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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La CORTE D'APPELLO di MILANO Sezione Lavoro in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati: dott.ssa Silvia Marina Ravazzoni - Presidente Estensore dott.ssa Susanna Mantovani - Consigliera dott. Andrea Onesti - Consigliere all'esito dell'udienza del 04/10/2023, nel giudizio di rinvio dalla Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza n. 10826/2023, promosso da Ch.Gi. e Ma.Te. Con l'avv. An.PI. e l'avv. MA.LA., elettivamente domiciliati presso il loro studio in MILANO, Viale (...); Ricorrenti in riassunzione contro Eu. S.P.A. on l'avv. Ro.PE. e l'avv. Ra.FA., elettivamente domiciliata presso il loro studio in ROMA via (...); Resistente in riassunzione Ha emesso la seguente SENTENZA I procuratori delle parti, come sopra costituite, hanno precisato le seguenti MOTIVAZIONE In fatto e in diritto A seguito di sentenza di annullamento con rinvio emessa dalla Suprema Corte, Ch.Gi. e Ma.Te. hanno riassunto avanti a questo Ufficio il procedimento promosso nei confronti di Eu. spa ai sensi dell'art. 1 della L. n. 92 del 2012 per l'impugnazione dei licenziamenti loro intimati. La vicenda oggetto di causa può essere così sintetizzata. I ricorrenti sono stati assunti dalla convenuta con contratto di apprendistato professionalizzante della durata di 30 mesi in data 11/02/2011 con durata dal 16/02/2011 al 15/08/2013, con orario di lavoro part-time al 68,50% per il conseguimento della qualifica di operatore di assistenza livello c del CCNL per i dipendenti delle società di assicurazione assistenza e le aziende di servizi. La società convenuta ha comunicato il proprio recesso alla scadenza dei contratti di apprendistato. I ricorrenti hanno adito il Tribunale di Milano con ricorso ex articolo 1 comma 48 della L. n. 92 del 2012 chiedendo di accertare l'illegittimità dei contratti con conseguente riconoscimento di rapporti di lavoro a tempo indeterminato rappresentando di non avere sottoscritto il piano formativo, non aver avuto un tutor aziendale, non aver ricevuto formazione. Hanno eccepito altresì che la convenuta aveva violato le percentuali di trasformazione dei contratti di apprendistato giunti a scadenza nei 36 mesi antecedenti alla loro data di assunzione (febbraio 2011). Hanno impugnato quindi il licenziamento chiedendo l'applicazione delle tutele di cui all'articolo 18 in tutte le sue declinazioni e quindi: di ordinare in principalità di reintegrare i ricorrenti nel posto di lavoro, in subordine di dichiarare la illegittimità dei licenziamenti per mancanza di giustificato motivo e condannare la convenuta corrispondere l'indennità risarcitoria ai sensi del quinto comma, in via ulteriormente subordinata in applicazione del sesto comma di accertare la violazione del requisito di motivazione e condannare alle indennità risarcitoria di 12 mensilità. In primo grado con ordinanza all'esito della fase sommaria è stata accolta la domanda di applicazione dell'articolo 18 comma 4, avendo il giudice ritenuto che la società non avesse assolto all'onere probatorio in ordine al rispetto dei limiti percentuali di trasformazione a tempo indeterminato dei contratti di apprendistato scaduti, come stabilito dall'articolo 20 comma 4 del CCNL di settore 2011- 2014 che prevede: Sono autorizzate ad assumere con contratti di apprendistato tutte le aziende applicanti il presente contratto collettivo virgola che rispondano al requisito di legge di avere mantenuto in servizio con trasformazione del contratto di apprendistato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato almeno il 59% dei contratti scaduti nei 36 mesi precedenti. Il primo giudice ha invece respinto in quanto infondate l'eccezione di inesistenza del progetto formativo, rilevando che la convenuta aveva provato documentalmente (docc. da 3 a 6) l'esistenza di tali documenti. Ha altresì respinto l'eccezione di mancata formazione da parte della datrice di lavoro, osservando che la società aveva prodotto idonea attestazione delle ore di formazione effettivamente svolte, riportate tanto nei registri formativi individuali (docc. da 11 a 14) e nei piani formativi annuali di dettaglio (docc. da 7 a 10) . Oltre a ciò era emerso che vi fossero stato alcuni periodi cosiddetti di incubatrice con affiancamento e assistenza di tutor. Il Tribunale di Milano accogliendo l'opposizione proposta da Eu. con sentenza 922/2015 ha revocato l'ordinanza ritenendo rispettate le percentuali che consentivano l'assunzione dei ricorrenti con contratto di apprendistato. Ha osservato il Tribunale che il CCNL 2007- 2010 ai commi 4 e 5 prevede che sia consentita l'assunzione con contratti di apprendistato alla condizione di avere mantenuto in servizio con trasformazione del contratto da apprendistato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato almeno del 59% dei contratti scaduti nei 18 mesi precedenti sulla base dell'organico al 31 dicembre dell'anno precedente. Ha rilevato che: la società non aveva stipulato nessun contratto di apprendistato prima del 6 e 23 luglio 2009 che nessun contratto di apprendistato era venuto a scadenza prima del 28 Febbraio 2011 che pertanto vi era evidenza del rispetto della percentuale prevista per la stipulazione dei contratti. Per il resto il tribunale ha confermato l'ordinanza in punto di legittimità formale dei contratti di apprendistato avendo la resistente depositato i progetti formativi e provato l'avvenuto svolgimento di attività di formazione, essendo agli atti attestazione delle ore di formazione svolte riportate nei registri formativi individuali e nei piani formativi annuali di dettaglio Ha infine ritenuto che in ragione dell'applicabilità del CCNL 2009 2010 non appaiono condivisibili le deduzioni svolte dai lavoratori secondo cui profili di legittimità sostanziale dei rapporti emergerebbero dal mancato rispetto del Monte ore minimo parametrato in 120 ore annue emergendo elementi per concludere per l'assenza di un inadempimento da parte della opponente punto al Monte ore di formazione interna professionale comprovato dalla documentazione allegata occorreva infatti sommare la formazione base trasversale demandata all'ente regionale accreditato della Regione Lombardia capac e dall'analisi dei documenti da 7 a 10 emergeva che il complessivo Monte ore era stato rispettato tenendo conto della durata di 30 mesi del contratto di apprendistato e pertanto della necessità di svolgere 60 ore di formazione nel primo semestre del terzo anno La Corte d'Appello con sentenza n. 1246/ 2015 ha respinto il reclamo contro la sentenza del tribunale ritenendo che la società avesse dedotto in maniera chiara e precisa che una parte della formazione teorica avveniva presso l'ente esterno accreditato e che tale formazione ammontava nei termini previsti dal piano formativo. Ha respinto altresì il secondo motivo di reclamo rilevando che nel giudizio di opposizione Eu. non aveva allegato alcuna domanda nuova ma si era limitata a produrre documentazione più completa ed esauriente su uno dei punti già sollevati e trattati nella fase sommaria e confermando la sentenza anche in punto di rispetto della percentuale del 59% di stabilizzazione dei contratti di apprendistato scaduti. La Cassazione con sentenza n.15649/2018 ha cassato la sentenza della Corte d'Appello accogliendo il primo motivo di ricorso, con il quale G. e T. hanno censurato la decisione per avere la Corte di appello ritenuto raggiunta la prova della formazione professionale anche esterna sulla base di documenti acquisiti tardivamente e in ogni caso per avere ritenuto contestata da parte dei lavoratori la sola formazione professionale esterna e non anche quella interna laddove sin dal ricorso introduttivo avevano dedotto la mancata formazione professionale ovvero il fatto costitutivo dell'azione di impugnativa dei contratti di apprendistato che avrebbe imposto la parte datoriale le allegazione è la prova del fatto contrario la Suprema Corte ritenuti infondati gli altri 4 motivi di ricorso, ha accolto il primo rilevando : " La pronuncia in tal modo resa è errata laddove, da quanto è dato comprendere, sembra affermare che possa parlarsi di fatto incontroverso e non bisognevole di ulteriore prova in relazione al fatto dedotto dalla parte reclamata (id est convenuta )e non ulteriormente contestato ad opera della parte reclamante (id est parte originariamente ricorrente )quando invece il fatto (id est la mancata formazione interna ed esterna )era stato dedotto nell'atto introduttivo del giudizio " ha poi precisato "di non contestazione può parlarsi unicamente con riferimento ai fatti affermati negli atti destinati a contenere le allegazioni delle parti e che consentono alle parti medesime al giudice di verificare, immediatamente che siano i fatti pacifici e quelli ancora controversi, la statuizione sarebbe peraltro errata anche laddove avesse voluto sostenere la formazione di un giudicato in merito alla formazione professionale interna, per aver l'atto di reclamo censurato la pronuncia di primo grado esclusivamente in ordine all'accertamento dell'avvenuta formazione esterna e virgola il giudicato, infatti non si estende a qualunque asserzione contenuta nell'apparato descrittivo o argomentativo posta a corredo della sentenza ". Nella causa di rinvio la Corte d'appello di Milano con sentenza n. 681/2019 ha rigettato le domande proposte da G. e T. con il ricorso introduttivo del giudizio. Il giudice del rinvio ha ritenuto "rispettati in relazione ad entrambi i lavoratori i requisiti formali di validità del contratto di apprendistato e provato il rispetto degli obblighi formativi, sia interni che esterni; ha escluso che i rilievi dei ricorrenti in riassunzione circa il concreto atteggiarsi della formazione impartita configurassero un grave inadempimento tale da determinare la mancata formazione, teorica e pratica, ovvero un'attività formativa carente o inadeguata rispetto agli obiettivi prefissati." In particolare, per quel che in questa sede rileva, la Corte d'Appello ha precisato che nella fattispecie erano rispettati tutti i requisiti formali richiesti per la validità del contratto di apprendistato di cui è causa e che "La società ha infatti prodotto sia i contratti sia i piani formativisottoscritti dagli interessati e nessun rilievo ha il fatto che questi ultimi siano stati firmati non il giorno in cui era sottoscritto il contratto di assunzione." Avverso tale decisione hanno proposto ricorso in Cassazione G. e T. censurando la sentenza per 4 motivi, la società ha resistito con controricorso. La S.C. con sentenza n. 10826/2023 nella causa RG 14758/2019 ha accolto il primo motivo di ricorso, con il quale i ricorrenti avevano censurato la decisione della Corte d'Appello nella parte in cui aveva ritenuto valido il contratto di apprendistato nonostante i piani formativi non fossero stati sottoscritti contestualmente al contratto medesimo. La Corte di Cassazione ha così motivato: "5.5. Pertanto, pur in assenza di specifica previsione sanzionatoria contenuta nell'art. 49. D.Lgs. n. 276 del 2003 cit., deve ritenersi che la forma scritta costituisca un requisito ad substantiam per la stipula di un valido contratto di apprendistato professionalizzante, il quale deve necessariamente contenere le indicazioni di cui alla lettera a) comma 4 dell'art. 49 D.Lgs. n. 276 del 2003, tra le quali il piano formativo individuale. 5.6. Tanto premesso, il tema specifico posto del primo motivo di ricorso è se il piano formativo, fermo il requisito della forma scritta nello specifico osservata, possa essere contenuto in un documento esterno al contratto e non temporalmente ad esso contestuale. 5.7 A tale quesito deve essere data risposta negativa, ostando ad una diversa soluzione sia il dato testuale dell'articolo 49 del D.Lgs. n. 276 del 2003 cit. (NDR 276/2003), che non sembra contemplare siffatta possibilità, sia la considerazione che l'elemento formativo qualifica la causa stessa del contratto di apprendistato professionalizzante e ciò rende particolarmente stringente la necessità che la volontà negoziale del lavoratore, nell'accedere al tipo contrattuale in questione, si formi sulla base della piena consapevolezza del percorso formativo proposto e della sua idoneità a consentire l'acquisizione della qualifica alla quale l'apprendistato è finalizzato; in concorrente profilo è da rilevare che la soluzione accolta è quella maggiormente idonea prevenire abusi della parte datoriale nella concreta configurazione del percorso formativo una volta che il piano formativo individuale risulti cristallizzato nel documento contrattuale e non in un documento interno al contratto ". Riassumendo il procedimento G. e T., dato atto di aver esercitato l'opzione prevista dall'art. 18 S.L. con comunicazione ricevuta il 21.05.2014, hanno chiesto l'accoglimento delle domande introdotte con il ricorso in primo grado, riaffermando, anche alla luce dei principi di diritto contenuti nella sentenza della Suprema Corte sopra trascritta, la illegittimità dei contratti di apprendistato. Hanno, in particolare, evidenziato che nella fattispecie i piani formativi individuali erano contenuti in documenti esterni ai contratti di apprendistato professionalizzante e per di più erano stati sottoscritti non contestualmente bensì successivamente alla firma dei contratti. Eu. spa si è costituita nel giudizio di rinvio eccependo in via preliminare l'inammissibilità del ricorso per avere i ricorrenti formulato domande e argomentazioni non conformi alla pronuncia della Corte di Cassazione 10826/2023e in ogni caso modificative di quelle già in atti. Nel merito hanno chiesto il rigetto del ricorso e la conferma della sentenza della Corte d'Appello di Milano n 681/2019 e, in subordine, nella denegata ipotesi di accoglimento del ricorso avversario, di accertare e dichiarare il diritto della Società di scomputare dagli importi eventualmente dovuti a parte avversa quanto eventualmente percepito e/o percepibile a titolo di aliunde perceptum e/o percipiendum. Il ricorso è fondato e va accolto. Va innanzitutto ricordato che, in ipotesi di annullamento con rinvio per violazione di norme di diritto , la pronuncia della Corte di Cassazione vincola il giudice del rinvio al principio affermato ed ai relativi presupposti di fatto; in altri termini questa Corte , in sede di rinvio, deve uniformarsi ex art. 384 c.p.c. sia alla regola di diritto enunciata sia alle premesse logico - giuridiche della decisione adottata , attenendosi agli accertamenti di fatto già compiuti nell'ambito della sua enunciazione. Ciò premesso, ritiene la Corte che il ricorso in riassunzione sia ammissibile nei limiti delle deduzioni svolte con riferimento ai principi di diritto affermati dalla Suprema Corte, inerenti quindi i vizi formali dei contratti di apprendistato, e così determinato l'oggetto del presente giudizio, alla luce dei principi di diritto esposti dalla Suprema Corte, che le censure mosse dai ricorrenti alla decisione della Corte d'Appello di Milano n 681/2019 siano fondate e meritino di essere accolte. La Cassazione, come si è sopra detto, ha esposto i seguenti principi di diritto: che la forma scritta costituisce un requisito ad substantiam per la stipula del contratto di apprendistato professionalizzante; che tale contratto deve contenere il progetto formativo individuale di cui alla lettera a) comma 4 dell'art. 49 D.Lgs. n. 276 del 2003; che il piano formativo non può essere contenuto in un documento esterno e non temporalmente contestuale. L'esame della documentazione di causa consente di affermare che nella fattispecie non sussistono i descritti requisiti di validità del contratto di apprendistato. I contratti risultano, infatti, stipulati in forma scritta (doc. 4 e 5 resistente in I grado: contratti di apprendistato in data 11 febbraio 2011) ma il piano formativo è contenuto in un atto separato in data 16.2.2011. Ciò posto le tesi delle due parti processuali sono antitetiche. Va infatti osservato che i ricorrenti già nel primo atto e cioè nel ricorso introduttivo della fase sommaria avevano allegato di non aver mai sottoscritto né ricevuto il piano formativo. Con la memoria di costituzione in opposizione hanno ribadito di non aver ricevuto il piano formativo e vista la produzione del documento da parte di Eu. hanno eccepito: che contiene la sottoscrizione solo nell'ultimo foglio; che è stato sottoscritto dopo la firma del contratto di apprendistato, che non contiene uno specifico programma formativo. Con il ricorso in riassunzione di cui al presente giudizio di rinvio hanno ribadito la non contestualità della sottoscrizione di due documenti e la violazione dell'art. 49 D.Lgs. n. 276 del 2003 Secondo la resistente, invece, la sottoscrizione di contratto e piano formativo è stata contestuale. Eu. spa giustifica la diversità di data dei due documenti sostenendo che la data dell'11.2.2011 è quella in cui il documento è stato predisposto dall'ufficio del personale e che la data di sottoscrizione è invece il 16.2.2011, come sarebbe comprovato dalla clausola del contratto che prevede che il piano formativo è allegato al contratto e ne forma parte integrante. Ritiene il Collegio di condividere la prima tesi sia in quanto più coerente con i documenti di causa, sia alla luce delle motivazioni della Corte di legittimità che ha sottolineato "che l'elemento formativo qualifica la causa stessa del contratto di apprendistato professionalizzante e ciò rende particolarmente stringente la necessità che la volontà negoziale del lavoratore, nell' accedere al tipo contrattuale in questione, si formi sulla base della piena consapevolezza del percorso formativo proposto e della sua idoneità a consentire l'acquisizione della qualifica alla quale l'apprendistato e finalizzato; in concorrente profilo è da rilevare che la soluzione accolta è quella maggiormente idonea a prevenire abusi della parte datoriale nella concreta configurazione del percorso formativo, una volta che il piano formativo individuale risulti cristallizzato nel documento contrattuale e non in un documento esterno al contratto." Deve ancora rilevarsi che la tesi di parte resistente non è provata e che le deduzioni di prova testimoniale formulate nella memoria di costituzione nel giudizio di rinvio sono inammissibili in quanto volte a introdurre in giudizio circostanze nuove, come puntualmente eccepito dalla difesa dei ricorrenti. Mai in precedenza la società resistente aveva dedotto che i contratti di apprendistato erano stati sottoscritti il 16 e non l'11 febbraio 2011, data indicata sul contratto e mai avevano chiesto prova testimoniale su tale circostanza. Non è poi certamente sufficiente a provare la contestuale sottoscrizione dei documenti la clausola inserita nei contratti di apprendistato al punto 11, ove si legge che il piano formativo allegato costituisce parte integrante dell'atto. La presenza del piano formativo individuale nel contratto di apprendistato e la contestuale sottoscrizione dei due documenti costituiscono dunque condizione per la stipulazione di validi contratti di apprendistato e l'assenza di prova al riguardo determina, conseguentemente, l'illegittimità dei contratti di apprendistato stipulati con gli odierni ricorrenti. I rapporti di lavoro in esame devono essere pertanto qualificati come ordinari rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato con decorrenza dall'11.2.2011. Da tale qualificazione discende l'illegittimità dei licenziamenti intimati ai ricorrenti. Venuta meno la configurabilità dei contratti di apprendistato, infatti, viene meno la ragione giustificatrice posta a fondamento degli atti di recesso, essendo evidente che essa non può costituire valido motivo di licenziamento, al di fuori dello schema tipico del contratto di apprendistato. La Corte condivide le argomentazioni del giudice della fase sommaria, che ha evidenziato che fattispecie in esame è assimilabile all'ipotesi di "manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo", prevista dall'art. 18, comma 7, L. 20 maggio 1970, n. 300. "La decisione aziendale di non procedere alla conferma di lavoratori assunti con contratto di apprendistato è, infatti, una decisione che inerisce lato sensu all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa. L'illegittimità dei contratti di apprendistato priva l'anzidetta decisione di ogni fondamento legittimante, sicché ricorre un caso di "manifesta insussistenza" della ragione addotta. Sotto il profilo sanzionatorio trova perciò applicazione l'art. 18, comma 4, L. 20 maggio 1970, n. 300. " (Trib. Milano ordinanza n.12932/2014) I licenziamenti devono essere conseguentemente annullati e, preso atto dell'esercizio di opzione da parte dei due ricorrenti con comunicazione ricevuta dalla resistente a maggio 2014, Eu. SPA va condannata a corrispondere agli stessi: - un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto, al tallone retributivo mensile di Euro 1.424,08. (Euro 1.220,64 x 14:12) risultante dai cedolini paga in atti (cfr. doc. 8 fascicolo di parte ricorrente) con interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data dei licenziamenti ( 8.07.2013 con cessazione del rapporto al 15.08.2013) a quella dell'esercizio del diritto di opzione (comunicazione del 29.04.2014 ricevuta il 21.05.2014), nonché a versare i contributi previdenziali e assistenziali a favore dei lavoratori per il medesimo periodo, l'importo pari a 15 mensilità globali di fatto per effetto dell'intervenuto esercizio del diritto di opzione Quanto alla eccezione della resistente di detrazione dell'aliunde perceptum e percipiendum, si osserva che è sì possibile la detrazione d'ufficio da parte del Giudice ma solo in presenza di specifica allegazione, ad opera della parte interessata, che nella fattispecie in esame manca del tutto. (CDA Milano sentenza n. 481/20202, Pres. Vi., est. Cu.) "Come più volte affermato in maniera costante dalla Corte di Cassazione "la deduzione - pur non integrando una eccezione in senso stretto ed essendo, pertanto rilevabile dal giudice anche in assenza di un'eccezione di parte - presuppone comunque l'allegazione da parte del datore di lavoro di circostanze di fatto specifiche" e il datore di lavoro, "onerato a provare l'aliunde perceptum da detrarre dall'ammontare del risarcimento del danno (...) non può esonerarsi chiedendo al giudice di voler disporre generiche informative o di attivare poteri istruttori con finalità meramente esplorative" (Cass. 31.1.17, n. 2499; conf. Cass. 04/12/2014, n. 25679; Cass. 11 marzo 2015 n. 4884, 29 dicembre 2014 n. 27424, 4 dicembre 2014, n. 25679). Lo stesso principio è stato affermato dalla Suprema Corte anche con riferimento all'aliunde percipiendum, laddove ha specificato che "In tema di licenziamento illegittimo, il datore di lavoro che affermi la detraibilità dall'indennità risarcitoria prevista dal nuovo testo dell'art. 18, comma 4, st. lav., a titolo di "aliunde percipiendum", di quanto il lavoratore avrebbe potuto percepire dedicandosi alla ricerca di una nuova occupazione, ha l'onere di allegare le circostanze specifiche riguardanti la situazione del mercato del lavoro in relazione alla professionalità del danneggiato, da cui desumere, anche con ragionamento presuntivo, l'utilizzabilità di tale professionalità per il conseguimento di nuovi guadagni e la riduzione del danno" (cfr. Cass. n. 17683/2018)." Nei limiti sopra precisati le domande meritano quindi accoglimento. Con riferimento alla liquidazione delle spese di lite, va poi ricordato che la Corte di Cassazione ha chiarito che costituisce principio acquisito in giurisprudenza quello secondo cui il giudice di rinvio è tenuto a provvedere sulle spese dell'intero giudizio di merito se riforma la sentenza di primo grado, ovvero sulle spese delle sole fasi d'impugnazione se rigetta l'appello ; che il giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, si deve attenere al principio della soccombenza applicato all'esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato, sicchè non deve liquidare le spese con riferimento a ciascuna fase del giudizio, ma, in relazione all'esito finale della lite ( cfr. per l'affermazione di tali principi Cass.21626/2020; Cass.15506/2018 ; Cass. 20289/2015 ) (cfr. CDA Milano, Pres. est dr P., sentenza n. 788/2021). Applicando tali principi e il criterio della soccombenza le spese sono liquidate ex D.M. n. 55 del 2014 e D.M. n. 37 del 2018, nonché del D.M. n. 147 del 2023 per la presente fase, tenuto conto del numero di parti, del valore della causa e dell'attività svolta, in favore dei ricorrenti nella misura di complessivi 27.500,00 Euro oltre accessori di legge e spese forfettarie del 15%. P.Q.M. Decidendo in sede di rinvio, dichiarata la illegittimità degli impugnati licenziamenti intimati ai ricorrenti in data 8.07.2013: - condanna Eu. SPA a reintegrare i ricorrenti nel posto di lavoro; - preso atto dell'intervenuto esercizio del diritto di opzione con comunicazione del 24.04.2014 ricevuta il 21.05.2014, condanna Eu. spa: - a risarcire ai ricorrenti il danno determinato nella indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto al tallone mensile di Euro 1.424.08 da corrispondere dalla data del licenziamento a quella dell'esercizio del diritto di opzione, con interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo e a versare i contributi di legge per l'intero periodo, - al pagamento dell'indennità spettante a seguito dell'esercizio del diritto di opzione nella misura di 15 mensilità della retribuzione mensile globale di fatto, - oltre interessi legali e rivalutazione monetaria sulle somme sopraindicate dal dovuto al saldo. Condanna, infine, Eu. spa a rimborsare ai ricorrenti le spese di lite di tutti i gradi che si liquidano in complessivi Euro 27.500,00 oltre accessori di legge e spese forfettarie del 15%, di cui per la fase sommaria di I grado Euro 4.000,00, per la fase di opposizione di I grado Euro 3.600,00, per l'appello Euro 4.300,00, per il primo giudizio in Cassazione Euro 3.400,00, per primo il giudizio di rinvio Euro 4.300,00, per il secondo giudizio in Cassazione Euro 3.400,00, per il secondo giudizio di rinvio Euro4.500,00. Così deciso in Milano il 10 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria l'11 ottobre 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8254 del 2022, proposto da -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati Lu. Co. e Ge. Ta., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ge. Ta. in Genova, via (...) contro -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato Al. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Genova, via (...); Ministero dell'Università e della Ricerca, in persona del Ministro pro tempore, e Università degli Studi -OMISSIS-, in persona del Rettore pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via (...) per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria, n. -OMISSIS-, resa tra le parti Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti l'atto di costituzione in giudizio e l'appello incidentale di -OMISSIS-; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Università degli Studi -OMISSIS- e del Ministero dell'Università e della Ricerca; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 marzo 2023 il Cons. Daniela Di Carlo; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con il ricorso proposto dinanzi al TAR della Liguria e recante il numero di registro generale -OMISSIS-, integrato da motivi aggiunti, la dottoressa -OMISSIS-, ha impugnato, chiedendone, l'annullamento: 1.1. per quanto riguarda il ricorso principale introduttivo: i) il decreto rettorale dell'Università degli Studi -OMISSIS- n. -OMISSIS- del 13 settembre 2021, n. -OMISSIS-, con cui è stata accertata la regolarità degli atti relativi alla procedura di selezione finalizzata al reclutamento di un ricercatore a tempo determinato, mediante conferimento di contratto di lavoro subordinato di durata triennale, ai sensi dell'art. 24, comma 3, lett. b) della legge n. 240/2010, presso il Dipartimento di Scienze della Formazione (DISFOR), per il settore scientifico-disciplinare BIO/08 - Antropologia, settore concorsuale 05/B1 - Zoologia e Antropologia ed è stata dichiarata vincitrice la dottoressa -OMISSIS-; ii) ogni altro atto presupposto, conseguente o connesso, ivi inclusi i verbali delle sedute della Commissione giudicatrice e la relazione riassuntiva dei lavori, nonché, per quanto possa occorrere, il D.R. n. -OMISSIS- del 9 dicembre 2020, recante il bando di concorso, e il D.R. n. -OMISSIS- dell'11 marzo 2021, recante la nomina della Commissione; 1.2. per quanto riguarda i motivi aggiunti al ricorso principale: i) gli atti già impugnati con il ricorso introduttivo; ii) il verbale del Consiglio di Dipartimento di Scienze della Formazione n. -OMISSIS- 2021, nella parte in cui ha deliberato la chiamata della dottoressa -OMISSIS-. 2. A sostegno del ricorso principale, la ricorrente, che ha conseguito il secondo miglior punteggio dopo quello della vincitrice, ha articolato i seguenti motivi: I) Violazione e falsa applicazione dell'art. 24 della legge n. 240/2010. Violazione e falsa applicazione dell'art. 7 del bando di cui al D.R. n. -OMISSIS-/2020 e dell'art. 13 del regolamento per la disciplina dei ricercatori a tempo determinato ai sensi della legge n. 240/2010 emanato con D.R. n. 2090/2019 e s.m.i. Eccesso di potere per errata valutazione dei presupposti di fatto e di diritto, difetto di istruttoria, macroscopico travisamento e difetto di motivazione, illogicità manifesta. Con riferimento alla voce n. 3 della griglia di valutazione, relativa a formazione e ricerca, la commissione avrebbe pretermesso i titoli della dott.ssa -OMISSIS- di coordinatore del Centro di ricerca in Osteoarcheologia e Paleontologia dell'Università degli Studi dell'-OMISSIS-, di assegnataria di incarico di ricerca dell'Università di -OMISSIS- e di tutor dei tirocini in "Archeobiologia". II) Violazione e falsa applicazione dell'art. 24 della legge n. 240/2010 sotto altro profilo. Violazione e falsa applicazione dell'art. 7 del bando di cui al D.R. n. -OMISSIS-/2020 e dell'art. 13 del regolamento per la disciplina dei ricercatori a tempo determinato ai sensi della legge n. 240/2010 emanato con D.R. n. 2090/2019 e s.m.i. Violazione del D.M. n. 855 del 30 ottobre 2015. Violazione e falsa applicazione dell'art. 4, comma 2, del d.p.r. n. 117/2000. Eccesso di potere per manifesto travisamento. Illogicità manifesta della motivazione. L'apprezzamento dei titoli e delle pubblicazioni della dott.ssa -OMISSIS- risulterebbe inficiata da errori macroscopici, perché l'attività didattica e scientifica della vincitrice non sarebbe congruente con il s.s.d. BIO/08 - Antropologia né con discipline affini, alla stregua dei decreti ministeriali recanti le declaratorie dei settori, ma afferirebbe alla Sociologia di cui al s.s.d. SPS/07 ed all'Antropologia della salute, costituente una branca dell'Antropologia culturale e, quindi, appartenente al s.s.d. M-DEA/01. Inoltre, quasi nessuna delle opere presentate dalla controinteressata risulterebbe censita nei canali indicizzati "Sc." e "We. of sc." e, in relazione a due lavori, l'organo giudicatore avrebbe travisato l'apporto dell'autrice. III) Violazione e falsa applicazione dell'art. 24 della legge n. 240/2010 sotto altro profilo. Violazione e falsa applicazione dell'art. 7 del bando di cui al D.R. n. -OMISSIS-/2020 e dell'art. 13 del regolamento per la disciplina dei ricercatori a tempo determinato ai sensi della legge n. 240/2010 emanato con D.R. n. 2090/2019 e s.m.i. Violazione del D.M. n. 243 del 25 maggio 2011 e dell'art. 97 Cost. Violazione e falsa applicazione dell'art. 4, comma 2, del d.p.r. n. 117/2000. Falsa applicazione dei criteri di valutazione ed eccesso di potere per travisamento. Contraddittorietà con atti della stessa procedura e illogicità manifesta. Il collegio esaminatore avrebbe violato la griglia cui si era autovincolato, perché non avrebbe esplicitato i sotto-punteggi né per i titoli delle categorie nn. 3, 4 e 5, né per i parametri dell'originalità, congruenza, diffusione e apporto individuale delle singole pubblicazioni. IV) Violazione e falsa applicazione dell'art. 24 della legge n. 240/2010. Violazione del D.M. n. 243 del 25 maggio 2011 sotto altro profilo. Violazione e falsa applicazione dell'art. 7 del bando di cui al D.R. n. -OMISSIS-/2020 anche in relazione all'art. 4, comma 2, del d.p.r. n. 117/2000. Eccesso di potere per difetto di presupposto essenziale. Carenza e illogicità di motivazione. I commissari non avrebbero redatto la relazione riassuntiva finale, con conseguente impossibilità di comprendere le ragioni della preferenza accordata ad una candidata priva di abilitazione scientifica nazionale per il s.s.d. BIO/08, con un profilo curriculare in settori diversi dalla materia oggetto di concorso e con il minor punteggio di tutti i partecipanti nella produzione scientifica. Inoltre, sarebbe stata omessa la verbalizzazione della prova di inglese. V) Violazione e falsa applicazione dell'art. 24 della legge n. 240/2010 e del D.M. n. 243 del 25 maggio 2011. Violazione e falsa applicazione dell'art. 7 del bando di cui al D.R. n. -OMISSIS-/2020 e dell'art. 13, comma 2, del regolamento per la disciplina dei ricercatori a tempo determinato ai sensi della legge n. 240/2010 emanato con D.R. n. 2090/2019 e s.m.i. Difetto di istruttoria e travisamento. Sviamento e illogicità manifesta della motivazione. In subordine, si rivelerebbe viziata la valutazione preliminare, perché non sarebbe stata apprezzata la tesi di dottorato dei candidati, non sarebbe stato operato un giudizio analitico dei titoli e delle pubblicazioni secondo gli indicatori bibliometrici e sarebbe mancata la motivata sintesi comparativa prevista dall'art. 2 del D.M. n. 243/2011. 3. A sostegno dei motivi aggiunti, la ricorrente ha invece dedotto i seguenti ulteriori motivi: VI) Invalidità derivata del verbale del Consiglio di Dipartimento di Scienze della Formazione n. -OMISSIS- 2021 nella parte in cui ha deliberato la chiamata della dott.ssa -OMISSIS-. La delibera del Consiglio di Dipartimento di chiamata della vincitrice a ricoprire il posto di ricercatore risulterebbe affetta in via derivata dai vizi degli atti della selezione già censurati con il ricorso introduttivo. VII) Violazione e falsa applicazione dell'art. 24 della legge n. 240/2010, dell'art. 7 del bando di cui al D.R. n. -OMISSIS-/2020 e dell'art. 13 del regolamento per la disciplina dei ricercatori a tempo determinato ai sensi della legge n. 240/2010 emanato con D.R. n. 2090/2019 e s.m.i. Eccesso di potere per errata valutazione dei presupposti di fatto e di diritto, difetto di istruttoria, macroscopico travisamento. Illogicità e ingiustizia manifeste. La commissione avrebbe obliterato la posizione di tecnico di laboratorio dell'esponente, che si sostanzierebbe in un incarico di ricerca antropologica. VIII) Violazione e falsa applicazione dell'art. 24 della legge n. 240/2010, dell'art. 7 del bando di cui al D.R. n. -OMISSIS-/2020 e dell'art. 13 del regolamento per la disciplina dei ricercatori a tempo determinato ai sensi della legge n. 240/2010 emanato con D.R. n. 2090/2019 e s.m.i. sotto altro profilo. Eccesso di potere per errata valutazione dei presupposti di fatto e di diritto, difetto di istruttoria, macroscopico travisamento. Illogicità manifesta. Ad integrazione del primo mezzo del ricorso introduttivo, i titoli di coordinatore del Centro di ricerca in Osteoarcheologia e Paleontologia e di tutor dei tirocini in "Archeobiologia" avrebbero dovuto essere inseriti, perlomeno, fra le attività organizzative di gruppi di ricerca e fra i contratti di supporto alla didattica. Inoltre, ad integrazione del secondo motivo, a causa degli apprezzamenti generici e/o erronei dell'organo giudicatore dovrebbero essere decurtati i punti attribuiti alla controinteressata per i contratti per lezioni integrative, i congressi, i premi, le singole pubblicazioni con riferimento ai sotto-criteri della diffusione, congruenza e apporto del candidato, nonché per la duplice valutazione delle opere n. 1 e n. 7. IX) In subordine. Violazione e falsa applicazione degli artt. 15 e 24 della legge n. 240/2010, dell'art. 7 del bando di cui al D.R. n. -OMISSIS-/2020 e degli artt. 7 e 13 del regolamento per la disciplina dei ricercatori a tempo determinato ai sensi della legge n. 240/2010 emanato con D.R. n. 2090/2019 e s.m.i. sotto altro profilo. Violazione e falsa applicazione del D.M. 4 ottobre 2000 e del D.M. n. 855 del 30 ottobre 2015. Intrinseca illogicità dei criteri di valutazione adottati con verbale del 6 maggio 2021. Sviamento e difetto assoluto di motivazione. Il criterio dell'attinenza a tematiche interdisciplinari correlate al s.s.d. BI0/08, adottato dai commissari nella prima seduta, violerebbe la normativa primaria e secondaria, nonché la lex specialis della procedura, perché il reclutamento dei ricercatori potrebbe avvenire con esclusivo riferimento ai settori scientifico-disciplinari predefiniti dal bando. In ogni caso, ove reputato ammissibile, il parametro dell'interdisciplinarietà dovrebbe essere inteso come affinità di settori ai sensi dell'allegato D al D.M. 4 ottobre 2000, sì che, risultando affine al s.s.d. BIO/08 unicamente il s.s.d. L-ANT/01 (Preistoria e Protostoria), l'incongruenza dei titoli e delle pubblicazioni della controinteressata permarrebbe. X) In ulteriore gradato subordine. Violazione e falsa applicazione degli artt. 15 e 24 della legge n. 240/2010, dell'art. 7 del bando di cui al D.R. n. -OMISSIS-/2020 e dell'art. 13 del regolamento per la disciplina dei ricercatori a tempo determinato ai sensi della legge n. 240/2010 emanato con D.R. n. 2090/2019 e s.m.i. Violazione e falsa applicazione del D.M. 4 ottobre 2000 e del D.M. n. 855 del 30 ottobre 2015. Eccesso di potere per illogicità manifesta dei criteri di valutazione adottati con verbale del 6 maggio 2021 e conseguente sviamento. L'abilitazione scientifica nazionale a professore di seconda fascia nel s.s.d. BIO/08, non posseduta solamente dalla dott.ssa -OMISSIS- fra tutti i partecipanti alla selezione, sarebbe stata illogicamente svalutata con l'attribuzione di un solo punto rispetto al punteggio totale di cinquanta assegnabile per i titoli. XI) In ultimo e gradato subordine. Impugnazione in parte qua del bando emanato con D.R. n. -OMISSIS-/2020 per violazione e falsa applicazione dell'art. 24 della legge n. 240/2010, dell'art. 13 del regolamento per la disciplina dei ricercatori a tempo determinato ai sensi della legge n. 240/2010 emanato con D.R. n. 2090/2019 e s.m.i., del D.M. 4 ottobre 2000, del D.M. n. 855 del 30 ottobre 2015 e dell'art. 15 della legge n. 240/2010. Intrinseca illogicità e sviamento. Lo stesso bando escluderebbe ogni finalità valutativa della prevista destinazione del vincitore allo svolgimento di ricerche nell'ambito dell'antropologia della salute, in collegamento con la Cattedra Un. (di cui la dott.ssa -OMISSIS- è cofondatrice) e con il Museo di Etnomedicina "-OMISSIS-" (di cui la dott.ssa -OMISSIS- è responsabile scientifico). In subordine, qualora si ritenesse che il bando abbia ricondotto la materia dell'antropologia della salute al s.s.d. BIO/08, lo stesso infrangerebbe le declaratorie del relativo settore disciplinare e concorsuale di cui ai DD.MM. 4 ottobre 2000 e 30 ottobre 2015 n. 855. 4. Con ricorso incidentale notificato in data 3 dicembre 2021 e depositato il successivo 15 dicembre, la dottoressa -OMISSIS- ha impugnato, a sua volta, gli atti della procedura, articolando i seguenti motivi: I) Violazione dei criteri stabiliti nel verbale n. 1. Difetto del presupposto e/o travisamento dei fatti. Violazione degli artt. 46, 47 e 75 del d.p.r. n. 445/2000. Con riferimento ai titoli della voce n. 4, il punteggio ottenuto dalla dott.ssa -OMISSIS- si rivelerebbe erroneo sotto vari aspetti: - sarebbe stata computata la responsabilità di due semplici borse di studio o, in subordine, stimata doppiamente l'attività concernente l'area della -OMISSIS-, sotto forma di responsabile di borsa e di progetto di ricerca; - le proposte progettuali relative ai bandi "Arte & Cultura" della Fondazione Comunitaria del -OMISSIS- avrebbero ricevuto i finanziamenti con mera procedura a sportello e non, come dichiarato dalla candidata, con selezione competitiva; - per tre progetti, aventi ad oggetto la chiesa di San Biagio in -OMISSIS- ed il sito di Sant'Agostino di -OMISSIS-, sarebbe stata responsabile la prof.ssa -OMISSIS-; per altri due progetti, riguardanti la cripta dei frati francescani di -OMISSIS-, la dott.ssa -OMISSIS- avrebbe svolto semplici ricerche; - gli studi presso la chiesa di San Biagio farebbero parte di una ricerca unitaria, onde le varie fasi non avrebbero potuto essere conteggiate più volte. II) Violazione dei criteri stabiliti nel verbale n. 1. Difetto del presupposto e/o travisamento dei fatti. In relazione alla categoria n. 2, la commissione avrebbe illegittimamente tralasciato, per la dott.ssa -OMISSIS-, i contratti di supporto alla didattica e il titolo di cultore della materia. III) Violazione dei criteri stabiliti nel verbale n. 1. Difetto del presupposto e/o travisamento dei fatti. I punteggi assegnati alla dott.ssa -OMISSIS- per le pubblicazioni risulterebbero viziati, in quanto: - l'opera "-OMISSIS-", premiata con il massimo di quattro punti, sarebbe sovrapponibile per circa il 40% alla tesi di dottorato, a sua volta valorizzata con due punti; - sarebbero state valutate come distinte ed autonome le due pubblicazioni "-OMISSIS-" e "-OMISSIS-", nonostante quest'ultima fosse già sostanzialmente contenuta nella prima, come riconosciuto dalla commissione di un'altra procedura di reclutamento. IV) Violazione dei criteri stabiliti nel verbale n. 1. Difetto del presupposto e/o travisamento dei fatti. Illogicità . In sede di apprezzamento della produzione scientifica complessiva, i dati bibliometrici delle citazioni e dell'indice H, tratti dalla banca dati "Sc.", non sarebbero stati depurati dalle autocitazioni: ne sarebbe derivata una sopravvalutazione della dott.ssa -OMISSIS-, per la quale si registrerebbe un tasso di autocitazioni (pari al 60% circa) molto superiore a quello medio del s.s.d. BIO/08 (inferiore al 12%). V) In subordine. Violazione dei criteri stabiliti nel verbale n. 1. Difetto del presupposto e/o travisamento dei fatti. Nell'ipotesi subordinata in cui si ritenesse precluso il vaglio di titoli e pubblicazioni congruenti con tematiche interdisciplinari connesse con il settore BIO/08, si rivelerebbe illegittima anche la valutazione della tesi di dottorato, di sette opere (le nn. 1, 2, 5, 6, 9, 10 e 11 dell'elenco) e di tre incarichi di insegnamento (in "Storia della Medicina" ed in "Archeobiologia") della dott.ssa -OMISSIS-, in quanto totalmente o parzialmente attinenti al s.s.d. MED/02 - Storia della medicina, secondo gli atti di un concorso per ricercatore nel prefato ambito in cui la candidata si è cimentata. 5. Il Tar della Liguria: - ha respinto i motivi I), VII) e VIII) dell'impugnativa principale, ritenendo infondate le doglianze circa la mancata obliterazione di quattro suoi titoli; - ha accolto, nei sensi di cui in motivazione, i motivi II), IX) e XI) sempre dell'impugnativa principale, con cui erano state censurate l'incongruenza dei titoli e delle pubblicazioni della dottoressa -OMISSIS- con il s.s.d. BIO/08 - Antropologia e la loro valutabilità sotto il profilo dell'interdisciplinarietà ; - ha accolto il I) motivo dell'impugnativa incidentale limitatamente al profilo concernente la illegittimità nella valutazione dei titoli della dottoressa -OMISSIS- di cui alla categoria n. 4 della griglia (si tratta del "Coordinamento di progetti di ricerca nazionali ammessi al finanziamento sulla base di un bando competitivo", e della "Organizzazione, direzione e coordinamento di gruppi di ricerca nel contesto di progetti di ricerca nazionali"), respingendo invece le contestazioni del punteggio assegnato in relazione a due borse di studio per l'analisi dei resti umani in -OMISSIS- e al coordinamento del progetto di creazione di un percorso archeologico in tale area del -OMISSIS-; - ha accolto sempre parzialmente il II) motivo dell'impugnativa incidentale, ovverossia limitatamente alla mancata considerazione del titolo di cultore nello specifico s.s.d. BIO/08 dall'a.a. 2018/19, ritenendo invece infondata quella relativa alla asserita pretermissione dei contratti di supporto alla didattica; - ha respinto il III) motivo del ricorso incidentale; - ha accolto integralmente il IV) motivo; - ha accolto il V) motivo del gravame incidentale nella sola parte in cui si era contestato il computo in favore della dottoressa -OMISSIS-, fra i titoli della voce n. 2, degli insegnamenti di "Storia della Medicina", nonché, fra le pubblicazioni, della n. 9 dell'elenco. 5.1. Infine, il Tar ha indicato all'Ateneo i principi conformativi in vista della nuova valutazione e attribuzione del punteggio (Pertanto, la commissione dovrà rinnovare la valutazione di tutti i titoli delle categorie nn. 2-3-4-5-6 e di tutte le pubblicazioni della dott.ssa -OMISSIS-, seguendo le coordinate illustrate ed esplicitando le ragioni dell'eventuale giudizio di congruità, piena o parziale, con il s.s.d. BIO/08, nonché emendando gli errori rilevati in parte motiva. Inoltre, dovrà apprezzare nuovamente i titoli delle categorie nn. 2-4 e la pubblicazione n. 9 della dott.ssa -OMISSIS-, secondo le direttrici sopra tracciate e con specificazione dei motivi dell'eventuale giudizio di congruità, piena o parziale, con il s.s.d. BIO/08; dovrà altresì tenere specificamente conto del possesso dell'A.S.N. per il s.s.d. BIO/08. Infine, per entrambe le candidate riesaminerà la produzione scientifica complessiva alla luce di quanto indicato, precisandosi che, nella stima dell'effetto delle autocitazioni, andranno estrapolati i soli dati presenti in "Sc." (ed eventualmente in "We. of sc.") alla data del concorso, eliminando le opere inserite e le citazioni registrate in epoca successiva") ed ha compensato le spese di lite. 6. La sentenza è stata impugnata, nei limiti del rispettivo interesse, in via principale dalla originaria controinteressata, e in via incidentale dalla originaria ricorrente, attraverso la riproposizione degli originari motivi di ricorso principale, di motivi aggiunti all'impugnativa principale e di ricorso incidentale, quali censure specifiche avverso la sentenza medesima. 7. L'Università degli Studi -OMISSIS- ha resistito al gravame. 8. Le parti hanno ulteriormente insistito sulle rispettive tesi difensive. 9. All'udienza pubblica del 7 marzo 2023, la causa è stata trattenuta in decisione. 10. L'appello principale e l'appello incidentale non sono fondati. 11. Più in particolare, non è fondato il primo motivo di appello principale con cui si censura la violazione del DM 243/2011, del DM 4 ottobre 2000 e del DM 855/2015, l'illogicità e la violazione del principio di proporzionalità e la violazione dei limiti del sindacato giurisdizionale amministrativo, sotto il profilo dell'eccesso di potere giurisdizionale e del difetto di giurisdizione. Il Tar ha compiutamente ricostruito il quadro normativo di riferimento: - sulla base dell'art. 24, comma 2, del d.lgs. n. 240/2010, nel testo vigente ratione temporis, è previsto che i ricercatori a tempo determinato sono scelti mediante procedure pubbliche di selezione disciplinate dalle Università con regolamento, nel rispetto di una serie di criteri, tra cui la "specificazione del settore concorsuale e di un eventuale profilo esclusivamente tramite indicazione di uno o più settori scientifico-disciplinari"; - gli artt. 2 e 3, del D.M. n. 243 del 25 maggio 2011, recano i criteri e i parametri per la valutazione preliminare degli aspiranti, fra cui quello che le commissioni giudicatrici comparano il curriculum e i titoli dei candidati "facendo riferimento allo specifico settore concorsuale e all'eventuale profilo definito esclusivamente tramite indicazione di uno o più settori scientifico-disciplinari, debitamente documentati", nonché le pubblicazioni "tramite indicazione di uno o più settori scientifico-disciplinari, ovvero con tematiche interdisciplinari ad essi correlate"; - sulla base dell'art. 15 del d.lgs. n. 240/2010, i settori concorsuali e i relativi settori scientifico-disciplinari sono definiti, secondo criteri di affinità, con apposito decreto ministeriale. Sulla base delle suddette coordinate normative, il ragionamento del Tar ha preso le mosse dalla legittima e condivisa premessa secondo cui, per un verso, la congruenza dell'attività del candidato con i contenuti del settore scientifico-disciplinare per il quale è bandita la procedura rappresenta uno dei parametri specificatamente indicati dalla normativa per misurare il profilo scientifico dei partecipanti ad un concorso universitario a posti di docente o ricercatore, mentre, per un altro verso, l'individuazione del nesso di interdisciplinarietà non può essere rimesso alla scelta soggettiva dei commissari, ma deve invece basarsi su una preventiva tipizzazione operata a livello normativo. Sulla base di queste premesse, il Tar ha tratto delle considerazioni corrette, ovverossia che: i) dalla piana lettura delle declaratorie dei due settori scientifico-disciplinari BIO/08 - Antropologia e M-DEA/01 - Discipline demoetnoantropologiche, nonché dei relativi settori concorsuali 05/B1 - Zoologia e Antropologia e 11/A5 - Scienze demoetnoantropologiche, è possibile distinguere due diverse branche di antropologia: l'antropologia fisica o biologica (settore scientifico-disciplinare BIO/08 - Antropologia, settore concorsuale 05/B1 - Zoologia e Antropologia), che studia l'uomo come "fenomeno biologico" e, quindi, la storia naturale del genere umano, approfondendone l'origine, l'evoluzione sotto l'aspetto organico e naturalistico, nonché le caratteristiche biologiche, la variabilità genetica tra le popolazioni e le modalità di adattamento all'ambiente; e l'antropologia culturale o demoetnoantropologia (settore scientifico-disciplinare M-DEA/01 - Discipline demoetnoantropologiche, settore concorsuale 11/A5 - Scienze demoetnoantropologiche), che studia l'uomo come "fenomeno culturale" e, quindi, i processi socio-culturali delle civiltà umane, antiche e contemporanee; ii) dal curriculum prodotto dalla originaria controinteressata nella procedura in contestazione, emerge che il suo profilo scientifico e didattico, senza alcun dubbio pregevole, si è tuttavia sviluppato negli ambiti della sociologia, con particolare riferimento al campo educativo, e dell'antropologia della salute, nelle sue declinazioni culturali ed etnomediche (in particolare, la dottoressa -OMISSIS- è dottore di ricerca in "Valutazione dei processi e dei sistemi educativi", titolo conseguito presso la Scuola di dottorato in Scienze umane e sociali dell'Università degli Studi -OMISSIS-; è in possesso dell'abilitazione scientifica nazionale a professore di seconda fascia per i settori concorsuali 14/C1 - Sociologia generale e 14/C2 - Sociologia dei processi culturali e comunicativi; nella descrizione della propria attività di ricerca, la stessa candidata scrive che "Lavora sui temi della promozione della salute, della cura centrata sulla persona e dell'applicazione dell'antropologia nel contesto dell'assistenza sociosanitaria. I suoi interessi principali sono le interconnessioni tra migrazione, salute, vulnerabilità sociale e disuguaglianze nell'accesso ai servizi sanitari. Collabora stabilmente con centri di ricerca internazionali nella valorizzazione e promozione del patrimonio culturale materiale e immateriale legato alle pratiche tradizionali di cura dei popoli"; dall'a.a. 2014/2015, la dottoressa -OMISSIS- è professore a contratto degli insegnamenti di "Antropologia della Salute" e di "Approccio alle professioni sanitarie: uno sguardo antropologico" nei corsi di laurea delle Professioni Sanitarie presso l'Università -OMISSIS- afferenti al settore scientifico disciplinare M-DEA/01 - Discipline demoetnoantropologiche; i suoi progetti di ricerca concernono principalmente tematiche di carattere educativo e socio-culturale e non biologico-naturalistico). Infine, il Tar ha spiegato anche le ragioni per le quali non sono fondate le difese dell'Ateneo e della originaria controinteressata incentrate sull'assunto che la materia dell'antropologia della salute dovrebbe ritenersi pienamente congruente con il posto messo a concorso e che la commissione avrebbe stabilito di valutare la congruenza dei titoli e delle pubblicazioni non solo con il s.s.d. BIO/08, ma anche rispetto a "tematiche interdisciplinari correlate", fra le quali si collocherebbero quelle dell'antropologia della salute. Innanzitutto, sul piano formale e tassonomico, le declaratorie di cui ai DD.MM. 4 ottobre 2000 e 30 ottobre 2015 n. 855 distinguono nettamente l'antropologia fisica di cui al s.s.d. BIO/08 dall'antropologia culturale di cui al s.s.d. M-DEA/01. In secondo luogo, l'autonomia didattica e scientifica riconosciuta all'Università non può sortire l'effetto di dilatare il perimetro delle esperienze scientifiche e didattiche rilevanti ai fini della selezione pubblica di un ricercatore in Antropologia BIO/08, che deve rispettare il preciso e vincolante sistema ministeriale delle classificazioni per settori scientifico-disciplinari, al fine di evitare che si introducano elementi di giudizio che renderebbero relativistica, soggettivistica e, in definitiva, eccessivamente opinabile, la valutazione da esprimere. Inoltre, l'antropologia culturale e, all'interno di essa, quella della salute, non possono essere ricondotte nemmeno alle "tematiche interdisciplinari correlate" con il s.s.d. BIO/08, in quanto non è normativamente prevista un'affinità con il s.s.d. M-DEA/01 - Discipline demoetnoantropologiche, che appartiene alla differente area disciplinare 11 (Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche) e, all'interno di questa, al settore concorsuale delle scienze demoetnoantropologiche. 12. Pure infondato è il secondo motivo di appello principale, con cui si ripropone la censura concernente l'asserita violazione del DM 4 ottobre 2000 e la violazione dei limiti del sindacato giurisdizionale amministrativo, nonché l'eccesso di potere giurisdizionale e il difetto di giurisdizione. Ci si riporta, per ragioni di celerità e sinteticità degli atti processuali, a tutte le considerazioni illustrate nel punto precedente, in quanto il Tar ha correttamente ricostruito il quadro normativo di riferimento all'interno del quale si colloca la fattispecie concreta, e ne ha tratto ragionevoli conclusioni in punto di classificazione dei relativi settori scientifico-disciplinari, rimanendo all'interno del perimetro proprio dell'esegesi normativa e rappresentandone, anzi, la diretta ed immediata attuazione, a fronte di un operato amministrativo che aveva esondato dai propri limiti, superando le classificazioni tassonomiche disegnate dal legislatore. 13. Pure infondato è il terzo motivo dell'appello principale, con cui si reitera nuovamente la censura della violazione dei limiti del sindacato giurisdizionale amministrativo, dell'eccesso di potere giurisdizionale e del difetto di giurisdizione, sotto il profilo dell'erroneità dei principi conformativi dettati dal Tar in vista del riesercizio del potere valutativo. In realtà, i principi conformativi enunciati dal Tar rappresentano la diretta e necessitata conseguenza logico-giuridica della premessa distintiva fra i due settori dell'antropologia naturale e dell'antropologia culturale, sicché il ragionamento del Tar si appalesa del tutto corretto anche in tale parte e, di conseguenza, l'Ateneo dovrà valutare i titoli e le pubblicazioni della dottoressa -OMISSIS- per stabilire se gli stessi siano o meno congruenti con il settore BIO/08 e le tematiche interdisciplinari. 14. Alla luce delle suddette considerazioni, sono infondati pure il quarto e il quinto motivo di appello principale, con cui si contestano, più nello specifico, alcune argomentazioni poste dal Tar a supporto del proprio ragionamento logico-giuridico, che va dunque complessivamente confermato. 15. Anche il sesto motivo di appello principale, che deduce l'eccesso di potere giurisdizionale sotto il profilo della violazione e del travisamento dei criteri valutativi predeterminati dalla Commissione, non è fondato. La censura investe, in particolare, il capo di sentenza che ha riconosciuto la illogicità del giudizio di "ottima diffusione" assegnato a 7 pubblicazioni su 12 della originaria controinteressata, che non risultano indicizzate nelle principali banche dati dei settori scientifico bibliometrici, quali il settore di interesse BIO/08. A questo proposito, il Collegio rileva che il ragionamento seguito dal primo giudice, secondo cui il criterio della diffusione corrisponde nella sostanza a quello della rilevanza scientifica della collocazione editoriale, sia corretto, essendo del tutto logica e condivisibile la considerazione, oggettiva e dunque positivamente riscontrabile, che "essendo il s.s.d. BIO/08 un settore bibliometrico, è evidente che - per valutare la circolazione e l'impatto delle pubblicazioni - non può prescindersi (perlomeno, non completamente) dal censimento della fonte in "Sc." o in altre banche dati di comune riferimento". 16. Pure il settimo motivo di appello principale è infondato. Il Collegio, condividendo sul punto i rilievi mossi dal Tar dall'operato della Commissione, ritiene irragionevole che non sia dato risalto al possesso della specifica abilitazione a professore di seconda fascia (ASN) per il settore BIO/08 conseguita dalla originaria ricorrente, svilendosi, di fatto, un titolo di specifico rilievo per la selezione di un ricercatore di tipo B, nell'ampia e generica categoria dei "premi e riconoscimenti", alla quale è riconosciuto un solo punto massimo conseguibile. Correttamente, dunque, il Tar ha ritenuto che detta scelta della Commissione sia stata connotata da una irrazionalità di fondo, non potendosi porre sullo stesso piano una concorrente dotata di ASN e una del tutto sfornita, come l'odierna appellante. 17. Vanno ora esaminati congiuntamente i motivi VIII, IX e X dell'appello principale. Le doglianze sono tutte infondate in quanto: i) occorre fare riferimento alla dizione con cui l'originaria ricorrente figurava nelle pubblicazioni, ossia come primo o ultimo autore; ii) la Commissione ha il potere di non valutare i titoli che non presentano i requisiti previsti, venendo in rilievo una fattispecie di mancata attribuzione di punteggio piuttosto che di esclusione non tipizzata; iii) il bando non osta a che un'opera monografica origini da una rielaborazione e uno sviluppo di una precedente tesi di dottorato; iv) il giudizio di congruenza espresso dalla Commissione in quanto una pubblicazione è stata ritenuta come "appartenente principalmente al SSD BIO/08" riguarda il contenuto di quella specifica pubblicazione e non può costituire argomento per affermare la interdisciplinarietà con il settore MED/02. 18. Infine, sulla base delle succitate considerazioni, è pure infondato il decimo e ultimo motivo di appello principale, che si limita a contestare i precetti conformativi dettati dal Tar a conclusione del proprio ragionamento, i quali dunque vanno anch'essi pienamente confermati e ai quali si dovrà attenere l'Ateneo nel ripetere il giudizio valutativo. 19. Va ora esaminato l'appello incidentale. 20. È innanzitutto infondato il primo motivo con cui l'originaria ricorrente ripropone la censura dell'omessa decisiva valutazione nei propri confronti (nell'ambito delle categorie n. 3 e, in subordine, n. 4 della griglia di valutazione predisposta dalla Commissione) di quattro documentati titoli che le avrebbero permesso di sopravanzare in graduatoria la originaria controinteressata, e segnatamente: 1. l'essere stata Coordinatore del Centro di Ricerca universitario in Osteoarcheologia e Paleopatologia del Dipartimento di Biotecnologia e Scienze della Vita dell'Università dell'-OMISSIS-; 2. l'incarico di ricerca presso l'"Insitut fu r Assyriologie un Hethitologie" dell'Università di -OMISSIS-; 3. l'incarico di Tutor del tirocinio in Archeobiologia per i corsi di laurea in Biotecnologie e Scienze Biologiche presso l'Università dell'-OMISSIS-; 4. l'essere tecnico di laboratorio presso il Dipartimento di Biotecnologie e Scienze 22 della Vita dell'Università dell'-OMISSIS-. Il Collegio rileva che il ragionamento logico-giuridico seguito dal primo giudice sfugga alle critiche mosse in quanto: 1. le funzioni statutarie del Coordinatore della ricerca non consistono in attività di ricerca attiva o in attività di coordinamento degli studiosi, bensì in attività di coordinamento delle presenze in laboratorio, e quindi di assistenza alla ricerca; 2. l'attività di formazione e ricerca presso qualificati istituti italiani o stranieri doveva essere documentata, oltre che dichiarata nel curriculum; 3. i criteri valutativi stabiliti dalla Commissione contemplavano l'assegnazione di punteggi per la titolarità di contratti per lo svolgimento di attività di supporto alla didattica in corsi universitari, ma non anche per l'attività di tutorato, fra l'altro a supporto dei tirocini; 4. la conduzione del laboratorio menzionata nel contratto individuale non è attività corrispondente o equivalente alla direzione scientifica del laboratorio, trattandosi di attività materiale ed esecutiva finalizzata alla conduzione tecnica del medesimo (ad esempio, attraverso l'acquisto, la catalogazione, l'organizzazione, la dislocazione dei materiali e delle attrezzature, il periodico riordino). 21. È poi infondato il secondo motivo di appello incidentale con cui ci si duole del parziale accoglimento del ricorso incidentale della originaria controinteressata, per la semplice evidenza che: i) fra i titoli valutabili nel concorso vi era quello dei progetti assegnati con procedure competitive, per cui non possono essere annoverati in tale categoria i bandi a sportello che si risolvono nel finanziamento dei progetti nell'odine cronologico di presentazione "fino ad esaurimento disponibilità "; ii) il bando di concorso non richiedeva ai partecipanti di dimostrare il possesso dei titoli autodichiarati, quale quello di cultore della materia dichiarato dalla originaria controinteressata; iii) il dato relativo alle citazioni ha natura intrinsecamente oggettiva ed è finalizzato ad evidenziare l'interesse (terzo ed imparziale) che la comunità scientifica nutre verso un determinato elaborato, sicché è ragionevole che il suddetto dato sia epurato dalle autocitazioni, che sono di per sé espressione di un punto di vista personalistico ed interessato; iv) il giudizio della Commissione è insufficiente e non esplicita le argomentazioni oggettive sulla base delle quali talune produzioni della originaria ricorrente sarebbero congruenti con il s.s.d. BIO/08 o con un settore affine, sicché in tale parte il giudizio va ripetuto ed emendato del difetto istruttorio e motivazionale. 22. In definitiva, alla luce delle suddette considerazioni, vanno respinti sia l'appello principale, sia quello incidentale. 23. Di conseguenza, vanno assorbite tutte le restanti censure riproposte dalla odierna appellante incidentale in via subordinata, ovverossia per la sola ipotesi di accoglimento dell'appello principale. 24. Le spese del giudizio sono compensate in considerazione della reciproca soccombenza parziale. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello n. 8254/2022, come in epigrafe proposto, respinge l'appello principale e quello incidentale e compensa le spese del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Vista la richiesta dell'interessato e ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, comma 1, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l'appellante principale e l'appellante incidentale. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Claudio Contessa - Presidente Daniela Di Carlo - Consigliere, Estensore Sergio Zeuli - Consigliere Maurizio Antonio Pasquale Francola - Consigliere Marco Valentini - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di BERGAMO Sezione Lavoro Il Tribunale, nella persona del Giudice del lavoro Elena Greco ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1896/2018 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. Ro.Tr., (...), RICORRENTE contro (...) XXIII (C.F. (...)), in persona del direttore generale pro tempore, con il patrocinio dell'avv. Gabriella Battaglioli e dell'avv. An.Av., elettivamente domiciliato presso lo Studio Legale Avolio e Associati in Milano, viale Gian Galeazzo n. 16 CONVENUTO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con il ricorso introduttivo del giudizio il ricorrente ha adito il Tribunale di Bergamo in funzione di giudice del lavoro chiedendo di "accertare e dichiarare che, per tutti i fatti meglio descritti nell'espositiva che precede, il ricorrente è stato illegittimamente fatto oggetto di una condotta integrante la fattispecie di straining e/o mobbing da parte della (...) XXIII nonché di whistelblowing (inteso come mancata protezione nei termini sopra precisati) e per l'effetto condannare la (...) medesima al risarcimento di tutti i danni subiti dal ricorrente in conseguenza dell'illegittimo comportamento datoriale, sia di natura patrimoniale che di natura extrapatrimoniale, ivi compresi i danni dal medesimo subiti in conseguenza dell'illegittima dequalificazione, demansionamento e perdita di professionalità (danno professionale, all'immagine, alla carriera, alla dignità personale etc.) nonché il danno alla salute, il danno biologico permanente e temporaneo e il danno da perdita di chances per lamancata crescita professionale (anche con riferimento alla mobilità tra enti) da liquidarsi come indicato e/o come risulterà dovuto in corso di causa o il Giudice riterrà di giustizia anche ex art. 1226 c.c.". A sostegno della propria domanda il ricorrente ha esposto di essere assunto presso l'(...) XXIII e di avervi rivestito la qualifica di infermiere coordinatore sin dal 1992 (dapprima presso gli Ospedali Riuniti, poi presso la convenuta), in particolare svolgendo tale attività dal settembre 2004 al 3.12.2017 presso l'unità operativa complessa (cosiddetta u.o.c.) di pediatria, di aver sempre eseguito con professionalità la propria prestazione lavorativa ottenendo valutazioni di rendimento di buon livello e non riportando mai sanzioni disciplinari, di essere divenuto nonostante ciò vittima di condotte mobbizzanti o "stressogene" per aver assunto in talune occasioni il ruolo di wistleblower e di aver subito tali condotte tanto da aver richiesto il trasferimento ad altro reparto per salvaguardare la propria salute psicofisica. Ha precisato che l'origine delle persecuzioni poste in essere in suo danno aveva trovato scaturigine in comportamenti tenuti da colleghi e superiori nell'ambito di un progetto di natura infermieristica di assistenza a domicilio denominato "quasi a casa" ed in relazione al quale era stato accusato di non adoperarsi per consentirne la buona riuscita a causa dell'erroneo impiego di una risorsa infermieristica; era proseguita con la richiesta della referente di dipartimento (...) di modificare la valutazione formulata in ordine al rendimento di due infermiere e con l'inutilità della segnalazione da lui effettuata per denunciare siffatte pressioni; si era aggravata in seguito a numerose segnalazioni da lui effettuate anche ai direttori dell'u.o.c. e della direzione sanitaria per rendere note situazioni in cui per disorganizzazione o mancanza di efficienza del reparto i pazienti non avevano potuto effettuare le cure programmate nei giorni prestabiliti o erano stati dimessi senza la previa valutazione dei reparti competenti, tanto che la sua persona in reparto era stata individuata come un "problema", che il direttore sanitario (...) lo aveva più volte e insistentemente invitato a trasferirsi ad altro incarico, che dal 17.10.2021 al 29.10.2017 era stato collocato dapprima in ferie, poi in recupero ore eccedenti (fino al 31.10.2017) senza aver mai presentato alcuna richiesta in tal senso. Ha dedotto che la situazione di forte ansia e stress sofferti a causa del trattamento ricevuto aveva comportato l'insorgere di uno stato di morbilità dal 18.10.2017 al 3.12.2017 e che aveva dovuto assumere psicofarmaci per farvi fronte. Ha riferito di aver richiesto in data 16.10.2017 il trasferimento ad altro reparto al precipuo fine di tutelarsi dagli atti persecutori posti in essere in suo danno e di aver contestualmente invocato la normativa sul whistleblowing, senza però richiedere un demansionamento e senza acconsentire ad un trasferimento comportante la retrocessione di posizione, laddove l'azienda convenuta procedette a modificare la sua posizione di coordinatore infermieristico e dal 4.12.2017, a decurtargli la retribuzione privandolo del titolo e del compenso per l'incarico di coordinatore. A tal proposito ha allegato che dal 4.12.2017 era rientrato in servizio e, in seguito al trasferimento, si era trovato a svolgere presso il centro di formazione universitaria mansioni di mera segreteria in un ambiente isolato, privo di finestre e illuminato solo con luce artificiale, senza possibilità di relazioni professionali, senza una postazione fissa poiché per un giorno a settimana doveva anche lasciare la propria scrivania ad una impiegata dell'università Bicocca; che dal febbraio 2018, in seguito alle rimostranze compiute, era stato trasferito in un locale sempre privo di finestre e ancor più angusto del precedente; che non gli erano state rese note tramite la casella e-mail aziendale i concorsi interni, tanto da averne avuto conoscenza solo attraverso alcuni colleghi. Ritualmente costituitasi in giudizio l'(...) XXIII ha contestato le domande attoree e ne ha chiesto il rigetto. In particolare, con riferimento agli aspetti organizzativi del reparto e gestionali del rapporto di lavoro controverso, la convenuta ha dedotto di aver puntualmente dato seguito alle segnalazioni circostanziate effettuate dal ricorrente onde comprendere le ragioni dei disguidi denunciati, da un lato coinvolgendo nelle attività istruttorie sul punto anche il ricorrente stesso, dall'altro sollecitando quest'ultimo a discutere di eventuali problematiche organizzative e relazionali con i diretti interessati; ha puntualizzato che la richiesta di destinare parte attorea a diverso reparto o servizio fu formulata dalla stessa sin da l 2014 e in tempi più recenti nel corso di un colloquio svoltosi con l'assistenza di due rappresentanti sindacali e a seguito del quale vennero assunte in via concordata anche le decisioni sulla organizzazione del reparti di pediatria e sulla fruizione del congedo (dapprima qualificato come ordinario e poi trasformato - su richiesta del lavoratore medesimo - in recupero ore); ha precisato che sul ricorrente non venne esercitata alcuna pressione per indurlo a modificare il giudizio espresso sul rendimento di due infermiere del reparto pediatria, ma che viceversa si aprì una procedura di confronto alla presenza di un soggetto terzo al precipuo fine di consentire alle lavoratrici interessate e al loro coordinatore di comprendere le rispettive posizioni e che il ricorrente acconsentì liberamente ad incrementare alcuni dei punteggi attribuiti a tali due infermiere; ha descritto le mansioni attribuite al ricorrente in seguito al trasferimento al nuovo incarico, evidenziando che esso ha gli ha consentito di avere una quotidiana interazione con docenti, studenti, con gli uffici formativi e direzionali e di ricevere l'incarico - dopo un percorso formativo durato circa quattro mesi - di svolgere attività tutoriale in quattro sedi e di definire gli obiettivi didattici; ha riferito che già dal dicembre 2017 il responsabile dell'unità organizzativa della formazione universitaria invitò il ricorrente a partecipare alla selezione per le posizioni organizzative. Istruita la causa con l'ammissione della prova testimoniale e disposta da ultimo la trattazione scritta della controversia ai sensi dell'art. 221, comma 4, L. n. 77 del 2020, all'udienza di discussione il Giudice ha assunto la causa in decisione, dando lettura del dispositivo e assumendo termine per il deposito delle motivazioni. MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorso non è fondato e non può pertanto essere accolto. Per una corretta disamina della questione oggetto del giudizio, appaiono necessarie alcune considerazioni di carattere generale sul concetto di mobbing e di straining e della relativa risarcibilità. Per mobbing (dall'inglese "to mob", cioè "attaccare", "aggredire") si intende, comunemente, una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio psicofisico e del complesso della sua personalità. Secondo i più consolidati approdi giurisprudenziali e dottrinali, ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio (cfr. Cass., n. 3785/2009). A metà strada tra il mobbing e il semplice stress occupazionale, si pone una condizione psicologica definita straining. Lo straining, dall'inglese "to strain", ha un significato molto simile a quello di "to stress", ossia "stringere, distorcere, mettere sotto pressione" e indica, infatti, una situazione di stress forzato sul posto di lavoro, in cui la vittima (il lavoratore), subisce da parte dell'aggressore (lo strainer, che solitamente è un superiore) almeno un'azione ostile e stressante, i cui effetti negativi sono di durata costante nel tempo. La vittima, inoltre, deve trovarsi in persistente inferiorità rispetto allo strainer, la cui azione viene diretta volontariamente contro una o più persone, sempre in maniera discriminante. Sul piano pratico lo straining si differenzia dal mobbing per il modo in cui è perpetrata l'azione vessatoria: per la configurazione di una fattispecie di mobbing è necessario che l'azione di molestia sia caratterizzata da una serie di condotte ostili, continue e frequenti nel tempo, che venga riscontrato un danno alla salute e, infine, che questo danno possa essere messo in relazione all'azione persecutoria svolta sul posto di lavoro; viceversa nello straining viene meno il carattere della continuità delle azioni vessatorie. Tale assunto è stato recentemente confermato dai giudici di legittimità, secondo i quali lo straining altro non è se non "una forma attenuata di mobbing nella quale non si riscontra il carattere della continuità delle azioni vessatorie" (Cass. n. 3291/2016 e Cass. n. 3977/2018); azioni non necessariamente associate ad un intento persecutorio (Cass. n. 18927/2016), ma intenzionale che, peraltro, ove si rivelino produttive di danno all'integrità psico-fisica del lavoratore, giustificano la pretesa risarcitoria fondata sull'art. 2087 c.c.. In altri termini, posto che la figura del mobbing e dello straining hanno rilevanza meramente descrittiva, il risarcimento del danno all'integrità psicofisica richiede l'accertamento della natura vessatoria anche di singoli comportamenti e pure in mancanza d'intento persecutorio. Nell'ipotesi in cui, come nella prospettazione del caso in esame, il lavoratore chieda il risarcimento del danno patito alla propria integrità psicofisica in conseguenza di una pluralità di comportamenti del datore di lavoro, di natura asseritamente vessatoria, onde valutare la ricorrenza di una fattispecie di straining si tratta di valutare se alcuni dei comportamenti denunciati - esaminati singolarmente ma sempre in sequenza causale, pur non essendo accomunati dal medesimo fine persecutorio - possano essere considerati vessatori e mortificanti per il lavoratore e, come tali, siano ascrivibili a responsabilità del datore di lavoro, che possa essere chiamato a risponderne, nei limiti dei danni a lui imputabili (cfr. Cass. n.15159/2019; Cass. n. 16256/2018; Cass. n. 3977/2018). Conseguentemente la nozione di straining, espressamente invocata dal ricorrente, avendo natura medico-legale, non riveste autonoma rilevanza ai fini giuridici, ma è utilizzata per identificare comportamenti che si pongano in contrasto con l'art. 2087 c.c. e con la normativa in materia di tutela della salute negli ambienti di lavoro (cfr.: Cass. 29 marzo 2018 n. 7844). Secondo la Suprema Corte, infatti, lo straining è una forma attenuata di mobbing che è configurabile quando vi siano comportamenti "stressogeni", scientemente attuati nei confronti di un dipendente, anche se manca la pluralità delle azioni vessatorie o esse siano limitate nel numero, ma comunque realizzino effetti dannosi all'interessato (così: Cass. n. 15159/2019 cit.). La giurisprudenza di merito ha altresì sottolineato come lo straining, a differenza del mobbing, si caratterizza per la particolare aggressività del comportamento attuato dal datore di lavoro, manifestata attraverso la repentinità o la natura eclatante dell'azione o insita nelle specifiche circostanze del demansionamento, ovvero nel concomitante verificarsi di altri atti volti ad isolare, anche dal punto di vista umano, il lavoratore. Tuttavia al pari del mobbing anche lo straining provoca al dipendente problemi di autostima e salute, turbative professionali e di serenità familiare, incidenti sulla sua qualità della vita. Entrambe le fattispecie, nel persistente vuoto normativo, sono tutelabili in virtù di quanto disposto dall'art. 2087 c.c., che, quale norma di chiusura del sistema antinfortunistico e suscettibile di interpretazione estensiva in ragione sia del rilievo costituzionale del diritto alla salute sia dei principi di correttezza e buona fede cui deve ispirarsi lo svolgimento del rapporto di lavoro, rappresenta strumento sanzionatorio atto a punire tutte quelle condotte del datore di lavoro capaci di ledere la personalità e la dignità del lavoratore. Ed infatti, ai sensi dell'art. 2087 c.c., il datore è tenuto ad astenersi da iniziative che possano ledere i diritti fondamentali del dipendente mediante l'adozione di condizioni lavorative "stressogene" ed a tal fine occorre valutare se, dagli elementi dedotti - per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, o altre circostanze del caso concreto - possa presuntivamente risalirsi al fatto ignoto dell'esistenza di questo più tenue danno. Il lavoratore che subisce una condotta mobbizzante, comportamenti vessatori, lesivi e persecutori, sia pure nella forma meno intensa dello straining, ha dunque diritto al risarcimento del danno biologico, ma è onerato dell'allegazione probatoria dei fatti nei quali si è estrinsecata la condotta datoriale e del nesso causale tra il comportamento tenuto dal datore di lavoro (o dai colleghi) ed il pregiudizio alla propria salute. In tema di responsabilità del datore di lavoro per mobbing o per straining, infatti, il lavoratore non è certo tenuto a dimostrare materialmente la colpa del titolare, ma è comunque soggetto all'onere di allegare e dimostrare l'esistenza del fatto materiale e delle regole di condotta che assume essere state violate, della nocività dell'ambiente di lavoro nonché il nesso eziologico tra la condotta del datore ed il pregiudizio all'integrità psicofisica che lamenta di aver sofferto (Cass. n. 13693/2015). Analogo ragionamento vale anche per le condotte demansionanti, di cui pure il ricorrente assume di essere stato vittima: "Quando il lavoratore alleghi un demansionamento riconducibile ad inesatto adempimento dell'obbligo gravante sul datore di lavoro ai sensi dell'art. 2103 c.c., è su quest'ultimo che incombe l'onere di provare l'esatto adempimento del suo obbligo: o attraverso la prova della mancanza in concreto del demansionamento, ovvero attraverso la prova che fosse giustificato dal legittimo esercizio dei poteri imprenditoriali o disciplinari oppure, in base all'art. 1218 c.c., a causa di un'impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile" (Cass. n. 17365/2018). Tenuto conto di quanto esposto, nel caso di specie gli esiti della istruttoria portano a ritenere non sussistente una responsabilità datoriale, risultando invece che il datore di lavoro - a fronte della situazione di difficoltà in cui si è trovato ad operare il ricorrente - abbia agito per tutelarne sia l'integrità psicofisica sia la professionalità, abbia cercato di attenuare le frizioni tra il ricorrente ed i colleghi ed abbia ricercato un diverso ambito di realizzazione professionale del proprio dipendente. Con riferimento alla asserito verificarsi nel reparto di pediatria di una situazione di ostracismo nei confronti del ricorrente, nato in concomitanza con l'elaborazione e la realizzazione del progetto "quasi a casa" e accresciutosi in seguito a varie denunce di disfunzioni organizzative e gestionali nell'ambito del reparto, le risultanze della istruttoria non hanno affatto confermato la tesi attorea, ma hanno viceversa delineato un ambiente in cui i vari operatori - pur rendendosi conto di una situazione di difficoltà personale del lavoratore - non ne hanno revocato in dubbio la professionalità, l'attitudine organizzativa e le capacità. In tal senso depongono innanzi tutto le dichiarazioni dei testi attorei, i quali - pur dando atto di aver riscontrato taluni problemi - hanno puntualizzato che essi non erano relativi "alla posizione del ricorrente" e che alcuno si era mai permesso di individuare la sua persona o il suo ruolo come problematico (cfr. dichiarazioni del teste (...) di cui al verbale di udienza del 5.4.2019), hanno confermato di non aver mai notato "in reparto alcuna ostilità nei confronti del ricorrente, non mi è parso che venisse escluso dal personale medico e che non fosse gradito, anzi" e, anche con riferimento al medico referente del progetto "qui a casa" hanno sottolineato che i rapporti con "la dott.ssa (...) erano normali rapporti di lavoro, non ho mai assistito a dispetti, non ho mai visto che si nascondevano le cose" (cfr. dichiarazioni del teste (...) di cui al verbale di udienza del 30.9.2020). Circa la percezione della figura del ricorrente nell'ambito del reparto di pediatria non giovano alla tesi attorea dell'avvenuta emarginazione, isolamento o quantomeno del diffondersi di un sentimento di disistima e di disprezzo neppure le dichiarazioni della teste (...), la quale - sebbene sia apparsa animata da un forte spirito di critica e di rivalsa nei confronti di taluni infermieri e responsabili amministrativi addetti al reparto o con esso operanti - non ha enucleato nelle proprie dichiarazioni alcun elemento di fatto idoneo a far emergere episodi di vessazione, di esclusione, di ghettizzazione, di sfiducia o di discredito del ricorrente. In particolare, sebbene la teste abbia confermato che nell'ambito del reparto pediatria si verificarono alcuni episodi di disorganizzazione a scapito dei pazienti, la stessa ha precisato che tali episodi riguardano da un canto l'avvenuta consegna di un farmaco ad una paziente e la richiesta di chiarimenti da parte dell'infermiera (...) e i dottori (...) e (...) circa la necessità di informare il coordinatore di tale consegna, dall'altro la mancata predisposizione della cartella di un paziente del day hospital e non ha enucleato però alcun episodio di discredito o di tentativo di isolamento del ricorrente (cfr. dichiarazioni di (...) di cui al verbale di udienza del 6.11.2019). Anche la tesi della imposizione delle ferie o del recupero delle ore eccedenti non trova invero riscontro negli esiti della istruttoria. Se da un lato il verbale dell'incontro del 9.10.2017, nel quale è attestato che parte attore assentì alla richiesta datoriale di fruire di ulteriori 15 giorni di ferie rispetto ai due già programmati, non costituisce piena prova poiché priva della sottoscrizione dei partecipanti alla riunione (cfr. doc. 3 fasc. conv.), in tal senso depongono le dichiarazioni dei testi (...) e (...), le quali illustrano le ragioni di tale richiesta evidenziando che, in accoglimento della richiesta di trasferimento ad altro reparto, l'ente datoriale avrebbe ricercato un altro incarico di coordinamento da attribuire al lavoratore (cfr. verbali di udienza del 5.4.2019 e del 6.11.2019). Ancora, risulta smentita anche la tesi secondo la quale lo svilimento della professionalità perpetrato dall'Azienda convenuta diverrebbe manifesto in considerazione delle mansioni attribuite a parte attorea presso la nuova unità organizzativa di assegnazione e della particolare collocazione del suo nuovo ufficio in seguito al trasferimento presso l'unità organizzativa della formazione. Dalle dichiarazioni della teste (...) è emerso che le strutture della formazione sono state "progettate" dopo la costruzione dell'ospedale e che i relativi spazi sono stati ricavati in modo da essere visibili, in prossimità del c.u.p., e sono situati nella parte interna del padiglione, cosicché anche la stessa teste aveva a sua disposizione solo un ufficio privo di finestre e di illuminazione naturale (cfr. verbale di udienza del 30.9.2020; nel senso prospettato depongono anche le circostanze riferite dal teste (...) di cui al medesimo verbale di udienza). Circa l'avvenuto demansionamento in seguito all'assegnazione presso l'unità operativa della formazione, invece, la medesima teste (...) ha illustrato le modalità attraverso le quali ha inteso utilizzare e sviluppare le competenze organizzative e tecniche già possedute dal ricorrente al momento dell'assegnazione al nuovo incarico e come si sia prodigata anche per garantirgli l'accrescimento professionale, mediante l'attribuzione del ruolo di tutor nell'ambito del corso di laurea in scienze infermieristiche e con l'assegnazione di compiti e mansioni di organizzazione e di controllo confacenti rispetto al livello D di inquadramento (in relazione al quale invero parte attorea non ha mai specificato le ragioni per cui le mansioni attribuite nell'ambito dell'unità operativa della formazione sarebbero inferiori rispetto a quelle in precedenza svolte presso la pediatria). Inoltre non si ravvisa alcun illegittimo esercizio del potere datoriale nella scelta della capo area (...) di procedere ad un confronto dialettico tra il ricorrente, nella sua veste di coordinatore del personale infermieristico, e due infermiere ((...) e (...)) in merito alla valutazione compiuta dal primo. Come emerso in sede istruttoria tale contraddittorio fu proposto dal capo area (...) in considerazione delle difficoltà relazionali che riguardavano parte del personale infermieristico e fu svolto senza esercizio di alcun tipo di pressione e senza imposizione di sorta sugli esiti della valutazione. Il teste (...) a tal proposito ha evidenziato che: "il momento della valutazione del personale infermieristico è un momento importante, perché in quel momento si restituisce il riscontro di un anno di lavoro; nel 2017 le infermiere (...) e (...) si lamentarono con me, la (...) perché la valutazione era stata data in tre minuti in modo molto spiccia e non chiara e senza capire cosa fosse stato detto; la (...) si lamentò del voto ottenuto e si lamentò del fatto che la valutazione gli era stata data solo l'ultimo giorno prima delle ferie ed era più bassa degli anni precedenti. Ricevute le segnalazioni delle infermiere, io ho convocato il ricorrente per chiarire gli aspetti delle valutazioni e, d'accordo con lui, abbiamo scelto di convocare anche le due infermiere e lui addirittura ne chiamò una per telefono. Insomma comparvero tutti e tre insieme davanti a me e lì condividemmo gli aspetti della valutazione, che spetta sempre e comunque al coordinatore e non a me. In quell'occasione, per aiutare le parti coinvolte a contestualizzare la valutazione e per essere neutrale, io aprii le valutazioni e le rilessi con il ricorrente e una infermiera per volta e, in relazione ai 4 item di valutazione contestati per ciascuna infermiere, ci fu un confronto tra le infermiere e il ricorrente, ma lui non in quell'occasione non disse molto, mentre le infermiere sottolineavano la loro condotta per conseguire un punteggio più alto; nel confronto dialettico con tutte le parti, decidemmo d'accordo con M. di alzare la valutazione di due item per le infermiere e di mantenere invariati gli altri due item, su un totale di 12 item; all'esito della riunione, per rendere più agevole il flusso di comunicazione, io inviai al ricorrente il file con la nuova valutazione e nel ricevere la mail, lui non manifestò alcuna contrarietà rispetto alle nuove valutazioni fatte in mia presenza. Preciso che in questa occasione io cercai di essere neutrale, appunto perché la valutazione non è di mia competenza e cercai solo di instaurare un confronto collaborativo tra il coordinatore e le infermiere valutate" (cfr. verbale di udienza del 6.11.2019). In definitiva, all'esito della istruttoria documentale e testimoniale, le tesi attoree non risultano affatto provate e i fatti enucleati in ricorso come sintomatici del mobbing o quantomeno dello straining non sono affatto emersi, considerato che tutti i testi hanno invero confermato che nel reparto di pediatria ove il ricorrente operava come coordinatore era diffuso e condiviso nei suoi confronti un sentimento di stima e di rispetto. La circostanza che il ricorrente abbia avuto uno screzio con l'infermiera (...) (confermata da tutti i testi e descritta più nel dettaglio dal teste attoreo (...), che ha dato atto di aver assistito ad un episodio in cui, pur non comprendendone le ragioni, vide "l'infermiera (...) che urlava" in un confronto con il ricorrente) e che in seguito ad esso abbia avvertito un generale mancato adeguato riconoscimento del suo lavoro, dell'impegno profusovi, della disponibilità sempre offerta non ha appunto trovato riscontro, tanto che gli stessi testi attorei hanno confermato che "Dopo l'episodio con l'infermiera (...) mi accorsi che il ricorrente stava male; lui in genere era molto presente e molto collaborante e in quel periodo invece era molto distrutto. Dopo il medesimo episodio si capiva in reparto che il ricorrente non poteva stare più al suo posto di lavoro, in reparto noi o.s.s. e gli infermieri lo avevamo percepito, ma nessuno diceva nulla e continuavamo a lavorare tranquilli. (...) svolgeva sempre la sua attività e non mancava mai, ma dopo l'episodio con la (...) in reparto tra il personale infermieristico, noi o.s.s. e il personale medico i rapporti continuarono normalmente con le stesse modalità con cui continuavano a lavorare in precedenza" (cfr. dichiarazioni di (...) di cui al verbale di udienza del 30.9.2020). Anche la dedotta ritorsione subita per effetto delle segnalazioni delle disfunzioni gestionali e organizzative verificatesi in reparto è rimasta priva di oggettiva prova, essendo invece emerso che in seguito ad esse parte attorea venne coinvolta nel procedimento per la rettifica di tali disfunzioni e vi si sottrasse: "Anche le denunce che lui presentò e che portarono ad ispezioni dei Nas e della Ats non portarono rilievi rispetto agli episodi denunciati. ... In relazione agli episodi organizzativi che avevano creato problemi, ricordo l'episodio di un agenda che aveva creato questioni su aspetti concernenti l' esecuzione di un non giusto programma, in quell'occasione io chiesi al ricorrente di fare un approfondimento per verificare se c'erano problemi tecnici ma alla fine ho dovuto organizzare io un incontro con la direzione medica per capire se questo tipo di agenda poteva essere gestita diversamente e i problemi sono stati risolti con l'introduzione di una nuova agenda tanto che non ne sono stati più segnalati" (cfr. dichiarazioni di (...) di cui al verbale di udienza del 5.4.2019). Alla luce di tutto quanto esposto, dunque, è evidente come non sia ravvisabile alcuno dei requisiti al quale la giurisprudenza di legittimità riconduce l'accertamento dello straining, posto che non sono stati minimamente dimostrati dal lavoratore (su cui incombe il relativo onere) né la valenza quale fonte di stress dei comportamenti posti in essere dal datore di lavoro, né che tali condotte siano state scientemente attuate nei suoi confronti. Il ricorso deve pertanto essere integralmente rigettato. Tenuto conto della particolarità della questione affrontata, le spese del giudizio vengono integralmente compensate tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - Rigetta il ricorso; - Compensa integralmente tra le parti le spese di lite; - Fissa in sessanta giorni il termine per il deposito delle motivazioni. Così deciso in Bergamo il 29 giugno 2022. Depositata in Cancelleria il 3 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. SCARCELLA Alessio - rel. Consigliere Dott. REYNAUD Gianni Filippo - Consigliere Dott. MENGONI Enrico - Consigliere Dott. ZUNICA Fabio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 05/04/2022 della CORTE APPELLO di FIRENZE; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. SCARCELLA ALESSIO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BALDI FULVIO che, riportandosi alle conclusioni gia' depositate, ha chiesto che venga annullato con rinvio alla Corte di Appello di Firenze il provvedimento impugnato; uditi i difensori: a) Avv. (OMISSIS) in difesa della parte civile (OMISSIS), che si e' riportato alle conclusioni scritte, che deposita unitamente alla nota spese e al decreto di ammissione al gratuito patrocinio; b) Avv. (OMISSIS) in difesa della parte civile Comune di (OMISSIS), che si e' riportata alle conclusioni scritte che deposita unitamente alla nota spese; c) Avv. (OMISSIS), per l'Avvocatura Generale dello Stato in difesa della parte civile Ministero della Difesa - Comando Generale dell'Arma dei CARABINIERI, che si e' riportato alle conclusioni scritte, che deposita unitamente alla nota spese; d) Avv. (OMISSIS), nell'interesse del ricorrente, al termine del proprio intervento, ha insistito nell'accoglimento del ricorso; e) Avv. (OMISSIS), sempre nell'interesse del ricorrente, al termine del proprio intervento, ha insistito nell'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza 5 aprile 2022 la Corte d'appello di Firenze, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Firenze in data 21 febbraio 2020, con cui l'imputato (OMISSIS) era stato condannato alla pena principale di anni cinque e mesi sei di reclusione, ha ridotto la pena finale ad anni quattro di reclusione, riconoscendo le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti contestate, confermando le statuizioni civili, e revocato la pena dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici a suo carico sostituendola con l'interdizione temporanea per la durata di anni 5, con liquidazione del risarcimento in favore delle p.o. costituite. Il fatto per cui si e' proceduto e' per il quale e' intervenuta condanna e' relativo al seguente reato: del delitto p. e p. dall'articolo 609 bis c.p., comma 1 e comma 2, n. 1, articolo 61 c.p., n. 9, perche', approfittando delle condizioni psicofisiche di (OMISSIS), che si trovava in stato di ebbrezza alcolica - pari a 1,59 Hg/L, nella misurazione delle ore 06,51 - con violenza, consistita nel penetrarla in vagina agendo in modo repentino ed inaspettato mentre la baciava all'interno dell'androne e dell'ascensore del palazzo di (OMISSIS), nonostante il suo diniego, violenza che cagionava alla stessa anche lesioni personali come documentate nei referti ospedalieri - dopo averla ospitata illegittimamente a bordo della autovettura di servizio FIAT Bravo con i colori di Istituto tg. (OMISSIS) insieme a (OMISSIS) - costringeva (OMISSIS) a subire atti sessuali consistiti in penetrazione vaginale. Con l'aggravante di aver agito abusando della propria qualita' di Carabiniere scelto dei C.C. in servizi al Nucleo Radiomobile della Compagnia dei C.C. di (OMISSIS) e con violazione dei doveri connessi al suo servizio ed all'ordine di servizio impartitogli dai suoi superiori. Fatto commesso in (OMISSIS). L'imputazione e' stata cosi' modificata all'udienza preliminare del 12.07.2018, successivamente allo svolgimento dell'incidente probatorio. Prima di tale udienza, il PM aveva contestato al (OMISSIS) l'ipotesi di violenza sessuale "induttiva"; nel corso dell'udienza preliminare ha invece modificato il capo di imputazione passando alla violenza sessuale "costrittiva" a seguito delle dichiarazioni rese dalla p.o. per cui, all'epoca dei fatti, avrebbe manifestato il suo dissenso al compimento dell'atto sessuale. 2. Avverso la sentenza impugnata nel presente procedimento, il predetto propone ricorso per cassazione tramite i propri difensore di fiducia, deducendo complessivamente nove motivi, di seguito sommariamente indicati. 3. Ricorso Avv. (OMISSIS) ed Avv. (OMISSIS), con cui si articolano cinque motivi. 3.1. Deduce, con il primo motivo di ricorso, il vizio di manifesta illogicita' della motivazione, anche per travisamento della prova, con riferimento alle dichiarazioni testimoniali rese dalla PO in incidente probatorio ed aventi ad oggetto la mancata espressione del dissenso al rapporto sessuale. 3.1.1. In sintesi, premessa una breve ricostruzione dei fatti e richiamando la doglianza sollevata con l'atto di appello, la difesa evidenziava, anche in questa sede, come non sia apprezzabile la ricostruzione fornita dal Tribunale e condivisa dalla Corte d'appello, per cui nella prima fase, corrispondente al bacio, si affermava pacificamente la consensualita' dei fatti escludendo la condizione di inferiorita'-psicofisica che, invece, veniva ritenuta sussistente nella seconda fase della progressione criminosa, caratterizzata dai toccamenti sotto gli abiti e nelle parti intime ed infine, nella terza fase in cui invece, la persona offesa avrebbe manifestato apertamente il suo dissenso. La ricostruzione non sarebbe condivisibile poiche' omette di considerare le dichiarazioni in cui la vittima affermava di non aver mai parlato con l'imputato, tanto che alla domanda della difesa se avesse detto al (OMISSIS) di non voler fare sesso con lui, il giudice ha ritenuto inammissibile la richiesta in virtu' delle precedenti affermazioni per cui la ragazza non si ricordava di averci parlato. Nell'atto di appello era stata evidenziata la contraddittorieta' delle dichiarazioni laddove in un primo momento la (OMISSIS) affermava di essersi sentita indifesa e di non aver avuto la forza di dire o fare qualcosa ed invece, dopo, rispetto alla richiesta del rapporto orale avanzatale dal (OMISSIS), avrebbe affermato di aver detto di no. Tuttavia, le Corti di merito avrebbero scelto di considerare e valorizzare solo quest'ultime, ignorando invece le dichiarazioni con cui la stessa p.o. aveva affermato di non ricordare neppure di aver parlato con l'imputato e di non aver comunque espresso in alcun modo il proprio dissenso incorrendo quindi nel travisamento della prova per omissione. 