presentato da (OMISSIS) e' inammissibile. 2. Prendendo le mosse dai ricorsi di (OMISSIS), deve rilevarsi che il primo motivo di essi, con cui si e' dedotto che la Corte territoriale non avrebbe esaminato l'atto di appello a firma dell'avv. (OMISSIS), e' manifestamente infondato. Dalla lettura della pronuncia impugnata, infatti, emerge che la Corte d'appello, pur non dando atto specificamente dei due atti di impugnazione proposti nell'interesse di (OMISSIS), ha riassunto i rilievi censori in essi formulati, che si sostanziavano - come indicato a pagina 6 della sentenza in scrutinio - nella nullita' della sentenza di primo grado, per omessa valutazione delle memorie ex articolo 121 c.p.p., depositate all'udienza del 12 marzo 2018, e nell'erronea valutazione delle risultanze istruttorie: espressione, quest'ultima, sintetica ma riassuntiva anche delle deduzioni espresse nell'atto di appello a firma dell'avv. (OMISSIS). A tali rilievi la Corte territoriale ha dato risposta, dovendosi comunque considerare che il giudice d'appello non e' tenuto a rispondere a tutte le argomentazioni svolte nell'impugnazione, giacche' le stesse possono essere disattese per implicito o per aver seguito un differente iter motivazionale o per evidente incompatibilita' con la ricostruzione effettuata (per tutte, Sez. 6, n. 1307 del 26/9/2002, Rv. 223061). 3. Il secondo motivo di entrambi i ricorsi, proposti da (OMISSIS), e il terzo motivo del ricorso a firma dell'avv. (OMISSIS), sono in parte non consentiti e, in parte, privi di specificita'. 3.1 Deve premettersi che, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, la Corte del merito non si e' limitata ad aderire alle conclusioni, a cui era pervenuto il Giudice di primo grado, ma ha dato adeguata risposta ai motivi di gravame, tenuto conto comunque che, come gia' ricordato nel precedente paragrafo, devono ritenersi implicitamente disattesi i rilievi censori incompatibili con l'iter logico motivazionale della pronuncia adottata. 3.2 Cio' posto, deve rilevarsi che la Corte territoriale, al pari del Tribunale, ha ritenuto accertato che (OMISSIS), coinvolto in un'attivita' usuraria, duratura e reiterata, ai danni dell'imprenditore (OMISSIS), riceveva il denaro, impiegato nei prestiti usurari, da "professionisti finanziatori" che erano a conoscenza dell'impiego delle somme da essi erogate. Tra tali finanziatori vi era anche il ricorrente, come comprovato, in particolare, dalle dichiarazioni della persona offesa, relative a taluni pagamenti del debito usurario da lei effettuati proprio a mani del ricorrente, nonche' dalle intercettazioni richiamate nella sentenza, dagli appunti contabili sequestrati, dalle deposizioni testimoniali e dal coinvolgimento del ricorrente in un'operazione di vendita immobiliare, posta in essere dalla persona offesa per soddisfare i suoi "finanziatori". La persona offesa, infatti, aveva rilasciato in favore dell'imputato, una procura speciale a vendere, relativa a un immobile sito in (OMISSIS), di proprieta' di suo figlio; atto formato con funzione di garanzia, su esplicito ordine scritto del (OMISSIS). A fronte di siffatte argomentazioni le deduzioni, formulate nel ricorso, per un verso, sono prive di specificita', non confrontandosi con la compiuta e lineare motivazione della sentenza impugnata e, dunque, omettendo di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la pronuncia, oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 20377 dell'11/3/2009, Rv. 243838); per altro verso, sono volte a sollecitare una rilettura delle emergenze processuali, non consentita in questa sede (ex plurimis Sez. U, n. 47289 del 24/9/2003, Rv. 226074). Giova precisare - con specifico riguardo al secondo e al terzo motivo del ricorso a firma dell'avv. (OMISSIS), che le deduzioni relative alla violazione dell'articolo 192 c.p.p., per non essere la persona offesa stata sentita come imputato di procedimento connesso, e sulla nullita' e inefficacia della procura a vendere, rilasciata in favore del ricorrente dalla persona offesa, non sono state oggetto di appello e implicano anche accertamenti in fatto, preclusi a questa Corte. Ad ogni modo, per un verso, deve evidenziarsi che cio' che ha assunto rilievo e' stato il rilascio della procura di per se' considerato, a prescindere dall'essere tale atto valido ed efficace, trattandosi di circostanza apprezzata non gia' al fine di valutarne gli effetti della procura sul piano civilistico ma al fine di confortare il narrato della persona offesa sul coinvolgimento anche del ricorrente nella vicenda usuraria; per altro verso, deve osservarsi che le dichiarazioni della persona offesa sono state comunque valutate congiuntamente ad altri elementi del compendio probatorio, posto a base dell'affermazione della responsabilita' del ricorrente. 4. Il quarto motivo del ricorso a firma dell'avv. (OMISSIS) e' manifestamente infondato. Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, il reato non si e' estinto a giugno 2012, ossia in data antecedente alla pronuncia della sentenza di primo grado, applicando sia la nuova che la vecchia disciplina sulla prescrizione. Deve rilevarsi, infatti, che all'epoca dei fatti (2004, come accertato in sentenza e non posto in discussione dal ricorrente) il reato di usura era punito con la pena della reclusione da 1 a 6 anni e, applicando la vecchia disciplina sulla prescrizione, il relativo termine e' pari a 15 anni (10 anni piu' la meta' di 10). Il termine di 15 anni ha subito sospensioni per 1 anno, 9 mesi e 10 giorni, come indicato a pagina 12 della sentenza impugnata. Con la nuova disciplina sulla prescrizione il termine e' pari a 25 anni. Deve ricordarsi che questa Corte (Sez. 5, n. 43343 del 5/10/2010, Rv. 248783 - 01) ha gia' avuto modo di affermare che, in tema di prescrizione, non e' consentita l'applicazione simultanea di disposizioni introdotte dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251 e di quelle precedenti, secondo il criterio della maggiore convenienza per l'imputato, occorrendo applicare integralmente l'una o l'altra disciplina. Calcolando la prescrizione con la nuova disciplina, quindi, deve considerarsi che il reato di usura e' punito con la pena della reclusione da 2 a 10 anni e, nel caso in esame, trattasi di usura con piu' aggravanti ad effetto speciale, che incidono sul calcolo, per cui, per effetto di esse, i 10 anni di pena edittale vanno aumentati della meta' ai sensi dell'articolo 644 c.p., comma 5, a cui va aggiunto 1/3 ai sensi dell'articolo 63 c.p., comma 4, (v. Sez. 6, n. 23831 del 14/05/2019, Rv. 275986 - 01, secondo cui, ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, deve aversi riguardo, in caso di concorso fra circostanze ad effetto speciale, all'aumento di pena massimo previsto dall'articolo 63 c.p., comma 4, per il concorso di circostanze della stessa specie, a nulla rilevando che l'aumento previsto da tale disposizione, una volta applicato quello per la circostanza piu' grave, sia facoltativo e non possa eccedere il limite di un terzo), oltre a 1/4 per l'atto interruttivo. Inoltre, anche in tal caso occorre considerare che il termine ha subito sospensioni per 1 anno, 9 mesi e 10 giorni, come indicato a pagina 12 della sentenza impugnata. 5. A conclusioni diverse deve pervenirsi con riguardo al terzo motivo del ricorso a firma dell'avv. (OMISSIS) e al quinto motivo del ricorso a firma dell'avv. (OMISSIS), concernenti la confisca. 5.1 I motivi devono essere accolti per ragioni diverse da quelle indicate dal ricorrente, che ha fatto leva su rilievi implicanti accertamenti in fatto o smentiti dalla motivazione della sentenza impugnata, che ha disposto la confisca nei limiti degli interessi usurari conseguiti. Deve, invece, rilevarsi che la confisca e' stata disposta al di fuori dei casi previsti dalla legge e questa Corte (Sez. 6, n. 12531 del 16/01/2019, Rv. 275884 - 01) ha gia' avuto modo di affermare, in linea con la giurisprudenza delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 47766 del 26/06/2015, Butera, Rv. 265106), che l'illegalita' della pena e, quindi, anche della misura di sicurezza, dipendente da una statuizione ab origine contraria all'assetto normativo vigente al momento consumativo del reato, e' rilevabile d'ufficio nel giudizio di cassazione anche se il ricorso sia inammissibile, salva l'ipotesi in cui l'inammissibilita' derivi dalla tardivita' del ricorso. 5.2 Nel caso in esame, il reato e' stato dichiarato estinto per prescrizione e, ai sensi dell'articolo 578 bis c.p.p., e' stata disposta la confisca per equivalente di un immobile del ricorrente. Come ricordato da Sez. U, n. 4145 del 29/09/2022 (Rv. 284209 - 01), consistendo in una "forma di prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti", la confisca per equivalente assume un carattere preminentemente sanzionatorio, aggredendo beni che, pur nella disponibilita', anche per interposta persona, dell'autore del reato, sono individuati, senza alcun nesso di pertinenzialita' con il fatto criminoso, in base alla loro corrispondenza con i benefici che il responsabile ha ottenuto o, in determinati casi, fatto indebitamente ottenere ad altri dalla commissione dell'illecito. In altri termini, come evidenziato dal Massimo Consesso, quando l'ordinamento, nell'impossibilita' di apprendere coattivamente, in via diretta, il provento dell'illecito, consente di confiscare, peraltro obbligatoriamente, beni, sia pure del tutto leciti, di valore corrispondente al vantaggio illecito conseguito, ma del tutto scollegati dal reato, la confisca del provento del reato assume una funzione pienamente sanzionatoria. Accanto al carattere sanzionatorio, la confisca presenta una finalita' di recupero, atteso che essa trova applicazione nelle ipotesi in cui e' impossibile confiscare in modo diretto, ai sensi dell'articolo 240 c.p., il profitto, il prodotto o il prezzo del reato. Siccome gli istituti che rientrano nella nozione di sanzione penale devono essere governati necessariamente dagli statuti di garanzia, per quanto qui interessa, predisposti dall'ordinamento interno (articolo 25 Cost., comma 2) e da quello convenzionale (articolo 7 CEDU), e' la funzione sanzionatoria della confisca per equivalente che assorbe quella ripristinatoria e/o le eventuali altre concorrenti funzioni non penali, cui la confisca di valore si atteggi, e non viceversa. 5.3 Le menzionate Sezioni Unite hanno affermato che l'articolo 578 bis c.p.p. - che consente al giudice dell'impugnazione di decidere, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilita' dell'imputato - non e' una norma meramente ricognitiva di un principio esistente nell'ordinamento, sebbene non codificato, ma e' una norma che ha natura costitutiva in parte qua, perche' attributiva del potere, in precedenza precluso al giudice, di mantenere in vita una pena (la confisca per equivalente) che, anteriormente all'introduzione dell'articolo 578 bis c.p.p., non poteva, secondo il diritto vivente, in alcun modo essere applicata nel caso di declaratoria di estinzione del reato per prescrizione. Dunque, la natura pienamente costitutiva della disposizione di cui all'articolo 578 bis c.p.p. esclude che la confisca di valore possa essere retroattivamente applicata a fatti commessi quando, nel caso di estinzione del reato, tale misura non era in alcun modo adottabile nei confronti dell'autore del reato, quand'anche ne fosse stata accertata la responsabilita' penale. Siffatto principio valeva per la confisca in forma diretta, ma non anche per la confisca di valore, la quale, per essere applicata, nei giudizi di merito, esige che sia stata emessa una sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti (come per la confisca nei reati tributari Decreto Legislativo n. 74 del 2000, ex articolo 12-bis) e che, per essere mantenuta nei giudizi di impugnazione, richiede che una espressa disposizione di legge (l'articolo 578 bis c.p.p. appunto) ne consenta il mantenimento e che rimanga inalterato il giudizio di responsabilita' penale. Nel caso in esame, tuttavia, il giudice del merito ha disposto la confisca per equivalente in relazione a fatti posti in essere anteriormente all'entrata in vigore del Decreto Legislativo 1 marzo 2018, n. 21, articolo 6, comma 4, che ha introdotto l'articolo 578 bis c.p.p.. La confisca, quindi, e' stata illegalmente disposta e, quindi, sebbene per ragioni in iure diverse da quelle enunciate nell'atto di impugnazione, in accoglimento dei motivi di ricorso con cui e' stata eccepita l'illegittimita' della disposta confisca per equivalente, la relativa statuizione deve essere eliminata. 6. Passando al ricorso proposto da (OMISSIS), deve rilevarsi che i primi due motivi, afferenti entrambi all'affermazione della responsabilita', non sono consentiti, oltre che manifestamente infondati. 6.1 Al riguardo deve premettersi che questa Corte e' ferma nel ritenere, per un verso, che "e' inammissibile il ricorso per cassazione con il quale si deduca l'illegittimita' della sentenza d'appello solo perche' motivata "per relationem" alla decisione di primo grado, senza indicare i punti dell'atto di appello non valutati dalla decisione impugnata" (Sez. 3, n. 37352 del 12/3/2019, Rv. 277161 - 01); per altro verso, che "e' legittima la motivazione "per relationem" della sentenza di secondo grado, che recepisce in modo critico e valutativo quella impugnata e si limita a ripercorrere e ad approfondire alcuni aspetti del complesso probatorio, oggetto di contestazione da parte della difesa, omettendo di esaminare quelle doglianze dell'atto di appello, che avevano gia' trovato risposta esaustiva nella sentenza del primo giudice" (Sez. 2, n. 19619 del 13/02/2014, Rv. 259929 01). Ferma restando, quindi, l'astratta legittimita' della motivazione per relationem, nel caso in esame deve rilevarsi che il ricorrente si e' limitato, in sede di ricorso per cassazione, a prospettare un vizio della motivazione, solo perche' la stessa e' avvenuta in relazione alla motivazione di primo grado, senza pero' specificare su quali aspetti dell'atto di appello la sentenza impugnata non aveva compiuto un'adeguata analisi. Ad ogni modo, giova evidenziare che dalla lettura della pronuncia in scrutinio emerge, invece, chiaramente che la Corte di merito ha puntualmente vagliato i motivi di gravame, rilevandone con esauriente e coerente percorso valutativo l'infondatezza. 6.2 Deve poi rilevarsi che la Corte d'appello ha rimarcato che la persona offesa aveva riferito che la prima richiesta di prestito di denaro, rivolta a (OMISSIS) risaliva al 1998 e il rapporto usurario si era protratto per circa 10 anni fino al 2008; ella aveva l'obbligo di restituire il denaro ricevuto, corrispondendo un tasso di interesse pari al 10% mensile e per i prestiti di (OMISSIS) era stato concordato il pagamento di interessi pari all'11/0 mensile. La persona offesa aveva precisato che in due occasioni, verificatisi nel 2005 e nel 2008, si era rivolta personalmente all'imputato (OMISSIS): in un caso, per chiedere la sospensione del pagamento degli interessi e, in un'altra circostanza, per fornirgli rassicurazioni in ordine alla restituzione di alcune somme. Sulla base delle dichiarazioni della persona offesa, confortate da quelle del teste assistito (OMISSIS), da appunti contabili e dagli esiti della perizia grafologica, la Corte territoriale ha ritenuto provato il coinvolgimento di (OMISSIS) nel rapporto usurario instaurato e gestito tramite (OMISSIS), cosi', dunque, correttamente escludendo la qualificazione dei fatti ai sensi dell'articolo 379 c.p.. A fronte delle argomentazioni della pronuncia impugnata deve ribadirsi che con il ricorso per cassazione non sono deducibili quei rilievi che, sia pure sotto la formale "insegna" della contraddittorieta' o della manifesta illogicita' della motivazione, siano in effetti tesi a sollecitare una rivalutazione delle emergenze processuali e, dunque, una ricostruzione della vicenda sub iudice diversa e stimata piu' plausibile di quella recepita nel provvedimento impugnato, sospingendo questa Corte a un sindacato eccentrico rispetto al giudizio di legittimita', limitato alla verifica della completezza e dell'insussistenza di vizi logici ictu oculi percepibili (ex plurimis Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074). Nel caso in esame, sia pure formalmente evocando travisamenti delle prove, il ricorrente ha sollecitato una interpretazione degli elementi probatori diversa da quella effettuata dalla Corte territoriale, la cui valutazione circa contrasti testimoniali o circa la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti non e' sindacabile in sede di legittimita', salvo il controllo sulla congruita' e logicita' della motivazione (cfr. in tal senso: Sez. 5, n. 51604 del 19/9/2017, Rv. 271623 - 01). Motivazione che, nel caso in esame, sfugge ad ogni rilievo censorio. 7. L'ultimo motivo del ricorso di (OMISSIS) e' privo di specificita'. Questa Corte (Sez. 4, n. 47744 del 10/09/2015, Rv. 265330 - 01) ha gia' avuto modo di affermare che il ricorrente che invochi nel giudizio di cassazione la prescrizione del reato, assumendo per la prima volta in questa sede che la data di consumazione e' antecedente rispetto a quella contestata, ha l'onere di riscontrare le sue affermazioni fornendo elementi incontrovertibili, idonei da soli a confermare che il reato e' stato consumato in data anteriore a quella contestata, e non smentiti ne' smentibili da altri elementi di prova, acquisiti al processo. Diversamente, l'accertamento in fatto, richiesto al giudice di legittimita', si scontrerebbe inevitabilmente con i limiti del sindacato di legittimita', che non puo' estendersi ad accertamenti fattuali. Nel caso in esame, tale onere non e' stato soddisfatto dal ricorrente, che nemmeno dinanzi al giudice d'appello aveva contestato le date dei pagamenti usurari in questione. 8. Il ricorso proposto da (OMISSIS) e', quindi, inammissibile e cio' comporta, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., la condanna di tale ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche' - valutati i profili di colpa nella proposizione del ricorso inammissibile - della somma di Euro tremila, equitativamente determinata, in favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria. L'esito dei ricorsi comporta, inoltre, la condanna di entrambi i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile (OMISSIS), che si liquidano come in dispositivo, tenuto conto dell'aumento dovuto per l'attivita' prestata dal difensore della parte civile nei confronti di piu' imputati. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente alla disposta confisca, che elimina. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso. Dichiara inammissibile il ricorso di (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, gli imputati in solido alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro 4.792/00, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ZAZA Carlo - Presidente Dott. MASINI Tiziano - rel. Consigliere Dott. PISTORELLI Luca - Consigliere Dott. MOROSINI M. Elisabetta - Consigliere Dott. FRANCOLINI Giovanni - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 20/05/2022 della CORTE APPELLO di TORINO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere TIZIANO MASINI; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PERLA LORI che ha concluso chiedendo: udito il difensore. RITENUTO IN FATTO La sentenza impugnata e' della Corte d'appello di Torino del 20 maggio 2022, che ha integralmente confermato la sentenza del tribunale di Cuneo del 20 marzo 2019, a sua volta di affermazione di responsabilita' di (OMISSIS) e (OMISSIS) in relazione ai delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, bancarotta semplice documentale ascritti loro in concorso, nelle rispettive qualita' di amministratore unico dal (OMISSIS) e di amministratore di fatto per il periodo successivo, il (OMISSIS) e di amministratore unico dal (OMISSIS) al fallimento, la (OMISSIS), entrambi in nome e per conto della (OMISSIS) S.R.L., dichiarata fallita dal tribunale di Cuneo il 4 giugno 2015 - e, quanto alla sola (OMISSIS) nella stessa qualita', in relazione al delitto di bancarotta semplice per aggravamento del dissesto conseguente al mancato ricorso, in proprio, alla dichiarazione di fallimento della societa' stessa. Tramite il difensore sono stati articolati tre motivi di ricorso per cassazione, qui enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 1.Con un primo motivo, sono stati dedotte violazione di legge, mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in relazione all'affermazione di reita' per il delitto di cui al Regio Decreto n. 267 del 1942, articolo 216 comma 1 n. 1). La sentenza impugnata avrebbe omesso di fornire risposta alle ragioni del gravame avverso la pronuncia di primo grado, nelle quali i ricorrenti avevano lamentato che il curatore avesse desunto le condotte distrattive dai semplici prelievi di conto corrente negli anni 2014 e 2015, quando, in modo contraddittorio, lo stato di dissesto era stato fatto risalire al 2013, annualita' nella quale alcuna operazione depauperatrice era stata segnalata; il consulente della difesa, Frangione, era invece risalito alle registrazioni contabili dei prelevamenti, in parte annotati nel "conto anticipi rimborso spese" - "da formalizzare" - e in parte annotati come prelievi "per cassa"; il curatore non avrebbe tenuto conto di altri due rimborsi, nel 2014 e nel 2015, di circa 2800 Euro complessivi, relativi ad anticipazioni per pagamento schede carburanti e di una fattura Enel. 2.11 secondo motivo ha richiamato i medesimi vizi di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1 lettera e) e b) a riguardo della assunta sussistenza del reato di bancarotta documentale semplice, in quanto la contestata riclassificazione del debito per finanziamento soci come "riserva" di patrimonio si sarebbe verificata soltanto nell'annualita' 2010; nel bilancio del 2013 sarebbero stati correttamente contabilizzati, come precisato dal consulente di parte, costi capitalizzati, alla voce "immobilizzazioni immateriali", relativi a "progettazione" di 178 trasformatori, perche' la societa' produceva trasformatori e pertanto avrebbe dovuto necessariamente progettarli prima di costruirli; la mancata annotazione di ricavi conseguenti alla cessione del magazzino, risultante dal bilancio al (OMISSIS) e non piu' esistente alla fine del 2014, sarebbe stata contestata impropriamente, in quanto il bilancio al 31 dicembre 2014 non era stato depositato e i ricavi della vendita delle merci sarebbero stati utilizzati per effettuare regolari pagamenti; non risponderebbe al vero che gli imputati avrebbero lamentato disguidi intercorsi con la societa' fornitrice del software al fine di giustificare la mancata consegna della contabilita' al curatore, ed anzi essi avrebbero provato la regolare compilazione dei dati contabili fino a pochi giorni prima del fallimento; non sarebbe obbligatoria la stampa cartacea dei registri contabili; la teste (OMISSIS), impiegata della societa', avrebbe dichiarato, in dibattimento, di aver indicato al curatore che i dati contabili erano tenuti su supporto informatico ed in modo accessibile. 3.11 terzo e ultimo motivo si poggia sui medesimi vizi di violazione di legge e di carenza di motivazione con riferimento all'affermazione di responsabilita' per il delitto di bancarotta semplice per mancato ricorso all'auto-fallimento, ascritto alla sola (OMISSIS). Il consulente della difesa, pur sottolineando l'accuratezza dell'analisi di bilancio eseguita dal curatore fallimentare, avrebbe obiettato che, da un lato, non sarebbe stata tenuta in considerazione la crisi di mercato del settore industriale della (OMISSIS) e, dall'altro, sarebbe stato sottovalutato il fatto che nel giugno 2012 la Bene Banca aveva assicurato un cospicuo affidamento alla societa' per l'acquisto dei cespiti e dei prodotti della collegata Elettromeccanica (OMISSIS) s.n.c., per poi revocare le linee di credito nell'agosto 2013, con evidente influenza sulla crisi della societa'. Infine, difetterebbero la prova della colpa grave in capo alla (OMISSIS), non desumibile dal solo ritardo nella richiesta di fallimento e la prova, evincibile dal c.d. giudizio controfattuale, del nesso di causa tra l'omesso ricorso all'istanza di fallimento in proprio e l'aggravamento del dissesto. 4. Il procedimento e' stato trattato in forma cartolare, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, e del Decreto Legge 30 dicembre 2021, n. 228, articolo 16, comma 1, convertito dalla L. 25 febbraio 2022, ri. 15. Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, Dott.ssa Perla Lori ha depositato conclusioni scritte, con cui ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso. 5.11 difensore dell'imputato ha fatto pervenire conclusioni scritte, con cui ha insistito per l'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' inammissibile. 1.E' necessario rammentare, in premessa, che il contesto processuale e' quello di una c.d. doppia conforme sulla responsabilita', nel quale le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente, costituendo un unico corpo decisionale e motivazionale, nel rispetto, in particolare, dei seguenti parametri: a) la sentenza d'appello ripetutamente richiama la decisione del tribunale e la sua correttezza, facendovi espresso riferimento per quanto da essa non specificamente osservato in risposta alle argomentazioni della difesa (pag.5); b) le sentenze adottano gli stessi criteri di valutazione delle prove (cosi' Cass. sez.3, n. 44418 del 16/7/13, Argentieri; Cass. sez.2, n. 51192/19, Cassin e altro). 2.E' inammissibile il ricorso per cassazione che deduca il vizio di manifesta illogicita' della motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga la loro integrale trascrizione o allegazione, cosi' da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze (Cass. sez. 2, n. 26725 del 1/3/13, Natale e altri, Rv. 256723). In tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericita', quei motivi che, deducendo il vizio di manifesta illogicita' o di contraddittorieta' della motivazione, riportano meri stralci di singoli brani di prove dichiarative, estrapolati dal complessivo contenuto dell'atto processuale al fine di trarre rafforzamento dall'indebita frantumazione dei contenuti probatori (Cass. sez.1, n. 23308 del 18/11/14, Savasta e altri, Rv. 263601; nello stesso senso, Cass. sez. 4, n. 46979 del 10/11/15, Bregamotti, Rv. 265053; Cass. sez. 2, n. 20677 del 11/4/17, Schioppo, Rv. 270071). 3.Quanto all'ordinario vizio di mancanza o manifesta illogicita' della motivazione, e' affermazione ricorrente quella secondo cui "l'illogicita' della motivazione, censurabile a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lett e), e' quella evidente, cioe' di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, in quanto l'indagine di legittimita' sul discorso giustificativo della decisione ha un "orizzonte circoscritto", dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volonta' del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilita' di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali" (cosi', per tutte, Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794). 4.E ancora, nel giudizio di cassazione sono precluse - a meno che non si rivelino fattori di manifesta illogicita' della motivazione del provvedimento impugnato - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., tra le piu' recenti, Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482). 5.Ebbene, il primo motivo di ricorso - che riguarda l'affermazione di responsabilita' per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale - e' generico e manifestamente infondato. Le deduzioni della consulenza di parte non mettono a fuoco e non scalfiscono la ricostruzione operata dalle pronunce di merito, come puntualizzato, con ragionamento logico e pienamente condivisibile, dalla sentenza di primo grado a pag. 10 e 11, il cui contenuto e' bene riportare: "non convince, invece, per le altre voci che vanno a comporre la distrazione, la giustificazione addotta (anche dal consulente di parte) ossia che si tratta senza dubbio di spese inerenti l'attivita' aziendale che transitano provvisoriamente su un conto anticipi per poi trovare definitiva sede contabile una volta che venga ricevuta la pezza giustificativa: il risultato (da un punto di vista probatorio) e' che in questi casi l'imprenditore non e' riuscito a dar prova (neppure aiutato dalle deposizioni testimoniali, generiche sul punto, vedi quanto sintetizzato supra rispetto alla deposizione della dipendente (OMISSIS)) della effettiva destinazione impressa a quel contante che e' uscito dalle casse della societa'". Il tribunale di Cuneo - a cui si e' richiamata, con argomentazione articolata, la sentenza impugnata a pag. 5 - ha dunque correttamente esplicitato che, al di la' della mera presenza dell'appostazione contabile "conto anticipi rimborso spese", difettava la sottostante documentazione idonea a comprovarne la debita spettanza, come - del resto - ammesso dallo stesso rag. Frangione nel frammento dell'elaborato da lui redatto, riportato nel ricorso per cassazione a pag. 10 ("anticipi rimborso spese, quest'ultimi da formalizzare") e come ben si evince, coerentemente, dalla testimonianza del professionista contabile della societa', Caprioglio, il quale - come riportato a pag. 8 della sentenza del primo giudice - ha riferito che "ove vengano sostenute spese per la societa' con somme di denaro prelevate dai conti della stessa ma ancora non vi e' la pezza giustificativa, le somme vengono "parcheggiate" in un conto anticipi, per poi essere spostate nella apposita voce una volta che si venga in possesso del giustificativo". Considerazioni analoghe meritano i prelievi "per cassa", in relazione ai quali gli amministratori hanno omesso di fornire alla curatela ogni doverosa giustificazione, idonea a conciliarne l'esecuzione con il soddisfacimento degli scopi sociali e con la conservazione del patrimonio nell'interesse dei creditori. Del resto, e' principio di diritto, espresso da questa Corte di legittimita', che "integra l'ipotesi del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale (L.F. articolo 216), l'amministratore che disponga a suo favore il rimborso dei finanziamenti effettuati nei confronti della societa', considerato che la qualita' di creditore non si puo' scindere da quella di amministratore, in quanto tale, vincolato alla societa' dall'obbligo della fedelta' e da quello della tutela degli interessi sociali anche nei confronti dei terzi" (sez. 5, n. 2273 del 2004, Martella, Rv. 231289; sez. 5, n. 50495 del 2018, Sestili, Rv. 274602). 