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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2867 del 2024, proposto dal Ministero della Salute, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia in Roma, via dei (...), contro il dott. Fr. Za., rappresentato e difeso dall'avvocato El. Er., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, nei confronti della Regione Campania, in persona del Presidente della G.R. pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ro. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Terza, n. 14777/2023, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del dott. Fr. Za. e della Regione Campania; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 settembre 2024 il Cons. Ezio Fedullo e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1. Con la sentenza n. 14777 del 5 ottobre 2023, il T.A.R. per il Lazio si è pronunciato sul ricorso n. 4604/2022, proposto dal dott. Fr. Za. - medico abilitato all'esercizio della professione ed ammesso con borsa di studio al primo anno del corso di formazione specifica in Medicina Generale bandito dalla Regione Campania per il triennio 2021/2024 - avverso, tra l'altro, il bando per l'ammissione al suddetto corso, nella parte in cui precludeva ai corsisti l'esercizio di attività libero professionale benché compatibile in concreto con gli obblighi formativi. 1.1. Il T.A.R., respinta preliminarmente l'eccezione di irricevibilità del ricorso formulata dalla Regione Campania, l'ha accolto ravvisando la fondatezza - come già ritenuto con la sentenza del medesimo organo di giustizia 28 maggio 2022, n. 438, ed alla luce dell'"orientamento largamente maggioritario della giurisprudenza amministrativa sulla problematica in esame" - della censura intesa a sostenere, sul presupposto che "nel nostro ordinamento giuridico le cause di incompatibilità costituiscono un'eccezione alla generale libertà di iniziativa economica e di esercizio di attività lavorativa", l'esigenza di procedere "ad un'interpretazione delle disposizioni in questione costituzionalmente orientata, diretta ad affermare che le stesse non precludono la possibilità che il ricorrente possa proseguire il corso e ricevere una remunerazione adeguata tramite l'esercizio di attività libero professionale, qualora tale attività sia in concreto compatibile con l'assolvimento degli obblighi formativi previsti dal Corso in questione": ciò sulla scorta dell'"esame dalla specifica normativa di riferimento, che ha portato alla conclusione circa l'inesistenza di alcuna disposizione che espressamente estenda le cause di incompatibilità di cui all'art. 11 del D.M. 7/3/2006 agli specializzandi ammessi in base all'art. 12, comma 3, D.L. n. 35 del 2019, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 60 del 2019" (cd. decreto Calabria). 1.2. Ha altresì evidenziato il T.A.R. che "il prefato indirizzo giurisprudenziale ha evidenziato che, in relazione ai generali criteri cronologico e di specialità, con il Decreto Calabria il Legislatore ha previsto, in forza di una fonte di rango primario successiva rispetto al D.M. 7.3.2006, un'ulteriore differente categoria di medici ammessi al corso, che presenta evidenti e peculiari profili di specialità ", "individuati dalla giurisprudenza amministrativa sia nel carattere eccezionale dell'ammissione al Corso di cui al Decreto Calabria, quale diretta a sopperire alle croniche carenze di medici di Medicina Generale, sia nel fatto che i medici sono ammessi in soprannumero e in base alla redazione di una graduatoria separata. Per essere ammessi al Corso è infine necessario che i medici abbiano già avviato e svolto un'attività professionale per un periodo di almeno 24 mesi". 1.3. Ha quindi osservato il T.A.R. che "dall'esame della relativa disciplina di settore, a partire dalla L. n. 401 del 2000 e successive disposizioni, non emerge che vi sia assoluta inconciliabilità tra la partecipazione al corso e lo svolgimento di ulteriori attività lavorative, qualora queste siano in concreto compatibili con l'adempimento degli obblighi formativi previsti", aggiungendo che siffatto accertamento "l'Amministrazione avrebbe dovuto effettuare in concreto sulla base delle date, degli orari e dei turni previsti dai rispettivi impegni, valutando se la stessa possa incidere sulla frequenza obbligatoria a tempo pieno, sul regolare andamento didattico del corso e sul numero di assenze consentite". In proposito, il T.A.R. ha richiamato l'affermazione giurisprudenziale secondo cui "l'incompatibilità dovrà essere sempre vagliata caso per caso in ragione delle diverse modalità di svolgimento del corso e dell'attività libero professionale onde non è possibile stabilire a priori una rigida incompatibilità tra il corso e l'attività libero professionale" (TAR Liguria, sent. 237/2017) visto che "la ratio dell'incompatibilità, come prevista dal bando, risiede nell'esigenza di preservare e di garantire il perseguimento degli obiettivi didattici del corso e di evitare che il corsista possa assumere incarichi che interferiscano e pregiudichino l'obbligo di garantire la frequenza del corso... inducendola a porre in essere un numero di assenze superiore al consentito, intralciando il raggiungimento degli obiettivi didattici e formativi perseguiti...". 1.4. Né, ha concluso il T.A.R., potrebbe sostenersi che "il discrimen sia la percezione della borsa, posto che, come affermato da entrambe le parti ciò che si vuole tutelare è il rispetto della frequentazione del corso a tempo pieno", in ordine al quale si rende "necessaria una verifica in concreto". 1.5. Quindi, il T.A.R. ha accolto il ricorso, annullando i provvedimenti impugnati e sancendo "il diritto dell'interessato di concludere il proprio percorso formativo e di specializzazione proseguendo nelle proprie attività lavorative, previa verifica della loro concreta compatibilità con la frequenza del corso". 2. La sentenza costituisce oggetto della domanda di riforma proposta, con l'appello in esame, dal Ministero della Salute. 2.1. Il Ministero appellante, mediante i formulati motivi di appello, premesso che il ricorrente è stato ammesso al corso ordinario di formazione, percependo quindi una borsa di studio - a differenza dei corsisti ammessi in sovrannumero ai sensi dell'art. 12, comma 3, d.l. n. 35 del 30 aprile 2019, convertito in legge n. 60 del 25 giugno 2019 (c.d. Decreto Calabria), per i quali si è formato il richiamato orientamento giurisprudenziale - e che il suo interesse all'impugnativa scaturisce dal fatto che nel fuoco del ricorso introduttivo ricade anche il d.m. 7 marzo 2006, emanato in attuazione dell'art. 25, comma 2, d.lvo 17 agosto 1999, n. 368, in base al quale le Regioni e le Province autonome emanano ogni anno i bandi di concorso per l'ammissione al corso di formazione specifica in medicina generale in conformità ai principi fondamentali definiti dal Ministero della Salute per la disciplina unitaria del sistema, deduce in primo luogo che, in relazione al concetto di formazione a tempo pieno, l'art. 24, comma 2, d.lvo cit. (che ha recepito la direttiva comunitaria 93/16/CEE) prevede che il corso di formazione specifica in medicina generale "comporta un impegno dei partecipanti a tempo pieno con obbligo della frequenza alle attività didattiche teoriche e pratiche, da svolgersi sotto il controllo delle regioni e province autonome e degli enti competenti...", mentre il successivo comma 3, testualmente recependo la definizione di tempo pieno prevista nell'Allegato 1 della direttiva 93/16/CEE, chiarisce che "La formazione a tempo pieno, implica la partecipazione alla totalità delle attività mediche del servizio nel quale si effettua la formazione, comprese le guardie, in modo che il medico in formazione dedichi a tale formazione pratica e teorica tutta la sua attività professionale per l'intera durata della normale settimana lavorativa e per tutta la durata dell'anno...". 2.2. Espone altresì il Ministero appellante che l'art. 11 d.m. 7 marzo 2006, recante come si è detto i "Principi fondamentali per la disciplina unitaria in materia di formazione specifica in medicina generale", ha disciplinato nel dettaglio la formazione a tempo pieno, ricalcando le definizioni recate dalle disposizioni normative nazionali ed euro-unitarie sopra richiamate, prevedendo testualmente che: "1. Il corso è strutturato a tempo pieno. La formazione a tempo pieno implica la partecipazione alla totalità delle attività mediche del servizio nel quale si effettua la formazione, comprese le guardie, in modo che il medico in formazione dedichi a tale formazione pratica e teorica tutta la sua attività professionale per l'intera durata della normale settimana lavorativa e per tutta la durata dell'anno. Conseguentemente, è inibito al medico in formazione l'esercizio di attività libero-professionali ed ogni rapporto convenzionale, precario o di consulenza con il Servizio sanitario nazionale o enti e istituzioni pubbliche o private, anche di carattere saltuario o temporaneo. Durante la frequenza del corso è, altresì, esclusa la contemporanea iscrizione o frequenza a corsi di specializzazione o dottorati di ricerca, anche qualora si consegua tale stato successivamente all'inizio del corso di formazione specifica in medicina generale. A tal fine e prima dell'inizio dei corsi di formazione, le regioni o province autonome provvedono a far sottoscrivere a tutti i tirocinanti dichiarazioni sostitutive di atto notorio ai sensi della legge 4 gennaio 1968, n. 15, e successive modificazioni, attestanti la non sussistenza di cause di incompatibilità ovvero dichiarazioni di rinuncia ai suddetti rapporti incompatibili. 2. Ai sensi dell'art. 19, comma 11, della legge n. 448 del 28 dicembre 2001, ai medici in formazione sono consentite - unicamente nei casi di accertata carente disponibilità dei medici già iscritti nei relativi elenchi regionali per la medicina convenzionata e purché compatibili con lo svolgimento dei corsi stessi - le sostituzioni a tempo determinato di medici di medicina generale convenzionati con il Servizio sanitario nazionale, nonché le sostituzioni per le guardie mediche notturne, festive e turistiche. Nel conferimento dei suddetti incarichi, è fatto onere alle regioni ed alle province autonome di verificare preventivamente l'effettiva sussistenza dello stato di carenza. 3. Nell'ipotesi di sostituzione del medico di medicina generale convenzionato con il Servizio sanitario nazionale, non è consentita la sostituzione del proprio tutor. 4. Il carattere eccezionale della deroga di cui al citato art. 19, comma 11, legge n. 448/2001 esclude la possibilità di estendere la stessa ad altri rapporti di lavoro di tipo convenzionali. In presenza di accertata incompatibilità ne consegue l'espulsione del medico tirocinante dal corso...". 2.3. Deduce altresì il Ministero appellante che il citato art. 11 d.m. 7 marzo 2006, in attuazione dell'art. 25, comma 2, d.lvo n. 368/1999, si ricollega appunto al concetto di tempo pieno riportato dapprima nell'art. 31, comma 1, lettera b) della direttiva comunitaria 93/16/CEE ("La formazione specifica in medicina generale di cui all'articolo 30 deve soddisfare almeno le seguenti condizioni...b) avere una durata di almeno tre anni a tempo pieno e svolgersi sotto il controllo delle autorità o degli enti competenti"), confermato dall'art. 14, comma 13, della direttiva 2001/19/CE (secondo cui la precedente Direttiva, all'art. 31, paragrafo 1, la lettera b), è sostituita dal testo seguente: "b) avere una durata di almeno tre anni a tempo pieno e svolgersi sotto il controllo delle autorità o degli enti competenti") ed ulteriormente ribadito dall'art. 28 della direttiva 2005/36/CE (comma 2, secondo cui "La formazione specifica in medicina generale che fa conseguire titoli di formazione rilasciati entro il 1° gennaio 2006 dura almeno due anni a tempo pieno. Per i titoli di formazione rilasciati dopo tale data, dura almeno tre anni a tempo pieno", e comma 3, secondo cui "La formazione specifica in medicina generale avviene a tempo pieno sotto il controllo delle autorità od organi competenti ed è di natura più pratica che teorica"). 2.4. Dalle richiamate disposizioni europee e nazionali il Ministero appellante desume quindi che il concetto di formazione a tempo pieno comporta la totale inibizione di qualsiasi attività professionale, potendosi ammettere come deroghe a tale principio esclusivamente quelle tassativamente previste dalla legge, come quelle di cui: - all'art. 19, comma 11, l. n. 448/2001, secondo cui "I laureati in medicina e chirurgia abilitati, anche durante la loro iscrizione ai corsi di specializzazione o ai corsi di formazione specifica in medicina generale, possono sostituire a tempo determinato medici di medicina generale convenzionati con il Servizio sanitario nazionale ed essere iscritti negli elenchi della guardia medica notturna e festiva e della guardia medica turistica ma occupati solo in caso di carente disponibilità di medici già iscritti negli elenchi della guardia medica notturna e festiva e della guardia medica turistica"; - all'art. 9 d.l. n. 135/2018, convertito con modificazioni in l. n. 12/2019, ai sensi del quale (comma 1) "Fino al 31 dicembre 2024, in relazione alla contingente carenza dei medici di medicina generale, nelle more di una revisione complessiva del relativo sistema di formazione specifica i laureati in medicina e chirurgia abilitati all'esercizio professionale, iscritti al corso di formazione specifica in medicina generale, possono partecipare all'assegnazione degli incarichi convenzionali, rimessi all'accordo collettivo nazionale nell'ambito della disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale. La loro assegnazione è in ogni caso subordinata rispetto a quella dei medici in possesso del relativo diploma e agli altri medici aventi, a qualsiasi titolo, diritto all'inserimento nella graduatoria regionale, in forza di altra disposizione"; - all'art. 4 d.l. n. 14 del 9 marzo 2020 e agli artt. 2- quinquies, comma 3, e 4-bis d.l. n. 18 del 17 marzo 2020, convertito con modificazioni dalla legge n. 27 del 24 aprile 2020, al fine di fronteggiare le sopravvenute esigenze derivanti dall'emergenza in corso; - all'art. 3 l. n. 401 del 29 dicembre 2000, ai sensi del quale "I laureati in medicina e chirurgia iscritti al corso universitario di laurea prima del 31 dicembre 1991 ed abilitati all'esercizio professionale sono ammessi a domanda in soprannumero ai corsi di formazione specifica in medicina generale di cui al decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 256. I medici ammessi in soprannumero non hanno diritto alla borsa di studio e possono svolgere attività libero-professionale compatibile con gli obblighi formativi"; - all'art. 12, comma 2, d.l. n. 35/2019, convertito dalla l. n. 60/2019 (c.d. Decreto Calabria), secondo cui "Fino al 31 dicembre 2021 i laureati in medicina e chirurgia abilitati all'esercizio professionale e già risultati idonei al concorso per l'ammissione al corso triennale di formazione specifica in medicina generale, che siano stati incaricati, nell'ambito delle funzioni convenzionali previste dall'accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale per almeno ventiquattro mesi, anche non continuativi, dei dieci anni antecedenti alla data di scadenza della presentazione della domanda di partecipazione al concorso per l'accesso al corso di formazione specifica in medicina generale, accedono al predetto corso tramite graduatoria riservata, senza borsa di studio" (il termine è stato poi prorogato al 31 dicembre 2022 dall'art. 1, comma 426, l. n. 178/2020). 2.5. Ha quindi dedotto la parte appellante che dal richiamato contesto normativo si evince che le eccezioni al principio di incompatibilità sono state introdotte per far fronte a situazioni straordinarie o emergenziali e, soprattutto, con carattere di temporaneità e delimitandone l'ambito oggettivo, con la conseguenza che le stesse sono insuscettibili di estensione analogica. 2.6. Essa richiama quindi le sentenze di questa Sezione n. 1107 del 31 gennaio 2023 e n. 5226 del 20 maggio 2023, laddove in particolare rilevano che il carattere derogatorio delle citate disposizioni rafforza la portata generale del principio dell'incompatibilità, sì che le stesse non possono trovare interpretazione estensiva. 2.7. Quanto all'attività di verifica in concreto ipotizzata dal T.A.R. ai fini dell'ammissione al corso, deduce la parte appellante che essa, oltre a non essere dovuta, pena la stessa elusione della ratio del divieto ex lege previsto, non sarebbe comunque utilmente esigibile. Se infatti, da un lato, la ratio del divieto è quella di concentrare tutta l'attività professionale del medico "per l'intera durata della normale settimana lavorativa e per tutta la durata dell'anno", dall'altro lato, le indagini richieste, come evidenziato con le sentenze citate, "si rivelerebbero di difficile conduzione ed esito incerto". 2.8. Infine, lamenta la parte appellante che il T.A.R. ha errato anche laddove non ha conferito rilievo al carattere straordinario ed emergenziale della previsione di cui al già richiamato art. 12, comma 3, del c.d. Decreto Calabria e non ha considerato che la deroga al principio dell'incompatibilità da esso prevista si giustifica proprio in ragione del fatto che i medici ammessi in sovrannumero non usufruiscono della borsa di studio. 3. A sostegno della domanda di riforma proposta dal Ministero appellante si è costituita in giudizio, con memoria di stile, la Regione Campania, mentre per resistere alla stessa si è costituito l'originario ricorrente. 3.1. Questi, oltre ad eccepire l'inammissibilità dell'appello - in quanto carente delle specifiche censure mosse alla sentenza appellata richieste dall'art. 101, comma 1, c.p.a. e perché non avente a suo fondamento un interesse concreto e attuale, in quanto dichiaratamente funzionale ad evitare il formarsi di un orientamento favorevole che possa portare alla proposizione in futuro di nuovi ricorsi del medesimo tenore - pone l'accento, al fine di avvalorare il ragionamento che compendia il contenuto motivazionale della sentenza appellata, sui profili argomentativi di seguito sintetizzati: - in base all'attuale bando e alla normativa vigente, i corsisti di medicina generale - con borsa o senza borsa - possono assumere incarichi convenzionali durante il corso, ma irragionevolmente e immotivatamente dovrebbero rinunciare a esercitare attività di libera professione, anche qualora l'impegno orario sia ben inferiore a quello di un incarico convenzionale (24 ore settimanali); - il divieto de quo è stato introdotto in un contesto normativo ormai superato, in quanto il d.m. 7 marzo 2006, che lo prevede, nasceva in un momento storico in cui gli incarichi convenzionali erano del tutto vietati; - dalla giurisprudenza prevalente si evince il principio secondo cui anche nel caso dei borsisti l'incompatibilità con la libera professione non può essere assoluta ma va vagliata in concreto; - anche per i corsisti di cui al cd. Decreto Calabria, che non percepiscono la borsa di studio, la libera professione era vietata - prima che si formasse il granitico orientamento che ha sancito nei loro confronti l'inapplicabilità del divieto - in ragione della stessa disposizione (art. 11 d.m. 7 marzo 2006) sulla base della quale vige formalmente l'incompatibilità per i borsisti; - l'incompatibilità è posta a tutela della frequenza del corso e questa deve essere garantita da tutti, soprannumerari e borsisti, allo stesso modo, per cui il principio della compatibilità in concreto, affermato dalla giurisprudenza per i medici ammessi senza borsa, deve valere anche per gli altri corsisti; - a tale conclusione è pervenuta recentemente la stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 112/2023, chiarendo che "è dunque nell'obiettivo della qualità della formazione - e non nella regola strumentale che indica nella frequenza a tempo pieno la formula organizzativa più idonea a conseguirla - che deve individuarsi un principio fondamentale della materia "tutela della salute""; - la disciplina delle incompatibilità, introdotta solo con l'art. 11 d.m. 7 marzo 2006, risulta palesemente in contrasto con la riserva di legge in materia di incompatibilità ; - la verifica in concreto prescritta dalla sentenza appellata non comporta alcun eccessivo aggravio per l'Amministrazione, in quanto essa già esiste e viene effettuata sulla frequenza del corso di medicina generale, che prevede attività teoriche e pratiche con presenza obbligatoria, mentre paradossalmente è proprio la norma impugnata ad obbligare la Regione a verificare se i corsisti non cadano in qualche incompatibilità anche nell'orario esterno al corso; - che la frequenza del corso "a tempo pieno" non comporti il divieto di svolgere attività lavorative risulta dalla stessa normativa, laddove già la l. n. 401/2000 permette agli specializzandi soprannumerari di esercitare libera professione durante il corso - che anche per loro è a tempo pieno - e più di recente l'art. 9, comma 1, d.l. n. 135/2018 prevede espressamente la possibilità di assumere incarichi convenzionali durante il corso, che per loro natura prevedono un impegno orario maggiore della semplice attività professionale; - il divieto esplicito per la libera professione sussiste solo per le scuole di specializzazione (cfr. art. 40 d.lvo n. 368/1999), mentre ana divieto non è previsto - se non dalla richiamata norma regolamentare, ovvero dall'art. 11 d.m. 7 marzo 2006 - per il corso di formazione specifica in medicina generale; - risulta del tutto irragionevole ritenere che l'attività svolta in regime di convenzione risulti compatibile con il corso di formazione "a tempo pieno" e non lo sia invece lo svolgimento di libera professione, con piena autonomia e flessibilità oraria, anche solo per una o due visite a settimana; - l'art. 12, comma 2, d.l. n. 34/2023, convertito nella legge n. 56 del 26 maggio 2023, nel consentire che medici in formazione specialistica svolgano attività di libera professione fuori dall'orario di formazione, ha aggiunto un'ulteriore discriminazione a danno dei corsisti di medicina generale, atteso che il corso di specializzazione è anch'esso a tempo pieno e peraltro ben più impegnativo del corso di medicina generale, con turni settimanali di 40 ore; - peraltro, negli incarichi convenzionali le ore di lavoro vengono convertite in ore di tirocinio pratico, per cui è proprio nel caso di svolgimento di tali incarichi che può essere compromessa la formazione. 4. Con l'ordinanza n. 1865 del 17 maggio 2024, la Sezione ha accolto l'istanza cautelare proposta dal Ministero appellante, con la seguente motivazione: "Considerato che in sede di discussione in camera di consiglio l'Avvocato dello Stato ha insistito per l'accoglimento dell'istanza cautelare proposta dal Ministero appellante ai fini della sospensione degli effetti della sentenza appellata; Ritenuto che l'istanza cautelare sia meritevole di accoglimento, in linea con i precedenti di questa Sezione che, avuto riguardo alla normativa nazionale e sovranazionale, ha ritenuto sussistere a carico dei medici ammessi al Corso formativo di Medicina Generale l'obbligo di esclusività della frequenza, con conseguente incompatibilità rispetto ad ogni altra attività professionale retribuita, a titolo di lavoro subordinato o di libera professione (Cons. Stato, Sez. III, 31.1.2023, n. 1107; 20.5.2023 n. 5226); sicché il carattere derogatorio di diverse disposizioni, variamente giustificate da istanze straordinarie ed emergenziali e con carattere temporaneo, rafforzano la portata generale del principio dell'incompatibilità e non possono trovare interpretazione estensiva". 5. All'esito dell'odierna udienza di discussione, quindi, il ricorso è stato trattenuto dal Collegio per la decisione di merito. 6. In via preliminare, devono esaminarsi le eccezioni di inammissibilità dell'appello formulate dalla parte resistente. 6.1. Con la prima di esse, questa, come accennato, deduce che il Ministero appellante si sarebbe limitato a riprodurre le deduzioni difensive svolte nel giudizio di primo grado, senza articolare specifiche censure nei confronti della sentenza appellata. L'eccezione non può essere accolta, atteso che l'atto di appello, al fine di porre in evidenza gli elementi di fragilità che inficiano il percorso interpretativo sul quale si regge la sentenza appellata, evidenzia - tra l'altro - che il divieto di cui all'art. 11 d.m. 7 marzo 2006 si inscrive coerentemente nel complessivo quadro normativo, di matrice nazionale ed europea, senza che la sua portata generale possa ritenersi incisa dalle disposizioni di legge che, con carattere eccezionale e transitorio, vi hanno derogato in relazione a specifiche situazioni ed in vista di particolari finalità (e ciò con particolare riguardo a quelle recate dal cd. Decreto Calabria, cui fa più ampio riferimento la sentenza gravata). 6.2. Infondata è anche l'eccezione di inammissibilità dell'appello sulla scorta della dedotta carenza in capo all'Amministrazione appellante - che evidentemente, sulla base di un mero refuso, viene dal resistente identificata nella "Regione" - di un interesse concreto ed attuale a proporlo. Invero, a prescindere dal rilievo che l'eccezione viene prevalentemente riferita alla domanda cautelare, occorre evidenziare che il Ministero appellante ha correttamente identificato il suo interesse alla presente impugnativa nel fatto che il ricorso di primo grado - e quindi, simmetricamente, la sentenza appellata - ha ad oggetto anche atti di cui esso ha la paternità, come appunto, in parte qua, il citato d.m. 7 marzo 2006: ciò che integra a sufficienza l'interesse dell'Amministrazione alla riforma della sentenza di annullamento, ai fini della conservazione di un assetto regolativo ritenuto conforme ad un corretto ed equilibrato componimento degli interessi concorrenti. 7. Venendo quindi al merito della controversia, va premesso che essa prende le mosse dalla impugnazione, quale atto immediatamente lesivo per gli interessi del ricorrente, ammesso a partecipare al primo anno del corso triennale di formazione specifica in medicina generale (2021/2024) della Regione Campania, della clausola di cui all'art. 18 ("Incompatibilità, Attività lavorativa e frequenza del corso") del relativo bando, laddove in particolare, al comma 1, prevede che "ai medici ammessi a frequentare il corso a seguito del superamento del concorso, sono applicate le incompatibilità ordinarie previste dall'art. 11 del D.M. Salute 07.03.2006, ivi comprese le eccezioni di cui all'art. 19 comma 11 della L. 448/2001, nonché successive disposizioni in merito previste dalla normativa di settore. La violazione delle disposizioni in materia di incompatibilità è causa di espulsione dal corso": il ricorrente infatti, il quale svolge l'attività libero-professionale di fisiatra presso un istituto riabilitativo, in forza del suddetto divieto si trova costretto a scegliere tra la partecipazione al corso, in vista del conseguimento del relativo diploma, e la prosecuzione della suddetta attività professionale. 8. La citata clausola della lex specialis del corso di formazione ricalca pedissequamente la richiamata previsione di cui all'art. 11, comma 1, d.m. 7 marzo 2006, a mente del quale: "Il corso è strutturato a tempo pieno. La formazione a tempo pieno implica la partecipazione alla totalità delle attività mediche del servizio nel quale si effettua la formazione, comprese le guardie, in modo che il medico in formazione dedichi a tale formazione pratica e teorica tutta la sua attività professionale per l'intera durata della normale settimana lavorativa e per tutta la durata dell'anno. Conseguentemente, è inibito al medico in formazione l'esercizio di attività libero-professionali ed ogni rapporto convenzionale, precario o di consulenza con il Servizio sanitario nazionale o enti e istituzioni pubbliche o private, anche di carattere saltuario o temporaneo. Durante la frequenza del corso è, altresì, esclusa la contemporanea iscrizione o frequenza a corsi di specializzazione o dottorati di ricerca, anche qualora si consegua tale stato successivamente all'inizio del corso di formazione specifica in medicina generale. A tal fine e prima dell'inizio dei corsi di formazione, le regioni o province autonome provvedono a far sottoscrivere a tutti i tirocinanti dichiarazioni sostitutive di atto notorio ai sensi della legge 4 gennaio 1968, n. 15, e successive modificazioni, attestanti la non sussistenza di cause di incompatibilità ovvero dichiarazioni di rinuncia ai suddetti rapporti incompatibili". 9. Va altresì evidenziato che la disposizione regolamentare citata istituisce un (ragionevole, come si dirà ) rapporto di integrazione funzionale tra il divieto per il corsista di svolgere attività libero-professionale durante la frequenza del corso e la connotazione "a tempo pieno" di quest'ultimo: rapporto che emerge non solo sul piano letterale (basti pensare all'avverbio "conseguentemente" che lega l'illustrazione dei principi organizzativi del corso e la formulazione del predetto divieto), ma anche sul piano logico-sistematico, se è vero che "la partecipazione alla totalità delle attività mediche del servizio nel quale si effettua la formazione, comprese le guardie, in modo che il medico in formazione dedichi a tale formazione pratica e teorica tutta la sua attività professionale per l'intera durata della normale settimana lavorativa e per tutta la durata dell'anno", in cui si esprime il significato della formula organizzativa del "tempo pieno", non può non implicare il divieto per il corsista di dedicare le proprie energie ed il proprio impegno ad attività ulteriori, anche se tali, da un punto di vista squisitamente temporale, da non recare intralcio alla scrupolosa osservanza dell'obbligo di frequenza: come chiarito da questa Sezione con la sentenza 10 maggio 2017, n. 2171, invero, "la ratio del divieto è (...) quella di concentrare tutta l'attività professionale del medico "per l'intera durata della normale settimana lavorativa e per tutta la durata dell'anno" e, quindi, l'impiego di non certo modeste energie psico-fisiche sulla sola ed assorbente frequenza del corso, per la durata del triennio, e delle connesse qualificanti attività formative, con obbligo di esclusività ". Poiché, quindi, la ratio del principio di esclusività trascende la mera garanzia della compatibilità "temporale" del corso e di altre eventuali attività professionali svolte dal corsista (ché, ove essa fosse a tanto limitata, sarebbe finanche superflua la sua espressa previsione, essendo sufficiente l'obbligo di frequenza e la verifica del relativo rispetto), viene meno anche il presupposto per imporre all'Amministrazione una verifica "in concreto" della conciliabilità tra l'attività libero- professionale e la partecipazione al corso: ciò senza trascurare che questa Sezione, con la sentenza n. 1107 del 31 gennaio 2023, ha affermato che "il legislatore ha introdotto un sistema (in punto di incompatibilità, n. d.e.) che non ammette deroghe (se non nei limitati casi espressamente previsti) ed esclude verifiche casistiche sull'effettivo distoglimento dall'attività formativa, tanto più che dette indagini si rivelerebbero di difficile conduzione ed esito incerto". 10. Né potrebbe sostenersi, secondo l'assunto della parte appellata, che il divieto de quo sarebbe avulso dalle previsioni recate dalla pertinente normativa di fonte primaria, incorrendo per questa ragione anche nella violazione della riserva di legge in materia di esercizio delle libere professioni, dovendo osservarsi in senso contrario che esso si limita a sviluppare - traendone le logiche conseguenze in tema di declinazione delle cause di incompatibilità - il principio di esclusività già insito nelle conferenti disposizioni di rango legislativo. L'art. 24, comma 2, del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368 ("Attuazione della direttiva 93/16/CE in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli e delle direttive 97/50/CE, 98/21/CE, 98/63/CE e 99/46/CE che modificano la direttiva 93/16/CE"), come sostituito dall'art. 9 del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 277, prevede infatti che: "Il corso...comporta un impegno dei partecipanti a tempo pieno con obbligo della frequenza alle attività didattiche teoriche e pratiche, da svolgersi sotto il controllo delle regioni e province autonome e degli enti competenti. Il corso si conclude con il rilascio di un diploma di formazione in medicina generale da parte delle regioni e delle province autonome, conforme al modello predisposto con decreto del Ministro della salute". Il successivo comma 3, ugualmente sostituito dall'art. 9 d.lvo n. 277/2003, dispone invece che: "La formazione a tempo pieno, implica la partecipazione alla totalità delle attività mediche del servizio nel quale si effettua la formazione, comprese le guardie, in modo che il medico in formazione dedichi a tale formazione pratica e teorica tutta la sua attività professionale per l'intera durata della normale settimana lavorativa e per tutta la durata dell'anno". Ebbene, dal combinato disposto delle disposizioni - regolamentari e legislative - citate, la Corte costituzionale, con la sentenza 6 giugno 2023, n. 112, ha tratto la conclusione che la modalità di svolgimento del corso a "tempo pieno" "persegue la finalità di indirizzare le energie professionali e di apprendimento dei medici iscritti al corso di medicina generale "nell'esclusivo impegno di studio, frequenza ed affinamento professionale richiesto dal corso formativo" (Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 5 dicembre 2013, n. 5784). L'esclusività dell'impegno richiesto risponde, quindi, all'esigenza di garantire un adeguato livello qualitativo della preparazione professionale dei medici di base - da cui dipende la sicurezza e l'efficacia delle cure che gli stessi sono chiamati a dispensare - e costituisce una delle condizioni minime dettate dall'ordinamento comunitario ai fini del rilascio dei titoli comprovanti la formazione specifica in medicina generale e del reciproco riconoscimento degli stessi da parte degli stati membri (artt. 21 e 28 della direttiva 2005/36/CE)". Il surriportato passaggio della citata sentenza costituzionale conferma quindi che il principio di esclusività - che sintetizza la formula organizzativa del "tempo pieno" ed il correlato divieto per il corsista di svolgere parallelamente una attività libero-professionale - è direttamente strumentale, secondo la voluntas legis europea e nazionale, alla salvaguardia dell'obiettivo della qualità della formazione. 10.1. E' vero che, in riferimento alla concreta questione sottoposta al suo esame (ovvero, la illegittimità costituzionale, per contrasto con l'art. 117, comma 3, Cost., dell'art. 12, comma 2, l.r. Veneto n. 12/2022, laddove fissa in milleduecento il numero massimo di assistiti che, dal secondo anno di corso, possono essere affidati ai medici di medicina generale in formazione, a fronte di un massimale di mille assistiti previsto dal legislatore statale) ed al fine di statuirne l'infondatezza, il Giudice delle leggi ha affermato che il solo principio fondamentale fissato dal legislatore statale nella materia "è costituito dal vincolo a garantire adeguati standard qualitativi di formazione, individuando modalità di organizzazione dell'attività formativa adeguate allo scopo (e quindi comprensive della possibilità di una formazione a tempo parziale)", assumendo portata "strumentale" - rispetto al perseguimento di quell'obiettivo - le modalità organizzative concretamente individuate dal legislatore statale o regionale ai fini dello svolgimento del corso di formazione: ciò ha fatto, tuttavia, al solo fine di escludere il profilato contrasto della norma regionale censurata con i principi fondamentali della materia "tutela della salute" previsti dalla legislazione nazionale, ma senza affermare che la modalità a "tempo pieno", con il connesso principio di esclusività, non rappresenti - ove e finché non derogata da una struttura organizzativa del corso atta ad assicurare in modo equivalente gli obiettivi di qualità della formazione voluti dal legislatore europeo e statale - una scelta ragionevole ed equilibrata ai fini della attuazione di questi ultimi, con i relativi corollari in punto di conformazione delle cause di incompatibilità in capo ai corsisti. 10.2. Peraltro, a differenza della disposizione assunta a parametro di riferimento nel citato giudizio costituzionale, quella di cui all'art. 11 d.m. 7 marzo 2006, oggetto di controversia, appartiene espressamente al novero dei principi fondamentali della materia, alla luce del dettato dell'art. 25, comma 2, d.lvo n. 368/1999, il quale prevede che i bandi di concorso per l'ammissione al corso triennale di formazione specifica in medicina generale vengano emanati "in conformità ai princì pi fondamentali definiti dal Ministero della salute, per la disciplina unitaria del sistema": principi fondamentali che, appunto, trovano sede nel più volte citato d.m. 7 febbraio 2006. 10.3. Anche questa Sezione del resto, con la citata sentenza n. 1107/2023, ha evidenziato che "il decreto ministeriale altro non è che la valorizzazione della ratio dell'art. 24 del d.lgs. n. 368 del 1999 e del precetto ivi contenuto della frequentazione a tempo pieno dei corsisti": ciò ad ulteriore dimostrazione del fatto che l'art. 11 d.m. 7 marzo 2006 forma, con il citato art. 24 d.lvo n. 368/1999, una unità normativa funzionale al perseguimento dell'obiettivo di dotare i medici di medicina generale di una formazione adeguata ai compiti ad essi demandati, oltre che allineata a standard europei uniformi di qualità e competenza professionale. 11. In ogni caso, anche ammesso che il divieto previsto dall'art. 11 d.m. 7 marzo 2006 rappresenti un quid novi estraneo al corpo normativo primario, la tesi di parte appellata, secondo cui esso dovrebbe considerarsi illegittimo perché dissonante rispetto al contesto normativo, quale si era venuto a comporre per effetto delle disposizioni che, già alla data della sua adozione, avevano eroso il principio di esclusività, consentendo ad esempio ai corsisti di assumere incarichi convenzionali, non può essere condivisa. 11.1. Deve premettersi che, affinché una norma, destinata a dettare i principi della materia, perda il suo carattere generale, dismettendo quindi la sua capacità di disciplinare i casi non regolati da norme speciali (con la conseguente neutralizzazione, se non vera e propria inversione, del rapporto regola-eccezione tra la prima e le seconde), il suo perimetro applicativo deve aver subito, per effetto di eventuali disposizioni sopravvenute, modifiche riduttive tali, per importanza e quantità, da svuotarne sostanzialmente la portata regolatrice. 11.2. La parte appellata desume tale conclusione, in primo luogo, dall'art. 3 l. 29 dicembre 2000, n. 401, a mente del quale: "I laureati in medicina e chirurgia iscritti al corso universitario di laurea prima del 31 dicembre 1991 ed abilitati all'esercizio professionale sono ammessi a domanda in soprannumero ai corsi di formazione specifica in medicina generale di cui al decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 256. I medici ammessi in soprannumero non hanno diritto alla borsa di studio e possono svolgere attività libero-professionale compatibile con gli obblighi formativi". Deve tuttavia osservarsi che non solo la disposizione citata è caratterizzata da un ambito applicativo (soggettivamente) circoscritto, ma essa possiede una evidente limitazione di carattere temporale, essendo destinata a disciplinare la posizione dei "laureati in medicina e chirurgia iscritti al corso universitario di laurea prima del 31 dicembre 1991", all'evidente scopo - segnalato dal Ministero appellante - di preservare l'affidamento di coloro che si erano iscritti al suddetto corso di laurea prima che, per effetto del d.lvo n. 256 dell'8 agosto 1991 (che ha dato attuazione alla direttiva 82/487/CEE), l'esercizio dell'attività di medicina generale venisse subordinato alla frequenza del relativo corso di formazione specifica (e che, appare opportuno aggiungere, avessero intanto iniziato una attività professionale, che sarebbero stati costretti ad interrompere una volta iscritti al corso di medicina generale): anzi, l'espressa previsione della facoltà per costoro di svolgere attività libero-professionale è indice univoco del fatto che, ancor prima che venisse adottato il d.m. 7 marzo 2006, già vigeva nell'ordinamento il relativo divieto. 11.3. La correlazione tra la disposizione citata, che prevede la facoltà per i soggetti suindicati di svolgere attività libero-professionale, e le evidenziate esigenze di carattere contingente non legittima, quindi, l'interpretazione secondo cui la regola della esclusività - la quale, si ripete, è funzionale a garantire il risultato della qualità della formazione - abbia perso ogni significato e/o spazio di applicabilità, al di fuori della fattispecie (speciale) considerata dal citato art. 3 l. n. 401/2000. 11.4. Alla stessa conclusione deve pervenirsi alla luce delle successive disposizioni che hanno previsto la possibilità, per i medici in formazione in medicina generale, di instaurare rapporti convenzionali a tempo determinato con il Servizio sanitario nazionale, di assumere incarichi temporanei di assistenza primaria o incarichi provvisori o di sostituzione di medici di medicina generale convenzionati con il Servizio sanitario nazionale, nonché di iscriversi negli elenchi della guardia medica e della guardia medica turistica. Viene in rilievo, in particolare, l'art. 9 d.l. 14 dicembre 2018, n. 135, il quale, nella sua attuale formulazione, derivante dalle modifiche introdotte dal d.l. 24 marzo 2022, n. 24, convertito, con modificazioni, dalla l. 19 maggio 2022, n. 52, dispone quanto segue: "1. Fino al 31 dicembre 2024, in relazione alla contingente carenza dei medici di medicina generale, nelle more di una revisione complessiva del relativo sistema di formazione specifica i laureati in medicina e chirurgia abilitati all'esercizio professionale, iscritti al corso di formazione specifica in medicina generale, possono partecipare all'assegnazione degli incarichi convenzionali, rimessi all'accordo collettivo nazionale nell'ambito della disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale. La loro assegnazione è in ogni caso subordinata rispetto a quella dei medici in possesso del relativo diploma e agli altri medici aventi, a qualsiasi titolo, diritto all'inserimento nella graduatoria regionale, in forza di altra disposizione. Resta fermo, per l'assegnazione degli incarichi per l'emergenza sanitaria territoriale, il requisito del possesso dell'attestato d'idoneità all'esercizio dell'emergenza sanitaria territoriale. Il mancato conseguimento del diploma di formazione specifica in medicina generale entro il termine previsto dal corso di rispettiva frequenza fatti salvi i periodi di sospensione previsti dall'articolo 24, commi 5 e 6 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, comporta la cancellazione dalla graduatoria regionale e la decadenza dall'eventuale incarico assegnato. 2. Per le finalità di cui al comma 1, le regioni e le province autonome, nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 24, comma 3, del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, prevedono la limitazione del massimale degli assistiti in carico fino a 1.000 assistiti, anche con il supporto dei tutori di cui all'articolo 27 del medesimo decreto legislativo n. 368 del 1999, o del monte ore settimanale e possono organizzare i corsi anche a tempo parziale, garantendo in ogni caso che l'articolazione oraria e l'organizzazione delle attività assistenziali non pregiudichino la corretta partecipazione alle attività didattiche previste per il completamento del corso di formazione specifica in medicina generale. Le ore di attività svolte dai medici assegnatari degli incarichi ai sensi del comma 1 devono essere considerate a tutti gli effetti quali attività pratiche, da computare nel monte ore complessivo previsto dall'articolo 26, comma 1, del citato decreto legislativo n. 368 del 1999.40 3. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, in sede di Accordo collettivo nazionale, sono individuati i criteri di priorità per l'inserimento nelle graduatorie regionali dei medici iscritti al corso di formazione specifica in medicina generale di cui al comma 1, per l'assegnazione degli incarichi convenzionali, nonché le relative modalità di remunerazione. Nelle more della definizione dei criteri di cui al presente comma, si applicano quelli previsti dall'Accordo collettivo nazionale vigente per le sostituzioni e gli incarichi provvisori. 4. Dal presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Le amministrazioni pubbliche interessate provvedono agli adempimenti previsti con le risorse umane finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente". Il 17 maggio 2022 è stato inoltre pubblicato in Gazzetta Ufficiale l'accordo collettivo nazionale per i medici di medicina generale, il quale ha previsto tra l'altro che "per il concomitante periodo di frequenza del corso a tempo pieno, si applica un limite di attività oraria pari a 24 ore settimanali". Da ultimo, il d.l. n. 24/2022, come convertito, ha sostituito il comma 2 del citato art. 9 d.l. n. 135/2018, come convertito, con il seguente: "per le finalità di cui al comma 1, le regioni e le province autonome, nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 24, comma 3, del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, prevedono la limitazione del massimale degli assistiti in carico fino a 1.000 assistiti, anche con il supporto dei tutori di cui all'articolo 27 del medesimo decreto legislativo n. 368 del 1999, o del monte ore settimanale e possono organizzare i corsi anche a tempo parziale, garantendo in ogni caso che l'articolazione oraria e l'organizzazione delle attività assistenziali non pregiudichino la corretta partecipazione alle attività didattiche previste per il completamento del corso di formazione specifica in medicina generale. Le ore di attività svolte dai medici assegnatari degli incarichi ai sensi del comma 1 devono essere considerate a tutti gli effetti quali attività pratiche, da computare nel monte ore complessivo previsto dall'articolo 26, comma 1, del citato decreto legislativo n. 368 del 1999". 11.5. La possibilità, per i medici in formazione in medicina generale, di instaurare rapporti di convenzione a tempo determinato con il Servizio sanitario nazionale è stata riconosciuta, nell'ambito delle misure urgenti rivolte a fronteggiare l'emergenza pandemica, anche dall'art. 2-quinquies d.l. n. 18/2020, come convertito. Esso dispone, al comma 1, che, per la durata dell'emergenza epidemiologica, come stabilita dalla delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, ai medici iscritti al corso di formazione in medicina generale è consentita l'instaurazione di un rapporto convenzionale a tempo determinato con il Servizio sanitario nazionale, con la precisazione che le ore di attività svolte dai suddetti medici devono essere considerate a tutti gli effetti quali attività pratiche, da computare nel monte ore complessivo, previsto dall'art. 26, comma 1, del d.lgs. n. 368 del 1999. Il comma 2 dispone, invece, che "per la durata dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, come stabilita dalla delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, i laureati in medicina e chirurgia abilitati, anche durante la loro iscrizione ai corsi di specializzazione o ai corsi di formazione specifica in medicina generale, possono assumere incarichi provvisori o di sostituzione di medici di medicina generale convenzionati con il Servizio sanitario nazionale ed essere iscritti negli elenchi della guardia medica e della guardia medica turistica e occupati fino alla fine della durata dello stato di emergenza". Entrambe le disposizioni anzidette sono state prorogate fino al 31 dicembre 2023 in forza dell'art. 4, comma 2, d.l. n. 228/2021, come modificato dalla legge di conversione n. 15/2022 e, successivamente, dall'art. 4, comma 9-quater, d.l. n. 198/2022, come convertito. 11.5. Ebbene, nemmeno le citate disposizioni sono idonee ad incidere sulla portata regolatrice, per i casi da esse non espressamente disciplinate, del principio di esclusività, essendo sufficiente evidenziare, da un lato, che le stesse sono funzionali a sovvenire a specifiche situazioni di carenza di personale sanitario, apprezzate discrezionalmente dal legislatore, dall'altro lato, consentono ai corsisti proprio l'esercizio, in via anticipata, dell'attività professionale per il cui svolgimento il corso di formazione specifica è destinato a prepararli e abilitarli, con la sua conseguente intrinseca efficacia formativa, analoga a quella propria del corso, sebbene esplicantesi "sul campo" (ciò che spiega le ragioni per le quali, secondo le disposizioni citate, "le ore di attività svolte dai suddetti medici devono essere considerate a tutti gli effetti quali attività pratiche, da computare nel monte ore complessivo"). 11.5. Le peculiari connotazioni che assumono gli incarichi convenzionali non consentono, quindi, di configurare la situazione di discriminazione lamentata dall'appellato, tanto più ove si consideri che l'attività libero-professionale che il medesimo vorrebbe svolgere ha ad oggetto prestazioni di fisiatria, prive prima facie di contenuti formativi rilevanti sul piano della medicina generale, assimilabili a quelli che si è visto essere propri degli incarichi convenzionali. 11.6. In linea con le suesposte considerazioni, la Sezione, con la sentenza n. 5226 del 29 maggio 2023, ha chiarito che "la natura derogatoria della disciplina contenuta nella normativa introdotta a causa della pandemia conferma che la regola di carattere generale applicabile alla vicenda in esame, che introduce l'incompatibilità, è derogabile solo nei casi, espressamente previsti a determinate e precise condizioni, di sostituzioni a tempo determinato di medici di medicina generale convenzionati con il Servizio sanitario nazionale, nonché le sostituzioni per le guardie mediche notturne, festive e turistiche (cfr. articolo 11, comma 2 del d.m. 7 marzo 2006) (...). In altre parole, proprio la riflessione sull'introduzione della normativa emergenziale, che ha ammesso la deroga alla regola dell'incompatibilità della partecipazione al corso di specializzazione con altri incarichi professionali, porta con sé un argomento che milita proprio nella direzione voluta in materia dal legislatore primario e secondario, che considera inammissibile - in via generale - lo svolgimento contestuale delle due attività ". 11.6. Viene infine in rilievo l'art. 12, comma 2, del d.l. n. 35/2019, convertito dalla l. n. 60/2019 (c.d. Decreto Calabria), a mente del quale: "Fino al 31 dicembre 2021 (termine poi prorogato al 31 dicembre 2022 dall'art. 1, comma 426, l. n. 178/2020), i laureati in medicina e chirurgia abilitati all'esercizio professionale e già risultati idonei al concorso per l'ammissione al corso triennale di formazione specifica in medicina generale, che siano stati incaricati, nell'ambito delle funzioni convenzionali previste dall'accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale per almeno ventiquattro mesi, anche non continuativi, dei dieci anni antecedenti alla data di scadenza della presentazione della domanda di partecipazione al concorso per l'accesso al corso di formazione specifica in medicina generale, accedono al predetto corso tramite graduatoria riservata, senza borsa di studio". Come già evidenziato, l'appellato desume dalla richiamata disposizione un ulteriore indice normativo del superamento del principio di esclusività, invocando l'orientamento giurisprudenziale che ha escluso, nei confronti dei suoi destinatari, il carattere assoluto dell'incompatibilità relativa al contestuale svolgimento di attività libero-professionali, mitigata da una valutazione caso per caso della sua incidenza sulla proficua partecipazione al corso: deduce in particolare l'originario ricorrente che, essendo unitario il parametro di riferimento della causa di incompatibilità, rinvenibile anche per i corsisti ammessi sulla base del cd. Decreto Calabria nel già citato art. 11 d.m. 7 marzo 2006, l'interpretazione correttiva (in chiave mitigatrice) datane dal giudice amministrativo per la suddetta categoria di corsisti non potrebbe che valere anche per coloro che siano stati ammessi al corso di formazione specifica in via ordinaria, non potendo attribuirsi rilievo scriminante al fatto che i primi, a differenza dei secondi, non percepiscono alcuna borsa di studio. 11.7. Deve in senso contrario osservarsi che proprio le pronunce che hanno aderito al suddetto orientamento (cfr. la sentenza di questa Sezione 31 gennaio 2023, n. 1101) hanno evidenziato che "la circostanza che i medici ammessi in sovrannumero non usufruiscano della borsa non può che trovare ragionevole bilanciamento nella possibilità loro concessa di "ottenere, da altre fonti e attività professionale privata non ritenute in concreto incompatibili, il proprio sostentamento" (sent. n. 8026 del 2022, § 18). Diversamente, come osserva il giudice di primo grado, "qualora la mancata assegnazione della borsa di studio fosse accompagnata anche dal divieto di svolgere altre attività lavorative-professionali, l'accesso in base al Decreto Calabria finirebbe per essere irragionevolmente circoscritto ai soli soggetti che già dispongono di altre risorse proprie e che possono studiare senza conseguire alcuna remunerazione"". Ha altresì evidenziato la sentenza citata che "un parallelo in tal senso è offerto proprio dall'art. 3 della legge 29 dicembre 2000, n. 401, recante "Norme sull'organizzazione del personale sanitario" - il quale ha ammesso ai corsi di formazione specifica in medicina generale i "laureati in medicina e chirurgia iscritti al corso universitario di laurea prima del 31 dicembre 1991 ed abilitati all'esercizio professionale sono ammessi a domanda in soprannumero di cui al decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 256", specificando, in deroga al regime generale delle incompatibilità, che "i medici ammessi in soprannumero non hanno diritto alla borsa di studio e possono svolgere attività libero-professionale compatibile con gli obblighi formativi". Dunque, anche nel caso da ultimo citato l'assenza di borsa di studio va di pari passo con l'autorizzazione allo svolgimento dell'attività libero-professionale". Inoltre, che la necessità di garantire al corsista una adeguata fonte di sostentamento durante la frequenza del corso sia alla base dell'orientamento invocato, il quale quindi non è estensibile per le ipotesi in cui quella esigenza non ricorra con la medesima intensità, si desume dalla affermazione, ugualmente recata dalla sentenza citata, secondo cui "appare irragionevole discriminare chi (come il resistente) non disponga di convenzioni in essere al momento dell'iscrizione al corso e, pertanto, non sarebbe in grado di conseguire una remunerazione adeguata durante il corso, se non continuando a svolgere la precedente attività libero professionale in concreto compatibile", anche alla luce del diritto euro-unitario (Direttiva 1993/16/CE del 5 aprile 1993, art. 35), laddove impone di riconoscere una remunerazione adeguata agli specializzandi sia in caso di formazione a tempo pieno, sia in caso di formazione a tempo ridotto: sì che entro tali limiti va intesa l'ulteriore statuizione secondo cui "la specifica normativa di cui al d.l. n. 35/2019, una volta inquadrata nel contesto dei principi costituzionali e comunitari, non può intendersi come ostacolante la possibilità per il ricorrente di assolvere i propri obblighi formativi e al contempo di conseguire una remunerazione adeguata attraverso ulteriori attività lavorative private, purché in concreto compatibili con il concomitante impegno formativo". Non sussiste nemmeno la dedotta situazione di discriminazione rispetto agli specializzandi. E' vero che, ai sensi dell'art. 40, comma 1, d.lvo n. 368/1999, "per la durata della formazione a tempo pieno al medico è inibito l'esercizio di attività libero-professionale all'esterno delle strutture assistenziali in cui si effettua la formazione ed ogni rapporto convenzionale o precario con il servizio sanitario nazionale o enti e istituzioni pubbliche e private". Tuttavia, in base alla disposizione citata, la facoltà di svolgimento dell'attività libero-professionale è appunto limitata a quella intramuraria, con la conseguente applicazione "attenuata" del principio di esclusività . Va inoltre evidenziato che, ai sensi dell'art. 12, comma 2, d.l. 30 marzo 2023, n. 34, come modificato dalla legge di conversione 26 maggio 2023, n. 56, ed ulteriormente modificato dall'art. 44-quater, comma 2, d.l. 2 marzo 2024, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla l. 29 aprile 2024, n. 56: "Fino al 31 dicembre 2025, in via sperimentale, in deroga alle incompatibilità previste dall'articolo 40 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368 ed in deroga alle disposizioni di cui all'articolo 7 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, fermo rimanendo quanto previsto dall'articolo 11, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 2019, n. 60, i medici in formazione specialistica regolarmente iscritti al relativo corso di studi possono assumere, su base volontaria e al di fuori dall'orario dedicato alla formazione, incarichi libero-professionali, anche di collaborazione coordinata e continuativa, presso i servizi sanitari del Servizio sanitario nazionale, per un massimo di 8 ore settimanali". Ai sensi del comma 3, invece: "L'attività libero-professionale che i medici in formazione specialistica possono svolgere ai sensi del comma 2 è coerente con il livello di competenze e di autonomia raggiunto e correlato all'ordinamento didattico di corso, alle attività professionalizzanti nonché al programma formativo seguito e all'anno di corso di studi superato". Ebbene, si evince da tale disposizione che la deroga al principio di esclusività, in vista dello svolgimento di incarichi libero-professionali, non è illimitata, ma coerente con lo svolgimento del corso di formazione specialistica: resta escluso, quindi, che da essa siano ricavabili argomenti a favore della tesi, perseguita dal ricorrente, di una facoltà indiscriminata di svolgimento dell'attività libero-professionale, esclusivamente subordinata ad un criterio di compatibilità "temporale", ma senza alcun collegamento con il corso di formazione e con la relativa funzione professionalizzante. 12. In conclusione, quindi, la regola della esclusività continua, pur a seguito degli interventi legislativi citati (che ne hanno circoscritto la portata con riferimento a specifiche fattispecie), a rappresentare un ragionevole corollario della formazione specifica in medicina generale secondo la formula del "tempo pieno": tenuto conto del carattere non assolutamente vincolante di quest'ultima, come messo in evidenza dalla citata sentenza costituzionale n. 112/2023, essa può essere derogata solo laddove il legislatore o, nei limiti ed alle condizioni da esso fissate, l'Amministrazione ritengano di adottare una diversa soluzione organizzativa, apprestando nel contempo le misure adeguate a garantire comunque il raggiungimento degli indefettibili obiettivi di qualità della formazione. 13. L'appello, in conclusione, deve essere accolto, con gli effetti precisati in dispositivo. 14. La complessità dei temi trattati giustifica la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello n. 2867/2024, lo accoglie e per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado. Spese del doppio grado di giudizio compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Ezio Fedullo - Presidente FF, Estensore Antonio Massimo Marra - Consigliere Luca Di Raimondo - Consigliere Raffaello Scarpato - Consigliere Sebastiano Zafarana - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6655 del 2019, integrato da motivi aggiunti, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Mu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato in Roma, via (...); nei confronti -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato La. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento decreto del direttore generale del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione, emesso in data 27.3.2019, e ciò nella parte in cui non include il nominativo della ricorrente nella graduatoria degli ammessi; del verbale n. 12 della sottocommissione n. 8 per la valutazione delle prove di esame; della scheda di valutazione dell'elaborato n. 2215 del ricorrente, del verbale del 25.1.2019 e dell'avviso pubblico del 19.4.2019 con i relativi allegati. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca e di -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 27 settembre 2024 il dott. Angelo Fanizza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Il signor -OMISSIS- ha impugnato e chiesto l'annullamento del decreto del direttore generale del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione, emesso in data 27.3.2019, e ciò nella parte in cui non include il nominativo della ricorrente nella graduatoria degli ammessi; del verbale n. 12 della sottocommissione n. 8 per la valutazione delle prove di esame; della scheda di valutazione dell'elaborato n. 2215 del ricorrente, del verbale del 25.1.2019 e dell'avviso pubblico del 19.4.2019 con i relativi allegati. Il ricorrente ha, inoltre, chiesto la condanna dell'Amministrazione a procedere all'ammissione alla prova orale, o, in via gradata, alla nuova correzione dell'elaborato scritto della ricorrente, all'attribuzione di un valido giudizio di merito e all'eventuale espletamento della valutazione dei titoli e alle prove orali e sempre in ulteriore via gradata l'annullamento delle prove scritte con la ripetizione delle stesse in sede unica nazionale; nonché al risarcimento del danno patrimoniale e morale dovuto all'illegittimo comportamento della stessa Amministrazione, da accertarsi e liquidarsi anche in via equitativa. In sintesi è accaduto che il ricorrente non ha superato la prova scritta del concorso per l'accesso ai ruoli della dirigenza scolastica, indetto con decreto del M.I.U.R. n. 1259 del 23.11.2017 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 90 del 24.11.2017; in data 27.3.2019 il Ministero ha pubblicato l'elenco nominativo degli ammessi alla prova orale tra cui non figura il nominativo della ricorrente. A fondamento del ricorso ha dedotto i seguenti motivi: 1° ) violazione dell'art. 97 della Costituzione; eccesso di potere per difetto di motivazione ed illegittimità dei criteri di valutazione. In prima battuta, il ricorrente ha lamentato che non sarebbero stati predisposti "parametri di riferimento, ovvero "un giudizio tecnico, ancorché sintetico, che consenta di ricostruire il percorso logico giuridico che ha portato all'assegnazione del punteggio in forma numerica". Né i parametri di riferimento, in numero di quattro, risultano sufficienti, mancando, proprio nella scala di riferimento, una votazione rapportata a 70/100, requisito minimo di ammissione alle prove orali" (cfr. pag. 4). 2° ) Eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità manifesta, travisamento dei fatti, sviamento, disparità di trattamento. Con tale motivo si è dedotto che "la sottocommissione 8, che ha corretto l'elaborato della ricorrente, nell'attribuire le votazioni ha applicato rigidamente la scala di riferimento, attribuendo solo i 4 punteggi indicati nella griglia; così facendo è stata inevitabilmente costretta ad arrotondare i punteggi attribuiti. Altre sottocommissioni (ad esempio la n. 34) ha utilizzato in maniera elastica la griglia di correzione, non limitandosi ai 4 punteggi indicati, ma assegnando punteggi (Livelli) che variano da 3,75-3,50- 3,25-1,75- 1,25 (all.11 Scheda n. 8567 e n. 8592 - 8423)". 3° ) Eccesso di potere. Con tale motivo la ricorrente ha lamentato che "in data 13/03/2019, ultimo giorno di correzione (...), in cui è stato corretto l'elaborato codice 2215 dell'odierno ricorrente (...), risulta che la sottocommissione riunitasi alle ore 8.20 concludeva i lavori alle ore 12.30; pertanto, nell'arco di tempo di 4 ore e 10 minuti (senza alcuna pausa?) la stessa procedeva alla valutazione di 22 elaborati. È dunque accertato che, in chiara violazione di quanto disposto e senza alcuna motivazione, il tempo medio dedicato alla valutazione degli elaborati ed alla compilazione delle schede di valutazione è stato di circa 11 minuti". 4° ) Eccesso di potere per sviamento, contraddittorietà . Il ricorrente ha esposto di aver ottenuto un punteggio totale di 61/100, ma che tale esito sarebbe stato compromesso "dalle soggettive difficoltà incontrate dal candidato in conseguenza dell'invalidità da cui è affetto e per la quale è stato concesso da parte dell'USR Sicilia l'ausilio di una insegnante di sostegno in qualità di tutor (...) che si è occupata autonomamente di digitare sulla tastiera del computer quanto dettatole"; in sostanza, il software messo a disposizione da CINECA non avrebbe consentito uno svolgimento agevole della prova, con finale compromissione del risultato finale. 