3.1.2. Le dichiarazioni omesse sarebbero state decisive poiche' il Tribunale motivava la colpevolezza dell'imputato per il reato di violenza sessuale per costrizione proprio sulle affermazioni della p.o. con cui aveva detto di no alla richiesta del rapporto sessuale di tipo orale rilevando, invece, che la lieve disepitelizzazione rilevata in prossimita' della forchetta non potesse essere considerata quale prova della violenza sessuale, ma solo come una forma di riscontro alle dichiarazioni della p.o.. La Corte territoriale, invece, avrebbe confermato la condotta costrittiva sia sulla scorta delle dichiarazioni del dissenso della p.o. sia per la disepitelizzazione incorrendo, anche in questo secondo caso, in una motivazione illogica nonche' nel travisamento probatorio: la prima perche' la disepitalizzazione potrebbe anche non dipendere dalla violenza, il secondo per le conclusioni della CT ginecologica del PM per cui era solamente "ragionevole pensare", compatibilmente con il racconto della vittima, che la causa fosse la violenza. Analogamente, non sarebbe indice di costrizione nemmeno il sanguinamento della cervice poiche', per stessa ammissione della vittima, le capitava spesso anche dopo i rapporti con il proprio fidanzato. Quindi se la disepitelizzazione in prossimita' della forchetta e' compatibile con un rapporto non consensuale ma anche con un rapporto consensuale allora non sarebbe potuta considerare come traccia o come riscontro di alcunche', se non del rapporto sessuale consensuale fin dall'inizio descritto dall'imputato. 3.2. Con il secondo motivo di ricorso, deduce il vizio di manifesta illogicita' dell'impianto motivazionale, anche per violazione del divieto di doppia presunzione, laddove si sono considerate riscontrate tanto le dichiarazioni con cui la p.o. aveva affermato di aver espresso un dissenso alla richiesta di un rapporto sessuale di tipo orale e, piu' in generale, la costrizione di inferiorita' psichica della stessa p.o., anche tramite un procedimento inferenziale basato su congetture invece che su fatti ontologicamente certi che e' stato oggetto di impugnazione e sul quale vi e' stata carenza assoluta di motivazione. 3.2.1. Nelle sentenze del Tribunale e della Corte d'appello di Firenze si legge che la lieve disepitelizzazione rilevata rappresenterebbe rispettivamente il riscontro delle dichiarazioni della p.o. e la traccia di una costrizione al rapporto sessuale. Nell'atto di appello era stato gia' lamentato che i giudici, sebbene non sia stato riportato in sentenza, fossero pervenuti alle proprie conclusioni sulla base di un ragionamento logico induttivo che viola i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimita' (Cass., Sez. 5 n. 28559 del 14/09/2020; Sez. 1, n. 4434 del 6/11/2013 dep. 2014, Rv. 259138.). Invero, muovendo dalla disepitelizzazione, per inferenza probabilistica, avrebbero indotto una mancanza di lubrificazione dell'organo genitale della stessa p.o. al momento del rapporto sessuale, un dato che in realta' sarebbe frutto solamente di una mera congettura dei giudicanti poiche' si potrebbe trattare di lesioni da attrito - peraltro come definite dalle CC.TT. ginecologiche e medico legali del PM - causate anche dai toccamenti delle parti intime con le mani avvenuti nella fase preliminare del rapporto. Dalla mancata lubrificazione, con un ulteriore ragionamento inferenziale, giungono poi ad affermare che la p.o. non fosse consenziente poiche' non lubrificata. In realta', la mancata lubrificazione, sebbene non sia un dato certo e per questo rende l'iter motivazionale manifestamente illogico e illegittimo per violazione della disposizione di cui all'articolo 192 c.p.p., potrebbe essere stata determinata da molte ragioni diverse dalla mancanza di desiderio o di consenso (umore, stanchezza, periodo del mese, produzione ormonale, l'assunzione di alcool etc..). L'unico fatto riscontrabile dalla disepitelizzazione sarebbe il rapporto sessuale consensuale avvenuto tra la (OMISSIS) e il (OMISSIS) e determinante, anche in questo caso, e' il travisamento probatorio delle dichiarazioni della p.o. lamentato con il motivo precedente. 3.2.2. La difesa prosegue nel segnalare un'altra violazione del divieto di doppia presunzione relativamente alla ricostruzione dello stato di ebbrezza e quindi della condizione di inferiorita' psicofisica della vittima alla quale si perviene ricostruendo a ritroso l'alcolemia della p.o. al momento dei fatti, partendo dall'alcolemia rilevata alle 7.00 del mattino ed applicando la curva di Widmark, per cui ogni essere umano elimina circa 0,2 grammi di alcool per litro di sangue ogni ora. Il dato ottenuto viene considerato come indizio certo. In realta', si sarebbe dovuto tener conto in primo luogo dell'influenza che le caratteristiche soggettive hanno sulla fase di assorbimento ed in secondo luogo della circostanza per cui tra la fase di assorbimento e la fase di eliminazione vi e' un'ulteriore fase, di durata variabile, di c.d. "distribuzione" in cui la concentrazione di alcool nel sangue resta ferma. La curva di Widmarck non sarebbe stata applicabile al caso di specie perche' non era possibile affermare con certezza che al momento del rapporto sessuale la p.o. fosse gia' in fase di eliminazione dell'alcool dall'organismo, certezza che si avrebbe avuta - come precisato dal CT farmacologo della difesa - solo se all'ora dei fatti, fossero trascorse almeno due ore dall'assunzione di alcool. Anche la C.T. tossicologica del P.M. avrebbe escluso l'applicabilita' della curva perche' rappresenta un valore teorico e contestualmente avrebbe riconosciuto validita' alla ricerca di Alan Wayne Jones che ha provato come l'arco temporale necessario per raggiungere il picco ematico, e cioe' il massimo livello di concentrazione di alcool nel sangue in quattro soggetti su nove utilizzati aveva impiegato almeno due ore; ha dimostrato altresi' come il tempo di assorbimento dell'alcool era inversamente proporzionale al quantitativo di alcool somministrato: a maggiore quantitativo di etanolo ingerito corrispondeva un tempo minore per il raggiungimento del picco. Ad ogni modo il problema si concentrerebbe sull'ora in cui sono stati fatti i due prelievi la cui determinazione temporale e' incerta nella sentenza di primo grado - tanto che si ipotizza che si possa trattare di un solo prelievo effettuato -, mentre nella sentenza di secondo grado si afferma che sono stati due i prelievi fatti e da qui il travisamento probatorio in cui incorre il Giudice perche', sebbene fatti in un due momenti diversi, conducono allo stesso risultato. La vittima, quindi, non era in fase di eliminazione dell'alcol gia' la mattina, quindi tantomeno poteva esserlo al momento di fatti. La curva di Widmarck quindi non sarebbe stata applicabile e conseguentemente la Corte violerebbe di nuovo il divieto di doppia presunzione perche' riconduce la condizione di inferiorita' psicofisica della persona offesa, partendo da un primo dato puramente incerto consistente nell'alcolemia delle prime ore del giorno. Al contrario, i giudici di merito avrebbero dovuto rilevare come, al momento dei fatti, la persona offesa non fosse in uno stato di significativa alterazione da alcool proprio dalla scansione temporale fornita dal tribunale perche', se il bacio era lecito perche' la (OMISSIS) e' stata ritenuta in condizioni di esprimere un valido consenso, non si comprende come immediatamente dopo perda questa lucidita', tanto che la Corte d'appello contraddice la sentenza di primo grado dicendo che il Tribunale si sarebbe pronunciato astraendosi dalla realta' fattuale. Una realta' fattuale che potrebbe solo suggerire, essendo il bacio perfettamente lecito, la consensualita' del rapporto sessuale che ne segui' senza soluzione di continuita'. 3.2.3. Continua ancora la difesa affermando che non puo' essere considerato indice dell'alterazione della p.o. la stanchezza lamentata perche' anche le sere precedenti era uscita, bevuto alcolici e fatto tardi e cio' nonostante la mattina si era comunque alzata presto per frequentare le lezioni. Deporrebbe ancora a favore della ricostruzione fornita dall'imputato il fatto che, non appena rientrata a casa dopo l'ipotetica violenza subita, la (OMISSIS) si sarebbe distesa sul divano prima di chiamare personalmente il 113 o ancora il fatto per cui la persona offesa riesce a salire al secondo piano dopo l'arrivo dei poliziotti insieme alle coinquiline. Verserebbe ancora in un travisamento probatorio la sentenza impugnata laddove trascura di considerare le testimonianze di alcuni medici del pronto soccorso che hanno riferito di non ricordare alcun comportamento della vittima quale indice dello stato di ebrezza e di aver diagnosticato l'etilismo acuto unicamente in base ai risultati dell'esame tossicologico e non deporrebbe nemmeno a favore dello stato di ebrezza il video della ragazza in discoteca perche' non e' stato visionato da nessuno dei consulenti tecnici dell'accusa ma solo dal consulente tecnico della difesa, il quale ha escluso che la (OMISSIS) fosse in uno stato di ebbrezza tale da veder compromesse le proprie facolta' di giudizio. Alla luce di tutte queste divergenti risultanze, appare manifestamente illogico oltreche' illegittimo il fatto che il Tribunale prima e la Corte d'appello poi, sostituendosi al consulente tecnico, siano giunti ad affermare l'ubriachezza della vittima al momento del rapporto sessuale e con quella la condizione di inferiorita' psicofisica della stessa. 3.3. Con il terzo motivo, si deduce il vizio di violazione delle norme processuali stabilite a pena di nullita' di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), con riferimento all'articolo 521 c.p.p. e articolo 6 CEDU. Il ricorrente lamenta che la Corte d'Appello di Firenze ha ritenuto legittima la condanna dell'imputato per il reato di violenza sessuale per induzione di cui all'articolo 609-bis c.p., comma 2, n. 1, sebbene l'imputazione descrivesse unicamente un fatto di violenza sessuale per costrizione di cui all'articolo 609-bis c.p., comma 1 a seguito della modifica operata da parte del Pubblico Ministero. Infatti, la rimozione nell'imputazione del verbo "induceva" e la presenza del solo riferimento all'approfittamento dello stato di ebbrezza, lasciano intendere che all'imputato sia stato contestato unicamente il fatto di violenza sessuale per costrizione aggravato dalla c.d. minorata difesa di cui all'articolo 61 c.p., n. 5. In tal senso, del tutto irrilevante risulta il fatto che nell'imputazione sia rimasto il riferimento all'articolo 609-bis c.p., comma 2, n. 1. A dire della difesa, infatti, qualora il Pubblico Ministero avesse voluto contestare all'imputato entrambe le fattispecie di reato, avrebbe dovuto utilizzare entrambi i verbi "induceva" e "costringeva" in modo da garantire un'enunciazione in forma chiara e precisa del fatto. Ne consegue che, a differenza di quanto sostenuto dalla Corte Territoriale, l'imputato, a seguito della modifica dell'imputazione, non e' stato messo nella condizione di difendersi anche in relazione alla fattispecie induttiva. Infatti, il ricorrente evidenzia come sia possibile apprezzare sostanziali differenze tra le due fattispecie di reato, tali da condizionare l'azione difensiva stessa. Nel caso di violenza sessuale per costrizione aggravata ex articolo 61 c.p., n. 5, l'imputato ha l'onere di difendersi dall'accusa di aver costretto la vittima a subire un rapporto non consensuale, approfittando dell'ubriachezza di lei. Al contrario, nel diverso caso di violenza sessuale per induzione l'imputato e' accusato di aver indotto la persona offesa a compiere un atto sessuale consensuale, sebbene connotato da un consenso invalido in quanto indotto abusivamente. Da cio' discende che l'imputato e' chiamato a difendersi su profili diversi a seconda della fattispecie contestata. Orbene, nel caso di specie, si sottolinea come l'incidente probatorio e il dibattimento si siano celebrati in relazione ad imputazioni aventi ad oggetto reati diversi. Al momento dell'incidente probatorio all'imputato era addebitato unicamente il reato di violenza sessuale per induzione; successivamente, in fase dibattimentale, a seguito della modifica dell'imputazione, il reato ascritto all'imputato era quello di violenza sessuale per costrizione. Inoltre, la difesa ritiene di non condividere quanto affermato dalla Corte d'Appello di Firenze, la quale ha evidenziato come l'incidente probatorio e il dibattimento avrebbero parcellizzato tutte le fasi della condotta e che tutte le domande possibili fossero state poste proprio in sede di incidente probatorio. Alla luce di tali osservazioni, secondo il ricorrente sarebbe stato violato il principio di correlazione tra accusa e sentenza. 3.4. Con il quarto motivo, si deduce vizio di mancata assunzione di prova decisiva e violazione delle norme processuali di cui agli articoli 190, 190-bis, 495 c.p.p. e articolo 6, par. 3 CEDU, in quanto la Corte d'Appello di Firenze ha ritenuto legittima l'ordinanza del Tribunale di Firenze emessa in data 2.10.2019 con cui era stata rigettata la richiesta di nuova audizione della persona offesa e della teste (OMISSIS), avanzata in considerazione dell'intervenuta modifica dell'imputazione rispetto all'incidente probatorio. A dire del ricorrente, tale diniego avrebbe determinato una lesione del diritto di difesa. Infatti, con la modifica dell'imputazione non e' intervenuta soltanto una riqualificazione giuridica del reato, bensi' e' stato contestato un fatto di reato i cui elementi costitutivi risultano diversi rispetto alla fattispecie induttiva. In tal senso, infatti, rileva che nel caso di specie opererebbe l'articolo 190-bis c.p.p. il quale consente l'esame dibattimentale della persona offesa in condizioni di particolare vulnerabilita' che abbia gia' reso dichiarazioni in sede di incidente probatorio nel caso in cui riguardi fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni ovvero se il giudice o taluna delle parti lo ritengono necessario sulla base di specifiche esigenze. In tal senso, a differenza di quanto sostenuto dai giudici di merito, l'esame avrebbe avuto ad oggetto elementi nuovi e diversi in ragione della diversita' degli elementi costitutivi della violenza sessuale per costrizione, contestata all'imputato successivamente alla celebrazione dell'incidente probatorio. Inoltre, il ricorrente evidenzia che non e' compito del giudice verificare se i richiamati elementi fattuali siano stati presi in considerazione nel corso dell'incidente probatorio e, in particolare, se essi abbiano costituito oggetto di specifiche domande da parte dell'imputato. Sul punto, richiamando anche la giurisprudenza sovranazionale, il ricorrente rileva che l'esercizio del diritto di difesa deve essere garantito concretamente ed effettivamente tramite un contraddittorio ed un diritto alla prova assicurati su ogni singolo aspetto dell'imputazione. In tal senso, i giudici di merito avrebbero dovuto limitarsi a ritenere verosimile che, a fronte della nuova contestazione, la difesa volesse chiarire elementi non ancora trattati e approfondire con ulteriori domande quelli gia' trattati. 3.5. Con il quinto e ultimo motivo, si deduce nuovamente il vizio di motivazione della pronuncia impugnata, anche per travisamento della prova, laddove la Corte d'appello ha ritenuto corretta la ricostruzione cronologica operata dal Tribunale malgrado l'insanabile contrasto con i dati temporali obiettivi a disposizione. 3.5.1. In sintesi, la difesa, richiamata la ricostruzione fornita dalla Corte d'appello sulla base dei quattro dati temporali noti (arrivo dell'auto dei Carabinieri in (OMISSIS) alle ore 3:15; registrazione del numero di telefono del (OMISSIS) sul cellulare della (OMISSIS) alle ore 3:21':27", realizzazione del brevissimo video ritraente il Carabiniere (OMISSIS) da parte della (OMISSIS) alle ore 3:23':55", ripresa della vettura dei Carabinieri inquadrata dalle telecamere comunali in Via (OMISSIS) a circa 200 mt da (OMISSIS) alle ore 3:31':46"), la stessa viene contestata poiche' il rapporto sessuale lascerebbe allo svolgimento del rapporto sessuale soli due minuti dovendo considerare che in quei sette minuti (tra le 3:24 e la 3:31) la (OMISSIS) sarebbe entrata in ascensore, vi sarebbe stata la violenza, con tanto di toccamenti preliminari, poi l'ascensore sarebbe risalito e i due carabinieri avrebbero sceso le scale per portarsi nuovamente al pian terreno per uscire e prendere la vettura ed essere ripresi alle 3:31 dalle telecamere comunali. Una simile ricostruzione sarebbe manifestamente illogica, anche per travisamento della prova, laddove sostiene che il rapporto tra l'imputato e la p.o. sarebbe durato 5 minuti (dalle 3:25 alle 3:30). L'unica ricostruzione possibile, alla luce delle risultanze probatorie, sarebbe stata pertanto quella offerta dal prevenuto ma disattesa dalle Corti di merito, per cui il rapporto sarebbe avvenuto prima delle 3:24 e quindi prima della realizzazione del video. Tesi che troverebbe riscontro, oltre che nella sua intrinseca tenuta logica alla luce dei dati temporali considerati, anche nell'annotazione di servizio, acquisita in atti, in cui e' emerso come il telefono della signora (OMISSIS) abbia agganciato la rete WI-FI del suo appartamento alle ore 3:18 - travisata anch'essa dai giudici di prime e seconde cure - che dimostrerebbe come la p.o. fosse, gia' a quell'ora, sul pianerottolo del secondo piano dello stabile o, al piu', al primo. 3.5.2. Infine, la difesa sottolinea la divergenza emersa nelle sentenze rispetto alle dichiarazioni rese dalla vittima sentita a SIT in cui affermava "di essere sicura di essere salita per le scale" per poi ritrattare in sede di incidente probatorio poiche', seppur confusa, le sembrava di aver preso l'ascensore. A fronte della contestazione sul punto della difesa, il GIP riteneva di non ammettere l'opposizione tenuto conto del fatto per cui la teste si sarebbe espressa in termini dubitativi sia in seno all'incidente probatorio che in sede di SIT. Ad ogni modo, queste affermazioni venivano comunque a conoscenza dei giudicanti i quali estrapolavano le effettive parole utilizzate fino a depurarle di quella profonda incertezza che le aveva caratterizzate, tanto che la Corte d'Appello avrebbe utilizzato il passaggio dell'incidente probatorio per rilevare un contrasto tra la versione dell'imputato e quella resa dalla persona offesa. Un contrasto effettivamente esistente ma che avrebbe dovuto essere risolto, secondo la difesa, a favore dell'imputato. In ultimo, la salita per le scale da parte della p.o. unitamente all'aver agganciato il suo telefono alla rete Wi-Fi della propria abitazione, dimostrerebbe che la (OMISSIS) e il Carabiniere (OMISSIS) siano saliti insieme, conferendo coerenza logica ai fatti. Diversamente, ove si ritenesse che il breve video precedesse il rapporto sessuale non si capirebbe cosa avrebbero fatto i quattro nei minuti compresi tra le 3:18 e le 3:24. 4. Ricorso Avv. (OMISSIS), con cui si deducono quattro motivi. 4.1. Con il primo motivo, si deduce il vizio di violazione di legge per erronea applicazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 2, articolo 533 c.p.p. e articolo 609-bis c.p., commi 1 e 2, e correlato vizio di carenza ed illogicita' della motivazione desumibile dal testo stesso del provvedimento impugnato. In particolare, si rappresenta che gli elementi probatori che lo stesso provvedimento valorizza e che attesterebbero una ipotetica cesura (in particolare, "tra il voluto ed il subito che rappresenta il confine tra il lecito e l'illecito in un approccio sessuale", a pag. 19 sentenza Corte di appello di Firenze) risultassero invece del tutto inidonei a provarla, anche se "non ovviamente nel senso di una loro carenza di forza probante" (ibidem, ricorso per cassazione): in particolare, in una prospettiva di legittimita', la motivazione risulterebbe, al di la' del dato apparente, ed anche in violazione di quanto disposto dall'articolo 546 c.p.p., priva della indicazione di compiuti mezzi di prova idonei a rappresentare la sussistenza della violenza, che, inaspettatamente, subito dopo una comunione di intenti, il soggetto attivo del reato avrebbe posto in essere per pochi fatali momenti. Nello specifico, la Corte di appello di Firenze rappresentava come l'unica fonte di prova allora direttamente rappresentativa dei frangenti in cui (in ipotesi d'accusa) dalle effusioni sessuali la vicenda sarebbe degenerata in una consumata violenza sessuale, discenderebbe dal narrato, reso in interrogatorio in fase di indagine ed attraverso spontanee dichiarazioni nel corso del giudizio, proprio da parte dell'imputato (OMISSIS). Secondo la prospettazione difensiva, invece, le dichiarazioni dell'imputato (OMISSIS) sarebbero le "uniche emergenze probatorie che descrivono compiutamente quanto sarebbe accaduto" e che "rappresentano direttamente l'esistenza di un rapporto sessuale", limitandosi a sottolineare che tra l'imputato e la (OMISSIS) vi fosse stato un approccio, teso alla conoscenza tra i due, quantomeno, "se non cercato dalla donna, determinato da un interesse reciproco" (pag. 3 ricorso per cassazione). Quest'ultimo, cosi' come descritto nel provvedimento impugnato (pag. 5 sentenza Corte di appello Firenze), non avrebbe poi negato il rapporto vaginale, ritenendolo pero' del tutto consensuale e riferendo che egli stesso aveva deciso di interromperlo per ragioni personali connesse alla propria situazione sentimentale, lavorativa e per paura di malattie. Sul punto, la difesa rileva che, all'evidenza, il materiale probatorio a disposizione e' "meramente indiziario": la condotta integrante il fatto di reato non verrebbe direttamente rappresentata da alcun mezzo di prova, essendo presenti nel processo altri elementi di prova che provano circostanze diverse da quelle rappresentate nella imputazione, tecnicamente qualificabili come "indizi". Da tali rilievi, la difesa desume che la sentenza impugnata non si sia confrontata con le principali problematiche di un processo indiziario. Si tratterebbe, in definitiva, di verificare se la sentenza impugnata abbia fatto buon governo della regola sancita dall'articolo 192 c.p.p., comma 2, tenendo presente che "l'unico vero dato indiziario si rinviene nelle lesioni riportate dalla persona offesa refertate in sede di visita ginecologica" (pag. 5 ricorso per cassazione): peraltro, tale dato sarebbe "singolo" (nemmeno concordante con altri) e nemmeno denotato di precisione e gravita' (in quanto le lesioni riscontrate, ad avviso del consulente ginecologo (OMISSIS), reperibili a pag. 5 sentenza Corte di appello Firenze, "si possono riscontrare anche a seguito di masturbazione manuale o di petting e, comunque, se il rapporto fosse stato violento e non lubrificato, le lesioni da penetrazione sarebbero state all'introitus, quindi a livello di fossetta radicolare e sulle pareti vaginali e non superficialmente sulla forchetta" e che possono, in ogni caso, spiegarsi per secchezza vaginale determinata dall'assunzione di alcol e non perche' sintomatiche di penetrazione forzata (come riportato a pag. 15 sentenza Corte di appello Firenze). Peraltro, ulteriore elemento di illogicita' della motivazione sarebbe riscontrabile anche ove si trova affermato che sarebbe sostanzialmente irrilevante analizzare minuziosamente i dettagli relativi al primo periodo in cui si consumava l'approccio della studentessa nei confronti del carabiniere e da cui conseguivano i contatti fisici ritenuti leciti e consensuali dagli stessi Giudici del merito, mentre dovrebbero ritenersi indizi "seri ed inequivocabili" tutte quelle emergenze fattuali relative a quanto accaduto dopo il fatto (la chiamata al 113; il messaggio all'amico (OMISSIS); la telefonata della (OMISSIS) con il padre (OMISSIS); l'intervento della tutor) e cio' anche se la (OMISSIS) non ricordava l'accaduto, avendo invece capito di aver avuto un rapporto sessuale per un fastidio avvertito alle parti intime e, solo dopo, aver appreso della violenza invece subita dalla amica (OMISSIS). In proposito, tuttavia, la difesa rilevava come nessuno degli elementi di prova sopra indicati poteva, astrattamente, provare il fatto oggetto di contestazione, tanto piu' che contestualmente, esattamente in quel momento, presso l'abitazione delle ragazze, il ricorso all'Autorita' di pubblica sicurezza trovava fondamento nella violenza (accertata con sentenza passata in giudicato) subita dalla (OMISSIS). La decisione della Corte di Appello di Firenze risulterebbe allora affetta da violazione di legge per erronea applicazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 2, per contrasto con il principio dell'"oltre ogni ragionevole dubbio" a cui presidio e' posto l'articolo 533 c.p.p., per erronea applicazione, al caso di specie, dell'articolo 609-bis c.p. e da carenza ed illogicita' della motivazione. 4.2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce il vizio di violazione di legge per l'erronea applicazione al caso di specie dell'articolo 609-bis c.p., commi 1 e 2, e correlato vizio di carenza ed illogicita' della motivazione. Si censura la sentenza su due aspetti, ossia (1) lo stato di incoscienza della vittima per intossicazione alcolemica e (2) la manifestazione da parte della vittima del dissenso e la percezione di questo da parte dell'imputato. Secondo la ricostruzione proposta nella sentenza impugnata e contestata dalla difesa, l'imputato sarebbe responsabile del delitto di violenza sessuale per costrizione, essendosi peraltro approfittato dello stato di ebbrezza alcolica della vittima "apparsa piu' disponibile ed abbordabile in tale veste" (pag. 28 sentenza Corte di appello Firenze), illustrando poi in motivazione come l'assunzione di sostanze alcoliche in qualita' tali "esclude in nuce la possibilita' di un consenso valido" (pag. 29 sentenza Corte di appello Firenze). Sul punto, la difesa dell'imputato poneva attenzione su due elementi: (1) lo stato di incoscienza per intossicazione alcolemica della persona offesa. Quanto a questo profilo, la Corte di appello di Firenze si soffermava offrendo una motivazione illogica, che distorcerebbe le effettive risultanze probatorie e la loro capacita' dimostrativa (nello specifico, adducendo che "la reazione individuale della (OMISSIS) da una serie di elementi esterni meno scientifici e piu' fattuali e scarni che segnalano il suo stato confusionale e convincono della perdita di coscienza e lucidita' sin da quando la stessa rientrava con la (OMISSIS) presso il suo domicilio, accompagnata dai due Carabinieri", a pag. 25 sentenza Corte di appello Firenze). Simile segmento motivazionale sarebbe pero' meramente assertivo e non terrebbe conto di alcuni dati probatori in contrasto (quali: 1. il bacio condiviso, di cui a pag. 27 sentenza Corte di appello Firenze, che sarebbe espressione di un consenso valido; 2. le preoccupazioni della (OMISSIS), riportate a pag. 20 sentenza Corte di appello Firenze, per la (OMISSIS), che pero' risultava "non dover vomitare"; 3. il fatto che non si sarebbe trattato di una provocazione antecedente l'atto sessuale, ma di atti sessuali che iniziano con reciprocita' e consenso e poi, nell'ipotesi di accusa, proseguono con il volere del solo imputato, richiamandosi peraltro qualche pronuncia di legittimita' sul punto (Sez. 3, n. 3158 del 04/10/2019, dep. 2020, Rv. 278250 - 01; Sez. 3, n. 5768 del 16/01/2014, Rv. 258935 - 01) in ordine all'impossibilita' di ricostruire il momento nel quale la situazione in esame muta e dal consenso si passa al dissenso della (OMISSIS), percepibile dall'imputato, non come rivolto ad una specifica pratica sessuale (come il rapporto orale), ma come generalizzato al proseguimento; (2) la manifestazione da parte della stessa del dissenso e la percezione di questo da parte dell'imputato. L'unico dato probatorio relativo ad un manifesto dissenso - dunque percepibile dall'imputato - e' quello circa la pratica di un rapporto orale, il che "non escluderebbe implicitamente il consenso ad altri tipi di approcci, in un contesto di reciprocita' carnale" (sic, pag. 11 ricorso per cassazione). 4.3. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce il vizio di violazione di legge per l'erronea applicazione al caso di specie dell'articolo 609-bis c.p. e quello di carenza della motivazione quanto alla prova dell'elemento psicologico e violazione del principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio ex articolo 533 c.p.p.. In sostanza, si ribadisce la mancanza della prova del dissenso, trattandosi di rapporto sessuale avvenuto con reciprocita'. Partendo dall'assunto difensivo per cui vi era stato consenso da parte della (OMISSIS) al compimento di atti sessuali a suo carico, nel ricorso per cassazione si conclude che questi avvenissero con reciprocita', risultando del tutto evidente la plausibilita' di un dubbio sulla conoscenza del dissenso da parte dell'imputato alla prosecuzione naturale degli atti sessuali (in accordo a Sez. 3, n. 52835 del 19/06/2018), posto un dissenso esplicitato solo con riferimento ad un rapporto di tipo orale, che la (OMISSIS) avrebbe rifiutato e, infatti, non sarebbe avvenuto. Premessa ulteriore giurisprudenza di legittimita' in ordine all'errore sull'espressione di dissenso (in particolare, Sez. 3, n. 49597 del 09/03/2016), si sottolinea come, nel caso di specie, lo sviluppo della condotta, inizialmente lecita, in quanto coperta da consenso della donna, che avrebbe ricambiato il contatto sessuale, prima sul pianerottolo e poi in ascensore, ed in ragione del dissenso esplicito manifestato solo con riguardo alla richiesta di praticare un rapporto orale, avrebbe imposto di riconoscere sussistente un ragionevole dubbio, in capo all'imputato, sulla conoscenza del dissenso della donna. In questa prospettiva, la sentenza di appello risulterebbe carente nell'esaminare la ricorrenza dell'elemento psicologico in capo all'imputato. 4.4. Infine, con il quarto motivo del ricorso, si deduce il vizio di violazione di legge per l'omessa applicazione al caso di specie dell'articolo 56 c.p., comma 3, ed il correlato vizio di illogicita' della motivazione. In sostanza, i giudici avrebbero errato in fase di dosimetria della pena, quantomeno nel non applicare la diminuzione di pena per la desistenza volontaria manifestata dall'imputato. In particolare, la difesa del ricorrente dedurrebbe la diretta applicabilita' della fattispecie di cui all'articolo 56 c.p., comma 3, partendo dal dato assunto come pacifico che "il rapporto tra l'imputato e la (OMISSIS) iniziava consensualmente, con baci ricambiati" e che "il contatto fra i due proseguiva ed ad un certo punto vi era la richiesta del primo di ricevere un rapporto orale", cui la (OMISSIS) "manifestava il proprio dissenso" e lo stesso non avveniva (pag. 14 ricorso per Cassazione). Da questo specifico momento, come descriverebbe anche la sentenza della Corte di appello di Firenze, il ricordo della (OMISSIS) cessa; l'imputato poi, dalle risultanze agli atti di appello, avrebbe iniziato l'intercorso sessuale e, ricevuta la "pure flebile opposizione della vittima", "resosi evidentemente conto di aver forzato la volonta' della straniera", avrebbe interrotto il rapporto. Peraltro, i Giudici della Corte di appello di Firenze scrivevano anche che l'imputato "avrebbe desistito dal continuare la penetrazione" e, nel momento in cui l'imputato aveva percepito il flebile diniego, avrebbe interrotto il rapporto sessuale. La condotta, secondo la prospettiva difensiva, sarebbe lecita, perche' inizialmente coperta dal consenso della (OMISSIS), che avrebbe manifestato il proprio dissenso solo come condizionato al rapporto orale; quando diviene illecita, perche' il consenso e' frattanto mutato in dissenso, si sarebbe allora in presenza di desistenza volontaria. Peraltro, la motivazione della sentenza resa dalla Corte di appello di Firenze sarebbe illogica anche perche', pur accedendo ad una ricostruzione fattuale sfavorevole all'imputato, avrebbe omesso di trarre le dovute conseguenze in punto di operativita' dell'articolo 56 c.p., comma 3, (richiamando anche qualche pronuncia di legittimita' in materia, come Sez. 2, sentenza n. 18385 del 05/04/2013; Sez. 1, sentenza n. 11865 del 26/02/2009). 5. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato in data 24.01.2023 la propria requisitoria scritta con cui ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. In sintesi, quanto al primo motivo (ricorso Avv. (OMISSIS) ed Avv. (OMISSIS)), da ritenersi fondato, si sostiene che la sentenza impugnata non si sarebbe sufficientemente confrontata con l'elemento dello stato di debolezza della vittima (che non le avrebbe permesso di dire nulla, quindi nemmeno di manifestare il dissenso, tanto che il silenzio, successivo al no esplicitato, avrebbe potuto essere equivocato come consenso al rapporto). Si continuava poi, condividendo le deduzioni difensive, osservando che non poteva essere attribuita rilevanza sia alla mancata lubrificazione dell'organo genitale, sia al sanguinamento superficiale (in ogni caso abituale per la persona offesa durante i rapporti), posto che la prima puo' dipendere anche da altri fattori oltre che all'assenza dell'eccitazione sessuale, mentre il secondo non risulterebbe essere avvenuto all'interno della vagina sicche' non si puo' mettere in relazione detto sanguinamento con la mancanza di lubrificazione, anch'essa non certa, ne' con il dato, assolutamente dubbio, della mancanza di eccitazione sessuale. Con riferimento al secondo motivo (ricorso Avv. (OMISSIS) ed Avv. (OMISSIS)), la Procura Generale, riportandosi al ragionamento logico espresso nel ricorso, riterrebbe "francamente illogico che la vittima avesse una forte lucidita' al momento del bacio e, pochi istanti dopo, non l'avesse piu' tanto da non poter far altro che restare immobile senza riuscire ad esplicitare il proprio dissenso". Parimenti fondati venivano ritenuti anche il terzo e quarto motivo (ricorso Avv. (OMISSIS) ed Avv. (OMISSIS)) poiche' si ravvisava effettivamente una mancata correlazione tra capo di imputazione e sentenza di condanna laddove la contestazione atteneva all'induzione a compiere atti sessuali, mentre la motivazione di condanna attiene alla costrizione a compiere atti sessuali. Opportunamente il ricorso avrebbe dimostrato che una cosa e' avere indotto la persona offesa a subire atti sessuali; altra e' averla chiaramente costretta, visto che solo nella costrizione risiede senza dubbio la mancanza di consenso (mancante invece nell'induzione). Infine, anche l'ultimo motivo del ricorso dell'Avv. (OMISSIS), sarebbe da accogliere, atteso che la Corte non affronterebbe il tema della desistenza del (OMISSIS) durante il rapporto e ometterebbe altresi' di pronunciarsi sulla richiesta di riduzione della pena ai sensi dell'articolo 56 c.p., comma 3. I restanti motivi di ricorso dell'avvocato (OMISSIS) resterebbero assorbiti in quelli proposti dagli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS)). 6. In data 23.01.2023 gli Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno fatto pervenire richiesta di trattazione orale: in data 13.02.2023, l'Avv. (OMISSIS), difensore della parte civile costituita (OMISSIS), ha fatto pervenire richiesta di trattazione orale. Dette istante sono state accolte con separati provvedimenti del Presidente titolare, il primo del 30.01.2023 ed, il secondo, in data 13.02.2023. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi, trattati in presenza a norma del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, e successive modifiche ed integrazioni, sono infondati. 2. Al fine di consentire una migliore intelligibilita' dell'approdo cui e' pervenuta questa Corte, e' necessaria una ricognizione estesa della vicenda processuale, anche a fronte delle plurime doglianze di vizio motivazionale poste con i ricorsi. 3. Il presente giudizio trae origine dai fatti accaduti nella notte del 7.09.2017 nello stabile sito in (OMISSIS) in Firenze, allorquando la persona offesa veniva riaccompagnata a casa dal locale (OMISSIS), in cui si trovava con un'amica e coinquilina, dall'autovettura dei carabinieri sulla quale prestava servizio l'imputato e il collega (OMISSIS). Le due ragazze, non appena rimaste sole, chiamavano la Questura, dove i funzionari, con non poche difficolta', apprendevano che le loro interlocutrici erano state vittime di violenza sessuale. All'esito delle necessarie indagini svolte, per lo piu' estrinsecatesi nelle visite mediche effettuate sulle ragazze, i rilievi sul luogo dei fatti, i due carabinieri, (OMISSIS) e (OMISSIS) venivano tratti a giudizio. Mentre la posizione del (OMISSIS) veniva decisa all'esito del giudizio abbreviato richiesto, conclusosi con la condanna definitiva ad anni 4 e mesi 4 di reclusione (Cass., n. 44449/2022), al (OMISSIS) veniva contestata prima l'ipotesi di violenza sessuale induttiva ai sensi dell'articolo 609 bis c.p., comma 2, n. 1; poi, all'udienza preliminare del 12.07.2018, dopo l'incidente probatorio in cui era stata sentita la persona offesa, veniva modificata l'imputazione come violenza in forma costrittiva ai sensi dell'articolo 609 bis c.p., commi 1 e 2. Il tribunale di Firenze ha ritenuto provata la penale responsabilita' valorizzando i dati temporali a sua disposizione (l'ora di arrivo e partenza dell'auto di servizio C.C. presso la casa delle ragazze, l'ora di memorizzazione del numero telefonico del (OMISSIS) da parte della (OMISSIS) e l'ora del video "involontario") per ricostruire la vicenda. Partendo da questi, infatti, ha messo a confronto le dichiarazioni dei protagonisti della vicenda ( (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) e le risultanze emerse dagli accertamenti medici alla quale la p.o. era stata sottoposta, fino ad escludere la plausibilita' della versione fornita dall'odierno imputato che, pertanto, condannava alla pena di anni 5 e mesi 6 di reclusione, previa applicazione dell'aggravante contestata per l'abuso della qualita' di Carabiniere in servizio e con violazione dei doveri connessi al suo servizio ed all'ordine di servizio impartitogli dai suoi superiori. Avverso la pronuncia proponeva appello il prevenuto deducendo numerose incongruenze che, a suo parere, sarebbero state riscontrabili nella sentenza di primo grado rispetto alle risultanze probatorie emerse all'esito del dibattimento. La Corte territoriale ha, invece, confermato l'impianto accusatorio su cui il giudice di prime cure aveva formulato il suo giudizio di responsabilita' penale perche' ha ritenuto che l'appello difensivo non fosse riuscito a destrutturare il ragionamento espresso, concentrandosi su circostanze del tutto marginali che la difesa ha enfatizzato ma che sono invece del tutto scevre dall'episodio in se'. Infine, riconosciute le circostanze generiche prevalenti rispetto all'aggravante contestata, rideterminava la pena in anni 4 di reclusione. 4. Per quanto riguarda lo svolgimento del processo, venivano esaminati diversi elementi da pag. 3 a pag. 58 della sentenza di primo grado, in particolare: (1) la necessita' della procura speciale per la costituzione di parte civile da parte delle Amministrazioni dello Stato (pag. 3 sentenza trib. Firenze), il Tribunale con ordinanza respingeva l'eccezione sollevata dalla difesa poiche' la costituzione di parte civile, per mezzo dell'Avvocatura dello Stato, non richiede il conferimento di una procura da parte dell'Amministrazione rappresentata in giudizio, derivando lo ius postulandi direttamente dalla legge, con l'ulteriore conseguenza che non e' neppure onerata della produzione della documentazione attestante la volonta' della stessa amministrazione di procedere giudizialmente (unico elemento necessario ai fini della regolare costituzione in giudizio e' l'esistenza e la produzione dell'autorizzazione da parte della Presidenza del Consiglio ai sensi della L. n. 3 del 1991, articolo 1, comma 4; atto depositato dall'Avvocatura dello Stato contestualmente all'atto di costituzione di parte civile; (2) l'ammissione delle prove (pagg. 3-10 sentenza trib. Firenze), in particolare: (a) il riesame delle persone offese, gia' esaminate in sede di incidente probatorio: la difesa dell'imputato osservava come, a seguito della modifica dell'imputazione intervenuta in sede di udienza preliminare, la diversa rappresentazione del fatto dovesse comportare (a tutela di un corretto esercizio del diritto di difesa) la necessita' di un nuovo esame delle persone offese, da svolgersi secondo modalita' ordinarie poiche' nessun criterio, tra quelli elencati dall'articolo 94-quater c.p.p., applicato al caso concreto consentirebbe di affermare che le persone offese in questo processo debbano essere considerate particolarmente vulnerabili. Sul punto il tribunale di Firenze si fa riferimento alle pag. 161 e segg. dell'esame della (OMISSIS) per stabilire che, a seguito di un bacio con il (OMISSIS), non intendeva avere in rapporto sessuale con lui, che nego' il suo consenso; (b) la consulenza criminodinamica, alla cui ammissione il PM si era opposto "circa l'analisi vittimologica (...) con riferimento alle signore (OMISSIS) e (OMISSIS) e con riferimento ai profili criminodinamici dei fatti oggetto dell'imputazione", tale mezzo di prova tendendo non gia' ad apprezzare le conseguenze traumatiche del fatto sulla vittima, ma al contrario il loro contributo causale nella verificazione dell'evento. Cio' significherebbe ammettere sul piano processuale una perizia/consulenza sulla personalita' delle persone offese vietata dall'articolo 220 c.p.p. (Cass. 32796/2011); (c) la richiesta di procedere a porte chiuse ai sensi dell'articolo 472 c.p.p., comma 3-bis con particolare riguardo all'istruttoria relativa all'atto sessuale, alle condizioni di ubriachezza della persona offesa ivi compresi i risvolti tecnici che periti e consulenti sono chiamati a valutare sugli aspetti medico-legali, ginecologici, chimici e biologici; (d) l'ordinanza ammissiva delle prove, allegata al verbale di udienza del 02.10.2019, che motiva in ordine ai punti da (a) a (c); (3) la prima udienza istruttoria dell'08.11.2019 (pagg. 11-21 sentenza trib. Firenze), relativa a (a) l'istanza di rinvio in attesa della pronuncia sulla ricusazione presentata in data 23.10.2019; (b) l'esame del Sov. Capo (OMISSIS); (c) l'esame dell'Ag. Scelto (OMISSIS); (d) l'esame del vice-ispettore della Polizia di Stato (OMISSIS); (e) la consulente del PM (OMISSIS), ordinario di tossicologia forense e Direttore della SODC di Tossicologia Forense di (OMISSIS); (f) l'esame dell'Ass. (OMISSIS) del Servizio di Polizia Scientifica; (g) l'esame dell'advisor presso la scuola (OMISSIS), (OMISSIS); (h) l'esame della ginecologa che visito' (OMISSIS) il mattino del (OMISSIS), (OMISSIS); (4) la seconda udienza istruttoria del 22.11.2019 (pagg. 21-30 sentenza trib. Firenze), relativa all'esame dei seguenti testi: (a) l'Agente in servizio presso la Polizia Postale e delle Comunicazioni di Firenze (OMISSIS), che ha svolto accertamenti tecnici sui cellulari nella disponibilita' delle persone offese (OMISSIS) e (OMISSIS); (b) il vice-questore (OMISSIS), che ha ricostruito tutte le attivita' di indagine sviluppare a partire dalla richiesta d'intervento ricevuta dal 113 fino al contatto diretto da lei avuto con le persone offese; (c) il Sovr.te (OMISSIS), che ha analizzato i sistemi della videosorveglianza della discoteca (OMISSIS) e della telecamera posta davanti all'abitazione delle persone offese; (d) il Sov.te (OMISSIS), che ha acquisito e analizzato i dati dei tabulati telefonici e fatto tre trascrizioni di telefonate; (e) il medico (OMISSIS) presso l'Ospedale (OMISSIS) quando la mattina del (OMISSIS) visito' (OMISSIS) documentando un "abuso sessuale in etilismo acuto" alla voce orientamento diagnostico; (f) il medico ginecologo (OMISSIS), che visito' (OMISSIS) il (OMISSIS); (g) la Dott.ssa (OMISSIS), consulente che ha visitato la (OMISSIS) assieme alla Dott.ssa (OMISSIS) il (OMISSIS); (h) il consulente della parte civile che ha esaminato la copia forense dei dispositivi elettronici sequestrati e in particolare della memoria dei telefoni delle persone offese; (i) il consulente della parte civile, (OMISSIS); (l) il consulente Beninato, dirigente medico presso l'azienda sanitaria AUSL (OMISSIS), consulente della parte civile; (m) la Dott.ssa (OMISSIS), interprete parlamentare di inglese e tedesco indicata dalla parte civile in sede di incidente probatorio; (5) la terza udienza istruttoria del 20.12.2019 (pagg. 30-37 sentenza trib. Firenze), relativa a (a) l'esame del consulente (OMISSIS), gia' sentito; (b) all'esame del medico legale per l'azienda ASL (OMISSIS) (OMISSIS); (c) rinuncia alle prove orali della difesa dell'imputato; (d) l'esame del consulente (OMISSIS), insegnante all'Universita' (OMISSIS) e consulente della difesa dell'imputato, che ha esaminato la memoria delle utenze cellulari della (OMISSIS) e della (OMISSIS) e i video del sistema di sorveglianza della discoteca (OMISSIS); (e) la rinuncia ai testi della difesa dell'imputato e l'opposizione delle altre parti; (f) l'esame del consulente della difesa dell'imputato, professore ordinario di farmacologia a (OMISSIS), (OMISSIS); (g) il consulente ginecologo della difesa dell'imputato, Dott. (OMISSIS); (6) la quarta udienza istruttoria del 18.02.2020 (pag. 37-42 sentenza trib. Firenze), relativa a (a) l'esame della Dott.ssa (OMISSIS), consulente linguista per la difesa dell'imputato; (b) le dichiarazioni spontanee dell'imputato; (c) la nullita' delle ordinanze pronunciate nel corso dell'udienza del 20.12.2019; (7) l'incidente probatorio e l'esame delle persone offese (pagg. 42-53 sentenza trib. Firenze), con particolare riguardo a: (a) testimonianza di (OMISSIS); (b) testimonianza di (OMISSIS); (8) la versione degli eventi intercorsi resa dall'imputato (pag. 53-56 sentenza trib. Firenze); (9) la perizia per le trascrizioni delle conversazioni intercettate (pag. 56 sentenza trib. Firenze); (10) la perizia genetico forense (pag. 56-57 sentenza trib. Firenze). 5. Successivamente allo svolgimento del processo, il tribunale di Firenze spiegava i motivi della decisione da pag. 58 a pag. 91 della sentenza di primo grado. In particolare, si aveva riguardo a: (1) la cronologia degli avvenimenti rilevanti fino alle 3:08 del (OMISSIS) (pag. 58-60 sentenza trib. Firenze); (2) la cronologia degli avvenimenti rilevanti dalle 3:08 del (OMISSIS) al primo accesso all'Ospedale (OMISSIS) (pag. 60-62 sentenza trib. Firenze); (3) le comunicazioni delle persone offese per quanto accaduto (pagg. 6263 sentenza trib. Firenze); (4) la possibile spiegazione degli avvenimenti tra le 3:16 e le 3:30 del (OMISSIS), corredata di tavola sinottica di eventi, soggetti e cronologia (pagg. 63-68 sentenza trib. Firenze); (5) il picco etilico (pagg. 68-71 sentenza trib. Firenze); (6) gli effetti dell'intossicazione (pagg. 71-72 sentenza trib. Firenze); (7) le lesioni simmetriche (pagg. 73-75 sentenza trib. Firenze); (8) la possibile spiegazione del messaggio "she's telling story" della (OMISSIS) (pagg. 75-78 sentenza trib. Firenze); (9) la tesi della difesa dell'imputato (pagg. 78-87 sentenza trib. Firenze), riguardo a: 1. La compressione dei diritti della difesa; 2. La prova dell'ebbrezza antefatto; 3. L'inconsistenza dell'accusa dell'induzione e il passaggio a quella del costringimento al rapporto sessuale; 4. Il silenzio della (OMISSIS) sulla violenza subita; 5. La sequenza dei fatti tra le 3:15 e le 3:30 del (OMISSIS); 6. L'osservanza del (OMISSIS) al rifiuto della (OMISSIS) al rapporto orale; (10) la ricostruzione della fattispecie concreta e i dubbi sulla sussistenza di un possibile reato a formazione progressiva (pagg. 87-90 sentenza trib. Firenze); (11) il trattamento sanzionatorio e il risarcimento del danno (pagg. 90-91 sentenza trib. Firenze). In conclusione, il tribunale di Firenze, in data 21.02.2020, riteneva (OMISSIS) colpevole del reato a lui contestato e lo condannava cosi' come descritto in epigrafe alla presente scheda alla pena di anni 5 e mesi 6 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, dei risarcimenti alle costituite parti civili e all'applicazione di ogni altra eventuale sanzione accessoria. 5. Avverso questa pronuncia, in data 30.06.2020 e con l'assistenza degli Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), proponeva appello la difesa dell'imputato deducendo dieci motivi di impugnazione, chiedendo l'assoluzione dell'imputato dal reato contestatogli con l'imputazione, poiche' il fatto non sussiste o non costituisce reato; in subordine, parzialmente annullare la sentenza impugnata per violazione del principio di corrispondenza tra imputazione e sentenza con riferimento al reato di violenza sessuale per induzione di cui all'articolo 609-bis c.p., comma 2, n. 1; in via ulteriormente subordinata, dichiarare l'illegittimita' e la nullita' dell'ordinanza emessa in data 02.10.2019 di rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale e di consulenza vittimologica, nonche' delle ordinanze emesse in data 20.12.2019, di declaratoria di inammissibilita' della consulenza dell'Ing. (OMISSIS) sul quesito n. 5 della consulenza tecnica, e in data 21.02.2020, di declaratoria di non pertinenza e irrilevanza di tutti i documenti informatici contenuti nella copia forense dei telefoni in uso alle (OMISSIS) ed alla (OMISSIS) non riguardanti il periodo intercorrente e immediatamente precedente e successivo all'orario presunto dei fatti. In via ancora subordinata, si chiedeva di dichiarare l'insussistenza delle circostanze aggravanti contestate e, comunque, riconoscere all'imputato le circostanze attenuanti generiche prevalenti rispetto alle aggravanti riconosciute con conseguente nuova quantificazione della pena da irrogarsi in concreto in corrispondenza del minimo comminato dalla legge. Segnatamente: a) con il primo motivo di appello, nello specifico, si deduceva manifesta illogicita' della sentenza, anche per travisamento della prova, in relazione alla sintesi delle dichiarazioni dibattimentali effettuata nella parte della sentenza dedicata allo svolgimento del processo; b) con il secondo motivo di appello, la difesa dell'imputato si doleva per la sua mancata assoluzione perche' il fatto non sussiste o perche' non costituisce reato, per mancanza di prova circa la sussistenza del fatto contestato - e, in particolare, della non consensualita' del rapporto sessuale - oltre che per mancanza di prova in ordine allo stato di ebbrezza della (OMISSIS) al momento dei fatti e per l'avvenuta acquisizione della prova contraria, a discarico, circa la consensualita' del rapporto e la lucidita' della (OMISSIS) al momento dello stesso; c) con il terzo motivo di appello, veniva poi dedotta l'insussistenza della circostanza aggravante contestata e mancata concessione delle circostanze generiche; d) con il quarto motivo di appello, si deducevano l'illegittimita' e la nullita' dell'ordinanza istruttoria resa all'udienza del 02.10.2019 con cui era stata rigettata la richiesta dell'esame dibattimentale delle Sig.re Celeste (OMISSIS) e (OMISSIS); e) con il quinto motivo di appello, si deducevano l'illegittimita' e la nullita' dell'ordinanza istruttoria resa all'udienza del 02.10.2019 con cui e' stata dichiarata inammissibile la richiesta Consulenza Criminodinamica; f) con il sesto motivo di appello, si contestava il rigetto della richiesta di rinvio in seguito alla dichiarazione di ricusazione; g) con il settimo motivo di appello, si deducevano l'illegittimita' e nullita' delle ordinanze emesse in data 20.12.2019, con cui e' stata dichiarata l'inutilizzabilita' di tutta la copia forense acquisita in atti delle memorie dei cellulari delle testi (OMISSIS) e (OMISSIS) e del contenuto dei supporti informatici allegati alla consulenza tecnica dell'Ing. (OMISSIS) ad eccezione del materiale che riguardava il periodo intercorrente e immediatamente precedente e successivo all'orario presunto dei fatti; h) con l'ottavo motivo di appello, si deducevano anche l'illegittimita' e nullita' dell'ordinanza emessa in data 21.02.2020 con cui il Tribunale, a correzione della precedente ordinanza del 20.12.2019, dichiarava la irrilevanza della documentazione informatica presente sulla copia forense dei telefoni cellulari prodotta in atti ad esclusione della documentazione riguardante il periodo intercorrente e immediatamente precedente e successivo all'orario presunto dei fatti; i) con il nono motivo di appello, si denunciava violazione del principio di corrispondenza tra imputazione e sentenza; l) con il decimo motivo di appello, si faceva infine richiesta di riapertura dell'istruzione dibattimentale per assumere la testimonianza dei Carabinieri intervenuti presso la discoteca (OMISSIS) insieme all'imputato nella sera dei fatti e per assumere la testimonianza dei due addetti della discoteca stessa gia' indicati nella lista testi ed oggetto di rinuncia da parte dell'imputato. 6. La Corte di appello di Firenze, in data 05.04.2022, condivideva la versione offerta dall'impianto accusatorio su cui il tribunale di Firenze aveva formulato il giudizio di responsabilita' penale a carico di (OMISSIS) e riteneva che l'atto di appello non fosse riuscito a disarticolare il ragionamento espresso concentrandosi, invece, su circostanze del tutto marginali. Infine, riconosciute le circostanze generiche prevalenti rispetto all'aggravante contestata, rideterminava la pena in anni 4 di reclusione. 6.1. Con riguardo allo svolgimento del processo, in particolare, la Corte di appello di Firenze ripercorreva quanto sul punto riportato in sentenza del 21.02.2020 dal tribunale di Firenze (gia' esposto supra), riportando anche la griglia schematica con cui il tribunale aveva messo a confronto le versioni fornite dalle due ragazze e dal (OMISSIS) alle pagg. 9-10 della sentenza di appello (ossia le corrispettive pagg. 64-65 sentenza tribunale Firenze). Si ricordava come il collegio giudicante "optava a questo punto per la versione della (OMISSIS), piu' lineare e logica, anche (...) prima della violenza", mentre "la versione del (OMISSIS) appariva invece inattendibile" (pag. 11 sentenza di appello), concludendo che "quanto addotto dalla parte offesa risultava confermato dal riscontro oggettivo di tale referto, che ratificava la non consensualita' del rapporto (pag. 12 sentenza di appello). Per il tribunale di Firenze, si trattava di "un reato a formazione progressiva, compiutamente analizzando lo sviluppo della relazione tra i due, e partendo dal bacio, cui la (OMISSIS) non si era opposta, fino al consenso negato per il rapporto orale, ed ancora alla penetrazione imposta con la violenza, il tutto senza soluzione di continuita'", sottolineando come "lei era apparsa inizialmente arrendevole e senza difese a causa dello stato di ebbrezza, ma poi aveva chiaramente detto no" alla richiesta di rapporto orale: tutto il dipanarsi delle condotte, dal bacio consensuale al rapporto imposto, era stato ampiamente descritto nell'imputazione, per cui non vi era alcuna violazione del diritto di difesa e nemmeno della necessaria correlazione tra "chiesto" e "pronunciato". Sarebbe, quindi, configurabile quel reato a formazione progressiva a consumazione prolungata che viene a cessare con l'ultima delle operazioni poste in essere, che, secondo il tribunale di Firenze, la Corte di cassazione avrebbe riconosciuto per esempio nel delitto di corruzione, che rappresenta una fattispecie a duplice schema, perfezionandosi alternativamente con l'accettazione della promessa o con il ricevimento dell'utilita' da parte del pubblico ufficiale: "quando tali atti susseguono, il momento consumativo si cristallizza nell'ultimo atto, venendo a perdere di autonomia l'atto di accettazione precedente" (pag. 13 sentenza di appello). 6.2. Quanto ai motivi della decisione, la Corte di appello di Firenze sottolineava come "la conferma dell'ipotesi accusatoria a carico del (OMISSIS) si rinviene da una serie di elementi di fatto che l'appello difensivo non e' riuscito a smontare e (...) esclude un'altra serie di circostanze del tutto marginali che la difesa ha enfatizzato ma che sono invece del tutto scevre dall'episodio in se' che ha investito il lasso temporale davvero risicato di un quarto d'ora per entrambi i carabinieri" (pag. 18-19 sentenza di appello). Da pag. 19 a 21 della sentenza di appello, si riportava poi la cronologia degli eventi; da pag. 21, p. C), si includevano anche l'incidente probatorio e i riscontri (pagg. 21-23 sentenza di appello), le dichiarazioni della (OMISSIS) e della (OMISSIS) (pagg. 23-24 sentenza di appello), l'analisi dell'elemento dell'intossicazione alcolica della (OMISSIS) (pagg. 24-26 sentenza di appello), la versione del rapporto sessuale (pag. 26 sentenza di appello), alcune considerazioni sulla configurazione giuridica dei fatti (pagg. 27-31 sentenza di appello, richiamando anche giurisprudenza di legittimita' - come Sez. 3, n. 42977 dell'08/07/2015 e Sez. 3, n. 24598 del 03/07/2020, in tema di correlazione tra accusa e sentenza; Sez. 3, n. 8981 del 05/12/2019 e Sez. 3, n. 7873 del 19/01/2022, rispettivamente in tema di violenza sessuale su persona che si trova in stato di inferiorita' fisica o psichica e violenza sessuale di gruppo consumata in discoteca -, e riportando anche le pronunce di legittimita' richiamate dai giudici di primo grado - come Sez. 3, n. 38011 del 17/05/2019, Rv. 277834 - 01; Sez. 3, n. 22127 del 23/06/2016, Rv. 270500 - 01, in tema di violenza sessuale per induzione). In merito poi alla rinnovazione istruttoria (pagg. 31-32 sentenza di appello), la Corte di appello afferma che "appare del tutto fuorviante ed ultroneo citare nuovamente (...) le parti offese in incidente probatorio per nuovamente interrogarle su fatti che oltre ad essere ormai lontani nel tempo sono stati tutti sviscerati nel complesso ed articolato incidente probatorio" e che "altrettanto da escludere il recupero del materiale analizzato dal CT (OMISSIS) in relazione alla messaggistica della vittima atta a scavare nel pregresso rispetto al momento della violenza, materiale che e' vietato acquisire in quanto orientato a sondare la moralita' e le abitudini della vittima vuoi con riguardo ai rapporti sessuali vuoi con riguardo ad ulteriori private abitudini o eccessi nel bere", escludendo sia la rinnovazione dell'audizione dei testimoni che avrebbero confermato i contatti e l'intesa tra la (OMISSIS) ed il carabiniere appena conosciuto in discoteca, sia la richiesta della consulenza vittimologica, che si riverbererebbe in "un giudizio sull'attendibilita' e credibilita' della parte offesa, con cio' sovrapponendosi e svuotando il compito valutativo del Giudicante ed in violazione dei divieti ex articolo 234 c.p.p., comma 3, articolo 194 c.p.p., comma 2, e articolo 472 c.p.p., comma 3-bis". In conclusione, riguardo al trattamento sanzionatorio (pagg. 32-33 sentenza di appello), la sentenza impugnata affermava come "si stimano concedibili all'appellante le attenuanti generiche come prevalenti sull'aggravante contestata", per giungere infine alla condanna di 4 anni di reclusione, con la conferma delle statuizioni civili, revocando la pena dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici e sostituendola con l'interdizione perpetua per la durata di anni 5. 7. Tanto premesso, puo' quindi procedersi all'esame dei motivi di ricorso, muovendo da quelli proposti dagli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), occorrendo preliminarmente osservare che l'esame dei motivi di ricorso puo' essere effettuato prendendo in considerazione sia la motivazione della sentenza impugnata sia quella della sentenza di primo grado, e cio' in quanto i giudici di merito hanno adottato decisioni e percorsi motivazionali comuni che possono essere valutati congiuntamente ai fini di una efficace ricostruzione della vicenda processuale e di una migliore comprensione delle censure del ricorrente. E' infatti appena il caso di ricordare che qualora il giudice d'appello abbia accertato e valutato, come in specie, il materiale probatorio con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado, le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscono una sola entita' logico-giuridica, alla quale occorre far riferimento per giudicare della congruita' della motivazione, integrando e completando quella adottata dal primo giudice le eventuali carenze di quella d'appello (Sez. 1, n. 1309 del 22/11/1993 Ud. (dep. 04/02/1994) Rv. 197250 - 01) Invero, allorche' le sentenze di primo e secondo grado concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo (Sez. 1, n. 8868 del 26/06/2000, Rv. 216906 - 01). 7.1. Il primo motivo di ricorso e' manifestamente infondato perche' omette di confrontarsi con la sentenza impugnata riproponendo le medesime questioni affrontate e risolte, in maniera tutt'altro che illogica, dai giudici di seconde cure. Infatti, il ricorrente non individua elementi idonei a destrutturare l'impianto probatorio a carico dell'imputato, limitandosi ad offrire una mera rilettura dei fatti rispetto a quella, del tutto logica, operata dal giudice di seconde cure. A tal proposito giova ricordare la preclusione per la Corte Suprema circa la possibilita' di una nuova valutazione delle risultanze acquisite nel processo da contrapporre a quella del giudice di merito attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilita' delle fonti di prova. (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217 - 01; Sez. n. 7380 del 11/01/2007, Rv 235716-01). Ed anche a seguito della modifica apportata all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), dalla L. n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimita' il travisamento del fatto, sempre stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. L'unica possibilita' per estendere l'indagine di legittimita' ad atti esterni al contenuto della decisione e' il caso di travisamento della prova. Invero, avere introdotto la possibilita' di valutare i vizi della motivazione anche attraverso gli "atti del processo" costituisce il riconoscimento normativo della possibilita' di dedurre in sede di legittimita' il suddetto vizio in forza del quale il giudice di legittimita', lungi dal procedere ad una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove), prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto e' stato o meno trasfuso e valutato, senza travisamenti, all'interno della decisione. In altri termini, vi sara' stato "travisamento della prova" qualora il giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste (ad esempio, un documento o un testimone che in realta' non esiste) o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale (alla disposta perizia e' risultato che lo stupefacente non fosse tale ovvero che la firma apocrifa fosse dell'imputato). Oppure dovra' essere valutato se c'erano altri elementi di prova inopinatamente o ingiustamente trascurati o fraintesi. Ma - occorrera' ancora ribadirlo - non spetta comunque alla Corte Suprema "rivalutare" il modo con cui quello specifico mezzo di prova e' stato apprezzato dal giudice di merito, attraverso la verifica del travisamento della prova. Il travisamento, dunque, consiste in un errore percettivo (e non valutativo) della prova stessa tale da minare alle fondamenta il ragionamento del giudice ed il sillogismo che ad esso presiede. Per esserci stato "travisamento della prova" occorre, quindi, che sia stata inserita nel processo un'informazione rilevante che invece non esiste agli atti e di verificare la correttezza della motivazione. A tal fine, va indicato specificamente nel ricorso per Cassazione quale sia l'atto che contiene la prova travisata o omessa. Il mezzo di prova che si assume travisato od omesso deve inoltre avere carattere di decisivita', cioe' deve essere autonomamente dotato di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la rappresentazione risulti in grado di disarticolare l'intero ragionamento svolto dal giudicante, determinando al suo interno radicali incompatibilita', cosi' da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione. (Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758 - 01). Diversamente, infatti, si chiederebbe al giudice di legittimita' una rivalutazione complessiva delle prove che, come piu' volte detto, sconfinerebbe nel merito. Il travisamento della prova, infatti, non costituisce il mezzo per valutare nel merito la prova, bensi' lo strumento per saggiare la tenuta della motivazione alla luce della sua coerenza logica con i fatti sulla base dei quali si fonda il ragionamento perche' la ricorrenza del vizio in esame rende la motivazione insanabilmente contraddittoria con le premesse fattuali del ragionamento cosi' come illustrate nel provvedimento impugnato e risulta decisivo quando la frattura logica tra la premessa fattuale del ragionamento e la conclusione che ne viene tratta e' irreparabile (Sez. Un., n. 18620 del 19/01/2017). 7.1.1. Se questa, dunque, e' la prospettiva ermeneutica cui e' tenuta la Corte, le censure che il ricorrente rivolge al provvedimento impugnato si palesano chiaramente infondate, non apprezzandosi nella motivazione della sentenza della Corte d'Appello di Firenze alcuna illogicita' che ne vulneri la tenuta complessiva. Nel caso di specie, la difesa dell'imputato deduce un travisamento della prova in ordine all'insussistenza del consenso della persona offesa nel corso dei rapporti sessuali subiti. In via preliminare, si ritiene di dover correggere quanto dedotto dalla difesa nella parte in cui afferma che "le dichiarazioni (della persona offesa aventi ad oggetto la mancata espressione del dissenso al rapporto sessuale) non erano state neppure riportate nella parte della Sentenza dedicata all'elenco delle dichiarazioni rese dalla PO" atteso che a pagina 53 della pronuncia il Tribunale da atto della circostanza per cui "la (OMISSIS) si ricorda di essersi baciata con il Carabiniere giovane e di non avergli detto di smettere ma quello che pensava era di voler dormire anche perche' con il bacio non aveva nessunissima reazione". Inoltre, in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericita', quei motivi che, deducendo il vizio di manifesta illogicita' o di contraddittorieta' della motivazione, riportano meri stralci di singoli brani di prove dichiarative, estrapolati dal complessivo contenuto dell'atto processuale al fine di trarre rafforzamento dall'indebita frantumazione dei contenuti probatori, o, invece, procedono ad allegare in blocco ed indistintamente le trascrizioni degli atti processuali, postulandone la integrale lettura da parte della Suprema Corte. (Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014 - dep. 29/05/2015, Rv. 263601 - 01; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, Rv. 265053 - 01). In ogni caso, dirimenti nell'escludere l'asserito travisamento di prova, sono le conclusioni a cui e' pervenuto il Tribunale di Firenze alla pagina 87 della sentenza: al paragrafo 21.6, rubricato "L'osservanza del (OMISSIS) al rifiuto della (OMISSIS) al rapporto orale" si legge "Sostiene la difesa che la (OMISSIS) avrebbe negato il proprio consenso unicamente al rapporto orale: "non sarebbe la prima volta, ognuno di noi ha le sue preferenze sessuali, dettate anche dalle ragioni culturali, per cui puo' capitare che uno dei partner del rapporto dica: no, questo particolare atto sessuale non lo voglio fare, ma questo non vuol dire che si deve interrompere il rapporto" (f. 82 ud. 21.2.20 conclusioni). Con questa tesi viene abbandonata dalla difesa la versione secondo cui la (OMISSIS) avrebbe prestato un pieno e lucido consenso a tutto il rapporto sessuale intrattenuto con il (OMISSIS), quella notte, e si ammette che un dissenso espresso vi sia stato. Tuttavia tale dissenso avrebbe riguardato unicamente il rapporto orale e i campioni boccali della (OMISSIS) starebbero li' a dimostrare che in essi non vi e' traccia biologica del (OMISSIS)". Tanto basta per contraddire quanto lamentato dalla difesa e soprattutto per dichiarare inammissibile la doglianza dedotta, poiche', ancorche' la Corte d'appello abbia taciuto sul punto, il motivo di appello sarebbe stato "ab origine" inammissibile per manifesta infondatezza (Sez. 3, n. 46588 del 03/10/2019, Rv. 277281 01) 7.1.2. Ad abundantiam, la Corte di Appello ha comunque motivato adeguatamente il proprio convincimento in ordine ai fatti che occupano, sicche' l'asserito vizio dedotto dal prevenuto non risulta in grado di disarticolare l'intero ragionamento probatorio svolto dai giudici di seconde cure. In particolare, alla luce degli elementi probatori emersi nel corso del giudizio, non esclude la consensualita' del bacio, peraltro mai negata dalla stessa ragazza la quale, come sopra riportato, aggiunge di non essere stata partecipe all'atto stesso poiche' stanca e questo giustificherebbe l'inferiorita' psichica riconosciuta alla (OMISSIS) nel proseguo degli eventi. Per i giudici territoriali, in particolare, la condotta si concretizza nell'arco di pochi secondi, comincia con il bacio e continua in un crescendo insinuante che ha visto la ragazza in uno stato confuso per l'alcol assunto durante la fase dei toccamenti e poi trovare la forza di dire no, diverse volte. Ed e' proprio sui no ripetuti dalla vittima che la Corte non riconosce alcun fondamento alla tesi della difesa circa il "non manifesto consenso" (pag. 31) e su cui, pertanto, insiste al fine di ritenere provata la violenza sessuale, esclusa nella fase anteriore perche' - si ribadisce -, per espressa ammissione della vittima, non c'e' stata alcuna opposizione. E', in proposito, stato ripetutamente affermato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione il principio secondo il quale nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non sia tenuto a compiere un'esplicita analisi di tutte le deduzioni delle parti ne' a fornire espressa spiegazione in merito al valore probatorio di tutte le emergenze istruttorie, essendo necessario e sufficiente che spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dalle quali si dovranno ritenere implicitamente disattese le opposte deduzioni difensive ancorche' non apertamente confutate. In altre parole, non rappresenta vizio censurabile l'omesso esame critico di ogni questione sottoposta all'attenzione del giudice di merito qualora dal complessivo contesto argomentativo sia desumibile che alcune questioni siano state implicitamente rigettate o ritenute non decisive, essendo a tal fine sufficiente che la pronuncia enunci con adeguatezza e logicita' gli argomenti che si sono ritenuti determinanti per la formazione del convincimento del giudice (Sez. 2, n. 9242 del 8/02/2013, Reggio, Rv. 254988; Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, Muia', Rv. 254107; Sez. 4, n. 34747 del 17/05/2012, Parisi, Rv. 253512; Sez. 4, n. 45126 del 6/11/2008, Ghisellini, Rv. 241907). Infine, l'incertezza riscontrata nelle dichiarazioni della (OMISSIS) viene logicamente giustificata a causa dell'obnubilazione in cui sarebbe ricaduta la difesa per lo spiazzamento e lo stato di ebbrezza dopo l'accelerazione repentina degli eventi. 7.1.3. Ad ogni modo si ritiene di dover dare continuita', anche per questo caso, a quanto gia' affermato, con riferimento alla struttura del reato di violenza sessuale, nella sentenza passata in giudicato per l'altro dei protagonisti degli eventi della notte del (OMISSIS), il (OMISSIS), per cui non e' ammissibile, in conformita' con l'articolo 609-bis c.p., ritenere che la violenza sessuale possa ritenersi provata solo allorche' essa sia stata preceduta da una qualsiasi "resistenza", ancorche' minima, opposta dal soggetto passivo del reato. Rimarrebbero, infatti, escluse tutte le ipotesi in cui il delitto sia stato posto in essere in danno di soggetto che, non essendo in grado di apprezzare il significato del comportamento dell'agente, per fatti contingenti (si immagini l'individuo sedato), non sia stato in condizione di opporre alcuna resistenza all'altrui operato, ma anche tutte le numerose ipotesi in cui la assoluta estemporaneita' della condotta di reato ovvero la sua subitanea e repentina esecuzione abbiano impedito al soggetto passivo di esprimere, anche soltanto attraverso la espressione del dissenso, una qualche resistenza oppositiva ad essa (il reato risulta integrato non solamente in presenza di una manifestazione espressa di dissenso del soggetto passivo al compimento della altrui condotta invasiva della su sfera di liberta' sessuale, ma anche allorche' tale condotta sia stata posta in essere in assenza del consenso, non essendo stato questo espresso neppure in forma tacita dalla persona offesa come nel caso in cui la stessa non abbia consapevolezza della materialita' degli atti compiuti sulla sua persona: Sez. 3, Sentenza n. 22127 del 23/06/2016 - dep. 08/05/2017, Rv. 270500 - 01; ovvero nel caso in cui la condotta criminosa sia stata cosi' improvvisa da prevenire anche la manifestazione del dissenso della persona offesa: Sez. 3, n. 46170 del 18/07/2014, Rv. 260985 - 01). 7.2. Per ragioni espositive, si trattera' ora il quinto motivo di ricorso, inammissibile anch'esso, per i principi ricordati poc'anzi. Si tratta, in altri termini, di una ricostruzione alternativa fornita dal ricorrente e quindi non apprezzabile in sede di legittimita'. Che la (OMISSIS) alle ore 3.18 si trovasse gia' sul pianerottolo del secondo piano e' un postulato difficilmente dimostrabile ove piu' si consideri che aver il telefono della (OMISSIS) (la sentenza riporta che e' il telefono della (OMISSIS) ad aver agganciato il Wi-fi, la difesa quello della (OMISSIS), n.d.r.) agganciato il wi-fi di casa non implica, con assoluta certezza, che fosse sul pianerottolo (vd. osservazione del Tribunale pag. 86), potendo altresi' indicare esclusivamente la vicinanza della ragazza alla propria abitazione. Inoltre, il lasso di tempo in cui la difesa colloca la violenza non e' molto maggiore rispetto a quello riconosciuto dai giudici di merito, perche', avallando la ricostruzione difensiva, dalle 3:18 alle 3:24 (ora del video sul cellulare della (OMISSIS)), si tratterebbe di sei minuti in cui il Carabiniere e la (OMISSIS) sarebbero scesi al pian terreno, avrebbero consumato il rapporto e sarebbero risaliti. Rimarrebbero otto minuti dalle 3:24 alle 3:32 in cui pero' non e' chiaro che cosa avrebbero fatto i due carabinieri una volta saliti a bordo della loro vettura di servizio, sollecitazione operata dal Tribunale (pag. 86) a cui pero' non e' stata fornita risposta dalla difesa. Per le Corti di merito, la violenza si sarebbe consumata "nel giro di cinque minuti abbondanti", tra le 3:24 e le 3:32, dal momento che ha ritenuto piu' logico che, a seguito di uno scambio di battute e ringraziamenti, si fossero consumate le due congiunzioni carnali, atteso, inoltre, che, secondo quanto riportato, la (OMISSIS) avrebbe recuperato frettolosamente l'amica all'uscita dall'ascensore e portata in casa e contestualmente i militari si erano allontanati con l'auto. A tal proposito, non puo' non sottolinearsi come la ricostruzione della tempistica non si fondi esclusivamente sul ragionamento logico elaborato dal Tribunale, ma anche sulle dichiarazioni rese dalla (OMISSIS), teste nel presente procedimento e vittima nel correlato giudizio, discusso nelle forme del rito abbreviato, a carico del (OMISSIS), il capo pattuglia, per il quale e' intervenuta sentenza definitiva di condanna in cui si avalla la versione della (OMISSIS). Per tale ultima ragione, e' analogamente smentito l'ultimo punto su cui versa la critica della difesa, ovvero la salita al secondo piano con le scale della (OMISSIS) e del (OMISSIS) anziche' con l'ascensore come asserito dalla vittima e dalla coinquilina, sebbene la prima avesse reso tale dichiarazione in forma confusa a causa della sua condizione determinata dall'assunzione di alcool, circostanza confermata dall'amica, la quale, prima di entrare si accertava delle condizioni dell'amica per paura che stesse male, affermazione che ha indotto la Corte d'appello, logicamente, ad escludere che potesse essere stata la (OMISSIS) a trascinare per le scale il carabiniere (si veda pag. 20 sentenza della Corte d'appello). 7.3. Quanto al secondo motivo, per la difesa, le Corti avrebbero utilizzato un procedimento inferenziale due volte, in due momenti distinti della decisione, di cui il secondo quale conseguenza del primo. 7.3.1. In particolare, per un primo fenomeno induttivo, le lesioni riscontrate sarebbero state causate dalla mancata lubrificazione nella zona genitale. Successivamente, quindi sempre con un altro ragionamento induttivo, dalla mancata lubrificazione sarebbe stato possibile dedurre l'assenza di consenso all'attivita' sessuale da parte della (OMISSIS), conclusione a cui i giudici del merito non sarebbero potuti pervenire perche' il presupposto non e' un fatto certo ma una congettura. Se cosi' fosse, la Corte sarebbe incorsa nella c.d. praesumptio de praesumpto che pero' contrasta con la regola della certezza dell'indizio atteso che in tema di valutazione della prova indiziaria, il giudice puo' partire da un fatto noto per risalire ad uno ignoto, ma non puo' utilizzare quest'ultimo come fonte di un'ulteriore presunzione sulla base della quale fondare la propria decisione (Sez. 6, n. 37108 del 02/12/2020, Rv. 280195 - 01; Sez. 1, n. 18149 del 11/11/2015 - dep. 02/05/2016, Rv. 266882 - 01; Sez. 1, n. 4434 del 06/11/2013 - dep. 30/01/2014, Rv. 259138 - 01). Costituisce principio acquisito, nell'elaborazione giurisprudenziale della Suprema Corte in tema di validazione della prova indiziaria, che l'operazione di lettura complessiva dell'intero compendio probatorio di natura indiretta, che non si esaurisce nella mera sommatoria degli indizi ma esige la loro valorizzazione in una prospettiva globale e unitaria tendente a porne in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo, deve essere preceduta dall'operazione propedeutica - da cui non puo' prescindersi - che consiste nella valutazione separata dei singoli elementi di prova indiziaria, che devono essere presi in esame e saggiati individualmente nella loro, intrinseca, valenza qualitativa e nel grado di precisione e gravita' richiesto dalla legge, che ciascuno di essi deve possedere (Sez. Un. 33748 del 12/07/2005, Rv. 231678; Sez. 1 n. 30448 del 9/06/2010, Rv. 248384; Sez. 2 n. 42482 del 19/09/2013, Rv. 256967). La valutazione del peso probatorio degli indizi spetta al giudice di merito e nel giudizio di legittimita' puo' essere contestata solo per "mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione" (Sez. 1, n. 3017 del 17/05/1995, Rv. 201732; Sez. 5, n. 780 del 30/07/1991, Rv. 188100). Come per altri tipi di inferenza, anche per il ragionamento indiziario la tipologia delle illogicita' manifeste e' strettamente connessa alla struttura del ragionamento. 7.3.2. Nel caso in esame, la Corte d'appello annida la non consensualita' dei rapporti non solo nei "no" pronunciati dalla persona offesa ma anche nei risultati delle certificazioni mediche - e non nella mancata lubrificazione come attesta la difesa - mentre il Tribunale conferisce alle lesioni la qualifica di riscontro oggettivo della veridicita' del racconto della (OMISSIS). Se e' vero, come di fatto e', che le dichiarazioni della persona offesa, vittima del reato di violenza sessuale, possono essere assunte, anche da sole, come prova della responsabilita' dell'imputato, non necessitando le stesse di riscontri esterni (Sez. 3, n. 1818 del 03/12/2010 - dep. 20/01/2011, Rv. 249136 - 01) previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilita' soggettiva del dichiarante e dell'attendibilita' intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere piu' penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte, Rv. 253214 - 01; Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014 - dep. 14/01/2015, Rv. 261730 01), la tesi della difesa e' priva di fondamento atteso che, la non consensualita' del rapporto e' stata provata attraverso le parole della vittima costituendo, gli ulteriori elementi emersi (le lesioni, il sanguinamento) come condivisibilmente osservato dal Tribunale, elementi di riscontro volti a confermare quanto dichiarato dalla vittima su cui, lo si ribadisce, si fonda la prova del mancato consenso al compimento dell'atto sessuale. Nessuna illogicita', quindi, si rinviene nel ragionamento seguito dai giudici, dovendo escludere che ricorra la violazione del divieto di c.d. doppia presunzione. Nemmeno puo' quindi ritenersi che siasi trattato del ricorso ad ipotesi od illazioni da parte dei giudici di merito, fermo restando, peraltro, che cio', in consimili ipotesi, sarebbe sicuramente consentito. Deve, infatti, essere riaffermato il principio secondo cui il ricorso, da parte del giudice, a ipotesi o illazioni, ai fini della formazione e della motivazione del proprio convincimento, e' da considerare certamente vietato quando, mediante dette ipotesi o illazioni, si voglia costruire una prova positiva di colpevolezza; non puo', invece, ritenersi vietato quando, in presenza di elementi di per se' idonei a dimostrare la colpevolezza, ne vengano dalla difesa prospettati altri di cui si assuma l'idoneita' a neutralizzare la valenza dei primi. In tal caso, infatti, il giudice (analogamente a quanto si verifica, in termini rovesciati, allorche' egli deve valutare gli indizi a carico), e' non solo facoltizzato, ma addirittura tenuto a prospettarsi quelle che possono apparire ragionevoli e plausibili ipotesi alternative atte ad escludere la detta idoneita'. Solo la irragionevolezza e la conseguente implausibilita' di tali ipotesi, quindi, e non il semplice fatto della loro prospettazione a sostegno dell'"iter motivazionale" seguito dal giudice, puo' dare luogo a censura in sede di legittimita' (Sez. 1, n. 3424 del 02/03/1992 - dep. 24/03/1992, Rv. 189683 - 01). 7.3.3. Analogamente, la ricostruzione dello stato di ebbrezza e, dunque, della condizione di inferiorita' psico-fisica della (OMISSIS) al momento del fatto come argomentata dalla Corte d'appello, non incorre nella violazione lamentata dal prevenuto, il quale ha, di fatto, omesso di confrontarsi con la pronuncia impugnata sul punto. Infatti, anche a voler criticare la c.d. curva di Widmark per individuare il picco alcolemico - afferma la Corte d'appello (pag. 25) - la reazione individuale all'alcol della (OMISSIS) e' individuabile attraverso una serie di elementi esterni, meno scientifici e piu' fattuali. Segnatamente, vengono richiamati: il fatto che la ragazza non si reggesse in piedi da sola all'arrivo a (OMISSIS); il semi svenimento una volta rientrata a casa dopo le violenze subite; la telefonata al 113, segnale di scarsa capacita' della (OMISSIS) di esprimere un concetto, non solo in italiano, ma anche in inglese o spagnolo; la descrizione della situazione della tutor (OMISSIS) non appena raggiunse l'abitazione, ovvero la (OMISSIS) che roteava gli occhi, pareva non seguire e non riusciva a stare seduta; la testimonianza del sovrintendete capo (OMISSIS) che descriveva la ragazza "in stato di shock, non parlava, smarrita e catatonica", era la sola ad essere stata fatta stendere sul lettino dell'ambulanza per il trasporto in ospedale. Continua la Corte: "e' evidente quindi che al di la' dei grafici e delle scuole di pensiero sui tempi di assorbimento dell'alcool, chi ha visto la (OMISSIS) dopo la violenza subita ha notato come lei non fosse in se' e si fosse affidata alla piu' lucida (OMISSIS) per il racconto su quanto era accaduto, a lei rimasto nebuloso. (...) Non si tratta a questo punto di apodittiche deduzioni, di diagrammi sullo stato teorico di chi assume alcol, fino a che ora ed in che quantita', ma di considerazioni logiche ed inevitabili che derivano dalla diretta osservazione della vittima cosi' come apprezzata da chi e' entrato in contatto con lei subito dopo la violenza subita, riportando poi in fase di dimissioni dall'ospedale (OMISSIS) quel referto di "abuso sessuale in etilismo acuto" delle ore 5.23 che certo non e' frutto dell'auto-diagnosi della vittima." (pagg. 25 e 26). Gli argomenti spesi della difesa sul punto, oltre alla violazione del divieto di doppia presunzione, che in questo caso risulta non essere integrata, costituiscono l'ennesimo tentativo di dedurre, in sede di legittimita', circostanze di fatto non altrimenti apprezzabili, se non attraverso il profilo della tenuta logica della motivazione - nella specie assolutamente solida - da parte della Corte di cassazione. In conclusione, anche il secondo motivo deduce vizi attinenti a valutazioni di merito, non ammesse in sede di legittimita', a cui consegue l'inammissibilita' del secondo motivo. 7.4. Venendo ora ai restanti motivi si osserva quanto segue. Il terzo motivo concerne la corrispondenza tra il contenuto dell'imputazione, cosi' come modificata da parte del PM, e i fatti accertati dalla sentenza, posti a fondamento della dichiarazione di responsabilita'. La difesa, riproponendo integralmente le medesime censure dedotte con il relativo motivo di appello, rileva che, mentre nella contestazione si fa riferimento alla sola ipotesi di violenza sessuale per costrizione di cui all'articolo 609-bis c.p., comma 1 aggravata ex articolo 61 c.p., n. 5, in sentenza si fa riferimento anche alla fattispecie induttiva di cui all'articolo 609-bis c.p., comma 2, n. 1. La denunciata violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, si fonda prevalentemente sull'assenza nella descrizione dell'imputazione del verbo "induceva", dal quale sarebbe automaticamente discesa la mancata contestazione dell'ipotesi induttiva. 7.4.1. In via preliminare, giova evidenziare che secondo la giurisprudenza di legittimita', per individuare l'eventuale violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza di cui all'articolo 521 c.p.p., non e' sufficiente il mero raffronto letterale tra il fatto contestato e quello affermato in sentenza, ma si deve stabilire in concreto se la modificazione abbia inciso sul diritto di difesa. Affinche' possa ritenersi violato il principio de quo, e' necessario che venga posto alla base della decisione un fatto radicalmente diverso rispetto a quello contenuto nell'imputazione. Appare chiaro, dunque, come il principale presupposto applicativo dell'articolo 521 c.p.p. debba ravvisarsi nell'intervenuta modifica dell'imputazione stessa. Tuttavia, nel caso di specie il fatto oggetto di condanna non risulta affatto estraneo all'editto accusatorio, potendosi al contrario apprezzare la perfetta coincidenza dello stesso con il fatto descritto nel capo di imputazione. Infatti, inizialmente all'imputato veniva contestato il reato di violenza sessuale per induzione di cui all'articolo 609-bis c.p., alla luce del quale si celebrava l'incidente probatorio. Successivamente, in sede di udienza preliminare, il PM procedeva a modificare l'imputazione contemplandovi oltre alla fattispecie induttiva, gia' contestata, anche quella coercitiva. Infine, il giudice di prime cure affermava la penale responsabilita' dell'imputato sulla base dell'imputazione cosi' come riformulata da parte del PM, la quale, pertanto, e' rimasta inalterata. Alla luce di quanto illustrato, appare con tutta evidenza che il Tribunale di Firenze non abbia in alcun modo inciso sull'imputazione ne' attraverso una riqualificazione giuridica del fatto, ne' attraverso una modificazione dello stesso (Sez. 3, Sentenza n. 23873 del 08/04/2009 - dep. 10/06/2009, Rv. 244082 - 01). Le giustificazioni contenute a pag. 27 dell'impugnata sentenza (paragrafo sulla "configurazione giuridica dei fatti") sono pertanto assolutamente lineari e scevre da vizi di illogicita' manifeste o da cedimenti argomentativi, essendo infatti rimasto nel capo di imputazione il riferimento allo stato di ebbrezza alcolica come forma di approfittamento iniziale del soggetto agente, cui si e' aggiunta la sostituzione del verbo indurre con costringere, senza che tuttavia che cio' potesse comportare una violazione del principio di correlazione ex articolo 521 c.p.p., anche alla luce del principio consolidato secondo cui la violazione dell'articolo 521 c.p.p. non e' ravvisabile, neanche per effetto di una lettura della disposizione alla luce dell'articolo 111 Cost., comma 2, e dell'articolo 6 della Convenzione EDU come interpretato dalla Corte Europea, qualora la nuova definizione del reato fosse nota o comunque prevedibile per l'imputato e non determini in concreto una lesione dei diritti della difesa derivante dai profili di novita' che da quel mutamento scaturiscono (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015 - dep. 21/07/2015, Lucci, Rv. 264438 - 01), profili di novita' nella specie non ravvisabili posto che nella specie l'imputazione originaria era contestata in forma induttiva, quella modificata dal Pm era in forma costrittiva, e nell'imputazione e' stato mantenuto il riferimento allo stato di ebbrezza alcolica come forma di approfittamento iniziale del soggetto agente, riferimento che non avrebbe avuto ragione di essere mantenuto ove la scelta definitiva, al di la' della mera sostituzione del verbo (indurre - costringere), fosse stata quella di contestare unicamente l'ipotesi dell'articolo 609-bis c.p., comma 1, laddove, diversamente, sia per il riferimento letterale allo stato di ebbrezza alcolica come forma di approfittamento iniziale del soggetto agente, sia ancora, il permanere nell'imputazione del riferimento all'articolo 609-bis c.p., comma 2, n. 1, rendeva evidente la natura alternativa della contestazione. 7.4.2. In tal senso, la giurisprudenza di legittimita' richiamata dal ricorrente a sostegno della tesi difensiva mal si adatta dunque al caso di specie. Infatti, nelle pronunce citate, i giudici di legittimita' hanno riconosciuto la sussistenza della violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza in casi in cui l'imputato era stato condannato "a sorpresa" per violenza sessuale per induzione a fronte di un'iniziale imputazione per violenza sessuale per costrizione. Diversamente, la giurisprudenza di questa Sezione e' del tutto costante nell'affermare che non e' configurabile la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nel caso in cui la condanna, a fronte dell'originaria imputazione di violenza sessuale commessa con costrizione, sia pronunciata per violenza sessuale commessa con abuso delle condizioni d'inferiorita' psichica o fisica, quando la seconda condotta rappresenta la proiezione fattuale della prima e l'imputato abbia potuto difendersi con riferimento a tutti i fatti addebitatigli (Sez. 3, n. 24598 del 03/07/2020 - dep. 01/09/2020, Rv. 279710 - 01). Deve, pertanto, sotto tale profilo ribadirsi che il principio di correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza, fondato sulla salvaguardia del diritto di difesa, non deve essere interpretato in senso rigorosamente formale o meccanicistico ma, conformemente al suo scopo ed alla sua funzione, in senso realistico e sostanziale, dovendosene escludere, pertanto, la violazione ogniqualvolta l'imputato sia stato in concreto posto in condizioni di compiutamente difendersi e la puntualizzazione dell'originaria imputazione sia comunque avvenuta, pur se con atti diversi e successivi rispetto a quelli tipicamente preposti a tal fine (Conf. sez. 1, n. 982/95 del 12/09/95, Pres. Consoli, imp. Zara, non massimata; conf. Sez. 1, n. 979/95 del 12/09/95, Pres. Consoli, imp. Gannone, non massimata; Sez. 1, n. 10684 del 19/09/1995 -dep. 27/10/1995, Rv. 202535 - 01). 7.4.3. Parimenti priva di pregio risulta la doglianza difensiva relativa all'insufficiente chiarezza dell'imputazione. Sul punto, e' consolidato nella giurisprudenza di legittimita' l'indirizzo secondo cui, ai fini della verifica del rispetto del principio di correlazione tra accusa e sentenza, "si deve avere riguardo alla specificazione del fatto piu' che all'indicazione delle norme di legge violate, per cui ove il fatto sia precisato in modo puntuale, la mancata individuazione degli articoli di legge violati e' irrilevante e non determina nullita', salvo che non si traduca in una compressione dell'esercizio del diritto di difesa" (Sez. 3, n. 5469 del 05/12/2013, dep. 2014, Russo, Rv. 258920; Sez. 3, n. 22434 del 19/02/2013, Nappello, Rv. 255772). Nel caso di specie, il fatto addebitato risulta puntualmente e dettagliatamente esposto. Infatti, determinante per superare la censura de qua risulta proprio la lettura dell'imputazione, la quale nella sua struttura complessiva e attraverso il richiamo alle norme di legge, descrive con sufficiente chiarezza la condotta contestata all'imputato, il quale "approfittando delle condizioni psicofisiche di (OMISSIS), che si trovava in stato di ebbrezza alcolica, con violenza consistita nel penetrarla in vagina agendo in modo repentino ed inaspettato mentre la baciava all'interno dell'androne e dell'ascensore del palazzo di (OMISSIS), nonostante il suo diniego, violenza che cagionava alla stessa anche lesioni personali come documentate nei referti ospedalieri (...), costringeva (OMISSIS) a subire atti sessuali consistiti in penetrazione vaginale". Proprio dalla descrizione del fatto contestato emerge chiaramente ed esplicitamente il richiamo sia alla condotta induttiva che a quella costrittiva. Infatti, a differenza di quanto osservato dalla difesa, l'assenza nella contestazione del verbo "induceva" non puo' essere assunto quale elemento sintomatico della mancata contestazione della fattispecie induttiva. Al contrario, dalla descrizione del fatto ascritto all'imputato emerge chiaramente il riferimento all'approfittamento delle condizioni psicofisiche della persona offesa, come del resto chiaro e' il richiamo alle norme di legge violate, tra cui figura anche l'articolo 609-bis c.p., comma 2, n. 1. Si puo' allora affermare che la Corte d'Appello di Firenze, facendo buon governo dei principi precedentemente richiamati, ha giustamente osservato come "lo svolgimento della vicenda (...) ha subito un mutamento di contestazione da parte del PM che da una fattispecie di "induzione" al rapporto iniziale, dopo l'incidente probatorio ha valorizzato invece la "costrizione" e quindi la violenza in danno della vittima piuttosto che lo stato di ebbrezza alcolica, comunque rimasto nella contestazione come forma di approfittamento iniziale del soggetto agente, sostituendo l'azione finale a carico di costui da "induceva" a "costringeva" (pag. 27 sentenza appello). Ne consegue l'assenza di qualsiasi pregiudizio al diritto di difesa, in quanto l'imputazione, modificata in sede di udienza preliminare, e' rimasta inalterata per il prosieguo del processo, sicche' l'imputato ha potuto difendersi in relazione ad entrambe le fattispecie contestate nel corso di tutto il dibattimento. Peraltro, la censura inerente al mancato esercizio di difesa in ordine alla fattispecie induttiva perde ancor piu' di consistenza alla luce del fatto che lo stesso incidente probatorio, celebratosi anteriormente alla modifica dell'imputazione da parte del PM, ha avuto ad oggetto proprio l'iniziale addebito del fatto di violenza sessuale per induzione. Quanto alla illegittimita' sotto l'aspetto sostanziale di tale modifica della originaria imputazione, la censura del ricorrente non ha pregio, posto che la stessa non ha lasciato alcuna traccia nell'apparato sanzionatorio applicato al ricorrente. Infine, con riferimento alle osservazioni proposte dal PG deve evidenziarsi come nel caso di specie, questione dibattuta non sia l'iniziale modificazione dell'imputazione operata dal PM, attraverso la quale si e' segnato il passaggio dalla fattispecie induttiva a quella costrittiva, bensi' la reale portata dell'imputazione cosi' come formulata in sede di udienza preliminare. In particolare, il ricorrente ritiene contemplata nell'imputazione unicamente la fattispecie costrittiva, nonostante l'esplicito richiamo ad entrambe le norme di legge ex articolo 609-bis c.p., comma 1 e comma 2, n. 1. 7.5. Il quarto motivo e' parimenti infondato. Deve essere disattesa la doglianza avanzata dal ricorrente in ordine alla violazione di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d). In proposito, va anzitutto rilevato che il vizio evocato di mancata assunzione di una prova decisiva puo' essere dedotto solo in relazione a specifici mezzi di prova di cui sia stata chiesta l'ammissione a norma dell'articolo 495 c.p.p., comma 2, ed assume, peraltro, rilievo solo quando la presunta prova decisiva, confrontata con le argomentazioni addotte in motivazione a sostegno della decisione, risulti determinante per un esito diverso del processo e non si limiti ad incidere su aspetti secondari della motivazione. Invero, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimita', deve ritenersi "decisiva", secondo la previsione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d), la prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia ovvero quella che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante. Oltretutto, la prova decisiva deve avere ad oggetto un fatto certo nel suo accadimento e non puo' consistere in un mezzo di tipo dichiarativo, il cui risultato e' destinato ad essere vagliato per effettuare un confronto con gli altri elementi di prova acquisiti al fine di prospettare l'ipotesi di un astratto quadro storico valutativo favorevole al ricorrente. Sez. 5, n. 37195 del 11/07/2019, Rv. 277035 - 01; Sez. 3, n. 9878 del 21/01/2020, Rv. 278670 - 01). 