6.11 secondo motivo di ricorso e' manifestamente infondato. Ai fini della integrazione del reato di bancarotta semplice documentale e' sufficiente che i libri contabili obbligatori - il libro giornale e il registro degli inventari - siano tenuti in modo irregolare od incompleto, anche sotto un profilo puramente formale, nel triennio antecedente alla dichiarazione di fallimento; il reato e' di pericolo presunto, nel senso che il legislatore ha inteso sanzionare anche le irregolarita' formali in quanto potenzialmente idonee, in astratto, a pregiudicare la corretta ricostruzione dell'andamento delle vicende imprenditoriali. Ebbene, la sentenza di primo grado - pag. 6, richiamata da quella d'appello, pag. 6 - ha riportato l'ampia e circostanziata deposizione del curatore fallimentare (OMISSIS), che ha illustrato l'irregolare conservazione del libro degli inventari dell'anno 2013, con la mancata appostazione dei 178 trasformatori che la societa' aveva acquistato da una societa' collegata e che non risultavano rivenduti in base alle registrazioni contabili ostese. Sul punto, la difesa dei ricorrenti ha obiettato che i trasformatori acquistati fossero 24 e non 178 senza, tuttavia, allegare la documentazione che se ne assume dimostrativa; non ha dato conto della cessione del magazzino - maggiore o minore - e della sorte dei ricavi eventualmente incassati, ne' si e' confrontata con le osservazioni tecniche della curatela riprodotte a pag. 6 della sentenza di primo grado, richiamata a pag. 6 della sentenza d'appello - secondo le quali l'inserimento dei trasformatori nella voce "immobilizzazioni immateriali", quand'anche sotto forma di capitalizzazione di oneri per la loro progettazione (comunque evidentemente prodromica alla loro realizzazione) si e' rivelato incompatibile con il loro acquisto dalla Master Project, avvenuto nel 2013,che avrebbe dovuto indurre l'amministratore a veicolarli, sotto il profilo contabile, tra le "rimanenze". In assenza del magazzino, pur contabilmente presente, peraltro anche in misura consistente, alla fine del 2013, una rituale e coerente appostazione, per il 2014, avrebbe dovuto dare contezza della destinazione dei suddetti prodotti industriali o, in alternativa, dei ricavi introitati dalla loro vendita: anche su tale aspetto non si colgono significative ed efficaci repliche dei motivi di ricorso - e tali da sovvertire la tenuta logica della sentenza impugnata - che si limitano a richiamare generiche "operazioni attive" per circa 203.000 Euro nell'anno 2014 e per circa 30.000 Euro nell'anno 2015 e a sostenere, apoditticamente, che tali risorse sarebbero state "ovviamente" impiegate nell'esecuzione di "altrettanti pagamenti". Quanto - ancora - alla mancata consegna dell'impianto contabile obbligatorio delle annualita' 2014 e 2015, la sentenza impugnata - pag. 6, che richiama quella di primo grado, pagg. 7 e 12 - afferma che non potessero opporsi al curatore le difficolta' negoziali intercorse con la societa' che ne curava il software, al momento inaccessibile a causa di inadempienze della fallita nei pagamenti delle relative prestazioni di servizio; tale rilievo e' in linea con l'indirizzo della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui " a norma degli articoli 2214 e 2241 c.c., l'imprenditore che esercita un'attivita' commerciale e' obbligato, personalmente, alla regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili nella propria azienda. Egli puo' avvalersi dell'opera di un tecnico, sia esso un proprio dipendente o un libero professionista, ma resta sempre responsabile per l'attivita' da essi svolta nell'ambito dell'impresa. In caso di fallimento, quindi, risponde penalmente dell'attivita' e delle omissioni delle persone da lui incaricate che non hanno tenuto, in assoluto, o non hanno tenuto regolarmente i libri e le scritture contabili prescritte dalla legge" (cfr. sez. 5, n. 709 del 1998, Mollo e altri, Rv. 212147; conf. sez. 5, n. 36870 del 2020, Marelli, Rv. 280133; sez. 5, n. 2812 del 2013, Manfrellotti, Rv. 258947). Sul punto, il motivo di ricorso e' puramente assertivo, perche' si limita a negare l'adozione di tale argomento difensivo nel corso del procedimento senza allegare, nel rispetto del principio di autosufficienza, gli atti e i documenti del processo che comproverebbero il travisamento del dato probatorio; anche il richiamo di un segmento della testimonianza dell'impiegata (OMISSIS) non e' idoneo ad intaccare il percorso logico del provvedimento impugnato, vuoi perche' non era lei ad occuparsi personalmente della cura contabile (sent. primo grado, pag.8), vuoi perche' la sentenza di primo grado ne ha censurato la genericita' (pag. 11) ed in ogni caso ne ha considerato la sub-valenza rispetto all'apporto probatorio offerto dalla curatela del fallimento, che ha ribadito, in dibattimento, di non aver ottenuto la consegna della contabilita', pure espressamente richiesta; e tale valutazione e' insindacabile in questa sede, anche perche' "e' inammissibile il ricorso per cassazione che, offrendo al giudice di legittimita' frammenti probatori o indiziari, solleciti quest'ultimo ad una rivalutazione o ad una diretta interpretazione degli stessi, anziche' al controllo sulle modalita' con le quali tali elementi sono stati raccolti e sulla coerenza logica della interpretazione che ne e' stata fornita" (Cass. sez. 5, n. 44992 del 2012, Aprovitola, Rv. 253774). Deve aggiungersi che non puo' formare oggetto di ricorso per cassazione la valutazione dei contrasti testimoniali, la scelta tra divergenti versioni ed interpretazioni dei fatti e l'indagine sull'attendibilita' dei testimoni, salvo il controllo di congruita' e logicita' della motivazione. Infatti, il giudizio sulla rilevanza ed attendibilita' delle fonti di prova rimane devoluto insindacabilmente ai giudici di merito e la scelta che essi compiono, per giungere al proprio libero convincimento, con riguardo alla prevalenza accordata ad alcuni elementi probatori, piuttosto che ad altri, ovvero alla fondatezza od attendibilita' degli assunti difensivi, quando non sia fatta con affermazioni apodittiche od illogiche, si sottrae al controllo di legittimita' della Corte Suprema (cosi' Cass. sez.2, n. 51192 del 2019, M., Rv. 278368). 7.11 terzo motivo di ricorso e' generico e manifestamente infondato. E' vero che l'omessa richiesta di fallimento "in proprio" deve essere connotata da un apprezzamento di "colpa grave" che, sotto il profilo soggettivo, deve sempre accompagnare le condotte sanzionate dalla L.F., articolo 217 comma 1 n. 4, ma - nel caso in esame - il quadro complessivo degli elementi di prova soddisfa, ampiamente, il requisito di fattispecie preteso dalla norma incriminatrice, come interpretata dalla giurisprudenza di legittimita'. Ed invero, non puo' essere sottaciuto che, in un contesto di ingravescente insolvenza delineatasi, come tale non contestata dalla difesa, quantomeno dall'inizio del 2013 l'imputata - con dolo - si sia appropriata, in concorso con il marito amministratore di fatto, delle risorse societarie attraverso i prelevamenti di conto corrente descritti dalle sentenze di merito negli anni 2014 e 2015. Tali circostanze sono sintomatiche della piu' assoluta indifferenza dell'imputata per le sorti della societa', gia' in situazione di forte squilibrio economico e finanziario, progressivamente appesantita, nel tempo, dalla non proficua assunzione di personale dipendente e dall'acquisizione a titolo oneroso di beni di una societa' collegata poi non destinati all'attivita' caratteristica dell'impresa fallita (pag. 6 sent. primo grado e pag. 6 sentenza di secondo grado) e dall'indebitamento verso le banche, privo di utile proiezione commerciale (pag. 12 sent. primo grado, richiamata da pag.6 sentenza d'appello). Si tratta, in definitiva, di condotta profondamente negligente, in nesso di causa con il tracollo economico dell'impresa, con incremento delle perdite tra il 2014 e il 2015 per un importo di quasi 300.000 Euro anche a cagione dell'inerzia dell'imputata nell'adozione, inevitabile, di scelte volte ad interrompere la continuita' aziendale con l'accesso a procedure concorsuali. A fronte delle piane argomentazioni delle sentenze di merito la ricorrente non contrappone critiche pertinenti e specifiche, ne' di minima consistenza. 8.L'inammissibilita' del ricorso per cassazione preclude la possibilita' di rilevare d'ufficio, ai sensi dell'articolo 129 e articolo 609 c.p.p., comma 2, l'estinzione dei reati di bancarotta semplice - di cui ai capi 1) e 2) - per prescrizione, maturata dopo la sentenza di secondo grado (cfr. SS.UU. n. 12602 del 17/12/15, Ricci, Rv. 266818, che in motivazione richiama un principio consolidato: SS.UU. n. 32 del 2000, De Luca, Rv. 217266; SS.UU. n. 33542 del 2001, Cavalera, Rv.219531; SS.UU. n. 23428 del 2005, Bracale, Rv.231164). 9.Ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilita' del ricorso, conseguono la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e, non potendosi escludere profili di colpa nella formulazione dei motivi, anche al versamento della somma di Euro 3000 ciascuno a favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorse e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. SOCCI A.Matteo - Consigliere Dott. DI STASI Antonella - Consigliere Dott. REYNAUD Gianni Filippo - Consigliere Dott. NOVIELLO Giuseppe - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 16/11/2021 della corte di appello di Bologna; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Giuseppe Noviello; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Raffaele Piccirillo che ha concluso per la inammissibilita' o rigetto del ricorso di (OMISSIS), e per l'annullamento senza rinvio del ricorso di (OMISSIS); lette le conclusioni del difensore di (OMISSIS) avv.to (OMISSIS) che ha chiesto l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 16 novembre 2021, la corte di appello di Bologna riformava parzialmente la sentenza del tribunale di Bologna del 26 febbraio 2019, dichiarando assorbito nel capo a) inerente il reato ex articolo 609 quater c.p., il capo b) riguardante il reato ex articolo 609 quinquies c.p. e rideterminava per entrambi gli imputati la pena finale, confermando nel resto la sentenza impugnata, 2. Avverso la predetta sentenza (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto, tramite il proprio difensore di fiducia, ricorso per cassazione, sollevando la prima quattro motivi di impugnazione e il secondo tre motivi. 3. (OMISSIS), con il primo motivo ha dedotto il vizio di violazione di legge per la ritenuta configurabilita' del reato ex articolo 600 ter c.p., comma 1, rilevando come tale scelta sia stata inspirata ad una sentenza delle SS.UU. del 31.5.2018 n. 51815 che avrebbe determinato un overrulling in contrasto con l'articolo 7 della CEDU, laddove la condotta avrebbe dovuto, piuttosto, essere inquadrata nel piu' mite reato di cui all'articolo 600 quater c.p., in assenza del pericolo di diffusione del materiale pedopornografico prodotto. 4. Con il secondo motivo ha dedotto, alla luce del materiale probatorio disponibile e relativo alle patologie sofferte dalla imputata, il vizio di illogicita' della motivazione per il mancato riconoscimento della seminfermita', nonche' il vizio di erronea applicazione della legge per il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche nella massima estensione. 5. Con il terzo motivo ha rappresentato il vizio di violazione di legge per la mancata applicazione della attenuante di cui all'articolo 600 septies 1 c.p. alla luce dell'articolo 2 c.p., stante il riconoscimento della casalinga riproduzione dei filmati pedopornografici 6. Con il quarto motivo ha dedotto il vizio di violazione di legge per la mancata applicazione della attenuante di cui all'articolo 609 quater c.p., comma 4. 7. (OMISSIS), con il primo motivo rappresenta il vizio ex articolo 606 comma 1 lettera b) in relazione agli articoli 600 ter e quater c.p. Si osserva che pur a fronte della regola affermata in sentenza, per cui la configurazione del reato ex articolo 600 ter c.p. non richiede il pericolo di diffusione del materiale pedo-pornografico, sarebbe comunque necessaria la sussistenza del requisito della esistenza di una seppur minima e rudimentale struttura organizzata. Struttura mancante nel caso in esame, a fronte di una produzione casalinga realizzata in via estemporanea e senza finalita' di condivisione del materiale con terzi. Il materiale poi sarebbe stato realizzato solo dalla (OMISSIS). Da qui l'applicabilita', piuttosto, della meno grave fattispecie, rispetto a quella di cui all'articolo 600 ter c.p., dell'articolo 600 quater c.p.. 8. Con il secondo motivo rappresenta il vizio di violazione di legge in relazione all'articolo 649 c.p.p., con riguardo agli articoli 609 quater e 600 ter c.p. Nel riconoscere a carico del ricorrente i reati ex articolo 600 ter c.p. e 609 quater c.p. i giudici del merito sarebbero incorsi in una violazione del divieto di bis in idem sostanziale. Riconoscendo il reato ex articolo 609 quater c.p. i giudici avrebbero dovuto escludere quello di cui all'articolo 600 ter c.p. atteso che lo scambio di foto e video replicanti gli atti sessuali realizzati dalla (OMISSIS), costituivano l'unico modo per il Giannone di partecipare al compimento di quegli atti. Sul punto, gia' sollevato in appello, la corte avrebbe formulato una motivazione carente, con travisamento della prova laddove i giudici hanno evidenziato la sussistenza di condotte fattualmente e cronologicamente distinte, integrate dapprima dalla induzione dei minori a compiere atti sessuali e poi dalla registrazione e scambio di video e fotografie. Cio' perche' il ricorrente avrebbe realizzato una condotta unitaria sul piano spazio-temporale, quantomeno secondo la convinzione dell'imputato. Infatti, anche durante i citati scambi considerati successivi agli atti sessuali, i minori erano presenti nella casa della Failla, per cui la realizzazione del predetto materiale era da ritenersi contestuale agli atti sessuali. Sarebbero in tal senso emblematici alcuni messaggi in chat citati in ricorso. La contestualita' delle condotte sarebbe desumibile anche dalle sommarie informazioni rese dai ragazzi, pretermesse dalla Corte. 9. Con il terzo motivo, deduce vizi ex articolo 606 c.p.p., comma 1 lettera b) in relazione all'articolo 609 quater c.p., comma 6 e al negato riconoscimento della attenuante della minore gravita'. Si contesta la mancata riconduzione del fatto di cui al capo a) nell'ambito della minore gravita'. La corte avrebbe considerato la stessa condotta integrativa del reato quale elemento ostativo alla attenuante predetta. Avrebbe anche operato, per la contestata esclusione, una valutazione parziale del fatto, considerando solo gli elementi oggettivi con esclusione di quelli soggettivi, con riferimento alla personalita' del ricorrente come emersa dalla consulenza tecnica di parte, pretermessa ai predetti fini. La consulenza disegnerebbe un quadro di forte disagio, restituendo una personalita' turbata e sviluppatasi a seguito di un vissuto problematico e doloroso. Si tratterebbe di elementi che, pur considerati per le attenuanti generiche, avrebbero dovuto giustificare anche l'ulteriore attenuante in parola. 10. Quanto al ricorso della Failla, la difesa ha fatto pervenire atti dimostrativi dell'intervenuto decesso della stessa nelle more della decisione del ricorso dalla stessa presentata. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Atteso l'intervenuto decesso della ricorrente Failla, in data 18 maggio 2022, come da documentazione qui pervenuta della Polizia di Stato, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente alla posizione di (OMISSIS) per morte dell'imputata. 2. Quanto al primo motivo proposto dal (OMISSIS), occorre premettere che l'orientamento sostenuto dal ricorrente fa riferimento alla sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte Sez. U, n. 13 del 2000, Rv. 216337 ripreso con sentenza n. 11997 del 2011 secondo cui "il delitto di pornografia minorile di cui al comma 1 dell'articolo 600-ter c.p. - mediante il quale l'ordinamento appresta una tutela penale anticipata della liberta' sessuale del minore, reprimendo quei comportamenti prodromici che, anche se non necessariamente a fine di lucro, ne mettono a repentaglio il libero sviluppo personale con la mercificazione del suo corpo e l'immissione nel circuito perverso della pedofilia - ha natura di reato di pericolo concreto". Per cui la condotta di chi impieghi uno o piu' minori per produrre spettacoli o materiali pornografici e' punibile, salvo l'ipotizzabilita' di altri reati, quando abbia una consistenza tale da implicare concreto pericolo di diffusione del materiale prodotto. Si tratta di un indirizzo ormai superato dalle Sezioni Unite le quali, con sentenza n. 51815 del 2018 rv. 274087 hanno affermato che "ai fini dell'integrazione del reato di cui all'articolo 600 ter c.p., comma 1, n. 1), con riferimento alla condotta di produzione di materiale pedopornografico, non e' piu' necessario, viste le nuove formulazioni della disposizione introdotte a partire dalla L. 6 febbraio 2006, n. 38, l'accertamento del pericolo di diffusione del suddetto materiale" Questa Corte ha altresi' affermato come il predetto mutamento interpretativo (cfr. Sez. 3, n. 46184 del 2021, Rv. 282238) deve ritenersi prevedibile, cosi' da applicarsi anche a comportamenti tenuti prima della pubblicazione della citata sentenza, avendo peculiare riguardo anche all'articolo 7 della CEDU, pure citato in ricorso a sostegno degli argomenti spesi, laddove ha precisato che "in tema di successione di leggi penali nel tempo, l'articolo 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo - cosi' come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU - non consente l'applicazione retroattiva dell'interpretazione giurisprudenziale piu' sfavorevole di una norma penale solo quando il risultato interpretativo non fosse ragionevolmente prevedibile al momento della commissione del fatto"; in tal modo la Suprema Corte ha espressamente ritenuto insussistente la violazione dei principi convenzionali in relazione all'"overruling" operato dalle Sezioni Unite, con sentenza n. 51815 del 2018, in epoca successiva alla condotta, in materia di fattispecie di pornografia minorile, segnando un chiaro superamento anche di tale argomento sollecitato in ricorso. Ed invero, la Suprema Corte con la predetta decisione ha evidenziato che le stesse Sezioni unite, nel 2018, hanno messo in luce come il vecchio orientamento fosse correlato ad una formulazione delle fattispecie incriminatrici diversa da quella vigente all'epoca delle condotte contestate al ricorrente, connotata da gia' intervenute rilevanti modifiche delle fattispecie incriminatrici apportate dalla L. n. 38 del 2006 e da interventi successivi, fino alla L. n. 172 del 2012. Ha infatti osservato che "il superamento dell'orientamento (...) rappresenta, inoltre, la logica conseguenza dell'evoluzione legislativa sopra delineata. In particolare, deve rilevarsi che il legislatore del 2006 ha sostituito allo "sfruttamento" la "utilizzazione" del minore, sia nell'articolo 600 ter sia nell'articolo 600 quater c.p., razionalizzando il sistema e confermando, nella sostanza, il punto di arrivo di quella stessa giurisprudenza, secondo cui doveva escludersi che il concetto di sfruttamento fosse caratterizzato da risvolti economici, ma non ha ritenuto di inserire espressamente nel nuovo testo normativo il requisito del pericolo di diffusione. Tale scelta non puo' essere considerata neutra sul piano interpretativo, perche' - come ampiamente visto - l'evoluzione normativa interna e' il risultato del progresso della normativa sovranazionale, nel senso di far rientrare nel perimetro dell'incriminazione ogni produzione di materiale pornografico, laddove il sistema ruota ormai intorno ai concetti di "pornografia" e di "utilizzo". Dunque, mentre il previgente testo era connotato dalla lotta allo "sfruttamento" dei minori per finalita' di pornografia, la novella del 2006 ha inteso ampliare la sfera di tutela, non limitandosi alla mera sostituzione del termine "sfrutta" con la parola "utilizza", ma anche modificando i commi successivi, con l'aggiunta, nel comma 2, dell'espressione "diffonde", con la modifica del comma 4 e con l'aggiunta del quinto. Ne e' cosi' derivata una norma di piu' ampio respiro, che appare indirizzata a punire la generalita' delle condotte che danno origine a materiale pornografico in cui vengono utilizzati soggetti minorenni e che ha trovato il suo logico completamento con l'introduzione, ad opera, della 7 L. n. 172 del 2012, della definizione di "pornografia minorile", riferita ad ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attivita' sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali. Proprio l'introduzione di tale definizione chiarisce che oggetto della tutela penale sono l'immagine, la dignita' e il corretto sviluppo sessuale del minore; cio' che consente di ricostruire la fattispecie in esame in termini di illecito di danno, perche' l'utilizzazione del minore nella realizzazione di materiale pornografico compromette di per se' il bene giuridico consumando l'offesa che il legislatore mira ad evitare". Si e' altresi' aggiunto dalle Sezioni Unite del 2018, in correlazione a tali ultime notazioni, che "il problema dell'overruling in malam partem non viene comunque in rilievo, essendo ormai generalizzato come visto - il pericolo di diffusione del materiale realizzato utilizzando minorenni; con la conseguenza che l'esclusione di tale pericolo quale presupposto per la sussistenza del reato non determina in concreto un ampliamento dell'ambito di applicazione della fattispecie penale, essendo completamente mutato il quadro sociale e tecnologico di riferimento ed essendo parallelamente mutato anche il quadro normativo sovranazionale e nazionale. Risulta significativo, a tal fine, che gia' la sentenza delle Sezioni Unite del 2000 individuasse una serie di elementi sintomatici liberamente apprezzabili dal giudice, anche disgiuntamente, ai fini della verifica della sussistenza del pericolo di diffusione tra i quali "la disponibilita' materiale di strumenti tecnici di riproduzione e/o trasmissione, anche telematica idonei a diffondere il materiale pornografico in cerchie piu' o meno vaste di destinatari". E una tale disponibilita', che all'epoca di quella pronuncia era tutt'altro che scontata e doveva essere oggetto di specifico accertamento, e' oggi assolutamente generalizzata, essendo la riproducibilita' e trasmissibilita' di immagini e video immediata conseguenza della loro produzione". Dunque, nel quadro del segnato revirement si e' anche sottolineato l'anacronismo, tecnologico, del precedente orientamento, in quanto i giudici di legittimita' hanno evidenziato che "il requisito del pericolo concreto di diffusione del materiale poteva fungere da guida per l'interprete all'inizio degli anni 2000" mentre invece "esso e' diventato oggi anacronistico, a causa della pervasiva influenza delle moderne tecnologie della comunicazione, che ha portato alla diffusione di cellulari smartphone, tablet e computer dotati di fotocamera incorporata, e ha reso normali il collegamento a Internet e l'utilizzazione di programmi di condivisione e reti sociali. Mentre un tempo la disponibilita' di un collegamento a Internet rappresentava un quid pluris, da verificare caso per caso, rispetto la disponibilita' di una fotocamera o videocamera con la quale realizzare immagini o video pornografici, l'attuale situazione e' caratterizzata dalla accessibilita' generalizzata alle tecnologie della comunicazione, che implicano facilita', velocita' e frequenza nella creazione, nello scambio, nella condivisione, nella diffusione di immagini e video ritraenti una qualsiasi scena, anche della vita privata. Ne deriva che il riferimento al presupposto del pericolo concreto di diffusione del materiale realizzato - come elaborato dalle Sezioni Unite del 2000 e dalla giurisprudenza successiva - ha oggi scarso significato, essendo ormai potenzialmente diffusiva qualsiasi produzione di immagini o video". Si tratta di precisazioni di legittimita' che chiaramente consentono di superare le obiezioni difensive, in linea con quanto sostenuto dalla Corte di appello. Obiezioni che dunque appaiono infondate. Ed altresi', quanto allo specifico tema del pericolo di diffusione, come condivisibilmente rilevato dal Procuratore Generale e come evidenziato dalla corte di merito stessa, e' utile osservare, accanto ai rilievi giuridici sopra riportati, che la vicenda e' connotata da filmati e immagini in questione che dopo essere stati realizzati, sono stati anche inviati dalla (OMISSIS) al (OMISSIS), cosi' che "risultavano salvati sui rispettivi cellulari (come e' emerso dall'analisi del materiale informatico in sequestro), circostanze che, tenuto conto delle potenzialita' connaturate alle moderne tecnologie delle quali sono provvisti i cellulari smartphone, con fotocamera incorporata, collegamento a Internet e applicativi di condivisione sulle reti social, ne rende comunque evidente e concreto il pericolo di diffusione". Cio' che significa che in concreto sussisteva quest'ultimo pericolo, in grado di ricondurre i fatti, anche sotto la vigenza del precedente orientamento, nell'ambito dell'articolo 600 ter c.p.. 3.11 secondo motivo e' manifestamente infondato. Da una parte, il ricorrente segnala il travisamento della prova quanto alla ritenuta - dalla corte d'appello discrasia cronologica tra gli atti sessuali con minori e lo scambio di materiale pedo-pornografico -, secondo tuttavia modalita' inadeguate, limitate alla trascrizione di stralci di dichiarazioni, in contrasto con il principio per cui il vizio del travisamento della prova, fondato su dati dichiarativi, impone l'allegazione integrale dell'atto e non di un mero stralcio, come accaduto nel caso di specie (cfr. Sez. 6, n. 9923 del 05/12/2011 (dep. 14/03/2012) Rv. 252349 S). Dall'altra, la motivazione che conferma la coesistenza dei due reati ex articolo 609 quater c.p. e 600 ter c.p. appare estremamente precisa e coerente e non puntualmente considerata dal ricorrente, tutto teso a scandagliare le circostanze svoltesi all'interno della abitazione della (OMISSIS), ma trascurando la ben piu' articolata motivazione, che sottolinea il contributo morale dell'imputato realizzato ancor prima dell'arrivo in casa dei soggetti coinvolti, attraverso il riferimento ad una conversazione intervenuta gia' nel primo pomeriggio, allorquando la (OMISSIS) era in un negozio assieme ai minori per acquistare uccellini, e con la quale suggeriva alla donna di farsi toccare gia' all'interno del negozio e poi di recarsi in casa con i ragazzini, avviando una videochat e chiedendo alla donna di ricontattarlo appena si fosse trovata sola con loro, eccitandosi. Per poi proseguire con analoghe conversazioni con cui partecipava, come osservano i giudici, sia al compimento degli atti sessuali, con suggerimenti, sia alle riprese e foto che chiedeva di effettuare con conseguenti scambi di foto e video. Cosicche', del tutto condivisibili sono i rilievi circa la distinzione materiale oltre che anche cronologica delle condotte ascritte, che del resto appaiono in linea con l'indirizzo di questa Corte, la quale ha in ogni caso precisato che e' configurabile il concorso tra i delitti di pornografia minorile e di atti sessuali con minorenne, rispettivamente previsti dall' articolo 600-ter, comma 1, n. 1, e articolo 609-quater c.p., in quanto contemplanti condotte materialmente e cronologicamente distinte (Sez. 3 - n. 31743 del 29/09/2020 Rv. 280041 - 01). 4.11 terzo motivo, relativo a vizi ex articolo 606 comma 1 lettera b) c.p.p. in relazione all'articolo 609 quater e al negato riconoscimento della attenuante della minore gravita', e' inammissibile. La corte non si e' limitata, per escludere l'attenuante, a richiamare "il pieno e comprovato concorso di (OMISSIS) pur a distanza, in tutti i fatti occorsi", come sembra ritenere il ricorrente, ma ha altresi' congruamente rilevato - senza che sul punto si rinvenga un puntuale confronto da parte dell'imputato, con conseguente difetto di specificita' estrinseca del motivo stesso - la natura degli atti sessuali istigati ovvero determinati; il numero dei minori coinvolti; la giovanissima eta' delle vittime (tra i 12 e i 14 anni), le comprovate ripercussioni psicologiche su una di esse. Mostrando piena aderenza con la giurisprudenza di legittimita' al riguardo, secondo cui in tema di atti sessuali con minorenne, ai fini del riconoscimento dell'attenuante di minore gravita' di cui all'articolo 609-quater, c.p., e' necessaria una valutazione globale del fatto in cui assumono rilievo i mezzi, le modalita' esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima e le condizioni fisiche e psicologiche di quest'ultima, anche in relazione all'eta', mentre, ai fini del suo diniego, e' sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravita' (Sez. 3 n. 8735 del 24/11/2022 (dep. 01/03/2023) Rv. 284203 - 01). Inoltre, in tema di atti sessuali con minorenne, ai fini del riconoscimento dell'attenuante della minore gravita' prevista dall'articolo 609-quater c.p., comma 4, compete al giudice di merito, con valutazione che si sottrae al sindacato di legittimita', determinare quale sia il grado di compressione del bene giuridico, comparando tra di loro gli elementi negativi e positivi, co. n riferimento al grado di coartazione esercitato, alle condizioni psicofisiche, in relazione all'eta' e al danno anche psichico arrecato al minore. (Sez. 3 - n. 48377 del 13/07/2018 Rv. 274709 - 01) In tale contesto, non pertinente appare la valorizzazione della condizione di disagio psicologico del (OMISSIS), presa in adeguata considerazione ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche. 5. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che la sentenza impugnata debba essere annullata senza rinvio limitatamente 8 alla posizione di (OMISSIS), per sopravvenuta morte della stessa. E che il ricorso proposto da (OMISSIS) debba essere rigettato con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), perche' il reato e' estinto per morte dell'imputata. Rigetta il ricorso proposto da (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese del procedimento. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi a norma dell'articolo 52 Decreto Legislativo n. 196 del 2003, in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PEZZULLO Rosa - Presidente Dott. CANANZI Frances - rel. Consigliere Dott. SCORDAMAGLIA Irene - Consigliere Dott. CUOCO Michele - Consigliere Dott. CIRILLO Pierangelo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS) nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 20/09/2021 della CORTE APPELLO di BOLOGNA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCO CANANZI; lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale FRANCESCA CERONI, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Bologna, con la sentenza emessa in data 11 maggio 2022, per quanto di interesse, confermava la sentenza del Tribunale bolognese in ordine al delitto di bancarotta fraudolenta impropria da falso in bilancio, che aveva accertato la responsabilita' penale di (OMISSIS), riducendo la pena principale ad anni due di reclusione e quelle accessorie fallimentari alla medesima durata. 2. Il ricorso per cassazione proposto nell'interesse di (OMISSIS) consta di un unico motivo, enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 3. Il motivo deduce violazione dell'articolo 223, comma 2, n. 1, L.F. e vizio di motivazione conseguente. La Corte di appello avrebbe errato nell'applicazione della norma incriminatrice, non avendo dato conto di quale sia stato il contributo causale del falso in bilancio rispetto al dissesto, sottovalutando l'incidenza che ulteriori vicende societarie producevano sul nesso causale, quali l'intervenuto rifinanziamento, la dismissione di asset per il reperimento di liquidita', la ricapitalizzazione, l'immissione di nuovo capitale sociale, la negoziazione del debito esistente e il ricorso alla cassa integrazione. Comportamenti tutti da ritenersi idonei a interrompere il nesso causale fra la condotta di falsificazione del bilancio e il dissesto. A fronte di tale censura la Corte di appello avrebbe omesso la motivazione, riferendosi all'obbligo di dover richiedere la dichiarazione di fallimento, con confusione fra il delitto contestato e quello di bancarotta semplice ai sensi dell'articolo 217, comma 1, n. 4 L. Fall. Anche in ordine all'elemento soggettivo, la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere comprovato il dolo, relegando le scelte tese a salvaguardare l'esistenza della societa' come motivi personali irrilevanti, senza per altro rendere alcuna motivazione in ordine al dolo specifico e intenzionale richiesto. 4. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte - ai sensi del Decreto Legge 127 del 2020, articolo 23 comma 8, - con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, rilevando che il ricorso non rispetta il canone della autosufficienza. 5. Il ricorso e' stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto del Decreto Legge n. 105 del 202, articolo 7, comma 1, la cui vigenza e' stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, articolo 94, come modificato dal Decreto Legge 31 ottobre 2022, n. 162, articolo 5-duodecies, convertito con modificazioni dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' complessivamente da rigettare. 2. Va premesso che, quanto ai motivi di appello, spetta alla Corte di cassazione accedere all'atto di impugnazione, per valutare l'adeguatezza della motivazione censurata, non dovendo a riguardo ritenersi che il principio di autosufficienza del ricorso possa trovare applicazione a riguardo, a differenza di quanto ritenuto dalla Procura generale. Infatti, l'esame dell'atto di impugnazione e' funzionale alla valutazione di ammissibilita' del ricorso, ai sensi dell'articolo 606, comma 3, c.p.p., al fine di rilevare se il motivo e' precluso o meno e, dunque, trattasi di questione processuale che legittima questa Corte ad accedere all'atto di impugnazione (in merito ad altre questioni di natura processuale sollevate dal ricorso, fra le altre, Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017, dep. 2018, F., Rv. 273525 - 01; Sez. 1, n. 8521 del 09/01/2013, Chaid, Rv. 255304 - 01). L'atto di appello, in relazione al delitto per il quale si procede, proponeva censure in ordine al nesso causale e all'efficacia interruttiva delle iniziative assunte anche dall'imputato medio tempore, fra il falso nel bilancio commesso nel 2008 e la dichiarazione di fallimento del (OMISSIS) della (OMISSIS), nonche' in ordine all'elemento soggettivo. 