5° ) Violazione dei principi costituzionali di cui all'art. 97 della Costituzione, dell'art. 3 della legge 241/1990; eccesso di potere per manifesta iniquità, disparità di trattamento e lesione della par condicio, difetto d'istruttoria e di motivazione, contraddittorietà, illogicità ed irrazionalità dei giudizi. Con tale motivo la ricorrente ha contestato che la valutazione attribuita all'elaborato (43,80) risulterebbe "incongruente e non consente la ricostruzione del procedimento logico deduttivo seguito dalla commissione nell'utilizzo della griglia di valutazione", stigmatizzando l'irrazionalità dei voti negativi assegnati. In particolare, ha censurato la legittimità di alcuni criteri ("Coerenza e pertinenza con le competenze del Dirigente Scolastico previste dall'art. 25 del d.lgs. 165/2001"; "inquadramento normativo con un uso pertinente, consapevole e critico delle norme citate"; "sintesi, esaustività ed aderenza all'oggetto del quesito", per il quale ha chiesto l'attribuzione del massimo punteggio di 20). 6° ) Eccesso di potere per difetto di motivazione, illogicità ed irrazionalità relativi alla risposta al quesito n. 2. Il ricorrente ha stigmatizzato l'illegittimità della votazione relativa al quesito sopra indicato, deducendo che "l'elaborato risulta organico e con una corretta proprietà linguistica e costruzione logica. Pertanto non solo non è possibile immaginare le ragioni di tale negativa valutazione, ma la stessa si palesa tanto arbitraria quanto irragionevole": ha, quindi, chiesto l'attribuzione del punteggio massimo di 16. 7° ) Violazione dell'art. 35 del d.lgs. 165/2001, del principio di imparzialità ; eccesso di potere per perplessità sull'azione amministrativa. La ricorrente ha, altresì, censurato la trasparenza della procedura, rimarcato che "il dott. An. Fr. Ma., componente della 12ma sotto commissione Lazio, fa anche parte del Comitato tecnico scientifico nominato dal MIUR, comitato che, come sopra evidenziato, ha predisposto le prove di esame. Oltre al dott. Ma. risultano altri nominativi che hanno effettuato corsi di preparazione ed in particolare: Dott. Vi. Gi., Dott. Lu. Ma., docente nel corso di preparazione dirigente scolastico; emerge con evidenza che avere svolto corsi di preparazione e contemporaneamente fatto parte del Comitato Tecnico Scientifico ha comportato una disparità di trattamento fra i candidati preparati da soggetti che erano a conoscenza delle prove di esame". Tale illegittima posizione determinerebbe, pertanto, l'illegittimità dell'operato della sottocommissione. 8° ) Violazione dell'art. 8, punto 2 e 12 del bando di concorso. Ulteriore doglianza ha investito la legittimità della procedura concorsuale, nel senso che "il 17 ottobre 2018, a causa di ordinanza chiusura delle scuole nella città di Cagliari, la prova per la regione sarda è stata rinviata. Il MIUR, che in tale fattispecie, al fine di garantire la unicità della prova su scala nazionale, avrebbe dovuto disporre il rinvio della prova, come espressamente previsto dal bando di concorso, invece, ha pensato bene, in aperta violazione del bando stesso, di rinviare la prova scritta limitatamente ai candidati residenti in Sardegna e di fare espletare per il resto d'Italia la prova scritta, violando in tal modo, palesemente, il principio di unicità della prova scritta su tutto il territorio nazionale". 9° ) Violazione dell'art. 8, punto 4 e 9 del bando di concorso. Il ricorrente ha, inoltre, dedotto che "in violazione a quanto disposto dal bando su cinque quesiti assegnati due di essi consistevano nella soluzione di un caso concreto, oggetto della prova orale così come previsto dall'art 9 c. 2". 10° ) Eccesso di potere sotto il profilo della disparità di trattamento. violazione della par condicio dei concorrenti. non unicità e non simultaneità della prova a livello nazionale. Il ricorrente ha, inoltre, contestato che "il giorno 17 ottobre 2018 venivano pubblicati la bibliografia ed i quadri di riferimento; gli stessi venivano mantenuti per la prova suppletiva (tenuta in data 13 dicembre 2018 da parte dei concorrenti della regione Sardegna). Quindi i candidati che hanno sostenuto la prova in data 13/12/2018 hanno potuto usufruire dei quadri di riferimento e della relativa bibliografia con ben 55 giorni di anticipo rispetto alla tempistica prescritta dal bando. Tale opportunità (metodologia di valutazione, fonti bibliografiche e sitografiche per la prova della lingua straniera) si è tradotta in un indiscutibile vantaggio". 11° ) Violazione dell'art. 15, comma 8 del DM 138/2017. Il ricorrente ha, ancora, contestato che "nessun valido coordinamento è stato esercitato dal presidente della commissione iniziale al fine di consentire un'applicazione uniforme dei criteri di correzione. La violazione del principio base regolatore delle procedure concorsuali, ovvero quello della necessaria uniformità valutativa, assicurata appunto attraverso il coordinamento del Presidente della commissione è venuto meno". 12° ) Violazione del principio di buon andamento ed imparzialità . Il ricorrente ha, altresì, lamentato che "per tutta la durata della prova il codice alfanumerico unitamente al codice fiscale ed al documento di identità di ogni candidato si trovava poggiato in evidenza sulla postazione assegnata, ben visibile dal personale di vigilanza (...). Necessita ulteriormente premettere che il computer non era on line, e non si conoscono le modalità di trasmissione degli elaborati. Infine, le buste contenenti il codice alfanumerico e i dati anagrafici di ogni concorrente con relativa sottoscrizione dei candidati sono state chiuse senza alcuna sigillatura da parte del comitato di vigilanza, non è dato sapere come nelle successive operazioni di spostamento al MIUR sia stato garantito l'anonimato, atteso che nel verbale di scioglimento dell'anonimato non si fa alcun cenno al sistema informatico di trasmissione degli elaborati". 13° ) Violazione del DPR 487/94 sul diritto di accesso agli atti delle procedure concorsuali. Ancora, il ricorrente ha lamentato l'omessa ostensione di tutti gli atti della procedura concorsuale, compresi quelli degli altri concorrenti. 14° ) Mancata presenza di testimoni durante la randomizzazione degli elaborati. Infine, il ricorrente ha contestato la legittimità della distribuzione degli elaborati alle varie sottocommissioni. 15° ) Irregolare partecipazione in videoconferenza, non prevista dal regolamento, del presidente della sottocommissione n. 8. Da ultimo, il ricorrente ha contestato che il prof. Ca. Bo. non ha partecipato alla riunione plenaria del 25.1.2019 tenutasi presso il MIUR. Si è costituito in giudizio il Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca e, in qualità di controinteressata, la signora -OMISSIS-. Con motivi aggiunti depositati in data 27.10.2019 il ricorrente ha impugnato il provvedimento di approvazione della graduatoria dei vincitori con la conseguenziale immissione nei ruoli dei dirigenti scolastici dei vincitori, deducendone l'illegittimità in via derivata con richiamo ai motivi del ricorso principale. Ed ancora, con motivi aggiunti depositati in data 28.11.2020 il ricorrente ha impugnato il decreto dipartimentale n. 986 del 6.8.2020 ed il relativo allegato, sempre per illegittimità derivata. Ed infine, con motivi aggiunti depositati in data 28.11.2021 la ricorrente ha impugnato il decreto dipartimentale n. 1357 del 12.8.2021, ancora per illegittimità derivata. In vista dell'udienza di discussione del merito, con ordinanza presidenziale del 4 marzo 2024, n. 1206, è stata autorizzata l'integrazione del contraddittorio per pubblici proclami sul sito web dell'Amministrazione. All'udienza pubblica del 27 settembre 2024 la causa è stata trattenuta per la decisione. DIRITTO Il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto. Non coglie nel segno il primo motivo, afferente alle regole della disciplina concorsuale, tenuto conto che, dall'esame degli atti di causa, emerge che i criteri di valutazione delle prove sono stati individuati nella riunione plenaria del 25 gennaio 2019 in cui la commissione ha approvato la griglia di valutazione (compressiva dei criteri e degli specifici indicatori), così com'era stata predisposta dal comitato tecnico scientifico, istituito ai sensi dell'art. 13 del DM 3 agosto 2017, n. 138. L'approvazione di tale griglia sostanzia la fissazione di precisi e vincolanti criteri per tutti i commissari, indipendentemente dal fatto che, nella riunione preliminare alcuni di questi (come il prof. Ca. Bo.) non vi avessero partecipato: il che depone, altresì, per il rigetto del quindicesimo motivo. Neppure il secondo motivo profila censure condivisibili. L'asserita inadeguatezza del software che ha gestito lo svolgimento della prova scritta e l'inadeguatezza dei supporti di sostegno ai concorrenti affetti da disabilità non pujò certo comportare l'illegittimità delle operazioni oggetto della procedura controversa. A tal proposito, va ricordato che questo Tribunale ha già ritenuto infondate censure analoghe a quelle proposte nel presente giudizio, osservando che le contestazioni proposte dai candidati alla procedura avverso il sistema informatico utilizzato dalla p.a. resistente "possono essere raggruppate nell'ambito di due tipologie: le "disfunzioni" attribuibili ad una specifica e voluta impostazione del programma informatico (ossia il software) e quelle derivanti dal cattivo funzionamento della strumentazione informatica (hardware) messa a disposizione dei candidati. Semplificando, possono essere ricondotte nell'ambito della prima tipologia le seguenti "disfunzioni": a) funzioni "taglia", "copia" e incolla" disabilitate; b) lay-out grafico fuorviante; c) schermata riepilogativa non conforme a quella del tutorial del MIUR; h) correttore automatico disabilitato; i) assenza report finale; l) salvataggio non automatico; m) pagine "vuote". Mentre sono riconducibili alla seconda tipologia le seguenti: d) barra spaziatrice difettosa; e) tasti danneggiati; f) tasto "shift" incantato; g) dimensione dei caratteri diversa tra le postazioni. Con riferimento alla prima tipologia il Collegio rileva come la gran parte di tali questioni, seppure riferite da parte ricorrente come "disfunzioni" che avrebbero determinato un aggravamento della prova ed un inutile dispendio di tempo, si configurano in realtà come delle modalità di funzionamento dell'applicativo utilizzato dal Ministero e rese note a tutti i candidati prima dello svolgimento della prova mediante la pubblicazione sul sito istituzionale del ministero delle relative istruzioni. Come accertato in giurisprudenza, qui richiamabile in virtù del principio iura novit curia, siffatte istruzioni prevedevano espressamente l'onere dell'utilizzo del tasto conferma e procedi per salvare le risposte date e dunque per evitare la generazione di pagine "vuote"; in particolare poi era specificato anche che "...Per l'ultima domanda, cliccando sul pulsante "Conferma e Procedi", si procederà alla conferma della risposta ed alla visualizzazione della pagina di riepi. Si deve cliccare su "Conferma e Procedi" per tutte le risposte, sia aperte che chiuse, compresa l'ultima. Sarà sempre possibile tornare alla domanda precedente tramite il tasto "torna alla domanda precedente". Se si cambia la risposta (sia aperta che chiusa) occorre confermare la modifica tramite il bottone "Conferma e Procedi".". Parimenti è a dirsi per la disattivazione delle funzioni "copia", "taglia" e "incolla" e di quella del correttore automatico, che l'amministrazione ha nell'impostazione del programma ritenuto di espungere. Si tratta di scelte rimesse alla discrezionalità dell'amministrazione e che appaiono peraltro non solo razionali e logiche (anche per le prove scritte svolte senza il supporto informatico non vi è di certo la possibilità di utilizzare tali funzioni), ma altresì poste a garanzia degli stessi candidati poiché il richiedere, ogni volta che si inseriscono risposte o modifiche di queste, la conferma della volontà di voler salvare il testo così inserito consente ai candidati di avere piena consapevolezza delle conseguenze di operazioni (come il semplice pigiare di un tasto) che per la loro facilità ed immediatezza potrebbero essere compiuti anche in maniera meramente automatica. Risulta quindi che qualora i candidati non avessero cliccato "Conferma e procedi", ma avessero cliccato sul bottone "Vai alla pagina di riepi" o "Torna alla domanda precedente", il sistema li avvisava e avveniva quanto segue: - 1. il sistema tramite apposita finestra di conferma avvisava i candidati che, siccome non era stata confermata la risposta se tornavano alla domanda precedente avrebbero perso la risposta digitata. - 2. Se i candidati confermavano di voler tornare alla domanda nei log viene registrato il messaggio "Il candidato ha deciso di non salvare la risposta per la domanda" che significa che i candidati hanno scelto di non salvare la risposta. Appare dunque evidente la razionalità e logicità di adempimenti richiesti proprio al fine di garantire che la prova nel testo salvato e sottoposto poi alla valutazione della Commissione fosse realmente quella corrispondente alla volontà del candidato, finalità che invece sarebbe stata lesa se il sistema avesse salvato automaticamente a prescindere dalla manifestazione di volontà del candidato e in assenza di qualsiasi avvertimento o conoscenza di simili effetti che dunque sarebbe conseguiti alla mera scrittura del testo di risposta. Con riferimento poi al lay-out grafico fuorviante perché ritenuto non conforme agli standard in utilizzo nella prassi ed alla schermata riepilogativa non conforme a quella del tutorial del MIUR poiché le risposte salvate erano contrassegnate con il blu e quelle da completare in rosso, il Collegio in primo luogo non può non rilevare l'assoluta carenza di prova di resistenza sugli effetti positivi che, eliminate tale condizioni, sarebbero derivate sull'esito della prova sostenuta dalla ricorrente ed in secondo luogo ne rileva la palese infondatezza posto che, per quanto probabilmente sempre migliorabile, non sembra sussistere alcuna previsione che imponga una determinata impostazione visiva della pagina di lavoro o escluda quella utilizzata nel concorso in questione; quanto poi all'inversione dei colori (rosso e blu) per evidenziare nella schermata riepilogativa le risposte date e quelle ancora da dare, essa appare un mero errore materiale probabilmente più addebitabile al tutorial che non al sistema informatico atteso che nella prassi ricorrente e nella forma mentis che ne deriva è proprio il colore rosso ad essere utilizzato per attirare l'attenzione su errori o parti mancanti. Si tratta dunque in sostanza di doglianze tutte infondate perché non costituenti affatto disfunzioni o mal funzionamenti del sistema e comunque riconducibili a scelte discrezionali o addirittura di merito dell'amministrazione. Relativamente alle "disfunzioni" riferite alla seconda tipologia, il Collegio ne ritiene l'infondatezza perché non supportate da alcun supporto probatorio da parte della ricorrente, posto che esse sono riferite genericamente a quanto sarebbe occorso a taluni candidati, ma nulla è detto, né tantomeno viene allegato, in merito al se il computer messo a sua disposizione in occasione della prova presentasse tali problematiche (con relativo onere di contestare tale circostanza immediatamente alla commissione o al personale di assistenza e chiederne la verbalizzazione); risultando per altro verso che le postazioni dotate di attrezzature informatiche e munite dell'applicativo software del concorso, messe a disposizione dei candidati, erano state collaudate da tecnici individuati dalle amministrazioni scolastiche" (cfr. Tar Lazio, 15 maggio 2023, nn. 8241 e 8236, nonché id., 22 maggio 2023, n. 8669 e 8673). Ancora, con riferimento alla medesima procedura concorsuale, è stato evidenziato che "le critiche espresse nel ricorso al sistema di software prescelto dalla amministrazione appartengono ad una dimensione puramente tecnica, priva di incidenza sulla posizione delle ricorrenti e sull'intero concorso" e che "quanto alla deduzione per cui non si può avere certezza del corretto trattamento delle prove d'esame, è evidente come essa non possa certo determinare un'inversione dell'onere della prova che incombe in capo alla parte ricorrente" (cfr. Tar Lazio, 9 maggio 2022, n. 5768 e id., 30 maggio 2022, n. 6970) A ciò deve aggiungersi che con riferimento ad analoghe doglianze, il giudice d'appello ha avuto modo di evidenziare che "relativamente alle dedotte disfunzionalità del software, il motivo è infondato non essendo state allegate disfunzioni concrete e specifiche (infatti, se effettivamente il sistema informatico avesse fatto registrare anomalie, sarebbe stato onere della ricorrente rappresentare tale circostanza alla commissione o al personale di assistenza presente alla prova e pretendere una verbalizzazione sul punto), e risultando per altro verso che le postazioni dotate di attrezzature informatiche e munite dell'applicativo software del concorso, messe a disposizione dei candidati, erano state più volte collaudate da tecnici individuati dalle amministrazioni scolastiche" (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 12 gennaio 2021, n. 395). Possono, poi, essere esaminati congiuntamente, per ragioni di affinità tematica, il terzo, quarto, quinto e sesto motivo, che afferiscono alla specifica valutazione riservata al ricorrente. Si tratta di censura infondate. Per quanto riguarda i motivi terzo, quinto e sesto è noto che, per giurisprudenza pacifica, il "voto numerico attribuito dalle competenti commissioni alle prove o ai titoli nell'ambito di un concorso pubblico o di un esame - in mancanza di una contraria disposizione - esprime e sintetizza il giudizio tecnico discrezionale della commissione stessa, contenendo in sé stesso la motivazione, senza bisogno di ulteriori spiegazioni. Quale principio di economicità amministrativa di valutazione, assicura la necessaria chiarezza e graduazione delle valutazioni compiute dalla commissione nell'ambito del punteggio disponibile e del potere amministrativo da essa esercitato e la significatività delle espressioni numeriche del voto, sotto il profilo della sufficienza motivazionale in relazione alla prefissazione, da parte della stessa commissione esaminatrice, di criteri di massima di valutazione che soprassiedono all'attribuzione del voto, da cui desumere, con evidenza, la graduazione e l'omogeneità delle valutazioni effettuate mediante l'espressione della cifra del voto, con il solo limite della contraddizione manifesta tra specifici elementi di fatto obiettivi, i criteri di massima prestabiliti e la conseguente attribuzione del voto" (cfr. Consiglio di Stato, sez. VII, 9 aprile 2024, n. 3235). Si tratta di votazioni assegnate nel rispetto di preventivi riferimenti, ossia sulla base di una dettagliata griglia di correzione redatta dal comitato tecnico scientifico, istituito ai sensi dell'art. 13 del DM 3 agosto 2017, n. 138, che è stata approvata nella seduta del 25 gennaio 2019 e ha preso espressamente in considerazione sia i criteri sia gli indicatori specifici. Con riguardo, invece, al quarto motivo, le denunciate disfunzioni del programma di risposta (che avrebbero, a dire del ricorrente, precluso la possibilità di utilmente completare la prova) non sono state dimostrate, potendo, tali inconvenienti, essere imputati all'incapacità di correttamente seguire le istruzioni d'uso pubblicate sul sito web del MIUR, corredate da video dimostrativo. Privo di fondamento è anche il settimo motivo, afferente alla posizione di alcuni commissari. In primo luogo, va considerato che, per giurisprudenza costante, "la contestazione della composizione della commissione giudicatrice di un concorso - salvi i casi di macroscopica incompetenza tecnica dei suoi componenti o di palese conflitto di interessi - se non dedotta "ab initio", nei termini decorrenti dalla partecipazione al concorso o dalla piena conoscenza dell'atto di nomina, è ammissibile successivamente solo se corredata da un'adeguata prospettazione e deduzione circa la concreta ed effettiva incidenza negativa, di tale asseritamene errata composizione, sulla valutazione delle prove del ricorrente o, comunque sull'esito complessivamente ingiusto della procedura. In sostanza, la doglianza di errata composizione della Commissione giudicatrice non può "ex se" giustificare l'azzeramento della procedura: o essa denuncia vizi macroscopici, che dimostrano da soli, in modo diretto e assiomatico, il pregiudizio per il buon andamento della procedura, che non può dunque essere recuperata, oppure, quando si tratti di presunti vizi formali che di per sé non evidenziano alcun automatico vulnus sulla qualità tecnica e sulla imparzialità dei giudizi forniti dalla Commissione, sarà onere del ricorrente, che propone il motivo, se non dimostrare, quanto meno dedurre e prospettare, in modo serio, analitico e argomentato i modi e le ragioni per cui, nello specifico caso concreto, quell'errata e illegittima composizione della Commissione ha inficiato il giudizio della sua prova o, comunque, l'esito complessivo del concorso" (cfr. T.A.R. Campania - Napoli, 14 settembre 2010, n. 17412). Tanto premesso, come del resto evidenziato dal Consiglio di Stato (cfr. sez. VI, 12 gennaio 2021, n. 396) "la natura tassativa delle cause di incompatibilità esclude ogni tentativo di applicazione analogica o interpretazione estensiva, attesa l'esigenza di assicurare la certezza dell'azione amministrativa e la stabilità della composizione delle commissioni esaminatrici"; e "secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza amministrativa, le fattispecie di incompatibilità non possono trovare un'applicazione meramente formalistica, ma occorre altresì verificare se la situazione concreta dedotta in giudizio sia idonea ad incidere sul giudizio della commissione medesima nel senso di orientarlo a favore di un candidato (o di un gruppo di candidati) piuttosto che di un altro, sicché - ai fini dell'integrazione della fattispecie di cui al citato art. 35, comma 3, lettera e), d.lgs. n. 165/2001 - devono sussistere elementi concreti, univoci e concordanti idonei a dimostrare l'influenza che un componente della commissione possa avere esercitato in favore di alcuni candidati per avere rivestito un ruolo decisivo o significativo all'interno dell'amministrazione che indice il concorso". Tanto premesso, non vi è prova che i membri indicati dalla ricorrente (nella specie: Ma., Ginardi, Martano) abbiano fornito un qualsiasi apporto causale nella determinazione dei criteri valutativi ed abbiano addirittura inciso sulla trasparenza delle operazioni concorsuali, alterandone il risultato. Piuttosto, dal verbale della seduta plenaria della commissione del 25 gennaio 2019 (composta dalla commissione centrale e dalle 37 sotto-commissioni) si evince che essa è stata convocata al fine di "visualizzare nella piattaforma la schermata nella quale sono riportati i quesiti e la risposta individuata come corretta dal Comitato tecnico scientifico istituito con D.M. n. 263/2018 e s.m.i." in quanto, trattandosi di domande a risposta chiusa, non era necessario predisporre un'apposita griglia di correzione. Per quanto concerne, infine, la posizione del commissario Ma. si evidenzia che l'articolo 16, comma 2, lett. a) del DM 138/2017 prevede che i presidenti, i componenti e i componenti aggregati della Commissione e delle sottocommissioni del concorso non possono "essere componenti dell'organo di direzione politica dell'amministrazione, ricoprire cariche politiche e essere rappresentanti sindacali, anche presso le Rappresentanze sindacali unitarie, o essere designati dalle confederazioni ed organizzazioni sindacali o dalle associazioni professionali; né esserlo stati nell'anno antecedente alla data di indizione del concorso". Si tratta di una previsione che riproduce il disposto dell'art. 35, comma 3, lett. e) del d.lgs. 165/2001, secondo cui le commissioni per il reclutamento nelle pubbliche amministrazioni sono composte "esclusivamente con esperti di provata competenza nelle materie di concorso, scelti tra funzionari delle amministrazioni, docenti ed estranei alle medesime, che non siano componenti dell'organo di direzione politica dell'amministrazione, che non ricoprano cariche politiche e che non siano rappresentanti sindacali o designati dalle confederazioni ed organizzazioni sindacali o dalle associazioni professionali". Ciò posto, la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che "le fattispecie di incompatibilità non possono trovare un'applicazione meramente formalistica, ma occorre altresì verificare se la situazione concreta dedotta in giudizio sia idonea ad incidere sul giudizio della commissione medesima nel senso di orientarlo a favore di un candidato (o di un gruppo di candidati) piuttosto che di un altro, sicché - ai fini dell'integrazione della fattispecie di cui al citato art. 35, comma 3, lett. e), d.lgs. n. 165 del 2001 - devono sussistere elementi concreti, univoci e concordanti idonei a dimostrare l'influenza che un componente della commissione possa avere esercitato in favore di alcuni candidati per avere rivestito un ruolo decisivo o significativo all'interno dell'amministrazione che indice il concorso" (cfr. T.A.R. Sicilia - Catania, 11 maggio 2022, n. 1291). Ne consegue che "l'incompatibilità tra l'incarico di componente delle commissioni esaminatrici e la titolarità di cariche politiche deve essere esclusa per coloro i quali ricoprano la carica politica in enti o amministrazioni diverse da quella che procede alla selezione, fermo restando che, in tali casi, per escludere l'incompatibilità è anche necessario accertare che la sfera di influenza dell'attività svolta dal soggetto ricoprente cariche politiche in amministrazioni diverse, non estenda i suoi effetti anche sull'ente che indice la selezione" (cfr. T.A.R. Sardegna, 27 giungo 2016, n. 532). Detto altrimenti, il "divieto di ricoprire cariche politiche da parte dei commissari di concorso non è violato dall'assunzione della funzione di membro della Commissione da parte di un soggetto che ricopra la carica di consigliere comunale, poiché tale causa di incompatibilità può essere estesa anche a i soggetti che ricoprano cariche politiche presso Amministrazioni Pubbliche diverse da quella procedente solo nel caso in cui vi sia un qualche elemento di possibile incidenza tra l'attività esercitabile da colui che ricopre la carica e l'attività dell'ente che indice il concorso" (cfr. T.A.R. Campania - Napoli, 5 agosto 2019, n. 4255). Insomma, nel caso di specie, in difetto di una prova contraria, non è possibile ravvisare alcun pericolo, neppure remoto, di incidenza sul neutrale svolgimento del concorso. Pure infondato è l'ottavo motivo, esaminabile congiuntamente al decimo, con cui è stata contestata la violazione del principio di unicità e contestualità delle prove concorsuali nelle diverse regioni d'Italia. Ai sensi dell'art. 8, comma 2, del DDG 1259 del 23 novembre 2017 la "prova scritta è unica su tutto il territorio nazionale e si svolge in una unica data in una o più regioni, scelte dal Ministero, nelle sedi individuate dagli USR", con la precisazione, di cui al successivo comma 9, che qualora "per cause di forza maggiore sopravvenute, non sia possibile l'espletamento della prova scritta nella giornata programmata, ne viene stabilito il rinvio con comunicazione, anche in forma orale, ai candidati presenti". Si tratta di un'ipotesi che, ad avviso del Collegio, è perfettamente corrispondente all'improvvisa ed imprevedibile chiusura delle scuole, disposta dalle competenti autorità sarde. Del resto, sarebbe stato del tutto irragionevole disporre il rinvio della prova su tutto il territorio nazionale a causa dell'oggettiva impossibilità di svolgimento nella data prestabilita nella sola Regione Sardegna. A ciò si aggiunga che lo stesso ricorrente non ha offerto alcun principio di prova - ma solo generiche asserzioni e congetture - in ordine all'indebito vantaggio di cui avrebbero fruito i concorrenti sardi, anche alla luce del fatto che il Ministero ha espressamente specificato che le domande proposte alla sessione del dicembre 2018 erano diverse e la loro difficoltà era equivalente a quella dei questi precedenti. Nel verbale del 26 novembre 2018 è stato, infatti, accertato che "tutti i quesiti sono equivalenti e che tutte le tracce ancora presenti in piattaforma, con esclusione di quelle somministrate il 18 ottobre u.s. e di quelle pubblicate sul sito del MIUR, sono e continueranno ad essere coperte dal carattere di riservatezza, in conformità con l'impegno assunto da ciascun componente e coordinatore al momento dell'assunzione dell'incarico". Né tali considerazioni possono essere inficiate dal fatto che le prove nelle altre sedi non sarebbero iniziate contemporaneamente in quanto, neanche in questo caso, parte ricorrente ha fornito alcun elemento in grado comprovare le proprie asserzioni; e ciò, soprattutto a fronte di quanto significato nella relazione del Ministero, in cui è stato evidenziato che "i computer utilizzati dai candidati per lo svolgimento della prova sono stati preventivamente scollegati da internet e che l'eventuale utilizzo di telefoni cellulari o di qualsiasi altro strumento idoneo alla memorizzazione o alla trasmissione di dati in sede concorsuale avrebbe rappresentato un comportamento fraudolento sanzionato dall'art. 8, comma 13 del Bando con l'esclusione dal concorso". Con riguardo, poi, alla contestazione afferente l'illegittima strutturazione dei quesiti, dedotta con il nono motivo, nel senso che si sarebbe trattato di veri e propri "casi" da risolvere, ciò causando - a dire del ricorrente - la patente violazione della disciplina concorsuale, è sufficiente richiamare quanto già evidenziato dalla giurisprudenza amministrativa in merito a censure analoghe proposte con riferimento al medesimo concorso, ossia che tale doglianza "impinge nel merito delle determinazioni rimesse alla discrezionalità tecnica della commissione, in parte qua non inficiate da macroscopica illogicità o irragionevolezza" (cfr. Consiglio, sez. VI, 12 gennaio 2021, n. 395). La prova di un prestabilito svolgimento delle operazioni concorsuali depone per il rigetto anche dell'undicesimo motivo, afferente a doglianze relativa a profili organizzativi cui il ricorrente non ha riferito alcuna, specifica, incidenza riguardante lo svolgimento della propria prova ed il relativo esito. Insussistente è, poi, la violazione del principio dell'anonimato, dedotta con il dodicesimo motivo. Come noto, nei concorsi pubblici il criterio dell'anonimato nelle prove scritte delle procedure di concorso, nonché in generale in tutte le pubbliche selezioni, costituisce il diretto portato del principio costituzionale di uguaglianza, buon andamento e l'imparzialità della pubblica amministrazione. Per giurisprudenza costante, infatti, "nell'ambito dei concorsi a pubblici impieghi, la violazione del principio dell'anonimato da parte della commissione può comportare una illegittimità da pericolo c.d. astratto per cui va fornito un principio di prova da parte dei candidati interessati sulla possibilità che tale violazione possa tradurre in concreto quel pericolo astratto" (cfr. Consiglio di Stato, sez. VII, 17 ottobre 2022, n. 8803). Nello specifico, con la nota prot. 0041127 del 18.9.2018 il Ministero ha stabilito che: "Il candidato estrae un codice personale anonimo dall'urna (si ricorda che i codici sono stampati in numero triplo rispetto al numero dei candidati previsti). - Successivamente, il responsabile tecnico d'aula carica sul sito https://concorsodirigentiscolastici.miur.it tutti i file criptati presenti nella chiavetta USB. - In particolare, cliccando sul bottone di upload dei risultati verrà visualizzata la finestra da cui selezionare la sorgente dei risultati (chiavetta USB) e dovrà caricare tutti i file.BAC. - In questo modo gli elaborati dei candidati saranno messi a disposizione della commissione esaminatrice per la successiva fase di correzione. - Successivamente i candidati controfirmeranno il registro cartaceo d'aula per attestare l'uscita e potranno allontanarsi dall'aula. - Al termine della prova deve essere redatto apposito verbale d'aula che deve dare evidenza di tutte le fasi essenziali della prova e di eventuali accadimenti particolari. - Si ricorda che anche per le aule con più di 1 responsabile tecnico d'aula è previsto un unico verbale d'aula. - Un fac-simile di verbale d'aula è disponibile sulla pagina d'aula. - Il verbale d'aula va firmato dai componenti del Comitato di Vigilanza - Occorre scannerizzarlo e caricarlo, unitamente al registro d'aula, nella pagina d'aula completo di ogni eventuale allegato. Si prega di richiamare l'attenzione dei comitati di vigilanza sull'importanza di tale adempimento, necessario a garantire la disponibilità degli atti della procedura al fine di dare riscontro ad eventuali richieste di accesso agli atti da parte di questa Direzione generale. - Al termine delle operazioni di upload e dopo aver caricato il verbale d'aula il referente tecnico d'aula dovrà dichiarare la fine dei lavori tramite il pulsante "Termina le operazioni per la prova" sul sito https:/concorsodirigentiscolastici.miur.it. - Successivamente, il responsabile tecnico d'aula si recherà davanti ad ogni postazione e procederà a chiudere e disinstallare l'applicazione software della prova". Con la predetta nota il Ministero ha, altresì, precisato che "lo scopo del codice personale anonimo è duplice. Il primo è quello di disaccoppiare la prova dall'identità del candidato che l'ha svolta. Il secondo è quello di assicurare la non ripudiabilità della prova. In estrema sintesi il codice sarà associato alla prova del candidato e riportato all'interno della prova salvandolo con essa all'interno del file criptato. Questo file, che custodisce l'elaborato del candidato ed il codice personale anonimo, non conterrà invece alcuna informazione relativa al candidato. L'associazione tra l'identità del candidato ed il codice personale anonimo (e di conseguenza con la prova criptata) sarà custodita nella busta cartacea internografata che sarà aperta solo ad avvenuta correzione di tutti gli elaborati da parte della commissione giudicatrice. Va inoltre precisato che neppure la commissione giudicatrice, fino a che non aprirà le buste, potrà vedere la corrispondenza fra prova e codice personale anonimo in modo da assicurare una correzione del tutto anonima. Quindi, la procedura che utilizza il file criptato, contenente elaborato e codice personale anonimo, e la busta cartacea internografata, contenente modulo anagrafico (e quindi l'identità del candidato) e il codice personale anonimo (univoco ed estratto a caso e controfirmato dal candidato stesso), assicura la non ripudiabilità dell'elaborato da parte del candidato. Si precisa, inoltre, che il file criptato che contiene il codice personale anonimo e l'elaborato del candidato assicura che nessuno possa modificarne il contenuto o cambiare l'associazione tra candidato e prova". A ciò si deve aggiungere che, sempre secondo la predetta direttiva, "la busta A4 contenente i codici personali, sigillata e siglata sui lembi dal comitato di vigilanza, dovrà essere inserita e conservata, unitamente alla chiavetta USB, ai codici personali non estratti, agli originali dei verbali d'aula e del registro cartaceo, nel plico A3 predisposto per la prova scritta, sui cui lembi di chiusura il comitato di vigilanza apporrà la firma e la data. Su tale ultimo plico dovrà essere riportato il numero delle bustine (contenenti moduli anagrafici e codici personali) nello stesso custoditi e il numero dei candidati". Poiché, quindi, la procedura in esame ha previsto, proprio per assicurare l'anonimato delle prove, la presenza di ben tre buste sigillate racchiuse una all'interno dell'altra, la censura della ricorrente, formulata, peraltro, in modo del tutto generico, è destituita da ogni fondamento. Del resto, nella propria relazione sui fatti di causa il Ministero ha precisato che quando "una commissione accedeva alla piattaforma WEB per correggere i compiti poteva visualizzare (come è facilmente riscontrabile dai verbali) solo il codice di correzione del compito e le risposte in esso contenute. La commissione non poteva in alcun modo risalire al codice anonimo associato al codice di correzione, in quanto tale associazione era conservata unicamente nel database CINECA, che è protetto. La commissione era quindi "cieca" rispetto al codice anonimo e, in generale, all'identità del candidato". Si tratta di una procedura a "doppio cieco" in cui "la commissione, quando corregge i compiti, non vede nessuna informazione riguardante i candidati, e quando carica in piattaforma l'associazione candidato-compito (aprendo la busta internografata) non vede quale compito - e quindi quale voto - sta associando al candidato. In questo modo l'anonimato è assolutamente tutelato"; dopodiché, associati "tutti i codici fiscali a tutti i codici anonimi, si aveva quindi accesso al riepi dei risultati (in questo momento, sul database CINECA era presente l'associazione tra codice fiscale del candidato e codice anonimo e anche quella tra il codice anonimo e il compito e quindi il voto) sulla base del quale è stata predisposta la lista degli ammessi alla prova orale". Da ultimo, non è fondato nemmeno il tredicesimo motivo, con cui il ricorrente ha lamentato la limitazione della possibilità di conoscere i dati afferenti ad altri concorrenti e di accedervi liberamente: si tratta, con tutta evidenza, di una previsione direttamente funzionalizzata a garantire le prerogative di riservatezza sottese alla posizione degli stessi candidati e dovendosi, comunque, considerare che le garanzie di ostensione sono assicurate dal combinato disposto tra gli artt. 22 e 25 della legge 241/1990. È, poi, inammissibile per genericità il quattordicesimo motivo, non essendo comprensibile quale concreta conseguenza sarebbe stata imputata dal ricorrente alle modalità di distribuzione interna degli elaborati da correggere. Il rigetto del ricorso principale comporta, con ogni evidenza, il rigetto dei due ricorsi per motivi aggiunti, comprese le domande risarcitorie. Le spese di lite possono essere compensate, tenuto conto della particolarità della fattispecie. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, li respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Angelo Fanizza - Presidente FF, Estensore Giuseppe Grauso - Referendario Marco Arcuri - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta Bis ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 8814 del 2024, proposto da -OMISSIS- e -OMISSIS- in qualità di esercenti la potestà genitoriale sulla minore -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall'avvocato Fr. Cu., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); contro Ministero dell'Istruzione e del Merito, Liceo Classico -OMISSIS- Roma, Ufficio Scolastico Regionale Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); per l'annullamento, previa sospensiva dell'efficacia del verbale di scrutinio n. 35 del Consiglio di classe, Anno scolastico 2023 - 2024, comunicato alla madre dell'alunna in data 13.6.24 con relativo allegato datato 12.6.24 attestante la non ammissione dell''alunna -OMISSIS- al secondo anno del liceo classico, provvedimento emesso dal corpo docente dell''istituto scolastico "Liceo Classico Statale -OMISSIS- -OMISSIS-" in data 12.6.2024, nonché di tutti gli atti a quello suindicato, comunque connessi e coordinati, nonché di ogni altro atto presupposto e/ o conseguente Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Istruzione e del Merito e di Liceo Classico -OMISSIS- Roma e di Ufficio Scolastico Regionale Lazio; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 30 agosto 2024 il dott. Marco Arcuri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con l'atto introduttivo del giudizio i ricorrenti espongono che nell'anno scolastico 2023/2024 la figlia -OMISSIS- ha frequentato il primo anno di liceo classico presso l'istituto scolastico "Liceo Classico Statale -OMISSIS- -OMISSIS-". Nel mese di novembre 2023 la scuola segnalava alla famiglia alcune difficoltà emerse dall'osservazione in classe e dai risultati delle prime verifiche, consigliando ai genitori di sottoporre la ragazza ad una valutazione diagnostica. Il 15 gennaio 2024 i genitori comunicavano alla scuola di aver avviato un percorso di valutazione presso il CCNP -OMISSIS-, centro privato accreditato dalla Regione Lazio. Il 7 marzo i ricorrenti inviavano una mail alla preside e alla coordinatrice di classe, allegando i risultati della valutazione medica, in base ai quali il profilo della minore era "compatibile con un -OMISSIS- da -OMISSIS- -OMISSIS- ed -OMISSIS- ad attuale manifestazione con -OMISSIS-in ragazza con tratti -OMISSIS- -OMISSIS- con tratti di -OMISSIS- -OMISSIS- (ICD 10 F 41.2) che catalizza le difficoltà -OMISSIS- (evidente, ad esempio, nel -OMISSIS-)". Pertanto, chiedevano al Consiglio di Classe la redazione del PDP. Il 13 marzo il Consiglio di Classe si riuniva per la redazione del PDP e il 18 marzo i genitori venivano convocati dalla scuola per firmarlo. In sede di lettura del PDP i genitori lamentavano la mancanza di alcune misure dispensative contenute all'interno della valutazione redatta dal CCNP -OMISSIS-, pertanto, non sottoscrivano il PDP chiedendo l'integrazione di tali misure. Successivamente, la scheda di italiano del PDP veniva integrata con la previsione che l'insegnante non considerasse gli errori di ortografia, se ritenuti di distrazione, e i genitori procedevano alla sottoscrizione in data 28 marzo 2024. Al termine dell'anno scolastico la minore non veniva ammessa alla II classe, avendo conseguito gravi insufficienze in quattro materie (Latino 3, Greco 3; Matematica 3, Geostoria 4). 2. Avverso il giudizio espresso dal Consiglio di classe i genitori dell'alunna hanno proposto ricorso chiedendone l'annullamento, previa tutela cautelare, in ragione dei seguenti motivi: 1 - VIOLAZIONE DELLA NORMATIVA VIGENTE. ECCESSO DI POTERE IN TUTTE LE SUE FIGURE SINTOMATICHE, ED IN PARTICOLARE PER SVIAMENTO, CARENZA DEI PRESUPPOSTI, DEL TRAVISAMENTO DEI FATTI, DIFETTO DI ISTRUTTORIA, CARENZA DI ADEGUATA MOTIVAZIONE, DISPARITA' DI TRATTAMENTO, MANIFESTA INGIUSTIZIA ED ILLOGICITA' MANIFESTA. VIOLAZIONE DEL DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 22 GIUGNO 2009, N. 122. - VIOLAZIONE DEI CRITERI DI VALUTAZIONE DEGLI ALUNNI DELLA SCUOLA SECONDARIA DI SECONDO GRADO. MANCATA CONSIDERAZIONE DEL PERCORSO DIDATTICO COMPIUTO DALL'ALUNNA NELL'ANNO SCOLASTICO 2023/24. MANCANZA, INSUFFICIENZA, GENERICITA' DELLA MOTIVAZIONE POSTA A SOSTEGNO DEI PROVVEDIMENTI IMPUGNATI. I ricorrenti lamentano l'omessa adeguata valutazione del percorso scolastico svolto dall'alunna, censurando l'insufficienza e la genericità della motivazione del provvedimento di non ammissione alla classe seconda, in quanto il consiglio di classe non avrebbe tenuto conto della condizione della minore e della relazione medica in atti. Ad avviso della parte ricorrente le valutazioni tecniche espresse dall'Amministrazione scolastica sarebbero viziate da irragionevolezza o illogicità dell'operato del corpo docente. Inoltre, i ricorrenti lamentano la mancata applicazione del PDP in occasione di un'interrogazione in geostoria, avvenuta l'8 aprile, durante la quale l'insegnante avrebbe suggerito all'alunna di svolgere la prova senza il supporto delle mappe concettuali, previa firma di una dichiarazione con la quale la stessa rinunciava all'utilizzo di tali misure compensative previste nel PDP. Ancora, rappresentano che in data 12 aprile avevano segnalato alla scuola la mancata applicazione del PDP per il compito di Chemistry. 2. ECCESSO DI POTERE IN TUTTE LE SUE FIGURE SINTOMATICHE, ED IN PARTICOLARE PER SVIAMENTO, CARENZA DEI PRESUPPOSTI, DEL TRAVISAMENTO DEI FATTI, DIFETTO DI ISTRUTTORIA, CARENZA DI ADEGUATA MOTIVAZIONE, DISPARITA' DI TRATTAMENTO, MANIFESTA INGIUSTIZIA ED ILLOGICITA' MANIFESTA. VIOLAZIONE E/O ERRATA APPLICAZIONE DELLA NORMATIVA VIGENTE E DELLA LEGGE N. 170 DEL 2010. L'Istituto Scolastico non avrebbe attivato le tutele praticabili nel caso di specie in ragione dei bisogni educativi della minore. I ricorrenti, in particolare, lamentano la tardiva applicazione del PDP e la sua inadeguatezza, in quanto nella sua redazione la scuola non avrebbe tenuto conto delle indicazioni del medico. Inoltre, non vi sarebbe stata alcuna diversificazione adeguata della programmazione in relazione alle difficoltà dell'alunna, così come tardivamente applicati i piani di recupero, che tengono conto delle difficoltà specifiche di apprendimento. Aggiungono che la scuola si sarebbe mostrata "contrariata" rispetto ai tentativi dei genitori di trovare un sistema per aiutare la figlia, anche sulla base anche delle indicazioni del terapeuta. 3. VIZI DEI PROVVEDIMENTI IMPUGNATI. Si ribadisce che il PDP sarebbe stato adottato senza seguire le indicazioni del medico e non applicando strumenti compensativi e misure dispensative adeguate al caso di specie, così viziando tutto il procedimento amministrativo che ha portato al provvedimento di non ammissione dell'alunna. 4. VIOLAZIONE DELL'ART. 3 DELLA COSTITUZIONE. Si deduce che nel caso in esame la scuola avrebbe attuato una disparità di trattamento tra la parte istante e la residua parte di alunni, che nonostante le difficoltà sono stati promossi o rimandati. Secondo i ricorrenti, ove l'Istituto avesse voluto rispettare la normativa in materia e soprattutto i principi costituzionalmente garantiti, avrebbe dovuto adottare la medesima misura per gli alunni con difficoltà e non alla sola -OMISSIS-. 3. L'Amministrazione resistente si è costituita in giudizio, chiedendo il rigetto del ricorso. 4. Con decreto presidenziale n. -OMISSIS- del 14 agosto 2024 questo Tribunale ha respinto l'istanza cautelare monocratica, non ravvisando i presupposti dell'estrema gravità e urgenza di cui all'art. 56 c.p.a. in considerazione del fatto che la camera di consiglio calendarizzata al 30 agosto 2024 precede l'inizio dell'anno scolastico. 5. La causa è stata discussa alla camera di consiglio del 30 agosto 2024, rendendo edotte le parti della eventualità di una definizione ai sensi dell'art. 60 c.p.a.. 6. I motivi di gravame possono essere analizzati congiuntamente in quanto strettamente connessi. 6.1 In primo luogo, parte ricorrente lamenta che la scuola non avrebbe attivato le tutele praticabili nel caso di specie in ragione dei bisogni educativi della minore, deducendo, in particolare: la tardiva applicazione del PDP, la sua inadeguatezza, in quanto nella sua redazione la scuola non avrebbe tenuto conto delle indicazioni del medico, e la mancata attuazione del PDP nello svolgimento di alcune verifiche. Le censure risultano infondate. Dalla documentazione in atti risulta che nel mese di novembre la scuola, alla luce delle difficoltà emerse dall'osservazione in classe e dai risultati delle prime verifiche, ha prontamente consigliato ai ricorrenti di sottoporre la ragazza ad una valutazione diagnostica. Contestualmente, date le gravi insufficienze conseguite nelle due discipline di indirizzo (latino e greco) è stato suggerito alla famiglia di valutare un eventuale riorientamento verso un altro indirizzo di studi. Dal 7 febbraio 2024 in attesa che la ASL o lo specialista privato di riferimento rilasciassero una diagnosi, il Consiglio di Classe ha ritenuto comunque di predisporre la programmazione delle interrogazioni, quale misura compensativa. La famiglia ha inviato la diagnosi in data 7 marzo e il 13 marzo l'Istituto scolastico ha approntato il PDP. Dopo la predisposizione del PDP, la scuola si è confrontata con il tutor che seguiva l'alunna e la coordinatrice di classe ha manifestando la disponibilità dei docenti a recepire le indicazioni del tutor. Da quanto sopra emerge che la scuola si è fatta carico della particolare situazione dell'alunna, interloquendo costantemente con la famiglia e attivando una serie di misure a tutela della minore, anche nel periodo in cui mancava una diagnosi certificata. Inoltre, nessun ritardo vi è stato nell'adozione del PDP, adottato sei giorni dopo la trasmissione della diagnosi. La doglianza relativa al mancato rispetto delle indicazioni del medico risulta invece generica, non avendo parte ricorrente indicato puntualmente quale parte della relazione medica trasmessa all'Istituto scolastico non sarebbe stata considerata dalla scuola nella redazione del PDP. Invero, nello stesso sono state contemplate una pluralità di strumenti compensativi e misure dispensative nelle diverse materie (nella specie: uso di mappe concettuali e di schemi; uso di tabelle e formulari; utilizzo della calcolatrice; interrogazioni programmate, maggior tempo per le verifiche; dispensa dalla quantità eccessiva di compiti a casa; dispensa dall'effettuare più prove valutative in tempi ravvicinati). Inoltre, a seguito delle richieste dei genitori, il PDP è stato integrato con la previsione che nella valutazione delle prove scritte di italiano si sarebbe tenuto conto "della valutazione ADHD per "eventuali" non sistematici errori di ortografia". Con riferimento poi agli episodi relativi all'interrogazione di geostoria dell'8 aprile e del compito di Chemistry del 12 aprile, dalla documentazione in atti emerge che i docenti interessati, a seguito delle segnalazioni dei genitori, hanno provveduto, nel primo caso, ad annullare l'interrogazione e a programmarne una nuova, e, nel secondo caso, a non considerare in fase valutativa il 30% gli errori più gravi, accrescendo così la possibilità di successo del compito. 6.2 Per quanto concerne, invece, il motivo di doglianza concernente il difetto di motivazione del giudizio di non ammissione, il Collegio osserva che il Consiglio di classe ha espresso il seguente giudizio: "Fin dall'inizio dell'anno scolastico la studentessa ha evidenziato gravi carenze nelle discipline di latino, greco, matematica e scienze naturali, e carenze in geostoria e italiano, legate a significative lacune nelle competenze di base e a un metodo di studio non adeguato. [...] Nonostante le ampie strategie di recupero poste in essere dalla scuola nel corso dell'anno (il lavoro di recupero in itinere svolto dagli insegnanti durante l'attività curricolare, il rallentamento dei programmi mirato a conseguire gli obiettivi minimi programmati e il corso di recupero nelle discipline di latino, greco e matematica), alla fine dell'attività di recupero relativa al primo periodo nessuna materia risultava recuperata. Durante il secondo periodo la studentessa non è riuscita a colmare le lacune né a migliorare significativamente il suo metodo di studio, né ad utilizzare in modo efficace le misure compensative previste nel Piano Didattico Personalizzato predisposto dal Consiglio di Classe a seguito di certificazione clinica presentata dalla famiglia in data 07/03/2024, nelle discipline di latino, greco, matematica e geostoria. Alla luce di quanto emerso, in base all'analisi dell'intero percorso curriculare dell'anno scolastico, il Consiglio di Classe, dopo ampia discussione, valutati tutti gli elementi a disposizione ha deliberato all'unanimità la non ammissione alla classe seconda, in quanto ritiene che l'alunna non possa frequentare proficuamente la classe successiva per il numero e la gravità delle lacune e per l'inadeguatezza del metodo di studio". Giova precisare - in punto di diritto - che la determinazione di mancata promozione di uno studente alla classe superiore è assunta dal Consiglio di classe nell'esercizio della sua discrezionalità tecnica, sulla base di giudizi analitici formulati in ciascuna materia dai rispettivi docenti, dai quali emerge una globale valutazione sul livello di apprendimento e di preparazione nel complesso raggiunto dall'alunno; pertanto, tale apprezzamento è insindacabile, in sede di legittimità, se non nei ristretti limiti dell'illogicità e della contraddittorietà manifeste, in quanto, diversamente opinando, l'adito giudice amministrativo finirebbe per invadere indebitamente l'area del merito valutativo riservata al succitato organo tecnico (ex multis: TAR Napoli, sezione VIII, 17 luglio 2019, n. 3933). Con riguardo alla vicenda all'esame del Collegio, connotata dalla presenza di una certificazione medica attestante i disturbi della minore, nella motivazione la scuola ha dato atto di aver messo a disposizione dell'alunna le misure indicate nel PDP; tuttavia, secondo il giudizio del Consiglio di Classe, tali strumenti compensativi non sono stati utilizzati in modo efficace dalla studentessa, la quale non è riuscita a colmare le lacune né a migliorare significativamente il proprio metodo di studio. La scuola, pertanto, non ha tratto un giudizio avulso dalla specifica situazione dell'alunna, ma ne ha tenuto conto, esprimendo una valutazione complessiva nella quale ha preso atto del mancato recupero delle carenze evidenziate nella prima parte dell'anno scolastico e delle gravi insufficienze conseguite in diverse discipline nel secondo periodo dell'anno (Latino 3, Greco 3; Matematica 3, Geostoria 4), ritenendo infine che l'alunna non potesse frequentare proficuamente la classe successiva. Ne consegue che la valutazione espressa, per le suesposte ragioni, appare immune dai vizi denunciati. 6.3 L'ultima censura, con cui è stata dedotta una disparità di trattamento tra la parte istante e la residua parte di alunni, risulta invece generica e priva di concreti elementi di riscontro, non avendo parte ricorrente indicato le fattispecie specifiche riferite ad altri studenti in relazione alle quali sarebbe configurabile la violazione del principio di uguaglianza. 7. Le svolte considerazioni conducono a respingere il gravame, attesa la complessiva infondatezza delle censure proposte. 8. In ragione della particolarità della vicenda sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta Bis, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui agli articoli 6, paragrafo 1, lettera f), e 9, paragrafi 2 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, all'articolo 52, commi 1, 2 e 5, e all'articolo 2-septies, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 agosto 2024 con l'intervento dei magistrati: Angelo Fanizza - Presidente FF Dalila Satullo - Referendario Marco Arcuri - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 583 del 2023, integrato da motivi aggiunti, proposto da -OMISSIS-, in qualità di genitori esercenti la potestà sulla figlia minore -OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avvocati Ma. Ba. -OMISSIS-elle, An. Ro. Gr. e De. Do., con domicilio digitale come da PE-OMISSIS- da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Istruzione e del Merito e Liceo scientifico statale "-OMISSIS-" di Genova, rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello Stato, domiciliataria ex lege in Genova, viale Brigate Partigiane, 2; per l'annullamento A - per quanto riguarda il ricorso introduttivo: - del provvedimento di non ammissione alla classe terza del liceo scientifico e delle valutazioni insufficienti delle prove di verifica del debito scolastico; - di ogni altro atto connesso, presupposto o conseguente; B - per quanto riguarda il ricorso per motivi aggiunti: - del verbale del consiglio di classe del -OMISSIS-, recante la conferma del giudizio di non ammissione a seguito di riesame della situazione della studentessa; Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Istruzione e del Merito unitamente al Liceo scientifico statale "-OMISSIS-" di Genova; Visti tutti gli atti della causa; Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 5 luglio 2024, la dott.ssa Liliana Felleti e uditi per le parti i difensori, come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO -OMISSIS-on ricorso notificato e depositato il -OMISSIS- i signori -OMISSIS-, nella qualità di genitori esercenti la potestà sulla figlia minore -OMISSIS-, hanno impugnato il provvedimento di non ammissione di quest'ultima alla classe terza del Liceo scientifico statale "-OMISSIS-" di Genova. I ricorrenti hanno articolato i seguenti motivi: I) Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1, comma 5, del d.p.r. n. 122/2009. Violazione della griglia di valutazione. Errata valutazione del compito di matematica. Violazione dell'autovincolo. Difetto di istruttoria. Il giudizio di grave insufficienza dell'esame di riparazione di matematica discenderebbe dall'erronea applicazione della griglia di valutazione: segnatamente, l'esercizio n. 3 svolto dall'alunna sarebbe affetto da un errore di concetto, ma non da errori di calcolo. II) Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 8 dell'O.M. n. 92 del 5 novembre 2007. Violazione del diritto allo sport dello studente-atleta. Nel verbale del 31 agosto 2023 il consiglio di classe si sarebbe limitato a paragonare il voto sospeso di giugno con quello delle prove agostane di verifica dei debiti, senza compiere una valutazione complessiva, comprendente tutti i risultati scolastici della studentessa - positivi, tra l'altro, in due delle tre materie di indirizzo (6 in fisica e 7 in scienze naturali) - e l'impegno profuso nello sport. II-a) Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 8 dell'O.M. n. 92 del 5 novembre 2007 per assenza di un giudizio complessivo da parte dei singoli docenti delle prove per il recupero del debito scolastico. I singoli verbali di correzione dei compiti di recupero di lingua straniera e di matematica conterrebbero meri punteggi numerici, non spendendo alcuna parola sullo svolgimento degli esercizi, né sulla valutazione complessiva dell'esaminata. III) Violazione e falsa applicazione della legge n. 107/2015, del D.M. n. 279/2018 e del piano triennale offerta formativa per il triennio 2022 - 2025. L'istituzione scolastica avrebbe violato il diritto allo studio dell'alunna-atleta, omettendo di adottare gli strumenti didattici previsti dal D.M. n. 279/2018 e tenendo in non cale la sua attività agonistica. III-a) Violazione e falsa applicazione dell'art. 165 TFUE e della risoluzione del Parlamento europeo del 2 febbraio 2012, dell'art. 1, comma 369, lett. e) della legge n. 205/2017, del principio costituzionale di tutela del diritto allo sport e del piano triennale offerta formativa per il triennio 2022 - 2025. Il liceo avrebbe violato il diritto allo sport della studentessa-atleta, tutelato a livello costituzionale e unionale, impedendole di coniugare efficacemente l'impegno sportivo con quello scolastico. IV) Eccesso di potere. Sviamento di potere. Violazione degli artt. 97 -OMISSIS-ost. e 34 -OMISSIS-ost. Violazione dell'art. 1 della legge n. 241/1990. Nel corso dell'anno le docenti di matematica e di inglese avrebbero fatto mal governo del potere-dovere valutativo sotto i seguenti profili. IV-a) Sulle valutazioni di matematica. Nei compiti di matematica del -OMISSIS-, accanto al voto a penna rossa, rispettivamente, di 5½ e di 6+, comparirebbe un voto superiore tracciato a matita e cancellato, ossia 6+ nel primo elaborato e 7 nel secondo: ciò determinerebbe un'incertezza circa i giudizi che l'insegnante avrebbe inteso formulare. IV-b) Sulle valutazioni di inglese. La professoressa di lingua straniera avrebbe negato alla studentessa la possibilità di anticipare la prova scritta di fine anno, imponendole di sostenerla il 6 giugno 2023, ossia il giorno successivo al rientro dalle finali nazionali disputatesi a -OMISSIS--OMISSIS-. Il Ministero dell'Istruzione e del Merito ed il Liceo scientifico statale "-OMISSIS-" di Genova si sono costituiti in giudizio, difendendo la piena legittimità del provvedimento gravato ed instando per la reiezione dell'impugnativa. -OMISSIS-on ordinanza n. -OMISSIS- il Tribunale ha accolto la domanda cautelare affinché il consiglio di classe effettuasse una rivalutazione complessiva dell'alunna, tenendo conto dei risultati scolastici e dell'impegno sportivo. -OMISSIS-on successivo ricorso ai sensi dell'art. 43 c.p.a., notificato il -OMISSIS- hanno gravato il verbale del consiglio di classe del-OMISSIS-, adottato a seguito dell'ordinanza di remand, reiterando i precedenti mezzi e deducendo i seguenti motivi aggiunti: V) Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 8 dell'O.M. n. 92 del 5 novembre 2007. Il giudizio rinnovato non recherebbe una valutazione complessiva dell'allieva e non considererebbe la sua attività sportiva. VI) Eccesso di potere. Elusione di giudicato dell'ordinanza cautelare del T.A.R. n. -OMISSIS-. Il consiglio di classe avrebbe eluso il contenuto dispositivo dell'ordinanza cautelare. VII) Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 33 -OMISSIS-ost., dell'art. 1 della legge n. 107/2015, dell'art. 3 del D.M. n. 279/2018 e della nota Miur prot. n. 2359 del 22 luglio 2022. L'organo scolastico avrebbe ammesso di ignorare il calendario degli impegni pallavolistici dell'alunna: di conseguenza, l'istituto non avrebbe adempiuto ai suoi obblighi, poiché il coordinamento tra la vita sportiva e quella scolastica dello studente-atleta spetterebbe al docente nominato "Tutor scolastico". VIII) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2 e 3 del D.M. n. 279/2018 e della nota Miur prot. n. 2359 del 22 luglio 2022. La scuola non avrebbe predisposto specifici materiali didattici per la discente, in modo da agevolare il suo studio in ragione del minor tempo a disposizione rispetto ai compagni non atleti. Pertanto, risulterebbe irrilevante il fatto che l'alunna non si sia collegata alla piattaforma "Leomoodle" dopo il 24 marzo 2023. Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell'art. 73, comma 1, c.p.a. Alla pubblica udienza del 5 luglio 2024 la causa è stata assunta in decisione. DIRITTO 1. Preliminarmente, si rileva l'improcedibilità del ricorso introduttivo per sopravvenuta carenza di interesse, ai sensi dell'art. 35, comma 1, lett. c) c.p.a. In seguito all'ordinanza cautelare propulsiva, infatti, il consiglio di classe ha riesaminato la posizione della studentessa, adottando un nuovo provvedimento negativo, avverso il quale i genitori sono insorti. Permane, invece, l'interesse alla pronuncia sul ricorso per motivi aggiunti e, in particolare, su tutti i mezzi dell'impugnativa tranne il II), in quanto i ricorrenti hanno chiesto l'accertamento dell'illegittimità della bocciatura ai fini risarcitori, ai sensi dell'art. 34, comma 3, c.p.a. 2. Il I) motivo è privo di fondamento. La griglia di valutazione della prova di matematica stabilisce, da un lato, l'assegnazione di n. 2 punti per ciascun esercizio eseguito correttamente, mentre, dall'altro lato, la sottrazione di n. 2 punti in caso di impostazione errata, di n. 1 punto per gli errori di concetto e di n. 0,25-0,50 punti per quelli di calcolo (doc. 10 ricorrenti). Nell'esercizio in contestazione, consistente nella risoluzione di un'equazione fratta, l'alunna, pur svolgendo i calcoli in modo corretto, non ha compiuto l'operazione fondamentale, ossia la verifica della soluzione ottenuta (v. doc. 8 resistente). Pertanto, a causa di tale fallo di impostazione, non si è accorta che la soluzione non era accettabile e doveva essere scartata. Il conferito punteggio di 0,50 non risulta, quindi, scorretto, perché, come rilevato dalla difesa erariale, per l'esercizio avrebbero dovuto essere attribuiti 0 punti, ma la docente ha comunque assegnato mezzo punto perché i calcoli erano esatti. Ne discende che la votazione finale di 4 è tecnicamente attendibile, secondo i parametri della disciplina specialistica e gli obiettivi di apprendimento fissati per la classe seconda del liceo scientifico. Del resto, lo stesso perito di parte ricorrente ha proposto di assegnare all'elaborato un voto pari a 5, giudicando pertanto la prova insufficiente (v. relazione -OMISSIS- sub doc. 11 ricorrenti). 3. Il mezzo II-a) è privo di pregio. Il verbale di correzione dell'esame di riparazione di inglese contiene una motivazione in forma discorsiva per ciascun esercizio (v. doc. 9 resistente). Il verbale di correzione della verifica di recupero del debito di matematica è sufficientemente motivato mediante il voto numerico, che - alla luce dei precisi criteri fissati nella griglia di valutazione - consente di ricostruire l'iter logico seguito dall'insegnante nell'apprezzamento dell'elaborato. -OMISSIS-ontrariamente a quanto adombrato dai ricorrenti, poi, l'art. 8 dell'ordinanza ministeriale n. 92 del 5 novembre 2007 richiede una valutazione complessiva del discente da parte del consiglio di classe in sede di scrutinio finale, ma non in occasione delle singole prove di riparazione. 