7.5.1. Tanto premesso, appare evidente che nel caso di specie non possa parlarsi di prova decisiva, in quanto l'elemento probatorio pretermesso non ha un contenuto tale da risolvere il thema decidendum, necessitando di essere comparato con gli altri elementi acquisiti nel processo. Infatti, non puo' considerarsi decisiva la prova che viene richiesta nella prospettiva meramente ipotetica che il risultato di essa possa introdurre elementi di contrasto, tali da modificare la ricostruzione dei fatti e la valutazione fattane in sede di merito. 7.5.2. Per quanto riguarda il vizio di violazione di legge processuale, pure dedotto con il quarto motivo, sembra necessario, al fine di comprendere compiutamente i termini della questione, riepilogare brevemente i fatti processualmente rilevanti: in previsione dell'incidente probatorio, all'imputato veniva inizialmente contestato il reato di violenza sessuale per induzione di cui all'articolo 609-bis c.p., comma 2, n. 1; successivamente, nel corso dell'udienza preliminare, il PM modificava l'imputazione contestando "anche" (come visto) il reato di violenza sessuale per costrizione di cui all'articolo 609-bis c.p., comma 1. Nelle more del dibattimento, il giudice ha ritenuto di non accogliere la richiesta di ripetizione dell'esame gia' reso in sede di incidente probatorio, ritendo che a seguito della modificazione dell'imputazione fosse intervenuta soltanto una riqualificazione giuridica del fatto e che comunque l'argomento era stato sviscerato a sufficienza. Tale sentenza, oggetto di gravame, veniva confermata dalla Corte di Appello di Firenze. Infatti, avendo la difesa dell'imputato dedotto, quale motivo di ricorso in appello, l'illegittimita' del diniego in ordine alla rinnovazione dell'esame testimoniale tanto della persona offesa quanto della teste (OMISSIS), la Corte territoriale, nel respingere la doglianza e condividendo le conclusioni del giudice di primo grado, ha osservato che sarebbe stato fuorviante e ultroneo citare nuovamente le persone offese per interrogarle su fatti che oltre ad essere ormai lontani nel tempo sono stati tutti adeguatamente approfonditi nell'articolato incidente probatorio. 7.5.3. Il ricorrente eccepisce che l'ordinanza del Tribunale di Firenze, resa all'udienza del 2.10.2019, violerebbe gli articoli 190, 190-bis, 495 c.p.p. e articolo 6 CEDU, in quanto avrebbe negato la ripetizione dell'esame testimoniale sebbene fosse intervenuta una modifica dell'imputazione. In primo luogo, preme rilevare come la mancata rinnovazione dell'esame della (OMISSIS) deve essere vagliata esclusivamente alla stregua dell'articolo 190 c.p.p., in quanto la stessa nel presente procedimento figura esclusivamente in qualita' di testimone e non anche di persona offesa, rendendosi di guisa inapplicabile l'articolo 190-bis c.p.p.. Con il disposto dell'articolo 495 c.p.p., comma 2, che riconosce all'imputato il diritto all'ammissione delle prove indicate a discarico sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico, si e' recepita nel nostro ordinamento la norma contenuta nell'articolo 6, n. 3, lettera d) della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo. E' consolidato l'orientamento della giurisprudenza di legittimita', secondo cui il diritto alla prova contraria garantito all'imputato puo' essere denegato, con adeguata motivazione dal giudice solo quando le prove richieste siano manifestamente superflue o irrilevanti. Ne consegue che, il giudice deve decidere sull'ammissibilita' della prova secondo i parametri previsti dall'articolo 190 c.p.p.. Le Sezioni Unite, inoltre, hanno rilevato che il diritto alla prova riconosciuto alle parti dall'articolo 190 c.p.p., comma 1, implica la corrispondente attribuzione del potere di escludere le prove manifestamente superflue ed irrilevanti, secondo una verifica di esclusiva competenza del giudice di merito, che sfugge al sindacato di legittimita' quando abbia formato oggetto di apposita motivazione che abbia dato conto del provvedimento adottato attraverso una spiegazione immune da vizi logici o giuridici (Sez. U, Sentenza n. 15208 del 25/02/2010 - dep. 21/04/2010, Rv. 246585 - 01). 7.6. Tanto premesso in linea generale e passando al caso di specie, e' necessario evidenziare come la doglianza sollevata dal ricorrente sia priva di pregio. Invero, il diniego espresso da parte del Tribunale di Firenze e poi confermato dalla Corte Territoriale aveva ad oggetto la rinnovazione dell'esame testimoniale, il quale si era gia' celebrato in sede di incidente probatorio nel pieno contraddittorio delle parti. I giudici di merito, adeguatamente motivando sul punto, hanno ritenuto che i fatti fossero stati sufficientemente sviscerati in sede di incidente probatorio, rendendosi conseguentemente fuorviante ed ultronea la rinnovazione dello stesso. Infatti, secondo la giurisprudenza di legittimita' l'anticipata acquisizione della prova realizzatasi con l'incidente probatorio comporta la sua utilizzazione in sede dibattimentale senza alcun bisogno di procedere alla sua rinnovazione a seguito di richiesta del difensore, avanzata in ragione della necessita' di provvedere ad integrazioni ovvero a contestazioni della stessa, risultando diversamente vanificata la funzione stessa dell'incidente probatorio. Infatti, ove la difesa ritenga necessario integrare la prova ovvero contestare nuove emergenze processuali, rientra nel potere discrezionale del giudice del dibattimento valutarne la completezza, salvo il diritto della parte di impugnare la relativa decisione (Sez. 4, n. 1832 del 23/10/2014 - dep. 15/01/2015, Rv. 261771 - 01). 7.6.1. Con riferimento alla persona offesa, poi, giova ricordare che l'articolo 190-bis c.p.p., come modificato dal Decreto Legislativo 15 dicembre 2015, n. 212, e' un istituto derogatorio rispetto alla disciplina generale di cui all'articolo 190 c.p.p., preordinato a tutelare la vittima vulnerabile, affinche' non subisca la c.d. "vittimizzazione secondaria" attraverso la ripetizione delle dichiarazioni. L'esigenza di protezione della persona offesa deve certo essere contemperata con la garanzia del diritto di difesa. In tal senso, il legislatore ha previsto che l'esame della persona offesa in condizione di particolare vulnerabilita' possa essere rinnovato solo in alcuni casi, tra cui quello del reato di violenza sessuale, qualora riguardi fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni ovvero se il giudice o taluna delle parti lo ritengano necessario sulla base di specifiche esigenze. Secondo la giurisprudenza di legittimita', l'assunzione dell'esame di persone che abbiano gia' reso dichiarazioni nei casi previsti dall'articolo 190 bis c.p.p., non deve essere disposto solo perche' la parte interessata lo abbia richiesto, gravando su quest'ultima l'onere di prospettare le ragioni che rendano necessaria la reiterazione della prova e spettando comunque al giudice di apprezzarne il merito anche alla luce di elementi di fatto eventualmente sopravvenuti (Sez. 5, n. 11616 del 30/11/2011 - dep. 26/03/2012, Rv. 252299 - 01). 7.6.2. Orbene, nel caso di specie, il ricorrente ha si' motivato la richiesta di ripetizione dell'esame testimoniale, rilevando che, a seguito della modifica dell'imputazione in sede di udienza preliminare sarebbero mutati gli elementi costitutivi della condotta contestata. Conseguentemente, nell'ottica difensiva, si rendeva necessario escutere nuovamente la persona offesa su fatti e circostanze diversi rispetto a quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni. Ora, e' ben vero che l'articolo 609-bis c.p. prevede due diverse condotte criminose: quella della violenza sessuale mediante costrizione e quella della violenza sessuale mediante induzione. La prima, ossia quella mediante costrizione puo', a sua volta, attuarsi o mediante costrizione - fisica o morale - o mediante abuso d'autorita'. La seconda ipotesi ossia la violenza sessuale per induzione puo' estrinsecarsi o mediante l'abuso delle condizioni d'inferiorita' fisica o psichica della vittima (n. 1), ovvero mediante inganno con sostituzione di persona (n. 2). Secondo la giurisprudenza di legittimita', i reati di violenza sessuale per costrizione di cui all'articolo 609-bis c.p., comma 1 e per induzione di cui all'articolo 609-bis c.p., comma 2, n. 1, non sono equivalenti o sovrapponibili tra loro, ma configurano modalita' distinte di realizzazione del fatto. Infatti, le due fattispecie - stante la ontologica contrapposizione della condizione psicologica in cui versa il soggetto passivo, in un caso di rifiuto o comunque di mancata adesione rispetto agli altrui voleri, nell'altro caso di adesione, sia pur in esito ad un viziato processo di formazione della volonta', ad essi - sono fra loro incompatibili, in quanto effetto di due tipologie di condotte poste in essere dall'agente tra loro inconciliabili (Sez. 3, n. 3951 del 28/09/2021 - dep. 04/02/2022, Rv. 282830 - 01). 7.6.3. Fatta questa premessa, e' certo evidente come, nel caso di specie, attraverso la modificazione dell'imputazione intervenuta in sede di udienza preliminare, il PM non si e' limitato a conferire una diversa veste giuridica alla condotta contestata, bensi' ha valorizzato una modalita' materiale di esecuzione della condotta tipica diversa da quella originariamente oggetto di contestazione. Pur in presenza di una diversita' strutturale delle due ipotesi di reato, tuttavia, la pienezza del diritto di difesa e' stata garantita, per le ragioni supra specificate, non solo in relazione alla fattispecie induttiva, ma anche in relazione a quella costrittiva. Nel corso dell'incidente probatorio, infatti, proprio attraverso l'ampio e penetrante esame della (OMISSIS) protrattosi per diverse ore, l'imputato ha avuto modo di difendersi non solo dall'originaria accusa di violenza sessuale per induzione, ma ha esercitato un contraddittorio pieno anche sulle dichiarazioni rese dalla p.o. da cui emergeva progressivamente anche che di violenza sessuale per costrizione si era trattato, come del resto e' reso palese dal fatto che, all'esito dell'esame in sede di incidente probatorio della (OMISSIS), il PM aveva provveduto a riformulare l'imputazione. Alla luce di quanto affermato, seppure non possano integralmente condividersi le conclusioni della Corte Territoriale, la quale ha ritenuto che fosse intervenuta esclusivamente una riqualificazione giuridica del fatto, puo' tuttavia riconoscersi rilievo all'elemento, invece valorizzato dai giudici di merito, in ordine alla completezza e all'esaustivita' dell'incidente probatorio. Questi, infatti, hanno correttamente ritenuto che, comunque, nel corso dell'incidente probatorio siano stati presi in considerazione anche gli elementi fattuali che connotano il mutamento della contestazione, tra cui il diniego della vittima all'atto sessuale e la presenza di segni sintomatici di violenza. Non puo' quindi seguirsi la suggestiva prospettazione difensiva secondo la quale, al momento dell'incidente probatorio, l'accusa contestata al (OMISSIS) verteva unicamente sull'ipotesi induttiva, sicche' la difesa avrebbe affrontato solo "in via incidentale" i richiamati elementi afferenti alla fattispecie costrittiva, senza riconoscere loro il giusto valore, non considerandoli contemplati nell'accusa. L'imputato non si e' trovato di fronte ad una vera e propria trasformazione dell'addebito sulla quale in precedenza non aveva avuto la possibilita' d'interloquire, ma ha assistito, non come passivo spettatore, ma come legittimo e paritario interlocutore con il Pubblico Ministero, svolgendo un pieno contraddittorio su tutti i fatti su cui la (OMISSIS) veniva sentita, ivi inclusi quelli da cui e' poi scaturita anche l'imputazione di violenza sessuale per costrizione, modulando dunque l'esame della persona offesa non solo sui fatti ad origine imputati a titolo di violenza sessuale per induzione, ma anche su quelli, che stavano progressivamente emergendo dall'esame della (OMISSIS) in contraddittorio, afferenti alla violenza "costrittiva". In conclusione, i giudici di merito hanno fatto buon governo dei principi richiamati, non essendo loro imposto nel caso in esame il riesame della persona offesa, affinche' la difesa potesse nuovamente esaminarla anche in relazione al "costringimento" all'atto sessuale, ostandovi non solo la dinamica delle modalita' "a tutto campo" con cui l'esame della (OMISSIS) era stato svolto, ma soprattutto l'esigenza di rispettare il particolare stato di vulnerabilita' della teste, come del resto a piu' riprese richiesto dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo. 7.6.4. A tal proposito, merita, infatti, di essere qui ribadito che la Corte EDU ha piu' volte ribadito che e' compito dello Stato assicurare le necessarie misure di tutela della persona offesa, la quale, pur essendo in condizione di particolare vulnerabilita', poiche' vittima di reati di violenza sessuale, non deve essere sottoposta a prassi di vittimizzazione secondaria (da ultimo, Corte EDU, Sez. 3, 7 febbraio 2023, B. c. Russia, n. 36328/20). In precedenza, in un'altra fattispecie (Corte EDU, Y c. Slovenia, 28 maggio 2015, n. 41107/2010), la Corte ha in particolare aggiunto, tra gli obblighi gravanti sugli Stati membri ex articolo 8 CEDU, anche il rispetto di una serie di cautele durante il processo penale quando si tratta di audizione delle vittime di violenza sessuale. Per il tramite delle menzionate pronunce si giunge, dunque, a pretendere che il rispetto della vita privata, come interpretata dalla Corte EDU, venga garantito anche all'interno del processo penale, ancorche' con tutte le cautele derivanti dal dover rapportare tale diritto con uno altrettanto rilevante, vale a dire le garanzie di difesa dell'imputato. Nella prospettiva della Corte, da tale norma discende pero' l'obbligo, in capo alle autorita' nazionali, di trattare in maniera diversa soggetti che, in relazione alle particolari circostanze del caso di specie, si trovano in situazioni sensibilmente differenti. Obbligo che diviene ancora piu' rilevante con riguardo alle vittime di violenza di genere e violenza domestica, soggetti vulnerabili ed esposti ad un rischio maggiore per la propria incolumita', che necessitano di una particolare protezione da parte delle Autorita'. E' proprio la consapevolezza di dove proteggere la (OMISSIS), soggetto vulnerabile in quanto vittima di abusi sessuali da parte dell'imputato, scongiurando che la stessa sia esposta ad una vittimizzazione secondaria attraverso un nuovo esame della stessa ex articolo 190 bis c.p.p. giustifica il corretto approdo cui e' giunta la Corte gigliata, a fronte della gia' richiamata assenza di qualsiasi pregiudizio del diritto di difesa, derivante dall'aver l'imputato gia' potuto esaminare, nel piano contraddittorio, in sede di incidente probatorio la p.o., attraverso un controesame che aveva riguardato, come detto, non solo i fatti di violenza induttiva ma anche quelli di violenza sessuale costrittiva, tanto da convincere lo stesso PM a modificare l'imputazione all'esito del suo esame. 8. Puo' quindi procedersi all'esame dei motivi di ricorso proposti dall'Avv. (OMISSIS), che, come anticipato, non si sottraggono al giudizio di infondatezza. 8.1. Con il primo motivo di impugnazione, come dianzi illustrato, si denuncia violazione di legge per erronea applicazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 2, articolo 533 c.p.p. e articolo 609-bis c.p., commi 1 e 2, e correlato vizio di carenza ed illogicita' della motivazione desumibile dal testo stesso del provvedimento impugnato (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e)). 8.1.1. Sul punto, il motivo di ricorso e' manifestamente infondato in quanto omette di confrontarsi con la sentenza impugnata riproponendo le medesime questioni affrontate dai giudici di appello. Infatti, il ricorrente manca di individuare elementi idonei a destrutturare l'impianto probatorio a carico dell'imputato, limitandosi ad offrire una rilettura dei fatti rispetto a quella operata dal giudice di appello. A tal proposito giova ricordare la preclusione per la Corte Suprema circa la possibilita' di una nuova valutazione delle risultanze acquisite nel processo da contrapporre a quella del giudice di merito attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilita' delle fonti di prova (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217 - 01; Sez. 3, n. 7380 del 11/01/2007, Rv 235716 01). Anche a seguito della modifica apportata all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), dalla L. n. 46 del 2006, resterebbe non deducibile nel giudizio di legittimita' il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. L'unica possibilita' per estendere l'indagine di legittimita' ad atti esterni al contenuto della decisione rimane il caso di travisamento della prova. Invero, l'introduzione della possibilita' di valutare i vizi della motivazione anche attraverso gli "atti del processo" costituisce il riconoscimento normativo della possibilita' di dedurre in sede di legittimita' il "travisamento della prova" che e' quel vizio in forza del quale il giudice di legittimita', lungi dal procedere ad una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove), prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto e' stato o meno trasfuso e valutato, senza travisamenti, all'interno della decisione. In altri termini, vi puo' essere "travisamento della prova" qualora il giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste (ad esempio, un documento o un testimone che in realta' non esiste) o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, oppure dovra' essere valutato se c'erano altri elementi di prova inopinatamente o ingiustamente trascurati o fraintesi, non spettando in ogni caso alla Corte Suprema rivalutare il modo con cui quello specifico mezzo di prova e' stato apprezzato dal giudice di merito. A tal fine, andrebbe comunque indicato specificamente nel ricorso per Cassazione quale sia l'atto che contiene la prova travisata o omessa e il mezzo di prova, che si assume travisato od omesso, deve inoltre avere carattere di decisivita', cioe' deve essere autonomamente dotato di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la rappresentazione risulti in grado di disarticolare l'intero ragionamento svolto dal giudicante, determinando al suo interno radicali incompatibilita', cosi' da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (cosi' infatti Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758 - 01). Conseguentemente, non sarebbe consentito, in sede di legittimita', proporre un'interlocuzione diretta con la Suprema Corte in ordine al contenuto delle prove gia' esaurientemente scrutinate in sede di merito, risollecitandone l'esame senza positivi elementi di apprezzamento logico (anche se permane qualche dubbio nel caso in cui siano proposte quale criterio di valutazione dell'illogicita' manifesta della motivazione). 8.1.2. Se questa, dunque, e' la prospettiva ermeneutica cui e' tenuta questa Corte, le censure che il ricorrente rivolge al provvedimento impugnato si dimostrano infondate, non apprezzandosi nella motivazione della sentenza della Corte d'appello di Firenze le denunciate illogicita'. E infatti: (1) le dichiarazioni dell'imputato (OMISSIS) non risultano essere "le uniche emergenze probatorie che descrivono compiutamente quanto sarebbe accaduto", e nemmeno "le uniche fonti di prova che rappresentano direttamente l'esistenza di un rapporto sessuale" (pag. 4 ricorso per cassazione (OMISSIS)); (2) il materiale probatorio a disposizione non rientra pienamente nella definizione di "meramente indiziario" offerta dalla difesa a pag. 5 del ricorso (stanti i molteplici esistenti riscontri, sia di natura dichiarativa che clinica) e non e' altrettanto vero che l'unico vero dato indiziario si rinvenga "nelle lesioni riportate dalla persona offesa refertate in sede di visita ginecologica", dunque tale dato non essendo singolo. In ogni caso, e' doveroso rammentare che l'elemento riportato inoltre dal consulente ginecologo (OMISSIS) (secondo cui tali lesioni possono essere riportate anche a seguito di masturbazione manuale, o petting, e che le stesse potevano in ogni caso spiegarsi per secchezza vaginale determinata dall'assunzione di alcol e non perche' sintomatiche di penetrazione forzata) andrebbe certamente valutato in una prospettiva di maggiore e piu' completa contestualita' nella ricostruzione degli eventi, apparentemente generando alcune possibili tensioni argomentative sul reale, ed ipotetico, decorso degli eventi e sulla effettiva consecuzione degli stadi di consumazione del reato di cui in imputazione; (3) la motivazione della sentenza non risulta nemmeno illogica, come afferma a pag. 6 il ricorso per cassazione, ove si afferma che sarebbero sostanzialmente irrilevanti i dettagli relativi al primo periodo in cui si consumava l'approccio della studentessa nei confronti del carabiniere, mentre dovrebbero ritenersi indizi "seri ed inequivocabili" tutte quelle emergenze fattuali relative a quanto accaduto dopo il fatto (come la chiamata al 113; il messaggio all'amico (OMISSIS); la telefonata alla (OMISSIS) con il padre (OMISSIS); l'intervento della tutor). Si sarebbe di fronte, in altri termini, ad una ricostruzione alternativa che e' stata fornita dal ricorrente, senza tuttavia dedurre elementi tali da disarticolare l'intera versione degli accadimenti, pur mettendo in evidenza determinati elementi di riflessione, ma percio' non apprezzabile in sede di legittimita'. 8.1.3. Non hanno, peraltro, rilievo le riscontrate fratture logiche e cronologiche nella versione offerta dai due giudici fiorentini, nonostante lo sforzo ricostruttivo particolarmente accurato della vicenda da parte dei giudici di merito. In particolare: (1) che la (OMISSIS) alle ore 3.18 si trovasse gia' sul pianerottolo del secondo piano risulta essere un postulato difficilmente dimostrabile ove piu' si consideri che il fatto che il telefono della (OMISSIS) abbia agganciato il Wi-Fi di casa non implica, con assoluta certezza e oltre ogni ragionevole dubbio, che fosse sul pianerottolo (si veda osservazione del Tribunale di Firenze, a pag. 86), potendo anche indicare esclusivamente la vicinanza della ragazza alla propria abitazione; (2) il lasso di tempo in cui la difesa colloca la violenza non e' molto maggiore rispetto a quello riconosciuto dai giudici di merito, perche', avallando la ricostruzione difensiva, dalle 3:18 alle 3:24 (ora del video sul cellulare della (OMISSIS)), si tratterebbe di sei minuti in cui il Carabiniere e la (OMISSIS) sarebbero scesi al pian terreno, consumato il rapporto e risaliti: rimarrebbero otto minuti dalle 3:24 alle 3:32, in cui pero' non e' chiaro che cosa avrebbero fatto i due carabinieri una volta saliti a bordo della loro vettura di servizio, sollecitazione operata dal Tribunale (pag. 86) a cui pero' non e' stata data risposta dalla difesa (si puo' rintracciare infatti una parvenza di ricostruzione di una versione alternativa, ma senza specificarne le coordinate crono-temporali, alle pagg. 179-180 atto di appello (OMISSIS)- (OMISSIS) del 30/06/2020, in cui si legge che, dopo che i quattro si erano salutati, "sembra lecito immaginare che i due Carabinieri, lasciato il pianerottolo delle ragazze intorno alle 3:25 abbiano sceso le scale a piedi per arrivare al pian terreno, attraversare la strada e salire in macchina alle ore 3:27", avviandosi infine per Via (OMISSIS) alle ore 3:31). Per le Corti di merito, la violenza si sarebbe dunque consumata "nel giro di cinque minuti", tra le 3:24 e le 3:32, e la ricostruzione della tempistica non si fonderebbe esclusivamente sul ragionamento logico elaborato dal Tribunale, ma anche sulle dichiarazioni rese dalla (OMISSIS), teste nel procedimento n. 12048/2017 R.G.N. R. e p.o. nel giudizio discusso nelle forme del rito abbreviato a carico di (OMISSIS) (per il quale e' intervenuta, come ricordato, sentenza definitiva di condanna in relazione agli eventi intercorsi con la (OMISSIS)). Per tale ultima ragione, risulta possibile smentire anche l'ultimo punto su cui si appunta la critica della difesa, ovvero la salita al secondo piano con le scale della (OMISSIS) e del (OMISSIS) anziche' con l'ascensore, come asserito dalla vittima e dalla coinquilina, sebbene la prima, in forma confusa a causa della sua condizione determinata dall'assunzione di alcol (circostanza peraltro confermata anche dall'amica, la quale, prima di entrare, si accertava delle sue condizioni per paura che stesse male, affermazione che ha poi indotto la Corte d'appello ad escludere che potesse essere stata la (OMISSIS) a trascinare per le scale il carabiniere: in proposito, si veda pag. 20 sentenza della Corte d'appello). 8.1.4. Infine, va ribadito non solo il principio secondo cui una sentenza puo' essere affetta da vizio di motivazione ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), per mancato rispetto del canone di giudizio di "al di la' di ogni ragionevole dubbio", di cui all'articolo 533 c.p.p., comma 1, comporta riflettere anche sul concetto di decisivita' delle prove acquisite (valutazione che non risulta essere stata fatta nel caso in esame), ma anche, e soprattutto, che l'emersione di una criticita' su una delle molteplici valutazioni contenute nella sentenza impugnata, laddove le restanti offrano ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo, non puo' comportare l'annullamento della decisione per vizio di motivazione, potendo lo stesso essere rilevante solo quando, per effetto di tale critica, all'esito di una verifica sulla completezza e sulla globalita' del giudizio operato in sede di merito, risulti disarticolato uno degli essenziali nuclei di fatto che sorreggono l'impianto della decisione (tra le tante: Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017 - dep. 11/10/2017, Rv. 271227 - 01). 8.2. Con il secondo motivo di ricorso, in via ulteriore, la difesa deduce poi violazione di legge per erronea applicazione al caso di specie dell'articolo 609-bis c.p., commi 1 e 2, e correlato vizio di carenza ed illogicita' della motivazione (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e)). 8.2.1. Quanto all'elemento dell'ebbrezza alcolica in capo alla (OMISSIS), la ricostruzione dello stato di ebbrezza e, dunque, della condizione di inferiorita' psicofisica al momento del fatto, cosi' come argomentata dalla Corte d'appello di Firenze, non risulta incorrere nella violazione lamentata dalla difesa, che ha, sul punto, omesso di confrontarsi con la pronuncia impugnata. Infatti, "anche a voler criticare la c.d. curva di Widmark per individuare il picco alcolemico" - afferma la Corte d'appello (pag. 25) - "la reazione individuale all'alcol della (OMISSIS) e' individuabile attraverso una seria di elementi esterni, meno scientifici e piu' fattuali". Segnatamente, venivano richiamati: (1) il fatto che la ragazza si sentisse male gia' all'arrivo a (OMISSIS); (2) il semi-svenimento una volta rientrate a casa dopo le violenze subite; (3) la telefonata al 113, questo peraltro segnale di scarsa capacita' della (OMISSIS) di esprimere concetti, non solo in italiano, ma anche in inglese o spagnolo; (4) la descrizione della tutor (OMISSIS) della situazione non appena raggiunta l'abitazione, ovvero la (OMISSIS) che roteava gli occhi, pareva non seguire e non riusciva a stare seduta; (5) la testimonianza del sovrintendente capo (OMISSIS), che descriveva la ragazza "in stato di shock, non parlava, smarrita e catatonica", era la sola ad essere stata fatta stendere sul lettino dell'ambulanza per il trasporto in ospedale. La Corte di appello afferma poi che "e' evidente quindi che al di la' dei grafici e delle scuole di pensiero sui tempi di assorbimento dell'alcol, chi ha visto la (OMISSIS) dopo la violenza subita ha notato come lei non fosse in se' e si fosse affidata alla piu' lucida (OMISSIS) per il racconto su quanto era accaduto, a lei rimasto nebuloso. (...) Non si tratta a questo punto di apodittiche deduzioni, di diagrammi sullo stato teorico di chi assume alcol, fino a che ora ed in che quantita', ma di considerazioni logiche ed inevitabili che derivano dalla diretta osservazione della vittima cosi' come apprezzata da chi e' entrato in contatto con lei subito dopo la violenza subita, riportando poi in fase di dimissioni dall'ospedale (OMISSIS) quel referto di "abuso sessuale in etilismo acuto" delle ore 5.23 che certo non e' frutto dell'autodiagnosi della vittima" (pagg. 25 e 26 sentenza di appello). 8.2.2. Quanto poi all'elemento della manifestazione del dissenso al compimento dell'atto sessuale e la sua percezione da parte dell'imputato (peraltro, dirimente anche circa l'asserito travisamento di prova, di cui al primo motivo di ricorso), logiche sono anche le conclusioni cui era pervenuto il Tribunale di Firenze alla pagina 87 della sentenza, paragrafo 21.6, rubricato "L'osservanza del (OMISSIS) al rifiuto della (OMISSIS) al rapporto orale", in cui si puo' leggere come "sostiene la difesa che la (OMISSIS) avrebbe negato il proprio consenso unicamente al rapporto orale" ("non sarebbe la prima volta, ognuno di noi ha le sue preferenze sessuali, dettate anche dalle ragioni culturali, per cui puo' capitare che uno dei partner del rapporto dica: no, questo particolare atto sessuale non lo voglio fare, ma questo non vuol dire che si deve interrompere il rapporto", f. 82 ud. 21.02.2020 conclusioni). Con questa tesi sembrerebbe abbandonata la versione secondo cui la (OMISSIS) avrebbe prestato un pieno e lucido consenso a tutto il rapporto sessuale intrattenuto con il (OMISSIS) quella notte e si ammetterebbe, in definitiva, che un dissenso espresso comunque vi sarebbe stato. La Corte di Appello risulta aver infatti motivato adeguatamente il proprio convincimento in ordine alla vicenda in contestazione. In particolare, alla luce degli elementi probatori emersi nel corso del giudizio, non sarebbe possibile escludere, allo stato degli atti, la consensualita' nel bacio, mai negata nemmeno dalla stessa ragazza: per i giudici territoriali, in particolare, la condotta dell'imputato si sarebbe concretizzata nell'arco di pochi minuti, cominciando con il bacio e continuando con la ragazza in uno stato confusionale per l'alcol assunto durante la fase dei toccamenti e poi dire no plurime volte. Sui no ripetuti dalla vittima, la Corte di appello ha ritenuto provata la violenza sessuale, esclusa nella fase anteriore perche', per espressa ammissione della vittima, non vi era stata alcuna opposizione. Sembrerebbe, anche se con oscillazioni di eccessivo formalismo, dunque valere il principio secondo il quale, nella motivazione della sentenza, il giudice del gravame non sia tenuto a compiere un'esplicita analisi di tutte le deduzioni delle parti, ne' a fornire espressa spiegazione in merito al valore probatorio di tutte le emergenze istruttorie, essendo necessario e sufficiente che spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dalle quali si dovranno ritenere implicitamente disattese le opposte deduzioni difensive ancorche' non apertamente confutate. In altre parole, non rappresenta vizio censurabile l'omesso esame critico di ogni questione sottoposta all'attenzione del giudice di merito qualora dal complessivo contesto argomentativo sia desumibile che alcune questioni siano state implicitamente rigettate o ritenute non decisive, essendo a tal fine sufficiente che la pronuncia enunci con adeguatezza e logicita' gli argomenti che si sono ritenuti determinanti per la formazione del convincimento del giudice (ex multis: Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013, Rv. 254988 - 01; Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, Rv. 254107 - 01; Sez. 4, n. 34747 del 17/05/2012, Rv. 253512 - 01; Sez. 4, n. 45126 del 06/11/2008, Rv. 241907 - 01). 8.2.3. Nel caso in esame, la Corte d'appello motivava la non consensualita' del rapporto non solo nei "no" pronunciati dalla persona offesa, ma anche sull'elemento dato dalla assenza di lubrificazione nelle zone genitali. Tuttavia, quest'ultimo assunto non risulta illogico atteso che, se la mancata lubrificazione puo' essere la causa (o una concausa, assieme alla possibile mancanza di eccitazione, stanchezza, et cetera) delle lesioni rinvenute sul corpo della vittima a cui si perviene attraverso un ragionamento di tipo inferenziale, lo stesso puo' dirsi per quanto concerne la tipologia di rapporto sessuale, in proposito superando il vaglio di logicita' gli elementi addotti dal tribunale di Firenze (quali l'eta', l'assenza di patologie giustificabili la condizione, per cui si veda da pag. 74 sentenza di primo grado). La Corte di appello ha infatti affermato che "(...) tutte le osservazioni difensive sulla spontaneita' di tale rapporto, negata dalla gravata sentenza, trovano un'ampia smentita non solo nei "no" ripetuti dalla (OMISSIS) e ribaditi in incidente probatorio, quando ha anche aggiunto che aveva solo voglia di dormire (e quindi le sue reazioni verbali sono state limitate e scarne) ma anche dai risultati delle certificazioni, dove oltre allo stato di ebbrezza viene ricavata la traccia di un rapporto forzato dalla disepitelizzazione ed abrasione della forchetta vaginale, che corrisponde all'introduzione del membro della vagina evidentemente non lubrificata". 8.2.4. Peraltro, in ordine alla ritenuta estensione di responsabilita' sulla base di condotte asseritamente non contestate, come gia' detto a proposito dell'identico motivo proposto nel ricorso proposti dagli Avv.ti (OMISSIS)- (OMISSIS), risulta utile ricordare il consolidato orientamento di legittimita' secondo cui non sussiste alcuna incertezza sull'imputazione, quando questa contenga con adeguata specificita' i tratti essenziali del fatto di reato contestato in modo da consentire un completo contraddittorio ed il pieno esercizio del diritto di difesa; la contestazione, inoltre, non andrebbe riferita soltanto al capo di imputazione in senso stretto, ma anche a tutti quegli atti che, inseriti nel fascicolo processuale, pongono l'imputato in condizione di conoscere in modo ampio l'addebito (Sez. 2, n. 2741 del 11/12/2015, dep. 2016, Rv. 265825 - 01), sicche' e' anche legittimo il ricorso al rinvio ad atti del fascicolo processuale, purche' si tratti di atti intellegibili, non equivoci e conoscibili dall'imputato (Sez. 5, n. 10033 del 19/01/2017, Rv. 269455 01). Quanto affermato e' anche conforme ai principi di questa Corte secondo cui non vi e' incertezza sui fatti descritti nell'imputazione quando questa contenga, con adeguata specificita', i tratti essenziali del fatto di reato contestato, in modo da consentire all'imputato di difendersi (Sez. 5, n. 6335 del 18/10/2013, dep. 2014, Rv. 258948 - 01), tra l'altro fornendo coerente e completa risposto ad identica deduzione in quella sede di gravame prospettata (e gia' enunciata in primo grado), che in questa sede si reitera semplicemente attraverso una critica alla motivazione meramente apparente senza che si indichino in concreto quale parte delle argomentazioni non si condividono (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Rv. 255568 01). Tanto conduce, riportandosi al costante orientamento di legittimita', alla inammissibilita' del ricorso essendo i motivi tesi a lamentare genericamente l'omessa valutazione di una tesi alternativa a quella accolta dalla sentenza di condanna impugnata, senza l'indicazione di precise carenze od omissioni argomentative ovvero illogicita', idonee ad incidere negativamente sulla capacita' dimostrativa di quanto posto a fondamento della decisione di merito (Sez. 2, n. 30918 del 07/05/2015, Rv. 264441 - 01). 8.3. Con il terzo motivo di ricorso, la difesa dell'imputato censura l'erronea applicazione al caso di specie dell'articolo 609-bis c.p. e carenza della motivazione quanto alla prova dell'elemento psicologico e violazione del principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio ex articolo 533 c.p.p.. In sostanza, ribadisce la mancanza della prova del dissenso, trattandosi di rapporto sessuale avvenuto con reciprocita'. 8.3.1. Si deve ricordare, in proposito, in tema di reati contro la liberta' sessuale, nei rapporti tra maggiorenni, il consenso agli atti sessuali deve perdurare nel corso dell'intero rapporto senza soluzione di continuita', con la conseguenza che integra il reato di cui all'articolo 609-bis c.p. la prosecuzione del rapporto nel caso in cui, successivamente a un consenso originariamente prestato, intervenga "in itinere" una manifestazione di dissenso, anche non esplicita, ma per fatti concludenti chiaramente indicativi della contraria volonta' (sul punto Sez. 3, n. 15010 del 11/12/2019, Rv. 275393 - 01; ulteriormente, anche se in tema ben differente, anche in caso di solo sopravvenuto dissenso della vittima al rapporto sessuale e' stato riconosciuto legittimo il diniego della circostanza attenuante del fatto di minore gravita', quando, per i mezzi, le modalita' esecutive della condotta, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e mentali di questa, e le caratteristiche psicologiche valutate in relazione all'eta', si realizzi una significativa compromissione della liberta' sessuale, in Sez. 3, n. 16440 del 22/01/2020, Rv. 279386 - 01). Ad ulteriore supporto, la sussistenza del consenso all'atto, che esclude la configurabilita' del reato, deve essere verificata in relazione al momento del compimento dell'atto stesso, sicche' risulterebbe anche irrilevante l'antecedente condotta provocatoria tenuta dalla persona offesa (in particolare, Sez. 3, n. 7873 del 19/01/2022, Rv. 282834 - 01), non essendo sufficiente il consenso iniziale quando quest'ultimo si trasformi "in itinere", in atto violento, consumando il rapporto con forme e modalita' non volute dalla vittima (sul punto, Sez. 3, n. 39428 del 21/09/2007, Rv. 237930 - 01). Nel caso in esame, come gia' detto in precedenza, la non consensualita' dei rapporti era motivata non solo nei "no" pronunciati dalla persona offesa, ma anche dalle tracce clinicamente attestate di violenza, dunque del tutto priva di pregio si appalesa la prospettazione difensiva, che non tiene nemmeno conto del lucido e condivisibile passaggio argomentativo contenuto nella sentenza impugnata contenuto nelle pagg. 29/30, in cui viene richiamato un significativo stralcio della motivazione della sentenza di questa sezione (Sez. 3, n. 7873 del 19.01.2022), in cui si evidenzia, tra l'altro, (p. 5.4.) il condivisibile principio, da riaffermarsi in questa sede, secondo cui "La giustificazione di una violenza sessuale in base a comportamenti provocatori posti in essere dalla vittima prima di essere violentata non ha diritto di cittadinanza nel nostro ordinamento e deve essere ripudiata in tutta la sua portata lesiva della dignita' della persona e della sua liberta' sessuale. Il momento che deve essere preso in considerazione, ai fini del reato di violenza sessuale, e' quello, oggettivo, del compimento dell'atto sessuale, l'unico in relazione al quale va verificata la sussistenza del consenso all'atto stesso, non rilevando, nemmeno sul piano causale, il comportamento "provocatorio" antecedente della vittima nemmeno se, nella mente del reo, esso opera come personalissima convinzione della liceita' del proprio agire. Nei confronti di persona totalmente incosciente ed incapace persino di esprimersi e di reagire il consenso all'atto non puo' essere "recuperato" valorizzando comportamenti precedenti e costituendo l'autore della violenza quale interprete autentico della volonta' della sua vittima". Principio, questo, che correttamente e' stato richiamato nel presente giudizio a fronte della prospettazione difensiva secondo cui, in sostanza, a fronte di un consenso all'atto iniziale (il gia' piu' volte richiamato bacio tra vittima ed imputato), sarebbe poi seguito, a fronte di un dissenso limitato "solo" al rapporto orale, una mancanza espressa di dissenso con riferimento alla fase successiva, cio' che avrebbe in un certo qual senso legittimato il ricorrente a proseguire nel suo proposito criminoso (poi interrottosi, ma quando ormai gli atti compiuti, come si vedra' a proposito dell'esame dell'ultimo motivo, avevano gia' "consumato" il reato di violenza sessuale). 8.3.2. Ne', del resto, puo' sostenersi che il (OMISSIS), nel momento in cui, dopo l'iniziale dissenso al rapporto orale, avesse proseguito ritenendo di essere legittimato a farlo, memore non solo dell'atteggiamento della vittima precedente al rapporto sessuale (il gia' citato bacio) ma soprattutto della asserita assenza di una manifestazione espressa di dissenso, possa essere giustificabile nella sua condotta. Piu' volte infatti questa Corte ha affermato che ai fini della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di violenza sessuale, e' sufficiente che l'agente abbia la consapevolezza del fatto che non sia stato chiaramente manifestato il consenso da parte del soggetto passivo al compimento degli atti sessuali a suo carico; ne consegue che e' irrilevante l'eventuale errore sull'espressione del dissenso anche ove questo non sia stato esplicitato, potendo semmai fondarsi il dubbio sulla ricorrenza di un valido elemento soggettivo solamente nel caso in cui l'errore si fondi sul contenuto espressivo, in ipotesi equivoco, di precise e positive manifestazioni di volonta' promananti dalla parte offesa (Sez. 3, n. 49597 del 09/03/2016 - dep. 22/11/2016, Rv. 268186 - 01). Si e', infine, aggiunto che l'esimente putativa del consenso dell'avente diritto non e' configurabile nel delitto di violenza sessuale, in quanto la mancanza del consenso costituisce requisito esplicito della fattispecie e l'errore sul dissenso si sostanzia, pertanto, in un errore inescusabile sulla legge penale (Fattispecie in cui l'imputato aveva desunto dal ritorno del coniuge nella casa familiare anche la sua volonta' di riprendere le loro relazioni intime: Sez. 3, n. 2400 del 05/10/2017 - dep. 22/01/2018, Rv. 272074 - 01). 8.4. Infine, con il quarto motivo di ricorso, la difesa, come anticipato, deduce violazione di legge per omessa applicazione al caso di specie dell'articolo 56 c.p., comma 3, ed illogicita' della motivazione. In sostanza i giudici avrebbero errato nel non applicare la diminuzione di pena per la desistenza volontaria manifestata dall'imputato. 8.4.1. Sul punto due sono gli elementi da menzionare. Innanzitutto, deve rilevarsi che il motivo e' stato dedotto per la prima volta soltanto in sede di giudizio di legittimita' (non risultando infatti, tra i dieci motivi di ricorso, alcun motivo riferito alla supposta desistenza volontaria), dunque configurandosi come inammissibile proprio in quanto presentato per la prima volta in sede di ricorso per cassazione ex articolo 606 c.p.p., comma 3. In secondo luogo, risulta utile sottolineare che, in tema di desistenza dal delitto e di recesso attivo, la decisione, rispettivamente, di interrompere l'azione criminosa o di porre in essere una diversa condotta finalizzata a scongiurare l'evento deve essere il frutto di una scelta volontaria dell'agente, non riconducibile ad una causa indipendente dalla sua volonta' o necessitata da fattori esterni (si veda Sez. 3, n. 17518 del 28/11/2018, Rv. 275647 - 01, in una fattispecie in tema di violenza sessuale in cui la Corte ha ritenuto corretta l'esclusione della configurabilita' sia della desistenza volontaria, sia del recesso attivo, nella condotta dell'imputato che, dopo aver avvicinato la vittima all'interno dell'androne della abitazione ed averle tappato la bocca, interrompeva improvvisamente la sua azione intimorito dalla circostanza che la stessa, sino a quel momento, aveva conversato telefonicamente con altra persona). E, su questo tema, si deve anche ricordare come "in tema di desistenza dal delitto, la mancata consumazione del delitto deve dipendere dalla volontarieta' che non deve essere intesa come spontaneita', per cui la scelta di non proseguire nell'azione criminosa deve essere non necessitata, ma operata in una situazione di liberta' interiore, indipendente da circostanze esterne che rendono irrealizzabile o troppo rischioso il proseguimento dell'azione criminosa" (in particolare, Sez. 4, n. 12240 del 13/02/2018, Rv. 272535 - 01, in una fattispecie di tentato furto ai danni di una tabaccheria, nella quale la Suprema Corte ha escluso la configurabilita' della desistenza volontaria nella condotta degli imputati che dopo aver compiuto atti idonei e diretti a commettere il furto si allontanavano scoraggiati dalla presenza di una lastra di metallo che impediva lo sfondamento del muro e dal sopraggiungere degli agenti di polizia; conformi anche Sez. 2, n. 7036 del 29/01/2014, Rv. 258791 - 01; Sez. 2, n. 41484 del 29/09/2009, Rv. 245233 - 01). 8.4.2. Tuttavia, e' necessario ricordare come la desistenza volontaria, in generale, e' istituto applicabile soltanto ove come presupposto vi sia un tentativo incompiuto (tra le tante: Sez. 2, n. 16054 del 20/03/2018 - dep. 11/04/2018, Rv. 272677): nel caso in esame, come gia' detto, non e' possibile parlare di desistenza volontaria, atteso che le condotte attribuite al (OMISSIS) risultano de plano rientranti in una violenza sessuale consumata, e non soltanto tentata, in quanto gli atti posti in essere sino al momento nel quale il (OMISSIS) decise di non proseguire oltre integravano gli stremi del delitto di violenza sessuale. 9. I ricorsi devono, conclusivamente, essere rigettati, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e quelle relative all'azione civile, liquidate come da dispositivo in favore della parte civile (OMISSIS) ammessa al patrocinio a spese dello Stato. Conformemente a quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, in tema di liquidazione, nel giudizio di legittimita', delle spese sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, compete alla Corte di cassazione, ai sensi dell'articolo 541 c.p.p. e Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 110, pronunciare condanna generica dell'imputato al pagamento di tali spese in favore dell'Erario, mentre e' rimessa al giudice del rinvio, o a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato, la liquidazione delle stesse mediante l'emissione del decreto di pagamento ai sensi degli articoli 82 e 83 del citato Decreto del Presidente della Repubblica (Sez. U, ord. n. 5464 del 26/09/2019 - dep. 12/02/2020, De Falco, Rv. 277760 - 01). Quanto, invece, alle ulteriori parti civili (Comune di (OMISSIS); Ministero della Difesa - Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri), segue la condanna del ricorrente anche alla loro rifusione, come da dispositivo, conformemente alle richieste di parte. 10. Copia del dispositivo dev'essere, infine, comunicata ex articolo 154-ter disp. att. c.p.p. all'Amministrazione di appartenenza del (OMISSIS). P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile (OMISSIS) ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sara' liquidata dalla Corte di appello di Firenze con separato decreto di pagamento ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articoli 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato, nonche' alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalle parti civili COMUNE DI (OMISSIS) e MINISTERO DELLA DIFESA - COMANDO GENERALE ARMA CARABINIERI che liquida rispettivamente in Euro 3.686 oltre a spese generali ed oneri riflessi ed in Euro 3.485,50. Manda alla cancelleria di comunicare il presente dispositivo all'amministrazione di appartenenza dell'imputato. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto disposto d'ufficio e/o imposto dalla Legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ROMA QUARTA SEZIONE LAVORO RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato il 28.11.2020 (...) conveniva in giudizio, dinanzi l'intestato Tribunale, la (...) S.r.l., in persona dell'amministratrice unica, (...), al fine di vedere accertata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno ed indeterminato esplicatosi, senza soluzione di continuità, alle dipendenze della resistente dal 18 Dicembre 2015 al 15 Aprile 2019 e, per l'effetto, ottenerne la condanna al pagamento delle differenze retributive maturate nel corso del periodo indicato e stimate in Euro 29.887,99; nonché, per conseguire la declaratoria di illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato dalla società convenuta con la comunicazione inoltrata il giorno 11 gennaio 2019. In particolare, il ricorrente rappresentava di essere stato originariamente assunto, oralmente e senza alcuna regolarizzazione contrattuale, dalla legale rappresentante della società convenuta, la (...), a partire dal mese di dicembre del 2018 e di essere stato adibito alle mansioni di aiuto pizzaiolo presso la sede lavorativa di via (...) n. 17/19. Tale attività, segnatamente, era svolta sei giorni la settimana, per otto ore giornaliere, distribuite nella fascia oraria 07:00-15:00 o 15:30-23:30 ed in turnazione con altri colleghi, secondo rotazioni stabilite dalla resistente e per un totale, quindi, di 48 ore settimanali. A partire dal 06 febbraio del 2016 e sino al 05 febbraio 2017, poi, la controparte aveva provveduto ad inquadrarlo formalmente, mediante l'attivazione di un tirocinio per l'inserimento lavorativo da esplicarsi nell'intervallo temporale predetto ed attribuendogli la qualifica di "cuoco pizzaiolo". Tale inquadramento, però, aveva avuto un valore solo formale, poiché, in disparte della qualificazione ufficiale così assegnata alla relazione negoziale in parola, egli continuava ad essere adibito alle mansioni originarie, con la stessa articolazione oraria e, pertanto, in condizioni di autentica subordinazione (a tempo pieno ed indeterminato). Una volta terminato il periodo di tirocinio suddetto, poi, l'attività in commento proseguiva in modo sommerso, ma senza interruzioni, sino al 04 marzo 2017; ovvero, fino a quando procedeva alla sottoscrizione di un formale negozio di lavoro subordinato predisposto dalla (...), recante le condizioni sino ad allora osservate e per le mansioni già espletate dal 2015. Tuttavia, in data 10 aprile 2019, la (...) si recava presso la sede lavorativa del ricorrente e gli leggeva il contenuto di una lettera in cui gli intimava il licenziamento per giustificato motivo oggettivo; invitandolo, contestualmente, alla sottoscrizione della missiva per attestarne la ricezione. Egli però si rifiutava di ricevere la comunicazione predetta ed invitava, piuttosto, la resistente ad inoltrarla, regolarmente e per iscritto, presso il suo indirizzo di residenza. Successivamente, tale missiva era poi effettivamente spedita, unitamente alle dichiarazioni di due colleghi che confermavano il rifiuto del lavoratore espresso in sede e, successivamente, il ricorrente provvedeva tempestivamente a contestarne la legittimità con una propria comunicazione del 3 giugno 2019; invitando, altresì, la controparte a revocare il recesso unilaterale espresso ed a disporne, piuttosto, la reintegra nel luogo di lavoro. Fissata l'udienza di discussione, si costituiva in giudizio la società resistente, la quale, contestava integralmente la pretesa del ricorrente, sul rilievo che, contrariamente a quanto asserito dal (...), la collaborazione per cui è causa sarebbe iniziata (solo) nel febbraio del 2016 a titolo di tirocinio formativo, finalizzato a far acquisire al ricorrente le competenze professionali di cui era privo ed all'esito del quale, peraltro, il rapporto in parola sarebbe definitivamente cessato. Solo a far data dal 04 Marzo 2017, poi, sarebbe stata (ri)avviata una collaborazione da qualificarsi come rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno ed interminato, regolarmente contrattualizzato, e, peraltro, per effetto delle insistenti richieste di assunzione formulate da una conoscente comune che avevano spinto la resistente, pur in assenza di scoperture in organico, a procedere al reclutamento de qua. Nel mese di aprile del 2019, infine, per sopravvenute esigenze organizzative, la società convenuta si vedeva costretta a sopprimere la posizione di aiuto pizzaiolo, sino ad allora rivestita proprio dal (...), e, di conseguenza, ad intimargli il licenziamento oggetto di contestazione. Alla prima udienza del 12.10.2020, preso atto della comune volontà delle parti, si rinviava al successivo 21 ottobre per favorirne la richiesta conciliazione. In quella data, poi, non essendo intervenuta la composizione bonaria della lite, si provvedeva sulle richieste istruttorie formulate dalle parti e, per l'effetto, si disponeva l'escussione dei testi ammessi per il 21.04.21. All'udienza fissata, si procedeva all'audizione dei testimoni comparsi ed, all'esito dell'istruttoria, visto l'andamento della stessa, si invitavano nuovamente le parti ad una conciliazione che, però, aveva esito negativo. Per tale ragione, si disponeva un ulteriore rinvio in prosieguo per l'escussione dell'unico teste non comparso. In data 23.06.2021, poi, dopo l'audizione dell'ultimo testimone citato, preso atto della richiesta della società convenuta di utilizzare il documento recante l'indicazione del Progetto Formativo espletato dal resistente e di cui quest'ultimo aveva disconosciuto la sottoscrizione, si rinviava al 17.11.2021 per l'esibizione dell'originale dell'atto contestato. All'udienza fissata, la società convenuta procedeva alla dovuta allegazione ed il (...) insisteva sul disconoscimento della relativa sottoscrizione, presente in calce al documento in parola, chiedendo una perizia calligrafica. Preso atto delle istanze delle parti, si provvedeva alla nomina della dott.ssa (...) e si rinviava al 25.05.2022 per il giuramento del perito e per il deposito di scritture comparative. In quella data, poi, il consulente designato accettava formalmente l'incarico conferitogli e si assegnavano i termini richiesti per la redazione della dovuta relazione, rinviando per la discussione al 14.12.2022, con termine per note sino a 10 giorni prima. Tuttavia, il 06.07.2022, letta l'stanza del CTU nominato, si disponeva la comparizione personale delle parti, all'esito della quale si rilevava che il documento da periziare offerto dal resistente era diverso da quello depositato in atti e, pertanto, si disponeva di effettuare la perizia sull'originale corrispondente alla copia prodotta in giudizio, confermando il rinvio per discussione precedentemente concesso. All'udienza del 01.03.2023, poi, si invitava il resistente al deposito di conteggio subordinato (a far data dalla formale assunzione sino al 07.03.2023), rinviando nuovamente per la discussione al 13.03.2023. Infine, alla data concordata, preso atto delle conclusioni delle parti, la causa veniva decisa come da dispositivo pubblicamente letto. Sulla scorta delle risultanze processuali, della documentazione depositata in atti e delle circostanze pacifiche, la domanda deve essere parzialmente accolta, poiché risulta adeguatamente provata l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno ed indeterminato, esplicatosi tra le parti, senza soluzione di continuità, ma (solo) dal mese di febbraio del 2016 all'aprile del 2019. In particolare, le deposizioni testimoniali rese dai testi di parte ricorrente hanno confermato che, contrariamente a quanto asserito dalla resistente nei propri atti difensivi, il rapporto intercorso tra le parti sia da qualificarsi alla stregua di lavoro subordinato e non come mero apprendistato e che tale relazione negoziale si sia svolta, senza soluzione di continuità, almeno a far data dalla sottoscrizione del contestato piano formativo, avvenuta il 06 febbraio 2016, e sino all'impugnato licenziamento. Difatti, la piena autonomia operativa del (...), su cui hanno riferito senza esitazioni entrambi i testi di parte ricorrente, impone di escludere la sussistenza di un percorso formativo professionalizzante. In merito, giova ricordare che il negozio di apprendistato, disciplinato dal D.Lgs. n. 81 del 2015 (artt. 41-47), si distingue dalla tradizionale subordinazione poiché, a differenza di quest'ultima, ha la propria finalità specifica nell'addestramento professionale e nell'immediata e diretta strumentalità dell'inserimento del dipendente al solo scopo dell'apprendimento che, peraltro, sul piano formale, è cristallizzata nel cd. piano formativo individuale; ovvero nel documento, redatto dall'istituzione competente con il coinvolgimento del datore di lavoro, nel quale viene specificato il percorso che l'apprendista è tenuto a realizzare presso l'impresa deputata al reclutamento. La qualificazione alla stregua di apprendistato, quindi, esige la ricorrenza dei due presupposti indicati e, perciò, dal punto di vista formale, è necessaria la redazione dell'atto suddetto; al contempo, sul piano sostanziale, deve riscontrarsi l'effettiva attuazione del progetto professionalizzante concordato. Pertanto, qualora dalla concreta modalità di esplicazione della relazione negoziale non dovesse emergere lo svolgimento di una reale attività di insegnamento e si rilevi, piuttosto, come nel caso di specie, solo la presenza di un assoggettamento ai poteri di organizzazione, etero direzione e controllo del datore di lavoro, la collaborazione svolta è da ricondursi nell'alveo della tradizionale subordinazione ex art. 2094 c.c. Nel caso di specie, come già rilevato, non sono state riscontrate le caratteristiche qualificatorie illustrate, in quanto, all'esito dell'istruttoria processuale condotta si è rilevata, piuttosto, la ricorrenza di un'autentica soggezione. Dalle indicazioni fornite dai testi predetti, infatti, si evince chiaramente che, contrariamente a quanto asserito dalla resistente, il (...) non ha mai svolto un (mero) percorso di formazione professionale; al contrario, si ribadisce, entrambi hanno posto l'accento sull'autosufficienza del ricorrente rispetto all'esplicazione delle mansioni cui era adibito. Segnatamente, il (...) ha reso una narrazione puntuale, dettagliata e priva di incongruenze degli orari di lavoro, del tipo di attività e dell'intervallo temporale entro il quale la collaborazione in esame è stata effettivamente esplicata e da tale descrizione è emerso che il ricorrente operava senza l'affiancamento di alcun tutor, come, invece, imporrebbe il tipo negoziale in contestazione. Allo stesso modo, anche l'altro teste di parte istante, il (...), oltre a confermare le condizioni di tempo e di luogo predette, ha chiarito con fermezza che il richiedente non era impegnato in un (mero) percorso di formazione professionale; ma, piuttosto, che svolgeva l'attività di pizzaiolo in totale autonomia, essendo già dotato delle necessarie competenze. Peraltro, giova precisare che non vi è motivo di dubitare dell'attendibilità e della veridicità delle dichiarazioni rese dai testimoni predetti, poiché si tratta di persone del tutto prive di interessi in causa e che, soprattutto, hanno avuto modo di percepire direttamente le circostanze di fatto narrate. Segnatamente, il (...) per effetto del rapporto personale intrattenuto con il ricorrente che, come da lui dichiarato, gli consentiva di sentirlo quasi quotidianamente e, soprattutto, di raggiungerlo sul luogo di lavoro almeno una volta a settimana; il (...), invece, proprio in ragione dell'attività lavorativa svolta, essendo stato un collega dell'istante. Al contrario, non appaiono credibili le attestazioni rese dai testi citati dalla resistente, poiché inverosimili, prive di riscontri oggettivi e, persino, esorbitanti rispetto a quanto sostenuto dalla stessa società nella relativa memoria difensiva. Segnatamente, sia il (...) che la (...), qualificatisi come colleghi del (...), hanno riferito che il ricorrente è stato impegnato solo in un tirocinio formativo presso l'azienda convenuta, poiché non ancora in grado di esplicare in autonomia le prestazioni oggetto del presunto apprendistato. La (...), in particolare, ha precisato che il ricorrente "all'inizio vedeva come si svolgeva l'attività, non aveva mansioni e non faceva niente", per poi concludere che solo dopo dieci mesi cominciava (finalmente) a svolgere dei compiti elementari, come il pulire e tagliare le verdure. Orbene, tali affermazioni, oltre ad essere smentite nei fatti dall'attestato professionale prodotto dal (...), appaiono in contrasto, addirittura, con quanto ammesso dalla stessa resistente nel relativo atto costitutivo. La (...), infatti, indica alcune delle attività esplicate dal ricorrente che, pertanto, non si limitava ad osservare il lavoro altrui, ma, piuttosto, si prodigava ad aiutare concretamente i pizzaioli. Come si legge nella memoria costitutiva e contrariamente a quanto asserito dalla teste suddetta, dunque, il (...), pur se sotto la supervisione di un tutor, riceveva i fornitori e provvedeva alla disposizione degli ingredienti e dei condimenti. Quanto sostenuto dalla (...), quindi, è smentito dalle stesse ammissioni della parte resistente e, pertanto, non può che qualificarsi come inattendibile, poiché, per l'appunto, eccentrico e contraddittorio. Per il vero, la versione dei fatti offerta dalla teste in parola, oltre ad essere discordante con quanto ammesso dalla resistente, risulta anche del tutto inverosimile; tant'è vero che, già in sede di deposizione, la testimone è stata prontamente ammonita circa l'obbligo di dire la verità. Non appare credibile, infatti, la circostanza di fatto per cui il (...) avrebbe svolto una mera attività di osservazione passiva per circa un anno e che, quindi, la (...) gli avrebbe corrisposto un compenso pur se "non faceva niente". Tali dichiarazioni, piuttosto, figurano come esorbitanti, contraddittorie e del tutto inverosimili; rendendo, di riflesso, inattendibile la prova dichiarativa de qua. Analogamente inattendibili sono poi da ritenersi le affermazioni del (...) che, pur avendo sostenuto che il ricorrente era "sempre" affiancato da uno dei pizzaioli (tra cui lui stesso) non ha poi saputo riferire nulla circa l'orario di lavoro del collega che avrebbe affiancato. Ancor più dirimente, però, ai fini della predetta qualificazione alla stregua di lavoro subordinato piuttosto che di apprendistato, è l'ulteriore circostanza di fatto che il (...) non abbia mai sottoscritto un valido piano individuale di formazione. La predisposizione di un progetto di inserimento occupazionale, infatti, si ribadisce, rappresenta quel requisito formale che, ancora prima del dato sostanziale dell'effettivo affiancamento di un tutor, pure carente nel caso de quo, impone di escludere del tutto la sussistenza della fattispecie in parola. Per il vero, la controparte, sin dalla sua costituzione, ha provveduto a depositare il documento in esame, ma tale atto è stato prontamente disconosciuto dal ricorrente che, piuttosto, ne ha rinnegato la relativa sottoscrizione. A fronte della contestazione suddetta e della contestuale istanza di verificazione formulata dal (...), poi, è stata disposta la dovuta perizia calligrafica ad opera del consulente designato; all'esito della quale, è emerso che la firma apposta sul documento esaminato, come rivendicato dal ricorrente, non è allo stesso attribuibile. Il perito, segnatamente, dopo aver posto a raffronto l'atto de quo con i documenti identificativi prodotti dallo stesso istante, ha concluso che: "La firma a nome (...), oggetto della verifica, apposta in calce al Progetto formativo sottoscritto in data 5 febbraio 2016 (...) non presenta elementi di comparabilità sostanziali rispetto al materiale comparativo del soggetto esaminato a disposizione di questo consulente e mostra segni coattivi che identificano una diversa personalità grafica rispetto a quella del Sig. (...). La firma apposta accanto alla dicitura "Il tirocinante" non è stata apposta dal Sig. (...), pertanto, la firma in contestazione è da ritenersi APOCRIFA". Giova precisare, peraltro, che non vi è motivo di dubitare dell'attendibilità dell'esame compiuto dal CTU designato che, innanzitutto, a tale scopo, si è avvalso dei documenti di riconoscimento del (...); ovvero, di atti che, vista la loro redazione ad opera di pubblici ufficiali, rappresentano certamente delle fonti attendibili. Al contempo, poi, la relazione tecnica de qua appare frutto di un lavoro accurato e, soprattutto, risultano puntualmente argomentate anche le repliche che il consulente ha dovuto svolgere, a fronte delle contestazioni sollevate dalla controparte (cfr. pagg. 50 e ss. relazione CTU). In particolare, rispetto alle osservazioni prodotte dalla dott.ssa (...), consulente della società convenuta, il CTU ha prontamente precisato che tali considerazioni non sono state frutto di un accertamento tecnico approfondito ed, anzi, denoterebbero piuttosto un'erronea interpretazione operata dal perito di parte rispetto alle valutazioni compiute dalla stessa D.. Per quanto concerne la paternità della firma oggetto di vaglio, infatti, la consulente di parte ritiene del tutto irrilevanti quei particolari, quali la presenza o meno di interruzioni nel tratteggio della sottoscrizione o la disomogeneità dell'energia pressoria impiegata, che, al contrario, la stessa scienza grafologica assume come dirimenti per l'esito positivo del vaglio compiuto. In altre parole, le obiezioni sollevate dalla dott.ssa (...) risultano del tutto prive di fondamento scientifico e rivelano, piuttosto, un'errata applicazione delle stesse regole tecniche alla base dell'esame in parola. Difatti, dopo averne evidenziato, punto per punto le contraddizioni, il CTU conclude che: "le osservazioni addotte dalla collega si rivelano "effimere" e non sufficientemente argomentate da risultare utili a modificare e quanto comprovato dalle dimostrazioni oggetto della relazione preliminare di questo CTU. Le argomentazioni esposte dalla Collega non scalfiscono le dimostrazioni esposte da questo consulente a sostegno dell'apocrifia, non considerano né approfondiscono i temi dell'artificio, e portano a sostegno dell'autografia elementi che non trovano preciso riscontro nelle autografe, non ci sono, infatti, elementi che possano senza alcun dubbio ricondurre la firma in verifica al Sig. (...). Ancora una volta si vuole veicolare l'attenzione del lettore sul fatto che un soggetto giovane come il Sig.(...) che firma e scrive sempre con una certa spigliatezza e velocità generando scritti robusti e discretamente fluidi in questa occasione avrebbe firmato controllando il gesto e generando un tracciato lento, incerto e ricongiunto. ll gesto nelle autografe è decisamente più fluido, omogeneo, personalizzato e vergato ricorrentemente con le medesime peculiarità grafiche che si ripetono costantemente in tutto il panorama comparativo e che sono foriere di spontaneità e di automatizzazione del gesto grafico. La somiglianza tra la verificanda e le autografe è stata minuziosamente sconfessata dai segni coattivi che caratterizzano le firme autografe ed "assenti" nella verificando". Ne consegue che la comprovata carenza di un valido piano di formazione, unitamente alle illustrate modalità di esplicazione dell'attività lavorativa per cui è causa, inducono a ritenere fondate le rivendicazioni avanzate in questa sede dal (...). Dall'escussione testimoniale, come già rilevato, è emersa la stabilità e la continuità dell'attività di pizzaiolo resa in modo del tutto autosufficiente, sempre nel medesimo luogo di lavoro e secondo turni stabiliti settimanalmente dalla rappresentante legale della società convenuta. Tali elementi dimostrano l'esistenza di quel vincolo di soggezione che, a norma del citato art. 2094 c.c., consente la qualificazione del rapporto in discussione come di lavoro subordinato (a tempo pieno ed indeterminato) e non di mero apprendistato. Per quanto concerne, invece, il profilo temporale, pure oggetto di contestazione, deve riconoscersi che le deposizioni rese dai testimoni di parte ricorrente non comprovano che l'inizio della collaborazione sia da farsi risalire al 2015, come rivendicato dall'istante nell'atto introduttivo del presente giudizio. In particolare, il (...), interrogato sul punto, ha riferito di ricordare solo che la relazione lavorativa descritta si sarebbe svolta per circa tre anni; mentre, il (...), essendo stato assunto successivamente, ha potuto confermare la presenza del (...) soltanto dal momento del proprio reclutamento, avvenuto nel novembre del 2018. Per le considerazioni sopra svolte, il ricorso deve essere (solo) parzialmente accolto, con conseguente riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato rivendicato dal ricorrente, ma limitatamente al periodo di cui è stata fornita una prova documentale e, quindi, a far data dal 05 febbraio 2016, momento di avvio dell'attività lavorativa confermato (indirettamente) anche dalla (...) S.r.l. proprio mediante il piano di formazione depositato, e sino al 10 aprile 2019; ovvero, fino all'impugnato licenziamento. Relativamente alla cessazione del rapporto di lavoro in parola, infine, parimenti, si ritengono fondate le doglianze del (...), poiché, alla luce della documentazione prodotta dal medesimo, della cui attendibilità non vi è ragione di dubitare, trattandosi di atti estratti da pubblici registri (cfr. visura camerale del 30.06.2019 depositata), emerge la sopravvenuta assunzione di altri due dipendenti nel trimestre successivo al suo allontanamento forzoso, in assoluta contraddizione con le presunte necessità riorganizzative che, a detta della resistente, avevano imposto la risoluzione del rapporto de quo. In merito, peraltro, giova ricordare che il recesso unilaterale del datore per giustificati motivi oggettivi, disciplinato dall'art. 3 della L. n. 604 del 1966, può essere intimato (solo) per fatti inerenti "all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro ed al regolare funzionamento di essa". In altre parole, all'ipotesi in esame si riconducono tutte quelle situazioni aziendali che possono comportare la soppressione di un posto di lavoro per fattori eccezionali contingenti ed imprevedibili (es. crisi di mercato) o per effetto di scelte imprenditoriali rispetto a precise strategie produttive da avviarsi (es. automazione di un processo produttivo); nonché per fatti attinenti alla sfera del dipendente ma, a differenza dell'altra forma prevista dall'art. 3 (il cd. giustificato motivo soggettivo), non imputabili allo stesso a titolo di colpa. Ebbene, nel caso di specie, come già anticipato, non si ritiene che ricorra nessuno dei presupposti illustrati; al contrario, la condotta della (...) S.r.l. si pone del tutto in contraddizione con gli intenti dalla stessa denunciati. Sebbene, infatti, la società resistente abbia dichiarato, sia all'atto del licenziamento che nel relativo scritto difensivo, che la decisione di interrompere la collaborazione con il (...) sia da ricondursi esclusivamente alla necessità organizzativa di sopprimere il posto dallo stesso rivestito, in seguito a tale iniziativa, però, come comprovano le visure camerali e gli scontrini prontamente esibiti dal ricorrente, ha reclutato altri due dipendenti adibiti proprio alle mansioni cui era (già) destinato il richiedente e, persino, a partire dal 13.11.2019, ha inaugurato due nuove sedi; scelte imprenditoriali, quelle riscontrate, del tutto incompatibili con le presunte difficoltà economiche che, a detta della resistente, l'avrebbero costretta all'allontanamento del P.. A ciò si aggiunga che, rivestendo in concreto il ricorrente la posizione di pizzaiolo, il medesimo ben avrebbe potuto essere adibito allo svolgimento delle relative mansioni presso gli esercizi di nuova apertura. Ne consegue che, non essendo stati osservati i predetti requisiti sostanziali, il licenziamento impugnato è da reputarsi illegittimo e la società convenuta, a norma dell'art. 8 della L. n. 604 del 1966, deve essere condannata alla corresponsione di un'indennità che, tenuto conto della condotta complessivamente assunta dalla medesima, non può che determinarsi nel valore massimo di legge; ovvero, nella somma corrispondente a sei mensilità della retribuzione globale di fatto concordata dalle parti che, a fronte di uno stipendio di 1.769,87 Euro, è da individuarsi nell'importo di 10.619,22 Euro. Per l'effetto, risultano certamente dovute le differenze retributive ed i compensi di cui il ricorrente esige in questa sede il riconoscimento; nonché la tredicesima mensilità ed il trattamento di fine rapporto maturate per le somme richieste sulla base del conteggio di cui, peraltro, si è disposta opportuna integrazione,per un totale di Euro 25.397,31. Su tutte le somme riconosciute al ricorrente sono altresì dovuti gli accessori dalle singole date di maturazione dei crediti fino all'effettivo soddisfo. Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, invece, seguono la consueta regola della soccombenza prescritta dall'art. 91 c.p.c. Inoltre, il comportamento processuale della resistente è rilevante anche ai sensi e per gli effetti dell'art. 96, co. 3 c.p.c., a norma del quale "in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell'art. 91 c.p.c., il giudice, anche d'ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata". Sul punto, giova ricordare che la misura suddetta, a differenza delle ipotesi di responsabilità extracontrattuale speciali (già) contemplate dai primi due commi della norma in esame, è stata introdotta nel 2009 (L. n. 69 del 2009) con il dichiarato intento di individuare un vero e proprio strumento punitivo che, oltre a rappresentare un indennizzo per la parte vittoriosa rispetto all'illecito processuale patito a seguito del contegno scorretto assunto dalla controparte, mira altresì a salvaguardare l'interesse pubblico all'impiego corretto e non distorto del procedimento civile. In altre parole, si tratta di un istituto a funzione mista, pensato (anche) per stigmatizzare tutte le condotte che integrino un abuso dello strumento processuale, poiché palesemente infondate, irragionevoli o meramente dilatorie (ex multis Corte Costituzionale n. 139/2019). L'eccentricità della fattispecie in parola rispetto alle due ipotesi risarcitorie già previste dai primi due commi dell'art. 96 c.p.c., peraltro, giustifica il differente regime normativamente previsto. Segnatamente, tale forma di condanna non richiede né la domanda di parte né la prova del danno, essendo necessaria, piuttosto, la sussistenza di un duplice presupposto: uno oggettivo, dato dalla soccombenza totale e concreta della parte, ovvero dalla sua integrale condanna alle spese di lite, ogni qual volta ciò sia dipeso da un abuso del processo quando il sistema di giustizia sia stato avviato o rallentato da una condotta abusiva o da una condotta apparentemente rientrante nella sfera di esercizio del diritto di difesa, ma in realtà priva di ragioni fondanti; uno soggettivo, rappresentato, secondo l'opinione maggioritaria, dalla mala fede o dalla colpa grave in capo alla parte soccombente nell'agire o resistere in giudizio (cfr. Cass. 9 dicembre 2019, n. 32090). Nel caso di specie, si ritengono integrati entrambi i requisiti illustrati. In particolare, sul versante oggettivo, ricorre la totale soccombenza della (...) S.r.l.; su quello soggettivo, parimenti, si riscontra la piena consapevolezza da parte della medesima dell'infondatezza delle relative rivendicazioni ed, anzi, dalla condotta processuale assunta emerge con evidenza la strumentalità delle obiezioni svolte rispetto al fine di sottrarsi alla corresponsione di quanto dovuto. La società convenuta, infatti, ha fondato la propria difesa sulla circostanza che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, il rapporto intercorso con il medesimo si sarebbe svolto nelle forme dell'apprendistato. Per avvalorare tale ricostruzione, ha provveduto anche al deposito del (presunto) piano di formazione che il (...) avrebbe sottoscritto all'atto del reclutamento. Inoltre, sempre allo scopo di supportare la qualificazione giuridica in parola, ha indicato come testi due ex dipendenti che avrebbero assistito, almeno in parte, alla presunta formazione del resistente. Ebbene, le fonti di prova indicate, non solo si sono rivelate inadeguate a comprovare quanto sostenuto dalla controparte, ma, piuttosto, denotano la sussistenza di quella mala fede nel resistere in giudizio richiesta come presupposto soggettivo dal citato art. 96 co. 3 c.p.c.. Per quanto concerne il documento prodotto, infatti, a fronte del disconoscimento della relativa sottoscrizione eccepita dal ricorrente, è stato sottoposto ad un puntuale esame da parte del perito grafologico designato da cui è emersa l'effettiva falsità della firma apposta in calce al medesimo. Peraltro, sempre ai fini della sussistenza del requisito psicologico predetto, non è trascurabile neppure l'ulteriore circostanza di fatto che il documento originariamente offerto al consulente nominato per la conduzione dell'esame si sia rivelato difforme da quello depositato in giudizio e che, pertanto, si sia resa necessaria la fissazione di una nuova udienza tesa proprio a consentire (finalmente) l'acquisizione dell'atto in originale, con conseguente allungamento dei tempi di definizione del giudizio. Siamo dinanzi, quindi, ad un tentativo di modificare l'oggetto dell'esame peritale ed alla comprovata esibizione di un atto recante una sottoscrizione apocrifa. Tali condotte non possono essere ascrivibili ad una mera negligenza del resistente; piuttosto, ad una deliberata volontà di rallentare l'iter processuale e, soprattutto, di evitare la soccombenza. Parimenti, i due testimoni suddetti hanno reso dichiarazioni del tutto inattendibili e, in particolare, la (...) è stata ammonita sull'obbligo di dire la verità, proprio perché le circostanze di fatto dalla stessa narrate sono parse in contraddizione persino con le dichiarazioni rese dalla resistente. Quanto sopra illustrato, come già rilevato, si considera sufficiente per disporre in conformità all'art. 96, co. 3 c.p.c. Per quanto concerne la determinazione della somma equitativamente dovuta dalla (...) S.r.l. per l'abuso processuale perpetrato in danno del ricorrente, poi, giova ricordare che, come confermato anche dall'orientamento pretorio prevalente, siccome la norma non fornisce alcun criterio per la sua liquidazione, il giudice, nel rispetto del principio di ragionevolezza, può quantificare detta somma sulla base dell'importo delle spese processuali, ovvero di un loro multiplo o di una loro frazione, o anche tenuto conto del valore della controversia (in questo senso, cfr. Cass., III sez. civ., n. 26435/2020 e Cass., III sez. civ., n. 17902/2019). Pertanto, in conformità all'indirizzo predetto, si ritiene congruo stabilire che il risarcimento dei danni in parola sia correttamente individuato nella somma di Euro 6.000,00. P.Q.M. Come in dispositivo. Così deciso in Roma il 13 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 5 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 77 del 2017, proposto da Ro. Bu., rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Pi., con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Fe. Sc. in Roma, via (...); contro Ia. In. Ap. La. S.r.l., rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Ma. e Ca. Va.; nei confronti Regione Autonoma della Sardegna, non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Seconda n. 556/2016, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ia. In. Ap. La. S.r.l., ed il ricorso incidentale da questa proposto; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 febbraio 2023 il Cons. Giovanni Tulumello e viste le conclusioni delle parti come in atti; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con la sentenza gravata il T.A.R. della Sardegna: a) ha accolto il ricorso introduttivo di primo grado, con cui si impugnava la graduatoria provvisoria degli ammessi al corso teorico/pratico per operatore socio sanitario, in relazione alla mancata attribuzione del punteggio previsto per il caso di valore del reddito ISEE compreso tra 0 e 7.500 euro; b) ha dichiarato improcedibile il primo ricorso per motivi aggiunti, rivolto contro il provvedimento di sospensione provvisoria dall'attività di tirocinio del 18 settembre 2015, perché superato dal successivo provvedimento n. 2119/15 del 19 ottobre 2015 dell'ISFORCOOP; c) ha rigettato nel merito - ritenendo infondate le due eccezioni di inammissibilità sollevate da IAL - il secondo ricorso per motivi aggiunti, proposto contro quest'ultimo provvedimento, adottato a seguito di "presunti comportamenti deontologicamente scorretti nei confronti dei pazienti, parenti e del personale del P.O. Marino designato alla sua formazione...", osservando che "i gravi fatti descritti in atti" non sono stati "nella sostanza neppure contestati ma solo giustificati dal sig. Bu."; d) ha rigettato il terzo ricorso per motivi aggiunti, con cui si impugnava "il verbale della riunione del Collegio docenti - Corso OSS - Pr. Ar. del 17/12/2015 trasmesso in allegato alla racc. a/r ISFORCOOP, prot. 289/15 del 18/12/2015, nella parte in cui non l'ha ammesso a valutazione finale per mancanza dei requisiti", per mancata "preventiva comunicazione del provvedimento di non ammissione alla valutazione finale", e per difetto di motivazione; e) ha dichiarato improcedibile il quarto ricorso per motivi aggiunti, con cui si era impugnato "sia l'inserimento con riserva nella graduatoria degli operatori socio sanitari qualificati, sia il diniego opposto alla richiesta di rilascio dell'attestato di qualifica di OSS", "per sopravvenuta carenza di interesse a seguito della sopra disposta reiezione dell'impugnazione proposta avverso la sospensione temporanea e la successiva decisione di non ammissione alle prove d'esame del ricorrente, giacché tale decisione comporterà, quale inevitabile conseguenza, l'esclusione del sig. Bu. dalla graduatoria nella quale finora egli è stato inserito in forza di provvedimenti di tutela cautelare". 2. La sentenza indicata è impugnata con appello principale dal ricorrente in primo grado. 2.1. Con il primo motivo contesta la declaratoria d'improcedibilità del primo ricorso per motivi aggiunti. Il mezzo è infondato: l'effetto del "superamento del tetto massimo di assenze per essere ammesso agli esami di qualifica" è stato correttamente riferito dal T.A.R. al successivo provvedimento impugnato con i secondi motivi aggiunti ("A causa dell'allontanamento temporaneo, che per quanto sopra deve ritenersi correttamente disposto, il sig. Bu. non ha frequentato neanche la metà delle ore del tirocinio sanitario, superando altresì il limite di assenze consentito dal regolamento di selezione ai fini del positivo superamento del corso"). L'interesse a coltivare il primo ricorso per motivi aggiunti è dunque venuto meno, in conseguenza degli effetti del provvedimento impugnato con il secondo ricorso per motivi aggiunti. 2.2. Con il secondo motivo contesta il rigetto del secondo ricorso per motivi aggiunti, con particolare riguardo alla dedotta illegittimità della previsione regolamentare concernente i presupposti per l'esercizio del potere disciplinare. In secondo luogo, si "eccepisce l'omessa pronuncia del TAR Sardegna sull'eccepita illegittimità derivata della sanzione definitiva dell'allontanamento dal corso, impugnata con il ricorso per secondi motivi aggiunti, per i vizi che affliggono la sospensione provvisoria, impugnata con i primi motivi aggiunti, da intendersi qui integralmente richiamati". Entrambi i profili di censura sono infondati. 2.2.1. Quanto al primo, il T.A.R. ha in proposito ritenuto che "il regolamento Corsi, all'art. 11, stabilisce che l'allievo verrà dimesso (e non sospeso) dal corso anche per motivi comportamentali tali da compromettere il regolare svolgimento dell'attività formativa, nonché per scarso o comunque negativo rendimento nelle attività didattiche, ma è anche vero che l'anzidetta prescrizione regolamentare sottende, seppur in termini generali, la necessità che i corsisti osservino un comportamento conforme a diligenza e correttezza soprattutto nello svolgimento del tirocinio sanitario e sociale. Sotto questo profilo la mancata espressa previsione della "sanzione" dell'allontanamento temporaneo dall'attività didattica per motivi disciplinari, lungi dal configurarsi come una inammissibile sanzione atipica, rappresenta esercizio della potestà discrezionale di vigilanza dell'istituto formatore finalizzata a garantire un corretto e proficuo svolgimento del corso, imprescindibile soprattutto allorché l'attività di apprendimento viene svolta presso strutture pubbliche che si rendono disponibili a partecipare a siffatti procedimenti formativi senza peraltro poter esercitare, in via diretta, alcun potere nei confronti dei corsisti che, ovviamente, non assumono un diretto rapporto con la struttura ospitante. Se questo è vero, resta evidente che i gravi fatti descritti in atti - nella sostanza neppure contestati ma solo giustificati dal sig. Bu. - dei quali quest'ultimo si è reso responsabile, ben giustificano la determinazione di allontanamento dall'attività adottata dall'istituto resistente. Ed invero in presenza di situazioni da lui non condivise verificatesi nel P.O. Marino si sarebbe dovuto limitare ad informare il suo tutor evitando di assumere iniziative personali, ponendosi in contrapposizione col personale di servizio e con i parenti dei pazienti e, addirittura, disattendendo le prescrizioni impartite in ordine alla dieta prescritta per i degenti. Sotto questo profilo la disposta sospensione per 24 giorni della frequenza del corso non solo appare legittimamente impartita ma si rivela anche congrua nella sua quantificazione". Tale motivazione non risulta superata dalle censure proposte con il mezzo in esame: le condotte risultanti dagli atti, se pur riferite a divergenze nella gestione ed organizzazione del servizio (ed anzi proprio per tale ragione), avrebbero dovuto comportare una reazione non di contrapposizione con il personale e con i parenti dei degenti, ma di adeguata segnalazione al tutor: tanto più in considerazione del fatto che l'appellante si trovava in fase di formazione, e che dunque agli ordinari doveri comportamentali connessi alla funzione si aggiungeva il relativo onere. Né risulta assistito da un idoneo principio di prova l'affermazione secondo la quale le condotte realmente poste in essere sarebbero state diverse da quelle accertate nei provvedimenti gravati. 2.2.2. Quanto al secondo, l'infondatezza discende automaticamente dall'infondatezza del primo motivo di appello, e comunque dell'autosufficienza del provvedimento portante la sanzione definitiva. 2.3. Con il terzo motivo contesta il rigetto del terzo ricorso per motivi aggiunti. Il mezzo censura il preteso difetto di motivazione della sentenza sull'eccepito sviamento: il T.A.R. "nulla motiva e nulla dice in ordine all'eccepito sviamento e all'effettiva finalità della non ammissione a valutazione finale, che purtroppo è stata quella ritorsiva e punitiva nei confronti dell'appellante, che tutt'ora gli impedisce di poter accedere alle occasioni lavorative come OSS". In realtà il T.A.R. ha giustamente ritenuto assorbente il profilo della mancata frequenza per un numero di ore sufficienti: rispetto al quale, trattandosi di causa che preclude in modo dirimente ed autosufficiente l'accesso al bene della vita, ogni ulteriore questione è priva d'interesse. 2.4. Con il quarto motivo l'appellante contesta la declaratoria di improcedibilità del quarto ricorso per motivi aggiunti. Il T.A.R. ha in proposito osservato che "Col 4° ricorso per motivi aggiunti il sig. Bu. ha quindi impugnato sia l'inserimento con riserva nella graduatoria degli operatori socio sanitari qualificati, sia il diniego opposto alla richiesta di rilascio dell'attestato di qualifica di OSS. Tale ricorso, tuttavia, dev'essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse a seguito della sopra disposta reiezione dell'impugnazione proposta avverso la sospensione temporanea e la successiva decisione di non ammissione alle prove d'esame del ricorrente, giacché tale decisione comporterà, quale inevitabile conseguenza, l'esclusione del sig. Bu. dalla graduatoria nella quale finora egli è stato inserito in forza di provvedimenti di tutela cautelare". In argomento l'appellante osserva che "La declaratoria di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse del ricorso per i quarti motivi aggiunti merita di essere impugnata e, viceversa, sussiste l'interesse dell'appellante a vedere annullati, tanto, il verbale del 21/01/2016 e gli esiti degli esami di qualificazione professionale del Pr. Ar. corso Operatore Socio Sanitario, in parte qua, risulta qualificato con riserva, quanto, il rigetto della richiesta di rilascio dell'attestato di qualifica di OSS al ricorrente (fax 29.2.2016 a firma dell'Avv. Ma. Ma. e riferibile al RTI Pr. Ar.). Il mancato apprezzamento della legittimità o meno dell'atto impugnato da parte del Primo Giudice alla luce dei vizi d'invalidità derivata e vizi propri proposti in primo grado, giustificano in questa sede l'integrale rinvio ai medesimi vizi ed inficiano per omessa pronuncia anche questo capo della sentenza di primo grado". Il mezzo è inammissibile e comunque infondato. L'appellante, al di là dell'assertiva - e non altrimenti motivata - affermazione della perdurante sussistenza di un interesse rispetto all'esame di censure relative a provvedimenti i cui effetti sono superati dalle conseguenze della definitiva esclusione dalla graduatoria finale, non espone argomenti critici, tali da superare la contestata statuizione della sentenza di primo grado. 3. L'appellante incidentale ripropone le eccezioni in rito non accolte in primo grado: si tratta di un'impugnazione condizionata (qualificata in epigrafe come "subordinata"), come tale assorbita dal rigetto per infondatezza dell'appello principale (come del resto si ricava dalle conclusioni proposte in via principale dalla parte appellata). 4. L'appello principale è pertanto infondato e come tale va respinto; l'appello incidentale va dichiarato improcedibile. La peculiarità della vicenda giustifica la compensazione fra le parti delle spese di lite. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, rigetta l'appello principale e dichiara improcedibile l'appello incidentale. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 febbraio 2023 con l'intervento dei magistrati: Michele Corradino - Presidente Pierfrancesco Ungari - Consigliere Stefania Santoleri - Consigliere Giovanni Pescatore - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9580 del 2021, proposto da Da. Pe., rappresentato e difeso dall'avvocato Eu. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); contro Università della Calabria, non costituito in giudizio; Sa. Im., rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Sa., con domicilio digitale come da PEC (omissis); Università della Calabria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Ma. e Ad. Gr., con domicilio digitale come da PEC (omissis) e (omissis); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Prima n. 01538/2021, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Sa. Im. e dell'Università della Calabria; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 marzo 2023 il Cons. Marco Morgantini e uditi per le parti gli avvocati Eu. Ba. per l'appellante e Al. Sa. per parte controinteressata; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con la sentenza appellata è stato respinto il ricorso introduttivo proposto per l'annullamento del decreto rettorale dell'Università della Calabria, con cui sono stati approvati gli atti della commissione giudicatrice nominata per la procedura di valutazione comparativa per la copertura di n. 1 posto di professore universitario di ruolo II fascia da coprire mediante chiamata ai sensi dell'art. 24, comma 6, Legge 240/2010, per il settore concorsuale 05/D1, settore scientifico disciplinare BIO/09 (fisiologia), presso il dipartimento di biologia, ecologia e scienze della terra dell'Università della Calabria (DIBEST). Alla luce degli esiti del ricorso principale il Tar ha dichiarato improcedibile il ricorso per motivi aggiunti, con il quale parte ricorrente impugnava la proposta di chiamata della controinteressata quale professore universitario di II Fascia. Tali atti venivano impugnati per illegittimità derivata dai medesimi vizi già denunciati con il ricorso principale. La motivazione della sentenza appellata fa riferimento alle seguenti circostanze. La ricorrente contestava la legittimità dell'attività della commissione la quale, sia in punto di valutazione dell'attività didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti (art. 3 del D.M. 344 del 2011) sia in punto di valutazione dell'attività di ricerca scientifica (art. 4 del D.M.) sia ancora in punto di valutazione delle pubblicazioni scientifiche (art. 4, comma 3 del medesimo D.M.) - avrebbe a suo dire sistematicamente proceduto ad una capziosa ed illegittima (s)valutazione dei suoi titoli e dall'altro, ad una sopravalutazione dei titoli della candidata poi risultata vincitrice. In sintesi il Tar ha ritenuto che la ricorrente, analizzando singolarmente i singoli criteri e subcriteri, piuttosto che dimostrare un'evidente insostenibilità ed illogicità del giudizio complessivo posto in essere dalla Commissione tenda a rinnovare in sede giurisdizionale un'attività di valutazione comparativa già svolta in via amministrativa, rispetto alla quale, però, non è dato rinvenire, nel suo complesso ed in disparte l'opinabilità delle scelte (rientrante nel merito insindacabile), una situazione di evidente irragionevolezza come tale censurabile. 2.1 Si sono costituite in giudizio per resistere all'appello l'Università della Calabria e la controinteressata Sa. Im.. L'appello è infondato. Il collegio condivide l'osservazione generale, contenuta nella sentenza appellata, secondo cui la ricorrente, analizzando singolarmente i singoli criteri e subcriteri, piuttosto che dimostrare un'evidente insostenibilità ed illogicità del giudizio complessivo posto in essere dalla Commissione, vorrebbe rinnovare in sede giurisdizionale un'attività di valutazione comparativa già svolta in via amministrativa, rispetto alla quale, però, non è dato rinvenire, nel suo complesso ed in disparte l'opinabilità delle scelte (rientrante nel merito insindacabile), una situazione di evidente irragionevolezza come tale censurabile. 2.2 Secondo parte appellante la commissione una volta insediata, anziché specificare e dettagliare i criteri da utilizzare per la valutazione comparativa dei candidati, si sarebbe limitata a riportare pedissequamente le generiche previsioni di cui al DM 344/2011. 2.2 - bis La censura è infondata perché la commissione ha effettuato la valutazione non solo sulla base dei criteri e degli standard qualitativi di cui al d. m. n° 344 del 2011, ma anche sulla base degli ulteriori elementi di qualificazione didattica e scientifica previsti dal dipartimento e ritenuti necessari per il posto messo a concorso, così come riportati all'art. 1 del bando, come si desume dal verbale d'insediamento della commissione. Si tratta di criteri che nel loro insieme guidano la commissione a garantire imparzialità e trasparenza nell'esercizio dei poteri di discrezionalità tecnica. La commissione infatti individuava così i seguenti specifici criteri, come da d. m. n° 344/2011: a) valutazione dell'attività didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti, attraverso: -) numero dei corsi di insegnamento tenuti presso l'Università degli Studi della Calabria e presso altre Università e continuità della tenuta degli stessi con particolare riferimento agli insegnamenti del SSD BIO/09 ed ai corsi di cui gli stessi hanno assunto la titolarità ; -) esiti della valutazione da parte degli studenti, con gli strumenti predisposti dall'ateneo, dei moduli/corsi tenuti; -) partecipazione alle commissioni istituite per gli esami di profitto; -) quantità e qualità dell'attività di tipo seminariale, di quella mirata alle esercitazioni e al tutoraggio degli studenti, ivi inclusa quella relativa alla predisposizione delle tesi di laurea, di laurea magistrale e delle tesi di dottorato. b) valutazione dell'attività di ricerca scientifica, attraverso: -) organizzazione, direzione e coordinamento di gruppi di ricerca nazionali e internazionali, ovvero partecipazione agli stessi; -) conseguimento della titolarità di brevetti; -) partecipazione in qualità di relatore a congressi e convegni nazionali e internazionali; -) conseguimento di premi e riconoscimenti nazionali e internazionali per attività di ricerca. Inoltre, ai fini della valutazione dell'attività di ricerca scientifica, la Commissione prevedeva, sulla base di quanto stabilito dal predetto D.M. n. 344/2011: -) la valutazione ponderata delle pubblicazioni o dei testi accettati per la pubblicazione secondo le norme vigenti nonché di saggi inseriti in opere collettanee e di articoli editi su riviste in formato cartaceo o digitale con l'esclusione di note interne o rapporti dipartimentali; -) la valutazione in maniera ponderata della consistenza complessiva della produzione scientifica del candidato, l'intensità e la continuità temporale della stessa, fatti salvi i periodi, adeguatamente documentati, di allontanamento non volontario dall'attività di ricerca, con particolare riferimento alle funzioni genitoriali, sulla base degli ulteriori seguenti criteri: -) originalità, innovatività, rigore metodologico e rilevanza di ciascuna pubblicazione; -) congruenza di ciascuna pubblicazione con il profilo di professore universitario di seconda fascia da ricoprire oppure con tematiche interdisciplinari ad esso strettamente correlate; -) rilevanza scientifica della collocazione editoriale di ciascuna pubblicazione e sua diffusione all'interno della comunità scientifica; -) determinazione analitica, anche sulla base di criteri riconosciuti dalla comunità scientifica di riferimento dell'apporto individuale del ricercatore nel caso di partecipazione del medesimo a lavori in collaborazione. La commissione faceva altresì riferimento ai seguenti indicatori, riferiti alla data di inizio della valutazione: 1) numero totale delle citazioni; 2) numero medio di citazioni per pubblicazione; 3) "impact factor" totale; 4) impact factor" medio per pubblicazione; 5) combinazioni dei precedenti parametri atte a valorizzare l'impatto della produzione scientifica del candidato (indice di Hirsch o simili). 