3. Va premesso che dal tenore della sentenza di primo grado emerge con evidenza che tutti gli argomenti spesi con l'atto di appello erano gia' stati rappresentati e valorizzati nell'ambito del giudizio dinanzi al Tribunale di Bologna, che infatti affronta entrambi i profili delle censure di impugnazione, valutando la tesi difensiva sia quanto all'interruzione del nesso causale fra falso in bilancio e dissesto sia in merito alla sussistenza del dolo. A tal riguardo, va qui evidenziato come, in tema di integrazione delle motivazioni tra le conformi sentenze di primo e di secondo grado, se l'appellante si limita alla riproposizione di questioni di fatto o di diritto gia' adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure prospetta critiche generiche, superflue o palesemente infondate, il giudice dell'impugnazione ben puo' motivare per relazione; quando invece sono formulate censure o contestazioni specifiche, introduttive di rilievi non sviluppati nel giudizio anteriore o contenenti argomenti che pongano in discussione le valutazioni in esso compiute, e' affetta da vizio di motivazione la decisione di appello che si limita a respingere con formule di stile o in base ad assunti meramente assertivi o distonici dalle risultanze istruttorie le deduzioni proposte (Sez. 6, n. 28411 del 13/11/2012 - dep. 01/07/2013, Santapaola e altri, Rv. 256435). Di fatto la motivazione della sentenza di appello ora impugnata riprende argomenti gia' spesi dal Collegio di primo grado, riproducendoli in forma sintetica, a fronte di ragioni di censura assolutamente omogenee, a sostegno delle tesi difensive. Pertanto deve escludersi che la Corte territoriale abbia omesso la motivazione a riguardo, vertendosi in tema di doppia conforme, per cui le due sentenze di merito si integrano reciprocamente ai fini del controllo di legittimita' sul vizio di motivazione (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595 - 01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 12/04/2012, Valerio, Rv. 252615 - 01). 4. Quanto al nesso di causalita', non sussiste la violazione di legge lamentata dallo stesso ricorrente, nella ritenuta derivazione causale dell'aggravamento del dissesto dal falso in bilancio, in quanto risoltosi nell'occultamento di perdite che consentiva la prosecuzione dell'attivita' dell'impresa e l'accumulo di ulteriori perdite. 4.1 Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, il nesso causale rilevante non e' ravvisabile unicamente in presenza di condotte che incidano direttamente sulla consistenza del patrimonio della fallita, ma anche nei casi in cui le illecite operazioni contabili abbiano l'immediato risultato di rendere indiscernibile l'esistenza di consistenti perdite nell'attivita' imprenditoriale (Sez. 5, n. 28508 del 12/04/2013, Mannino, Rv. 255575). A tal riguardo le sentenze di merito di fatto evidenziano come nell'anno 2008 la situazione patrimoniale della societa' fosse gia' critica, cosicche' l'imputato non provvide all'iscrizione di perdite per Euro 1.690.885,00, risultando poi nel bilancio 2019 inserite perdite per complessivi Euro 3.268.354,00, pari a quelli maturati nel 2009 ai quali si aggiungevano quelli non indicati nel 2008. In sostanza la situazione di passivita' nel 2008 non emergeva grazie alle false comunicazioni, risultando un attivo per il 2008 di Euro 7.231,00 (cfr. sentenza di primo grado fol. 2). Inoltre, la situazione al 2008, rilevava il Tribunale, se correttamente contabilizzata avrebbe determinato l'emersione di un patrimonio netto negativo e la totale perdita di capitale sociale, dovendosi provvedere alla convocazione della assemblea ex articolo 2482-ter c.c. per deliberare la ricostituzione del capitale sociale o lo scioglimento e la messa in liquidazione della societa' (sentenza primo grado, fol. 3). A tale situazione si aggiungeva che proprio in quegli anni, dal 2008 al 2011, gli amministratori ricevevano l'importo complessivo di 524mi1a Euro circa quale compenso deliberato, riqualificato in bancarotta preferenziale, reato poi dichiarato estinto per prescrizione dalla Corte territoriale. L'incidenza interruttiva del nesso causale delle iniziative ritenute di `salvataggio' della societa' da parte del ricorrente - l'intervenuto rifinanziamento, la dismissione di asset per il reperimento di liquidita', la ricapitalizzazione, l'immissione di nuovo capitale sociale, la negoziazione del debito esistente e il ricorso alla cassa integrazione - veniva esclusa dal Tribunale e dalla Corte di appello, con motivazione congrua e non manifestamente illogica e congrua, che non incorre in violazione di legge. I Collegi del merito hanno infatti ritenuto che il falso in bilancio per l'anno 2008 avesse indotto "il mercato e i terzi ad un affidamento verso la societa', quando invece la situazione era gia' critica e non sanabile, come dimostra il precipitare della esposizione debitoria nell'anno successivo" (sentenza impugnata, fol. 3); se fosse stato veritiero il bilancio dell'anno 2008, avrebbe offerto una "rappresentazione esterna del patrimonio netto della societa', determinando una crescente esposizione debitoria che portava al fallimento", mentre invece le false comunicazioni ebbero a creare "l'apparenza di una impresa sana nei confronti dei terzi creditori, i quali, dunque, non hanno intrapreso quelle opportune iniziative che sarebbero seguite alla rilevazione di una situazione ben diversa e piu' grave rispetto a quella prospettata" (sentenza di primo grado, fol. 6). In sostanza i Giudici del merito evidenziano come proprio il falso in bilancio, assolutamente incontestato, abbia consentito di âââEurošÂ¬Ã‹Å"camuffare' lo stato di crisi, posticipandone l'emersione all'anno successivo in forma aggravata, anche a seguito dei finanziamenti ottenuti e dell'inazione dei creditori, che di fronte a una situazione di leggero attivo emergente dal bilancio del 2008 non agirono per la riscossione dei propri crediti. Il ricorrente richiama la giurisprudenza che ha ritenuto integrato il reato di bancarotta impropria da reato societario allorche' l'amministratore di societa', che esponga nel bilancio dati non veri, al fine di occultare la sostanziale perdita del capitale sociale, eviti cosi' di palesare la necessita' di procedere al suo rifinanziamento o alla liquidazione della societa', provvedimenti la cui mancata adozione determinava l'aggravamento del dissesto di quest'ultima (Sez. 5, n. 1754 del 20/09/2021, dep. 2022, Bevilacqua, Rv. 282537 - 01; conf. N. 28508 del 2013 Rv. 255575 - 01, N. 42272 del 2014 Rv. 260394 - 01, N. 17021 del 2013 Rv. 255089 - 01, N. 42811 del 2014 Rv. 261759 - 01). Nel caso in esame, osserva il ricorrente, il falso in bilancio non era funzionale a evitare il rifinanziamento della societa', che infatti intervenne. E bene deve rilevarsi come il principio richiamato debba essere calato nel caso concreto, perche' la falsificazione del bilancio, per integrare l'ipotesi di reato in esame, deve esclusivamente cagionare o concorrere ad aggravare il dissesto, quale che sia l'iniziativa successiva posta in essere dall'amministratore. 4.2 Quindi occorre verificare nel caso concreto se l'aver celato la realta' dei dati contabili in se' abbia prodotto o aggravato l'evento-dissesto (sulla sufficienza dell'aggravamento per integrare il reato, cfr. Sez. 5, n. 15613 del 05/12/2014, dep. 2015, Geronzi, Rv. 263803 - 0; conf. N. 16259 del 2010 Rv. 247254 - 01, N. 17021 del 2013 Rv. 255090 - 01) La giurisprudenza di legittimita' ha infatti anche ritenuto che, cosi' come nel caso in esame, il reato di bancarotta impropria da reato societario sia integrato quando l'amministratore, attraverso mendaci appostazioni nei bilanci, simuli un inesistente stato di solidita' della societa', consentendo cosi' alla stessa di ottenere nuovi finanziamenti bancari ed ulteriori forniture, giacche', agevolando in tal modo l'aumento dell'esposizione debitoria della fallita, determina l'aggravamento del suo dissesto. (Sez. 5, n. 17021 del 11/01/2013 - dep. 12/04/2013, Garuti e altro, Rv. 255089). Osservava la Corte di legittimita' in tale ultima pronuncia che "la simulazione di un inesistente stato di solidita' non solo aveva mascherato la reale situazione, ma aveva anche consentito (...) di ottenere ulteriori e sempre crescenti finanziamenti dalle banche in tal modo mantenendo la fiducia dei fornitori e dei clienti, ma aumentando l'esposizione debitoria ed aggravando conseguentemente il dissesto (...)". E' quanto hanno ritenuto i Giudici del merito nel caso in esame, rilevando come sia l'inazione dei creditori, sia lo stesso finanziamento, abbiano di fatto aggravato il dissesto, gia' verificatosi, per altro posticipando i comportamenti doverosi previsti dalla normativa civilistica all'anno successivo, come osservato dal Tribunale e anche dalla Corte di appello. A differenza di quanto censura il ricorrente, la Corte di appello non richiama l'obbligo di chiedere la dichiarazione di fallimento in relazione all'articolo 217, comma 1, n. 4, L.F. (capo B, per il quale e' stata dichiarata l'estinzione per prescrizione), bensi' come conseguenza della riduzione del capitale, al di sotto del minimo legale, che avrebbe imposto all'amministratore "senza indugio" ai sensi dell'articolo 2485 c.c. lo scioglimento e l'obbligo di richiedere il fallimento, dato lo stato di insolvenza, ex articolo 14 L. Fall., ovvero la ricostituzione del capitale sociale al sdi sopra del minimo ex articolo 2482-ter c.c.. Si verte, quindi, nell'ambito dell'analisi della condotta di bancarotta impropria da reato societario, a riprova della circostanza che le false comunicazioni in bilancio furono funzionali a posticipare anche l'esercizio degli obblighi dell'amministratore, non adempiuti "senza indugio", eludendo anche la previsione dell'articolo 2486, comma 1, c.c. che impone agli amministratori di operare per la sola conservazione e integrita' del patrimonio sociale fino alla nomina dei liquidatori. Si verte in una peculiare ipotesi di falsita' del bilancio, quindi, tesa a celare una perdita del capitale sociale al di sotto del minimo legale e quindi ad evitare l'emersione di una causa di scioglimento ai sensi dell'articolo 2484, comma 1, n. 4, c.c., cosicche' le perdite conseguenti al protrarsi della gestione - nel caso di specie le perdite al 2009 risultavano pari a Euro 3.268.354,00, assolutamente consistenti anche depurate da quelle pari a Euro 1.690.885,00 maturate nel 2008- aggravavano certamente il dissesto. 4.3 Per altro, tornando alla doglianza relativa alla interruzione del nesso causale per le iniziative di salvataggio intraprese, la Corte di appello, in uno al Tribunale, ha escluso il verificarsi di una cesura nella serie causale, in linea con il principio per cui ai fini della configurabilita' del reato di bancarotta impropria prevista dal Regio Decreto 16 maggio 1942, n. 267, articolo 223, comma 2, n. 2, non interrompono il nesso di causalita' tra l'operazione dolosa e l'evento, costituito dal fallimento della societa', ne' la preesistenza alla condotta di una causa in se' efficiente del dissesto, valendo la disciplina del concorso causale di cui all'articolo 41 c.p., ne' il fatto che l'operazione dolosa in questione abbia cagionato anche solo l'aggravamento di un dissesto gia' in atto, poiche' la nozione di fallimento, collegata al fatto storico della sentenza che lo dichiara, e' ben distinta da quella di dissesto, la quale ha natura economica ed implica un fenomeno in se' reversibile (Sez. 5, n. 40998 del 20/05/2014, Concu, Rv. 262189 - 01; Sez. 5, n. 8413 del 16/10/2013, dep. 2014, Besurga, Rv. 259051 - 01). D'altro canto, le doglianze tese a dimostrare l'efficacia interruttiva del nesso causale delle plurime iniziative prospettate come tese al salvataggio della societa', risultano assolutamente generiche, non solo in questa sede di legittimita': per altro, come osserva la Procura generale, il ricorso risulta privo di autosufficienza a riguardo, non essendo stati allegati o richiamati in modo puntuale gli atti che i Giudici del merito non avrebbero adeguatamente valutato. Infatti, dedotto il vizio di manifesta illogicita' della motivazione richiamando la documentazione allegata nei gradi di merito, il ricorso e' inammissibile se non ne contiene la integrale trascrizione o allegazione, cosi' da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze, in base al combinato disposto degli articoli 581, comma 1, lettera c), e 591 c.p.p. (Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, Schioppo, Rv. 270071; Sez. 4, Sentenza n. 46979 del 10/11/2015, Bregamotti, Rv. 265053Sez. 3, Sentenza n. 43322 del 02/07/2014, Sisti, Rv. 260994 Sez. 2, Sentenza n. 26725 del 01/03/2013, Natale, Rv. 256723). 4.4 Ne consegue che il motivo di ricorso, quanto al profilo oggettivo e in particolare al nesso causale, e' infondato. Puo' affermarsi, pertanto, il principio per cui, in tema di bancarotta impropria da reato societario, con riferimento al reato di cui all'articolo 2621 c.c., sussiste il nesso eziologico fra le false comunicazioni sociali e il dissesto allorche' il mendacio celi una perdita del capitale sociale al di sotto del minimo legale ex articolo 2463, comma 1, n. 4), c.c., cosi' impedendo l'emergere di una causa di scioglimento della societa' di capitali ai sensi dell'articolo 2484, comma 1, n. 4, c.c., nonche' eludendo gli obblighi dell'amministratore di provvedere "senza indugio" a fronte della causa di scioglimento ai' sensi dell'articolo 2485, comma 1, c.c., cosi' provocando ulteriori perdite, conseguenti a indebiti finanziamenti e al protrarsi della gestione in regime non liquidatorio. 5. Quanto all'elemento soggettivo, il ricorrente a buona ragione richiama l'orientamento della Corte di cassazione che in tema di bancarotta impropria da reato societario di falso in bilancio, individua una struttura complessa comprendente il dolo generico (avente ad oggetto la rappresentazione del mendacio), il dolo specifico (profitto ingiusto) ed il dolo intenzionale di inganno dei destinatari, e il predetto dolo generico non puo' ritenersi provato - in quanto "in re ipsa" - nella violazione di norme contabili sulla esposizione delle voci in bilancio, ne' puo' ravvisarsi nello scopo di far vivere artificiosamente la societa', dovendo, invece, essere desunto da inequivoci elementi che evidenzino la consapevolezza di un agire abnorme o irragionevole attraverso artifici contabili (Sez. 5, n. 30526, 22/04/2021, Caronna, non massimata; Sez. 5, n. 46689 del 30/06/2016, Coatti, Rv. 268673). 5.1 Va premesso che a questa struttura complessa del dolo offre una adeguata risposta la sentenza di primo grado. Per un verso, in ordine al presupposto dolo della bancarotta impropria, correttamente il Tribunale richiama il principio per cui in tema di bancarotta impropria da reato societario, con riferimento al reato di cui all'articolo 2621 c.c., il dolo richiede una volonta' protesa al dissesto, da intendersi non gia' quale intenzionalita' di insolvenza, bensi' quale consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico (Sez. 5, n. 50489 del 16/05/2018, Nicosia, Rv. 274449 - 01; Sez. 5, n. 42257 del 06/05/2014, Solignani, Rv. 260356 - 01, in una fattispecie relativa alla esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione economica e finanziaria della societa' con conseguente dissesto della medesima ed induzione in errore dei creditori). Anche in relazione al dolo del reato societario, che deve essere accertato, il Tribunale rileva come il dolo generico (avente ad oggetto la rappresentazione del mendacio), e' comprovato "dalle gonfiate appostazioni negative presenti nel bilancio successivo, dove, considerate come impossibili da occultare le gravi perdite che anche in quell'esercizio si erano verificate, gli amministratori decisero di riversare il dato negativo dell'anno precedente". In sostanza l'omessa indicazione nel 2008 e l'inserimento in bilancio nel 2009 delle passivita' maturate nel primo anno, comprovano la consapevolezza e la volonta' del mendacio. Quanto al dolo specifico (profitto ingiusto), viene individuato dal Tribunale nell'intenzione di avvantaggiarsi della situazione non rispondente al vero, evitando un piu' celere rientro della propria esposizione. Quanto al dolo intenzionale di inganno dei destinatari, il Tribunale lo individua nella volonta' di ingannare i creditori sulla consistenza patrimoniale della societa', perche' agendo diversamente sarebbe emersa la situazione di rilevante passivita', che avrebbe bloccato forniture e finanziamenti, per l'insolvenza della (OMISSIS). 5.2 Con l'atto di appello veniva censurata la motivazione relativa al dolo generico presupposto della bancarotta impropria, trasformandosi una fattispecie di danno in quella di pericolo a ben vedere la doglianza non viene riproposta in questa sede, e d'altro canto il dolo presupposto al quale fa riferimento la sentenza di primo grado e' quello relativo al delitto di bancarotta fraudolenta che esclude dal fuoco del dolo la volonta' del dissesto, ritenendosi necessaria la sola consapevolezza del pericolo di riduzione della garanzia patrimoniale per i creditori. In relazione al dolo generico delle false comunicazioni sociali, l'atto di appello, riportando la motivazione della sentenza di primo grado quanto al dolo intenzionale e dolo di inganno, la censura come segue: "tutto ruota, in definitiva, intorno ad una irragionevole- secondo una valutazione ex post-decisione di continuare la l'attivita' aziendale, identificata tra l'altro nell'ingiusto profitto, che sembra disperdere la portata tipizzante del dolo specifico oltre che dimenticare il âââEurošÂ¬Ã‹Å"rischio' connaturata all'attivita' svolta". La Corte di appello ribadisce la sussistenza del dolo, ritenendola pacifica nella prova di falsificazione del bilancio, ritenendo le scelte discrezionali di impresa relative ai motivi del reato irrilevanti rispetto al dolo. 5.3 L'appello, al pari del ricorso per cassazione, e' inammissibile per difetto di specificita' dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificita', a carico dell'impugnante, e' direttamente proporzionale alla specificita' con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato. (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016 - dep. 22/02/2017, Galtelli, Rv. 26882201). In vero la sentenza di primo grado aveva puntualmente esaminato e dato conto di tutti i profili del complesso elemento soggettivo del delitto di bancarotta impropria da reato societario e a fronte di tale accurata ricostruzione i motivi di appello risultavano del tutto aspecifici. Ne consegue che il difetto di motivazione della sentenza di appello in ordine a motivi generici, proposti in concorso con altri motivi specifici, non puo' formare oggetto di ricorso per cassazione, poiche' i motivi generici restano viziati da inammissibilita' originaria, quand'anche il giudice dell'impugnazione non abbia pronunciato in concreto tale sanzione (Sez. 5, n. 44201 del 29/09/2022 Testa, Rv. 283808 - 01; conf. N. 1982 del 1999 Rv. 213230 - 01, N. 10709 del 2015 Rv. 262700 - 01). 6. Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso, con condanna alle spese processuali del ricorrente. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SABEONE Gerardo - Presidente Dott. GUARDIANO Alfredo - rel. Consigliere Dott. SESSA Renata - Consigliere Dott. PILLA Egle - Consigliere Dott. SGUBBI Vincenzo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 04/03/2022 della CORTE APPELLO di FIRENZE; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ALFREDO GUARDIANO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ODELLO LUCIA. udito il difensore. IN FATTO E IN DIRITTO 1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Firenze riformava in favore dell'imputato, limitatamente all'entita' della pena inflitta, che riduceva, la sentenza con cui il tribunale di Siena, in data 12.12.2017, aveva condannato (OMISSIS) alla pena ritenuta di giustizia, in relazione ai reati di cui all'articolo 570 bis c.p., articolo 614 c.p., u.c., articoli 582, 585 e 612 bis c.p., ascrittigli, rispettivamente, ai capi A), B), C) e D) dell'imputazione, commessi in danno della moglie divorziata (OMISSIS), oltre al risarcimento dei danni derivanti da reato in favore della costituita parte civile, liquidati in 20.000,00 Euro, confermando nel resto la sentenza impugnata. 2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l'annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, deducendo: 1) violazione di legge, con riferimento alla contestazione di cui al capo A), in quanto la corte territoriale, riqualificato il fatto originariamente contestato ex articolo 570 c.p., nel reato di cui all'articolo 570 bis c.p., affermava la responsabilita' del (OMISSIS) ritenendo irrilevante la dimostrata impossibilita' assoluta, persistente e incolpevole di far fronte agli impegni assunti, dell'imputato, del tutto privo di risorse economiche, tanto da non essere in grado di corrispondere i canoni di affitto e costretto a vivere per strada presso la stazione; 2) vizio di motivazione con riferimento al reato di violazione di domicilio e di lesione personale volontaria, in quanto la corte territoriale, da un lato, ha omesso di considerare che gli agenti operanti hanno accertato che la porta dell'abitazione della persona offesa non recava tracce di danneggiamento, circostanza che smentiva quanto riferito dalla (OMISSIS), secondo cui il prevenuto avrebbe sfondato la porta con un calcio, dovendosi, pertanto, escludere, quanto meno, la contestata circostanza aggravante; dall'altro, non ha valutato quanto riferito dal teste (OMISSIS), agente della polizia municipale, il quale, intervenuto nell'immediatezza dei fatti, ha riferito di avere appreso dai figli della persona offesa che l'imputato, dopo avere colpito con un calcio la porta di ingresso, aveva colpito la ex moglie con uno schiaffo, il che appare incompatibile con il racconto della persona offesa, la quale ha affermato di essere stata colpita con pugni ripetuti e con una bottiglia; 3) vizio di motivazione, anche sotto il profilo del travisamento delle risultanze probatorie, con riferimento all'articolo 612 bis c.p., in quanto, sulla base delle stesse dichiarazioni della persona offesa, si evince l'insussistenza dell'elemento oggetti del delitto in questione; 4) vizio di motivazione in punto di mancato riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena. 3. Con requisitoria scritta del 16.2.2023, depositata sulla base della previsione del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, che consente la trattazione orale in udienza pubblica solo dei ricorsi per i quali tale modalita' di celebrazione e' stata specificamente richiesta da una delle parti, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile. Con conclusioni scritte pervenute il 28.2.2023, il difensore di ufficio dell'imputato insiste per l'accoglimento del ricorso. 4. Il ricorso e' parzialmente fondato e va accolto nei termini che seguono. 5. Inammissibili appaiono il secondo e il terzo motivo di ricorso. Si osserva al riguardo che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte, anche a seguito della modifica apportata all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), dalla L. n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimita' il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. In questa sede di legittimita', dunque, e' precluso il percorso argomentativo seguito dal ricorrente, che si risolve in una mera e del tutto generica lettura alternativa o rivalutazione del compendio probatorio, posto che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimita', quale e' quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Cass., sez. VI, 22/01/2014, n. 10289; Cass., Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217; Cass., Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099; Cass., Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758). Ne' va taciuta, con riferimento agli atti processuali e, in particolare, alle prove dichiarative, di cui il ricorrente lamenta un'inadeguata valutazione da parte della corte territoriale, la violazione del principio della cd. autosufficienza del ricorso, per cui e' inammissibile il ricorso per cassazione che deduca vizi di motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga, come nel caso in esame, la loro integrale trascrizione o allegazione, cosi' da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 26725 del 01/03/2013, Rv. 256723; Cass., Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, Rv. 270071; cfr. Cass., Sez. 5, n. 5897 del 03/12/2020, Rv. 280419; Cass., Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, Rv. 276432). Siffatta interpretazione va mantenuta ferma, come chiarito da alcuni recenti arresti, anche dopo l'entrata in vigore del Decreto Legislativo 28 luglio 1989, n. 271, articolo 165 bis, comma 2, inserito dal Decreto Legislativo 6 febbraio 2018, n. 11, articolo 7, dovendosi ribadire l'onere di puntuale indicazione ed allegazione, da parte del ricorrente, degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l'allegazione, materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato (cfr. Cass., Sez. 5, n. 5897 del 03/12/2020, Rv. 280419; Cass., Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, Rv. 276432). Del resto il giudice di secondo grado ha fondato la propria decisione su di un esaustivo percorso argomentativo, contraddistinto da intrinseca coerenza logica, fondato sulle dichiarazioni accusatorie della persona offesa. Tali dichiarazioni, come e' noto, possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilita' dell'imputato, non trovando applicazione nei confronti della persona offesa, anche quando sia costituita parte civile, le regole di valutazione della prova dettate dall'articolo 192 c.p.p., comma 3, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilita' soggettiva del dichiarante e dell'attendibilita' intrinseca del suo racconto, che, peraltro, deve in tal caso essere piu' penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (cfr. Cass., sez. un., 19/07/2012, n. 41461, P.M., rv. 253214). Nel solco della decisione delle Sezioni Unite si inseriscono ulteriori arresti in cui si evidenzia, da un lato, la necessita' che il giudice, nella valutazione delle dichiarazioni accusatorie della persona offesa, indichi le emergenze processuali determinanti per la formazione del suo convincimento, consentendo cosi' l'individuazione dell'iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata (cfr. Cass., sez. V, n. 1666 dell'8.7.2014, rv. 261730); dall'altro, che, qualora risulti opportuna l'acquisizione di riscontri estrinseci, questi possono consistere in qualsiasi elemento idoneo a escludere l'intento calunniatorio del dichiarante, non dovendo risolversi in autonome prove del fatto, ne' assistere ogni segmento della narrazione (cfr. Cass., sez. V, n. 21135 del 26.3.2019, rv. 275312). Orbene di tali principi ha fatto buon governo la corte territoriale nella ricostruzione della dinamica degli eventi, attraverso una motivazione che appare affatto manifestamente illogica o contraddittoria. Essa, infatti, e' fondata sulle dichiarazioni della parte civile, che la corte territoriale ha ritenuto, con inappuntabile argomentare, attendibili e riscontrate da elementi esterni, quali le dichiarazioni dei figli della coppia; di uno zio della (OMISSIS); il contenuto della relazione di servizio dei Carabinieri di Sinalunga, intervenuti sul luogo dell'aggressione perpetrata dal (OMISSIS) in danno della ex moglie; la documentazione sanitaria acquisita agli atti, attestante lesioni compatibili con il narrato della persona offesa. 6. Fondato, invece, appare il primo motivo di ricorso, in esso assorbite le ulteriori doglianze in punto di sospensione condizionale della pena inflitta. Come affermato, invero, dalla giurisprudenza di legittimita' con orientamento condiviso dal Collegio, in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, l'impossibilita' assoluta dell'obbligato di far fronte agli adempimenti sanzionati dall'articolo 570-bis c.p., che esclude il dolo, non puo' essere assimilata all'indigenza totale, dovendosi valutare se, in una prospettiva di bilanciamento dei beni in conflitto, ferma restando la prevalenza dell'interesse dei minori e degli aventi diritto alle prestazioni, il soggetto avesse effettivamente la possibilita' di assolvere ai propri obblighi senza rinunciare a condizioni di dignitosa sopravvivenza. In motivazione la Corte ha precisato che, a tal fine, deve tenersi conto delle peculiarita' del caso concreto, e, in particolare, dell'entita' delle prestazioni imposte, delle disponibilita' reddituali del soggetto obbligato, della sua solerzia nel reperire, all'occorrenza, fonti ulteriori di guadagno, della necessita' per lo stesso di provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita, del contesto socio-economico di riferimento (cfr. Sez. 6, n. 32576 del 15/06/2022, Rv. 283616). Orientamento che va integrato da quanto affermato in altro recente arresto della Suprema Corte, secondo cui in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, la condotta incriminata dall'articolo 570-bis, c.p., non e' integrata da qualsiasi forma di inadempimento civilistico, ma necessita di inadempimento serio e sufficientemente protratto, o destinato a protrarsi, per un tempo tale da incidere apprezzabilmente sulla entita' dei mezzi economici che il soggetto obbligato deve fornire. (Fattispecie relativa al ritardo nel pagamento di due soli assegni mensili di mantenimento: cfr. Sez. 6, n. 47158 del 20/10/2022, Rv. 284023). Risulta, pertanto, erronea l'affermazione del giudice di appello, in ordine alla "irrilevanza di ogni accertamento sulla carenza dei mezzi di sussistenza in capo ai figli minori e alla obiettiva e incolpevole possibilita' di adempiere" del (OMISSIS), che, invece, rappresentano due profili indispensabili dell'indagine demandata al giudice di merito ai fini di accertare se la condotta dell'imputato abbia o meno integrato, sotto il profilo soggettivo e oggettivo, gli elementi costituitivi del reato di cui all'articolo 570-bis c.p.. Sul punto la sentenza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Firenze, che provvedera' a colmare l'evidenziata lacuna motivazionale, uniformandosi ai principi di diritto in precedenza indicati. Ai sensi del disposto dell'articolo 624 c.p.p., comma 2, va dichiarata irrevocabile la sentenza oggetto di ricorso nella parte relativa all'affermazione di responsabilita' del (OMISSIS) per i reati di cui ai capi B); C) e D) dell'imputazione. La non completa soccombenza del ricorrente comporta che quest'ultimo non sia condannato al pagamento delle spese processuali. Va, infine, disposta l'omissione delle generalita' e degli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento, ai sensi del Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, articolo 52, comma 5. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al capo A) dell'imputazione con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze. Inammissibile il ricorso nel resto. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE GREGORIO Eduardo - Presidente Dott. SESSA Renata - Consigliere Dott. BORRELLI Paola - Consigliere Dott. SGUBBI Vincenzo - Consigliere Dott. CUOCO Michele - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 9 settembre 2022, del Tribunale di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere MICHELE CUOCO; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale KATE TASSONE, che ha chiesto rigettarsi il ricorso; letta la memoria deposita il 16 marzo 2022, dall'avv. (OMISSIS), nell'interesse del ricorrente; letta la memoria depositata il 20 marzo 2023, dall'avv. (OMISSIS), nell'interesse del ricorrente; letti i motivi aggiunti depositati il 22 marzo 2023, dall'avv. (OMISSIS), nell'interesse del ricorrente. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 7 settembre 2022, il Tribunale del Riesame di Roma confermava l'ordinanza emessa dal GIP del Tribunale di Velletri, che aveva applicato, a (OMISSIS), la misura cautelare dell'obbligo di dimora nel comune di residenza, ritenendo sussistenti, a carico del predetto, quale coamministratore di fatto della (OMISSIS) s.r.l. (successivamente dichiarata fallita), gravi indizi di colpevolezza in relazione ai reati di omessa presentazione della dichiarazione IVA (con evasione di 2.331.934,91 Euro) e di bancarotta fraudolenta documentale, nonche' le esigenze cautelari di cui alla lettera c) dell'articolo 274 del codice di procedura penale. 2. Avverso tale provvedimento, ricorre per cassazione il (OMISSIS), formulando quattro motivi di censura, ai quali se ne sono aggiunti ulteriori tre, successivamente formulati a mezzo di autonoma memoria. 