4. I motivi III), III-a), IV-b), VII) e VIII), scrutinabili congiuntamente per la loro intima connessione, non meritano condivisione. Occorre premettere che il nostro ordinamento tutela il diritto all'istruzione dello studente-atleta, coerentemente con il valore educativo e sociale dell'attività sportiva riconosciuto dall'art. 33, ultimo comma, -OMISSIS-ost. In particolare, l'art. 1, comma 7, lett. g) della legge n. 107/2015 indica, fra gli obiettivi formativi prioritari, l'"attenzione alla tutela del diritto allo studio degli studenti praticanti attività sportiva agonistica". In attuazione di tale previsione, dall'a.s. 2015/2016 è stato avviato un progetto didattico sperimentale per gli studenti-atleti di alto livello iscritti negli istituti secondari di secondo grado, disciplinato con appositi decreti ministeriali. Per l'a.s. 2022/2023 le regole applicabili sono contenute nel D.M. n. 279 del 10 aprile 2018 e nelle istruzioni recate dalla nota Miur prot. n. 2359 del 22 luglio 2022. Lo strumento per conciliare il percorso scolastico con quello agonistico è il progetto formativo personalizzato (PFP), che contiene le misure volte a fronteggiare le difficoltà che, a causa della pratica sportiva, lo studente-atleta può riscontrare (ad esempio, in relazione al tempo da dedicare allo studio individuale, oppure alla regolare frequenza delle lezioni). Le scuole aderenti al progetto nominano per ogni studente-atleta il "Tutor scolastico", ossia il docente referente di progetto interno, il quale cura il coordinamento con l'organismo sportivo di riferimento per il tramite del referente esterno designato quale "Tutor sportivo". La finalità dei mezzi apprestati dall'ordinamento è di agevolare il raggiungimento di obiettivi formativi e l'acquisizione di competenze non inferiori al livello minimo richiesto agli altri alunni, grazie a misure che consentano agli studenti-atleti di superare le prefate criticità . 4.1. -OMISSIS-iò posto, il liceo resistente ha correttamente attivato il progetto formativo personalizzato per la figlia dei ricorrenti. Infatti, dalla documentazione versata in atti emerge che: - nel-OMISSIS- hanno presentato la domanda di adesione al progetto sperimentale studente-atleta di alto livello per la figlia -OMISSIS-, attestante il possesso del requisito prescritto dall'allegato 1 alla nota Miur prot. n. 2359 del 22 luglio 2022, ossia la partecipazione al campionato di serie -OMISSIS- di pallavolo (doc. 6 ricorrente); - a seguito dell'accoglimento dell'istanza da parte del Ministero dell'Istruzione il 31 gennaio 2023, l'istituto scolastico ha predisposto il progetto formativo personalizzato (doc. 25 ricorrenti), nel quale: i) ha confermato per l'alunna gli obiettivi di apprendimento comuni agli altri studenti; ii) ha adottato le seguenti misure personalizzate: esclusione dal calcolo dei giorni di assenza della mancata presenza a scuola per impegni sportivi; programmazione delle verifiche scritte ed orali; dispensa dalla sovrapposizione di verifiche su più materie nella stessa giornata. Per quanto riguarda i collegamenti all'aula in videoconferenza e la didattica e-learning, la cui omissione viene lamentata dagli esponenti, si osserva che l'adozione di tali misure è rimessa alla scelta discrezionale del consiglio di classe e che il mancato approntamento delle stesse non appare nella specie irragionevole, perché la studentessa non ha mai evidenziato problemi connessi alla partecipazione alle lezioni in presenza con il resto della classe. Inoltre, contrariamente a quanto adombrato dai deducenti, l'elaborazione di materiali didattici ad hoc per lo studente-atleta non costituisce un obbligo dei docenti. Peraltro, gli insegnanti hanno predisposto e caricato sulla piattaforma informatica "Leomoodle" i materiali relativi agli argomenti trattati a beneficio dell'intera classe, in modo da facilitare tutti gli studenti nello studio individuale. A tale proposito, è irrilevante che le dispense non siano state redatte in via esclusiva per l'allieva impegnata nello sport agonistico, trattandosi comunque di sintesi e/o esercizi utili per la preparazione e l'apprendimento, dei quali la ragazza ha fruito solamente fino al 24 marzo 2023 (data del suo ultimo collegamento alla piattaforma durante l'anno scolastico: v. doc. 19 ricorrenti). 4.2. Gli allegati inadempimenti della scuola agli obblighi assunti con il PFP sono rimasti indimostrati. Dopo l'attivazione del progetto, le verifiche sono state somministrate nelle date programmate con congruo anticipo, in considerazione degli impegni sportivi della studentessa. In particolare, per la lingua straniera i compiti in classe e le interrogazioni hanno avuto luogo nei giorni del 3 marzo, 13 aprile, 18 aprile, 11 maggio e 6 giugno (v. registro elettronico, sub doc. 5 ricorrenti): orbene, in nessuna di tali date è stata disputata una gara cui ha partecipato l'alunna, né per il campionato della Prima Divisione (serie -OMISSIS-), né per quelli minori (-OMISSIS-) (v. doc. 7 ricorrenti). -OMISSIS-on riferimento alla prova del 6 giugno, effettivamente sarebbe stato preferibile fissarla in un giorno differente, dato che il -OMISSIS-di -OMISSIS-atania. Tuttavia, il risultato negativo conseguito in tale occasione non è stato determinante per la bocciatura, perché l'esame di riparazione del 28 agosto 2023, calibrato sugli obiettivi minimi di apprendimento per il secondo anno di corso, è risultato comunque gravemente insufficiente, avendo la studentessa commesso gravi errori grammaticali nell'utilizzo delle forme verbali di base, nell'ortografia e nella sintassi, oltre ad aver impiegato un lessico spesso inappropriato (cfr. doc. 9 resistente). Parimenti, per la matematica non vi è stata coincidenza tra i giorni delle verifiche, ossia -OMISSIS-. In ogni caso, la giurisprudenza ha sancito che, anche per gli studenti-atleti (come per gli alunni con disturbi dell'apprendimento), vale il principio secondo cui le eventuali carenze della scuola nella predisposizione ed attuazione delle misure attinenti al progetto didattico personalizzato non sono di per sé sufficienti a giustificare o a modificare l'esito negativo delle prove di esame, non essendo possibile il passaggio alla classe superiore con un rendimento scolastico inadeguato, "perché anche qui ricorre la medesima esigenza di fondo di ammettere alla classe successiva, anche e soprattutto per il loro interesse, solo i soggetti che hanno raggiunto una preparazione sufficiente a rendere possibile l'attuazione del programma formativo proprio della classe superiore" (così -OMISSIS-ons. St., sez. I, parere n. 706 in data 15 maggio 2023). 5. Il motivo IV-a) è inaccoglibile. I voti attribuiti ai compiti di matematica del -OMISSIS- sono inequivocabilmente quelli segnati a penna rossa in calce, vale a dire, rispettivamente, 6+ e 5½ (v. docc. 8-9 ricorrenti), corrispondenti a quelli riportati sul registro elettronico (doc. 11 resistente). Risulta, invece, irrilevante il diverso voto originariamente segnato a matita e poi cancellato: come spiegato dall'Amministrazione resistente, la docente usa apporre in prima battuta un punteggio provvisorio, che poi conferma o modifica a seguito di un'analisi approfondita degli elaborati. 6. Infine, i mezzi V) e VI) non sono fondati. L'art. 4, comma 5, del d.p.r. n. 122/2009, relativo alla valutazione degli alunni nella scuola secondaria di secondo grado, stabilisce che sono ammessi alla classe successiva gli studenti che ottengono una votazione non inferiore a sei decimi in ciascuna disciplina. Pertanto, secondo consolidato indirizzo pretorio, possono conseguire la promozione solo gli alunni che, a seguito delle valutazioni effettuate durante l'anno scolastico ovvero in sede di prove di recupero, abbiano dimostrato di possedere un'adeguata preparazione in tutte le materie, riportando una votazione finale sufficiente in ciascuna di esse (cfr., ex multis, -OMISSIS-ons. St., sez. I, parere n. 172 in data 21 febbraio 2024; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. V, 22 marzo 2024, n. 858, concernente la bocciatura di uno studente del liceo scientifico che aveva riportato gravi insufficienze in matematica ed in inglese; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. V, 15 gennaio 2024, n. 76; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. V, 1° dicembre 2023, n. 2908). Dunque, nella seduta straordinaria del-OMISSIS- il consiglio di classe ha rinnovato il giudizio alla stregua dei criteri tracciati nell'ordinanza n. 296/2023, formulando una valutazione complessiva del rendimento scolastico dell'allieva e tenendo conto della sua concomitante attività sportiva. Segnatamente, i docenti hanno deciso all'unanimità di bocciare la studentessa per le sue profonde lacune in matematica - che è disciplina di indirizzo - ed in inglese: in tali materie, infatti, l'alunna ha conseguito il voto 4, non avendo raggiunto le conoscenze e competenze basilari indispensabili per affrontare l'impegnativo triennio del liceo scientifico. L'organo collegiale ha, altresì, evidenziato che il giudizio di non ammissione è giunto all'esito di un percorso scolastico segnato da parecchie mancanze nelle due materie in parola e da incertezze anche in fisica, tanto che la ragazza era stata ammessa alla classe seconda in seguito allo scrutinio differito di agosto 2022 ed a maggioranza (v. docc. 18 e 25 resistente). Del resto, fin dall'inizio dell'a.s. 2022/2023 il consiglio di classe aveva incluso l'alunna fra gli studenti in difficoltà partecipanti al progetto del c.d. peer tutoring (v. doc. 2 resistente); nel corso dell'anno, poi, erano state ribadite le carenze dell'allieva, inserendola anche nei corsi di recupero (v. doc. 3 resistente). Per quanto concerne il coordinamento con l'attività sportiva agonistica, si è dato atto che tutti gli insegnanti hanno applicato le misure personalizzate previste nel PFP, in conformità alle indicazioni ricevute dal "Tutor scolastico", programmando le date delle verifiche scritte e orali d'intesa con l'alunna. L'osservazione sulla mancata presentazione del calendario delle gare e degli allenamenti da parte della studentessa è volta semplicemente a contrastare la doglianza secondo cui il liceo avrebbe pretermesso gli impegni sportivi della ragazza, ma, come si è visto (supra, § 4.2), in realtà non si sono mai verificate sovrapposizioni tra le prove scolastiche ed i match pallavolistici. Infine, i docenti hanno rilevato che l'alunna si è avvalsa in maniera discontinua sia delle dispense caricate sulla piattaforma online, sia del corso di recupero di matematica espletato dall'istituto. 7. In relazione a quanto precede, il ricorso introduttivo deve essere dichiarato improcedibile, mentre il ricorso per motivi aggiunti si appalesa infondato e va, quindi, rigettato. 8. In considerazione della natura della controversia, sussistono giustificati motivi per compensare integralmente le spese di lite tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso introduttivo e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, così dispone: - dichiara improcedibile il ricorso introduttivo; - rigetta il ricorso per motivi aggiunti. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del -OMISSIS-onsiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità della parte ricorrente. -OMISSIS-osì deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 5 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati: Giuseppe Caruso - Presidente Liliana Felleti - Primo Referendario, Estensore Marcello Bolognesi - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta da Dott. SARNO Giulio - Presidente Dott. GALTERIO Donatella - Consigliere Dott. PAZIENZA Vittorio - Consigliere Dott. GALANTI Alberto - Relatore Dott. AMOROSO Maria Cristina - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA Sui ricorsi presentati da 1. Procuratore della Repubblica di Torino; 2. Di.Gi., nato a B il(Omissis). avverso l'ordinanza del Tribunale del riesame di Torino del 29/02/2024. visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Alberto Galanti; lette, in riferimento al proc. n. 11773/2024, le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Aldo Esposito, richiamate in udienza dal P.G., che ha concluso per l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata. udite le conclusioni del Procuratore generale, D.ssa Cinzia Parasporo, in riferimento al proc. n. 19327/2024, che ha concluso per l'annullamento con rinvio limitatamente alla procedibilità del delitto di cui al capo D), con rigetto nel resto. udito, per l'indagato, l'Avv. Ma.Ca. del Foro di Torino, che ha insistito per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO . Con ordinanza del 29/02/2024, il Tribunale del riesame di Torino, in parziale riforma dell'ordinanza emessa dal GIP presso il Tribunale di Torino in data 30 gennaio 2024 - annullava la misura disposta dal GIP in riferimento ai capi B) (violenza sessuale aggravata) e C) (atti persecutori), previa riqualificazione degli stessi in violazione dell'articolo 660 cod. pen., fatta eccezione per gli episodi contestati a Bo.Ca., riqualificati questi ultimi in violazione dell'ultimo comma dell'articolo 609-bis cod. pen.; - sostituiva, in relazione ai capi A) e D) (impugnati dal solo Di.Gi.), in relazione ai quali confermava la sussistenza della gravità indiziaria, la misura degli arresti domiciliari con il regime cautelare cumulativo rappresentato dal divieto di dimora nel territorio della regione Piemonte e dalla misura interdittiva del divieto di esercitare uffici direttivi presso persone giuridiche e imprese per la durata di mesi dodici. 2. Avverso tale ordinanza propongono ricorso sia il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino che l'indagato. 3. Il ricorso del Procuratore della Repubblica. 3.1. Con il primo e con il secondo motivo di ricorso deduce violazione di legge e assenza di motivazione in ordine al reato di cui all'art. 609-bis cod. pen. Evidenzia in primo luogo come l'ordinanza non consideri il "distretto corporeo" attinto dalla condotta dell'indagato, aspetto decisivo che risulta totalmente negletto dal Tribunale, che affronta tutti i fatti contestati in termini generali, declassando (ad eccezione del caso di Bo.Ca.) il reato contestato in quello di molestie sessuali senza operare distinzione alcuna sulla base di criteri oggettivi, bensì unicamente enfatizzando il dato "caratteriale" (soggetto espansivo) e "geografico" (meridionale) dell'indagato. Confonde quindi, in un unico contenitore, i contatti avvenuti corpore corpori su zone erogene, su zone non direttamente erogene e condotte che non sono consistite in contatti corporei, che sono state oggetto di contestazione solo sotto il profilo dell'articolo 612-bis cod. pen. Evidenzia come la giurisprudenza della Cassazione, in caso di toccamenti "non casuali", si sia posta il problema della natura tentata o consumata del reato di cui all'articolo 609-bis cod. pen., ma non certo della sussistenza della contravvenzione di cui all'articolo 660 cod. pen., limitata ai casi di assenza di contatto. Inoltre, pur sottolineando la necessità, laddove il contatto abbia per oggetto zone "non erogene", di una "analisi di contesto", l'ordinanza impugnata non la opera, omettendo di valorizzare circostanze fondamentali quali - il contesto accademico, e non certo amicale, in cui le condotte sono state perpetrate, in cui l'indagato si trovava in una posizione di superiorità gerarchica ed era in grado di influenzare la vita lavorativa delle specializzande; - la totale assenza di un rapporto biunivoco di confidenza, preteso abusivamente dall'indagato ma mai concesso dalle persone offese (v. s.i.t. Ca. e To.Ed.); - le reazioni delle persone offese e l'impatto emotivo cagionato alle stesse (degradato a mera "interpretazione retrospettiva"); - il fatto che le condotte fossero spesso poste in essere di fronte a medici strutturati e specializzandi maschi, a testimonianza della finalità di umiliazione delle condotte, che, seppure estranea al tipo legale, ne colora l'intensità del dolo. Né è stato poi considerato che, in numerose occasioni, l'atto è stato posto in essere in modo "insidioso e rapido". Inoltre, l'ordinanza fa riferimento esplicito esclusivamente alla parte di imputazione concernente Ce.Gr. e Bo.Ca., omettendo completamente di motivare in riferimento alle persone offese Gr.Va., Tr.Ma., Ma.Gi. e Po.Al. a fronte di una ordinanza genetica che ha ricostruito e valutato analiticamente tutti i singoli episodi. Da ultimo, omette qualsiasi riferimento al copioso materiale captativo, oggetto di ampia valutazione da parte del GIP. 3.2. Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione in riferimento alla contestata accusa di atti persecutori di cui al capo C). Il Tribunale del riesame esclude la sussistenza del reato ritenendo che condotte non siano state "sistematicamente e preordinatamente persecutorie", né in grado di alterare le abitudini di vita delle persone offese, non potendosi considerare tale la precauzione di non indossare abiti "particolarmente succinti". Evidenzia il ricorrente che ben altre erano le precauzioni adottate dalle giovani persone offese (camminare sempre dietro il professore, non entrare mai da sole nelle stanze ove si trovava lui, evitare qualsiasi occasione conviviale, ecc.), che mai le stesse hanno dichiarato di vestirsi, in precedenza, in modo "particolarmente succinto", e che non è stato neppure valorizzato lo stato di ansia che affliggeva la Po.Al., costretta a prendere dello Xanax a causa delle condotte del Di.Gi. Anche in questo caso, poi, l'ordinanza effettua una valutazione globale dei fatti, senza analizzare le singole posizioni. 3. Il ricorso di Di.Gi. 3.1. Con il primo motivo lamenta violazione ed erronea applicazione degli artt. 43 e 479 c.p. (capo A), contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, anche per travisamento. La disciplina dell'accreditamento delle Scuole di specializzazione prevede sia degli "standard specifici assistenziali" della struttura di sede della rete formativa (ali. 1, decr. interm. n. 402/2017) che dei "requisiti specifici assistenziali" della complessiva rete formativa (ali. 2, decr. interm. cit.). Per quanto riguarda il primo profilo di falsità, lo standard specifico assistenziale oggetto di contestazione riguarda l'attività "necrosettoria" svolta presso la struttura di sede della Scuola di specializzazione in Medicina Legale, locuzione più ampia di quanto inteso dall'autorità procedente e dal Tribunale del Riesame, e che comprende, quantomeno, le attività settorie rappresentate dalle autopsie giudiziarie e dai riscontri diagnostici, per le cui definizioni si rimanda alla scienza ed alla normativa di settore. In altri termini, l'attività necrosettoria prevista per l'accreditamento non comprende unicamente le autopsie giudiziarie (quelle indicate nel capo d'imputazione) bensì anche i riscontri diagnostici effettuati presso la struttura di sede della Scuola di specializzazione, rappresentata dalla Città della Salute e della Scienza di Torino (struttura comprensiva di ben quattro presidi ospedalieri Molinette, Sant'Anna. Regina Margherita e Centro Traumatologico Ortopedico), come ampiamente dedotto nelle note d'udienza difensive rassegnate al Tribunale del Riesame. L'attività di riscontro diagnostico è riconducibile principalmente alla struttura di Anatomia Patologica, ma alla stessa partecipano abitualmente gli strutturati e gli specializzandi di Medicina Legale, in un'ottica di sinergia tra le competenze affini presenti presso il medesimo presidio ospedaliero. Si manifesta a questo punto un primo evidente errore in cui è incorso il Tribunale del Riesame (pag. 6), nel momento in cui ha confuso l'attività di riscontro diagnostico (attività settaria vera e propria) con quella di "visita necroscopica" trattasi di una manifesta contraddittorietà della motivazione che pregiudica la tenuta complessiva del provvedimento rispetto al capo A) dell'imputazione provvisoria. Nell'ordinanza impugnata (pag. 6) viene citata un'intercettazione (progr. 323 del 20 aprile 2023, doc. 2) intercorsa tra il prof. Ro. (divenuto nel frattempo il nuovo direttore della Scuola di specializzazione in Medicina Legale di Torino") e la prof.ssa Pe. (direttrice di quella di Bologna) di cui è stata evidentemente data un'interpretazione del tutto erronea. Infatti, la prof.ssa Pe. afferma in realtà che i riscontri diagnostici rientrano a pieno titolo nell'attività settaria, mentre secondo la stessa unicamente le visite necroscopiche (confuse dal Tribunale del Riesame con i riscontri diagnostici) non vi rientrano. La riconducibilità dell'attività di riscontro diagnostico a quella necrosettoria, ai fini della procedura di accreditamento della Scuola di specializzazione in medicina legale, è peraltro confermata anche dal Prof. De. (s.i.t. 7 giugno 2023), per il quale sarebbe però necessario stipulare una convenzione con Anatomia Patologica, che diventerebbe struttura complementare della struttura di sede. Tale affermazione desta qualche perplessità, in quanto la struttura di Anatomia Patologica è presente nella stessa struttura di sede di Medicina Legale (Città della Salute e della Scienza), anzi nello stesso presidio ospedaliero (Le Molinette). ma in ogni caso tale affermazione disvela, al più, la natura meramente formale/burocratica della questione, con riflessi sia sul piano oggettivo sia su quello soggettivo del reato. Ai fini della conferma del convincimento in capo al prof. Di.Gi. del fatto che anche i riscontri diagnostici rientrassero nell'attività necrosettoria, rappresentando insieme alle autopsie giudiziarie il complessivo "potenziale formativo" offerto dalla struttura di sede agli specializzandi, vi è una mail risalente al 2016 - prodotta in sede di udienza e rientrante nel n. 1 di quelle produzioni documentali - che il Tribunale del Riesame non ha preso in alcuna considerazione. Nel provvedimento impugnato viene attribuito alto valore indiziario al documento datato 18 luglio 2022, a firma dello stesso prof. Di.Gi., relativo all'anno 2021, in cui compariva la seguente dicitura "necrosettoria (+visite necroscopiche) n. 31 (+ 1748) "in esso viene esplicitato, infatti, che il numero di autopsie effettuato dalla Scuola annualmente era di gran lunga inferiore al numero di 150 fatto indicare nella Banca dati tanto da inserire come voce aggiuntiva le attività necroscopiche" (pag. 3 motivazione). Tale affermazione risente dell'errore di fondo del provvedimento impugnato, secondo cui, i riscontri diagnostici non rientrerebbero nell'attività settoria. Infatti, quel documento, laddove ci si riferisce a n. 31 autopsie giudiziarie, era mancante del dato rappresentato dai riscontri diagnostici effettuati nel 2021 presso la Città della Salute e della Scienza di Torino, e tale dato veniva fornito con la comunicazione del 26 luglio 2023, sempre a firma del prof. Di.Gi. (dall'oggetto comunicazione dei flussi 2021), in cui si specificava quanto segue per l'anno 2021 "2029 decessi, comprendenti 1748 visite necroscopiche e 281 riscontri diagnostici/autopsie giudiziarie". Pertanto, anche a non voler tener conto delle visite necroscopiche, per l'anno 2021 i riscontri diagnostici/autopsie giudiziarie effettuate presso la Città della Salute superano abbondantemente il numero minimo di 150. Il secondo profilo dì falsità contestato attiene al numero di attività necrosettorie svolte presso la complessiva rete formativa della scuola di specializzazione (requisiti specifici assistenziali), rappresentata dalla struttura di sede e dalle strutture collegate, che la normativa di settore, fino all'anno scorso, prevedeva in un numero pari ad un minimo di 1500 (ali. 2, decr. interm. cit., pag. 555), evidentemente sproposito in quanto la struttura di sede (ovvero la struttura principale della rete formativa) prevedeva un numero minimo di 150 di attività necrosettorie, mentre le strutture collegate (quelle che andavano ad integrare la rete formativa) non avevano neppure un numero minimo di attività necrosettoria da soddisfare, tanto che l'ultima banca dati aperta dal Ministero dell'università e della ricerca - relativa all'anno accademico 2022/23, nel quale sono stati riportati i dati del 2021 - ha ricondotto in termini ragionevoli (n. 300) il numero minimo di attività necrosettorie che deve soddisfare la rete formativa della scuola di specializzazione, ovvero il doppio del numero minimo della struttura di sede e non più il decuplo. Il provvedimento del Tribunale del Riesame è anche sul punto manifestamente illogico, in quanto, nonostante sollecitato sul punto anche dalle note d'udienza prodotte in sede di discussione, non ha minimamente affrontato il tema della disciplina evidentemente distonica vigente all'epoca e non ha tenuto adeguatamente conto delle dichiarazioni rese sul punto dall'indagato. Infine, quanto al mancato accreditamento della Scuola di specializzazione in medicina legale di Torino (decisione peraltro assunta senza un adeguato, approfondimento), che secondo il provvedimento impugnato avvalorerebbe la tesi del falso ideologico commesso in passato dal Di.Gi., ad una più attenta analisi, lo stesso tutt'al più avvalora la tesi del comportamento colposo dell'indagato, in quanto il tutto appare nuovamente riconducibile alla mancata convenzione con la struttura di Anatomia Patologica. 3.2. Con il secondo motivo lamenta violazione ed erronea applicazione dell'art. 612-bis c.p. (capo D), contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, anche per travisamento delle s.i.t. rese da To.Ed. il 9.5.2022 e da Bo.Lu. il 10.5.2022 e dello scambio di mail intercorso tra il prof. Ro. e il prof Di.Gi. Preliminarmente, il ricorrente eccepisce la contraddittorietà della motivazione, nella parte in cui da un lato dà conto di un "clima di forte conflittualità interno alla Scuola e all'Università con l'emergere quasi di vere e proprie "fazioni" prò e contro Di.Gi.", sì che si rende "imprescindibile anche in questo ambito uno scrupoloso approfondimento/verifica nel contraddittorio fra le parti (pubblica e privata) delle fonti dichiarative che costituiscono i principali (anche se non esclusivi) elementi indiziari a fondamento di questa ipotesi accusatoria" (pag. 16 ordinanza), mentre, dall'altro lato, contraddittoriamente e apoditticamente, ritiene "attendibilmente convergenti" quelle stesse dichiarazioni (pag, 16 ordinanza). Il profilo di contraddittorietà riscontrato, peraltro, riguarda anche il passaggio motivazionale che raccomanda, in relazione ai reati di violenza sessuale e stalking contestati ai capi B) e C), una certa cautela nel valutare l'attendibilità delle fonti dichiarative - in alcuni casi, peraltro, coincidenti con quelle che fondano la contestazione sub D) (v. ad esempio Ce.Gr.) - raccolte in questa fase processuale "fisiologicamente... in assenza di contraddittorio". Il ricorrente eccepisce in primo luogo un grave vulnus della contestazione, la quale lungi dall'identificare compiutamente le presunte persone offese, dopo una esemplificativa elencazione, si riferisce "in generale" agli "studenti del terzo/quarto anno (anno 2021/2022)". Ciò premesso la verifica della configurabilità, allo stato, di gravi indizi di colpevolezza del reato di stalking commesso nei confronti di alcuni specializzandi, non fa corretta applicazione dei principi posti dalla giurisprudenza di legittimità in merito agli elementi costituivi del reato di cui all'art. 612-b/s c.p., secondo cui ai fini dell'integrazione della fattispecie è imprescindibile l'accertamento della verificazione di uno degli eventi tipici della fattispecie. Evidenzia il ricorrente che il delitto di stalking commesso in ambito occupazionale non si risolve nell'accertamento di una situazione di ed. "mobbing lavorativo". La rilevanza penale della condotta di mobbing lavorativo si ravvisa ove nella specie siano integrati gli elementi costitutivi delle fattispecie di maltrattamenti ovvero di stalking. In quest'ultimo caso, la differenza tra mobbing e stalking lavorativo si apprezza proprio per la presenza, in questo secondo caso, di uno dei tre eventi contemplati dalla norma penale. Nel caso di specie non si ravvisa nell'accertamento condotto dall'ordinanza impugnata alcun riferimento concreto alla verificazione, per ciascuna delle persone offese indicate in contestazione, di uno dei summenzionati eventi del reato. E ciò neppure nella forma indiziaria. Inoltre manca, quantomeno in alcuni casi, l'accertamento della reiterazione delle condotte. In relazione alle persone offese espressamente prese in esame dall'ordinanza impugnata alle pagine 17 e 18 (v. Bo.Ca., che peraltro frequentava nel 2022 il secondo anno di corso, o la dottoressa Bo., la quale avrebbe riferito, in un colloquio con la collega Ca.Fr., di una singola minaccia asseritamente pronunciata dall'indagato) non si ravvisa un accertamento della reiterazione e, quindi, della abitualità della condotta, imprescindibile, come sopra osservato, ai fini dell'integrazione del reato di stalking. L'ordinanza parla di "pesanti ripercussioni per il loro futuro formativo/professionale (in alcuni casi, come visto, concretamente verificatesi; in altri comunque temute seriamente e comprensibilmente, proprio per il loro futuro occupazionale fisiologicamente incerto e in divenire) in termini di alterazioni delle abitudini di vita e/o di grave e perdurante stato di ansia" (pag. 20 ordinanza impugnata). Ora, preliminarmente si osserva che l'evento costituito dal "perdurante e grave stato di ansia o di paura" non risulta oggetto di contestazione con riferimento ad alcuna delle persone offese. Quanto all'alterazione delle abitudini di vita, la nozione appare radicalmente travisata dal Giudice del Riesame. Tale evento non può risolversi nella mera e inevitabile conseguenza di una singola azione dell'autore del reato, nel senso della costrizione della vittima ad uno specifico comportamento (in ciò risiede la differenza tra l'evento del reato di atti persecutori - sub specie alterazione delle abitudini di vita - e quello del reato di violenza privata). Scarsamente significativo ai fini dell'accertamento dell'evento del reato appare il riferimento a non meglio specificate "ripercussioni" per il "futuro formativo/professionale" di alcuni specializzandi, peraltro non identificati. La stessa mancata specificazione delle persone offese dei reati contestati sub D) osta all'accertamento dell'evento dei reati, posto che, evidentemente, l'accertamento non può che essere specifico ed individualizzato. La stessa contestazione non coglie la natura dell'evento del reato di stalking, posto che esso viene identificato nell'alterazione delle abitudini di vita costituita dal non lavorare più in AOU Città della Salute, nonché nell'essere costretti a svolgere tirocini formativi "extra rete", pur di non pregiudicare la propria formazione. Quest'ultimo punto merita una ulteriore precisazione. Ove anche si ritenga che il fugace riferimento condotto dall'ordinanza impugnata al fatto che le persone offese - peraltro solo alcune - siano state dalla condotta persecutoria dell'indagato costrettela cercare e intraprendere nuove strade" (pag. 19 ordinanza impugnata) sia ricognitivo dell'evento così come descritto nel capo di incolpazione provvisorio, si rileva che, sotto tale aspetto, la motivazione incorra nel vizio di manifesta illogicità, per travisamento della prova. Non può ritenersi che le dichiarazioni degli specializzandi supportino la ricostruzione effettuata - o, meglio, sottointesa - dalla ordinanza impugnata sulla sussistenza dell'evento del reato, ove individuato in particolare nello svolgimento di tirocini formativi extra rete. Sul punto, infatti, in particolare gli specializzandi To.Ed. e Bo.Lu. dichiaravano in sede di s.i.t. esattamente il contrario la loro scelta di iniziare tirocini extra rete e di integrare/continuare la formazione con attività esterne alla Scuola lungi dall'essere una conseguenza del comportamento asseritamente persecutorio dell'indagato, sarebbe stata, nella loro versione, proprio la causa di alcuni dei comportamenti contestati come integranti il reato di stalking. Ma quand'anche si ritenesse che la ricerca di attività al di fuori della Scuola sia imputabile alla volontà del Di.Gi., ciò non sarebbe ancora sufficiente ad integrare l'alterazione delle abitudini di vita rilevante per l'integrazione del reato di stalking. 3.3. Con il terzo motivo lamenta erronea applicazione dell'art. 612-6/s c.p. e mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine all'accertamento della procedibilità dei reati contestati al capo D) dell'imputazione cautelare. In assenza di querele, la procedibilità dei reati di stalking contestati al capo D) è sostenuta dalla pretesa connessione con altro delitto per il quale si procede d'ufficio, quale il falso contestato al capo A). Sul punto, la motivazione dell'ordinanza impugnata appare, da un lato, del tutto carente rispetto alla effettiva sussistenza della connessione tra i due reati e, dall'altro, manifestamente illogica nella parte in cui ravvisa tale vincolo solo per "alcuni" degli specializzandi (pag. 20 ordinanza impugnata), pur ritenendo la procedibilità d'ufficio per la totalità dei reati contestati. Secondo l'ordinanza, infatti, "una delle ragioni (anche se non la sola) che ha animato il Di.Gi. nella politica "mobbizzante" contro altri alcuni specializzandi era proprio relativa alle problematiche autopsie/banca dati/questionari anonimi e l'interesse a non far emergere ad ogni costo le gravi criticità ad esse connesse". Ma nelle pagine 16 e 17 della stessa ordinanza, i motivi indicati a fondamento dei dissidi tra il prof. Di.Gi. e alcuni specializzandi nulla hanno a che vedere con il reato di falso contestato al capo A), in quanto gli stessi vengono indicati nei questionari anonimi, nella presunta illegittimità degli accertamenti di morte encefalica effettuati dagli specializzandi, nella rete formativa esterna e nell'esposto anonimo da cui è scaturito il presente procedimento penale (nel cui contenuto non vi è alcun riferimento alla presunta vicenda dei dati "gonfiati" dell'attività necrosettoria svolta presso la Città della Salute e della Scienza di Torino). Inoltre, nella parte in cui si ravvisa la connessione solo per "alcuni" degli specializzandi, si pone allora la questione di individuare quali tra questi reati siano effettivamente connessi con il reato di falso, posto che, in relazione agli altri, si impone la declaratoria di non procedibilità. 3.4. Con il quarto motivo, lamenta mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine all'accertamento della sussistenza delle esigenze cautelari in relazione ai reati contestati ai capi A) e D). A fondamento della misura cautelare personale applicata il Tribunale del Riesame ravvisa nella specie il pericolo di recidiva e di inquinamento probatorio. Il primo, tuttavia, viene motivato con una argomentazione meramente tautologica che si limita di fatto a sintetizzare le condotte contestate. Inoltre, il rischio di reiterazione del reato di falso è palesemente insussistente, in quanto dal 2022 il prof. Di.Gi. non è più il Direttore della Scuola di specialità in medicina legale (circostanza con la quale il provvedimento impugnato non si confronta), essendo stato sostituito dal prof. Ro., che, infatti, si è già occupato dell'ultima procedura di accreditamento, così come dovrà attendere anche alle prossime (l'incarico è triennale). Per quanto riguarda il capo d), non è stata offerta alcuna risposta a quanto affermato nelle note difensive depositate dinanzi al Tribunale del Riesame, nella parte in cui è stato evidenziato che le presunte persone offese hanno ultimato il loro periodo di specializzazione. Il pericolo di inquinamento probatorio è supportato da una motivazione in parte mancante, nel senso di insufficiente, in parte manifestamente illogica. Sotto il primo profilo si rileva che il preteso "potere intimidativo" (pag. 22 ordinanza impugnata) dell'attuale ricorrente nei confronti delle persone offese/possibili testimoni è apoditticamente supposto, in assenza di un qualsivoglia indice concreto di inquinamento probatorio nel corso del presente procedimento. Sotto il secondo profilo, se il (preteso) potere intimidativo è da legarsi "al suo ruolo di potente professore universitario" (pag. 22 ordinanza impugnata) allora tale potere difficilmente potrà manifestarsi nei confronti di persone che non sono più studenti (rectius specializzandi) o, più in generale, frequentanti l'università e la scuola di specializzazione, quali sono attualmente le persone offese e i potenziali testimoni del processo. 3. All'udienza dell'11 luglio 2024, il Collegio disponeva la riunione dei procedimenti nn. 11773/2024 e 19327/2024, per connessione oggettiva e soggettiva. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Preliminarmente, il Collegio evidenzia come in materia cautelare, pur non potendosi parlare di "doppia conforme", laddove le due ordinanze cautelari pervengano a conclusioni sovrapponibili, seguendo i medesimi passaggi argomentativi (come nel caso di motivazione per relationem), esse si integrano, formando un unicum. In tal senso, la giurisprudenza della Corte ritiene (Sez. 2, n. 672 del 23/01/1998, dep. 1999, Trimboli, Rv. 212768 - 01) che "in tema di motivazione dei provvedimenti cautelari, così come la motivazione del Tribunale del riesame può integrare e completare la motivazione elaborata dal giudice che ha emesso il provvedimento restrittivo, quest'ultima ben può, a sua volta, essere utilizzata per colmare le eventuali lacune del successivo provvedimento; infatti, trattandosi di ordinanze complementari e strettamente collegate, esse, vicendevolmente e nel loro insieme, connotano l'unitario giudizio di sussistenza in ordine ai presupposti di applicabilità della misura cautelare". Analogamente, Sez. 6, n. 32359 del 06/05/2003, Scandizzo, Rv. 226517 - 01, ha ritenuto che il provvedimento del Tribunale del riesame integra e completa quello del giudice che ha emesso l'ordinanza applicativa, purché questa (come in questo caso) contenga le ragioni logiche e giuridiche che ne hanno determinato l'emissione, con la mera esclusione (Sez. 6, Sentenza n. 18476 del 12/12/2014, dep. 2015, Taiani, n.m.) del caso in cui il provvedimento custodiale sia mancante di motivazione in senso grafico oppure ove, pur esistendo materialmente una motivazione, essa si risolva in clausole di stile o in una motivazione meramente apparente e cioè tale da non consentire di comprendere l'itinerario logico-giuridico esperito dal giudice. Le due ordinanze, quindi, andranno considerate unitariamente ai fini di valutare l'ammissibilità e la fondatezza dei motivi di ricorso. 2. Ciò premesso, il ricorso del Procuratore della Repubblica è fondato. I primi due motivi possono essere analizzati congiuntamente in ragione della loro stretta interdipendenza. 2.1. L'ordinanza impugnata fonda il suo giudizio su due elementi fondamentali, uno di carattere metodologico, l'altro "di contesto". Quanto al primo aspetto, dopo aver premesso in via generale di voler escludere "manicheistiche enfatizzazioni" (pag. 5), il riesame evidenzia programmaticamente che i capi B) e C) in rubrica sono caratterizzati da "evidente ipertrofia contestatoria da parte della pubblica accusa" (pag. 10), con un "livellamento indiscriminato verso l'alto" delle condotte contestate, laddove "molte delle condotte potenzialmente in rilievo hanno... dei contorni sfumati e per certi versi di difficile decifrazione sul piano oggettivo e soggettivo", con conseguente "eticizzazione del rimprovero e aticipizzazione delle imputazioni". Quanto al secondo aspetto, il provvedimento aderisce alla argomentazione difensiva secondo cui (pag. 12) molti dei comportamenti contestati al Di.Gi. erano in realtà ascrivibili alla sua origine geografica (meridionale), "alla sua indole espansiva e naturalmente portata alla confidenza e a gesti affettuosi volti ad esprime(re) incoraggiamento e stima per il lavoro e la formazione in essere". Tale motivazione non fà buon governo dei principi stabiliti da questa Corte nella materia in esame, sotto diversi e convergenti profili. Coglie nel segno, infatti, il ricorrente pubblico ministero laddove, per un verso, sottolinea che il Tribunale ha effettuato una valutazione di carattere generale senza analizzare le singole condotte relative alle singole persone offese (contrariamente all'ordinanza genetica); nonché laddove, per altro verso, evidenzia che la nozione di "atto sessuale" è radicata su elementi "oggettivi", così come la distinzione tra molestie sessuali, da un lato, e violenza sessuale, in forma consumata o tentata, dall'altro, e non anche su elementi marcatamente soggettivi quali quelli evidenziati dal provvedimento impugnato. 2.2. Sotto tale secondo profilo è stato infatti chiarito da questa Corte (v., ex plurimis, Sez. 3, n. 43423 del 18/09/2019, P., Rv. 277179 - 01) che rientra nell'accezione di "atto sessuale", rilevante ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 609-bis cod. pen., non soltanto ogni forma di "congiunzione carnale", ma altresì qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo, ancorché fugace ed estemporaneo, tra soggetto attivo e soggetto passivo, o comunque coinvolgente la corporeità sessuale di quest'ultimo, sia finalizzato ed idoneo a porre in pericolo la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo nella sua sfera sessuale, non avendo rilievo determinante, ai fini del perfezionamento del reato, la finalità dell'agente e l'eventuale soddisfacimento del proprio piacere sessuale (Sez. 3, n. 33464 del 15/06/2006- dep. 05/10/2006, Beretta, Rv. 234786; Sez. 3, n. 21020 del 28/10/2014 - dep. 21/05/2015, Rv. 263738). Ed infatti, essendo il reato in esame posto a presidio della libertà personale dell'individuo, che deve poter compiere o ricevere atti sessuali in assoluta autonomia e nella pienezza dei propri poteri di scelta contro ogni possibile condizionamento, fisico o morale, e contro ogni non consentita e non voluta intrusione nella propria sfera intima, tale configurazione si riflette necessariamente sulla natura dell'atto in cui si estrinseca la condotta materiale dell'agente, avuto riguardo alla sua ambivalenza che, al di là dell'intendimento perseguito dal suo autore, ricade comunque sulla vittima. È perciò dalla stessa natura del bene giuridico protetto che deve ricavarsi la natura sessuale del gesto tutte le volte in cui lo stesso, pur concretizzandosi in un contatto corporeo, attinge parti che non necessariamente rientrano in quelle tradizionalmente definite come "erogene" (ove la natura sessuale dell'atto è indiscussa), essendo la sfera della sessualità, che non resta confinata sul piano strettamente fisico ma involge anche la sfera psichica e quella emotiva, suscettibile di modularsi diversamente in relazione ai valori del comune sentire che si consolidano nello specifico contesto storico, culturale e sociale di riferimento. Come evidenziato dalla citata sentenza 43423/2019, oltre agli atti di inequivoca valenza sessuale in ragione delle parti corporee coinvolte (zone genitali o comunque erogene) esiste, nella realtà fenomenica, una "zona grigia" comprensiva di quegli atti che, per il loro carattere ambivalente (ovverosia per le diverse finalità di cui possono essere, in astratto, espressione), che ne impone una necessaria opera di decodificazione. In tali casi, la riconducibilità alla dimensione sessuale degli atti rivolti al soggetto passivo, deve costituire oggetto di accertamento da parte del giudice del merito, secondo una valutazione chÈ tenga conto della condotta nel suo complesso, del "contesto sociale e culturale" in cui l'azione è stata realizzata, della sua "incidenza sulla libertà sessuale" della persona offesa, del "contesto relazionale" intercorrente tra i soggetti coinvolti e di ogni altro dato fattuale qualificante (Sez. 3, n. 964 del 26/11/2014- dep. 13/01/2015, R, Rv. 261634). Con specifico riferimento al "bacio", in particolare, la giurisprudenza di questa Corte è uniformemente orientata nel ritenerlo quale "atto sessuale" anche nel caso in cui si risolva nel semplice contatto delle labbra (Sez. 3 n. 41536, 29 ottobre 2009, non massimata; Sez. 3, n. 25112 del 13/02/2007- dep. 02/07/2007, Greco, Rv. 236964, in cui si è sottolineata l'irrilevanza di distinzioni fondate sull'intensità dell'atto), mentre in altra occasione si è ritenuta la natura di atti sessuali in riferimento ad una serie ripetuta di baci da parte dell'agente nei confronti della vittima, non implicanti alcun contatto con le zone erogene (Sez. 3, n. 10248 del 12/02/2014, M, Rv. 258588, relativa ad un caso simile al presente, in cui un preside aveva ripetutamente abbracciato e baciato sulle guance un'alunna in luoghi appartati, trattenendola per i fianchi, chiedendole di baciarlo e rivolgendole apprezzamenti per il suo aspetto fisico). Conclusivamente, per decifrare il significato di "atto sessuale" è necessario fare riferimento sia ad un criterio oggettivistico-anatomico (parti del corpo attinte) e sia ad un criterio oggettivistico-contestuale, che tenga conto cioè del "contesto di azione", in maniera che dalle modalità della condotta nel suo complesso e da altri elementi significativi si accerti se vi sia stata o meno una indebita compromissione della libera determinazione della sfera sessuale altrui (Sez. 3, n. 35591 del 11/05/2016, Feliciani. Rv. 267647 - 01). Valutazione, questa, che il provvedimento impugnato ha omesso di operare, fermandosi a profili di carattere generale e squisitamente soggettivi (provenienza geografica e temperamento dell'agente). 2.3. Il provvedimento impugnato merita censura anche sotto il profilo della qualificazione degli atti posti in essere dall'indagato nei confronti delle persone offese. Ed infatti, in relazione alle modalità di estrinsecazione della condotta, l'orientamento di questa Corte (Sez. 3, n. 43617 del 15/09/2021, Hladun, n.m.), che il Collegio condivide e ribadisce, è nel senso che l'espressione "atti sessuali" comprenda tutti quegli atti che (tramite violenza, minaccia, induzione o abuso di autorità) "siano idonei a compromettere la libera determinazione della sessualità della persona e ad invadere la sua sfera sessuale". Il concetto di violenza, in particolare, ricomprende al suo interno non solo le esplicazioni di energia fisica direttamente realizzate sulla persona offesa e volte a vincere la resistenza opposta dalla stessa, ma anche qualsiasi atto o fatto cui consegua la limitazione della libertà del soggetto passivo, in tal modo costretto a subire atti sessuali contro la propria volontà (Sez. 3, n. 6643 del 12/01/2010, C., Rv. 246186). Il delitto in esame, inoltre, non necessita di una violenza tale da porre il soggetto passivo nell'impossibilità di opporre resistenza, essendo sufficiente che l'azione si compia in modo insidiosamente rapido, tanto da superare la volontà-contraria della vittima. Ne consegue che, in tema di violenza sessuale, vanno considerati atti sessuali anche quelli insidiosi e rapidi, che riguardino zone erogene su persona non consenziente come palpamenti, sfregamenti, baci (Sez. 3, n. 42871 del 26/09/2013, Z., Rv. 256915). Non si richiede pertanto che la violenza sia tale da annullare la volontà del soggetto passivo, ma è sufficiente che la volontà risulti coartata e che, di conseguenza, l'invasione della sera sessuale non sia voluta dalla vittima. Caratteristica, questa, comune a tutte le imputazioni contestate al Di.Gi. al capo B), con il cui contenuto il provvedimento impugnato si confronta in termini assolutamente generici e non conformi alla citata giurisprudenza di questa Corte. 2.4. Il Collegio evidenzia altresì che, per i c.d. "toccamenti", vale il principio secondo il quale questi debbano considerarsi atti idonei in modo non equivoco (e quindi integranti il delitto tentato di violenza sessuale) a ledere la libertà sessuale della vittima ove riguardino parti corporee diverse da quelle genitali od erogene allorché, per cause indipendenti dalla propria volontà (pronta reazione della vittima o per altre ragioni), l'agente non riesca a toccare la parte corporea intima della persona presa di mira ovvero non abbia provocato un contatto di quest'ultima con le proprie parti intime (Sez. 3, n. 17414 del 18/02/2016 - dep. 28/04/2016, F, Rv. 266900). In altre pronunce si è affermato (Sez. 3, n. 43617 del 15/09/2021, Hladun, citata) che il discrimen esistente tra la fattispecie di violenza sessuale tentata e quella consumata è costituito dalla concreta intrusione dell'agente nella sfera sessuale della vittima, arrestandosi il fatto allo stadio di tentativo solo nel caso in cui "la materialità degli atti - pur giudicati idonei ad inserirsi in una serie causale indirizzata in modo non equivoco alla commissione del reato in questione -non sia pervenuta sino al contatto fisico con il corpo della vittima (Cass. pen., Sez. Ili, sent. n. 38926/2018). Nell'ambito del tentativo di violenza sessuale, inoltre, la prova della specifica finalità perseguita dall'aggressore può essere desunta da elementi esterni alla condotta tipica e sussiste anche quando, pur in assenza di un contatto fisico tra imputato e vittima, la condotta assunta risulti sintomatica dell'intenzione di appagare i propri istinti sessuali (Cass. pen., Sez. 3, sent. n. 45698/2001)". Diversa è la qualificabilità del fatto allorquando si tratti del bacio, che di per sé può comportare, indipendentemente dalla zona corporea che viene attinta, il coinvolgimento della dimensione sessuale della vittima atteso il diverso significato e la conseguente valenza che è suscettibile di assumere nel rapporto interpersonale, e che pertanto rientra, valutato il contesto di riferimento, nel delitto in esame nella forma consumata. Appare quindi corretta la doglianza del ricorrente pubblico ministero laddove evidenzia che la distinzione, operata dal costante orientamento della Corte, tra "concreta intrusione" o meno nella sfera sessuale della vittima non concerne la possibilità di ri-qualificazione del fatto ai sensi dell'articolo 660 cod. pen., bensì la distinzione tra forma tentata e forma consumata del delitto di cui all'articolo 609-bis cod. pen. Per conseguenza, il Collegio ribadisce i seguenti principi - la condotta sanzionata dall'articolo 609-bis cod. pen. comprende qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo, pur se "fugace" ed "estemporaneo" (i.e. "repentino"), tra soggetto attivo e soggetto passivo del reato, ovvero in un coinvolgimento della sfera fisica di quest'ultimo, ponga in pericolo la libera autodeterminazione della persona offesa nella sfera sessuale. La valenza sessuale del contatto è indiscussa e indiscutibile ove si tratti di organi genitali o zone erogene (ivi comprese le labbra, sia della vittima che dell'agente di reato), mentre, negli altri casi, sarà frutto di un accertamento di fatto che tenga conto del contesto sociale e culturale in cui l'azione è stata realizzata, della sua incidenza sulla libertà sessuale della persona offesa, del contesto relazionale intercorrente tra i soggetti coinvolti e di ogni altro dato fattuale qualificante; - l'atto deve essere definito come "sessuale" sul piano obiettivo, non su quello soggettivo delle intenzioni dell'agente. Se, perciò, il fine di concupiscenza non concorre a qualificare l'atto come sessuale, il fine ludico o di umiliazione della vittima non lo esclude (Sez. 3, n. 13278 del 12/03/2021, P.M. in proc. Luqari. n.m.; Sez. 3, n. 25112 del 13/02/2007, Rv. 236964; Sez. 3, n. 35625 del 11/07/2007, Polifrone. Rv. 237294); - il delitto di violenza sessuale si esprime in forma tentata quando, pur in mancanza del contatto fisico tra imputato e persona offesa, la condotta tenuta dal primo si estrinseca nel compimento di atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere, con violenza o minaccia, il soggetto passivo a subire atti di valenza sessuale, accompagnato dal requisito soggettivo dell'intenzione di raggiungere l'appagamento dei propri istinti sessuali e quello oggettivo dell'idoneità a violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale (Sez. 3, n. 34128 del 23/05/2006, Rv. 234778; Sez. 3, n. 45698 del 26/10/2011, Rv. 251612), e non la mera "tranquillità" della stessa; - il reato di molestia sessuale (art. 660 c.p.), è invece integrato solo in presenza di espressioni volgari a sfondo sessuale ovvero di atti di corteggiamento invasivo ed insistito diversi dall'abuso sessuale (Sez. 3, n. 38719 del 26/09/2012, M.A., non massimata), ove lo "sfondo sessuale" costituisce soltanto un motivo e non un elemento della condotta (Sez. 3, n. 51427 del 22/06/2023, Barry, n.m.; Sez. 5, n. 7993 del 09/12/2020, Rv. 280495; Sez. 3, n. 41755 del 06/07/2021, Rv. 282670; Sez. 3, n. 1040 del 15/11/1996, dep. 1997, Coro. Rv. 207299 - 01); Ciò premesso, nel caso in esame, la inusuale condotta del Di.Gi., che si è lasciato andare, ripetutamente e con diversi soggetti, a toccamenti, baci e gesti posti in essere in un contesto (quello formativo/accademico) che non giustificava alcuna effusione di quel tipo, non poteva essere certamente giustificata o ridotta a meri gesti "inopportuni" in considerazione di elementi squisitamente soggettivi, quali il carattere estroverso o la provenienza geografica dell'indagato. Nessun dubbio sussiste, poi, in ordine alla sussistenza della contestata aggravante, avendo la Corte nella sua massima composizione (Sez. U, n. 27326 del 16/07/2020, U. Rv. 279520 -01) chiarito che, in tema di violenza sessuale, l'abuso di autorità che costituisce, unitamente alla violenza o alla minaccia, una delle modalità di consumazione del reato previsto dall'art. 609-bis cod. pen., presuppone una posizione di preminenza, anche di fatto e di natura privata, che l'agente strumentalizza per costringere il soggetto passivo a compiere o a subire atti sessuali, situazione certamente ricorrente nel caso in esame. L'ordinanza va pertanto annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale del riesame di Torino. 3. Il terzo motivo è del pari fondato. Come noto, con la locuzione "molestie sessuali" la legislazione civilistica intende quei "comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo" (art. 2, comma 1, lett. c, D.Lgs. n. 145/2005, ora trasfuso nell'art. 26, comma 2, del D.Lgs. 11 aprile 2006, n. 198). Sotto il profilo penalistico, dette molestie sessuali possono concretizzare il reato di molestie di cui all'articolo 660 cod. pen., ovvero di atti persecutori (o stalking) di cui all'articolo 612-bis cod. pen. Il criterio distintivo tra i due reati non consiste tanto nella condotta dell'agente di reato, che può essere la medesima, bensì nel diverso atteggiarsi delle "conseguenze" della condotta, sicché si configura il delitto di cui all'art. 612-bis cod. pen. solo qualora alle condotte molestatrici acceda uno degli eventi tipici del delitto di stalking (i.e. quando le condotte siano idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia ovvero l'alterazione delle proprie abitudini di vita), mentre sussiste il reato di cui all'art. 660 cod. pen. ove le molestie si limitino ad infastidire la vittima del reato (Sez. 5, n. 27909 del 10/05/2021, Roberto, n.m.; Sez. 6, n. 23375 del 10/7/2020, M., Rv. 279601; Sez. 5, n. 15625 del 9/2/2021, R., n.m.; Sez. 6, n. 23375 del 10/07/2020, Madonno. Rv. 279601 - 01). Nel caso di specie, la ritenuta insussistenza del reato di stalking costituisce naturale portato del ridimensionamento delle accuse di violenza sessuale contestate all'indagato (a pag. 14 si definisce espressamente come "forzata" la contestazione in esame), sì da ricondurre le condotte (il corsivo è del provvedimento impugnato) a "un atteggiamento abituale e generalizzato da parte del Di.Gi. al più sconveniente. Le conseguenti "precauzioni" a cui alludono alcune specializzande (come il non vestirsi in modo particolarmente succinto) non assurgono, dunque, alla significanza penale dell'evento tipico delle "alterazioni delle abitudini di vita" rispetto peraltro (come detto) ad un'azione che non risulta sistematicamente e preordinatamente persecutoria". Ora, nel premettere coglie nel segno il. ricorrente laddove afferma che mai, nell'ordinanza genetica, si legge che alcuna delle ragazze escusse ha affermato di vestirsi, prima delle attenzioni sessuali dell'indagato, in modo "particolarmente succinto", va evidenziato che il provvedimento si pone in termini assertivi e solo apparentemente motivati, omettendo di confrontarsi con il provvedimento del GIP. Il quale esordisce con un "cappello" di carattere generale (pag. 71) in cui parla di "contatti fisici non richiesti (ancorché non riconducibili a veri e propri atti sessuali, come ad esempio i massaggi sulle spalle, i grattini, il fatto di cingere il collo o la vita delle ragazze, motivo per cui non sono stati contestati nel capo B), battute, commenti, telefonate, conversazioni, espressioni anche provocatorie a sfondo sessuale rivolti alle ragazze anche di fronte a terzi, atti di molestia e di corteggiamento che il professore continuava a porre in essere in maniera sistematica nonostante sapesse di non essere ricambiato e del tutto incurante del fatto di risultare sgradito". Successivamente, il giudice inquadra il rapporto che legava il Di.Gi. alle specializzande (pag. 72 lo "specifico contesto, che era non soltanto lavorativo, ma anche gerarchico e di formazione, in cui l'indagato ricopriva innegabilmente un ruolo sovraordinato, in grado di incidere sul percorso scolastico e dunque sul futuro delle destinatarie delle sue attenzioni, le quali, proprio per questo, si trovavano in una situazione di oggettiva difficoltà a ribellarsi o comunque a reagire come avrebbero fatto al di fuori di quell'ambiente e nei confronti di un uomo che non fosse stato il loro "Professore""), per poi passare, da pagina 72, ad analizzare una per una le posizioni delle singole persone offese, operazione negletta in sede di riesame. In conclusione, a pagina 77, il provvedimento genetico della misura evidenzia che le ragazze erano costrette "a trovare sotterfugi ed escamotage per minimizzare le eventualità che tutto questo si ripetesse. Il senso di totale impotenza di fronte ai comportamenti indesiderati tenuti dal Professore (emerso in maniera palpabile dalle s.i.t. faticosamente rese agli inquirenti) era peraltro giustificato da quella sorta di "intoccabilità" che aleggiava intorno alla figura del Di.Gi., il quale si permetteva qualunque tipo di considerazione, anche esagerata e volgare, nella assoluta convinzione che non sarebbe mai stato chiamato a risponderne. La circostanza è emersa dalle s.i.t. delle specializzande, le quali si sono sentite costrette a tollerare la situazione e a tacere, pur di salvaguardare la propria posizione professionale/lavorativa". Conclude l'ordinanza genetica nel senso che "devono pertanto ritenersi verificate non soltanto le condotte, consapevoli e reiterate, previste dal reato contestato, ma anche l'evento degli atti persecutori, essendo innegabile che le persone offese, a causa dei comportamenti di Di.Gi. e delle conseguenti ripercussioni psicologiche, avessero modificato le abitudini di vita, come non entrare più da sole nell'ufficio di Di.Gi., preferendo farsi accompagnare dai colleghi di sesso maschile, evitare il più possibile di intrattenersi in ospedale fino a tarda ora con lui, proprio per non esporsi a condotte simili, e porre attenzione all'abbigliamento, in modo da non dare adito ai commenti sgraditi. La Da.Ma. ha anche riferito di avere saputo che alcune specializzande, oppresse dagli atteggiamenti di Di.Gi., avevano iniziato ad assumere lo Xanax "per la paura di dover restare da sola in compagnia del Prof. Di.Gi." (s.i.t. Da.Ma. del 7/11/2022). Al contempo, le specializzande, si erano viste costrette a recidere il rapporto confidenziale instaurato con i propri tutor, ossia i medici strutturati della Scuola, non fidandosi più di loro, considerandoli "alleati" del Di.Gi., posto che invece di redarguirlo o anche soltanto dissociarsi da quei comportamenti, nella migliore delle ipotesi restavano del tutto indifferenti e nella peggiore lo appoggiavano, ridendo e scherzando con lui come se tutto questo, in un ambito formativo, fosse "normale". Allo stesso modo, le persone offese non ritenevano di poter trovare appoggio nelle figure istituzionali in posizione sovraordinata al Di.Gi. e perciò in grado di intervenire efficacemente, come ad esempio Sc.An.... (omissis)... Il profondo senso di oppressione e di imbarazzo emerso anche nel corso delle s.i.t. costituisce ennesima conferma della natura persecutoria delle condotte poste in essere dall'indagato, mentre quanto accaduto agli specializzandi "dissidenti" (oggetto del capo D) restituisce la misura di quello che, davvero, il Professore poteva arrivare a fare a coloro che osavano osteggiarlo o contraddirlo". L'ordinanza impugnata si limita a negare in via generale la sussistenza del reato, senza confrontarsi con il contenuto del provvedimento genetico, conseguenza, questa, del reciso (ma erroneo) ridimensionamento del perimetro di illiceità delle condotte contestate. Si impone quindi l'annullamento con rinvio al Tribunale del riesame di Torino per nuovo esame sul punto. I giudici del rinvio dovranno in particolare verificare se le molestie poste in essere nei confronti delle persone offese rivestano i caratteri dell'abitualità e, in caso affermativo, se per effetto delle suddette condotte moleste, in danno delle singole persone offese si siano verificati alcuni degli eventi indicati dall'articolo 612-bis cod. pen. 4. Il ricorso di Di.Gi. è complessivamente infondato. 5. Il primo motivo è infondato. II Collegio evidenzia in via preliminare che, in materia cautelare, il concetto di "gravità indiziaria" non coincide con lo standard probatorio imposto dall'articolo 192 cod. proc. pen. in materia di valutazione della prova logica (Sez. 4, n. 53369 del 09/11/2016, Jovanovic, Rv. 268683; Sez. 4, n. 38466 del 12/07/2013, Kolgjini, Rv. 257576). Al fine dell'adozione della misura, invero, è sufficiente l'emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell'indagato in ordine ai reati addebitati. I detti indizi, pertanto, non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall'art. 192 cod. pen. proc., comma 2 (per questa ragione l'art. 273 cod. proc. pen., comma 1 -bis richiama l'art. 192 cod. proc. pen., commi 3 e 4, ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale, oltre alla "gravità", richiede la "precisione" e "concordanza" degli indizi). Ne deriva, quindi, che "ai fini delle misure cautelari, gli indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall'art. 192, comma 2, cod. proc. pen., e cioè con i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza (cfr. ancora, Cass, Sez. IV, 4 luglio 2003, Pilo; nonché, più di recente, Sez. IV, 21 giugno 2005, Tavella)". 5.1. Tanto debitamente rammentato, l'ordinanza impugnata chiarisce (pagg. 3-5) che sussistono, in riferimento al reato di falso, almeno sei profili di gravità indiziaria - i dati relativi agli standard inseriti su indicazione del Di.Gi. negli anni 2017-2021 erano da un lato sempre gli stessi tra loro e dall'altro perfettamente identici a quelli richiesti dal MIUR; - era emersa una discrepanza tra i dati inseriti in banca dati nel 2021 per gli anni 2019-2021 (150 standard specifici assistenziali) e quelli inseriti nel documento di budget sottoscritto dal direttore Scaramuzzino (55 attività complessive di cui 30 autopsie e 25 riscontri diagnostici); - su richiesta del Dr. Ro., il Di.Gi. inviava un documento relativo all'attestazione dei flussi degli anni 2020-2021 in cui risultavano una decina di attività necrosettorie e un documento di budget in cui risultavano 31 attività necrosettorie e 1748 visite necroscopiche; - le dichiarazioni del Dr. Ro. e quelle degli specializzandi (oltre ai loro libretti) confermavano che la Scuola non garantiva il numero minimo di "attività professionali obbligatorie"; - lo stesso Di.Gi. forniva ai NAS dati che confermavano le dichiarazioni degli specializzandi; - allorquando il Dr. Ro. faceva inserire, nel 2023, il numero effettivo di attività necrosettorie svolte (31 attività), per la prima volta la Scuola non otteneva l'accreditamento dal MIUR. Tali elementi si ricavavano dall'escussione dei sommari informatori, dalle acquisizioni documentali e dalle intercettazioni telefoniche e ambientali. A tale ultimo proposito, a pagina 7 l'ordinanza aggiunge, quanto all'elemento psicologico del reato, che la conferma della consapevolezza della falsità in capo al Di.Gi. si desume anche dai contenuti di una conversazione (n. 1830 del 18/07/2023), in cui si evince anche l'ostilità dell'indagato a stipulare convenzioni con gli obitori e in generale con altri istituti, verosimilmente per il timore di perdere potere. 