2.3 L'appellante lamenta che la commissione, relativamente al macrocriterio "valutazione dell'attività di ricerca" abbia di fatto omesso qualsiasi giudizio e si sia limitata, invece, a fotografare i due profili curriculari. La commissione avrebbe anche descritto l'attività di ricerca documentata da ciascun candidato in modo volutamente piatto ed acritico, tale da uniformare i candidati, così celando/mascherando la differenza esistente tra gli stessi. Tale descrizione non avrebbe consentito di ricostruire l'iter logico che ha portato la commissione a preferire un candidato rispetto all'altro. 2.3 - bis. La censura è infondata. Infatti, come si è correttamente espresso sul punto il Tar, la Commissione si è così espressa: - la candidata Pe. "ha ottenuto riconoscimenti per la sua attività scientifica, tra i quali è stata invited speaker a congressi, vincitrice di un award per comunicazione scientifica, componente dell'editorial board di una rivista ISI e Referee per diverse riviste internazionali. Ha ottenuto finanziamenti per progetti di ricerca scientifica inerenti al settore concorsuale. Molteplici sono le collaborazioni scientifiche nazionali e internazionali"; - la candidata Im. "ha ottenuto finanziamenti per progetti di ricerca scientifica inerenti al settore concorsuale ed ha partecipato a molte collaborazioni scientifiche a livello sia nazionale sia internazionale. Riconoscimenti della sua attività scientifica sono anche indicati da partecipazioni a congressi scientifici come invited speaker. La candidata svolge attività di Referee per diverse riviste scientifiche internazionali". Ne consegue che tanto per la appellante quanto per la controinteressata sono state evidenziate, e dunque valorizzate, l'attitudine alla ricerca e alla capacità di attrarre fondi per la ricerca, di modo che non si ritiene di pregio l'assunto di parte ricorrente sull'asserita situazione di svalutazione della sua posizione (nel senso di aver la Commissione abbia solo apparentemente "fotografato" i due profili curriculari), non essendo evincibili, sul punto, elementi specifici e pregnanti dai quali inferire una significativa illogicità o un travisamento dei presupposti di fatto, idonei a mettere in discussione - per quanto consentito in sede giurisdizionale - la correttezza delle valutazioni della Commissione, i cui apprezzamenti (in merito alla rilevanza, a fini valutativi, della temporalità e della numerosità di progetti, riconoscimenti o finanziamenti) sono comunque presenti nel giudizio. Inoltre la valutazione dell'attività di ricerca ha concorso insieme agli altri criteri di valutazione a determinare la preferenza dei candidati. 2.4 L'appellante lamenta che nella valutazione dell'attività di ricerca la commissione avrebbe omesso di rilevare i numerosi errori presenti nel CV della vincitrice. Ritiene che tra i progetti presentati dalla dr.ssa Im. sotto la voce finanziamenti per l'attività scientifica: i) il primo di cui risulta coordinatore (2017) non sarebbe un progetto, ma una convenzione con un ente; ii) il secondo di cui risulta partecipante non sarebbe stato finanziato dal MIUR ma solo in minima parte dall'ateneo; iii) il progetto POR Calabria 2007-2013 di cui risulta coordinatore non sarebbe un progetto ma il finanziamento di un assegno di ricerca; iv) il finanziamento della Provincia di Cosenza a favore del Master non sarebbe un progetto di ricerca ma un sostegno alla didattica; v) i progetti di ricerca dell'ateneo ex 60% non sarebbero bandi competitivi ma finanziamento ordinario a tutti i ricercatori. 2.4 -bis. La censura è infondata perché la commissione ha specificamente valutato nell'ambito di tali progetti la capacità di ottenere finanziamenti per progetti di ricerca scientifica. L'appellante non ha dimostrato il contrario. 2.5 L'appellante lamenta che con riferimento al sotto criterio della "organizzazione, direzione e coordinamento di gruppi di ricerca nazionali e internazionali, ovvero partecipazione agli stessi" la commissione avrebbe pure ignorato l'attività di direzione di laboratori di ricerca delle due candidate. 2.5 - bis. La censura è infondata. Resiste alla censura dell'appellante la motivazione della sentenza appellata, secondo cui l'appellante non ha prodotto alcun atto formale dal quale si possa evincere la sussistenza di tali titoli. Quanto sopra risulta confermato dalla memoria della controinteressata, che fa riferimento ai verbali dei Consigli di Senato Accademico cui spetta la ratifica dell'Istituzione dei laboratori dipartimentali e dei responsabili degli stessi, in cui i titoli cui fa riferimento l'appellante non risultano. 2.6 Anche con riferimento al macro-criterio della "valutazione dell'attività didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti l'appellante lamenta la commissione avrebbe omesso di esprimere un giudizio di valore e/o qualitativo dell'attività svolta dai singoli candidati, limitandosi ad una mera descrizione/fotografia dei loro profili curriculari. La commissione avrebbe così illegittimamente azzerato la portata selettiva di tali macro-criteri. 2.6 - bis. La censura è infondata. La commissione, con riferimento alla controinteressata, ha accertato l'avvenuto svolgimento della seguente attività didattica: "la candidata ha svolto attività didattica ininterrottamente dal 2003 quale titolare di molti Corsi di insegnamento, tutti interni al SSD BIO/09, e, dal 2005, in qualità di Componente del Collegio docente del Corso di Dottorato di Ricerca in Biologia Animale e, più recentemente, del Corso di Dottorato in Scienze della Vita. La Candidata, inoltre, svolge funzioni di docenza in Scuole dì Specializzazione e Master di I e di II livello, per quest'ultimo fungendo anche da Coordinatore scientifico. La Candidata ha svolto anche una cospicua attività didattica integrativa, organizzativa e di servizio agli studenti fra cui il tutoraggio di dottorandi, di specializzandi e di assegnista di ricerca ed è stata tutor per tirocini curricolari di formazione e orientamento per corsi di laurea triennali." Con riferimento all'appellante la commissione ha accertato l'avvenuto svolgimento della seguente attività didattica: la candidata ha svolto attività didattica continua quale titolare di Corsi di insegnamento tutti interni al SSD BIO/09 in diversi corsi di laurea con elevato grado di soddisfazione degli studenti ed in corsi post-laurea. La Candidata ha svolto anche attività didattica integrativa, organizzativa e di servizio agli studenti, in particolare seguendo gli studenti per tesi di laurea, di dottorato e Master di I livello. E' Presidente o Componente di numerose commissioni di esami di profitto. Dal 2003 al 2016 è stata membro del Collegio del dottorato di Ricerca in Biologia Animale prima e in Scienze della Vita presso Unical dopo. Attualmente, è membro aggregato del dottorato di Ricerca in Scienze della Vita presso Unical." Il collegio osserva che la commissione ha specificamente delineato il profilo di attività didattica svolta con ciò motivando congruamente le ragioni di preferenza. 2.7 L'appellante ritiene che, anche con riferimento al macro-criterio relativo alla "valutazione delle pubblicazioni scientifiche", non sia possibile comprendere l'iter logico che ha seguito la commissione per giungere alla propria decisione finale. Secondo l'appellante non corrisponderebbe al vero che tutte le pubblicazioni presentate dalla dr.ssa Im. sarebbero indicizzate ISI, ma solo 30 delle 32 pubblicazioni vantate. Con riferimento alle pubblicazioni della controinteressata ritiene quanto segue: - la pubblicazione 25 non sarebbe un lavoro in extenso come dichiarato, ma una semplice nota di sole due pagine pag 85-86; - la rivista su cui è pubblicata tale nota non solo non sarebbe indicizzata ISI, ma risulta presente sul database scopus con un indice di citazione di 0.04 e non 1.2 o 0.57 come dichiarato dalla Im.; - relativamente alla pubblicazione sub n. 5 la dr.ssa Im. avrebbe dichiarato che la stessa sarebbe pubblicata sulla rivista "Current Medicinal Chemistry" con IF attuale di 3.25, si tratterebbe però all'evidenza di un falso poiché tale lavoro risulta invece pubblicato sulla rivista "Current Medicinal Chemistry: Immunology, Endocrine and Metabolic Agents" che sarebbe una rivista priva di IF; - la dr.ssa Im. dichiara sulle 32 pubblicazioni un IF totale di 87.7 (IF medio su 30= 2.92) riferito all'anno di pubblicazione ed un IF totale di 97.56 (IF medio su 30= 3.25) come dato aggiornato, ciò mentre, dai dati ufficiali ISI risulterebbero questi differenti valori: IF totale di 82.957 (IF medio su 28= 2.96) riferito all'anno di pubblicazione ed un IF totale di 61.558 (IF medio su 26= 2.36) come dato aggiornato. Contesta la motivazione della sentenza appellata sul punto, secondo cui "non spetta alla Commissione effettuare le verifiche amministrative in ordine alla veridicità delle dichiarazioni sostitutive, circostanza da cui discende l'infondatezza della censura". Ritiene non motivato il "giudizio" della commissione sulla produzione scientifica, perché farebbe riferimento a due laconiche asserzioni secondo cui la produzione scientifica della Im. sarebbe di "qualità elevata", mentre quella della ricorrente sarebbe di soltanto di "buona qualità ". Al contrario di quanto ritenuto dalla commissione, il numero di citazioni e l'IF sarebbero superiori per l'appellante. L'appellante ritiene altresì non motivato il giudizio della collocazione editoriale delle pubblicazioni, ritenuta "buona o ottima" per la vincitrice e solamente "buona" per l'appellante. L'appellante avrebbe presentato all'interno delle 15 pubblicazioni molti più lavori in fascia alta (Q1 e Q2) rispetto alla dr.ssa Im.. Secondo l'appellante soltanto ad un osservatore distratto la produzione scientifica della dr.ssa Im. potrebbe risultare in sensibile aumento negli anni più recenti e ciò solo in quanto quest'ultima ha dichiarato dal 2012 ben 16 pubblicazioni su riviste internazionali e tre capitoli di libro. Senonché, ove la commissione avesse verificato la veridicità di quanto affermato/dichiarato dalla candidata, si sarebbe accorta, innanzitutto, che le pubblicazioni non sono 16 ma piuttosto 14: - una, infatti, sarebbe una mera nota (25 dell'elenco); - una sarebbe un capitolo di libro (31 dell'elenco); La commissione avrebbe dovuto rilevare che di queste 14 pubblicazioni solo 10 sono lavori scientifici mentre 4 sono reviews. Laddove per review si intende lo studio di un argomento attraverso una mera disamina critica dei lavori originali pubblicati fino a quel momento da soggetti terzi: non è pertanto un lavoro sperimentale. Ciò mentre per articolo scientifico si intende il resoconto di uno studio completo e originale, con struttura ben definita e costante (introduzione, materiali e metodi, risultati, discussione, conclusione, bibliografia). Peraltro, secondo l'appellante, anche con riferimento ai soli 10 lavori scientifici prodotti dal 2012 risulta che dr.ssa Im. avrebbe un ruolo prevalente (primo o ultimo nome) solo in 5 di essi (nn. 29, 28, 24, 22, 21), un ruolo paritetico in uno (n. 17), mentre, negli altri 4 (nn. 32, 30, 19,18), avrebbe un ruolo decisamente secondario. L'affermazione della commissione, secondo cui la produzione della dr.ssa Im. sarebbe negli ultimi anni in sensibile aumento, ove attentamente verificata, risulterebbe in realtà errata/sviata, visto che non terrebbe conto del reale numero delle pubblicazioni e neppure della natura oggettiva di tale produzione. Altrettanto sviata sarebbe la contestuale affermazione relativa alla leggera flessione della produzione scientifica della ricorrente relativamente all'ultimo periodo. 2.7 - bis. La censura è infondata. Il collegio osserva che, con riferimento alle pubblicazioni, la commissione ha fatto riferimento ai seguenti profili. Per la controinteressata: "la produzione scientifica complessiva della candidata consiste in 32 !avori in extenso, tutte in riviste indicizzate lSI, e 4 capitoli di libro dal 2001 ad ora. La produzione scientifica, di qualità elevata, è pienamente coerente con la tipologia dell'impegno scientifico richiesto dal bando dì selezione, risulta continua sia in termini temporali sia in termini di tematiche affrontate, è caratterizzata da una buona o ottima collocazione editoriale su riviste di rilievo internazionale e risulta in sensibile aumento negli anni più recenti. Nell'ambito delle 15 pubblicazioni presentate a valutazione, l'impact factor medio per pubblicazione e l'indice delle citazioni bibliografiche, opportunamente normalizzati in funzione dell'arco temporale della produzione e sulla base di criteri riconosciuti nella comunità scientifica internazionale di riferimento, complessivamente, risultano rispettivamente di buono e di ottimo livello e l'apporto individuale della candidata alle attività di ricerca e sviluppo eseguite in collaborazione risulta ben enucleabile ed è preminente in 5 pubblicazioni nelle quali è ultimo autore e 9 pubblicazioni nelle quali è primo autore. Inoltre, è correspondì ng author in 10 delle 15 pubblicazioni." Per l'appellante: "la produzione scientifica complessiva consiste in 33 lavori in extenso, 30 dei quali in riviste 151, e 6 capitoli di libro dal 1994 ad ora. Sono presenti inoltre numerosi contributi a congressi nazionali e internazionali. Tale produzione, di buona qualità, è pienamente coerente con la tipologia dell'impegno scientifico richiesto dal bando di selezione, risulta continua in termini temporali, anche se con una leggera flessione negli anni più recenti, e nelle tematiche affrontate, ed è caratterizzata da una buona collocazione editoriale su riviste di rilievo internazionale. Nell'ambito delle 15 pubblicazioni presentate a valutazione, l'impact factor medio per pubblicazione e l'indice delle citazioni bibliografiche, opportunamente normalizzati sia in funzione dell'arco temporale della produzione sia sulla base di criteri riconosciuti nella comunità scientifica internazionale di riferimento, risultano entrambi di buon livello e l'apporto individuale della candidata alle attività di ricerca e sviluppo eseguite in collaborazione è enucleabile e risulta preminente in 6 pubblicazioni nelle quali è ultimo autore, e in 4 nelle quali è primo autore." Con tale premessa il collegio ritiene di condividere la motivazione sul punto espressa dal Tar, secondo cui: - l'apprezzamento delle pubblicazioni indicate in curriculum, la formulazione di un giudizio con riferimento a numero, natura, collegialità, continuità e collocazione delle pubblicazioni in riviste internazionali, da considerarsi ai fini della complessiva formulazione del giudizio con riferimento ai singoli candidati, costituisce di norma attività riservata all'amministrazione e la sua contestazione sic et simpliciter si sostanzia in un'inammissibile ripetizione dell'apprezzamento di merito dell'Amministrazione; - nei concorsi a docente universitario l'impact factor (cioè il numero di citazioni che una certa pubblicazione ha avuto su riviste in un determinato arco temporale) non è criterio vincolante in via esclusiva per misurare l'originalità scientifica della pubblicazione che è rimessa alla diretta valutazione della commissione; - le censure di parte appellante finiscono, per un verso, con lo svolgere, di fatto, funzione di integrazione dell'istruttoria alla base del giudizio reso dalla commissione (attività di per sé non consentita in sede giurisdizionale), circostanza, peraltro, ancora più delicata per il fatto che, l'assenza di un vincolo a ricorrere ad una specifica banca dati, rende più marcatamente soggettivo l'apprezzamento della commissione, circostanza da cui si consegue che le deduzioni dell'appellante non possono essere considerate quale "indice rivelatore" di una "discriminazione" nei suoi confronti. Il collegio osserva che nel proprio giudizio la commissione per la controinteressata ha fatto riferimento ad un giudizio di "buono e ottimo livello", anche con riferimento alla "normalizzazione in funzione dell'arco temporale della produzione ossia la controinteressata ha dimostrato una maggiore produzione scientifica per anno. La commissione, con riferimento all'appellante, ha fatto riferimento ad un "buon" livello, anche tenuto conto dell'arco temporale della produzione e quindi della circostanza che l'appellante ha riscontrato una leggera flessione negli anni più recenti. Tale ultima circostanza non è stata in concreto smentita dall'appellante. Sotto tale profilo la controinteressata, nella memoria depositata in giudizio in data 9 febbraio 2023 (pagina 17,) ha invece evidenziato che "anche considerando che la prof.ssa Im. abbia 29 pubblicazioni, come contestato in ricorso (sempre infondatamente), normalizzando per età accademica, si perviene ad un valore superiore rispetto a quello della dott.ssa Pe., laddove nel mentre per la prof. Im. la media sarebbe di 1,7 lavori/anno (29 pubblicazioni/17anni), per la d.ssa Pe. di appena 1,25 lavori/anno (pari a 30 pubblicazioni/24anni)." 2.8 L'appellante lamenta che la controinteressata "abbia sistematicamente dichiarato il falso" (pagina 26 dell'appello). 2.8 - bis. Il collegio osserva trattasi di censura infondata perché non dimostrata, come risulta confermato dalla circostanza che sul punto l'appellante chiede al collegio di esercitare i propri poteri istruttori. 2.9 L'appellante lamenta che la preferenza accordata alla controinteressata non sarebbe correttamente motivata dalla commissione sulla base di un idoneo giudizio comparativo. 2.9 - bis. La censura è infondata. Il collegio ritiene che resista alle censure dell'appellante la motivazione della sentenza appellata, secondo cui dall'esame dei verbali di gara si apprezza la formulazione di un giudizio su ciascuno dei candidati, alla luce dei criteri di bando richiamati nel verbale n. 1 e la conseguente valutazione comparativa. In conclusione l'appello deve pertanto essere respinto. La condanna alle spese del giudizio d'appello segue la soccombenza in favore dell'amministrazione resistente e dell'avv. Al. Sa., difensore antistatario della controinteressata Im. Sa., liquidandole, per ciascuna delle parti, in complessivi euro 2.000,00, oltre rimborso forfettario spese legali, IVA e CPA come per legge. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna parte appellante alle spese del giudizio d'appello in favore dell'amministrazione resistente e dell'avv. Al. Sa., difensore antistatario della controinteressata Im. Sa., liquidandole, per ciascuna delle parti, in complessivi euro 2.000,00, oltre rimborso forfettario spese legali, IVA e CPA come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Roberto Giovagnoli - Presidente Fabio Franconiero - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SABEONE Gerardo - Presidente Dott. DE GREGORIO Eduardo - Consigliere Dott. PEZZULLO Rosa - Consigliere Dott. SESSA Renata - rel. Consigliere Dott. BIFULCO Daniela - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 26/11/2021 della CORTE APPELLO di NAPOLI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere RENATA SESSA; il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PASSAFIUME SABRINA ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso; il difensore della parte civile ha chiesto rigettarsi il ricorso; il difensore dell'imputato ha insistito nell'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.Con sentenza del 26.11.2021 la Corte di Appello di Napoli ha confermato la pronuncia emessa in primo grado nei confronti di (OMISSIS), che lo aveva dichiarato colpevole del reato di atti persecutori e di lesione volontaria aggravata ai sensi dell'articolo 585 c.p. e articolo 576 c.p., n. 1 (articolo 61 c.p., n. 2). In particolare all'imputato al capo A) e' ascritto il reato p. e p. dall'articolo 612 bis c.p., commi 1 e 2, perche' con piu' condotte reiterate nel tempo, minacciava e molestava (OMISSIS), dopo che la stessa nell'aprile del 2013 aveva deciso di troncare la relazione sentimentale intrattenuta con lo stesso; in particolare, profferiva costantemente al suo indirizzo frasi ingiuriose del tipo "Puttana, zoccola", la seguiva ripetutamente nei suoi spostamenti a piedi e con la propria autovettura, si recava continuamente presso l'abitazione dove viveva con il proprio nucleo familiare, controllandone i movimenti (anche nella caserma ove gli stessi prestano servizio in qualita' di militari dell'Esercito Italiano) e le abitudini (controllandone persino il traffico telefonico) e pronunciando nei suoi confronti frasi fortemente minacciose, del tipo "ti ammazzo; ti levo dalla faccia della terra; se non stai con me ti uccido; hai passato i guai con me puttana ti faccio scomparire; ti faccio vedere lo chi sono; a tu non hai capito che nella merda stai e nella merda resterai; hai fatto pace con tuo marito eh- su questa terra... lo e te dobbiamo stare insieme... solo cosi' saremo felici lo nemmeno tra dieci anni ti posso vedere felice con un altro", minacciandola ripetutamente di rendere pubblica la loro relazione. La tempestava di telefonate e di sms pervenuti sulle utenze telefoniche in uso alla persona offesa, mediante i quali in maniera insistente ed ossessiva le chiedeva di instaurare nuovamente la relazione sentimentale. Assumeva nei suoi confronti atteggiamenti molesti e violenti consistiti anche in sputi in faccia, picchiandola ripetutamente con calci e pugni ed accusandola di avere diversi amanti. In un'occasione si poneva all'inseguimento del veicolo condotto dalla persona offesa che era in compagnia della sorella minore (OMISSIS), costringendola a fermarsi per profferire nei confronti delle due donne la seguente espressione: "vi faccio fare la fine dei brillantini". La seguiva e ne controllava ogni movimento anche presso il luogo di lavoro (Caserma "(OMISSIS)" di Avellino dell'Esercito Italiano) anche durante il periodo in cui la (OMISSIS) e' stata affiancata da un tutor, nella persona del Caporal Maggiore, (OMISSIS). Infine, sebbene sottoposto alla misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa, dopo aver notato la (OMISSIS) alla guida della propria autovettura, invertiva la marcia del proprio veicolo per inseguirla. Successivamente si appostava sotto l'abitazione del nonno della persona offesa e quando quest'ultima decideva di andare via continuava a seguirla fino ad affiancarla con la propria autovettura, profferendo la seguente espressione: "non ce la faccio piu', la colpa e' solo tua se stiamo cosi', vedi quello che devi fare", accompagnando tali frasi mimando l'invio di baci e mostrandole al contempo dei fazzoletti di carta monouso sui quali aveva scritto le seguenti espressioni: "nammurate' e' bella la canzone - ti manco". In tal modo cagionava nella persona offesa un perdurante e grave stato di ansia e di paura, un fondato timore per l'incolumita' propria e dei suoi prossimi congiunti e la costringeva ad alterare le proprie abitudini di vita, in particolare a non uscire di casa per il timore di incontrarlo e a spegnere il proprio cellulare per non essere contattata. Con l'aggravante del fatto commesso da persona che e' stata legata da relazione alla persona offesa; e al capo B) il reato p. e p. dagli articoli 582 - 585 c.p. (in relazione all'articolo 576 c.p., n. 1)) perche', agendo al fine di commettere il reato di cui al Capo A), colpendo con calci e pugni in diverse parti del corpo, cagionava ad (OMISSIS) lesioni personali giudicate guaribili in gg. 2 come da certificato in atti (In (OMISSIS)). 2.Ricorre per cassazione l'imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo sei motivi. 2.1.Coi primi quattro motivi, trattati unitariamente in ricorso, si lamenta che non sia stata rispettata la regola della condanna "al di la' di ogni ragionevole dubbio"; il travisamento della prova, la mancanza e illogicita' di motivazione ovvero la motivazione apparente; l'erronea applicazione degli articoli 192 e 530 codice di rito, per l'incertezza e inconcludenza delle prove acquisite; la nullita' della sentenza in relazione all'articolo 187, articolo 192, commi 1 e 2, articoli 546 e 125 codice di rito. L'incongruenza e illogicita' della motivazione risiede cosmicamente ed emerge in tutta evidenza dallo stesso testo impugnato - cosi' testualmente in ricorso - laddove seppur citando sommariamente le dichiarazioni testimoniali e ponendole a confronto con l'affermata attendibilita' si realizza un'evidente incongruenza. Le testimonianze infatti collidono insanabilmente con il dichiarato della persona offesa, perche' emerge in tutta evidenza che lo stesso dato temporale riferito ovvero una conclusione della relazione a far data dall'aprile 2013 non trova riscontro nelle acquisizioni di foto e messaggi, che addirittura estendono tale relazione fino al 12 settembre 2013 (nei motivi e' riportato un messaggio del tutto concludente), proseguita fino alla data dell'arresto dell' (OMISSIS) nel 2014, e addirittura vi e' la ricerca da parte della persona offesa dell'imputato dopo averlo denunciato. In particolare il giudice di appello non tiene in alcun conto, nel valutare l'atteggiamento comunque ritenuto integrare la fattispecie criminosa in argomento, che mentre la persona offesa all'epoca dei fatti era gia' coniugata, madre di un figlio, dotata di attivita' lavorativa, invece l'imputato era un militare volontario in forma prefissata a termine, per cui sotto un profilo razionale e logico e' del tutto incongruente il giudizio espresso circa la capacita' di agire e le contraddizioni insite nel comportamento assunto in quanto esse denotano un quid diverso se correlato all'eta' e al grado di maturazione sociale della donna oltre che alla fisiologica intelligenza e praticita' di cui sono portatisi le donne, sicuramente piu' mature ed esperte degli uomini nell'affrontare la vita la quotidianita' e nel determinarsi in ogni problema della vita relazionale (cosi' testualmente in ricorso). Ne' e' stata fornita risposta esauriente in ordine alla deduzione difensiva che faceva rilevare come la donna si fosse recata solo dopo tre giorni dalla denuncia in ospedale a far refertare la lesione subita, circostanza imputata nella sentenza impugnata alla reticenza della persona offesa a denunciare la condotta laddove la relazione extraconiugale tra i due era gia' ampiamente di dominio pubblico. Indi si indicano ulteriori circostanze di fatto alla stregua delle quali ritenersi la inattendibilita' della versione della persona offesa e la incongruenza e sostanziale apparenza della motivazione della sentenza impugnata. 2.2.Col quinto motivo deduce la nullita' della sentenza impugnata in relazione agli articoli 187, 192, 546 e 125 c.p.p., evidenziando come il giudice di appello abbia confermato la credibilita' della persona offesa in contrasto con le evidenti prove citate, giustificando tra l'altro le discrasie con un giudizio di immaturita' che da tutti gli atti non emerge affatto. 2.3.Col sesto motivo deduce violazione di legge con riferimento agli articoli 62-bis, 132 e 133 c.p., in particolare si lamenta che nonostante la concessione delle attenuanti generiche, la pena e' stata determinata in maniera eccessiva e cio' nonostante non potesse trovare applicazione nel caso di specie, risalendo i fatti al 2013, la L. n. 69 del 2019. 3. Il ricorso e' stato trattato, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, senza l'intervento delle parti che hanno cosi' concluso per iscritto: il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso; il difensore della parte civile ha chiesto rigettarsi il ricorso, allegando nota spese; il difensore dell'imputato ha insistito nell'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile in quanto meramente reiterativo e comunque involgente vizi non rilevabili in sede di legittimita'. 1.1. I primi quattro motivi - gia' trattati congiuntamente in ricorso - pur nella loro diversa declinazione in relazione a ciascuno degli aspetti evidenziati, si risolvono nella confutazione delle risultanze processuali sull'assunto della mancata considerazione delle prospettazioni dalla difesa che avrebbero, nella prospettazione difensiva, dovuto condurre all'assoluzione dell'imputato ex articolo 530 c.p.p.. Al riguardo si impongono delle precisazioni preliminari. Innanzitutto, va ricordato che non e' consentito, in sede di legittimita', attraverso la deduzione del vizio di motivazione mirare alla rivalutazione del compendio probatorio, fornendosi una lettura alternativa delle risultanze processuali. Ed invero, nel giudizio presso la Corte di cassazione non e' possibile invocare una valutazione o rivalutazione degli elementi probatori al fine di trarne proprie conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito, chiedendo alla Corte di legittimita' un giudizio di fatto che non le compete. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita' la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu' adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, Scibe', Rv. 249651, in motivazione; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260). Ne' la Suprema Corte puo' trarre valutazioni autonome dalle prove o dalle fonti di prova, neppure se riprodotte nel provvedimento impugnato. Invero, solo l'argomentazione critica che si fonda sugli elementi di prova e sulle fonti indiziarie contenuta nel provvedimento impugnato puo' essere sottoposto al controllo del giudice di legittimita', al quale spetta di verificarne la rispondenza alle regole della logica, oltre che del diritto, e all'esigenza della completezza espositiva (Sez. 6, n. 40609 del 01/10/2008, Ciavarella, Rv. 241214). Neanche ha rilievo, per forzare i tradizionali limiti del giudizio di legittimita', la regola dell'oltre ogni ragionevole dubbio, a cui in buona sostanza fa capo l'impostazione difensava del ricorso. Ed invero, tale regola dell'"al di la' di ogni ragionevole dubbio", secondo cui il giudice pronuncia sentenza di condanna solo se e' possibile escludere ipotesi alternative dotate di razionalita' e plausibilita', impone all'imputato che, deducendo il vizio di motivazione della decisione impugnata, intenda prospettare, in sede di legittimita', attraverso una diversa ricostruzione dei fatti, l'esistenza di un ragionevole dubbio sulla colpevolezza, di fare riferimento ad elementi sostenibili, cioe' desunti dai dati acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali (Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014 - dep. 08/05/2014, C e altro, Rv. 26040901). Detto principio, introdotto nell'articolo 533 c.p.p. dalla L. n. 46 del 2006, come pure ha gia' avuto modo di osservare questa Corte, non ha quindi mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza e non puo' essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicita' di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicita' sia stata oggetto - come nel caso di specie - di attenta disamina da parte del giudice dell'appello; rimane il fatto che la Corte e' chiamata ad un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva per mezzo di una valutazione unitaria e globale dei singoli atti e dei motivi di ricorso su di essi imperniati, non potendo la sua valutazione sconfinare nel merito (Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, Cammarata e altro, Rv. 270519; in termini Sez. 1, n. 53512 del 11/07/2014, Gurgone, Rv. 261600; Sez. 5, n. 10411 del 28/01/2013, Viola, Rv. 254579). Il ricorso in scrutinio, impostato proprio nei termini censori ritenuti vietati da questa Corte nelle pronunce suindicate, si risolve in un'inammissibile richiesta alla Corte di legittimita' di effettuare una nuova e diversa valutazione degli elementi probatori e delle corrette inferenze prospettate da entrambi i giudici di merito, nelle conformi pronunce di merito, in ordine alla responsabilita' di (OMISSIS) per i reati ascrittigli. Giova, in proposito, altresi', rammentare che la mancata rispondenza delle valutazioni del giudice di merito alle acquisizioni processuali puo' essere dedotta quale motivo di ricorso qualora comporti il c.d. "travisamento della prova" (consistente nell'utilizzazione di un'informazione inesistente o nell'omissione della valutazione di una prova, accomunate dalla necessita' che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisivita' nell'ambito dell'apparato motivazionale sottoposto a critica), purche' siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove che si pretende essere state travisate, nelle forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione, in modo da rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessita' di ricerca da parte della Corte, e non ne sia effettuata una monca individuazione od un esame parcellizzato, e soprattutto purche' non si instauri - come invece accaduto nel caso di specie in cui vi sono riferimenti diretti alle testimonianze peraltro genericamente indicate - un confronto diretto con il compendio probatorio (presentato come inidoneo a fondare il giudizio di colpevolezza); confronto che, all'evidenza, implica apprezzamenti di merito estranei al giudizio di legittimita'. Orbene, scorrendo il motivo di ricorso, ci si avvede, infatti, che - come gia' nei motivi di appello, di cui la presente impugnazione costituisce mera reiterazione (cio' che concreta un'ulteriore causa di inammissibilita') - la censura e' portata esclusivamente sulla diretta valutazione del compendio probatorio, non gia' evidenziando effettive illogicita' o contraddittorieta' del discorso giustificativo, ovvero prove specificamente travisate, ma semplicemente invocandone uno di segno diverso, alla luce della valorizzazione di taluni elementi fattuali - si pensi ad esempio ai passaggi argomentativi posti a sostegno dell'impugnazione che si appuntano sulla natura del rapporto di tipo extraconiugale intrattenuto dalla persona offesa ovvero sull'eta' delle parti o ancora sulle caratteristiche delle rispettive attivita' lavorative fino a valorizzare le implicazioni di tipo caratteriale derivanti dall'essere la vittima una donna (ovvero un essere per definizione piu' esperto e maturo di un uomo nell'affrontare la vita quotidiana e rapportarsi ad ogni problema) che nell'ottica difensiva pure avrebbero dovuto essere considerate nella valutazione della vicenda, contribuendo esse a sminuire la stessa valenza persecutoria della condotta e cio' pure a fronte della insistente reiterazione di atti persecutori da parte dell'imputato - e la svalutazione di altri, con evidenti sconfinamenti nel fatto (laddove, ad esempio, si adducono a giustificazione delle azioni del ricorrente i comportamenti della donna, che avrebbe irretito l'imputato inducendolo ad assumere atteggiamenti irrazionali). Cio' che appunto incontra il limite sopra visto: non senza considerare che l'assetto logico della ricostruzione difensiva e' stato perfettamente vagliato nella sentenza impugnata e fondatamente disatteso, avendo tra l'altro la Corte di appello gia' evidenziato che - come riportato nello stesso ricorso - pur essendo emerso un forte coinvolgimento tra i due giovani la (OMISSIS) venticinquenne l' (OMISSIS) ventunenne, che aveva dato luogo anche a dei ravvicinamenti tra i due e a dei tentennamenti da parte della (OMISSIS) anche nel perseguire nella denuncia, cio' non toglie che le reazioni dell' (OMISSIS) debbano essere ricondotte alla fattispecie del reato degli atti persecutori, non certo scriminato dall'incapacita' della agente di accettare le decisioni ed anche le contraddizioni della persona offesa. 1.2. Quanto al quinto motivo, si osserva che la corte territoriale, con motivazione puntuale e affatto illogica, ha in buona sostanza valutato l'attendibilita' della persona offesa, il cui narrato e' stato corroborato da molteplici riscontri. Sul punto, va evidenziato che l'attendibilita' della persona offesa dal reato e' questione di fatto, non censurabile in sede di legittimita', salvo che la motivazione della sentenza impugnata sia affetta da manifeste contraddizioni, o abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sullo "id quod plerumque accidit", ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulti priva di una pur minima plausibilita'. In particolare, la Corte d'appello ha osservato come la ricostruzione delle condotte ascritte all'imputato dalla persona offesa abbia trovato riscontro nelle dichiarazioni degli altri testi escussi (la teste di P.G. (OMISSIS) che ha confermato la presenza dei segni delle percosse subite dalla persona offesa, la sorella dell' (OMISSIS) all'epoca dei fatti sedicenne, la tutor (OMISSIS), il marito della persona offesa), nei numerosi messaggi che confermano finanche l'episodio di danneggiamento, nel certificato medico in atti. E' stata dunque accertata una condotta persecutoria, idonea a cagionare nella vittima un grave e perdurante stato di ansia e paura nonche' un fondato timore per la propria incolumita'. Quanto all'elemento soggettivo del reato, va evidenziato che, per giurisprudenza consolidata, nel delitto di atti persecutori, che ha natura di reato abituale di evento, l'elemento soggettivo e' integrato dal dolo generico, il cui contenuto richiede la volonta' di porre in essere piu' condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneita' a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell'abitualita' del proprio agire, ma non postula la preordinazione di tali condotte - elemento non previsto sul fronte della tipicita' normativa - potendo queste ultime, invece, essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l'occasione (ex multis, Sez. 5, Sentenza n. 43085 del 24/09/2015 Cc. (dep. 26/10/2015) Rv. 265230 - 01). Nel caso in esame, la motivazione addotta dai giudici del gravame (che hanno condiviso le argomentazioni del primo giudice) si palesa dunque nel suo complesso adeguata e non affetta da manifesta illogicita', in ogni sua parte, sicche' in mancanza di un effettivo confronto con essa, i motivi sono da ritenere tutti manifestamente infondati oltre che aspecifici. 2. Il sesto motivo, volto a censurare la motivazione della sentenza impugnata in punto di dosimetria della pena, e' inammissibile in quanto generico e, comunque, anch'esso manifestamente infondato. Come correttamente evidenziato dalla Corte territoriale, il giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulla contestata aggravante non comporta automaticamente l'obbligo di applicare la pena nella misura minima edittale; ne', nel caso in esame, vi e' un riferimento nella sentenza di primo grado al piu' grave regime edittale introdotto con la L. n. 69 del 2019. Ne discende che l'applicazione della pena detentiva nella misura di un anno di reclusione (al di sotto della media edittale, avuto riguardo al trattamento sanzionatorio previsto prima dell'inasprimento introdotto con la L. n. 69 del 2019) e' estrinsecazione del potere discrezionale del giudice del merito che, in quanto sorretta da adeguata motivazione (come nella specie, stante l'esplicito riferimento alla gravita' della condotta) e' incensurabile in sede di legittimita'. Costituisce principio affermato da questa Corte che "La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, che la esercita, cosi' come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 c.p.; ne discende che e' inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita' della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione" (cfr. tra tante, Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 Ud. (dep. 04/02/2014), Rv. 259142 - 01). 2. Dalle ragioni sin qui esposte deriva la declaratoria di inammissibilita' del ricorso, cui consegue, per legge, ex articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento, nonche', trattandosi di causa di inammissibilita' determinata da profili di colpa emergenti dal medesimo atto impugnatorio, al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1000,00 in relazione alla entita' delle questioni trattate. Nulla per le spese di parte civile, non risultando esplicitate le ragioni poste a sostegno delle richieste conclusive rassegnate genericamente nella memoria in atti (cfr. Sez. U del 14.7.2022, Sacchettino, dep. il 12.1.2023, n. 877/2023, che in motivazione ha affermato che in relazione al giudizio di legittimita' celebrato con rito camerale non partecipato, la parte civile ha diritto di ottenere la liquidazione delle spese processuali purche' abbia effettivamente esplicato, anche solo attraverso memorie scritte, un'attivita' diretta a contrastare la avversa pretesa a tutela dei propri interessi di natura civile e risarcitoria fornendo un utile contributo alla decisione). In caso di diffusione del presente provvedimento devono essere omesse le generalita' e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Nulla sulle spese della parte civile. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalita' e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7607 del 2022, proposto dalla dott.ssa -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati Au. Si. e Lo. Mi., con domicilio eletto presso lo studio dei medesimi in Roma, viale (…) e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro l’Università degli Studi Roma Tre, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui Uffici domicilia in Roma, via dei Portoghesi, n. 12 e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti della dott.ssa -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avvocato Ma. Nu., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Lima, n. 7 e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. -OMISSIS-, pubblicata in data -OMISSIS-.   Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi Roma Tre e della dott.ssa -OMISSIS-; Vista l’ordinanza di questa Sezione n. 5201 del 3 novembre 2022, di accoglimento della domanda cautelare; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 gennaio 2023 il Cons. Brunella Bruno e uditi l’avvocato Au. Si. per la parte appellante e l’avvocato Ma. Nu. per la controinteressata; Nessuno è comparso per l’Università appellata; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.   FATTO e DIRITTO Con decreto rettorale n. 1066/2020 del 15 luglio 2020, l’Università degli Studi Roma Tre ha indetto la procedura di selezione per il reclutamento di un ricercatore a tempo determinato presso il Dipartimento di studi umanistici, ai sensi dell’art. 24, comma 3, lett. a) della l. n. 240 del 2010, per il settore concorsuale 10/A1 – Archeologia, S.S.D. L-ANT/10 – Metodologie della Ricerca Archeologica. L’odierna appallante ha partecipato alla sopra indicata procedura, conclusasi con la nomina quale vincitrice della dott.ssa -OMISSIS-. 1.1. Avverso gli atti della procedura la dott.ssa -OMISSIS- ha proposto ricorso innanzi al competente TAR per il Lazio, deducendo vizi di illegittima composizione della commissione esaminatrice, in considerazione di circostanziati elementi che denoterebbero la sussistenza di conflitti di interesse, in specie – anche se non esclusivamente –, quanto ai rapporti tra la candidata risultata vincitrice e la prof.ssa -OMISSIS- componente e segretario dell’organo collegiale tecnico, nonché vizi inficianti, per plurimi profili, l’attività valutativa, con contestazioni riferite anche alla carenza di motivazione. 1.2. Con ordinanza n. 1977 del 2021, il primo giudice ha respinto la domanda cautelare, stante la ritenuta insussistenza dei relativi presupposti; tale ordinanza è stata, tuttavia riformata da questo Consiglio (Sezione VI) con ordinanza n. 4456 del 2021 che, accogliendo l’appello cautelare, ha individuato specifici profili necessitanti di congruo approfondimento nel merito da parte del giudice di primo grado. 1.3. L’adito TAR con la sentenza indicata in epigrafe ha respinto il ricorso, non ravvisando, nel complesso degli elementi allegati dall’originaria ricorrente, globalmente considerati, la sussistenza di una situazione di conflitto di interessi dei componenti della commissione esaminatrice, anche tenuto conto delle caratteristiche del settore disciplinare oggetto della procedura, connotato da un limitato numero di docenti allo stesso afferenti, nonché ritenendo infondate le ulteriori censure concernenti la valutazione di preminenza espressa dalla commissione nei confronti della controinteressata vincitrice della selezione. L’appellante critica, con articolate argomentazioni, la sentenza impugnata deducendo erroneità nelle quali sarebbe incorso il primo giudice sia nella valutazione degli elementi dai quali emergerebbe un evidente vulnus alle garanzie di imparzialità che avrebbero dovuto essere assicurate nello svolgimento della selezione, corroborati, peraltro, anche da accadimenti successivi alla proposizione del giudizio di primo grado ma antecedenti alla pubblicazione della sentenza impugnata, sia in relazione alle ulteriori contestazioni formulare con il ricorso originario ritenute infondate dal giudice di primo grado. L’Università appellata si è costituita solo formalmente in giudizio producendo documentazione. Si è costituita in giudizio anche la controinteressata, concludendo per il rigetto dell’appello e l’integrale conferma della sentenza impugnata. Con ordinanza di questa Sezione n. 5201 del 3 novembre 2022, in accoglimento della domanda cautelare, è stata disposta la sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata. Successivamente le parti hanno prodotto ulteriori atti e memorie, anche in replica, insistendo per l’accoglimento delle rispettive deduzioni. All’udienza pubblica del 17 gennaio 2023 la causa è stata trattenuta in decisione. L’appello è fondato, rivestendo carattere assorbente la fondatezza delle deduzioni incentrate sulla illegittima composizione della commissione, stante la sussistenza di una situazione di conflitto di interessi, secondo quanto di seguito esposto. Come sottolineato anche nella sopra richiamata ordinanza di questo Consiglio n. 4456 del 2021 (con la quale, in riforma del provvedimento di primo grado, è stata accolta la domanda cautelare), sebbene debba riaffermarsi il principio giurisprudenziale per cui la semplice sussistenza di rapporti accademici o di ufficio tra commissario e candidato non è idonea ad integrare gli estremi delle cause d’incompatibilità normativamente previste, deve parimenti evidenziarsi che, nell’applicazione concreta di tale principio, questo Consiglio ha precisato la necessità di tenere conto dei caratteri specifici della collaborazione, al fine di valutarne l’intensità e la protrazione nel tempo e, dunque, l’idoneità a determinare “per il componente della commissione un effetto di incompatibilità a partecipare alla valutazione comparativa di candidati che, con il condizionamento del rapporto preesistente, difficilmente potrebbe restare pienamente imparziale” (Consiglio di Stato, sez. VI, 7 luglio 2020, n. 4356); la comunanza di interessi (altresì) di vita professionale potrebbe infatti connotarsi per un’intensità “tale da far sorgere il sospetto che la valutazione del candidato non sia oggettiva ma motivata dalla conoscenza personale” (Consiglio di Stato, sez. VI, 13 dicembre 2017, n. 5865). 9.1. La verifica in ordine alla sussistenza di situazioni di conflitto di interesse deve essere svolta, in concreto, con il dovuto rigore, valorizzando i canoni di imparzialità, obiettività e trasparenza che devono informare l’attività valutativa delle commissioni di concorso, dovendosi anche precisare che, ad assumere rilievo, in forza delle generali previsioni dell’art. 6 bis della l. n. 241 del 1990, sono non solo i conflitti di interessi conclamati ma anche quelli potenziali, integrati dalla sussistenza di gravi ragioni di convenienza percepite come una minaccia alla imparzialità e indipendenza dei componenti dell’organo collegiale nel contesto della procedura concorsuale. 9.2. Contrariamente a quanto sostenuto dal primo giudice, nella fattispecie emergono plurimi elementi che, valutati non singolarmente ma complessivamente, convergono nel senso di ritenere integrata la violazione del principio di imparzialità dell’azione amministrativa, sia avuto riguardo ai rapporti di collaborazione intercorrenti tra la vincitrice della selezione e i commissari, tra i quali, in specie, la prof.ssa -OMISSIS- sia tenuto conto di ulteriori accadimenti occorsi nello svolgimento della selezione. 9.3. Dalla documentazione agli atti del presente giudizio e di quello di primo grado, infatti, constano evidenze in ordine alla sussistenza di rapporti accademici intensi tra la controinteressata e la prof.ssa -OMISSIS- come sopra esposto componente e segretario della commissione, oltre che responsabile del progetto per il quale è stata bandita la procedura –, con la quale la dott.ssa -OMISSIS- non ha semplicemente conseguito la laurea ma ha avviato una significativa collaborazione, figurando entrambe quali autrici di una delle due monografie della suddetta candidata valutate nella procedura in questione, avendo, peraltro, il capitolo riferibile alla dott.ssa -OMISSIS-ad oggetto la tematica trattata quale tesi di laurea specialistica della quale è stata relatrice proprio la prof.ssa -OMISSIS- nonché emergendo la non occasionalità di rapporti anche dai dati esposti nel curriculum della suddetta candidata quanto agli atti di convegni, alle attività di docenza svolte per periodi che non possono ritenersi esigui e ad ulteriori contributi scientifici. 9.4. Alle sopra indicate evidenze si associano altre circostanze idonee a radicare, secondo ragionevolezza, la compromissione delle imprescindibili garanzie di imparzialità. 9.5. Non può essere condivisa, infatti, la valutazione del primo giudice circa la sostanziale scarsa significatività dell’episodio verificatosi in occasione della discussione pubblica della controinteressata svoltasi in modalità telematica, il quale, anzi, ad avviso del Collegio è connotato da rilevanza e gravità. Non è in contestazione che nel corso del colloquio orale dei candidati, la dott.ssa -OMISSIS- ha dichiarato di essere esperta di archeologia pubblica avendo “fatto vent’anni di scout”. In disparte la scarsa plausibilità delle argomentazioni addotte dalla difesa della controinteressata a giustificazione di tale affermazione, all’evidenza singolare, si è verificato che uno dei componenti della commissione ha reso accidentalmente pubblico i messaggi whatsapp con altro membro (nonché Presidente della commissione) del seguente tenore: “Scout??”, con ciò manifestando una inequivoca perplessità; a tale messaggio ha fatto seguito quello dell’interlocutore, il quale rispondeva rappresentando: “-OMISSIS-”, con ulteriore seguito dell’altro componente che concludeva rispondendo “Mah, vedremo”. Deve in primo luogo escludersi che in relazione ai messaggi sopra riportati gli autori siano legittimati ad opporre la tutela della privacy, non pertinentemente invocata nella relazione dai medesimi predisposta, agli atti del giudizio di primo grado; ciò per l’evidente ragione che nel momento in cui, sia pure per proprio errore, quei messaggi sono stati divulgati pubblicamente attraverso la condivisione nel corso di svolgimento della procedura, hanno perso qualsiasi connotazione di riservatezza. Verosimilmente, il “-OMISSIS-” indicato nel suddetto messaggio deve identificarsi nel prof. --OMISSIS-, già professore ordinario della materia nella stessa Università, studioso autorevole del settore, il quale è stato tutor della controinteressata con riferimento alla tesi di dottorato di quest’ultima, costituente la seconda monografia presentata nella procedura in contestazione. A prescindere, però, dalla riferibilità a meno al suddetto docente dell’esternazione di un giudizio di valore favorevole per la candidata risultata vincitrice, l’interlocuzione riportata per tempi, modi e contenuti è sintomatica di una compromissione dei valori di imparzialità e indipendenza tutelati dall’ordinamento attraverso la disciplina in materia di incompatibilità e conflitto di interessi. 9.6. A quanto esposto va altresì soggiunto un ulteriore elemento e cioè che per la monografia da ultimo indicata – come documentato dall’appellante con l’allegazione del pertinente documento agli atti del giudizio di primo grado – la controinteressata ha conseguito un premio, indicato anche nel curriculum prodotto in sede di partecipazione alla selezione, in occasione di una manifestazione presentata dal prof. --OMISSIS-, la cui commissione di premiazione era presieduta proprio dal docente componente e presidente della commissione del concorso in argomento. Nel complesso, il Collegio ritiene, secondo il proprio prudente apprezzamento, che sussistono elementi significativi e concordanti, rimasti insuperati, che, nel complesso considerati, conducono alla fondatezza delle censure dell’appellante, denotando un gradiente di rischio tale da poter essere percepito come una minaccia concreta ed effettiva alla imparzialità e indipendenza dei componenti dell’organo valutativo tecnico nel contesto della procedura. Tali conclusioni prescindono dagli accadimenti medio tempore intervenuti, estranei al presente giudizio e alla base di un ulteriore ricorso proposto dall’appellante innanzi al TAR Lazio, concernenti la decisione della controinteressata, successivamente alla proposizione del giudizio di primo grado ma precedentemente alla pubblicazione della sentenza impugnata dall’appellante, di dimettersi dal posto di ricercatore ricoperto in esito alla selezione de qua, conseguendo un assegno di ricerca richiesto proprio dalla prof.ssa -OMISSIS- e finanziato con fondi PRIN – relativamente al quale l’appellante ha censurato, tra l’altro, la mancanza di pubblicità – salvo, poi, ottenere, successivamente alla sentenza impugnata, per lei favorevole, la “ripresa del contratto precedentemente in essere”. Deve, inoltre, escludersi, contrariamente a quanto affermato dal primo giudice, che la ristrettezza del numero di docenti afferenti allo specifico settore che viene in rilievo possa giustificare la violazione dei principi di imparzialità e indipendenza e, comunque, tale ristrettezza non precludeva né preclude la costituzione di una commissione diversamente composta, tenuto conto non solo del numero di professori di prima fascia ma anche di quelli di seconda fascia allo stesso afferenti, dovendo essere primariamente salvaguardate le ineludibili garanzie sopra indicate. Il riscontrato vizio riveste portata assorbente, riverberandosi con efficacia viziante sull’intera sequenza degli atti posti in essere dalla commissione, sino alla finale individuazione della candidata vincitrice, venendo in rilievo un collegio perfetto. In conclusione, per tutte le suesposte considerazioni, l’appello deve essere accolto e, per l’effetto – assorbiti gli ulteriori motivi che risultano dequotati quanto all’interesse azionato – in riforma della sentenza impugnata va accolto il ricorso di primo grado, con conseguente annullamento degli atti impugnati. Ai sensi dell’art. 34, comma 1, lett. e) c.p.a. si dispone, per la corretta attuazione del giudicato, che l’Università degli Studi Roma Tre proceda alla rinnovazione della procedura, a partire dalla nomina della commissione, che dovrà essere diversamente composta, stante la riscontrata sussistenza di vizi di incompatibilità della commissione originaria. In considerazione delle peculiarità della fattispecie, come emergenti dalla documentazione in atti, si valutano, nondimeno, sussistenti i presupposti per disporre l’integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull’appello (R.G. n. 7607 del 2022), come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado, secondo quanto indicato in motivazione. Compensa le spese del doppio grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità delle parti e di tutti i soggetti menzionati in sentenza, nonché degli estremi della sentenza impugnata, dell’Università e del concorso di che trattasi. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 gennaio 2023 con l'intervento dei magistrati: Roberto Giovagnoli, Presidente Daniela Di Carlo, Consigliere Pietro De Berardinis, Consigliere Marco Morgantini, Consigliere Brunella Bruno, Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MANNA Felice - Presidente Dott. BERTUZZI Mario - Consigliere Dott. GIANNACCARI Rossana - Consigliere Dott. ROLFI Federico - rel. Consigliere Dott. CAPONI Remo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 35734-2019 R.G. proposto da: (OMISSIS) DI (OMISSIS) e C SNC, elettivamente domiciliata in ROMA VIA ISABELLA D'ESTE, 13, presso lo studio dell'avvocato ANNALISA CETRANO che la rappresenta e difende; - ricorrente - contro PREFETTURA PROVINCIA ROMA UTG ROMA; - intimata - avverso la SENTENZA del TRIBUNALE ROMA n. 18739-2019 depositata il 02/10/2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 novembre 2022 dal Consigliere Federico Rolfi; lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Fulvio Troncone, che ha concluso per l'accoglimento del secondo motivo di ricorso con assorbimento dei restanti. FATTI DI CAUSA 1. Con sentenza del 2 ottobre 2019 il Tribunale di Roma, nella contumacia dell'appellata PREFETTURA DI ROMA, respinse l'appello proposto dalla (OMISSIS) DI (OMISSIS) e C. SNC avverso la sentenza del Giudice di Pace n. 4154-2018, la quale, a propria volta, aveva respinto l'opposizione avverso i verbali della Polizia Stradale di (OMISSIS) nn. (OMISSIS) e (OMISSIS), entrambi elevati per la violazione dell'articolo 142, comma 8, C.d.S., rilevata con sistema "(OMISSIS) - Tutor". Il Tribunale capitolino, esaminando i motivi di gravame ritenne, in primo luogo, infondate le deduzioni concernenti la mancata omologazione dell'apparecchiatura utilizzata per contestare l'infrazione, osservando che tale profilo era estraneo alle ricadute della sentenza n. 113-2015 della Corte Costituzionale in tema di verifica periodica del corretto funzionamento delle apparecchiature, anche in virtu' delle caratteristiche del sistema di rilevazione, il quale non rileva una velocita' istantanea, bensi' una "media ponderale su un tratto strada costante", sottraendosi quindi a fenomeni di obsolescenza. Ulteriormente, il Tribunale: 1) escluse l'applicabilita' al sistema "(OMISSIS) - Tutor" delle disposizioni di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992, articolo 345, comma 3, in materia di diversi coefficienti di tolleranza, operando il solo coefficiente del 5%; 2) affermo' l'infondatezza delle contestazioni relative alla nullita' -per violazione dell'articolo 192, comma 5, C.d.S.- del trasferimento dell'omologazione rilasciata dal Ministero per le infrastrutture dalla societa' (OMISSIS) SPA e alla (OMISSIS) Spa, in quanto detto trasferimento era stato autorizzato con determinazione dirigenziale (OMISSIS) del 2010; 3) disattese le contestazioni relative all'assenza di autorizzazione all'uso del sistema "(OMISSIS) Tutor" in capo ad ANAS (ente che gestisce il tratto stradale ove era erano state rilevate entrambe le infrazioni), essendo (âEuroËœANAS azienda pubblica soggetta alla vigilanza del Ministero delle infrastrutture; 4) affermo' l'infondatezza del motivo di gravame connesso alla violazione del Decreto Ministeriale n. 3999/2004, articolo 1, comma 4, escludendo profili discriminatori derivanti dalla presenza di svincoli, osservando che ad essere sanzionata era la violazione del limite di velocita' media di percorrenza -in virtu' del pericolo derivante dalla percorrenza costante di un tratto stradale a velocita' elevata- violazione non configurabile in caso di uscita del veicolo da svincoli o di sosta in aree di servizio; 5) infine, disattese le doglianze con le quali era dedotta l'irregolarita' della segnalazione con cartelloni della rilevazione di velocita' per non essere specificato il sistema con cui tale rilevazione avveniva, non operando alcuna previsione normativa che imponesse tale segnalazione. 2. Per la cassazione della sentenza del Tribunale di Roma ha proposto ricorso la (OMISSIS) DI (OMISSIS) e C. SNC. E' rimasta intimata la PREFETTURA DI ROMA. A seguito della cancellazione dall'Albo dell'originario difensore, la (OMISSIS) DI (OMISSIS) e C. SNC si e' costituita con nuovo difensore in data 21 giugno 2021. 3. Il ricorso e' stato trattato in camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal Decreto Legge 28 ottobre 2020, articolo 23, comma 8-bis, n. 137, come inserito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, senza l'intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale. 4. Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte, concludendo per l'accoglimento del secondo motivo, con assorbimento dei restanti. 5. La ricorrente ha depositato memoria. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' affidato a cinque motivi. 1.1. Con il primo motivo si deduce, in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione o falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 285 del 1992, articoli 45, comma 6, Decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992, 192, Decreto Legge n. 121 del 2002, comma 5, 4, comma 3. Il ricorso lamenta che la sentenza impugnata, sovrapponendo il profilo dell'omologazione con quello della "taratura", abbia escluso l'applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992, articolo 192, comma 5, all'ANAS. Contesta, in primo luogo, che -come affermato nella decisione impugnata- il carattere di azienda sottoposta alla vigilanza del Ministero delle Infrastrutture valga a sottrarre l'ANAS all'applicazione del disposto della previsione teste' citata, rilevando che anche (OMISSIS) SPA -soggetto che ha ottenuto l'omologazione-e' parimenti azienda soggetta alla vigilanza del medesimo Ministero. Argomenta, in secondo luogo, che, ai sensi della medesima disposizione, l'omologazione dell'apparecchiatura non puo' essere trasferita a soggetti diversi dal richiedente. Deduce, infine, la illegittimita' del trasferimento dell'omologazione dalla societa' (OMISSIS) SPA e alla (OMISSIS) Spa, in quanto in contrasto ancora con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992, articolo 192, comma 5, il cui precetto risulterebbe svuotato ove il divieto dalla norma enunciato venisse limitato ai trasferimenti iure privatorum. 1.2. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione del Decreto Legislativo n. 285 del 1992, articolo 45, comma 6, come risultante dalla declaratoria di incostituzionalita' con sentenza della Corte Costituzionale n. 113-2015. Il ricorso lamenta che la decisione impugnata abbia escluso la necessita' di procedere alla verifica periodica ("taratura") dei sistemi di rilevazione della velocita' "(OMISSIS) - Tutor". Argomenta in senso opposto -richiamando precedenti di questa Corte- la necessita' di procedere alla verifica di tutte le apparecchiature per l'accertamento della violazione dei limiti di velocita', osservando, peraltro, che l'argomentazione seguita dal Tribunale di Roma non tiene conto del fatto che il sistema "(OMISSIS) - Tutor", pur rilevando una velocita' media e non istantanea, calcola detta velocita' sulla scorta dei dati forniti da un'apparecchiatura di misura del tempo che anch'essa e' esposta ad obsolescenza. 1.3. Con il terzo motivo si deduce, in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione o falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 285 del 1992, articolo 142, comma 6-bis. Il ricorso reitera il profilo, gia' proposto come motivo di appello, in ordine alla irregolarita' della segnalazione del controllo di velocita', dal momento che i cartelloni non specificavano il sistema di rilevazione utilizzato. 1.4. Con il quarto motivo si deduce, in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, la falsa applicazione del D.D. n. 3999 del 14 dicembre 2004, articolo 1, comma 4. Il ricorso critica la decisione del Tribunale di Roma nella parte in cui ha ritenuto irrilevante la presenza, nel tratto di strada ove sono avvenute le due rilevazioni, di svincoli stradali e stazioni di servizio, lamentando la iniquita' delle conclusioni cui perviene il ragionamento seguito dal Tribunale capitolino. Deduce, quindi, la contrarieta' del ragionamento seguito dal Tribunale rispetto alla ratio della previsione del Codice della Strada e la violazione della D.D. 3999-2004. 1.5. Con il quinto motivo si deduce, in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione o falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992, articolo 345, commi 1 e 3. Lamenta il ricorso che la decisione impugnata abbia ritenuto inapplicabili alla rilevazione mediante sistema "(OMISSIS) - Tutor" i coefficienti di tolleranza di previsti dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992, comma 3 dell'articolo 345, argomentando nel senso dell'operativita' della medesima ratio della norma citata anche al sistema di rilevazione della velocita' media. 2. Appare opportuno esaminare, in primo luogo, il secondo motivo di ricorso, atteso il carattere dirimente della questione da esso sollevata, come anche rilevato dal Pubblico Ministero nelle proprie conclusioni. Il motivo e' fondato. Questa Corte ha gia' in passato affermato, proprio con riferimento al sistema "(OMISSIS)-Tutor", il principio per cui, poiche', a seguito della declaratoria di illegittimita' costituzionale del del Decreto Legislativo n. 285 del 1992, articolo 45, comma 6, (Corte Cost. 18 giugno 2015 n. 113), tutte le apparecchiature di misurazione della velocita' devono essere sottoposte a verifiche periodiche di funzionalita' e di taratura, in caso di contestazioni circa l'affidabilita' dell'apparecchio il giudice e' tenuto ad accertare se tali verifiche siano state o meno effettuate (Cass. Sez. 6 2, Ordinanza n. 533 del 11/01/2018 - Rv. 647218 - 01). Il principio e' stato ribadito anche di recente da Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 22015 del 2022, la quale ha, testualmente, osservato: "La giurisprudenza di questa Corte ha in effetti, ed in piu' occasioni, rilevato che, a seguito della declaratoria di illegittimita' costituzionale del Decreto Legislativo n. 285 del 1992, articolo 45, comma 6, (Corte Cost. 18 giugno 2015 n. 113), tutte le apparecchiature di misurazione della velocita' devono essere sottoposte a verifiche periodiche di funzionalita' e di taratura, e che in caso di contestazioni circa l'affidabilita' dell'apparecchio il giudice e' tenuto ad accertare se tali verifiche siano state o meno effettuate, ivi incluse quelle rientranti nella tipologia oggetto di causa (Cass. n. 533-2018), essendo irrilevante (cfr. Cass. n. 40627-2021) che l'apparecchiatura operi in presenza di operatori o in automatico, senza la presenza degli operatori ovvero, ancora, tramite sistemi di autodiagnosi - palesandosi la necessita' di dimostrare o attestare con apposite certificazioni di omologazione e conformita' il loro corretto funzionamento (conf. Cass. n. 24757-2019; Cass. n. 29093-2020)". La decisione del Tribunale Capitolino -nell'escludere che gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale n. 113-2015 trovino applicazione anche al sistema "(OMISSIS)-Tutor"- si e' discostata da tali principi, ritenendo sufficiente l'omologazione dell'apparecchiatura ma escludendo l'esigenza di verificare la prova della verifica periodica di funzionalita' e di taratura. Va, per contro, ribadito che anche il sistema "(OMISSIS)-Tutor" deve essere sottoposto a verifiche periodiche di funzionalita' e di taratura, e che in presenza di contestazioni da parte del soggetto sanzionato, spetta all'Amministrazione la prova positiva dell'iniziale omologazione e della periodica taratura dello strumento. Valgono sul punto i richiami gia' operati da questa Corte, nell'affermare che "e' stato precisato che (Cass. n. 14597-2021) detta prova non possa essere fornita con mezzi diversi dalle certificazioni di omologazione e conformita' (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9645 del 11/05/2016; cfr. anche Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 18022 del 09/07/2018, non massimata), aggiungendosi che la prova dell'esecuzione delle verifiche sulla funzionalita' ed affidabilita' dell'apparecchio non e' ricavabile dal verbale di contravvenzione, il quale "... non riveste fede privilegiata - e quindi non fa fede fino a querela di falso - in ordine all'attestazione, frutto di mera percezione sensoriale, degli agenti circa il corretto funzionamento dell'apparecchiatura, allorche' e nell'istante in cui l'eccesso di velocita' e' rilevato" (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 32369 del 13/12/2018). E' quindi a carico della Pubblica Amministrazione, in presenza di contestazione da parte del soggetto sanzionato, la prova positiva dell'omologazione iniziale e della taratura periodica dello strumento. In presenza di detti elementi, di per se' sufficienti a dimostrare il corretto funzionamento dell'apparato di rilevazione della velocita' - circostanza, quest'ultima, che costituisce elemento essenziale costitutivo della fattispecie sanzionatoria - spetta alla parte sanzionata l'onere della prova contraria (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 29093 del 18/12/2020, non massimata; anche Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 3538 dell'1 1/02/2021, non massimata, che ha confermato la sufficienza della produzione del certificato di taratura periodica, da parte della P.A., al fine di dimostrare la corretta verifica del funzionamento dell'apparato)." (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 22015 del 2022). In presenza di contestazioni sulla funzionalita' dell'apparecchio, quindi, non risulta sufficiente che il medesimo risulti omologato, dovendo il giudice di merito verificare l'esistenza della prova della successiva taratura periodica, prova che deve essere fornita dall'Amministrazione che ha contestato l'infrazione. 3. L'accoglimento del secondo motivo determina l'assorbimento dei restanti. 4. La sentenza impugnata, quindi, deve essere cassata con rinvio al Tribunale di Roma in persona di altro magistrato, il quale, nel decidere anche sulle spese del presente giudizio di legittimita', si conformera' al seguente principio: "L'obbligo, a seguito della declaratoria di illegittimita' costituzionale del Decreto Legislativo n. 285 del 1992, articolo 45, comma 6, (Corte Cost. 18 giugno 2015 n. 113), di sottoporre tutte le apparecchiature di misurazione della velocita' a verifiche periodiche di funzionalita' e di taratura opera anche per il sistema di rilevazione della velocita' "(OMISSIS)-Tutor". In caso di contestazioni circa l'affidabilita' dell'apparecchio spetta all'Amministrazione fornire la prova positiva dell'iniziale omologazione e della successiva periodica taratura dello strumento, producendo sia le certificazioni di omologazione e conformita' sia le certificazioni di taratura periodica, non potendosi fondare la prova dell'esecuzione delle verifiche sulla funzionalita' ed affidabilita' dell'apparecchio sulla mera attestazione contenuta nel verbale di contravvenzione, non rivestendo quest'ultima fede privilegiata". P.Q.M. La Corte, accoglie il ricorso, e per l'effetto cassa la sentenza impugnata, con rinvio al Tribunale di Roma, in persona di altro magistrato, anche per la regolazione e la liquidazione delle spese del giudizio di legittimita'.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TERAMO GIUDICE DEL LAVORO Il Tribunale, nella persona del Giudice del Lavoro dott. Marco Di Biase, all'udienza del 15/02/2023 ha pronunciato la seguente SENTENZA Con motivazione contestuale pubblicata mediante lettura in udienza Nella causa promossa da: (...) S.P.A. (C.F. (...)), in persona del leg. Rapp. p. t., nonchè B.F. (C.F. (...)), con il patrocinio degli avv.ti CH.FR., Fa.Gi., Zu.Pa., elettivamente domiciliati presso lo Studio legale Tr. Avvocati, sito in Roma, Piazza (...) RICORRENTI contro ISPETTORATO TERRITORIALE DEL LAVORO DI TERAMO (C.F. (...)), in persona del del leg. Rapp. p. t., con il patrocinio ex art. 417 bis c.p.c. del funzionario in servizio avv. PA.AL., elettivamente domiciliato presso la sede ITL in VIA (...) 64100, TERAMO RESISTENTE OGGETTO: Opposizione all'ordinanza-ingiunzione ex artt. 22 e ss. L. n. 689 del 1981, lavoro/prev.. MOTIVAZIONI DI FATTO E DI DIRITTO Con ricorso depositato in data 28.02.2019 ritualmente notificato, parte ricorrente proponeva opposizione avverso le ordinanze-ingiunzioni n.ri 447 1-/2018 alla società in relazione al punto vendita di Roseto degli Abruzzi in data 1 febbraio 2019 e al dott. (...) nella qualità di Presidente del Consiglio di Amministrazione pro tempore, la 447 0-/2018 in data 4 febbraio 2019 per il pagamento in via solidale della somma di Euro 1.975,50 per la contestata violazione, a seguito di visita ispettiva, le seguenti violazioni cui è tenuto il datore al momento della assunzio ne del lavoratore dipendente: omessa registrazione sul LUL (art. 22, c. 5 D.Lgs. 15 settembre 2015, n. 151), omessa consegna lettera di assunzione (art. 5, c. 3, lett. a. e b., L. n. 183 del 2010) e omessa comunicazione preventiva di assunzione (L. n. 44 del 2012) sul presupposto della non genuinità del rapporto di tirocinio extracurriculare di formazione e orientamento con il sig. (...) per la qualifica di addetto alle vendite e da ricondurre quindi alla figura del rapporto di lavoro subordinato dipendente. A fondamento dell'opposizione parte ricorrente ha contestato preliminarmente la presenza di vizi di forma ed in particolare per la carenza di motivazione degli atti impugnati e per omessa indicazione del responsabile del procedimento, per mancata/omessa notifica dei verbali di accertamento nei termini prescritti dall'art. 14 L. n. 689 del 1981, così pregiudicando le possibilità di difesa del destinatario della sanzione amministrativa e, più propriamente nel merito, la illegittimità e la fondatezza delle ordinanze opposte per la propria completa estraneità ai fatti; concludeva pertanto, previa sospensione dell'esecutività dell'ingiunzione ai sensi dell'art. 5 D.Lgs. n. 150 del 2011, per il suo annullamento per i motivi tutti riportati in ricorso, nei seguenti termini: "In via preliminare, - sospendere immediatamente l'esecutività delle ordinanze ingiunzione 447 -0 e -1/2018 dell'Ispettorato Territoriale del Lavoro di Teramo notificate il 1-4 febbraio 2019; - sospendere il presente giudizio in attesa della definizione del Giudizio (n. RG 1651/2017) pendente avanti il Tribunale del Lavoro di Teramo avente ad oggetto il verbale TE00000/2016/209 e susseguente ordinanza siccome opposti dalla Società. Nel merito 1) accertare e dichiarare la nullità e/o illegittimità e/o infondatezza, per le ragioni esposte in atti, del verbale unico di accertamento e notificazione n. (...) del 16/1/2017 dell'Ispettorato Territoriale del Lavoro di Teramo; 2) sia per effetto dell'accoglimento della domanda sub (...)) sia, in ogni caso, a prescindere dall'accoglimento della domanda sub (...)), accertare e dichiarare la nullità e/o illegittimità e/o infondatezza, per le ragioni esposte in atti, delle qui opposte ordinanze ingiunzioni 447 -0 e -1/2018 notificate, rispettivamente, al dott. B. e alla Società e pertanto accertare e dichiara il loro annullamento e/o revoca; 3) in conseguenza dell'accoglimento delle domande sub (...)) e/o (...)) respingere in ogni caso le pretese creditorie avanzate con le ordinanze ingiunzione 447-0 e -1/2018 e accertare e dichiarare come non dovute le somme ivi richieste". L' Ispettorato Territoriale del Lavoro si costituiva in giudizio e resisteva alla opposizione, della quale chiedeva il rigetto, riportandosi agli accertamenti effettuati in sede ispettiva. Accolta l'istanza di sospensione per la ritenuta sussistenza di gravi motivi, istruita mediante produzione documentale ed escussione testimoniale, la causa è decisa alla presente udienza con lettura del dispositivo e relativa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della sentenza che si deposita. La suddetta ordinanza ingiunzione trova fondamento nell'accesso ispettivo nel corso del quale gli organi ispettivi hanno provveduto a sentire i lavoratori presenti ed hanno successivamente emesso verbale unico di accertamento e notificazione n. (...), del 16.1.2017 con il quale si contestava alla società opponente di avere stipulato un tirocinio extracurriculare con il lavoratore (...) occupato presso il punto vendita di Roseto Degli Abruzzi (TE) della (...) SpA che secondo gli ispettori non era legittimato ad attivare in quanto, oltre ad aver ricevuto sanzioni amministrative, avrebbe impiegato la stagista per rivestire un ruolo necessario e funzionale al normale svolgimento dell'attività d'impresa con turnazioni di lavoro come ed unitamente agli altri dipendenti e per coprire vuoti di organico; conseguentemente gli stessi ispettori hanno ritenuto di ricondurre il rapporto di lavoro nell'alveo del rapporto di lavoro subordinato, con l'irrogazione delle sanzioni amministrative di cui alle ordinanze impugnate. Inoltre veniva pure fatto espresso riferimento ad un precedentemente verbale n. (...) e susseguente ordinanza in materia di corretta registrazione sul LUL degli orari di lavoro d a parte dell'ITL di Teramo per violazioni della norma di cui all'art. 39 L. n. 133 del 2008 quale fatto ostativo per il soggetto ospitante ai fini di poter validamente procedere alla stipula dei tirocini come da Delib.G.R. del 4 novembre 2014, n. 704 nelle "Linee Guida per l'attuazione dei tirocini formativi". All'esito dell'istruttoria espletata, la domanda contenuta in ricorso si appalesa fondata. In ordine ai contestati motivi di carattere formale, valgano le seguenti argomentazioni suffragate da consolidata giurisprudenza atte a respingere le relative contestazioni. Va evidenziato che risulta soddisfatto l'obbligo di motivazione dell'atto amministrativo che influisce autoritativamente sulla sfera soggettiva del destinatario previsto dalla L. n. 241 del 1990 in presenza di motivazione per relationem prevista dal comma terzo dell'articolo terzo che attribuisce piena validità formale all'atto impugnato laddove le ragioni poste a suo fondamento si evincono attraverso il chiaro riferimento ad altri atti di cui l'interessato ha la conoscenza o la conoscibilità legale e quindi la potenziale disponibilità, senza alcuna violazione dei principi di legalità di buon andamento e imparzialità della PA e soddisfatto si palesa l'obbligo di motivazione di un atto amministrativo che come noto, non abbisogna di una motivazione paragonabile ad un atto giudiziario disciplinante le situazioni giuridiche dei soggetti coinvolti. Inoltre la ritenuta omessa motivazione del verbale di accertamento e la mancata indicazione del responsabile del procedimento, per i procedimenti di irrogazione delle sanzioni amministrative riguardanti violazioni in materia di lavoro, legislazione sociale e documentazione obbligatoria non è applicabile la L. 7 agosto 1990, n. 241, in ragione della specialità della L. n. 689 del 1981, la quale detta una disciplina specifica delle sanzioni amministrative e del relativo procedimento, prevedendo peraltro una peculiare scansione cronologica del procedimento sanzionatorio e delle sue diverse fasi. L'obbligo di motivazione di cui all'art. 18, c. 2, L. n. 689 del 1981 sulla sanzione amministrativa applicata va relazionato ed individuato in funzione dello scopo della motivazione atto a consentire all'ingiunto la tutela dei suoi diritti mediante l'opposizione e deve considerarsi soddisfatto quando risulti non solo la norma violata ma anche la natura e la portata della trasgressione, con la conseguenza che, come già evidenziato, è ammissibile anche la motivazione "per relationem" mediante il richiamo di altri atti del procedimento amministrativo e, in particolare, del verbale di accertamento, già noto al trasgressore in virtù della obbligatoria preventiva contestazione. Esso, peraltro, non si estende al verbale di accertamento e di contestazione della violazione ma può ritenersi sussistente in relazione al provvedimento che conclude il procedimento amministrativo nel contesto del quale il verbale si è formato. (Cass. Sent. N. 24263 del 30.12.2004). Il verbale di accertamento ispettivo qui impugnato unitamente alle pedisseque ordinanze è sufficientemente motivato, essendo in esso rinvenibili sia la normativa contestata, sia gli accadimenti fattuali oggetto di indagine ispettiva per come contestati. Ad ogni buon conto, l'eventuale presenza di censure sollevate in ordine a presunti vizi formali dell'atto amministrativo non possono precludere il giudizio sul merito della pretesa sanzionatoria oggetto dell'atto impugnato come disposto da giurisprudenza costante secondo cui tale vizio comporta soltanto l'impossibilità per l'Istituto di avvalersi del titolo esecutivo ma non lo fa decadere dal diritto di chiedere l'accertamento in sede giudiziaria dell'esistenza e dell'ammontare del proprio credito. (Cass. Civ., sez. lav., 23/02/2016, n. 3486). Insegna la Suprema Corte in una recente pronuncia che il provvedimento impositivo di una sanzione da parte della PA è censurabile sotto il profilo del vizio motivazionale nel solo caso in cui l'ordinanza risulti del tutto priva di motivazione ovvero corredata di motivazione soltanto apparente. (Cfr. Cass. civ. Sez. VI - 2, sent. n. 16316 del 30.07.2020). Per quanto riguarda l'eccepito superamento temporale dei limiti imposti dalla legge che sarebbe causativa dell'estinzione dell'obbligazione di pagamento equiparabile ad una mancata contestazione della violazione, va osservato e puntualizzato quanto segue: prevede l'art.14 della L. 24 novembre 1981, n. 689 che "la violazione, quando è possibile, deve essere contestata immediatamente tanto al trasgressore quanto alla persona che sia obbligata in solido al pagamento della somma dovuta per la violazione stessa" (comma 1). "Se non è avvenuta la contestazione immediata per tutte o per alcune delle persone indicate nel comma precedente, gli estremi della violazione debbono essere notificati agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni ?" (comma 2). Dal combinato disposto dell'art. 13 e 14 e dalla giurisprudenza concretizzatasi a riguardo, va precisato che per accertamento deve intendersi l'avvenuta conoscenza, diretta o riferita, del fatto illecito da parte della P.A. e consiste nelle sequenza di atti e attività previsti dall'art. 13 (ispezioni, rilievi, ecc.) non coincidendo con "la generica e approssimativa percezione del fatto, ma con il compimento di tutte le indagini necessarie al fine della piena conoscenza di esso e della congrua determinazione della pena pecuniaria". La Suprema Corte in varie pronunce ha avuto occasione di affermare che la durata della fase dell'accertamento va valutata dal "giudice di merito in relazione al caso concreto" secondo, cioè, il principio di "ragionevolezza"; in particolare, il detto principio deve essere contestualizzato, per la tempistica, alla struttura organizzativa dell'ente. (Cass. 8692/2004; Cass. 3254/2003). L'accertamento precede l'emissione dell'ordinanza - ingiunzione cioè il provvedimento sanzionatorio vero e proprio; solo con l'adozione di quest'ultimo le sanzioni sono concretamente irrogate al trasgressore il quale ha la possibilità di proporre opposizione a norma dell'art. 22, L. n. 689 del 1981, mentre l'atto di accertamento non è immediatamente lesivo e quindi non autonomamente impugnabile. Ne consegue che nella fase di accertamento va aggiunto il tempo necessario alla valutazione degli elementi acquisiti necessari per la verifica della violazione e il termine per la notifica "degli estremi della violazione", di cui all'art. 14, inizia solo quando chi ha effettivamente il potere giuridico di accertare il fatto lo ha effettivamente accertato. Rappresenta ius receptum le argomentazioni offerte dalla S.C. secondo le quali "la regola che impone di contestare l'infrazione - quando non è possibile farlo immediatamente - entro un preciso termine di decadenza decorrente dall'accertamento, ? non vale a superare il rilievo che la pura constatazione dei fatti nella loro materialità non coincide necessariamente con l'accertamento degli estremi della violazione", se occorre una ulteriore istruttoria e/o valutazione, mentre il momento dal quale decorrere il termine per la contestazione coincide con "il momento in cui ragionevolmente la constatazione avrebbe potuto essere tradotta in accertamento". (Cass. 5395/2007, Cass. 3043/2009). Va pertanto tenuto in debita considerazione, al cospetto delle argomentazioni giurisprudenziali sopra riportate, che i tempi tecnici necessari per le varie verifiche e valutazioni presso i registri pubblici ove sono registrati i lavoratori per gli opportuni controlli, l'esame della documentazione reperita in loco analizzata e valutata ai fini della comminazione delle singole sanzioni, possono indurre a considerare esaurita la fase di accertamento nel caso concreto entro un congruo p eriodo temporale anche in considerazione della plausibile mole di lavoro demandata agli organi accertativi dell'ente resistente in relazione alla effettiva capacità di gestione e definizione delle pratiche attraverso una proficua e puntuale indagine prima dell'emissione delle contestazioni e relative sanzioni. Nel merito va preliminarmente evidenziato e premesso che rappresenta principio ormai consolidato quello secondo il quale l'opposizione all'ordinanza ingiunzione ai sensi della L. n. 689 del 1981 non configura un'impugnazione dell'atto amministrativo, ma introduce un ordinario giudizio sul fondamento della pretesa dell'autorità amministrativa, nel quale le vesti sostanziali di attore e convenuto, anche ai fini della ripartizione dell'onere della prova, spettano rispettivamente alla P.A. ed all'opponente; in sostanza, la cognizione del giudice si estende, nell'ambito delle deduzioni delle parti, all'esame del merito della pretesa fatta valere con l'ingiunzione, per stabilire se sia fondata o meno. Ciò posto, ritiene il giudicante che la resistente non ha fornito sufficiente prova della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato in capo a (...). Sul riferimento fatto dagli ispettori per l'asserita esistenza di un precedente verbale accertativo di altra sanzione in capo alla società opponente che di per se impedirebbe l'adozione del contratto di tirocinio, va osservato a riguardo che con sentenza n. 132/19 (rgn. 1651/17) passata in giudicato, questo Tribunale ha annullato le ordinanze 455/2017 e 460/2017 emesse sulla base del verbale (...) e pertanto discende che le ordinanze qui opposte non possono trovare piu' fondamento su tale contestazione eccepita dalla resistente essendo venuto a mancare l'asserito presupposto che la ITL ha posto a base delle stesse. Inoltre, l'esito dell'istruttoria espletata induce a ritenere legittimo il rapporto di lavoro con il tirocinante ed insussistente l'equiparazione ad un rapporto di lavoro subordinato con la società ricorrente così come addotto dai verbalizzanti in sede ispettiva. Va premesso che la normativa speciale riguardante i lavoratori che operano come tirocinanti di natura extra-curriculare prevede il fine di agevolare le scelte professionali dei giovani attraverso la conoscenza del mondo del lavoro nella precipua fase di passaggio dall'ambito scolastico o dallo stato di disoccupato a quello lavorativo oppure di agevolare il reinserimento nel mercato del lavoro per quei soggetti che ne sono stati esclusi anche per ragioni riconducibili al loro stato di diversamente abili. Le Linee guida istituite nel 2013 per l'attuazione dei tirocini formativi extracurriculari della Regione Abruzzo approvate con D.G.R. 949/2013 prevedono alcuni parametri di affidabilità da parte dei soggetti ospitanti, sia pubblici che privati. Orbene sul piano dell'onere della prova, al cospetto dei consolidati principi giuridici che la disciplinano, il rapporto di tirocinio deve essere provato da colui che l'allega; l'ente previdenziale o chi per esso, come nel caso che occupa, l'Ispettorato, che reclama il rapporto di lavoro dipendente, deve provare la sussistenza dei rapporti di lavoro subordinato e il datore di lavoro che opponga che il rapporto lavorativo è inquadrabile nello schema dell'apprendistato ha l'onere di provare la sua esecuzione in concreto con le caratteristiche proprie del tirocinio e, in particolare, deve provare l'elemento dell'insegnamento tecnico-professionale che l'apprendista ha diritto di ricevere e che rappresenta l'elemento fondamentale per individuare la fattispecie del tirocinio formativo. Questa rappresenta una forma di inserimento temporaneo all'interno di un contesto lavorativo organizzato da un datore di lavoro con l'obiettivo di consentire ai soggetti coinvolti di conoscere e di sperimentare in modo concreto la realtà lavorativa attraverso una formazione professionale e un addestramento pratico direttamente sul luogo di lavoro. I tirocini formativi sono stati introdotti dall'art. 18 della L. n. 196 del 1997, rubricato "Tirocini formativi e di orientamento", prima disciplinati dal D.M. di attuazione n. 142 del 1998 e poi disciplinati a livello generale dal D.L. n. 138 del 2011 convertito il L. n. 148 del 2011 nonché dalle leggi regionali per le particolarità normative di rilievo o interesse particolare. La disciplina del tirocinio formativo è infatti pure demandata alla competenza legislativa delle singole Regioni, nel rispetto delle Linee Guida approvate in sede di Conferenza Stato-Regioni. Con D.G.R. n. 704 del 4 novembre 2014, la Regione Abruzzo ha introdotto le nuove "Linee Guida per l'attuazione dei tirocini extracurriculari in Abruzzo" e con la successiva D.G.R. n. 762 dell'11 settembre 2015, sono state apportate alcune modifiche e recepite le norme dell'Accordo sulle linee guida per i tirocini finalizzati all'inclusione sociale approvato dalla Conferenza Permanente nel 2015. Al cospetto della documentazione prodotta dalla resistente e della prova testimoniale espletata, la domanda contenuta in ricorso si appalesa fondata e va accolta. Invero la ricorrente opponente ha documentato che il rapporto di tirocinio attivato in base ad una apposita convenzione tra l'IFOA - Istituto Formazione Operatori Aziendali - società che certifica il percorso formativo ed effettua controlli periodici sull'avvenuta formazione e la ricorrente società quale soggetto ospitante, al quale è stato allegato il prescritto progetto formativo compiuto e dettagliato redatto sulla base delle Linee Guida per l'attivazione dei Tirocini nella Regione Abruzzo sopra richiamati nonché le prescritte comunicazioni obbligatorie di avvio e di cessazione del tirocinio di cui trattasi. (doc. n.ri 4, 5 e 6 fasc. di parte ric.). Allo stesso modo, è pacifico che, nella specie, sia stato designato un tutor con funzioni di inserimento sul luogo di lavoro e affiancamento alla tirocinante di cui trattasi per tutta la durata del tirocinio (dal 16.05 al 15.11.2016). Tutor, nella specie, individuato nella Signora (...), "assistente di filiale" del punto vendita della (...) S.p.A. di (...) degli (...), ove (...) ha svolto il tirocinio di cui trattasi. Il tutor, come richiesto dalla suddetta normativa regionale, è una dipendente della (...) S.p.A. in possesso di competenze professionali adeguate, esperienze e capacità coerenti con il sopra citato progetto formativo individuale, che, pertanto, quale tutor, era responsabile del suo inserimento ed affiancamento sul luogo di lavoro per tutta la durata del tirocinio, dotata di esperienza e capacità coerenti con l'attività del tirocinio prevista nel progetto formativo. Tali circostanze sono state, peraltro, confermate dai testi escussi di parte ricorrente. Sostiene parte resistente che (...) è intervenuto nel contesto produttivo dell'attività commerciale e sarebbe stato impiegato come lavoratore subordinato per ricoprire un ruolo essenziale all'organizzazione aziendale. Ma sul piano della concreta attuazione del rapporto, rileva il giudicante che parte resistente opposta, su cui gravava il relativo onere, nulla ha dedotto circa la sussistenza, in concreto, degli indici della "subordinazione" nell'attività svolta dal tirocinante in questione. Infatti, quanto al concreto atteggiarsi del rapporto, è noto che, ai fini della qualificazione giuridica di un rapporto di lavoro, la natura subordinata è desumibile dalle modalità e periodicità della retribuzione, dalla mancata precedente individuazione di un risultato, dall'assenza di rischio d'impresa in capo al lavoratore e dal suo stabile inserimento nell'organizzazione imprenditoriale. Per potersi configurare un rapporto di lavoro subordinato sono quindi necessari la persistenza nel tempo dell'obbligo giuridico di mettere a disposizione del datore le proprie energie lavorative ed il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro. Nulla di specifico che potesse indurre alla sussistenza di tali requisiti è emerso dall'istruttoria espletata e la constatazione che le attività del tirocinante fossero riconducibili ad un rapporto di subordinazione resta nell'alveo di mere valutazioni svolte dagli ispettori non associabili all'efficacia probatoria privilegiata del verbale redatto. Invero ai sensi degli artt. 2699-2700 c.c. gli stessi verbali fanno piena prova fino a querela di falso dei fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti alla sua presenza, nonchè della provenienza del documento dal pubblico ufficiale e della provenienza delle dichiarazioni dalle parti. Le dichiarazioni rese agli ispettori per come verbalizzate non assurgono a piena prova ove non confortate dall'esito dell'istruttoria. Dalle dichiarazioni testimoniali assunte si evince che (...) non rivestiva la qualifica di lavoratore dipendente. Dalla sua escussione quale teste di parte resistente lo stesso ha dichiarato di non essere mai stato impiegato per coprire sostituzioni di ruoli di organico. Nel corso dell'istruttoria i testi - tra cui anche quelli che hanno rilasciato le suddette dichiarazioni - hanno chiaramente confermato che il ricorrente ruotava su turni non per coprire asserite carenze di organico ma solo perché fosse così consentito il suo costante affiancamento dall'assistente di filiale o, quando questi assente, dal vice assistente di filiale. La teste (...) (Vice Assistente di Filiale) ha dichiarato "che se (...) lavorava in magazzino, lo stesso era affiancato da un altro dipendente"; La teste (...) (Assistente di Filiale) ha dichiarato che (...), come da progetto che sottoscriveva, ha ricevuto la formazione prevista per il tirocinio di inserimento per la durata di sei mesi dal 16 maggio al 15 novembre 2016 per la qualifica professionale di "aiuto commesso" ovvero "addetto alle vendite" con orario di 40 ore settimanali". (Cfr. Verb. d'ud. Del 3.03.2021). Il teste (...) (Capo Settore) ha dichiarato: "confermo, aveva il tutor (...) che era capo negozio", "Adr (...) lavorava quando c'era la tutor (...), quelle rare volte in cui non c'era la tutor era la vice assistente" ; ha pure confermato che il tirocinio di inserimento ha avuto i requisiti fissati dalla normativa e, cioè, è stato finalizzati a percorsi di inserimento nel mondo del lavoro della durata massima di 12 mesi a vantaggio di lavoratori disoccupati, in mobilità, sospesi in cassa integrazione. (Cfr. Verb. d'ud. Del 13.10.2021). Gli stessi testi hanno confermato che in favore del tirocinante è stata effettuata dalla Società la formazione pratica (c.d. on the job) che costituisce occasione di conoscenza del mondo del lavoro e al contempo di acquisizione di specifiche professionalità pratiche; la teste (...) ha dichiarato "confermo perché l'ho visto operare"; i testi hanno confermato inoltre che lo svolgimento del percorso formativo risulta descritto nel libretto formativo del tirocinante (...), ivi evidenziandosi i giorni di presenza, le attività ausiliarie alla vendita che sono state svolte sotto la guida del Tutor, l'orario di fatto osservato ma non prescritto in via vincolante. Lo stesso (...) all'udienza del 13 ottobre 2021 ha dichiarato: "confermo, ero affiancato dalla (...) che era il mio tutor, confermo tutto il capitolo"; a domanda il teste ha inoltre precisato "quando lavoravo c'era sempre il tutor o la vice assistente che mi affiancavano". E' pure emerso dai sopracitati testi e dallo stesso tirocinante che quest'ultimo era escluso da ogni controllo o verifica di tipo gerarchico o disciplinare e la sua attività svolta era sottoposta solo alla verifica del Tutor di rispetto del processo formativo rispetto agli obiettivi del progetto predisposto. La teste (...) (Assistente di Filiale) ha dichiarato "il tirocinante veniva seguito da me o dalla D.L. e provvedavamo a spiegargli quello che si doveva fare. Confermo il capitolo"; la teste (...) ha dichiarato "posso dire che il (...) non ha sostituito alcun collega ed era sempre affiancato da uno di noi. In caso di assenza, lo comunicava tramite una telefonata"; la teste (...) (Assistente di Filiale) ha dichiarato "confermo, mi risulta che il (...) osservava l'orario del libretto formativo. Per le autorizzazioni o eventuali giustificazioni venivo informata dal (...)." In definitiva tutti i testi escussi hanno confermato che il signor (...) è sempre stato regolarmente formato e affiancato da personale esperto e soprattutto che non è mai stato impiegato per sostituire personale assente o per far fronte a carenze di organico. Pertanto, sulla base dei motivi sopra esposti, ai sensi dell'art. 23 L. n. 689 del 1981, l'opposizione va accolta, non essendovi prove sufficienti della responsabilità delle parti opponenti, con conseguente annullamento delle ordinanze ingiunzioni opposte. Attesa la reiezione delle contestazioni ed eccezioni sollevate in via preliminare dalle parti opponenti quali motivi di impugnazione, considerato che non possono rinvenirsi comportamenti di natura colposa in capo alla resistente che ha agito sulla base di un accertamento compiuto dai verbalizzanti sulla base di dichiarazioni dello stesso lavoratore, ritiene questo giudicante che sussistano particolari ragioni affinchè le spese del giudizio possono essere interamente compensate tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale di Teramo, in persona del giudice onorario, dott. Marco Di Biase, in funzione di giudice del lavoro, definitivamente decidendo nella causa iscritta al n. 393/2019 R.G., contrariis reiectis, così statuisce: In accoglimento del ricorso, annulla le ordinanze ingiunzioni opposte n.ri 447 1-/2018 del febbraio 2019 e 4470/2018 emessa in data 4 febbraio 2019; compensa tra le parti le spese del giudizio. Così deciso in Teramo il 15 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 15 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte d'Appello di Milano, sezione lavoro, composta da: Dott. Giovanni PICCIAU - Presidente Dott. Giovanni CASELLA - Consigliere rel. Avv. Maria DI PAOLO - Giudice Ausiliario ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in grado d'appello avverso la sentenza parziale n. 550/22 e definitiva n. 1452/22 del Tribunale di Milano, est. Dott. Lombardi, discussa all'udienza collegiale del 23-1-2023 e promossa DA (...) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti An.Ma., Ma.Ma. e Ca.De., ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Milano, Via (...) APPELLANTE CONTRO (...), rappresentata e difesa dall'Avv. Do.Si., ed elettivamente domiciliata presso il suo studio sito in Milano, Viale (...) APPELLATA SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con sentenza definitiva n. 1452/22 pubblicata il 03/06/22 il Tribunale Ordinario di Milano, Sezione Lavoro (Dott. Lombardi) nella causa promossa da (...) contro (...) Srl ha così disposto: "Condanna (...) s.r.l. al pagamento, in favore di (...), per i titoli di cui in narrativa, delle seguenti somme: Euro 19.066,78 a titolo di retribuzione; Euro 3.439,70 a titolo di ratei; Euro 1.571,32 a titolo di TFR, oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo, e spese di lite, che liquida in Euro 4.200,00 per compensi di avvocato, oltre accessori di legge". Con ricorso depositato in data 09/04/21 la Sig.ra (...) dichiarava di aver stipulato, in data 14/3/2017, con la società (...) s.r.l. contratto di Apprendistato Professionalizzante, con inquadramento nel V livello CCNL Pubblici Esercizi durata 36 mesi, 40 ore settimanali, che il contratto era proseguito poi dall'1/10/2017 con la società (...) s.r.l., e, a seguito di cessione di ramo di azienda, ex art. 2112 c.c., era continuato, dapprima, con la società (...) s.r.l. e, infine, dal 12/12/2018, con la società resistente (...) s.r.l., poi, concluso in data 26/02/21 con comunicazione PEC della società. Lamentando che la prestazione svolta nel periodo 07/03/2017-28/02/2021 presentava tutti gli elementi tipici del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con diritto all'inquadramento al II livello contrattuale CCNL Turismo-Pubblici Esercizi, con differenze retributive pari ad Euro 44.509,37, nullità ed illegittimità dei contratti di apprendistato sottoposti negli anni alla stessa, in quanto mancanti del piano formativo, la Sig.ra (...) adiva il tribunale chiedendo la condanna della società all'inquadramento del rapporto in lavoro subordinato a tempo indeterminato. Il giudice di prime cure, con sentenza non definitiva n. 550/22, pronunciata in data 01/03/22, ha dichiarato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato tra la ricorrente e la (...) s.r.l., a decorrere dal 1/10/2017, in quanto "va rilevato come vi sia agli atti prova congrua in ordine alla circostanza che il contratto di apprendistato professionalizzante intercorso con la (...) s.r.l., proseguito con la (...) s.r.l. prima, e (...) s.r.l. dopo, non possa considerarsi, avuto riguardo ai suoi elementi formali e causali, ungenuino contratto di apprendistato, avuto riguardo al disposto dell'art. 53 D.Lgs. n. 276 del 2003, all'epoca vigente". Dichiarava, quindi, anche la conseguente nullità del recesso del 26/2/2021, ordinando la reintegrazione della ricorrente presso la società resistente con inquadramento II livello CCNL Turismo Pubblici Esercizi dal momento che era pacifico che la stessa aveva svolto mansioni di responsabile del punto vendita, disponendo la prosecuzione del giudizio al fine di determinare le differenze retributive dovute alla Sig.ra B.. Con sentenza definitiva n. 1452/2022, il Tribunale condannava la società, con riferimento al periodo dall'1/10/2017 al 28/02/2021, al pagamento delle seguenti somme: Euro.19.066,78 a titolo di retribuzione; Euro.3.439,70 a titolo di ratei; Euro.1.571,32 a titolo di TFR. Avverso tale sentenza (...) S.r.l., con atto depositato in data 17/10/22, ha proposto appello, per i seguenti motivi: - Sulla validità del verbale di conciliazione del 25.07.2018 L'appellante chiede che la sentenza appellata venga riformata nella parte in cui ha dichiarato la nullità del verbale di conciliazione, sottoscritto in data 25.07.2018 tra la lavoratrice e la (...) s.r.l., e chiede che, con il riconoscimento della piena validità del suddetto verbale, venga dichiarato che ogni rivendicazione della lavoratrice non possa essere precedente al 25.07.2018. - Sul rapporto di apprendistato professionalizzante Profili normativi Sul punto, l'appellante insiste per la revisione della sentenza (non definitiva) nella parte in cui dichiara nullo il contratto di lavoro di apprendistato professionalizzante, riconvertendolo in lavoro subordinato a tempo indeterminato, e chiede che venga accertato e dichiarato che il rapporto di lavoro tra le parti fosse a tutti gli effetti un apprendistato, o, in estremo subordine, che possa essere considerato come rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato, dal momento che, contrariamente a quanto affermato dal tribunale, la società aveva correttamente adempiuto al suo onere formativo. Contestava altresì che all'epoca del contratto di assunzione della lavoratrice con la società (...) s.r.l.(ottobre 2017) la normativa in vigore era quella prevista dal D.Lgs. n. 81 del 2015 e non quella relativa all'art. 53 del D.Lgs. n. 276 del 2003 che era stato abrogato dal D.Lgs. n. 167 del 2011. Parte appellante sostiene l'incongruenza tra quanto deciso dal tribunale e quanto dallo stesso affermato in un passo precedente della sentenza non definitiva, dal momento che, in un primo momento, acclarava che l'attività lavorativa dell'odierna appellata era quella di responsabile del punto vendita (per la quale la stessa avrebbe ricevuto una formazione ancora più professionalizzante rispetto a quanto riportato nel suo progetto formativo), inquadrandola quindi al secondo livello del contratto applicato, per poi dichiarare la nullità del rapporto di lavoro e la riconversione del medesimo in lavoro subordinato a tempo indeterminato dal momento che "dalle risultanze dell'escussione dei testi, ... emerge un quadro di assenza di attività di tutoraggio, di perdurante affiancamento in formazione in favore della ricorrente, fatta eccezione per sporadiche attività di controllo ed impartizione di istruzioni ed indicazioni, compatibili con l'esercizio della tipica attività direttiva datoriale ma non con la fattispecie contrattuale di cui è causa". Sui profili formali/sostanziali Parte appellante impugna la parte della sentenza non definitiva secondo cui "Sotto il profilo formale, i contratti versati in atti presentano diverse scadenze e l'assenza di un articolato progetto formativo, non consegnato alla lavoratrice né prodotto in atti", chiedendone la riforma in quanto i contratti di assunzione, nonché il piano formativo dell'apprendistato per l'attività di cameriera (per altro depositato dalla stessa controparte, in quanto consegnatole unitamente al contratto di assunzione presso la società (...)) sono formalmente ineccepibili o, al più, contengono dei refusi (dovuti ad errori di battitura dell'estensore del primo contratto che ha dichiarato il termine del contratto in un mese successivo a quello corretto) che non comportano alcuna conseguenza sul fronte della loro validità. Impugna anche la statuizione secondo cui "Dalle risultanze dell'esecuzione dei testi, di seguito integralmente riportata, emerge un quadro di assenza di attività di tutoraggio, di perdurante affiancamento in formazione in favore della ricorrente, fatta eccezione per sporadiche attività di controllo ed impartizioni di istruzioni ed indicazioni, compatibili con l'esercizio della tipica attività direttoriale datoriale ma non con la fattispecie contrattuale di cui è causa" dal momento che il rapporto di lavoro con (...) era stato l'ultimo in termini di tempo e quindi risultava fisiologico il fatto che la lavoratrice aveva avuto modo di effettuare la sua formazione pratica in massima parte nei periodi precedenti, quando aveva le altre società come datrici di lavoro. Durante il periodo in cui era dipendente di F., alla lavoratrice era stato concesso quel grado di autonomia necessario per addivenire ad una reale crescita professionale, mantenendo pur sempre su di lei uno sguardo vigile e attento da parte non solo della sua tutor, alla quale poteva sempre rivolgersi, come confermato nel corso dell'istruttoria. Sul punto, parte appellante inoltre deduce che alla lavoratrice era stato chiesto di seguire il corso di 80 ore avente ad oggetto la formazione trasversale e il modulo base di inglese: tale corso aveva al suo interno vari step, ciascuno dei quali con un breve test che avrebbe permesso di accedere a quello successivo, ed invece, la stessa, dopo essersi lamentata in ordine alla difficoltà delle domande dei test, in un mese (circa 160 ore) non era riuscita a completare le 80 ore previste, e successivamente non era più rientrata al lavoro dopo aver chiesto 6 mesi di congedo parentale e fatto 5 mesi di malattia. Chiede, quindi, la riforma della sentenza affinché venga dichiarato che (...) ha regolarmente adempiuto al suo dovere formativo nei confronti della lavoratrice. Da ultimo, impugna la parte della sentenza secondo cui "Esorbitante appare, poi, la durata complessiva del contratto rispetto ad un'attività di formazione ed acquisizione di professionalità, non compatibile con una durata ultra triennale (pur tenendo conto dei periodi di legittima sospensione del rapporto)", deducendo che, a causa dei periodi di sospensione dati dalla gravidanza, dal congedo e dalla malattia della lavoratrice, oltre che del minor numero di ore lavorative effettuate dalla medesima durante il primo anno di vita del bambino, il periodo di apprendistato (28 mesi) della lavoratrice è da ritenere del tutto congruo e per nulla esorbitante. - Sull'inquadramento contrattuale Sul punto, parte appellante contesta la parte della sentenza che ha affermato quanto segue: "Diverge infine sostanzialmente, sì da rendere evidente l'utilizzo dello strumento dell'Apprendistato Professionalizzante per far fronte a necessità di personale a costi inferiori rispetto a quelli derivanti dalla fisiologica contrattualizzazione in termini di ordinario lavoro subordinato, il livello di inquadramento (V livello, con mansioni di cameriera) e le mansioni in concreto svolte, dichiarate anche dai testi che evocano l'esistenza di una attività di formazione professionalizzante. Come si vedrà di seguito, difatti, la teste (...) dichiara che la (...) era "in formazione per diventare responsabile". Ad avviso dell'appellante, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale, le testimonianze acquisite in istruttoria non sono univoche relativamente alle mansioni lavorative della signora (...). - Sul presunto licenziamento L'appellante denuncia la sentenza (non definitiva) nel punto in cui accoglie le richieste della lavoratrice relative al recesso attuato secondo le modalità di un vero e proprio licenziamento e che, essendo il medesimo senza motivazione, dovesse essere dichiarato nullo, con conseguente condanna alla reintegra della lavoratrice ed al pagamento della relativa indennità, oltre ai contributi previdenziali ed assistenziali. Sul punto, l'appellante torna a ribadire quanto precedentemente affermato in merito sia alla validità del percorso di apprendistato intrapreso dalla lavoratrice, sia in riferimento alla sanzione da applicare qualora risultasse che l'appellante non aveva rispettato a pieno gli obblighi derivanti da tale tipologia lavorativa, che però insiste, non può concretizzarsi in una nullità del contratto stesso con riconversione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Nella denegata ipotesi in cui si dovesse ritenere di confermare le sentenze, parte appellante chiede che venga ordinata a controparte l'esibizione/produzione dei documenti fiscali atti a provare la non percezione di retribuzione ulteriore nel periodo intercorrente tra la cessazione del rapporto di lavoro e la dichiarazione di rinuncia della reintegra. - Sulla sentenza definitiva nr.1452/2022 Parte appellante ritiene ingiusta la decisione del giudice di prime cure di inquadrare la lavoratrice al secondo livello dal CCNL Turismo Pubblici Esercizi e di conseguenza contesta la condanna al pagamento degli importi derivanti da esso. In data 12/01/2023 si è costituita in giudizio la signora S.B. chiedendo il rigetto del ricorso avversario in quanto infondato e la conferma della sentenza impugnata. All'udienza di discussione la causa è stata decisa come da dispositivo in calce. MOTIVI DELLA DECISIONE L'appellante censura la sentenza qui impugnata per distinti ordini di ragioni: in primo luogo, per aver il Tribunale dichiarato la nullità del verbale di conciliazione, sottoscritto in data 25.07.2018 tra la lavoratrice e la (...) s.r.l.; in secondo luogo, per avere il Giudice ingiustamente dichiarato nullo il contratto di lavoro di apprendistato professionalizzante, riconvertendolo in lavoro subordinato a tempo indeterminato; in terzo luogo, per avere il Tribunale inquadrato la sig.ra (...) nel II livello CCNL Turismo Pubblici Esercizi, nonostante le prove orali non avessero confermato tale superiore inquadramento; in quarto luogo, per avere il Giudice equiparato il recesso dal contratto di apprendistato ad un vero e proprio licenziamento ingiustificato; in quinto luogo, per avere il Tribunale riconosciuto, con la sentenza definitiva, differenze retributive in realtà non dovute stante la genuinità del contratto di apprendistato professionalizzante. L'appello è infondato. In merito al primo motivo d'appello, si osserva che, per costante giurisprudenza, per poter qualificare come atto di transazione l'accordo tra lavoratore e datore è necessario che contenga lo scambio di reciproche concessioni, sicché, ove manchi l'elemento dell'"aliquid datum, aliquid retentum", essenziale ad integrare lo schema della transazione, questa non è configurabile (Cass., 31/08/2022, n.25600; Cass., 09/06/2021, n.16154; Cass., 07/11/2018, n.28448). La Suprema Corte ha più volte rilevato che ai fini della qualificazione di una dichiarazione liberatoria sottoscritta dalla parte come quietanza o piuttosto come transazione, occorre considerare che la quietanza liberatoria rilasciata a saldo di ogni pretesa costituisce, di regola, una semplice manifestazione del convincimento soggettivo dell'interessato di essere soddisfatto di tutti i suoi diritti, e che pertanto concreta una dichiarazione di scienza priva di alcuna efficacia negoziale. Nella dichiarazione liberatoria sono ravvisabili invece gli estremi di un negozio di rinunzia o transazione in senso stretto soltanto quando per il concorso di particolari elementi di interpretazione contenuti nella stessa dichiarazione, o desumibili aliunde, risulti che la parte l'abbia resa con la chiara e piena consapevolezza di abdicare o transigere su propri diritti. Nel caso in esame, la lavoratrice, a seguito della sua rinuncia a qualsiasi ulteriore pretesa derivante dal pregresso rapporto di lavoro, non ha ottenuto alcunché in cambio. Ciò premesso, nel caso in esame, si rileva che, sebbene le parti avessero siglato una transazione presso la Direzione Provinciale del Lavoro di Milano e che l'accordo era stato siglato anche dal conciliatore sindacale, la lavoratrice si era limitata a dichiarare di non avere più nulla a pretendere dalla ditta senza, peraltro, esprimere alcuna volontà di volersi privare di diritti specifici e determinati o determinabili. Nel caso in esame, quindi, la lavoratrice a seguito della sua rinuncia a qualsiasi ulteriore pretesa derivante dal pregresso rapporto di lavoro, non ha ottenuto null'altro oltre a quanto dovutole già per legge e contratto. A nulla rileva, peraltro, che la transazione sia stata effettuata in sede sindacale atteso che, perché possa applicarsi l'art. 2113 c.c., comma 4, che esclude la possibilità di impugnativa delle conciliazioni sindacali, deve pur sempre trattarsi di un atto qualificabile come transazione e non di una mera quietanza liberatoria. Anche gli ulteriori motivi di censura, tra loro strettamente connessi, non sono meritevoli di accoglimento. In tema di contratto di apprendistato professionalizzante, questa Corte ha più volte ribadito che l'attività formativa non consiste in un generico addestramento o affiancamento (che caratterizza, di norma, tutti i lavoratori neo assunti nel periodo iniziale del rapporto), bensì in insegnamenti specifici funzionali al conseguimento della qualificazione professionale prevista nel piano di formazione. Il momento formativo assume un ruolo essenziale nel contratto di apprendistato professionalizzante, che è contratto a causa mista, caratterizzato, oltre che dallo svolgimento della prestazione lavorativa, dall'obbligo del datore di lavoro di garantire un'effettiva formazione finalizzata all'acquisizione, da parte dell'apprendista, di una qualificazione professionale, la quale rappresenta il dato essenziale della speciale figura contrattuale. L'onere della prova in ordine all'effettiva attività di insegnamento impartita all'apprendista grava sul datore di lavoro (così, ex plurimis, Corte appello Milano sez. lav., 02/05/2019, n.392 pres. Picciau, rel. D.). A ciò si aggiunga che l'insegnamento dev'essere coerente col piano formativo e con la qualificazione professionale che si vuole acquisire. Per consolidata giurisprudenza, in tema di contratto di apprendistato, l'inadempimento degli obblighi di formazione ne determina la trasformazione, fin dall'inizio, in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ove l'inadempimento abbia un'obiettiva rilevanza, concretizzandosi nella totale mancanza di formazione, teorica e pratica, ovvero in una attività formativa carente o inadeguata rispetto agii obiettivi indicati nel progetto di formazione e trasfusi nel contratto, ferma la necessità per il giudice, in tale ultima ipotesi, di valutare, in base ai principi generali, la gravità dell'inadempimento ai fini della declaratoria di trasformazione del rapporto in tutti i casi di inosservanza degli obblighi di formazione di non scarsa importanza (Cass., 08/06/2021, n.15949). Nella specie, manca qualsiasi prova certa che possa dimostrare che la sig.ra (...) abbia beneficiato di un costante insegnamento diretto all'acquisizione della qualifica di store manager. Tutti i testi hanno confermato che l'appellata, sin dall'inizio della sua assunzione, era destinata ad acquisire il II livello (svolgendo peraltro le mansioni corrispondenti) nonostante il contratto di apprendistato prevedesse il V livello (cameriera) ed il piano formativo allegato fosse calibrato su tale inferiore inquadramento. Il CCNL Turismo Pubblici Esercizi, espressamente richiamato nel contratto di apprendistato, impone la redazione di un "piano formativo individuale" (PFI) che definisca il percorso formativo del lavoratore in coerenza con il profilo formativo relativo, riportante "il nome e la qualifica del tutor" nonché "le modalità di erogazione della formazione professionalizzante (formazione d'aula, on the job, formazione a distanza (FAD) o strumenti di e-learning, ecc.)". Il CCNL impone inoltre al datore di lavoro di erogare almeno 80 ore annue di formazione (per il II livello) o 60 ore annue (per il V livello), nonché di registrare le competenze acquisite durante il periodo di apprendistato sul "libretto formativo". Il pacifico inadempimento di tali obblighi (indicazione del tutor, indicazione delle modalità di formazione, indicazione di tali attività formative sul libretto, incoerenza tra mansioni esercitate e formale inquadramento) fa già presumere una assente e/o carente attività formativa, confermata, peraltro, dall'istruttoria, in cui nessun testimone ha riferito l'avvenuta erogazione da parte dell'impresa delle ore di formazione imposte dal CCNL in ciascun anno. Tale carenza sostanziale non integra una mera irregolarità formale, ma fa venir meno l'elemento costitutivo del contratto di apprendistato professionalizzante. Nella sostanza, poi, i capitoli di prova, formulati da (...), se anche ammessi, stante la loro assoluta genericità, non descrivono nello specifico il contenuto e le modalità (anche quantitative) dell'insegnamento pratico e teorico impartito all'apprendista, non essendo quindi idonei a dimostrare l'effettivo adempimento da parte del datore di lavoro di tutti gli obblighi di formazione. Correttamente, quindi, il primo Giudice ha rilevato come dalle risultanze istruttorie sia emerso "un quadro di assenza di attività di tutoraggio, di perdurante affiancamento in formazione in favore della ricorrente, fatta eccezione per sporadiche attività di controllo ed impartizione di istruzioni ed indicazioni, compatibili con l'esercizio della tipica attività direttiva datoriale ma non con la fattispecie contrattuale di cui è causa". Il Collegio concorda con la sentenza impugnata nella parte in cui ha sostenuto che l'esecuzione del rapporto de quo diverga sostanzialmente dal contenuto del contratto "sì da rendere evidente l'utilizzo dello strumento dell'Apprendistato Professionalizzante per far fronte a necessità di personale a costi inferiori rispetto a quelli derivanti dalla fisiologica contrattualizzazione in termini di ordinario lavoro subordinato", considerato "il livello di formale inquadramento (V livello, con mansioni di cameriera) e le mansioni in concreto svolte, dichiarate anche dai testi che evocano l'esistenza di una attività di formazione professionalizzante". In particolare, la testimone (...) ha dichiarato espressamente che la (...) era "in formazione per diventare responsabile". L'unico testimone che ha accennato allo svolgimento di iniziali mansioni di cameriera è stato il sig. (...), il quale però - essendo stato anch'egli dipendente delle società che si sono succedute nella gestione del locale sin dal 2013 (vedi busta paga) - ha evidentemente fatto riferimento al periodo iniziale in cui era stata assunta l'appellata ("All'inizio la ricorrente faceva la cameriera, ma non saprei dire per quanto tempo abbiamo lavorato assieme nel locale H, ..., poi a un certo punto è diventata responsabile del ristorante, gestiva lei la situazione, quando non andava bene qualcosa in cucina lei veniva e diceva che non andava bene, si occupava anche della gestione della cassa, ci occupavamo anche insieme delle ordinazioni degli alimenti e delle materie prime che si utilizzavano al ristorante, provvedevo agli ordinativi anche io, ed anche lei se ne occupava, io ordinavo perché pensavo alla cucina, io mi occupavo degli ordini che riguardavano la cucina, ma anche lei si occupava delle materie prime che servivano in cucina, ad esempio mi chiedeva che quantitativi servivano di carne ed io glielo dicevo, avevamo tutti e due rapporti con i fornitori, degli ordini ci occupavamo assieme, lei pensava anche alla sala, quello di cui avevano bisogno loro per esempio le bevande, quello di cui avevano bisogno loro, per quanto riguarda i turni del personale lei si occupava di quelli della sala ed io mi occupavo di quelli della cucina"). In ogni caso, non si può escludere che la sig.ra (...), pur essendo destinata ad acquisire le competenze di store manager, all'inizio potesse anche svolgere le mansioni di cameriera, atteso che il teste non è stato in grado di precisare se in tale periodo iniziale il locale fosse gestito da una diversa responsabile. Peraltro, la prova dell'intenzionale sotto-inquadramento dei dipendenti da parte della società appellante è desumibile dal fatto che lo stesso testimone A., pur svolgendo mansioni di cuoco, risultava inquadrato e retribuito come un VI livello (vedi busta paga). Non stupisce, quindi, che la sig.ra (...), pur essendo stata assunta per lo svolgimento di mansioni di store manager, fosse stata fittiziamente inquadrata al V livello. Alla luce, quindi, di quanto esposto, devono ritenersi condivisibili le conclusioni assunte dal primo Giudice secondo cui dalle risultanze istruttorie "emerge, dunque, con tendenziale univocità, la circostanza che la ricorrente, nel periodo di cui è causa (fatto salvo un limitato periodo di alcune settimane, nelle quali la stessa ha svolto il ruolo di cameriera ...) abbia svolto le attività tipiche di store manager o responsabile del punto vendita nei locali (...) e (...), aprendo e chiudendo il locale con le chiavi in dotazione, gestendo in autonomia ordini e forniture, raccogliendo e versando gli incassi giornalieri, occupandosi della relativa contabilità, raccogliendo curricula ed effettuando colloqui orientativi con potenziali interessati a posizioni lavorative, organizzando orari e turni settimanali di reparti interni a punti vendita, inventariando trimestralmente la merce, partecipando a riunioni aziendali con altri store manager. Tali attività appaiono riconducibili, al di là di ragionevoli dubbi, al richiesto II livello di inquadramento contrattuale CCNL Turismo - Pubblici Esercizi, ed alle relative esemplificazioni. Appartengono infatti a questo livello i lavoratori che svolgono mansioni che comportano sia iniziativa che autonomia operativa nell'ambito ed in applicazione delle direttive generali ricevute, con funzioni di coordinamento e controllo o ispettive di impianti reparti e uffici, per le quali è richiesta una particolare competenza professionale". All'appellata competono, dunque, le differenze retributive quantificate - sulla base di conteggi concordati - nella sentenza definitiva. Poiché, nella specie, il contratto stipulato inter partes dev'essere considerato ab origine un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ne consegue che il recesso formalmente esercitato ex art. 2118 c.c. non è giustificato in quanto è insussistente il presupposto che legittima tale recesso ossia un valido ed efficace contratto di apprendistato professionalizzante. In assenza di tale presupposto, quindi, il recesso dal rapporto di lavoro ordinario, non essendo motivato da una giusta causa o un giustificato motivo, deve ritenersi illegittimo, determinando l'applicazione delle tutele stabilite per i licenziamenti invalidi così come correttamente disposto dal primo Giudice. Per tutte le argomentazioni sopra esposte, l'appello dev'essere rigettato con conseguente conferma della sentenza impugnata. Considerato che per mero errore materiale nel dispositivo della sentenza si è fatto riferimento alla sola sentenza definitiva del Tribunale di Milano senza fare cenno a quella (pure impugnata) parziale n. 550/2022, si procede - come consentito dalla giurisprudenza della Suprema Corte (vedi, da ultimo, Cass. 5894/12) - ad emendare tale errore materiale, disponendo che le parole "la sentenza n. 1452/22", vengano sostituite dalle parole "le sentenze nn. 550/2022 e 1452/22". Le spese del grado sono poste a carico della parte soccombente e liquidate come da dispositivo, in ragione della controversia e delle tabelle dei compensi professionali di cui al D.M. n. 55 del 10 marzo 2014, come modificato dal decreto 13-8-2022, n. 147. P.Q.M. Respinge l'appello avverso le sentenze nn. 550/2022 e 1452/22 del Tribunale di Milano; condanna l'appellante al pagamento delle spese del grado liquidate in Euro 3.500,00 oltre spese generali ed accessori di legge; dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell'appellante, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato di cui all'art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002 così come modificato dall'art. 1 comma 17 della L. 24 dicembre 2012, n. 228. Così deciso in Milano il 23 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria l'1 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PEZZULLO Rosa - Presidente Dott. CATENA Rossella - rel. Consigliere Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere Dott. SESSA Renata - Consigliere Dott. CAPUTO Angelo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Cagliari; avverso la sentenza della Corte di Appello di Cagliari emessa in data 10/02/2022; nel processo nei confronti di: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Rossella Catena; udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Odello Lucia, che ha chiesto il rigetto del ricorso; uditi i difensori di fiducia dell'imputato, avv.to (OMISSIS) e avv.to (OMISSIS), che hanno chiesto l'inammissibilita' o il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Cagliari, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Cagliari in data 26/09/2017, con cui (OMISSIS) era stato condannato a pena di giustizia in relazione al delitto di cui all'articolo 81 c.p., comma 2, articolo 476 c.p., comma 2, in (OMISSIS), assolveva l'imputato dal reato a lui ascritto perche' il fatto non sussiste. 2. Il Procuratore generale presso la Corte di Appello di Cagliari ricorre, in data 07/03/2022, deducendo tre motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1: 2.1 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), in quanto la motivazione della Corte territoriale afferisce unicamente alla contestazione di falsificazione relativa al diario operatorio stampato, ma non anche alla contestazione in riferimento alle integrazioni effettuate nel riquadro denominato "Gravidanza attuale", in cui erano state aggiunte le parole "come in precedenza lamentato" e "sospetta deiscenza", condotta rispetto alla quale la motivazione e' del tutto carente, ne' puo' essere integrata dalle considerazioni operate in riferimento alle altre condotte ascritte all'imputato. In particolare, risulta pacifico che il Dott. (OMISSIS) non fosse presente in reparto al momento del ricovero della paziente nella serata del 08/01/2013, ed e' altrettanto pacifico che, in sua assenza, la prima parte della cartella clinica fosse stata redatta da altro medico di turno in reparto, del quale non e' stata accertata l'identita'; inoltre, risulta chiaro, dal raffronto tra la cartella clinica sequestrata in originale e quella fotocopiata per l'invio all'ufficio competente per le sanzioni disciplinari, che nel momento in cui l'imputato intervenne sul quadro "Gravidanza attuale", la cartella clinica era stata gia' sottoscritta dal medico strutturato di turno o, al piu', dalla specializzanda, ma, comunque, sotto la supervisione e vigilanza di un tutor diverso dal Dott. (OMISSIS), assente e, quindi, certamente estraneo a tale attivita'; 2.2 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), avendo la sentenza impugnata, da un lato, affermato l'autonomia delle annotazioni effettuate in sede di anamnesi dalla specializzanda e, dall'altro, ritenuto tali annotazioni non definitive e, quindi, modificabili da parte di un medico di ruolo; 2.3 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), essendo accertato che l'imputato era intervenuto anche sulle annotazioni relative alla raccolta del dato anamnestico, dotate di propria autonomia, il che appare incongruo e contraddittorio rispetto all'assunto della Corte territoriale, secondo cui il Dott. (OMISSIS) si era limitato ad operare delle correzioni ed integrazioni cui era legittimato, sebbene adottando una forma non ortodossa; proprio inserendo la vicenda nel contesto dei rapporti conflittuali tra l'imputato ed il Dott. (OMISSIS), infatti, si comprende come le modifiche apportate in cartella dal Dott. (OMISSIS) fossero finalizzate a rappresentare una presunta situazione di urgenza sussistente gia' al momento del ricovero della paziente, tale da giustificare l'anticipazione del taglio cesareo rispetto alle linee guida, dal che emerge come nel caso di specie non sia ravvisabile alcun falso innocuo o grossolano. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso del Procuratore generale e' infondato e va, pertanto, rigettato. 1.Va premesso che, come risulta dal capo di imputazione, ad (OMISSIS), dirigente medico presso la Clinica Ostetrica e Ginecologica dell'Ospedale San Giovanni di Dio di Cagliari, sono state ascritte plurime condotte di falso, ai sensi dell'articolo 81 c.p., comma 2, articolo 476 c.p., comma 2, aventi ad oggetto la cartella clinica della paziente (OMISSIS), ricoverata presso detta struttura dal 08/01/2014 al 14/01/2014. In particolare, il (OMISSIS) aveva cancellato con correttore bianco alcune parole relative alla diagnosi di ingresso ed a quella contenuta nel quadro riepilogativo; aveva, inoltre, inserito alcune parole, alle pagg. 2 e 5 della cartella clinica (a pag. 2 le parole "come in precedenza lamentato" e "sospetta deiscenza", in relazione ai dati anamnestici sulla gravidanza e, alla pag. 5, la frase "T.C. cesareo elettivo in III gravida II para 38 sett. e 1 giorno con doppio pregresso T.C. e deiscenza della cicatrice uterina", in corrispondenza della diagnosi), nonche' nel foglio informatico del registro operatorio, dove aveva aggiunto a penna la parola "deiscente". La sentenza impugnata ha ritenuto che le dichiarazioni rese dal (OMISSIS) al pubblico ministero - ed acquisite agli atti del fascicolo dibattimentale - fossero del tutto coerenti con la risultanze dibattimentali e, quindi, ha ricordato come il medico avesse ammesso le condotte contestategli, spiegando che la (OMISSIS) era una sua paziente in stato interessante, che, alla fine del mese di dicembre 2012, era gia' stata ricoverata per perdite ematiche e dolori; il (OMISSIS) non aveva potuto visitarla, in quella occasione, perche' si trovava all'estero, ma aveva detto alla paziente che, al suo rientro, le avrebbe comunicato la data del taglio cesareo, mettendosi poi d'accordo in tal senso con il Dott. (OMISSIS), sostituto del Dott. (OMISSIS), quest'ultimo primario del reparto, al momento assente; era stata, quindi, fissata per l'intervento la data del 09/01/2013. Il Dott. (OMISSIS) aveva spiegato altresi' che, secondo le linee guida indicate dal primario, Dott. (OMISSIS), la paziente non avrebbe potuto essere sottoposta al taglio cesareo alla data indicata, in quanto non sarebbe giunta ancora alla trentanovesima settimana di gravidanza e che, tuttavia, nel caso di specie, alla luce delle risultanze della cartella clinica relativa al primo ricovero dal 27 al 30/12/2012, sussistevano delle specifiche ragioni di urgenza che consigliavano l'esecuzione dell'intervento anche prima della trentanovesima settimana. Il Dott. (OMISSIS) aveva anche chiarito come l'intera vicenda fosse da inquadrare in un contesto di rapporti estremamente conflittuali tra lui ed il primario del reparto, il Dott. (OMISSIS), il quale ha, a sua volta, confermato detta circostanza; non a caso, infatti, il (OMISSIS), subito prima di eseguire l'intervento di taglio cesareo in data 09/01/2013, aveva appreso dall'ostetrica che altri due medici avevano contestato detta sua decisione e che, successivamente, aveva saputo che il Dott. (OMISSIS) si stava interessando alla vicenda, avendo fatto acquisire copia della cartella clinica della paziente. In merito ai fatti oggetto di contestazione, il Dott. (OMISSIS) ha spiegato che, nel corso dell'intervento di taglio cesareo, egli aveva mostrato agli operatori presenti che la cicatrice della (OMISSIS), conseguenza di due precedenti tagli cesarei, presentava una condizione di deiscenza, il che aveva cagionato le perdite ematiche ed i dolori lamentati dalla paziente, che avevano determinato la necessita' di anticipare l'intervento; una volta eseguito il taglio cesareo, il diario clinico era stato redatto da una specializzanda presente all'intervento, la Dott.ssa Parasciolu, secondo una prassi incontestata. Successivamente, anche avendo appreso del diffondersi delle voci circa l'interesse del Dott. (OMISSIS) alla vicenda, alla luce dei rapporti pregressi, il Dott. (OMISSIS) aveva esaminato il diario operatorio e la cartella clinica della (OMISSIS), a cui egli aveva accesso in quanto la predetta era ancora ricoverata, e si era reso conto che la specializzanda aveva omesso di riportare la condizione di deiscenza della cicatrice da lui rilevata ed illustrata nel corso dell'intervento; contattata la Dott.ssa Parasciolu per integrare tale carenza, la stessa aveva suggerito al (OMISSIS) di modificare informaticamente il diario operatorio, inserendo la menzione omessa, cosa che il (OMISSIS) aveva escluso, in quanto, in tal modo, il nuovo documento informatico avrebbe avuto una data diversa da quella in cui l'intervento era stato eseguito, per cui aveva ritenuto di apportare l'integrazione a penna sul documento originale, inserendo di suo pugno la parola "deiscenza". Quanto alle ulteriori modifiche, il (OMISSIS) aveva ricordato di aver inserito alla pag. 1 le parole "perdite ematiche", in quanto la (OMISSIS) gli aveva riferito delle perdite che si erano verificate in occasione del viaggio in auto per recarsi a Cagliari, in occasione del secondo ricovero ospedaliero, verificatosi in orario serale; tuttavia, egli si era accorto che, alla pag. 2 della medesima cartella, la specializzanda presente all'atto del ricovero, che aveva redatto la cartella - e che non risulta identificata, non ricordandone il nome neanche il (OMISSIS) - aveva scritto che la paziente negava perdite ematiche, sicche' egli aveva cancellato con il bianchetto la relativa dicitura, annotata alla pagina precedente. La sentenza impugnata ha dato atto, quindi, come il Dott. (OMISSIS) avesse ammesso anche le successive integrazioni, ossia quelle alle pagg. 2 e 5, come in precedenza descritto, in coerenza con le specifiche circostanze della vicenda, avendo egli, in sostanza, l'interesse a far emergere le specifiche condizioni di salute della paziente, che lo avevano indotto a praticare il taglio cesareo in anticipo rispetto alla trentanovesima settimana di gravidanza e, quindi, in contrasto con le disposizioni impartite dal primario del reparto. Il Dott. (OMISSIS), a sua volta - come risulta a pag. 5 della sentenza impugnata - ha confermato tali circostanze, dichiarando che effettivamente la deiscenza della cicatrice avrebbe costituito condizione per intervenire prima della trentanovesima settimana, ricordando di aver realizzato le difformita' documentali dal raffronto tra l'originale della cartella e la copia da lui fatta acquisire nell'immediatezza dell'intervento e confermando, infine, la prassi di completare successivamente la cartella clinica di una paziente. 2. Tanto premesso in relazione all'inquadramento della vicenda, va rilevato come le doglianze poste a fondamento del primo e del secondo motivo - tra loro logicamente correlati - riguardino specificamente le annotazioni alla pag. 2 della cartella clinica, fondate sulla circostanza che pacificamente, all'atto del ricovero della paziente, nella tarda serata del 08/01/2013, il Dott. (OMISSIS) non era presente in reparto, avendo egli concordato telefonicamente con la (OMISSIS) la data del ricovero in funzione dell'intervento, con la conseguenza che il ragionamento seguito dalla Corte di merito per pervenire all'assoluzione dell'imputato in riferimento alle altre condotte, nel caso di specie non avrebbe potuto essere applicato. Ed infatti, la Corte territoriale ha rilevato come - tenuto conto della prassi di far compilare la cartella clinica dagli specializzandi, alla luce dell'inquadramento giuridico della figura del medico in formazione specialistica, ai sensi del Decreto Legislativo 17 luglio 1999, n. 268, articolo 38 -, in riferimento ai falsi materiali relativi alla fase dell'intervento chirurgico, le relative annotazioni concernevano mere integrazioni della documentazione clinica, non ancora uscita dalla sfera di disponibilita' del medico strutturato, che, in ogni caso, quale responsabile della prestazione sanitaria, aveva ogni potere di verifica e di integrazione delle annotazioni stesse, materialmente poste in essere da una specializzanda, ma riferite alla prestazione da lui eseguita (pagg. 15 e segg. della sentenza impugnata). In particolare, la sentenza impugnata ha ricordato come "In linea con lo spunto testuale fornito dal citato articolo 38, comma 3 la dottrina e la giurisprudenza, anche costituzionale, parlano della progressiva e graduale acquisizione da parte degli specializzandi di competenze e responsabilita' nell'ambito del programma di formazione, attraverso la partecipazione a tutte le attivita' mediche dell'unita' alla quale sono assegnati, come di una autonomia vincolata. La loro attivita', infatti, si svolge sempre sotto la vigilanza e il supporto formativo del tutor o comunque del medico strutturato col quale, di volta in volta, sono chiamati a collaborare". Al contrario - secondo il Procuratore generale - tale ragionamento non sarebbe riferibile all'annotazione relativa alla fase del ricovero, in quanto il Dott. (OMISSIS), in quel momento, pacificamente non era in reparto e, quindi, la cartella clinica era stata redatta da altro medico - strutturato o specializzando, non identificato -, il che escludeva la possibilita' per il (OMISSIS) di intervenire sull'annotazione, o perche' eseguita da altro medico strutturato o perche' eseguita da uno specializzando che, quindi, avrebbe dovuto riferire ad un tutor diverso dal (OMISSIS) che, pertanto, in entrambi i casi non aveva alcun titolo per intervenire sulle annotazioni relative all'anamnesi eseguita al momento del ricovero, fase alla quale egli non era presente, non avendo, pertanto, alcuna disponibilita' della cartella clinica. In realta', il ragionamento della parte pubblica ricorrente appare viziato in origine da una intrinseca contraddittorieta', basata su una evidente carenza istruttoria o, ancor prima, investigativa: il ricorso ammette che non sia stato identificato l'autore dell'annotazione in cartella all'atto del ricovero della paziente, optando, in maniera alternativa, per la possibilita' che tale medico fosse o uno specializzando o un medico strutturato, il che, in entrambi i casi - direttamente nel secondo caso, indirettamente nel primo, in quanto lo specializzando avrebbe dovuto fare riferimento ad un tutor - avrebbe escluso la riferibilita' al Dott. (OMISSIS) delle annotazioni. A parte che tale evidente lacuna - che, per la verita', in fase di indagini preliminari, ma anche attraverso un approfondimento dibattimentale avrebbe potuto essere colmata - involge un aspetto assolutamente fattuale della vicenda che, come tale, non puo' certo essere risolto in sede di giudizio di legittimita', le argomentazioni del ricorrente non sembrano aver adeguatamente approfondito la motivazione della sentenza impugnata. La Corte territoriale ha chiaramente evidenziato - ne' il Procuratore generale ricorrente contesta tali emergenze processuali - come la (OMISSIS) fosse una paziente del Dott. (OMISSIS), da questi seguita gia' in epoca precedente il ricovero nel gennaio 2013; che la donna non solo era gia' stata ricoverata presso la struttura nel precedente mese di dicembre per perdite ematiche e dolori, ma che la stessa aveva chiesto di essere visitata proprio dal Dott. (OMISSIS), cosa che non era stata possibile in dicembre, in quanto il suddetto medico non si trovava a Cagliari in quel periodo; che, tuttavia, in quel contesto, proprio il Dott. (OMISSIS) aveva riferito alla paziente che le avrebbe fatto sapere la data del ricovero dopo averla concordata con il responsabile del reparto, ossia il Dott. (OMISSIS) che sostituiva il Dott. (OMISSIS), cosa che era poi avvenuta, essendo stato programmato l'intervento per il giorno 09/01/2013, tanto e' vero che la (OMISSIS) si era ricoverata la sera precedente. Il Dott. (OMISSIS), infine, aveva ricordato come proprio la paziente gli avesse riferito - evidentemente nel corso della degenza - delle perdite ematiche che ella aveva avuto nel viaggio in auto, da Villacidro a Cagliari, nell'imminenza del ricovero; peraltro, come si evince dalla motivazione della sentenza impugnata, alla pag. 3, le perdite ematiche accompagnate da dolori erano state la ragione anche del precedente ricovero della paziente, alla fine del mese di dicembre, di cui pacificamente il Dott. (OMISSIS) era a conoscenza, tanto e' vero che, proprio avendo appreso cio' dalla (OMISSIS), sua paziente, egli ne aveva ritenuto indispensabile il ricovero per procedere all'intervento chirurgico, concordando poi la data dello stesso con il responsabile del reparto. Alla luce di tali circostanze appare, quindi, difficile sostenere come non fossero riferibili alla responsabilita' del Dott. (OMISSIS) le vicende relative al ricovero della (OMISSIS), la cui pianificazione era stata seguita personalmente dal predetto sanitario e la cui necessita' era stata dallo stesso valutata alla luce di quanto appreso dalla paziente, la cui storia clinica egli ben conosceva per averla gia' in precedenza seguita. In tal senso, quindi, la Corte territoriale ha evidenziato tutte le circostanze alla luce delle quali ritenere logicamente riferibili al Dott. (OMISSIS) l'anamnesi riportata in cartella ed eseguita al momento del ricovero, seppur non esplicitando tale riferibilita'. Se, quindi, al momento del ricovero della (OMISSIS) le annotazioni in cartella fossero state eseguite da una specializzanda - come affermato dal Dott. (OMISSIS) nelle sue dichiarazioni al pubblico ministero, benche' egli non ne ricordasse il nome - il medico al quale dette annotazioni erano riferibili, alla luce del ragionamento della Corte di merito, come illustrato, andava individuato sicuramente nel Dott. (OMISSIS), che, si ripete, aveva gia' predisposto il ricovero. Evidentemente, quindi, la Corte di merito ha ritenuto attendibile la ricostruzione della vicenda effettuata dal (OMISSIS) anche sotto tale aspetto, ascrivendo ad una specializzanda la effettuazione delle annotazioni in cartella all'atto di ricovero in reparto della paziente, come, peraltro, si evince dalla motivazione della sentenza impugnata, alla pag. 17, in cui si e' affermato che la raccolta dell'anamnesi della (OMISSIS) era stata effettuata da una specializzanda non identificata. La critica svolta dal ricorrente, al contrario, sarebbe stata plausibile se fosse stato dimostrato che la (OMISSIS), all'atto del ricovero, fosse stata visitata da un medico strutturato in servizio in reparto, essendo, in tal caso, a tale sanitario riferibili le annotazioni. Ma, come detto, tale circostanza non risulta in alcun modo provata, ma solo alternativamente ipotizzata dal Procuratore generale, che sembra dimenticare come le congetture non possono essere poste a fondamento di una sentenza di condanna. Ne', in ogni caso, sotto un profilo logico, puo' ritenersi che la riferibilita' delle citate annotazioni richiedessero la presenza fisica del Dott. (OMISSIS) al momento del ricovero, posto che egli ben conosceva le condizioni della sua paziente - ne' il ricorso opina diversamente sul punto -, tanto e' vero che ne aveva predisposto egli stesso il ricovero, funzionale al taglio cesareo da praticarsi il giorno dopo, ritenendo che tale intervento chirurgico fosse indispensabile proprio per le ravvisate condizioni di urgenza. Peraltro, proprio dalla documentazione clinica allegata al ricorso si evince inequivocabilmente che la cartella clinica indicasse, alla pag. 1 - annotazione che non e' oggetto di imputazione e, quindi, pacificamente non alterata - sia la tipologia di ricovero, "programmato", che il medico che avrebbe eseguito, in data 09/01/2013, il taglio cesareo, ossia il Dott. (OMISSIS). Anche da un punto di vista logico, quindi, risulta evidente come la motivazione della sentenza impugnata abbia indicato gli elementi alla stregua dei quali ritenere insussistente, pure in relazione alle circostanze indicate nell'anamnesi di ingresso, la contestata fattispecie di reato, posto che il ricovero della (OMISSIS) non si era verificato di urgenza - il che avrebbe, evidentemente, richiesto una diagnosi da parte di un medico strutturato, alla luce della vigente normativa ma era stato programmato in base ad emergenze cliniche gia' valutate dal medico curante, il Dott. (OMISSIS), la cui presenza fisica, in tale specifico contesto, quindi, non puo' essere ritenuta essenziale o dirimente per la riferibilita' al predetto sanitario delle annotazioni riportate in cartella da una specializzanda non identificata. 3. Il Collegio, peraltro, deve prendere atto della sussistenza, nell'ordito motivazionale della sentenza impugnata, di un passaggio incongruo che, tuttavia, non si risolve in un vizio di motivazione rilevante ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e). La Corte territoriale, come detto, ha dato rilievo alla formulazione del Decreto Legislativo 17 agosto 1999, n. 368, articolo 38, comma 3 secondo cui "La formazione del medico specialista implica la partecipazione guidata alla totalita' delle attivita' mediche dell'unita' operativa presso la quale e' assegnato dal Consiglio della scuola, nonche' la graduale assunzione di compiti assistenziali e l'esecuzione di interventi con autonomia vincolate alle direttive ricevute dal tutore, di intesa con la direzione sanitaria e con i dirigenti responsabili delle strutture delle aziende sanitarie presso cui si svolge la formazione. In nessun caso l'attivita' del medico in formazione specialistica e' sostituiva del personale di ruolo."; non a caso, nel passaggio motivazione alla pag. 16 della sentenza impugnata - in precedenza citato - la Corte territoriale ha sottolineato il concetto di "autonomia vincolata" contenuta nel testo normativo. In coerenza con tale inquadramento, quindi, la sentenza impugnata ha qualificato come compiti "di assistenza in autonomia quasi completa" la documentazione in cartella clinica, richiamando proprio la raccolta di anamnesi, verificatasi, nel caso di specie, da parte della specializzanda non identificata al momento del ricovero programmato della (OMISSIS). Sicuramente singolare, quindi, risulta l'affermazione che si legge nella successiva proposizione, secondo cui "In questi casi, in linea con il livello di autonomia quasi piena riconosciutogli per tali prestazioni, si puo' senz'altro ritenere che le annotazioni subito inserite nella cartella clinica assumano nell'immediato un valore definitivo e non modificabile". Tale snodo e', sicuramente, del tutto illogico e confligge palesemente non solo con il dato testuale delle norma dinanzi citata - secondo cui in nessun caso l'attivita' del medico in formazione specialistica e' sostitutiva del personale di ruolo -, ma anche con la giurisprudenza della Corte costituzionale citata e pienamente condivisa dalla stessa Corte territoriale. Non a caso, infatti, a pag. 16 della motivazione, si da' atto della pronuncia n. 249 del 05/12/2018 del giudice delle leggi, in riferimento ad una legge della regione Lombardia che, consentendo al medico in formazione specialistica di svolgere la propria attivita' autonomamente e limitando l'intervento del tutor ad un'eventuale consultazione o a un tempestivo intervento, era stata denunciata come contrastante con l'articolo 117 Cost., comma 3, in relazione ai principi fondamentali della legislazione statale in materia di tutela della salute e delle professioni; in particolare, era stata denunciata la violazione proprio del Decreto Legislativo n. 368 del 1999, articolo 38, comma 3. Sul punto la Corte costituzionale ha ricordato che "La disciplina statale prefigura una progressiva autonomia operativa del medico in formazione, con la possibilita' di eseguire interventi assistenziali, purche' cio' avvenga con gradualita', in coerenza con il percorso formativo e comunque con la supervisione di un medico strutturato, preferibilmente il tutore (cosiddetta "autonomia vincolata"). D'altronde, pur volendo ritenere che non sia sempre necessaria la costante presenza fisica del tutor o di un medico di ruolo in ciascuna attivita' dello specializzando (cosa che neppure la legislazione statale prevede), l'autonomia di quest'ultimo non potrebbe comunque mai prescindere dalle direttive del tutore. In altri termini, il Decreto Legislativo n. 368 del 1999, articolo 38, comma 3, coniuga due principi: il principio dell'insostituibilita' del personale strutturato da parte dello specializzando e quello della sua graduale assunzione di responsabilita' e autonomia operativa". La sentenza impugnata ha chiaramente condiviso tale inquadramento ed i relativi principi ermeneutici, alla luce dei quali ha operato la ricostruzione della vicenda processuale, come poi dimostrato dall'analisi contenuta nelle pagg. 17 e segg., in cui, proprio in applicazione di tali snodi, ha riformato la sentenza di primo grado mandando assolto l'imputato perche' il fatto non sussiste. Il complesso argomentativo nella sua interezza, pertanto, appare del tutto coerente, non potendo essere messo in crisi da una singola - sicuramente infelice - affermazione e, soprattutto, appare del tutto logica l'applicazione degli illustrati principi, piu' volte ribaditi dalla Corte di merito, con le conclusioni raggiunte in tema di insussistenza del reato. Sotto tale aspetto, quindi, appare evidente come la frase, chiaramente incoerente rispetto al complessivo assetto motivazionale, appaia in sostanza ininfluente rispetto alla tenuta argomentativa del provvedimento, non contenendo affermazioni idonee a scardinare la complessiva tenuta dell'apparato logico e la coerenza con esso delle conclusioni raggiunte. Il che, in altri termini, significa che l'aporia lessicale indicata risulti del tutto limitata e non si traduca in un vizio motivazione rilevante nella presente sede processuale. Sotto altro aspetto, infine, non puo' che sottolinearsi come, anche alla luce del citato approdo della Corte costituzionale, sia ulteriormente confermato che, ai fini della riferibilita' al tutor delle attivita' svolte dallo specializzando, non risulti affatto necessaria la costante presenza fisica del medico strutturato, non essendo cio' previsto dalla legislazione statale, posto che l'autonomia dello specializzando non potrebbe comunque mai prescindere dalle direttive del tutore. Nel caso in esame, quindi, alla luce delle circostanze di fatto evidenziate in sentenza - e non contestate in ricorso - appare evidente come debba ritenersi ulteriormente dimostrato che la sola assenza fisica del (OMISSIS), al momento del ricovero programmato della sua paziente, risulti irrilevante ai fini di provare la non riferibilita' al predetto delle relative annotazioni in cartella, riferibilita' emersa, al contrario. alla stregua delle ulteriori emergenze processuali rinvenibili dalla motivazione. Sotto tale profilo, quindi, il percorso logico-motivazionale della sentenza impugnata appare del tutto coerente con le premesse fattuali, anche in relazione al falso contestato in relazione alle annotazioni in sede di ricovero, risultando la singola affermazione contenuta alla pag. 17 della sentenza una incoerenza argomentativa non rilevante ai fini della complessiva tenuta motivazionale. 4. Il Collegio, peraltro, ritiene necessario sottolineare come la premessa metodologica della sentenza impugnata risulti coerente con gli approdi della giurisprudenza di questa Corte regolatrice. La Corte territoriale ha esordito citando Sez. 5, n. 55385 del 22/10/2018, Passafiume Salvatore, Rv. 274607, secondo cui "Integra il reato di falso materiale in atto pubblico l'alterazione di una cartella clinica mediante l'aggiunta, in un momento successivo, di una annotazione, ancorche' vera, non rilevando, infatti, a tal fine, che il soggetto agisca per ristabilire la verita', in quanto la cartella clinica acquista carattere definitivo in relazione ad ogni singola annotazione ed esce dalla sfera di disponibilita' del suo autore nel momento stesso in cui la singola annotazione viene registrata."; in tal senso si sono espresse anche: Sez. 5, n. 37314 del 29/05/2013, P., Rv. 257198; Sez. 5, n. 35167 del 11/07/2005, Pasquali, Rv. 232567. In realta', come si evince dalla lettura delle relative motivazioni, in tutti i casi esaminati dai precedenti citati, le annotazioni contenute in cartella erano state effettuate, e poi modificate, da un medico strutturato, ossia da un soggetto direttamente responsabile delle annotazioni medesime e, quindi, delle loro successive modifiche, immutazioni e alterazioni, costituenti, per i principi indicati dalla giurisprudenza citata, altrettante falsificazioni. A differenza di quanto verificatosi in tali vicende, quella in esame, come visto, presenta la peculiarita' dell'essere state le annotazioni modificate dal (OMISSIS) poste in essere da una specializzanda - non identificata in sede di ricovero ed individuata nella Dott.ssa Prasciolu nel caso del diario operatorio -, sicche' cio' che viene in rilievo non e' il profilo - del tutto incontestato - della irrilevanza del fine, volto a ristabilire la verita', in funzione del quale il soggetto agisce, bensi' la circostanza - chiaramente evidenziata dalla Corte di merito - che le specifiche modalita' redazionali dei documenti sanitari in esame non avessero acquisito alcuna connotazione di definitivita', in relazione alle singole annotazioni, nel momento in cui il (OMISSIS) vi aveva apportato le modifiche esaminate. In sostanza, come emerge dalla motivazione della sentenza impugnata, a pag. 19, la cartella clinica contenente annotazioni materialmente redatte da uno specializzando - sia in riferimento ad attivita' operatorie cui abbia assistito, sia in riferimento ad attivita' svolte nell'ambito della limitata autonomia prevista dalla normativa di settore, su indicazione o seguendo le direttive del tutor - non possono mai ritenersi definitive ed immodificabili prima del controllo del medico responsabile, bensi' costituiscono un atto logicamente equiparabile ad una bozza, il cui autore formale puo' e deve essere ritenuto esclusivamente il medico strutturato che ha svolto l'attivita' o alle cui direttive ed indicazioni lo specializzando si e' attenuto; il medico, quindi, deve personalmente verificare la regolarita' e la correttezza delle annotazioni, proprio al fine di verificarne la conformita' non solo con il proprio operato, ma anche con le direttive impartite, a seconda delle tipologia delle annotazioni, e solo all'esito di tale verifica l'atto puo' essere ritenuto completo dal punto di vista del suo rilievo pubblicistico e solo a partire da tale fase ogni successiva alterazione puo' integrare, sussistendone gli ulteriori requisiti normativi, la fattispecie di falso materiale di cui all'articolo 476 c.p., comma 2. 5. Quanto al terzo motivo di ricorso, infine, va aggiunto alle argomentazioni sin qui illustrate che esso si fonda su di un'affermazione del tutto illogica, ossia che il Dott. (OMISSIS) avesse rappresentato una situazione di urgenza al solo fine di legittimare l'anticipazione del parto rispetto alle direttive impartite dal responsabile del reparto, poco rilevando che tale situazione di urgenza fosse effettiva o meno. Sembra, infatti, sfuggire al Procuratore generale che se il (OMISSIS) avesse rappresentato una situazione di urgenza non corrispondente ai dati clinici a sua conoscenza, egli avrebbe dovuto rispondere, oltre che di falso materiale, anche di falso ideologico, fattispecie che non risulta in contestazione, non essendo emerso alcun elemento da cui indurre tale circostanza. Al contrario, la sentenza impugnata da' atto, alla luce della documentazione sanitaria acquisita, di come anche il precedente ricovero della (OMISSIS), nel mese di dicembre, fosse stato causato da perdite ematiche e da dolori, e che lo stesso Dott. (OMISSIS), come gia' in precedenza ricordato, avesse convenuto sulla necessita' di procedere con urgenza al taglio cesareo, anche prima della trentanovesima settimana, in presenza di tali dati (pag. 5 della sentenza impugnata). Ne' risulta in alcun modo dimostrato che le condizioni della (OMISSIS) non fossero coerenti con le ragioni di urgenza ravvisate dal Dott. (OMISSIS), circostanza che - appare del tutto superfluo ricordarlo - avrebbe dovuto essere dimostrata dall'accusa all'esito delle indagini preliminari; la sentenza impugnata, al contrario, si fonda proprio sull'assunto - neanche messo in discussione in ricorso - della effettiva sussistenza delle condizioni cliniche che avevano indotto il (OMISSIS) ad anticipare il taglio cesareo. Impregiudicata, quindi, l'eventuale rilevanza della condotta del Dott. (OMISSIS) a livello disciplinare, l'impianto della sentenza impugnata - a prescindere dalla rilevata aporia argomentativa - appare del tutto coerente con i principi giurisprudenziali che questa Corte regolatrice ha pacificamente declinato in riferimento alla fattispecie in esame, nella sua peculiarita' fattuale e circostanziale, accuratamente e logicamente analizzata dalla Corte territoriale. Alla luce di quanto sin qui rappresentato, il ricorso del Procuratore generale va, pertanto, rigettato. P.Q.M. Rigetta il ricorso del P.G.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di BERGAMO Sezione Lavoro Il Tribunale, nella persona del Giudice del lavoro Elena Greco, all'esito dell'udienza del 18.1.2023 che si è svolta secondo le modalità di cui all'art. 127ter c.p.c., esaminate le note pervenute, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 217/2022 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. Ro.Tr., elettivamente domiciliato presso il suo studio in Bergamo, via (...) RICORRENTE contro UNIVERSITA' DEGLI STUDIO DI BERGAMO (C.F. (...)), in persona del rettore pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall'Avvocatura dello Stato sede distrettuale di Brescia con l'avv. dello Stato Lu.Pi., domiciliata presso l'Avvocatura della Stato in Brescia, via (...) CONVENUTO Oggetto: licenziamento in prova SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con il ricorso introduttivo del giudizio, depositato il 14 febbraio 2022, (...) ha adito il Tribunale di Bergamo, in funzione di giudice del lavoro, chiedendo al giudice adito di accertare e dichiarare l'avvenuto regolare decorso del periodo di prova relativo al contratto di lavoro subordinato stipulato con la convenuta con decorrenza dal 1.8.2021; di accertare e dichiarare l'infondatezza della motivazione contenuta nel decreto n. 185 emesso dal direttore generale il 9.11.2021 e la conseguente illegittimità del decreto stesso e del provvedimento di recesso; per l'effetto di dichiarare la validità ed efficacia del contratto di lavoro subordinato stipulato il 30.7.2021, con sua conferma in servizio e riconoscimento dell'anzianità di servizio maturata dal 31.7.2021; condannare l'Università convenuta a corrispondergli quanto spettante a titolo di retribuzione dal 1.11.2021 e a versare la relativa contribuzione; con vittoria delle spese di lite. A sostegno della propria domanda il ricorrente ha esposto di essere stato assunto presso la convenuta Università degli studi di Bergamo, previo superamento di apposito concorso, con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato sottoscritto il 30.7.2021 e con decorrenza dal 1.8.2021, di essere stato inquadrato nel livello C1, area tecnico-scientifica ed elaborazione dati, di essere stato sottoposto ad un periodo di prova della durata di tre mesi (al decorso della cui metà ciascuna parte sarebbe stata libera di recedere dal contratto senza alcun obbligo di preavviso e senza relativa indennità), di dover svolgere una prestazione lavorativa di 36 ore settimanali e con maturazione delle ferie in proporzione del servizio prestato, di aver ricevuto in data 9.11.2021 provvedimento del direttore generale dell'Università degli studi di Bergamo di recesso dal contratto individuale di lavoro subordinato motivato dalla non soddisfazione della prestazione resa dal ricorrente, di aver contestato il provvedimento di recesso con messaggio p.e.c. del 19.11.2021 sia in ragione dell'avvenuto decorso del periodo di prova, sia per la infondatezza dei motivi in esso enucleati. Ritualmente costituitasi in giudizio, l'Università degli Studi di Bergamo ha confutato la domanda attorea e ne ha chiesto il rigetto, insistendo per il non avvenuto decorso del periodo di prova alla luce delle previsioni del c.c.n.l. dei comparti di istruzione e ricerca 2006/2009 e confermando la sussistenza delle ragioni poste a base del provvedimento di recesso. Istruita la causa con l'ammissione della prova testimoniale e disposta poi, ai fini della discussione, la trattazione scritta della causa ai sensi dell'art. 127ter c.p.c., all'udienza di discussione il Giudice, esaminate le conclusioni rassegnate dalle parti, ha trattenuto la causa in decisione ad ha poi provveduto al deposito del provvedimento decisorio nei termini di legge. MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorso non è fondato e non può pertanto essere accolto. Risultano pacifici tra le parti gli elementi di fatto riguardanti le modalità, le condizioni ed i tempi di costituzione e di cessazione del rapporto di lavoro oggetto di causa: - all'esito di una procedura concorsuale il ricorrente è stato assunto presso l'Università degli studi di Bergamo; - su espressa richiesta del lavoratore (che aveva chiesto di posticipare di un mese l'assunzione in servizio), le parti hanno sottoscritto un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato in data 30.7.2021 con decorrenza dal 1.8.2021 (cfr. doc. 1 fasc. ric.); - al contratto di assunzione è stato apposto un patto di prova della durata di tre mesi, con espressa previsione relativa alla libera recedibiità dal rapporto senza preavviso e senza diritto alla relativa indennità una volta trascorsa la metà del periodo di prova (cfr, art. 3 del doc. 1 fasc. ric.); - nel corso del periodo di prova il ricorrente è rimasto assente 5 giorni tra il 9.8.2021 ed il 13.8.2021 per ferie programmate dall'ente datoriale e, quantunque non maturate, fruite dal lavoratore in ragione della chiusura degli uffici datoriali; - nel corso del periodo di prova il ricorrente è rimasto assente per ulteriori 5 giorni per congedo parentale dal 11.10.2021 al 15.10.2021; - con decreto del 9.11.2021 l'Università degli Studi di Bergamo, ritenendo ancora sussistente il periodo di prova, ha esercitato il proprio diritto di recesso dal rapporto di lavoro subordinato stipulato con il ricorrente (doc. 2 fasc. ric.). Così brevemente enucleati gli aspetti fondamentali, costituivi ed estintivi, del rapporto di lavoro oggetto del giudizio, rilevato che risulta documentalmente (ed è altresì incontestato tra le parti) che il periodo di prova ha avuto inizio il 1.8.2021 (ossia il primo giorno di decorrenza del contratto di lavoro subordinato), il primo nodo giuridico da sciogliere attiene alla individuazione del dies ad quem del periodo di prova. A tal riguardo parte attorea sostiene che nel computo del periodo di tre mesi di prova (espressamente previsti nell'art. 3 del contratto di assunzione) non debbano essere computati i cinque giorni di ferie fruiti dal lavoratore tra il 9.8.2021 ed il 13.8.2021 poiché imposti dall'ente datoriale e in ogni caso a quest'ultimo già noti allorché stabilì la durata del periodo di prova; parte convenuta dal suo canto ritiene che la fruizione di un periodo di ferie sospenda il decorso del periodo di prova e ne differisca la scadenza in ragione del fatto che solo l'effettivo svolgimento della prestazione lavorativa consente alle parti di compiere le valutazioni relative alla opportunità, convenienza, ragionevolezza della prosecuzione del rapporto di lavoro. Pleonastico rilevare che, ove si ritenesse che le ferie fruite per esigenze del datore di lavoro non sospendano il decorso del periodo di prova, il recesso del 9.11.2021 dell'ente datoriale sarebbe sopraggiunto in un momento in cui il periodo di prova era già terminato (essendo la relativa scadenza occorsa il 5.11.2021); ove si accedesse invece alla tesi contraria, ossia che la fruizione di un periodo di ferie in costanza di prova determini una sospensione della prova stessa ed un differimento della relativa scadenza, il recesso datoriale del 9.11.2021 oggetto del giudizio sarebbe avvenuto in costanza del periodo di prova, avente scadenza il 10.11.2021. Onde attribuire alla fruizione delle ferie in costanza del periodo di prova efficacia sospensiva o meno della prova, invero, non può prescindersi dalla disamina delle disposizioni contrattuali. Sul punto, il contratto di lavoro subordinato sottoscritto dalle parti non contiene alcuna indicazione, limitandosi l'art. 3 a prevedere un periodo di prova della durata di tre mesi e la libera recedibilità senza preavviso (e senza diritto alla relativa indennità) una volta decorso la metà del trimestre di prova (doc. 1 fasc. ric.). Uno spunto ermeneutico determinante viene invece fornito dalle disposizioni pattizie: l'art. 20, comma 2, del c.c.n.l. istruzione e ricerca 2006/2009 prevede espressamente che "ai fini del compimento del periodo di prova si tiene conto del solo servizio effettivamente prestato" (cfr. doc. 9 fasc. conv.). La norma pattizia enuncia dunque chiaramente che il periodo di prova, nell'ambito del comparto istruzione e ricerca, deve essere computato esclusivamente in ragione del "servizio effettivamente prestato"; e tanto è sufficiente per desumere che la fruizione di un periodo di ferie - comportando una sospensione della prestazione del servizio strictu senso intesa - assume efficacia sospensiva del decorso del periodo di prova e ne posticipa il termine. Ne consegue che, nel caso di specie, a fronte del pacifico inizio in data 1.8.2021, il periodo di prova sarebbe scaduto il 10.11.2021, giacché interrotto per cinque giorni in occasione delle ferie (fruite dal ricorrente dal 9.8.2021 al 13.8.2021) e per ulteriori cinque giorni dal godimento di cinque giorni di congedo parentale (dal 11.10.2021 al 15.10.2021); sicché l'esercizio, in data 9.11.2021, del diritto di recesso da parte dell'Università degli studi di Bergamo risulta tempestivamente esercitato in costanza del periodo di prova. In senso contrario rispetto a quanto evidenziato non depone la giurisprudenza richiamata dal lavoratore a sostegno delle proprie tesi, secondo il quale la prevedibilità dell'assenza per ferie (nota all'ente datoriale poiché relative a ferie da questi programmate e di fatto imposte in ragione della chiusura dei propri uffici, deliberata ben prima della stipulazione del contratto di lavoro individuale) costituirebbe ragione sufficiente a far venir meno l'effetto sospensivo del periodo di prova, poiché il datore di lavoro ben avrebbe potuto stabilire modalità di organizzazione del lavoro che tenessero conto delle della minor presenza sul luogo di lavoro in ragione dell'avvenuta programmazione delle ferie. Come già sinteticamente illustrato, la previsione del patto di prova ex art. 2096 c.c. è funzionale, da un lato, alla verifica da parte del datore di lavoro delle capacità professionali e della complessiva idoneità del lavoratore avuto riguardo alle obbligazioni tipiche del rapporto di lavoro subordinato, dall'altro a consentire ad entrambe le parti di vagliare la convenienza della possibile futura collaborazione senza vincolarsi da subito a un rapporto di lavoro di lunga durata. Come puntualmente evidenziato dalla giurisprudenza di merito, siffatta "duplice valutazione è possibile, evidentemente, solo in caso di effettivo svolgimento dell'attività lavorativa. Per questo motivo, nel caso in cui la prestazione dedotta in contratto non venga resa - ad esempio, in ipotesi di godimento di ferie da parte del dipendente - il periodo di prova rimane sospeso e inizia nuovamente a decorrere soltanto con la ripresa dell'attività lavorativa. In questo senso si è espressa la Corte di Cassazione con decisione, richiamata dalla stessa parte attrice in atti, con la quale si è affermato che "il decorso di un periodo di prova determinata nella misura di un complessivo arco temporale, mentre non è sospeso da ipotesi di mancata prestazione lavorativa inerenti al normale svolgimento del rapporto, quali i riposi settimanali e le festività, deve ritenersi escluso - considerata la funzione del periodo di prova concordato tra le parti, che è quello di consentire alle parti stesse di verificare la convenienza della collaborazione reciproca - in relazione ai giorni in cui la prestazione non si è verificata per eventi non prevedibili al momento della stipulazione del patto stesso, quali la malattia, l'infortunio, la gravidanza ed il puerperio, i permessi, lo sciopero, la sospensione dell'attività del datore di lavoro, e, in particolare, il godimento delle ferie annuali; ciò in quanto, data la funzione delle stesse di consentire al lavoratore il recupero delle energie lavorative dopo un cospicuo periodo di attività, nella normalità dei casi avviene dopo un certo periodo di prestazione - anche per la necessità che nel frattempo le ferie maturino - e perciò dopo la scadenza della prova sì che, come regola generale, le ferie interrompono la decorrenza del periodo di prova, che si prolunga per i giorni fruiti dal lavoratore" (Cass. Civ. Sez. La. 22 marzo 2012, n. 4373). Né a conclusioni differenti può giungersi facendo leva sulla necessità di operare un distinguo, ai fini della momentanea sospensione del periodo di prova, tra i giorni di ferie di fatto goduti e quelli formalmente maturati dal lavoratore: ciò che può rilevare infatti è esclusivamente il positivo e concreto esperimento della prova. Nemmeno la circostanza, valorizzata dal ricorrente, della "imposizione" di ferie in misura superiore a quelle maturate consente di concludere nel senso voluto da parte attrice, poiché la gestione delle ferie spettanti al lavoratore è una delle manifestazioni più tipiche del potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro, come si ricava dalla lettura combinata degli artt. 2109, co. 2, 2082 e 2086 c.c." (Tribunale di Milano, sentenza del 24.4.2017, estensore C.). Peraltro anche nel caso in disamina, così come nel caso esaminato dalla citata giurisprudenza di merito, il ricorrente non ha neppure allegato di aver mai contestato la scelta datoriale di riconoscergli, nello stesso mese di decorrenza del contratto di assunzione a tempo indeterminato, un periodo di ferie superiore a quello spettante. In considerazione di tutto quanto esposto, dunque, deve ritenersi che tutti i dieci giorni di ferie e di congedo parentale goduti dal ricorrente tra il 9.8.2021 ed il 15.10.2021 debbano essere computati ai fini della sospensione del periodo di prova e che, conseguentemente, il termine dello stesso vada individuato nel 10.11.2021, sì da risultare tempestivo il recesso datoriale del 9.11.2021. Ne discende la tempestività del recesso oggetto di causa. Con segnato riferimento alla contestazione delle ragioni di fondatezza del licenziamento, deve rilevarsi che per costante giurisprudenza il rapporto di lavoro costituito con patto di prova è come tale sottratto, per il periodo previsto, alla disciplina dei licenziamenti individuali ed è invece caratterizzato dal potere di recesso da parte del datore di lavoro senza obbligo di fornire al lavoratore alcuna motivazione, neppure in caso di contestazione in ordine alla valutazione della capacità e del comportamento professionale del lavoratore stesso; grava sul lavoratore, che deduca in sede giurisdizionale la nullità di tale recesso, l'onere di provare sia il positivo superamento dell'esperimento, sia l'imputabilità del recesso ad un motivo, unico e determinante, che sia estraneo alla funzione del suddetto patto e sia perciò illecito. Secondo il consolidato insegnamento della Corte di Cassazione tale riparto dell'onere della prova vale altresì in relazione al rapporto di pubblico impiego contrattualizzato, nonostante la previsione espressa dell' obbligo di motivazione. A tal proposito, con la sentenza n. 26679/2018 la Corte di legittimità ha evidenziato che "in tema di impugnazione del recesso motivato dal mancato superamento della prova, anche il lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione deve allegare e provare l'inadeguatezza delle modalità dell'esperimento oppure il positivo esperimento della prova ovvero, ancora, la sussistenza di un motivo illecito o estraneo all'esperimento stesso, restando escluso che l'obbligo di motivazione contrattualmente previsto possa far gravare l'onere della prova sul datore di lavoro e che la valutazione discrezionale dell'amministrazione possa essere oggetto di un sindacato tale da omologare il mancato superamento della prova alla giustificazione del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo". Inoltre, "in tema di pubblico impiego privatizzato, l'obbligo - imposto dalle parti collettive alle amministrazioni - di motivare il recesso intimato durante il periodo di prova, in quanto finalizzato a consentire la verificabilità giudiziale della coerenza delle ragioni del recesso rispetto alla finalità della prova e all'effettivo andamento della prova stessa, non porta ad omologare il predetto recesso al licenziamento disciplinare, anche ove fondato sull'assenza didiligenza nell'esecuzione della prestazione, poiché tale mancanza ben può essere valorizzata al solo fine di giustificare il giudizio negativo sull'esperimento; nè l'obbligo in parola incide sulla ripartizione degli oneri probatori, spettando comunque al lavoratore dimostrare il perseguimento di finalità discriminatorie o altrimenti illecite o la contraddizione tra recesso e funzione dell'esperimento medesimo" (Cass., n. 22396/2018; in senso conforme Cass., n. 22679/2019). Infine, più apoditticamente, la Corte di legittimità chiarisce che la funzione della motivazione è dimostrare che il licenziamento non è dovuto a ragioni estranee all'esito dell'esperimento, e come tale può essere sintetica e non richiede la specificità necessaria per un licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo (Cass., n. 15638/2018). Correlativamente, secondo la giurisprudenza di legittimità, qualora l'obbligo di motivazione sia contrattualmente previsto, è ammessa la verificabilità giudiziale della coerenza delle ragioni del recesso rispetto da un lato alla finalità della prova e, dall'altro, all'effettivo andamento della prova stessa, ma senza che resti escluso il potere di valutazione discrezionale dell'amministrazione datrice di lavoro, non potendo omologarsi la giustificazione del recesso per mancato superamento della prova a quella della giustificazione del licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo (Cass. n. 22679/2019; n. 23061/2007; Cass. n. 143/2008). La previsione della motivazione del recesso durante il periodo di prova non comporta dunque né equiparazione al licenziamento disciplinare, né un diverso riparto dell'onere della prova, che rimane a carico del lavoratore. Ciò posto il ricorso deve essere rigettato anche in relazione alla eccepita infondatezza dei motivi del recesso. Come appena visto, la Cassazione esclude espressamente che nel pubblico impiego la previsione della motivazione comporti un'equiparazione della valutazione negativa del periodo di prova al licenziamento disciplinare o un diverso riparto dell'onere della prova, che rimane a carico del lavoratore. Rimane in particolare a carico del lavoratore dimostrare il perseguimento di finalità discriminatorie o altrimenti illecite o la contraddizione tra recesso e funzione dell'esperimento medesimo. Tale onere non è stato in alcun modo assolto dal ricorrente, il quale non ha neppure allegato quali siano state o come si siano estrinsecate le finalità discriminatorie o comuque illecite dell'ente datoriale, ma - come contestando un licenziamento per giusta causa - si è limitato ad eccepire l'infondatezza dei fatti rappresentati nel decreto di recesso per mancato superamento della prova. Di contro la documentazione dimessa dall'Università convenuta e le risultanze dell'istruttoria testimoniale comprovano che nel periodo di prova il ricorrente è stato affiancato da un tutor ((...)) e da un formatore (D.I.), laddove le ravvisate lacune tecniche, operative e relazionali - oggetto di giudizio del tutor - sono state, nel provvedimento di valutazione negativa, puntualmente descritte e coerentemente ponderate, con pieno rispetto del requisito motivazionale ed hanno trovato riscontro in sede istruttoria. Così, ad esempio, con riferimento alla avvenuta abilitazione del ricorrente ad operare sulla piattaforma di ticketing degli studenti, la documentazione depositata in atti e le dichiarazioni della collega D.I. rendono manifesto come il ricorrente abbia avuto (o quanto meno abbia potuto avere) conoscenza della circostanza di dover visionare anche i ticket degli studenti, essendo stato destinatario della corrispondenza e-mail con la quale era stata richiesta la sua abilitazione al relativo servizio (cfr. doc. 15 fasc. conv. e dichiarazioni di D.I. di cui al verbale di udienza del 16.6.2022). Ancora, sempre in via esemplificativa, la documentazione prodotta dal convenuto e le dichiarazioni testimoniali comprovano una certa riluttanza del lavoratore a conformarsi alle indicazioni datoriali per favorire il lavoro in team, tanto che le iniziali indicazioni dal medesimo fornite per accedere allo smartworking non risultano rispettose dei requisiti di presenza in ufficio e di reperibilità richieste dall'ente datoriale (cfr. doc. 14 fasc. conv. e dichiarazioni di (...) di cui al verbale di udienza del 16.6.2022). In definitiva, il ricorrente non ha dimostrato (ed invero non ha neppure allegato) né che il recesso operato dall'Università convenuta trovi ragion d'essere in finalità discriminatorie o comunque illecite, né che sussista contraddizione tra recesso e funzione dell'esperimento della prova. L'Università convenuta dal suo canto, pur non essendone direttamente onerata, ha fornito prova documentale e testimoniale delle ragioni poste a fondamento del recesso del 9.11.2021; tanto è sufficiente per accertare, oltre alla già enunciata legittimità, anche la fondatezza del provvedimento di recesso impugnato, in senso contrario non deponendo l'asserita generica indicazione delle mansioni assegnate al lavoratore e la conseguente non individuabilità dei compiti assegnatigli, avendo parte attorea elevato la relativa contestazione del tutto tardivamente solo con il deposito delle note conclusionali del 28.10.2022. In considerazione di tutto quanto esposto, il ricorso deve essere integralmente rigettato; Le spese di lite vengono integralmente compensate tra le parti, tenuto conto delle natura e della particolarità delle questioni dibattute e dell'ampio dibattito giurisprudenziale sul tema della efficacia sospensiva (o meno) delle ferie sul periodo di prova. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - Rigetta il ricorso; - Compensa integralmente tra le parti le spese di lite. Così deciso in Bergamo il 24 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 24 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte d'Appello di Venezia sezione PRIMA Penale composta dai Magistrati: 1. Dott. Francesco Giuliano - Presidente 2. Dott. Alberta Beccaro - Consigliere 3. Dott. David Calabria - Consigliere Udita la relazione della causa fatta alla udienza pubblica/camerale, odierna dai Dott.ri Beccaro e Calabria Inteso il P.G. dott. appellant (...) difensor come da verbale, ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: GI.EM. Nato a Roma il 03.06.1969 Elettivamente domiciliato presso Avv. Or.Do. del Foro di Milano Libero - PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Or.Do. del Foro di Difensore di fiducia Avv. Co.Mi. del Foro di Milano MA.PA. Nato a (...) Domiciliato presso l'Avv. Li.Ro. del Foro di Vicenza Libero - NON PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Li.Ro. del Foro di Vicenza PE.MA. Nato a (...) Domiciliato presso Avv. Vi.Ma. del Foro di Bologna Libero - PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Vi.Ma. del Foro di Bologna PI.AN. Nato (...) Domiciliato presso Avv. Ni.Be. del Foro di Milano Libero - NON PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Ni.Be. del Foro di Milano Difeso di fiducia dall'Avv. Gi.To. del Foro di Milano ZI.GI. Nato a (...) Residente a (...) Libero - NON PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Gi.Ma. del Foro di Vicenza Difensore di fiducia Avv. Gi.Ma. del Foro di Vicenza ZO.GI. Nato a (...) Domiciliato presso Avv. En.Am. del Foro dì Vicenza Libero - PRESENTE Difensore di fiducia Avv. En.Am. del Foro di Vicenza Difensore di fiducia Avv. Tu.Pa. del Foro di Pisa RESPONSABILE AMMINISTRATIVO BANCA (...) in liquidazione coatta amministrativa in persona del legale rappresentante pro tempore Difensore Avv. Fr.Mu. del Foro di Milano - non presente, sostituito dall'Avv. Ro.Bo. del Foro di Padova per delega orale PRESENTE RESPONSABILE CIVILE - ESTROMESSO con ordinanza depositata all'udienza del 22/04/2022. BANCA (...) in liquidazione coatta amministrativa in persona dei legali rappresentanti pro tempore Di.Gi., Fe.Cl. e Vi.Fa. Parti civili: + 229 (omissis) IMPUTATI: Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. stralciato ad altro procedimento, Zi.Gi. e Zo.Gi., a.1) in ordine al reato previsto e punito dagli arti 81, co. II, 110 e 112, n. 1 c.p., e 2637 c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione coatta amava), avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie di seguito descritta, attuata al fine di rappresentare alle Autorità di Vigilanza, ai soci ed al mercato, una falsa situazione patrimoniale e di adeguatezza rispetto ai requisiti prudenziali di vigilanza della. Banca stessa; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta piassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa., stralciato ad altro procedimento in qualità di direttore generale delia medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione. Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuatone della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, della segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; in tempi diversi, diffondevano notizie false e ponevano in essere operazioni simulate ed altri artifici concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo delle azioni B. (deliberato annualmente - ai sensi dell'art. 6 dello Statuto sociale e dell'art 2528 c.c. -dall'assemblea dei soci su proposta del consiglio di amministrazione, formulata sulla scorta di una perizia di stima del valore del relativo soprapprezzo elaborata da un esperto indipendente appositamente incaricato), e ad incidere in modo significativo sull'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale della medesima Banca (...) e dell'omonimo Groppo bancario. Operazioni simulate ed altri artifici consistite (condotte poste in essere da ciascuna delle persone indagate, secondo il rispettivo ruolo): i) nella ripetuta concessione di finanziamenti a favore di terzi soggetti finalizzati all'acquisto (nel mercato secondario) ed alla sottoscrizione (in occasione delle operazioni di aumento di capitale 2013 e 2014) di azioni B., per un controvalore complessivo di circa Euro 963 mln (di cui circa Euro 545 mln sino al 31.122012, circa Euro 155 nel 2013, circa Euro 255 nel 2014 e circa Euro 8 mln nel primo trimestre 2015), operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito (per talune operazioni formalizzato per iscritto, per un complessivo controvalore azionario di circa Euro 160 mln), cosi determinando una apparenza di liquidità del titolo sul mercato secondario e, al contempo, cosi consentendo la riduzione contabile del controvalore delle azioni proprie detenute; ii) nella omessa iscrizione al passivo dei bilanci d'esercizio al 31.12.2012, 31.12.2013 e 31.12.2014 di una riserva indisponibile ex art. 2358 c.c., pari all'importo complessivo delle operazioni di finanziamento finalizzate all'acquisto e/o alla sottoscrizione di azioni B. sopra indicato; iii) nella mancata comunicazione all'esperto incaricato della stima del valore del soprapprezzo dell'azione B., dell'esistenza e dell'entità della prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come sopra descritta. Diffusione di notizie false compiuta mediante la pubblicazione di comunicati stampa, di comunicazioni al pubblico, anche ex art. 114, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, di comunicazioni ai soci e dei bilanci d'esercizio al 31.12.2012, 31.12.2013 e 31.12.2014, contenenti mendaci indicazioni circa (condotte materiali poste in essere da Zo.Gi., Zi.Gi., So.Sa. (Stralciato ad altro procedimento) e Pe.Ma., con il contributo di GI.Em., Pi.An. e Ma.Pa., che partecipavano alla attuazione della prassi dei finanziamenti correlati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni B. sopra descritta): - la reale entità del patrimonio (nei bilanci d'esercizio 2012, 2013 e 2014), a causa della mancata iscrizione di una riserva indisponibile ex art. 2358 c.c., per un importo corrispondente all'ammontare dei finanziamenti correlati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni B. (pari a circa Euro 545 mln al 31.12.2012, circa Euro700 mln al 31.12.2013 e circa Euro 955 mln al 31.12.2014); - la solidità patrimoniale della Banca (comunicati stampa e comunicazioni ai soci del 30/3/2012; 8/8/2012; 3/9/2012; 19/3/2013; 27/4/2013; 27/4/2013; 10/9/2013; 2/4/2014; 9/9/2014; 26/10/2014; 4/12/2014; 19/3/2014) enfatizzata a dispetto della reale situazione derivante dal sopra descritto fenomeno di concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizioni di azioni B. e di lettere contenenti l'impegno al riacquisto delle medesime e/o di garanzia del rendimento dell'investimento; - la crescita progressiva della compagine sociale (comunicati 27/8/2013; 18/3/2014; 29/8/2014; 26/10/2014; 10/2/2015; 3/3/2015), lasciando intendere che essa derivasse dalla progressiva maggiore appetibilità dell'azione B. quale strumento di investimento, omettendo di rappresentare resistenza e l'entità della prassi della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie sopra descritta; - il buon esito delle operazioni di aumento di capitale 2013 e 2014 (comunicati 9/8/2013; 27/8/2013; 18/3/2014; 8/8/2014; 29/8/2014; 10/2/2015; 3/3/2015), tacendo la circostanza relativa al massiccio ricorso al finanziamento per la sottoscrizione delle azioni di nuova emissione nell'ambito dei c.d. Aucap; Con raggravante di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone. In (...), nel corso degli anni 2012, 2013, 2014 e 2015, alle date sopra riportate ed in occasione della pubblicazione dei bilanci d'esercizio 2012, 2013 e 2014. Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) a.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6, e 25-ter, co. I, lett. r) D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, - ZO.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società a capo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile delia Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità dì dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in concorso tra loro, in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenite reati della stessa specie, commettevano il reato sub a.1) nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nel mantenimento del valore dell'azione e dell'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale dell'istituto, realizzati anche attraverso un artificioso funzionamento del mercato secondario delle azioni B. e mediante una falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca. In (...), nel corso degli anni (...), alle date sopra riportate ed in occasione della pubblicazione dei bilanci d'esercizio 2012, 2013 e 2014 Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa., (stralciato ed altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi., b1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 81, co. II 110, 112, n. 1, c.p. e 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a., in liquidazione cotta amm.va), società a capo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1), e tenendo i rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia durante la verifica ispettiva; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale e traendo i rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia durante la verifica ispettiva; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti, e tenendo i rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia durante la verifica ispettiva; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalatone e comunicazioni air Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, durante l'attività ispettiva compiuta dalla stessa Autorità presso la sede sociale, occultavano con mezzi fraudolenti - l'esistenza di numerosi finanziamenti concessi a terzi soggetti, finalizzati all'acquisto di azioni B. sul mercato secondario, per un controvalore complessivo di circa Euro 250 mln (che, nel corso della medesima ispezione, aumentava sino al maggiore importo di oltre Euro 300 mln, per effetto di nuove operazioni compiute durante il periodo di svolgimento della verifica), operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito e conseguente estinzione dell'affidamento (per talune operazioni formalizzato per iscritto); - l'esistenza di lettere rilasciate a favore di terzi soggetti, contenenti l'impegno da parte della Banca al riacquisto delle azioni B. c/o la garanzia di un determinato rendimento dell'investimento; e, comunque, omettevano di dare comunicazione di tali circostanze, cosi determinando effettivamente, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia, che, conseguentemente, non dava luogo ad approfondimenti conoscitivi in sede ispettiva ed alla quale, di fatto, era impedito di accertare l'esistenza della suddetta prassi. Mezzi fraudolenti consistiti nel materiale nascondimento delle lettere contenenti l'impegno al riacquisto delle azioni B. e/o la garanzia di rendimento dell'investimento sopra indicati, nella indicazione nella documentazione interna relativa agli affidamenti correlati sopra indicati di una causale diversa da quella reale e nella mancata rilevazione nella contabilità aziendale sia della correlazione tra affidamenti ed acquisto delle azioni proprie, sia delle garanzie e/o impegni di cui alle lettere sopraindicate. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116 D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58. In (...) dal (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) b.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile delia Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in concorso tra loro, in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub b.1) nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), dal (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. c.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81 co. II, 110 e 112, n. 1, c.p. 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società a capo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B., - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.6.2012 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.9.2012) contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 268 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.9.2012 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.10.2012), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 280 mln; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia medesima, la quale, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, all'esito del Processo di revisione e valutazione prudenziale per l'anno 2012, stabiliva, con Lettera di intervento datata 5.3.2013, un obiettivo patrimoniale (c.d. Target ratio, in termini di Core Tier 1 capital ratio pari o superiore all'8%) non coerente con la situazione patrimoniale della stessa B. e, comunque, ometteva di assumere ulteriori misure ed iniziative di vigilanza coerenti rispetto alla reale situazione patrimoniale della B., Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Banca (...) S.pa, in liquidazione coatta amm.va (già Sc.p.a.) c.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett., a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub al), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad atro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. d.1) reato previsto e punito dagli artt. 61 n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1 c.p., 2638, co. II e III, c.., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - (a seguito della richiesta della Banca d'Italia, formulata con Nota datata 5.3.2013 - n. 228149, di fornire "dettagliate informazioni in ordine alle motivazioni sottostanti l'incremento, sia a livello individuale che consolidato, delle azioni o quote proprie ricomprese tra gli elementi negativi del patrimonio di base, passate da Euro 30,48 mln a Euro 239,85 mln" nel periodo 30.6/30.9.2012), nella Comunicazione 20.3.2013, con la quale era rappresentato falsamente che "L'incremento ... registrato al 30 settembre 2012 rispetto al 30 giugno 2012 è da ascrivere principalmente a fenomeni di ciclicità legati alle procedure di gestione delle azioni proprie. Le domande di acquisto di azioni della banca si sono invece concentrate nel IV trimestre, anche in relazione alla consueta maggiore propensione e convenienza sotto il profilo finanziario di procedere, da parte dei soci, all'acquisto nell'ultimo periodo dell'anno... I dati al 31 dicembre 2012 evidenziano un Core Tier 1 ratio e un Total Capital ratio rispettivamente all'8,37% e all'11,40%, ipotizzando l'integrale capitalizzazione dell'utile. Nell'ipotesi di distribuire un dividendo pari al 50% dell'utile distribuibile, il Tier 1 ratio si posizionerebbe all'8,23% comunque al di sopra del target minimo". - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.12.2012 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.3.2013), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 545 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.3.2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.4.2013), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistato da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 544 mln; ed inoltre, - nella Informativa preventiva 23.4.2013 relativa alla imminente operazione dì aumento di capitale (mediante emissione di azioni ordinarie e contestuale emissione di prestito obbligazionario convertibile, per l'importo complessivo di Euro 506 mln), nella quale non era indicato che tale operazione sarebbe stata realizzata anche mediante la concessione di finanziamenti correlati alla sottoscrizione medesima ed era rappresentato, pertanto contrariamente al vero, che il relativo "impatto... sul Tier 1 ratio " era stimato in un incremento complessivo di 175 punti base; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia, la quale, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della B., adottava la Lettera di intervento datata 24.6.2013 con la quale (rilevato che "alla data del 30 settembre 2012" B. deteneva azioni proprie per un controvalore complessivo superiore al limite del "5% del capitale" in assenza della necessaria autorizzazione) prescriveva a B. l'adozione di "ogni Iniziativa sul piano procedurale e dei controlli alfine di assicurare uno scrupoloso rispetto dei limiti previsti per il riacquisto o rimborso di proprie azioni" e di richiedere "la prescritta autorizzazione, laddove ne ricorrano i presupposti" senza assumere ulteriori misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, DI L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.p.a.) d.