2.1. Con il primo, il ricorrente denuncia inosservanza di norma processuale, in relazione agli articoli 309, commi 5 e 10, c.p.p., in ragione del deposito dell'ordinanza impugnata oltre il termine perentorio di dieci giorni di cui all'articolo 309, comma 9, c.p.p., decorrenti, in ipotesi, dal 27 agosto 2022, data in cui gli atti sono pervenuti al Tribunale, con conseguente inefficacia dell'ordinanza genetica. 2.2. Con il secondo, si denuncia violazione di legge ed inosservanza di norma processuale, in relazione agli articoli 125, 292 e 309 c.p.p., nella parte in cui, secondo la difesa, il Tribunale del riesame avrebbe erroneamente ritenuto sufficientemente motivata l'ordinanza genetica, senza considerare, si sostiene, l'assenza di un'autonoma valutazione degli elementi giustificativi della misura con specifico riferimento alla posizione del ricorrente. E cio' sia sotto il profilo della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, sia sotto quello dell'attualita' delle ritenute esigenze cautelari. 2.3. Con il terzo, si deducono plurime violazione di legge e vizi di motivazione, che, secondo la prospettazione difensiva, inciderebbero sulla tenuta logica e giuridica della decisione impugnata. Secondo la difesa, infatti, il Tribunale avrebbe attribuito valore indiziario ad elementi del tutto neutri (i tempi e le modalita' dei contatti tra il ricorrente e la (OMISSIS); le garanzie offerte in ordine alla bonta' dell'operazione; le indicazioni fornite circa quelli che dovevano essere i soggetti partecipanti all'operazione) o essi stessi presuntivi (essendo le celle vicine, i predetti soggetti, trovandosi nello stesso luogo, si sarebbero incontrati); sarebbe poi caduta in un evidente errore percettivo (rappresentato dal fatto, ritenuto dal Tribunale ma, documentalmente, non rispondente al vero, che la (OMISSIS) s.r.l., del quale il ricorrente e' amministratore, fosse stata amministratrice della (OMISSIS) dal 2012 al 2015) ed avrebbe ritenuto di poter fondare la responsabilita' del ricorrente sulla sua eventuale partecipazione a titolo di concorso esterno nel reato proprio, pur a fronte di una chiara imputazione quale coamministratore di fatto della medesima societa'. E con cio' modificando radicalmente il fatto contestato. 2.4. Con il quarto motivo, in ultimo, si deduce la violazione dell'articolo 274, lettera c), c.p.p., nella parte in cui il Tribunale, per giustificare l'esistenza di un attuale pericolo di reiterazione dei reati, avrebbe utilizzato elementi del tutto inidonei e privi di forza inferenziale. Tanto piu' alla luce del significativo distacco temporale esistente tra l'ipotizzata commissione dei reati (2019) e l'applicazione della misura (2022). 3. La difesa del ricorrente ha poi formulato, con autonoma memoria (depositata il 22 marzo 2023), ulteriori tre motivi di censura. 3.1. Con il primo si deduce l'assenza di elementi idonei dai quali dedurre l'attribuzione (in fatto), in capo al ricorrente, delle ipotizzate funzioni gestorie e la sua intraneita' rispetto alla vicenda. In senso contrario a quello ipotizzato dal Tribunale, deporrebbero, infatti, numerosi elementi, essi stessi significativi della sostanziale estraneita' del (OMISSIS) rispetto alla gestione societaria della (OMISSIS) (la circostanza per cui il ricorrente sarebbe "entrato" nella vicenda solo dopo quella rivoluzione societaria che avrebbe poi dato il via ai controlli tributari; l'assenza di contatti con il suo ritenuto coamministratore - (OMISSIS) - o con la (OMISSIS), diretta dipendente di quest'ultimo; l'irragionevole coinvolgimento dei suoi maggiori clienti; l'assoluta estraneita' del ricorrente rispetto a tutti gli altri soggetti che sono intervenuti nella complessa operazione economica). 3.2. Con il secondo motivo, formulato in termini parzialmente sovrapponibili al primo, si deduce, sotto il profilo del vizio di motivazione, l'assoluta inidoneita' degli elementi utilizzati dal Tribunale, radicalmente privi di valenza indiziaria: i contatti telefonici con la (OMISSIS) o con i suoi rappresentanti - (OMISSIS) e (OMISSIS) - o con lo spedizioniere (del tutto neutri); le celle agganciate nel corso delle telefonate (giustificabili in ragione della medesima collocazione geografica dei luoghi frequentati), le garanzie offerte in ordine al buon esito delle operazioni (perfettamente coerenti con il ruolo svolto); il ritorno economico (legittimamente conseguente alla stipula della transazione). 3.3. Il terzo, formulato sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione, censura in ultimo l'ipotizzata sussistenza delle esigenze cautelari, irragionevolmente ritenute nonostante l'assoluta incensuratezza del ricorrente. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorrente deduce, con il primo motivo, la sopravvenuta inefficacia dell'ordinanza genetica in ragione della ritenuta violazione del termine di dieci giorni, di cui all'articolo 309, comma 9, del codice di rito. La deduzione e' infondata. Questa Corte ha gia' avuto modo di affermare, in diverse occasioni, che il termine di dieci giorni entro cui deve intervenire la decisione sulla richiesta di riesame decorre, nel caso in cui il dies a quo ricada in periodo di sospensione feriale, dal primo giorno utile successivo alla scadenza di tale periodo e che la parte che non intende avvalersi della sospensione dei termini feriali, deve dichiararlo espressamente, non essendo sufficiente, a tal fine, la mera presentazione della relativa istanza (Sez. 3, n. 4903 del 12/1/2010, Rv. 266024; da ultimo Sez. 5, n. 28671 del 1/3/2016, Rv. 267370). Cio' premesso, l'istanza di riesame risulta depositata il 25 agosto 2002, gli atti pervenuti al Tribunale distrettuale il 27 agosto successivo e il dispositivo della successiva ordinanza depositato il 9 settembre. Quindi, alla luce di quanto in precedenza osservato, nel termine dei dieci giorni (decorrenti dal 1 settembre 2022) di cui al richiamato articolo 309. 2. Il secondo motivo, invece, e' fondato e assorbe gli altri. Il ricorrente, per come si e' detto, ha censurato l'ordinanza impugnata, deducendo che il Tribunale non avrebbe correttamente rilevato la violazione degli articoli 125, 273 e 292 c.p.p. e la conseguente nullita' dell'ordinanza applicativa per difetto di autonoma valutazione e carenza assoluta di motivazione, non emendabile, atteso che, in ipotesi, l'ordinanza impugnata si sarebbe limitata a richiamare le risultanze delle indagini della Guardia di Finanza di (OMISSIS) e la richiesta del Pubblico Ministero, omettendo qualsiasi valutazione critica sia in relazione agli elementi indiziari individuati a carico del ricorrente (quanto al contributo causale fornito dal ricorrente e in termini di imputazione psicologica della complessiva operazione), sia sotto il profilo delle specifiche esigenze cautelari che giustificano l'applicazione della misura nei suoi riguardi. Ebbene, e' principio ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che la motivazione della ordinanza cautelare non puo' limitarsi alla ratifica, con formule di stile, delle valutazioni offerte dal pubblico ministero, ma deve offrire una autonoma valutazione di tutte le emergenze procedimentali disponibili e rilevanti. Cosicche', la tecnica del rinvio testuale e' legittima solo nella misura in cui resta confinata nell'area della "esposizione" degli elementi posti a sostegno della misura, ma non puo' estendersi fino all'assorbimento dei contenuti valutativi della richiesta cautelare, confliggendo tale operazione con la strutturale funzione di controllo affidata al giudice per le indagini preliminari in materia di misure cautelari (Sez. 2, n. 46136 del 28/10/2015, Rv. 265212; Sez. 6, n. 46792 del 11/09/2017, Rv. 271507). Parallelamente, a fronte di eventuali omissioni o insufficienze motivazionali, il Tribunale del riesame ben puo' intervenire integrando o modificando il provvedimento impugnato, ma il potere-dovere di integrazione delle insufficienze motivazionali del provvedimento impugnato non ha una portata illimitata, in quanto non opera laddove l'ordinanza del GIP, limitandosi ad una sterile rassegna delle fonti di prova a carico dell'indagato, manchi totalmente di qualsiasi riferimento contenutistico e di enucleazione degli specifici elementi reputati indizianti (Sez. 5, Sentenza n. 643 del 06/12/2017, dep. 2018, Rv. 271925; Sez. 2, n. 25513 del 14/06/2012, Rv. 253247) o delle concrete ed attuali esigenze cautelari che hanno giustificato la misura (Sez. 4, n. 17540 del 22/05/2020, Rv. 279245). In questi casi, anche a seguito delle modifiche apportate dalla L. 16 aprile 2015, n. 47 agli articoli 292 e 309, c.p.p., lo stesso Tribunale non puo' avvalersi del menzionato potere integrativo o confermativo, bensi', mancando un sostrato su cui sviluppare il contraddittorio tra le parti, deve provvedere esclusivamente all'annullamento del provvedimento coercitivo, non essendo consentito un potere sostitutivo quanto all'emissione di un valido atto, che potra' eventualmente essere adottato dal medesimo organo la cui decisione e' stata annullata (Sez. 6, n. 10590 del 13/12/2017, dep. 2018, Rv. 272596; Sez. 1 n. 5122 del 19/09/1997, Rv. 208586; Sez. 5, n. 5954 del 07/12/1999 dep. 2000, Rv. 215258). Cosicche', se e' pienamente legittima la pedissequa trascrizione, senza alcuna aggiunta, degli elementi fattuali della vicenda cautelare, quale substrato oggettivo alla base della richiesta, prima, e della statuizione assunta, poi, e' invece imprescindibile che il profilo valutativo sia esplicitato, trattandosi del dato realmente qualificante della decisione assunta, premessa necessitata per l'eventuale esercizio successivo della facolta' d'impugnazione delle parti e quindi, per cio' che concerne l'indagato, per la concreta attuazione del diritto di difesa (Sez. 6, n. 46792 del 11/09/2017, Rv. 271507) Sotto questo profilo, il Tribunale ha rilevato l'esistenza di una parte "originale", nella quale il GIP avrebbe riassunto i fatti ed il meccanismo fraudolento congegnato dagli indagati ed altra nella quale lo stesso GIP avrebbe effettuato specifiche considerazioni in punto di scelta della misura, discostandosi dalla richiesta del Pubblico Ministero, che aveva ritenuto necessaria l'applicazione agli indagati della misura degli arresti domiciliari, indicando quale misura maggiormente proporzionata alla gravita' dei fatti quella applicata. Tanto non e' condivisibile. La parte ritenuta "originale" (peraltro evidentemente assertiva) e' limitata alla sola valutazione di adeguatezza della misura: non involge tutti i profili, evidentemente prodromici rispetto ad essa. Nulla di "originale" si dice con riferimento alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza o in relazione alle connesse esigenze cautelari. Dopo aver dettagliatamente ricostruito l'operazione, indicando i soggetti coinvolti (fra i quali il ricorrente non figura mai, se non una sola volta con il nome di (OMISSIS)) e offerto ampie osservazioni in diritto, il GIP si limita a ritenere: - quanto al profilo soggettivo dei reati contestati, che e' "evidente che tutti gli indagati erano ben consapevoli di collaborare alla realizzazione del sistema frodatorio sopra descritto, e dunque di evadere il Fisco, e che lo stesso appare congegnato in maniera tale da poter essere replicato all'infinito, con la costituzione/coinvolgimento di nuove societa'; come pure appare evidente che tutti gli indagati erano consapevoli che, occultando le scritture contabili obbligatorie al fine di evasione fiscale, si sarebbe anche raggiunto lo scopo di impedire la ricostruzione del patrimonio societario e dei relativi movimenti di affari, con il conseguente inevitabile pregiudizio dei relativi creditori, ossia si sarebbe consumato il delitto di bancarotta fraudolenta documentale contestato al capo 2"; - quanto alla sussistenza delle concrete esigenze cautelari, che ricorre "il concreto ed attuale pericolo che gli indagati - alcuni dei quali pluripregiudicati commettano altri delitti della stessa specie di quel de cui si procede nell'immediato futuro (anche altre bancarotte di societa' costituite e operanti con le medesime modalita' fraudolente della (OMISSIS) s.r.l.)"; - quanto alla scelta della misura da applicare, che "la misura cautelare personale adeguata e sufficiente a scongiurare tale pericolo sia costituita dall'obbligo di dimora per ciascun indagato nel rispettivo talune di residenza, non essendo necessaria allo scopo limitare la liberta' personale degli indagati sino al punto di confinarli all'interno delle rispettive abitazioni 24 ore su 24... proporzionata alla gravita' complessiva dei fatti ed alla presumibile entita' della pena che per essi sara' irrogata agli indagati con la sentenza definitiva, e che quest'ultima, dati i limiti edittali, assai verosimilmente non potra' essere contenuta nei limiti che ne consentano la sospensione condizionale ai sensi dell'articolo 163 c.p. anche nel ipotesi che gli stesi accedano ad un rito alternativo". Si tratta, all'evidenza, di una motivazione del tutto apparente, strutturata, appunto, intorno ad una sterile rassegna delle fonti di prova e priva totalmente, quanto meno in relazione alla posizione dell'indagato, dell'enucleazione di quegli specifici elementi reputati indizianti e delle concrete ed attuali esigenze cautelari che hanno giustificato la misura. Manca una struttura motivazionale sulla quale introdurre il contraddittorio ed esercitare il diritto di difesa. Tanto piu' che, sia in relazione al profilo indiziario che a quello strettamente cautelare, il giudice non puo' assumere determinazioni complessive e generali, accumunando, in un'unica valutazione, la posizione di una pluralita' di indagati, ma deve valutare separatamente le posizioni individuali, dando conto della concreta e specifica ragione dei criteri logici adottati (Sez. 2, n. 6480 del 21/11/1997, dep. 1998, Rv. 210595). In conclusione, l'ordinanza impugnata deve essere annullata e, con essa, anche quella emessa dal GIP. Si dispone, pertanto, in applicazione dell'articolo 626 c.p.p., l'immediata comunicazione - a cura della cancelleria - del dispositivo della presente sentenza al Procuratore generale presso questa Corte, per i successivi provvedimenti da adottare. P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e quella emessa il 27 luglio 2022 dal GIP del Tribunale di Velletri, limitatamente alla posizione di (OMISSIS) e dispone la cessazione della misura cautelare al medesimo applicata. Si provveda ai sensi dell'articolo 626 c.p.p..

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere Dott. CENCI Daniele - Consigliere Dott. D'ANDREA Alessandro - rel. Consigliere Dott. PAVICH Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 06/10/2021 della CORTE APPELLO di CATANZARO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere D'ANDREA ALESSANDRO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ODELLO LUCIA. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 6 ottobre 2021 la Corte di appello di Catanzaro - per quanto di interesse in questa sede - ha confermato la pronuncia del G.U.P. del Tribunale di Paola del 27 ottobre 2020 con cui (OMISSIS) e (OMISSIS) erano stati condannati, unificate le violazioni sotto il vincolo della continuazione e operata la diminuzione per il rito, alla pena, rispettivamente: di anni tre e mesi dieci di reclusione ed Euro 800,00 di multa ( (OMISSIS)) e di anni tre e mesi quattro di reclusione ed Euro 833,00 di multa ( (OMISSIS)). I due imputati sono stati ritenuti responsabili di aver commesso, in concorso con altri soggetti, diverse ipotesi di furto aggravato, consumate o tentate, poste in essere tra il 2016 e il 2017 nell'ambito di una vasta zona territoriale (riguardante le province di Cosenza, Catanzaro, Reggio Calabria e Taranto) in danno di plurimi esercizi commerciali (distributori di benzina, bar, edicole, sale giochi), facendo ricorso ad un preciso modus operandi, rappresentato dal preventivo furto di furgoni poi utilizzati per introdursi all'interno di tali esercizi e per ivi collocarvi la merce sottratta, sempre costituita da beni di valore (slot machine, macchina cambiamonete, registratore di cassa, stecche di sigarette, liquori, denaro contante, macchina fotografica). 2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, a mezzo del loro difensore, (OMISSIS) e (OMISSIS), proponendo due distinti atti che - in quanto sostanzialmente sovrapponibili - possono essere considerati congiuntamente. I ricorrenti hanno dedotto due motivi di doglianza, con il primo dei quali hanno eccepito vizio di motivazione ed erronea applicazione della legge penale in relazione all'articolo 624 c.p., articolo 625 c.p., nn. 2 e 5, articolo 61 c.p., n. 5, per avere la Corte di appello errato nel non accogliere quanto da loro richiesto circa la scelta del rito attraverso cui procedere, cosi' violando i loro diritti defensionali. Lamentano i prevenuti che, dopo avere anticipato all'udienza del 5 dicembre 2019 la loro volonta' di procedere con le forme del rito abbreviato, all'udienza del 7 luglio 2020 il loro nuovo difensore - per come evincibile dal verbale di udienza - avrebbe modificato l'originaria scelta, esprimendo la volonta' di ricorrere al giudizio ordinario. Tale istanza era stata, tuttavia, rigettata dal G.U.P., per ritenuta intempestivita', con decisione da ritenersi inspiegabile ed illogica, oltre che giuridicamente non corretta, considerato che il provvedimento di ammissione al rito ex articolo 438 c.p.p. non era stato ancora pronunciato da parte del decidente. Con la seconda censura sono stati dedotti vizio di motivazione e violazione di legge in relazione all'articolo 624 c.p., articolo 625 c.p., nn. 2 e 5, articolo 61 c.p., n. 5, per avere la Corte territoriale errato nell'aver ritenuto configurata la partecipazione degli imputati alle ipotesi delittuose loro contestate sulla scorta dei soli tabulati relativi alle celle telefoniche agganciate dalle loro utenze e dalle immagini estrapolate dai sistemi di videosorveglianza, peraltro in assenza dei verbali delle operazioni compiute. La mancata effettuazione di un riconoscimento vocale e di un accertamento peritale di tipo informatico e antropometrico non consentirebbe, infatti, di far ritenere comprovato, in modo certo, che tra i soggetti ritratti nel corso dell'espletamento dei furti vi fossero anche i due ricorrenti. 3. Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili. 4. Il difensore ha depositato conclusioni scritte, con ha insistito per l'accoglimento dei ricorsi. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi sono manifestamente infondati e devono, pertanto, essere dichiarati inammissibili. 2. L'esame della impugnata sentenza consente, infatti, di constatare come le censure in questa sede proposte siano sostanzialmente coincidenti con quelle dedotte nel giudizio di appello, rispetto alle quali non puo' che ribadirsi quanto gia', piu' volte, chiarito da parte di questa Corte di legittimita', per cui e' inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l'atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicita' della motivazione (cosi', tra le altre, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone, Rv. 24383801). 3. In ogni modo, a prescindere dalla decisivita' della superiore argomentazione, il Collegio rileva come sia, comunque, destituita di ogni fondamento la prima doglianza dedotta da parte dei ricorrenti, avendo la Corte di merito adeguatamente e logicamente esplicato come l'asserita manifestata volonta' del difensore di chiedere la revoca dell'originaria richiesta di procedere con rito abbreviato sia risultata, nei fatti, giudizialmente sconfessata dalle circostanze per cui: nel verbale dell'udienza del 7 luglio 2020 vi era la dicitura "le parti confermano la scelta del rito. Il giudice dispone il mutamento del rito", senza nessuna ulteriore dichiarazione al riguardo resa da parte del difensore, ne' da parte degli imputati; nella trascrizione della registrazione della suddetta udienza non vi era stata nessuna manifestazione espressa da parte del difensore volta ad ottenere la revoca della richiesta di giudizio abbreviato, essendosi egli esclusivamente limitato ad affermare che avrebbe optato per il rito ordinario nel caso in cui non fosse gia' stata precedentemente formalizzata istanza ex articolo 438 c.p.p. da parte dei suoi assistiti. D'altro canto, stante la natura di negozio processuale unilaterale di tipo abdicativo in cui si sostanzia la richiesta di celebrare il processo con il rito abbreviato, anche la contraria istanza di revoca costituisce un atto c.d. personalissimo, in quanto atto dispositivo direttamente incidente sul suo diritto di liberta', esercitabile dal difensore solo ove munito di procura speciale - di cui, nel caso di specie, il suddetto risultava essere privo. 4. Stesso giudizio di manifesta infondatezza deve essere espresso, poi, anche con riferimento alla seconda censura dedotta dai ricorrenti, avente ad oggetto la lamentata insufficienza di elementi di riscontro idonei a configurare la loro responsabilita', nella sostanza afferendo alla ricostruzione dei fatti e all'interpretazione delle prove assunte, e cioe' a questioni non passibili di valutazione in questa sede di legittimita'. In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del giudice di legittimita' non e' quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilita' delle fonti di prova, bensi' quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi - dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti - e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (cosi', tra le tante, Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, dep. 1996, Clarke, Rv, 203428-01). Esula, quindi, dai poteri della Corte la rilettura della ricostruzione storica dei fatti posti a fondamento della decisione di merito, dovendo l'illogicita' del discorso giustificativo, quale vizio di legittimita' denunciabile mediante ricorso per cassazione, essere di macroscopica evidenza (cfr. Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794-01; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone e altri, Rv. 207944-01). Sono precluse al giudice di legittimita', pertanto, la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., fra i molteplici arresti in tal senso: Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 28060101; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482-01; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507-01). E', conseguentemente, sottratta al sindacato di legittimita' la valutazione con cui il giudice di merito esponga, con motivazione logica e congrua, le ragioni del proprio convincimento. 4.1. Ebbene, applicando gli indicati parametri al caso di specie, rileva come risultino contraddette dalle logiche e congrue motivazioni rese dai giudici di appello le doglianze con cui i ricorrenti hanno ritenuto di escludere la loro responsabilita', atteso che l'individuazione dei due prevenuti quali partecipi alle contestate azioni criminose non e' stata effettuata sulla scorta delle sole immagini acquisite dai filmati dei sistemi di videosorveglianza, ma ha trovato significativi riscontri nei tabulati relativi alle utenze telefoniche loro riferibili, nonche' nei relativi incroci, che hanno permesso di accertare come i due imputati e i loro concorrenti avessero seguito l'identico percorso in occasione della commissione dei vari furti oggetto di contestazione. I giudici di merito, inoltre, hanno dedotto ulteriori decisivi elementi di riscontro dalla comprovata continua frequentazione intercorsa tra i vari correi, nonche' dai contenuti delle dichiarazioni confessorie rese dai "coimputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali tutti hanno ammesso di aver commesso i diversi fatti loro contestati in concorso con i due (OMISSIS)". A fronte degli indicati aspetti, allora, le censure mosse dagli imputati si appalesano come, nella sostanza, volte ad ottenere solo una rivalutazione del materiale probatorio raccolto in sede di merito, il che, avuto riguardo alla coerenza ed alla logicita' della motivazione resa, appare del tutto infondato. 5. I ricorsi, in conclusione, devono essere dichiarati inammissibili, per l'effetto rendendosi inapplicabile la disciplina transitoria dettata dal Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, articolo 85, comma 1 (Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, Salatino, Rv. 273551-01). Alla declaratoria di inammissibilita' dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed alla somma di Euro 3.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000). P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MOGINI Stefano - Presidente Dott. ROCCHI Giacomo - rel. Consigliere Dott. MANCUSO Luigi F. A. - Consigliere Dott. SANTALUCIA Giuseppe - Consigliere Dott. MAGI Raffaello - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la sentenza del 02/03/2022 della CORTE ASSISE APPELLO di POTENZA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ROCCHI GIACOMO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. GAETA PIETRO, che ha concluso chiedendo il rigetto di entrambi i ricorsi. udito l'difensore: E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di PATTI in difesa di (OMISSIS), (OMISSIS), anche quale sostituto processuale per delega scritta in calce alle conclusioni, dell'avvocato (OMISSIS) del foro di BARCELLONA POZZO DI GOTTO in difesa di (OMISSIS) e dell'avvocato (OMISSIS) del foro di BARCELLONA POZZO DI GOTTO in difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS), che insiste per il rigetto dei ricorsi e deposita conclusioni e nota spese cui si riporta. E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di PATTI quale sostituto processuale, giusta delega depositata in udienza, dell'avvocato (OMISSIS) del foro di BARCELLONA POZZO DI GOTTO in difesa di (OMISSIS) che insiste nell'annullamento della sentenza impugnata. E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di BARCELLONA POZZO DI GOTTO, quale sostituto processuale, come da nomina depositata in udienza, dell'avvocato (OMISSIS) del foro di MESSINA in difesa di (OMISSIS) che insiste nell'accoglimento dei motivi di ricorso. E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di BARCELLONA POZZO DI GOTTO in difesa di (OMISSIS) che conclude chiedendo l'accoglimento dei motivi di ricorso. E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di NAPOLI in difesa di (OMISSIS) che conclude chiedendo l'accoglimento dei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.1 Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Assise di appello di Potenza, in riforma di quella del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Potenza appellata da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), assolveva (OMISSIS) dal reato ascrittogli per non aver commesso il fatto e confermava la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS). (OMISSIS) e (OMISSIS) sono stati condannati alla pena di anni trenta di reclusione ciascuno in relazione al delitto di omicidio premeditato di (OMISSIS), commesso in concorso con (OMISSIS), gia' condannato con sentenza definitiva, con l'ulteriore aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7, per avere commesso il fatto avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416 bis c.p. e allo scopo di agevolare l'attivita' della cosca mafiosa, operante in (OMISSIS), denominata "famiglia barcellonese", punendo una persona che aveva contribuito al furto di un mezzo di lavoro ad una ditta che pagava il pizzo alla cosca mafiosa, cosi' interferendo negli interessi economici del clan (capo A). Il delitto era stato commesso in (OMISSIS); (OMISSIS) e (OMISSIS) (come si e' detto, assolto) sono indicati nel capo di imputazione come mandanti dell'omicidio, mentre (OMISSIS) avrebbe fornito appoggio a (OMISSIS) che, dopo avere seguito la vittima, gli sparava uccidendolo; (OMISSIS) e' accusato anche del delitto di detenzione e porto in luogo pubblico della pistola Beretta con matricola abrasa usata per l'omicidio e rinvenuta sul luogo del delitto, con l'aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7 (capo B). Le prove a carico degli imputati erano state tratte dalle indagini svolte dalla polizia giudiziaria, comprendenti i tabulati telefonici e le intercettazioni telefoniche, dalla sentenza di condanna irrevocabile emessa nei confronti di (OMISSIS), dalle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia (OMISSIS), assolto dal delitto di omicidio per non aver commesso il fatto, da quelle dei collaboratori (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche' da ulteriori accertamenti. 1.2. La difesa di (OMISSIS) aveva contestato che le dichiarazioni di (OMISSIS) e di (OMISSIS) si riscontrassero tra loro, poiche' la fonte di conoscenza per entrambi era la medesima, cioe' lo stesso (OMISSIS); aveva contestato la credibilita' soggettiva di (OMISSIS), gia' condannato per calunnia, che aveva ritrattato precedenti dichiarazioni accusatorie e il cui racconto presentava delle incongruenze; aveva, altresi', contestato l'attendibilita' oggettiva delle dichiarazioni del collaboratore, che aveva accusato (OMISSIS) solo a partire dal secondo interrogatorio, in una progressione accusatoria; l'atto di appello aveva messo in discussione il movente dell'omicidio e prospettato un movente alternativo di tipo passionale; aveva negato che le dichiarazioni di (OMISSIS) riscontrassero quelle di (OMISSIS), per essere il primo portatore di notizie de relato da persone la cui attendibilita' non era stata vagliata e che, a loro volta avevano avuto notizie da (OMISSIS) il quale, ancora, era stato informato dallo stesso (OMISSIS); infine, aveva ribadito la validita' dell'alibi dell'imputato. La difesa del (OMISSIS) aveva eccepito l'inutilizzabilita' delle dichiarazioni di (OMISSIS), in quanto rese tardivamente rispetto al termine di 180 giorni dall'inizio della collaborazione; aveva chiesto l'acquisizione in originale dei verbali delle dichiarazioni dei collaboratori; aveva contestato la credibilita' di (OMISSIS) che il G.I.P. non aveva ritenuto credibile, non valutando come convincenti nemmeno le dichiarazioni di (OMISSIS) e di (OMISSIS); aveva evidenziato l'incertezza sul movente dell'azione omicidiaria. La difesa aveva negato che le dichiarazioni di (OMISSIS) costituissero riscontro a quelle di (OMISSIS), atteso che questi le aveva ricevute da (OMISSIS), a sua volta vicino a (OMISSIS), cosicche' si era realizzata una circolarita' delle notizie. Le dichiarazioni degli altri collaboratori di giustizia non confermavano quelle di (OMISSIS) e (OMISSIS). Entrambe le difese avevano contestato la sussistenza delle aggravanti formulate. 