5.2. A ciò devesi aggiungere quanto affermato nell'ordinanza genetica, la quale chiarisce da pag. 22 (circostanze confermate anche dal Prof. Ro.). che "l'attività necrosettoria (ovvero l'autopsia) è considerata, per ovvi motivi, l'Attività Professionalizzante Obbligatoria per antonomasia della disciplina di medicina legale e, in quanto tale, deve essere svolta presso le strutture della rete formativa e dai singoli specializzandi in un determinato numero minimo, per garantire il rispetto sia degli standard specifici che dei requisiti specifici assistenziali". In particolare, si afferma che "il decreto interministeriale 402/2017 prescrive, quanto agli standard assistenziali specifici (allegato 1), che presso la struttura di sede si svolgano almeno 150 attività necrosettorie all'anno, (tant'è che nella Banca Dati compare automaticamente il numero "zero" con riferimento a tale attività svolta presso le strutture collegate) e, quanto ai requisiti assistenziali specifici (allegato 2), occorre che ogni specializzando partecipi, durante l'intero percorso formativo, ad almeno 100 accertamenti necroscopici completati dalla sezione cadaverica, eseguendone interamente ed in prima persona (esame esterno, sezione e determinazione finale della causa di morte) almeno 20". La normativa prevede poi, come già detto, una serie di requisiti assistenziali minimi sia della rete formativa nel suo complesso, sia ai fini dell'attivazione della Scuola. In particolare, le strutture inserite nella rete formativa devono garantire, annualmente e per ogni specializzando, un "volume minimo" di attività assistenziali pari a cinque volte i dati numerici precedentemente indicati (e, dunque, 500 accertamenti necroscopici completi), mentre per l'attivazione della Scuola viene ritenuto sufficiente un volume minimo di attività assistenziali annue tale da consentire la formazione di tre specializzandi, e, dunque, 1.500 accertamenti necroscopici completi. Con riferimento alle annualità oggetto della Banca Dati del 2023, il Ministero ha abbassato le soglie dei requisiti specifici assistenziali, fissando il limite in 1/5 dei numeri precedentemente richiesti, senza però cambiare nulla con riferimento agli standard specifici assistenziali, che hanno continuato ad essere richiesti nel numero minimo di 150 attività necrosettorie, tutte da svolgersi presso la struttura di sede. A pag. 23 evidenzia l'ordinanza GIP che, con riferimento ai valori inseriti in Banca Dati negli anni precedenti al 2023, ossia sotto la direzione del Di.Gi., le indagini hanno evidenziato una serie di incongruenze riferibili sia agli standard che ai requisiti assistenziali specifici della Scuola di Medicina Legale di Torino, tali da fare concludere che fossero state commesse, in maniera preordinata e consapevole, delle vere e proprie falsità. Ed infatti, poiché la normativa prevede espressamente che vengano effettuate le attività "necrosettorie", devono ritenersi escluse le c.d. "visite necroscopiche", ossia tutte quelle attività che i medici legali compiono, nell'ordine di migliaia all'anno, de visu, finalizzate ad accertare la morte della persona, senza procedere ad alcuna attività propriamente "settoria", ossia di sezione cadaverica. La precisazione è rilevante in quanto il Di.Gi., in occasione dell'apertura della Banca Dati del 2023, quando Direttore era ormai Ro., aveva tentato di fargli inserire il dato numerico di 1779, comprensivo di 1748 visite necroscopiche, tanto che Ro. si era addirittura rivolto alla sua conoscente e collega Pe., Direttrice della Scuola di Medicina Legale di Bologna, per avere l'ulteriore e definitiva conferma del fatto che negli standard assistenziali non potessero essere ricomprese le visite necroscopiche (v. progr. 323 del 20/04/2023). In secondo luogo, il Di.Gi. ha fatto inserire in Banca Dati dei numeri relativi ai "riscontri diagnostici", che però non attengono alla disciplina medico-legale e dunque non dovevano essere conteggiati. Evidenzia in proposito l'ordinanza GIP che, sebbene il concetto di "attività necrosettoria" comprenda sia le autopsie giudiziarie che i riscontri diagnostici, trattandosi di attività entrambe basate sulla tecnica settoria, questo non significa che le due attività siano equipollenti, men che meno ai fini delle quantificazioni degli standard specifici assistenziali rilevanti per la Scuola di Medicina Legale, avendo due finalità profondamente diverse (vedi s.i.t. Proff. Pa. e De.). I riscontri diagnostici - prosegue l'ordinanza GIP - sono infatti di esclusiva pertinenza dell'istituto di "Anatomia patologica" e, per essere conteggiati "in quota" medicina legale, si sarebbe dovuta stipulare una convenzione tra i due istituti (come evidenziato dallo stesso ricorrente), di talché l'istituto di anatomia patologia sarebbe diventato una "struttura complementare" (e per tale motivo essere segnalata in banca dati dall'Università e comunicata all'Osservatorio), circostanze non verificatesi nel caso di specie. In conclusione (pagg. 23-24), i riscontri diagnostici costituiscono la materia principale degli anatomopatologi e non sono di certo funzionali alla formazione degli specializzandi di Medicina Legale che vogliano imparare l'arte della autopsia. Trattasi di due attività non equiparabili ai fini delle c.d. "A.P.O." e la circostanza trova conferma nel fatto che, come evidenziato dai sommari informatori Pa.. dott. Te. e (ex) specializzanda Ce.Gr., i medici legali che presenziano talvolta ai riscontri diagnostici svolti dagli anatomopatologi, lo fanno in qualità di meri spettatori e non come aiuto al primo operatore. Ulteriore conferma di ciò si rinviene documentalmente, nel fatto che i (pochi) riscontri diagnostici svolti dagli strutturati di Medicina Legale (vedasi, ad esempio, l'esame istologico nr. 2023/1 0805/1, relativo alla defunta Al.Pa.) recano pur sempre l'intestazione di Anatomia e Istologia Patologica, a dimostrazione del fatto che trattasi di attività di pertinenza esclusiva di quella Struttura Complessa e della relativa Scuola di Specializzazione. Nel caso di specie (v. pag. 24) si è poi accertato l'inserimento in Banca Dati, da parte di Di.Gi., dei riscontri diagnostici ai fini del raggiungimento del numero dì 150 attività necrosettorie da lui attestate quali attività della Scuola dì Medicina Legale, nonostante tale numero, oltre a riferirsi alle autopsie svolte complessivamente negli ospedali della Città della Salute da parte di tutte le strutture e non solamente dalla Medicina Legale, rientrassero nelle attività formative già attestate dalla Scuola di Specializzazione di Anatomia Patologica per la sua rete formativa, con la conseguenza che Di.Gi., di fatto, ha utilizzato dati che appartengono al piano formativo di un'altra scuola (cfr. s.i.t. dott. Te.). Peraltro, sul punto, l'ordinanza genetica sottolinea come il prof. De. abbia ritenuto alquanto singolare la posizione torinese, posto che, altrove (ad esempio a Roma), la situazione risulta completamente rovesciata, nel senso che è la Scuola di Anatomopatologia che usufruisce dei dati di Medicina Legale per il raggiungimento dei propri numeri, anche perché solitamente (come avviene a Milano) la Scuola di Medicina Legale è convenzionata con l'obitorio civico, dove viene effettuato un numero di autopsie anche superiori rispetto alla soglia minima richiesta. La consapevolezza in capo al Di.Gi. che tali attività fossero diverse e non equiparabili emergerebbe anche dalla conversazione progr. nr. 976 del 6 giugno 2023 (RIT 117), dove il Di.Gi. parla di "scippare" tali attività all'istituto di anotomopatologia, nonché dal documento datato 18 luglio 2022, a firma dello stesso prof. Di.Gi., relativo all'anno 2021, in cui compariva la seguente dicitura "necrosettoria (+visite necroscopiche) n. 31 (+1748)". 5.3. La difesa del ricorrente, anche nel corso della discussione orale, ha insistito sulla necessità di considerare non solo l'istituto di Medicina legale, ma tutto il plesso ospedaliero. Sul punto, il Collegio evidenzia come a pag. 27 della prima ordinanza si dia atto che il prof. De. "ha segnalato alcune vicissitudini relative al mancato invio dei documenti di budget, in conseguenza del quale alcune delle strutture operative (CTO, Sant'Anna e Regina Margherita) non sono state accreditate ma sono state declassate a strutture complementari. Si ha motivo di ritenere che il mancato invio sia ricollegabile ad una certa resistenza da parte dell'adora Direttore Di.Gi. a svelare la realtà documentale, che avrebbe inevitabilmente comportato il mancato accreditamento della struttura di sede". Non è quindi corretto considerare unitariamente tutta la struttura ospedaliera e la doglianza, che non si confronta con il primo provvedimento, è pertanto infondata. 5.4. Conclusivamente, dalla lettura congiunta dei due provvedimenti non appare sussistere, in tutta evidenza, alcuna illogicità o contraddittorietà di motivazione, integrandosi le due ordinanze in modo complementare nel rappresentare la sussistenza di un quadro di gravità indiziaria idoneo e sufficiente a sostenere l'editto accusatorio provvisoriamente contestato. 6. Il secondo motivo è del pari infondato. In relazione al capo D), di c.d. "stalking lavorativo", la giurisprudenza di questa Corte (Cass. pen. 31273 del 14/09/2020, Fornasieri, Rv. 279752 - 01), che il Collegio condivide e ribadisce, ritiene che sussista il reato di atti persecutori in caso di "mobbing del datore di lavoro che ponga in essere una mirata reiterazione di plurimi atteggiamenti convergenti nell'esprimere ostilità verso il lavoratore dipendente e preordinati alla sua mortificazione ed isolamento nell'ambiente di lavoro, tali da determinare un vulnus alla libera autodeterminazione della vittima, cosi realizzando uno degli eventi alternativi previsti dall'art. 612-bis cod. pen. (Fattispecie in cui il lavoratore era stato esposto a plurimi atti vessatori, quali il fisico impedimento a lasciare la sede di lavoro e l'abuso del potere disciplinare, culminati in un licenziamento pretestuoso e ritorsivo, tale da far insorgere nello stesso uno stato di ansia e di paura ed indurlo a modificare le proprie abitudini di vita)". Ciò premesso, il Collegio ritiene che, soprattutto in ragione della fluidità che caratterizza la fase cautelare, le due ordinanze, complessivamente e unitariamente considerate, diano sufficiente conto della sussistenza di uno degli eventi tipici del delitto di cui all'articolo 612-bis cod. pen., frutto di una condotta del Di.Gi. posta sistematicamente in essere nei confronti degli specializzandi "dissidenti" con finalità sia "ritorsive" che "difensive" (come si vedrà più ampiamente in appresso), ferma restando la necessità che, nello sviluppo del procedimento, tale aspetto costituisca oggetto di individualizzata e precisa dimostrazione. 5.1. Ed infatti, l'ordinanza impugnata (pag. 16) precisa che sussistono convergenti dichiarazioni di numerosi specializzandi circa reiterate condotte vessatorie da parte del Di.Gi., concretizzatesi in un comportamento ostile ed emarginatolo nei confronti di coloro che egli riteneva essere "contro" di lui, convinzione scaturente dall'avere detti specializzandi formulato rilievi critici, sia per iscritto, nei questionari anonimi, sia oralmente, avanzando richiesta di ampliare la loro rete formativa (posto che la Scuola non era in grado di garantire gli standard minimi professionali), sia rifiutandosi di portare a termine da soli attività che non potevano svolgere senza tutoraggio (come la certificazione di morte encefalica). Non coglie nel segno la censura di indeterminatezza formulata dal ricorrente, in quanto, a fronte di un capo di imputazione che (anche in ragione della fluidità della fase cautelare) parla di "specializzandi del terzo anno", è pur vero che sono specificamente indicati quali persone offese To.Ed., No., Bo.Lu., Ca.., Ga.e Ce.Gr. L'ordinanza impugnata, inoltre, analizza (pag. 17-18) le posizioni di singoli specializzandi mobbizzati dapprima la posizione di To.Ed., poi quella di Bo.Lu., quindi quella di Bo.Ca., indi Ca.Fr. e infine Ce.Gr., descrivendo le condotte marginalizzanti e persecutorie tenute nei confronti di ciascuno. Passa quindi a disattendere la doglianza difensiva, riprodotta come motivo di ricorso, secondo cui mancherebbe nel caso di specie uno degli eventi tipici del reato di stalking. A pagina 18-19, infatti, si legge che sotto il profilo sostanziale "è caratterizzante l'azione di preordinata e sistematica marginalizzazione, il porre la vittima in una situazione di obiettiva impossibilità o grave difficoltà a proseguire la sua attività lavorativa/formativa (si vedano le qui riferite esclusioni dall'accesso alla Scuola, alla postazione lavorativa, etc.) e di prostrazione psicologica (vieppiù marcata in questo caso, peraltro, dove le vittime sono specializzandi che devono formarsi e il cui futuro occupazionale è in fieri si vedano esemplificativamente le ripercussioni psicologiche sulla D.ssa Ce.Gr.). Situazione che è tale, dunque, da "costringere" la persona offesa a cercare e intraprendere nuove strade, come di fatto in molti casi è qui avvenuto". La doglianza difensiva, secondo cui l'allontanamento dalla Scuola precederebbe, e non seguirebbe, le condotte mobbizzanti, è pertanto destituito di fondamento, non confrontandosi con il provvedimento impugnato. 5.2. L'ordinanza genetica, dal canto suo, evidenzia (pag. 78) che l'ostilità del Di.Gi. era in particolare rivolta verso gli specializzandi "dissidenti" che non volevano o non avevano voluto allinearsi ai suoi diktat e avevano osato criticare apertamente l'operato del professore per quelle medesime ragioni che hanno poi portato alla contestazione di falso in atto pubblico a causa dei numeri delle attività assistenziali dichiarati in Banca Dati e non corrispondenti al vero. In particolare, gli specializzandi, a fronte delle carenze formative riscontrate nella Scuola, avevano reiteratamente chiesto a Di.Gi. di convenzionarsi con il Civico Obitorio, ricevendo sempre risposta negativa, a causa, come si è visto, dell'astio personale nutrito dal professore nei confronti del dott. Te.. Gli specializzandi avevano quindi riversato le loro critiche (rimaste inascoltate dal Di.Gi.) nei questionari anonimi inviati all'Osservatorio nazionale del Ministero in occasione dell'apertura della Banca Dati del 2021, denunciando una serie di carenze dell'attività formativa, sia sotto il profilo didattico che assistenziale. L'ordinanza precisa, quanto alla condotta di stalking e all'evento del reato (pag. 79), che le iniziative assunte dall'indagato contro i "dissidenti" consistevano "in rimproveri verbali più o meno accesi, inviti a cambiare Scuola, fino ad arrivare alle aperte minacce e alla totale estromissione dalle attività accademiche e ospedaliere". La circostanza veniva propalata da plurimi specializzandi, i quali "riferivano che chi nella Scuola si azzardava a lamentarsi veniva di fatto estromesso da Di.Gi. da tutte le attività connesse e correlate e non gli veniva assegnato più alcun caso, venendo allontanato dalla scuola, come accaduto con la Bo.Lu. e con To.Ed. In sostanza, "l'atteggiamento di Di.Gi. è quello di escludere dalle attività chi non si comporta come vuole lui. Questo vale sia per le donne che per gli uomini" (s.i.t. Ci.Al. 6/5/2022 e 14/6/2022)". Di più, "chi osava chiedere di effettuare tirocini extra rete per colmare le lacune formative, diventava destinatario, da parte di Di.Gi. e degli strutturati a lui fedeli, di vere e proprie pressioni psicologiche, connotate da un chiaro aut autno scegli me o scegli la rete formativa" e dalla prospettiva di vedere irrimediabilmente compromessa la carriera professionale e lavorativa in caso di predilezione della rete formativa (come ad esempio espressamente accaduto tra lo specializzando Ro.Gi. e la sua tutor Ta.Lu. e ancora tra Ca.Fr. e Ta.Lu., cfr. s.i.t. Ca.Fr. 11110/2022). Ancora, laddove gli specializzandi si rifiutavano di svolgere in autonomia le procedure richieste da Di.Gi., per le quali, però, non erano autorizzati per legge (come ad es. le certificazioni di morte encefalica, attività disciplinata dalla Legge 578/1993 e non delegabile agli specializzandi, come confermato anche dal dott. Te. nelle s.i.t. dell'11/12/2022 alle quali si rimanda), venivano sottoposti a pressione psicologica ed estromessi anche dalle altre attività (s.i.t. Ca.Fr. 9/5/2022). Eloquenti sono poi i commenti della Mo. (s.i.t. 10/6/2022), che senza mezzi termini riferiva che "là dentro c'è aria pesante di mobbing se tu non fai quello che vuole lui, lui reagisce così, estromettendoti da tutto"". I comportamenti minacciosi e mobbizzanti del Di.Gi. erano continuati anche dopo la nomina del Dr. Ro. a Direttore della Scuola (che aveva autorizzato gli specializzandi a svolgere tirocini extra rete) e nonostante la conoscenza dell'apertura del procedimento penale nei suoi confronti. Significative in proposito, secondo la prima ordinanza, erano le dichiarazioni del Dr. Te.. il quale, escusso a s.i.t., riferiva che attualmente lavoravano con lui, presso l'ASL, Ce.Gr., diventata dirigente medico, nonché quattro specializzande, ossia Bo.Ca., Ca.Fr., Ci.Al. e Po.Al. Tutte erano apparse, al loro arrivo, "profondamente preoccupate e traumatizzate per quanto era accaduto all'interno della Scuola; Ce.Gr., addirittura, presentava i connotati tipici del disturbo reattivo, mentre le altre quattro pativano le conseguenze dell'estromissione dalla Scuola, nel senso che nonostante avessero vinto, da oltre un mese, il concorso per l'assunzione all'ASI, secondo il ed. "Decreto Calabria". l'Università, per una sorta di "ostracismo", non concedeva il nulla asta all'assunzione, adducendo una serie di ragioni pacificamente immotivate, posto che "la normativa non è cambiata da quando sono stati assunti To.Ed. e Ca. e analogamente a loro, decine di medici in tutta la Regione Piemonte", determinando così una situazione di stallo del tutto ingiustificata e tale da comportare anche un aggravio economico nei confronti delle dottoresse". La natura mobbizzante della condotta, che sul piano dell'elemento soggettivo del reato concretizza il dolo generico richiesto dalla norma (v., ex plurimis, Sez. 5, n. 8915 del 07/11/2023, Baccinelli. dep. 2024, n.m., secondo cui "il dolo nel delitto di cui all'art. 612-6/s, c.p., non richiede altro che la coscienza e volontà di porre ih essere condotte dotate di oggettiva idoneità persecutoria, in ragione del concreto svolgersi delle condotte stesse", ma non postula la preordinazione di tali condotte - elemento non previsto sul fronte della tipicità normativa), si ricaverebbe (pag. 84) dalla conversazione ripresa in ambientale dallo stesso Di.Gi. con la moglie (progr. nr. 93 del 23 giugno 2023 RIT 117, ambientale auto AUDI A7), il cui contenuto viene testualmente riportato, in cui lo stesso "confessa" la strategia ritorsiva attuata nei confronti degli specializzandi. L'ordinanza analizza poi le singole posizioni delle persone offese, che il Collegio ometterà di ripercorrere. Ritiene conclusivamente questa Corte che, alla luce del tenore dei due provvedimenti, non possa porsi in discussione la sussistenza della gravità indiziaria in relazione al reato contestato, per cui la censura risulta infondata. 6. Il terzo motivo è infondato. L'ordinanza impugnata (pag. 22) ritiene sussistente la connessione teleologica tra il reato di cui al capo D) e quello di cui al capo A), essendo chiaramente emerso che "una delle ragioni (anche se non la sola) che ha animato il Di.Gi. nella politica "mobbizzante" contro alcuni specializzandi era proprio relativa alla problematica autopsie/banca dati/questionari anonimi e l'interesse a non far emergere a ogni costo le criticità ad esse connesse". La prima ordinanza, a pagina 87, a sua volta precisa che risulta evidente "la connessione con il reato di falso in atto pubblico contestato al capo A), posto che le persecuzioni e il mobbing ha avuto causa e ragione nella "ribellione" degli specializzandi che avevano ravvisato e segnalato di non svolgere le attività formative previste per legge e falsamente indicate da Di.Gi. nella Banca Dati, così portando al decreto di accreditamento soltanto provvisorio da parte del Ministero. Tale connessione con il reato di cui al capo A) comporta, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 612-bis c.p., la procedibilità d'ufficio". I due provvedimenti, complessivamente considerati, contengono una sufficiente - almeno nella attuale fase procedimentale - indicazione delle ragioni per cui si ritiene sussistente la connessione teleologica ex articolo 12, lettera c), cod. proc. pen. (che contempla, oltre alle ipotesi di concorso formale e reato continuato, anche quella in cui il reato "è stato commesso per eseguirne od occultarne un altro"), la quale viene integrata da un "effettivo legame finalistico" tra i reati (Sez. U, n. 53390 del 26/10/2017, P.G., Rv. 271223 - 01; Sez. 2, n. 8805 del 14/02/2024, Mantovani, Rv. 286008, n.m. sul punto). Non vi è infatti dubbio che secondo l'impostazione accusatoria, ritenuta condivisibile dalle due ordinanze, la condotta mobbizzante posta in essere dal Di.Gi. riposasse su una duplice finalità da un lato reprimere chiunque si mettesse "contro" di lui (finalità ritorsiva), dall'altro allontanare dall'istituto chiunque potesse contribuire a far luce sulle illecite pratiche svolte nell'istituto da lui diretto, oggetto della contestazione di cui al capo A) (finalità "difensiva" o occultatrice). Sul punto, non appare ravvisabile alcuna violazione di legge né vizio di motivazione coltivabile in sede di legittimità e la doglianza è pertanto infondata e va rigettata. 7. Il quarto motivo è in parte inammissibile e in parte infondato. 7.1. È inammissibile in riferimento all'esigenza cautelare di cui all'articolo 274, lettera c), cod. proc. pen. Il provvedimento impugnato ritiene sussistente l'esigenza cautelare, ancorché affievolita, e sufficiente il presidio cautelare della misura interdittiva. L'ordinanza GIP, sul punto, precisava che "la conservazione della posizione lavorativa del Di.Gi. all'interno della Scuola e dell'ospedale, e dunque il mantenimento dei mezzi, delle relazioni, dei legami da lui in tessuti nel tempo e nell'ambiente, con la conseguente possibilità di continuare a contattare e dirigere la propria cerchia di persone fidate e collocate ai più alti livelli delle scale gerarchiche accademiche e sanitarie, non farebbe altro che agevolare e-consentire il protrarsi di tutte le condotte contestate, fornendo, per contro, al Professore la conferma di essere e rimanere, nonostante tutto e nonostante i gravi reati commessi, una persona intoccabile". Sul punto, questa Corte (v., da ultimo, Sez. 2, Sentenza n. 13593 del 13/03/2024, Buttitta, n.m.) ha costantemente ritenuto, con orientamento che il Collegio ribadisce, che il requisito dell'attualità del pericolo previsto dall'art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. non è equiparabile all'imminenza di specifiche opportunità di ricaduta nel delitto e richiede, invece, da parte del giudice della cautela, una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un'analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale, la quale deve essere tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti, ma non anche la previsione di specifiche occasioni di recidivanza (cfr., Sez. 3, n. 9041 del 15/02/2022, Gizzi, Rv. 282891 - 01; Sez. 3, n. 24257 del 21/04/2023, Fei, non mass.). Ed ancora, in tema di presupposti per l'applicazione delle misure cautelari personali, il requisito dell'attualità del pericolo di reiterazione del reato non va equiparato all'imminenza del pericolo di commissione di un ulteriore reato, ma indica, invece, la continuità del periculum libertatis nella sua dimensione temporale, che va apprezzata sulla base della vicinanza ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale dell'indagato, ovvero della presenza di elementi indicativi recenti, idonei a dar conto della effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a realizzare (Sez. 2, n. 6593 del 25/01/2022, Mungiguerra, Rv. 282767 - 01). Men che meno, il periculum deve essere ricondotto alla reiterazione del reato nei confronti delle medesime persone offese. La norma in parola, infatti, espressamente parametra l'esigenza special-preventiva su "specifiche modalità e circostanze del fatto" e sulla "personalità della persona sottoposta alle indagini" (desumibile da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali), da cui inferire la sussistenza del "concreto e attuale pericolo che questi commetta gravi delitti... (omissis)... della stessa specie di quello per cui si procede". Non è quindi prevista l'identità delle persone offese, né, del resto neppure l'identità del reato, ma solo che esso si della "stessa specie". Di tali principi ha fatto corretta applicazione il Tribunale che, con motivazione immune da rilievi di illogicità, nel tessuto motivo dell'ordinanza ha ritenuto sussistente il pericolo di recidiva, desumendolo dalle specifiche modalità dei fatti contestati e dalla personalità dell'indagato, riassumibili nell'atteggiamento "baronale" dello stesso (che impone la logica del "o con me o contro di me") e nel "narcisismo professionale" da cui sarebbe affetto (pag. 5 ordinanza). Inoltre, la prima ordinanza, a pagina 7, precisa che "nonostante allo stato attuale, sotto il profilo gerarchico, il prof. Ro. sia sovraordinato al prof. Di.Gi. in ambito universitario (essendo quest'ultimo rimasto semplice docente all'interno della Scuola), in realtà tale situazione è "rovesciata" in ambito ospedaliero, risultando Ro. gerarchicamente subordinato a Di.Gi., ricoprendo quest'ultimo la direzione della Struttura Complessa di Medicina Legale AOU, al cui interno Ro. lavora come semplice dirigente medico sanitario". La circostanza veniva confermata sia dal Ro. che dalla Da.Ma., secondo cui il Di.Gi. continuava ad imporre le proprie direttive e decisioni, forte del timore reverenziale nutrito nei suoi confronti e della sovraordinazione gerarchica in ambito ospedaliero. Peraltro, secondo quanto riferito da Ma.Gr., precedente responsabile amministrativa della Scuola e "memoria storica" della stessa, l'attuale affidamento della direzione della Scuola al prof. Ro. non costituirebbe altro che uno stratagemma per consentire al prof. Di.Gi., che ha già svolto due mandati consecutivi, di far trascorrere un triennio (un mandato) prima di poter essere nuovamente eletto, così come previsto da regolamento. Secondo tale prospettazione il Prof. Di.Gi. potrebbe pertanto, a breve, alla scadenza del mandato di Ro. (e, aggiunge il Collegio, dopo la fine della durata della misura interdittiva), accingersi ad assumere nuovamente la guida della Scuola. I suddetti elementi rendono evidente, a giudizio del Collegio, la assenza di vizi di motivazione in riferimento alla sussistenza della esigenza special-preventiva di cui all'articolo 274, lettera c), cod. proc. pen., in riferimento alla quale le due ordinanze hanno fatto buon governo dei principi elaborati da questa Corte. 7.2. Tale considerazione rende irrilevante, ove anche in ipotesi fondata, la doglianza relativa al pericolo di inquinamento probatorio. In ogni modo, a pagina 93 dell'ordinanza genetica, il GIP dava già atto del fatto che, oltre che delle gravi condotte delittuose contestate, occorreva tenere conto anche "delle connivenze, degli appoggi, della soggezione psicologica, del timore reverenziale, della personalità manifestata e degli spregiudicati comportamenti tenuti anche dopo essere stato posto al corrente dell'esistenza del procedimento penale, il rischio di inquinamento probatorio è massimo, tenendo conto delle persone che devono ancora essere sentite (il Rettore, i vari docenti inseriti nel Consiglio della Scuola di Medicina, vario personale amministrativo e universitario, come i dott. Br. e Ri., altri specializzandi) e del conseguente, concreto ed elevatissimo rischio che tali persone subiscano condizionamenti esterni, diretti o indiretti, da parte dell'indagato, il quale, personalmente o tramite terze persone a lui vicine, senza il dovuto isolamento e permanendo nel medesimo contesto ambientale e lavorativo ormai irrimediabilmente "inquinato", potrebbe influire sulle deposizioni, compromettendone la genuinità", motivazione con cui il ricorrente, già in sede di appello, non si era confrontato. Il motivo è pertanto infondato. 8. L'ordinanza impugnata va, pertanto, annullata limitatamente ai capi di imputazione sub B) e C), con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Torino, che dovrà decidere in diversa composizione, stante il disposto dell'art. 34, comma 1, cod. proc. pen., applicabile, per la sua ratio anche alle ordinanze emesse nell'ambito di procedure cautelari (Sez. U, n. 38670 del 21/07/2016, Culasso, par. 12, non massimata sul punto; Sez. 5, n. 30572 del 20/07/2021, Pagano). 9. Il ricorso presentato da Di.Gi. va invece rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Accoglie il ricorso del pubblico ministero e per l'effetto annulla l'ordinanza impugnata limitatamente ai capì B) e C) con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Torino in diversa composizione. Rigetta il ricorso proposto da Di.Gi., e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuale. Così deciso l'11 luglio 2024. Depositato in Cancelleria il 21 agosto 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta da Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. DI STASI Antonella - Consigliere Dott. MACRÌ Ubalda - Consigliere Dott. MAGRO Maria Beatrice - Consigliere Dott. ZUNICA Fabio - Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da Se.Me., nato a N il (Omissis), avverso l'ordinanza del 15-12-2023 del Tribunale di Parma; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Fabio Zunica; lette le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. Ferdinando Lignola, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 15 dicembre 2023, il Tribunale del riesame di Parma confermava il decreto del 28 ottobre 2023, con cui il G.I.P. del Tribunale di Parma aveva disposto il sequestro preventivo della somma di 706.364,09 Euro in forma diretta nei confronti della società C. Srl, e, nel caso di impossibilità di esecuzione della misura, in tutto o in parte, il sequestro per equivalente dei beni per un ammontare di 92.642,57 Euro nei confronti di Se.Me., indagato del reato ex art. 10 quater del D.Lgs. n. 74 del 2000 di cui al capo 26 (fatto commesso in F il 16 maggio 2022), contestandosi in particolare al ricorrente di aver concorso nel reato quale consulente del lavoro della società. 2. Avverso l'ordinanza del Tribunale emiliano, Se.Me. ha proposto, tramite il suo difensore di fiducia, ricorso per cassazione, sollevando un unico motivo, con il quale la difesa contesta, sotto il duplice profilo dell'inosservanza della Legge penale e del vizio di motivazione, la valutazione indiziaria con particolare riferimento all'elemento soggettivo, evidenziando che l'indagato era autorizzato esclusivamente alla trasmissione dei modelli F24, senza ulteriori oneri. Se.Me., infatti, non era tenutario delle scritture contabili della C. Srl, non ha asseverato il credito, né ha curato la contabilità o ha predisposto la dichiarazione dei redditi, per cui deve senz'altro escludersi che egli fosse consapevole della natura indebita delle compensazioni contestate, presupponendo il concorso del professionista del reato la conoscenza del meccanismo illecito. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato. 1. In via preliminare, occorre richiamare la costante affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656), secondo cui il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio, ai sensi dell'art. 325 cod. proc. pen., è ammesso solo per violazione di Legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza è quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice. Non può invece essere dedotta l'illogicità manifesta della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di cui alla lett. E) dell'art. 606 cod. proc. pen. (in tal senso, cfr. Sez. 2, n. 37100 del 07/07/2023, Rv. 285189 e Sez. Un. n. 5876 del 28/01/2004, Rv. 226710). 2. Tanto premesso, deve ritenersi che nel caso di specie, rispetto alla valutazione del fumus commisi delicti, unico aspetto censurato nel ricorso, non sia configurabile né una violazione di Legge, né un'apparenza di motivazione, avendo il Tribunale del Riesame adeguatamente illustrato le ragioni poste a fondamento della propria decisione rispetto all'imputazione provvisoria. In particolare, nell'ordinanza impugnata sono state richiamate le attività investigative compiute nel gennaio 2020 dalla Guardia di Finanza di F nei confronti della società C. Srl, attività che hanno consentito di disvelare un articolato sistema di frode fiscale attuato tramite l'utilizzo di fatture riferite a operazioni inesistenti da parte della predetta società e della Light Transport Srl È in particolare emerso che la C. Srl, nell'anno 2022, aveva utilizzato crediti inesistenti per il pagamento delle imposte per l'importo di 92.642,57 euro, abusando della normativa (art. 1, commi 46-56 della Legge n. 205 del 2017 e art. 1, commi 78-81, della Legge n. 145 del 2018) sugli incentivi alla formazione del personale dipendente nel settore delle tecnologie, nel senso che nessun corso di formazione era stato svolto, risultando la documentazione prodotta funzionale solo a giustificare sul piano formale i crediti di imposta utilizzati illecitamente. In tali operazioni risultava coinvolto anche il consulente del lavoro della società, Se.Me., il quale era autorizzato a presentare per conto della C. i modelli F24 che indicavano i crediti inesistenti da utilizzare in compensazione, per cui allo stesso è stato ascritto il reato di cui all'art. 10 quater del D.Lgs. n. 74 del 2000 contestato al capo 26 delle provvisorie imputazioni. Circa la consapevolezza da parte di Se.Me. del mancato svolgimento dell'attività di formazione e dell'inesistenza dei crediti, i giudici dell'impugnazione cautelare hanno richiamato le conversazioni intercettate (in particolare quelle intercorse il 24 maggio, il 26 maggio, il 1 giugno e il 7 giugno 2022), da cui è emerso che Ar.Ot., amministratore di fatto della C., una volta investito della richiesta della Guardia di Finanza di consegnare la documentazione relativa all'attività di formazione dei lavoratori, ha immediatamente contattato Se.Me., che si è attivato in tal senso, per la creazione di una serie di documenti, evidentemente falsi, in quanto l'attività di formazione non è stata mai svolta, come emerso peraltro dalle dichiarazioni di diversi dipendenti escussi dalla P.G. Il comportamento tenuto da Se.Me. in occasione della richiesta di Ar.Ot. è stato dunque ritenuto sintomatico del fatto che il ricorrente, lungi dallo svolgere un ruolo di mero intermediario, era in realtà partecipe fin dall'inizio dell'attività fraudolenta, come si desume del resto dal fatto che la documentazione fornita dal consulente all'amministratore di fatto della società era in bianco e totalmente priva sia dei fatti relativi agli orari di entrata e uscita dei lavoratori durante le presunte lezioni, sia della firma che dei tutor che avrebbero dovuto tenere i corsi. 3. Orbene, in quanto fondato su una disamina razionale delle fonti investigative disponibili, il percorso argomentativo dell'ordinanza impugnata non presta il fianco alle doglianze difensive, formulate in termini non adeguatamente specifici, per cui, fermo restando che le obiezioni sollevate dalla difesa potranno essere eventualmente approfondite anche a livello probatorio nelle successive evoluzioni del procedimento penale in corso, deve ribadirsi che il provvedimento impugnato risulta sorretto da un apparato argomentativo non apparente, ma razionale e coerente, concernendo le censure difensive aspetti che ruotano nell'orbita non tanto della violazione di Legge, ma piuttosto della manifesta illogicità o della erroneità della motivazione, profilo questo che, come si è già anticipato, non è deducibile con il ricorso per cassazione proposto contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio. 4. Alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto nell'interesse di Se.Me. deve essere dichiarato quindi inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 7 maggio 2024. Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2315 del 2024, proposto da Ministero della Giustizia, Csm - Consiglio Superiore della Magistratura, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); contro Fr. Nu., rappresentato e difeso dall'avvocato Lu. D'A., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Bari, piazza (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima n. 1083/2024, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Fr. Nu.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 luglio 2024 il Cons. Marco Morgantini e udito per parte appellata l'Avv. Lu. D'A.; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue; FATTO e DIRITTO 1. Con la sentenza appellata sono stati annullati gli atti del Ministero della Giustizia e del Consiglio Superiore della Magistratura in data 3 maggio 2023, con cui il ricorrente è stato dichiarato non idoneo a seguito del colloquio orale e, conseguentemente, non è stato confermato nell'incarico di magistrato onorario. La motivazione della sentenza appellata fa riferimento alle seguenti circostanze. Il ricorrente, nella sua qualità di magistrato onorario in servizio dal 2001, ha partecipato alla procedura valutativa di conferma, introdotta dall'art. 1, comma 629, Legge 30 dicembre 2021, n. 234, che ha novellato l'art. 29, D.Lgs. 13 luglio 2017, n. 116. All'esito del colloquio orale, il ricorrente è stato dichiarato "non idoneo" dalla Commissione di valutazione istituita presso il Tribunale ordinario di Bari e, conseguentemente, non è stato confermato nell'incarico onorario con provvedimento del C.S.M. Il Tar ha osservato che il ricorrente ha allegato in giudizio una circostanza di fatto negativa - ossia la mancata redazione dei casi pratici in numero doppio e la mancata estrazione a sorte - fornendo a sostegno della stessa un principio di prova, costituito dall'assenza, all'interno del verbale delle operazioni compiute dalla Commissione nel corso della seduta del 29 novembre 2022, di ogni menzione in merito all'avvenuta esecuzione dei due predetti adempimenti. A fronte di una simile deduzione, incombeva sulle Amministrazioni resistenti l'onere, anche in forza del principio di vicinanza della prova, di fornire la prova positiva dell'avvenuta esecuzione degli adempimenti citati. Tale prova non risulta, tuttavia, essere stata raggiunta in giudizio. Il Tar ha ritenuto che non può avere valore indiziario il fatto che nel verbale del 9 novembre 2022, relativo alle operazioni preliminari della Commissione esaminatrice, quest'ultima abbia stabilito che "prima dell'inizio di ciascuna seduta verranno determinati un numero doppio di casi pratici rispetto a quello dei candidati da esaminare". Una simile dichiarazione programmatica, secondo il Tar, non dimostra che la Commissione abbia, poi, effettivamente redatto in numero doppio i casi prima del colloquio del ricorrente, né tantomeno dimostra che al ricorrente sia stata data la possibilità di estrarre a sorte il caso su cui essere esaminato. Il Tar ha osservato che nessun valore indiziario può assumere la circostanza per cui nella seduta del 29 novembre 2022 (quando è stato esaminato il ricorrente) è trascorsa più di un'ora tra il momento di insediamento della Commissione e l'inizio del colloquio al primo candidato. Questo lasso di tempo è infatti compatibile con la redazione dei casi pratici da parte della Commissione, ma è altrettanto compatibile con l'esecuzione di attività diverse e, dunque, nulla dimostra ai fini che qui rilevano. Non può, infine, assumere rilievo probatorio la relazione illustrativa redatta dalla Commissione, in quanto la stessa è stata depositata tardivamente in violazione dei termini di cui all'art. 73 c.p.a., come eccepito da parte ricorrente. In ogni caso, una mera descrizione "a posteriori", da parte della Commissione, delle attività da questa asseritamente compiute in sede di colloquio del candidato non avrebbe potuto - in assenza di ulteriori riscontri indiziari univoci - suffragare la tesi difensiva dell'Amministrazione. Pertanto, secondo il Tar, non può ritenersi dimostrato in giudizio che, prima del colloquio orale del ricorrente, a quest'ultimo siano stati proposti più casi pratici in busta chiusa, al fine di consentirgli di estrarre a sorte il caso sul quale essere valutato. Si è configurata, pertanto, la violazione dell'art. 7, comma 4, della Circolare del CSM, nonché dell'art. 7 del D.M. 19 maggio 2022, che impongono i predetti adempimenti preliminari al colloquio dei candidati. Adempimenti, questi, che sono evidentemente posti a tutela dei principi di trasparenza e di parità di trattamento di tutti i candidati, i quali rilevano anche nell'ambito di una prova valutativa peculiare, come quella in esame, che non ha natura concorsuale in senso stretto. Sulla base di tale motivo di fondatezza del ricorso il Tar ha annullato gli atti impugnati ordinando l'espletamento di un nuovo colloquio orale all'esponente, nel pieno rispetto della disciplina normativa che regola la procedura valutativa di cui all'art. 29, D.Lgs. n. 117 del 2016 e con una Commissione esaminatrice in diversa composizione. 2. Il Consiglio Superiore della Magistratura e il Ministero della Giustizia hanno proposto appello, deducendo quanto segue. Le Amministrazioni appellanti lamentano che la sentenza del T.A.R. sarebbe erronea, anzitutto, nella parte in cui non ha accolto l'eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dal Ministero della Giustizia, in ragione della impugnazione anche del "provvedimento emesso dal Ministro della Giustizia di non conferma nell'incarico onorario". Parte appellante lamenta che la sentenza del T.A.R. sarebbe erronea, sotto un primo profilo, nella parte in cui il Tar- in accoglimento della prima censura - ha ritenuto infondata l'eccezione relativa all'assenza, nel ricorso introduttivo, di una contestazione sufficientemente specifica in merito alla mancata predisposizione di un numero di casi doppio rispetto a quello dei candidati e alla mancata estrazione a sorte del caso sottoposto al ricorrente. Parte appellante ritiene che la contestazione avanzata dal ricorrente si arresti alla mera affermazione di mancato rispetto del disposto normativo senza alcuna allegazione in fatto in merito alle modalità con cui si è svolto l'esame. La doglianza del ricorrente sarebbe stata formulata con riferimento - generico - al mancato rispetto della disposizione di cui all'art. 12, D.P.R. n. 487/1994, dell'articolo 7 co. 4 della circolare del C.S.M. P-8709/2022 e dell'art. 7 del D.M. 19.05.2022, senza che sia stato neppure espressamente affermato, da parte del ricorrente, che gli veniva somministrato dalla Commissione un solo quesito senza che si procedesse ad alcuna estrazione a sorte. Non è stato allegato come sia avvenuta la somministrazione del quesito, se gli sia stata consegnata una busta con dentro il quesito, oppure un foglio sciolto. Parte appellante osserva che dal verbale risulta quanto segue: "La commissione procede alla valutazione delle materie da sottoporre ai candidati stabilendo che prima dell'inizio di ciascuna seduta verranno determinati un numero doppio di casi pratici rispetto a quello dei candidati da esaminare". Il dato - formale - della mancata verbalizzazione dell'attività nella singola seduta di esame non avrebbe rilevanza, a fronte della predetta cristallizzazione delle direttive metodologiche dettate preliminarmente per le sedute successive. Non emergerebbero elementi atti a ritenere che la determinazione del numero doppio dei casi pratici - e la conseguente estrazione a sorte - non siano state nel caso specifico eseguite. Parte appellante considera che la seduta del 29.11.2022, nella quale veniva esaminato il dott. Nu., ha avuto inizio alle 15.00 mentre l'esame dei candidati è iniziato alle ore 16.05. Il lasso temporale di oltre un'ora intercorrente tra l'apertura della seduta e l'inizio degli esami dei candidati è pertanto perfettamente compatibile con la predisposizione dei casi pratici, lasso temporale con riguardo al quale non sarebbe stata effettuata nessuna allegazione nel ricorso, nonostante la redazione di un numero doppio di casi pratici abbia formato oggetto di specifica metodologia cristallizzata dalla Commissione in sede di operazioni preliminari. 3. Parte appellata ha dedotto tra l'altro quanto segue. Il dott. Fr. Nu., nato il 5.7.1968 e iscrittosi all'Ordine degli avvocati di Bari in data 24.11.1998, ha svolto le funzioni di Vice Procuratore onorario a far data dal 2001 senza soluzione di continuità sino all'adozione degli atti impugnati in primo grado. Di fatto, la gran parte della vita lavorativa del deducente (23 anni) è stata dedicata alle funzioni di Magistrato onorario. In particolare, l'odierno deducente: - dal 2001 al 2015, è stato assegnato alla Procura della Repubblica presso il Tribunale Penale di Bari (precisamente, presso le ex Sezioni Distaccate di Bitonto, Modugno, Altamura, Putignano, Rutigliano, Acquaviva delle Fonti, Monopoli) delegato per le udienze dibattimentali, camerali per incidenti di esecuzione, di convalida di arresto e per giudizio direttissimo dinanzi alle ridette articolazioni del Circondario di Bari; - dal mese di maggio 2015 sino all'adozione del provvedimento impugnato in prime cure ha svolto le funzioni alla Procura della Repubblica di Bari presso il Tribunale di Bari, delegato per le udienze dibattimentali di competenza del Giudice Unico di primo grado per la trattazione di processi a citazione diretta e con rinvio a giudizio, definiti con rito ordinario o con rito abbreviato o con patteggiamento, nonché per la trattazione degli incidenti di esecuzione in camera di consiglio, per le udienze di convalida di arresto e per giudizio direttissimo dinanzi il Tribunale di Bari in composizione monocratica; inoltre è stato delegato per le udienze dinanzi al Tribunale di Bari nei procedimenti di volontaria giurisdizione (interdizioni inoltrate anche dall'Ufficio delle Procura di appartenenza e/o da terzi, amministrazione di sostegno), querele di falso, richiesta mutamenti anagrafici, è stato altresì delegato per le udienze dinanzi al Tribunale di Sorveglianza di Bari. Nello svolgimento delle funzioni ha esaminato tematiche astrette alle più disparate fattispecie di reato: immigrazione, misure di prevenzione, reati stradali, violazione finanziarie, stupefacenti, urbanistica e paesaggio, edilizia, ambientali, reati contro la persona, omicidi colposi (sinistri stradali, infortuni sul lavoro e colpa professionale medica) etc., tutti di competenza del Giudice monocratico penale; - a far data dal 2015, giusta ordini di servizio del Procuratore della Repubblica, in occasione della istituzione dell'Ufficio Pronta Definizione, è stato delegato agli atti previsti dagli artt. 50 lett. b), 15 e 25, d. l.vo n. 274/2000 per i reati di competenza del Giudice di Pace penale ed anche alla redazione di provvedimenti afferenti al modello 21, quali decreti penali di condanna. Al ricorrente sono stati affidati procedimenti complessi per stalking, maltrattamenti in famiglia, traffico di merci contraffatte, traffico di sostanze stupefacenti. Nei procedimenti innanzi al Giudice di Pace in materia penale ha trattato tutti i reati di competenza (minacce semplici, invasione di terreni, danneggiamenti, diffamazione, le-sioni, etc.). Quanto all'attività extragiudiziaria, oltre ad aver esercitato la professione di avvocato sino alla cancellazione dall'Albo, nell'anno 1999 per dedicarsi esclusivamente alle funzioni di Vice Procurare Onorario, ha svolto attività di tirocinio (nel corso di Specializzazione Universitaria di Criminologia Clinica) presso La Casa Circondariale di Bari, presso il SERT di Bari nonché presso il Residuo Manicomiale di Bisceglie; dal 2007 è componente della Commissione Giuridica dell'ACI (Automobile Club d'Italia); dal 2007 al 2009 è stato tutor in materia di Diritto Penale nei corsi della Scuola Forense del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Bari per la preparazione all'esame di abilitazione alla professione di avvocato; nel 2011 è stato componente della Commissione Legislativa del Consiglio dell'Ordine Forense di Bari e componente della Commissione del Consiglio dell'Ordine Forense di Bari "Famiglia e Minori"; dal 2011 al 2013 è stato componente della "Commissione per la formazione della Magistratura Onoraria della Corte di Appello di Bari"; nel 2016 è stato nominato componente del Consiglio Giudiziario della Sezione Autonoma dei Magistrati Onorari presso la Corte di Appello di Bari, quale rappresentante per i Vice Procuratori Onorari. Quanto alla formazione, parte appellata ha conseguito il Master Universitario di alta formazione, presso la Facoltà di Giurisprudenza di Bari, in "Diritto Penale dell'Impresa" per l'anno accademico 2001 - 2002 e il Master Universitario di alta formazione, presso la Facoltà di Giurisprudenza di Bari, in "Diritto Sanitario" per l'anno accademico 2003 - 2004. Dal 15.11.2014 al 15.9.2015 è stato consulente per la Società Er. & Yo., presso la Procura della Repubblica di Bari, per il progetto "Riorganizzazione dei processi lavorativi e ottimizzazione delle risorse degli Uffici Giudiziari della Regione Puglia". Ha sempre partecipato ai corsi formativi e convegni organizzati dalla Formazione decentrata e ha svolto l'attività di docente formatore negli incontri di studio tenuti dalla Scuola Superiore della Magistratura, Struttura didattica territoriale presso la Corte di Appello di Bari, in data 21 novembre 2013, sul tema "Guida in stato di ebbrezza. Profili Sostanziali e procedurali. Aspetti analitici e tossicologici" e in data 15 novembre 2015 sul tema "Simulazione di un processo penale - atti introduttivi: costituzione delle parti e questioni preliminari". E' stato relatore nel convegno del 26.1.2018 presso l'Università degli Studi di Bari - Dipartimento di Giurisprudenza dal tema "La riforma della Giustizia Penale (L. 103 del 2017) - Le modifiche ai riti speciali e la nuova disciplina sulle intercettazioni tele-foniche" e in data 19.9.2016 presso l'Ordine degli Avvocati di Bari sul tema "La Manipolazione Psicologica e le diverse forme di condizionamento della personalità - Le tecniche di condizionamento e di indottrinamento nei gruppi settari: psicopatologia delle sette e profili penali". Nel corso della lunga carriera ha partecipato a 10/12 udienze dibattimentali mensili innanzi al Giudice Monocratico con 40/50 fascicoli ad udienza; circa 2 udienze mensili innanzi al Giudice di Pace con 20/30 fascicoli ad udienza; sulla base della turnazione mensile il sottoscritto è applicato 1/3 volte al mese innanzi alle udienze per procedi-mento direttissimo, è altresì applicato all'Ufficio Pronta Definizione per 3/4 volte al mese. Il ricorrente, possedendo i requisiti prescritti (16 anni di servizio alla data del 15.8.2017) ha presentato domanda di partecipazione alla procedura di valutazione per la conferma nell'incarico dei magistrati onorari prevista dall'art. 29, d. l.vo n. 116/2017 e disciplinata dal d.M. Giustizia 3.3.2022, dalla delibera CSM in data 20.4.2022 (prot. n. P 8709/2022 del 27.4.2022) che ha regolato nel dettaglio la "procedura di conferma nell'incarico dei magistrati onorari" e, infine, dal d.M. Giustizia 19.5.2022. All'esito dei procedimenti di avvio della procedura di valutazione ai fini della conferma nella funzione di magistrato onorario, di nomina delle Commissioni dei singoli circondari del distretto di Corte di Appello di Bari e della prova tenutasi in data 29.11.2022, il dott. Nu. è risultato sorprendentemente "non idoneo" (unico caso a Bari). 4. L'appello è infondato. L'eccezione di difetto di legittimazione passiva del Ministro della Giustizia è infondata, avendo il ricorrente impugnato, tra gli altri, anche il provvedimento emesso dal Ministro della Giustizia di non conferma nell'incarico di giudice onorario. Parte appellante non ha smentito le specifiche circostanze fattuali cui ha fatto riferimento la motivazione del Tar. Infatti il ricorrente ha allegato in giudizio una circostanza di fatto negativa - ossia la mancata redazione dei casi pratici in numero doppio e la mancata estrazione a sorte - fornendo a sostegno della stessa un principio di prova, costituito dall'assenza, all'interno del verbale delle operazioni compiute dalla Commissione nel corso della seduta del 29 novembre 2022, di ogni menzione in merito all'avvenuta esecuzione dei due predetti adempimenti. A fronte di una simile deduzione, incombeva sulle Amministrazioni resistenti l'onere, anche in forza del principio di vicinanza della prova, di fornire la prova positiva dell'avvenuta esecuzione degli adempimenti citati. Tale prova non risulta, tuttavia, essere stata raggiunta in giudizio. Come osservato dal Tar, non può avere valore indiziario il fatto che nel verbale del 9 novembre 2022, relativo alle operazioni preliminari della Commissione esaminatrice, quest'ultima abbia stabilito che "prima dell'inizio di ciascuna seduta verranno determinati un numero doppio di casi pratici rispetto a quello dei candidati da esaminare". Una simile dichiarazione programmatica non dimostra che la Commissione abbia, poi, effettivamente redatto in numero doppio i casi prima del colloquio del ricorrente, né tantomeno dimostra che al ricorrente sia stata data la possibilità di estrarre a sorte il caso su cui essere esaminato. Correttamente il Tar ha osservato che nessun valore indiziario può assumere nemmeno la circostanza per cui nella seduta del 29 novembre 2022 (quando è stato esaminato il ricorrente) è trascorsa più di un'ora tra il momento di insediamento della Commissione e l'inizio del colloquio al primo candidato. Questo lasso di tempo è certamente compatibile con la redazione dei casi pratici da parte della Commissione, ma è altrettanto compatibile con l'esecuzione di attività diverse e, dunque, nulla dimostra ai fini che qui rilevano. Pertanto non può ritenersi dimostrato in giudizio che, prima del colloquio orale del ricorrente, a quest'ultimo siano stati proposti più casi pratici in busta chiusa, al fine di consentirgli di estrarre a sorte il caso sul quale essere valutato. Si è configurata, pertanto, la violazione dell'art. 7, comma 4, della Circolare del CSM, nonché dell'art. 7 del D.M. 19 maggio 2022, che impongono i predetti adempimenti preliminari al colloquio dei candidati. L'appello deve pertanto essere respinto. Ne consegue la conferma dell'ordine di espletamento di un nuovo colloquio orale all'esponente, nel pieno rispetto della disciplina normativa che regola la procedura valutativa di cui all'art. 29, D. Lgs. n. 117 del 2016 e con una Commissione esaminatrice in diversa composizione. Le complesse circostanze fattuali inducono il collegio a compensare le spese dell'appello. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese dell'appello compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati: Marco Lipari - Presidente Fabio Franconiero - Consigliere Massimiliano Noccelli - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 243 del 2024, proposto dall'Università degli Studi di Bologna Alma Mater Studiorum, in persona del Rettore pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via (...); contro -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Al. Bl. e Ma. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna Sezione Prima n. -OMISSIS-; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 giugno 2024 il Cons. Daniela Di Carlo; Udito l'avvocato Ma. Sa.; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. L'Università degli Studi di Bologna Alma Mater Studiorum ha appellato la sentenza con cui il Tar per l'Emilia Romagna, Sezione Prima, ha accolto il ricorso dell'odierno appellato per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia, del decreto rettorale con cui, in sede di riedizione del potere a seguito di annullamento giurisdizionale, gli era stata applicata la sanzione disciplinare della sospensione dall'ufficio e dallo stipendio per la durata di due mesi, in luogo di quella precedentemente inflitta pari a nove mesi, per l'appunto annullata. 2. Più nel dettaglio, era accaduto che l'Ateneo, nell'-OMISSIS-, infliggesse all'odierno appellato la predetta sanzione disciplinare, contestandogli una situazione di incompatibilità e di conflitto di interessi dovuta al fatto che il professore aveva ricoperto, -OMISSIS- i concomitanti ruoli di Presidente della --OMISSIS- (-OMISSIS-), di responsabile della ricerca per l'Università di Bologna e tutor assegnista, nonché di Presidente della Commissione che, -OMISSIS- conferì un assegno di ricerca a due assegniste socie della suddetta società . La sanzione venne annullata dal Tar Emilia Romagna con sentenza n. -OMISSIS-, statuendosi in particolare che "Il ricorso, in conclusione, merita di essere accolto, come già accennato in sede cautelare, in relazione alla censura di sproporzione dell'entità della sanzione rispetto alle condotte contestate. La condotta del ricorrente è sostanzialmente unica e cioè di non essersi astenuto dichiarandolo al momento opportuno. (...) Il provvedimento va, quindi, annullato in relazione all'entità della sanzione che dovrà essere rideterminata dal Collegio di disciplina, tenendo conto del contenuto della presente sentenza.". Nel giudizio di impugnazione proposto dall'Ateneo, il Consiglio di Stato, con la sentenza n. -OMISSIS-, pur riconoscendo che "nella specie sussistesse tra l'appellante e le due assegniste da lui giudicate, un rapporto professionale, ulteriore rispetto a quello meramente accademico, connotato da caratteri tali da rendere doverosa l'astensione. E invero, l'appellante e le due concorrenti erano soci della medesima società che indubbiamente si è avvantaggiata, anche in termini economici, dell'attività di ricerca svolta da queste ultime.", respinse l'appello e confermò la sentenza di primo grado. A quel punto, in esecuzione del decisum giurisdizionale, l'Ateneo si rideterminò nel senso di ridurre l'entità della sanzione comminata, da nove a due mesi, ritenendo così compiuto il proprio legittimo operato. È tuttavia accaduto che il professore, ritenendosi ancora ingiustamente leso nei propri interessi, abbia promosso un nuovo ricorso, che ha portato all'odierno giudizio, sostenendo la non corretta esecuzione della sentenza n. -OMISSIS-. In particolare, il ricorrente deduceva la violazione dei criteri contenuti nella sentenza n. -OMISSIS-, oltre che degli artt. 10 della legge "Gelmini" e 6 della CEDU. Anche tale ricorso è stato definito dal Tar dell'Emilia Romagna con un nuovo accoglimento (sentenza n. -OMISSIS-), che ha portato all'annullamento della rieditata sanzione disciplinare. Con sentenza -OMISSIS-, n. -OMISSIS-, questa Sezione ha accolto l'appello dell'Università di Bologna dichiarando ex art. 105 c.p.a. la nullità della suindicata sentenza n. -OMISSIS- per nullità della notifica del ricorso effettuata unicamente presso l'Avvocatura Distrettuale dello Stato, e non presso la sede legale dell'Università quale ente autonomo sottoposto a patrocinio da parte dell'Avvocatura solamente facoltativo, con rinvio al primo giudice, previa rinnovazione della notifica a tutela del contraddittorio. L'odierno appellato ha riassunto il giudizio dinanzi al Tar indicato, che, con la sentenza n. -OMISSIS-, qui impugnata, ha accolto il ricorso, ancora una volta annullando gli atti impugnati. Dall'impugnazione di tale sentenza deriva l'odierno giudizio. 3. In particolare, il Tar adito ha ritenuto fondate, per un verso, le censure riguardanti la violazione dei criteri contenuti nella sentenza n. -OMISSIS-, oltre che degli artt. 10 della legge "Gelmini" e 6 della CEDU (nel senso che l'Università avrebbe dovuto procedere sia a riformulare gli addebiti disciplinari originariamente mossi, sia a fare una nuova proposta di sanzione, conformemente al principio del "giusto processo" e ai corollari in tema di garanzia del diritto di difesa) e, per un altro verso, le censure concernenti l'obbligo per l'Ateneo di effettuare le suddette operazioni con un Collegio di disciplina di nuova nomina e in diversa composizione, condividendo l'assunto secondo cui i membri originari sarebbero inevitabilmente condizionati dalle convinzioni viziate già maturate. 4. Nell'appellare la sentenza, l'Ateneo ha dedotto: I. Error in procedendo et in iudicando - Violazione e falsa applicazione di norme di diritto - Violazione del giudicato esterno. L'errore di diritto in cui sarebbe incorso il primo giudice sarebbe evidente, in quanto si pretenderebbe una applicazione "distorta" del giudicato contenuto nella sentenza n. -OMISSIS-, obliterandosi del tutto, infatti, la circostanza che tale sentenza è stata confermata in parte qua dalla Sesta Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. -OMISSIS- del -OMISSIS-. II. Error in procedendo et in iudicando - Assenza obbligo di nomina di un nuovo Collegio. Sul presupposto dell'accertamento, in via definitiva, della legittimità del provvedimento disciplinare, e dell'assenza di qualsivoglia atteggiamento ritorsivo nei confronti del ricorrente, l'Università afferma come non vi fosse alcun obbligo, a proprio carico, di nominare diverso Collegio di disciplina. 5. L'odierno appellato ha resistito al gravame e ha riproposto ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.a. anche i motivi di ricorso assorbiti e quelli non accolti in primo grado. 6. Le parti hanno ulteriormente insistito sulle rispettive tesi difensive. 7. Alla udienza pubblica dell'11 giugno 2024, la causa è stata discussa e, all'esito, è passata in decisione. 8. L'appello è fondato. 9. In particolare, è fondato il primo motivo di appello che si incentra sulla violazione del giudicato. La sentenza n. -OMISSIS- aveva respinto il motivo con cui si era dedotta la tardività dell'azione disciplinare, mentre aveva accolto quello riguardante l'eccesso di potere per disparità di trattamento e per difetto di proporzionalità della sanzione, dal momento che, pur accertata la situazione di incompatibilità, si era accordato rilievo alla prassi, dimostratasi diffusa in seno all'Ateneo, consistente in comportamenti del tutto analoghi posti in essere da altri docenti, costantemente tollerata, con conseguente "carattere ritorsivo della sanzione" in relazione al mancato acquisto della quota societaria. Inoltre, si era anche considerato come tale situazione di incompatibilità fosse nota all'Amministrazione, quantomeno dall'epoca di pubblicazione sul portale dell'Ateneo dei bandi di selezione degli assegnisti e della parziale deroga al principio di esclusività delle prestazioni del dipendente pubblico contenuto nel regolamento interno approvato con D.R. n. 89 del 2013, circostanze, queste, tutte ritenute, unitamente al rilevante tempo trascorso, tali da attenuare il disvalore della condotta serbata dal ricorrente. È per questa ragione che la sentenza n. -OMISSIS- aveva statuito che: "Il ricorso, in conclusione, merita di essere accolto, come già accennato in sede cautelare, in relazione alla censura di sproporzione dell'entità della sanzione rispetto alle condotte contestate. La condotta del ricorrente è sostanzialmente unica e cioè di non essersi astenuto dichiarandolo al momento opportuno. (...) Il provvedimento va, quindi, annullato in relazione all'entità della sanzione che dovrà essere rideterminata dal Collegio di disciplina, tenendo conto del contenuto della presente sentenza.". In sede di appello, il Consiglio di Stato, con la sentenza n. -OMISSIS-, aveva rigettato il ricorso, confermando la legittimità del provvedimento disciplinare e quindi l'esistenza dell'obbligo di astensione del professore rispetto ai fatti contestati. Acclarato quindi il definitivo accertamento della legittimità del provvedimento disciplinare sotto il profilo dell'an, sul quale era calato il giudicato, ciò che unicamente residuava in capo all'Ateneo era l'obbligo di rideterminare la misura della sanzione (il quantum) in senso più adeguato, congruo e proporzionato ai fatti. Ritiene il Collegio che a tale obbligo l'Ateneo abbia legittimamente adempiuto emanando la nuova sanzione, all'evidenza espressiva di una completa riconsiderazione della vicenda in senso più favorevole al ricorrente, essendo stata la stessa ridotta da nove a soli due mesi, in applicazione, per l'appunto, dei criteri orientativi della riedizione del potere dettati dal giudice di prime cure, confermati in appello, alla stregua dei quali si sarebbe dovuto giudicare con minore severità la condotta serbata dal professore, trattandosi di comportamento ascrivibile anche ad altri docenti e in passato già tollerato dall'Ateneo. Né da tale giudicato potrebbe evincersi una scriminante della condotta del ricorrente, tale cioè da eliderne la antigiuridicità, in quanto la norma sul conflitto di interessi è stata effettivamente violata, mentre ciò che si sarebbe dovuta riconsiderare, come poi in effetti è avvenuto, era la gravità della condotta ascritta al ricorrente, da soppesarsi con la prassi, nota e tollerata dall'Ateneo, di tenere comportamenti simili anche da parte di altri docenti. Trattandosi, quindi, al massimo, dell'applicazione di circostanze attenuanti, ritiene il Collegio che non sia illogica, né macroscopicamente illegittima, né tantomeno ritorsiva, la rideterminazione effettuata dal Collegio di disciplina, essendosi 'scontatà la sanzione a soli due mesi, rispetto agli originari nove. Non merita, di conseguenza, condivisione, la sentenza impugnata, nella parte in cui, invece di pronunciarsi sulla legittimità della riedizione del potere a seguito dell'annullamento giurisdizionale, ha rimesso in discussione tutto il procedimento disciplinare, prescrivendo la rinnovazione delle fasi concernenti la contestazione dell'addebito e la formulazione della proposta, non avvedendosi del fatto che su tali elementi era già calato il giudicato. L'errore in cui è incorso il giudice di primo grado è consistito, pertanto, nell'essersi pronunciato sul procedimento disciplinare, quando invece oggetto del giudizio era solo il decreto con cui è stata rideterminata la misura della sanzione in ottemperanza alle citate sentenze n. -OMISSIS- del Tar Emilia Romagna e n. -OMISSIS- del Consiglio di Stato. A ciò va aggiunto che il primo giudice non ha nemmeno considerato che il contenuto dell'obbligo di ottemperanza alla sentenza n. -OMISSIS- era stato integrato dalla sentenza n. -OMISSIS- nel senso di eliminare la statuizione concernente il carattere ritorsivo dell'operato dell'Ateneo. Tanto più, quindi, di fronte ad una evidente riderteminazione favorevole del trattamento sanzionatorio, il primo giudice non avrebbe potuto procedere a nuovo annullamento dell'atto introducendo nel decisum ulteriori e non pertinenti valutazioni, inidonee ad influire sulle "modalità asseritamente interpretative del decisum" per inferirne addirittura elementi di illegittimità del provvedimento attuativo. Da ciò discende, in definitiva, che, proprio per eseguire correttamente il suddetto decisum, non occorreva affatto né riformulare gli addebiti disciplinari, né procedere a nuova contestazione. 