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a, società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub d. 1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...) in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. e.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, il 2,81, co. II, 110 e 112, n. 1, cp., 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione coatta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385), avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione delia medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30-6-2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 15.9.2013), contraente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 555 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.9.2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca, anteriore e prossima al 25.10.2013), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di orca Euro 626 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.12.2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 15.3.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 700 mln; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia che, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, ometteva di adottare misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116 D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e dì garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) e.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di prendente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sube.1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...) consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. f.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p. n. 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai scasi della L. 1 settembre 1993, a 385), avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; -- So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delie operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella Informativa preventiva datata 5.3.2014 relativa alla imminente operazione di aumento di capitale mediante emissione di azioni ordinarie per l'importo complessivo massimo di Euro 700 min, tacendo che tale operazione sarebbe stata realizzata anche mediante la concessione a favore di terzi di finanziamenti finalizzati alla sottoscrizione medesima e rappresentando, pertanto falsamente, die "nell'ipotesi di effettuazione dell'importo massimo", l'Aucap determinerebbe un livello del "Tier 1 capital ratio pro-forma" del 10,89% (rispetto a quello esistente dell'8,50%) e del ''Total Capital ratio" del 13,85% (rispetto a quello esistente dell'11,41%) con un incremento "quantificabile in circa 239" punti base; - nella Informativa integrativa datata 11.4.2014 relativa alla operazione di aumento di capitale sopra indicata (contenente la precisazione che la stessa sarebbe stata compiuta per un importo massimo di Euro 683,754 mln), tacendo che tale operazione sarebbe stata realizzata anche mediante la concessione a favore di terzi di finanziamenti finalizzati alla sottoscrizione medesima ed attestando, pertanto falsamente, che le azioni di nuova emissione soddisfano "tutte le condizioni previste dagli artt. 28 e 29 della CRR" e rappresentando, pertanto ancora falsamente, che la relativa "stima dell'impatto patrimoniale" evidenziava un livello del "Tier 1 capital ratio pro-forma post aucap" del'11,65% (rispetto a quello esistente del 9,21%) e del "Total Capital ratio pro-forma post aucap" del 14,25 (rispetto a quello esistente dell'11,81%); così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia, la quale, a seguito della "istanza di autorizzazione a classificare gli strumenti di capitale come strumenti di capitale primario di classe 1 ai sensi dell'art 26 par. 3, del Regolamento (UE) n. 575/2013" (contenuta nella Informativa integrativa suddetta), sulla scorta della mendaci informazioni ricevute, adottava il provvedimento autorizzato richiesto con atto del 15.4.2014, in difetto dei prescritti presupposti (trattandosi, in parte, di c.d. azioni finanziate). Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) BANCA (...) S.p.a. in liquidatone coatta amm.va (già S.c.p.a.) f.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s) D. L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub f1) nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...) consistiti nella autorizzata classificazione delle azioni di nuova emissione sottoscritte come strumenti di capitale primario di classe 1". In (...), in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. g.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., 2638, co, II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi die precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella Use di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella segnalazione dì vigilanza periodica al 31.3.2014 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.4.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi tramite finanziamenti appositamente concessi in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 728 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica ai 30.6.2014 (trasmessa alla Banca d'Italia in data 11.8.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra, indicata, per un importo complessivo di circa Euro 718 mln; - nella Comunicazione 1.9.2014, nella quale era rappresentato falsamente che "con riferimento alla segnalazione di vigilanza prudenziale al 30 giugno 2014... si è ravvisato il mancato soddisfacimento a livello consolidato del requisito combinato di riserva di capitale... con un deficit di euro 85 milioni rispetto al livello minimo previsto.... l'aumento dì capitale di euro 607,8 milioni - già in corso alla data del 30 giugno, completato lo scorso 8 agosto con l'integrale sottoscrizione dello stesso... consentiva di coprire ampiamente il deficit registrato... tenendo conto dell'aumento di capitale già regolato, la posizione patrimoniale del Gruppo risulta in surplus di euro 550,8 milioni..." ed era attestato falsamente il livello dei "Fondi Propri" (indicato in Euro 2,989 mld e, quelli "pro-forma" in Euro 3,635 mld) e dei ratios patrimoniali (ovverosia, 8,55% CET1 Ratio e 10,67% CET1 Ratio pro-forma; 8,55% Tier 1 Ratio e 10,67% Tier 1 Ratio pro-forma; 10,21% Total Capitai Ratio e 12,38% Total Capital Ratio pro-fonna); - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.9.2014 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.10.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di orca Euro 886 mln; - (a seguito della richiesta di Banca d'Italia, formulata con Nota datata 25.10.2014 - n. 1053731/14 nella quale, dato atto che "Banca (...) ha eseguito dall'inizio del 2014 operazioni di riacquisto di azioni proprie (buybacks) per un ammontare complessivo netto di Euro 195 mln. Le segnalazioni prudenziali di codesta banca confermano il progressivo aumento delle deduzioni per azioni proprie in portafoglio dal common equity tier 1: Euro 32,3 mln a dicembre 2013; Euro 91,7 mln a marzo 2014; Euro 178,2 mln, di cui 52,4 mln detenute indirettamente, a giugno 2014.... (la B.) ha altresì proceduto al rimborso e successivo annullamento di azioni proprie per complessivi Euro 61,7 mln, a motivo di successioni ed escussioni per recupero crediti", era domandata "la puntuale verifica della correttezza dei dati segnalati tempistica e modalità di esecuzione dei buybacks; ... le informazioni necessarie alla comprensione delle transazioni alla base della detenzione indiretta di azioni proprie, precisando le controparti (società veicolo/OICR) presso le quali ì titoli sono depositati; chiarimenti circa la coerenza dei riacquisti effettuati con le disposizioni della Capital Requirement Regulation e delle successive norme tecniche di attuazione") nella Comunicazione datata 4.11.2014, ove era rappresentato falsamente che "La Banca... ha proceduto ai riacquisti da Soci e agli annullamenti delle azioni proprie nella consapevolezza che la riduzione di capitale connessa ai medesimi era più che compensata dalla sottoscrizione degli aumenti di capitale in corso.... le predette operazioni di riacquisto e annullamento di azioni proprie eseguite dalla banca dall'inizio del 2014... sono comunque avvenute nell'ambito dì un complessivo rafforzamento patrimoniale del Gruppo Bancario, che ha visto il proprio Common Equity Tier 1 Ratio incrementarsi dal 1° gennaio 2014 di circa 141 bps"; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia che, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, ometteva di adottare misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...), in data (...), in data (...), in epoca anteriore e prossima al (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) g2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità, di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub g.1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...), in data (...), in data (...), in epoca anteriore e prossima al (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi., h1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a, in liquidatone cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposte alla vigilanza della Banca Centrale Europea ai sensi del Regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a. 1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente fa predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberatone degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità dì dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca Centrale Europea, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.12.2014 (trasmessa in epoca anteriore e prossima al 15.3.2015), contenente l'indicazione di un ammontare dei Fondi Propri superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 955 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.3.2015 (trasmessa in epoca anteriore e prossima al 25.4.2015), contenente l'indicazione di un ammontare dei Fondi Propri superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 963 mln; - nella Informativa al Pubblico al 31.12.2014, contenente l'indicazione di un ammontare dei Fondi Propri superiore a quello reale, a causa delia mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, per un importo complessivo di circa Euro 955 mln e, di conseguenza, l'indicazione falsata dei requisiti patrimoniali prudenziali (CET 1 ratio pari al 10,44% e Total Capital ratio pari all'11,55%); così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca Centrale Europea che, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, ometteva di adottare misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...) e (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Banca (...) S.p.a., in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) h.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001. n. 231, perché, in concorso tra loro. - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di (fingente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub h1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...) e (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. i) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., e 173-bis, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni proprie come descritta sub a-1), e partecipando consapevolmente al processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale e compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B., e partecipando consapevolmente si processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinalo ed attuato concretamente la predetta prassi, e partecipando consapevolmente alla predisposizione del contenuto dei prospetti; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite della struttura aziendale alte proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Dividerne Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti correlati, attività condotta anche nella prospettiva della adozione di aumenti di capitale di sopperire alle carenze patrimoniali - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabile della società, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili e nella predisposizione delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza, e partecipando alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; allo scopo di conseguire un ingiusto profitto per la Banca predetta, nei prospetti richiesti per la offerta al pubblico di azioni di nuova emissione e di obbligazioni convertibili relativa alle operazioni di aumento di capitale realizzate nel corso del 2013 (c.d. Aucap e Mini Aucap), con l'intenzione di ingannare i destinatari dei prospetti medesimi, - occultando la sussistenza, l'entità e gli effetti del fenomeno della concessione di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. meglio descritto sub a.1), esponevano false informazioni sulla situazione patrimoniale della società, anche con riferimento ai requisiti prudenziali di vigilanza; - esponevano false informazioni circa i volumi (ed il relativo controvalore complessivo) delle azioni B. realmente scambiate nell'anno 2012 e nel primo quadrimestre 2013 nell'ambito del mercato secondario (in contropartita diretta della Banca, ed a valere sull'apposito Fondo Acquisto Azioni Proprie) al netto delle operazioni di acquisto compiute tramite i finanziamenti appositamente concessi dalla stessa B. in applicazione della prassi descritta sub a.1), ed occultavano lo squilibrio tra il controvalore complessivo (felle domande di assegnazione e delle domande di cessione del medesimo titolo, la persistente situazione di significativo ritardo e di rilevante mancate evasione (per numero e controvalore) delle richieste di vendita di azioni B. provenienti dai soci; in modo idoneo a indurre in errore gli investitori, cui era impedito di acquisire notizie utili al conseguimento di un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati economici e sulle prospettive della stessa Banca, nonché sui prodotti finanziari oggetto di offerta. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In Vicenza, in data 10 giugno 2013 Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. 1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., e 173-bis D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni proprie come descritta sub a.1), e partecipando consapevolmente al processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale e compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B., e partecipando consapevolmente al processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predette prassi, e partecipando consapevolmente alla predisposizione del contenuto dei prospetti; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predispostone dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite della struttura aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti correlati, attività condotta anche nella prospettiva della adozione di aumenti di capitale di sopperire alle carenze patrimoniali; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabile della società, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili e nella predisposizione delle segnalatone e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza, e partecipando alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; allo scopo di conseguire un ingiusto profitto per la Banca predetta, nei prospetti richiesti per la offerta al pubblico di adoni di nuova emissione relativa alle operazioni di aumento di capitate realizzate nel corso del 2014 (c.c. Aucap e Mini Aucap), con l'intenzione di ingannare i destinatari dei prospetti medesimi, - occultando la sussistenza, l'entità e gli effetti del fenomeno della concessione di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. meglio descritto sub a.1), esponevano false informazioni sulla situazione patrimoniale della società, anche con riferimento ai requisiti prudenziali di vigilanza; - esponevano false informazioni circa i volumi (ed il relativo controvalore complessivo) delle azioni B. realmente scambiate nell'anno 2013 e nel primo quadrimestre 2014 nell'ambito del mercato secondario (in contropartita diretta della Banca, ed a valere sull'apposito Fondo Acquisto Azioni Proprie) al netto delle operazioni di acquisto compiute tramite i finanziamenti appositamente concessi dalla stessa B. in applicazione della prassi descritta sub a1) ed occultavano lo squilibrio tra il controvalore complessivo delle domande di assegnazione e delle domande di cessione del medesimo titolo" la persistente situazione di significativo ritardo e di rilevante mancata evasione (per numero e controvalore) delle richieste di vendita di azioni B. provenienti dai soci; in modo idoneo a indurre in errore gli investitori, cui era impedito di acquisire notizie utili al conseguimento di un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati economici e sulle prospettive della stessa Banca, nonché sin prodotti finanziari oggetto di offerta. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi., m.1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110, 112, n. 1, c.p. e 2638 co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche in riferimento alle imputazioni di cui alla richiesta di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 RGNR - Mod. 21, (allegata al presente Avviso) in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione Della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione coatta amm.va), società a capo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, e della Banca Centrale Europea ai sensi del Regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di numerosi finanziamenti finalizzati air acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie (operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito, per talune operazioni formalizzato per iscritto), attuata al fine di rappresentare alle Autorità di Vigilanza, ai soci ed al mercato, una falsa situazione patrimoniale e di adeguatezza rispetto ai requisiti prudenziali di vigilanza della Banca stessa; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallalo la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. Srl, operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attualo concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase dì istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazioni e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea, nell'ambito dello svolgimento dell'esercizio di valutazione approfondita (c.d. "Comprehensive Assessment") previsto dall'art. 33, par. 4, del Regolamento (UE) n. 1024/2013 cit. ed oggetto della Decisione della Banca centrale Europea del 4 febbraio 2014 i) durante l'attività ispettiva compiuta dalla Banca d'Italia presso la sede sociale nel periodo marzo/agosto 2014 (consistita nel c.d. "Asset Quality Rewiev") occultavano con mezzi fraudolenti e, comunque, omettevano di dare comunicazione, - dell'esistenza di numerosi finanziamenti concessi a terzi soggetti, finalizzati all'acquisto di azioni B. sul mercato secondario e/o alla sottoscrizione delle medesime azioni in sede di operazioni di aumento di capitale, per un controvalore complessivo di circa Euro 728 mln (che, nel corso della medesima ispezione, aumentava sino al maggiore importo di circa 6 886 min, per effetto di nuove operazioni compiute durante il periodo di svolgimento della verifica), operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito e conseguente estinzione dell'affidamento (per talune operazioni formalizzato per iscritto); - dell'esistenza di lettere rilasciate a favore di terzi soggetti, contenenti l'impegno da parte della Banca al riacquisto delle azioni B. e/o la garanzia di un determinato rendimento dell'investimento; mezzi fraudolenti consistiti nel materiale nascondimento delle lettere contenenti l'impegno al riacquisto delle azioni B. e/o la garanzia di rendimento dell'investimento sopra indicati, nella indicazione nella documentazione interna relativa agli affidamenti correlati sopra indicati di una causale diversa da quella reale e nella mancata rilevazione nella contabilità aziendale aia della correlazione tra affidamenti ed acquisto delle azioni proprie, sia delle garanzie e/o impegni di cui alle lettere sopraindicate; ii) esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B., - (a seguito della richiesta della Banca d'Italia, formulata con Nota datata 9.6.2014 - il 590133/14 di compilare un "questionario... (Preliminary Capital Plan)" contenente "informazioni idonee a valutare, distintamente per i vari annali di raccolta (interni ed esterni) l'ammontare aggiuntivo di capitale e di strumenti di ATI che potrebbero essere ottenuti in tempi rapidi (6 o 9 mesi) per fronteggiare eventuali shortfall" precisando "sia le operazioni già pianificate o in corso di attuazione, sia le misure aggiuntive che potrebbero essere perfezionate in caso di necessità entro i termini sopra indicati") nella Comunicazione datata 20.6.2014 ove erano indicati, quali interventi di rafforzamento patrimoniale realizzabili celermente, il "rimborso anticipato in azioni del prestito obbligazionario 2013-2018 convertibile di tipo soft mandatory... per un importo di euro 253 milioni e "l'incremento di CET" per effetto degli aumenti di capitale attualmente in corso per un importo totale di euro 673 milioni, di cui euro 608 milioni di aumento in opzione ai soci", omettendo di rappresentare che la sottoscrizione del suddetto prestito obbligazionario 2013-2018 e delle azioni dì nuova emissione nell'ambito dell'Aucap 2014 erano parzialmente avvenute mediante la concessione di finanziamenti correlati secondo la prassi sopra descritta; - nelle comunicazioni trasmesse alle Autorità di vigilanza nell'ambito dell'esercizio di "stress test", contenenti l'indicazione, contrariamente al vero, di ratios patrimoniali e dell'ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quelli reali, a causa della mancata considerazione, quale cimento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 886 mln; - nel Capital Plan comunicato in data 10.11.2014, relativo alle misure programmate per la copertura del deficit di capitale emerso all'esito dell'esercizio di "stress test" (nello scenario avverso, pari a Euro 223 mln), contenente l'indicazione, contrariamente al vero, dell'ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 886 mln, ed omettendo di precisare che la sottoscrizione del prestito obbligazionario 2013-2018 e delle azioni di nuova emissione nell'ambito dell'Aucap 2014 erano parzialmente avvenute mediante la concessione di finanziamenti correlati secondo la prassi sopra; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea medesime, le quali, conseguentemente, non davano luogo, neppure in sede ispettiva, ad approfondimenti conoscitivi, e la BCE valutava idonee le misure di rafforzamento patrimoniale indicate da B. per fare fronte alla deficienza emersa all'esito del c.d. "Comprehensive Assessment" ed all'esito del Processo di revisione e valutazione prudenziale per l'anno 2014 stabiliva (con la relativa decisione SREP) requisiti prudenziali non coerenti con la reale situazione patrimoniale della stessa B. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati di cui alla richieda di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 R.G.N.R. - Mod. 21 cit., e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), dal marzo ad agosto 2014 (con riferimento alla attività ispettiva) e nel mese di (...) (con riferimento alla decisione SREP) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) m.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n, 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em. in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub m.1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), dal (...) (con riferimento alla attività ispettiva) e nel mese di (...) (con riferimento alla decisione SREP) SO.SA. (stralciato ad altro procedimento) e GI.EM. n.1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 c.p. e 2638, co. II e III, c.c., perché, in concorso tra loro, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso rispetto al capo che precede ed alle imputazioni di cui alla richiesta di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 R.G.N.R. - Mod. 21 (allegata al presente Avviso), - SO.SA. in qualità di direttore generale, - GI.EM., in qualità di vice direttore generale responsabile della divisione mercati, della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a.), società sottoposta alla vigilanza della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa ai sensi del D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, con riferimento alla operazione di aumento di capitale compiuta nel periodo 12.5/8.8.2014, avente in oggetto una offerta in opzione agli azionisti ed ai possessori di obbligazioni convertibili di azioni ordinarie di nuova emissione e di obbligazioni nominative (e anche una offerta al pubblico indistinto dell'eventuale inoptato), a seguito della richiesta di dati e notizie di CONSOB datata 16.5.2014, nella successiva interlocuzione con la medesima Autorità di Vigilanza, comunicavano, contrariamente al vero (condotta materiale di So.Sa., quale firmatario delle missive, compiuta d'intesa con Gi.Em.), i) nella Nota datata 23.5.2014, - la decisione assunta dalla Banca "di astenersi, con riferimento all'Offerta in opzione, dalla prestazione di raccomandazioni personalizzate all'investimento" e, pertanto, del "divieto di prestare qualsivoglia attività consulenziale a favore dei titolari del diritto di opzione"; - l'adozione da parte della Banca "allo scopo di dare effettività alla menzionata prescrizione interna ed evitare forme surrettizie di raccomandazione personalizzata all'investimento... " di "modalità specifiche di adesione all'offerta idonee a contenere occasioni di contatto diretto tra gli addetti alla rete ed i titolari del diritto di opzione" (costituite, "a seguito della comunicazione informativa" neutra da parte della Banca contenente indicazione delle "caratteristiche principali dell'operazione e le modalità richieste per l'adesione", dalla preventiva manifestatone di interesse alla sottoscrizione da parte degli interessati "accedendo ad una apposita sezione del sito internet della Banca" oppure tramite l'invio per posta di un modulo prestampato, preventivamente trasmesso agli aventi diritto in allegato alla suddetta comunicazione informativa preliminare); - che la Banca si sarebbe astenuta dalla erogazione di finanziamenti finalizzati alla sottoscrizione di azioni B., essendo questa possibilità limitata all'operazione di aumento di capitale riservato a nuovi soci e finalizzato all'ampliamento della base sociale (c.d. "mini Aucap"); ii) nella Nota datata 4.7.2014, che - erano "immutate le modalità di offerta in opzione, agli azionisti ed ai possessori di obbligazioni convertibili... " e, nel fornire i dati relativi all'andamento della operazione, che l'offerta in opzione aveva registrato adesioni da parte di 20.448 clienti, tutte perfezionate ad "iniziativa cliente", con valutazione positiva della appropriatezza nella misura del 83,9%; iii) nella Nota 15.10.2014, - che l'unica operatività effettuata nell'ambito dell'Offerta in opzione, era quella ad "iniziativa cliente"; - che tutti i 29,364 sottoscrittori "aventi diritto" avevano aderito all'offerta previa valutazione di appropriatezza, il cui esito era stato positivo nella misura del 82% circa; - che (nella unita Nota di osservazioni della funzione di Compliance), "la Banca ha inteso presidiare il rischio di consulenze surrettizie prevedendo un meccanismo volto a fare in modo che il contatto tra banca e clienti titolari del diritto di opzione si stabilisse solo in seguito ad una comunicazione preliminare"; e omettevano dunque, di rappresentare alla Commissione medesima, la realizzazione da parte della Banca, sino dal febbraio 2014 (e, dunque, prima dell'approvazione del prospetto previsto dall'art. 94, D.L.vo n. 58/98 cit.), di una strutturata azione commerciale finalizzata alla promozione della partecipazione all'aumento di capitale e concretizzatasi in consigli personalizzati di investimento, cosi ostacolando consapevolmente le funzioni di vigilanza della CONSOB, cui era conseguentemente impedita l'emanazione degli opportuni provvedimenti e l'adozione delle pertinenti iniziative di Vigilanza. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante, ai sensi dell'art. 116, D.L.vo n. 58/98 cit. ed allo scopo di occultare i reati di cui alla richiesta di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 R.G.N.R. - Mod. 21 cit., e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Banca (...) n. 2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e punito dagli artt. 5, lett. a) e b), 6, e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, in relazione al reato indicato sub e.l) commesso da - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a.), - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale, responsabile della divisione mercati, della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a.), in concorso tra loro, in difetto di un modello di organizzazione idoneo (comunque non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie di quello verificatosi, e nell'interesse ed a vantaggio della stessa BANCA (...) S.c.p.a., consistiti nel rafforzamento patrimoniale dell'ente perseguito ed attuato con l'operazione dì aumento di capitale compiuta nel corso dell'anno 2014. In (...), in data (...) CONCLUSIONI PEL PROCURATORE GENERALE: Con riferimento agli appelli proposti dagli imputati ZO., MA. e PI. chiede dichiararsi l'improcedibilità con riguardo alle fattispecie medio tempore prescritte, con conseguente rideterminazione della pena, come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022, Per il resto chiede confermarsi la sentenza. Con riferimento all'appello proposto dall'imputato GI. chiede affermarsi la penale responsabilità del predetto, ad eccezione delle fattispecie medio tempore prescritte, quantificando la pena richiesta come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022 previo riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di prevalenza. Con riferimento all'appello proposto da B. in L.c.a. chiede ridursi l'entità della sanzione ex art. 12 comma 2 lett. a) D.Lgs. 231/2001 nella misura massima della metà, come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022, con irrogazione, per l'effetto, della sanzione pecuniaria nella misura di euro 324.000,00= e conferma nel resto. Con riferimento, infine, agli appelli proposti dal Pubblico Ministero nei confronti degli imputati PE. e ZI. chiede affermarsi la penale responsabilità dei predetti, ad eccezione delle fattispecie medio tempore prescritte, quantificando le pene richieste come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022 previo riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di equivalenza. CONCLUSIONI PELLE PARTI CIVILI: Il difensore della parte civile Banca d'Italia, Avv. St.Ce., conclude chiedendo che la Corte rigetti gli appelli degli imputati Gi., Ma., Pi. e Zo. e confermi la sentenza per quanto riguarda le statuizioni civili a favore delta Banca d'Italia, inclusa la conferma della condanna in solido alla provvisionale. In accoglimento degli appelli della Pubblica Accusa, proposti contro gli imputati Pe. e Zi., chiede estendersi ai medesimi le statuizioni civili in favore della Banca d'Italia e per l'effetto la loro condanna in solido al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale da liquidarsi in separato giudizio, con condanna a una provvisionale pari a quella stabilita in primo grado. Per il resto conclude come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022. Il difensore della parte civile CONSOB, Avv. Va.Ci., in sostituzione dell'Avv. Deborah Spedicati, chiede la conferma dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato Gi. per il reato di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza svolte da CONSOB, contestato nel capo d'imputazione NI, e la conferma delle statuizioni civili pronunciate in favore della stessa CONSOB, con condanna al pagamento delle spese per questo grado dì giudizio. Si richiama per il resto alla memoria depositata all'udienza del 23.9.2022. Il difensore delle parti civili, Avv. Pa.Ci. (67), chiede l'accoglimento delle conclusioni scritte depositate all'udienza del 23.9.2022. Il difensore delle parti civili, Avv. Re.Be. (24), si associa alle conclusioni della Procura Generale e si riporta alle conclusioni scritte depositate all'udienza del 23.9,2022. Il difensore delle parti civili, Avv. Be.Ca. (55), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede raccoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Be.Ca., in sostituzione dell'Avv. Br.Ba. (16), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. El.Ce. (62), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. El.Ce., in sostituzione dell'Avv. Ca.Sp. (205), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimene deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ro.Pa. (163), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ca.Ma. (140), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delie parti civili, Avv. Ca.Ma., in sostituzione dell'Avv. Ni.D'A. (80), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ez.Co. (72), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ez.Co., in sostituzione dell'Avv. An.Bu. (42), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ez.Co., in sostituzione dell'Avv. Na.De. (84), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Si.Ba. (13), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9,2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. Ve.Bo. (40), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9,2022, e ne chiede raccoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. An.Ca. (44), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. Ma.Ma. (139), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. Gi.Vi. (219), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede raccoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Fa.Pa. (160), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Fa.Pa., in sostituzione dell'Avv. Da.Tr. (211), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9,2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Pi.Ce. (63), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Do.Bo., in sostituzione dell'Avv. St.An. (7), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Do.Bo., in sostituzione dell'Avv. Lu.Be. (22), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Do.Bo., in sostituzione dell'Avv. Al.Le. (127), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23,9,2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Mo. (156), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Sa., in sostituzione dell'Avv. Pi.Lu. (136), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. El.Ce., in sostituzione dell'Avv. Ra.Di. (92), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Si dà altresì atto che all'udienza del 23.9.2022 le parti civili sotto elencate, su invito del Presidente e con l'accordo delle parti, hanno depositano le rispettive conclusioni scritte con allegate note spese, alle quali si riportano integralmente chiedendone l'accoglimento: (omissis) Il difensore delle parti civili, Avv. Fr.Ra., in sostituzione dell'Avv. An.Fi. (105), dichiara di non presentare conclusioni scritte dei propri assistiti e di riportarsi alle conclusioni già depositate in primo grado, chiedendone l'accoglimento, senza ulteriore deposito, CONCLUSIONI DELLE DIFESE MA., PI. e ZO.: Chiedono in principalità l'assoluzione dei rispettivi assistiti, avanzando richieste subordinate come da rispettivi atti di appello e motivi nuovi successivamente depositati, giusta conclusioni rispettivamente rassegnate alle udienze del 28.9.2022 (ZO.), del 30.9.2022 (MA.) e del 5.10.2022 (PI.), alle quali si riportano. CONCLUSIONI DELLA DIFESA GI.: Dichiara di rinunciare espressamente a tutti i motivi enunciati nell'atto di appello tranne che ai motivi nn. II, III, XIII, XX (quest'ultimo peraltro reso oggetto di rinuncia implicita, come da verbale d'udienza 23.9.2022, quanto alla svolta eccezione di nullità della sentenza), XXI, XXII e XXIII. Quanto al trattamento sanzionatorio invoca la rideterminazione in senso più favorevole come da verbale d'udienza 23.9.2022. CONCLUSIONI DELLA DIFESA ZI.: Conclude per l'accoglimento del proprio appello e per il rigetto di quello del Pubblico Ministero, come da verbale d'udienza 5.10.2022. CONCLUSIONI DELLA DIFESA PE.: Conclude chiedendo il rigetto dell'appello del Pubblico Ministero e la conferma della sentenza di assoluzione, come da verbale d'udienza 30.9.2022. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. La sentenza Con sentenza 19.3.2021, il Tribunale di Vicenza: - dichiarava Gi.Em., Ma.Pa., Pi.An. e Zo.Gi. responsabili, nelle qualità dai predetti rispettivamente rivestite all'interno della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in LCA.), dei reati, siccome loro rispettivamente ascritti in rubrica (il capo NI era ascritto, fra essi, al solo GI.), di aggiotaggio ex artt. 81 co. 2, 110, 112 nr. 1 c.p., 2637 c.c. (reato di cui al capo A1, commesso in Vicenza nel periodo successivo al 27.4,2013 e sino al 2015, in occasione della pubblicazione dei bilanci di esercizio degli anni 2013 e 2014), di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza ex artt. 81 co. 2, 110, 112 nr 1 c.p., 2638 co. II, III c.c., aggravato dalla natura di società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116 D.L.vo 58/98 (capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, M1, N1, posti in essere in Vicenza, dal maggio del 2012 all'anno 2015, nelle date di cui ai rispettivi capi di imputazione), di falso in prospetto, ex artt. 61 nr. 2, 81 co. 2, 110, 112 nr. 1 c.p., 173 bis D.L.vo 58/98 (capi I ed L, posti in essere, in Vicenza, rispettivamente, il 10 giugno del 2013 ed il 9 maggio del 2014) e, esclusa l'aggravante di cui all'art. 112 nr. 1 c.p., riconosciute a tutti gli imputati le attenuanti generiche in regime di equivalenza rispetto alle residue aggravanti contestate ed unificati detti reati sotto il vincolo della continuazione, ritenuto più grave il delitto di cui al capo H1, condannava: - Gi.Em. alla pena di anni sei e mesi tre di reclusione; - Ma.Pa. e Pi.An. alla pena di anni sei di reclusione ciascuno; - Zo.Gi. alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali. Dichiarava i predetti imputati interdetti dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. Disponeva nei confronti dei medesimi la confisca per equivalente sino a concorrenza dell'importo di euro 963.000.000. - Dichiarava non doversi procedere nei confronti degli stessi imputati, con riferimento ai reati di aggiotaggio di cui al capo A1 (limitatamente alle condotte contestate fino alla data del 27.4.2013), perché estinti per prescrizione. - Condannava i suddetti imputati, nei termini seguenti, al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili: - Gi.Em., Ma.Pa., Pi.An. e Zo.Gi. erano condannati al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili private di cui all'elenco allegato alla sentenza (con esclusione, relativamente agli imputati GI. e MA., del risarcimento in favore delle parti private Al.Br., Lo.Al., Lo.Da., Lo.Tr., Pi.So. e To.La.), con rimessione delle parti innanzi al giudice civile per la relativa liquidazione, nonché al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute da dette parti; - Gi.Em., Ma.Pa., Pi.An. e Zo.Gi. erano condannati al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile Banca d'Italia, con rimessione delle parti innanzi al giudice civile per la relativa liquidazione, nonché al pagamento di una provvisionale in favore della medesima parte, pari ad euro 601,017,39 oltre che al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute dalla stessa parte civile; - Gi.Em. era condannato al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile CONSOB, con rimessione delle parti innanzi al giudice civile per la relativa liquidazione, nonché al pagamento di una provvisionale in favore di detta parte nella misura dì euro 186.570,00, oltre che al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute dalla stessa parte avite. - Assolveva Pe.Ma. e Zi.Gi. dai reati loro ascritti perché il fatto non costituisce reato. - Dichiarava, inoltre, Banca (...) in L.C.A. responsabile degli illeciti amministrativi dipendenti da reato alla stessa ascritti (illeciti di cui ai capi A2, B2, C2, D2, E2, F2, G2, H2, M2, N2, posti in essere nel periodo dal 2012 al 2015, come specificato nelle relative imputazioni di riferimento) e, riconosciuta l'attenuante ex art. 12, co. II, lett. a) D.L.vo 231/01 ed applicata la disciplina della pluralità di illeciti ex art. 21 D.L.vo cit., condannava detto ente al pagamento della sanzione pecuniaria di euro 364.000,00, oltre al pagamento delle spese processuali, disponendo inoltre, nei confronti del medesimo ente, la confisca della somma di euro 74.212.687,50. - Disponeva, con riferimento alla posizione di Zo.Gi., la trasmissione degli atti al P.M. in relazione all'ipotesi di reato contestata sub capo N1; - Dichiarava improcedibile la domanda risarcitoria avanzata nei confronti del responsabile civile Banca (...) in L.C.A. 1.1 Gli addebiti L'affermazione di penale responsabilità attiene alle vicende emerse a seguito dell'ispezione avviata dalla squadra inviata presso l'istituto di credito vicentino dalla BCE nel febbraio del 2015 in relazione a irregolarità emerse nella gestione dell'attività d'impresa bancaria, irregolarità rappresentate: - dal sistematico ricorso della banca al sostegno finanziario concesso ai clienti/soci per l'acquisto di azioni proprie sul mercato primario e su quello secondario; - dal rilascio, in favore dei soci, di lettere con le quali l'istituto assumeva l'impegno al riacquisto delle azioni ovvero forniva garanzie di rendimento dei titoli; - dagli "storni" di interessi, autorizzati dagli organi di vertice dell'istituto onde neutralizzare i costi dei finanziamenti all'uopo erogati dalla Banca; - dagli investimenti di consistenti risorse in fondi esteri poi utilizzati, almeno in parte, per la detenzione indiretta dì azioni proprie. Tali anomalie operative, per effetto dei provvedimenti adottati all'esito dell'ispezione BCE del febbraio del 2015, avevano generato un impatto negativo sotto il profilo patrimoniale, stimato in circa un miliardo di euro di deduzioni dal patrimonio di vigilanza, come confermato dalla stessa banca verificata nella relazione semestrale del 30.6.2015 e, quindi, nel bilancio d'esercizio 2015. Ne era seguita anche l'iscrizione di rettifiche relative a crediti deteriorati per circa 1,3 miliardi di euro. Quindi, nel 2016, la banca aveva deliberato un piano di rafforzamento patrimoniale che tuttavia non era andato a buon fine (con particolare riferimento all'aumento di capitale, previsto nella consistente misura di 1,5 miliardi, tanto che il Fondo (...) aveva rilevato la proprietà dell'istituto sottoscrivendo aumenti di capitale per complessivi 2,3 miliardi). Di qui la dichiarazione, da parte della BCE, dello stato di dissesto o di rischio di dissesto e, successivamente, ravvio della procedura di LCA, decisa con decreto del Ministro dell'Economia del 25.6.2017. Con sentenza 21.12.2018, poi, il tribunale di Vicenza aveva dichiarato lo stato di insolvenza dell'istituto di credito. E' in questo contesto di crisi - successivamente sfociato, come appena precisato, nella dichiarazione dello stato di insolvenza - che si inscrivono le condotte di aggiotaggio manipolativo ed informativo, di ostacolo alla vigilanza della Banca d'Italia, della BCE e (quanto al solo imputato GI.) della CONSOB, nonché di falso in prospetto, condotte che costituiscono (oltre agli illeciti amministrativi contestati all'ente Banca (...) in L.C.A.) gli addebiti ritenuti provati nella pronunzia del tribunale di Vicenza. In particolare gli imputati, nelle loro rispettive qualità di esponenti di vertice dell'istituto bancario, avrebbero posto in essere una serie di azioni coordinate finalizzate alla manipolazione del mercato, attraverso una artificiosa rappresentazione di una solidità patrimoniale della banca in realtà inesistente e della liquidità del titolo azionario, mediante la sistematica concessione di assistenza finanziaria ai clienti per l'acquisto di azioni della banca, l'omessa iscrizione a bilancio della riserva indisponibile pari all'importo del valore delle azioni finanziate ed il mantenimento di un valore sovradimensionato del suddetto titolo (aggiotaggio manipolativo). Avrebbero, altresì, diffuso informazioni mendaci (prevalentemente attraverso la emissione di comunicati stampa indirizzati al mercato ed ai soci) inerenti alla situazione della banca, alla liquidità del titolo azionario e al pieno successo delle operazioni di aumento di capitale effettuate negli anni 2013 e 2014 (aggiotaggio informativo). Inoltre avrebbero posto in essere condotte di ostacolo alla vigilanza ai danni della Banca d'Italia e della BCE occultando la sistematica attività di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie e in tal guisa impedendo l'adozione di tempestivi piani di vigilanza coerenti con la reale situazione della banca, conseguendo, inoltre, l'autorizzazione alla classificazione delle azioni di nuova emissione come strumenti di capitale primario di classe 1 e superando positivamente, infine, il Camprehensive Assessment (ovverosia l'esercizio di valutazione approfondita con il quale la BCE aveva verificato lo stato di salute delle principali banche europee) con l'effetto di accedere al Meccanismo Unico di Vigilanza. Il solo GI., poi, avrebbe ostacolato la vigilanza della CONSOB in relazione all'aumento di capitale 2014, omettendo la rappresentazione delle operazioni commerciali finalizzate alla promozione dell'aumento di capitale in questione. Ulteriori condotte delittuose poste in essere dagli imputati, infine, sarebbero state quelle di falso in prospetto in relazione alla predisposizione e diffusione dei prospetti informativi inerenti alle offerte al pubblico di azioni di nuova emissione e di obbligazioni convertibili in azioni all'atto degli aumenti di capitale degli anni 2013 e 2014. Nell'occasione, infatti, per un verso, sarebbero state occultate le informazioni inerenti al fenomeno dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie; e, per altro verso, sarebbero state comunicate informazioni fuorvianti in merito all'andamento del mercato secondario delle azioni stesse. Nel complesso si sarebbe trattato di condotte tutte avvinte da un evidente nesso di strumentalità in quanto sistematicamente ispirate dalla medesima intenzione, da un lato, di creare un'apparenza di liquidità del titolo azionario e, dall'altro, di accreditare la solidità patrimoniale dell'istituto di credito. Solo in quest'ottica, del resto, nella prospettiva d'accusa, sarebbero interpretabili le condotte dei singoli imputati, altrimenti del tutto prive di senso, posto che le corrette attività di appostazione della riserva di bilancio e di scomputo del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza avrebbero reso prive di ogni effetto le operazioni correlate. Di qui la contestazione della responsabilità concorsuale degli imputati. 1.2 Il compendio probatorio Il giudizio di penale responsabilità scaturiva dalla valutazione coordinata di un panorama probatorio assai vasto e composito, segnatamente costituito da elementi di natura testimoniale (deposizioni degli agenti operanti, di ex dirigenti dell'istituto di credito, nonché di funzionari e dipendenti della banca, di clienti, ecc.) e documentale (e-mail, documenti contabili, verbali del CdA, piani industriali, ecc.), dagli esiti di operazioni di intercettazione telefonica, nonché dalle conclusioni cui erano pervenute approfondite attività di ispezione; conclusioni, queste ultime, che erano state dapprima documentate attraverso l'acquisizione delle relative relazioni e, quindi, confermate e precisate in sede di escussione dibattimentale degli ispettori e dei funzionari di vigilanza. Inoltre un rilievo significativo, nella ricostruzione dei fatti, era dal primo giudice assegnato anche all'approdo cui era pervenuta la meticolosa attività di ricostruzione di quegli aspetti della gestione aziendale rilevanti ai fini della compiuta comprensione delle reali dinamiche e della esatta portata del fenomeno delle operazioni di capitale finanziato siccome effettuata dai consulenti tecnici del P.M.. Costoro, in effetti, avevano ripercorso, attraverso uno scrupoloso vaglio della notevole mole della documentazione disponibile, tutte le singole operazioni giungendo ad una precisa quantificazione del fenomeno; quantificazione, peraltro, sostanzialmente allineata, seppure per difetto, ai dati indicati dalla stessa banca nella Relazione sulla Gestione dei bilanci 2015-2016 (euro 1086,9 mln). Le indagini della GdF, poi, avevano consentito di riscontrare le evidenze ispettive e di delineare compiutamente il contributo fornito dai singoli imputati. Infine, anche la relazione ex art 33 L.f. - nella quale erano stati compendiati gli esiti di un accurato esame dei bilanci e degli indici di redditività, efficienza e solidità patrimoniale, nonché dei margini di struttura essenziale dell'istituto di credito - aveva rappresentato un prezioso contributo (peraltro convergente con le ulteriori risultanze processuali) per l'esatta comprensione del fenomeno del capitale finanziato. 1.3 La competenza Il tribunale, dopo avere premesso che la questione della competenza territoriale avrebbe dovuto essere valutata alla stregua delle indicazioni contenute nell'imputazione nonché delle allegazioni delle parti unicamente relative al fatto storico siccome stigmatizzato nell'imputazione medesima (fatta salva l'ipotesi - espressamente esclusa dal primo giudice - che dal capo di incolpazione emergessero macroscopici errori, immediatamente rilevabili come tali), ribadiva la competenza territoriale dell'a.g. vicentina, siccome già affermata (in sede di udienza preliminare e, quindi, negli atti preliminari al dibattimento), ritenendo le eccezioni difensive inammissibili e, comunque, infondate. Sotto il primo profilo il tribunale di Vicenza, per un verso, richiamava il contenuto della decisione della Corte di Cassazione (Cass. Sez. I, nr. 15537/2018 del 7.12.2017, dep. 6.4.2018) che - già investita della questione a seguito di conflitto negativo sollevato dal GIP di Milano - aveva in tal senso deliberato, la trama argomentativa della quale veniva dal primo giudice puntualmente ripercorsa; per altro verso evidenziava il difetto di fatti nuovi idonei a superare tale decisione (posto che il capo di incolpazione, medio tempore, non aveva subito sostanziali modifiche), concludendo, quindi, per la vincolatività della decisione medesima. In ogni caso, sotto il secondo profilo (quello dell'infondatezza delle eccezioni di incompetenza), il tribunale respingeva le ricostruzioni difensive che individuavano in Roma il luogo di commissione del più grave reato contestato sub B1, trattandosi del luogo nel quale aveva sede la Banca d'Italia e ove, pertanto, detto istituto aveva ricevuto il rendiconto ICAAP (Internal Capital Adequacy Assessment Process), al momento della ricezione (ovvero della valutazione) del quale - sempre secondo le prospettazioni difensive -, atteso il contenuto asseritamente decettivo del documento in questione, si sarebbe verificato l'evento di ostacolo. Ciò in ragione del fatto che la falsa informazione - sub specie di "occultamento fraudolento" - contenuta in tale documento non rientrava affatto nel perimetro dell'imputazione di riferimento; imputazione che - precisava il primo giudice - circoscriveva al periodo ricompreso tra l'inizio e la fine dell'ispezione il momento di commissione delle attività di intralcio alla vigilanza. Assegnare rilievo, sul punto, all'invio del citato documento da parte del coimputato So.Sa. (posizione stralciata e giudicata separatamente), infatti, avrebbe significato modificare indebitamente il capo di imputazione (peraltro inserendovi una condotta che, nella sua materialità, sarebbe stata espressione di una differente modalità di aggressione al bene giuridico presidiato dalla fattispecie incriminatrice), con conseguente contestazione di un fatto nuovo. Più nel dettaglio il tribunale non condivideva le osservazioni difensive, le quali: - da un lato evidenziavano come il capo di imputazione sub B1, là dove faceva riferimento all'occultamento o, comunque, alla mancata comunicazione di informazioni, necessariamente ricomprendesse, tra le comunicazioni "fuorvianti", anche la suddetta comunicazione ICAAP (sulla base della quale, del resto, l'ente incaricato della vigilanza aveva determinato l'oggetto dell'attività ispettiva che di lì a poco avrebbe svolto presso la sede dell'istituto vigilato); - dall'altro lato contestavano che dall'indicazione del tempus commissi delicti siccome precisato in imputazione potessero desumersi effetti decisivi in ordine alla delimitazione del perimetro dell'imputazione, trattandosi di indicazione - espressione dell'avvenuta, censurabile selezione, da parte del P.M., di una sorta di "finestra temporale" non corrispondente alle evidenze disponibili - non certo prevalente, sempre secondo le difese, rispetto alla descrizione del fatto siccome esposto nel capo di imputazione medesimo. Ad avviso del primo giudice, invero, la prospettazione d'accusa era chiara nell'individuare l'oggetto dell'addebito nelle condotte poste in essere nel corso dell'attività ispettiva, condotte rispetto alle quali l'invio della citata comunicazione ICAAP costituiva un fatto autonomo, estraneo a quello contestato sub B1 e neppure preso in considerazione come antecedente causale delle medesime condotte incriminate. Conclusivamente, l'eccezione di incompetenza territoriale, avanzata in relazione all'asserito rilievo da assegnarsi, sul punto, alla citata comunicazione ICAAP, oltre ad essere inammissibile per difetto di sopravvenienze rilevanti ex art, 25 c.p.p. (l'addebito di riferimento essendo rimasto inalterato rispetto all'imputazione provvisoria valutata dalla citata Cass. 15537/2018), era comunque infondata. Infine, neanche poteva sostenersi la competenza territoriale dell'a.g. milanese, pure prospettata da talune difese facendo leva sulle contestazioni di falso in prospetto di cui ai capi I ed L della rubrica. Si era in presenza, infatti, di reati puniti con pena edittale inferiore rispetto a quella prevista per il reato ex art. 2638 c.c., siccome nella specie aggravato ai sensi del comma terzo. In effetti, il raddoppio delle pene previsto dall'art. 39 co. 1 L. 262/05 non poteva ritenersi applicabile alla fattispecie in esame, in quanto modificata, anche in punto di trattamento sanzionatorio, dal medesimo intervento legislativo, come arguibile dalla ratio di detto intervento, quale ricavabile tanto dal tenore della disposizione ex art. 39, co. 3 L. cit., quanto dai relativi lavori preparatori. In ogni caso - e fermo, comunque, il principio di irretrattabilità del foro commissorio sancito dall'art. 25 c.p.p., - anche i reati di cui ai predetti capi I ed L erano stati commessi in Vicenza, presso la sede della banca vicentina, all'atto della pubblicazione dei prospetti informativi, tale essendo il momento consumativo del reato (e non già in Milano, sede della CONSOB, presso la quale detti prospetti erano stati depositati per l'approvazione). Donde la conferma della competenza del tribunale berico. 1.4 Il patrimonio di vigilanza e l'acquisto di azioni proprie: quadro normativo di riferimento Il tribunale, dopo avere esplicitamente richiamato il quadro normativo in ordine alla vigilanza informativa, regolamentare ed ispettiva sul settore bancario ed avere puntualmente delineato nozione e caratteristiche del "patrimonio di vigilanza" (nella sua accezione più ampia rispetto al semplice "patrimonio aziendale", in quanto ricomprendente, oltre al capitale sociale e alle riserve, anche gli strumenti di natura non strettamente patrimoniale ma rappresentanti "canali di patrimonializzazione"), precisava come, alia stregua delle disposizioni in materia, il "patrimonio di vigilanza" dovesse necessariamente corrispondere quantomeno all'ammontare del patrimonio interno assorbito dalle attività bancarie, in ragione della funzione assegnatagli di copertura dei rischi di mercato, operativo e di credito. Quindi, richiamati gli indici di riferimento per la valutazione delia capacità degli istituti di credito di sostenere le proprie attività in presenza dei rischi tipici ed evocata, altresì, la più recente disciplina di riferimento, il primo giudice precisava come il patrimonio di vigilanza complessivo dovesse intendersi costituito dalla somma algebrica tra il "patrimonio di base o capitale di classe 1" (Tier 1) e il "patrimonio supplementare o capitale di classe 2" (Tier 2), intesi come insieme di risorse capaci di assorbire le perdite, rispettivamente, in condizioni di continuità di impresa, ovvero di stato di crisi-In un siffatto contesto - proseguiva il tribunale - l'attività di vigilanza della Banca d'Italia assolveva, tra l'altro, alla funzione di valutare se gli strumenti finanziari emessi dagli istituti di credito fossero o meno computabili come strumenti di capitale primario, con la precisazione che, tra gli strumenti destinati ad essere integralmente dedotti dal capitale primario, rientravano certamente gli investimenti in azioni proprie (ivi comprese quelle che la banca fosse stata contrattualmente obbligata ad acquistare), e questo all'evidente fine di evitare il doppio computo del capitale. Con specifico riferimento al periodo interessato dalle imputazioni (2012-2015), poi, il giudice di prime cure puntualizzava come la composizione del patrimonio di vigilanza fosse disciplinata dalle Circolari della Banca d'Italia n. 263 del 27.12.2006 e n. 155 del 18.12.1991, circolari che, identificando il patrimonio di vigilanza come la somma algebrica tra il patrimonio di base (Tier 1) e il patrimonio supplementare (Tier 2), al netto delle deduzioni, esigevano che il rapporto tra il Tier 1 ed il totale delle esposizioni creditizie ponderate non dovesse essere inferiore al 4,00% e che il patrimonio di vigilanza, inteso come la somma di patrimonio di base Ver 1 e patrimonio supplementare Tier 2, dovesse essere almeno pari all'8% delle attività ponderate per il rischio. La Circolare n. 263/2006, poi, non prevedeva alcuna autorizzazione della Banca d'Italia per la computabilità delle azioni proprie nel patrimonio di vigilanza. Inoltre, a decorrere dal 2014, la disciplina di riferimento era costituita dal regolamento UE n. 575/2013 (Capital Requirements Regulation - CRR) e dalla Circolare della Banca d'Italia n. 286 del 17 dicembre 2013, con l'effetto che alla nozione di patrimonio di vigilanza era subentrata quella di "fondi propri" (costituiti dalle tre componenti: CET1, Additional Tier 1 e Tier 2), Secondo il CRR le banche avrebbero dovuto disporre di un requisito di capitale primario di classe 1 (CET) pari al 4,5% dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio, di un requisito di capitale di classe 1 (Tier 1) pari al 6% dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio e, infine, di un patrimonio di vigilanza totale (patrimonio di base più patrimonio supplementare) pari all'8% dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio. Ciò posto, il primo giudice, con riferimento al tema dell'acquisto delle azioni proprie da parte di un istituto di credito, richiamava i limiti progressivamente sempre più stringenti introdotti sul punto, oltre alle specifiche condizioni legittimanti le autorizzazioni in materia da parte dell'autorità di vigilanza, sottolineando come il principio dell'obbligatoria deduzione dal patrimonio di vigilanza delle azioni riacquistate fosse rimasto immutato nel tempo, trattandosi di principio (nel periodo 2006-2013 previsto dalle citate circolari della Banca d'Italia, come progressivamente aggiornate) essenziale per la tutela dei terzi, posto che, nel momento in cui la banca finanziava l'acquisto di azioni proprie, l'apporto patrimoniale era destinato ad assumere carattere fittizio, inidoneo a incrementare il patrimonio destinato alla copertura di rischi e perdite aziendali. E, in proposito, il primo giudice delineava puntualmente il regime prudenziale previsto successivamente all'1.1.2014, regime nel cui ambito rilevava anche il processo interno di autodeterminazione dell'adeguatezza patrimoniale che gli istituti di credito erano chiamati ad effettuare e di cui avrebbero dovuto comunicare gli esiti alfa Banca d'Italia attraverso una apposita comunicazione (ICAAP) - la responsabilità della quale era rimessa agli organi societari di amministrazione e di controllo - destinata ad illustrare le caratteristiche di tale processo. Era proprio il resoconto ICAAP - proseguiva il tribunale - a consentire all'organo di vigilanza di effettuare una valutazione completa (destinata a concludersi con l'attribuzione di un punteggio ricompreso tra 1 e 5) delle caratteristiche qualitative fondamentali (attraverso un'attività di supervisione denominata SREP/Supervisory Review Evaluation Process, caratterizzata anche da un confronto diretto tra organo di vigilanza ed istituto vigilato). 1.5 La ricostruzione dei fatti. 1.5.1 L'ispezione della BCE del febbraio 2015 ed i riscontri all'analisi BCE. In ordine all'ispezione BCE del febbraio 2015 - avviata dopo che una serie di evidenze (ivi compresa la pubblicazione, a ottobre del 2014, di un articolo sul quotidiano "Il Sole 24 Ore", a firma Cl.Ga., nel quale si era fatto espresso riferimento proprio al tema del finanziamento delle azioni) avevano fatto emergere come la B. avesse riacquistato azioni proprie in difetto della previa autorizzazione alla vigilanza - il Tribunale precisava che detta ispezione, svoltasi dal febbraio al luglio del 2015, aveva effettivamente dimostrato il diffuso ricorso da parte dell'istituto di credito ad operazioni di assistenza finanziaria ai soci per l'acquisto di azioni proprie; azioni che, proprio in quanto acquistate con finanziamenti concessi dall'emittente, non avrebbero dovuto essere conteggiate nel patrimonio di vigilanza (ovverosia nei "fondi propri", secondo la terminologia adottata dall'art. 28, par. 1, lett. B, CRR). Sulla base, in particolare, della puntuale deposizione dell'ispettore Em.Ga. (responsabile del team della vigilanza), il primo giudice ricostruiva dettagliatamente natura, svolgimento ed esiti dell'ispezione in questione. Ebbene, si era trattato di una ispezione sul rischio di mercato, finalizzata, nell'ordine: - a verificare eventuali fenomeni di assistenza finanziaria relativi alle operazioni di aumento di capitale; - a controllare la corretta valutazione del prezzo delle azioni; s ad analizzare, infine, le operazioni di investimento nei fondi lussemburghesi sottoscritti alla fine del 2012 dalla banca vigilata. L'arco temporale di riferimento assunto dagli ispettori era stato quello tra il 1.1.2014 ed il 28.2.2015. Il c.d. "mini aucap", poi, non era stato incluso nell'accertamento perché, in tale occasione, la banca aveva effettuato operazioni dì taglio piccolo (6250 euro/100 azioni) per le quali aveva espressamente previsto la possibilità di finanziamento da parte dello stesso istituto di credito, con corretta deduzione delle azioni acquistate dal patrimonio di vigilanza. Per il mercato secondario, poi, erano state analizzate tutte le operazioni per un controvalore superiore ai 250.000 euro. Quanto alla metodologia operativa seguita per intercettare le operazioni di capitale finanziato erano stati adottati criteri dì tipo quantitativo e qualitativo. Sotto il primo profilo erano state tracciate le operazioni caratterizzate da "una relazione forte" tra ammontare finanziato e sottoscritto (nel senso che il "finanziato" avrebbe dovuto essere superiore al "sottoscritto", sia con riferimento alle operazioni "full", ovverosia quelle in cui l'intero finanziamento era stato utilizzato per l'acquisto delle azioni; sia a quelle cc.dd. "fifty-fifty", ovverosia nelle quali solo una parte del finanziamento era stato impiegato per l'acquisto dei titoli). In ordine al dato temporale erano stati analizzati, in relazione al mercato primario, solo i finanziamenti concessi nel "periodo sospetto", ricompreso tra la data di inizio del collocamento e il giorno della consegna del titolo al cliente (c.d. delivery date), pari a circa tre mesi. Diversamente, in ordine al mercato secondario, erano state analizzate tutte le operazioni di acquisto in cui i finanziamenti erano stati erogati nei tre mesi antecedenti (posto che dai colloqui avuti con Se.Ro., addetto all'ufficio soci, gli ispettori avevano appreso che la tempistica media seguita dalla banca per evadere un ordine di acquisto di azioni non superava, per t'appunto, ì 90 giorni circa). In ogni caso - precisava il tribunale - gli ispettori avevano verificato che, generalmente, ì finanziamenti erano risultati concessi pochi giorni prima dell'esecuzione dell'ordine di acquisto. Altri elementi considerati ai fini ispettivi erano stati l'analisi dei conti, quasi tutti caratterizzati da bassissima operatività, nonché la valutazione delle P.E.F., (ovverosia le pratiche elettroniche di fido), risultate costantemente connotate dall'indicazione di causali estremamente generiche e ripetitive e, pertanto, ritenute sintomatiche di "operazioni eccentriche". Inoltre, anche la circostanza che le operazioni fossero "operazioni in bianco" (ovverosia prive di garanzia) costituiva una prassi anomala rispetto ai normali standard creditizi di sana e prudente gestione del portafogli creditizio di una banca. Quindi, con specifico riferimento agli esiti dell'ispezione, il tribunale illustrava le seguenti evidenze: a) l'esistenza di capitale finanziato per un importo complessivo di 506 milioni, capitale che, proprio in quanto oggetto di finanziamento, avrebbe dovuto essere detratto dal patrimonio di vigilanza; b) il rilascio di lettere di impegno collegate ad acquisti sul mercato secondario (peraltro non registrate nella contabilità aziendale né rappresentate nei documenti di bilancio) con le quali l'istituto si era vincolato al rimborso del capitale investito dagli azionisti nella banca, A fine ispezione, in relazione a tali lettere di impegno (la scoperta delle quali - precisava il tribunale sulla scorta della deposizione del teste Em.Ga. - aveva rappresentato un vero e proprio punto di svolta nell'ispezione, trattandosi della prova documentale della consapevolezza, da parte del management, del carattere finanziato dell'acquisto delle azioni), l'istituto era stato costretto a dedurre dal CET 1 circa 21 milioni di euro; c) il fenomeno degli storni di interessi alla clientela fonde tenerla indenne dei costi derivanti dal finanziamento correlato all'acquisto delle azioni). In alcuni casi si era trattato di storni non "baciati" da finanziamenti e, pertanto, sintomatici di un comportamento concludente dell'azienda finalizzato a riconoscere al cliente un corrispettivo per il possesso delle azioni, con conseguente accrescimento dei rischi legale e reputazionale a carico dell'azienda medesima. Peraltro la pratica degli "storni" aveva generato un vincolo sul rendimento delle azioni tale da precluderne la computabilità nel patrimonio di vigilanza; d) la sopravvalutazione del valore dell'azione, valore deciso a monte dal CdA senza considerare i dati fondamentali dell'azienda sotto il profilo economico-patrimoniale; profilo, in effetti, caratterizzato da risultati economici modesti; e) lo squilibrio del mercato secondario delle azioni, in quanto connotato da una marcata asimmetria tra ordini di acquisto e ordini di vendita (572,5 milioni contro 1.000.000,000, nel periodo gennaio 2013 - dicembre 2014); asimmetria, peraltro, risultata all'origine proprio del ricorso al capitale finanziato, quale strumento per contrastare l'illiquidità del titolo; f) l'investimento per euro 350,000.000 nei fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)" ad esposizione sconosciuta, effettuato in modo non prudente né trasparente. Si trattava, in effetti, di fondi ad esposizione non comunicata, dei quali, sostanzialmente, B. era sottoscrittore unico (sicché, più che di fondi, si era in presenza di una gestione patrimoniale delle risorse dell'istituto di credito). Né i dirigenti della banca avevano fornito delucidazioni agli ispettori sulla natura degli investimenti in detti fondi se non a seguito della comunicazione che la mancata disclosure avrebbe comportato lo scomputo dell'intero importo di 350 milioni di euro dal patrimonio di vigilanza. Solo a quel punto, infatti, erano stati comunicati gli investimenti sottostanti ed era così emerso non solo che detti fondi avevano investito in asset in buona parte legati allo stesso istituto di credito ma, soprattutto, che i fondi medesimi erano stati lo strumento utilizzato per l'acquisto di azioni proprie, nel 2012, per un importo di 60 milioni di euro (in luogo di quello dichiarato di 54 milioni circa), titoli poi dismessi al 31 dicembre del 2014; g) l'esistenza della società di diritto irlandese B.Fi., utilizzata anche per alcune rilevanti operazioni di capitale finanziato (operazioni relative, segnatamente: a) alla campagna "svuota fondo" 2012, tradottasi nell'acquisto dì azioni proprie, per il valore complessivo di 30 milioni di euro, per il tramite delie società italiane denominate Pe., Gi. e Lu., all'uopo provviste del relativo capitale unicamente grazie ai bonifici effettuati in favore di esse dalle tre loro controllanti lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., a loro volta finanziate da B.Fi.; b) alla dismissione delle azioni proprie detenute dai fondi lussemburghesi "(...)" ed "(...)" ed acquistate, per una rilevante percentuale, dalla società So. Ltd. a mezzo di un finanziamento erogatole dalla predetta società di diritto irlandese B.Fi.). In definitiva - precisava il primo giudice - gli esiti cui era pervenuta l'attività ispettiva avevano generato un impatto deflagrante sul patrimonio di vigilanza dell'istituto di credito, comportandone la riduzione per un valore di 607 milioni di euro (come da tabella riassuntiva riportata a pag. 288 della sentenza impugnata). Ne era seguita la predisposizione di un radicale piano di rafforzamento del capitale, onde consentire alla banca di rientrare immediatamente nei parametri richiesti dalla BCE. Nondimeno, nel prosieguo, la verificata impraticabilità degli interventi necessari a ripristinare la corretta operatività dell'istituto ne aveva imposto la liquidazione coatta amministrativa. Quindi, in ordine alla capacità probatoria da riconoscersi, nei limiti delineati dalla giurisprudenza di legittimità, agli accertamenti ispettivi, il tribunale precisava che tale capacità derivava, segnatamente, dalla competenza del personale dell'organo di vigilanza; dalla imparzialità propria dì tale organo (le cui valutazioni, del resto, avevano determinato un nuovo assetto di governance dell'istituto di credito); dalla coerenza, infine, tra gli esiti dell'ispezione e quanto verificato dai consulenti del P.M.. Peraltro anche il dott. Fe.Pa., consulente della difesa dell'imputato PE., aveva rimarcato il carattere "profondamente innovativo" e metodologicamente "ineccepibile" dei criteri seguiti dal team ispettivo nel corso della vigilanza, sottolineando anche la natura prudenziale dell'accertamento (sottostimato) che ne era derivato in punto di quantificazione del fenomeno del capitale finanziato. Inoltre - precisava il tribunale - numerosi erano stati i riscontri all'analisi della BCE. Trattavasi: a) dello squilibrio del mercato secondario, siccome manifestatosi a partire dal 2011 (squilibrio che, in difetto del ricorso al finanziamento delle azioni, avrebbe portato al "blocco della liquidità" già dal secondo trimestre del 2012; b) delle dichiarazioni di numerosi esponenti del management aziendale (segnatamente: i testi Fi.Ro., responsabile dell'Ufficio Soci, e Se.Ro., addetto allo stesso Ufficio Soci, i quali avevano rievocato l'incremento della richiesta di vendita delle azioni a partire dagli anni 2011/2012 e l'abbandono del relativo criterio cronologico a decorrere dallo stesso 2011; il teste Co.Tu., il quale aveva riferito che già dal 2009 erano state effettuate "operazioni svuota fondo" - rivolte cioè ad azzerare il fondo acquisto azioni proprie della banca - a ridosso della fine dell'anno per abbellire il bilancio; il teste Ma.Ba., il quale aveva dichiarato che dalla metà del 2011 aveva iniziato a sentire parlare di "operazioni K", finanziamenti correlati e operazioni c.d. "baciate" nel corso delle riunioni della Divisione Mercati con i capi area; l'ex direttore generale dal 2001 al 2005 e dal 2008 all'ottobre 2011, Di.Gr., il quale aveva confermato le tensioni sul mercato a causa della scarsità di domande di acquisto delle azioni, tensioni da lui fronteggiate rivolgendosi a investitori istituzionali che avevano comprato azioni B. con intesa verbale di riacquisto); c) degli appunti del segretario generale Ma.So. relativi alle operazioni c.d. "baciate", dal medesimo teste definite come operazioni sulle quali, dietro indicazione dei vertici aziendali, occorreva "spingere" per aumentare il capitale; d) degli ulteriori riscontri documentali in ordine all'andamento asimmetrico del mercato secondario (in particolare la e-mail di cui al documento nr. 166 e l'appunto di cui al documento 881 prodotti dal P.M. - cfr. pag. 304 della sentenza impugnata); e) delle attività "svuota fondo", attuate anche attraverso le operazioni c.d. "baciate" (per un importo stimato dai CCTT del P.M., con riferimento all'anno 2012, pari a 287 milioni di euro), delle quali avevano complessivamente riferito svariati testi (segnatamente i testi Fi.Ro., En.Da., Gi.Ca., Ma.Ba., Co.Tu. e Fr.Pi.); f) delle stesse dichiarazioni rese, nel corso del suo esame, dall'imputato Gi.Zi. (il quale aveva riferito che alla fine del 2012, attraverso la sua società Ze. s.r.l. aveva acquistato azioni dell'istituto di credito per "dare una mano alla banca" e consentire lo sblocco di richieste di vendita inevase); g) della ricostruzione del fenomeno del capitale finanziato siccome effettuata dall'Internal audit (e compendiata nel documento nr. 22 prodotto dal P.M.); h) delle dichiarazioni dibattimentali del teste Ro.Ri., gestore private di Contrà Porti (il quale aveva riferito delle modalità di attuazione delle operazioni più consistenti di capitale finanziato - i cc.dd. "big ticket" -caratterizzate da un arco temporale ristretto di 6/12 mesi e dalla corresponsione di un compenso variabile tra lo 0,50% e il 2%); i) delle articolate modalità di occultamento delle operazioni correlate, costituite, segnatamente: dal divieto di comunicazioni scritte (come riferito dai testi Co.Tu., Al.Cu. e Gi.Gi.; il teste Fr.Te., dal canto suo, aveva parlato di un eccesso di riservatezza al riguardo); dall'utilizzo di formule generiche nelle causali degli affidamenti (in particolare "cogliere opportunità di investimento sul mercato mobiliare e/o immobiliare") tali da occultare all'esterno - ma, al contempo, da rendere immediatamente riconoscibili all'interno - le operazioni correlate; dal distanziamento temporale tra il fido e l'acquisto delle azioni; dalla cura prestata nell'evitare l'assoluta coincidenza di importo tra finanziamento ed azioni acquistate; e, infine, dall'inserimento nel portafoglio titoli dei clienti anche di azioni diverse; j) dell'esistenza delle lettere di impegno (l'Internal audit ne aveva censite in numero di 65); k) degli "storni" di interessi, siccome verificati anche dalle attività di audit (il documento richiamato era quello nr. 18 della produzione del P.M.) e oggetto di deposizione testimoniale (segnatamente, le deposizioni di Da.Es., funzionario addetto al "Risk Management", nonché quelle di Co.Tu., di Gi.Ca. e di Lu.Ve.); l) delle modalità seguite per il collocamento delle azioni quali evidenziate, ancora, dalla relazione di audit (modalità costituite: dall'acquisto con mezzi propri a fronte della promessa di una remunerazione proveniente dal pagamento dei dividendi, associata all'eventuale plusvalenza del prezzo dell'azione con eventuali scostamenti compensati attraverso storni di competenze non giustificati; dall'acquisto con mezzi propri di azioni B. per circa il 50% dell'importo disponibile e sottoscrizione per la parte rimanente di un time deposit a tasso di favore, in linea di massima del 4%, acquisto, questo, proposto a partire dal 2013; da finanziamenti "baciati" con storno competenze/spese e rendimento garantito, con durata, in genere, di 6/12 mesi; da fidi per "operazioni K" concessi a clienti cui era proposto un affidamento per ragioni proprie del cliente e con erogazione condizionata alla sottoscrizione di almeno il 10% dell'operazione per acquisto di azioni proprie; operazione, questa, poi estesa anche alle posizioni con fidi a revoca da revisionare su clienti individuati in tabulati forniti dalla Divisione Mercati; dall'acquisto di azioni proprie proposto in occasione di affidamenti su clientela con rating compreso tra 1 e 5 per il retati (ovverosia per i singoli clienti) e tra 1 e 6 per il corporate (ovverosia per le imprese); m) dei riscontri dibattimentali in ordine alla prassi adottata dai vertici dell'istituto per dare attuazione alle operazioni correlate con l'obiettivo di raggiungere, sia in occasione dei nuovi finanziamenti che nelle procedure di rinnovo, il rapporto del 10% tra il capitale sottoscritto e l'importo erogato. Dalle dichiarazioni dei testi, invero, era emersa la forte pressione praticata sulla rete aziendale per la conclusione delle operazioni "baciate" (deposizioni Al.Ba., Gi.Gi., Co.Tu., Ma.Ni., Di.Ip., Al.Cu.) al punto tale che alcuni collaboratori, come i private banker An.Vi. e Fr.Te., avevano rassegnato le dimissioni (il Te. proprio sul rilievo della contrarietà etica rispetto alle operazioni di capitale finanziato). Il verbale di conciliazione successivo alle dimissioni del Te., peraltro, aveva previsto l'inserimento di una clausola di riservatezza. Anche i bollettini sindacali acquisti nel corso del dibattimento, infine, avevano comprovato, così come le e-mail parimenti acquisite, le pressioni per il raggiungimento degli obiettivi di capitale assegnati (cfr. pagg. 317-318 della sentenza); n) delle dichiarazioni dibattimentali rese da clienti di rilievo (cfr. dep. Lo., Fe., Mo., Ro., To., Ti., Ma., Ca., Ma., Br., Ca., Gi. e Si.Ra.) che avevano concluso le operazioni aventi ad oggetto i "big ticket', là dove costoro avevano concordemente delineato lo schema operativo di riferimento (operazione a termine/apertura conto corrente dedicato/remunerazione variabile tra lo 0,5% e l'1%); o) delle dichiarazioni rese dall'ispettore Gi.Ma. (confermate dalla testimonianza del direttore regionale B. della Lombardia, della Liguria e del Piemonte, Gi.Gi. e dal direttore di B.Fi. Pi.Ra.) con specifico riferimento alle modalità operative seguite per realizzare lo "svuota fondo" del 2012 attraverso la società controllata irlandese B.Fi. per il tramite delle tre società italiane Pe., Lu. e Gi., all'uopo provviste -come detto sopra - del relativo capitale unicamente grazie ai bonifici effettuati in favore di esse dalle tre loro controllanti lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., a loro volta finanziate, per l'appunto, da B.Fi.; p) dell'operazione di acquisto di un'importante frazione delle azioni B. già detenute dai fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)", effettuata dalla società So. Ltd. per l'importo di 25 milioni di euro, secondo quanto emerso dalle stesse risultanze delle attività di revisione interna nonché dal contenuto delle deposizioni dibattimentali, ivi compresa quella di Iorio Francesco, amministratore delegato e d.g. di B. dal 1.6.2015 al 4,12,2016; questi aveva confermato come, di fatto, i suddetti fondi esteri fossero stati utilizzati sia per acquistare in origine azioni della banca sia per effettuare investimenti in società riconducibili a soggetti già finanziati dall'istituto (investimenti, questi ultimi, che, generando un rischio aggiuntivo, avrebbero imposto che fosse seguito un iter autorizzativo ben diverso, con competenza al rilascio del benestare da parte del CdA - cfr. pagine 325-329 della sentenza); q) delle dimissioni del private banker An.Vi., generate dalle pressioni ricevute per concludere le operazioni "baciate" e dall'atteggiamento dilatorio assunto dal d.g. Sa.So. a seguito delle conseguenti richieste di approfondimento della vicenda provenienti dal responsabile dell'audit Ma.Bo. (cfr. deposizione Vi. e documentazione di riferimento); r) della denunzia del fenomeno degli acquisti correlati effettuata, nel corso dell'assemblea del 26 Aprile 2014, dal socio Ma.Da. e della conseguente inerzia degli organi societari; s) delle anomalie riscontrate in occasione della revisione legale del bilancio della banca da parte della società K. in punto di adeguatezza patrimoniale con particolare riferimento alle operazioni fatte in contestualità, anomalie che avevano indotto la responsabile dell'ufficio legale interno a sollecitare l'esecuzione di un apposito audit ottenendo, tuttavia, un fermo diniego da parte del d.g. So. e di Pi.An., responsabile della Divisione Finanza (il quale ultimo aveva replicato: "Ma sei matta! Un audit? Se facciamo un audit andiamo tutti a casa" - cfr. deposizione An.Pa., responsabile dell'ufficio legale interno); t) del contenuto del file audio (ritenuto dal tribunale utilizzabile, trattandosi di documento registrato dagli addetti informatici a ciò deputati e non già di abusiva registrazione effettuata da ignoti, donde il rigetto della relativa eccezione avanzata dal difensore dell'imputato MA.) inerente allo svolgimento dei lavori del Comitato di Direzione del 10.11.2014. Tale registrazione aveva inequivocabilmente documentato tanto l'esistenza del fenomeno delle operazioni "baciate" quanto l'approntamento di strategie per occultare tale fenomeno alla vigilanza (cfr. pagg. 335-336 della sentenza); u) dell'allestimento della "Task Force gestione soci" che, nelle intenzioni dei vertici della banca, avrebbe dovuto approntare, in extremis, una strategia difensiva in relazione ai diversi profili di irregolarità emersi nel corso degli accertamenti ispettivi e favorire l'assunzione di una posizione comune a fronte delle sempre più pressanti richieste da parte dei clienti, dei reclami relativi al deprezzamento delle azioni e del rischio di fuga dei correntisti. Era stata proprio la questione, emersa sin dalle prime interlocuzioni, del fenomeno del capitale finanziato, peraltro di dimensioni notevolissime (pari a un miliardo di euro, secondo il teste Ma.Li.) che, di fatto, aveva impedito alla Task Force di esplicare qualsivoglia concreta attività (cfr. deposizione del teste Gi.Am.; e-mail di cui ai documenti nn.ri 525, 528 del P.M:); v) della quantificazione del capitale finanziato chef determinata dall'audit interno, su incarico BCE, nella misura di euro 941.335.883 e riferita a nr. 917 posizioni correlate, era poi stata fissata dalla società Er. (all'esito di una accurata ricostruzione del fenomeno, a partire dall'anno 2008, che aveva visto coinvolti il personale della Divisione Mercati ed i singoli capi area, questi ultimi richiesti di confermare/integrare i dati che andavano emergendo) nella misura di euro 1.086.892.062; w) della relazione redatta ex art. 33 l.f. dai commissari giudiziali che avevano individuato le cause del dissesto dell'istituto di credito, segnatamente: nella fissazione di un prezzo delle azioni sovrastimato (anche a causa della predisposizione di piani economico-finanziari mirabolanti, se non addirittura fantasiosi e per l'effetto dell'ausilio di professionisti incuranti dei dati utilizzati per le loro stime e valutazioni); nel massiccio ricorso alle operazioni correlate; nell'effettuazione di operazioni non strettamente riconducibili all'attività di erogazione del credito alla clientela bensì consistenti in investimenti in altre società, partecipazioni, ovvero in OICR (Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio) quali i fondi lussemburghesi (che avevano anche agito da "società veicolo" per operazioni "back to back") e, quindi, in definitiva, in operazioni eccessivamente speculative, rischiose o addirittura illecite; nella continua pratica di sollecitare il mercato azionario stimolando gli acquisti di azioni proprie grazie ai finanziamenti correlati, occultando le perdite e sovrastimando i titoli; e, infine, nella decisione di celare il continuo peggioramento della qualità del credito attraverso la sottostima delle rettifiche e l'occultamento delle perdite a bilancio. 1.5.2 La consulenza tecnica dei P.M. Assoluto rilievo, nella ricostruzione dei fatti, era dal primo giudice assegnato agli esiti della consulenza tecnica disposta - nel corso delle indagini - dagli inquirenti. In particolare i consulenti dott.ssa La.Ca. e prof. Ro.Ta., all'esito di una valutazione analitica della documentazione a disposizione riferibile a ciascuno dei 965 clienti che erano stati segnatati per avere operato tramite finanziamento - valutazione, peraltro, fondata sull'adozione di un approccio prudenziale (caratterizzato, per evitare duplicazioni nel caso di finanziamenti indiretti, dall'attribuzione all'organo deliberante il finanziamento del controvalore di uno solo degli acquisti) - avevano evidenziato: con riferimento al fenomeno dei finanziamenti correlati (quesito nr. 1): - che dei 965 clienti segnalati solamente 91 non erano stati finanziati da B., sicché le posizioni finanziate erano pari a nr. 874; - che l'ammontare degli acquisti finanziati era pari a complessivi 1.031,6 milioni di euro (per un totale di azioni B. acquistate tramite finanziamento pari a 15.426.391), di cui euro 963 milioni riferiti ad acquisti di azioni B. ed euro 68 milioni riferiti a sottoscrizioni di prestito obbligazionario convertibile; - che la quota prevalente degli acquisti era riferibile a operazioni finanziate da B. (essendo imputabili alle controllate B.Fi. e Ba.Nu., rispettivamente, acquisti per euro 55,4 milioni e per euro 5,2 milioni); - che, quanto all'aumento di 506 milioni di euro di capitale effettuato nel 2013, la banca aveva finanziato il 28% dell'operazione, per un valore complessivo di euro 143 milioni; - che, quanto all'aumento di capitale nell'anno 2014 per euro 607,8 milioni, l'ammontare finanziato era stato di 136 milioni (pari al 22%); - che nel 64% degli acquisti il rapporto tra finanziamento e acquisto delle azioni era risultato pari o superiore al 90%; - che, quanto all'ammontare del valore dei titoli suddiviso per ciascun organo deliberante in relazione al periodo oggetto di indagine (30.6.2012-31-3.2015), al CdA andava "attribuito" un valore di euro 414.193.319 (pari al 35% delle delibere relative a finanziamenti correlati); al Comitato Crediti un valore di euro 160-029.069 (pari al 13% delle delibere relative a finanziamenti correlati); al responsabile Divisione Crediti, Ma.Pa., un valore di euro 108.418.754 (pari al 9% delle delibere relative a finanziamenti correlati); al responsabile della Divisione Mercati, Gi.Em., un valore di euro 32.941.194; al Comitato Esecutivo un valore di euro 63.196.606; al Comitato Centrale Fidi, infine, un valore di euro 49.936.575; con riferimento al fenomeno della vendita delle azioni con patto di riacquisto (quesito nr. 2): - che tale fenomeno si era concretizzato nel rilascio di lettere in favore di 14 azionisti, trattandosi dei soggetti nei confronti dei quali la banca si era incontrovertibilmente impegnata al riacquisto delle azioni, il tutto per un valore complessivo di 46,6 milioni di euro (le restanti lettere non erano state prudenzialmente considerate in quanto contenenti un impegno "più debole", ovvero perché mai consegnate agli azionisti); con riferimento alla determinazione del patrimonio di vigilanza e del livello dei coefficienti patrimoniali prudenziali (quesito nr. 3) : - che, doverosamente detratti dall'ammontare del patrimonio di vigilanza (ovvero dall'ammontare dei "fondi propri", secondo la terminologia introdotta dal CRR), quale comunicato dalla Banca all'organo di vigilanza, tanto l'importo complessivo degli acquisti di azioni B. effettuati dai clienti considerati finanziati, quanto l'ammontare degli impegni al riacquisto di azioni ritenuti effettivamente vincolanti e prudenzialmente diminuite anche le attività ponderate per il rischio (RWA) del medesimo ammontare (sul rilievo che le operazioni di finanziamento non sarebbero state ragionevolmente poste in essere se non per il raggiungimento dello scopo in questione), la differenza tra il Total Capital Ratio comunicato e quello rettificato andava da un minimo di 1,16% a un massimo del 3,4% (31.3.2015). Inoltre: il CET 1 ratio rettificato al 31.3.2014 (6,63%) ed al 30.6.2014 (6,24%) si attestava a un livello inferiore alla soglia minima regolamentare del 7%; il Tier 1 Ratio rettificato si attestava ad un livello inferiore rispetto alla soglia target comunicata alla Banca d'Italia, pari all'8%, per tutto il periodo 30.6.2012-31.12.2013 (valore minimo 6,32%, valore massimo 7,34%); per il Total Capital Ratio, infine, il dato rettificato al 31.3.2014 (8,51%), al 30.6.2014 (7,94%), al 30.9.2014 (9,57%), al 31,12.2014 (8,47%) e, infine, al 31,3,2015 (8,51%), si posizionava costantemente sotto la soglia minima regolamentare del 10,5%. con riferimento all'effetto distorsivo del fenomeno di assistenza finanziaria all'acquisto di azioni sul funzionamento ed andamento del mercato secondario (quesito nr. 5): - che il fenomeno del ricorso al capitale finanziato - risultato massiccio in coincidenza della fine dell'anno, con conseguenti, repentine diminuzioni del fondo acquisto azioni proprie - aveva comportato una profonda distorsione del mercato. In effetti la dettagliata ricostruzione delle dinamiche di acquisto dei titoli sul mercato secondario aveva reso evidente come il ricorso ai finanziamenti degli acquisti di azioni avesse consentito alla banca di mantenere il funzionamento del mercato secondario solo fino al 2012, A partire dall'anno successivo, infatti, l'istituto non era più stato in grado di garantire la liquidità del titolo; con riferimento alla stima del valore dell'azione (quesito nr. 4): - che il prof. Ma.Bi. (l'esperto incaricato della stima del sovrapprezzo delle azioni) aveva basato il suo giudizio sui criteri, rispettivamente, reddituale (c.d. Income Approach), di mercato (c.d. Market Approach) e del costo (c.d. Cost Approach). Il CdA dell'istituto, dal canto suo, nel determinare il valore del titolo aveva assegnato rilievo pressoché esclusivo al criterio reddituale (Income Approach). Peraltro, l'assemblea, nel triennio di riferimento, aveva approvato il valore dell'azione allineandosi al valore massimo calcolato dal predetto professionista con riferimento al parametro in questione. Ebbene, l'approccio del prof. Bi. non era condivisibile in quanto non conforme alle raccomandazioni della dottrina e della prassi professionale, avendo comportato una sopravvalutazione del capitale economico di B. nel periodo 31.12.2012 - 31.12.2013. Quanto all'anno successivo, sebbene il professionista avesse preso atto di una riduzione del valore del titolo, si era comunque in presenza di una sovrastima dell'azione, in considerazione degli effettivi risultati economici consuntivi dell'attività dell'istituto e del marcato disallineamento con le quotazioni di borsa delle principali banche italiane. Pertanto, doverosamente considerato il fenomeno del capitale finanziato, era stato necessario procedere ad effettuare una nuova stima del capitale economico della banca e, quindi, del valore delle azioni, sia non rettificando gli RWA sia operando tale rettifica (ricostruzione, quest'ultima, più favorevole agli imputati). Il risultato era stato, in entrambi i casi, quello di una significativa riduzione di valore del titolo, stimato nei seguenti termini: al 31.12.2012 tra euro 21,94 e euro 22,49 (a fronte dì un valore determinato dal prof. Bi., rettificato per il capitale finanziato, stimabile tra 55,77 euro e 56,31 euro); al 31.12.2013 tra euro 26,78 ed euro 27,45 (a fronte di un valore determinato dal prof. Bi., rettificato per il capitale finanziato, stimabile tra 54,40 e 55,05 euro); al 31.12.2014 tra euro 23,87 ed euro 24,94 (a fronte di un valore determinato dal prof. Bi., rettificato per il capitale finanziato, stimabile tra 41,68 euro e 42,70 euro). In definitiva, secondo il tribunale, i consulenti del P.M., avevano compiuto una ricostruzione dei fenomeni analizzati esaustiva e affidabile in quanto espressione di metodologia ispirata a prudenza; ricostruzione, peraltro, significativamente coerente con il perimetro già tracciato dagli ispettori BCE. In particolare ì consulenti avevano verificato che gli acquisti di azioni e obbligazioni fossero avvenuti attingendo, in tutto o in parte, a risorse fornite dalla banca mediante un nuovo affidamento concesso prima dell'operazione, ovvero mediante l'impiego di eventuali preesistenti erogazioni non ancora utilizzate. Inoltre avevano rispettato la normativa prudenziale in materia. In particolare la riprova dello scrupolo che aveva guidato l'azione dei consulenti era costituita dal fatto che i predetti avessero espunto ben 91 posizioni rispetto al numero di operazioni finanziate originariamente individuati dall'Internai audit. La diversa quantificazione del capitale finanziato compiuta dagli ispettori BCE, poi, era essenzialmente dipesa dal differente arco temporale oggetto di verifica (sul punto il tribunale, a pagina 380 della sentenza, riportava una tabella sinottica). Gli esiti di consulenza, inoltre, erano risultati coerenti con il materiale probatorio acquisito, non solo di tipo testimoniale ma anche documentale (davvero inequivoco, sul punto, ad avviso del primo giudice, era il contenuto della registrazione audio della seduta del Comitato di Direzione del 10 novembre 2014, là dove il d.g. So. aveva affermato espressamente "...abbiamo fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare..."). Né, del resto, i consulenti delle difese avevano proposto una quantificazione alternativa del fenomeno del capitale finanziato in esame, sostanzialmente essendosi limitati a sostenere come i cc.tt. del P.M. avessero effettuato una stima in eccesso. Per converso emergevano dati inequivoci del fatto che si fosse trattato di una stima prudenziale, attuata per difetto. A riscontro di ciò il Tribunale richiamava la vicenda dell'operazione finanziata conclusa con la El. (operazione avente un valore, ad avviso dei consulenti, di 17 milioni di euro ma ammontante, secondo il teste Pi.Ca., a ben 20 milioni di euro). Infine, neppure le ulteriori censure difensive erano fondate ad avviso del primo giudice. In particolare, nella prospettiva del tribunale, era errata la tesi secondo la quale l'obbligo di detrazione dal capitale di vigilanza avrebbe presupposto l'esistenza di un "nesso teleologico" tra il finanziamento erogato e l'acquisto delle azioni (tesi che i consulenti delle difese ZO. e ZI. ancoravano alla circolare n. 263/2006 della Banca d'Italia). In effetti la ratio della normativa prudenziale - precisava il primo giudice - era quella di tutelare l'effettiva integrità del patrimonio aziendale, sicché non era affatto sostenibile un'interpretazione tale da rimettere alla volontà dei contraenti l'individuazione delie operazioni di finanziamento destinate all'acquisto delle azioni, esponendo a scontate elusioni le regole poste a presidio dell'integrità del patrimonio dì vigilanza. In realtà tutta la normativa di riferimento (a partire dalla circolare di Banca d'Italia n. 155/91 fino al Regolamento UE 575/13 e, ancora, al Regolamento UE 241/14) assegnava rilievo unicamente al dato oggettivo dell'utilizzo del finanziamento per l'acquisto delle azioni. Parimenti oggettivi, del resto, erano i criteri di cui alla circolare n. 263/2006 evocata dalle difese (contenente, sul punto, disposizioni che suggerivano di porre a confronto elementi meramente oggettivi, quali il dato temporale dell'erogazione del finanziamento e quello dell'acquisto delle azioni, nonché i relativi importi, senza assegnare rilievo alcuno alla finalità perseguita dalle parti). Anche l'ulteriore prospettazione difensiva secondo cui la deduzione del valore del finanziamento dal patrimonio di vigilanza non si sarebbe dovuta effettuare con riferimento all'acquisto di azioni sul mercato secondario (in quanto, in tal caso, la banca, avendo finanziato un cliente dotato di merito creditizio, non si sarebbe esposta al rischio di impresa) era destituita di fondamento. Questo non solo per l'assenza di un regime differenziato (tanto nella normativa comunitaria quanto in quella nazionale) con riferimento agli acquisti sul mercato primario, ovvero secondario, ma, soprattutto, per ragioni logiche. Anche in caso di acquisto di azioni proprie sul mercato secondario, infatti, l'omessa decurtazione del valore delle azioni dal patrimonio di vigilanza avrebbe determinato l'effetto distorsivo di annacquamento di tale presidio di garanzia. Senza considerare, poi, che subordinare alla ponderazione del merito creditizio la computabilità delle azioni finanziate nel patrimonio di vigilanza avrebbe significato, in ultima analisi, rimettere a valutazioni discrezionali l'effettiva entità del patrimonio di vigilanza medesimo. Infine, nella prospettiva del primo giudice, neppure la censura relativa alla mancata specifica considerazione - nel valutare l'esistenza di operazioni correlate - del fattore temporale coglieva nel segno. Questo, solo a considerare il fatto che larghissima parte (circa l'86%) degli acquisti di azioni che, secondo i consulenti del P.M., erano stati finanziati aveva avuto luogo entro novanta giorni dal finanziamento. Conclusivamente, le stime effettuate dai predetti consulenti erano affidabili e semmai peccavano per difetto piuttosto che per eccesso nella quantificazione del fenomeno del capitale finanziato. 