1.3. La Corte territoriale condivideva la valutazione del Giudice di primo grado in ordine alla colpevolezza del (OMISSIS) e di (OMISSIS). La Corte confermava la credibilita' soggettiva del dichiarante (OMISSIS) che aveva descritto con sufficiente linearita', coerenza e dettaglio i fatti a sua conoscenza, collocandoli esattamente nello spazio e nel tempo e fornendo, man mano, circostanze e particolari, molti dei quali riscontrati dalle attivita' investigative. (OMISSIS) aveva riferito di essere stato presente nel momento in cui (OMISSIS) aveva conferito a (OMISSIS) l'incarico di uccidere (OMISSIS), descrivendo i luoghi in cui era avvenuto tale incontro. Si trattava di dichiarazioni anche autoaccusatorie (anche se (OMISSIS) era stato successivamente assolto), circostanza che faceva dubitare di intenti mendaci e di interessi strumentali della scelta collaborativa. Il collaboratore aveva anche indicato i motivi della scelta della famiglia barcellonese di uccidere (OMISSIS) - responsabile di furti di mezzi agricoli a danno di aziende della zona che versavano il "pizzo" alla cosca - e aveva precisato che (OMISSIS) aveva avuto piena liberta' di scelta sulle modalita' e sui mezzi dell'omicidio. Nel corso del terzo interrogatorio del 30/9/2014, (OMISSIS) aveva spontaneamente affermato che (OMISSIS) si era avvalso dell'ausilio di (OMISSIS), riferendo di confidenze ricevute da quest'ultimo in ordine alla sua diretta partecipazione alla fase esecutiva del delitto. Infine, nell'interrogatorio del 22/11/2017, (OMISSIS) aveva riferito di avere saputo da (OMISSIS) che l'omicidio era stato effettuato e che (OMISSIS) aveva "incassato l'assegno", aveva, cioe', riscosso la somma di denaro da parte dell'organizzazione criminale. Anche l'attendibilita' intrinseca del racconto veniva confermata: le marginali imprecisioni erano giustificate dalla partecipazione di (OMISSIS) a numerosi omicidi (ben 61); in effetti, il Giudice per le indagini preliminari aveva rigettato la richiesta di applicazione della misura cautelare nei confronti degli imputati sulla base di queste incongruenze che, peraltro, erano state superate e adeguatamente valutate dal Tribunale. Anche la circostanza che, nel corso della sua collaborazione, (OMISSIS) avesse ritrattato determinate accuse e, in precedenza, fosse stato condannato per calunnia, non modificava il giudizio di attendibilita' del collaboratore. Si trattava di collaboratore scrupoloso e genuino, come dimostravano proprio la rettifica e gli aggiustamenti del racconto; comunque, (OMISSIS) aveva sempre confermato e ribadito il nucleo essenziale dei fatti contestati, senza apportare alcuna modifica essenziale. Inoltre, non emergevano motivi di contrasto con gli imputati. I riscontri esterni alle propalazioni di (OMISSIS) non erano limitati alle convergenti dichiarazioni di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), ma provenivano dalle indagini della polizia giudiziaria. Per la condotta di (OMISSIS), le dichiarazioni di (OMISSIS) e (OMISSIS) apportavano riscontri individualizzanti; riscontri che provenivano anche dai dati ricavabili dai tabulati telefonici, che dimostravano contatti con (OMISSIS), dalle intercettazioni telefoniche, nelle quali (OMISSIS) manifestava ai familiari la preoccupazione di essere arrestato subito dopo la cattura di (OMISSIS), nonche' dal suo allontanamento dalla sua abitazione per almeno due settimane dopo tale cattura; ancora, le indagini dimostravano i frequenti contatti criminali tra (OMISSIS), (OMISSIS) e altri esponenti della famiglia barcellonese, riscontrando quanto narrato da (OMISSIS) circa la vicinanza tra (OMISSIS) e (OMISSIS), che fungeva da autista per il primo. Per la posizione di (OMISSIS), le dichiarazioni di (OMISSIS) non erano riscontrate soltanto da quelle di (OMISSIS), ma anche dalle informazioni fornite da (OMISSIS) in ordine ai contatti tra l'organizzazione di (OMISSIS) e quella palermitana e alle ragioni del delitto, ampiamente chiarite dalla sentenza di primo grado. Esaminando analiticamente i motivi di appello formulati dalla difesa di (OMISSIS), la Corte negava che (OMISSIS) e (OMISSIS) riferissero de relato dalla medesima fonte, costituita dall'imputato: in realta', (OMISSIS) aveva reso due distinte dichiarazioni confessorie a (OMISSIS) e a (OMISSIS), per di piu' descrivendo al primo la fase dell'omicidio e, al secondo, quanto avvenuto in un momento precedente, quello in cui egli si trovava sul traghetto per recarsi al nord per uccidere (OMISSIS) insieme a (OMISSIS) quando questi aveva telefonato allo stesso (OMISSIS). Quindi, non si trattava di chiamate in correita' provenienti da un'unica fonte, ma di dichiarazioni di natura confessoria recepite in tempi diversi e con contenuti differenti. Veniva rigettato il secondo motivo di appello che contestava l'attendibilita' di (OMISSIS); venivano, altresi', affrontate e respinte specifiche obiezioni concernenti la credibilita' di (OMISSIS): in particolare, il luogo dove, secondo il collaboratore, (OMISSIS) aveva gettato la pistola dopo avere compiuto l'omicidio corrispondeva a quello del rinvenimento dell'arma da parte della polizia giudiziaria. L'allontanamento di (OMISSIS) dal contesto associativo dopo l'omicidio di (OMISSIS) e il successivo arresto di (OMISSIS) rafforzava il convincimento della Corte: si trattava di comportamento derivato dal timore di (OMISSIS) di essere stato ripreso dalle telecamere di sorveglianza dell'area di servizio dove era avvenuto l'incontro tra (OMISSIS) e (OMISSIS), di cui aveva riferito (OMISSIS). Il movente dell'azione e la sua matrice mafiosa venivano confermate, alla luce delle dichiarazioni di (OMISSIS) e (OMISSIS); anche (OMISSIS), che in un primo momento aveva indicato una causale differente del delitto, aveva finito per confermarne le finalita' associative. Le dichiarazioni di (OMISSIS) dimostravano che gli imputati erano stati messi a conoscenza dei furti compiuti da (OMISSIS) nel territorio di (OMISSIS), mentre le indagini dimostravano gli stretti legami tra (OMISSIS), (OMISSIS) e altri esponenti della famiglia barcellonese. Il collaboratore di giustizia (OMISSIS) aveva riferito sul movente e sul esecuzione di precedenti omicidi eseguiti per gli stessi motivi; inoltre, precedenti sentenze di condanna avevano gia' indicato questo movente dei delitti. Il rinvenimento di targhette di identificazione di veicoli all'interno dell'autocarro di (OMISSIS) nonche' le intercettazioni ambientali evidenziavano la causale dell'omicidio. In definitiva, non esistevano moventi o piste differenti: l'esistenza di una ipotetica relazione sentimentale tra (OMISSIS) e la moglie di (OMISSIS) o la responsabilita' di un cittadino albanese. La natura mafiosa del delitto emergeva anche dalle intercettazioni svolte nei confronti di (OMISSIS), eseguite in epoca assai vicina alla data del delitto. (OMISSIS), poi, doveva ritenersi solidale alla cosca barcellonese, nonostante quanto dichiarato dal collaboratore (OMISSIS): di conseguenza, conosceva la matrice mafiosa dell'omicidio. Secondo la Corte territoriale, non ricorreva il vizio di circolarita' delle fonti conoscitive dei diversi collaboratori di giustizia. La tesi difensiva si basava sull'assunto che (OMISSIS), fonte di conoscenza per (OMISSIS), a sua volta informatore di (OMISSIS), avesse avuto le notizie sull'omicidio da (OMISSIS): ma si trattava di tesi del tutto indimostrata, ne' le difese degli imputati avevano subordinato la richiesta di giudizio abbreviato all'escussione di (OMISSIS) al fine di verificare questa circostanza. Di conseguenza, da una parte le dichiarazioni de relato di (OMISSIS) erano utilizzabili anche senza la previa escussione di (OMISSIS), dall'altra non poteva essere accolta la richiesta di riapertura dell'istruttoria dibattimentale avanzata dalle difese al fine di escutere lo stesso (OMISSIS). Gli accertamenti della polizia giudiziaria sull'alibi fornito da (OMISSIS) venivano ritenuti attendibili, avendo gli operanti tenuto conto anche del tempo del traghettamento sullo (OMISSIS) nel percorso di ritorno che aveva condotto l'imputato sul luogo di lavoro; veniva ritenuta sussistente la premeditazione del delitto, alla luce delle modalita' ideative e deliberative dell'azione, del contesto mafioso in cui era sorto il delitto e della ferocia del movente: l'imputato doveva ritenersi perfettamente a conoscenza del piano criminoso per il quale era stato ingaggiato da (OMISSIS). La pena veniva ritenuta congrua e, in particolare, veniva confermato il diniego delle. attenuanti generiche. La Corte territoriale rigettava l'eccezione di inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese da (OMISSIS) dopo 180 giorni dall'inizio della collaborazione sollevata dalla difesa del (OMISSIS) nonche' la richiesta di acquisizione dei verbali integrali, ritenendo entrambe le deduzioni incompatibili con la scelta di procedere con il rito abbreviato. Secondo la Corte territoriale, la colpevolezza del (OMISSIS) non era la conseguenza di una responsabilita' "da posizione", derivante dal suo ruolo apicale all'interno della famiglia barcellonese: (OMISSIS) aveva riferito di essere stato presente quando (OMISSIS) aveva incaricato (OMISSIS) dell'omicidio. Il fatto che l'omicidio fosse stato ordinato da (OMISSIS) rafforzava la convinzione della sua matrice mafiosa; inoltre (OMISSIS), quale mandante, rispondeva dell'aggravante della premeditazione: d'altro canto, egli sapeva che (OMISSIS) era un sicario esperto che, per di piu', conosceva la vittima; l'imputato aveva mantenuto il suo proposito criminoso fino all'esecuzione dell'omicidio, risultando irrilevante la liberta' riconosciuta a (OMISSIS) sulle modalita' di esecuzione del mandato. Anche nei confronti del (OMISSIS) venivano negate le attenuanti generiche, mentre la pena veniva ritenuta congrua. 2. Ricorrono per cassazione i difensori di (OMISSIS), deducendo violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla condanna dell'imputato. Il ricorrente censura la motivazione relativa all'attendibilita' soggettiva e oggettiva riconosciuta al collaboratore di giustizia (OMISSIS), segnalando che non si trattava di chiamante in correita', ma un chiamante di reita', sia pure de relato. Contrariamente a quanto affermato dalla sentenza, le sue dichiarazioni non erano ne' lineari, ne' dettagliate: inizialmente (OMISSIS) aveva indicato come fonte di conoscenza la stampa e, successivamente, (OMISSIS), per poi, nel terzo interrogatorio, indicare la responsabilita' di (OMISSIS), sostenendo di avere ricevuto le sue confidenze. Nessuna verifica era stata effettuata sulla effettiva possibilita' che tali confidenze fossero state effettuate. Inoltre l'appoggio che, secondo l'imputazione, (OMISSIS) avrebbe fornito a (OMISSIS) non era stato specificato, ne' era stato individuato il momento in cui egli sarebbe (OMISSIS) a conoscenza del progetto omicidiario. La sentenza di appello, richiamando per relationem quella di primo grado, non aveva risposto alle censure difensive che dimostravano che (OMISSIS) non aveva mai parlato di (OMISSIS) nei primi due interrogatori e aveva sostenuto di non essere in grado di dire nulla sulla dinamica dell'omicidio, mentre nel terzo, riferendo di avere ricevuto confidenze da (OMISSIS), aveva mostrato di conoscere la dinamica del delitto perche' descritto da questi. Si trattava, quindi, di dichiarazioni incoerenti e incostanti, illogicamente ritenute, proprio per questa caratteristica, affidabili. Anche l'attendibilita' oggettiva delle dichiarazioni non era stata verificata. Erano state svalutate le argomentazioni difensive che sottolineavano che (OMISSIS) era stato condannato per calunnia e che, in alcuni processi, aveva ritrattato le sue dichiarazioni. Nel presente processo, le circostanze delle ritardate accuse nei confronti di (OMISSIS) non potevano essere risolte con il riferimento ad una inverosimile dimenticanza del collaboratore. Anche la specifica censura della difesa, che evidenziava che (OMISSIS) aveva riferito di temere di essere arrestato al Bar di (OMISSIS) in un'epoca in cui lo stesso non gestiva quel locale, era stata sconfessata con mera congettura, non essendovi la prova che, in quel periodo, esistesse il bar. Per sostenere che (OMISSIS) aveva esattamente indicato il luogo dove la pistola era stata gettata dopo l'omicidio, la Corte territoriale aveva ignorato la trascrizione integrale dell'interrogatorio del 22/11/2017, da cui emergeva che il collaboratore aveva riferito che l'arma era stata gettata dopo che l'autovettura era ripartita dal luogo del delitto. Ancora: (OMISSIS) aveva riferito che (OMISSIS) guidava l'autocarro, mentre dalla sentenza irrevocabile emessa nei confronti di (OMISSIS) emergeva che (OMISSIS) era passeggero dell'autocarro, condotto dallo sparatore che aveva fermato il mezzo in una piazzola di sosta e aveva sparato al passeggero. Non vi era nessuna risposta all'obiezione difensiva che evidenziava che il killer aveva utilizzato la busta di un panificio siciliano il cui gestore aveva riferito di avere venduto, quella notte, il pane ad un cittadino albanese. Anche (OMISSIS) aveva riferito che la vittima era accompagnata da un albanese. Il ricorso affronta, poi, il valore probatorio delle confidenze di (OMISSIS) ricevute da (OMISSIS) e da (OMISSIS): le dichiarazioni di (OMISSIS) non costituiscono prova di per se', occorrendo un riscontro che, pur potendo provenire da altra dichiarazione de relato, non puo' fondarsi sulla medesima fonte probatoria; inoltre, avrebbero dovuto essere accertati i rapporti tra il dichiarante e la fonte diretta, tenuto conto che (OMISSIS), autore (a detta di (OMISSIS) e di (OMISSIS)) delle confidenze, non era un associato. Inoltre, nelle sue dichiarazioni, (OMISSIS) aveva affermato che (OMISSIS) non gli aveva detto espressamente di aver partecipato a quell'omicidio. La motivazione della sentenza su questi aspetti era carente. Con riferimento alle dichiarazioni di (OMISSIS), di avere appreso da (OMISSIS) notizie sulla partecipazione di (OMISSIS) all'omicidio, il G.I.P., nel rigettare la richiesta di applicazione della misura cautelare che faceva leva sulla collaborazione di (OMISSIS), aveva ritenuto le sue dichiarazioni generiche, non avendo specificato quale fosse la fonte di informazione di (OMISSIS) (che, evidentemente, riferiva de relato); inoltre, avrebbe dovuto essere valutata l'attendibilita' sia di (OMISSIS) che di (OMISSIS). Doveva ipotizzarsi che l'unica possibile fonte di informazione di (OMISSIS) fosse lo stesso (OMISSIS). La Corte territoriale, rifiutandosi di sentire (OMISSIS), non aveva risolto la questione decisiva: l'individuazione della fonte di informazione di (OMISSIS) e, quindi, l'impossibilita' di effettuare un giudizio di attendibilita' delle sue dichiarazioni, con conseguente loro inutilizzabilita'. Inoltre, nessuna precisazione era stata fatta sulle circostanze di tempo e di luogo delle confidenze fatte da (OMISSIS) a (OMISSIS) e da (OMISSIS) a (OMISSIS), nonche' sui rapporti tra gli stessi. Inoltre, tutti i chiamanti in reita' di (OMISSIS) lo avevano accusato senza fornire alcuna precisazione in ordine ai particolari della azione da lui posta in essere: quindi, si trattava di chiamate generiche, contro le indicazioni delle Sezioni Unite, Aquilina. Le intercettazioni eseguite nei confronti di (OMISSIS) non avevano affatto natura individualizzante nei confronti di (OMISSIS), ne' i contatti tra il ricorrente e (OMISSIS) attenevano al delitto oggetto della sentenza. In definitiva, mancavano i riscontri necessari alle dichiarazioni di (OMISSIS), di per se' incostanti e niente affatto circostanziate. In un secondo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'aggravante della premeditazione. La sentenza non dimostrava affatto la partecipazione di (OMISSIS) alla ideazione e alla programmazione del delitto, ne' chiariva per quale motivo la Corte ritenesse che egli fosse a conoscenza del piano criminoso di (OMISSIS) fin dal momento in cui era stato da lui ingaggiato (momento che non si conosceva). In un terzo motivo il ricorrente deduce analoghi vizi con riferimento all'aggravante di cui all'articolo 416 bis.1 c.p.. La sentenza era apodittica nell'affermare che (OMISSIS) era senza dubbio consapevole delle ragioni per cui era stata ordinata ed eseguita l'uccisione di (OMISSIS). Il ricorrente ricorda che (OMISSIS) non faceva parte della famiglia barcellonese. In un quarto motivo il ricorrente deduce analoghi vizi con riferimento al diniego delle attenuanti generiche. Poiche' il delitto era precedente al 2008, doveva tenersi conto dell'incensuratezza dell'imputato, nonche' del suo ruolo secondario e dell'ottimo comportamento successivo al reato, con l'allontanamento dal contesto criminale e l'assenza di carichi pendenti. In un quinto motivo, il ricorrente deduce violazione di legge con riferimento alla mancata declaratoria di estinzione del delitto di detenzione della pistola per intervenuta prescrizione. 3. Ricorrono per cassazione anche i difensori di (OMISSIS), deducendo violazione di legge e vizio di motivazione nonche' erronea valutazione di utilizzabilita' delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS) oltre il termine di 180 giorni previsto dal Decreto Legge n. 8 del 1991. Benche' (OMISSIS), nel verbale del 18/7/2014, avesse riferito di avere appreso la notizia dell'omicidio di (OMISSIS) dagli organi di stampa, oltre tre anni dopo, il 22/11/2017, aveva riferito di avere appreso la notizia dal (OMISSIS). Le dichiarazioni erano inutilizzabili ai sensi del Decreto Legge n. 8 del 1991, articolo 16 quater, comma 9, in quanto rese oltre il termine di 180 giorni dall'inizio della collaborazione e non essendo state rese in dibattimento. In un secondo motivo i ricorrenti deducono violazione dell'articolo 192, commi 3 e 4 e vizio di motivazione. La conferma della condanna si basava sulla ritenuta convergenza tra le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche' sulla base delle cointeressenze tra la famiglia barcellonese e quella palermitana delle quali aveva riferito (OMISSIS). La difesa aveva evidenziato la mancanza di riscontri alle dichiarazioni di (OMISSIS), atteso che i riscontri provenivano da soggetti che riferivano de relato e avevano avuto la possibilita' di conoscere dalla stampa tutti i particolari e i dettagli sull'omicidio. Inoltre, le accuse di (OMISSIS) erano del tutto generiche; (OMISSIS) riferiva de relato da (OMISSIS) il quale, a sua volta, aveva appreso le notizie da (OMISSIS); esistevano, poi, insanabili contraddizioni sul movente tra (OMISSIS) e il fratello (OMISSIS). La motivazione definiva le dichiarazioni di (OMISSIS) precise e circostanziate in maniera assolutamente assertiva e apodittica: al contrario, il collaboratore non aveva fatto alcun riferimento a circostanze di luogo e di tempo relative al fatto di sangue e alle modalita' di acquisizione delle informazioni. Per la valutazione dell'attendibilita' del collaboratore di giustizia, la sentenza ricorreva a stereotipate formule di stile, sottovalutando la condanna per calunnia ed erroneamente affermando l'inesistenza di contrasti tra (OMISSIS) e (OMISSIS) che, al contrario, erano ampiamente riferiti in una sentenza della Corte di assise di appello di Messina del 2013. Analogamente, la valutazione di attendibilita' di (OMISSIS) era apodittica, mentre mancava per (OMISSIS); senza dimenticare che gli altri collaboratori - (OMISSIS), (OMISSIS) e Bisognano - non riscontravano (OMISSIS) e (OMISSIS) sul mandato omicidiario ad opera del (OMISSIS). Non solo: (OMISSIS) aveva indicato un movente diverso dell'omicidio e aveva introdotto circostanze sull'alibi di (OMISSIS) che (OMISSIS) non aveva riferito. Il ricorrente sottolinea che il riscontro esterno costituito dagli accertamenti sul furto di mezzi escavatori subito dalla ditta (OMISSIS) non aveva carattere individualizzante nei confronti dei mandanti dell'omicidio. Alla luce di queste considerazioni, la motivazione della sentenza impugnata era manifestamente illogica e travisava dati emergenti da altre sentenze. In particolare, non era stata valutata la circostanza dei rapporti tra (OMISSIS) e (OMISSIS), da cui (OMISSIS) sosteneva di avere appreso le notizie sul mandato omicidiario da parte del (OMISSIS); poiche' tutti facevano parte della famiglia barcellonese di cui (OMISSIS) era a capo, era del tutto verosimile che (OMISSIS) avesse fornito a (OMISSIS) notizie provenienti dallo stesso (OMISSIS), con una conseguente circolarita' della notizia. La sentenza, nell'escludere tale eventualita', non era motivata. In un terzo motivo il ricorrente deduce analoghi vizi con riferimento all'aggravante di cui all'articolo 416 bis.1 c.p. sotto entrambi i profili. Di fatto, secondo l'interpretazione della Corte territoriale, l'aggravante in questione doveva essere estesa ad ogni ipotesi di condotta illecita. In un quarto motivo il ricorrente deduce analoghi vizi con riferimento all'aggravante della premeditazione. La riconducibilita' dei delitti a regolamenti di conti in ambito mafioso non era sufficiente per ritenere sussistente l'aggravante; nei singoli episodi descritti, non vi era identita' tra mandanti ed esecutori materiali, ne' il mandato conteneva indicazioni in ordine alle modalita' con cui l'omicidio doveva essere eseguito. In un quinto motivo il ricorrente deduce analoghi vizi con riferimento al diniego delle attenuanti generiche. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo del ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) il cui esame si premette agli altri per la sua natura processuale - e' infondato. Il ricorrente eccepisce l'inutilizzabilita' delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS) perche' rese successivamente al termine di 180 giorni dalla manifestazione della volonta' di collaborazione, ai sensi del Decreto Legge 15 gennaio 1991, n. 8, articolo 16 quater, commi 1 e 9. La tesi e' manifestamente infondata ed e' stata sconfessata da tempo dalla giurisprudenza di questa Corte: gia' dal 2008, le Sezioni Unite di questa Corte hanno insegnato che le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia oltre il termine di centottanta giorni dalla manifestazione della volonta' di collaborare sono utilizzabili nella fase delle indagini preliminari, in particolare ai fini della emissione delle misure cautelari personali e reali, oltre che nell'udienza preliminare e nel giudizio abbreviato (Sez. U, n. 1149 del 25/09/2008, dep. 2009, Magistris, Rv. 241882 - 01); anche recentemente e' stato ribadito che sono pienamente utilizzabili nel giudizio abbreviato le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia oltre il termine di centottanta giorni dalla manifestazione della volonta' di collaborare, atteso che la sanzione dell'inutilizzabilita' prevista dal Decreto Legge 15 gennaio 1991, n. 8, articolo 16 quater, convertito nella L. 15 marzo 1991, n. 82, come modificata dalla L. 13 febbraio 2001, n. 45, articolo 14, per le dichiarazioni successive a detto termine, riguarda esclusivamente la fase del dibattimento (Sez. 1, n. 54844 del 06/06/2018, Russo, Rv. 274653 - 01). 2. Il quinto motivo di ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' fondato. In effetti, i delitti di detenzione e porto in luogo pubblico di arma clandestina, aggravati ai sensi della L. n. 203 del 1991, articolo 7, erano gia' prescritti alla data della sentenza di primo grado. Poiche' i delitti risalgono al 1999, deve trovare applicazione la normativa sulla prescrizione previgente alla riforma operata dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251. Per applicare tale normativa occorre avere riguardo al massimo della pena edittale prevista per i due reati, aumentata della meta' in forza dell'aggravante di cui all'articolo 7 cit.: si ottiene per il porto dell'arma clandestina la pena massima di anni dodici di reclusione e per la detenzione dell'arma clandestina la pena massima di anni nove di reclusione. Sulla base delle regole previgenti, il delitto di porto di arma, cosi' aggravato, si prescriveva in quindici anni, quindi il 4/5/2014, mentre il delitto di detenzione di arma, cosi' aggravato, si prescriveva in dieci anni, quindi il 4/5/2009. Non emergono atti interruttivi precedenti a tali date: e' sufficiente ricordare che l'indagine della Procura della Repubblica di Potenza ebbe avvio solo nel 2016, epoca di trasmissione degli atti da parte della Procura della Repubblica di Messina (cfr. sentenza di primo grado, pag. 2). In definitiva, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di (OMISSIS) limitatamente ai delitti di detenzione e porto di arma clandestina contestati al capo B dell'imputazione perche' estinti per prescrizione. 3. Il primo motivo del ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' infondato. Le censure mosse non fanno che riproporre quelle articolate nei primi motivi di appello analiticamente riportati nella sentenza impugnata (pagg. 9 e 10), motivi ai quali la Corte territoriale ha fornito adeguata e logica risposta. In primo luogo, la sentenza motiva adeguatamente il giudizio di credibilita' soggettiva del collaboratore (OMISSIS) e di attendibilita' delle sue dichiarazioni, aderendo al giudizio espresso dal giudice di primo grado, che aveva affrontato anche i punti "critici" evidenziati nel ricorso (in particolare, quello relativo all'evocazione del concorso di (OMISSIS) solo nel terzo interrogatorio e quello concernente la condanna per calunnia riportata da (OMISSIS) prima dell'inizio della collaborazione). Tutti i particolari evidenziati dal ricorrente sono stati affrontati dalle due sentenze di merito: da quella di primo grado, ad esempio, si evince che (OMISSIS), piu' che affermare, nei primi due interrogatori, di non potere dire nulla sula dinamica dell'omicidio, aveva riferito che, quando aveva parlato con (OMISSIS) sull'incasso dell'"assegno" da parte di (OMISSIS), non aveva fatto riferimento alla dinamica dell'omicidio; dato del tutto coerente con quanto in precedenza affermato: che, cioe', in sede di affidamento dell'incarico, era stata data piena liberta' di azione a (OMISSIS); ne' (OMISSIS) aveva parlato del delitto con lo stesso (OMISSIS). Quindi era stato solo (OMISSIS) a riferirgli le modalita' di uccisione di (OMISSIS). La presunta imprecisione sul luogo dove la pistola clandestina usata per uccidere (OMISSIS) era stata gettata costituisce, appunto, un'imprecisione: dalla sentenza di condanna di (OMISSIS) risultava che l'arma era stata rinvenuta sul terrapieno della piazzola di emergenza, oltre la recinzione dell'(OMISSIS); nell'interrogatorio del 22/11/2017, nel passo in cui il collaboratore aveva riferito quanto gli era stato descritto da (OMISSIS), (OMISSIS) era stato piuttosto generico e aveva, anche, aggiunto, un "non ricordo" molto significativo; effettivamente subito dopo avere, appunto, intercalato la frase con un "non ricordo" - il collaboratore aveva concluso la descrizione con "poi hanno fatto un poco di strada e hanno buttato la pistola dal finestrino"; imprecisione con ogni evidenza irrilevante (anche perche' (OMISSIS) non aveva nessuna necessita' di essere preciso con (OMISSIS)). D'altro canto, tre anni prima, nell'interrogatorio del 30/9/2014, (OMISSIS) aveva riferito che (OMISSIS), "subito dopo aver compiuto quell'omicidio, butto' la pistola fuori dal finestrino della vettura con cui erano arrivati a (OMISSIS)". Analogamente deve dirsi con riferimento alla posizione di (OMISSIS) e della vittima nel momento dell'esplosione dei colpi mortali: dalla sentenza di condanna di (OMISSIS) risultava, in primo luogo, che il mezzo pesante e l'autovettura che lo seguiva si erano fermati bruscamente nella piazzola di sosta, lasciando tracce di pneumatici; la dinamica dell'omicidio era stata ricostruita nel senso che il killer era alla guida dell'autoarticolato, mentre (OMISSIS) si trovava seduto sul sedile destro: quindi (OMISSIS) aveva bruscamente fermato il mezzo nella piazzola, aveva estratto l'arma e aveva immediatamente fatto fuoco contro il passeggero. Evidentemente l'autovettura che seguiva l'autoarticolato era condotta dalla persona che aveva accompagnato (OMISSIS). Ipotizzando, quindi, che (OMISSIS) fosse salito sul mezzo di (OMISSIS) e lo conducesse e (OMISSIS) li seguisse alla guida del veicolo con cui i due avevano raggiunto la vittima designata, la descrizione fatta da (OMISSIS) a (OMISSIS) (" (OMISSIS) mi disse che lui e (OMISSIS) avevano fermato (OMISSIS) su una piazzola di sosta dell'autostrada e lo avevano ucciso, lasciandolo morto all'interno del camion") non appare distante dalla ricostruzione operata dalla sentenza di condanna di (OMISSIS). Come si e' gia' osservato, la descrizione fornita tre anni piu' tardi dal collaboratore era accompagnata da un significativo "non ricordo": da una parte (OMISSIS) descriveva (OMISSIS) che era "sceso" e aveva sparato a (OMISSIS), dall'altra riferiva: "l'hanno fatto sedere", chiaramente riferendosi alla vittima. In definitiva, la valutazione dei giudici di merito appare logica perche' (OMISSIS) non aveva alcun interesse a descrivere in dettaglio a (OMISSIS) la dinamica dell'omicidio di (OMISSIS). D'altro canto - appare opportuno osservare - la sentenza di condanna di (OMISSIS) aveva dimostrato con certezza un dato: che il killer non era solo, ma era accompagnato da qualcuno che conduceva l'autovettura che si era fermata dietro il camion di (OMISSIS). La questione da risolvere era, quindi, l'individuazione di colui che aveva accompagnato (OMISSIS) dalla Sicilia, piu' che la ricostruzione di quanto avvenuto. L'ulteriore censura del ricorrente, secondo cui la Corte territoriale non aveva affrontato il tema del cittadino albanese che avrebbe accompagnato (OMISSIS) nel suo viaggio verso il Nord Italia, non tiene conto dell'ampia motivazione della sentenza di condanna di (OMISSIS) sulla questione: era stato (OMISSIS) a sostenere che (OMISSIS) era accompagnato da un cittadino albanese, ma gli accertamenti svolti avevano, al contrario dimostrato che (OMISSIS), detto (OMISSIS), che lavorava per la ditta del (OMISSIS), il giorno dell'omicidio si trovava in Albania e che (OMISSIS) aveva intrapreso il viaggio verso il Nord da solo, dopo avere inutilmente cercato compagni di viaggio. Nell'individuare i riscontri alle dichiarazioni di (OMISSIS), la sentenza sottolinea che gli stessi non sono individuabili esclusivamente nelle dichiarazioni di (OMISSIS) e (OMISSIS), ma emergono dall'esito delle indagini svolte nell'immediatezza nei confronti di (OMISSIS): i rapporti telefonici tra (OMISSIS) e (OMISSIS) nelle ore precedenti il delitto (secondo la sentenza di primo grado i due contatti telefonici tra (OMISSIS) e (OMISSIS) erano cronologicamente vicini a telefonate fatte da (OMISSIS) a (OMISSIS), per concordare l'appuntamento); la conversazione intercettata, che dimostrava che l'imputato era convinto che l'ordinanza di custodia cautelare in forza della quale (OMISSIS) era stato arrestato per l'omicidio di (OMISSIS) fosse stata emessa anche nei suoi confronti; la sua sparizione, durata molti giorni, iniziata immediatamente dopo tale arresto. Inoltre, le indagini avevano anche dimostrato la stretta vicinanza di (OMISSIS) a (OMISSIS) e ad altri componenti della famiglia barcellonese. La difesa del ricorrente ripropone la tesi secondo cui le dichiarazioni di (OMISSIS) non costituiscono riscontro a quelle di (OMISSIS), in quanto anche quel collaboratore, al pari di (OMISSIS), aveva riferito di confidenze ricevute da (OMISSIS). La sentenza affronta la questione, richiamando il principio secondo cui le confidenze autoaccusatorie dell'imputato ad un collaboratore di giustizia, che ne abbia successivamente riferito nelle proprie dichiarazioni, hanno natura confessoria, di talche', una volta positivamente vagliata l'attendibilita' del collaboratore ai sensi dell'articolo 192 c.p.p., comma 3, dispiegano piena efficacia probatoria alla sola condizione che se ne apprezzi la sincerita' e la spontaneita', in modo da potersene escludere la riconducibilita' a costrizioni esterne o a possibili intenti autocalunniatori (Sez. 5, n. 27918 del 25/05/2021, Grande Aracri, Rv. 281603 - 0; Sez. 1, n. 9891 del 04/06/2019, dep. 2020, Campana, Rv. 278503 - 01). La sentenza conferma l'attendibilita' dei due collaboratori e sottolinea l'assoluta autonomia delle dichiarazioni confessorie a loro rese da (OMISSIS) in occasioni differenti e con diverso contenuto; anche (OMISSIS), come (OMISSIS), aveva una posizione rilevante nella famiglia barcellonese e per questo motivo i giudici di merito hanno ritenuto verosimili le confidenze fattegli dall'imputato. Il ricorrente sottolinea che (OMISSIS) aveva affermato che (OMISSIS) non gli aveva espressamente riferito di avere partecipato all'omicidio: si tratta, in verita', di osservazione che sembra rafforzare l'attendibilita' del collaboratore il quale aveva riferito soltanto quanto (OMISSIS) gli aveva detto, senza prestarsi a confermare in toto le dichiarazioni dell'altro collaboratore: ma il contenuto delle dichiarazioni era ugualmente molto significativo perche' aveva "fotografato" (OMISSIS) e (OMISSIS), insieme sul traghetto che dalla Sicilia li portava in Calabria, aggiungendo un dato - quello della telefonata fatta dal primo a (OMISSIS) riscontrato dai tabulati telefonici. Anche con riferimento al riscontro costituito dalle dichiarazioni di (OMISSIS), il ricorrente ripropone l'ipotesi secondo cui (OMISSIS), che ne era la fonte, aveva avuto le notizie da (OMISSIS), cosi' risultando unica la fonte e conseguentemente inefficace il riscontro: ma tale tesi e' stata smentita come niente affatto provata da entrambi i giudici di merito. Il ricorrente, tuttavia - censurando la scelta della Corte territoriale di non escutere (OMISSIS) - sottolinea che, non essendo specificata la fonte di informazione di (OMISSIS), le sue dichiarazioni erano inutilizzabili: ma a tale obiezione hanno correttamente replicato entrambe le sentenze di merito, ribadendo che non vi era alcun obbligo di sentire (OMISSIS) - poiche' la richiesta di giudizio abbreviato non era stata condizionata alla sua escussione - e che, comunque, poiche' (OMISSIS) aveva una posizione di rilievo nell'associazione mafiosa, era sicuramente a conoscenza delle dinamiche interne alla stessa. Viene implicitamente richiamata la giurisprudenza di legittimita' secondo cui non sono assimilabili a pure e semplici dichiarazioni de relato quelle con le quali un intraneo riferisca notizie assunte nell'ambito associativo, costituenti un patrimonio comune, in ordine ad associati ed attivita' propri della cosca mafiosa (Sez. 1, n. 28239 del 20/02/2018, Micieli, Rv. 273344 - 01). Le sentenze di merito motivano adeguatamente e logicamente sulla attendibilita' dei collaboratori di giustizia: del resto, le eccezioni - con riferimento a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) - appaiono generiche; le loro dichiarazioni non sono generiche ma, al contrario, specifiche ma parziali, cioe' riguardanti specifiche frazioni della vicenda omicidiaria. In definitiva, la motivazione e' logica nel ritenere, oltre che attendibili, riscontrate le dichiarazioni di (OMISSIS); ne' puo' essere valutata in sede di legittimita' la considerazione finale del ricorso secondo cui "la prova dichiarativa principale avrebbe meritato riscontri di ben altro spessore di quelli individuati per raggiungere la soglia della prova al di la' di ogni ragionevole dubbio": si tratta di una sollecitazione ad una valutazione di merito della Corte di cassazione che non puo' essere effettuata in presenza di una motivazione logica e conforme al dettato normativo. In effetti, come piu' volte ribadito da questa Corte, la regola di giudizio compendiata nella formula "al di la' di ogni ragionevole dubbio" rileva in sede di legittimita' esclusivamente ove la sua violazione si traduca nella illogicita' manifesta e decisiva della motivazione della sentenza, non avendo la Corte di cassazione alcun potere di autonoma valutazione delle fonti di prova (Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017, D'Urso, Rv. 270108 - 01). 