10. Anche il secondo motivo di appello è fondato. In nessuna parte del succitato giudicato è presente l'obbligo di nominare un nuovo Collegio di disciplina. Ritiene, quindi, il Collegio, che legittimamente l'organo deputato a rieditare il potere entro i limiti tracciati dal giudicato, si sia riunito e abbia dato atto, nel preambolo dell'atto impugnato, di tutte le circostanze attenuanti evidenziate dal Tar, anche di quelle che il Consiglio di Stato ha poi ritenuto irrilevanti (in particolare, rispetto alla sopra richiamata prassi contra legem), per poi, in ragione del dovere di conformazione alla citata sentenza del Tar, ridurre significativamente l'entità della sanzione a soli due mesi di sospensione dall'ufficio e dallo stipendio. Il giudice amministrativo, infatti, non ha né annullato l'intera procedura, né ha ravvisato censure di illegittimità nella nomina della composizione del Consiglio di disciplina. Assodato, quindi, che è da escludere qualsivoglia forma di disparità di trattamento, e che il carattere asseritamente ritorsivo della sanzione non trova riscontro negli atti che sono stati adottati dall'Ateneo, deve concludersi per la piena legittimità del provvedimento irrogativo della sanzione della sospensione per soli due mesi. La modifica del Collegio di disciplina, peraltro, non va sottaciuto, oltre che non obbligatoria per legge, né dettata da statuizione di giudicato, si sarebbe anzi potuta risolvere in un elemento a sfavore dell'interessato, in quanto avrebbe necessariamente comportato l'intera riedizione - cioè ab initio - del procedimento sanzionatorio, con una dilatazione abnorme della fase esecutiva della sentenza, questo sì in contrasto con i principi, anche europei, del giusto processo. 11. Infondati sono, invece, i motivi riproposti dall'appellato ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.a.. In particolare, è infondata la censura con cui si era contestato che la sanzione fosse del tutto priva di motivazione, erronea nel postulato e assunta in violazione delle garanzie del giusto processo. In particolare, non è stato posto in essere alcuno scorretto 'sdoppiamentò dei comportamenti contestati al ricorrente, né questo ha inciso sulla quantificazione della sanzione, dal momento che la violazione dell'obbligo di astensione concreta una fattispecie grave, come tale non passibile di sola censura. Inoltre, non è corretto sostenere che il Collegio di disciplina abbia applicato la sanzione sulla base delle informazioni 'fuorviantà illustrate dalla -OMISSIS- per le Risorse Umane, rilevandosi l'assoluta indipendenza e autonomia di giudizio del Collegio rispetto ad ogni parere espresso in seno al procedimento. Sotto il profilo procedimentale, poi, non vi è stata alcuna violazione del diritto ad un procedimento equo e di durata ragionevole sancito dall'art. 97 Cost., nonché dall'art. 117, primo comma, Cost. in relazione all'art. 6 paragrafo 1, CEDU. Semmai, poco poc'anzi si osservava, proprio la riedizione (non dovuta) dell'intero procedimento disciplinare avrebbe potuto comprimere il diritto di difesa e il diritto al giusto processo del ricorrente, sotto i profili della tempestività celerità ed efficienza dell'azione amministrativa. Nel caso all'esame, infatti, non ha alcun senso logico, prima ancora che giuridico, invocare la lesione di siffatti principi, posto che il giudicato è calato anche sull'aspetto concernente la legittimità e tempestività dell'esercizio dell'azione disciplinare: ciò che andava unicamente rinnovato era, infatti, la sola rideterminazione del trattamento sanzionatorio in favore del ricorrente, come poi difatti si è verificato. Neppure coglie nel segno la censura concernente l'obbligo di motivazione, rilevandosi anzi sulla base della piana lettura dell'atto impugnato che tale obbligo è stato assolto: "valutata la rilevanza della contestazione di addebiti sulla mancata astensione del prof. (n. d.r., omissis) dalla commissione di concorso e sull'avere lo stesso rilasciato dichiarazioni non veritiere in merito all'insussistenza di situazioni di incompatibilità, richiamate relativamente a tale specifica contestazione le argomentazioni espresse nel verbale del Collegio di disciplina del -OMISSIS-... tenuto altresì conto delle circostanze attenuanti richiamate nella pronuncia del TAR, reputa congrua e proporzionata l'applicazione al prof. (nd.r., omissis) della sanzione disciplinare della sospensione dall'ufficio e dallo stipendio nella misura di complessivi mesi due". Sono pure infondate le censure che lamentano la disparità di trattamento e la discriminazione rispetto ad altri docenti. Al di là del fatto che non vi è prova concreta della validità di tali asserzioni, va comunque sia rilevato che, proprio sulla base del giudicato, non varrebbe a scriminare la condotta del ricorrente la eventuale pari condotta serbata da altri docenti, dovendo questi ultimi, semmai, essere sottoposti a procedimento disciplinare, senza che per ciò solo vada mandato assolto l'odierno appellato dalla incolpazione. Tale situazione di prassi generalizzata, peraltro, è stata correttamente posta alla base della nuova sanzione, fungendo da attenuante per la rideterminazione della sanzione, ridotta a soli due mesi, con la conseguenza non ha fondamento alcuno l'accusa di "doppiopesismo" sulla quale pure ha insistito l'appellato. 12. In definitiva, l'appello va accolto, mentre vanno respinti i riproposti motivi di ricorso, con conseguente riforma della sentenza impugnata e rigetto del ricorso di primo grado. 13. Le spese del doppio grado sono liquidate in dispositivo sulla base della soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto: accoglie l'appello; respinge i riproposti motivi di ricorso di primo grado; per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado; condanna l'appellato a rifondere in favore dell'Università appellante le spese del doppio grado, liquidate in complessivi euro 7.000,00, oltre spese generali, IVA e CPA se dovute come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti e della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l'originario ricorrente, odierno appellato. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 giugno 2024 con l'intervento dei magistrati: Marco Lipari - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Daniela Di Carlo - Consigliere, Estensore Sergio Zeuli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE composta da Dott. APRILE Ercole - Presidente Dott. VILLONI Orlando - Consigliere Dott. GALLUCCI Enrico - Consigliere Dott. ROSATI Martino - relatore Dott. DI NICOLA TRAVAGLINI Paola - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da Bo.Ma., nato a R. il (Omissis) avverso la sentenza del 22/09/2023 della Corte di appello di Potenza; letti gli atti del procedimento, il ricorso e la sentenza impugnata; udita la relazione del consigliere Martino Rosati; udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Simone Perelli, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito il difensore del ricorrente, avv. Do.Ci., che ha chiesto l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con atto del proprio difensore, Bo.Ma. impugna la sentenza della Corte di appello di Potenza del 22 settembre 2023, che ha confermato quella emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della stessa città il 4 dicembre 2018 all'esito di giudizio abbreviato, con cui è stato condannato per il delitto di abuso d'ufficio ed al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile Ma.Ga. Nella sua veste di coordinatore di un collegio di dottorato di ricerca dell'Università degli studi della Basilicata e di presidente della commissione per la selezione pubblica per titoli finalizzata al conferimento di un incarico di insegnamento annuale presso quell'università, egli avrebbe fatto prevalere il candidato An.Ri., omettendo di astenersi nonostante gravi ragioni di convenienza (per essere stato tutor dello stesso nella redazione della tesi di dottorato ed aver curato insieme a lui diverse pubblicazioni scientifiche, oggetto di valutazione nell'àmbito della procedura), nonché assegnando i punteggi secondo criteri diversi da quelli stabiliti nel bando di selezione e, in questo modo, procurando al An.Ri. un indebito vantaggio patrimoniale in pregiudizio dell'altro candidato Ma.Ga.. 2. Il ricorso dell'imputato consta di due motivi. 2.1. Con il primo, si lamentano violazione di legge e vizi della motivazione del capo relativo all'affermazione di colpevolezza. Si sostiene, infatti, che non gravasse sull'imputato alcun dovere di astensione, poiché le norme a tal fine richiamate in sentenza - art. 6-bis, legge n. 241 del 1990; art. 7, D.P.R. n. 62 del 2013; art. 51, comma 2, cod. proc. pen. - tanto prevedono solo nel caso di rapporti di parentela, invece inesistenti con il candidato An.Ri.. Si citano, in proposito, vari precedenti del Consiglio di Stato, che, al di fuori dei casi di parentela, hanno limitato il dovere di astensione alle ipotesi di esistenza di un sodalizio professionale tra componente della commissione e candidato, di un rapporto, cioè, caratterizzato da stabilità e reciprocità d'interessi economici, e si lamenta la sostanziale assenza di motivazione sui rilievi in tal senso formulati con l'atto d'appello. Riguardo, poi, all'inosservanza dei criteri stabiliti nel bando, la difesa si duole dell'omessa considerazione delle testimonianze del direttore del dipartimento Romano e dei componenti della commissione Bu. e Na., nella parte in cui hanno riferito che i criteri di attribuzione dei punteggi erano stati stabiliti prima di conoscere i nominativi dei candidati e di esaminarne i titoli. Inoltre, il ricorso deduce: che l'assunto della sentenza per cui i titoli del An.Ri. sarebbero stati valutati più volte è smentito dal verbale della commissione; che la Corte d'Appello afferma essere stato violato il bando di gara, ma non indica in quale punto; che non è emersa alcuna ragione per cui l'imputato avrebbe avuto interesse a favorire An.Ri.; che, dunque, non sono indicati gli elementi sui quali il giudice d'appello ha formato il proprio convincimento, essendosi questi sostanzialmente limitato a "ratificare" la sentenza di primo grado. 2.2. Il secondo motivo denuncia i medesimi vizi della sentenza, in punto di diniego delle attenuanti generiche e di quella dell'art. 323-bis, primo comma, cod, pen. Riguardo alle prime, manca qualsiasi motivazione sulla ritenuta assenza di elementi favorevoli all'imputato. Per la seconda, poi, manca del tutto la motivazione, pur in presenza di uno specifico motivo d'appello. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato, presentando la sentenza diverse lacune motivazionali, che richiedono di essere colmate. 2. Tanto dicasi, anzitutto, con riferimento alla ipotizzata violazione del dovere di astensione. 2.1. In proposito, va preliminarmente rilevato che, in linea di principio, tale violazione è sufficiente ad integrare il reato di abuso d'ufficio pur in assenza dell'inosservanza di "specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità", richiesta dall'attuale testo dell'art. 323, cod. pen., come modificato dalla novella del 2020 (Sez. 6, n. 7007 del 08/01/2021, Micheli Rv. 281158). 2.2. Ciò premesso, quanto al dato normativo di riferimento, mancando nella legge 30 dicembre 2010, n. 240, di disciplina dell'ordinamento universitario, una specifica regola sul punto, correttamente i giudici di merito l'hanno individuata nell'art. 11, comma 1, D.P.R. 9 maggio 1994, n. 487 ("Regolamento recante norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi"), che opera un espresso richiamo alle fattispecie di astensione tipizzate per i magistrati dall'art. 51, cod. proc. civ., tra le quali quella - per così dire "di chiusura" - delle gravi ragioni di convenienza. Là dove la sentenza impugnata si rivela carente, però, è nell'analisi della giurisprudenza amministrativa formatasi sul punto, che ha riempito di contenuto tale clausola normativa inevitabilmente generica e che, per il principio di unitarietà e non contraddizione dell'ordinamento, non può non rappresentare un utile - se non addirittura necessario - punto di riferimento anche per il giudice penale. Ebbene, più volte il Consiglio di Stato si è espresso nel senso che, nell'àmbito dei concorsi universitari, non costituisce ragione d'incompatibilità, per i componenti delle commissioni per l'assegnazione di incarichi di docenza, la sussistenza sia di rapporti di mera collaborazione scientifica, sia di pubblicazioni comuni con il candidato, essendo ravvisabile un obbligo di astensione solo in presenza di una comunanza di interessi anche economici, di intensità tale da porre in dubbio l'imparzialità del giudizio (tra diverse altre: sez. VI, 19.7.2018, n. 5050; sez. VI, 3.7.2014, n. 3366; sez. III, 20.9.2012, n. 5023; sez. VI, 31.5.2012, n. 3276). Ciò in quanto l'esistenza di rapporti scientifici di collaborazione costituisce ipotesi frequente e del tutto fisiologica nel mondo accademico e non è tale da inficiare di per sé il rispetto del principio di imparzialità dei commissari, specie laddove si versi in un campo specialistico e sia difficile trovare un esperto che non abbia avuto alcun tipo di contatto scientifico o didattico con uno dei candidati (sez. II, 7.3.2014, n. 3768). In linea generale, dunque, un dovere di astensione del commissario non sussiste allorquando la collaborazione scientifica con il candidato abbia avuto carattere di mera occasionalità (sez. VI, 13.12.2017, n. 5865; sez. VI, 16.4.2015, n. 1962). Ma, anche quando tale occasionalità non vi sia, non per ciò solo quel dovere sussiste. Non può essere un caso, infatti, che la citata legge n. 240 sull'ordinamento universitario non lo abbia specificamente previsto, ma abbia piuttosto concentrato l'attenzione sui procedimenti di scelta dei componenti delle commissioni, prevedendo il coinvolgimento negli stessi della comunità scientifica ed accademica, alla quale costoro rispondono delle loro valutazioni. Del resto, nel senso che, per il corretto espletamento dei concorsi per le docenze universitarie, costituisca maggior garanzia il rigore nel procedimento di formazione delle commissioni esaminatrici, piuttosto che l'inevitabilmente vago parametro della comunanza d'interessi tra commissari e candidati, si è espresso anche il Consiglio dell'Autorità nazionale anticorruzione ("A.n.a.c."), nalla delibera n. 25 del 15 gennaio 2020, contenente "Indicazioni per la gestione di situazioni di conflitto di interessi a carico dei componenti delle commissioni giudicatrici di concorsi pubblici e dei componenti delle commissioni di gara per l'affidamento di contratti pubblici". In conclusione, allora, la violazione del dovere di astensione va ravvisata quando l'"intensità della collaborazione" tra componente della commissione e candidato sia tale da far ritenere che la valutazione di quest'ultimo sia stata basata non sulle sue qualità scientifiche o didattiche, ma sulla conoscenza personale tra costoro o comunque su elementi di altra natura (in questi termini, sez. VI, n. 5050/2018, cit.; costituiscono espressione del medesimo principio, tra diverse altre: Sez. Ili, 17.01.2020, n. 420; sez. VI, 29.8.2017, n. 4105; sez. Ili, 28.4.2016, n. 1628; sez. V, 17.11.2014 n. 5618; sez. VI, 23.09.2014 n. 4789; sez. VI, 27.11.2012, n. 4858; per una rassegna più completa, si veda la citata delibera dell"'A.n.a.c."). 2.3. Il Collegio ritiene di condividere tale posizione ermeneutica del Consiglio di Stato, che è coerente con il maggior disvalore che connota l'illecito penale rispetto a quello di altri settori dell'ordinamento, con le più incisive ricadute della sanzione penale sulla sfera di libertà del cittadino, ma anche con la particolare e più intensa forma di dolo necessaria per la configurabilità del delitto di abuso d'ufficio, che presuppone l'intenzionale scelta dell'agente di favorire o danneggiare indebitamente qualcuno. 2.4. Sui dati di fatto della collaborazione con il candidato An.Ri., essenziali, dunque, per stabilire se su Bo.Ma. gravasse un dovere di astensione e se egli lo abbia scientemente violato, la sentenza impugnata non risulta esauriente, limitandosi a riferire di "pubblicazioni di ricerche effettuate insieme, caratterizzate da continuità e sistematicità", e di una conoscenza "nel dettaglio", da parte dell'imputato, delle pubblicazioni del candidato, "per averle fatte insieme", senza tuttavia specificare non solo se tra i due vi fossero comuni interessi economici, ma neppure, e quanto meno, se e per quale motivo quelle pubblicazioni comuni avessero rivestito un ruolo determinante nelle valutazioni della commissione. 3. Anche nell'ipotesi in cui non fosse configurabile un dovere di astensione, e quindi non potesse ravvisarsene una violazione, il delitto di abuso d'ufficio sarebbe comunque configurabile - come detto - in caso di inosservanza di "specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità". La sentenza impugnata, sotto questo specifico ed ulteriore profilo, si limita a sottolineare ripetutamente che, nella vicenda in esame, siano state violate le disposizioni del bando di concorso. Vero è, come sostiene la difesa ricorrente, che il bando è un atto amministrativo e non un avente forza di legge. Tuttavia, la violazione di legge rilevante ai fini dell'art. 323, cod. pen., può anche essere mediata, allorché la disposizione subprimaria non rispettata, operando quale norma interposta, si risolva nella specificazione di un precetto comportamentale già compiutamente definito nella norma di legge, purché questa sia conforme ai canoni della tipicità e tassatività propri del precetto penale (Sez. 6, n. 33240 del 16/02/2021, Del Principe, Rv. 281843). Ebbene, l'attribuzione al bando di gara del compito di stabilire le regole delle procedure competitive per l'affidamento di incarichi pubblici è una costante della nostra legislazione, e una specifica disposizione in tal senso si rinviene anche nella già citata legge n. 240 del 2010, regolatrice dell'ordinamento universitario: la quale, all'art. 23, per gli insegnamenti a contratto, come quello di cui si discute, stabilisce presupposti, tempi e requisiti di massima, prevedendo in conclusione che "i contratti sono attribuiti previo espletamento di procedure disciplinate con regolamenti di ateneo, nel rispetto del codice etico, che assicurino la valutazione comparativa dei candidati e la pubblicità degli atti. " Perché, dunque, possa dirsi realizzata nell'ipotesi oggetto di giudizio una violazione di legge, così come richiede l'art. 323, cod. pen., è necessario allora verificare i contenuti del bando e la conformità delle relative previsioni al regolamento di ateneo ed al codice etico, ed in particolare alle disposizioni ivi eventualmente presenti in tema di titoli, loro ordine d'importanza e, più in generale, criteri di giudizio dei vari elementi di valutazione (sulla necessità, in linea di principio, che l'amministrazione specifichi nel bando tali elementi, indicandoli in ordine decrescente di importanza e disciplinando inoltre, attraverso la lettera d'invito, i criteri di valutazione, non potendo la commissione operare tale definizione direttamente in sede di scelta tra i concorrenti o successivamente alla ricezione delle loro domande, vds. Cons. Stato, Sez. V, 13.4.1999, n. 412). Anche una tale indagine, però, nella sentenza impugnata non si rinviene. 4. Quest'ultima trascura, infine, un ulteriore profilo decisivo. Costituisce dato acquisito che, perché possa configurarsi il delitto di abuso d'ufficio, sia necessaria una doppia ed autonoma ingiustizia: la condotta, cioè, non solo deve risultare non iure, vale a dire porsi in contrasto con la legge, ma deve pure produrre un evento di vantaggio o di svantaggio contra ius, poiché non spettante o consentito in base al diritto oggettivo (tra le moltissime, a puro titolo esemplificativo, Sez. 6, n. 17676 del 18/03/2016, Florio, Rv. 267171; Sez. 6, n. 10133 del 17/02/2015, Scassellati, Rv. 262800). In applicazione di tale principio al caso in esame, risulta necessario verificare, dunque, se, nonostante l'eventuale comunanza d'interessi con l'imputato e/o la violazione di specifiche prescrizioni del bando, il candidato An.Ri. vantasse titoli prevalenti rispetto a quelli dei propri concorrenti: ove mai così fosse, infatti, il delitto ipotizzato non sussisterebbe. Anche sotto questo aspetto, dunque, s'impone un supplemento di motivazione da parte del giudice di merito. 5. La sentenza impugnata dev'essere, pertanto annullata, con rinvio al giudice d'appello, affinché integri la motivazione sui profili indicati. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Salerno. Così deciso in Roma, il 14 maggio 2024. Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2024

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte di Appello di Bari - sezione per le controversie in materia di lavoro, previdenza e assistenza - composta dai (...) dott.ssa (...) relatore dott.ssa (...) dott. (...) nella controversia di lavoro iscritta al n. (...) del Ruolo Generale dell'anno 2024 vertente tra (...) rappresentato e difeso dall'avv. (...) -(...) principale - Appellato incidentale - e (...) S.R.L.S., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti (...) e (...) - (...) principale - - (...) incidentale - (...) E IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con ricorso depositato in data (...) innanzi al Tribunale di Trani, in funzione di giudice del lavoro, (...) conveniva in giudizio la società " (...)" srls affinché, accertato che egli aveva lavorato alle sue dipendenze dal 01.07.2015 al 13.07.2018, con la qualifica di operaio e le mansioni di pizzaiolo di cui al 4° livello del (...) fosse condannata al pagamento a titolo di spettanze retributive della somma di euro 91.879,56, oltre agli accessori di legge ed alla rifusione delle spese processuali. Premetteva il ricorrente di aver iniziato a prestare attività lavorativa in favore della convenuta dal 01.07.2015, senza regolare assunzione; di aver osservato un orario di lavoro dalle ore 11.00 alle 15.00 e dalle 22.30 alle 03.00 presso le sedi di via (...) dal 01.07.2015 al 30.05.2016, di (...) dal 04.06.2016 al 30.09.2016, di (...) dal 01.10.2016 al 27.05.2017, di (...) dal 28.05.2017 al 09.09.2017, di (...) dal 10.09.2017 al 30.04.2018, di (...) dal 01.05.2018 al 13.07.2018; di aver osservato il riposo feriale, solo per il periodo svolto presso la sede di via (...) nella giornata del martedì; di non aver percepito alcuna retribuzione nè la tredicesima e la quattordicesima mensilità, la retribuzione dovuta a titolo di ferie non godute, festività, permessi non goduti, a titolo di lavoro straordinario e, alla cessazione del rapporto di lavoro, di non aver ottenuto la corresponsione del trattamento di fine rapporto; di aver maturato il diritto a vedersi corrispondere la somma di euro 91.879,56, oltre alla rivalutazione monetaria ed interessi sulla rivalutata somma, secondo quanto indicato nel conteggio allegato al ricorso; di aver inutilmente intimato alla società datrice di lavoro, con lettera pec del 17.07.2018, il pagamento delle differenze retributive. Si costituiva la società "(...)" S.r.l.s. con memoria del 15.02.2020 chiedendo il rigetto del ricorso in quanto infondato; spiegava inoltre domanda riconvenzionale, con la quale chiedeva, nella denegata ipotesi di ritenuta sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, la condanna del ricorrente al pagamento della somma di euro 100.000,00 a titolo di risarcimento del danno subito per effetto dell'esercizio, in pendenza del rapporto di lavoro, di una attività economica in concorrenza con quella della società. e così provocando un ovvio pregiudizio economico alla stessa, con sviamento di clientela ed uso del know-how della società istante per lo svolgimento di attività direttamente concorrenziale con quella della società istante. (...) resisteva avverso la spiegata domanda riconvenzionale, chiedendone il rigetto. 2. Istruita la causa a mezzo testimoni, con sentenza n. (...)/2023, pubblicata il (...), il Tribunale di Trani rigettava la domanda formulata dal ricorrente, dichiarava non luogo a provvedere sulla domanda riconvenzionale e lo condannava al pagamento delle spese processuali, liquidandole in euro 4.700,00 per compensi, oltre agli accessori di legge. Il primo giudice perveniva a tale decisione, preliminarmente rilevando che il rapporto di lavoro subordinato era disciplinato dall'art. 2094 c.c., che definisce prestatore di lavoro subordinato colui che si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore. Evidenziava che, ai fini della qualificazione giuridica del rapporto di lavoro subordinato, i requisiti della subordinazione e dell'eterodirezione afferivano rispettivamente all'inserimento del lavoratore nell'organizzazione del datore di lavoro con soggezione al potere organizzativo e disciplinare di questi e alla sottoposizione alle sue direttive nell'esecuzione della prestazione. Esponeva che, secondo la giurisprudenza di legittimità, gli indici rivelatori del vincolo in esame erano la retribuzione fissa mensile in relazione sinallagmatica con la prestazione lavorativa, l'orario di lavoro fisso e continuativo, la continuità della prestazione in funzione di collegamento tecnico organizzativo e produttivo con le esigenze aziendali, il vincolo di soggezione personale del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia e l'inserimento nell'organizzazione aziendale. Premetteva che dagli atti di causa si evinceva che la società " (...)" s.r.l. era stata costituita in data (...) da quattro soci, tutti aventi una quota sociale pari al 25% del capitale: (...) e (...) che in data (...) aveva ceduto la propria quota a (...) amministratore della società oltre che socio da allora al 50%; che il ricorrente era titolare della ditta individuale (...) dal 1999. Rilevava poi che dall'istruttoria orale raccolta, era emerso che (...) aveva svolto attività di coordinamento, gestione e direzione della società A (...) di comune accordo con gli altri soci, poiché i testimoni (...) e (...) (...) avevano dichiarato che il ricorrente si occupava della gestione e dell'organizzazione del personale, del coordinamento con i fornitori e della gestione degli ordini; il teste (...) fornitore della società resistente, aveva dichiarato che l'unico referente per gli ordini della società per la produzione delle pizze era proprio il (...) e che i prodotti venivano venduti solo alla società resistente e non anche alla ditta individuale del ricorrente; i testimoni (...) e (...) avevano confermato lo svolgimento da parte del ricorrente delle mansioni di pizzaiolo, sebbene ciò non escludesse che lo avesse fatto non in qualità di dipendente, ma di socio di fatto della società; nello specifico, (...) e (...) apprendisti pizzaioli, avevano riferito di aver lavorato in favore della società resistente solo per un anno, quindi per un periodo inferiore rispetto a quello asseritamente lavorato dal ricorrente, tenuto conto anche che l'attività di tutoraggio confermava quanto detto dagli altri testimoni circa la gestione dell'attività da parte del ricorrente. Precisava che dall'istruttoria era altresì emerso che il ricorrente indicava ai dipendenti i turni di lavoro, dettava le direttive in merito alle attività da svolgere, evidenziando il fatto che egli fosse presente in sede (...)momenti ben identificati della giornata consentiva di escludere l'esistenza di un vincolo di subordinazione, proprio in assenza di eterodirezione dell'attività lavorativa svolta. Affermava pertanto che l'assenza dell'eterodirezione rendeva superflua la verifica circa la compatibilità degli orari di apertura della ditta individuale gestita dal ricorrente, la (...) e gli orari indicati in ricorso, e che in ogni caso era inverosimile che un dipendente con le mansioni di pizzaiolo non fosse presente in azienda durante l'espletamento dell'intero servizio, così come inverosimile era che un dipendente avesse lavorato per tre anni senza ricevere mai la retribuzione e senza mai dimettersi. Inoltre, tenuto conto dell'esistenza del rapporto societario in data (...) riteneva invece verosimile la continuazione di un rapporto di tale natura anche dopo tale data. Rilevava inoltre di non aver preso in considerazione le dichiarazioni rese in qualità di testimoni da due soci della società resistente, stante l'evidente interesse dagli stessi perseguito con riferimento all'esito del giudizio. Disattendeva, infine, la domanda riconvenzionale proposta dalla società resistente, poiché era stata formulata in via subordinata, solo in caso di accoglimento della domanda proposta dal ricorrente. 3. Avverso detta decisione, con ricorso del 21.03.2024, (...) ha interposto appello chiedendo, per i motivi che di seguito si riepilogano e si valutano, in via preliminare, la sospensione della efficacia esecutiva della sentenza e, nel merito, l'accoglimento delle domande formulate nel ricorso introduttivo del giudizio. 4. Resisteva la società (...) S.r.l.s., depositando apposita memoria, chiedendo, in rito, il rigetto dell'istanza di sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza impugnata e una declaratoria di inammissibilità dell'appello in ragione della violazione dell'art. 348 bis c.p.c.; nel merito, insisteva per il rigetto dell'appello, in quanto infondato in fatto e in diritto. Inoltre, proponeva appello incidentale, chiedendo, nella denegata ipotesi di accoglimento dell'appello proposto da (...) in parziale riforma della sentenza impugnata, l'accoglimento della domanda riconvenzionale formulata nel primo grado di giudizio e, per l'effetto, la condanna dell'appellante al pagamento della somma di euro 100.000,00, o di quella minore da accertarsi in corso di causa e comunque ritenuta di giustizia, a titolo di risarcimento, oltre agli accessori di legge. 5. Respinta l'istanza ex art. 283 c.p.c. proposta da parte appellante, acquisiti i documenti prodotti dalle parti e il fascicolo d'ufficio relativo al primo grado di giudizio, all'udienza del 17 giugno 2024 la causa è stata decisa come da dispositivo letto in udienza ed in calce trascritto. 6. Preliminarmente, osserva la Corte che risulta infondata l'eccezione di inammissibilità dell'atto di gravame principale ai sensi degli artt. 342 e 348 bis c.p.c., sollevata dalla difesa della società " (...)" S.r.l.s., a motivo del fatto che le censure mosse alla impugnata sentenza non denunciano l'erronea applicazione di norme sostanziali o processuali o la presenza di vizi logici ma afferiscono all'apprezzamento, difforme da quello auspicato, dei fatti e delle prove raccolte nel giudizio di primo grado. Ebbene, si osserva che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il vigente art. 342, comma 1, c.p.c., non diversamente dall'art. 434, comma 1, c.p.c. per il rito del lavoro, deve essere interpretato nel senso che l'impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa, che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l'utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale, come mezzo di gravame a critica libera, mantiene inalterata la sua diversità rispetto alle impugnazioni e critica vincolata. Nessun "progetto alternativo di decisione" è, dunque, esigibile dall'appellante in vista dell'ammissibilità dell'appello, nemmeno alla luce dei "nuovi" artt. 342 e 434 c.p.c., come modificati dalla l. n. 132/2014 e successive modifiche (Cass., SS.UU., 16 novembre 2017, n. 27199; ex pluribus, Cass. n. 7675/2019; Cass. 27.06.2018, n. 16914, Cass. 23.11.2018, n. (...); Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 3, ordinanza 13 dicembre 2017 - 19 marzo 2018, n. 6705). Ne consegue che non può considerarsi aspecifico il motivo che esponga il punto sottoposto al riesame d'appello, in fatto e in diritto, in maniera tale che il giudice di secondo grado sia posto in condizione (senza la necessità di esplorare, in assenza di parametri di riferimento, la congerie delle vicende processuali) di cogliere natura, portata e senso della critica, non occorrendo, tuttavia, che l'appellante alleghi e, tantomeno riporti, dettagliatamente le emergenze di causa rilevanti, le quali risultino investite ed evocate non equivocamente dalla censura, diversamente da quel che è previsto per la impugnazione a critica vincolata. Non è possibile onerare l'impugnante della trascrizione di tutte le emergenze di causa, trattandosi di risultanze già poste nella piena disponibilità del giudice di secondo grado, in base al principio devolutivo, che, pur con i limiti derivanti dal modello impugnatorio dell'appello (tantum devolutum quantum appellatum), resta paradigma portante. Ebbene, nel caso de quo la parte appellante ha senza dubbio superato la soglia della specificità richiesta dalla disciplina codicistica, atteso che la stessa ha specificatamente individuato i punti della decisione reputati ingiusti, precisandone il presupposto fattuale e la sussunzione giuridica, sì da porre il giudice superiore in condizione di comprendere con chiarezza il contenuto della censura proposta. (...) neppure si appalesa inammissibile per manifesta infondatezza ex art. 348bis c.p.c., come invece eccepito dall'appellato, occorrendo procedere, ai fini di una ponderata decisione, al vaglio delle doglianze attoree e alla comparazione delle risultanze istruttorie del giudizio di primo grado. La eccepita inammissibilità dell'appello va, dunque, rigettata, con la conseguenza che le censure mosse alla sentenza impugnata vanno scrutinate nel merito. 7. Con il primo motivo, l'appellante censura la sentenza per aver il Giudice di primo grado erroneamente ritenuto inconsistente il quadro probatorio fornito dall'appellante e conseguentemente per aver rigettato il ricorso. Deduce, a tal proposito, che, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, l'istruttoria orale aveva consentito di acclarare l'esistenza e la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con la società " (...)" srls, nonché l'esercizio del potere disciplinare e gerarchico dei soci della società, la retribuzione, la durata del rapporto di lavoro e le mansioni dallo stesso svolte. Afferma, a tal fine, che il teste (...) socio dell'appellata, aveva dichiarato che la scelta di affidargli i compiti di stilare il menù e di impartire direttive al personale di sala e di cucina, era stata concordemente assunta dai soci, in ragione della sua esperienza lavorativa; il teste (...) e il teste (...) ex dipendenti della società resistente rispettivamente dal 01.07.2015 al 04.09.2016 e dal 14.02.2015 al 26.09.2016, avevano confermato la durata del rapporto di lavoro intercorso con la società. Evidenzia che tutti i testimoni avevano poi confermato le mansioni di pizzaiolo disimpegnate in favore dell'odierna appellata, poiché il teste (...) aveva dichiarato di averlo visto impastare le pizze; il teste (...) lo aveva visto fare il pizzaiolo, durante le sue visite presso i locali della pizzeria, che avvenivano dalle ore 12.00 in poi; il teste (...) aveva confermato le mansioni di pizzaiolo e il ruolo di tutor aziendale e responsabile della formazione disimpegnato in suo favore durante il periodo di apprendistato. In merito agli orari di lavoro, precisa che il teste (...) aveva confermato lo svolgimento dell'attività lavorativa dalle ore 11.00 alle ore 15.00 e dalle ore 22.30 alle ore 03.00 e che tali orari erano stati altresì confermati anche dal teste (...) il teste (...) che abitava nelle vicinanze della pizzeria, aveva riferito di averlo visto al mattino intento a lavorare come pizzaiolo. Rileva che rimaneva indimostrata la tesi secondo cui egli si avvantaggiava del lavoro dei dipendenti della (...) per farli lavorare presso la pizzeria (...) poiché i testi di parte resistente (...) e (...) (...) avevano dichiarato di non aver mai visto i dipendenti allontanarsi dai locali dell'odierna appellata. Con riferimento alla retribuzione, contesta quanto affermato dal teste (...) (...) che aveva dichiarato di aver corrisposto gli utili della società, poiché agli atti del fascicolo non risultavano versate fatture o documenti a supporto di tale tesi. Ritiene, pertanto, sulla scorta delle risultanze della prova orale condotta nel giudizio di primo grado, che il primo giudice avrebbe dovuto accogliere la domanda e condannare la società resistente al pagamento della somma di euro 91.879,56, come quantificata nei conteggi analitici allegati al ricorso introduttivo del giudizio e mai contestati dalla parte avversa. 8. Con la seconda doglianza, parte appellante censura la sentenza nella parte in cui ha disposto la sua condanna al pagamento delle spese processuali, nella misura di euro 4.700,00, oltre accessori di legge. Sostiene, infatti, che a fronte delle ragioni esposte nella doglianza che precede, il giudice di primo grado avrebbe dovuto condannare la società appellata al pagamento delle spese di lite. Afferma che, qualora dovessero in ogni caso ritenersi infondate le doglianze, corretta sarebbe una statuizione che disponesse la compensazione delle spese di lite, tenuto conto della sussistenza della eccezionali ragioni rappresentate dalla tipologia del rapporto di lavoro in esame e dalla difficoltà di fornire la prova di tutti gli elementi della subordinazione, delle risultanze della prova orale dalle quali era appunto emerso un principio di prova circa la bontà della tesi difensiva attorea e valutata altresì la condotta processuale assunta dalla società che aveva adottato una difesa temeraria e palesemente destituita di fondamento. 9. (...) è infondato e va rigettato per le ragioni che qui di seguito si espongono. 10. Occorre premettere che, secondo i principi già correttamente richiamati dal primo giudice, elemento indefettibile del rapporto di lavoro in esame è la subordinazione, intesa come vincolo di soggezione personale del prestatore al potere direttivo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative e non già soltanto al loro risultato, mentre hanno carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria altri elementi del rapporto di lavoro (ad esempio, l'osservanza di un determinato orario, la continuità della prestazione lavorativa, l'inserimento della prestazione medesima nell'organizzazione aziendale, l'assenza di rischio per il lavoratore e le modalità di retribuzione) i quali - lungi dal surrogare la subordinazione o, comunque, dall'assumere valore decisivo ai fini della prospettata qualificazione del rapporto - possono, tuttavia, essere valutati globalmente, appunto, come indizi della subordinazione stessa, tutte le volte che non ne sia agevole l'apprezzamento diretto a causa della peculiarità delle mansioni, che incidano sull'atteggiarsi del rapporto (cfr. ex multis, Cass. civ., sez. lav., 10.03.2020, n. 6758). Quindi, poiché la risoluzione della presente controversia non può prescindere dall'esame degli elementi caratterizzanti un rapporto di lavoro subordinato, sul punto appare utile richiamare alcuni ormai consolidati orientamenti giurisprudenziali rilevanti ai fini della soluzione della lite sottoposta all'attenzione della Corte. (...) l'art. 2094 del c.c. "è prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore". La lettera della legge emblematicamente illustra la verticalità di un rapporto nel quale il lavoro è reso "alle dipendenze e sotto la direzione" dell'imprenditore. Le regole successivamente imposte agli artt. 2099 e ss., 2104, 2106, c.c., riempiono di contenuti detta verticalità per la quale il subordinato, nell'ambito di una diligenza qualificata, deve osservare le disposizioni per l'esecuzione e la disciplina del lavoro impartite dal datore di lavoro e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende; tale dipendenza è resa più intensa da un obbligo di fedeltà e da una soggezione al potere disciplinare del datore di lavoro. Alla luce di tali norme, la Suprema Corte ha ribadito che elemento distintivo del rapporto di lavoro subordinato da quello di lavoro autonomo è rap-presentato dalla subordinazione del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro; subordinazione da intendersi come vincolo di natura personale che assoggetta il prestatore ad un potere datoriale che si manifesta in direttive inerenti, di volta in volta, alle modalità di svolgimento delle mansioni e che si traduce in una limitazione della libertà del lavoratore (cfr. ex plurimis Cass. sez. lav. 28.9.2006 n. 21028; Cass. sez. lav. 22.2.2006 n. 3858; Cass. sez. lav. 24.2.2006 n. 4171; Cass. 23.9.2005 n. 18660). La Suprema Corte ha dotato l'interprete di una cornice - l'eterodeterminazione, unitamente allo stabile inserimento del lavoratore nell'organizzazione del datore di lavoro e nel coordinamento con quest'ultimo - nel cui ambito si possono di volta in volta ricostruire i tratti sintomatici della subordinazione di una determinata prestazione lavorativa, attraverso il concorso di alcuni criteri qualificatori sussidiari. Tali indici devono, perciò, essere valutati globalmente al fine di integrare la prova della subordinazione; quindi, il giudice deve valutare i criteri in esame "globalmente, appunto, come indizi della subordinazione stessa, tutte le volte che non ne sia agevole l'apprezzamento diretto a causa di peculiarità delle mansioni, che incidano sull'atteggiarsi del rapporto" (Cassazione n. 4500/2007). Sono criteri sussidiari: - il nomen iuris dato al contratto di lavoro dalle par-ti: la volontà espressa dal contratto e il nomen iuris utilizzato dalle parti, infatti, non costituiscono fattori assorbenti, ciò che prevale sono le concrete modalità di svolgimento del rapporto di lavoro in quanto la qualificazione dell'atto scritto può derivare non solo da mero errore delle parti ma anche dalla dissimulazione della volontà di eludere o infrangere specifiche leggi (v. da ultimo Cass. 19 novembre 2021 n. (...); Cass. n. 17455/2009; 4476/2012); - l'oggetto della prestazione: deve rilevare non come risultato (...) ma come energie lavorative (Cassazione n. 6803/2002); - l'esecuzione personale della prestazione: la sostituzione è possibile, in base alla natura della prestazione, solo in via eccezionale e con il consenso del datore (Cassazione 1274/2009); - la proprietà degli strumenti di lavoro (Cassazione n. 9812/2008); - l'assenza di rischio economico: per escludere la subordinazione in un'attività lavorativa prestata con continuità e coordinamento con un altro soggetto, il giudice di merito deve accertare il rischio economico a carico del lavoratore (Cassazione n.5645/2009); - le modalità e la forma della retribuzione: con sentenza n. 9256 del 2009 la Cassazione ha considerato come criterio complementare alla subordina-zione, il versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita, slegata dal raggiungimento di un risultato; - l'obbligo di osservare un orario di lavoro (in Cassazione n. 10313/2008): per le prestazioni ripetitive e caratterizzate da semplicità nell'esecuzione, fra gli elementi qualificatori vi è la regolamentazione dell'orario di lavoro (Cassazione n. 10029/2009 e Cassazione n. 17534/2002); - la continuità temporale: secondo la pronuncia della S.C. n. 58/2009 la saltuarietà della prestazione non è elemento sufficiente a qualificare il rap-porto di lavoro come autonomo, in quanto la subordinazione verrebbe a esistenza laddove il prestatore, pur svincolato dall'obbligo di tenersi a disposizione del datore, svolga il proprio lavoro sì saltuariamente ma anche assoggettato alle direttive da questo impartite (Cassazione 21031/2008); - la giustificazione delle assenze: l'assenza di tale obbligo può assumere valore indiziario solo se verificata in concreto (Cassazione n. 21380/2008); - l'insistenza del diritto alle ferie (Cassazione n. 14868/2009); -l'esclusività della prestazione: tale elemento non è ritenuto essenziale ai fini dell'accertamento della natura autonoma o subordinata del rapporto, così come stabilito dalla sentenza n. 21380/2008 della S.C.; - la finalità della prestazione: nel caso di rapporto di lavoro subordinato la finalità della prestazione lavorativa è caratterizzata dalla "alienità", considerata come destinazione esclusiva ad altri del risultato perseguito. Peraltro, va detto che i suddetti indici hanno natura solo sussidiaria, poichè svolgono una funzione di natura complementare e secondaria, meramente indiziaria rispetto all'unico elemento probante della subordinazione, rap-presentato dalla dimostrazione della permanente disponibilità del prestatore nei confronti del datore di lavoro con assoggettamento gerarchico al potere di direzione e controllo di quest'ultimo (cfr. ex plurimis Cass., 29.3.1995, n. 3745, nonché Cass., 16.1.1996, n. 326). Da tanto consegue che, mancando la prova della permanente messa a disposizione delle energie lavorative del prestatore a favore del datore di lavoro, con assoggettamento alle specifiche direttive da questi impartite, non rileva di per sé l'esistenza in concreto di altri elementi, come l'osservanza di un orario, l'assenza di rischio economico, la forma della retribuzione e la stessa collaborazione, i quali possono avere valore indicativo, ma mai determinante (così Corte App. Torino, 25.11.2003; analogamente, Cass., 29.4.2003, n. 6673). La giurisprudenza ha più volte affermato che, ai fini della prova dell'esistenza del rapporto di lavoro subordinato, non sono sufficienti le mere indicazioni circa l'asserita continuità ed esclusività delle prestazioni rese dal lavoratore, l'elevato grado della collaborazione, l'impegno a tempo pieno, né circa la tipologia delle mansioni; ciò in quanto, potendo ogni attività umana esplicarsi tanto in regime di autonomia, quanto di subordinazione, tali elementi risultano neutri, se non accompagnati dalla prova della sussistenza di un reale rapporto gerarchico e disciplinare nonché della soggezione alle direttive del datore di lavoro. Da ultimo, va chiarito anche che il criterio di risoluzione della presente controversia va ricercato nel principio della ripartizione dell'onere della prova, di cui all'art. 2697 c.c., a mente del quale ove l'attore voglia far valere in giudizio diritti connessi all'instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato, a fronte delle contestazioni specifiche del convenuto in ordine alla natura del rapporto, ovvero a fronte della contumacia del convenuto, è sul primo che grava l'onere di provare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, circostanza che integra un fatto costitutivo della pretesa. Al riguardo, la Cassazione ha precisato che, qualora vi sia una situazione oggettiva di incertezza probatoria, il giudice deve ritenere che l'onere della prova a carico dell'attore non sia stato assolto e non già propendere per la natura subordinata del rapporto (Sez. L, (...) n. 21028 del 28/09/2006). Trattasi di principi consolidati e ribaditi dalla Suprema Corte (cfr. Cassazione civile, sez. lavoro, sentenza 28.07.2008 n. 20532 che ripropone l'affannosa tematica sulla natura del rapporto di lavoro, in particolare sugli elementi caratterizzanti la qualificazione del rapporto subordinato). Nelle fattispecie come quella in esame, in cui la domanda attorea si sostanzia nella rivendicazione della sussistenza di una relazione lavorativa di tipo subordinato, incombe a carico del ricorrente l'onere di provare la sussistenza di tutti gli elementi necessari a far qualificare il rapporto di lavoro come subordinato, poiché la dedotta natura subordinata si configura come elemento costitutivo della pretesa fatta valere in giudizio (cfr. Cass., sez. lav., 15.7.2002, n. 10262). 11. Applicati siffatti principi al caso concreto, questa Corte ritiene che le censure mosse con il ricorso in appello non consentono di sovvertire il percorso argomentativo svolto nella decisione impugnata, poiché dalla disamina delle prove orali non sono emersi elementi idonei dimostrare la ricorrenza degli indici rivelatori della subordinazione. È opportuno riportare i tratti salienti delle varie deposizioni testimoniali, delle quali l'appellante ne invoca un riesame. Giova, sul punto, osservare che la valutazione degli esiti delle prove, come la scelta, tra le varie emergenze istruttorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un'esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti; tale attività selettiva si estende all'effettiva idoneità del teste a riferire la verità, in quanto determinante a fornire il convincimento sull'efficacia dimostrativa della fonte-mezzo di prova (cfr. da ultimo Cass. Sez. 6 - 3, 04.07.2017, 16467). Ebbene, partendo dai testi di parte ricorrente, si rileva che (...) dipendente della pizzeria (...) escussa all'udienza del 16.09.2021, riferiva che: "...il sig. (...) ad una certa ora lasciava la pizzeria (...) per recarsi presso la pizzeria (...)", precisando però di non conoscere le mansioni svolte, né gli orari osservati, in quanto non presente nei locali di quella pizzeria. Inoltre, escussa sui capitoli di prova articolati nella memoria difensiva avverso la domanda riconvenzionale depositata nel giudizio di primo grado, chiariva che la pizzeria (...) aveva modeste dimensioni, contava alcuni dipendenti e svolgeva un'attività di take away, dalle ore 15.30 sino alle ore 22.00. Il secondo teste di parte ricorrente, (...) fornitore di materie prime, escusso all'udienza del 17.03.2022, riferiva di non sapere se l'appellante fosse un dipendente della società, ma ricordava di averlo considerato un punto di riferimento per gli ordini della merce ed altresì di averlo visto svolgere, quando si recava sul posto, dalle ore 12.00 in poi, le mansioni di pizzaiolo. Il teste, (...) ex dipendente della pizzeria (...) dal 09.02.2015 al 04.09.2016, escusso alla medesima udienza, confermava l'attività di pizzaiolo svolta dal (...) alle dipendenze della società appellata, precisando di aver svolto personalmente le mansioni di aiutante pizzaiolo e che: "il sig. (...) era anche il mio tutor aziendale e responsabile della mia formazione durante il periodo di apprendistato, in quanto venivo assunto come aiuto pizzaiolo". In merito agli orari osservati durante l'asserito rapporto di lavoro, il teste dichiarava di poter riferire solo di aver visto l'appellante lavorare dalle 22.30 alle 03.00, allorquando si trovava presso i locali e affermava di essere a conoscenza del fatto che il (...) era proprietario della pizzeria (...) in quanto: "...ho lavorato presso quest'ultima prima di lavorare per la società " (...)". (...) ex dipendente della società appellata dal 14.02.2015 al 26.09.2016, escusso all'udienza del 22.09.2022, dichiarava di aver lavorato in cucina come aiuto cuoco e che il (...) era il suo tutor per l'apprendistato. Confermava altresì che il ricorrente lavorava alle dipendenze della società appellata come pizzaiolo e che lo aveva visto impastare le pizze. Inoltre, precisava che: " A D.R.: In riferimento alla mattina, abitando nei paraggi vedevo la serranda aperta e mi affacciavo e trovavo a lavorare il (...) e lo salutavo, questo avveniva per il periodo in cui era aperta la sede invernale. Confermo invece che il (...) era presente dalle ore 22.30 alle ore 03.00. Posso confermare che il (...) ha lavorato sia presso la sede estiva che invernale. Il Sig. (...) ha lavorato dal lunedì alla domenica e per la sede invernale il giorno di riposo era il Martedì, mentre per la sede estiva si faceva a turno per godere di un giorno di riposo settimanale". Chiariva altresì che: "il (...) per lo svolgimento dell'attività riguardante la pizzeria " (...)" si avvaleva della presenza di altri dipendenti, tanto posso riferire perché li ho visti personalmente. Il martedì, che era il giorno in cui la società " (...)" era chiusa è capitato di aver visto il (...) presso la pizzeria " (...)". Non so se vi erano pizzaioli tra i dipendenti. A D.R.: Confermo che la pizzeria " (...)" era di modeste dimensioni e si occupava principalmente di servizio di asporto". Infine, precisava, su domanda del difensore di parte ricorrente, che prima delle 22.30, presso la pizzeria (...) era presente un altro pizzaiolo, di nome (...) Quanto, invece, alle dichiarazioni rese da (...) ex dipendente della società appellata negli anni 2017 e 2018, costei, escussa all'udienza del 01.12.2022, dichiarava di avere un giudizio in corso contro la società avente ad oggetto la richiesta di differenze retributive. La teste confermava che il (...) aveva lavorato presso la società appellata fino al 13.07.2018, come operaio pizzaiolo "...dalle ore 11.00 alle ore 15.00 e dalle ore 22.30 alle ore 03.00" e inoltre che la pizzeria (...) era di modeste dimensioni e si occupava di servizio di take away, precisando: "...sono a conoscenza di tale informazione perché ho lavorato presso la predetta pizzeria nel 2021-2022... A D.R. Posso riferire che il sig. (...) veniva presso la pizzeria " (...)" intorno alle ore 22.30 e mi riferiva che veniva dalla sua pizzeria... A D.R.: Prima delle 22.30 c'era un altro pizzaiolo, che lavorava insieme al sig. (...)". Infine, il teste (...) dipendente della società appellata dal mese di giugno 2017 al 08.07.2018 ed avventore del locale, escusso all'udienza del 09.02.2023, confermava i capitoli di prova articolati nel ricorso introduttivo del giudizio, dichiarando che il (...) svolgeva le mansioni di pizzaiolo e che osservava l'orario di lavoro dalle ore 11.00 alle ore 15.00 e dalle ore 22.30 alle ore 03.00. Inoltre, escusso sulle circostanze di prova articolate con la memoria difensiva avverso la domanda riconvenzionale, dichiarava di aver prestato attività lavorativa anche in favore della pizzeria (...) nel periodo dal luglio 2018 al mese di giugno 2019, confermando che si trattava di una attività di modeste dimensioni, che svolgeva attività di asporto, che contava alcuni dipendenti, e che l'odierno appellante svolgeva l'attività preparatoria a partire dalle ore 15.30 e che chiudeva il locale alle ore 22.00. Così riportate le deposizioni dei testi di parte ricorrente deve darsi atto che le stesse si appalesano del tutto generiche, poiché, di fatto, si risolvono nella conferma delle circostanze meramente descrittive contenute nei capitoli di prova articolati negli atti difensivi del ricorrente che non valgono a configurare i tratti salienti del rapporto di lavoro di natura subordinata quali in precedenza indicati. I testi concordemente hanno dichiarato di aver visto l'odierno appellante svolgere mansioni di pizzaiolo all'interno della pizzeria " (...)"; tuttavia, come esattamente evidenziato dal primo giudice, dalle suddette deposizioni non è possibile evincere che tali mansioni fossero da lui svolte nella qualità di lavoratore alle dipendenze della società oppure come socio di fatto della società. Invero, depongono in senso sfavorevole alla tesi attorea il fatto che il (...) prestava attività lavorativa presso la pizzeria di proprietà " (...)" sino alle ore 22.30 e che, soltanto dopo aver terminato il servizio, si recava presso la pizzeria " (...)", ed altresì la circostanza secondo cui i fornitori si rivolgevano proprio a lui per gli ordini della merce. Si tratta di circostanze che conducono all'inequivocabile conclusione che l'appellante godeva di ampia autonomia all'interno della pizzeria della società appellata, posto che non è emerso alcun elemento che consentisse di affermare che la scelta dell'orario di lavoro fosse imposta dai soci della società, né che questi esercitassero alcuna altra forma di controllo e di direzione sull'attività del ricorrente. I testi nulla hanno saputo riferire sulle modalità di svolgimento del lavoro, sul numero dei pizzaioli alle dipendenze della società appellata, sulla suddivisione, tra i singoli pizzaioli, delle lavorazioni da eseguire, sulla strumentazione messa a disposizione dal datore di lavoro, sulle tempistiche imposte per la realizzazione delle pizze e per il servizio di sala, ovvero sulla verifica dell'esatto adempimento degli obblighi imposti dai soci della pizzeria. (...) non ha consentito di acclarare finanche il vincolo di soggezione a cui era sottoposto l'appellante, dunque, i poteri di direzione e di vigilanza esercitati dai soci dell'appellata, che, ove davvero sussistenti, avrebbero consentito di verificare la potestà organizzativa del datore di lavoro e l'effettivo inserimento del (...) nella struttura aziendale, non come socio di fatto, bensì come lavoratore dipendente. La Suprema Corte ha precisato, infatti, che ai fini della identificazione del rapporto di lavoro subordinato occorre avere riguardo al concreto atteggiarsi del potere direttivo del datore di lavoro, il quale, affinché assurga a indice rivelatore della subordinazione, non può manifestarsi in direttive di carattere generale ma deve esplicarsi in ordini specifici, reiterati e intrinsecamente inerenti alla prestazione lavorativa, stabilmente inserita nell'organizzazione aziendale (Cass. civ., Sez. lav., 16.11.2018, n. 29646). A ciò si aggiunga, con specifico riferimento alla testimonianza resa dalla (...) che essa va ponderata con particolare cautela, tenuto conto che la stessa ha dichiarato di avere, al momento della sua escussione, un procedimento in corso nei confronti della società appellata finalizzato ad ottenere differenze retributive, circostanza che senza dubbio incrina l'attendibilità della deposizione. Per contro, le dichiarazioni dei testi di parte resistente si rivelano dotate di un maggiore grado di decisività, in senso contrario a quanto auspicato dall'appellante. Va osservato, innanzitutto, che non appare condivisibile la ritenuta incapacità di testimoniare dei soci (...) (...) e (...) sostenuta dal primo giudice. Sul punto, la Suprema Corte ha stabilito che le società di capitali, hanno una personalità distinta da quella dei soci e che questi ultimi non sono legittimati ad intervenire in giudizio incardinato da un terzo nei confronti della società (v. Cass. n. 1595/2016). Occorre rilevare peraltro che nei giudizi in cui una società con personalità giuridica sia parte (o comunque possa avervi interesse a partecipare nella qualità di parte), non possono essere chiamate a testimoniare, a norma dell'art. 246 c.p.c., le sole persone fisiche che, in virtù del rapporto di rappresentanza organica, siano legittimate processualmente a costituirsi in nome e per conto di detta società, rappresentandole (Cass, II sez. civile, sentenza n. (...)/2023; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 19498 del 23/07/2018; (...) 2, (...) n. 14987 del 07/09/2012; (...) L, (...) n. 7028 del 17/07/1998; (...) 2, (...) n. 9826 del 11/11/1996; (...) L, (...) n. 2580 del 19/04/1980; (...) 3, (...) n. 241 del 17/01/1966). Nel caso di specie, dalla visura camerale della società, emerge che, alla data della loro escussione come testimoni, avvenuta rispettivamente alle udienze del 22.09.2022 e 09.02.2023, (...) e (...) non rivestivano più la qualità di soci poiché la società era in liquidazione e la rappresentanza legale era stata attribuita, con atto del 03.07.2019, al liquidatore (...) (v. visura camerale della società a (...) doc. n. 2 del fascicolo di parte resistente). Ne consegue che entrambi i soci possedevano la capacità a testimoniare nel presente giudizio, sicché le loro deposizioni sono pienamente utilizzabili ai fini della decisione. Ebbene, (...) escusso all'udienza del 22.09.2022, dichiarava: " A D.R.: Confermo che dal luglio 2014 al luglio 2018 il (...) è stato socio della (...) " (...)", con la precisazione che a maggio dell'anno successivo, ha ceduto le sue quote, rimanendo socio di fatto, in quanto gestiva la pizzeria " (...)", assumendo e licenziando il personale, scegliendo e avendo rapporti con i fornitori ed organizzava il personale". Chiariva che: "... al (...) era affidato questo compito, in quanto gli altri soci della (...) sono ingegneri, tanto posso riferire perché ero presente in pizzeria, posso riferire che io ero presente tutte le sere, invece gli altri soci saltuariamente. A D.R.: Posso riferire che dal Dicembre 2014 a Luglio 2018 alcuni dipendenti della società " (...)" durante l'orario di lavoro venivano trasferiti dal (...) presso la pizzeria " (...)" e gli stessi venivano sostituiti da altre persone, tra di loro vi era il (...) e (...) Specifico che erano persone a lui gradite. A D.R.: Non ho mai visto che i dipendenti si allontanavano dalla società " (...)" durante l'orario di lavoro, preciso che arrivano presso la pizzeria " (...)" alle ore 20.00 e preciso che mi sono recato presso la pizzeria " (...)" durante la festa patronale ed ho constatato la presenza dei tre che ho citato. Preciso che era il (...) che mi comunicava l'assenza di alcuni dipendenti. A D.R.: Confermo che nel 2015 il (...) ha ceduto le sue quote e le ho acquistate io direttamente, preciso che l'operazione fu concordata, in quanto alcuni fornitori ci hanno segnalato problematiche personali del (...) che non ci permettevano di ricevere merce se non con pagamento alla consegna". Spiegava altresì che il (...) aveva finanche incaricato due dipendenti della società A (...) di provvedere a preparare le pastelle in quantità superiori e che poi egli provvedeva a prelevarle e a portarle presso la pizzeria di sua proprietà. Del medesimo tenore sono le dichiarazioni rese dall'altro socio, (...) il quale, escusso all'udienza del 09.02.2023, confermava che la scelta di assegnare al (...) i compiti di selezionare il personale di cucina e di sala, di assumere e licenziare i dipendenti, di stilare il menù, di organizzare le riunioni con lo staff per impartire direttive, di trattare con i fornitori e gestire gli ordini dei generi alimentari era stata di comune accordo di tutti i soci, in quanto l'appellante era l'unico ad avere una specifica competenza nel settore della ristorazione. Il teste confermava che in alcune serate era il (...) a chiedere ai dipendenti della pizzeria " (...)" di recarsi presso la sua pizzeria per aiutarlo, precisando che: "Io personalmente non ho fatto mai alcun richiamo ma ho informato (...) (...) perché lui si occupava della gestione della pizzeria e parlava con lo staff. (...) dopo aver avvisato (...) (...) mi risulta che gli episodi che ho riferito si sono ripetuti". Particolarmente dettagliata si rivelava la deposizione del (...) nella parte in cui spiegava le ragioni sottese alla scelta di riorganizzare la compagine sociale inserendo il (...) quale socio di fatto: "...di comune accordo abbiamo deciso di modificare la compagine sociale perché alcuni fornitori ai quali avevano chiesto dei pagamenti dilazionati sulla merce che ci consegnavano ci hanno negato queste richieste comunicandoci che (...) aveva problemi legali". Va aggiunto che le deposizioni rese dai soci trovavano conferma anche nelle dichiarazioni rese dagli altri tre testi di parte resistente escussi nel giudizio di primo grado, (...) compagna di (...) e dipendente della pizzeria dal 2015 al 2018, (...) ex dipendente e (...) (...) ex fornitore della pizzeria (...) e successivamente gestore della pizzeria A (...) riferiva che l'appellante, quando chiudeva la pizzeria (...) si recava presso i locali della società appellata, ove non aveva il compito di svolgere le mansioni di pizzaiolo, ma bensì quello di organizzare il lavoro dei dipendenti, impartendo le direttive necessarie per lo svolgimento del lavoro. (...) invece, dichiarava di conoscere il ricorrente poiché aveva prestato attività lavorativa presso la società appellata con contratto a chiamata con le funzioni di lava piatti e successivamente come aiuto cuoco, precisando: "Il sig. (...) mi fu presentato come socio della società e fin quando ho lavorato con lui così è rimasto". Anch'egli confermava che "...qualche dipendente della società " (...)" ha lavorato anche presso la pizzeria " (...)" e che "...i pizzaioli preparavano dei "telai" di impasto per il (...) detti "telai venivano messi da parte e non utilizzati". Ad assumere particolare valenza probatoria è la deposizione di (...) (...) titolare di un ingrosso alimentare, il quale, escusso alla udienza del 09.02.2023, dichiarava di aver conosciuto (...) nel mese di giugno 2018 presso la pizzeria (...) ove si recava per vendergli prodotti alimentari e di aver poi successivamente collaborato (dal luglio 2019 ad agosto/settembre 2019) come libero professionista nella gestione della pizzeria " (...)". Riferiva quindi che: "il (...) di (...) gestiva la pizzeria A (...) dal punto di vista operativo, trattava con i fornitori, si occupava degli scarichi merce e si occupava di assumere e licenziare i dipendenti. Organizzava le riunioni con tutto il personale con cadenza giornaliera....Il Sig. (...) arrivava sempre dopo le 23 eccetto quando aveva il giorno di chiusura della sua pizzeria che non ricordo. Quando arrivava fondamentalmente non faceva nulla, voleva sapere di tutti i dipendenti se c'era stato qualche problema e se bisognava fare qualche rimprovero lo faceva, a volte se non faceva troppo presto rispetto alla pizzeria (...) pretendeva che l'aggiornamento passassimo a farlo presso la (...) questo lo facevamo solo io, la sig.ra (...) e (...) e l'ultimo pizzaiolo (...) Tutto lì. All'interno della pizzeria vi era quasi sempre (...) (...) amministratore della società, che arrivava in tarda serata, verso le 21.30-22.00 e si occupava della parte amministrativa e pubbliche relazioni con la clientela. Vi era anche (...) che ci era pochissimo e non era molto presente". Si tratta, a ben vedere, di una testimonianza precisa e puntuale, della quale non vi è alcuna ragione di dubitare, e che si rivela di particolare pregio laddove si sofferma sulle motivazioni sottese all'allontanamento definitivo del ricorrente dalla pizzeria. Il (...) chiariva, infatti in proposito, di averlo "... filmato mentre portava via merce varia, ma ribadisco, che non conosco il motivo e il perché. Preciso che ho visto il sig. (...) spostare merce dal magazzino della pizzeria A casa (...) fino all'automobile del sig. (...) e vi è un filmato negli atti che lo dimostra. Ho avvisato subito il sig. (...) (...) e ho fatto il filmato perché temevo di trovarmi in una situazione di ammanchi della merce". Tale dichiarazione trova peraltro piena conferma nella denuncia - querela sporta dal (...) nei confronti del ricorrente in ragione della ritenuta illegittima sottrazione di beni e merci dai locali della pizzeria (v. doc. nn. 5 e 6 del fascicolo di parte resistente). Ebbene, sulla scorta di quanto emerso dall'istruttoria orale, ritiene questa Corte che le censure mosse alla impugnata sentenza non appaiono idonee a sovvertire la statuizione di rigetto del ricorso adottata nel primo grado di giudizio, poiché dalla disamina delle suddette dichiarazioni emerge che l'odierno appellante, nel corso del periodo dal 01.07.2015 al 13.07.2018, contrariamente a quanto propugnato nei propri scritti difensivi, non lavorava alle dipendenze della pizzeria con le mansioni di pizzaiolo, nè soggiaceva al potere direttivo, organizzativo e disciplinare dei soci, ma, come sostenuto dal primo giudice in modo del tutto condivisibile, dalla data di cessione delle sue quote, avvenuta il (...), aveva rivestito il ruolo di socio di fatto, accettando di continuare a disimpegnare le medesime mansioni direttive sino ad allora svolte. Peraltro, detta conclusione è l'unica che si concilia con la circostanza - dedotta in ricorso dal ricorrente - di non aver mai ricevuto alcuna retribuzione nel corso di tutto il rapporto di lavoro. Se invero non vi fossero state pattuizioni di natura societaria tra le parti, appare del tutto inverosimile che un lavoratore dipendente continui per ben tre anni a rendere la propria attività lavorativa senza alcuna mercede. 