1.6 Il reato di aggiotaggio Il tribunale di Vicenza riteneva provata la commissione di una pluralità di reati di aggiotaggio, posti in essere tra l'anno 2012 e l'anno 2015 e concretizzatisi: - nella sistematica concessione di assistenza finanziaria per l'acquisto e la sottoscrizione di azioni della banca onde determinare l'apparenza di liquidità del titolo; nell'omessa iscrizione a bilancio della riserva indisponibile pari all'importo delle azioni finanziate; e, infine, nella mancata comunicazione all'esperto incaricato di stimare il sovrapprezzo delle azioni B. dell'esistenza della prassi del capitale finanziato (aggiotaggio manipolativo): - nella diffusione di mendaci informazioni relative all'entità del patrimonio societario, alla solidità patrimoniale della banca, alla crescita della compagine sociale e al buon esito delle operazioni di aumento di capitale (aggiotaggio informativo. In particolare, dopo una accurata ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, il tribunale, quanto all'ipotesi di "aggiotaggio manipolativo", indicava come simulate le sistematiche operazioni di capitale finanziato effettuate, trattandosi di operazioni, per l'appunto, di natura simulata o, comunque, artificiosa. Simulata, più precisamente, doveva ritenersi tale natura con riferimento alle operazioni di finanziamento per importi corrispondenti al valore delle azioni e caratterizzate non già dal rimborso del finanziamento da parte del cliente bensì dall'impegno (orale, ovvero assunto per iscritto) al riacquisto delle azioni stesse da parte della banca, senza costi per il cliente (e talvolta con un rendimento garantito), essendosi in presenza, in tal caso, di un mutamento solo apparente della titolarità delle azioni, in realtà sempre rimaste nella proprietà della banca (con conseguente rischio derivante dalla fluttuazione del valore del titolo non già in capo al cliente, ma all'istituto di credito), donde una radicale estraneità di siffatte operazioni rispetto all'ipotesi ex art. 2358 c.c.. Analogamente simulate erano anche le operazioni di acquisto di azioni proprie effettuate tramite i fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)", trattandosi - di fatto - di una gestione patrimoniale di risorse interne, attuata al solo fine di svuotare il "fondo acquisto azioni proprie". Artificiosa, con riferimento alle altre operazioni di capitale finanziato, doveva ritenersi la loro natura sia quanto allo scopo (costituito, al solito, dal finanziamento dell'acquisto con risorse della banca) sia quanto alle modalità di gestione del trattamento contabile (in ragione dell'omessa appostazione a riserva del controvalore, dell'omessa decurtazione del patrimonio di vigilanza ed anche dell'occultamento al mercato), il tutto al fine di fare apparire tali acquisti come espressione della dinamica fisiologica di un attivo mercato secondario. Peraltro - precisava il tribunale - era emersa la mancata comunicazione al prof. Bi. (ovverosia all'esperto incaricato della stima del sovrapprezzo delle azioni) della prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni proprie, con l'effetto che detta stima (come, del resto, precisato dallo stesso Bi.) ne era risultata pesantemente condizionata (cfr. pagg. 419-422 della sentenza). Quanto, poi, agli addebiti di "aggiotaggio informativo" costituiti dalla diffusione di notizie false, si trattava - secondo la valutazione del primo giudice, pienamente adesiva, anche sul punto, rispetto all'impostazione d'accusa - di informazioni comunicate con una pluralità di mezzi che, per diffusività e platea dei destinatari di riferimento, erano obiettivamente risultate idonee a raggiungere praticamente tutte le tipologie di operatori. Più nel dettaglio, la falsità era risultata effettivamente attinente: - ai bilanci d'esercizio al 31.12.2012, al 31.12.2013 ed al 31.12.2014, stante la mancata iscrizione di una quota di riserva pari al valore delle azioni proprie; -ai comunicati stampa (taluni dei quali - quelli emessi ex art. 114 TUF - valevoli anche come comunicazioni al pubblico) dell'8.8.2012 diffuso ex art. 114 D.L.vo 58/98 (ove si evidenziavano, in particolare, valori falsati quanto alla solidità patrimoniale del gruppo e al miglioramento della liquidità strutturale, il tutto in un contesto nel quale si rimarcavano l'espansione della rete di vendita, l'incremento della clientela e l'aumento della compagine sociale); del 19.3.2013 (nel quale, comunicandosi i risultati del bilancio di esercizio e consolidato al 31.12.2012, si evidenziavano "Il rafforzamento della posizione di liquidità" e "l'ulteriore incremento della solidità patrimoniale" e si riportava l'entusiastico messaggio del presidente ZO.); del 27.4.2013 (di comunicazione del risultato del bilancio al 31.12.2012, nel quale si sottolineava la stabilità del valore dell'azione a 62,50 euro sulla base di un'approfondita perizia formulata da un autorevole consulente esterno", si riportava l'apprezzamento dell'assemblea per i risultati positivi conseguiti dalla banca e, ancora, si citava il giudizio lusinghiero del presidente ZO.); del 27.8.2013 (significativamente dedicato alla comunicazione del "miglioramento della gestione operativa" e del significativo rafforzamento patrimoniale", per effetto della positiva conclusione dell'operazione di raccolta di ingenti risorse, in ragione di un consistente aumento di capitale e di una altrettanto consistente raccolta di ben 253 milioni di prestito convertibile, comunicandosi che l'istituto poteva vantare un Core Tier al 30 giugno pari al 9%; anche in tal caso la comunicazione riportava il consueto messaggio positivo dei presidente ZO.); deH'8.8.2014, effettuato ai sensi dell'art. 114 D.L.vo 58/98 (con il quale si comunicavano i risultati dell'aumento di capitale 2014, conclusosi con "pieno successo", e si riferiva il giudizio del presidente ZO. in ordine al fatto che l'istituto potesse vantare "coefficienti patrimoniali particolarmente elevati"); del 29,8,2014 (nel quale si illustravano ì risultati della semestrale del 2014, ribadendosi il successo dell'aumento di capitale di tale anno, segnalandosi l'accrescimento della base sociale e della clientela e l'incremento "significativo" dei proventi derivanti dall'attività bancaria tradizionale e, complessivamente, si enfatizzavano gli elementi di crescita); del 26.10.2014 (nel quale si comunicava il positivo superamento del Comprehensive Assessment si evidenziavano, altresì, gli effetti positivi delle iniziative di patrimonializzazione esperite nel 2013 e nel 2014 e, infine, si informavano i destinatari che tali iniziative avevano portato l'istituto di credito a poter vantare una *eccedenza di CET1 pari a circa 30 milioni di euro"); del 10.2.2015 (avente ad oggetto i risultati preliminari del bilancio al 31.12.2014, nel quale si evidenziava la politica particolarmente prudenziale adottata dal CdA su indicazione della BCE, con aumento degli accantonamenti su crediti e rettifica degli avviamenti; si precisava che il risultato negativo era conseguente proprio all'adozione di una politica improntata a misura e all'origine, secondo il presidente ZO., di scelte al contempo *coraggiose e prudenziali"; si ribadiva il successo delle iniziative di rafforzamento patrimoniale; si sottolineava, infine, la crescita dei proventi derivanti dall'attività tradizionale in favore di una clientela ulteriormente aumentata); del 3.3.2015 (avente ad oggetto i risultati definitivi al 31.12.2014, nel quale, pur dandosi atto dei rilievi della BCE in ordine alla possibile riduzione del requisito minimo di CET 1, si rassicuravano gli interlocutori con la precisazione che i requisiti minimi erano stati ripristinati e, anzi, superati "già prima della citata riduzione del requisito di Cet1 Ratio"); - alle comunicazioni ai soci (tutte confezionate sulla base di un apposito format e sottoscritte dal presidente ZO.) in data 30.3.2012, 3.9.2012, 19.3.2013, 10.9.2013, 2.4.2014, 9.9.2014, 4.12.2014 e 19.3.2015, tutte costantemente caratterizzate da informazioni rassicuranti in punto di patrimonializzazione dell'istituto, di sicurezza dell'investimento azionario, di enfatizzazione della stabilità del titolo e nelle quali, inoltre, si minimizzava il profilo dell'allungamento dei tempi di vendita dell'azione. Ebbene, tutte le citate condotte manipolative e informative avevano avuto l'effetto di alterare sensibilmente il prezzo delle azioni B.. Se ciò, in effetti, era di immediata percezione per le condotte manipolative (l'investitore essendo stato evidentemente influenzato dalla vivacità degli scambi del titolo sul mercato secondario e dalle valutazioni conseguentemente alterate del valore del titolo medesimo siccome assegnato dall'esperto prof. Bi., la stima del quale aveva prodotto effetti anche sul mercato primario, sollecitato artificiosamente), altrettanto doveva dirsi per quanto riguardava le condotte di alterazione informativa. Questo, in ragione della marcata influenza della comunicazione di dati falsati inerenti a profili di assoluto rilievo nell'economia della scelta di un soggetto interessato all'investimento azionario, in particolare con riferimento ai dati inerenti alla patrimonializzazione dell'emittente (prospettata come particolarmente solida) e alla liquidità del titolo (presentato come appetibile, tanto sul mercato primario quanto su quello secondario). Di qui la conclusione, alla quale coerentemente perveniva il tribunale, in ordine all'efficacia decettiva delle comunicazioni effettuate, nelle occasioni sopra indicate, dall'istituto dì credito. Del resto gli effetti concreti prodotti da tali comportamenti manipolativi e di falsa informazione erano agevolmente riscontrabili - proseguiva il tribunale -analizzando le vicende societarie dell'epoca: - da un lato, infatti, gli investitori avevano perseverato nel riporre fiducia nell'istituto di credito, continuando a investire, ovvero astenendosi dal disinvestimento; - dall'altro, gli aumenti di capitale confluiti senza assistenza finanziaria erano stati comunque consistenti (nell'aucap 2013, su un totale di 506 milioni, 363 milioni erano confluiti senza finanziamenti; nel mini aucap 2013, su 100 milioni, 44 erano confluiti senza assistenza finanziaria; nell'aucap 2014 il rapporto era stato di 471,8 milioni confluiti senza assistenza su un totale di 607,8 milioni; nel mini aucap 2014, infine, il rapporto era stato di 60 milioni su 102 milioni). Inoltre la movimentazione sul mercato secondario, depurata dalle azioni finanziate, sì era attestata sul significativo valore di 900 milioni di euro. Tutto ciò aveva consentito di mantenere il valore del titolo artificiosamente alto. In effetti, a fronte dei valori stimati dal prof. Bi., erano emersi - all'esito di una rinnovata valutazione, posta in essere con criteri prudenziali - valori decisamente inferiori. In particolare: - nel 2012 l'azione era stata sovrastimata di un valore tra 6,73 euro e 6,19 euro rispetto al valore reale, da ridursi, rispettivamente, di una percentuale tra il 10,8% e il 9%; - al 31.12.2013 la sovrastima era stata ricompresa tra 8,10 e 7,20 euro, con un valore reale, pertanto, inferiore dal 13% alni,9%; - al 31.12.2014 la sovrastima era stata ricompresa tra 6,32 e 5,30 euro, con un valore reale, pertanto, inferiore dal 18,9% al 16,9%. Inoltre le condotte di aggiotaggio informativo avevano contribuito a rafforzare l'affidamento sulla stabilità patrimoniale dell'istituto di credito. Infatti i dati rettificati avevano evidenziato, anche nell'ipotesi più favorevole, un CET 1 ratio al 31.3.2014 del 6,63% e, al 30.6.2014, del 6,24% (valori, entrambi, al di sotto della soglia regolamentare del 7%); un Tier 1 Ratio dal 6,32% al 7,345% per tutto il periodo 30.6.2012-31.12.2013, inferiore, pertanto, rispetto alla soglia-target comunicata alla Banca d'Italia pari all'8%; un Total Capital Ratio al 31.3.2014 dell'8,51%, al 30,6,2014 del 7,94%, al 30.9.2014 del 9,57%, al 31.12.2014 dell'8,47%, al 31.3.2015 dell'8,51% (ovverosia sempre inferiore rispetto alla soglia regolamentare dei 10,5%), Analogamente, le condotte di aggiotaggio manipolativo avevano contribuito ad accreditare l'immagine della banca come credibile e sostenuta del mercato, secondo quanto puntualmente evidenziato dai consulenti del P.M.. Con riferimento, poi, al profilo del concorso dei reati, il tribunale precisava come l'art. 2637 c.c prevedesse tre diverse modalità di esplicazione della condotta delittuosa, all'origine, rispettivamente, delle ipotesi di aggiotaggio informativo e aggiotaggio manipolativo o operativo. Di qui la natura della disposizione in esame quale disposizione contenente "norme penali miste cumulative", ovverosia inerenti a condotte non equipollenti o alternative, bensì costituenti differenti elementi materiali di altrettanti reati, con la conseguenza, nel caso di realizzazione di tali diverse condotte, della sussistenza di una pluralità di reati. Questo con la doverosa precisazione che, mentre tra aggiotaggio manipolativo e informativo era ravvisabile unicamente il concorso materiale di reati, nel caso di pluralità di condotte omogenee, per concludere nel senso dell'unicità ovvero della pluralità di reati, sarebbe stato necessario verificarne l'appartenenza o meno ad un'unica manovra manipolativa, ovvero informativa. E, a tale fine, il tribunale precisava come il momento consumativo del reato dovesse individuarsi nel tempo e nel luogo in cui si fossero verificate la sensibile alterazione del prezzo dello strumento finanziario e la destabilizzazione del sistema bancario. In applicazione di tali criteri il primo giudice concludeva nel senso della ravvisabilità di ben 16 reati, posti in essere nel periodo tra il 2012 ed il 2015 e, segnatamente: -di 4 reati di aggiotaggio finanziario informativo (2012, 2013, 2014, 2015); - di 4 reati di aggiotaggio finanziario operativo (2012, 2013, 2014, 2015); - di 4 reati di aggiotaggio bancario informativo (2012, 2013, 2014, 2015); - di 4 reati di aggiotaggio bancario operativo (2012, 2013, 2014, 2015) traendone, peraltro, la conseguenza che le condotte poste in essere sino al 27.4.2013 (data di approvazione del bilancio 2012) dovessero ritenersi prescritte. Infine, quanto alle posizioni soggettive degli imputati - successivamente oggetto di separata, dettagliata analisi - il tribunale precisava che dovevano ritenersi responsabili dei reati di aggiotaggio: - Zo.Gi., per avere egli sostenuto e condiviso l'operatività del capitale finanziato; per avere sottoscritto personalmente i comunicati ai soci rappresentativi dì uno stato patrimoniale, finanziario ed economico, totalmente contrario a quello effettivo; nonché per avere approvato, in qualità di presidente del CdA, il bilancio privo dell'appostazione delle riserve previste per legge, oltre ai comunicati che contenevano le mendaci informazioni della situazione della banca e degli esiti degli aucap, in tal guisa rafforzando con le proprie dichiarazioni, l'apparenza di solidità dell'istituto di credito; - Gi.Em., Ma.Pa. e Pi.An., in ragione del totale coinvolgimento dei predetti nell'operatività dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie, e ciò nella piena, effettiva consapevolezza (stanti le modalità di occultamento) della finalizzazione di tale operatività ad alterare gli equilibri del mercato, ad annacquare il capitale e, infine, ad ingannare il pubblico. 1.7 I reati di ostacolo alla vigilanza Dopo avere effettuato una ricostruzione degli esiti delle attività di vigilanza della Banca d'Italia poste in essere, nei confronti dell'istituto di credito, nel periodo 2007-2012 - esiti che avevano evidenziato delle criticità, poi parzialmente superate dall'istituto - il tribunale collocava le condotte di ostacolo alla vigilanza ravvisabili nella vicenda sub iudice nel periodo che aveva avuto inizio con le ispezioni poste in essere a decorrere dal 2012. Al riguardo il primo giudice premetteva come la fattispecie di reato in esame consistesse, per un verso, nell'esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero nonché nell'occultamento, con mezzi fraudolenti, di fatti che avrebbero dovuto essere comunicati all'autorità di vigilanza (2638 co. 1 c.c.); e, per altro verso, nella frapposizione di ostacoli alla vigilanza, posti in essere in qualsiasi forma, anche omissiva (2638, co. 2 c.c.). Segnatamente, la fattispecie di cui al primo comma della disposizione in esame prevedeva un reato di mera condotta, integrato, in via alternativa, da taluni specifici comportamenti; il secondo comma, invece, delineava un reato a forma libera, di danno (consistente nell'evento naturalistico dell'ostacolo). Ciò posto, nell'ipotesi di condotta di omessa comunicazione con mezzi fraudolenti che avesse creato ostacoli rilevanti all'autorità di vigilanza, il tribunale riteneva sussistente unicamente l'ipotesi di reato ex art. 2638, co. 2, c.c., dovendo farsi applicazione, in tal caso, dei principi di sussidiarietà e consunzione (valorizzati anche dalla Corte EDU e riconosciuti nell'art. 4 protocollo 7 CEDU e nell'art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea), posto che emergeva con evidenza come l'evento di ostacolo previsto dalla fattispecie di cui all'art. 2638 co. 2 c.p. esaurisse l'intero disvalore della condotta. Nel pervenire a siffatta conclusione, peraltro, il tribunale si discostava motivatamente dalla ricostruzione effettuata, in fattispecie analoga, dalla giurisprudenza di legittimità, là dove la corte regolatrice (cfr. Cass. Pen. Sez. 5, n. 42778 del 26/05/2017, Consoli e altro) aveva invece ravvisato, tra le due fattispecie in esame, un rapporto riconducibile al concorso formale. Tanto premesso, il primo giudice precisava come la contestazione sub B1 avesse ad oggetto la vigilanza ispettiva a differenza delle condotte stigmatizzate ai successivi capi C1, D1, E1, F1, G1 ed H1, dal primo giudice indicate come inerenti alla vigilanza informativa. Ebbene, nel caso dell'addebito sub B1 si era in presenza sia di attività di occultamento, con mezzi fraudolenti, delle operazioni di capitale finanziato e delle lettere di impegno al riacquisto, al fine di ostacolare l'autorità di vigilanza (attraverso, segnatamente, l'indicazione di una causale generica, la mancata contabilizzazione delle operazioni finanziate e il materiale occultamento delle lettere), sia dell'omessa comunicazione delle suddette operazioni alla squadra ispettiva. Diversamente - proseguiva il tribunale - gli addebiti di cui ai capi C1, D1, G1, H1 avevano ad oggetto l'esposizione di fatti non rispondenti al vero in relazione alle segnalazioni ed alle interlocuzioni con le autorità di vigilanza (Banca d'Italia e BCE) intercorse negli anni 2012, 2013, 2014, 2015 e, quanto all'addebito di cui al capo F1, l'esposizione di fatti non rispondenti al vero in occasione dell'aumento di capitale del 2014. Ciò posto, il tribunale: - esclusa, con riferimento alle condotte predette, la ravvisabilità dell'esimente fondata sul principio del nemo tenetur se detegere in relazione al precedente delitto di aggiotaggio (trattandosi di principio unicamente disciplinato nell'art. 384 c.p., ovverosia in una disposizione contenente una norma eccezionale derogatoria rispetto a quella di cui all'art. 61 nr. 2 c.p. e, in ogni caso, di esimente avente valore eminentemente processuale); s escluso, del pari, che quelli oggetto di contestazione fossero addebiti frutto di u una sorta di "replicazione" di contestazioni in realtà aventi ad oggetto una unitaria condotta di ostacolo alla vigilanza, protrattasi per un triennio (essendosi piuttosto in presenza di condotte che erano state realizzate nel corso di plurime attività di vigilanza, ciascuna compiutamente esauritasi), ricostruiva i singoli fatti di reato nei termini di seguito esposti. 1.7.1 L'ostacolo alla vigilanza durante l'ispezione di Banca d'Italia 2012 (capo B1) Nel corso dell'anno 2012 (segnatamente tra il 28 maggio e il 12 ottobre 2012) era stata effettuata una attività di ispezione avente ad oggetto la governance dell'istituto, gli standard creditizi, i meccanismi di sorveglianza e di controllo delle singole posizioni, la correttezza dei criteri di classificazione all'interno delle regole di vigilanza e l'osservanza delle regole di provisioning (attività, questa, di correzione del valore dei crediti con impatto sul conto economico della banca e sul bilancio), ispezione che si era conclusa con un giudizio parzialmente sfavorevole fondato sulla constatazione di un complessivo degrado del portafoglio accompagnato da inefficienze nei processi allocativi e di gestione dell'erogato. Ebbene, alla stregua delle testimonianze degli ispettori (e, segnatamente, di quanto riferito dal teste Gi.Sc., responsabile della squadra ispettiva), poteva dirsi pacifico che ove agli ispettori fossero state esibite le lettere di impegno al riacquisto e fosse stata comunicata l'esistenza del capitale finanziato - come sarebbe stato doveroso, peraltro, nell'ottica di una leale collaborazione tra vigilato e autorità vigilante - sarebbe effettivamente emersa l'irrealizzabilità del piano industriale approntato dall'istituto per migliorare la gestione del credito. La prassi del ricorso al capitale finanziato (e, nell'ambito di tale prassi, quella del rilascio delle lettere di impegno), infatti, era già consolidata nel 2012, come pure documentalmente provato. Né, d'altro canto, poteva sostenersi che tale fenomeno fosse comunque emerso nel corso dell'ispezione, in quanto le dichiarazioni rese, sul punto, dal teste Cl.Am. della Divisione Crediti - là dove questi aveva sostenuto di avere riferito in proposito all'ispettore Ge.Sa. - erano - state decisamente smentite tanto dal predetto Sa. quanto dai restanti componenti della squadra ispettiva. Peraltro - puntualizzava il tribunale - la versione dell'Am., finalizzata a ridimensionare il coinvolgimento della Divisione Crediti nell'operatività illecita della banca sul capitale finanziato, scontava plurimi profili di incertezza e contraddittorietà (segnatamente in relazione al ricorso alla formula generica "cogliere opportunità mobiliari o immobiliari" quale causale dei finanziamenti, nonché in ordine alle motivazioni per le quali il predetto Am. non avrebbe comunicato al collega Bo., responsabile dell'audit, le rivelazioni asseritamente fatte all'ispettore Sa.), Era certamente vero che anche la deposizione del Sa. si presentava scandita da contestazioni e da incertezze circa la corretta individuazione dei documenti esibiti, nel corso dell'ispezione, con riferimento alle posizioni finanziate. Nondimeno, mentre le dichiarazioni dell'Ambrosino in ordine alla presunta rivelazione agli ispettori delle operazioni finanziate non avevano trovato riscontro alcuno, neppure nelle dichiarazioni del collega De. (il quale aveva riferito che l'Am. gli aveva confidato di avere consegnato agli ispettori medesimi documenti che avrebbero potuto loro consentire di verificare l'esistenza di operazioni "baciate", negando, tuttavia, detto teste che l'Am. gli avesse rivelato di avere esplicitamente palesato tale prassi agli ispettori), le stesse erano anzi state smentite dai testi Lu.Br., Fr.Fe. e Sa. Re., dei quali i primi due erano appartenenti alla squadra ispettiva; quanto riferito dal Sa. era stato del resto confermato dalla narrazione dei fatti proposta tanto dal responsabile delia squadra ispettiva, Gi.Sc., quanto dagli altri componenti del team oltre che dal responsabile del servizio di vigilanza ispettiva, Ca.Ba.. Pertanto il tribunale, valorizzando altresì la puntuale deposizione del teste ispettore Gi.Ma., traeva la conclusione che la prassi del capitale finanziato non fosse stata "intercettata" nel corso dell'ispezione del 2012 poiché si era trattato di fenomeno che aveva essenzialmente interessato clienti affidabili sotto il profilo del rischio creditizio, rispetto ai quali, quindi, non emergeva alcuna anomalia (sicché, tenuto conto del perimetro del mandato ricevuto dagli ispettori, non v'era stata ragione di effettuare, con riferimento a costoro, alcun approfondimento ispettivo). Del resto, sul piano logico, la circostanza che nessun dirigente dell'istituto di credito (né il menzionato Cl.Am., né l'imputato Pa.Ma. e neppure l'imputato Em.Gi.) avesse fatto cenno alcuno, in occasione delle successive verifiche ispettive (compresa quella, decisiva, effettuata dalla BCE nel 2015), al fenomeno in esame, nonché il fatto che tutti i predetti dirigenti avessero pervicacemente negato, interloquendo con l'ispettore Ma., la natura finanziata delle operazioni in questione, costituivano formidabili riscontri dell'infondatezza delle dichiarazioni rese dal predetto teste Am.; infondatezza, del resto - soggiungeva il tribunale - ulteriormente avvalorata dal rinvenimento, negli appunti contenuti nell'agenda sequestrata al teste Al.Ba., dell'inequivoca ed assai significativa annotazione, redatta in prossimità del 23.4.2015: "evitare di fare ammissioni. Giustificare creditiziamente le operazioni". Di qui la conclusione della sussistenza dei presupposti tutti del reato di ostacolo contestato, essendosi in presenza, per un verso, del fraudolento occultamento dell'illecita operatività realizzata nel contesto temporale in cui si era svolta l'ispezione del 2012; e, per altro verso, della sistematica omissione della comunicazione agli ispettori tanto delle operazioni di finanziamento correlato quanto delle lettere di impegno al riacquisto delle azioni. 1.7.2 Le condotte di ostacolo successive all'ispezione del 2012 Quindi il tribunale evidenziava come, con riferimento ai periodo successivo all'ispezione del 2012 (e, segnatamente, all'arco temporale ricompreso tra il 30.6,2012 ed il 31.3.2015), fosse stato effettivamente possibile ricostruire documentalmente il dipanarsi del dialogo tra l'istituto bancario vicentino e l'autorità di vigilanza attraverso l'acquisizione dei flussi informativi inviati da B.. A tale riguardo era costantemente emerso l'occultamento della reale situazione patrimoniale del gruppo, in particolare con riferimento all'incidenza del fenomeno del capitale finanziato sui coefficienti del patrimonio di vigilanza in tale ampio periodo. Sul punto le conclusioni cui erano pervenuti i consulenti del P.M. - peraltro, precisava il primo giudice, all'esito di una valutazione particolarmente prudente (in quanto caratterizzata dallo scomputo dal CET 1 anche dell'ammontare degli RWA) - non consentivano davvero di nutrire perplessità. Si era in presenza, in effetti, di violazioni costanti dei requisiti patrimoniali, peraltro mai comunicate nelle informazioni rese all'autorità di vigilanza (comunicazioni, tutte, puntualmente riportate nella tabella riassuntiva di cui al documento nr. 485 prodotto dal P.M. all'udienza del 21.11.2019). Più nel dettaglio: - con riferimento all'anno 2012 (capo CI) si trattava della comunicazione del 17.9,2012, riferita al 30.6.2012, e di quella del 21.11.2012, riferita al 30.9.2012, nelle quali venivano indicati, rispettivamente, valori delle azioni proprie nella misura di 30 milioni e di 240 milioni. In entrambi i casi, infatti, era stata omessa la comunicazione delle operazioni di capitale finanziato per i significativi valori di 268 milioni a giugno e di 280 milioni a fine settembre. L'effetto distorsivo che ne era derivato era evidente, posto che il Tier Ratio, tenuto conto dei valori non comunicati, si sarebbe abbassato al 30 giugno dall'8,20% ai 7,34% nonché, al 30 settembre, dal 7,38% al 6,48%. Analogamente il TCR (Total Capital Ratio) si sarebbe ridotto dall'I 1,33% al 10,50% e dal 10,46% al 9,59%. La falsa comunicazione, poi, era stata all'origine del target patrimoniale deciso dalla Banca d'Italia, come precisato dal teste Ma.Pa.. In effetti, qualora i dati omessi fossero stati comunicati, ciò avrebbe comportato un immediato innalzamento del livello di monitoraggio e l'adozione di provvedimenti restrittivi concernenti operatività dell'istituto, distribuzione degli utili e fissazione di limiti all'importo totale della parte variabile delle remunerazioni della banca. Di assoluta evidenza, quindi, era l'ostacolo frapposto alla vigilanza; con riferimento al primo semestre dell'anno 2013 (capo DI) si trattava: - della falsa rappresentazione dei dati patrimoniali contenuta nelle segnalazioni relative al 31.12.2012 ed al 31.3.2013 (in effetti, con riferimento alia segnalazione relativa al 31.12.2012, la comunicazione del capitale finanziato per 545 milioni, ove effettuata, avrebbe comportato la flessione del Tier 1 Ratio dall'8,23% al 6,46% e del Total Capital Ratio dall'll,26% al 9,55%; nella comunicazione del 31.3.2013, poi, non erano state segnalate azioni proprie); - della falsità della comunicazione inoltrata il 20.3.2013 e relativa al superamento del limite del 5% degli acquisti (comunicazione con la quale, nel rispondere al rilievo critico della Banca d'Italia risalente al 5.3.2013, l'istituto di credito aveva rassicurato la vigilanza sostenendo che l'incremento del valore del fondo acquisto azioni proprie fosse imputabile a una mera contingenza, legata alla gestione delle attività dì compravendita delle azioni proprie con i soci e sostenendo, in particolare, che vi era stata una vendita di azioni da parte di pochi clienti con successivo ricollocamento dei titoli presso clienti soci). Inoltre l'istituto aveva inserito un ulteriore elemento di rassicurazione, là dove aveva dichiarato che era in corso la valutazione di un rafforzamento patrimoniale il quale avrebbe portato il Core Tier 1 al 9% già entro la fine del 2013; aveva prospettato, infine, il raggiungimento del 10% nel biennio successivo. Ne era seguita la lettera di richiamo del 24.6.2013, lettera nella quale era stato stigmatizzato il superamento, a causa dell'acquisto di azioni proprie, del limite del 5% del capitale sociale. A seguito dell'ispezione del 2015, poi, era emersa la falsità delle circostanze esposte nella missiva a firma Sa.So. del 20.3.2013 e, segnatamente, si era compreso come l'azzeramento del fondo acquisto azioni proprie non fosse stato affatto la conseguenza contingente di un'impennata nelle richieste di acquisto di azioni concentrate nel quarto trimestre, bensì l'effetto dell'illiquidità del titolo azionario; illiquidità che, infatti, proprio a partire dal 2012, aveva indotto l'istituto di credito a fare massiccio ricorso alle operazioni di capitale finanziato onde azzerare il fondo acquisto azioni proprie che impattava negativamente sul capitale di vigilanza; - della falsità, infine, dell'informativa preventiva del 23 aprile 2013 relativa al programmato aumento di capitale (informativa, a firma Sa.So., nella quale erano stati illustrati gli effetti del rafforzamento patrimoniale, segnalandosi che dopo tale operazione il Tier Ratio 1 sarebbe passato dall'8,23% al 9,1% e, quindi, al 9,98%, a seguito della conversione del soft mandatory). Peraltro neppure a seguito delle successive interlocuzioni dì Banca d'Italia, inerenti anche al profilo della liquidabilità del titolo, erano stati effettuati riferimenti, da parte dei rappresentanti di B., al fenomeno del capitale correlato. Infatti sì era sempre sostenuto, da parte dell'istituto di credito, che l'operazione di aumento di capitale si sarebbe presto conclusa con pieno successo. Sul punto - precisava il tribunale - il teste Ma.Pa. aveva chiarito che se la prassi delle operazioni di capitale finanziato fosse stata riferita, come doveroso, la Banca d'Italia sarebbe certamente intervenuta esercitando i poteri di controllo derivanti dalla legge. In particolare l'ente di vigilanza avrebbe imposto sia lo scomputo dell'ammontare del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza sia l'adozione di misure di risanamento. Invece, tacendo queste informazioni, l'istituto di credito aveva lucrato effetti favorevoli immediati: la Banca d'Italia aveva deciso di non avviare un procedimento sanzionatorio e neppure aveva adottato interventi che avrebbero precluso la distribuzione dei dividendi ed imposto il decremento della parte variabile della remunerazione dei dirigenti come previsto dalla normativa della stessa Banca d'Italia. La stessa operazione di aumento di capitale, poi, sarebbe stata valutata diversamente; ° con riferimento al secondo semestre dell'anno 2013 (capo E1) si trattava: - della falsità delle segnalazioni di vigilanza relative al 30.6.2013, al 30.9.2013 e al 31.12.2013 (nelle quali mai era stato ricompreso l'ammontare delle operazioni di capitale finanziato per gli importi calcolati dai consulenti tecnici nella misura di 555 milioni a fine giugno, di 626 milioni a fine settembre e di 700 milioni a fine dicembre del 2013). Conseguentemente, senza l'effetto distorsivo prodotto dall'omessa rappresentazione della corretta quantificazione dei coefficienti patrimoniali, il T1 Ratio sarebbe passato a fine giugno dall'8,1% al 6,32%; al 30.9.2013 dall'8,50% al 6,50%; al 31.12.2013 dal 9,1% al 6,89%. Analogamente il TCR si sarebbe ridotto dall'I 1,06% al 9,32% al 30 giugno; dall'11,41% al 9,48% nel settembre; dall'11,8% al 9,55% al 31 dicembre. In definitiva in tutto il periodo in esame il Tier 1 Ratio sarebbe stato ben inferiore alla soglia-target dell'8%, siccome fissata dall'autorità di vigilanza; con riferimento all'aumento di capitale 2014 (capo F1) si trattava: - dell'informativa preventiva del 5.3.2014 e dell'informativa integrativa dell'11.4.2014. In entrambi i casi era stata omessa l'indicazione che l'operazione di aumento di capitale sarebbe stata portata a termine anche mediante la concessione di forme di assistenza finanziaria ai clienti, con conseguente indicazione di ratios patrimoniali post-aucap del tutto falsati. Quanto al c.d. miniaucap (ovverosia ad un aumento di capitale destinato a nuovi soci), previsto anche nel 2014, si era precisato che le quote di capitale finanziato non sarebbero state computate nel patrimonio di vigilanza. Vi era stato anche, in data 9.4.2014, un incontro tra i vertici dell'istituto di credito e la vigilanza. All'esito delle interlocuzioni la Banca d'Italia aveva autorizzato la classificazione patrimoniale richiesta. Solo a seguito dell'ispezione BCE e CONSOB del 2015, infatti, era emerso come l'operazione di aumento di capitale fosse stata pianificata con erogazione di finanziamenti correlati, per un importo accertato di euro 136.314.287 (pari al 22% dell'operazione). I dati dell'aumento di capitale erano stati, pertanto, gravemente falsati. Di qui la conclusione che il provvedimento autorizzativo della Banca d'Italia fosse stato ottenuto a seguito dello sviamento della funzione di vigilanza. Il teste Ma.Pa., del resto, aveva anche in tal caso precisato come, se la Banca d'Italia avesse avuto contezza dei dati occultati, non avrebbe di certo autorizzato l'operazione nei termini in cui ciò era avvenuto. Per contro, sarebbe palesemente emersa la grave difficoltà della banca di collocare i propri titoli sul mercato; - con riferimento alla vigilanza prudenziale della banca d'Italia nel 2014 (capo G1), si trattava: - della falsità delle segnalazioni di vigilanza alla data del 31.3.2014, del 30.6.2014, del 30.9.2014 (per l'omessa indicazione tra gli elementi negativi delle quote di capitale finanziato, pari a 728 milioni alla data del 31 marzo, a 718 milioni alla data del 30 giugno e a 886 milioni alla data del 30 settembre. Conseguentemente il CET 1 ratio era passato, a fine marzo, dall'8,99% al 6,63%; a fine giugno dall'8,55% al 6,24%; a fine settembre dal 10,8% all'8,01%); - della falsità della comunicazione 1.9.2014 nella parte in cui si era attestato il raggiungimento degli obiettivi di raccolta aucap 2014 per l'importo di 607,8 milioni e, di conseguenza, il livello dei fondi propri e dei ratios patrimoniali. In particolare la comunicazione dell'istituto di credito di avere già riassorbito, attraverso la chiusura dell'aumento di capitale, il temporaneo mancato rispetto del "buffer" - ovverosia della riserva obbligatoria di conservazione del capitale pari al 2,5% - aveva indotto l'autorità di vigilanza a non assumere iniziative in ordine a tale violazione (dovuta ai riacquisti di azioni proprie che, dì fatto, avevano neutralizzato, per il valore corrispondente, l'aumento di capitale, come precisato dal teste En.Se.) perché, per l'appunto, immediatamente "riassorbita"; - nonché della falsità della comunicazione 4.11.2014, relativa alle giustificazioni fornite all'organo di vigilanza in relazione al fenomeno di riacquisto delle azioni proprie (per l'ammontare di 194 milioni nel primo semestre del 2014) nonché in relazione ai 52,4 milioni di euro di azioni detenuti indirettamente attraverso i fondi lussemburghesi "(...)" e, "(...)". In particolare la banca, da un lato, aveva ribadito che sì era trattato di riacquisti imposti dalla necessità di evadere (e domande di investimento dei clienti nella consapevolezza che il disavanzo sarebbe stato coperto dall'aumento di capitale in corso; aumento di capitale che, peraltro, aveva portato ad un incremento proprio del CET Ratio di circa 141 bps (punti base). Dall'altro lato la banca aveva confermato la correttezza dei dati contenuti nelle segnalazioni di vigilanza sulle operazioni svolte attraverso i fondi esteri. Diversamente, ove la Banca d'Italia avesse avuto contezza di quanto occultatole (e cioè, complessivamente, delle operazioni di capitale finanziato e dell'impegno al riacquisto delle azioni), avrebbe preso atto di una situazione patrimoniale radicalmente differente. La falsità della comunicazione, quindi, aveva prodotto l'effetto di impedire interventi dì vigilanza coerenti con l'effettiva situazione patrimoniale dell'istituto di credito. 1.7.3 Le condotte di ostacolo alfa vigilanza BCE (capo H1) Al riguardo il tribunale, premesso che a seguito dell'entrata in vigore, in data 4.11.2014, del Sistema di Vigilanza Unico, talune competenze primarie in materia di vigilanza erano state trasferite alla BCE, con conseguente ricomprensione anche della predetta Banca Centrale tra i soggetti destinatari della tutela ex art. 2638 c.c., individuava, alla stregua dell'imputazione, le condotte di ostacolo rispettivamente: - nella segnalazione di vigilanza al 31.12.2014 (in ragione della mancata integrale detrazione del capitale finanziato che, ove effettuata correttamente, avrebbe comportato un abbassamento del CET 1 ratio dall'11,73% all'8,04%) e nella segnalazione di vigilanza al 31.3.2015 (in ragione, anche in tal caso, della mancata integrale detrazione del capitale finanziato che, ove effettuata correttamente, avrebbe comportato un abbassamento del CET 1 ratio dal 10,67% al 7,49%). Tali condotte decettive, in entrambi i casi, avevano impedito alla vigilanza l'adozione di tempestivi provvedimenti; - nonché nella informativa al pubblico al 31.12.2014; 1.7.4 Le condotte di ostacolo relative al Comprehensive Assessment (capo M1) Con riferimento alle condotte di ostacolo poste in essere in danno di Banca d'Italia e BCE impegnate nella vigilanza in fase di valutazione approfondita (Comprehensive Assessment), svoltasi nel periodo tra il febbraio e l'agosto del 2014, il tribunale riteneva provate condotte di ostacolo tradottesi tanto nell'omessa comunicazione di informazioni essenziali (inerenti al fenomeno dell'assistenza finanziaria e al rilascio della lettere di impegno al riacquisto) quanto nell'esposizione di fatti non veritieri sulla situazione patrimoniale del gruppo come descritta nella nota 20,6.2014 e nel capital pian inviato in data 10.11.2014. In particolare nel corso della Asset Quality Review - AQR (ovverosia della Revisione della Qualità degli Attivi di bilancio), dopo che erano stati formulati rilievi molto critici per la banca da parte delle autorità di vigilanza (con l'ispettore Vi.Ca. che aveva esposto forti perplessità in ordine alla patrimonializzazione dell'istituto di credito, evidenziando come il progettato aumento di capitale sarebbe sostanzialmente servito solo a colmare il deficit; e aveva anche avanzato seri dubbi sulla stessa concreta possibilità di portare a compimento l'operazione di aumento di capitale), i vertici dell'istituto avevano rassicurato la vigilanza stessa sotto tutti i profili. Nel corso dell'ispezione, tuttavia, non era emerso in alcun modo il fenomeno del capitale finanziato né era venuta alla luce l'esistenza delle lettere di impegno al riacquisto; elementi che, se conosciuti, avrebbero portato ad esiti del Comprehensive Assessment ben diversi. Anche il Preliminary Capital Plan - predisposto dall'istituto di credito su richiesta della Banca d'Italia in data 9.6.2014, in previsione dell'entrata in vigore del meccanismo unico di vigilanza, e inviato all'autorità di vigilanza il 20.6.2014 - era stato caratterizzato dalla prospettazione di un obiettivo di patrimonializzazione rassicurante (euro 608 milioni per effetto dell'aumento di capitale); prospettazione, tuttavia, radicalmente falsata dalla mancata precisazione che anche tale risultato era dovuto al massiccio ricorso al capitale finanziato. Quindi, con il Capital Pian elaborato il 10.11.2014 (e, pertanto, successivamente agli esiti del Comprehensive Assessment che, pubblicati il 26.10.2014, avevano evidenziato la necessità dell'adozione di misure di implementazione del capitale, posto che gli Stress Test avevano rivelato un deficit da scenario avverso di 223 milioni), l'istituto di credito vicentino aveva adottato delle contromisure (segnatamente: l'utilizzo dell'aumento di capitale già collocato e la conversione del soft mandatory per 223 milioni) che avevano portato la BCE ad adottare una decisione SREP (ovverosia una decisione inerente al processo di revisione e valutazione prudenziale, consistente nell'analisi dei profili di rischio delle banche) con la quale veniva fissato un requisito minimo di CET1 ratio pari ad almeno il 10,25% ed erano stati richiesti l'adozione di un piano di capitale, da realizzarsi entro l'aprile del 2016, nonché il rafforzamento delle strutture organizzative dei processi e delle strategie di controllo interno. Al solito, la mancata comunicazione delle essenziali informazioni in ordine al massiccio ricorso al capitale finanziato, anche in occasione dell'aumento di capitale, aveva avuto lo scopo - effettivamente raggiunto - di procrastinare l'emersione delle situazioni di illiquidità del titolo e di sotto-patrimonializzazione dell'istituto di credito, di fatto seriamente ostacolando le funzioni di vigilanza della Banca d'Italia e della BCE, tenute all'oscuro delia esatta situazione patrimoniale e finanziaria del gruppo. Di qui l'adozione da parte degli organi di vigilanza di provvedimenti (la citata decisione SREP del febbraio 2015) incoerenti con tale situazione e, per contro, la mancata adozione di contromisure impellenti e indifferibili (come precisato dal teste ispettore En.Se.). Solo in occasione dell'ispezione BCE del 2015 - concludeva il tribunale - sarebbe effettivamente emersa la macroscopica divergenza tra i flussi informativi indirizzati alla vigilanza nel triennio 2012-2015 e la reale situazione patrimoniale della banca. 1.7.5 L'ostacolo alla vigilanza nei confronti di CONSOB (capo N1 - posizione G1) Il tribunale riteneva provato anche l'addebito stigmatizzato sub N1), inerente alle condotte di ostacolo alla vigilanza poste in essere, nei confronti di CONSOB, in relazione all'operazione di aumento di capitale 2014. In estrema sintesi, dopo avere dettagliatamente illustrato - in relazione tanto alla disciplina generale quanto al modello concretamente adottato da B. - il quadro normativo delle attività di intermediazione finanziaria (con particolare riguardo agli obblighi incombenti sugli intermediari nella relazione con la clientela sia nella fase precontrattuale, sia in quella di conclusione del contratto, sia nel corso dell'esecuzione del rapporto in un'ottica di tutela dell'investitore al fine di agevolarlo nella comprensione delle caratteristiche, dei rischi e dei costi dei prodotti finanziari offerti in un mercato di libera concorrenza), il primo giudice ricostruiva puntualmente l'episodio in questione. Nel caso di specie B. aveva pianificato una operazione che prevedeva un'offerta a pagamento mediante emissione di azioni ordinarie in opzione ai soci per un importo massimo di euro 700.000.000, nonché un aumento di capitale ordinario a pagamento mediante emissioni di azioni ordinarie finalizzata all'ampliamento della base sociale da offrire ai non soci per un importo massimo di 300.000.000 di euro. Nel corso della seduta del CdA 15.4.2014, poi, era stata definitivamente approvata l'operazione in questione, con l'individuazione dell'ammontare definitivo dell'aumento di capitale (aumento di capitale scindibile fino al controvalore massimo di 608.000,000 dì euro), la definizione del rapporto di opzione (una nuova azione ogni nove possedute con definizione del rapporto di attribuzione del premio fedeltà nella misura di un'azione ogni quattro) e la decisione che le azioni eventualmente inoptate sarebbero state offerte al pubblico indistinto e assegnate a coloro che ne avessero fatto richiesta durante il perìodo di offerta. Le azioni erano state emesse al prezzo di 62,5 euro, determinato sulla base della relazione di stima dell'esperto indipendente. Solo con riferimento al mini aucap, poi, era stato previsto che potessero essere concessi ai nuovi soci finanziamenti correlati alla sottoscrizione dell'aumento di capitale. In relazione a tale operazione l'istituto di credito aveva rappresentato, nelle relative comunicazioni inviate alla CONSOB, siccome specificamente richiamate in imputazione (trattasi della comunicazione formale 23.5.2014 in risposta alla richiesta di dati e notizie del 16.5.2014; della nota 4.7.2014; dell'ulteriore nota 15.10.2014), l'adozione di un modello operativo fondato su un atteggiamento neutro in ordine alla collocazione dei propri titoli nei confronti dei titolari dei diritti di opzione, attestando di avere predisposto modelli procedurali tesi a garantire la genuinità dell'iniziativa del cliente e sottolineando altresì che, come deciso, eventuali operazioni dì finanziamento sarebbero state previste solo con riferimento all'operazione di mini aucap. Tali modelli prevedevano, per i soci titolari del diritto di opzione: - da un lato l'esclusione dell'applicabilità della valutazione di adeguatezza, onde non interferire con l'esercizio del predetto diritto di opzione; - dall'altro lato l'astensione dalla prestazione di raccomandazioni all'investimento e di consulenza per i medesimi titolari del diritto di opzione e della connessa prelazione, i quali, infatti, onde contenere le occasioni di contatto diretto tra costoro e gli addetti di rete, avrebbero potuto aderire autonomamente all'aumento di capitale inviando richieste via internet, inserendo il proprio codice fiscale in una apposita pagina web, ovvero a mezzo raccomandata. In altri termini l'istituto di credito aveva rappresentato, nella comunicazione formale 23.5.2014, che avrebbe compensato il "sacrificio" della valutazione di adeguatezza (sacrificio resosi necessario per evitare che tale "filtro", posto a presidio dell'investitore, potesse pregiudicare il libero esercizio del diritto di opzione - e della connessa prelazione - nel caso di soggetto che, già socio e interessato ad avvalersi dell'opzione, non avesse superato detto vaglio) con l'assicurazione che i titolari di opzione sarebbero stati messi al riparo da influenze di sorta da parte della rete dell'istituto di credito, onde scongiurare qualsivoglia rischio che le determinazioni dei clienti potessero essere influenzate da consigli dì investimento fomiti dalla rete della banca in una situazione di conflitto di interesse. La CONSOB aveva approvato il prospetto relativo all'aucap 2014 in data 8.5.2014 e il successivo 9.5.2014 la banca aveva comunicato agli azionisti i dettagli delle operazioni informandoli della facoltà di esercitare i! diritto di opzione. In linea con l'originaria comunicazione alla CONSOB, por, si collocavano le successive comunicazioni dell'istituto all'ente di vigilanza rese nelle date del 4.7.2014 e del 15.10.2014. Ebbene, precisava il primo giudice, contrariamente a quanto comunicato a COIMSOB ed alla stregua di inequivoche prove tanto testimoniali (oltre alla deposizione del dirigente CONSOB, Francesco Adria, il tribunale valorizzava quelle dei dirigenti B. Al.Mo. e Gi.Am.) quanto documentali (tra le quali plurime, assai significative, comunicazioni via e-mail intercorse tra dirigenti B.), era emersa la natura meramente formale dei presidi organizzativi adottati dall'istituto di credito, peraltro sistematicamente aggirati nella pratica commerciale in attuazione di un'attività di pianificazione che si era caratterizzata per una fortissima pressione commerciale sulla rete (come precisato da numerosi dirigenti B. e, segnatamente, dai testi Gi.Ca., Ma.Ni., Lu.Ve., Ro.Pr. e Fu.Bo.), posto che: a) ben lungi dall'essere riconducibili alla spontanea iniziativa dei clienti, gli acquisti erano stati sollecitati dalla rete commerciale dell'istituto, appositamente istruita e sistematicamente resa oggetto di forti pressioni per la collocazione dei titoli; b) circa il 60% delle richieste di acquisto di azioni inviate via internet (modalità che, come detto, secondo il modello predisposto, unitamente all'invio della richiesta in modalità cartacea attraverso la spedizione di lettera raccomandata, avrebbe dovuto essere seguita dalla clientela interessata alla sottoscrizione di azioni onde evitare contatti inappropriati con la rete dell'istituto) erano risultate inviate da indirizzi IP di computer in uso a dipendenti della banca. Inoltre era emersa la prassi della presentazione brevi manu delle missive, in luogo dell'invio per raccomandata; c) contrariamente a quanto esposto all'autorità di vigilanza, in larghissima parte le adesioni all'offerta da parte degli opzionisti (26.000 su 29.000) si erano concretizzate al di fuori del sistema nella preventiva raccolta delle manifestazioni di interesse; d) mediante le modalità predisposte dalla banca, infatti, avevano aderito solo 2778 del 29.360 titolari del diritto di opzione, inviando 1695 lettere e 1083 manifestazioni di interesse via web; e) erano state create vere e proprie liste di clienti da contattare per supportare° la rete di vendita, nell'ambito di un'accurata pianificazione commerciale volta a favorire al massimo la collocazione delle azioni (ben 7434 soci che avevano aderito all'iniziativa, infatti, erano risultati inseriti nelle liste predisposte dalla banca); f) il 32% degli aderenti all'aucap censiti nel database delle manifestazioni di interesse aveva richiesto al momento dell'adesione un quantitativo di azioni esattamente corrispondente a quanto registrato nell'applicativo predisposto dalla banca nella fase di preadesione; g) era emersa la prassi di aggirare il test di adeguatezza (previsto per le adesioni del pubblico indistinto sino al 9.7.2014) facendo acquistare sul mercato secondario al cliente 100 azioni prima dell'aucap, in modo che il medesimo cliente potesse rientrare tra i soci e, quindi, potesse partecipare all'aumento di capitale senza effettuare le valutazioni di adeguatezza. Più nel dettaglio, i casi di consulenza surrettizia accertati - come precisato dall'ispettore An.Me. - erano risultati corrispondenti ad operazioni di acquisto per un valore pari a 143,17 milioni di euro su 497,98 milioni di euro complessivi. Secondo gli esiti della replica del test di adeguatezza standard effettuato in sede ispettiva (test che, infatti, sarebbe stato doveroso effettuare in caso di consulenza) era poi emerso che in almeno il 72% dei casi per un controvalore di 83 milioni di euro si sarebbe trattato di operazioni non adeguate, in quanto tali destinate ad essere bloccate dalla procedura. Inoltre si era acquisita contezza di agevolazioni (segnatamente, time deposit a tassi vantaggiosi) e anche di massicci finanziamenti concessi per l'acquisto di azioni proprie, non solo per garantire l'azzeramento del fondo acquisto azioni proprie ma anche per conseguire gli obiettivi di aumento di capitale, peraltro nell'ambito di iniziative commerciali che erano state taciute alla CONSOB e che avevano portato alla conclusione di operazioni di vendita di titoli in assenza delle doverose informazioni circa la natura e le caratteristiche delle operazioni medesime. Pertanto l'incremento di rischio per la clientela era stato del tutto privo di presidi nei sistemi di verifica di adeguatezza degli investimenti. In definitiva - concludeva il primo giudice - B. aveva fornito alla CONSOB, con riferimento alla predetta operazione di aumento di capitale, un quadro informativo falso e gravemente fuorviante, tanto in ordine al modello di servizio adottato per rapportarsi alla clientela quanto in punto di erogazione dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie. La rilevanza decettiva di tali condotte era stata indubbia: ove la CONSOB fosse stata informata della pianificazione commerciale all'origine del collocamento delle azioni, infatti, avrebbe sicuramente esercitato in modo più pervasivo i propri poteri, sia di controllo che istruttori ex art. 94 TUF, e avrebbe imposto un più rigoroso modello di operatività fondato sulla consulenza e sull'obbligo di somministrazione di test di adeguatezza bloccante. Né, ad avviso del giudice di prime cure, poteva aderirsi alla tesi difensiva proposta dall'imputato Em.Gi.. Costui - risultato il dirigente che aveva maggiormente supportato e coadiuvato il direttore generale Sa.So. nell'iniziativa commerciale tesa a garantire il buon esito dell'aumento di capitale - aveva sostenuto, infatti, di avere agito nella convinzione dell'esistenza di una pregressa pianificazione commerciale concordata dall'istituto di credito con l'autorità di vigilanza. Tale tesi difensiva, tuttavia, era stata nettamente smentita dalle emergenze istruttorie. Da un lato, infatti, la banca aveva sempre attestato alla vigilanza che le operazioni di sottoscrizione erano avvenute ad iniziativa dei clienti; dall'altro lato era emersa un'operatività volta alla pianificazione commerciale dell'operazione non verbalizzata e, quindi, evidentemente elaborata e attuata nella piena consapevolezza di agire al di fuori del perimetro di regolarità tracciato dalla normativa Mifid. Né - proseguiva il tribunale - poteva accedersi alla tesi difensiva dell'imputato GI. secondo cui questi non era responsabile del reato in esame essendosi limitato a dare attuazione alle direttive impartitegli; in contrario deponevano la sua veste di dirigente apicale (responsabile della Divisione Mercati e vice direttore generale) nonché la prova - da considerarsi raggiunta al di là di ogni ragionevole dubbio - dell'incondizionato allineamento del GI. all'illecita politica gestoria ideata dal direttore generale So., cui il GI. medesimo aveva contribuito materialmente offrendo un fondamentale apporto partecipativo. Peraltro - concludeva, sul punto, il primo giudice - lo stesso presidente Zo.Gi. aveva preso parte tanto alla riunione del 3 aprile 2014, nel corso della quale il d.g. So. aveva illustrato alla rete le modalità operative pianificate per l'aucap e la campagna di contatto della clientela (al riguardo il riferimento era alla e-mail di cui al doc. 241 del P.M. in cui si esplicitava chiaramente la "campagna di contatto" all'uopo programmata), quanto alla precedente seduta del CdA del 4 marzo, in occasione della quale aveva fatto esplicito riferimento alla necessità dì "fare formazione sulla rete", chiarendo che "non devono parlare", ovverosia all'esigenza di stimolare i clienti ad aderire all'aumento di capitale e alla congiunta necessità di occultare tale prassi operativa. Donde la trasmissione degli atti al P.M. con riferimento alla posizione di tale imputato. 1.8. I reati di falso in prospetto In proposito va premesso che oggetto dei capì di imputazione sub I) ed L) sono i prospetti informativi redatti dall'istituto dì credito e depositati presso la CONSOB relativi agli aumenti di capitale realizzati negli anni 2013 e 2014 ed inerenti alle offerte al pubblico di azioni di nuova emissione e di obbligazioni convertibili in azioni La condotta di falso, secondo le suddette imputazioni, sarebbe consistita nell'occultamento di informazioni rilevanti in merito all'esistenza, all'entità e agli effetti del fenomeno degli investimenti correlati all'acquisto di azioni B., nonché nella comunicazione dì informazioni fuorvianti in ordine all'andamento del mercato secondario delle stesse azioni. Sul punto il tribunale, dopo avere richiamato il quadro normativo di riferimento (artt. 94, 94 bis, 173 bis D.Lvo 58/98 - TUF), evidenziava gli elementi costituivi della fattispecie delittuosa in esame precisando trattarsi di "reato comune", finalizzato ad approntare tutela al risparmio nella sua accezione "dinamica" e caratterizzato da una condotta reticente o fuorviante idonea a trarre in inganno l'investitore (senza peraltro la necessità della causazione di danno, come invece previsto dalla previgente fattispecie ex art. 2623 c.c.). In siffatta prospettiva la falsità non avrebbe dovuto necessariamente avere a oggetto dati materiali necessari ma anche notizie e valutazioni fondanti l'offerta (con l'ovvia precisazione che, in tal caso, più che di falsità delle predette valutazioni si sarebbe trattato di un difetto di genuinità e di imparzialità delle stesse). Anche l'occultamento di informazioni, poi, avrebbe potuto integrare la condotta materiale della fattispecie in questione, qualora inerente a dati o informazioni parimenti rilevanti. In ogni caso, essendosi in presenza dì reato di pericolo concreto, requisito essenziale della condotta decettiva era l'idoneità a trarre in inganno il destinatario; quest'ultimo, nella concretezza del caso sub iudice, non si sarebbe dovuto identificare nell'investitore professionale e neppure - ed a fortiori - in quello istituzionale, bensì nel piccolo/medio risparmiatore, ovverosia in quel soggetto che, generalmente, si limita alla lettura della sola "nota di sintesi", decisamente più breve e predisposta proprio al fine di renderlo edotto del contenuto "concreto" della proposta di investimento. Sotto il profilo soggettivo, poi, la norma era caratterizzata dalla combinazione del dolo specifico e di quello intenzionale: alla volontà e rappresentazione del fatto tipico commesso con l'intenzione di ingannare i destinatari del prodotto finanziario, infatti, si accompagnava lo scopo di conseguire un ingiusto profitto, per sé ovvero per altri. Tanto premesso - proseguiva il tribunale - negli anni 2013 e 2014 la banca vicentina aveva realizzato due aumenti di capitale, il primo deliberato il 16.4.2013 ed il secondo, caratterizzato da due offerte, il 15.4.2014. In entrambi i casi i prospetti comunicati dalla banca erano risultati caratterizzati dall'occultamento dell'esistenza, dell'entità e degli effetti del fenomeno della concessione dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. e, quindi, dall'occultamento di informazioni essenziali perché l'investitore potesse determinarsi correttamente. Questo benché la prassi della concessione di siffatta tipologia di finanziamenti risalisse al 2009 (quando l'istituto aveva iniziato a proporre a clienti "amici" acquisto dì azioni proprie in grandi quantità - i c.d. "big ticket" - nell'ambito di operazioni "baciate", ovvero caratterizzate dalla tendenziale corrispondenza tra importo del finanziamento concesso e controvalore delle azioni acquistate, al fine di procedere allo svuotamento periodico del fondo acquisto azioni proprie) e benché detto fenomeno, che aveva interessato tanto il mercato primario quanto quello secondario, avesse raggiunto dimensioni consistenti già a partire dal 2012 (nel quarto trimestre de) 2012, infatti, il numero dì azioni finanziate era risultato corrispondere ad un controvalore di euro 545.520.996). Ora, con riferimento al mercato primario, nell'ambito degli aumenti di capitale finalizzati all'ampliamento della base sociale (mini aucap 2013 e 2014), l'istituto di credito aveva previsto espressamente l'erogazione di finanziamenti per l'acquisto di azioni proprie. Analoga informativa, invece, non era stata inserita nei prospetti relativi agli aumenti di capitale destinati ai titolari del diritto di opzione, ovvero al pubblico indistinto, sebbene, poi, in concreto, gli accertamenti ispettivi BCE e CONSOB avessero dimostrato come gli aumenti di capitale 2013 e 2014 fossero stati in larga parte realizzati proprio ricorrendo al massiccio finanziamento degli investitori che sottoscrivevano azioni di nuova emissione (nel 2013, su un controvalore totale di euro 506 milioni, le operazioni finanziate erano ammontate a 136.034,044,00 euro; nel 2014, poi, i finanziamenti concessi dall'istituto avevano riguardato azioni per un controvalore di 146,451.259 euro). Solo a seguito dell'ispezione BCE del 2015, infatti, l'istituto aveva ammesso l'esistenza delle operazioni di finanziamento correlato, per un valore complessivo determinato, in sede di internai audit, di 1.086 milioni di euro alla data del 31.10.2015, informazione che, come inevitabile, aveva provocato effetti dirompenti. Di qui la conclusione cui perveniva il primo giudice circa la penale responsabilità derivante dalla radicale assenza, nei prospetti inerenti alle operazioni di aumento di capitale, dell'esistenza e dell'entità del fenomeno delle operazioni finanziate, trattandosi di informazioni che, ove conosciute, avrebbero evidentemente indotto un investitore ragionevole ad una ben maggiore ponderazione nella decisione di sottoscrivere gli aumenti di capitale. L'occultamento di tali informazioni, poi, aveva ovviamente alterato anche i dati di bilancio e, di conseguenza, le informazioni ad essi inerenti che erano state riportate nei prospetti relativi agli aumenti di capitale in questione. L'effetto che ne era derivato era stato, anche in tal caso, quello di distorcere gravemente la conoscenza degli investitori circa la rappresentazione dei livelli patrimoniali della società. Per tutto il periodo 30.6.2012-31.12.2012, infatti, il Tier 1 Ratio si era attestato ad un livello inferiore alla soglia dell'8% quale prescritta dalla Banca d'Italia nella lettera di intervento del 2.3.2012. Anche nel 2013, poi, si era registrata analoga violazione di detto requisito target. Così come durante il successivo esercizio 2014, quando il CET Ratio si era attestato ad un livello inferiore alla soglia regolamentare del 7% e il Total Capital Ratio aveva parimenti raggiunto un livello inferiore a quello minimo regolamentare del 10,5%. I dati di bilancio richiamati nei prospetti inerenti alle operazioni di aumento del capitale, quindi, avevano indotto i risparmiatori a confidare in un livello di solidità patrimoniale dell'istituto di credito in realtà ben inferiore a quello prescritto. Donde l'idoneità decettiva delle informazioni fornite sul punto. Infine, anche le informazioni inerenti ai volumi delle azioni scambiate nell'ambito del mercato secondario erano risultate del tutto inattendibili per effetto della mancata comunicazione del fenomeno delle operazioni finanziate (fenomeno al quale la banca aveva fatto ricorso massicciamente, a partire dal 2012, proprio allo scopo di assicurare la negoziabilità del titolo, provocando, tuttavia, in tal guisa, una grave alterazione della dinamica del mercato secondario) e avevano ingenerato nei terzi la convinzione di una solo apparente liquidità delle azioni. In questo contesto era stata occultata al mercato - sostenendosi, nei prospetti, che le richieste di cessioni delle azioni sarebbero state sottoposte appena possibile al CdA - la persistente situazione di grave ritardo nell'evasione delle richieste di vendita di azioni provenienti dai soci (nel corso del 2013, in effetti, il time to sell era passato dai 28 giorni del mese di gennaio ai 311 giorni della fine dell'anno); richieste, peraltro, neppure sempre evase in ordine cronologico. In definitiva la mancata comunicazione di tali informazioni aveva ingenerato l'apparenza di un'appetibilità del titolo in realtà inesistente. Donde, anche sotto tale profilo, la sussistenza della condotta di reato di falso in prospetto. Quanto, poi, alle singole posizioni soggettive, il tribunale evidenziava come Zo.Gi., presidente del CdA dal 1996 al 2015, fosse certamente responsabile delle operazioni di aumento di capitale del 2013 e anche della redazione dei relativi prospetti, per avere egli, su incarico del CdA, conferito al d.g. So. e al vice d.g. PI. i poteri all'uopo necessari, nonché per avere egli sottoscritto il documento di registrazione e la dichiarazione di responsabilità. Analogamente, con riferimento all'aumento di capitale 2014, i poteri conferiti allo ZO. dal CdA in ordine all'operazione di aumento di capitale rendevano evidente la responsabilità del predetto nella falsificazione dei prospetti illustrativi di detta operazione Considerazioni del medesimo tenore, poi, venivano dal tribunale svolte con riferimento alla posizione del PI., trattandosi di un vice direttore B. nonché del responsabile della Divisione Finanza, ovverosia di una divisione alla quale, secondo l'organigramma dell'istituto di credito, competeva proprio l'espletamento delle attività di natura amministrativa per la predisposizione dei prospetti informativi. Infine anche gli imputati GI. e MA. venivano giudicati responsabili del reato in questione, avendo i predetti, sebbene non coinvolti - secondo il primo giudice - nel processo di predisposizione e approvazione dei prospetti, partecipato attivamente ad assicurare, conoscendone perfettamente le esigenze sottostanti, l'operatività del meccanismo dei finanziamenti correlati all'acquisto delle azioni B. mediante massiccio ricorso al capitale finanziato; meccanismo del quale avevano contribuito a occultare l'esistenza e l'entità. 1.9. Le singole posizioni processuali. 1.9.1 Zo.Gi. Il tribunale, dopo avere richiamato la normativa di dettaglio emanata da Banca d'Italia per disciplinare gli assetti del governo societario dell'impresa bancaria (assetti che attribuivano al presidente del CdA il ruolo di garanzia in ordine al corretto funzionamento dell'organo, precisando come costui non dovesse essere un componente esecutivo e non dovesse svolgere, neppure di fatto, funzioni gestionali) e dopo avere ricostruito la composizione, all'epoca dei fatti, del CdA di B., precisava che Zo.Gi. era stato presidente dell'istituto di credito dal 1996 al novembre del 2015 nonché presidente del comitato esecutivo. Tutti gli elementi disponibili, poi, convergevano nel delineare il ruolo dominante e pervasivo svolto dall'imputato nell'organizzazione dell'attività della banca, tanto che l'attenzione degli organi di vigilanza, sin dal 2007, aveva evidenziato tale criticità, stigmatizzando l'autoreferenzialità dei meccanismi di governance instaurati dall'imputato. Peraltro era stata proprio la strategia di crescita (aumento degli sportelli; continua espansione dimensionale) imposta alla banca dal Presidente a porsi all'origine delle problematiche degli aspetti patrimoniali del gruppo che, infatti, proprio per fare fronte alla progressiva crescita dei costi di gestione, era stato costretto a ricorrere sistematicamente ad aumenti di capitale. Inoltre i meccanismi di governo societario - e, in particolare, il ruolo predominante rivestito, nel consiglio di amministrazione, dall'imputato nonché la visione maturata e attuata dallo stesso dì un successo imprenditoriale commisurato alla continua espansione dimensionale dell'istituto - erano stati sistematicamente censurati dall'autorità di vigilanza (in particolare: in occasione del rapporto ispettivo del 2008; dell'ispezione di follow up del 2009; dell'ispezione sul credito del 2012; della vigilanza in relazione all'aumento di capitale del 2013). Del resto la struttura verticistica del governo aziendale era emersa da tutte le risultanze probatorie disponibili. In effetti - precisava il primo giudice - l'imputato esercitava una forma pervasiva di controllo sulle dinamiche del consiglio, nel cui seno le decisioni assunte non erano mai state oggetto di discussione o dibattito, il tutto mentre il controllo assicurato dal collegio sindacale era risultato meramente formale, come verificato da Banca d'Italia nell'ispezione 2008. Di fatto era lo ZO., con riferimento tanto al consiglio di amministrazione, quanto al collegio sindacale, a selezionare i candidati (dep. Zi., Gr., Lo.), scegliendoli, per cooptazione, tra esponenti dell'imprenditoria locale (individuando, peraltro, soggetti inesperti dei complessi meccanismi dell'impresa bancaria) e ad affiancare loro professionisti già legati alla persona dello stesso presidente da pregresse esperienze professionali. In particolare il tribunale, sulla base di puntuali deposizioni al riguardo (trattasi, segnatamente, della deposizione resa dal teste Da.Lo.), ricostruiva una situazione caratterizzata dall'assenza di obiezioni di sorta alle proposte presidenziali, da un clima dì effettiva intimidazione - se non di vero e proprio terrore - che rendeva difficile manifestare qualsiasi dissenso, nonché da modalità di votazione, in assemblea, che rendevano identificabili le singole manifestazioni di voto. In effetti il CdA si era costantemente limitato ad approvare le proposte del presidente e tutte le decisioni erano state sempre unanimi, sicché lo stesso ruolo del consiglio era stato, di fatto, svuotato di ogni profilo sostanziale. Emblematica di ciò - ad avviso del tribunale - era stata la vicenda dell'acquisizione di un immobile da adibire a sportello bancario nella località turistica di Cortina, operazione fortemente voluta dallo ZO. (in particolare per il ritorno di immagine che, a suo giudizio, ne sarebbe derivato) e che era stata conseguentemente accettata dal d.g. So. contro ogni logica dì convenienza economica, tanto che aveva portato all'esito fallimentare di una perdita di oltre venti milioni di euro (come peraltro comprovato dal contenuto della conversazione telefonica intercettata riportata a pag. 589 della sentenza impugnata e come confermato dalla relazione ex art. 33 l.f.). Altrettanto significativa del ruolo predominante dell'imputato in seno al CdA, poi, era la vicenda - la cui ricostruzione esatta era stata resa possibile dalla documentazione costituita dal relativo file audio - inerente alla determinazione del prezzo dell'azione in deroga alle stesse regole procedurali dell'istituto deliberata in occasione della seduta 1.4.2014. Connotato da analoga "impronta padronale", inoltre, era anche il rapporto tra l'imputato, da un lato, ed il management e le strutture aziendali, dall'altro. Infatti, ripetutamente, gli incarichi di vertice erano stati assegnati a soggetti indicati dal presidente (era il caso dei d.g. Gr. e So., di Ro., di Fa., consulente nel settore degli affari internazionali; di Ra., al quale era stato affidato l'incarico di presidente della società Mo. che gestiva il patrimonio immobiliare della banca), con il CdA che si era limitato a ratificarne le decisioni. Era lo ZO. a decidere su tutto: retribuzioni, posizioni, crediti, affidamenti, parco automobili (si veda la deposizione di Um.Se., direttore della controllata siciliana Ba.Nu. dal 2012), L'imputato si era occupato anche delle campagne pubblicitarie (cfr. la deposizione del teste Ma.Pa.) e addirittura della concessione, agli amici, di tassi di interesse fuori mercato ed in perdita per la banca (come nel caso dell'imprenditore amico Re.Ca., secondo la deposizione del teste Gi.Am.). Più nel dettaglio, il coinvolgimento dello ZO. nell'attività gestionale era stato confermato da numerose, convergenti deposizioni. Era il caso, in particolare, delle testimonianze di Al.Sa., Iv.Me. e Gi.Am., quest'ultima relativa anche alla riunione tenutasi l'il.11.2014 a seguito della pubblicazione dell'articolo del Sole 24 Ore che aveva messo in discussione il valore del titolo. In detta riunione ZO. aveva esplicitamente affermato, tra l'altro, che ì soci che avessero voluto vendere i titoli avrebbero potuto essere sostenuti con finanziamenti e la trascrizione della già menzionata seduta del Comitato di Direzione 10.11.2014 (doc. P.M. nr. 110) riscontra tali indicazioni del presidente. Le e-mail acquisite al fascicolo del dibattimento (docc. P.M. nr. 298, 299, 322, 320, 521), al pari degli appunti di Ma.So. contenuti nel "maxi quaderno giallo", poi, confermavano il ruolo operativo del presidente. Il teste Se.Ro., inoltre, aveva riferito al teste Ma.Pa. - cfr. la deposizione di quest'ultimo - che le decisioni di vendita delle azioni andavano ricondotte allo ZO. e, sul punto, non mancavano conferme documentali: la e-mail del 16.6.2014 (allegato 31 relazione CONSOB), avente ad oggetto il sollecito rivolto dalla segreteria del presidente ZO. al Ro. circa un reclamo - indirizzato direttamente al medesimo presidente ZO. -riguardante i ritardi nella vendita di azioni della sig.ra Ro.Sa.; il documento del P.M. nr. 321 (relativo a una corrispondenza e-mail tra Fi.Ro. e Da.Fa. del 20.1.2014); gli appunti del So.; infine le stesse dichiarazioni ammissive rese dall'imputato nel corso dell'interrogatorio del 24.3.2017. Lo strettissimo rapporto tra lo ZO. ed il d.g. So. (quest'ultimo, peraltro, proposto dallo stesso ZO. come consigliere delegato nel 2015, ovverosia poco prima dell'ispezione BCE, quando oramai la banca versava in condizioni di forte criticità ed aveva superato solo per il "rotto della cuffia" il Comprehensive Assessment tramite la conversione del prestito obbligazionario deliberata d'urgenza dal CdA nella seduta del 26.10.2014, convocata presso la tenuta toscana del presidente sita in (...) era stato delineato da numerosi testi escussi (Di.Gr., Se.Ro., Ad.Ca., Pa.An., Vi.Do., Ma.So.) e confermato dallo stralcio della conversazione intercettata tra Gi.Zi. e il suo interlocutore Pa.Ba. nello del 26.8.2015 (riportata a pag. 599 della gravata sentenza), dove si affermava che i due erano sostanzialmente inscindibili e "viaggiavano a braccetto". Lo stesso So. del resto, in occasione di talune conversazioni intercettate, si era riferito spesso al diretto coinvolgimento del Presidente nelle vicende gestorie della banca (il richiamo era ai progressivi 459, 300, 610, 845, 1570, 1587, nonché agli SMS di cui ai documenti nn.ri 653, 654, 655 - pagg. 600-603 della gravata sentenza). Con riferimento all'aucap del 2014, poi, la scheda file audio della seduta del CdA del 4.3-2014 aveva documentato il diretto coinvolgimento del presidente nella pianificazione dell'operazione in questione, mentre le dichiarazioni del coimputato GI. avevano ribadito tale coinvolgimento, peraltro confermato anche dalla documentazione disponibile (era il caso della e-mail costituente l'allegato nr. 75 alla relazione CONSOB). Lo ZO., inoltre, aveva avuto un ruolo attivo anche durante il comitato di direzione "allargato" del 20.4.2015 nel quale erano state affrontate, tra gli altri temi, le questioni dei soci finanziati e della creazione di una task force che avrebbe dovuto gestire il problema dei soci che chiedevano di vendere le proprie azioni. In tal senso deponeva il documento nr. 362 del P.M. costituito dagli appunti di Gi.Am., siccome "interpretati" dallo stesso Am. durante la propria deposizione. Nel corso di tale comitato di direzione, infatti, si era discusso anche del problema costituito dall'impossibilità di ricorrere all'impiego del fondo acquisto azioni proprie, ovvero allo strumento che, ad avviso del Presidente, doveva servire - secondo quanto riferito dal teste Am. - "a rendere più liquido l'investimento in azioni della (...)". Del resto le modalità della risoluzione del rapporto con il d.g. So. (risoluzione intervenuta solo quando, nel corso dell'ispezione BCE, la situazione era divenuta insostenibile a seguito dell'emersione della vicenda dei fondi lussemburghesi, della prassi delle lettere di impegno e dei finanziamenti correlati) dovevano ritenersi sintomatiche - nella ricostruzione dell'episodio fattane dal primo giudice - delle modalità gestorie dello ZO. e della volontà di assicurare al So. un commodus discessus. L'imputato, infatti, aveva fulmineamente risolto il contratto con il direttore generale (al quale, nondimeno, era stato riconosciuto di avere operato "con diligenza e correttezza nell'interesse della banca" e, soprattutto, era stata attribuita una buonuscita di ben 4 milioni di euro); questo era avvenuto nonostante il contrario parere del consigliere Gi.Zi. (documentato dal file audio della seduta del CdA) il quale aveva chiesto di valutare il licenziamento, al posto della risoluzione consensuale, al fine di salvaguardare la posizione dello stesso CdA. Peraltro dell'intervento dello ZI. il verbale consiliare non recava traccia alcuna (e questo nonostante la esplicita richiesta avanzata, in tal senso, dal menzionato consigliere). Si era trattato, quindi, di una decisione unilaterale di ZO., non preceduta da alcun dibattito in seno asl CdA (come riferito dallo stesso ZI. e come, del resto, confermato dalla deposizione del teste Ad.Ca.). Nell'occasione la finalità perseguita dallo ZO. - ad avviso del tribunale - era stata evidentemente quella di assicurarsi, "attraverso il fulmineo e ben retribuito congedo del direttore generale infedele", "un salvacondotto a fronte delle condotte illecite in fase di accertamento da parte della squadra ispettiva" (così si legge a pagina 611 della sentenza impugnata). Solo in quest'ottica, pertanto, poteva essere ragionevolmente interpretato quanto avvenuto in occasione delle successive sedute del CdA del 15 maggio, 27 maggio, 9 giugno e 11 giugno 2015, allorché sì era discusso della possibilità di intraprendere azioni legali nei confronti del So. per poi alla fine decidere, su proposta dello stesso ZO., di non procedere in alcun modo nei confronti dell'ex direttore generale. In definitiva l'accordo per la risoluzione del contratto con il manager con riconoscimento di una buonuscita multimilionaria - accordo deciso e repentinamente attuato dallo ZO. non solo in contrasto con le previsioni statutarie (che attribuivano al CdA la competenza in materia) e con la normativa di vigilanza in materia di remunerazione dei dirigenti, ma anche in radicale conflitto con l'interesse dell'istituto di credito - costituiva un elemento di prova della corresponsabilità dell'imputato. Sintomatiche dell'interesse (a proteggere il So.) perseguito, con detto accordo, dallo ZO. - significativamente definito, in un colloquio captato dagli investigatori, uno che ha governato come un monarca assoluto" e che, quindi, non era certo all'oscuro di quanto andava emergendo nel corso dell'ispezione - erano proprio alcune conversazioni intercettate (cfr. stralci riportati alle pagg. 611-613 della sentenza). Quindi il primo giudice, ad ulteriore sostegno della conclusione cui perveniva in ordine alla piena responsabilità dello ZO. nella gestione dell'istituto di credito con riferimento specifico alle condotte oggetto di imputazione, richiamava specificamente le operazioni correlate effettuate da taluni imprenditori. Trattasi, segnatamente: - di Se.Pi. (presidente del CdA della società It.). Costui, nel corso della deposizione resa in dibattimento, aveva ricostruito gli acquisti "baciati" dì azioni B. effettuati, originariamente su proposta dello ZO., con il ricorso ad affidamenti da parte dell'istituito di credito (il tutto per un'operatività di euro 4.400.000). Secondo detto teste lo ZO. era a conoscenza dell'esistenza dei finanziamenti correlati a lui concessi, iniziati nel 2005. Nel 2013, quando il teste era stato ospite dell'imputato a Castello di Albola, lo ZO. si era dimostrato soddisfatto dell'aumento di capitale e nell'occasione avevano parlato, tra l'altro, delle operazioni finanziate effettuate dal Pitacco, facendo anche specifico riferimento all'importo complessivo; - di Al.Be., imprenditore del settore dell'editoria legato da risalente rapporto di amicizia con l'imputato. Anche tale dichiarante (cfr. verbale di s.i.t. acquisito ex art. 493, co, 3, c.p,p.) aveva ricostruito le operazioni finanziate effettuate al fine di acquistare le azioni di B., per un valore complessivo di euro 1,25 milioni a fronte di un finanziamento di pari importo. Sebbene detto teste avesse riferito di non avere mai parlato con lo ZO. di tali operazioni "baciate", le relative dichiarazioni - sul punto - erano state smentite dai testi Gi.Gi. (direttore regionale della Lombardia) e Al.Ba. (responsabile della Divisione Crediti di B. dal gennaio 2015). Il primo, dopo avere ricostruito le operazioni "baciate" effettuate da detto imprenditore in condizioni di neutralità economica (donde i relativi storni che gli avevano garantito il totale rimborso degli interessi maturati), aveva precisato che il Be. gli aveva riferito di avere parlato con lo ZO. di una di tali operazioni (quella effettuata tramite la B.Me.), Il teste Al.Ba., dal canto suo, aveva dichiarato di avere discusso con l'imputato ZO. della posizione del Be., ragguagliandolo circa gli acquisiti di azioni tramite finanziamenti "baciati" effettuati in precedenza dallo stesso Be. per "Vare una cortesia alla banca". Ciò era avvenuto nel corso di un incontro cui aveva partecipato lo stesso imprenditore, il quale, nell'occasione, aveva espressamente chiesto che l'operazione "fosse smontata"; - di Do.Ir.. presidente di C., società del settore delle costruzioni e amica di famiglia dello ZO.. In questo caso le azioni B. erano state acquistate, per un valore di 1 milione di euro, impiegando parte di un più consistente finanziamento (5 milioni) concesso dall'istituto. A detta della Ir. la proposta iniziale le era stata avanzata, con riferimento all'aumento di capitale allora in fieri, proprio dallo ZO. il quale, poi, l'aveva "dirottata" sul d.g. So.. Dal canto suo il figlio della Ir., Ha.Mi. (vicepresidente e amministratore delegato di C.), il quale aveva poi portato avanti la trattativa, escusso in dibattimento non aveva ricordato con chi avesse effettivamente trattato (sebbene in sede di indagini, come emerso dalla contestazione del P.M., avesse riferito di avere interloquito, in proposito, con lo ZO. oppure con il manager Al.Cu.; soggetto, quest'ultimo, che - parimenti escusso in dibattimento - aveva smentito di essersi personalmente occupato della questione); - dei fratelli Ra.. In particolare Ra.Si., imprenditore del settore abbigliamento e cliente storico di B., aveva riferito di avere aderito, unitamente ad alcuni suoi familiari, alla proposta di operazioni "baciate". Più volte costui (al pari dei fratelli) aveva chiesto rassicurazioni al riguardo allo ZO. ed era stato sempre tranquillizzato. Nel 2013 i Ra. avevano iniziato a sollecitare la chiusura delle operazioni, al che Fu.Bo. ed Em.Gi. avevano tentato di dissuaderli. Dichiarazioni di analogo tenore, poi, erano state rese da Ra.Gi., sebbene costui avesse riferito, diversamente dal fratello, che le discussioni con lo ZO. avevano riguardato la solidità della banca e non già le operazioni "baciate" in corso. Nondimeno - precisava il tribunale - la conversazione nr. 560 intercettata sull'utenza in uso al So., nella quale costui, esprimendo disappunto sull'atteggiamento negazionista dello ZO., riferiva in termini coincidenti con la narrazione di Ra. Silvano, confermava la tesi di quest'ultimo in ordine al contenuto dei colloqui - aventi ad oggetto proprio il tema dell'acquisto delle azioni della banca - intercorsi tra i fratelli Ra. e il presidente ZO.; - di Fr.Zu. e Fe.Ri.. Il primo, cognato di ZO., aveva riferito di un fido concessogli per partecipare, a titolo di amicizia e senza alcun rischio, all'aucap 2014, operazione della quale, tuttavia, non aveva parlato con lo ZO.. Nondimeno dalle schede di analisi dei consulenti del P.M. erano emersi, complessivamente, acquisti di azioni effettuati dalla famiglia Zu. per 984 mila euro con risorse erogate all'uopo dall'istituto. Quanto al Ri., amico dell'imputato da decenni, ex direttore di musei e consulente della banca per la stima delle opere d'arte, aveva effettuato operazioni per gli aucap 2013 (300 mila euro) e 2014 (200 mila euro) e aveva riferito che lo ZO., quando aveva appreso di una di tali operazioni, aveva espresso il proprio compiacimento, sebbene il teste avesse pure precisato che con l'imputato aveva interloquito solo in relazione alla sua sottoscrizione dell'aucap, non già circa le modalità di acquisto delle azioni. Quando poi, nel 2015, aveva manifestato allo ZO. le proprie preoccupazioni per gli acquisti finanziati, l'imputato aveva ribattuto in modo brusco ("Ma chi ti ha detto di farli?"), lasciandolo perplesso; s di Gi.Ro., noto imprenditore del settore della valigeria. In tal caso le operazioni finanziate erano state molteplici (la prima per l'ammontare di 700,000 euro; successivamente anche per l'importo di 5 milioni). Ripetutamente aveva incontrato lo ZO. in occasione di cene e pranzi e, quando gli aveva chiesto rassicurazioni, era stato costantemente tranquillizzato. Richiesto di precisare se l'imputato fosse a conoscenza delle modalità seguite per l'acquisto delle azioni, il teste aveva risposto affermativamente sulla base di considerazioni di tipo logico (basate, per un verso, sulla posizione di vertice rivestita dall'interlocutore, definita dal teste quella del "capo", del "padre-padrone della banca" e, per altro verso, sull'importanza di dette operazioni nell'ambito della gestione dell'istituto di credito). Peraltro, precisava il tribunale, la registrazione del file audio del 18.6,2013 relativo alla breve conversazione intercorsa tra lo ZO. ed il coimputato GI. poco prima dell'inizio della seduta del CdA - conversazione della quale lo stesso GI. aveva poi chiarito il significato (inerente all'interesse manifestato da un imprenditore catanese, tale Riccardo Coffa, per una operazione "baciata") - dimostrava la piena consapevolezza, in capo allo ZO., della prassi esistente in relazione a tale tipologia di operazioni. Altro significativo elemento a carico dello ZO. era rappresentato, nella prospettiva del tribunale, dall'elevatissima concentrazione di operazioni correlate presso il "gestore private" Ro.Ri. nella filiale di Contrà Porti, la stessa ove l'imputato aveva acceso i propri conti correnti. In effetti lo strettissimo rapporto tra i due (ulteriormente comprovato dalla riassunzione de) "gestore" dopo che questi si era dimesso a seguito del trasferimento ad altra filiale; riassunzione, con immediata ricollocazione presso la filiale di Contrà Porti, conseguente a una semplice visita dello stesso Ri. presso l'abitazione dell'imputato) avrebbe avvalorato la conclusione circa la piena consapevolezza, in capo al presidente, della prassi delle operazioni "baciate" che il predetto Ri. effettuava in favore di una selezionatissima cliente, peraltro per importi estremamente ingenti. Questo benché il medesimo Ri. avesse negato di avere parlato di tali operazioni con l'imputato e, a maggior ragione, di avere da questi ricevuto, al riguardo, autorizzazioni di sorta. Del resto - precisava il tribunale - il teste Da.Ti. aveva dichiarato di essere stato rassicurato dallo stesso presidente ZO. - all'uopo interpellato dal "gestore private" Ri. che aveva sostanzialmente fatto da tramite - circa ii fato che le operazioni "baciate" di sua pertinenza sarebbero state chiuse. Anche l'inerzia dell'imputato a seguito della segnalazione di anomalie inerenti ad operazioni correlate ricevuta nella primavera-estate del 2014 deponeva nel senso della fondatezza dell'impostazione d'accusa, al pari, del resto, delle dimissioni del consulente private banker An.Vi., dimessosi in conseguenza delle insostenibili pressioni che riceveva dai superiori (a loro volta in tal senso istruiti dai vertici aziendali) proprio con riferimento alla conclusione di operazioni "baciate". Peraltro, una pec contenente l'esposizione delle ragioni delle dimissioni era stata trasmessa dal Vi., su consiglio del proprio avvocato, sia al CdA che allo stesso ZO., il quale ultimo l'aveva letta in data 7.7.2014 senza, tuttavia, sollecitare approfondimenti al riguardo. Del resto era significativo che la vicenda si fosse poi definita con un accordo transattivo e con l'impegno alla riservatezza. Di spiccato rilievo probatorio, poi, erano tanto l'inerzia manifestata dallo ZO. a seguito della denunzia effettuata, nel corso dell'assemblea del 26.4.2014, dal socio B. Da. con riferimento alla prassi degli acquisti finanziati, quanto l'atteggiamento, altrettanto inerte, assunto dallo stesso imputato a seguito della ricezione di due lettere anonime che denunziavano il fenomeno della pressione della rete commerciale per favorire la sottoscrizione di operazioni correlate. Conclusivamente, a fronte di tali convergenti elementi, le dichiarazioni rese dall'imputato in occasione degli interrogatori resi in fase di indagine e, successivamente, nel corso dell'esame dibattimentale svoltosi alle udienze - 23,6.2020 e 26.11.2020 - là dove questi aveva sostenuto di essere stato tenuto all'oscuro dell'esistenza del fenomeno delle operazioni correlate, di essersi fidato della valutazione di un esperto di indiscusso prestigio con riferimento al valore assegnato al titolo azionario e, infine, di avere avviato le operazioni di aumento di capitale facendo affidamento sul giudizio della Banca d'Italia in ordine alla solidità dell'istituto di credito - venivano dal tribunale giudicate come destituite di fondamento e scopertamente difensive. I fenomeni del capitale finanziato, delle lettere di impegno e degli investimenti effettuati tramite fondi esteri, infatti, erano stati espressione di prassi note, avallate e, anzi, incentivate dal presidente, vero e proprio dominus assoluto dell'istituto di credito. Egli aveva ricoperto, per circa un ventennio, una posizione di dominio incontrastato, aveva selezionato e fidelizzato il management, anche con trattamenti economici più che generosi (cfr. sul punto, la deposizione del teste Ma.Ma.), aveva imposto la regola dell'approvazione unanime delle sue proposte in CdA ed aveva sistematicamente agito (in forza di una asimmetria di poteri che, peraltro, trovava plastico riscontro anche nell'ammontare delle rispettive retribuzioni, quella dell'imputato risultando quasi dieci volte superiore a quelle degli altri consiglieri) in modo tale da indirizzare l'espansione territoriale dell'istituto nelle aree del Paese ove egli aveva i suoi insediamenti imprenditoriali (Toscana, Friuli, Sicilia), ovvero nelle località di vacanza da lui frequentate (Cortina). In definitiva tutte le dinamiche inerenti alla vita dell'istituto di credito erano state determinate dallo ZO., a partire dalle più importanti strategie d'impresa e fino alle attività più spicciole (posto che era emerso che all'imputato veniva sottoposta, per approvazione, finanche la lista degli invitati alle cene "istituzionali" periodicamente organizzate a casa Lo.), In siffatta prospettiva le conversazioni telefoniche intercettate nelle quali il d.g. Sa.So. evidenziava la piena riconducibilità delle scelte operative al Presidente, ben lungi dall'essere interpretabili come attuazione di una callida determinazione del predetto So., ispirata da logica autodifensiva (come invece sostenuto dalla difesa dello ZO.), costituivano coerente riscontro del pieno coinvolgimelo dell'imputato nell'attività delittuosa. Del resto talune conversazioni significative erano state effettuate impiegando utenze riconducibili a terzi (trattasi dell'utenza 3311650993 intestata a De.Mi.), donde, anche sotto tale profilo, l'insostenibilità della tesi della artificiosità di tali colloqui, il tenore dei quali, peraltro, era del tutto coerente con le richiamate acquisizioni probatorie testimoniali e documentali. Inoltre le affermazioni fatte dal So. in ordine al coinvolgimento dello ZO. nelle operazioni dì capitale finanziato avevano trovato conforto anche negli SMS inviati dai coimputati MA. e GI. al predetto So., messaggi attraverso i quali costoro sollecitavano il benestare del presidenti su alcune operazioni correlate (trattasi dei documenti nn.ri 653 "ricordati di messaggiare il presidente per le pratiche di oggi in CdA - quelle su acquisto, valori mobiliari... Fe. 11 milioni, Mo. 14 milioni, Fe. 20 milioni"; 654: "il presidente sta arrivando bisogna parlargli di Da. e Ca."; 655: "Ti ricordo Zi. da parlarne al pres per il fido da farsi alla sua finanziaria". Di qui la conclusione in ordine alla sussistenza dei presupposti tutti per affermare il coinvolgimento dell'imputato, a titolo di concorso, in tutti i reati ascrittigli. 