4. Anche il motivo relativo all'inapplicabilita' dell'aggravante della premeditazione e' infondato. A prescindere dalla stringatezza della motivazione delle due sentenze di merito, il fatto e' stato ricostruito nel senso che il mandato omicidiario era stato conferito a (OMISSIS) nell'ambito della famiglia barcellonese alla quale (OMISSIS) era sicuramente "vicino", a prescindere dal fatto che ne fosse partecipe o meno; che (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano frequenti rapporti, tanto che il secondo fungeva da autista del primo; che l'esecuzione dell'omicidio era stata sicuramente progettata accuratamente (individuazione di un'occasione per la commissione del delitto in un luogo lontano; reperimento di una pistola clandestina; preparazione di un alibi (cui fa riferimento la sentenza di condanna di (OMISSIS)); che, a sua volta, anche (OMISSIS) si era precostituito un alibi (timbratura dell'ingresso del luogo di lavoro). Si tratta di elementi che rendono del tutto logica la conclusione della sentenza secondo cui (OMISSIS) era a conoscenza del progetto criminoso di (OMISSIS), quanto meno fin dal momento in cui questi lo aveva ingaggiato, condividendone la premeditazione. Si deve ricordare, del resto, che la circostanza aggravante della premeditazione puo' essere estesa al concorrente, che non abbia partecipato all'originaria deliberazione volitiva, qualora questi ne abbia acquisito piena consapevolezza precedentemente al suo contributo all'evento ed a tale distanza di tempo da consentire che la maturazione del proposito criminoso prevalga sui motivi inibitori (Sez. 6, n. 56956 del 21/09/2017, Argentieri, Rv. 271952 - 01); piu' semplicemente, in applicazione dell'articolo 59 c.p., comma 2, la circostanza aggravante della premeditazione e' estesa al concorrente che non abbia direttamente premeditato il reato qualora lo stesso abbia acquisito, prima dell'esaurirsi del proprio apporto volontario alla realizzazione dell'evento criminoso, l'effettiva conoscenza della altrui premeditazione (Sez. 5, n. 29202 del 11/03/2014, C., Rv. 262383 - 01). La motivazione rimarca, inoltre, che il percorso dalla (OMISSIS) unitamente a (OMISSIS) era stato "lungo", cosi' da permettere a (OMISSIS) di riflettere sulla decisione adottata e di recedere dalla stessa. 5. Analogamente deve essere rigettato il motivo di ricorso con cui si censura l'applicazione dell'aggravante mafiosa. Il ricorrente richiama il principio affermato dalle Sezioni Unite, secondo cui la circostanza aggravante dell'aver agito al fine di agevolare l'attivita' delle associazioni di tipo mafioso ha natura soggettiva, inerendo ai motivi a delinquere, e si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalita' agevolatrice perseguita dal compartecipe (Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, Chioccini, Rv. 278734 - 01). La vicinanza di (OMISSIS) a (OMISSIS) e il suo gravitare nell'ambito della famiglia barcellonese rendono del tutto logica la valutazione dei giudici di merito secondo cui il ricorrente era certamente a conoscenza dell'attinenza del delitto commissionato a (OMISSIS) con la vita dell'associazione mafiosa e della finalita' di agevolare detta associazione. 6. Al contrario, il quarto motivo di ricorso, con il quale si censura il diniego delle attenuanti generiche, merita accoglimento. Se e' vero che, come sottolinea la motivazione, le circostanze attenuanti generiche non possono essere intese come oggetto di una benevola e discrezionale concessione da parte del giudice del merito, ma richiedono la valorizzazione di circostanze oggettive e/o soggettive non contemplate specificamente dalla legge, non sembra esatta la considerazione secondo cui nel caso di specie nessuna situazione rilevante era emersa: in effetti, come sottolineato dal ricorso, l'incensuratezza di (OMISSIS) all'epoca del delitto poteva essere presa in considerazione, non essendo ancora vigente, all'epoca, la previsione dell'articolo 62 bis c.p., comma 3; inoltre e' attestato e pacifico l'allontanamento dell'imputato dall'ambiente della famiglia barcellonese successivamente al delitto e il suo percorso di vita regolare: che cio' sia stata la conseguenza del timore di essere scoperto quale concorrente nel delitto, come dimostravano le prime indagini, non appare costituire un dato decisivo, atteso il lungo periodo ormai trascorso. Il giudice del rinvio dovra', quindi, valutare adeguatamente queste circostanze, al fine di giungere ad una decisione effettivamente motivata sul motivo di appello. 7. In definitiva, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di (OMISSIS) limitatamente ai delitti relativi alle armi perche' estinti per prescrizione e con rinvio limitatamente alle attenuanti generiche, con conseguente necessita' per il giudice del rinvio di rideterminare la pena all'esito della decisione sulle attenuanti generiche e tenendo conto dell'annullamento senza rinvio operato. Nel resto, il ricorso di (OMISSIS) deve essere rigettato. 8. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) deve, invece, essere rigettato. Si sono gia' anticipate le considerazioni sulla adeguatezza della motivazione di credibilita' e attendibilita' riferite al collaboratore (OMISSIS). Con riferimento al riscontro alle dichiarazioni di (OMISSIS), costituito da quelle di (OMISSIS), la sentenza risponde alle censure di genericita' delle stesse e sottolinea i rapporti tra (OMISSIS) e (OMISSIS); come gia' accennato, viene smentita come del tutto congetturale l'ipotesi secondo cui, a sua volta, (OMISSIS) aveva ricevuto le informazioni riferite a (OMISSIS) da (OMISSIS). Viene anche ritenuta niente affatto decisiva la circostanza che altri collaboratori non avessero riferito del mandato omicidiario dato da (OMISSIS) a (OMISSIS). L'affermazione del ricorso secondo cui il movente del delitto - il furto di mezzi escavatori ai danni di una ditta che pagava il "pizzo" alla famiglia barcellonese non ha carattere individualizzante in ordine ai mandati del delitto e', senza dubbio, esatta; ma non si puo' non sottolineare che la posizione verticistica del (OMISSIS) all'epoca dei fatti all'interno della famiglia barcellonese rende credibile la attribuzione allo stesso della decisione di dar corso all'uccisione di (OMISSIS); cosi' come la circostanza che ad uccidere (OMISSIS) fosse stato il suo amico, (OMISSIS), rende credibile che l'ordine di ucciderlo provenisse dai vertici dell'associazione mafiosa. In definitiva, la motivazione e' logica e conforme al dettato normativo nel rinvenire una convergenza del molteplice nell'attribuzione a (OMISSIS) del mandato eseguito da (OMISSIS). 9. Il terzo motivo di ricorso, avente ad oggetto l'aggravante di agevolazione mafiosa e del metodo mafioso, e' manifestamente infondato. Ritenuto provato il mandato omicidiario da (OMISSIS) a (OMISSIS) e la causale dell'ordine, risulta evidente la finalita' di agevolazione dell'associazione mafiosa al cui vertice stava il ricorrente; in effetti, i furti di macchinari ai danni di imprenditori che pagavano il "pizzo" all'associazione mafiosa e, quindi, confidavano in una "protezione" da parte della stessa faceva perdere di "credibilita'" all'associazione stessa e metteva in pericolo la riscossione dei proventi delle estorsioni. L'omicidio in questione era stata la manifestazione della forza di intimidazione del vincolo associativo e dell'assoggettamento imposto sul territorio. Le considerazioni esposte nel motivo di ricorso non sembrano coerenti con questa ricostruzione. 10. Il tema della premeditazione e' gia' stato affrontato con riferimento alla posizione di (OMISSIS); la posizione del (OMISSIS) e', se possibile, ancora piu' netta, trattandosi di colui che aveva ordinato l'omicidio e che, quindi, sapeva che (OMISSIS) lo stava preparando e lo avrebbe eseguito entro un certo lasso temporale, anche al fine di riscuotere il compenso che gli era stato promesso. Il fatto che il mandante avesse lasciato al killer la liberta' di realizzare l'omicidio con le modalita' preferite, e non previamente comunicate al mandante stesso, non fa venire meno l'aggravante: da una parte, come correttamente osservato dalla motivazione, il proposito criminoso del (OMISSIS) rimase fermo fino all'esecuzione dell'omicidio, mentre egli ben avrebbe potuto revocare l'ordine di uccidere (OMISSIS), dall'altra le modalita' di esecuzione dell'omicidio sono elementi non essenziali per configurare l'aggravante: in effetti, gli elementi costitutivi della circostanza aggravante della premeditazione sono un apprezzabile intervallo temporale tra l'insorgenza del proposito criminoso e l'attuazione di esso, tale da consentire una ponderata riflessione circa l'opportunita' del recesso (elemento di natura cronologica) e la ferma risoluzione criminosa perdurante senza soluzioni di continuita' nell'animo dell'agente fino alla commissione del crimine (elemento di natura ideologica) (Sez. U, n. 337 del 18/12/2008, dep. 2009, Antonucci, Rv. 241575 - 01). Questa Corte ha recentemente ribadito che il mandato a uccidere affidato dal soggetto apicale di un'associazione mafiosa a taluni affiliati, con delega all'organizzazione del delitto e alla scelta dei tempi e dei modi per la sua esecuzione, ove non sia modificato nel tempo l'ordine impartito, e' idoneo a integrare gli elementi costitutivi, cronologico e ideologico, della circostanza aggravante della premeditazione (Sez. 1, n. 28567 del 07/04/2022, Montepiccolo, Rv 283357 - 01). Infine, e' infondato il motivo con il quale si censura il diniego delle attenuanti generiche e la determinazione della pena, risultando la motivazione della sentenza assolutamente logica e adeguata. 11. Alle decisioni adottate consegue la condanna di entrambi i ricorrenti alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel grado dalle parti civili nella misura indicata in dispositivo. In particolare, anche (OMISSIS) deve essere condannato a tale rifusione, atteso che la sua responsabilita' per il delitto di omicidio viene definitivamente affermata. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente ai delitti di cui al capo B perche' estinti per prescrizione. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente alle attenuanti generiche e rinvia per nuovo giudizio sul punto e per la determinazione della pena alla Corte di assise di appello di Salerno. Rigetta nel resto il ricorso. Rigetta il ricorso di (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali. Condanna (OMISSIS) e (OMISSIS) alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel grado dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), difesi dall'avvocato (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro 5.000,00 oltre accessori di legge; dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), difesi dall'avvocato Gaetano Pino, che liquida in complessivi Euro 5.000,00, oltre accessori e spese; nonche' dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), difesi dall'avvocato (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro 5.000, oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. ACETO Aldo - rel. Consigliere Dott. GENTILI Andrea - Consigliere Dott. NOVIELLO Giuseppe - Consigliere Dott. MACRI' Ubalda - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS) S.R.L.; avverso la sentenza del 24/03/2022 della CORTE APPELLO di BRESCIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ALDO ACETO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale LUIGI GIORDANO che ha concluso chiedendo il rigetti dei ricorsi; udito il difensore della parte civile, AVV. (OMISSIS), che ha concluso come da note scritte depositate in udienza; udito di difensore di (OMISSIS) e (OMISSIS), AVV. (OMISSIS), anche quale sostituto processuale dell'AVV. (OMISSIS), che ha concluso riportandosi ai motivi e chiedendone l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1.Con sentenza del 24/03/2022, la Corte di appello di Brescia, pronunciando sugli appelli proposti dai sigg.ri (OMISSIS) ed (OMISSIS), nonche' dalla societa' "(OMISSIS) S.r.l." avverso la sentenza del 05/03/2020 del GUP del Cremona, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del (OMISSIS) e del (OMISSIS) in ordine al reato di realizzazione e gestione abusiva di discarica di cui agli articoli 110 c.p., 256, commi 1 e 3, Decreto Legislativo n. 152 del 2006, rubricato al capo 1), perche' estinto per prescrizione, ha conseguentemente ridotto la pena nella misura di un anno e quattro mesi di reclusione ed Euro 4.667,00 di multa ciascuno per il residuo reato di inquinamento ambientale colposo di cui agli articoli 110, 452-quinquies, 452-bis, c.p., ha concesso a entrambi i doppi benefici, ha ridotto l'importo della confisca disposta ai sensi dell'articolo 19, Decreto Legislativo n. 231 del 2001, nei confronti della societa' "(OMISSIS) S.r.l." nella misura di Euro 691.250, confermando nel resto. 2.Per l'annullamento della sentenza propongono distinti ricorsi gli imputati e la societa'. 3. (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto due ricorsi, uno a firma dell'Avv. (OMISSIS), l'altro a firma dell'Avv. (OMISSIS). Il ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS). 3.1.Con unico motivo viene dedotto il vizio di contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in ordine al momento consumativo del reato di inquinamento ambientale con particolare riferimento alle condotte di interramento del materiale antropico nell'area di cava successiva al (OMISSIS). Richiamati gli argomenti illustrati dalla Corte di appello a sostegno della consumazione del reato in epoca successiva alla sua introduzione nell'ordinamento penale, ed affermata la natura istantanea del reato di cui all'articolo 425-bis c.p., deducono quanto segue: - la percezione dei rilievi effettuati dal CT del PM nell'area C in data 14/06/2016, in particolare in ordine alla trincea 2T, e' errata perche' la relazione del CT afferma che la trincea era gia' stata riempita e ripristinata; - si tratta di travisamento decisivo perche' ritenere che nell'area C non vi fossero gia' riempimenti e ripristini antecedenti al sopralluogo del 3-4 settembre 2015 significa, di fatto, considerare tutta l'area C come non coltivata; eliminando la vista della corte non e' piu' possibile trarre alcuna conclusione univoca dalla trincea T15, dal momento che questa, come la trincea 2T, ben potrebbe essere relativa la porzione di area C gia' completamente coltivata e riempita prima del settembre 2015 (e, sopratutto, prima del (OMISSIS)); - la Corte commette una seconda svista, relativa al prelievo del campione S6 effettuato dall'ARPA il 03/09/2015 al fine di recuperare un campione di terreno senz'altro non contaminato, per poterlo confrontare con gli altri campioni prelevati nelle aree A e B gia' coltivate; - sbaglia la Corte d'appello nell'utilizzare detto prelievo come proprio "campione di riferimento" per la determinazione del âEuroËœtempus commissi delicti', posto che la presenza di un campione di terreno autoctono privo di "elementi antropici estranei", prelevato in una certa data in un'area di cava di 49.000 mq. (di cui 22.000 gia' coltivati), non significa necessariamente che in quella stessa data tutta l'area di 49.000 mq. sia priva di "elementi antropici estranei"; illogico quindi desumere la protrazione della condotta oltre il mese di settembre dal fatto che il CT avesse rinvenuto materiale antropico in area avanzata della zona C della cava (trincea T15) ad oltre 150 metri di distanza dal pulito del prelievo S6 (con conseguente ulteriore travisamento della prova); - ulteriore travisamento riguarda la relazione del 04/12/2015 dell'(OMISSIS) che, diversamente da quanto afferma la Corte di appello, non aveva affatto escluso la possibilita' di interramenti anche nell'area B. In conclusione, la datazione dei fatti in epoca successiva al (OMISSIS) si basa sui seguenti presupposti viziati: - l'essere tutta l'area C della cava alla data del 3 settembre 2015 priva di interramento di "elementi antropici estranei", circostanza affermata pretermettendo gli esiti della CT del PM che davano conto di quanto rinvenuto nella trincea 2T (gia' interamente recuperata); - l'essere tutta l'area C priva di "elementi antropici estranei" alla data del sopralluogo (OMISSIS)-Noe del 3 settembre 2015, circostanza non desumibile dal prelievo del campione "S6" effettuato da (OMISSIS) in data 3/9/2015. Il ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS) 3.1.Con il primo motivo deduce la violazione dell'articolo 2 c.p. e la mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza del reato di cui all'articolo 452-bis c.p.. Lamenta, in particolare, il malgoverno logico degli elementi di prova utilizzati dalla Corte di appello per affermare la prosecuzione dell'attivita' in epoca successiva all'entrata in vigore dell'articolo 452-bis c.p. e lo scollamento delle prove indicate dalla sentenza con quelle presenti agli atti. 3.2.Con il secondo motivo deduce l'erronea qualificazione dei fatti in conseguenza dell'erronea applicazione degli articoli 182, 208 e 256, Decreto Legislativo n. 152 del 2006, delle norme che disciplinano la caratterizzazione e l'uso dei materiali di recupero provenienti e originati dal trattamenti dei rifiuto, e dell'articolo 452-bis cod. pen., nonche' la mancanza di motivazione in ordine alla classificazione dei materiali utilizzati per il recupero della cava come rifiuti. Sostiene al riguardo: - l'utilizzo dei materiali di recupero e' consentito dall'articolo 21, legge reg. Lombardia, n. 14 dell'8 agosto 1998; - l'attivita' e' stata soggetta a controllo del Comune e degli altri enti competenti che non hanno mai sollevato problemi; - l'impianto di trattamento e recupero dei materiali da demolizione era autorizzato e funzionante da un decennio, l'azienda certificata e soggetta al controllo di enti terzi; - i materiali recuperati dai rifiuti erano utilizzati per recuperi ambientali ma anche della cava, conformemente alle autorizzazioni rilasciate; - ne' puo' utilizzarsi l'argomento della mancanza di documenti previsti per il solo caso di destinazione dei materiali di recupero all'esterno per escluderne l'utilizzo all'interno; - il CT del PM aveva avuto l'incarico di classificare i rifiuti utilizzati per il recupero della cava, non quello di verificare se tali materiali fossero riconducibili a prodotti recuperati e avessero le caratteristiche di tali prodotti; cio' lo aveva indotto ad analizzare i materiali sulla base di tutte le normative vigenti in campo ambientale e mai di verificare la rispondenza alle norme tecniche che disciplinano il recupero dei materiali da rifiuto; - lo stesso CT aveva ritenuto l'utilizzabilita' del materiale in uscita dall'impianto a fini di recupero ambientale, salvo escludere tale possibilita' per la discarica; - palese l'errore di diritto nel quale e' incorsa la Corte di appello che di fatto applica la normativa sulle discariche (Decreto Legislativo n. 36 del 2003) ai recuperi ambientali; tale normativa e' stata correttamente presa in considerazione solo era stato necessario verificare se il sito potesse essere destinato a discarica di rifiuti speciali. Lamenta, inoltre, che la Corte di appello non ha motivato sulle seguenti questioni dedotte in sede di gravame avverso la sentenza di primo grado: - sulla poca rappresentativita' dei campioni effettuati dal CT del PM; - sull'incertezza del dato relativo al superamento dei limiti rinveniente dall'incertezza della misura (in un contesto nel quale, peraltro, non si spiega come sia possibile che la falda fosse contaminata con materiali non presenti nel terreno); - sulla possibilita', in base alle norme tecniche previste dalla legislazione nazionale, della presenza di materiali consentiti visibili a occhio nudo ed anche di materiale a granulometria superiore; - sulla ammissibilita', in base alla legge regionale lombarda, della presenza di materiale di scarico e di risulta e di materiali inerti provenienti da scavi e demolizioni. In conclusione, la Corte di appello apoditticamente richiama tali presenze estranee, come prova del mancato trattamento del materiale in ingresso all'impianto e supporta tale elemento con il fatto che alcuni campioni evidenziavano un superamento dei limiti sottraendo la questione attinente la effettiva rappresentativita' dei campionamenti effettuati. La corte di appello-prosegue-afferma che l'impianto di trattamento e recupero delle macerie di demolizione era gestito in modo tale da non lasciare alcuna traccia documentale dei materiali trattati recuperati e che gli stessi non erano soggetti ad analisi. Vero e' che non c'era documentazione attestante l'utilizzo dei materiali recuperati in cava, ma e' altrettanto vero che l'impianto di trattamento presente in cava era dotato di registro di carico e scarico rifiuti ricevuti e trattati e che, dedotti quelli in stoccaggio per subire il dovuto trattamento, la differenza era stata ovviamente destinata allo scopo di recuperare la cava. E' del tutto errata - aggiunge - la affermata mancanza di analisi dei materiali in uscita dall'impianto di trattamento come diversamente si desume dagli allegati 8 alla relazione della dottoressa (OMISSIS) che dimostrano, senza ombra di dubbio, che la societa' e gli imputati avevano previsto procedure di verifica ed erano soggette alle ispezioni e verifiche annuali della societa' (OMISSIS), trattandosi di societa' certificata ed arrivano certificato l'aggregato prodotto. Nessun ente intervenuto in azienda, ne' gli stessi verbalizzanti, conclude, hanno mai evidenziato la mancanza delle dovute analisi sul materiale in uscita dall'impianto. 3.3.Con il terzo motivo deduce la mancanza, l'erronea e contraddittoria motivazione, il travisamento dei fatti e delle prove, la mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza del reato di cui all'articolo 452-bis c.p.. Deduce al riguardo: - nulla la Corte afferma in ordine alla presenza di inquinanti e solfati nelle acque di falda che sono ubiquitari nella pianura padana; - non e' nemmeno chiaro di quale falda si parli ed in particolare di quale profondita'; - ne' si puo' semplicisticamente affermare che la presenza di solfati possa essere ricondotta al cartongesso presente nel terreno recuperato senza spiegare perche' il terreno naturale presente sotto il materiale recuperato sia esente da solfati; - apodittica e illogica la risposta fornita al rilievo difensivo che la quota prevista in progetto e' solo indicativa, potendo variare sulla base di quanto emerso e deciso nel contraddittorio del procedimento amministrativo. 3.4.Con il quarto motivo solleva questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 425-c.p. per contrasto con gli articoli 25, comma 2, 27 e 111 Cost. in relazione alla indeterminatezza della fattispecie incriminatrice sotto il profilo della natura abusiva della condotta, della portata della condotta stessa (genericamente descritta in termini di "compromissione o deterioramento") e dell'evento, anch'esso qualificato genericamente dalla sua natura significativa e misurabile. 4.La societa' "(OMISSIS) S.r.l." propone i seguenti motivi. 4.1.Con i primi quattro motivi deduce questioni comuni a quelle oggetto dei ricorsi del (OMISSIS) e del (OMISSIS). 4.2.Con il quinto motivo, che riguarda il capo 1 della rubrica, deduce l'erronea qualificazione dei fatti, l'erronea applicazione dell'articolo 256, commi 1 e 3, Decreto Legislativo n. 152 del 2006, e delle norme collegate che disciplinano la caratterizzazione l'utilizzo dei materiali di recupero provenienti e originati dal trattamento dei rifiuti, l'erronea applicazione dell'articolo 452-bis c.p., la mancanza di motivazione in ordine alla classificazione materiale dei rifiuti. Denuncia, in prima istanza, l'intrinseca contraddittorieta' dello stesso capo 1 della rubrica che ipotizza la gestione abusiva della discarica ivi meglio indicata mediante attivita' di recupero che non puo' essere in alcun modo confusa con quello di smaltimento (trattandosi di attivita' alternative). Errato, di conseguenza, tentare di far rientrare il concetto di "recupero" in quello di "smaltimento". Ma prima ancora, aggiunge, e' errato classificare il materiale rinvenuto come rifiuto in assenza di analisi merceologica che ne specificasse la composizione in termini di percentuale di terra, percentuale di materiale litoidi, eventuale percentuale di materiale antropico, necessaria per poter assegnare al materiale rinvenuto la sua corretta qualificazione in termini di rifiuto piuttosto che di "End of Waste", materiale di riporto, sottoprodotto. La documentazione in atti afferma - non ha chiarito tali aspetti non avendo fornito la CT del PM, l'unica tenuta in conto dal primo giudice, alcuna risposta in tal senso ed, anzi, essendo state condotte le indagini con modalita' contestate dai CT della difesa, poiche' le analisi del c.t. del pm, diversamente da quanto previsto dalla Circolare del Ministro dell'Ambiente del 15/07/2005, erano puntuali e non statistiche, condotte su volumi di scala modesti rispetto a quelli richiesti per una corretta valutazione delle ipotesi alternative cosi' da non potersi considerare rappresentative della massa complessiva dei reperti utilizzati per il recupero ambientale. Non puo' nemmeno escludersi la qualifica del materiale rinvenuto come "materiale di riporto", ipotesi scartata dal CT del PM in base a valutazioni non condivisibili. Anche in sede di confronti il CT del PM si era limitato a sostenere che il ripristino della cava avrebbe dovuto avvenire con l'utilizzo di materiale autoctono secondo le autorizzazioni ma cosi' ammettendo che, al piu', l'illecito ipotizzabile sarebbe stato quello di abbancamento dei rifiuti e non il reato ipotizzato al capo 1. I consulenti della difesa avevano persino ritenuto la mancanza di elementi necessari ad affermare che nel caso concreto vi sia stato un effettivo superamento dei limiti di controllo per le acque sotterranee. Sbaglia il giudice a ritenere che la qualifica di sottoprodotti avrebbe dovuto essere dimostrata dagli imputati. Inoltre alcuna documentazione era prevista per gli "End of Waste" prodotti con conseguente impossibilita' per la difesa di dimostrare l'origine del materiale utilizzato per il recupero dell'area e che, se proveniente dall'impianto interno al sito, non necessitava nemmeno dei DDT. Da tutti gli atti di indagine non emergono elementi utili per dimostrare quando sarebbe iniziata la presunta attivita' illecito di recupero dell'area da parte dei ricorrenti persone fisiche ne' a quando e' databile l'ultima attivita' considerata dal giudice illecita e utile a far presumere la cessazione della "permanenza del reato". Orbene, in mancanza di prova della cessazione della permanenza del presunto reato iniziato nel 93, si sarebbe imposta una pronuncia assolutoria perche' il fatto, consumato prima del 2006, non e' previsto dalla legge come reato. In ogni caso l'(OMISSIS) aveva evidenziato che i materiali di recupero rinvenuto provenivano effettivamente dall'impianto che, secondo i CD della difesa, era regolarmente autorizzato, condotto nel rispetto della normativa, oggetto di puntuali verifiche analitiche, merceologiche, come da documentazione allegata alla perizia di cui il gruppo non aveva tenuto conto. Analoghe considerazioni devono essere svolte con riferimento alle modalita' di quantificazione dei rifiuti estranei alle MPS e ammessi, ai sensi del DM 05/02/1998, in piccole quantita', perche' e' tecnicamente impossibile separare completamente le parti estranee. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.1 ricorsi sono inammissibili. 2.1 ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS) erano stati tratti a giudizio per rispondere dei seguenti reati: 1) del reato di cui agli articoli 110 c.p. e 256 commi 1 e 3 Decreto Legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni, per avere, presso la cava sita in (OMISSIS) nel territorio del Comune di (OMISSIS), in concorso morale e materiale tra loro, entrambi nella qualita' di legali rappresentanti della societa' "(OMISSIS) s.r.l." e, per (OMISSIS), anche di "Direttore di cava", realizzato e comunque gestito, illecitamente e senza autorizzazione, una discarica per rifiuti inerti e non pericolosi, attraverso ripetute operazioni di recupero di ingenti quantitativi di rifiuti (circa 198.000 m3); segnatamente, quali titolari della societa' "(OMISSIS) s.r.l." (autorizzata a svolgere attivita' di estrazione di sabbie e ghiaie e di trattamento e recupero di rifiuti inerti e non pericolosi all'interno della cava "Gg16C" del Piano Provinciale Cave "(OMISSIS)" della Provincia di (OMISSIS) sita in (OMISSIS) "(OMISSIS)", nel territorio del Comune di (OMISSIS)) provvedevano a recuperare sistematicamente rifiuti (quali frammenti di laterizi, materiale bituminoso, materiale fibroso biancastro riconducibile a cartongesso, blocchi in calcestruzzo, frammenti di materiale ceramico, tondini di ferro, frammenti di teli e tubi in PVC e rari blocchi di scorie di fonderia; in generale materiali da demolizione di infrastrutture stradali e di immobili civili e industriali nonche' rifiuti provenienti dalle operazioni di trattamento inerti e rifiuti non pericolosi installato nella stessa area di cava) tramite loro interramento, tombamento (anche oltre il limite consentito dalla normativa vigente in materia di discariche e attivita' estrattiva) e compattazione al terreno nativo, in totale assenza di titolo ed in violazione della normativa vigente in materia di realizzazione e gestione di discariche e attivita' estrattiva nonche' in violazione delle autorizzazioni concesse per l'attivita' di escavazione e per il trattamento e recupero di rifiuti inerti e non pericolosi. Il fatto e' contestato come commesso in (OMISSIS), da data prossima e successiva al (OMISSIS) (data della prima autorizzazione all'attivita' estrattiva) fino al (OMISSIS) (data del sequestro). 2) del reato di cui agli articoli 110, 434 commi primo e secondo c.p., perche', in concorso tra loro, nella veste di legali rappresentanti della predetta societa' e per (OMISSIS) anche di Direttore di cava, cagionavano un disastro da cui derivava pericolo per la pubblica incolumita'; in particolare, per effetto della realizzazione e gestione sine titulo della discarica di cui sopra nonche' di un'attivita' di escavazione oltre il limite massimo di profondita' imposto dalla legge e dai titoli autorizzativi, con colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia nonche' nell'inosservanza della normativa in materia di discariche e attivita' estrattive, cagionavano offesa alla pubblica incolumita' consistente nella compromissione del suolo e sottosuolo compresi nell'area di cava "(OMISSIS)" del Piano Provinciale (OMISSIS) "(OMISSIS)" della Provincia di (OMISSIS), cava sita in (OMISSIS) "(OMISSIS)" presso il Comune di (OMISSIS), confinante, al margine inferiore, con una falda acquifera sotterranea destinata all'utenza pubblica (uso potabile e agricolo). Il fatto e' contestato come commesso in (OMISSIS). da data prossima e successiva al (OMISSIS) (data della prima autorizzazione all'attivita' estrattiva) fino al (OMISSIS) (data del sequestro). 3) per il reato di cui agli articoli 110, 452 bis c.p. perche', in concorso tra loro, nelle loro gia' indicate qualita', abusivamente cagionavano una compromissione o un deterioramento significativo e misurabile del suolo e del sottosuolo, in particolare, per effetto della gestione sine titolo della discarica, nonche' di un'attivita' di escavazione oltre il limite massimo di profondita' imposto dalla legge e dai titoli autorizzativi, cagionavano la compromissione del suolo e del sottosuolo compresi nell'area di cava di cui al capo 2 che precede. Il fatto e' contestato come commesso in (OMISSIS), dal (OMISSIS) al 18 gennaio 2016. La societa' "(OMISSIS) S.r.l." era stata tratta a giudizio per rispondere del seguente illecito amministrativo rubricato al capo 4: 4) illeciti amministrativi previsti dall'articolo 25-undecies commi 1 e 2, D.L.gs. n. 231 del 2001, in relazione ai reati di cui agli articoli 256, commi 1 e 3, Decreto Legislativo n. 156 del 2006, e 452 bis c.p., come sopra contestati, da (OMISSIS) e (OMISSIS), entrambi nella veste di legali rappresentanti della (OMISSIS) S.r.l., e da (OMISSIS) altresi' nella veste di direttore tecnico, soggetti posti in posizione apicale all'interno della societa', nell'interesse o a vantaggio della societa' medesima. Il fatto e' contestato come commesso in (OMISSIS), da data prossima e successiva al (OMISSIS) (data della prima autorizzazione all'attivita' estrattiva) fino al (OMISSIS) (data del sequestro). 