12. (...) principale va dunque integralmente rigettato anche con riferimento al motivo concernente la condanna alle spese, correttamente regolate dal primo giudice secondo soccombenza, in assenza di alcuna delle ragioni che giustificano, ai sensi dell'art.92, 2 comma cpc una compensazione, sia pure parziale delle stesse. 13. Le considerazioni che precedono conducono, altresì, a ritenere assorbito l'appello incidentale spiegato dalla società " (...)" S.r.l.s. a mezzo del quale ha chiesto la condanna del (...) al risarcimento del danno alla stessa cagionato in ragione della violazione del dovere di fedeltà e di non concorrenza, cagionata dall'esercizio di una attività commerciale identica a quella del datore di lavoro. Tale appello deve, infatti, considerarsi condizionato rispetto all'appello principale del (...) atteso che la società ha espressamente formulato la ridetta domanda risarcitoria chiedendone la valutazione solo ove fosse stata accolta la domanda principale. 14. Resta assorbita ogni altra questione. 15. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vanno poste, quindi, a carico di (...) La liquidazione è affidata al dispositivo che segue. Essa è effettuata sulla scorta dei parametri di cui alla tabella allegata al d.m. n. 55 del 2014 e successive modifiche (sostituite, da ultimo, con il d.m. n. 147 del 2022) tenuto conto del valore della causa, della sua complessità e dell'attività processuale in concreto espletata. 16. Deve infine darsi atto della sussistenza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 13, comma 1quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, co-me modificato dall'art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012. Spetta peraltro all'amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo per l'inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (v. Cass. sez. un. n. 4315 del 2020). P.Q.M. La Corte di Appello di Bari, lavoro, definitivamente pronunciando sull'appello principale proposto da (...) con ricorso depositato in data 21 marzo 2024 nei confronti di " (...)" s.r.l.s. nonché sull'appello incidentale condizionato proposto da quest'ultima avverso la sentenza n. (...)/2023 pubblicata dal Tribunale di Trani giudice del lavoro in data 14 dicembre 2023 così provvede: rigetta l'appello principale, dichiara assorbito quello incidentale condizionato e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata; condanna (...) al pagamento in favore della parte appellata delle spese del presente giudizio di appello, liquidate complessivamente in Euro 5.000,00 oltre rimborso forfetario per spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per l'applicazione nei confronti dell'appellante principale, dell'art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, in materia di versamento dell'ulteriore importo del contributo unificato nella misura ivi specificata, se dovuto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 9358 del 2023, proposto da Pa. Pe., rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Ma., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia contro Università di Pisa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Sa. Be., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia nei confronti Fr. Ac., rappresentato e difeso dall'avvocato Do. Se., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia; Sa. Ch., Fl. Eb., non costituiti in giudizio per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Prima n. 928/2023 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Università di Pisa e di Fr. Ac.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 marzo 2024 il consigliere Angela Rotondano e uditi per le parti gli avvocati Ma. Ma. e Do. Se.; Viste le conclusioni della parte appellata come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Il dott. Pa. Pe., odierno appellante, partecipava alla procedura per la copertura di n. 1 posto di professore di prima fascia per il settore concorsuale 06/E3 "Neurochirurgia e chirurgia maxillofaciale" - settore scientifico disciplinare MED/27 "Neurochirurgia", presso il Dipartimento di Ricerca traslazionale e delle nuove tecnologie in medicina e chirurgia dell'Università di Pisa, di cui al bando emanato con decreto rettorale n. 783/2022 del 9 maggio 2022. 1.1. Dopo la nomina della Commissione di esperti, la predisposizione dei criteri di valutazione e la valutazione delle domande dei quattro candidati, veniva espresso un giudizio di "ottimo" per il solo candidato Dott. Ac. e di "molto buono" per il dott. Pe., nonché per i dottori Eb. e Ch.. 1.2. Sulla base di dette valutazioni il Consiglio di Dipartimento, con la delibera n. 16 del 16 febbraio 2023, proponeva la chiamata del dott. Ac. a ricoprire il posto di professore ordinario per il settore concorsuale in oggetto. 2. Con ricorso proposto al T.a.r. della Toscana il dott. Pe. ha impugnato il decreto rettorale del 25 gennaio 2023 (prot. 0010338), di approvazione degli atti della procedura, censurando la violazione dell'art. 97 della Costituzione, dell'art. 18 della Legge del 30 dicembre 2010, n. 240, degli artt. 1 e 3 della Legge del 7 agosto 1990, n. 241, del D.M. 344/2011, degli artt. 6, 7 e 8 del Regolamento di ateneo per la chiamata dei professori di prima e seconda fascia emanato con il decreto n. 1285/2019, oltre a vari profili di eccesso di potere. 2.1. Con successivi motivi aggiunti il ricorrente ha impugnato la delibera n. 67 del 22 febbraio 2023, con la quale il Consiglio di Amministrazione dell'Università di Pisa ha approvato la proposta di chiamata del dott. Fr. Ac., riproponendo le argomentazioni contenute nel ricorso principale. 2.2. Si costituivano in giudizio l'Università di Pisa e il controinteressato dott. Ac., eccependo l'inammissibilità del ricorso principale (per mancata tempestiva impugnazione del provvedimento finale della procedura concorsuale, ovvero la delibera del Consiglio di amministrazione, pubblicata sul sito dell'Università il 2 marzo 2023, e per genericità delle censure concernenti le valutazioni tecnico-discrezionali della Commissione giudicatrice); nel merito, le resistenti esponevano l'infondatezza dei motivi di ricorso, chiedendone il rigetto. 3. Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale amministrativo ha respinto in quanto infondato il ricorso, assorbendo le eccezioni preliminari sollevate dalle resistenti e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese di lite. 4. Di tale sentenza il ricorrente domanda la riforma, con il presente appello, affidato ad un unico articolato motivo, con cui ha lamentato: "violazione dell'art. 97 costituzione, dell'art. 18 della l. 30.12.2010, n. 240, degli artt. 1 e 3 l. 7.8.1990, n. 241, del dm 344/2011, degli artt. 6,7 e 8 del regolamento di ateneo per la chiamata dei professori di prima e seconda fascia emanato con d.r. n. 1285/2019. eccesso di potere per illogicità e irragionevolezza manifeste, travisamento palese dei fatti, difetto manifesto dei presupposti, difetto di istruttoria e carenza di avv. marco mariani 6 motivazione, violazione dei criteri di valutazione prestabiliti, arbitrarietà ". 4.1. Si sono costituite in resistenza l'Università di Pisa e il controinteressato, riproponendo le eccezioni di rito non esaminate dalla sentenza e argomentando l'infondatezza dell'appello, di cui hanno chiesto la reiezione. 4.2. All'esito della camera di consiglio, l'istanza cautelare è stata abbinata alla trattazione del merito. 4.3. All'udienza pubblica del 5 marzo 2024, previo scambio di memorie e repliche con cui le parti hanno precisato le rispettive tesi difensive, il ricorso è stato trattenuto in decisione. DIRITTO 5. L'appello proposto deduce l'erroneità della sentenza per aver respinto le censure avverso le valutazioni della Commissione esaminatrice che hanno condotto a preferire il controinteressato prof. Ac. per il settore di concorso. 5.1. Secondo l'appellante la "Commissione di esperti" avrebbe macroscopicamente deviato dal corretto esercizio del potere discrezionale nella valutazione dei 4 candidati in riferimento a tutti e tre i criteri di valutazione aventi ad oggetto l'attività didattica, di ricerca scientifica e assistenziale in ambito sanitario. 5.2. In particolare, sarebbero stati illogicamente sottovalutati i titoli in possesso dell'appellante e sopravvalutati quelli degli altri candidati, così pervenendo, all'esito della valutazione comparativa, a un erroneo giudizio di preferenza per il controinteressato (valutato come "ottimo") e di equivalenza degli altri tre candidati, tutti valutati come "molto buoni". 5.3. In particolare, le valutazioni dei candidati Pe. e Ac. sarebbero viziate in riferimento a ciascuno dei tre criteri di valutazione sopra indicati, considerato che: - con riguardo all'attività didattica (per la quale l'appellante ha riportato un giudizio di "ottimo" e il vincitore di "buono"): a) non è stato considerato l'insegnamento di Neurochirurgia nel corso di Laurea magistrale ciclo unico 6 anni in Odontoiatria e Protesi dentaria per gli anni 2017-2018, 2018-2019, 2019- 2020, 2020-2021, 2021-2022 né il ruolo di Coordinatore locale della scuola di specializzazione in Neurochirurgia presso l'Università di Pisa per gli anni accademici 2017- 2018 e 2018-2019; b) sarebbe stato del tutto irragionevole attribuire il giudizio di "buono" (anziché "sufficiente") al candidato Ac. a fronte di sole dieci ore annuali di lezione frontale presso il corso di laurea in Logopedia e quello di "ottimo" (anziché "veramente ottimo") all'appellante il quale ha svolto circa 70 ore di lezioni frontali per ciascun anno accademico e 250 ore di didattica complessiva presso il corso di laurea in Medicina e chirurgia; c) non avrebbero potuto esser prese in considerazione anche le esperienze all'estero del dott. Ac., trattandosi di attività per finalità formative non valutabili nell'ambito dell'attività didattica ai fini concorsuali; - con riguardo alla produzione scientifica (valutata come "ottima" quella del prof. Ac. e solo "molto buona" quella del prof. Pe., pur a fronte di un H-index sostanzialmente identico, pari a 28, quello dichiarato dall'Ac. e a 29, accertato dalla Commissione per Pe.): a) il controinteressato sarebbe soltanto secondo nome (e non primo nome, come riportato nei verbali della Commissione) per le pubblicazioni indicate con numero 2, 3 e 6 dell'elenco numerato delle pubblicazioni presentate (avendo solo contribuito ugualmente al primo nome nel caso dei lavori nn. 2 e 6 e contribuito ugualmente al primo e terzo autore nel caso del lavoro n. 3); b) il candidato avrebbe presentato pubblicazioni non valutabili in sede concorsuale per una docenza universitaria di prima fascia (una delle pubblicazioni - la n. 27- sarebbe un mero abstract di un filmato chirurgico neanche allegato ai lavori presentati, ma solo scaricabile da internet, e la pubblicazione indicata con il numero 30 è una raccolta di articoli di vari autori soltanto a cura del Dr. Ac.); c) il controinteressato non ha riportato nessuno studio scientifico nel settore concorsuale della patologia degenerativa del rachide (a fronte di 3 studi, indicati con i nn. 14,18 e 21, del Prof. Pe.); d) numerose pubblicazioni sarebbe edite su riviste definite "predatorie" e"open access" che richiedono un pagamento agli autori; e) a fronte di un H index e di un numero di citazioni simile per i due candidati, l'appellante presenterebbe un maggior numero di citazioni nei lavori in cui risulta primo/ultimo/corresponding author (1271 contro le 917 dell'Ac.; - con riguardo all'attività assistenziale (valutata come "ottima", quella dell'Ac., e "buona" quella del prof. Pe.): a) il candidato Ac. riporta un curriculum chirurgico di soli 86 casi di patologia degenerativa spinale (a confronto di 685 interventi di chirurgia vertebrale del Prof. Pe., che includono 567 interventi per patologia degenerativa del rachide); b) il controinteressato non ha riportato nessuna casistica chirurgica di patologia degenerativa e traumatica del rachide (di cui si interessa il settore oggetto di concorso), a fronte dei 98 casi documentati dal prof Pe.; c) il candidato Ac. non ha riportato nessuna casistica chirurgica di patologia traumatica cranio encefalica (di cui pure si interessa il settore oggetto di concorso) a confronto dei 195 casi del Prof. Pe.; d) dalla casistica allegata da quest'ultimo si evince che 1257 interventi dei 1631 totali sono stati effettuati come primo operatore (77%), mentre dalla casistica del prof. Ac. emerge che solo 1045 dei 2229 interventi sono stati effettuati come primo autore (46,8%). 5.4. Ciò nonostante il Tribunale ha respinto le censure con motivazioni, ad avviso dell'appellante, erronee e non condivisibili, incorrendo in un travisamento dei fatti nel non rilevare l'erroneità dei giudizi della commissione, pur a fronte di un'attività scientifica dei due candidati sostanzialmente equivalente e dello svolgimento da parte del controinteressato di un'attività didattica più modesta, sotto il profilo quantitativo e quantitativo, e di un'attività chirurgica lacunosa in interi ambiti e specifici campi di competenza (i.e. "patologia degenerativa e traumatica del rachide" e "trattamento chirurgico dei trami cranici e dell'ipertensione endocranica") del settore oggetto di concorso. 5.5. Infatti, l'appellante indipendentemente dal numero di ore di didattica frontale (significativamente maggiori), è docente presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia, la Facoltà di Odontoiatria (valutata solo parzialmente dalla commissione), 5 scuole di specializzazione, docente a un master, già coordinatore locale della scuola di specializzazione in Neurochirurgia (titolo non valutato dalla commissione), relatore di 17 tesi (6 laurea, 9 specializzazione, e 2 dottorato di ricerca) e docente nel dottorato di ricerca in Scienza Cliniche e Traslazionali. 5.6. Il complesso di tali elementi avrebbe dovuto indurre la Commissione a esprimere un giudizio di prevalenza del prof. Pe.. 5.7. Il cattivo esercizio del potere discrezionale della Commissione avrebbe poi riguardato anche gli altri due candidati (dottori Ch. e Eb.) ai quali è stato attribuito, al pari dell'appellante, il medesimo giudizio complessivo di "molto buono" sebbene: a) tra tutti, solo l'appellante sia stato coordinatore di una scuola di specializzazione in Neurochirurgia (titolo inopinatamente non riconosciuto dalla Commissione); b) l'appellante possieda il maggior numero di citazioni dei lavori primo/ultimo nome/corresponding author (1271 contro le 917 di Ac., le 1057 Ch., e le 442 Eb.); c) solo l'appellante e l'altro candidato Eb. ricoprano un ruolo effettivo di docenza; d) il Pe. sia l'unico ad aver effettuato anche interventi di patologia vertebrale traumatica. 5.8. Risulterebbero viziati, in via derivata dalla illegittimità delle valutazioni tecnico discrezionali della Commissione, anche il successivo decreto rettorale e la delibera di Consiglio del Dipartimento impugnati, che, limitandosi a recepire acriticamente le risultanze degli atti, non hanno sottoposto ad alcun vaglio l'operato della Commissione né con riguardo all'osservanza delle regole formali del procedimento, né per quanto concerne la completezza e adeguatezza dell'istruttoria, l'assenza di contraddittorietà interna, la congruità e la sufficienza della motivazione dei giudizi idoneativi. 5.9. In particolare, il Consiglio di Dipartimento ha accordato la preferenza al controinteressato per il solo fatto che "il giudizio della commissione manifesta una netta prevalenza del candidato Ac., che viene valutato globalmente con il giudizio di ottimo rispetto agli altri tre candidati, che, per quanto giudicati idonei, ricevono il giudizio di molto buono ", dovendosi ritenere inadeguata e viziata per eccesso di potere tale motivazione posta a base della proposta formulata. 5.9.1. Del pari viziata sarebbe la consequenziale decisione assunta dal Consiglio di Dipartimento n. 16/2023, anch'essa impugnata. 6. L'appello è infondato. 7. Il Collegio ritiene che non emergano profili di manifesta erroneità, illogicità e irragionevolezza nelle valutazioni discrezionali della Commissione di esperti. 7.1. Importa premettere che, coerentemente a quanto previsto dal Regolamento di Ateneo, la Commissione ha predeterminato i criteri di giudizio ai fini della selezione per il settore oggetto di concorso, articolati su: 1) valutazione dell'attività didattica; 2) valutazione di ricerca scientifica; 3) valutazione dell'attività assistenziale in ambito sanitario. Ognuna di queste attività è stata valutata sulla base di specifici sotto criteri elencati, anch'essi, nel verbale della prima riunione. 7.2. Sulla base dei predetti criteri valutativi la Commissione - previa stesura di una breve sintesi delle pubblicazioni, del curriculum, e delle tre attività oggetto di valutazione - ha formulato un motivato giudizio finale per ciascun candidato. 7.2.1. In particolare, il controinteressato ha riportato il seguente giudizio "Il candidato dimostra una buona attività didattica con insegnamento in corsi di laurea nell'ambito sanitario presso l'Università di Milano. Documenta inoltre attività di tutor presso la scuola di specializzazione con l'attività di correlatore di tesi. È inoltre docente del master in neurofisiologia clinica dell'Università di Milano. Il candidato presenta un'ottima produzione scientifica congruente alle tematiche del presente bando concorsuale. Le 30 pubblicazioni presentate evidenziano ottima originalità e rigore metodologico con 823 citazioni (Scopus). Vi è inoltre un significativo coinvolgimento personale, infatti tutte le pubblicazioni presentate lo vedono come primo o ultimo autore, con 20 pubblicazioni come primo autore e 10 come ultimo. La produzione scientifica complessiva appare continua nel tempo, con un numero di citazioni di 2901 e un H-index di 30. Da rilevare che appare l'unico, tra i candidati, che presenta un coinvolgimento come PI in numerosi progetti di ricerca di cui una sostanziale parte è frutto di bandi competitivi nazionali e internazionali. Il candidato presenta attività assistenziale di ottimo livello con una casistica chirurgica documentata dal 2011 ad oggi (2229 casi) che appare continua e coinvolte in diverse patologie complesse, con consolidata autonomia del candidato". 7.2.2. Il giudizio sull'appellante è stato il seguente: "Il candidato presenta una ottima attività didattica presso l'Università di Pisa con lezioni frontali e corsi di medica e chirurgia e odontoiatria. Il candidato è docente in diverse scuole di specializzazione e relatore di 9 tesi di specializzazione di Neurochirurgia all'Università di Pisa. È inoltre docente al del master in assistenza sanitaria avanzata in maxi emergenze all'università di Pisa (anno 2018-2019). L'attività scientifica del candidato è molto buona, dimostrando nelle 30 pubblicazioni presentate una spiccata originalità, rigore metodologico e rilevanza. Si documentano sulle stesse 807 citazioni e risulta primo autore in 16 e ultimo autore in 10. La produzione scientifica totale è sostenuta con un numero totale di citazioni 2030 e un H index di 29. Il candidato non appare in progetti di ricerca finanziati, frutto di bandi di ricerca competitivi nazionale e internazionali. Riporta di essere PI in un progetto locale dell'azienda ospedaliera universitaria Pisana su "un approccio percutaneo neuronavigato al ganglio sfenopalatino". L'attività assistenziale clinico chirurgica appare buona. Il candidato documenta 1600 casi dal 2008 ad oggi di varia patologia neurochirurgica con acquisizione di buona autonomia chirurgica". 7.3. Sulla base delle valutazioni riportate da ciascun candidato, la Commissione, pur formulando, all'unanimità, un giudizio di idoneità a ricoprire il posto di professore di prima fascia per tutti i quattro i candidati, ha quindi espresso un giudizio di "ottimo" soltanto per il controinteressato e di "molto buono" per gli altri tre. 7.4. Alla luce di quanto evidenziato, deve anzitutto escludersi che i giudizi emessi siano scaturiti da una media aritmetica derivante da una sostanziale griglia valutativa di cui la Commissione, secondo l'appellante, si sarebbe avvalsa, secondo una determinata scala di valori (insufficiente, sufficiente, buono, molto buono, ottimo, veramente ottimo) 7.5. Si tratta, invece, di giudizi globali, espressivi di una valutazione complessiva sui titoli in possesso dei diversi candidati e sull'aderenza di questi ultimi al profilo ricercato, frutto di una considerazione unitaria dell'intera attività - didattica, scientifica e assistenziale - degli aspiranti. 7.6. Tale modus operandi è del resto conforme al consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui in tema di selezioni volte alla chiamata di professori universitari di prima fascia la valutazione comparativa che la commissione esaminatrice di un concorso è chiamata a svolgere consiste in un raffronto globale delle capacità e dei titoli dei vari candidati (Cons. Stato, sez. VI, 10 dicembre 2012, n. 6298; Cons. Giust. Amm. Reg. Sicilia 29 febbraio 2012, n. 230). Ne consegue che la valutazione dei titoli deve essere svolta non con un dettaglio tale da instaurare una valutazione comparativa puntuale di ciascun candidato rispetto agli altri per ciascuno dei titoli, poiché si perderebbe in tal modo la contestualità sintetica della valutazione globale, risultando perciò necessario e sufficiente che i detti titoli siano stati acquisiti al procedimento e vi risultino considerati nel quadro della detta valutazione (Consiglio di Stato, sez. VI, 21 ottobre 2013, n. 5079; id., 16 luglio 2015, n. 3561). 7.7. Conformemente a tali principi, la valutazione compiuta dalla Commissione è stata globale e non limitata a singoli aspetti e a specifici campi di competenza risultanti dai curricula degli aspiranti nell'ambito del settore concorsuale in questione 7.8. Per converso, l'appellante pone in essere una parcellizzazione comparativa (incentrata sulle singole pubblicazioni o sui singoli interventi e sovente limitata solo ad alcuni sub-criteri, tralasciando di considerare gli altri), che non vale a confutare la complessiva correttezza e logicità dei giudizi espressi dalla Commissione. 7.9. Inoltre, deve ritenersi che il giudizio di "ottimo" corrisponda alla miglior valutazione che la Commissione avrebbe potuto esprimere rispetto a ciascun criterio, laddove l'avverbio "veramente" - in un caso specifico affiancato a quel giudizio (in particolare per descrivere l'attività assistenziale del dott. Eb.) - è meramente rafforzativo e descrittivo della qualità dell'attività svolta, al fine di enfatizzare i risultati ottenuti da quel candidato nello specifico settore. 8. Tanto premesso, fermi restando i noti limiti al sindacato sulla discrezionalità valutativa delle Commissioni nei concorsi universitari in ordine sia all'individuazione dei criteri per l'attribuzione ai candidati dei punteggi spettanti per titoli da essi vantati, sia alla valutazione dei singoli titoli (cfr. ex multis Cons. Stato, Sez. VII, 7 agosto 2023 n. 7586; Sez. III, 24 ottobre 2018, n. 6056, Cons. Stato sez. V, 28 febbraio 2018, n. 1218; Cons. Stato, Sez. V, 24 luglio 2014, n. 3956), deve escludersi che il giudizio di prevalenza riservato al candidato Ac. sia irragionevole. 8.1. Infatti, nella procedura comparativa in esame le valutazioni discrezionali della Commissione, espresse sulla base dei criteri dalla stessa predeterminati e ampiamente motivate, non sono caratterizzate da macroscopici vizi di eccesso di potere per irragionevolezza e arbitrarietà, ma scaturiscono da un percorso argomentativo del tutto logico e congruente. 8.2. Riassumendo i giudizi espressi dalla Commissione per i due candidati: - l'appellante Pe. ha ottenuto: "ottimo" nell'attività didattica; "molto buono" nell'attività scientifica; "buono" nell'attività assistenziale, con la precisazione che il candidato non appare in progetti di ricerca finanziati, frutto di bandi di ricerca competitivi nazionali e internazionali e riporta di essere PI solo in un progetto locale dell'azienda ospedaliera universitaria pisana; - il controinteressato Ac. ha ottenuto: "buono" nell'attività didattica; "ottimo" nella produzione scientifica; "ottimo" nell'attività assistenziale (che appare continua e coinvolta in diverse patologie complesse), con la precisazione che "è l'unico tra i candidati che presenta un coinvolgimento come PI in numerosi progetti di ricerca di cui una sostanziale parte è frutto di bandi competitivi, nazionali e internazionali". 8.3. I giudizi espressi delineano, dunque, la complessiva prevalenza del profilo scientifico assistenziale di Ac. pur a fronte dello svolgimento di un'attività didattica più modesta se raffrontata a quella dell'appellante, che difatti ha ottenuto per tale criterio di valutazione un miglior giudizio ("ottimo" rispetto a quello di "buono" attribuito al dott. Ac.). Già sulla base di questa generale considerazione, non sussistono i denunciati profili di irragionevolezza nelle valutazioni: infatti, ogni volta che viene preferito il controinteressato risulta comprovato un distacco quantitativo o qualitativo dell'attività svolta (dandosi, ad esempio, rilievo, oltre che al numero, alla complessità degli interventi eseguiti), mentre le censure relative all'attività didattica sono inammissibili, avendo l'appellante riportato un punteggio superiore rispetto al controinteressato, o comunque infondate. Vi è, insomma, una complessiva tenuta del giudizio espresso dalla Commissione, sulla base di una valutazione globale, complessiva e sintetica, la cui bontà non è messa in dubbio da doglianze incentrate su aspetti isolati dell'attività svolta dai candidati. 8.4. Nel merito delle specifiche attività oggetto di valutazione, si osserva invece quanto segue. 8.5. Con riferimento all'attività didattica, quand'anche dovesse riconoscersi che alcuni insegnamenti in una scuola di specializzazione non siano stati valutati in favore dell'appellante, non si comprende quale interesse egli abbia a lamentarsene, considerato che gli è stato comunque riservato il miglior giudizio possibile ('ottimò ), contro il giudizio di 'buonò riservato al vincitore Ac.. 8.5.1. In ogni caso, nell'ambito di detta valutazione, e in particolare per quanto concerne il giudizio sull'attività didattica, la commissione non si è limitata a considerare esclusivamente il numero delle ore di didattica frontale nei corsi di laurea, ma ha preso in considerazione l'intera attività di docenza, e quindi, come previsto dai criteri di valutazione, anche quella nella scuola di specializzazione (nelle quali il controinteressato è stato relatore e correlatore di diverse tesi di laurea) e nei percorsi formativi post-laurea (master), nonché le esperienze all'estero del dott. Ac. (erano, infatti, espressamente valutabili in basi ai criteri gli "incarichi di docenza conferiti da istituzioni qualificate nazionali e/o internazionali"). 8.5.2. Inoltre, come evidenziato dalla sentenza appellata, la stessa Commissione correttamente non ha ritenuto rilevante il ruolo di coordinatore di comitato didattico locale della Scuola di Specializzazione in Neurochirurgia presso l'Università di Pisa, svolto dall'appellante, in quanto diverso e minore rispetto al titolo valutabile di "Direzione e coordinamento di Scuole di Specializzazione" (previsto come criterio di valutazione): mentre il primo è relativo a una sotto-articolazione didattica, il secondo ruolo si riferisce ad una figura apicale dell'intera Scuola e, come spiegato dalle parti appellate, sulla base della Convenzione tra gli Atenei toscani per l'aggregazione di Scuole di specializzazione mediche, sottoscritta in data 15 febbraio 2017 e riguardante specificatamente la Scuola di Ne., poteva essere attribuito esclusivamente ad un docente dell'Ateneo sede Amministrativa della Scuola, ovvero dell'Università di Firenze. 8.5.3. Alla luce di quanto evidenziato, se da un lato può escludersi che una maggiore enfasi degli ottimi risultati raggiunti dal prof. Pe. nell'attività didattica avrebbe potuto condurre a un esito diverso della procedura concorsuale, dall'altro neppure può ritenersi che siano presenti vizi valutativi in eccesso sul profilo didattico del dott. Ac., per il quale è stata documentata la pluriennale attività di docenza in una facoltà universitaria oltre che nei corsi di specializzazione e nei master post universitari, anche all'estero. 8.5.4. Come detto, correttamente non è stato poi dato rilievo all'attività di coordinamento di un comitato locale della Scuola di specializzazione (svolta dall'appellante), perché il bando dava rilievo all'attività di coordinamento della Scuola, cioè all'aver rivestito un ruolo apicale nella stessa. 8.6. Per quanto concerne la produzione e ricerca scientifica, è del pari giustificato il giudizio di prevalenza riservato al candidato Ac. (ottimo vs molto buono dell'appellante), posto in essere avendo a riferimento i sub-criteri elaborati dalla Commissione che, a sua volta, ha valutato non solo il numero, ma la congruenza delle pubblicazioni con il profilo di professore di prima fascia e con le discipline del settore concorsuale, anche considerato che: - tutti i 30 articoli presentati dal candidato evidenziano "ottima originalità e rigore metodologico", risultando congruenti alle tematiche del bando concorsuale, sono stati pubblicati in riviste indicizzate con Impact Factor1 e sottoposte a peer review (c.d. "processo di revisione tra pari"); - con riferimento alle pubblicazioni presentate, il candidato Ac. ha un numero maggiore di citazioni su Scopus (823 contro le 807 dell'appellante); - il controinteressato possiede un H-Index più alto (30 rispetto a 29 dell'appellante); - il dott. Ac. è primo autore in 20 (venti) pubblicazioni e ultimo autore in 10 (dieci), mentre il dott. Pe. è primo autore in 16 (sedici) pubblicazioni e ultimo autore in 10 (dieci); - la produzione scientifica complessiva appare continua nel tempo, con un numero di citazioni di 2901 citazioni, mentre il Prof. Pe. presenta un numero inferiore (2030); - il controinteressato è stato l'unico, tra i candidati, che presenta "un coinvolgimento come PI in numerosi progetti di ricerca di cui una sostanziale parte è frutto di bandi competitivi nazionali e internazionali", mentre l'appellante - pur dimostrando nelle 30 pubblicazioni presentate "una spiccata originalità, rigore metodologico e rilevanza" - non appare in progetti di ricerca finanziati, frutto di bandi di ricerca competitivi nazionale e internazionali, avendo riportato di essere PI solo in un progetto locale dell'azienda ospedaliera universitaria pisana. 8.6.1. Tali aspetti, posti a base del complessivo giudizio di preferenza espresso dalla Commissione, non sono scalfiti dalle suggestive, ma infondate argomentazioni dell'appellante. 8.6.2. In particolare, il rilievo scientifico delle riviste sulle quali sono stati pubblicati gli articoli allegati dal vincitore (che comunque hanno un impact factor superiore rispetto alla media di quelle presentate dall'appellante) non è messo in discussione dal fatto che sia previsto un pagamento per ottenere che l'articolo sia open access: infatti, tale tipologia di rivista - senza che possa inficiare la qualità della pubblicazione - è volta a favorirne l'utilizzo dai ricercatori, con l'obiettivo di ampliare l'accesso e la diffusione ai dati scientifici. 8.6.3. In secondo luogo, la valutazione dell'attività di ricerca scientifica non si basava unicamente sulle trenta pubblicazioni presentate ai fini della procedura, ma doveva prendere in esame anche altri sotto criteri, quali la produzione scientifica complessiva (considerando: a. continuità temporale dell'intera produzione scientifica. b. numero totale delle citazioni valutato su Scopus. c. numero totale delle citazioni dei lavori dove il candidato è primo/ultimo/corresponding author valutato su Scopus. d. H-index totale su Scopus) e l'attività di ricerca (anche con riferimento all'aver rivestito il ruolo di responsabile o coordinatore di progetto - o comunque di aver partecipato a progetti- di ricerca nazionale o internazionale finanziati sulla base di bandi competitivi che prevedano la revisione tra pari). 8.6.4. Orbene il complesso di tali criteri è stato oggetto di puntuale e corretta valutazione da parte della Commissione che difatti ha valorizzato, tra l'altro, il fatto che - tra tutti i candidati - il dott. Ac. fosse l'unico ad aver rivestito il ruolo di PI, coPI (responsabile o coordinatore) o partecipante a progetti di ricerca nazionali e internazionali finanziati sulla base di bandi competitivi che prevedano la revisione tra pari o affidati da qualificate istituzioni pubbliche e private. 8.6.5. Con specifico riguardo ai rilievi dell'appellante sulle singole pubblicazioni si evidenzia poi quanto segue. 8.6.6. Nelle pubblicazioni indicate con numero 2, 3 e 6, il dott. Ac. ha contribuito ugualmente al primo autore in lista (quale coautore degli articoli) e, come tale, la Commissione ne ha valutato il contributo scientifico alla redazione dell'articolo. 8.6.7. La pubblicazione di cui al numero 30 è una raccolta di contributi scientifici, nella quale il controinteressato riveste il duplice ruolo di editor/curatore e di autore di articoli: si tratta, quindi, di tipologia di pubblicazione pienamente valutabile ai fini concorsuali. 8.6.8. La pubblicazione indicata al numero 27 consiste in un "articolo in video", come ben descritto nel pdf allegato e visibile dal link riportato sulla pubblicazione, riguardante una tecnica chirurgica apprezzata dalla Commissione. 8.6.9. Alla luce delle circostanze sopra evidenziate il giudizio espresso dalla Commissione per quanto attiene l'attività di ricerca scientifica dei candidati è esente da profili di illogicità e irragionevolezza. 8.7. Immune dai dedotti profili di eccesso di potere è, infine, anche la valutazione sull'attività assistenziale, essendo quella del controinteressato - oltre che continua e costante (come quella dell'appellante) - caratterizzata da un maggior numero assoluto di interventi (2.229 contro i 1600 dell'appellante), effettuati, peraltro, in un periodo più breve, e considerato il fatto che la chirurgia del'rachide spinalè era solo una delle numerose aree richieste dal bando. 8.7.1. Pertanto, non sono fondate le doglianze dell'appellante volte a sostenere che vi sarebbe stata una sopravvalutazione dell'attività assistenziale del Dr. Ac. (valutata "ottima") rispetto alla sua (valutata "buona"). 8.7.2. Infatti, anche con riferimento a tale aspetto i giudizi espressi dalla Commissione sono corretti e frutto di un percorso motivazionale coerente e logico. 8.7.3. L'attività chirurgica del dott. Ac. è stata continua, con una casistica operatoria chirurgica certificata, relativa agli ultimi 11 anni nella posizione di Dirigente Medico presso la Fondazione IRCCS di Mi. (2011-2022), e costante, con 2229 interventi (di cui 1045 come primo operatore e gli altri come aiuto o come responsabile di specializzandi e una media di 202 interventi circa per anno, di cui 95 come primo operatore, rispetto ai 114 interventi per anno del Prof. Pe.). 8.7.4. Nell'ambito di una così articolata, complessa e variegata attività assistenziale, è del tutto ininfluente che il controinteressato abbia effettuato in assoluto un minor numero di interventi rispetto all'appellante per quanto concerne determinate patologie (in particolare quelle degenerative del rachide spinale) o che non abbia presentato casistica chirurgica di patologia traumatica del rachide o del trauma cranico. 8.7.5. Infatti, il giudizio della Commissione non può che essere globale e complessivo sull'intera attività clinica svolta - considerandone il rilievo e l'attinenza con il profilo oggetto della procedura concorsuale - e non su specifici settori chirurgici indicati tra i criteri di valutazione. 8.7.6. Ad ogni modo, anche il numero degli interventi effettuati dal controinteressato - per vari campi di competenza specifici (in particolare, per le patologie vascolari, neoplastica cerebrale e del basicranio e spinale) - è largamente superiore rispetto a quelli svolti dall'appellante e di assoluto rilievo, come dimostra il fatto che il dott. Ac. abbia riportato nella sua casistica 52 interventi per tumori spinali. 8.8. Le successive censure (formulate alle pagine 19 e seguenti dell'appello), attraverso le quali l'appellante intende dimostrare che il profilo professionale del vincitore sarebbe stato inferiore (non già a quello dello stesso ricorrente) ma anche a quello di altri candidati non ricorrenti sono inammissibili per difetto di interesse. 8.9. Per le ragioni esposte, i motivi di appello non incrinano il giudizio di prevalenza del controinteressato, correttamente espresso sulla base di un coerente percorso logico argomentativo che ne ha valutato, conformemente ai criteri stilati, la complessiva attività - didattica, scientifica e assistenziale - senza incorrere nei prospettati vizi di eccesso di potere 8.9.1. Di conseguenza, sono infondate anche le censure formulate avverso i provvedimenti del Rettore, del Consiglio di Dipartimento e, da ultimo, del Consiglio di Amministrazione, che hanno recepito i giudizi legittimamente espressi dalla Commissione esaminatrice, privi di qualsivoglia profilo di illogicità e incongruenza. 9. In conclusione, l'appello va respinto. 10. Sussistono giusti motivi, per la complessità delle questioni trattate e la natura della controversia, per compensare interamente tra le parti in causa le spese del grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Dispone compensarsi tra le parti le spese del grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Claudio Contessa - Presidente Angela Rotondano - Consigliere, Estensore Raffaello Sestini - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere Rosaria Maria Castorina - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza Ter ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6189 del 2023, proposto da Vi. Mu., rappresentato e difeso dall'avvocato Lo. Ot., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pa. Tr., Ad. Ve., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, e dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Ministero dell'Università e della Ricerca, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); per l'annullamento, previa concessione delle opportune misure cautelari: - del Verbale del Collegio docenti del 7.2.2023, con cui è stata dichiarata la non ammissione del Dott. Vi. Mu. al secondo anno del dottorato di ricerca; - del Decreto Rettorale n. 247/2023 - Prot. N. 0010905 del 27.2.2023 - che ha recepito il verbale del Collegio docenti del 7.2.2023 rendendo efficaci gli effetti; - di ogni altro provvedimento connesso, presupposto o conseguente ai provvedimenti già espressamente impugnati, ancorché se sconosciuti; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Università degli Studi di Roma "Tor Vergata" e del Ministero dell'Università e della Ricerca; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 aprile 2024 il dott. Mario Gallucci e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. A seguito della selezione indetta dall'Università degli Studi di Roma "Tor Vergata" con Decreto Rettorale n. 2222/2021, il Dott. Vi. Mu. risultava vincitore con borsa di studio del dottorato di ricerca in "Teoria dei Contratti, dei Servizi e dei Mercati", istituito presso il dipartimento di Management e Diritto della Facoltà di Economia. La borsa di studio era a valere sulle risorse destinate al Programma Operativo Nazionale "Ricerca e Innovazione" (PON), ai sensi del Decreto del MUR n. 1061 del 10 agosto 2021. 2. Il bando di selezione si chiude all'art. 15 (Norme finali e transitorie) con una disposizione generale di rinvio che richiama, per quanto non previsto e disciplinato nel presente bando, anche il Decreto Rettorale n. 1127/2016, recante il Regolamento per l'istituzione e l'organizzazione dei corsi di dottorato di ricerca e al DM 1061 del 10/08/2021. 3. Il Decreto Rettorale n. 1127/2016 è stato sostituito dal D.R. n. 706/2022 (doc. 6 prodotto dal ricorrente), le cui disposizioni si applicano a "tutti i cicli attivi alla data del Decreto di emanazione del Regolamento e per i successivi" (art. 2 del D.R. 706/2022). 4. Per quanto di interesse ai fini della presente controversia, il D.R. 706/2022 in parola prevede che: (i) "Il Collegio delibera alla fine di ogni anno di corso l'ammissione degli iscritti all'anno di corso successivo o all'esame finale sulla base delle prove di esame eventualmente da questi sostenute e/o sulla base di particolareggiate relazioni sulla loro attività di studio e ricerca" (art. 6, comma 2, ultimo periodo); (ii) "Le borse di studio hanno durata annuale e sono rinnovate a condizione che il dottorando abbia completato il programma delle attività previste per l'anno precedente, verificate secondo le procedure stabilite dal Collegio dei docenti, fermo restando l'obbligo della erogazione della borsa di studio a seguito del superamento della verifica. Il Collegio dei docenti comunica non oltre il 31 ottobre di ciascun anno all'ufficio competente l'ammissione o meno all'anno successivo di corso motivando debitamente l'eventuale esclusione dal corso" (art. 12, comma 1). 5. Il Dott. Mu. si immatricolava all'anno accademico 2021/2022 in data 3 febbraio 2022. 6. In data 11 luglio 2022, in qualità di vincitore del concorso da funzionario presso l'Avvocatura dello Stato chiedeva l'autorizzazione allo svolgimento di attività retribuita da lavoro dipendente, la quale veniva concessa dal Collegio dei docenti. 7. In data 6 ottobre 2022, la segreteria didattica della scuola di dottorato trasmetteva una comunicazione via e-mail ai dottorandi del XXXVII ciclo, con la quale li invitava a presentare il "report particolareggiato sull'attività di studio e ricerca svolto nell'anno accademico 21/22, con una descrizione dello stato di avanzamento dei lavori di ricerca". 8. Con mail in data 24 ottobre 2022 il Dott. Mu. trasmetteva il report alla tutor prof. Di., la quale invitava l'attuale ricorrente a inviarlo "subito a Va. e Co. con me in copia, affinché io possa rispondere che per me è ok". 9. Il Collegio dei docenti avviava il procedimento di annullamento dell'autorizzazione allo svolgimento di attività retribuita, che si concludeva con la revoca della stessa. 10. Il Dott. Mu. presentava richiesta di sospensione dalla frequenza del dottorato. 11. Con mail in data 23 gennaio 2023 la coordinatrice prof. Co. invitava il Dott. Mu. alla trasmissione della rendicontazione annuale, cui faceva seguito il riscontro dello stesso in data 3 febbraio 2023. 12. La relazione del Dott. Mu. veniva esaminata in data 7 febbraio 2023 dal Collegio dei docenti, di cui sia la tutor prof. Di. che la coordinatrice prof. Co. erano componenti. In base a quanto illustrato dalla tutor prof. Di.: (i) le attività "si sono interrotte nel mese di ottobre 2022"; (ii) "il dottorando è stato da subito coinvolto nella presentazione di un intervento attinente al diritto tedesco e al suo tema di ricerca nell'ambito di un seminario dottorale" (...). "Di ciò il dottorando dà conto nella sua rendicontazione, omettendo tuttavia di specificare che il suo intervento si è limitato, senza ulteriore originale apporto, ad una esposizione dei risultati sul diritto tedesco della più ampia ricerca svolta dalla Prof. Di. e pubblicata nel volume (...), messa a disposizione del medesimo dottorando dalla tutor"; (iii) "Lo stesso è a dirsi dell'abstract presentato in tema di "inquinamento digitale". (...) "In tale abstract, il dott. Mu. si è limitato ad esporre il contenuto di una conversazione tenuta con la stessa Prof. Di., senza nulla aggiungere quale riflessione personale o quale risultato di ricerca bibliografica"; (iv) "Non avendo ricevuto né una bozza di indice né un elenco bibliografico, (...) sul piano scientifico la valutazione del dottorando circa il lavoro di tesi può basarsi esclusivamente sulla rendicontazione finale dal medesimo presentata e messa a disposizione del Collegio nei giorni precedenti l'odierna seduta"; (v) "Entrando nel merito di quella parte della rendicontazione che riguarda il progetto di ricerca, (...) in essa il dottorando dimostra una scarsa consapevolezza di ciò di cui tratta"; (vi) il Dott. Mu. "Ha dimostrato gravi lacune nelle modalità di approccio epistemologico e nel ragionamento giuridico-interpretativo"; (vii) "mostra la grave assenza di una preliminare indagine ricostruttiva"; (viii) ha un "atteggiamento evasivo con tentativi continui di sottrarsi alle sollecitazioni di carattere scientifico". Inoltre, "La Coordinatrice, prof.ssa Ma. Co., in qualità di co-tutor, rileva di non essere mai stata contattata dal dott. Mu. per un confronto sul tema della ricerca né di aver ricevuto dallo stesso altro che non fossero le succinte relazioni bimestrali. Peraltro, invitato a partecipare alla riunione finalizzata alla discussione sullo stato di avanzamento del lavoro di tesi nel dicembre scorso, il dott. Mu. ha giustificato la propria assenza per ragioni di salute e si è rimesso alle relazioni già consegnate, perdendo l'ennesima occasione di un confronto costruttivo". Alla luce della rendicontazione presentata dal dottorando il Collegio dei docenti deliberava di non ammettere il dott. Mu. all'anno accademico successivo, "considerato che la rendicontazione non riporta alcun dato significativo relativo alle ricerche svolte, con particolare riferimento al lavoro di tesi, né riferimenti espressi ad ulteriori pubblicazioni scientifiche". Il Collegio riteneva di non doversi esprimere sulla richiesta di sospensione del dottorato, in quanto assorbita "dalla odierna delibera di mancata ammissione al nuovo anno accademico". 13. Con D.R. n. 247/2023 si dichiarava la decadenza del Dott. Mu. dal dottorato e si sospendeva il versamento della borsa di studio, preannunciando il recupero dei ratei della borsa indebitamente percepiti. 14. Tali atti venivano impugnati con ricorso affidato ai seguenti motivi: I. Violazione di legge. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 12 del regolamento per i corsi di dottorato di ricerca. Illegittimità della richiesta della seconda rendicontazione annuale. La seconda richiesta di rendicontazione annuale ricevuta dalla coordinatrice sarebbe priva di base normativa. II. Eccesso di potere per contraddittorietà . Violazione e falsa applicazione dell'art. 97 Cost. A fronte di due rendicontazioni annuali, che il ricorrente ritiene sostanzialmente identiche, vi sarebbe contraddittorietà tra il giudizio positivo espresso con riferimento alla prima dalla tutor e la valutazione negativa riguardante la seconda. III. Eccesso di potere per arbitrarietà . Sull'assenza di qualsivoglia predeterminazione dei criteri valutativi. L'Università non avrebbe predeterminato i criteri di valutazione del report annuale e le uniche indicazioni in merito proverrebbero dallo scambio di mail con la coordinatrice agli inizi del 2023. IV. Eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di istruttoria. Mancanza di proporzionalità . Violazione e falsa applicazione dell'art. 97 Cost. La valutazione del Collegio dei docenti si fonderebbe su presupposti fattuali errati. L'esclusione basata sulla mancanza dell'"indice" e dell'"elenco bibliografico" non sarebbe proporzionata, non essendo stato attivato il soccorso istruttorio. Il ricorso si conclude con la riserva di formulare domanda di risarcimento del danno e con la richiesta di tutela cautelare. 15. Si costituiva l'Università degli Studi di Roma "Tor Vergata" a mezzo di propri legali per resistere al ricorso e depositava documenti. 16. Il ricorrente produceva memoria in vista della camera di consiglio fissata per l'esame dell'istanza cautelare. 17. Con ordinanza n. 2561/2023 veniva respinta la richiesta di tutela cautelare. 18. Parte ricorrente presentava istanza di prelievo. 19. In vista dell'udienza pubblica del 24 aprile 2024 il ricorrente depositava documenti e memoria difensiva. Le produzioni documentali includono la prova della restituzione dell'importo della borsa di studio, pari a euro 15.116,29, a seguito della nota di diffida e messa in mora dell'Ateneo. Nella memoria difensiva si chiede il risarcimento in via equitativa del danno curriculare, da perdita di chance e del danno all'immagine. 20. Faceva seguito lo scambio di repliche con l'Ateneo. 21. In data 23 aprile 2024 la difesa erariale si costituiva in rappresentanza dell'Ateneo, già costituito a mezzo dei propri legali, e del Ministero dell'Università e della Ricerca. 22. All'udienza del 24 aprile 2024 la causa veniva introitata ai fini della decisione. DIRITTO 1. Il dottorato di ricerca è regolato dall'art. 4 della L. 210/1998, come modificato dalla L. 240/2010, che attribuisce ad un decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, da adottarsi su proposta dell'Anvur, la definizione delle modalità di accreditamento e la determinazione dei criteri sulla base dei quali i soggetti accreditati disciplinano, con proprio regolamento, l'istituzione dei corsi di dottorato. 2. Il decreto in argomento da ultimo adottato è il D.M. n. 226/2021, recante "Regolamento recante modalità di accreditamento delle sedi e dei corsi di dottorato e criteri per la istituzione dei corsi di dottorato da parte degli enti accreditati", che conferma il rapporto tra normativa generale e regolamento di Ateneo delineato dal previgente D.M. 45/2013, facendo salva l'autonomia universitaria con riguardo alla disciplina delle ipotesi di esclusione dal corso. 3. Nell'esercizio della propria autonomia, l'Ateneo ha emanato il Regolamento per i corsi di dottorato di ricerca, D.R. 706/2022, ove si stabilisce che: (i) "Il Collegio delibera alla fine di ogni anno di corso l'ammissione degli iscritti all'anno di corso successivo o all'esame finale sulla base delle prove di esame eventualmente da questi sostenute e/o sulla base di particolareggiate relazioni sulla loro attività di studio e ricerca" (art. 6, comma 2); (ii) "Il Collegio dei docenti può escludere dal corso, con la decadenza dalla borsa di studio, i dottorandi che sospendano senza giustificazione l'attività di ricerca, di studio o la frequenza delle lezioni o dei seminari per un periodo superiore a trenta giorni ovvero i dottorandi che non conseguano risultati sufficienti o tali da non consentire il soddisfacimento delle condizioni fissate per il passaggio all'anno successivo. I dottorandi che non superino la verifica per il passaggio da un anno all'altro o l'ammissione all'esame finale decadono dal corso di dottorato con provvedimento rettorale" (art. 12, comma 6). 4. L'obbligo dei dottorandi di "compiere attività di studio e di ricerca nell'ambito delle strutture indicate dal Collegio dei docenti e/o dal Coordinatore" è ripreso dal bando del dottorato de quo (art. 12, comma 1). 5. Con il primo motivo di ricorso si sostiene che la seconda richiesta di rendicontazione annuale, ricevuta dalla coordinatrice del dottorato, sarebbe priva di base normativa. Dalla lettura congiunta tra l'art. 12, comma 1 e l'art. 6, comma 2 del Regolamento per i corsi di dottorato di ricerca si evince che al Collegio dei docenti è attribuito il potere di verifica dei risultati dell'attività di studio e di ricerca dei dottorandi e che tale verifica ha ad oggetto "particolareggiate relazioni" presentate dagli interessati. Nel caso specifico, la trasmissione preliminare della relazione annuale alla tutor costituisce un adempimento non espressamente previsto e si inserisce nel contesto di carattere interlocutorio e collaborativo che caratterizza i rapporti tra tutor e dottorando, ove il primo svolge un ruolo di guida nei confronti dell'altro nell'ambito del percorso di studio e di ricerca, ruolo che, secondo buona fede, comprende anche la disponibilità a fornire le informazioni utili alla predisposizione della documentazione inerente al dottorato. In tale contesto si inquadrano le interlocuzioni tra il dott. Mu. e la prof. Di. (doc. 16a e 16b prodotti dal ricorrente), consistenti in uno scambio di e-mail di carattere informale, con invito della tutor a trasmettere la relazione "subito a Va. e Co. con me in copia, affinché io possa rispondere che per me è ok", ovverosia a formalizzarne la comunicazione. Diverso è invece il tenore del successivo scambio di mail con la coordinatrice Co., dove ad una richiesta di carattere formale di quest'ultima segue il riscontro, parimenti formale, del dottorando. Si osserva che il giudizio sulla relazione del dottorando rientra nelle attribuzioni del Collegio dei docenti e, pertanto, non può essere espresso dal tutor, il cui benestare di carattere informale riguarda le modalità di redazione della reportistica ai fini della successiva presentazione all'organo competente, senza valutazioni di carattere qualitativo in ordine al contenuto. Il motivo è infondato. 6. Con il secondo motivo, parte ricorrente si duole del fatto che a fronte di due rendicontazioni annuali, che parte ricorrente ritiene sostanzialmente identiche, vi sarebbe contraddittorietà tra il giudizio positivo espresso con riferimento alla prima dalla tutor e la valutazione negativa riguardante la seconda. Come illustrato nella trattazione del primo motivo, il tutor e il Collegio dei docenti sono titolari di attribuzioni differenti. Le interlocuzioni tra il tutor e il dottorando in merito alla presentazione della relazione hanno un contenuto informativo e collaborativo, non potendo sostituirsi il tutor al Collegio dei docenti nella valutazione dell'attività del dottorando finalizzata all'ammissione al successivo anno accademico. Nel verbale del Collegio dei docenti il tutor, che è uno dei componenti dello stesso, illustra la relazione e le caratteristiche dell'attività di studio e di ricerca svolte dal dottorando, restando riservata al Collegio dei docenti la valutazione finale sulla documentazione prodotta dal dottorando. Il tutor fornisce quindi una illustrazione della documentazione sottoposta all'esame dell'organo collegiale competente per la decisione. Questa distinzione di funzioni all'interno del procedimento di valutazione si evince dalle premesse che precedono il dispositivo di non ammissione, le quali tengono conto della relazione del dottorando e delle valutazioni espresse dalla tutor e dalla coordinatrice e precisano che il Collegio dei docenti ha considerato che "la rendicontazione non riporta alcun dato significativo relativo alle ricerche svolte, con particolare riferimento al lavoro di tesi, né riferimenti espressi ad ulteriori pubblicazioni scientifiche". Il giudizio finale di non ammissione è espressione della volontà dell'organo collegiale e consiste in un apprezzamento globale e sintetico delle attività svolte dal dottorando nell'anno accademico di riferimento. Non è pertanto possibile ravvisare alcuna contraddittorietà tra il giudizio del Collegio dei docenti e il contenuto dello scambio di e-mail di carattere informale tra il tutor e il dottorando, poiché al tutor non è attribuita dal Regolamento di Ateneo la funzione di esprimere pareri preliminari sulla relazione annuale né di formulare una proposta sull'ammissione all'organo collegiale, che decide sulla base della documentazione prodotta dall'interessato. Il motivo è infondato. 7. Con il terzo motivo parte ricorrente si duole del fatto che l'Università non avrebbe predeterminato i criteri di valutazione del report annuale e che le uniche indicazioni in merito proverrebbero dallo scambio di mail con la coordinatrice, avvenuto agli inizi del 2023. Trattandosi del risultato di un giudizio globale e sintetico sulla qualità delle attività svolte dal candidato, il provvedimento del Collegio dei docenti è espressione della verifica del livello di maturità scientifica raggiunto dal dottorando. La valutazione dell'attività di studio e di ricerca è funzionale a stabilire l'idoneità del candidato alla prosecuzione del corso attraverso l'ammissione al successivo anno accademico. Il giudizio del Collegio dei docenti è connotato da discrezionalità tecnica, per cui il provvedimento impugnato è sottratto al sindacato del giudice amministrativo, laddove l'uso del potere discrezionale non risulti caratterizzato da evidenti vizi di illogicità, contraddittorietà e disparità di trattamento (TAR Lombardia, Brescia, n. 264/2020). Il motivo è infondato. 8. Parimenti infondato è il quarto motivo, in base al quale la valutazione del Collegio dei docenti si fonderebbe su presupposti fattuali errati. La mancata produzione dell'"indice" e dell'"elenco bibliografico" non sarebbe proporzionata al provvedimento adottato in assenza di soccorso istruttorio. Si osserva che il giudizio globale espresso dal Collegio dei docenti sulla rendicontazione non è limitato alla mancata produzione dell'indice e dell'elenco bibliografico da parte del candidato ma ha un ambito molto più ampio, riguardando l'assenza di dati significativi sulle "ricerche svolte, con particolare riferimento al lavoro di tesi" e di "riferimenti espressi ad ulteriori pubblicazioni scientifiche". Una valutazione che involge la metodologia dell'attività svolta nel primo anno di corso e che è funzionale a stabilire se la maturità scientifica del candidato consenta l'ammissione all'anno accademico successivo. La correttezza dei presupposti su cui si fonda il deliberato del Collegio dei docenti è desumibile dal verbale della seduta, nel quale è riportato che oggetto della valutazione è stata la rendicontazione presentata dall'interessato. In disparte la questione del rispetto dei termini di presentazione della documentazione, nel caso specifico eventuali integrazioni documentali da parte dell'interessato si sarebbero risolte in un aggravio procedimentale, essendo state rilevate dall'organo collegiale plurime criticità quanto alla metodologia osservata dal candidato, criticità poi confluite nel giudizio globale di carattere negativo sull'attività di ricerca espletata. 9. All'accertamento della legittimità degli atti impugnati conseguono, da un lato, la legittimità, in via derivata, della richiesta di restituzione dell'importo della borsa di studio e, dall'altro, l'infondatezza della domanda risarcitoria. Con riguardo alla restituzione della borsa, la nota trasmessa dall'Ateneo rappresenta un atto dovuto. La decadenza dal dottorato fa venir meno ex tunc il titolo della borsa di studio, in assenza del quale gli importi percepiti sono da qualificarsi come indebiti ai sensi dell'art. 2033 cod. civ. 10. In conclusione, il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto. 11. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo nei rapporti con l'Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", mentre sono compensate nei confronti del Ministero dell'Università e della Ricerca in ragione del differente impegno difensivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite nei confronti dell'Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", liquidate in euro 1.500 (millecinquecento/00) oltre accessori di legge, mentre le compensa nei confronti del Ministero dell'Università e della Ricerca. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Elena Stanizzi - Presidente Gabriele La Malfa Ribolla - Referendario Mario Gallucci - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 115 del 2020, proposto dai signori Mi. Mo. ed altri, tutti rappresentati e difesi dall'avvocato St. Qu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Milano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Fr., Gi. Le., An. Ma., Pa. Ma. Ce., Pa. Ra., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Gi. Le. in Roma, via (...); Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo di Milano, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Terza n. 1824/2019. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Milano e del Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo di Milano; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 6 marzo 2024 il Cons. Raffaello Sestini; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Gli appellanti impugnano la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Terza n. 1824/2019, resa tra le parti, che ha respinto il ricorso dai medesimi proposto avverso la determinazione dirigenziale PG 560944/2017 dell'11.12.2017, avente ad oggetto il "rilevamento elettronico delle infrazioni tramite dispositivi di rilevamento e misurazione, posizionato in Viale (omissis), Direzione Centro, all'altezza del palo della luce n. 11/2 e direzione periferia all'altezza del palo della luce n. 10/2. Inizio sanzionamento", nonché avverso tutti gli atti presupposti o conseguenziali, anche relativi all'installazione degli impianti e della relativa segnaletica. 2 - In punto di fatto, Viale (omissis) è un'importante strada radiale di Milano di circa (omissis) km, classificata dallo stesso Comune di Milano (con Determina n. 3886/B del 2/12/1999) come "strada urbana di scorrimento - D" essendo, ai sensi dell'art. 2 del Codice della Strada, una "strada a carreggiate indipendenti o separate da spartitraffico, ciascuna con almeno due corsie di marcia, ed una eventuale corsia riservata ai mezzi pubblici, banchina pavimentata a destra e marciapiedi, con le eventuali intersezioni a raso semaforizzate; per la sosta sono previste apposite aree o fasce laterali esterne alla carreggiata, entrambe con immissioni ed uscite concentrate. 2.1 - La stessa strada connette il centro di Milano con la periferia nord-ovest della città e poi con le aree della Brianza e delle provincie di Como e Lecco, e che vede ogni giorno il transito di migliaia di pendolari diretti per lavoro nella città di Milano. 2.2 - Le Amministrazioni comunali interessate hanno da sempre fissato, ai sensi dell'art. 142 del Codice della Strada, un limite di velocità, plurisegnalato, di 70 km/h nelle aree extraurbane e di 50 km/h nelle aree urbane quali quella in esame. 2.3 - Con decreto n. 111/MC/2002 Area IV del 4.4.2003, in attuazione dell'art. 4 comma 2 del DL n. 121 del 20. 6.2002, convertito in legge n. 168 del 1.8.2002, il Prefetto della Provincia di Milano ha consentito per le strade riportate nell'allegato elenco (tra cui quella in esame) la possibilità di "utilizzare o installare dispositivi o mezzi tecnici di controllo del traffico finalizzati al rilevamento a distanza delle violazioni alle norme di comportamento stabilite dagli artt. 142 e 148 del CdS, con contestazione differita delle relative violazioni" precisando che "L'installazione o utilizzazione dei dispositivi e dei mezzi tecnici di controllo deve essere preventivamente ed adeguatamente portata a conoscenza degli utenti della strada". Su tale base il Comune di (omissis) ha installato nel 2006, previa istanza alla Prefettura, un autovelox sul tratto di strada ricadente sul suo territorio, dove è quindi operativo da anni un sistema di rilevazione della velocità, ben visibile e preceduto da ampia segnaletica del limite ivi vigente di 70 km/h. 2.4 - Riferiscono i ricorrenti che "del tutto inaspettatamente, a partire dalla fine del mese di febbraio del 2018, al pari di una moltitudine di automobilisti, venivano colpiti dalla notifica di una raffica di verbali della polizia municipale di Milano" accertanti, a decorrere dal 12 dicembre 2017, la violazione dell'articolo 142, comma 7, del D. Dgs 285/92, per aver superato il limite massimo di velocità consentita pari a 50 km/h. con una frequente decurtazione di tre o più punti dalla patente assommante, a causa della ignara replica delle condotte contestate dal Comune di Milano solo a distanza di tempo, a molti punti complessivi, talora sino al totale azzeramento della propria provvista di punti, con conseguente danno gravissimo per l'utilizzo della patente di guida, costituente invece un bisogno essenziale per la propria quotidianità familiare e lavorativa. 2.5 - Infatti, solo in occasione della notifica dei primi verbali sarebbe stato possibile apprendere, da parte dei destinatari, che erano stati installati su due pali della luce in un tratto del Viale, in entrambe le direzioni, sistemi di autovelox, previsti dal decreto prefettizio numero 111/MC/2002 del 4/4/2003 con esonero dalla contestazione immediata. A seguito di ricerche svolte da parte di taluni dei ricorrenti e di altri destinatari delle contravvenzioni, era così possibile apprendere che il Comune di Milano aveva adottato la determinazione dirigenziale numero 49/2017, in data 11 dicembre 2017, impugnata con il presente Ricorso. 2.6 - Lo scopo dell'"effetto sorpresa" dell'attivazione degli impianti in questione sarebbe stato ben illustrato, secondo gli appellanti, dall'Assessore al Bilancio del Comune, secondo cui "l'effetto dei sette nuovi autovelox installati in città dallo scorso novembre in avanti porterà 30 milioni di euro in più nelle casse comunali quest'anno" con dichiarazione avente valore confessorio con riferimento all'effettivo scopo perseguito dal Comune con l'attivazione del sistema autovelox in questione, vale a dire quello di fare cassa. 2.7 - Successivamente alla notifica dei verbali di accertamento, cui la stampa ha dato ampia eco, alcuni dei ricorrenti avrebbero più volte rappresentato le anomalie delle scelte operate dall'Amministrazione attraverso email e raccomandate, chiedendo interventi in via di autotutela peraltro mai attivati. È stato pertanto proposto ricorso, integrato da motivi aggiunti, davanti al TAR, che ha rigettato le domande degli automobilisti con la sentenza appellata. 3 - L'oggetto del presente appello, indipendentemente dal contenzioso in sede civile concernente i singoli verbali di accertamento delle infrazioni, è dunque costituito dall'impugnativa della sentenza del TAR che ha respinto il ricorso proposto da alcuni automobilisti avverso la decisione del Comune di installare ed attivare due autovelox (uno in direzione centro ed uno in direzione periferia) all'altezza dei pali della luce nn. 10 e 11 di Viale (omissis). 3.1 - Tale decisione avrebbe determinato la violazione di una serie di disposizioni della normativa di settore, oltre ad essere viziata per eccesso di potere, carenza di istruttoria e di motivazione, illogicità ed irragionevolezza manifeste. 3.2 - Il TAR -deducono gli appellanti- ha respinto il ricorso in questione senza esaminare compiutamente i singoli motivi di ricorso, integrati poi da un successivo ricorso per motivi Aggiunti, incorrendo in tal modo, nel vizio di omessa pronuncia anche per il "semplicismo, intriso di fraintendimenti", di cui sarebbe affetto il corredo motivazionale. 3.3 - Inoltre, il TAR avrebbe erroneamente ricostruito la situazione in punto di fatto, in particolare ritenendo che l'atto impugnato fosse relativo unicamente al "posizionamento" degli autovelox, mentre lo stesso espressamente avviava anche il "sanzionamento", peraltro in violazione delle norme che prescrivono espressamente che il Comune, prima di procedere, debba accertare proprio il rispetto delle regole relative a posizionamento della cartellonistica e dell'omologazione e taratura -che sarebbero state invece sistematicamente violate- proprio al fine di evitare conseguenze pesantemente lesive a carico degli utenti della strada. 3.4 - Altrettanto "sfuggente" sarebbe, poi, la sentenza nella parte in cui degraderebbe l'obbligo di portare alla preventiva ed adeguata conoscenza degli utenti della strada l'installazione o l'utilizzazione dei dispositivi e dei mezzi tecnici di controllo, con buona pace dei principi di trasparenza e di leale collaborazione con i cittadini, e laddove liquiderebbe "sbrigativamente" l'incisiva censura di sviamento, fondata sulle stesse dichiarazioni dell'assessore del Comune di Milano - che enfatizzava mediaticamente l'effetto di cassa degli autovelox in questione - essendosi il TAR limitato ad asserire che, in assenza di prova contraria, si debba presumere che l'interesse principale del Comune fosse quello di prevenire gli incidenti. 3.5 - In definitiva, si tratterebbe di "una sentenza gravemente ingiusta e priva di congrua motivazione, iniqua e gravatoria" anche sul punto delle spese di lite, della quale si chiede la integrale riforma. 4 - Le amministrazioni intimate si sono costituite in giudizio. In particolare il Comune di Milano, con propria memoria, sostiene la piena legittimità del proprio operato e l'esattezza della pronuncia impugnata, ma prima ancora eccepisce l'inammissibilità dei motivi, delle eccezioni e delle domande nuove proposte per la prima volta in appello in violazione dell'art. 104 D. Lgs. n. 104/2010, oppure costituenti la mera riposizione dei motivi di impugnazione di primo grado. Le parti hanno poi proceduto ad un ampio scambio di memorie. 5 - L'appello, in disparte il superamento dei limiti dimensionali con un numero di caratteri pari a 76.164 oltre a premessa e conclusioni, è palesemente infondato e non merita accoglimento. 5.1 - Con lo stesso appello viene dedotta in primo luogo la nullità della sentenza impugnata per l'omessa pronuncia su alcuni motivi di ricorso -che vengono contestualmente riproposti- concernenti la violazione del DL n. 121/2002 e delle varie Direttive del Ministero degli Interni e relative istruzioni operative, del Decreto "Delrio" 13 giugno 2017, n. 282, nonché l'incompetenza del Comune, essendosi il TAR limitato a sostenere che il Decreto del Prefetto di Milano del 2003 consentiva all'Amministrazione comunale di posizionare ed attivare gli autovelox lungo tutto Viale (omissis), senza neppure dover svolgere le prescritte verifiche in merito all'effettivo tasso d'incidentalità e all'impossibilità di contestazione immediata delle contravvenzioni come prescritto dalla Direttiva del Ministero degli Interni n. 300/A/5620/17/144/5/20/3 del 21/7/2017, che innova, integra e "sostituisce" le precedenti, prevedendo espressamente che per le strade di tipo D (strade urbane di scorrimento) quale Viale (omissis) spetti al Prefetto, con proprio decreto, la determinazione dei tratti in cui è possibile l'attività di controllo remoto del traffico finalizzata all'accertamento delle violazioni per eccesso di velocità, sentiti gli organi di polizia stradale di cui all'art. 12, comma 1 CdS e su conforme parere degli enti proprietari delle strade. 5.2 - In particolare, il decreto del Prefetto di Milano del 2003, risalente a ben prima dell'entrata in vigore della normativa sopra illustrata, non autorizzava l'installazione dell'autovelox nel tratto di Viale (omissis) dove l'autovelox è stato collocato, limitandosi a prevedere in modo assolutamente generico la possibilità di installazione lungo tutto il Viale. Allo stesso modo, il TAR non avrebbe neppure preso in considerazione un'ulteriore violazione della "Direttiva Minniti" che, al numero 3 della Parte II, rubricato "criteri per la determinazione dei tratti di strada in cui è possibile l'utilizzo di dispositivi e mezzi di controllo del traffico", sancisce che "la contestazione differita delle violazioni rilevate con i dispositivi in argomento è legittima quando, sulla base di una valutazione preventiva compiuta dal Prefetto, i tratti di strada sui quali possono essere collocati dispositivi di controllo rispondono ai seguenti criteri: - un elevato livello di incidentalità ; - la documentata impossibilità o difficoltà di procedere alla contestazione immediata sulla base delle condizioni strutturali, plano - altimetriche e di traffico". Il provvedimento impugnato sarebbe, quindi, viziato, da un grave difetto di istruttoria e di motivazione. La stessa Corte di Cassazione, con sentenza n. 12231 del 14 giugno 2016, ha statuito che "l'individuazione effettuata dal Prefetto delle strade dove non è possibile il fermo di un veicolo e dove, quindi, è legittimo evitare la contestazione immediata dell'infrazione relativa all'eccesso di velocità, non può e non deve prescindere dalla valutazione in concreto del tratto stradale". 5.3 - Viene poi dedotta la nullità della sentenza impugnata per l'omessa pronuncia sui motivi di ricorso concernenti la violazione dell'art. 98 della Costituzione e dei principi di buon andamento, efficienza ed economicità dell'agire amministrativo, nonché del principio di leale collaborazione tra amministrazione e cittadino. 5.4 - Infatti, non sarebbe stato attivato alcun percorso procedimentale di autotutela -come lo stesso Comune di Milano aveva fatto in un caso del tutto ana riferito all'attivazione dell'Ecopass - allorché aveva annullato in via di autotutela tutte le contravvenzioni elevate nel primo mese di attivazione del sistema di sanzionamento. 5.5 - Sono poi proposte le censure di error in iudicando, errata valutazione dei presupposti di fatto e di diritto, insufficiente motivazione della sentenza impugnata, grave difetto di istruttoria e di motivazione dei provvedimenti impugnati, irragionevolezza ed illogicità degli stessi, violazione dell'art. 142 del Codice della Strada, del decreto del 13.06.2017 e della c.d. Direttiva Minniti sotto ulteriori profili, avendo il TAR erroneamente ritenuto che la sussistenza di una previa ed adeguata informativa della popolazione e della cartellonistica di segnalazione degli autovelox e dei limiti di velocità esulassero dal suo sindacato, in quanto tali valutazioni non avrebbero alcun rilievo con riguardo alla delibera impugnata la quale - secondo il TAR - riguarderebbe unicamente il posizionamento degli autovelox, quando invece la stessa disponeva anche l'"avvio del sanzionamento". 5.6 - In particolare, l'art. 142 comma 6 bis del Codice della Strada, integralmente ripreso e meglio chiarito nelle Direttive e Circolari ministeriali sopra richiamate, prevedrebbe che le postazioni di controllo per il rilevamento della velocità siano: a) preventivamente segnalate; b) ben visibili. Non ci sarebbe stata, al contrario, alcuna adeguata pre-informazione agli utenti della strada, né una segnaletica ben visibile circa l'esistenza dell'impianto che consentisse quell'effetto di deterrente e di prevenzione dell'incidentalità che dovrebbe essere intrinseco alla funzione dello strumento sanzionatorio. 5.7 - Infatti, deducono gli appellanti, i cartelli segnaletici indicanti il limite orario di 50 km/h e l'esistenza dell'autovelox, così come gli stessi autovelox posti sulla sommità dei pali, non erano certamente "ben visibili", essendo collocati in mezzo alla cartellonistica pubblicitaria e comunque posti solo a partire da 100 metri di distanza, rispetto alla distanza di 1 km prevista in caso di limite di velocità fissato a 70 km/h. Lo stesso Comune di Milano si sarebbe dimostrato consapevole dell'insufficienza e scarsa visibilità della segnaletica, peraltro ovviando alla carenza di segnaletica solo successivamente, dopo aver adottato il provvedimento impugnato in data 11.12.2017 e dopo aver attivato il sistema sanzionatorio a distanza di sole 8 ore dall'apposizione della segnaletica. 5.9 - Inoltre, il citato Decreto del 13.6.2017, al capo 2.7 dell'allegato 1, prevedrebbe espressamente una fase di approvazione del prototipo, mentre le apparecchiature preposte al controllo della velocità avevano rilevato, nelle prime settimane di attivazione, circa 3.000 violazioni sanzionabili, che poi sarebbero risultate insussistenti con conseguente annullamento in via di autotutela di circa 3.000 verbali di contestazione, di modo che tali riconosciute carenze tecniche della strumentazione integravano quel "ragionevole dubbio" di cui alla normativa citata, che avrebbe imposto al Comune di provvedere alla sostituzione ovvero alla nuova taratura dell'apparecchiatura stessa, previa sospensione cautelare dell'operatività dell'impianto. 5.10 - Allo stesso modo erroneamente il TAR avrebbe ritenuto che il Decreto del Prefetto di Milano del 2003 fosse di per sé bastante a legittimare l'installazione degli autovelox in quel determinato tratto di Viale (omissis), senza tener conto che erano trascorsi ben 15 anni e, nel frattempo, si era radicalmente modificata la viabilità del Viale in questione. Al riguardo il Comune ha altresì sostenuto che l'attivazione dei nuovi controlli si sarebbe resa necessaria per far fronte all'asserito "alto livello di incidentalità " del tratto di strada in questione, che sarebbe emerso dallo "studio realizzato dall'Area pianificazione e Programmazione mobilità, nel dicembre 2014" ed evidenziato in una "nuova relazione tecnica redatta nel 2017 dall'Agenzia Mo. Am. T?. (AM. srl)". Secondo gli appellanti l'affermazione del Comune non troverebbe però conferma nelle conclusioni a cui pervengono le analisi predette, che individuano l'"indice di incidentalità " facendo riferimento all'intero Viale (omissis), e che suggeriscono di integrare le elaborazioni con analisi di maggior dettaglio dei rapporti di incidente al fine di localizzare con precisione le carreggiate stradali interessate, pur trattandosi di un tasso di incidentalità in diminuzione rispetto agli anni precedenti e di gran lunga inferiore rispetto ad altri assi stradali sui quali non sono apposti autovelox. Sarebbe pertanto, privo di qualsiasi fondamento il riferimento al grave rischio per l'incolumità dei pedoni, contenuto nella memoria del Comune, Nella relazione del 2014 predetta, in ogni caso, si consigliava l'adozione di un sistema di "tutor", proprio alla luce delle caratteristiche del Viale in questione. Il Comune afferma, altresì, che "per quanto concerne l'individuazione del singolo tratto, ove collocare il dispositivo, questo è stato scelto tenendo conto dei seguenti criteri: - picchi di velocità ; impossibilità o difficoltà di procedere alla contestazione immediata sulla base delle condizioni strutturali, plano - altimetriche e di traffico" ma anche tale affermazione risulterebbe priva di qualsivoglia fondamento e contrasterebbe con la realtà dei fatti, mancando alcun tipo di verifica circa gli asseriti "picchi di velocità " sul tratto di strada in questione; non corrispondendo al vero l'asserita impossibilità di contestazione immediata, essendovi in prossimità ampie aree di possibile sosta senza alcun pericolo per l'incolumità Il Comune avrebbe, quindi, violato il principio di ragionevolezza, esercitando altresì il potere conferitogli per perseguire un fine diverso da quello in vista del quale il potere è stato attribuito. Nulla in punto motiverebbe il TAR, "se non rinviando a surreali presunzioni a vantaggio del Comune". 5.11 - Lascerebbe poi perplessi il fatto che il Comune, dopo aver affermato (nella sua memoria avanti il TAR) che la maggioranza delle violazioni è stata di pochi Km/h, parli di "pirati della strada" che circolerebbero per Viale (omissis) con velocità "pari a oltre 130 km/h fino ad un massimo di 175 km/h"; casistica che, ove veritiera, avrebbe imposto la contestazione immediata delle ipotetiche violazioni - con ciò evitando che "pirati della strada" continuassero a circolare nei tempi di notifica dei verbali. 5.12 - Viene poi dedotto il vizio di "error in iudicando, iIngiustizia della sentenza impugnata, mancato riconoscimento dell'evidente eccesso di potere per sviamento in cui è incorso il Comune, ulteriori difetti di motivazione e di istruttoria" I ricorrenti in primo grado avevano eccepito l'eccesso di potere per sviamento in cui sarebbe incorso il Comune nell'attivare gli autovelox in questione, non sussistendo alcuna necessità né per l'incolumità pubblica, né per la viabilità di dare avvio a tale sistema di sanzionamento, se non al fine di ottenere un ritorno economico per le casse comunali. L'intento del legislatore che è alla base della disciplina del Codice della strada e della prevista possibilità di installare sistemi di rilevazione automatica della velocità sarebbe quello di prevenire incidenti automobilistici e favorire il rispetto dei limiti di velocità da parte dell'automobilista. Come riconosciuto anche dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, infatti, il potere sanzionatorio in materia di circolazione stradale, non sarebbe tanto ispirato dall'intento della sorpresa ingannevole dell'automobilista indisciplinato, in una logica patrimoniale captatoria, quanto da uno scopo di tutela della sicurezza stradale e di riduzione dei costi economici, sociali ed ambientali derivanti dal traffico veicolare, anche mediante l'utilizzazione delle nuove tecnologie di controllo elettronico. Così come confermato dalla sopra riportate dichiarazioni dell'assessore comunale al bilancio, l'aver, invece, preferito l'installazione e l'attivazione a dir poco repentina degli autovelox sarebbe una chiara conferma che lo scopo realmente perseguito dal Comune di Milano era stato quello di rimpinguare le casse comunali e non quello di contrastare gli eccessi di velocità, e ciononostante il TAR non avrebbe, erroneamente, rilevato il denunciato vizio di eccesso di potere per sviamento malgrado le clamorose evidenze di causa concernenti la mancata considerazione del criterio primario ed essenziale del "tasso di incidentalità " che si desume dalla norma e degli altri presupposti giuridici e di fatto legittimanti l'installazione e l'attivazione dell'autovelox in questione, essendo il difetto di motivazione, per sua natura, un elemento rilevante in quanto sintomaticamente rivelatore di un eccesso di potere concernente il mancato rispetto dei precetti della logica, della coerenza interna e della razionalità ; ovvero di un errore di valutazione dei presupposti del provvedimento; o ancora di uno sviamento dell'atto dalla causa tipica e/o dall'interesse pubblico. Il TAR avrebbe dunque dovuto considerare il tenore meramente formalistico delle premesse - nelle quali, tra la normativa, non viene neppure enunciata la serie dei interventi del 2017 - l'assenza di profili motivazionali inerenti specificamente l'incidentalità - presupposto stesso del sistema di rilevazione - l'indicazione di norme non conferenti (es. gli articoli 5 e 6 D.Lgs. 285/1992, che regolamenta la circolazione fuori dai centri abitati) quali plurimi elementi sintomatici di un vizio funzionale del provvedimento, per erroneità, sviamento di potere, travisamento dei fatti e dei presupposti di diritto, illogicità manifesta, in quanto la cronologia dei fatti desumibile dall'analisi del provvedimento e la provata repentina adozione del sanzionamento senza previa informazione alla cittadinanza ed agli utenti della strada, anche, eventualmente, tramite l'agevole adozione di apposita cartellonistica di preavviso dell'attivazione a far data da una decorrenza futura, proverebbero quella volontà captatoria che la giurisprudenza di legittimità ha ampiamente censurato, aggravata dalla circostanza che la contestazione delle ipotetiche violazioni sia stata effettuata solo a distanza di mesi dalla commissione delle violazioni per evitare una riduzione delle infrazioni e quindi dei proventi delle stesse, in violazione del dovere di "bilanciamento tra la tutela della sicurezza stradale e quella delle situazioni soggettive dei sottoposti alle verifiche", rilevato dalla Corte Costituzionale nella nota Sentenza 113/2015. 6 - Come anticipato, a giudizio del Collegio tute le puntuali e minuziose censure sopraindicate, che possono essere esaminate congiuntamente in ragione della loro sostanziale connessione ed unicità di argomentazione, si rivelano infondate e devono essere pertanto respinte. 6.1 - L'esame deve necessariamente prendere avvio dalla disciplina del codice della strada (D. Lgs n. 285/1992 e ss.mm.ii.) e dei relativi plurimi provvedimenti attuativi e di indirizzo, che ai fini della installazione di sistemi elettronici di rilevazione automatica della velocità con contestazione differita dell'infrazione impongono la previa verifica della ragionevolezza della misura, sotto i consueti parametri -di matrice euro-unitaria ma rispondenti anche ai principi della nostra Carta costituzionale- di sussidiarietà dell'intervento pubblico rispetto alla sfera di libertà individuale e di adeguatezza e proporzionalità della misura, rispetto alle esigenze d'interesse pubblico generale che giustificano una tale limitazione sia del principio di libertà, sia delle garanzie di trasparenza e partecipazione in contraddittorio die cittadini interessati (evidentemente meglio valorizzate da un contestazione immediata dell'infrazione). In tal senso, dunque, la sopra citata vigente normativa prescrive, per i casi come quello in esame, un previo accertamento circa la presenza di condizioni di pericolosità del tratto stradale (rilevate anche mediate il dato statistico dei sinistri), nonché circa la ragionevole impossibilità di adottare sistemi alternativi che consentano la immediata contestazione delle infrazioni, demandato al Prefetto quale Autorità preposta al coordinamento delle misure di tutela della pubblica incolumità, dell'ordine pubblico e della legalità : 6.2 - L'esercizio della predetta potestà trova una adeguata base giuridica direttamente nell'articolo 2 della Costituzione, alla cui stregua "La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo" a far capo dal diritto" fondamentale" dell'individuo alla salute, e prima ancora alla vita. Viene quindi necessariamente in rilievo la intrinseca pericolosità del traffico su gomma, che, indipendentemente dai pur suggestivi richiami giornalieri di cronaca, vede un preoccupante e persistente dato statistico annuo di morti e invalidità . 6.3 - Risulta pertanto evidente la necessità, in ragione di una espressa previsione costituzionale (ma analoghe considerazioni valgono per il Trattato e per la Carta dei diritti dell'uomo), di conformare l'esercizio del diritto di movimento sul territorio nazionale alle predette esigenze di incolumità e sicurezza delle persone, ponendo una adeguata disciplina del traffico veicolare ma anche sanzionando le sue violazioni, anche con immediata la privazione, temporanea o meno, del titolo di guida nel caso in cui singoli comportamenti del conducente possano generare una ragionevole presunzione di pericolosità per gli altri utenti della strada. Infatti, al contrario di quanto ritenuto dagli appellanti, la titolarità del permesso di guida, in quanto titolo abilitativo sottoposto a verifica della sussistenza e permanenza delle previste condizioni, non costituisce, pur ove ritenuto necessario in ragione di esigenze famigliari o lavorative, un diritto, e tantomeno un diritto assoluto o inviolabile in presenza di un sistema multimodale di trasporto che consente, in ogni caso, di spostarsi anche in presenza di persone inidonee alla guida. 6.4 - Le pregresse considerazioni pongono la necessaria premessa giuridica circa la necessità che le pubbliche Autorità preposte alla circolazione lungo le strade possano in primo luogo contestare, fra le infrazioni al codice, quelle di maggiore pericolosità per la sua sicurezza statale a far luogo dalla violazione dei limiti di velocità, posto che, per comune esperienza per ogni aumento di velocità causa un aumento esponenziale dello spazio di frenata e di arresto, adeguando i sistemi e le procedure di rilevamento all'evoluzione di un sistema di viabilità sempre più trafficato e congestionato e sempre più caratterizzato da veicoli e tracciati stradali tali da consentire velocità anche molto elevate e-quindi -come detto- molto pericolose per gli automobilisti, i pedoni e gli altri utenti della strada. 6.5 - In tal senso, dunque, risulta che nella fattispecie in esame: a) la pericolosità della strada in esame è stata accerta fin dal decreto del Prefetto di Milano n. 111/MC/2002 del 4/4/2003, emanato, tenendo conto degli indici relativi "al tasso di incidentalità, alle condizioni strutturali e plano- altimetriche nonché del traffico", ancora conforme alla vigente normativa e quindi ancora pienamente valido ed operativo mentre alcun rilievo posso comunque rivestire, al riguardo, le circolari interpretative ministeriali richiamate da parte appellante, in quanto desinate a rilevare solo nei rapporti interni fra gli uffici; b) dal predetto decreto emerge la natura della via in esame quale asse di collegamento fra il centro cittadino, la periferia e altre aree urbane e il più vasto hinterland, laddove la velocità massima sale a 70km/h, caratterizzata da numerosi incroci a raso e passaggi pedonali e interessata da una rilevante incidentalità (una delle tre vie milanesi più pericolose) in particolare con riferimento agli incidenti con lesioni gravi o gravissime; c) quindi del tutto ragionevolmente il predetto decreto ha decretato la pericolosità dell'intero tratto stradale, di modo che il Comune altrettanto ragionevolmente ha deciso di installare il primo (e fino ad oggi unico) sistema di rilevazione in corrispondenza dell'abitato, con il conseguente passaggio del limite di velocità da 70 a 50 km/h e in prossimità di un attraversamento pedonale, né gli appellanti dimostrano la sussistenza di sopravvenienze dal 2003 ad oggi tali da ridurre -anziché - implementare- i rischi indicati, confermati da ulteriori studi che avevano anche indotto gli uffici tecnici a suggerire l'introduzione anche di più incisivi sistemi tutor; d) la tipologia dell'infrastruttura viaria di collegamento veloce in esame, ad alto scorrimento di traffico e divisa fra corsie veloci prive di area di sosta, corsie riservate al tram e corsie laterali di manovra, indipendentemente dalla eccezione comunale circa l'argomentazione concernente la presenza di banchine laterali -ritenuta inammissibile poiché proposta per la prima volta in appello, ai sensi dell'art. 2 del codice della strada costituisce una "strada urbana di scorrimento: strada a carreggiate indipendenti o separata da spartitraffico, ciascuna con almeno due corsie di marcia, ed una eventuale corsia riservata ai mezzi pubblici, banchina pavimentata a destra e marciapiedi, con le eventuali intersezioni a raso semaforizzate; per la sosta sono previste apposite aree o fasce laterali estranee alla carreggiata, entrambe con immissioni ed uscite concentrate..." di modo che, così come esattamente rilevato dal predetto decreto prefettizio, "non è possibile il fermo del veicolo senza recare pregiudizio alla sicurezza della circolazione, alla fluidità del traffico o all'incolumità degli agenti operanti e dei soggetti controllati". Si tratta, infatti, di un tratto di strada (lungo di circa 3,5 Km, tra piazzale (omissis) e il confine con il Comune di (omissis)), che si trova nel centro abitato (delibera della Giunta Comunale n. 405/1993) ove, ai sensi dell'art. 142, comma 1, CdS, vige il divieto per legge di superare il limite di velocità massimo di 50 Km/h, prescritto dall'inizio del Centro abitato, posto circa 3 km prima degli autovelox in contestazione. e) la pregressa considerazione è confortata dagli stessi dati forniti dagli appellanti, che riferiscono di numerosissime sanzioni accertate e contestate, nonché delle sanzioni accessorie normativamente previste (decurtazione dei punti e sospensione della patente), per un numero minore ma non irrilevante di casi di passaggio ad alte velocità (fino a 175 km/h) difficili da intercettare in condizioni di sicurezza in altro modo e suscettibili di mettere immediatamente in pericolo la vita umana. 6.6 - Così come esattamente evidenziato dagli appellanti, la vigente normativa impone, inoltre, che sia assicurata una adeguata segnalazione che consenta agli automobilisti sopraggiungenti di percepire per tempo la presenza del sistema di rilevamento automatico della velocità, demandata al medesimo ente gestore della strada che decide l'installazione del sistema di rilevamento automatico ma non rispettata, deducono gli appellanti con le proprie censure, nel caso di specie. 6.7 - Ancora in ragione delle evidenziate superiori esigenze pubbliche di tutela della sicurezza ed incolumità degli utenti della strada, peraltro, la ragione di un tale prescrizione deve essere necessariamente rinvenuta nella duplice necessità di evitare pericolosi comportamenti elusivi dell'ultimo istante dei trasgressori, nonché di privilegiare la funzione deflattiva della rilevazione, volta a scoraggiare velocità eccessive di tutti gli utenti inducendo a comportamenti "virtuosi" secondo una logica per così dire di prevenzione generale, rispetto ad una logica di prevenzione speciale volta a sanzionare solo gli utenti trasgressori, ma non può giammai tramutarsi, secondo un mal riposto legalitarismo, in una sorta di impropria regola di "parità delle armi" che consenta al trasgressore attento a tale segnaletica di "vincere la sfida" con il velox e quindi di violare -impunemente- le disposizioni poste a tutela della sicurezza propria e di tutti gli altri utenti della strada, che la Repubblica è viceversa tenuta a garantire. 6.8 - Pertanto respinta l'eccezione, eccepita dal Comune, di inammissibilità della censura (in quanto la stessa, ancorché attinente alla fase esecutiva, attiene direttamente alla contestata iniziativa) considera il Collegio che non emerge alcun profilo di manifesta irragionevolezza o di grave vessatorietà nella installazione di un rilevatore di velocità segnalato mediante una adeguata segnaletica posta ad una distanza di codice adeguata ai fini della sua percezione da parte di un conducente che si avvicini nel rispetto del vigente limite di 50 km/h. Tale limite, preme sottolineare, non è comunque mai messo in discussione dagli appellanti circa la sua ragionevolezza nelle condizioni di viabilità considerate, di modo che la censura appare anche inammissibile in quanto rivolta non al divieto, ma piuttosto alla possibilità di renderlo effettivo sanzionandolo. 6.9 - A maggior ragione, così come evidenziato dal TAR, la "preventiva ed adeguata" segnalazione non implica certamente l'obbligo per l'Amministrazione di preavvertire i cittadini secondo termini temporali dilatori prefissati, ontologicamente incompatibili con le ragioni d'urgenza che connotano l'esigenza di tutela della pubblica incolumità e concettualmente legati ad una sorta di ragione "proprietaria" degli utenti abituali di quella strada, che in tale ambito risulterebbero maggiormente tutelati rispetto alla percorrenza di qualunque altra strada interessata da controlli, e rispetto a ogni altro utente che si trovasse a passare per la prima volta per quella strada, secondo una logica non ragionevole rispetto all'obbligo, imposto a tutti i conducenti dal Codice della strada- di adeguare continuamente e tempestivamente la condotta di guida alle condizioni della viabilità, ma neppure rispondente alla libertà di circolazione sull'intero territorio nazionale garantita dalla Costituzione. 6.10 - Ancora in tema di oneri di gestione dei sistemi velox, del tutto irrilevanti appaiono le censure riferite alla rilevazione di un numero elevatissimo di infrazioni risultate non confermate, posto che i certificati di taratura iniziale dei sistemi elettronici in esame a far data dal 12.12.2017 prodotti dall'Amministrazione sono stati emessi dalla ditta TE. s.r.1., accreditata presso ACCREDIA, i cui riferimenti risultano ben visibili su tali documenti, che l'episodio denunciato non appare particolarmente significativo in sede di prima applicazione del dispositivo nella indicata condizione di alta densità di traffico e di conseguente gestione amministrativa di plurimi procedimenti amministrativi e che, in tutti i casi rilevati, i verbali di accertamento sono stati comunque annullati, non allegando gli appellanti ulteriori casistiche "di massa" non già risolte, neppure in sede di impugnazione dei singoli verbali davanti al giudice ordinario. 7 - Viene, infine, in rilievo il motivo di base che collega tutti gli altri motivi d'appello sopra esaminati, ovverosia il vizio di eccesso di potere che avrebbe connotato le ragioni, i tempi e le modalità di installazione ed attivazione dei rilevatori in esame, in quanto univocamente volti non a garantire la sicurezza stradale bensì l'aumento delle entrate del bilancio comunale, così come autorevolmente ma confessoriamente ammesso dal medesimo assessore al Bilancio del Comune di Milano. 7.1 - Al riguardo, deve rilevarsi che gli appellanti utilizzano i predetti elementi sintomatici per affermare l'esistenza di un vero e proprio sviamento di potere dell'amministrazione comunale, che sarebbe stata più attenta alle proprie esigenze di cassa anziché a quelle di pubblica sicurezza. Un tale vizio, osserva però il Collegio, indipendentemente dalle intenzioni, dalle aspettative (e dalle dichiarazioni) dei singoli soggetti investiti di pubblici uffici, ha riguardo alla effettiva ed oggettiva discrasia funzionale dell'attività amministrativa concretamente posta in essere, rispetto alla potestà (ovvero al potere-dovere) della pubblica amministrazione considerata di perseguire, nel quadro dell'interesse pubblico generale, l'interesse pubblico ad essa specificamente affidato dal vigente ordinamento. 7.2 - In un tale quadro, non può essere revocata in dubbio la competenza generale del Comune, quale Ente esponenziale della comunità locale secondo un principio di rappresentanza democratica, ad attivare ogni utile misura amministrativa volta alla tutela della sicurezza e della pubblica incolumità degli utenti della rete stradale di competenza, anche attivando, nelle forme di legge, sistemi di rilevazione automatica del rispetto dei limiti di velocità . 7.3 - Quanto sopra considerato circa le accertate condizioni di pericolosità della strada in esame e circa la legittimità e non irragionevolezza, nelle condizioni date, della collocazione, segnalazione ed attivazione dei contestati sistemi di rilevazione a fini di pubblica incolumità e sicurezza, vale pertanto a far escludere la sussistenza del dedotto vizio di sviamento di potere, indipendentemente dall'entità e dall'impego del conseguente afflusso finanziario alle casse comunali e da ogni ulteriore considerazione de jure condendo circa l'opportunità di disciplinare una più rapida contestazione delle violazioni, nonché di munire gli enti pubblici gestori della viabilità e gli organi di Polizia di risorse e poteri più adeguati, prevedendo se del caso sanzioni a contestazione immediata più incisive ai fini di un più efficace controllo dei comportamenti di guida pericolosi, nonché una eventuale più incisiva finalizzazione normativa a fini preventivi degli introiti delle sanzioni pecuniarie irrogate in materia, tutte circostanze, peraltro, estranee all'odierno contenzioso. 8 - In conclusione l'appello deve essere respinto. 9 - La complessità e peculiarità della fattispecie controversa giustifica, tuttavia, la compensazione fra le parti delle spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Compensa fra le parti le spese del presente grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2024, tenuta da remoto ai sensi dell'art. 17, comma 6, del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2021, n. 113, con l'intervento dei magistrati: Fabio Franconiero - Presidente FF Giordano Lamberti - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere, Estensore Giovanni Sabbato - Consigliere Davide Ponte - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4898 del 2023, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'Avvocato An. Cl. e dall'Avvocato Ma. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dello stesso Avvocato An. Cl. in Roma, via (...); contro Università degli Studi Roma "La Sapienza", in persona del Rettore pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, via (...); -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'Avvocato Mi. Bo. e dall'Avvocato Sa. De., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza -OMISSIS- del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, sez. III, resa tra le parti, che ha accolto il terzo motivo del ricorso promosso dal prof. -OMISSIS- in primo grado contro gli atti e, in particolare, il decreto rettorale -OMISSIS-, con cui il Rettore dell'Università degli Studi di Roma "La Sapienza", all'esito dello svolgimento della procedura valutativa in questione, ha approvato "gli atti relativi alla procedura valutativa di chiamata per n. 1 posto di Professore di ruolo di I fascia per il Settore Concorsuale -OMISSIS- - presso il Dipartimento di Scienze Cliniche Internistiche, Anestesiologiche e Cardiovascolari - Facoltà di Medicina e Odontoiatria - di questa Università, da cui risulta che il Prof. -OMISSIS- (...), è dichiarato vincitore della procedura valutativa suddetta". visti il ricorso in appello e i relativi allegati; visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Università degli Studi Roma "La Sapienza" e di -OMISSIS-; visti tutti gli atti della causa; relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 maggio 2024 il Consigliere Massimiliano Noccelli e uditi per l'odierno appellante, -OMISSIS-, l'Avvocato An. Cl. e per l'odierno appellato, -OMISSIS-, l'Avvocato Mi. Bo. e l'Avvocato Sa. De.; viste le conclusioni delle parti come da verbale; ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con il ricorso notificato in data 15 novembre 2021, il prof. -OMISSIS- avanti al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma (di qui in avanti, per brevità, il Tribunale) ha impugnato gli atti della procedura valutativa di chiamata effettuata ai sensi dell'art. 18, comma 6, della l. n. 240 del 2010 per un posto di professore di ruolo di I fascia per il Settore Concorsuale -OMISSIS- - presso il Dipartimento di Scienze Cliniche Internistiche, Anestesiologiche e Cardiovascolari - Facoltà di Medicina e Odontoiatria - dell'Università di Roma "La Sapienza", in relazione alla quale è stato dichiarato vincitore il prof. -OMISSIS-. 1.1. Il prof. -OMISSIS-, per quanto di rilievo nel presente giudizio, ha proposto diverse censure, che saranno di seguito esaminate in quanto riproposte ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.a., e in particolare con il terzo motivo del ricorso originario ha contestato, tra l'altro, la "violazione di legge (artt. 9 comma 2 D.P.R. 1994 n. 487 e 3 comma 3 D.P.R. 1994 n. 439) e del Regolamento di Ateneo (art. 7.3), richiamato nel bando di concorso, nonché dell'art. 3 L. 241/90 sull'obbligo di motivazione degli atti amministrativi, per mancata nomina di alcuna donna in Commissione". 1.2. Il prof. -OMISSIS- si è costituito in giudizio eccependo l'inammissibilità (sotto molteplici profili) e l'infondatezza del ricorso e della richiesta cautelare. 1.3. Si è costituito nel primo grado del giudizio anche l'Ateneo resistente. 1.4. Alla camera di consiglio del 15 dicembre 2021 la parte ricorrente ha prospettato la necessità di proporre ricorso per motivi aggiunti che, in effetti, ha proposto il successivo 17 dicembre 2021. 1.5. La causa è stata dunque rinviata per la trattazione del merito all'udienza pubblica del 15 giugno 2022, in vista della quale il ricorrente ha depositato memoria ed il controinteressato anche le repliche. 1.6. All'esito, con ordinanza n. 11914 del 19 settembre 2022 è stata formulata all'Università richiesta istruttoria volta ad acquisire tutti gli atti prodromici alla nomina della Commissione giudicatrice della procedura selettiva di chiamata. 1.7. Il Tribunale ha disposto, poi, il rinvio all'udienza pubblica del 23 novembre 2022 per l'ulteriore trattazione del merito della presente controversia. 1.8. L'Ateneo ha ottemperato all'ordinanza istruttoria e ha depositato nel rispetto del termine assegnato la documentazione richiesta, riguardante gli atti inerenti alla nomina della Commissione giudicatrice della procedura selettiva per cui è causa. 1.9. Depositate le memorie e le repliche nei termini di legge, all'udienza pubblica del 23 novembre 2022, il difensore della parte ricorrente ha formulato istanza di rinvio per il deposito di un ulteriore ricorso per motivi aggiunti e la causa è stata rinviata all'udienza pubblica dell'8 febbraio 2023. 1.10. Il prof. -OMISSIS- ha quindi proposto il secondo atto di motivi aggiunti in data 12 dicembre 2022, volto a censurare la nomina della Commissione. 1.11. Il ricorrente, oltre a contestare l'illegittimità derivata degli atti e provvedimenti già impugnati sulla scorta dei medesimi profili di doglianza già articolati con i precedenti ricorsi, con il primo e articolato motivo del secondo atto di motivi aggiunti ha contestato anche l'asserita violazione, da parte dell'Ateneo resistente, dell'art. 1, comma 3, della l. n. 190 del 2012, dei principi di buon andamento, parità di genere e trasparenza, nonché l'eccesso di potere per difetto di istruttoria, in relazione al procedimento di costituzione della Commissione giudicatrice. 1.12. All'udienza dell'8 febbraio 2023 la causa è stata trattenuta in decisione. 2. Con la sentenza -OMISSIS- il Tribunale ha accolto il terzo motivo del ricorso introduttivo e, parzialmente, il primo motivo del secondo atto di motivi aggiunti - "nella parte relativa alle doglianze inerenti alla violazione dei principi di buon andamento, parità di genere e trasparenza, in relazione alla assenza di motivazione in ordine alla mancata designazione di almeno un docente di genere femminile quale membro della Commissione giudicatrice -, con conseguente annullamento di tutti gli atti e provvedimenti impugnati successivi al bando di concorso", per le ragioni che meglio si diranno. 2.1. Avverso tale sentenza ha proposto appello il prof. -OMISSIS-, lamentandone l'erroneità per avere accolto il terzo motivo del ricorso e i secondi motivi aggiunti, e ne ha chiesto, previa sospensione dell'esecutività, la riforma, con la conseguente reiezione del ricorso proposto in primo grado. 2.2. Il 21 giugno 2023 si è costituita l'Università per chiedere la reiezione dell'appello. 2.3. Sempre il 21 giugno 2023 si è costituito anche il prof. -OMISSIS- per opporsi all'accoglimento dell'appello e riproponendo, altresì, i motivi assorbiti dal primo giudice ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.a., motivi che saranno esaminati successivamente. 2.4. L'appellante, a sua volta, ha chiesto la reiezione anche dei motivi assorbiti riproposti dal prof. -OMISSIS-. 2.5. Con l'ordinanza n. 2625 del 27 giugno 2023 il Collegio, in accoglimento della domanda cautelare proposta dall'appellante ai sensi dell'art. 98 c.p.a., ha sospeso l'esecutività della sentenza impugnata e ha rinviato la causa all'udienza pubblica del 19 dicembre 2023. 2.6. All'esito di tale udienza, con l'ordinanza n. 11057 del 20 dicembre 2023, il Collegio ha ritenuto necessario, ai fini del decidere, acquisire in via istruttoria una dettagliata relazione da parte dell'Università degli Studi di Roma "La Sapienza" che, avuto riguardo ai criteri valutativi e comparativi predeterminati nel bando concorsuale del 9 febbraio 2021, illustrasse in modo approfondito e motivato in quale modo la Commissione abbia valutato l'attività scientifica dei candidati e, in particolare, quella del prof. -OMISSIS- e quella del prof. -OMISSIS-, con precipuo riferimento ai lavori di meta-analisi e all'impatto clinico-traslazionale degli studi rispettivamente condotti e/o curati e oggetto di pubblicazione e in quale modo la stessa Commissione abbia valutato la rispettiva attività medica, clinica e assistenziale del prof. -OMISSIS- e del prof. -OMISSIS-. 2.7. L'ordinanza ha assegnato all'Università termine fino al 20 marzo 2024 per il deposito della relazione, rinviando la causa, all'esito di tale incombente istruttorio, all'udienza pubblica del 7 maggio 2024. 2.8. L'Università ha adempiuto la richiesta istruttoria il 19 marzo 2024, depositando una relazione della Commissione giudicatrice, e le parti hanno successivamente depositato le rispettive memorie di cui all'art. 73 c.p.a., formulando osservazioni anche in ordine al contenuto di tale relazione. 2.9. Infine, nell'udienza pubblica del 7 maggio 2024, il Collegio, sentiti i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione. 3. L'appello è fondato. 3.1. Il prof. -OMISSIS- lamenta che il Tribunale avrebbe erroneamente accolto il terzo motivo dell'originario ricorso e il secondo atto di motivi aggiunti, con cui il ricorrente in prime cura aveva censurato l'illegittima composizione della Commissione per la dedotta violazione dell'art. 9, comma 2, del d.P.R. 1994 n. 487 e dell'art. 3, comma 3, del d.P.R. n. 439 del 1994 e del Regolamento di Ateneo (art. 7.3), richiamato nel bando di concorso, nonché dell'art. 3 della l. n. 241 del 1990 in relazione alla mancata designazione di almeno un docente di genere femminile quale membro della Commissione giudicatrice, disponendo in conseguenza l'annullamento di tutti gli atti e provvedimenti impugnati successivi al bando di concorso. 3.2. Il primo giudice ha ritenuto che la nomina della Commissione giudicatrice sia illegittima per violazione dell'art. 7.3 del regolamento di Ateneo e dell'art. 4 del bando di concorso nella parte in cui prevedono che, per le procedure valutative quali quella per cui è causa, i componenti della commissione sono designati dal Consiglio di Dipartimento che dovrà all'uopo tener conto, ove possibile, del principio della equilibrata parità di genere. 3.3. Tale principio, nella fattispecie in questione, non è stato rispettato e, dunque, sussiste la contestata violazione delle anzidette prescrizioni regolamentari e della lex concursus. 3.4. Innanzitutto sarebbe possibile affermare che la previsione contenuta nel riformato regolamento dell'Ateneo resistente in ordine alla necessità di rispettare, ove possibile, il principio della equilibrata composizione di genere, costituisce senza dubbio una misura di prevenzione dei rischi corruttivi che possono manifestarsi nelle procedure di reclutamento dei docenti universitari. 3.5. Invero, sostiene il primo giudice, sarebbe la stessa A.N.A.C. ad affermare che la composizione irregolare delle commissioni è suscettibile di pregiudicare l'imparzialità della selezione, vieppiù nelle ipotesi di reclutamento locale, ontologicamente esposte al rischio di pressioni che possono essere esercitate dai candidati e dai docenti locali. 3.6. Oltretutto, la verifica delle condizioni per adottare, in concreto, una siffatta misura, assume una valenza ancora più pregnante ai fini della neutralizzazione degli evidenziati rischi corruttivi proprio con riferimento alle procedure di chiamata di cui al citato art. 24, comma 6, della l. n. 240 del 2010, tanto è vero che l'art. 7 del regolamento dell'Ateneo resistente richiede di vagliare il rispetto della equilibrata composizione di genere proprio con riferimento alle procedure valutative, nel cui novero rientra anche quella per cui è causa. 3.6. Nel caso di specie, quindi, risulterebbe inconferente, secondo il Tribunale, l'orientamento giurisprudenziale richiamato dal controinteressato prof. -OMISSIS-, secondo il quale le disposizioni sulla parità di genere nelle commissioni di concorso sono poste a garanzia non dei candidati, ma della componente femminile in possesso dei requisiti per farne parte (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 3 febbraio 2016, n. 406). 3.7. Del pari inconferente, ai fini della definizione della presente controversia, risulta anche quell'orientamento giurisprudenziale secondo il quale "la mancanza del componente femminile in seno ad una Commissione esaminatrice è una censura che non esplica ex se effetti vizianti delle operazioni concorsuali, potendo rilevare la violazione della disposizione sulla parità di genere solo in presenza di documentati elementi rivelatori di una condotta discriminatoria serbata in danno di una concorrente di sesso femminile" (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 26 giugno 2015, n. 3240). 3.8. Invero, posto che la prescrizione del regolamento di Ateneo in ordine al rispetto, ove possibile, del principio della equilibrata composizione di genere delle commissioni di concorso designate in relazione alle procedure di tipo valutativo, costituisce, sulla scorta delle considerazioni svolte dal primo giudice, una misura di prevenzione della corruzione, il rispetto della stessa viene richiesto per assicurare la regolare composizione della Commissione giudicatrice e, dunque, l'imparzialità e l'obiettività di giudizio di tale organo nell'espletamento delle operazioni di valutazione dei candidati partecipanti alla procedura di chiamata. 3.9. La violazione, da parte del Consiglio di Dipartimento, dell'art. 7.3 del regolamento di Ateneo e dell'art. 4 del bando di concorso, riproduttivo della medesima prescrizione regolamentare, avrebbe dunque inficiato la regolarità e legittimità della composizione della Commissione giudicatrice della procedura di selezione per cui è causa. 4. La mancata neutralizzazione di un rischio corruttivo specifico per come individuato dall'A.N.A.C., avrebbe quindi minato, sin dalla fase genetica della sua costituzione, l'obiettività e imparzialità di giudizio della commissione di concorso. 4.1. Infatti, dato che la stessa A.N.A.C. riconosce che a fronte della inesistenza di disposizioni normative tese a disciplinare le regole di formazione delle commissioni e lo svolgimento dei relativi lavori, assumono valenza centrale le previsioni dei regolamenti di Ateneo, una volta che l'Università si sia autovincolata al rispetto di una determinata regola di formazione e composizione delle commissioni di concorso, non può successivamente disapplicarla o immotivatamente discostarsene senza che ciò influisca sulla legittimità della costituzione di tale organo, riverberandosi negativamente sulla obiettività e imparzialità dei giudizi che la stessa è chiamata ad esprimere nell'esercizio della sua attività valutativa dei profili dei candidati. 5. Così riportate e riassunte le motivazioni salienti che hanno indotto il primo giudice ad accogliere, come detto, il terzo motivo dell'originario ricorso e il secondo atto di motivi aggiunti, ritiene il Collegio prescindendo da tutti i profili preliminari dedotti e discussi dalle parti, per il principio della ragion più liquida (v., ex plurimis, Cons. St., Ad. plen., 27 aprile 2015, n. 5), di dovere accogliere l'appello per l'assorbente considerazione che, al contrario di quanto ha rilevato il Tribunale, le disposizioni sulla parità di genere nelle Commissioni di concorso sono poste a garanzia non dei candidati, ma della componente femminile in possesso dei requisiti per farne parte (Cons. St., sez. VII, 9 settembre 2022, n. 7867). 5.1. In via generale, del resto, la ratio della normativa sulla parità di genere è di garantire la parità dei sessi e conseguentemente le reciproche pari opportunità, evitando che l'esercizio di determinate funzioni sia precluso ad uno dei due generi, maschile o femminile (Cons. St., sez. V, 3 febbraio 2016, n. 406) e non ha nulla a che vedere, come ha ritenuto il primo giudice, con presunte finalità anticorruttive se non in un senso talmente lato, e improprio, da comprendervi così, con una evidente petizione di principio, ogni disposizione di legge che regoli la composizione delle Commissioni per garantire il rispetto di fondamentali principi costituzionali che via via vengano in rilievo come, nel caso di specie, quello di cui all'art. 51, comma primo, Cost. (ma v. anche l'art. 57, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001 (T.U. sul pubblico impiego) nonché, a livello europeo, la Dir. n. 2004/113/CE e l'art. 157, par. 4, del T.F.U.E.). 5.2. Di qui, dunque, il difetto di legittimazione del prof. -OMISSIS- a dedurre tale profilo, che non può essere colmato da una inesistente - e talmente generica da divenire evanescente - finalità anticorruttiva dell'equilibrata parità di genere. 5.3. D'altro lato, sotto diverso profilo va evidenziato che, secondo la giurisprudenza, l'inosservanza del requisito di genere potrebbe inficiare un concorso ove sia dimostrato, o quantomeno possa supporsi, che la Commissione abbia assunto una reale condotta discriminatoria, condotta che, nel caso di specie, non è stata per nulla dimostrata. (cfr. Cons. St., sez. III, 29 aprile 2019, n. 2775; Cons. St., sez. VI, 10 febbraio 2015, n. 703; id., 18 aprile 2012, n. 2217; id., 27 dicembre 2006, n. 7962), anche volendo prescindere da ogni profilo, pur dirimente, in ordine alla legittimazione a sollevare detta censura da parte del prof. -OMISSIS-. 5.4. In altre parole, la mancanza del componente femminile in seno ad una Commissione esaminatrice è una censura che non esplica ex se effetti vizianti delle operazioni concorsuali, potendo rilevare la violazione della disposizione sulla parità di genere solo in presenza di documentati elementi rivelatori di una condotta discriminatoria serbata in danno di un o una concorrente di un determinato sesso (cfr., oltre alle pronunce già indicate, anche Cons. St., sez. V, 26 giugno 2015, n. 3240). 5.5. Al riguardo, però, l'appellato nel primo grado del giudizio nulla ha specificamente dedotto, non avendo adombrato alcun effetto distorsivo concretamente ingenerato dall'assenza della componente femminile e non avendo indicato alcun elemento che consentisse di ravvisare nello svolgimento delle operazioni concorsuali sintomi di condotte che lo avrebbero penalizzato, non fosse altro perché egli è, appunto, soggetto di sesso maschile. 5.6. Egli si è limitato, infatti, a dolersi del mancato inserimento di una docente nella terna dei commissari, che, tuttavia, come si è visto, è circostanza di per sé non idonea a provocare effetti invalidanti. 5.7. Ne discende, in conclusione, il difetto di legittimazione del ricorrente in prime cure a sollevare la censura e comunque l'infondatezza di questa, per le ragioni sopra dette, non potendosi ravvisare nessuna specifica finalità anticorruttiva nella previsione in esame, che dovrebbe in ipotesi far ritenere superato - né si vede per quale motivo, anche ammettendo che tale finalità sia ravvisabile - il citato orientamento giurisprudenziale, come ha ritenuto in modo erroneo il Tribunale. 5.8. Per completezza va aggiunto che l'Università si è adoperata per il rispetto della parità di genere, verificando che solo due professoresse erano in possesso dei requisiti per essere inserite in Commissione, delle quali una non era disponibile e per l'altra vi erano valide ragioni per non inserirla al fine di evitare ogni rischio di conflitto di interessi. 5.8.1. Di conseguenza, anche volendo ammettere una legittimazione del ricorrente di primo grado a contestare tale profilo (cosa appena esclusa), alcuna violazione del principio della parità di genere (da attuare, ove possibile) può ritenersi sussistente in presenza di ragioni oggettive di impedimento o di ulteriori aspetti destinati a prevalere sul principio di parità di genere, destinato a regredire di fronte ad altri interessi diretti a garantire l'imparzialità della Commissione e l'assenza di rischi di conflitti di interessi. 5.9. Per tali dirimenti ragioni (che assorbono, come detto, ogni ulteriore questione dedotta dalle parti in ordine al terzo motivo dell'originario ricorso), in accoglimento dell'appello, devono essere dichiarati inammissibili, se non comunque radicalmente respinti per la loro totale infondatezza in punto di diritto, il terzo motivo e il secondo atto di motivi aggiunti, proposti in primo grado dal prof. -OMISSIS-. 6. Ciò posto, occorre ora esaminare i motivi assorbiti dal primo giudice e qui riproposti dall'appellato prof. -OMISSIS- ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.a. sia nella memoria depositata il 21 giugno 2023 (pp. 31-59) sia, soprattutto, nella memoria depositata il 23 giugno 2023 (pp. 2-28), alla quale ultima si farà specifico riferimento dell'esame delle censure riassorbite, qui di seguito ad una ad una esaminata. 7. Possono anzitutto essere esaminati insieme, in quanto attinenti alla regolare composizione della Commissione, sia il primo che il secondo motivo riproposti dal prof. -OMISSIS-. 8. Con il primo motivo (pp. 2-5 della memoria) l'appellato deduce che il regolamento di Ateneo della Sapienza (art. 7) richiede soltanto tre commissari per la chiamata dei professori di I fascia; ma tale regolamento (che per ogni evenienza l'appellato ha impugnato sul punto) dovrebbe essere disapplicato, per contrasto con l'art. 1, comma 3, della l. n. 190 del 2012, da cui si desume l'illegittimità derivata degli atti in contrasto con il Piano Nazionale Anticorruzione. 9. Con il secondo motivo (pp. 5-7 della memoria), ancora, l'appellato deduce, per ana ordine di considerazioni, vanno svolti per aver omesso il sorteggio dei membri della commissione giudicatrice, i quali sono stati scelti discrezionalmente dal Consiglio di Dipartimento, in violazione del citato atto di indirizzo del M.I.U.R. n. 39/2018; della delibera dell'A.N.A.C. del 2017 di aggiornamento del PNA. 10. Rileva il Collegio, quanto al primo motivo, che l'aver la Commissione seguito le norme del regolamento di Ateneo non costituisce motivo di illegittimità, così come sono irrilevanti tutti gli altri elementi che denotano uno scostamento dal parere dell'A.N.A.C. 10.1. Del resto, come si vedrà, tali atti non affermano l'illegittimità della procedura seguita dall'Università (e la nomina di tre commissari) né stabiliscono i requisiti indispensabili e necessari per garantire una valutazione equa ed imparziale, ma individuano delle best practices che potrebbero - tra le altre - ridurre le condizioni che favoriscono la corruzione e rimettono all'autonomia universitaria i correlati provvedimenti. 10.2. Il procedimento di nomina della Commissione è disciplinato nel dettaglio dal bando, agli atti (cfr. art. 4), che ripropone la suindicata disciplina regolamentare, per cui l'omessa impugnazione di tale atto presupposto - al cui rispetto l'Ateneo era vincolato - rende inammissibili i motivi di ricorso. 10.3. Considerato che la nomina della Commissione è avvenuta in piena aderenza a tale atto e che lo stesso si pone - secondo la prospettazione dell'appellato - in difformità rispetto alle norme richiamate ed alle contestazioni effettuate, tutti i motivi riproposti che involgono la nomina della Commissione e la scelta dei componenti sarebbero da considerarsi in primo luogo inammissibili proprio per la mancata previa impugnativa del bando. 10.4. Nel bando infatti si prevedeva sia il numero di 3 componenti, sia la designazione e l'"individuazione" degli stessi (ad opera del Dipartimento), sia il rispetto della l. n. 240 del 2010. 10.5. Tale atto non ha recepito le asserite più stringenti disposizioni di cui il ricorrente ha lamentato la violazione (tra le quali la Circolare MIUR n. 39/2018, le Delibere ANAC), neppure in tema di incompatibilità dei Commissari. 10.6. Non è sufficiente, a tal fine, la sola impugnazione del Regolamento. 10.7. Proprio questo Consiglio di Stato, nella già richiamata sentenza n. 7867 del 9 settembre 2022, in un giudizio, ana al presente, in cui l'appellante aveva censurato la violazione, da parte dell'Università, delle prescrizioni ("raccomandazioni") contenute nella delibera dell'A.N.A.C. n. 1208 del 22 novembre 2017 (di aggiornamento del Piano Nazionale Anticorruzione) e, quindi, non solo di quella sulle pari opportunità tra uomini e donne nella formazione delle Commissioni, salvo impossibilità, ma, altresì, di quelle sul sorteggio rispetto a liste di soggetti in possesso dei requisiti di partecipazione alle Commissioni di ASN, sull'appartenenza dei Commissari al medesimo settore concorsuale messo a bando e sulla formazione, in caso di reclutamento di professori ordinari, di una Commissione di almeno cinque membri, di cui solo uno interno. 10.8. Ebbene, con riferimento a tali censure, questa Sezione ha già osservato, con motivazioni del tutto condivisibili e sovrapponibili nel caso presente, che, anche a voler attribuire alle previsioni della delibera dell'A.N.A.C. natura normativamente cogente, ne sarebbe derivato per la ricorrente l'onere di impugnare le clausole del bando di concorso che prevedono per la nomina della Commissione di concorso un sub-procedimento in nulla conforme alle suindicate previsioni. 10.9. Il bando, tuttavia, non è stato impugnato, in quel caso come nel presente giudizio, e tale ragione ostativa determina di per sé sola l'inammissibilità della censura. 11. In ogni caso, richiamando anche qui le motivazioni della sentenza n. 7867 del 9 settembre 2022, la doglianza è palesemente infondata, giacché è la stessa delibera dell'A.N.A.C. n. 1208 cit., nella premessa della parte III, relativa proprio alle "Istituzioni universitarie", ad affermare che "Il presente Piano" ha "natura di atto di indirizzo (non vincolante)", secondo quanto chiarito dall'art. 1, comma 2-bis, della l. n. 190/2012 (v. pag. 47). 11.1. Del resto, anche a voler sorvolare sull'utilizzo del termine "raccomandazione", la delibera raccomanda alle Università (pag. 64) di prevedere nei propri regolamenti le misure in discorso, con il corollario che, in mancanza del recepimento delle misure da parte degli Atenei, le stesse non possono trovare diretta applicazione per effetto della loro elencazione ad opera dell'A.N.A.C. e discorso ana si può fare per l'atto di indirizzo del M.I.U.R. n. 39 del 14 maggio 2018, che in sostanza altro non fa che sintetizzare i contenuti della delibera dell'A.N.A.C. (v., per la formazione delle Commissioni, pag. 11 dell'atto). 12. Quanto alla lamentata violazione, con specifica riferimento al mancato sorteggio, della normativa in materia di anticorruzione che affermerebbe l'obbligo del sorteggio, a garanzia dei principi di buon andamento e imparzialità, ancora, si deve osservare che, al di là della dirimente inammissibilità per la mancata impugnativa del bando, come detto, il ricorrente si è limitato a denunciare la violazione delle raccomandazioni dell'A.N.A.C. sulla formazione delle Commissioni di concorso e non può quindi evocare in un momento successivo il parametro normativo inizialmente pretermesso, perché ciò determina un ampliamento del thema decidendum in violazione delle regole che governano il processo amministrativo (così la sentenza citata n. 7867 del 2022). 12.1. Peraltro, anche alla luce della formulazione del motivo, sia la violazione degli atti anticorruttivi che la correlata violazione dei principi imparzialità e buon andamento in relazione alla mancata previsione del sorteggio sono privi di pregio, tenuto conto che: - la stessa normativa di settore ha rimesso all'Ateneo l'autonomia regolamentare in materia, sancita anch'essa a livello costituzionale; - le disposizioni dell'A.N.A.C. e del M.I.U.R. suggeriscono il sorteggio solo per le procedure di cui all'art. 18 della l. n. 240 del 2010 e non anche per quella in esame; - le stesse individuano delle best practices che potrebbero - tra le altre - ridurre le condizioni che favoriscono la corruzione e rimettono all'autonomia universitaria i correlati provvedimenti, non individuano i requisiti minimi per garantire imparzialità ; - l'Università "La Sapienza" ha adottato un sistema di scelta dei componenti, che come sopra esposto, garantisce anch'esso il rispetto dei menzionati principi. 12.2. Né tantomeno è stato dedotto e dimostrato - ed è anche inverosimile - che l'assenza del sorteggio (che tra l'altro avrebbe riguardato i membri esterni, come previsto dal Regolamento per le procedure valutative) abbia effettivamente avuto ricadute in termini di imparzialità nel caso in esame. 