3.11 GUP aveva dichiarato (OMISSIS) e (OMISSIS) colpevoli del reato di cui all'articolo 256, comma 3, Decreto Legislativo n. 152 del 2006, loro ascritto al capo 1), nonche' del reato di cui all'articolo 452-quinquies, comma 1, in relazione all'articolo 452-bis c.p., cosi' riqualificati i fatti contestati ai capi 2) e 3), e, ritenuto il concorso formale fra gli stessi ed applicata la diminuente per la scelta del rito, li aveva condannati alla pena di anni uno, mesi otto di reclusione ed Euro 6.000 di multa ciascuno, oltre al pagamento pro-quota ed in solido delle spese processuali. Aveva dichiarato la societa' "(OMISSIS) s.r.l." responsabile degli illeciti amministrativi contestati e, con la riduzione di cui all'articolo 62, comma 3, Decreto Legislativo n. 231 del 2001, aveva applicato la sanzione amministrativa pecuniaria pari a complessivi Euro 80.000. Aveva altresi' ordinato la confisca, anche per equivalente, del profitto del reato nella misura di Euro 1.708.000,00. Aveva condannato il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile "(OMISSIS) s.p.a.", da liquidarsi in separato giudizio, con assegnazione di una provvisionale pari ad Euro 40.000, e liquidazione delle spese sostenute nel grado. Aveva infine rigettato la domanda di risarcimento dei danni proposta dalla parte civile Comune di(OMISSIS). 3.1.La Corte d'Appello di Brescia, pronunciando sugli appelli proposti dagli imputati e dalla societa', in parziale riforma della sentenza impugnata, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del (OMISSIS) e del (OMISSIS) in ordine al reato di cui al capo 1), perche' estinto per prescrizione; ha ridotto, per l'effetto, la pena nella misura di un anno, quattro mesi di reclusione ed Euro 4.667,00 di multa ciascuno con riferimento alla residua imputazione di cui al capo 2), come qualificato dal primo giudice. Ha concesso ad entrambi gli imputati i benefici di legge. Ha condannato (OMISSIS) e (OMISSIS) alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile (OMISSIS) s.p.a., ha ridotto l'importo della disposta confisca nei confronti della societa' "(OMISSIS) s.r.l." ad Euro 691.250,00; ha confermato nel resto. 4.11 primo Giudice aveva cosi' argomentato. 4.1.Se e' vero che la discarica e' definita dall'articolo 2, Decreto Legislativo n. 36 del 2003, come area adibita a smaltimento di rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo (cio' che, nell'assunto difensivo, bastava ad escludere la sussistenza nel caso concreto della fattispecie di reato ipotizzata, posto che gli imputati avrebbero effettuato ripetute operazioni di recupero rifiuti), nondimeno anche l'attivita' di recupero del rifiuto (per tale intendendosi l'operazione attraverso cui si permette ai rifiuti di svolgere un ruolo utile sostituendo altri materiali) rientrava pacificamente nella piu' ampia nozione di smaltimento. 4.2.Per la configurabilita' del reato e' necessario un accumulo di rifiuti, per effetto di una condotta ripetuta, in una determinata area, trasformata di fatto in deposito con tendenziale carattere di definitivita', in considerazione delle quantita' considerevoli degli stessi e dello spazio occupato, essendo del tutto irrilevante la circostanza che manchino attivita' di trasformazione, recupero o riciclo proprie di una discarica autorizzata. 4.3.Affinche' possa parlarsi di realizzazione e/o gestione di discarica abusiva e' necessario il deposito, senza alcuna autorizzazione, sul suolo o nel suolo, di materiali qualificabili come rifiuti, per tali intendendosi, secondo il dettato normativo, qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia deciso di disfarsi. 4.4.1 materiali rivenuti in ognuna delle trincee effettuate erano stati interrati alla rinfusa a profondita' apprezzabile; cio' era ritenuto sintomatico di abbandono definitivo: alla luce della definizione normativa, detti materiali sono pertanto potenzialmente qualificabili come rifiuti. 4.5.Quanto alla possibilita' di qualificare alternativamente detti materiali, il GUP osservava che essi non erano inquadrabili ne' nella categoria dei c.d. sottoprodotti, ne' nella categoria dei c.d. materiali di riporto di origine antropica. 4.6.Inoltre essi non erano neppure inquadrabili come End of Waste (EoW), come invece sostenuto dai difensori. Sul punto, il GUP osservava come detta qualifica alternativa costituiva una deroga alla nozione di rifiuto, configurando indirettamente una clausola di esclusione della punibilita' del reato contestato, e percio' gravava sugli imputati l'onere di provare le condizioni della sua applicabilita'. Nel caso concreto, la difesa non aveva dimostrato che, ai fini del recupero ambientale della cava, fossero stati utilizzati proprio i materiali decadenti da quell'impianto di trattamento (o comunque da altro impianto di trattamento), che detto materiale recuperato rispondesse ai requisiti tecnici ed agli standard specifici previsti dalle norme di riferimento, che l'uso di detti materiali non avesse, anche in via meramente potenziale, impatti negativi sull'ambiente e sulla salute umana, essendosi gli imputati limitati ad una mera allegazione sul punto. 4.7.Dalle indagini, infatti, era emerso che i materiali rinvenuti, verosimilmente entrati nell'area di cava in quanto astrattamente destinati a confluire nell'impianto di trattamento, erano stati in realta' interrati tal quali nella porzione di terra oggetto, di volta in volta, di escavazione e successivo ripristino, by-passando l'impianto di trattamento dei rifiuti inerti (che ne avrebbe quanto meno garantito una riduzione volumetrica). Confortava tale conclusione anche il fatto che la procedura stilata dalla societa' per l'accettazione dei rifiuti provenienti dall'esterno prevedeva la verifica, sia documentale che visiva, delle caratteristiche tipologiche del rifiuto conferito e della sua compatibilita' con quanto prescritto nel titolo abilitativo, nonche' un'attivita' di stoccaggio organizzata in modo da impedire la commistione fra rifiuti connotati da caratteristiche tipologiche eterogenee fra loro, si' da assicurare a ciascun tipo di rifiuto la propria ed esclusiva destinazione prevista in sede di autorizzazione. 4.8.11 fatto che i materiali rinvenuti fossero stati interrati alla rinfusa mostrava come dette procedure preliminari all'ingresso dei materiali nell'impianto di trattamento non fossero state osservate, a conferma della conclusione per cui detti materiali non erano affatto transitati dall'impianto. In ogni caso, non vi era alcuna traccia documentale del c.d. ciclo di detti rifiuti, idoneo a garantire che gli stessi, in quanto provenienti dall'impianto di trattamento gestito dalla cava ovvero da altro impianto di trattamento, rispettassero gli standard qualitativi imposti dal Testo Unico ambiente. 4.9.Detti materiali, quanto meno in parte, non provenivano da un impianto di trattamento, il che escludeva la necessita' di verifiche o analisi tese a verificare il rispetto dei suddetti standard qualitativi. 4.10.Provata era la natura di rifiuto dei materiali interrati nel sito oggetto di indagine, nel quale, secondo quanto prescritto negli atti autorizzativi, doveva essere evitato lo scarico, anche abusivo, di materiale inquinante o comunque classificabile come rifiuto e potenzialmente in grado di provocare alterazioni al patrimonio ambientale. 4.11.Quanto al recupero del fondo di cava, il progetto di ripristino ambientale redatto nel marzo 2014, e gia' il decreto di VIA del 20 agosto 2013, prevedevano che il recupero agronomico-ambientale del fondo cava sarebbe stato attuato con utilizzo esclusivo di terreno vegetale di provenienza della stessa cava. 4.12.In risposta all'obiezione della difesa (secondo cui, poiche' il terreno vegetale non sarebbe stato sufficiente al rimodellamento sino ad arrivare alla quota posta quale fondo di cava, doveva ritenersi implicita l'autorizzazione ad utilizzare altro materiale per il recupero, ed in particolare, il materiale decadente dall'impianto di trattamento rifiuti che, tra gli usi consentiti, prevedeva proprio quello finalizzato al recupero ambientale), il Giudice osservava che l'insufficienza del terreno vegetale accantonato e dei limi di lavorazione era circostanza semplicemente allegata, ma non idoneamente provata. 4.13.Si evinceva che la necessita' di utilizzare materiale diverso dal terreno vegetale e dai limi di lavorazione per il ripristino ambientale era dipesa, in larga parte, dal fatto che la societa' aveva scavato oltre i limiti consentiti, con maggiore asportazione di materiale naturale. 4.14.In ogni caso, la societa', nonostante l'asserita evidenza di tale dato, non aveva ritenuto, in sede di progetto o di variante, di richiedere l'autorizzazione a provvedere mediante posa del materiale decadente dall'impianto di trattamento di rifiuti edili all'autorita' competente, la quale, sulla base di una valutazione di incidenza, avrebbe valutato l'opportunita' di un tale intervento e la sua compatibilita' con la destinazione d'uso data al sito recuperato. 4.15.L'assenza di questo giudizio di compatibilita' portava il primo giudice ad affermare che detti materiali non potevano essere utilizzati per lo specifico recupero ambientale della cava (e in ogni caso non poteva essere utilizzato quel materiale che, per caratteristiche granulometriche e tipologiche, non era certamente transitato per l'impianto di trattamento e per il quale non erano state fornite indicazioni in ordine alla provenienza ed alla conformita' ai parametri qualitativi normativamente previsti). 4.16.Disattesa, dunque, la prospettazione difensiva, e confermata la qualificazione come rifiuti dei materiali rinvenuti nel sito, il giudice affermava che il tombamento era avvenuto piu' volte ed in un apprezzabile lasso di tempo; detta attivita' aveva altresi' determinato un tendenziale degrado dell'area, che attualmente presenta caratteri evidentemente in contrasto con la sua destinazione ad uso coltivo. Erano integrati, allora, gli estremi oggettivi del reato di gestione di discarica senza alcuna autorizzazione. 4.17.Secondo il Giudice, poi, gli imputati avevano agito nella consapevolezza e nella volonta' di realizzare una discarica abusiva. 4.18.Infatti: le autorizzazioni amministrative non prevedevano in alcun modo la possibilita' di impiegare, per il recupero ambientale della cava, materiale diverso da "terreni vegetali di scarificazione superficiale e rifiuti decadenti dal lavaggio delle sabbie e ghiaie" e vietavano lo scarico, anche abusivo, di materiale inquinante "o comunque classificabile come rifiuto" e potenzialmente in grado di provocare alterazioni al patrimonio ambientale; nei sopralluoghi effettuati in loco, i competenti organi amministrativi, quantomeno a far data dall'anno 2013, avevano riscontrato la presenza di materiale non autoctono e avevano evidenziato la non conformita' a quanto prescritto nelle autorizzazioni amministrative; con due ordinanze sindacali (una del 2013, l'altra del 2016) era stata comminata alla societa' una sanzione amministrativa pecuniaria per la mancata osservanza degli obblighi imposti dalle autorizzazioni ed ordinata (con l'ordinanza del 2016) l'immediata rimozione del materiale non proveniente dalla cava medesima con conseguente smaltimento presso i centri autorizzati (si trattava di materiale che, benche' non utilizzabile per il recupero ambientale della cava, era stato stoccato in area destinata al deposito del terreno di alterazione). 4.19. (OMISSIS), quale direttore di cava, era presente ai sopralluoghi effettuati; (OMISSIS), quale legale rappresentate, aveva inevitabilmente assunto determinazioni in ordine al pagamentolimpugnazione delle sanzioni amministrative comminate. Ne discendeva che il fatto che l'attivita' di interramento di detto materiale fosse comunque proseguita portava il Giudice ad attribuire la condotta ad un comune agito doloso. Del resto, poiche' il materiale era stato rivenuto in modo sostanzialmente omogeneo in ognuna delle trincee sparse su tutta l'area di cava ne derivava la conclusione che la realizzazione e la gestione di detta discarica era stata oggetto di una sistematica, dunque consapevole, scelta imprenditoriale, volta a massimizzare le linee di profitto riducendo le voci di spesa, imputabile, a titolo di dolo, in capo a coloro che si erano succeduti nella funzione apicale, posto che detta attivita' era sostanzialmente proseguita sino a che non era intervenuto il sequestro dell'area. Di qui la condanna per il reato di cui agli articoli 110 c.p. e 256 commi 1 e 3, Decreto Legislativo n. 152 del 2006. 4.20.11 GUP dissentiva poi dalla impostazione accusatoria del PM che aveva ritenuto di ricondurre la medesima condotta (realizzazione e gestione "sine titulo"della discarica, da un lato, ed esercizio dell'attivita' di escavazione oltre il limite massimo di profondita' imposto dalla legge e dai titoli autorizzativi, dall'altro) nell'alveo di due distinte fattispecie: la prima, sussunta negli articoli 449 e 434 c.p., per la condotta posta in essere sino al (OMISSIS) (data di entrata in vigore della L. n. 68 del 2015 che ha aggiunto al codice penale il Titolo VI-bis in tema di delitti contro l'ambiente), sul presupposto per cui, sino a quella data, in assenza di una normativa ad hoc, le fattispecie di inquinamento ambientale venivano, in via interpretativa, ricondotte al reato di c.d. disastro innominato; la seconda per la condotta posta in essere dopo il (OMISSIS), integrante il delitto di cui all'articolo 452 bis c.p.. 4.21.Stante l'identita' della condotta contestata, era dirimente verificare il tempo di commissione del fatto-reato: se esso era stato interamente commesso anteriormente al (OMISSIS), l'unica disposizione applicabile era l'articolo 434 c.p., che prevede un trattamento sanzionatorio piu' favorevole, mentre, se era stato commesso successivamente a tale data, trovava applicazione la nuova disciplina introdotta dalla L. n. 68 del 2015. 4.22.11 tempo di commissione del reato, nel caso di specie, e' stato individuato dal GUP nel momento in cui e' cessata la condotta (escavazione oltre i limiti consentiti e interramento di rifiuti) che ha messo in moto il meccanismo causale: detta condotta si e' di fatto conclusa nel 2016 con il sequestro dell'area, momento sino al quale la cava e' stata operativa continuando, pertanto, ad operare con le modalita' usualmente impiegate. Alla fattispecie concreta e' stato quindi ritenuta applicabile dal GUP la nuova disciplina dei delitti contro l'ambiente introdotta dalla L. n. 68 del 2015, ferma la possibilita' di ricorrere alla figura del disastro innominato di cui all'articolo 434 c.p., in forza della clausola di riserva contenuta nell'articolo 452 quater c.p.. 4.23.Quanto al fatto che la condotta in contestazione avesse o meno cagionato una "alterazione" penalmente rilevante delle matrici ambientali, il GUP osservava che dalle indagini tecniche effettuate era emerso che la societa' "(OMISSIS) s.r.l." aveva effettuato escavazioni oltre i limiti assentiti e che il recupero dell'area di cava era avvenuto mediante l'interramento di materiale che era da qualificarsi come rifiuto. 4.24.Per cio' che concerne le acque sotterranee e, in particolare, quella prelevata dai pozzi 1 e 62 esterni alla cava e dal punto 1P interno alla cava, la presenza di ferro, arsenico e manganese in quantita' superiore alla soglia di contaminazione aveva indotto il GUP a ritenere anomalo quanto riscontrato nel punto 1P, in cui il parametro manganese aveva superato i limiti previsti dalla vigente normativa di un ordine di grandezza, e, di gran lunga, i valori riscontrati nei piezometri esterni alla cava: indizio grave, questo, dell'esistenza di una correlazione di detto superamento con la presenza di rifiuti nelle porzioni piu' superficiali di terreno. 4.25.Anche riguardo ai terreni ed ai rifiuti, era stata accertata la presenza di valori di concentrazione delle sostanze inquinanti superiori a quelli della soglia di contaminazione per siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale (di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006). 4.26.11 GUP escludeva fossero ravvisabili gli estremi del disastro ambientale di cui all'articolo 452 quater c.p., non essendovi ne' un'alterazione irreversibile dell'equilibrio di un ecosistema o comunque di un'alterazione la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali, ne' di un'offesa alla pubblica incolumita'. Neppure ricorrevano gli estremi del delitto di cui all'articolo 434 c.p., mentre i fatti erano interamente sussumibili, sotto il profilo oggettivo, nell'a fattispecie di cui all'articolo 452 bis c.p., che punisce ogni danneggiamento dell'ambiente che non abbia le caratteristiche connotanti l'evento come disastro ed a prescindere da un pericolo nei confronti di interessi ulteriori. 4.27.Osservava il GUP che "fino a che non si verifichi l'irreversibilita' del danno ambientale, le condotte poste in essere successivamente all'iniziale deterioramento o compromissione del bene non costituiscono post factum non punibile ma integrano singoli atti di un'unica azione lesiva che spostano in avanti la consumazione del reato". Dunque, indipendentemente dal fatto che l'inquinamento del sito fosse dipeso anche da comportamenti antecedenti all'introduzione nell'ordinamento della fattispecie di reato di cui all'articolo 452 bis c.p., la prosecuzione della condotta illecita con aggravamento del danno da parte degli imputati nel periodo successivo al (OMISSIS) comunque rilevava ai fini della sussistenza di detto reato. 4.28.Nel caso concreto, infatti, il GUP riteneva configurato quanto meno un deterioramento della matrice ambientale causato dall'attivita' di escavazione oltre i limiti assentiti e dal susseguente illecito tombamento di rifiuti, che hanno portato ad un decadimento qualitativo del sito manifestatosi in una significativa diminuzione del suo valore nonche' nell'impossibilita' di utilizzarlo (neanche parzialmente) senza una previa attivita' di bonifica comunque non agevole. A tal fine, il giudice ha dato rilevanza anche all'elemento dimensionale del reato (l'area di cava interessata da detta attivita' illecita era pari a 226.000 mq) e all'abusivita' della condotta (poiche' posta in essere in assenza delle prescritte autorizzazioni o in violazione di leggi statali o regionali o di prescrizioni amministrative). 4.29.Quanto all'elemento soggettivo, il GUP ha ritenuto che il reato in questione fosse ascrivibile agli imputati a titolo di colpa, poiche', sebbene rispondesse ad una scelta consapevole e volontaria quella di scavare oltre i limiti assentiti e di effettuare il recupero ambientale della cava mediante tombamento di rifiuti, nondimeno non vi erano elementi per dire che in capo agli imputati vi fosse altresi' la consapevolezza (o l'accettazione del rischio) di determinare anche un inquinamento ambientale in termini di decadimento qualitativo del suolo e del sottosuolo: sia in ragione della tipologia di materiale interrato, sia in considerazione del fatto che, nel caso concreto, nessun contributo e' stato offerto dagli organi deputati al controllo, che si sono nella sostanza limitati a segnalare il fatto che detti materiali non potessero essere utilizzati per il recupero ambientale della cava senza al contempo metterne in evidenza le potenzialita' inquinanti e, quindi, diffidare la societa' dal loro utilizzo imponendo la rimozioni di quelli gia' tombati. 4.30.Inoltre, tenuto conto della specifica posizione apicale del (OMISSIS), la condotta accertata era a lui ascrivibile alla luce della logica imprenditoriale sottesa alla condotta, quale condivisa strategia di guadagno. Da qui la condanna degli imputati in ordine al reato di cui all'articolo 452-quinquies comma 1, in relazione all'articolo 452-bis c.p.. 4.31.Per quanto attiene alla posizione della societa', il GUP aveva ritenuto sussistenti i requisiti dell'interesse o vantaggio dell'ente poiche' la condotta commissiva od omissiva, violativa di regole cautelari (gener che o specifiche), riguardata ex ante, aveva prodotto un beneficio per l'ente, ossia una apprezzabile utilita' consistita nel risparmio di spesa da parte dell'ente stesso, legato al tombamento di rifiuti (essendo indiscutibilmente piu' economico interrare rifiuti invece di trattarli presso l'impianto ed al contempo acquistare materiale idoneo per il recupero ambientale della cava) e nel maggior profitto derivato all'ente dall'escavazione effettuata per una profondita' maggiore di quella assentita dagli atti autorizzativi. 4.32.Gli imputati rivestivano funzioni apicali ex articolo 5 lettera a), Decreto Legislativo n. 231 del 2001. Ai sensi dell'articolo 6, comma 1, ove il reato sia stato commesso da organi apicali, l'ente non risponde qualora provi: l'adozione ed efficace attuazione, prima della commissione del fatto, di modelli organizzativi e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; l'affidamento ad un organismo dell'ente, dotato di autonomi poteri di controllo, del compito di vigilare sul funzionamento e sull'osservanza dei modelli e di curarne l'aggiornamento; la fraudolenta elusione del modello organizzativo da parte degli autori del reato; la sufficiente vigilanza da parte dell'organismo di cui sopra. Osservava il GUP che l'azienda non aveva fornito ne' allegato detta prova liberatoria, sicche' ricorrono i requisiti richiesti dalla normativa per l'affermazione della responsabilita' della societa' stessa. 5.La Corte di appello di Brescia ha osservato che, individuata la data di cessazione della permanenza del reato di cui al capo 1) della rubrica in quella di esecuzione del sequestro dell'area (22/1/2016), la contravvenzione e' pacificamente prescritta. Non prescritta e', tuttavia, la responsabilita' amministrativa dell'ente alla luce del disposto dell'articolo 22, ultimo comma, Decreto del Presidente della Repubblica n. 231 del 2001, sicche' la Corte territoriale, sia per la conferma delle statuizioni civili (ex articolo 578 c.p.p.), sia per la necessita' di valutare i motivi che attengono alla responsabilita' amministrativa dell'ente, ha proceduto ad una piena valutazione degli elementi probatori per valutare l'integrazione dei reati da cui originano la responsabilita' civile degli imputati e la responsabilita' dell'ente. 5.1.Quanto al reato di cui all'articolo 452 bis c.p., la Corte di appello ha preliminarmente affrontato e risolto la questione, prospettata da tutti i difensori appellanti, della individuazione della data di cessazione delle condotte illecite, in presenza di successione di leggi penali nel tempo. Il discrimine e' costituito dall'entrata in vigore della L. n. 68 del 2015, che ha introdotto nel codice penale la fattispecie di cui all'articolo 452 bis c.p. (inquinamento ambientale). In assenza di prova di condotte di escavazione e di interramento del materiale definito dal primo giudice come "rifiuto" che si siano protratte dopo tale data, non potrebbe, a giudizio dei Giudici distrettuali, considerarsi integrata la nuova fattispecie di reato. 5.2.Alla luce dei fatti, la Corte di appello ha concluso nel senso che la prosecuzione dell'attivita' di escavazione oltre i limiti e di interramento dei rifiuti e' certamente proseguita oltre la data di entrata in vigore della nuova normativa. 5.3.Rigettati, quindi, i motivi spesi dai difensori in ordine all'incertezza della prosecuzione di attivita' illecita dopo il maggio 2015, la Corte si e' pronunciata sui restanti. 5.4.Per cio' che concerne i motivi che investono la materialita' dei fatti e la sussunzione di questi nelle ipotesi di reato ritenute in sentenza, sia contravvenzionali che delittuose, la sentenza afferma che essi non colgono nel segno, avendo la Corte di appello condiviso integralmente le valutazioni tecniche del CT del PM e le motivazioni, sempre a detta della Corte, complete ed esaustive della sentenza del primo Giudice. 5.5.In primo luogo, essa ha considerato dato di fatto inoppugnabile che le accertate (e non contestate nella loro materialita') condotte sistematiche ed organizzate della (OMISSIS) s.r.l. fossero vietate da tutte le autorizzazioni rilasciate nel corso del tempo. 5.6.La Corte territoriale, dunque, ha condiviso in toto sia le argomentazioni del consulente tecnico che del primo giudice in ordine al fatto che la societa' aveva effettuato escavazioni con profondita' maggiori di quelle consentite, che avevano reso necessario, per il raggiungimento della quota di copertura, l'impiego di maggior terreno rispetto a quello che sarebbe bastato se vi fosse stata l'osservanza dei limiti di scavo. 5.7.Inoltre, questo problema avrebbe potuto agevolmente essere risolto dalla (OMISSIS) s.r.l. avanzando richiesta di autorizzazione a depositare, sul fondo della cava, sulle sc(OMISSIS)te o comunque in quote precise delle aree della cava da recuperare, il materiale proveniente dall'impianto di trattamento e recupero di rifiuti inerti speciali non pericolosi, impianto autorizzato a partire dal 2005 e che gia' dal 2010 operava in regime ordinario. La ragione per cui, nel corso di ben dieci anni rispetto all'inizio dell'operativita' dell'impianto di trattamento al momento del sequestro, a fronte della permanente necessita' di materiale ulteriore rispetto a quello naturale e allo sterile per il ripristino delle aree di cava, nessuna domanda a tal fine sia stata presentata non puo' che rinvenirsi - afferma la Corte di appello - nella consapevolezza che una simile domanda non avrebbe ottenuto esito positivo. In caso, di rilascio, peraltro, siffatte autorizzazioni avrebbero necessariamente contemplato verifiche e analisi sui materiali decadenti dall'impianto e ulteriori costi per la societa'. Cio', a parere della Corte di appello, dimostra, da un lato, il disinteresse degli imputati alle problematiche di depauperamento di altri siti e, dall'altro, l'interesse a far si' che si costituisse un circolo estremamente vantaggioso (ma non virtuoso) sotto il profilo economico, tra l'attivita' di trattamento e recupero di rifiuti speciali non pericolosi e l'attivita' di recupero della cava. 5.8.Tra l'altro, sempre per la Corte di appello, la contiguita' spaziale tra impianto di trattamento e cava, consentiva agli imputati di sottrarsi ad ogni controllo sul materiale che effettivamente era in uscita dall'impianto di trattamento e recupero e sulla conformita' per il reimpiego; la fuoriuscita dal sito di materiale che avrebbe dovuto essere trattato richiedeva infatti quantomeno documenti di trasporto e implicava rischi di controlli su strada, evitati dall'inglobamento dell'impianto di trattamento nell'area di cava. Non e' un caso, infatti, che la difesa assuma di non poter dimostrare che i materiali depositati in cava siano stati trattati nell'impianto, perche', non accedendo i materiali da aree esterne a quella dell'impianto, non erano necessari i normali documenti richiesti dalla normativa ambientale in materia: la mancata dimostrazione di questo punto fondamentale, secondo la Corte territoriale giustifica, di per se', la conclusione dell'infondatezza di tutte le argomentazioni difensive aventi ad oggetto la contestazione che il materiale rinvenuto sia "rifiuto". 5.9.Tutto quanto sopra da' conto di come gli imputati fossero consapevoli dell'irregolarita' di tali comportamenti e, non essendo documentato che il materiale di cui si e' detto sia qualificabile quale "End of Waste", ha indotto la Corte di appello a ritenere corretta la qualificazione in termini di "rifiuto", operata dal Giudice di prime cure, dei materiali di cui il detentore della (OMISSIS) si era disfatto interrandoli illegittimamente nel sottosuolo: la ritenuta correttezza della sentenza impugnata, ha consentito, dunque, di ritenere provata la materialita' del fatto contestato sub 1) e la sua riconduzione alla fattispecie di gestione di una discarica abusiva, il che comporta, pur in presenza di prescrizione del reato, la conferma delle statuizioni civili relative a detto capo. 5.10.Quanto ai motivi che investivano la condanna per il reato di cui all'articolo 452 bis c.p., la Corte di appello ha ritenuto di non sollevare la questione di legittimita' costituzionale per indeterminatezza della fattispecie e violazione degli articoli 25 comma 2, 27 e 111 Cost., in quanto gia' la Corte di Cassazione in piu' occasioni aveva ritenuto la manifesta infondatezza della questione. 5.11.Esaminando altri motivi, gia' si e' rilevato come la Corte di appello abbia condiviso le argomentazioni del primo giudice in ordine all'effettuazione di escavazioni oltre i limiti assentiti dalle varie autorizzazioni. Le argomentazioni spese dalla Corte di appello con riferimento alla condanna per la contravvenzione di cui al n. 1), ha giustificato il rigetto dell'appello anche con riferimento alla ritenuta sussistenza del reato di inquinamento ambientale e cio' a fronte della dimensione del fenomeno accertato, sia con riferimento all'ambito spaziale, sia alla durata dello stesso, sia ai quantitativi di rifiul:i sepolti nell'area. 5.12.Per cio' che riguarda invece l'esame del motivo che investiva esclusivamente la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato in capo al (OMISSIS) (oggetto esclusivo dell'impugnazione presentata dall'Avv. (OMISSIS) con il quinto motivo), la Corte di appello ha osservato che la dimensione del fenomeno, la reiterazione nel tempo delle condotte, gli interventi di diversi enti con i quali il (OMISSIS) necessariamente si interfacciava, stante la sua posizione di legale rappresentante, il fatto che la (OMISSIS) gestisse anche l'impianto di trattamento (circostanza che ha comportato, a partire dal 2005, l'ingresso di quantita' di materiali da recuperare rilevantissime, vedendone uscire assai poche, visto che 198.000 metri cubi di materiale sono stati sotterrati nell'area) non consentono di dare alcun credito all'ipotesi alternativa secondo cui una siffatta gestione sarebbe da ricondurre esclusivamente al (OMISSIS) nella totale ignoranza del legale responsabile della societa' che, come tale, non poteva ignorare che i profitti derivassero dalla vendita della sabbia estratta dalla cava e dalla ricezione del materiale nell'impianto, senza alcun ricavo per la vendita dei materiali in uscita. Circostanze, queste, che indubbiamente rendevano evidente al legale rappresentante la problematica del conteggio e delle differenze tra materiale in entrata e in uscita. Il primo Giudice aveva ritenuto sussistente il reato di cui all'articolo 452 bis c.p. e, sotto il profilo soggettivo, la mera colpa. Colpa che, nel caso di specie, per la Corte territoriale sussiste anche in capo al (OMISSIS), in base alle considerazioni sopra riportate. 5.13.Quanto al trattamento sanzionatorio, la questione posta alla Corte di appello investiva esclusivamente la condanna degli imputati per il reato di inquinamento ambientale (essendo prescritto quello di discarica abusiva). Anche per il Giudice dell'impugnazione, gli imputati non sono meritevoli delle attenuanti generiche, per via della gravita' e della reiterazione (nell'arco di un decennio) delle loro condotte. Ha trovato invece accoglimento, in assenza di pericolo di ulteriore commissione di reati, la richiesta di applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena nei confronti di entrambi, valorizzato il dato della loro incensuratezza nonche' quello dell'eta', per il (OMISSIS), e, per il (OMISSIS), quello della cessazione della condotta (seppur grazie agli atti di sequestro, nel gennaio 2016) insieme con il venir meno della sua qualita' di legale rappresentante della societa'. 5.14.Infondato e' stato ritenuto il settimo motivo di appello, comune agli imputati, essendo evidente il danno riportato dalla parte civile, quantomeno per le condotte illecite poste in essere dopo che la stessa era divenuta proprietaria dell'area. E proprio la precarieta' economica degli imputati e della s.r.l. (il cui esercizio e' cessato dal 2017) giustificano, nell'ottica della Corte territoriale, la condanna al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva (che al momento della pronuncia ancora non risultava versata). 5.15.Da ultimo, circa l'appello presentato nell'interesse dell'ente, la Corte di appello ha ritenuto non operante nei suoi confronti la prescrizione per il reato sub 1), ai sensi dell'articolo 22, Decreto del Presidente della Repubblica n. 231 del 2001. Parimenti infondati, per la Corte territoriale sono il secondo ed il terzo motivo di appello, per le stesse ragioni poste a sostegno del rigetto dell'appello presentato dagli imputati. Infondato e' inoltre il quarto motivo di impugnazione dell'ente che investe specificamente la configurabilita' della responsabilita' amministrativa dell'ente, che la difesa contestava evidenziando le lacune investigative nell'operato della polizia giudiziaria: a detta della Corte di appello, correttamente il primo Giudice ha osservato che non era stata fornita la prova liberatoria dell'adozione ed efficace attuazione di modelli organizzativi e di gestione idonei a prevenire i reati della specie di quello verificatosi, ai sensi dell'articolo 6, comma 1, Decreto del Presidente della Repubblica n. 231 del 2001. La Corte di appello ha quindi ritenuto che non vi fossero ragioni per la rideterminazione della sanzione amministrativa ma ha rideterminato l'entita' della confisca osservando che, premesso che gia' il primo Giudice aveva correttamente ritenuto profitto del reato esclusivamente quello conseguito dalla maggiore escavazione delle sabbie rispetto alle profondita' assentite, occorresse fare riferimento alle pagine 404 ss. della consulenza tecnica del PM con la conseguenza che l'importo della confisca, disposto ai sensi dell'articolo 19, Decreto del Presidente della Repubblica n. 231 del 2001, dovesse essere ridotto ad Euro 691.250. 6.Tanto premesso, prima di esaminare i singoli ricorsi, il Collegio ritiene opportuno richiamare l'insegnamento costante secondo il quale: a) l'indagine di legittimita' sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volonta' del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilita' di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si e' avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita' la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu' adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944 - 01); b) l'illogicita' della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioe' di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacai:o di legittimita' al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche' siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794); c) la mancanza e la manifesta illogicita' della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicche' dedurre tale vizio in sede di legittimita' significa dimostrare che il testo del provvedimento e' manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non gia' opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205621), sicche' una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma di logicita' (Sez. U, n. 30 del 27/09/1995, Mannino, Rv. 202903); d) il travisamento della prova e' configurabile solo quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; il relativo vizio ha natura decisiva solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio (Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499). 6.1.11 travisamento della prova consiste, dunque, in un errore percettivo (e non valutativo) della prova stessa tale da minare alle fondamenta il ragionamento del giudice ed il sillogismo che ad esso presiede. In particolare, consiste nell'affermare come esistenti fatti certamente non esistenti ovvero come inesistenti fatti certamente esistenti. Il travisamento rende la motivazione insanabilmente contraddittoria con le premesse fattuali del ragionamento cosi' come illustrate nel provvedimento impugnato, una diversita' tale da non reggere all'urto del contro-giudizio logico sulla tenuta del sillogismo. Il vizio e' percio' decisivo quando la frattura logica tra la premessa fattuale del ragionamento e la conclusione che ne viene tratta e' irreparabile. Come ribadito da Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, n. m. sul punto, il travisamento della prova sussiste quando emerge che la sua lettura sia affetta da errore "revocatorio", per omissione, invenzione o falsificazione. In questo caso, difatti, la difformita' cade sul significante (sul documento) e non sul significato (sul documentato). 6.2.1n tal caso e' onere del ricorrente, in virtu' del principio di "autosufficienza del ricorso", suffragare la validita' del suo assunto mediante la completa trascrizione dell'integrale contenuto degli atti medesimi (ovviamente nei limiti di quanto era gia' stato dedotto in sede di appello), dovendosi ritenere precluso al giudice di legittimita' il loro esame diretto, a meno che il "fumus" del vizio dedotto non emerga all'evidenza dalla stessa articolazione del ricorso (Sez. 2, n. 20677 dell'11/04/2017, Schioppo, Rv. 270071; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, Bregamotti, Rv. 265053; Sez. F. n. 37368 del 13/09/2007, Torino, Rv. 237302). 6.3.Non e' sufficiente riportare meri stralci di singoli brani di prove dichiarative, estrapolati dal complessivo contenuto dell'atto processuale al fine di trarre rafforzamento dall'indebita frantumazione dei contenuti probatori, o, invece, procedere ad allegare in blocco ed indistintamente le trascrizioni degli atti processuali, postulandone la integrale lettura da parte della Suprema Corte (Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014, Savasta, Rv. 263601; Sez. 3, n. 43322 del 02/07/2014, Sisti, Rv. 260994, secondo cui la condizione della specifica indicazione degli "altri atti del processo", con riferimento ai quali, l'articolo 606, comma 1, lettera e), c.p.p., configura il vizio di motivazione denunciabile in sede di legittimita', puo' essere soddisfatta nei modi piu' diversi (quali, ad esempio, l'integrale riproduzione dell'atto nel testo del ricorso, l'allegazione in copia, l'individuazione precisa dell'atto nel fascicolo processuale di merito), purche' detti modi siano comunque tali da non cosl:ringere la Corte di cassazione ad una lettura totale degli atti, dandosi luogo altrimenti ad una causa di inammissibilita' del ricorso, in base al combinato disposto degli articoli 581, comma 1, lettera c), e 591 cod. proc, pen.). 6.4.E' necessario, pertanto: a) identificare l'atto processuale omesso o travisato; b) individuare l'elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verita' dell'elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonche' della effettiva esistenza dell'atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l'atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale "incompatibilita'" all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, Damiano, Rv. 249035). 3.2.11 principio di autosufficienza del ricorso trova applicazione anche a seguito dell'entrata in vigore dell'articolo 165-bis disp. att. c.p.p., introdotto dall'articolo 7, comma 1, Decreto Legislativo n. 6 febbraio 2018, n. 11, che si traduce nell'onere di puntuale indicazione, da parte del ricorrente, degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l'allegazione, materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato ove a cio' egli non abbia provveduto nei modi sopra indicati (Sez. 5, n. 5897 del 03/12/2020, Rv. 280419 - 01; Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, Rv. 276432 01). 6.5.Inoltre, poiche' il vizio riguarda la ricostruzione del fatto effettuata utilizzando la prova travisata, se l'errore e' imputabile al giudice di primo grado la relativa questione deve essere devoluta al giudice dell'appello, pena la sua preclusione nel giudizio di legittimita', non potendo essere dedotto con ricorso per cassazione, in caso di c.d "doppia conforme", il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il giudice di secondo grado se il travisamento non gli era stato rappresentato (Sez. U, Dessimone, cit.; Sez. 5, n. 48703 del 24/09/2014, Biondetti, Rv. 261438; Sez. 6, n. 5146 del 2014, cit.), a meno che, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, il giudice di secondo grado abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (nel qual caso il vizio puo' essere eccepito in sede di legittimita', Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, Capuzzi, Rv. 258438). 6.6.Ne consegue che: a) il vizio di motivazione non puo' essere utilizzato per spingere l'indagine di legittimita' oltre il testo del provvedimento impugnato, nemmeno quando cio' sia strumentale a una diversa ricomposizione del quadro probatorio che, secondo gli auspici del ricorrente, possa condurre il fatto fuori dalla fattispecie incriminatrice applicata; b) l'esame puo' avere ad oggetto direttamente la prova quando se ne deduce il travisamento, purche' l'atto processuale che la incorpora sia allegato al ricorso (o ne sia integralmente trascritto il contenuto) e possa scardinare la logica del provvedimento creando una insanabile frattura tra il giudizio e le sue basi fattuali; c) la natura manifesta della illogicita' della motivazione del provvedimento impugnato costituisce un limite al sindacato di legittimita' che impedisce alla Corte di cassazione di sostituire la propria logica a quella del giudice di merito e di avallare, dunque, ricostruzioni alternative del medesimo fatto, ancorche' altrettanto ragionevoli; d) non e' consentito, in caso di cd. "doppia conforme", eccepire il travisamento della prova mediante la pura e semplice riproposizione delle medesime questioni fattuali gia' devolute in appello sopratutto quando, come nel caso di specie, la censura riguardi il medesimo compendio probatorio non avendo la Corte territoriale attinto a prove diverse da quelle scrutinate in primo grado. 6.7.Non e' dunque consentito, in sede di legittimita', proporre un'interlocuzione diretta con la Suprema Corte in ordine al contenuto delle prove gia' ampiamente scrutinate in sede di merito sollecitandone l'esame e proponendole quale criterio di valutazione della illogicita' manifesta della motivazione; in questo modo si sollecita la Corte di cassazione a sovrapporre la propria valutazione a quella dei Giudici di merito laddove, come detto, cio' non e' consentito, nemmeno quando venga eccepito il travisamento della prova. Il travisamento non costituisce il mezzo per valutare nel merito la prova, bensi' lo strumento - come detto - per saggiare la tenuta della motivazione alla luce della sua coerenza logica con i fatti sulla base dei quali si fonda il ragionamento. I ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) 7.1 ricorsi del (OMISSIS) e del (OMISSIS) sono inammissibili perche' si avvalgono di non consentite deduzioni fattuali volte a scardinare il ragionamento della Corte di appello spingendo il sindacato della Corte di cassazione oltre i limiti ad essa consentiti in assenza di travisamenti di sorta nemmeno correttamente decotti. Tutti i motivi attingono a piene mani al materiale istruttorio dando per scontata la possibilita' della Corte di cassazione di accedere agli atti del fascicolo del dibattimento, di leggerne il contenuto e di saggiare la tenuta logica del ragionamento del giudice di merito, operazione, come detto, non consentita in questa sede ove cio' che rileva non e' quel che il giudice avrebbe potuto decidere (fatto ricostruibile in base alle prova assunte), ma come ha deciso (fatto ricostruito cosi' come risulta dal testo della motivazione). 7.1.1 ricorsi, salvo il quarto motivo di quello a firma dell'Avv. (OMISSIS), pongono solo questioni di fatto, non diritto. Le dedotte violazioni di legge si traducono, in realta', in un malgoverno della prova non della norma sostanziale presupponendo, le argomentazioni difensive, la diversita' del fatto descritto in sentenza rispetto a quello ritenuto dai ricorrenti. 7.2.11 quarto motivo di ricorso e' manifestamente infondato. 7.3.La Corte di cassazione ha gia' dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 452-bis c.p. per contrasto con gli articoli 25 Cost. e 7 CEDU sotto il profilo della sufficiente determinatezza della fattispecie, in quanto le espressioni utilizzate per descrivere il fatto vietato sono sufficientemente univoche, sia per quanto riguarda gli eventi che rimandano ad un fatto di danneggiamento e per i quali la specificazione che devono essere "significativi" e "misurabili" esclude che vi rientrino quelli che non incidono apprezzabilmente sul bene protetto, sia per quanto attiene all'oggetto della condotta precisamente descritto ai nn. 1) e 2) della norma incriminatrice (Sez. 3, n. 9736 del 30/01/2020, Forchetta, Rv. 278405 - 01). 7.4.Va qui ribadito, in termini generali, che non sussiste affatto il dedotto deficit di tipicita' della fattispecie penale. 7.5.In primo luogo, costituisce approdo da tempo consolidato nella giurisprudenza della Corte di cassazione che, in tema di reati ambientali, la condotta "abusiva" idonea ad integrare (non solo) il delitto di cui all'articolo 452-bis c.p. comprende non soltanto quella svolta in assenza delle prescritte autorizzazioni, o sulla base di autorizzazioni scadute o palesemente illegittime o comunque non commisurate alla tipologia di attivita' richiesta, ma anche quella posta in essere in violazione di leggi statali o regionali - ancorche' non strettamente pertinenti al settore ambientale - ovvero di prescrizioni amministrative (Sez. 3, n. 46170 del 21/09/2016, Simonelli, Rv. 268060-01; Sez. 3, n. 15865 del 31/01/2017, Rizzo, Rv. 269491 - 01; Sez. 3, n. 28732 del 27/04/2018, Melillo, Rv. 273565 - 01). La natura abusiva, peraltro, qualifica la condotta costituendone una modalita' tipica che restringe la portata del precetto penale, limitando la rilevanza penale della compromissione e del deterioramento (evento del reato) ai soli casi in cui, appunto, la condotta causante sia "abusiva". Come gia' spiegato in motivazione da Sez. 3, Simonelli, "(p)are dunque opportuno ricordare, in relazione al requisito dell'abusivita' della condotta (richiesto anche da altre disposizioni penali), che con riferimento al delitto di attivita' organizzate per il traffico illecito di rifiuti, originariamente sanzionato dall'articolo 53-bis del Decreto Legislativo n. 22 del 1997 ed, attualmente, dall'articolo 260 del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, si e' recentemente ricordato (Sez. 3, n. 21030 del 10/3/2015, Furfaro ed altri, non massimata) che sussiste il carattere abusivo dell'attivita' organizzata di gestione dei rifiuti - idoneo ad integrare il delitto - qualora essa si svolga continuativamente nell'inosservanza delle prescrizioni delle autorizzazioni, il che si verifica non solo allorche' tali autorizzazioni manchino del tutto (cosiddetta attivita' clandestina), ma anche quando esse siano scadute o palesemente illegittime e comunque non commisurate al tipo di rifiuti ricevuti, aventi diversa natura rispetto a quelli autorizzati. La sentenza, nella quale vengono escluse violazioni dei principi costituzionali rispetto ad eventuali incertezze interpretative connesse, tra l'altro, alla portata del termine "abusivamente", segue ad altre, in parte citate, nelle quali si e' giunti alle medesime conclusioni (Sez. 3, n. 18669 del 8/1/2015, Gattuso, non massimata; Sez. 3, n. 44449 del 15/10/2013, Ghidoli, Rv. 258326; Sez. 3, n. 19018 del 20/12/2012 (dep. 2013), Accarino e altri, Rv. 255395; Sez. 3, n. 46189 del 14/7/2011, Passariello e altri, Rv. 251592; Sez. 3 n. 40845 del 23/9/2010, Del Prete ed altri, non massimata ed altre prec. conf.). Tali principi sono senz'altro utilizzabili anche in relazione al delitto in esame, rispetto al quale deve peraltro rilevarsi come la dottrina abbia, con argomentazioni pienamente condivisibili, richiamato i contenuti della direttiva 2008/99/CE e riconosciuto un concetto ampio di condotta "abusiva", comprensivo non soltanto di quella posta in essere in violazione di leggi statali o regionali, ancorche' non strettamente pertinenti al settore ambientale, ma anche di prescrizioni amministrative". 7.6.E' utile ricordare che la citata Sez. 3, Furfaro, nel dichiarare la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'allora articolo 53-bis, Decreto Legislativo n. 22 del 1997 (oggi articolo 452-quaterdecies c.p.), questione posta in relazione sia all'indeterminatezza del concetto di "ingente quantita' di rifiuti" che a quello della natura abusiva della condotta, si era posta nel solco di altre pronunce che, con riferimento al concetto di "ingente quantita'", erano pervenute al medesimo risultato (Sez. 3, n. 358 del 20/11/2007, dep. 2008, Putrone, Rv. 238558 - 01; Sez. 3, n. 47918 del 12/11/2003, Rosafio). Con riferimento, invece, alla "abusivita'" della condotta, Sez. 3, Furfaro, ricordava che "(n)emmeno appaiono prospettabili violazioni dei principi costituzionali in relazione alle dedotte incertezze interpretative connesse alla portata del termine "abusivamente", o alle attivita' continuative e organizzate, o in ordine all'elemento soggettivo del reato. Si tratta di questioni sulle quali questa Corte ha oramai assunto un indirizzo sostanzialmente univoco nell'ambito della ordinaria funzione interpretativa. In merito al requisito della abusivita' della condotta, l'interpretazione prevalente ritiene che sussiste il carattere abusivo dell'attivita' organizzata di gestione dei rifiuti - idoneo ad integrare il delitto qualora essa si svolga continuativamente nell'inosservanza delle prescrizioni delle autorizzazioni, il che si verifica non solo allorche' tali autorizzazioni manchino del tutto (cosiddetta attivita' clandestina), ma anche quando esse siano scadute o palesemente illegittime e comunque non commisurate al tipo di rifiuti ricevuti, aventi diversa natura rispetto a quelli autorizzati. Piu' recentemente, si e' affermato che "In tema di traffico illecito di rifiuti, il requisito dell'abusivita' della gestione deve essere interpretato in stretta connessione con gli altri elementi tipici della fattispecie, quali la reiterazione della condotta illecita e il dolo specifico d'ingiusto profitto. Ne consegue che la mancanza delle autorizzazioni non costituisce requisito determinante per la configurazione del delitto che, da un lato, puo' sussistere anche quando la concreta gestione dei rifiuti risulti totalmente difforme dall'attivita' autorizzata; dall'altro, puo' risultare insussistente, quando la carenza dell'autorizzazione assuma rilievo puramente formale e non sia causalmente collegata agli altri elementi costitutivi del traffico" (Sez. 3, 15.10.2013, n. 44449, Ghidoli, Rv. 258326)". 7.7.Non e' dunque affatto vero che il legislatore, con il termine "abusivamente", ha inteso "colpire e sanzionare solo attivita' e volonta' specificamente dissimulate ovvero condotte volutamente in occulto" (cosi' nel ricorso, ove si sottolinea che nel caso in esame manca qualsiasi profilo di occultamento della condotta). E' piuttosto vero che il legislatore ha attinto al diritto vivente assegnando al termine in questione il significato che da lungo tempo la giurisprudenza di legittimita' gli aveva gia' attribuito, si' da non determinare alcuna frizione con il principio di tassativita' e determinatezza della fattispecie. Ne' si comprende (anche sotto il profilo della rilevanza della questione) in che modo l'ampliamento del concetto di "abusivamente" all'interpretazione preesistente al delitto di nuova fattura possa determinare problemi di coordinamento con l'articolo 257, Decreto Legislativo n. 152 del 2006. 7.8.Quanto ai concetti di "compromissione" e "deterioramento", essi consistono in un'alterazione, significativa e misurabile, della originaria consistenza della matrice ambientale o dell'ecosistema, caratterizzata, nel caso della "compromissione", da una condizione di squilibrio funzionale, incidente sui processi naturali correlati alla specificita' della matrice o dell'ecosistema medesimi e, nel caso del "deterioramento", da una condizione di squilibrio "strutturale", connesso al decadimento dello stato o della qualita' degli stessi. (Sez. 3, n. 46170 del 2016, Simonelli, cit.). 7.9.Al riguardo, escluso, in particolare, ogni accostamento alle corrispondenti definizioni di "inquinamento ambientale" e di "deterioramento significativo e misurabile" fornite dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006 ad uso e consumo esclusivo delle norme in detto Testo Unico contenute, Sez. 3, Simonelli, ha spiegato che "l'indicazione dei due termini con la congiunzione disgiuntiva "o" svolge una funzione di collegamento (tra di essi) - autonomamente considerati dal legislatore, in alternativa tra loro - poiche' indicano fenomeni sostanzialmente equivalenti negli effetti, in quanto si risolvono entrambi in una alterazione, ossia in una modifica dell'originaria consistenza della matrice ambientale dell'ecosistema caratterizzata, nel caso della "compromissione", in una condizione di rischio o pericolo che potrebbe definirsi di "squilibrio funzionale", perche' incidente sui normali processi naturali correlati alla specificita' della matrice ambientale o dell'ecosistema ed, in quello del deterioramento, come "squilibrio strutturale", caratterizzato da un decadimento di stato o di qualita' di questi ultimi. Da cio' consegue che non assume rilievo l'eventuale reversibilita' del fenomeno inquinante, se non come uno degli elementi di distinzione tra il delitto in esame e quello, piu' severamente punito, del disastro ambientale di cui all'articolo 452-quater c.p. ". 7.10.Deterioramento e compromissione sono concetti diversi dalla "distruzione"; non equivalgono, in ultima analisi, a "una condizione di "tendenziale irrimediabilita'" che (...) la norma non prevede". 7.11.Quanto alla natura "significativa" e "misurabile" che qualifica il deterioramento ovvero la compromissione, la sentenza ha ulteriormente precisato che, ferma la loro funzione selettiva di condotte di maggior rilievo, "il termine "significativo" denota senz'altro incisivita' e rilevanza, mentre "misurabile" puo' dirsi cio' che e' quantitativamente apprezzabile o, comunque, oggettivamente rilevabile. L'assenza di espliciti riferimenti a limiti imposti da specifiche disposizioni o a particolari metodiche di analisi consente di escludere l'esistenza di un vincolo assoluto per l'interprete correlato a parametri imposti dalla disciplina di settore, il cui superamento, come e' stato da piu' parti gia' osservato, non implica necessariamente una situazione di danno o di pericolo per l'ambiente, potendosi peraltro presentare casi in cui, pur in assenza di limiti imposti normativamente, tale situazione sia di macroscopica evidenza o, comunque, concretamente accertabile. Ovviamente, tali parametri rappresentano comunque un utile riferimento nel caso in cui possono fornire, considerando lo scostamento tra gli standard prefissati e la sua ripetitivita', un elemento concreto di giudizio circa il fatto che la compromissione o il deterioramento causati siano effettivamente significativi come richiesto dalla legge mentre tale condizione, ovviamente, non puo' farsi automaticamente derivare dal mero superamento dei limiti". 7.12.Si deve qui precisare che il reato in questione e' senza alcun dubbio un reato di danno, causalmente orientato. 7.13.Pur se non irreversibile, il deterioramento o la compromissione evocano l'idea di un risultato raggiunto, di una condotta che ha prodotto il suo effetto dannoso. Da questo punto di vista il deterioramento e la compromissione (quest'ultima intesa come rendere una cosa, in tutto o in parte, inservibile) costituiscono per il legislatore penale evento tipico del delitto di danneggiamento e, in quanto tale, l'idea del "danno" (ancorche' non irreversibile) e' a loro connaturale. 7.14.11 deterioramento, in particolare, e' configurabile quando la cosa che ne costituisce oggetto sia ridotta in uno stato tale da rendere necessaria, per il ripristino, una attivita' non agevole (Sez. 2, n. 20930 del 22/02/2012, Di Leo, Rv. 252823) ovvero quando la condotta produce una modificazione della cosa altrui che ne diminuisce in modo apprezzabile il valore o ne impedisce anche parzialmente l'uso, cosi' dando luogo alla necessita' di un intervento ripristinatorio dell'essenza e della funzionalita' della cosa stessa (Sez. 2, n. 28793 del 16/06/2005, Cazzulo, Rv. 232006; Sez. 5, n. 38574 del 21/05/2014, Ellero, Rv. 262220). 7.15.Non a caso la giurisprudenza di questa Corte, maturata sin da epoca antecedente alla L. n. 319 del 1976 (cd. legge "Merli", la prima che introdusse una disciplina organica e penalmente sanzionata in materia di scarichi di acque reflue), aveva gia' ampiamente attinto al reato di cui all'articolo 635, c.p., per attrarre alla sua fattispecie quei casi in cui un corso d'acqua fosse durevolmente deteriorato in modo da ridurne l'utilizzazione in conformita' alla sua destinazione (cosi' Sez. 2, n. 12383 del 28/04/1975, Fratini, Rv. 131583, in un caso di scarichi industriali apportatori di intorbidamento delle acque del fiume (OMISSIS), di distruzione di microrganismi, quali microflora e microfauna, plancton animale e vegetale, di alterazione morfologica e termica e di fenomeni analoghi; nello stesso senso Sez. 2, n. 5802 del 15/11/1979, Frigerio, Rv. 145222 in un caso di inquinamento del fiume (OMISSIS); Sez. 6, n. 8465 del 21/06/1985, Puccini, in ipotesi di inquinamento del fiume (OMISSIS) determinato dalla disattivazione del depuratore; di rilievo il principio affermato da Sez. 2, n. 7201 del 16/01/1984, Corsini, Rv. 165490, secondo cui l'articolo 26 della L. 10 maggio 1976 n. 319 aveva abrogato soltanto le norme che puniscono l'inquinamento collegabile direttamente o indirettamente agli scarichi ma detta abrogazione non si estendeva alle norme che puniscono il danneggiamento che, pur tutelando anche le acque dall'inquinamento, hanno una diversa e piu' ampia oggettivita' giuridica). Sulla scia di tale indirizzo giurisprudenziale, piu' recentemente, Sez. 4, n. 9343 del 21/10/2010, Valentini, Rv. 249808, in un caso di illecito smaltimento di rifiuti di una discarica in un fiume, che ne aveva cagionato il deterioramento, rendendolo per lungo tempo inidoneo all'irrigazione dei campi ed all'abbeveraggio degli animali, ha ribadito che si ha "deterioramento", che integra il reato di danneggiamento, tutte le volte in cui una cosa venga resa inservibile, anche solo temporaneamente, all'uso cui e' destinata, non rilevando, ai fini dell'integrazione della fattispecie, la possibilita' di reversione del danno, anche se tale reversione avvenga non per opera dell'uomo, ma per la capacita' della cosa di riacquistare la sua funzionalita' nel tempo (cfr. altresi', Sez. 3, n. 15460 del 10/02/2016, Ingegneri, Rv. 267823 che, sul principio per il quale ai fini della configurabilita' del reato di danneggiamento mediante deterioramento e' necessario che la capacita' della cosa di soddisfare i bisogni umani o l'idoneita' della stessa di rispettare la sua naturale destinazione risulti ridotta, con compromissione della relativa funzionalita', ha ritenuto integrato il reato a seguito dell'intorbidamento delle acque e dell'alterazione delle correnti marine determinato dallo sversamento di sabbia, quale conseguenza della realizzazione di un'isola artificiale). 7.16.La compromissione, termine, come visto, indifferentemente utilizzato nel linguaggio giuridico per descrivere un modo di essere o di manifestarsi del deterioramento stesso, coglie del danno non la sua maggiore o minore gravita' bensi' l'aspetto funzionale perche' evoca un concetto di relazione tra l'uomo e i bisogni o gli interessi che la cosa deve soddisfare; deterioramento e compromissione sono le due facce della medesima medaglia, sicche' e' evidente che (âEuroËœendiadi utilizzata dal legislatore intende coprire ogni possibile forma di "danneggiamento" - strutturale ovvero funzionale - delle acque, dell'aria, del suolo o del sottosuolo. 7.17.11 fatto che ai fini del reato di "inquinamento ambientale" non e' richiesta la tendenziale irreversibilita' del danno comporta che fin quando tale irreversibilita' non si verifica le condotte poste in essere successivamente all'iniziale deterioramento o compromissione non costituiscono "post factum" non punibile (nel senso che "le plurime immissioni di sostanze inquinanti nei corsi d'acqua, successive alla prima, non un post factum penalmente irrilevante, ne' singole ed autonome azioni costituenti altrettanti reati di danneggiamento, bensi' singoli atti di un'unica azione lesiva che spostano in avanti la cessazione della consumazione", Sez. 4, n. 9343 del 2010, cit.). 7.18.E' dunque possibile deteriorare e compromettere quel che lo e' gia', fino a quando la compromissione o il deterioramento diventano irreversibili o comportano una delle conseguenze tipiche previste dal successivo articolo 452-quater, c.p.; non esistono zone franche intermedie tra i due reati. 7.19.1 ricorrenti sollecitano l'attenzione sulla tenuta costituzionale, sul piano del rispetto dei principi di tassativita' e determinatezza della fattispecie, della qualificazione come "significativo" e "misurabile" dell'evento dal quale la legge fa dipendere l'esistenza del reato di cui all'articolo 452-bis c.p. Non e' sufficiente, ai fini della sussistenza del delitto di inquinamento ambientale, che l'autore cagioni uno dei due eventi alternativamente previsti: e' altresi' necessario che tale evento sia "significativo" e "misurabile". Premesso che il requisito della "misurabilita'" della compromissione o del danneggiamento assolve alla funzione di attribuire al fatto una dimensione oggettiva (misurabile, appunto), quello di "significativita'" intende escludere dall'area della penale rilevanza gli eventi "non significativi", quelli, cioe', che hanno determinato si' una compromissione o un deterioramento (ancorche' misurabili) di una delle matrici ambientali di cui all'articolo 452-bis c.p. ma non in modo certo, evidente, chiaro. "Significativo" e' sinonimo, secondo la lingua italiana, di considerevole, importante, non indifferente, notevole, ragguardevole, rilevante, ed e' il contrario di insignificante, irrilevante, irrisorio, minimo, trascurabile. In questo senso, la "significativita'" dell'evento delittuoso (al pari della sua "misurabilita'") proietta il fatto in una dimensione oggettiva certa, indiscutibile, verificabile e misurabile (appunto) oltre ogni ragionevole dubbio, che colloca la condotta dell'inquinamento ambientale nell'area intermedia che va dalla irrilevanza del danno alle dimensioni descritte dall'articolo 452-quater c.p.. 7.20.La funzione assolta dai concetti di significativita' e misurabilita' e' quella dunque di elevare il grado di offensivita' dell'evento delittuoso, espungendo dall'area della penale rilevanza quelli che tali non sono o che non lo sono in modo "considerevole, importante, non indifferente, notevole, ragguardevole, rilevante". Eliminare il requisito della significativita' e misurabilita' dell'evento determinerebbe l'allargamento dell'ambito di applicabilita' della fattispecie penale anche a condotte che producono un danneggiamento o una compromissione insignificante, irrilevante, irrisoria, minima, trascurabile, privandola proprio di quel requisito di maggiore offensivita' che giustifica una sanzione certamente non lieve. 7.21.L'invocata pronuncia di incostituzionalita' della norma in parte qua determinerebbe, paradossalmente, un effetto peggiorativo non ammesso dal Giudice delle leggi. 7.22.La questione posta e' percio' irrilevante (oltre che, come detto, manifestamente infondata). Premesso che, come detto, i ricorsi sono inammissibili perche' deducono questioni di fatto, la significativa e misurabile compromissione del suolo e del sottosuolo (non delle falde acquifere) cagionata dalla condotta degli imputati e' questione assodata, che non puo' essere rimessa in discussione, essendo derivata dalla abusiva movimentazione di 198.000 metri cubi di rifiuti. Il ricorso di (OMISSIS) s.r.l. 8.A non diversi rilievi si espone il ricorso della societa' che si avvale anch'esso, in ogni suo aspetto, di continui riferimenti al materiale probatorio del quale non viene nemmeno dedotto il travisamento (e di certo non nei corretti termini sopra evidenziati). 9.Alla declaratoria di inammissibilita' dei ricorsi consegue, ex articolo 616 c.p.p., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a c:olpa dei ricorrenti (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonche' del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 3.000,00 ciascuno. Segue la condanna dei ricorrenti, persone fisiche, al pagamento delle spese processuali sostenute nel grado dalla parte civile "(OMISSIS) S.p.a.", liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Condanna inoltre gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel grado dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 3.686,00, oltre accessori di legge.

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