12.3. La carenza di motivazione viene affermata in via generica, senza alcuno specifico riferimento alla motivazione offerta nel verbale del Consiglio di Dipartimento, che si assume non conosciuta. 12.4. La censura formulata con tale atto è dunque inammissibile per genericità e comunque infondata, tenuto conto che il Consiglio aveva indicato le ragioni per le quali aveva deciso di non procedere al sorteggio. 13. Del resto, le motivazioni rese non sono state tempestivamente specificatamente e ritualmente contestate dal ricorrente, con atto notificato alle parti, neppure dopo la loro conoscenza, a seguito del deposito dell'atto integrale del Dipartimento da parte dell'odierno appellante. 13.1. Anche sotto tale profilo, dunque, la censura è inammissibile. 14. Il vizio di eccesso di potere è peraltro insussistente, dato che verbale del Dipartimento si evince che i Commissari hanno deciso di non procedere al sorteggio, perché non previsto dal Regolamento. 14.1. Infatti, il nuovo Regolamento - che, come espressamente indicato nella circolare operativa prot. 6038 del 5 luglio 2019 depositata dall'Università in adempimento dell'ordinanza istruttoria, si propone anche il fine di velocizzare lo svolgimento delle procedure - distingue espressamente tra le procedure valutative e quelle selettive, prevedendo solo per queste ultime le seguenti modalità : "un componente designato con Delibera del Consiglio di Dipartimento interessato; due componenti sorteggiati ciascuno da due terne proposte dal Dipartimento interessato". 14.2. Per le procedure valutative il Regolamento prevede che "tutti i componenti sono designati con Delibera del Consiglio di Dipartimento interessato" e tale disposizione è ribadita nel bando che, il Collegio deve ribadirlo, non è stato impugnato, come invece doveva. 14.3. È pertanto evidente come per le procedure selettive sia stata prevista dall'Ateneo esclusivamente la designazione da parte del Dipartimento, in alternativa al sorteggio (per il quale il Regolamento non utilizza il termine designazione) e con esclusione di quest'ultimo. 14.4. D'altronde, la parola "designazione" involge una scelta discrezionale e non un procedimento automatico di selezione. 14.5. È dunque privo di pregio l'assunto secondo il quale "il Consiglio di Dipartimento ben avrebbe potuto rispettare ad un tempo sia il regolamento di Ateneo, sia la normativa anticorruzione, utilizzando di propria iniziativa, quale modalità di scelta, l'estrazione a sorte tra un maggior numero di potenziali commissari, previamente individuati tra chi avesse i necessari requisiti". 14.6. Anche alla luce di quanto sopra esposto, in senso contrario alle censure del ricorrente in primo grado depongono inequivocabilmente le seguenti circostanze: - al Consiglio di Dipartimento non è rimessa la modalità di scelta della Commissione (che è individuata a monte dal Regolamento ed è di competenza dell'Ateneo), ma solo la designazione dei componenti secondo l'iter prescritto dall'atto regolamentare; - il Regolamento prevede espressamente le ipotesi del sorteggio (in contrapposizione alla designazione) e la fattispecie in esame non rientra tra quelle; - un aggravamento del procedimento di nomina si porrebbe in contrasto non solo con quanto chiaramente indicato nel Regolamento, ma anche con le finalità di celerità delle procedure in oggetto sottese all'atto regolamentare. 14.7. Pertanto, la motivazione contenuta nel verbale è legittima e se la Commissione avesse proceduto al sorteggio avrebbe operato in contrasto con il Regolamento. 14.8. Inoltre, ai sensi dell'art. 13 della n. 241 del 1990, il Regolamento, quale atto normativo, è sottratto al generale obbligo di motivazione e quindi non può prospettarsi neppure un obbligo motivazionale nel caso di disposizioni difformi da tali atti dell'A.N.A.C e del M.I.U.R., comunque, come detto, non vincolanti. 14.9. A fortiori non sussisteva in capo al Dipartimento l'onere di motivare una scelta difforme da quella asseritamente indicata dai suddetti atti, in quanto, tale organo è tenuto esclusivamente all'applicazione del Regolamento, non è destinatario degli atti di indirizzo e non ha competenze in materia di individuazione delle procedure di nomina delle Commissioni. 15. I due motivi, quindi, vanno respinti. 16. Con il quarto motivo (pp. 7-12 della memoria), ancora, l'appellato sostiene che la composizione della Commissione sarebbe illegittima per la presenza del prof. -OMISSIS-, stante la sua asserita incompatibilità, perché il prof. -OMISSIS-, presidente della Commissione, avrebbe dovuto astenersi. 16.1. Sostiene il prof. -OMISSIS-, in particolare, che "il Prof. -OMISSIS- è in collaborazione professionale con il vincitore del concorso Prof. -OMISSIS- con tale sistematicità, stabilità e continuità, da costituire un vero e proprio sodalizio professionale, clinico e scientifico: a dimostrazione, si vedano l'indice delle pubblicazioni e il curriculum -OMISSIS-, docc. 17 e 18; l'estratto del curriculum del Prof. -OMISSIS-, doc. 22; lo studio scientifico e il corso di cui sono coautori, docc. 28 e 35; l'intervista in cui entrambi riferiscono delle loro comuni ricerche, doc. 36. In particolare, di 164 lavori indicizzati su Scopus (v. doc. 17) di cui è autore il Prof. -OMISSIS-, ben 70 vedono coautore il Prof. -OMISSIS-: a partire dal primo, del lontano 1987 (Cardiologia 1987; 32:137-46), così come il più recente, del luglio 2021 (Journal of Clinical Medicine 2021; 10:3008)". 16.2. Inoltre, deduce ancora l'appellato, "come anche risulta dal verbale n. 3 della Commissione (doc. 5), il candidato -OMISSIS- ha presentato alla Commissione stessa ben 7 pubblicazioni (sulle 16 sottoposte a valutazione in extenso: quasi la metà dunque di tutta la produzione scientifica ritenuta più rilevante del -OMISSIS-) scritte "in collaborazione con un membro della commissione", ossia col suo Presidente Prof. -OMISSIS-". 16.3. Anche questo motivo va respinto. 16.4. Al di là dei profili di inammissibilità che accomunano questo motivo ai primi due sopra esaminati in ordine alla composizione della Commissione per la mancata impugnativa del bando, infatti, si può comunque osservare nel merito che le circostanze rappresentate dall'appellato testimoniano, è vero, di un fisiologico rapporto accademico tra "maestro" e "allievo", senza tuttavia sufficientemente dimostrare che esso sia assurto a causa di incompatibilità per avere tale rapporto assunto i caratteri di un autentico sodalizio professionale, caratterizzato da sistematicità, stabilità e co-interessenza economica (v., su questo aspetto, da ultimo Cons. St., sez. VII, 3 maggio 2024, n. 4028). 16.5. Invero, secondo la costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, perché i rapporti personali assumano rilievo, deve trattarsi di rapporti diversi e più saldi di quelli che di regola intercorrono tra maestro e allievo o tra soggetti che lavorano nello stesso ufficio, essendo rilevante e decisiva la circostanza che il rapporto tra commissario e candidato, trascendendo la dinamica istituzionale delle relazioni docente/allievo, si sia concretato in un autentico sodalizio professionale, caratterizzato dai profili della sistematicità, della stabilità e della co-interessenza economica. 16.6. Nel caso di specie non è rinvenibile un'ipotesi di comunanza d'interessi economici di intensità tale da far ingenerare il ragionevole dubbio che il candidato sia giudicato non in base alle risultanze oggettive della procedura, né tantomeno quel sodalizio di interessi economici tale da ingenerare il fondato dubbio di un giudizio non imparziale, ovvero l'esistenza di stretti rapporti di amicizia personale, posto che le attività che, a parere dell'appellato, rappresenterebbero tale sodalizio, se analizzate in concreto si rivelano occasionali e sporadiche collaborazioni scevre da vincoli di continuità o costanza, frutto di un comune rapporto professionale o di collaborazione scientifica occasionale, pacificamente non ricompreso tra le ipotesi di incompatibilità con conseguente obbligo di astensione. 16.7. Questo Consiglio di Stato ha già chiarito che non costituisce ragione di incompatibilità la sussistenza sia di rapporti di mera collaborazione scientifica, sia di pubblicazioni comuni, essendo ravvisabile l'obbligo di astensione del componente della commissione solo in presenza di una comunanza di interessi anche economici, di intensità tale da porre in dubbio l'imparzialità del giudizio (cfr., ex plurimis, Cons. St., sez. VI, 3 luglio 2014, n. 3366, Cons. St., sez. III, 20 settembre 2012, n. 5023 e Cons St., sez. VI, 31 maggio 2012, n. 3276). 16.8. In relazione ai concorsi universitari si è evidenziato come l'esistenza di rapporti scientifici di collaborazione costituisca ipotesi frequente e del tutto fisiologica nel mondo accademico e che tali rapporti di per sé sono tali da contribuire alla migliore formazione culturale e scientifica delle giovani generazioni (nell'ambito di distinte comunità scientifiche anche composte da un numero limitato di appartenenti) e non sono tali da inficiare il rispetto del principio di imparzialità dei commissari, specie laddove nel campo degli specialisti è assai difficile trovare un esperto che in qualche modo non abbia avuto contatti di tipo scientifico o didattico con uno dei candidati. 17. In termini generali, al fine di individuare una regola di comportamento bilanciata fra le opposte esigenze, questo Consiglio di Stato (cfr., tra le altre, Cons. St., sez. VI, 13 dicembre 2017 n. 5865 e 16 aprile 2015 n. 1962) ha avuto modo di evidenziare che, allorquando la collaborazione scientifica tra il candidato e il componente della commissione d'esame abbia avuto carattere di mera occasionalità, non ne deriva in via automatica (in assenza di elementi ulteriori) l'illegittimità degli atti valutativi cui ha partecipato il commissario che non abbia formalizzato la sua astensione, soprattutto nei casi di settori disciplinari specialistici dove non è agevole rinvenire una sufficiente rosa di candidati all'ufficio di componente di una commissione d'esame, in ragione della scarsa presenza di professori incaricati dell'insegnamento della materia. 18. Neppure sussiste l'obbligo di astensione quando la collaborazione scientifica non abbia un tale carattere di occasionalità, ma si caratterizzi per la perduranza di rapporti anche tali da far intendere che della commissione faccia parte un "maestro" che così valuterà anche un suo "allievo". 19. Non a caso, come questo Consiglio di Stato ha più volte ritenuto (v., ex plurimis, Cons. St., sez. VI, 4 gennaio 2021, n. 31), la legislazione universitaria - pur se il mondo accademico è sempre stato caratterizzato dall'esistenza di perduranti rapporti tra "maestro" e "allievo" - non ha espressamente previsto in tal caso un dovere di astensione del "maestro". 20. In altri termini, il legislatore, nel tenere conto di queste realtà e del numero più o meno contenuto delle singole comunità scientifiche, ha procedimentalizzato il sistema di scelta dei componenti della commissione, senza prevedere l'obbligo di astensione per il "maestro" così selezionato, che sia chiamato a valutare anche un proprio allievo, sicché l'obbligo di astensione invece sussiste quando l'intensità della collaborazione sia stata tale da far desumere che vi è stata una valutazione dello stesso candidato basata non sulle sue qualità scientifiche o didattiche, ma su elementi che non attengano a tali qualità . 21. Tale ipotesi, evidentemente, non ricorre nel caso di specie, dato che le deduzioni dell'appellante si limitano sul punto solo a insinuare meri sospetti, smentiti tuttavia dalle accurate operazioni valutative svolte dalla Commissione nella sua collegialità, anche alla luce di quanto è emerso dall'istruttoria disposta da questo Consiglio di Stato con l'ordinanza n. 11057 del 27 dicembre 2023, come ora si dirà . 22. Possono ora esaminarsi congiuntamente il quinto motivo, il sesto motivo e il settimo motivo, riproposti dall'appellato prof. -OMISSIS-, che attengono proprio al merito di queste operazioni valutative. 23. Con il quinto motivo (pp. 12-26 della memoria), in particolare, l'appellato ha dedotto che già solo per quanto concerne le pubblicazioni scientifiche, egli risulta (v. verbali nn. 2 e 3 della Commissione, docc. 4-5) coautore di ben 842 lavori indicizzati su banche dati internazionali, contro gli appena 156 del prof. -OMISSIS- (che peraltro in questo risulta il più debole dei cinque candidati!). 23.1. Similmente, l'Impact Factor (punteggio numerico che definisce il valore assoluto della rivista su cui sono pubblicati gli articoli scientifici e che definisce il peso relativo in termini di citabilità delle opere) del prof. -OMISSIS- è di 5613, contro il ben più modesto 634 del prof. -OMISSIS- (anche in questo candidato più debole di tutti e cinque). 23.2. La Commissione avrebbe altresì omesso completamente di considerare i quattro libri curati dall'appellato negli ultimi dieci anni, di grande rilievo metodologico e clinico-traslazionale, laddove il prof. -OMISSIS- non può vantare alcun libro di testo da lui scritto o curato, come risulta dai curricula allegati alle rispettive domande (v. docc. 17-21). 23.3. Esisterebbe poi un'enorme distanza per le citazioni totali (26.111 per il prof. -OMISSIS- contro le sole 4.568 per il prof. -OMISSIS-). 23.4. Questa differenza è confermata anche dall'indice di Hirsch (numero che indica l'impatto scientifico complessivo di un ricercatore, pari al numero x di lavori che hanno ricevuto ciascuno almeno x citazioni). 23.5. L'indice di Hirsch (o h-index) del prof. -OMISSIS- è di 78, contro il 33 del prof. -OMISSIS- (sempre il più basso dei cinque candidati). 23.6. Tale grandissima differenza si palesa ancor più se si calibra l'indice di Hirsch per l'età accademica, in modo da valutare in modo più equilibrato candidati con età anagrafiche differenti, così come definito anche a livello ministeriale dal decreto per l'abilitazione scientifica nazionale. 23.6. La graduatoria di merito tra i candidati emergerebbe con ancor maggior evidenza, con il prof. -OMISSIS- che ha un h-inxed normalizzato di 3,7 (il più alto di tutti e 5 i candidati) contro il valore molto più basso di 1,5 del prof. -OMISSIS-. 23.7. Lo svilimento dell'appellato a beneficio del controinteressato, da parte della Commissione, apparirebbe ancor più strabiliante se si confronta il giudizio di ottimo (per -OMISSIS-) con quello più alto di eccellente (per -OMISSIS-) in relazione al valore delle rispettive pubblicazioni alla luce del rispettivo Impact Factor. 23.8. Per quanto concerne i giudizi sull'attività medica, clinica e assistenziale, sarebbe stata omessa la congrua valutazione dei numerosi incarichi clinici presso enti prestigiosi, nazionali e internazionali, e le prestazioni e procedure che l'istante ha documentato nel proprio curriculum (doc. 19). 23.9. Il che sarebbe tanto più grave in quanto le attività cliniche del prof. -OMISSIS- sono circoscritte al campo della cardiologia clinica non specialistica, mentre quelle dell'istante spaziano dalla cardiologia clinica alla diagnostica cardiologica, fino alla cardiologia invasiva, con conseguente profilo migliore anche sotto l'aspetto clinico. 23.10. Ancora, non sarebbe stata minimamente considerata dalla Commissione l'attività didattica e professionale all'estero, anche come visiting professor (ad esempio Congdon Visiting Scholarship presso la Virginia Commonwealth University di Richmond, USA: cfr. doc. 41), che manca totalmente al prof. -OMISSIS-. 23.11. La Commissione asserisce inoltre che l'impatto clinico-traslazionale degli studi dell'appellato su dati originali sarebbe poco rilevante. 23.12. Al contrario, numerose pubblicazioni, comprese quelle presentate in extenso, testimoniano l'innovatività clinica e scientifica, anche dal punto di vista traslazionale, del prof. -OMISSIS-. 23.13. A titolo esemplificativo, l'appellato ricorda che il lavoro con riferimento -OMISSIS- et al., Eur Heart J 2006; 27:540-6, rappresenta una casistica originale di pazienti sottoposti a trattamento coronarico complesso, con partecipazione diretta del prof. -OMISSIS- all'attività clinica descritta, come quella analitica e traslazionale, con rilevanza riconosciuta da quella che è a tutti gli effetti la più prestigiosa rivista cardiologica europea. 24. In breve, secondo l'appellato, i due profili non sono quindi assolutamente assimilabili nel medesimo giudizio valutativo, anche alla luce della più giovane età del prof. -OMISSIS- che, considerata l'ovvia maturità accademica dello stesso e quanto egli appaia promettente, lo rende ancora più eccellente in senso comparativo. 25. Con il sesto motivo (pp. 25-27 della memoria), ancora, l'appellato nello specifico deduce che la Commissione avrebbe svalutato l'attività di meta-analisi, curata dal prof. -OMISSIS-. 25.1. Il prof. -OMISSIS- afferma di essere, a tutti gli effetti, uno dei massimi esperti al mondo di meta-analisi, tanto da aver edito, tra l'altro, numerosi libri sull'argomento. 25.2. Tuttavia il prof. -OMISSIS- non limiterebbe affatto la propria attività scientifica a questo ambito, tanto che, ad una disamina comparativa dei profili di pubblicazione di articoli scientifici, anche escludendo totalmente le meta-analisi e le revisioni della letteratura, il prof. -OMISSIS- risulterebbe comunque nettamente e macroscopicamente superiore per produzione scientifica, e non solo per quantità, rispetto agli altri candidati: su un totale di 880 lavori a firma del prof. -OMISSIS-, recensiti in PubMed (una banca dati che raccoglie tutte le pubblicazioni scientifiche medicali del mondo, curata dalla National Library of Medicine degli Stati Uniti d'America), pur escludendo meta-analisi e review, rimangono oltre 560 lavori, che sono comunque circa il quadruplo delle 156 pubblicazioni del prof. -OMISSIS-. 25.3. Insomma, e per riassumere il senso della censura, in nessuna parte del bando si specifica che la meta-analisi sarebbe stata considerata come di minor conto, ma tale criterio è stato applicato post hoc (e ad personam o meglio contra personam) nel tentativo di cucire su misura un giudizio svilente nei confronti dell'appellato, che avrebbe anche potuto presentare altri propri lavori qualora il bando esplicitamente avesse scoraggiato dall'inserire le meta-analisi tra le pubblicazioni da presentare in extenso alla Commissione. 26. Con il settimo motivo (pp. 27-29 della memoria), infine, l'appellato deduce che la Commissione ha ritenuto validi titoli del prof. -OMISSIS- in realtà insussistenti, per evidente difetto di istruttoria. 26.1. Infatti non risulterebbe, contrariamente a quanto indicato, che egli sia stato responsabile scientifico e tutor del programma di Formazione a Distanza (FAD) "-OMISSIS-", come anche responsabile scientifico della FAD Congresso nazionale IPHNET 2020: novità in tema di ipertensione polmonare. 26.2. Come si desume documentalmente (docc. 33- 34), nel primo caso era responsabile scientifico il dott. -OMISSIS- e, nel secondo, il dott. -OMISSIS-. 26.3. A ciò si dovrebbe aggiungere, conclusivamente, che l'attività clinico-scientifica del Prof. -OMISSIS- è prevalentemente concentrata su una patologia rara e di nicchia, -OMISSIS-, la cui attinenza cardiologica (richiesta dal settore scientifico disciplinare MED/11 malattie dell'apparato cardiovascolare) è molto limitata perché inerente piuttosto alla specializzazione pneumologica. 27. Stante il carattere specialistico di tali censure, come premesso, questo Collegio, proprio al fine di avere un quadro istruttorio il più possibile completo ed accurato in ordine alle valutazioni tecniche svolte dalla Commissione, ha disposto con l'ordinanza n. 11057 del 27 dicembre 2023 che l'Università depositasse una relazione illustrativa dei seguenti profili: a) in quale modo la Commissione abbia valutato l'attività scientifica dei candidati e, in particolare, quella del prof. -OMISSIS- e quella del prof. -OMISSIS-, con precipuo riferimento ai lavori di meta-analisi e all'impatto clinico-traslazionale degli studi rispettivamente condotti e/o curati e oggetto di pubblicazione; b) in quale modo la stessa Commissione abbia valutato la rispettiva attività medica, clinica e assistenziale del prof. -OMISSIS- e del prof. -OMISSIS-. 27.1. La Commissione ha depositato il 19 marzo 2024 la propria relazione, in cui ha illustrato il modus operandi seguito nel valutare tali aspetti. 28. Avuto riguardo alle risultanze di tale relazione, e alle deduzioni svolte anche su di esse dalle parti nelle memorie ex art. 73 c.p.a. (e, in particolare, la memoria depositata il 5 aprile 2024 e la successiva memoria depositata il 16 aprile 2024 dall'appellato, nelle quali sono svolte talune critiche di metodo e di merito alla relazione depositata dalla Commissione nel presente giudizio), questo Collegio non ritiene, con riferimento alle censure sopra illustrate e nei limiti del sindacato consentito al giudice amministrativo sull'esercizio della discrezionalità tecnica da parte della Commissione nel caso di specie, che essa sia incorsa in eccesso di potere. 28.1. Va premesso che, per giurisprudenza costante, i giudizi espressi dalle Commissioni giudicatrici dei concorsi universitari, essendo essenzialmente giudizi qualitativi sulle esperienze e sulla preparazione scientifica dei candidati ed attenendo all'ampia sfera della discrezionalità tecnica, sono censurabili esclusivamente sul piano della legittimità, per evidente superficialità, incompletezza, incongruenza, manifesta disparità, emergente dalla stessa documentazione, senza con ciò entrare nel merito della valutazione della Commissione (cfr., ex plurimis, Cons. St., sez. VI, 9 novembre 2011, n. 5924; id., 25 settembre 2006, n. 5608). 28.2. Invero, quando siano contestate valutazioni espressive della discrezionalità tecnica il giudice di legittimità può rilevare profili di eccesso di potere soltanto in presenza di vizi di illogicità, irragionevolezza, arbitrarietà o travisamento dei fatti ictu oculi rilevabile (cfr., ex plurimis, Cons. St., sez. IV, 25 ottobre 2016, n. 4459; id., 3 maggio 2007, n. 2781; id., 11 aprile 2007, n. 1643; Cons. St., sez. VI, 12 aprile 2013, n. 2004) e in ogni caso gli è precluso sostituire le valutazioni opinabili della Commissione con le proprie, altrettanto opinabili (Cons. St., sez. II, 23 febbraio 2021, n. 1568; Cons. St., sez. VI, 2 novembre 2017, n. 5060). 28.3. Tutto ciò tenendo presente, dunque, non appare illogico né erroneo, anzitutto, che la Commissione abbia valutato, come stabiliva il bando, il riflesso diretto che l'attività di ricerca dei candidati ha sull'attività clinica dato che, come ha osservato la Commissione nella relazione, l'attività di ricerca scientifica in ambito medico è strettamente connessa con l'attività clinica e la qualità della produzione scientifica del candidato è valutata attraverso l'impatto che essa ha avuto nella pratica clinica. 28.4. Non si può dunque fare esclusivo o prevalente affidamento, come sembra postulare l'appellato, solo sui dati bibliometrici/quantitativi, pur indubbiamente rilevanti, per valutare la qualità /impatto di detta produzione scientifica. 28.5. Senza addentrarsi qui nella intellettualmente affascinante e complessa questione della piramide o gerarchia scientifica delle produzioni in ambito medico, sulla quale l'appellato svolge ampie riflessioni nelle proprie memorie depositate ai sensi dell'art. 73 c.p.a., ritiene questo Collegio che, ai fini concorsuali che qui rilevano, non sia errato né illogico ritenere che le meta-analisi e le revisioni sistematiche, pur nella loro indubbia importanza scientifica per la comunità internazionale, possano non avere quel medesimo impatto, sempre ai detti fini (traslazionali), che invece lavori originali su casistiche proprie assumono con riferimento alla incidenza clinica. 28.6. A differenza del caso esaminato da questo Consiglio di Stato nella sentenza n. 6877 del 23 marzo 2021, citata dall'appellato nella propria memoria difensiva depositata il 5 aprile 2024, la Commissione nel caso in esame si è soffermata e ha motivato in ordine all'ampia produzione scientifica del prof. -OMISSIS-, senza affatto svalutarne l'eccezionale valore sul piano scientifico. 28.7. Bene tuttavia ha rilevato la Commissione che l'attività scientifica globale del prof. -OMISSIS- deve essere valutata eccellente per il numero di pubblicazioni, h-index, citazioni, anche se prevalentemente costituita da meta-analisi e review, mentre solo buona per l'impatto clinico-transazionale, dato che degli 11 lavori originali 8 sono pubblicati su riviste non rilevanti con un impatto clinico-transazionale poco rilevante, mentre la produzione scientifica del prof. -OMISSIS- è quasi esclusivamente costituita da studi originali e, per questo, è stata valutata ottima, dato che delle 16 pubblicazioni rileva che 15 sono su casistiche originali, tutte pubblicate su riviste rilevanti, 11 a primo o ultimo nome, con un impatto clinico-transazionale rilevante. 28.8. Ciò, reputa la Commissione con giudizio che, in quanto congruamente motivato, si sottrae alle censure dell'appellato, genera una valutazione di eccellente per le pubblicazioni presentate e di eccellente per l'attività di ricerca in quanto ha significativamente inciso sull'iter diagnostico/terapeutico di patologie cardiopolmonari. 29. Anche per quanto concerne, poi, la valutazione della rispettiva attività medica clinico-assistenziale, dai verbali emerge in modo non irragionevole né illogico la superiorità, in un'ottica comparativa, del profilo del prof. -OMISSIS-, dato che questi ha svolto attività assistenziale presso il Policlinico universitario "-OMISSIS-" di Roma, dall'aprile del 1988 è stato strutturato lavorando presso l'UTIC e il reparto di degenza della cardiologia e di rilievo è stato anche il ruolo di collaborazione al -OMISSIS-, senza dire che egli è stato responsabile f.f. della -OMISSIS- e, successivamente, Direttore della -OMISSIS-, con responsabilità diretta di gestione del personale medico e del budget. 29.1. Dalla più ampia esperienza clinica e, in particolare, per l'esperienza di gestione di unità operative dipartimentali è scaturito, non erroneamente, il giudizio di maggior favore espresso dalla Commissione per il prof. -OMISSIS- rispetto al prof. -OMISSIS- che, pur vantando un'ottima esperienza, ha avuto una carriera assistenziale più breve senza incarichi di coordinamento. 29.2. Risulta infatti che, al di là della pregressa attività (certo non trascurabile né trascurata dalla Commissione) solo dal 2019 il prof. -OMISSIS- sia responsabile dell'Unità Programmatica "-OMISSIS-" dell'Ospedale -OMISSIS-, dove ha svolta prevalentemente attività clinica nel campo della cardiologia interventistica. 30 Ne segue che, diversamente da quanto assume l'appellato nei tre motivi in esame, per le ragioni sin qui espresse da ritenersi assorbenti di ogni ulteriore specifico e atomistico profilo dedotto dal prof. -OMISSIS- - che, concentrandosi su specifici aspetti della valutazione (come ad esempio nel settimo motivo, da ritenersi del tutto marginale e non decisivo), non è riuscito a incrinarne l'attendibilità nel suo complesso, pretendendo di sovrapporre e di sostituire inammissibilmente il proprio personale giudizio a quello della Commissione che, sulla base di quanto detto, non appare né illogico né viziato da errore (v., supra, § 28.1. e 28.2.) - la superiore attività di ricerca clinica del prof. -OMISSIS-, sul piano dell'impatto traslazionale, va di pari passo con una maggiore attività assistenziale e una superiore esperienza nella gestione e nel coordinamento di attività cliniche rispetto a quella del prof. -OMISSIS- (pur ottima, come l'ha valutata la Commissione, anche in questo ambito), aspetti tutti, questi, di pregnante rilevanza, come la Commissione ha evidenziato nella propria relazione, per la figura di un professore ordinario di cardiologia. 31. Alla luce di tali considerazioni, pertanto, anche i tre motivi in esame, che sono stati unitariamente considerati, possono essere respinti, apparendo condivisibile la complessiva valutazione espressa dalla Commissione, nei limiti del sindacato, si ripete, consentito al giudice amministrativo sulle valutazioni tecniche, al di là dei singoli aspetti censurati dall'appellato con i motivi assorbiti dal primo giudice e qui in esame, che certo non sono in grado di sovvertire, per le ragioni dette, tale corretto giudizio, globalmente considerato. 32. In conclusione, per tutte le ragioni esposte, l'appello del prof. -OMISSIS- deve essere accolto e, in riforma della sentenza impugnata, devono essere respinti il ricorso di primo grado e i motivi aggiunti proposti dal prof. -OMISSIS-, anche nelle censure assorbite e qui riproposte ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.a. 33. Le spese del doppio grado del giudizio, per la complessità in punto di fatto e di diritto delle questioni esaminate, attinenti anche all'esercizio della discrezionalità tecnica da parte della Commissione, possono essere interamente compensate tra le parti. 33.1. Rimane definitivamente a carico dell'appellato il contributo unificato richiesto per la proposizione del ricorso e dei motivi aggiunti in primo grado, mentre egli deve essere condannato a rimborsare in favore del prof. -OMISSIS- il contributo unificato da questo corrisposto per la proposizione dell'appello. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, proposto da -OMISSIS-, lo accoglie e per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge integralmente il ricorso e i motivi aggiunti proposti in primo grado da -OMISSIS-, anche nei motivi riassorbiti e qui riproposti. Pone definitivamente a carico di -OMISSIS- il contributo unificato richiesto per la proposizione del ricorso e dei motivi aggiunti in primo grado. Condanna -OMISSIS- a rimborsare in favore di -OMISSIS- il contributo unificato richiesto per la proposizione dell'appello. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 196 del 2003 (e degli artt. 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità delle parti interessate, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità e di ogni altro dato identificativo di -OMISSIS-, di -OMISSIS- e di ogni altro soggetto indicato nel presente provvedimento. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 7 maggio 2024, con l'intervento dei magistrati: Roberto Chieppa - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere, Estensore Daniela Di Carlo - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di FIRENZE nella persona del Giudice dottoressa (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. r.g. 9258/2020 promossa da: (...) (C.F. (...)) nato a (...) l'8/04/1987 e (...) (C.F. (...)) nata a (...) il (...), in proprio e quali genitori esercenti la responsabilità genitoriale sui minori (...) (C.F. (...)), nato a (...) il (...), (...) (C.F. (...)) nato a (...) il (...) e (...) (C.F. (...)), nato a (...) il (...), tutti residenti a (...), in via (...) n. 10, rappresentati e difesi dall'Avv. (...) (C.F. (...)) del foro di (...) ed elettivamente domiciliati presso il di lui studio in (...)# e (...) 31/5 ATTORI contro (...) nata a (...) il (...) e residente in (...)# Tobbiana in (...) n. 20. c.f. (...), rappresentata e difesa dall'avvocato (...) c.f. (...), del (...) di (...) ed elettivamente domiciliata presso il suo studio professionale in (...) in Via dello (...) 2/D, come da procura ed indirizzo telematico in atti; (...) di (...) c.f. (...), in persona del legale rappresentante e dirigente scolastico in carica, IL MINISTERO (...) in persona del (...) pro tempore, elettivamente domiciliato in Via degli (...) 4 - C.A.P. 50100 presso l'Avvocatura dello Stato - (...) di (...) (CONVENUTI) (...) s.p.a., c.f. (...), in persona del legale rappresentate e procuratore in carica (...) rappresentata e difesa dall'avvocato (...) c.f. (...), ed elettivamente domiciliata presso il suo studio professionale in (...) in (...) 8. TERZA CHIAMATA IN GARANZIA CONCLUSIONI Nell'interesse di parte attrice: In via principale, - accertare e dichiarare la responsabilità civile della (...)ra (...) in solido con l'(...) di (...) ed il Ministero dell'(...) dell'(...) e della (...) in ordine ai fatti di causa per le motivazioni dedotte in narrativa; - e per l'effetto condannare le parti convenute, in solido tra loro, al rimborso di tutte le spese sostenute, nonché al pagamento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali, compreso il danno morale e il danno riflesso da macroleso, nessuno eccettuato o escluso, patiti e patiendi, riportati dagli attori in dipendenza dell'evento lesivo, nella misura descritta in narrativa, ovvero nella misura emersa a seguito dell'espletata CTU medico-legale; - il tutto con rivalutazione monetaria ed interessi dalla domanda al saldo; - (...) le spese di giudizio di cui lo scrivente procuratore si dichiara antistatario". Nell'interesse della parte convenuta (...) Voglia l'Ill.mo (...) di (...) contrariis reiectis, - in via principale, rigettare le domande formulate da parte attrice, ciascuno nella propria veste, poiché infondata in fatto e diritto; - in via subordinata, accertare e dichiarare, nei limiti del provato, la responsabilità della (...)ra (...) in solido con gli altri convenuti e per l'effetto condannarLi al ristoro dei danni accertati in corso di causa. - (...) di spese ed onorari di giudizio". Nell'interesse dell'(...) scolastico e del Ministero: In via pregiudiziale, nel rito, dichiarare il difetto di legittimazione passiva delle (...) convenute; - in via preliminare, nel rito, dichiarare la nullità dell'atto di citazione e, per l'effetto, adottare i provvedimenti di cui all'art. 164 c.p.c.; - in via ulteriormente preliminare, disporre lo spostamento della prima udienza allo scopo di consentire la chiamata in causa di (...) allo scopo di ottenere la condanna di quest'ultima a tenere indenne l'(...) da qualsiasi conseguenza pregiudizievole in forza di quanto stabilito nel contratto di assicurazione, nonché di rimborsare le spese sostenute nel presente giudizio; - nel merito rigettare le domande di parte attrice, perché infondate in fatto e in diritto per quanto detto in narrativa; - in denegata ipotesi di accoglimento della richiesta, accertare e ridurre il risarcimento per concorso di colpa del danneggiato ex art. 1227 c.c.; - con vittoria di spese e di onorari. Nell'interesse dell'impresa assicuratrice: in via istruttoria domanda la rinnovazione della consulenza tecnica con sostituzione dei consulenti tecnici; - nel merito dichiarare non dovuta l'indennità da (...) con vittoria delle spese di lite. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Con atto di citazione gli istanti hanno convenuto in giudizio il plesso scolastico (...) statale di (...), il Ministero dell'(...) ed (...) insegnante di scuola materna, per ottenere il risarcimento di tutti i danni da lesioni subiti dagli stessi e dai loro figli a seguito dei ripetuti maltrattamenti inferti dall'insegnante (...) al minore (...) durante la sua permanenza nella scuola materna presso l'(...) per un periodo compreso nell'anno scolastico 2017-2018 fino a tutto il mese di giugno del 2018. A sostegno delle proprie ragioni, gli attori hanno dedotto che: - dopo ripetute segnalazioni di disagi dei piccoli studenti, e denuncia degli stessi istanti, i (...) di (...) predisponevano indagini su quanto avveniva presso la locale scuola materna, anche mediante intercettazioni ambientali ed audiovisive; - a seguito di questa attività emergevano i gravi comportamenti assunti da (...) durante le sue ore di insegnamento, in particolare nei confronti di (...) - alla maestra (...) veniva quindi applicata la misura cautelare degli arresti domiciliari, la stessa veniva sospesa dall'insegnamento, e, infine, processata per il reato di maltrattamenti aggravati previsto dall'articolo 572 c.p.; - prima del dibattimento (...) chiedeva ed otteneva l'applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p., con condanna ad anni uno e mesi undici di reclusione sospesa e subordinata allo svolgimento di lavori di pubblica utilità con la sentenza numero 81 del Giudice delle (...) del (...) di (...) depositata il 7 marzo 2019, divenuta irrevocabile. (...) si è costituita nel presente giudizio, negando la sussistenza degli episodi di maltrattamenti e la valenza, nel procedimento civile, della sentenza penale di patteggiamento; ha chiesto quindi il rigetto delle domande attrici perché non provate anche in relazione all'entità del risarcimento preteso. Si sono costituiti anche l'(...) scolastico ed il Ministero, eccependo preliminarmente il proprio difetto di legittimazione passiva, chiedendo e ottenendo ancora in via preliminare di chiamare in causa la società assicuratrice (...) S.p.A., garante dell'(...) scolastico per i rischi da responsabilità civile, e deducendo poi l'infondatezza in fatto ed in diritto delle richieste delle controparti. In particolare il Ministero ha negato la propria responsabilità quella dell'istituto per culpa in eligendo e in vigilando. (...) è stata in servizio presso l'(...) scolastico di (...) sin dal 1993 ed è stata assunta a tempo indeterminato alle dipendenze dell'(...) dell'(...) a partire dal 1settembre 1981 (oggi in pensione, dal 31 agosto 2019). Non v'è dubbio quindi che la docente fosse in possesso dei titoli per poter svolgere il proprio incarico. Inoltre, la docente ha sempre goduto di ottima stima da parte dei colleghi e dei genitori. La sua professionalità e stata sempre apprezzata, sia nella gestione dei gruppi classe, sia per la realizzazione di iniziative didattiche particolari, quali l'organizzazione di feste aperte a genitori e bambini e la messa in scena di spettacoli a fine anno scolastico. Ogni anno i bambini della scuola della frazione di (...) ove ella lavorava, realizzavano uno spettacolo teatrale di gran pregio che vedeva la partecipazione anche degli alunni della scuola primaria e della secondaria. Alla realizzazione di questi spettacoli contribuivano molti genitori che aiutavano le maestre nell'allestimento e nell'organizzazione generale, partecipando molte volte alle prove, che si svolgevano anche oltre l'orario scolastico. Ogni anno veniva rappresentato un nuovo spettacolo, portato in scena in vari teatri locali e non solo. Per molti anni la scuola partecipava a concorsi, quali la rassegna nazionale "(...) nella scuola" di (...) di (...) (primo premio), quella di (...) ad (...) o quella di (...) Inoltre, ogni anno sono state organizzate feste di fine anno, anche in ragione delle pressanti richieste di molti genitori, così come lo spettacolo di giugno 2017, che è stato replicato per due volte su richiesta dei genitori del consiglio di istituto e della (...) che si è fatta portavoce delle richieste a lei pervenute in quanto molti apprezzavano il lavoro compiuto dalla docente (...) Con specifico riferimento all'attività scolastica, merita inoltre segnalare che nell'anno scolastico 2015/2016 la maestra (...) era così apprezzata per la sua professionalità da parte del collegio dei docenti, che da questo è stata nominata tutor di una insegnante in prova al primo anno di contratto a tempo indeterminato. Non vi erano, quindi, indici che potevano far in alcun modo dubitare la scuola sulla professionalità e sulle capacità della professoressa (...) Anche dopo il trasferimento dalla scuola di (...) a quella di (...) l'(...) ha poi cercato di formare i docenti, tra cui la maestra (...) in modo da supportarli nel nuovo e più grande ambiente di (...) In particolare, la docente in questione ha potuto interagire quotidianamente con la fiduciaria di plesso, con i collaboratori del Dirigente e con il Dirigente stesso; molteplici sono state le azioni di sostegno organizzate dall'ente pubblico. In conseguenza, le avverse censure relative a un'errata scelta della docente in questione sono del tutto infondate e dovranno essere rigettate. Nel merito, infondatezza della pretesa risarcitoria per insussistenza di prove. (...) procedimento viene instaurato non solo al fine di richiedere la riparazione dei danni subiti dall'alunno (...) ma anche per quelli asseritamente cagionati al padre, alla madre e ai fratelli dell'alunno, (...) e (...) Anche sotto questo profilo, non si può fare a meno che contestare l'infondatezza di ogni pretesa risarcitoria, per assenza della prova necessaria a dimostrare gli elementi costitutivi della responsabilità; manca, infatti, l'allegazione circa l'obiettiva sussistenza di un danno - evento subito dal genitore e, altresì, del pregiudizio sofferto (c.d. danno - conseguenza) - dal momento che controparte ha prodotto esclusivamente un parere medico, che ha valore di una mera consulenza tecnica di parte: un eventuale riconoscimento del risarcimento del danno darebbe pericolosamente origine a un'ipotesi di responsabilità in re ipsa al di fuori dei casi espressamente tipizzati, finendo per annullare la funzione esclusivamente riparatoria (e non punitiva) della responsabilità civile. Nel caso di specie, si osserva che, nell'anno 2017/2018, il piccolo (...) - di tre anni - è stato inserito nella sezione affidata alla docente (...) Il bambino presentava dall'inizio problematiche particolari, in quanto - sin dal momento dell'inserimento - portava il pannolino e necessitava di essere cambiato più volte durante il giorno. Nonostante il percorso intrapreso con la famiglia, affinché il bambino potesse imparare ad andare in bagno, la situazione non migliorava. Le collaboratrici scolastiche manifestavano la propria preoccupazione perché l'alunno si rifiutava di essere cambiato e temevano che potesse tornare a casa con tumefazioni. Pertanto, il Dirigente scolastico aveva disposto di non cambiare più il bambino autonomamente, ma di chiamare ogni volta i genitori. Nel corso dell'anno scolastico 2018/2019 il piccolo (...) è stato poi trasferito in altra scuola dell'infanzia. Con riferimento ai fratelli più grandi (...) e (...) invece, gli stessi hanno partecipato alla vita scolastica sempre con interesse e impegno, come risulta dai giudizi espressi nelle schede di valutazione allegate. Gli stessi alunni hanno frequentato la scuola dell'infanzia di (...) capoluogo e hanno partecipato alle attività didattiche svolte anche dalla docente (...) ma non risultano fatti particolari. Gli odierni attori, comunque, non hanno provato i danni concretamente subiti. Quanto poi alla pretesa risarcitoria, l'avvocatura deduce che le parti attrici producono un parere medico, che tuttavia ha valore solo di consulenza tecnica di parte (Cass. civ. sez. lav. 10/12/2002, n. 175556; Cass. civ. sez. III, 18/04/2001, n. 5687; Cass. civ. sez. II, 29/08/1997, n. 8240). Ha eccepito la moltiplicazione ingiustificata delle poste risarcitorie (nella parte in cui si riferisce a diverse voci di danno, ossia biologico, morale, esistenziale) in contrasto con il celebre insegnamento delle (...) 2008 n. 26972 (c.d. sentenze (...). In ogni caso, nelle denegata ipotesi di riconoscimento della responsabilità civile in capo al Ministero adito, ha chiamato in garanzia la sua assicuratrice e ha chiesto di tenere in considerazione gli eventuali altri effetti vantaggiosi attribuiti al danneggiato in occasione dell'illecito, in virtù dell'(...) della compensatio lucri cum damno. Infatti, in base al principio di c.d. indifferenza, il risarcimento non deve impoverire il danneggiato, ma neppure arricchirlo, sicché non può creare in favore di quest'ultimo una situazione migliore di quella in cui si sarebbe trovato se il fatto dannoso non fosse avvenuto, immettendo nel suo patrimonio un valore economico maggiore della differenza patrimoniale negativa indotta dall'illecito. Inoltre, in denegata ipotesi di riconoscimento della responsabilità civile in capo al Ministero adito, si chiede fin d'ora all'On.le (...) di ridurre il risarcimento del danno dovuto alle odierne controparti in ragione del concorso di colpa del danneggiato ex art. 1227 c.c., in virtù della mancata tempestiva segnalazione da parte dei genitori. Per la denegata ipotesi di accoglimento della domanda avversaria, si deduce ulteriormente che, in forza del contratto di assicurazione stipulato con (...) per rischi da responsabilità civile e allegato alla presente comparsa, l'(...) ha diritto ad essere garantita dalla società di assicurazione, poiché l'oggetto del giudizio rientra perfettamente gli eventi assicurati e la copertura assicurativa era sussistente al momento del sinistro per cui è causa. Pertanto si chiede che, nella denegata ipotesi in cui venisse riconosciuto il diritto al risarcimento del danno in favore degli attori, (...) in forza di quanto stabilito nel contratto di assicurazione, venga condannata a tenere indenne l'(...) scolastica da qualsiasi conseguenza pregiudizievole e delle eventuali somme corrisposte all'attore e, in ogni caso, a norma dell'art. 1917, comma 3 c.c., vengano condannate alla rifusione delle spese sostenute per resistere all'azione degli odierni attori. Si è, infine, costituita la società (...) chiamata in garanzia, la quale mentre non ha contestato la sussistenza di una valida polizza stipulata dal Ministero dell'istruzione al momento dei fatti (2017 e 2018) e mentre non ha contestato di dover rispondere di fatti anche dolosi compiuti dai dipendenti del Ministero e di cui dunque quest'ultimo debba rispondere, ha tuttavia negato che la polizza debba essere applicata in questo caso per difetto di prova circa gli episodi denunciati dagli attori. In particolare ha dedotto che non sembra essere stata raggiunta la prova certa di singole specifiche condotte non legittime poste in essere dalla maestra (...) nei confronti del piccolo (...) Nella contestata ipotesi nella quale il Ministero dell'(...) e/o l'(...) di (...) fossero ritenuti nella causa principale responsabili in via solidale per i pretesi fatti dolosi commessi dalla (...) è evidente che il datore di lavoro Ministero dell'(...) è titolare del diritto di regresso nei confronti di (...) diritto che avrebbe dovuto diligentemente essere esercitato nell'attuale giudizio e che non è stato esercitato con l'inevitabile conseguenza che gli eventuali effetti pregiudizievoli dovranno essere posti a carico della convenuta e non dell'assicuratore della responsabilità civile. Per completezza difensiva (...) rileva che la garanzia assicurativa è prestata con il limite del massimale e della franchigia pattuiti tra le parti. Nell'ipotesi in cui fosse ritenuta sussistente una responsabilità di (...) la causa dei danni sarebbe comunque riferibile (non ad una reale situazione di pericolo imputabile ad un'attività/inattività colposa riconducibile alle pubbliche amministrazioni convenute, ma) ad un evento imprevedibile commesso dalla maestra (...) al di fuori di un qualsiasi rapporto di occasionalità necessaria: in realtà si configura una condotta del tutto estranea alle pretese mansioni affidategli ovvero realizzata per finalità proprie alle quali il preponente non era in nessun modo interessato o compartecipe e non per finalità coerenti con quelle in vista delle quali le mansioni gli erano state affidate ; - il giudice di legittimità ritiene infatti che sia riferibile all'amministrazione pubblica esclusivamente l'attività posta in essere dal dipendente pubblico che "si manifesti come esplicazione dell'attività dell'ente pubblico, e cioè tenda, sia pure con abuso di potere, al conseguimento dei fini istituzionali di questo nell'ambito delle attribuzioni dell'ufficio o del servizio cui il dipendente è addetto; tale riferibilità viene meno, invece, quando il dipendente agisca come un semplice privato per un fine strettamente personale ed egoistico che si riveli assolutamente estraneo all'amministrazione -o addirittura contrario ai fini che essa persegueed escluda ogni collegamento con le attribuzioni proprie dell'agente, atteso che in tale ipotesi cessa il rapporto organico fra l'attività del dipendente e la P.A." (vedi sul tema le decisioni di Cass. 5/11/2018 n.28079, Cass. 12/4/2011 n.48306, Cass. 14 8/10/2007 n.20986 e Cass. 21/11/2006 n.24744); - nell'ipotesi in esame è evidente che il ricorso della docente (...) alla violenza al fine di mantenere l'ordine (se il Giudice riterrà dimostrato nel giudizio in corso le singole specifiche condotte violente nei confronti del piccolo (...) che sono oggi contestate alla maestra (...) costituisce sicuramente un comportamento assolutamente estraneo e contrario ai fini educativi propri della scuola. La causa, una volta integrato il contraddittorio, è stata istruita con prove documentali, testimoniali e CTU mediche, ed è stata assegnata a sentenza in data (...); viene ora decisa. Le domande attrici risultano fondate e meritano l'accoglimento. MOTIVI La domanda va accolta per i seguenti motivi. sull'eccezione di carenza di legittimazione passiva formulata dalle amministrazioni pubbliche sul presupposto della condotta dolosa addebitabile solo alla parte responsabile se ne rileva l'infondatezza; sul punto, oltre che richiamare l'articolo 28 della Costituzione è sufficiente riportarsi alla fondamentale, ed insuperata, sentenza Cassazione civile a sezioni unite 13246/19: "Lo Stato o l'ente pubblico risponde civilmente del danno cagionato a terzi dal fatto penalmente illecito del suo dipendente anche quando questi abbia approfittato delle proprie attribuzioni ed agito per finalità esclusivamente personali od egoistiche ed estranee a quelle della amministrazione di appartenenza, purché la sua condotta sia legata da un nesso di occasionalità necessaria con le funzioni o poteri che esercita o di cui è titolare, nel senso che la condotta illecita dannosa - e, quale sua conseguenza, il danno ingiusto a terzi - non sarebbe stato possibile, in applicazione del principio di causalità adeguata ed in base ad un giudizio controfattuale riferito al tempo della condotta, senza l'esercizio di quelle funzioni o poteri che, per quanto deviati o abusivi od illeciti, non ne integri uno sviluppo oggettivamente anomalo."; poiché la parte convenuta (...) al momento degli eventi dolosi, era una insegnante statale nel regolare esercizio delle sue funzioni, non può non applicarsi questo principio. (2) Nel merito va affermata la responsabilità di (...) che è, senza dubbio, venuta gravemente meno ai suoi compiti e ai suoi doveri di insegnante statale materna. Difatti le prove orali raccolte in giudizio (5 testimoni) unitamente agli atti delle indagini penali con i video dei maltrattamenti sofferti da (...) ed altri bambini ad opera della maestra (...) giustificano la condanna solidale dei convenuti come richiesto dagli attori. Da tali prove emerge che la (...) era solita violare il regolamento scolastico che imponeva di tenere aperta la porta dell'aula e che dunque, con la porta chiusa, vessava i bambini di tenera età strattonandoli e minacciandoli, umiliandoli e facendo loro soffrire delle vessazioni traumatizzanti come capitato al piccolo (...) al quale venne persino conficcata nel naso la parte di una spugnetta impiegata nelle attività didattiche, pezzetto di spugna poi fuoruscita quando era a casa sua, alla presenza di alcuni testimoni. La zia (...) ha in particolare riferito dei segni delle contusioni ossia lividi nella schiena del piccolo e dell'episodio fortemente traumatizzante ed umiliante della spugnetta conficcata nel naso del bambino da parte della maestra (...) "Capo 12 vero e non erano le contusioni che aveva, ce n'erano tante altre soprattutto quella del naso; a domanda risponde: in quel periodo che ho notato queste contusioni abitavo da mia sorella; io sto con i miei genitori a (...) ((...). Capo 13 assolutamente si aveva il naso nero si vedeva ad occhio, in più emanava una gran puzza, credevano fosse un batterio e in realtà chiesi a (...) di soffiarsi il naso e gli è uscito un pezzo di spugna e non era una spugna normale, era una spugna che visibilmente veniva usata per dipingere con le tempere ed era di color blu. Capo 14: vero io l'ho sentito proprio da mio nipote (aveva 3 anni) In ogni caso, e come già indicato, nel presente giudizio si ritiene provata la responsabilità civile dell'insegnante e, di conseguenza, quella degli enti pubblici per cui lavorava - (...) di (...) e (...) - e di cui era dipendente, e, infine, della società (...) chiamata in garanzia in forza del contratto assicurativo non contestato. Sulle eccezioni di (...) e del convenuto (...) deve osservarsi che i fatti ascritti alla (...) non sono capitati come un fulmine a ciel sereno, ma si sono verificati per un lungo lasso temporale, nel 2017 e nel 2018, e, come emerge dagli atti penali prodotti, avevano interessato molti altri bambini e famiglie con lamentele delle stesse; inoltre si erano verificate anche delle segnalazioni delle colleghe della (...) per alcuni suoi comportamenti di mancanza di rispetto delle regole della scuola, e dette colleghe hanno anche riferito di una prassi anomala della medesima maestra, quella cioè, facilitante gli abusi, di tener la porta dell'aula chiusa in contrasto con le disposizioni date dal dirigente scolastico, il quale aveva precipui doveri di controllo sull'osservanza delle stesse, doveri di controllo che sono stati evidentemente del tutto disattesi. Difetta dunque il caso fortuito, l'imprevedibilità di quelle condotte, la loro totale estraneità ad ogni possibile immaginazione, trattandosi anzi di condotte che è stato dimostrato (con testi e documenti di causa) essere precipuamente riferibili a fatti illeciti della maestra (...) dipendente del (...) dell'(...) condotte per giunta reiterate nel tempo, e certamente dipanatesi in un contesto che avrebbe dovuto indurre il dirigente dell'istituto scolastico ad assumere provvedimenti diligenti e solleciti al fine della vigilanza sull'operato dei suoi dipendenti e per la tutela dei bambini affidati all'(...) Sono qui soddisfatti gli oneri probatori posti e carico del danneggiato come ribaditi da cass. Sez. 3 - , Sentenza n. 5118 del 17/02/2023. QUANTIFICAZIONE DANNI Per la liquidazione dei danni da lesioni richiesti dagli attori ci si riporta alla consulenza d'ufficio che ha verificato la sussistenza di un danno biologico patito da (...) e, di conseguenza, dai suoi genitori; mentre non hanno avuto seguito istruttorio le richieste di risarcimento degli altri due minori. Invero il CTU medico legale, coadiuvato da un consulente psichiatrico ausiliario, ha riconosciuto nel piccolo (...) di soli 4 anni all'epoca dei fatti, l'esistenza di una grave patologia da (...) da (...) in relazione causale con i comportamenti vessatori dell'insegnate della scuola d'infanzia, anche senza poter escludere un certo grado di disturbo presente nel bimbo già prima di quegli eventi, anche se di grado medio-lieve. (...) peritale d'ufficio, e i successivi chiarimenti, redatti dai dottori (...) e (...) hanno riconosciuto per (...) un danno permanente pari al 20% ed una invalidità temporanea di tre mesi al 50% ed altri tre mesi al 25%. Si ottengono così i conteggi di seguito riportati, con la precisazione che si ritiene di applicare agli stessi, in considerazione della peculiarità della fattispecie in esame, come da Cassazione 12408/2011, sia l'incremento massimo per sofferenza soggettiva, vista l'imprevedibile e triste vicenda abbattutasi sul bambino, che la personalizzazione massima del danno non patrimoniale, valutata la gravità degli episodi subiti da un soggetto in tenerissima età e già in difficoltà per un esordio di disturbo oppositivo provocatorio, con purtroppo prevedibili risultanze negative che si protrarranno nel tempo, come testualmente riportato a pagina 12, punto 3, della consulenza tecnica d'ufficio e dei chiarimenti richiesti: (...) di riferimento: (...) di (...) 2021 (...) per (...) di riferimento: (...) di (...) 2021 Età del danneggiato alla data del sinistro 4 anni (...) di invalidità permanente 20% Punto danno biologico Euro 3.277,87 Incremento per sofferenza soggettiva (+ 36%) Euro 1.180,03 Punto danno non patrimoniale Euro 4.457,90 Punto base I.T.T. Euro 149,00 Giorni di invalidità temporanea totale 0 Giorni di invalidità temporanea parziale al 75% 0 Giorni di invalidità temporanea parziale al 50% 90 Giorni di invalidità temporanea parziale al 25% 90 (...) biologico risarcibile Euro 64.574,00 (...) non patrimoniale risarcibile Euro 87.821,00 Con personalizzazione massima (ma(...) 39% del danno biologico) Euro 113.005,00 Invalidità temporanea parziale al 50% Euro 6.705,00 Invalidità temporanea parziale al 25% Euro 3.352,50 Totale danno biologico temporaneo Euro 10.057,50 Totale generale: Euro 97.878,50 Totale con personalizzazione massima Euro 123.062,50 Pertanto, la somma totale di 123.062,50 Euro a favore di (...) Si attribuisce la massima personalizzazione del danno per la gravità dei fatti occorsi al piccolo (...) in un ambiente che avrebbe dovuto proteggerlo, per la efferatezza delle modalità in cui il bambino è stato vessato all'asilo, come emerso dalle deposizioni dei testi e prove documentali, elementi che hanno presuntivamente causato un significativo danno morale, distinto da quello biologico-organico e che dunque va liquidato ulteriormente. Da notare che secondo un certo orientamento della Cassazione il danno morale va liquidato persino in aggiunta alla personalizzazione del danno tabellato, affermandosi la differenza ontologica del danno morale rispetto alle voci del danno biologicodinamico e relazionale. In ogni caso qui sussiste anche un significativo danno relazionale, perché, come si legge nella ctu e nei chiarimenti, resi da specialisti in medicina legale e in psichiatria infantile, è emerso che i comportamenti vessatori illeciti della maestra (...) hanno causato un disturbo post-traumatico da stress di significativa entità (20%), in un soggetto che aveva di base un disturbo oppositivo provocatorio in fase di esordio (stimata al 5%), con la conseguenza che questo ha determinato quanto meno una perdurante difficoltà relazionale, ma, secondo la letteratura scientifica riferita dal ctu e suo ausiliario, questo quadro è suscettibile di evolvere in peius verso fenomeni dissociativi, depressivi, disturbi alimentari, così compromettendo durevolmente la vita di relazione di (...) e di riflesso dei suoi genitori. Dunque si liquida a (...) la somma di euroEuro 123.062,50 a valori attuali. Tale danno, liquidato secondo le tabelle milanesi che meglio rappresentano l'equità del caso concreto e che sono state giudicate estensibili su tutto il territorio nazionale (vd. sent. cass. 12408/2014), rappresenta l'equivalente monetario attuale del bene della vita perduto, ovvero del danno all'integrità fisica e dei danni collaterali sul versante esistenziale, della vita di relazione e morale; tali tabelle infatti, apprezzano in modo omnicomprensivo, tutte le conseguenze che normalmente si associano a quella percentuale di lesione all'integrità fisica, conseguenze sul versante esistenziale, della vita di relazione e della sofferenza subita dal danneggiato, sia in termini di danno morale che di danno psichico contingente. In considerazione del principio dell'integralità del risarcimento, però, il danneggiato deve essere risarcito anche per il danno da ritardo; infatti, trattandosi di debito da fatto illecito, sorge una mora ex re dal giorno del fatto, e la liquidazione non immediata ha presuntivamente causato un ulteriore danno al danneggiato per il ritardato risarcimento, che deve essere apprezzato a fini liquidatori, secondo l'insuperata sentenza della Corte di Cassazione a s. u. n. 1712/1995; pertanto, deve procedersi alla devalutazione dei valori tabellari alla data del fatto, e successivamente deve applicarsi la rivalutazione secondo indici istat con interessi legali sulla somma via via rivalutata anno per anno fino all'effettivo pagamento. Quanto ai due genitori, la consulenza riconosce pure ad essi un danno permanente di tipo psichiatrico, sotto forma di disturbo dell'adattamento, di grado lieve al 6%, con inabilità temporanea di mesi 3 al 25% e di mesi 3 al 15%. Per i motivi anzi detti anche tale danno sofferto dai genitori, va liquidato con la massima personalizzazione ivi comprendendovi danno morale e relazionale; paiono infatti condivisibili le valutazioni del ctu e del suo ausiliario, laddove sottolineano le difficoltà e l'impegno che questi due genitori dovranno sostenere per far fronte alle conseguenze del fatto illecito per cui è causa e che si traduce in una negativa alterazione del comportamento del figlio, che aggrava il disturbo provocatorio ed oppositivo che aveva all'inizio in fase di esordio e che determina quindi un aggravamento stabile delle difficoltà relazionali del figlio e che potrebbe anche evolvere verso forme dissociative, disturbi alimentari e stati depressivi; tutto ciò ridonda già ora e ridonderà per il futuro evidentemente sulla vita dei genitori che devono occuparsene. (...) del padre (...) di riferimento: (...) di (...) 2021 Età del danneggiato alla data del sinistro 31 anni (...) di invalidità permanente 6% Punto danno biologico Euro 1.648,30 Incremento per sofferenza soggettiva (+ 25%) Euro 412,08 Punto danno non patrimoniale Euro 2.060,38 Punto base I.T.T. Euro 149,00 Giorni di invalidità temporanea totale 0 Giorni di invalidità temporanea parziale al 75% 0 Giorni di invalidità temporanea parziale al 25% 90 Giorni di invalidità temporanea parziale al 15% 90 (...) biologico risarcibile Euro 8.406,00 (...) non patrimoniale risarcibile Euro 10.508,00 Con personalizzazione massima (ma(...) 50% del danno biologico) Euro 14.711,00 Invalidità temporanea parziale al 25% Euro 3.352,50 Invalidità temporanea parziale al 15% Euro 2.011,50 Totale danno biologico temporaneo Euro 5.364,00 Totale generale: Euro 15.872,00 Totale con personalizzazione massima Euro 20.075,00 (...) della madre (...) di riferimento: (...) di (...) 2021 Età del danneggiato alla data del sinistro 30 anni (...) di invalidità permanente 6% Punto danno biologico Euro 1.648,30 Incremento per sofferenza soggettiva (+ 25%) Euro 412,08 Punto danno non patrimoniale Euro 2.060,38 Punto base I.T.T. Euro 149,00 Giorni di invalidità temporanea totale 0 Giorni di invalidità temporanea parziale al 75% 0 Giorni di invalidità temporanea parziale al 25% 90 Giorni di invalidità temporanea parziale al 15% 90 (...) biologico risarcibile Euro 8.456,00 (...) non patrimoniale risarcibile Euro 10.570,00 Con personalizzazione massima (ma(...) 50% del danno biologico) Euro 14.798,00 Invalidità temporanea parziale al 25% Euro 3.352,50 Invalidità temporanea parziale al 15% Euro 2.011,50 Totale danno biologico temporaneo Euro 5.364,00 Totale generale: Euro 15.934,00 Totale con personalizzazione massima Euro 20.162,00 La somma finale complessiva delle tre partizioni del risarcimento da danni da lesioni a favore degli istanti è pari a 163.300,00 Euro, e dal momento che trattasi di equivalente in moneta del risarcimento dell'integrità fisica per fatti evidentemente illeciti, essa va prima devalutata al mese di giugno 2018 e successivamente rivalutata anno per anno applicando gli interessi legali sulla somma via via rivalutata fino al soddisfo, come da sent. Cassazione, sezione unite, 1172/1995. A questa cifra sono da aggiungere Euro 6.282,66 come spese mediche, anche per la consulenza d'ufficio, e di parte e perizie di parte comprovate dagli attori marche e contributo unificato e marca (vd. Nota allegata alla memoria conclusionale di replica e documenti di riferimento). Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano, nella misura indicata in dispositivo, come da richiesta di notula in atti, sia pure inferiore al valore dei compensi medi, e con l'attribuzione diretta a favore dell'avvocato (...) dichiaratosi antistatario. Le spese di ctu vanno poste definitivamente a carico dei convenuti in solido con manleva dell'assicuratrice (...) che in base alla polizza garantisce capitale interessi e spese del giudizio. (...) dovrà tenere indenne il (...) dell'(...) contraente di polizza, dalle conseguenze pregiudizievoli della presente sentenza. P.Q.M. (...) con sentenza che definisce il giudizio 1) accertata la responsabilità della maestra (...) e del (...) dell'(...) convenuti, li condanna in solido al pagamento di complessivi a 163.300,00 Euro a favore di (...) e (...) in proprio e nella qualità di genitori del figlio (...) secondo quanto specificato in parte motiva, somma prima da devalutare a giugno 2018 e poi rivalutare anno per anno applicando sulla somma via via rivalutata, gli interessi al tasso di legge fino al soddisfo; 2) condanna la maestra (...) e del (...) dell'(...) convenuti, al risarcimento in favore degli attori, del danno patrimoniale in Euro 6.282,66 oltre interessi dal dì dell'expensum fino al soddisfo; 3) condanna le parti convenute in solido al pagamento delle competenze legali di 10.860,00 Euro a favore dell'avvocato antistatario (...) oltre accessori di legge. 4) Pone le spese di ctu definitivamente a carico dei convenuti in solido. 5) In accoglimento della domanda di garanzia, condanna (...) a tenere indenne il (...) dalle conseguenze pregiudizievoli della presente sentenza, in virtù della polizza assicurativa, sia per capitale che per interessi e spese. Così deciso in Firenze il 2 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 2 aprile 2024.

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