1.9.2 Gi.Em. Con riferimento a Gi.Em. il primo giudice preliminarmente procedeva a illustrare quali fossero le funzioni della Divisione Mercati (della quale egli, a far tempo dalla fine del 2007, era stato il responsabile -spettandogli in tale veste, fino alla cessazione del rapporto avvenuta nel giugno 2015, la direzione e il coordinamento dell'attività commerciale della banca - oltre a rivestire in B. il ruolo di vice direttore generale); citava al riguardo il funzionigramma di cui ai docc. nr. 262-267 del Pubblico Ministero. Evidenziava poi come il GI. fosse anche membro del Comitato Soci, ossia dell'organo endoconsiliare deputato alla disamina preventiva delle richieste di acquisto e cessione delle azioni B. prima che le stesse fossero sottoposte al CdA. Ciò premesso il tribunale, nel rinviare al cap. X della sentenza quanto alla disamina della penale responsabilità del GI. per il reato di cui al capo N1, affermava che l'istruttoria dibattimentale consentiva di ritenere "emerso in modo univoco" il diretto coinvolgimento del GI. "in tutti gli aspetti della illecita operatività della Banca", elencando al riguardo le seguenti condotte dal predetto poste in essere: - aveva significativamente contribuito alla definizione e all'attuazione delle prassi operative in tema di capitale finanziato: - aveva partecipato direttamente alle più rilevanti operazioni di capitale finanziato (c.d. "big ticket"); - aveva personalmente sottoscritto alcune lettere di impegno di B. al riacquisto delle azioni precedentemente vendute ai clienti cui esse erano indirizzate, autorizzando altresì in via preventiva la sottoscrizione di analoghe lettere da parte dei funzionari a lui sottoposti; - aveva co-organizzato e programmato una capillare attività di monitoraggio della produttività della rete commerciale, esercitando forti pressioni sui dipendenti della stessa al fine di stimolare il raggiungimento degli obiettivi di raccolta del capitale; - aveva personalmente autorizzato storni di interessi come forma di remunerazione dell'investimento in azioni B.; - aveva, in molteplici occasioni, ostacolato l'accertamento dell'illecita operatività della banca non soltanto nei confronti delle autorità di vigilanza esterna ma altresì nei confronti delle società di revisione (cfr. in particolare l'episodio che aveva coinvolto la società di revisione K.) e della vigilanza interna (audit). Nel passare in rassegna gli esiti dell'attività istruttoria il primo giudice anzitutto illustrava i contenuti - evidenziati in particolar modo negli appunti manoscritti redatti dal segretario generale Ma.So. (doc. nr. 389 del P.M.), il quale ne aveva riferito nel suo esame dibattimentale - della riunione del Comitato di Direzione tenutasi l'8.11.2011, cui avevano partecipato fra gli altri, oltre al GI., il direttore generale Sa.So., il presidente Zo.Gi., il responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio Ma.Pe. (dirigente altresì preposto alla redazione dei documenti contabili), il responsabile della Divisione Finanza An.Pi., il direttore generale della controllata toscana Ca. Fr.To., il vicedirettore generale della controllata siciliana Ba.Nu. Um.Se.. In quella sede, dopo che il PE. aveva evidenziato la necessità di collocare più di 100 milioni di azioni, il To. e il Se. (secondo quanto ricostruito nel suo esame dibattimentale dal teste assistito To., il quale peraltro evidenziava come all'epoca si ritenesse in generale inapplicabile l'art. 2358 c.c. alle banche popolari in quanto cooperative) avevano prospettato espressamente la necessità di ricorrere ad operazioni c.d. "baciate" - benché "non facili da proporre come nell'occasione riconosciuto dal To. - al fine di aumentare il collocamento delle azioni, tenuto conto anche del fatto che mancavano ormai solo poco più di 30 giorni alla chiusura natalizia. Indi il primo giudice evidenziava come al GI. fosse ben nota -quantomeno dal giugno 2011 - la situazione, documentata in atti e altresì, riferita da vari testi, di crescente disallineamento tra le domande di acquisto di azioni e le richieste di vendita delle stesse (le quali sopravanzavano le domande di acquisto in maniera sempre più accentuata ed evidente), il che aveva determinato sin dal 2011 un incremento progressivo ed esponenziale del ricorso al capitale finanziato, secondo un "cambio di passo" riscontrabile proprio all'indomani della menzionata riunione del comitato di direzione tenutasi l'8.11.2011. In tale contesto - proseguiva il tribunale - Em.Gi. si era distinto in modo particolare per l'attivo ruolo svolto nell'organizzazione e nel coordinamento delle iniziative c.d. "svuota fondo", rivolte cioè ad attuare il sistematico svuotamento del fondo acquisto azioni proprie di B. (portato infatti a zero tanto alla fine del 2012 quanto alla fine del 2013) nonché per le pressioni - sempre più accentuate specie a partire dalla fine dell'anno 2012 - da lui esercitate sulla rete commerciale affinché fosse incrementato il collocamento delle azioni. Ampio spazio veniva dato al riguardo, in sentenza, alla deposizione dei testi Fi.Ro. (responsabile dell'Ufficio Soci) e Co.Tu. (funzionario in staff alla Divisione Mercati), secondo i quali il direttore generale So. e il GI. - che veicolava le direttive del So. all'intera rete - monitoravano congiuntamente l'andamento delle domande di acquisto e cessione delle azioni e prendevano le decisioni su quante azioni la banca potesse riacquistare, al che conseguiva il sorgere di un'esigenza di occultamento del capitale finanziato. Indi il primo giudice illustrava gli elementi probatori (fra cui le deposizioni dei testi Co.Tu., Gi.Gi., Ma.Ni., Al.Ba., Al.Cu., En.Da., Lu.Ve., Se.Ro., Ro.Ri. e altri) in base ai quali emergeva il ruolo del GI. nell'organizzazione delle attività di occultamento del capitale finanziato, segnatamente: - mediante il divieto, imposto alla rete, di comunicare per iscritto informazioni sul capitale finanziato; - mediante l'utilizzo nelle P.E.F. (pratiche elettroniche di fido) di una formula - estremamente generica ("necessità per investimenti immobiliari e mobiliari"); - mediante la raccomandazione di attuare un distanziamento temporale tra il fido e l'acquisto delle azioni e/o di inserire nel portafoglio titoli dei clienti anche azioni diverse da quelle di B.. La promozione e sollecitazione da parte del GI. dell'occultamento del capitale finanziato, posta in essere nei modi sopra indicati, ad avviso del primo Giudice si traduceva in un rilevante contributo dato dall'imputato all'alterazione della veridicità dei flussi informativi indirizzati all'autorità di vigilanza. In particolare tre episodi, secondo il tribunale, evidenziavano quella che in sentenza (cfr. pag. 647) veniva definita come la * pervicace condotta di Em.Gi. tesa all'occultamento del capitale finanziato nei confronti delle autorità di vigilanza ovvero della società di revisione": - la vicenda del private banker An.Vi., oggetto di una segnalazione da parte dell'avv. Es. che aveva a sua volta dato luogo ad accertamenti effettuati dall'audit, il cui responsabile Ma.Bo. (sentito come teste in dibattimento) aveva consegnato il 4.9.2014 il relativo report al direttore generale So., che dapprima assumeva un atteggiamento dilatorio salvo poi, pressato dal Bo., convocare il GI. nel gennaio 2015 e consegnargli il report dell'audit; di quest'ultimo, secondo il teste Co.Tu., il GI. aveva detto allo stesso Tu. - il quale pure aveva avuto in visione il report - che non avrebbe dovuto parlare con nessuno; s l'episodio della società di revisione K. (ricostruito all'udienza del 19.12.2019 dal teste Vi.An., partner di detta società; allo stesso episodio aveva altresì fatto riferimento l'avv. An.Pa., responsabile dell'ufficio legale di B., ricordando di essere stata zittita in malo modo tanto dal direttore generale So. quanto dal responsabile della Divisione Finanza PI. quando aveva cercato di sollecitare un audit su ciò che era stato riscontrato dalla società di revisione); per la precisione K. aveva, nel corso del suo controllo, individuato 17 posizioni a suo avviso sospette a causa della sostanziale coincidenza tra il valore delle azioni sottoscritte e l'utilizzo dei fidi concessi nonché a causa della vicinanza temporale tra la concessione del finanziamento e la data di acquisto delle azioni; il teste An. aveva dapprima informato il responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio, Ma.Pe., e il collegio sindacale; indi, unitamente al PE., aveva presentato l'elenco delle 17 posizioni al direttore generale So. che lo aveva indirizzato al GI.; questi aveva rassicurato l'An. di K. circa la regolarità delle operazioni, l'assenza di criticità, il' rispetto del merito creditizio, l'assenza di correlazioni tra gli acquisti delle azioni e le erogazioni dei finanziamenti; tuttavia K. aveva insistito per ottenere un parere favorevole della direzione affari legali della banca (parere che l'avv. Pa. non riteneva di poter rilasciare), sicché si era giunti a un compromesso - secondo quanto riferito dalla stessa teste Pa. - basato sull'invio a K. di una lettera interlocutoria (elaborata con il contributo anche del GI. che aveva insistito per evidenziare in essa il rispetto del requisito del merito creditizio) contenente l'impegno a svolgere le operazioni necessarie per chiarire le operazioni segnalate; - le modalità di interlocuzione tenute dal GI. con la squadra ispettiva della BCE nel 2015, allorquando l'ispettore Gi.Ma., sentito come teste, aveva cercato di instaurare un contraddittorio preliminare con i vertici aziendali su poco meno di una cinquantina di posizioni già emerse, durante l'ispezione, come connotate dal compimento di operazioni correlate. Secondo quanto riferito dal teste Ma. il GI., nell'incontro con lui avuto il 12.5.2015 (presente anche il teste Al.Ba., la cui agenda conteneva al riguardo appunti idonei a riscontrare appieno il teste Ma.) aveva escluso trattarsi di operazioni correlate, ribadendo all'ispettore che tutti i finanziamenti erano giustificati dal merito creditizio; il GI. aveva anche preso parte alla predisposizione, sempre in relazione a quella cinquantina di posizioni emerse come critiche, di schede da consegnare all'ispettore Ma., il quale però le aveva giudicate inadeguate e insufficienti (analoga valutazione delle schede era stata previamente compiuta dal teste Ma.Bo., responsabile dell'audit). Indi il tribunale passava in rassegna le risultanze istruttorie - indicate in sentenza come plurime e convergenti (fra esse si citavano le deposizioni dei testi Gi.Ca., capo area; Gi.Gi., direttore regionale; Ma.Ni., capo area, Al.Cu., capo area, ed altri ancora) - circa il ruolo svolto dai GI. nell'azione di coordinamento e impulso della rete commerciale tesa a promuovere la stipula, a ritmi sempre più incalzanti, di operazioni correlate. Il primo Giudice evidenziava altresì come il GI. risultasse avere personalmente sottoscritto 16 - per un totale di 80 milioni di euro - fra le 65 lettere B. di impegno al riacquisto delle proprie azioni (tali lettere - in alcuni casi particolarmente impegnative per la banca - avevano l'evidente funzione di rassicurare i soci) consegnate alla squadra ispettiva BCE nella primavera del 2015. Sul punto la sentenza dava ampio risalto, in particolare, alla deposizione del teste Co.Tu. e a quella del teste Lo.Be., capo area. Sempre sul tema delle lettere di impegno il primo giudice indicava come particolarmente significativa, riportandone il contenuto (leggibile a pag. 95 della relativa perizia), la trascrizione della conversazione telefonica n. progr. 359 dell'1.9.2015 intercorsa tra il GI. e il sindaco La.Pi.. Sulle lettere di impegno il tribunale citava altresì - più avanti nel tessuto motivazionale della sentenza: cfr. sue pagg. 671-672 - il contenuto della deposizione del teste Ma.Bo., responsabile dell'Internal audit, nella parte in cui riferiva di un incontro tenutosi con l'avv. An.Ge. - col quale il d.g. So. voleva concordare una linea difensiva - il 24.4,2015 a Vicenza (presenti, oltre allo stesso Bo. e al So., l'imputato GI. per la Divisione Mercati nonché An.Pi. per la Divisione Finanza, Ma.Pe. per la Divisione Pianificazione e Bilancio, l'avv. An.Pa. dell'ufficio legale e altri ancora); in tale occasione era stato proprio il GI. a parlare espressamente delle lettere di impegno dicendo che erano una ventina (in realtà, come detto, ne emersero oltre il triplo di cui 16 sottoscritte dallo stesso GI.), ammettendo di averne sottoscritte alcune e precisando che la situazione era grave, avendo ormai il fenomeno dei finanziamenti correlati raggiunto dimensioni rilevanti che avrebbero messo in crisi la banca. Il collegio vicentino passava indi ad esaminare le risultanze istruttorie (in particolare le deposizioni dei testi Gi.Ca., Co.Tu., Lu.Ve., nonché la e-mail - doc. 755 del P.M. - inviata il 29.9.2014 da Vi.Ga. al GI.) inerenti al ruolo concretamente svolto dallo stesso GI. nell'attuazione degli storni di interessi. Il primo giudice evidenziava poi come talune fra le operazioni correlate - soprattutto le c.d. big ticket, ossia quelle più importanti per rilevanza ed entità - vedessero un diretto coinvolgimento del GI. in prima persona nella loro conduzione (unitamente al direttore generale So.: i due si recavano appositamente in visita congiunta ai clienti - per lo più imprenditori - maggiormente patrimonializzati), menzionando le evidenze probatorie raccolte al riguardo e in particolare le deposizioni rese dai testi, fra cui Ro.Ri. (gestore private della filiale di Contrà Porti), Tr.Lo. (cliente), Gi.Ra. (cliente), Luca Fe.ni (cliente), Sa.Bu. (cliente), Lu.Mo. (cliente), Gi.Ro. (cliente), Pi.Ca. (cliente) e altri. Indi il tribunale passava in rassegna le deposizioni rese da parecchi testi (Di.Ip., Ma.Ni., Lu.Ve., Fu.Bo.) - fra i quali molti capi area ma anche due private banker come An.Vi. e Fr.Te., dimessisi entrambi, a loro dire, proprio a causa delle pressioni ricevute - dalle quali emergevano, a suo avviso, le sistematiche pressioni esercitate non soltanto dal direttore generale So. ma anche dall'imputato GI. sulla rete commerciale - a partire dal 2012 - affinché fossero raggiunti gli obiettivi di raccolta del capitale prefissati. L'effettivo esercizio di tali pressioni - proseguivano i giudici vicentini - trovava comunque plurimi riscontri documentali, in particolare nelle produzioni di cui ai docc. nn. 22, 91-95, 298, 657, 660 del P.M.. Altro elemento probatorio di pregnante rilevanza a carico del GI., secondo il primo giudice, era rappresentato dalla trascrizione del file audio corrispondente alla registrazione dì quanto detto nell'ambito del Comitato di Direzione tenutosi il 10.11.2014, al quale il GI. aveva preso parte unitamente al direttore generale So. e agli altri immediati suoi sottoposti. Ampi stralci di tale trascrizione sono riportati alle pagg. 666-667 della gravata sentenza. In particolare il direttore generale So., alla pag. 34 della trascrizione, dichiarava fra l'altro agli astanti che la banca aveva "fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare ... Noi dobbiamo selezionare molto di più i nostri impieghi (...). Non possiamo smontarli perché ci sono azioni dietro, ma non possiamo neanche tenerci questo popò di problema. Quindi dobbiamo risolvere il problema delle azioni appiccicate a questi e poi andiamo a vedere nominativo per nominativo (...)". Alla pag. 27 della trascrizione il responsabile della Divisione Finanza, An.Pi., parlava della necessità di collocare 27 milioni residui di azioni detenute dai fondi esteri trovando qualcuno che le compra a sconto"; il GI. gli replicava prospettando un possibile scambio con (...) (già (...)) che deteneva a sua volta titoli di (...) Banca. Alla pag. 67 della trascrizione il GI. si rivolgeva al So. nei seguenti termini: "Posso, Sa., una cosa? Cioè, allora, cerchiamo di allargare un attimo il discorso no? Allora, noi comunque, le posizioni baciate grosse dobbiamo eliminarle, perché, quando arriverà, speriamo il più lontano possibile, nel momento in cui il valore detrazione non sarà più quello, ci fottiamo nel senso che, se a uno che tu gli hai dato 100, il valore... eh ... delle azioni era 100 e va a 70, tu, quel 30 che questo ha perso, come glielo dai? (...)". Al riguardo il tribunale vicentino affermava che, a differenza di quanto sostenuto dagli imputati in dibattimento, non emergeva dalla trascrizione (e ancor meno dall'ascolto diretto del file audio) alcun disallineamento degli astanti rispetto alla posizione espressa dal direttore generale So., né era dato cogliere, per converso, alcuna supina subordinazione dei predetti alla volontà dello stesso So., trattandosi piuttosto di un dialogo ove ognuno dei presenti prospettava - alla pari - problemi e ipotesi di soluzione. Il primo giudice passava quindi a valutare il complesso delle affermazioni rese dall'imputato GI. in sede di esame dibattimentale, sostenendo che l'assunto di questi circa la sua non consapevolezza delle reali dimensioni quantitative del capitale finanziato era ampiamente smentito da varie convergenti emergenze probatorie fra le quali spiccavano, oltre al tenore della trascrizione del menzionato file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014, alcune produzioni documentali (segnatamente le tabelle di rendicontazione sub docc. nn. 272, 273, 274, 275 del Pubblico Ministero) e varie deposizioni testimoniali (tra cui quelle dei testi Ma.So., Co.Tu., Cl.Gi. e Ro.Pr., quest'ultimo responsabile della direzione private dall'ottobre 2014, ma anche le deposizioni dei testi Gi.Am. e Ma.Li.); veniva riportato al riguardo in sentenza anche il tenore della già sopra menzionata deposizione del teste Ma.Bo. - responsabile dell'Internal audit - in ordine ai contenuti dell'incontro con l'avv. An.Ge. tenutosi in data 24.4.2015. Il tribunale - dopo avere illustrato alle pagg. 672-676 la versione resa dall'imputato GI. su vari argomenti (oltre al tema delle lettere di impegno anche quello degli storni di interessi, quello dell'episodio della società di revisione K., quello dei propri rapporti con il d.g. So. del quale eseguiva le direttive, quello delle pesanti pressioni provenienti a suo dire dallo stesso So. e dal CdA della banca e rivolte a sé come a tutti gli altri manager, sempre a suo dire tutti coinvolti, senza esclusione di alcuno, nella vicenda delle operazioni correlate) - riteneva tale versione smentita, tanto sulla piena consapevolezza dell'illegittimità delle svolte operazioni correlate (che il GI. - a suo dire - pensava fossero invece legittime, specie dopo che l'ispezione di Banca d'Italia del 2012 non aveva mosso rilievi circa l'operatività dell'art. 2358 c.c.) quanto sul loro occultamento al mercato e alla vigilanza, da una serie di risultanze probatorie di segno contrario, così sunteggiate dai giudici vicentini: - il divieto di dare indicazioni scritte, l'utilizzo della P.E.F. generica, lo scostamento temporale tra delibera di fido e acquisto delle azioni; le indicazioni date di inserire nel portafoglio titoli dei clienti anche titoli diversi dalle azioni di B.; - l'inserimento nelle delibere autorizzale e nei documenti di offerta - in occasione dei miniaucap 2013 e 2014 - del richiamo al rispetto dei limiti di cui all'art 2358 c.c.; - l'omesso riferimento, nel corso dei colloqui con gli ispettori Vi.Ca. (AQR - Asset Quality Review) e Gi.Ma. (BCE), tanto al capitale finanziato quanto, in alternativa, agli esiti - di presunta rassicurazione circa l'inapplicabilità a B. dell'art. 2358 c.c. - dell'ispezione della Banca d'Italia del 2012; - la valenza dei tre episodi relativi alle vicende del private banker An.Vi., della società di revisione K. e delle schede consegnate all'ispettore Ma.. Il primo giudice escludeva altresì la fondatezza dell'assunto del GI. circa il suo essere convinto che lo scorporo delle operazioni correlate dal patrimonio di vigilanza avesse avuto luogo, definendolo come una "tesi (...) assolutamente inverosimile; è evidente che lo scopo delle operazioni finanziate era quello di dissimulare riliquidità del titolo, in ipotesi di corretta appostazione delle stesse esse sarebbero state inutili" (cfr. pag. 677 sentenza gravata). Non poteva avere infine alcuna valenza scriminante, secondo il tribunale, la necessità, dedotta dal GI., di dare esecuzione a direttive impartitegli dal CdA e/o dal direttore generale So., tenuto conto della sua veste di dirigente apicale membro della struttura esecutiva e investito ex lege di dirette responsabilità di gestione. 1.9.3 Ma.Pa. Con riferimento a Ma.Pa. il primo giudice preliminarmente procedeva a illustrare quali fossero le funzioni della Divisione Crediti (della quale egli era stato il responsabile dal giugno 2010 sino al dicembre 2014, il che lo rendeva membro di diritto del Comitato Centrale Fidi e del Comitato Crediti) oltre a rivestire in B., a far tempo dal 18 ottobre 2011, anche il ruolo di vice direttore generale; citava a tal proposito la relazione ispettiva 2012 della Banca d'Italia nonché (con apparente riguardo alla sola gestione delle attività connesse all'anagrafe generale mediante attività di controllo e di implementazione dei dati) il funzionigramma B. corrispondente alla produzione documentale n. 262 del Pubblico Ministero. Le principali competenze della Divisione Crediti erano così descritte dal tribunale: - assicurare, in materia di erogazione del credito, il rispetto delle norme e disposizioni dell'Organo di Vigilanza, dello statuto nonché delle delibere degli organi superiori; - garantire l'analisi e la valutazione degli affidamenti secondo quanto previsto dalla normativa interna, nonché il loro perfezionamento e quello delle relative garanzie; - verificare la regolarità dell'iter di delibera delle concessioni di credito, nei limiti delle facoltà delegate, avvalendosi dell'attività delle strutture preposte che dipendevano dalla Divisione Crediti stessa; - presentare le proposte di finanziamento di competenza degli organi superiori, avvalendosi dell'attività della UO Analisi, anche alla luce dell'andamento del Gruppo e del settore economico di appartenenza; s garantire alla rete delle filiali un adeguato supporto di consulenza sulle tematiche di competenza, in particolare attraverso le strutture delle UO crediti di area e della U.O. Analisi; s assicurare la gestione delle attività connesse all'anagrafe generale mediante attività di controllo e di implementazione dei dati. Nel far ciò il collegio vicentino affermava più in generale che "le competenze assegnate alla Divisione Crediti riguardavano l'intera filiera di erogazione del credito, compreso il rispetto della normativa in materia, sia di fonte "esterna" (norme e disposizioni delie Autorità di vigilanza) sia di fonte "interna"(statuto e delibere degli organi sovraordinati). In particolare, oltre a curare, per quanto di competenza, la fase di analisi e valutazione degli affidamenti, la divisione era altresì incaricata delia successiva attività di perfezionamento degli stessi (e delle relative garanzie) e di gestione dell'anagrafe generale (...). In ogni caso la Divisione Crediti era chiamata a stabilire - sulla base degli indirizzi dei CdA e della Direzione Generale e per quanto di competenza - le politiche di gestione del credito" (cfr. pagg. 678-679 sentenza gravata). Nondimeno - proseguiva il tribunale - nel suo esame dibattimentale del "13.6.2013" (rectius 13.6.2019) il teste Cl.Gi., indicato in tale passo della sentenza impugnata come capo area di Vicenza, aveva dettagliatamente spiegato che la struttura dei Crediti era articolata su base territoriale: vi erano una funzione crediti dedicata in capo a ogni singolo capo area e una funzione crediti in capo alla direzione regionale; ciascuna direzione regionale a sua volta coordinava le proprie quattro aree di riferimento; entro certi limiti tali strutture decentrate godevano anche di una potestà deliberativa autonoma, di talché il processo di elaborazione del credito era definito in autonomia quanto agli aspetti relativi all'analisi e alla definizione della delibera; solo se esso eccedeva la potestà deliberativa si faceva luogo a una mera verifica di adeguatezza della proposta che la struttura decentrata inviava alla Divisione Crediti, deputata in quel caso a valutare in autonomia la relativa pratica. Ciò premesso il tribunale affermava che la svolta istruttoria dibattimentale consentiva dì ritenere univocamente provata la penale responsabilità dell'imputato, dimostratosi pienamente consapevole di tutte le condotte di reato ascrittegli. Premetteva al riguardo il collegio che, a detta del teste Em.Ga. (responsabile del team ispettivo che aveva operato nei confronti di B. nell'anno 2015), l'analisi delle P.E.F. (pratiche elettroniche di fido) condotta in sede ispettiva ne aveva subito evidenziato l'assenza di garanzie nonché l'estrema genericità e ripetitività delle causali indicate (le quali per lo più utilizzavano espressioni come cogliere opportunità di investimento sul mercato mobiliare o immobiliare), il che era indice di sospettosità dal momento che in genere una banca, in caso di erogazione di fidi destinati ad acquisti di strumenti finanziari, era ben informata su quale tipologia di strumento finanziario il cliente desiderasse acquistare, su quali ne fossero le caratteristiche principali di rischio e su quali beni fossero costituiti in garanzia (essi corrispondevano per lo più agli stessi strumenti finanziari acquistati o ad altri di valore equivalente). Affermava il primo giudice che la svolta istruttoria aveva evidenziato in capo a Pa.Ma. un ruolo di centralità nel garantire che la rete si uniformasse all'istruzione operativa di utilizzare, nelle P.E.F. aventi ad oggetto capitale finanziato, la sopra evidenziata causale improntata a una formula generica e di stile (dal tribunale indicata come "causale sentinella" proprio in quanto consentiva di rendere immediatamente riconoscibile ai diversi addetti l'effettiva finalità dell'operazione di finanziamento). Il collegio giudicante citava al riguardo le deposizioni rese da vari testi. Quanto alla genesi della ed. "causale generica sentinella" il primo giudice evidenziava quanto segue: il capo area Gi.Ca. affermava che l'uso della causale generica gli era stato consigliato dai suoi superiori Ro.Pr., Lu.Ve. e Gi.Gi.; il capo area Lu.Ve. affermava che l'uso della causale generica era stato raccomandato da una direttiva di area illustrata nelle riunioni, probabilmente ad opera del responsabile della Divisione Mercati Em.Gi., ma che la Direzione Crediti ne era a sua volta a conoscenza tanto che in un'occasione egli aveva parlato direttamente con Pa.Ma. - e in maniera esplicita - dell'effettiva natura di un'operazione di finanziamento che andava a perfezionarsi con il titolare di un noto pastificio; il capo area Ma.Ni. indicava Cl.Gi. ed Em.Gi. come i soggetti dai quali proveniva l'indicazione di usare la causale generica aggiungendo che comunque la Divisione Crediti sapeva che un'operazione connotata da siffatta causale era un'operazione correlata all'acquisto di azioni della banca (in alcuni casi gli analisti della Divisione Crediti avevano anche chiesto al capo area di confermare che l'operazione fosse "baciata"); il capo area En.Da. ricordava che in alcune occasioni il direttore di filiale non aveva inserito la causale indicata (al che - a suo dire - l'Ufficio Crediti aveva restituito la pratica per il cambio della causale); il capo area e indi direttore regionale Cl.Gi. affermava di avere parlato - in alcune occasioni - di finanziamenti correlati con la Divisione Crediti e precisamente con il suo responsabile Pa.Ma. (la formula generica era stata a suo dire suggerita forse da Em.Gi. o forse da Co.Tu., funzionario in staff alla Divisione Mercati), fermo restando che - sempre a detta del Gi. - in alcune occasioni lo stesso Comitato Crediti, al quale partecipavano i direttori regionali, aveva deliberato operazioni di finanziamento in tutto o in parte correlate; il capo area e indi direttore regionale Al.Ca. (escusso ex art 210 c.p.p.) aveva attribuito - a seguito di contestazione - al MA. l'indicazione, data nel corso di alcune riunioni operative, di utilizzare la causale generica; anche secondo il teste Co.Tu. l'indicazione di utilizzare la causale generica era stata data dal MA., e ciò ancora alla fine dell'anno 2012 (secondo il teste Tu. il MA. aveva dato tale consiglio "perché questo tipo di operazioni era borderline e poteva destare l'attenzione della CONSOB e della Banca d'Italia"); il teste Gi.Am., responsabile nel periodo 2013-2014 della divisione retail, affermava che l'indicazione di utilizzare la causale generica era stata data da Em.Gi. ma era stata ripresa e ribadita anche da Pa.Ma., il quale - sempre a detta del teste Am. - aveva altresì respinto alcune pratiche in cui era indicata in modo esplicito la destinazione del finanziamento all'acquisto delle azioni di B.. Quanto poi all'altro espediente emerso durante l'istruttoria dibattimentale, ossia la precauzione di mantenere - per prevenire eventuali sospetti - una qual certa sfasatura temporale tra l'erogazione del fido e l'acquisto delle azioni B., il teste Co.Tu. affermava che il consiglio di far intercorrere un lasso di tempo alquanto lungo tra la delibera di affidamento, la sottoscrizione delle azioni e l'addebito sul conto era venuto da Ma.Pa. (peraltro nel corso del controesame il teste Tu. aveva dichiarato che lo scopo dell'indicazione di mantenere una sfasatura temporale non era quello di occultare l'effettiva finalità del finanziamento bensì, "principalmente", quello di evitare sconfinamenti sul c/c); il teste Lu.Ve. ricordava che la raccomandazione di far rispettare la sfasatura temporale era stata del GI., il quale aveva comunque precisato trattarsi di una linea operativa concordata con la Divisione Crediti. A memoria del teste En.Da. il consiglio di osservare la sfasatura temporale era venuto - benché di fatto i fidi non venissero gestiti dalla loro divisione di appartenenza che era la Divisione Mercati - da Em.Gi. e Co.Tu., i quali a loro volta dissero che ciò era stato specificamente concordato con la Divisione Crediti; sempre il teste capo area Da. ricordava che il MA. in una o due occasioni lo aveva contattato per operazioni correlate ove il teste stesso aveva mandato contestualmente alla Divisione Crediti sia la pratica di finanziamento sia il modulo già compilato di acquisto delle azioni, restituendogli tali pratiche con il seguente rimprovero: "non voglio vedere queste cose qua, mandi la pratica in maniera corretta e le azioni le acquisti quando la pratica è stata deliberata". Il teste Se.Ro., dell'Ufficio Soci, affermava che, a seguito dell'ispezione della Banca d'Italia del 2012, il direttore generale So. e i vicedirettori GI. e MA. avevano raccomandato alla rete di fare in modo che la data di acquisto delle azioni fosse successiva alla data di delibera dei finanziamenti, ma ciò solo per evitare - a suo dire - sconfinamenti sul c/c. Il primo giudice affermava che vi era anche una prova documentale -rappresentata dal sopra illustrato file audio della registrazione dello svolgimento del Comitato di Direzione dd. 10.11.2014 (doc. nr. 110 del P.M.) - del fatto che la linea di indirizzo in tema di rispetto della sfasatura temporale nelle operazioni "baciate" fosse stata concordata con la Divisione Crediti diretta da Pa.Ma.; ne riportava al riguardo (cfr. pagg. 685-686 sentenza gravata) un lungo stralcio - a suo dire particolarmente eloquente - relativo a un dialogo tra lo stesso MA. e il responsabile della Divisione Finanza An.Pi.. Il tribunale procedeva quindi a illustrare la ed. "campagna riqualificazione impieghi", deliberata dal CdA il 21.10.2014 (giusta doc. nr. 102 del P.M.) e presentata al Consiglio proprio da Pa.Ma.; trattavasi di un'iniziativa finalizzata all'applicazione di condizioni contrattuali differenziate - in sede di rinnovo o di revisione degli affidamenti - in base al peso percentuale delle azioni B. detenute dal cliente. Il primo giudice, sempre al fine dì illustrare il ritenuto protagonismo della posizione rivestita da Pa.Ma. nell'attuazione delle operazioni correlate, ricordava un episodio narrato da Um.Se., già direttore generale della controllata siciliana Ba.Nu.: dalla capogruppo B. era giunta (su indicazione di Em.Gi. e Co.Tu. della Divisione Mercati, condivisa dalla Divisione Crediti nella persona di Pa.Ma.) una lista di nominativi ai quali la stessa Ba.Nu. avrebbe dovuto concedere affidamenti accompagnati dall'acquisto di azioni B. per un controvalore pari al 10-15-20% dell'intero affidamento; il teste Se., notando che alcuni dei nomi compresi nell'elenco corrispondevano a società sottoposte a procedura concorsuale, aveva parlato con Cl.Am. - della Divisione Crediti di B., subalterno del MA. - per chiedere spiegazioni; l'Am., dopo aver conferito con il suo superiore Pa.Ma., aveva replicato che Ba.Nu. doveva limitarsi a eseguire le direttive senza discuterle e che un tanto gli era stato detto dal MA.: "Guarda, il dottor Ma. mi ha urlato e mi ha detto che questa cosa la dovete fare. Punto e basta". Il collegio vicentino passava quindi ad illustrare gli estremi di una operazione correlata di finanziamento proposta personalmente nell'ottobre 2012 da Pa.Ma. a un imprenditore da lui conosciuto nel 2007 (quindi tre anni prima di entrare in B.), ossia Ez.Ci. del gruppo (...), del quale veniva acquisito in dibattimento ex art. 493 comma 3 c.p.p. il verbale delle s.i.t. rese il 24.10.2016. Il Ci. aveva dichiarato a s.i.t. che nell'occasione il MA. si era presentato a lui proponendogli di sottoscrivere azioni B. per complessivi 5 milioni di euro; alle perplessità del Ci., che aveva risposto di non disporre delle risorse a ciò necessarie. Il MA. aveva a sua volta replicato che B. avrebbe erogato un finanziamento di pari importo, a termine con scadenza di un anno, destinato ad essere garantito dalle stesse azioni B. che poi sarebbero state tenute in custodia dalla banca. Il Ci. si era risolto ad accettare la proposta dopo che MA. lo aveva rassicurato dicendogli che operazioni analoghe erano del tutto lecite ed erano state proposte anche ad altri imprenditori (da lui non nominati trattandosi a suo dire di notizia riservata); a ottobre 2013 detta operazione era stata rinnovata annualmente e così pure l'anno seguente. Nel maggio-giugno del 2013 B. aveva proposto al Ci. di partecipare all'aumento di capitale di quell'anno, il che anche in tal caso era avvenuto grazie a un finanziamento concessogli dalla stessa B.. Un pieno riscontro alle s.i.t. del Ci. era rappresentato - ad avviso del tribunale - dalla deposizione del teste Fr.Pi., capo area del distretto Veneto occidentale (indicato al Ci., nel racconto di questi, dal MA. come colui che avrebbe seguito la sua pratica, e così era stato). Il primo giudice individuava ulteriori elementi probatori del coinvolgimento a pieno titolo di Pa.Ma. nelle operazioni correlate effettuate da B. mediante c.d. "baciate" nelle deposizioni dei testi Gi.Gi., in B. con il ruolo di direttore regionale di Lombardia, Liguria e Piemonte (secondo il quale le pratiche di fido relative a operazioni "baciate" erano preannunciate alla Divisione Crediti e condivìse con i componenti di essa incluso il suo vertice MA., il quale partecipava altresì al comitato crediti ove pure veniva sempre evidenziata - dai componenti la Divisione Crediti che vi partecipavano - l'eventuale natura "baciata" delle pratiche di fido ivi presentate), e Fu.Bo., capo area (che rendeva sul punto dichiarazioni di analogo tenore), nonché in alcuni messaggi sms (in particolare il doc. nr, 653 del Pubblico Ministero, relativo a un sms del 27.9.2011, e il suo doc. nr. 655, relativo a un sms del 26.10.2012) nei quali il MA. ricordava al direttore generale So. di riferire al Presidente circa alcune rilevanti operazioni di capitale finanziato, indicandogli nominativamente i soggetti suscettibili di essere finanziati - effettivamente risultati tali in seguito - nonché, in molti casi, il relativo importo). Ulteriore elemento probatorio indicato dal primo giudice a carico del MA. erano le risultanze degli accertamenti interni svolti dall'audit di B. sul capitale finanziato, in particolare la nota 7.5.2015 dell'Internaf audit (doc. nr. 23 del Pubblico Ministero) nella quale si evidenziava tra l'altro come la maggior parte delle numerose posizioni correlate rinvenute nel portafoglio di Ro.Ri., gestore private della filiale di Contrà Porti, fossero state deliberate da organi collegiali su presentazione proprio di Pa.Ma. (87%) oppure fossero state deliberate dallo stesso responsabile della Divisione Crediti. Il collegio vicentino passava quindi a ricostruire le interlocuzioni avute dal MA. con la vigilanza, rinviando - quanto a quelle inerenti all'ispezione della Banca d'Italia del 2012 - all'apposito cap. IX della sentenza, interamente dedicato a tale ispezione. In particolare tanto il teste Ma.Pa. (nel riferire di due incontri interlocutori da lui condotti cui aveva partecipato il MA. nel luglio 2013, il primo assieme al segretario generale Ma.So. e il secondo assieme al direttore generale Sa.So.) quar°z(il teste Vi.Ca. (nel riferire dell'accesso da lui condotto da febbraio ad agosto 2014 nell'ambito dell'AQR - Asset Quality Review, ove si era stabilmente relazionato con il MA.) precisavano che in tali occasioni nessuno aveva fatto il benché minimo riferimento al ricorso all'assistenza finanziaria per il collocamento delle azioni. Il primo giudice indi illustrava la versione dell'imputato, resa in occasione dell'esame dibattimentale tenutosi nelle udienze dell'11 e del 16 giugno 2020, evidenziando come essa da un lato fosse difforme dalle stesse dichiarazioni rese dal MA. in sede di indagini preliminari (interrogatori del 28 aprile e del 2 maggio 2017) e dall'altro lato configgesse in più punti - ad esempio nella parte in cui egli affermava che la causale generica "acquisto valori mobiliari e immobiliari", in uso almeno dal 2006, fosse un mero espediente tecnico per garantire il perfezionamento del fido in quanto, a suo dire, non esisteva il prodotto "finanziamento per acquisto azioni", o nella parte in cui egli affermava di non essere mai stato informato del fatto che i finanziamenti fossero destinati all'acquisto delle azioni - con il sopra delineato quadro probatorio. Il primo giudice evidenziava come l'esame dibattimentale del MA. divergesse radicalmente dai suoi interrogatori resi in sede dì indagine preliminare, in particolare dall'interrogatorio del 28.4,2017 in relazione alla vicenda dell'Operazione Sorgente (in tesi accusatoria si trattava di un'operazione "baciata" attraverso la quale la controllata irlandese B.Fi. aveva erogato un finanziamento di 25 milioni di euro alla società So. Ltd., facente parte del gruppo Mainetti, che era stato utilizzato per acquisto di azioni B. al fine di consentirne la dismissione dal fondo estero "(...)"). In sede di esame dibattimentale il MA. negava trattarsi di operazione correlata mentre durante le indagini preliminari l'aveva definita "un'operazione baciata imposta da PI. al So. (...) Sono venuto a conoscenza di questa operazione con la proposta di affidamento giunta in Divisione Crediti. Ho compreso che si trattava di un'operazione baciata in quanto la causale dell'affidamento era indicata con la generica dicitura di cui ho detto prima, "cogliere opportunità di mercato" o analoghe, e inoltre vi era l'impegno al deposito dei titoli presso B.". Che la versione rispondente al vero fosse quella resa dal MA. in sede di indagini preliminari - proseguiva il tribunale - lo si evinceva da due elementi di prova rappresentati dal più volte menzionato file audio del Comitato di Direzione 10.11.2014 (nella trascrizione prodotta dal Pubblico Ministero quale suo doc. nr. 110, cfr. ieri particolare sua pag. 43) e da una conversazione intercettata Io.-Ma. recante il n. progr. 478 dell'8.9.2015. Il tribunale evidenziava altresì come un ulteriore assunto del MA. - secondo cui egli e il suo sottoposto Cl.Am. avevano disvelato agli ispettori della Banca d'Italia nel 2012 il carattere correlato delle operazioni effettuate da almeno una quindicina circa dei clienti dì cui alla lista dei primi trenta soci di B. - fosse stato smentito dalle deposizioni dei predetti ispettori (che avevano concordemente negato la circostanza) e non avesse trovato il benché minimo riscontro in atti. Né - significativamente, secondo il collegio vicentino - il MA., soggetto da ritenersi nel complesso del tutto inattendibile, aveva mai accennato a tale preteso disvelamento neppure nei suoi atti giudiziari relativi alle cause di lavoro e all'azione di responsabilità dinanzi al tribunale delle imprese. Alla stregua di tutte le considerazioni che precedono il primo giudice riteneva indubitabili il rilevante apporto causale concorsuale del MA. a tutti i reati ascrittigli (in base alla tabella n. 1 allegata al supplemento di consulenza tecnica del Pubblico Ministero dd. 14.11.2019 egli risultava avere partecipato consapevolmente alla fase deliberativa di finanziamenti correlati per un importo di circa 800 milioni di euro, di cui 414 milioni deliberati dal CdA su pratiche presentate dall'imputato, 160 milioni deliberati dal Comitato Crediti di cui il MA. era membro, 108 milioni deliberati dallo stesso MA. quale organo monocratico dotato di autonoma potestà deliberativa, 63 e 49 milioni rispettivamente deliberati dal Comitato esecutivo e dal Comitato Centrale fidi, anche in tal caso sulla base della presentazione di pratiche effettuata dal MA.) e il pieno ricorrere dell'elemento soggettivo del reato. 1.9.4 Pi.An. Con riferimento all'imputato Pi.An. il primo giudice preliminarmente procedeva a illustrare quali fossero le funzioni della Divisione Finanza (nella quale egli operava con tale qualifica dal 2009 oltre a rivestire in B. anche il ruolo di vice direttore generale); citava al riguardo il funzionigramma B. corrispondente alla produzione documentale nr. 261 del Pubblico Ministero. Le principali competenze della Divisione Finanza erano così descritte dal tribunale: - partecipare al coordinamento e allo sviluppo delle attività del mercato primario e secondario su comparti azionari e obbligazionari: - curare l'espletamento delle attività di natura amministrativa per la predisposizione dei prospetti informativi e l'emissione dei prestiti obbligazionari del gruppo, coordinandosi con le Unità competenti; - collaborare con la Divisione Mercati nell'adeguare i prodotti e i servizi finanziari da offrire alla clientela, sulla base delle esigenze/opportunità rilevate, tenendo conto delle linee guida definite dal Comitato Prodotti e Wealth Management; s all'interno della Divisione Finanza poi il nucleo "Documentation" si occupava di valutare l'adeguatezza e l'allineamento degli strumenti finanziari e dei processi alla normativa primaria (TUF, TUB, Regolamenti CONSOB e Banca d'Italia) e secondaria nonché alla normativa interna nella prestazione dei servizi d'investimento o comunque nello svolgimento dell'attività della Divisione Finanza, con precipuo riferimento alla materia dei servizi di investimento, supportando la divisione nei rapporti con le funzioni di compliance, legale, auditing e organizzativa; - l'Unità svolgeva inoltre un ruolo di supporto alle funzioni responsabili del processo di gestione delle informative da fornire alla clientela prima della negoziazione di strumenti finanziari, in conformità al dettato dell'art, 31 del Regolamento intermediari, nelle fasi di aggiornamento delle stesse; - partecipazione, per la parte di competenza della Divisione Finanza, alla redazione della relazione per le Autorità di vigilanza sulle procedure di svolgimento dei servizi di investimento; s assicurare l'informativa e le segnalazioni istituzionali di propria competenza, coordinandosi con le Unità competenti. Il primo giudice affermava (cfr. pag. 703 sentenza gravata) che dall'istruttoria dibattimentale era emersa "la prova del ruolo svolto da An.Pi. in alcune operazioni di capitale finanziato di rilevante importo effettuate attraverso la controllata irlandese B.Fi. e nella sottoscrizione dei fondi lussemburghesi utilizzati come strumento di detenzione indiretta delle azioni proprie da parte della banca vicentina, in particolare - attraverso i fondi esteri - nell'ambito dell'iniziativa svuota fondo 2012 furono collocati 60 milioni di euro di azioni B.". Nel passare in rassegna gli esiti dell'attività istruttoria il collegio vicentino individuava plurime condotte ritenute penalmente rilevanti a carico del PI. e in particolare: - operazioni di capitale finanziato effettuate, estero su estero, dalle cosiddette "tre sorelle lussemburghesi" - tre società denominate Ma., Ju. e Br. - tanto nel 2012 (in occasione della relativa campagna svuota fondo) quanto nel 2013 (in occasione dell'aumento di capitale di quell'anno). Per la precisione - in base alla ricostruzione effettuata in dibattimento dal teste ispettore Gi.Ma., riscontrato dalle deposizioni rese dai testi Gi.Gi. (in B., come detto, con la veste di direttore regionale per Lombardia-Liguria-Piemonte) e Pi.Ra. (d.g. di B.Fi.) - nel novembre/dicembre 2012 la controllata irlandese B.Fi., il cui direttore era il teste Pi.Ra., risultava avere erogato tre fidi c.d. "bullet", di 10 milioni di euro l'uno, alle suddette società lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., le quali a loro volta avevano girato la liquidità cosi ricevuta a tre società italiane neocostituite e denominate Pe. Srl, Lu.In. Srl e Gi.In. Srl; queste ultime (facenti capo al gruppo Fi., il cui direttore finanza era Ma.Sb.) avevano provveduto ad acquistare azioni B. per importi corrispondenti ai finanziamenti erogati. Indi, nel luglio 2013, la controllata irlandese B.Fi. aveva erogato nuovi finanziamenti per 3 milioni di euro alle tre società lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., le quali anche in tale occasione avevano girato la liquidità così ricevuta alle tre società italiane denominate Pe.In. Srl, Lu.In. Srl e Gi.In. Srl; queste ultime a loro volta avevano sottoscritto azioni e obbligazioni convertibili per un ammontare equivalente; i testi Gi. e Ra. avevano delineato il ruolo attivo dell'imputato PI. in entrambe le operazioni (la cui istruttoria era stata seguita dalla Divisione Crediti della capogruppo B.) e in particolare il teste Ra., direttore della controllata irlandese B.Fi., aveva indicato il PI. come colui che gli aveva richiesto di impostare i suddetti finanziamenti, affermando altresì essersi trattato di operazioni atipiche per B.Fi., la quale generalmente finanziava aziende produttrici dì beni e non concludeva operazioni strettamente finanziarie (cosa questa obiettata dal Ra. al PI., il quale tuttavia gli aveva replicato - nella prima delle due occasioni - che occorreva fare l'operazione "per aiutare la banca a comprare le proprie azioni" e riuscire così a svuotare il fondo acquisto azioni proprie entro la fine dell'anno 2012). Un altro teste, Gi.Fe., direttore della Divisione Compliance, ricordava che, nel corso di un'attività ispettiva svolta dalla Compliance a Dublino nel 2013 nei confronti di B.Fi., i finanziamenti concessi alle "tre sorelle" lussemburghesi erano emersi, il che lo aveva indotto a rivolgersi al direttore generale So. che a sua volta lo aveva indirizzato al PI.; questi aveva rassicurato il Fe. dicendogli che in quel periodo B. stava acquistando molte azioni (...) e che in contropartita la Save stava comprando azioni B.; s investimento della somma complessiva di 350 milioni di euro (di cui 200 milioni investiti dalla capogruppo B., 100 per ciascun fondo, e i restanti 150 milioni investiti dalla controllata irlandese B.Fi. in due fondi lussemburghesi denominati "(...)" e "(...)" (sotto-fondi (...) Multistrateqy I e II). utilizzati quale strumento di detenzione indiretta delle azioni di B. (per tale tramite nel 2012 erano state concluse operazioni c,d. "svuota fondo" - atte cioè ad alleggerire il fondo acquisto azioni proprie di B. - del valore di 60 milioni di euro). La delibera di investimento nei fondi in oggetto, adottata dal CdA di B. in data 21.2.2012 (in atti quale doc. n. 325 del Pubblico Ministero), era stata sottoscritta dal PI. quale responsabile della Divisione Finanza dopo che lo stesso aveva illustrato al CdA i termini dell'operazione, a sua volta in precedenza pianificata nel corso di una riunione tenutasi il 5.12,2011 tra Ma.So., Fi.Ro. e An.Pi. per B. e la coppia di rappresentanti del fondo "(...)" formata da Al.Ma. - sentito quale teste ex art, 507 c.p.p. su richiesta della difesa del PI. - e Gi.Ma.. Ciò risultava dalle deposizioni del teste ispettore Gi.Ma., dei testi Ma.So. e - soprattutto - Fi.Ro. nonché dai messaggi sms (in atti quale doc. nr. 311 del P.M.) intercorsi nel novembre 2012 - pochi giorni prima della sottoscrizione dei contratti con i fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)" avvenuta il 28.11.2012 - fra An.Pi. e i gestori dei fondi stessi. Subito dopo aver ricevuto tali capitali i due fondi "(...)" e "(...)" avevano comprato azioni B.. Secondo il tribunale vicentino il fatto che tale investimento di B. nei fondi lussemburghesi - lungi dall'indicare un interesse di questi ultimi a diventare soci della banca, come ammesso, secondo il teste Fi.Ro., anche dal direttore generale So. durante il comitato soci del 18.12.2012 - fosse stato puramente strumentale all'esigenza della stessa banca dì svuotare il proprio fondo acquisto azioni emergeva non soltanto dalla stretta consequenzialità temporale fra tutte le operazioni come sopra descritte ma altresì dalla deposizione dello stesso teste Fi.Ro. (facente parte dell'Ufficio Soci di B.), che ricordava di avere assistito al riguardo - nel novembre 2012 -a un breve incontro sul tema tra il direttore generale Sa.So., il responsabile della Divisione Mercati Em.Gi. e il responsabile della Divisione Finanza An.Pi. (nell'occasione il So., secondo la ricostruzione del teste Ro., aveva esposto la necessità di svuotare il fondo acquisto azioni proprie di B. per un ammontare di 100 milioni di euro; il PI. si era Impegnato a effettuare operazioni "svuota fondo" per 60 milioni di euro e il GI. aveva assicurato che avrebbe fatto altrettanto per un valore di 40 milioni di euro). Sempre il teste Ro. affermava che, come preannunciatogli dall'imputato PI., egli era stato contattato poco prima della fine del 2012 dagli intermediari dei fondi (per il fondo "(...)" trattavasi del broker inglese Ma.Sp.; l'operazione sul piano amministrativo era stata gestita per Ma.Sp. da Ti.Ch., anch'egli sentito come teste); - di questi, gli investimenti nel sotto-fondo (...) Multistrategy II erano stati posti in essere, come sopra accennato, dalla controllata irlandese B.Fi.. Nel luglio 2013 il CdA della capogruppo B. aveva infatti ampliato il portafoglio di investimento della controllata irlandese B.Fi. portandolo dalla somma di 35 milioni a quella di 300 milioni di euro, dei quali 150 milioni erano stati dalla stessa controllata investiti, nei due mesi seguenti, nel sotto-fondo (...) Multistrategy II in due tranche rispettivamente da 100 e da 50 milioni di euro; tale investimento era avvenuto - in base alla deposizione del teste Pietro Ra., direttore di B.Fi. - su precisa indicazione di An.Pi., il quale, sempre a detta del Ra. (che evidenziava altresì l'anomalia dell'ingente importo degli investimenti in un singolo fondo rispetto a quanto era usuale per B.Fi. nonché l'anomalia relativa alla non visibilità dei sottostanti), aveva messo quest'ultimo in contatto con Gi.St. (membro del CdA di (...) Evolution Fund SIF e funzionario senior di (...) Asset Management), soggetto che - citato a deporre quale teste dalla difesa del PI. nel presente procedimento con le garanzie ex art. 210 c.p.p. in quanto indagato per reato connesso di bancarotta fraudolenta a seguito della dichiarazione di insolvenza di B. - si era avvalso della facoltà di non rispondere. Dal canto suo il teste Pi.Ra. - che aveva evidenziato una progressivamente crescente ingerenza di B. nell'autonomia gestionale di B.Fi. - affermava di essere stato rassicurato dal PI. circa le sue perplessità e preoccupazioni derivanti dalle anomalie come sopra illustrate. Le articolate modalità della successiva dismissione (avvenuta nel corso del 2014, in parte mediante operazione di equity swap in compenso tra azioni B. e azioni Veneto Banca) delle azioni B. detenute dai fondi esteri in oggetto venivano illustrate dal collegio vicentino alle pagg. 712-713 della gravata sentenza (la dismissione, accertata in sede ispettiva, era riscontrata - al pari del ruolo svolto in essa da An.Pi. - anche dalle dichiarazioni del teste Ro.Ri., gestore private della filiale B. di Contrà Porti); s operazione correlata di finanziamento effettuata in favore della società So. Ltd. (appartenente al gruppo MainettO attraverso la controllata irlandese B.Fi., che le aveva erogato un fido c.d. "bullet" per un importo di circa 25 milioni di euro. Con tale liquidità la So. Ltd. a sua volta aveva acquistato, nel dicembre 2014, 13,5 milioni dì euro di azioni B. dal fondo "(...)" di milioni di euro di azioni B. dal fondo "(...)". Il tutto emergeva dall'ispezione BCE del 2015 e anche in questo caso - osservava il primo giudice - il ruolo centrale nell'organizzazione della relativa operazione era stato rivestito da An.Pi., secondo quanto dichiarato in sede dibattimentale dai testi Pi.Ra. - direttore della controllata irlandese B.Fi. - e Wa.Ma., amministratore delegato del gruppo So. (quest'ultimo precisava che era stato il PI. a proporgli un finanziamento di 25 milioni di euro "siccome dobbiamo collocare un po' delle nostre azioni" e affermava che, vinta la propria iniziale perplessità, alla fine aveva accettato); un solido riscontro a tali deposizioni - e non solo ad esse ma altresì, ad esempio, al coinvolgimento del PI. nella decisione della banca di ricorrere alle lettere di impegno nonché al suo attivarsi per reperire una soluzione atta a consentire la dismissione delle azioni B. detenute dai fondi - era individuato dal primo giudice nel più volte menzionato file audio del Comitato di Direzione tenutosi in data 10.11.2014 (doc. nr. 110 del P.M.); un ulteriore riscontro veniva individuato nella conversazione intercettata Io./MA. recante il n. progr. 478 dell'8.9.2015. A tutto ciò si aggiungeva la deposizione resa da Al.Ma. - fondatore di (...) Asset Management - il quale, sentito come teste ex art, 507 c.p.p., su richiesta della difesa del PI., confermava che i fondi (...) Multistrategy I e II erano stati costituiti nell'interesse esclusivo di B. quale unico investitore del fondo. Il tribunale vicentino proseguiva la propria disamina indicando come dimostrati anche gli investimenti, operati dai fondi esteri in questione, su indicazione del PI., in obbligazioni emesse da società legate ai gruppi imprenditoriali Ma., Fu. e De., già fortemente esposti nei confronti di B.; contestualmente anche gli impieghi in equity risultavano essere stati indirizzati, su indicazione dello stesso PI., nei confronti di società illiquide clienti di B.: la Me.Ca. SpA (legata ad Al.Ma.) e la Ital-Finance SpA (riconducibile al gruppo De Gennaro). Inoltre - notava il primo giudice - il PI. risultava coinvolto più in generale nell'intera illecita operatività di B., risultando egli essere stato fra l'altro presente (giusta appunti manoscritti redatti dal teste Ma.So., in atti quale doc. nr. 389 del P.M.) al Comitato di Direzione tenutosi l'8.11.2011 nel quale erano stati effettuati inequivoci riferimenti alle c.d. operazioni "baciate" quale strumento da adottare per svuotare il fondo acquisto azioni proprie di B.. Allo stesso modo, sempre secondo la ricostruzione operata dal primo giudice, il PI. doveva ritenersi coinvolto anche nel rilascio delle lettere di impegno da parte di B. oltre che in altre operazioni di capitale finanziato, come riferito dai testi An.Fa. (imprenditore del settore tessile) ed Ed.Ta. (altro imprenditore). Ancora, il teste Ma.So. aveva riferito di avere presenziato a un colloquio tra il direttore generale So. e il PI. su come strutturare "operazioni volte ad acquisire capitale" con l'imprenditore Luca Fe.ni (sentito a sua volta quale teste) e con il Fondo Ag. (in quest'ultimo caso l'operazione - ricostruita in dibattimento dal teste ispettore Gi.Ma. -in sede ispettiva non era stata considerata finanziata pur essendo assistita da una lettera di impegno). Il collegio vicentino richiamava altresì l'episodio della società di revisione K. (già esaminato sopra in relazione alla posizione dell'imputato GI.) evidenziando come, in base alla deposizione resa dalla teste avv. An.Pa., responsabile dell'ufficio legale di B., risultasse essere stato presente anche il PI. - assieme al direttore generale So. e al responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio Ma.Pe. - a una riunione convocata a seguito delle richieste dì delucidazioni rivolte alla banca da K.; nell'occasione, come già detto, l'avv. Pa. si era rifiutata di fornire il parere legale richiestole, suggerendo invece al So. (che aveva reagito in malo modo) di fare subito un audit, al che il PI. - come già evidenziato supra - aveva, a suo dire, ribattuto: "Ma sei matta! Un audit? Se facciamo un audit andiamo tutti a casa". L'imputato PI. risultava aver fatto parte anche della già citata "Task Force Gestione Soci" costituita e attivata - ufficialmente - a seguito dell'entrata in vigore del Regolamento UE n. 575/2013 (c.d. CRR) e del Regolamento Delegato UE n. 241/2014 nonché del D.L. n. 3/2015; la costituzione di tale Task Force trasversale alle varie Divisioni, che avrebbe dovuto reperire e adottare misure atte a ripristinare l'interazione con la base sociale attraversata da crescente disorientamento e scontento, era stata preceduta da una documentata riunione operativa tenutasi il 24.4.2015 (il relativo resoconto è in atti quale doc. nn. 525 del P.M.). In realtà - proseguiva il primo giudice - la partecipazione e il coinvolgimento del PI., responsabile della Divisione Finanze, nella Task Force in questione apparivano funzionalmente eccentrici rispetto agli scopi di essa e si spiegavano solo "in ragione dei suo coinvolgimento in tutti gli aspetti relativi all'anomala operatività della banca" (cfr. pag 724 sentenza gravata). Il primo giudice si diffondeva altresì sulle occasioni nelle quali il PI. aveva avuto interlocuzioni con la vigilanza. Per la precisione si trattava di due riunioni interlocutorie tenutesi nel 2013 (durante la fase preparatoria dell'aumento di capitale di quell'anno) e nell'autunno del 2014 (allorquando erano emerse le problematiche relative ai riacquisti effettuati da B. nonché al deficit patrimoniale a seguito del Comprehensive Assessment). Il tribunale affermava che in ambedue le occasioni il PI. aveva fornito alla vigilanza indicazioni false e fuorvianti circa i livelli di patrimonializzazione di B.; era stato altresì omesso in tali occasioni qualsiasi accenno agli squilibri del capitale azionario e al fenomeno del capitale finanziato. Sulla prima riunione interlocutoria, tenutasi il 27 marzo 2013 su richiesta j della stessa B. (e alla quale avevano partecipato per la banca il direttore° generale Sa.So., il segretario generale Ma.So., il responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio Ma.Pe. e per l'appunto il responsabile della Divisione Finanza An.Pi.), il teste Ma.Pa. - nel precisare che si trattava dì una riunione finalizzata a fornire, da parte della banca, aggiornamenti circa gli interventi pianificati per rafforzare il livello di patrimonializzazione del gruppo - aveva affermato che gli esponenti di B. gli avevano illustrato le caratteristiche principali dell'operazione programmata; queste ultime corrispondevano a quelle dell'aucap 2013 poi effettivamente realizzato, compresa la "campagna soci volta all'ampliamento della base azionaria (Euro 100 mln)", con "associata l'erogazione di finanziamenti, ai sensi dell'art. 2358 c.c. riservata ai nuovi soci. Sempre secondo il teste Pa., inoltre, tanto il PI. quanto il PE. avevano dimostrato di essere già a conoscenza del fatto che il capitale sottoscritto mediante finanziamenti concessi dalla banca non potesse essere computato ai fini del patrimonio di vigilanza se non nella quota del finanziamento nel frattempo oggetto di rimborso. A null'altro di quanto fino a quel momento accaduto si era fatto cenno, da parte dei predetti, in tale prima riunione come pure nella seconda riunione, tenutasi il 20.10.2014 tra Banca d'Italia e B. (in rappresentanza di quest'ultima erano stati presenti if PI. e il PE.). In base alla deposizione del teste ispettore Em.Ga., poi, risultava un contegno estremamente reticente del PI. in relazione alla sua conoscenza di quali investimenti fossero sottostanti ai fondi esteri dei quali sopra si è detto. Interpellato al riguardo dal team ispettivo il PI. si era limitato a giustificare tale assenza di informazioni con la reticenza dei gestori. Era stato allora rappresentato al direttore generale So., da parte della vigilanza, che in caso di mancata disclosure degli investimenti sottostanti si sarebbe scomputato l'intero importo di Euro 350 milioni dal patrimonio di vigilanza, al che le informazioni richieste erano prontamente pervenute. Il tribunale vicentino, dopo aver illustrato i contenuti della deposizione resa dal teste Massimo Castelluccio - all'epoca dei fatti in forza alla Divisione Finanza e dunque subalterno del PI. - circa le modalità della predisposizione dei documenti di offerta, passava in rassegna i contenuti di alcune conversazioni telefoniche e messaggi sms oggetto di intercettazione, contenenti, a suo avviso, significative ammissioni dello stesso PI. in ordine al proprio pieno coinvolgimento nei fatti per i quali qui si procede: conversazione progr. n. 360 dell'1.9.2015 tra il PI. e Mo.An.di UBS; messaggi sms scambiati il 3 maggio 2015 dal PI. con Em.Gi. (il primo scriveva ivi al secondo: "Deve essere chiaro che tutto era condiviso e che nessuno può dire di non sapere e chiamarsi fuori"). Indi il primo giudice illustrava i contenuti della versione dei fatti resa dall'imputato PI. - in sede di esame dibattimentale dd. 3.3.2020 - sui vari temi sopra ampiamente passati in rassegna (fra questi: prassi gestionale dei finanziamenti correlati, a suo dire appresa solo a seguito dell'ispezione BCE; lettera di impegno al riacquisto rilasciata all'imprenditore tessile Fa., in relazione alla quale il PI. sosteneva di avere detto all'imprenditore - che la pretendeva - di non poter fare nulla e di essersi limitato per parte sua a metterlo in contatto con il direttore generale So., che in effetti risultava essere il sottoscrittore della lettera di impegno poi concretamente emessa; operazione "So.", in relazione alla quale il PI. sosteneva non trattarsi di una operazione correlata; triangolazione coinvolgente le società c.d. "tre sorelle lussemburghesi", in relazione alla quale il PI. sosteneva di non aver mai saputo che alle anzidette società fosse stato erogato un finanziamento correlato per l'acquisto di azioni, scoprendolo solo dopo l'erogazione, allorquando si era avveduto che nel portafoglio titoli delle società stesse vi erano azioni B.; episodio, già più volte citato, dello scontro con l'avv. Pa. dell'ufficio legale di B. riguardo alla vicenda della società di revisione K., in relazione alla quale il PI. sosteneva di essersi limitato a dire alla Pa. che, come dirigente dell'ufficio legale alla quale era stato richiesto di redigere un parere, si sarebbe dovuta assumere le sue responsabilità; vicenda fondi "(...)" e "(...)", in relazione alla quale il PI. affermava che si era trattato di un'idea del direttore generale So. in vista dell'aucap 2013, che comunque i fondi erano stati sottoscritti dal So. sulla base del parere favorevole tanto dell'ufficio legale quanto della compliancet che in relazione alla seconda delle due operazioni egli si era limitato a presentare Gi.St. di (...) Asset Management al direttore generale della controllata irlandese B.Fi., Pi.Ra. e che, - in ogni caso - egli non era stato mai coinvolto dai fondi nella scelta degli investimenti sottostanti). Secondo il collegio vicentino tutte le anzidette affermazioni di esclusione della propria responsabilità rese dal PI. in sede di esame trovavano smentita nel complesso delle risultanze dell'istruttoria dibattimentale come sopra passate in rassegna nel ricostruire i vari episodi ritenuti dallo stesso primo giudice idonei a rivestire rilevanza penale a carico dell'imputato. Quanto poi alla linea difensiva del PI. riguardo a numerosi fra i testi a suo carico (in particolare i testi Pi.Ra. e Fi.Ro.), ossia che si sarebbe trattato di testi del tutto inattendibili perché interessati a incolpare lo stesso PI. pur di allontanare ogni sospetto nei loro confronti, il tribunale ribatteva che le loro deposizioni risultavano munite di plurimi riscontri, indicati nel dettaglio alle pagg. 730-732 della gravata sentenza, 1.9.5 Pe.Ma. Con riferimento a Pe.Ma. il primo giudice - dopo avere richiamato l'ipotesi d'accusa, secondo la quale costui avrebbe concorso nei reati di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza nella sua qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili rilevanti nella prassi aziendale della concessione dì finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o alla sottoscrizione di azioni B. ed avrebbe, altresì, fornito un concreto contributo alla realizzazione dei reati di falso in prospetto in ragione della sua responsabilità nella gestione degli adempimenti contabili e nella predisposizione delle segnalazioni all'autorità di vigilanza - evidenziava come l'imputato, nel periodo d'interesse 2011-2014, avesse ricoperto l'incarico di responsabile della Divisione Bilancio e Pianificazione nonché quello di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili, donde la sua estraneità alla esecuzione delle operazioni di capitale finanziato. La responsabilità del PE., pertanto, avrebbe richiesto la verifica, per un verso, "a monte", della consapevolezza, in capo al predetto, dell'esistenza e della consistenza del fenomeno in esame; e, per altro verso, "a valle", dell'apporto da questi fornito alla realizzazione delle attività delittuose attraverso la predisposizione di documenti, diretti al mercato ed alle autorità di vigilanza, contenenti informazioni caratterizzate dall'occultamento di detto fenomeno. Sotto il primo profilo il tribunale premetteva una analitica individuazione del ruolo concretamente svolto dall'imputato all'interno delia compagine bancaria, sottolineando come il PE., nella sua qualità di direttore della suddetta Divisione, dipendesse gerarchicamente dal solo d.g. So.. Nella sua qualifica di dirigente preposto, poi, il predetto riferiva direttamente al CdA per il tramite del comitato di controllo. Più nel dettaglio, l'imputato costituiva il vertice di una divisione che comprendeva due uffici di staff (l'ufficio studi e lo staff del dirigente preposto), disponeva di ben 75 unità e che, attraverso le sue articolazioni (segnatamente attraverso la Direzione Pianificazione Strategica, diretta da An.Fa.), svolgeva una pluralità di attività che andavano dal supporto alla direzione generale nella redazione dei piani economici pluriennali e dei budget annuali di tutte le strutture della banca, alla gestione dei rapporti con le società di consulenza e con la struttura dell'esperto indipendente incaricato annualmente di effettuare la valutazione dell'azione; dal monitoraggio teso a verificare il rispetto dei ratios patrimoniali della banca in relazione agli attivi ponderati (RWA) e all'andamento del fondo acquisto azioni proprie, al controllo costante dell'andamento della rete commerciale (verificato attraverso l'attività dell'ufficio CRM). Per il tramite della Direzione Ragioneria Generale - diretta da Lu.Tr. e facente parte anch'essa della Divisione Bilancio - poi, venivano curati gli adempimenti fiscali, gestita la contabilità, predisposto il bilancio di esercizio e quello consolidato e, infine, redatte le segnalazioni all'autorità di vigilanza. Ebbene, in un contesto tanto articolato era giocoforza che il PE. svolgesse un ruolo di coordinamento, occupandosi anche di assicurare una garanzia di coerenza fra i dati gestionali e quelli contabili, mentre la gestione dei dati di dettaglio e le attività correnti erano necessariamente demandate alla struttura nel suo complesso, adeguatamente dotata di risorse umane (numerose unità; plurimi dirigenti) e materiali. Quanto, poi, alle funzioni attribuite al dirigente preposto (figura prevista e disciplinata dall'art. 154 bis TUF), tale soggetto si occupava non già della redazione materiale dei documenti contabili societari, bensì della "predisposizione di adeguate procedure amministrative e contabili per la formazione del bilancio di esercizio e, ove previsto, del bilancio consolidato, nonché di ogni altra comunicazione di carattere finanziario" (art. 154 bis co. 3). Inoltre a costui competeva attestare la corrispondenza degli atti e delle comunicazioni "alle risultanze documentali ai libri e alle scritture contabili", come previsto dall'art. 154 bis TUF. Nello specifico, all'interno di B., in linea con la normativa di riferimento, la figura del dirigente preposto era disciplinata dal "Modello del Dirigente Preposto alla redazione dei documenti contabili societari"; modello che prevedeva che ciascuna funzione aziendale di controllo trasmettesse al dirigente preposto i risultati delle verifiche di propria competenza. Di qui la necessità, affinché il dirigente preposto potesse svolgere correttamente il proprio ruolo, della correttezza e veridicità delle informazioni che ciascuna struttura aziendale trasmetteva al suddetto dirigente. Tanto premesso, nessuno degli organi di controllo (collegio sindacale, audit, organismo di vigilanza, compliance) - precisava il primo giudice - aveva segnalato al PE. l'esistenza dì prassi scorrette nell'operatività del mercato interno delle azioni proprie. Quando il responsabile dell'Internal audit Ma.Bo. aveva tentato di portare a compimento la prima attività ispettiva sui finanziamenti correlati, infatti, era stato bloccato dal d.g. Sa.So., il quale gli aveva impedito di divulgare il relativo report. Il collegio sindacale, dal canto suo, pur avendo ricevuto vari segnali (sul punto il riferimento specifico del tribunale era al caso del socio Dalla Grana), non aveva effettuato alcuna comunicazione in proposito. Altrettanto doveva dirsi per la funzione di compliance che, chiamata a gestire la vicenda Vi., non aveva segnalato nulla al riguardo. In definitiva, nessuna informazione in ordine al fenomeno delle operazioni correlate era pervenuta al PE. attraverso i canali istituzionali. Né tale fenomeno era stato percepito nell'ambito dell'attività - parimenti di competenza della Divisione facente capo all'imputato - di gestione della contabilità adottata dalla banca. Il teste Lu.Tr., infatti, aveva dichiarato di avere appreso per la prima volta del fenomeno del capitale finanziato nel marzo del 2015, nel corso di una riunione tra le società di revisione e il collegio sindacale in vista della redazione della relazione al bilancio 2014. Prima di allora, infatti, secondo tale teste, il suddetto fenomeno non era rappresentato nei sistemi contabili, né era comunque noto alla struttura, né, infine, vi erano possibilità che potesse essere rilevato dalla Ragioneria Generale attraverso l'analisi dei dati disponibili. Inoltre, neppure erano emersi elementi che consentissero di concludere che il PE. avesse acquisito aliunde (rispetto ai canali istituzionali) la consapevolezza circa l'operatività dei finanziamenti correlati. Anzi, in senso opposto orientavano le deposizioni dei testi An.Fa., Lu.Tr. e Al.Mo.. Del teste Tr. si è già detto. Il teste Fa., dal canto suo, aveva riferito di avere appreso delle operazioni correlate solo nel corso della ispezione BCE del 2015, precisando che anche il PE., fino ad allora, si trovava nella medesima situazione di ignoranza del fenomeno in questione. Il teste Mo., infine, aveva sostenuto che prima dell'ispezione vi fosse consapevolezza delle "baciate" ma non della loro diffusività e, con riferimento al PE., aveva precisato che costui era a conoscenza solo dello slogan del d.g, Sa.So. secondo il quale ogni cliente affidato avrebbe dovuto possedere azioni B. pari almeno al 10% del finanziamento. Aggiungasi che anche il teste Ma.Li. - all'epoca vicedirettore di Ba.Nu. ed in rapporto di wbuona colleganza" con l'imputato durante la precedente esperienza in B. - aveva dichiarato di avere avuto con costui un colloquio confidenziale nel mese di aprile 2015 (ovverosia in piena ispezione BCE e poco prima dell'avvio della Task Force voluta dal d.g. So.) traendone la convinzione che l'imputato non fosse a conoscenza "di questa rilevanza del problema". Anche la vicenda della comunicazione delle 17 posizioni sospette da parte di K. e la deposizione dell'avvocato Pa. (vicenda oggetto di puntuale ricostruzione da parte del primo giudice alle pagg. 746-748 della sentenza) deponevano tanto per la mancata consapevolezza, in capo al PE., dell'entità del problema del capitale finanziato (problema del quale lo stesso imputato, apprendendone in occasione della qui più volte menzionata riunione nell'ufficio del So., si era poi dimostrato seriamente preoccupato, al pari della suddetta Pa.), quanto per l'estraneità del medesimo PE. rispetto alle macchinazioni tese ad occultarlo. Analoghe conclusioni dovevano trarsi, ad avviso del tribunale, con riferimento alla disclosure sui fondi "(...)" e "(...)". In proposito era stato dall'ufficio del PE. che era partita la richiesta di disclosure sui sottostanti dei fondi (richiesta, peraltro, più volte ripetuta, come precisato dal teste Lu.Tr.). Quindi, in presenza di una risposta solo parziale, l'ufficio ricompreso nella Divisione diretta dall'imputato aveva applicato il trattamento previsto dalla normativa, segnalando l'intera esposizione verso quei fondi come una "esposizione sconosciuta". Peraltro, quando, successivamente, era entrato in vigore il CRR che imponeva alla banca di avere piena conoscenza anche degli investimenti sottostanti, era stato proprio l'imputato a segnalare che, in difetto di disclosure, l'istituto avrebbe dovuto detrarre integralmente l'intero investimento dal CET 1 e solo per effetto di tale segnalazione era stato finalmente comunicato l'investimento in azioni B., come segnalato dal teste ispettore Em.Ga.. Anche l'intervento effettuato dal PE. nel corso della seduta del CdA 1.4.2014 - allorché questi non si era affatto allineato alle valutazioni del prof. Bi. in ordine al valore da assegnare all'azione, ma, al contrario, aveva mosso delle critiche al riguardo - deponeva in senso favorevole all'imputato. Ove costui fosse stato coinvolto nell'illecita operatività del capitale finanziato, infatti, sarebbe stato lecito attendersi che non dissentisse rispetto alla metodologia applicata nella stima del valore del titolo. Né, a fronte di tali plurime emergenze probatorie favorevoli, gli elementi valorizzati in senso contrario dal P.M. potevano legittimare differenti conclusioni circa la consapevolezza, da parte del PE., del fenomeno in esame. Non l'episodio del Comitato di Direzione dell'8 novembre 2011, nel quale pure v'era prova che si fosse parlato delle "operazioni baciate" in presenza del PE., poiché l'affermazione fatta, nell'occasione, da costui, secondo quanto riportato negli appunti del teste Ma.So. ("Avrei bisogno di 110 milioni andare a 8 con capitalizzazione dell'utile trimestrale") e, più in generale, ciò che era stato sostenuto nel corso della riunione, anche dal d.g. So. ("dobbiamo veramente monitorare giornalmente (Fa. abbiamo degli impegni nei confronti di Banca d'Italia e del Consiglio di Amministrazione"), non consentivano di concludere che il medesimo PE. fosse consapevole delle specifiche caratteristiche di quella tipologia di operazioni, né della diffusività del fenomeno e, quindi, della sua incidenza sul patrimonio della banca. Tutt'altro che inverosimile, infatti, appariva quanto sostenuto, al riguardo, dallo stesso imputato, là dove il predetto aveva precisato di non avere dato adeguato peso agli interventi effettuati, in tale occasione, dal Se. e dal Tonato in quanto, all'epoca, neppure conosceva il significato della parola "baciata". Peraltro - precisava il primo giudice - a tale riunione era stata presente anche l'avv. An.Pa., la quale tuttavia aveva dichiarato di essere venuta a conoscenza del fenomeno solo nel 2015, in occasione della citata comunicazione della società di revisione K.. Non le dichiarazioni rese dal teste So. - sebbene costui avesse narrato di colloqui con figure apicali dell'istituto nei quali si era fatto ripetutamente riferimento alle "baciate" a partire dagli anni 2010-2011 - in quanto detto teste non aveva riferito di colloqui intercorsi, a tale specifico riguardo, con il PE.. E neppure le deposizioni - sostanzialmente analoghe e, comunque, assolutamente vaghe ed incerte - rese dei testi Gi.Am., Al.Ba. e Co.Tu.. Quanto, poi, al Comitato di Direzione del 10.11.2014 (del quale nel corso dell'istruttoria dibattimentale era stata ascoltata la registrazione audio), il primo giudice precisava, per un verso, che si era trattato di riunione alla quale il PE. non aveva partecipato (in quanto si trovava a Francoforte) e, per altro verso, che il riferimento alla necessità di confrontarsi con il predetto, nell'occasione chiamato in causa da GI. ("... però dobbiamo confrontarci con Ma..."), costituiva un elemento insuscettibile di univoca lettura. Era lecito ipotizzare, infatti, che il predetto GI. - come, peraltro, da questi sostenuto - intendesse riferirsi alla necessità di "tagliare gli attivi", donde, in questa prospettiva, la regolarità del coinvolgimento del PE., in quanto titolare della Divisione "competente in materia". Inoltre, con riferimento alla deposizione rese dal teste Co.Tu. in relazione alla riunione del 7 gennaio 2015 (deposizione nel corso della quale detto testimone, dapprima, aveva riferito che si era trattato della prima occasione nella quale sì era parlato di "baciate" anche in presenza di PE. e successivamente, in sede di controesame, aveva smentito le precedenti dichiarazioni, negando che nel corso di questo incontro fosse stato affrontato tale argomento), si era evidentemente in presenza, ad avviso del primo giudice, di un contributo dichiarativo del tutto inattendibile. Infine il tribunale esaminava la tesi del coimputato GI. (tesi secondo la quale: il fenomeno del capitale finanziato era noto a tutti all'interno della banca; lo stesso GI. ne ignorava la dimensione; il medesimo dichiarante aveva confidato nella regolare appostazione a bilancio dei dati relativi a detto fenomeno) evidenziandone: - per un verso, il contrasto con gli elementi probatori in precedenza citati; ° per altro verso, la intrinseca contraddittorietà (posto che non era dato comprendere cosa avrebbe dovuto appostare a bilancio la ragioneria se neppure il GI. era a conoscenza di dati precisi al riguardo e se difettavano flussi informativi interni sul punto); - e, peraltro verso ancora, la palese illogicità (in quanto la contabilizzazione di tale fenomeno avrebbe vanificato la finalità di evitare la decurtazione del valore delle azioni finanziate dal patrimonio di vigilanza). In definitiva - concludeva il primo giudice - il compendio probatorio non consentiva di giungere all'affermazione di responsabilità del PE.. Non solo l'imputato era del tutto estraneo alla strutturazione dell'operatività delle c.d. "baciate", ma neppure era provato che fosse consapevole di tale fenomeno. Al più erano emerse una vaga e generica conoscenza, da parte del predetto, della tematica in esame e la conseguente sottovalutazione della serietà delle relative implicazioni sul patrimonio di vigilanza, non già la consapevolezza delle caratteristiche e della diffusività della illecita operatività in esame, necessarie per fondare l'elemento psicologico dei reati oggetto di addebito. Di qui l'assoluzione perché il fatto non costituisce reato 1.9.6 Zi.Gi. Con riferimento alla posizione processuale di Zi.Gi., al quale era addebitato il concorso nei reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto (concorso estrinsecatosi nell'avere egli avallato la prassi aziendale del capitale finanziato, avendo compiuto per il tramite di Ze. s.r.l. operazioni di tale natura), il tribunale premetteva, alla stregua della deposizione resa dal teste ispettore Gi.Ma., la seguente ricostruzione delie operazioni riferibili all'imputato: - il 13 novembre 2012 il CdA aveva deliberato ex art. 136 TUB un affidamento di 12,5 milioni di euro in favore di Ze. s.r.l.. La causale era: "cogliere eventuali opportunità sia nel settore industriale che nel settore finanziario, nello specifico è in fase di avanzata trattativa l'acquisizione di un rilevante pacchetto di quote di Ar.Li. s.p.a. sono inoltre nell'intenzione degli imprenditori ulteriori significativi investimenti che al momento non sono ancora nel complesso definiti". Il fido era stato accreditato il 21 novembre e, lo stesso giorno, era stato effettuato un giroconto di 10 milioni di euro utilizzati per l'acquisto di azioni B. per un pari importo; - quindi, nel luglio del 2013, la Ze. S.r.l. aveva beneficiato di un finanziamento di 1.5 milioni di euro, fido erogato il 2.9.2013 sul conto corrente (...), intestato alla predetta società. Si trattava di un incremento del fido già concesso nel 2012. In data 2 settembre 2013 - data di regolamento dell'aucap 2013 - risultava poi un'erogazione di 1,13 milioni di euro su altro conto corrente intestato alla medesima società con l'impiego di detta somma per l'acquisto di azioni B. di pari valore; - ancora, il 4.12.2014, Zi.Gi. aveva ricevuto un affidamento di 5.200.000,00 euro. La P.E.F. indicava, quale causale: "finalizzato ad intercettare alcune opportunità immobiliari e di partecipazione". Non appena ricevuta l'erogazione, il relativo importo era stato bonificato su un conto U.It. s.p.a., filiale di Padova; - il 16.2.2015, infine, Ze. s.r.l. aveva venduto 5,5 milioni di azioni sul secondario e, con il ricavato, aveva ridotto parte del debito relativo al finanziamento di 15 milioni di euro. Tale ricostruzione - precisava il tribunale - coincideva con le conclusioni dei cc.tt. del P.M. dove sì attestava che l'importo delle azioni acquistate dalla società Ze. s.r.l. tramite finanziamenti era pari a 10 milioni di euro dal 31.12.2012 al 30.6.2013, ad euro 10.565.250 dal 30.9.2013 al 30.6.2014, ad euro 10.355.250 dal 30.9.2014 al 31.12.2014 e, infine, ad euro 4.855.250 al 31.3.2015. Così ricostruite le evidenze contabili, il primo giudice concludeva per la natura "correlata" delle operazioni effettuate dalla Ze. s.r.l. sulla scorta, in particolare, delle dichiarazioni rese dai testi Ma.Ba. e An.Cr.. Il primo, infatti, aveva rievocato (peraltro coerentemente con gli / esiti della consulenza dei cc.tt. del P.M.) l'operazione (da lui stesso curata su input di Em.Gi. ovvero di Al.Ba.) effettuata alla fine del 2012 e relativa al fido da 12,5 milioni di euro, parte dei quali (2,5 milioni), destinata all'acquisto della partecipazione in Ar.Li., la restante parte riservata a investimenti in azioni della banca. La pratica, poi, era stata materialmente seguita dal Criscuolo. L'operazione avrebbe dovuto avere carattere temporaneo, la liquidità essendo stata "parcheggiata" in azioni B. in attesa di un differente impiego, da effettuare previa liquidazione delle azioni. Nel 2013, poi, in occasione dell'aumento di capitale, il fido era stato esteso di ulteriori 1,5 milioni e con la relativa provvista Ze. s.r.l. aveva aderito all'iniziativa in questione. Il secondo teste (Cr.), poi, aveva sostanzialmente confermato la versione del collega Ba.. Infine anche il teste Al.Ba., responsabile della divisione "Corporate", aveva rievocato l'operazione posta in essere dallo ZI., operazione della quale, in parte, si era anche personalmente occupato allorquando, nel 2012, vi era stato un apposito incontro con lo stesso ZI. e con GI. per discuterne l'impostazione. Il teste Ba. ha precisato che vi era urgenza di effettuare l'operazione con rapidità in quanto si avvicinava la fine dell'anno 2012; che era impellente l'esigenza di liberare il fondo acquisto azioni; che, nell'occasione, ZI. aveva acconsentito ad effettuare l'operazione purché la cosa fosse gradita allo ZO.. Successivamente lo stesso ZI. gli aveva confidato di essersi prestato ad effettuare l'operazione a richiesta dì So. e GI., i quali "in sostanza gli avevano chiesto un favore e che lui si era messo a disposizione della banca". Dal canto suo lo stesso ZI. aveva ricordato di avere agito aderendo alla proposta di GI. e solo dopo avere ricevuto esplicite rassicurazioni in ordine al fatto che l'operazione non fosse intesa dal presidente ZO. come una iniziativa ostile. Il messaggio SMS inviato da MA. a So. il 26.10.2012 (doc. nr. 665 del P.M.) "ti ricordo Zi. di parlarne con il presidente per il fido da farsi sulla sua finanziaria", nonché il precedente' messaggio trasmesso, il 17.10.2012, dal GI. allo stesso So. "faccio anche ZI., Ma. d'accordo. Vedi problemi?" "il fratello ha già in atto l'operazione" costituivano, poi, significativi riscontri documentali dell'operazione in questione. Quindi il tribunale precisava, sulla scorta della deposizione del Criscuolo, che, con rifermento al finanziamento concesso allo ZI., erano stati applicati tassi differenziati per l'importo destinato all'acquisto di Ar. e per la parte destinata all'acquisto delle azioni e che i tassi erano stati "sistemati" con il consueto sistema dello storno. Alcuni documenti disponibili, peraltro, confermavano tale circostanza. Trattasi, segnatamente: - della richiesta di storno di cui al documento nr. 103 del P.M.; - dell'annotazione redatta da Zi.Gi. (doc nr. 730 del P.M.), contenente l'elenco delle azioni acquistate tramite finanziamento con l'indicazione di importi e tasse non deducibili "che avanziamo dalla banca" e con l'indicazione finale rimane da risolvere la vendita delle altre 80.000 azioni"; - del prospetto riassuntivo dell'applicazione del tasso di interesse (doc, nr. 737 del P.M.), estratto dal computer della segretaria della Ze. S.r.l., Ca.Ro., la quale aveva riferito di averlo redatto probabilmente su incarico di Gi.ZI. (questi, tuttavia, non aveva confermato la circostanza). In detto documento veniva riportato il tasso di interesse del 4,5% con riferimento al finanziamento di 2,5 milioni di euro relativo all'acquisizione di Ar.Li. e in esso si leggeva "calcolo eseguito non considerando il milione di aumento di capitale che si riferisce ai 10 milioni". Quanto, poi, al finanziamento di 10 milioni destinati all'acquisto delle azioni, nel consuntivo finale, alle competenze addebitate, comprensive di interessi ed imposte, venivano sottratti gli interessi "effettivamente dovuti" in ordine al finanziamento di 2,5 milioni destinato ad Ar.Li. e la differenza tra queste due somme era indicata come "differenza da rimb"; - della e-mail 15.7.2014 inviata dalla Ca. alla filiale B. in cui si precisava che le imposte di bollo andranno a confluire nel famoso rimborso concordato a suo tempo", così confermandosi l'esistenza dell'accordo per rimborsare a Ze. s.r.l. tutte le spese. La natura correlata delle operazioni effettuate dagli ZI. del resto emergeva, ad avviso del tribunale, anche da un appunto (doc. nr. 731 del P.M.) redatto dallo stesso imputato per ricostruire le operazioni effettuate con la banca. In detto appunto si legge che in data 8 maggio, a colloquio con ZO., Br. e l'avv. Am., ZI. aveva affermato essergli stato chiesto "in due occasioni di comprare azioni (2011 e 2012) con finanziamenti dove non ho percepito utili ma ho anticipato interessi passivi. La prima si è chiusa nel 2014 e la seconda per il 50% nel 2015". "Attualmente ci perdo 280.000 più oltre un milione di calo di valore: quindi la banca non è danneggiata ma ci ha guadagnato. Operazioni proposte da E. ma definite in ufficio da SS che mi ringraziava per l'aiuto. Ho sempre messo due condizioni, di non guadagnarci e che il Presidente fosse informato". Lo stesso imputato, poi, nel corso dell'esame, ha ricordato che il finanziamento era stato strutturato per l'acquisto di azioni dell'istituto e che egli lo aveva effettuato, sollecitato da GI., "per dare una mano alla banca". Del resto, nel corso della conversazione telefonica nr. 153 del 25.8.2015 intercorsa tra l'imputato e Lu.Bo., il primo aveva ammesso di essere stato finanziato dalla banca per l'acquisto delle azioni. Sicché la natura correlata dell'operazione di acquisto finanziato di azioni per 10 milioni di euro non poteva essere fondatamente revocata in dubbio. Altra operazione correlata era stata quella effettuata, per l'importo di 5 milioni di euro, da Zi.Gi. (finanziamento del 27.12.2011 ed acquisto delle azioni effettuato due giorni dopo). Con analoghe modalità, poi, lo stesso Zi.Gi. aveva partecipato all'aumento di capitale del 2013 per l'importo di 500.000 euro. La prima operazione era stata chiusa il 29.5.2014 con rimborso e annullamento delle azioni, ovverosia con un ricorso surrettizio - come emerso anche dalla deposizione del teste Ro. il quale aveva confermato che l'annullamento era un espediente al quale si ricorreva in casi eccezionali per chiudere operazioni correlate - ad uno strumento (quello dell'annullamento) previsto in caso di "inadempienza grave" del socio, inadempienza che, nel caso dì specie, non si era affatto verificata. Quindi il tribunale richiamava il finanziamento di 5 milioni di euro concesso da B. a Ze. s.r.l. e girato sul conto UBS il 5.12.2014. Nell'occasione al dipendente UBS Visentin, il quale si era relazionato con So., PI. e GI., l'imputato aveva riferito che aveva un "credito nei loro confronti" e che questa operazione "gli era dovuta" in quanto "aveva fatto molti favori alla banca". Infine il primo giudice evocava la e-mail inviata dallo ZI. a Em.Gi. e a Cl.Gi. con, in calce, l'analoga missiva inviatagli da Mi.Ga., il quale si lamentava del fatto che un dipendente B. gli avesse comunicato che il rinnovo di un secondo fido era stato anch'esso subordinato, al pari del primo, alla sottoscrizione di 50.000 azioni dell'istituto di credito. Nell'occasione l'imputato si era limitato a spiegare che "B. non opera con questa politica e che forse o hanno capito male o il funzionario si è espresso male". Ebbene, in presenza di tali evidenze probatorie lo ZI., come detto, aveva bensì ammesso di avere effettuato operazioni correlate per dare una mano alla banca ma aveva negato di essere stato consapevole delle problematiche connesse al capitale finanziato e, meno che mai, delle sue dimensioni, protestando altresì la propria totale inconsapevolezza circa la necessità dello scomputo delle azioni finanziate dal patrimonio di vigilanza. Pertanto il tribunale riteneva certamente provato che l'imputato, attraverso Ze. s.r.l., avesse posto in essere operazioni correlate. Nondimeno, sempre secondo il tribunale, non soltanto lo ZI. non aveva minimamente preso parte alla concertazione - intercorsa, ai massimi livelli, tra il management della banca ed il presidente ZO. - che aveva reso possibile la manipolazione del mercato e le condotte di false informazioni alla vigilanza, ma neppure vi era prova affidabile circa la consapevolezza, in capo ai membri del CdA (e, quindi, allo stesso ZI.), in ordine alla diffusività dell'operatività illecita in questione. Il teste ispettore Em.Ga., invero, aveva puntualmente evidenziato la difficoltà di percepire se una operazione fosse o meno correlata da parte del CdA. Dal canto suo lo stesso coimputato MA., in sede di esame, aveva ammesso che, quando presentava le pratiche di acquisti correlati in Consiglio, era solito non esplicitare mai la natura delle operazioni, limitandosi a riportare sinteticamente i dati della P.E.F.. In buona sostanza - secondo il tribunale - la valutazione circa la sussumibilità o meno delia condotta dello ZI. nell'alveo della penale responsabilità implicava, necessariamente, la esatta comprensione dei termini della questione inerente al complesso tema della responsabilità dei componenti del CdA non esecutivi, estranei a qualsivoglia funzione gestoria dell'impresa bancaria, questione che, nel caso sub iudice, andava poi "calata" in un contesto obiettivamente peculiare in quanto caratterizzato, per un verso, dalla concreta fisionomia di un organo collegiale - il CdA di B. - sottoposto alla direzione di un presidente "assolutamente operativo"; e, per altro verso, dall'assenza, in capo ai consiglieri, della effettiva conoscenza della situazione di reale illiquidità del titolo azionario. In effetti, solo in presenza di segnali di allarme effettivamente percepibili (e realmente percepiti) come tali dai consiglieri sarebbe stato possibile ritenere costoro - e, quindi, tra essi, lo ZI., il quale non si trovava affatto in una situazione dissimile rispetto a quella dei "colleghi" che avevano posto in essere anch'essi operazioni correlate - responsabili, ex art. 40 c.p., per non avere impedito attività delittuose in itinere, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità. Nel caso di specie, tuttavia, nulla consentiva di affermare che l'imputato avesse volontariamente omesso di intervenire per scongiurare la consumazione dei reati, all'uopo non potendosi ritenere sufficiente la partecipazione, da parte del predetto, ad operazioni di capitale finanziato; operazioni, peraltro, da costui poste in essere su sollecitazione dei vertici dell'istituto e senza alcun tornaconto personale. In definitiva difettavano prove univocamente sintomatiche di un consapevole concorso materiale di Zi.Gi. nei reati ascrittigli, in difetto di adeguati riscontri circa la consapevolezza, in capo al predetto, delle condotte manipolatorie e decettive poste in essere dalle figure apicali dell'istituto di credito e, ancor meno, circa la dimensione del fenomeno del capitale finanziato. Donde l'assoluzione dell'imputato perché il fatto non costituisce reato 1.10 La responsabilità amministrativa di B. in L.C.A. Il tribunale, inoltre, riteneva Banca (...) in L.C.A. responsabile degli illeciti amministrativi dipendenti da reato alla stessa ascritti (illeciti di cui ai capi A2, B2, C2, D2, E2, F2, G2, H2, M2, N2, posti in essere nel periodo dal 2012 al 2015, come specificato nelle relative imputazioni di riferimento) in relazione ai reati dì aggiotaggio ex art, 2637 c.c. e di ostacolo alla vigilanza ex art. 2638 c.c. (ovverosia con riferimento a fattispecie incluse nell'art. 25 ter lett. R ed S del D.L.vo 231/01) posti in essere da soggetti sia di vertice che sottoposti alla direzione e vigilanza di posizioni apicali. In proposito, dopo avere richiamato, in ordine alla sussistenza delle ipotesi delittuose di riferimento, quanto già in precedenze esposto al riguardo, il tribunale in primo luogo evidenziava come, ai fini della responsabilità dell'ente, non rivestisse rilievo alcuno la sottoposizione della banca a procedura concorsuale, trattandosi di evento non ricompreso tra le cause dì estinzione dell'illecito da reato previste dalla disciplina in materia (come del resto era evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto, che assegnava rilievo, al riguardo, unicamente al decorso del termine di legge, ovvero all'improcedibilità in caso di amnistia in relazione al reato presupposto). Fino alla cancellazione conseguente all'esito della procedura concorsuale, infatti, la società avrebbe dovuto ritenersi esistente. Né, d'altro canto, era possibile opinare diversamente sulla base di una sorta di giudizio prognostico fondato sul prevedibile esito della procedura fallimentare. Tanto premesso, neppure poteva dubitarsi che gli imputati avessero agito nell'interesse e a vantaggio dell'ente. Al riguardo il tribunale premetteva che l'interesse (da valutarsi, ex ante, secondo criteri "soggettivi" che, sebbene non coincidenti con l'elemento psicologico della fattispecie delittuosa di riferimento, dovevano comunque essere tali da esprimere la tensione finalistica dell'operato dell'autore del reato presupposto) avrebbe dovuto individuarsi nella prefigurabilità di un risultato positivo per la società. Quanto poi al vantaggio (da apprezzarsi, ex post, secondo criteri oggettivi), tale requisito si sarebbe dovuto identificare negli effetti favorevoli derivati dalla realizzazione degli illeciti. Questo con la precisazione, per un verso, che la mancata considerazione del criterio del vantaggio secondo la formulazione della disposizione vigente all'epoca dei fatti (art. 25 ter D.L.vo cit.) era circostanza di ben scarso rilievo, posto che, nel caso di specie, tutti i reati perpetrati erano caratterizzati dal correlativo interesse dell'istituto di credito; per altro verso, che l'antieconomicità a posteriori dell'operazione era ininfluente; e, peraltro verso ancora, che l'interesse dell'ente avrebbe potuto essere anche parziale o marginale, dovendosi escludere la responsabilità della società solo nel caso di interesse esclusivo dell'autore del reato (in ragione, in tal caso, della rottura "dello schema di immedesimazione organica" che costituiva il fondamento teorico dell'istituto in questione). Ebbene, nella vicenda sub iudice, le condotte delittuose erano state pacificamente poste in essere nell'interesse (anche) dell'istituto di credito. In effetti la contraria tesi difensiva (secondo la quale dette condotte si sarebbero poste in conflitto con il reale interesse della banca, in quanto, da un lato, avrebbero precluso l'effettuazione di ulteriori operazioni e in tal guisa avrebbero cagionato, fin dal momento genetico, un grave nocumento all'istituto di credito, mentre, dall'altro lato, sarebbero state realizzate nell'esclusivo interesse degli imputati, al di fuori di una politica di impresa e per finalità di mantenimento del potere gestionale da parte dei vertici amministrativi) non poteva affatto essere accolta. Ciò avrebbe infatti rappresentato l'espressione di un'interpretazione atomistica, fuorviante e retrospettiva del fenomeno delittuoso in esame e non già di una doverosa visione prospettica delle azioni criminose. Le condotte di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, infatti, erano state funzionali a far conseguire all'ente un beneficio, occultando le operazioni di capitale finanziato e così consentendo all'istituto di credito di mantenere standard elevati nell'esercizio dell'attività bancaria e di acquisire nuovo capitale o mantenere quello esistente. Si era trattato, quindi, di condotte che, a tutto discapito del mercato, avevano generato indubbi benefici per la banca, assicurandone la continuità e garantendone la competitività nel mercato del credito, sia pure in modo rivelatosi non sufficiente, nel lungo termine, a risolvere le carenze di un'errata politica di impresa (peraltro preesistente alle operazioni di capitale finanziato) che aveva portato ad un progressivo, inesorabile, deterioramento della situazione patrimoniale (con i relativi coefficienti che, già dal 2012, erano inferiori alla soglia target, come evidenziato dai consulenti del P.M.). Le ricadute positive per l'ente delle attività delittuose, del resto, erano state convincentemente delineate dalla deposizione del teste ispettore Em.Ga.. In assenza delle condotte delittuose, in effetti, la banca si sarebbe trovata nella necessità di impegnare le risorse disponibili per reintegrare i requisiti patrimoniali, oppure di disvelare una situazione di crisi che avrebbe inevitabilmente impattato negativamente, al contempo, tanto sul capitale (trattandosi di banca cooperativa), quanto sull'operatività (trattandosi di banca commerciale). In definitiva - precisava il primo giudice - occorreva distinguere tra le singole condotte operative di capitale finanziato (che costituivano solo una parte della politica imprenditoriale e non erano indicative della proiezione finalistica del reato) e le soprastanti condotte delittuose delle false prospettazioni al mercato e alla vigilanza, nelle quali si sostanziavano i reati presupposto che erano stati funzionali a favorire l'ente, consentendo alla società di conseguire un vantaggio economico. Ponendosi in questa prospettiva, diveniva allora evidente l'interesse (se non esclusivo, quantomeno prevalente) della banca alla commissione dei delitti di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, in quanto espressione di una politica d'impresa funzionale a garantire la prosecuzione dell'attività dell'istituto, assicurando, per un verso, l'afflusso di nuovo capitale e, per altro verso, il mantenimento di quello esistente. D'altronde, il peggioramento delle condizioni economiche dell'ente non era stato certo effetto della commissione dei reati, bensì del ricorso dissennato al capitale finanziato nell'ambito di un meccanismo divenuto progressivamente ingovernabile, il tutto mentre le condotte delittuose (che si ponevano a valle di tale fenomeno) avevano per un certo periodo di tempo consentito di contenere, limitare e ritardare gli ulteriori effetti negativi per l'ente che dal disvelamento di una siffatta realtà sarebbero inevitabilmente derivati. Quanto poi al criterio soggettivo di imputazione dell'illecito, costituito dalla colpa di organizzazione, il primo giudice ne ravvisava il ricorrere in ragione del fatto che l'ente non si fosse strutturato in modo idoneo a prevenire le condotte in questione. Nel caso di specie, infatti, non solo il modello organizzativo, nella versione aggiornata a febbraio del 2012 (documento nr. 269 del P.M.), non era stato predisposto in modo adeguato (essendo prevalentemente strutturato ai fini di anti-riciclaggio), ma neppure era stato applicato ed implementato convenientemente. Nulla era stato previsto in relazione alle modalità di predisposizione dei bilanci, al computo dei requisiti patrimoniali, anche ai fini del patrimonio di vigilanza, all'attività di erogazione del credito, ovvero alla gestione operativa, contabile e patrimoniale delle azioni (proprie e non) che, pure, costituiva l'attività su cui si focalizzava l'operatività della banca. Nessuna procedimentalizzazione delle attività di acquisto e vendita delle azioni, inoltre, era stata programmata nel modello. Né detto modello era mai stato implementato in tal senso. Si aggiunga che erano risultate assenti modalità operative per garantire la tracciabilità dei finanziamenti per l'acquisto dì azioni proprie e che neppure era stato previsto alcunché per assicurare la corretta registrazione dei collegamenti tra affidamenti e acquisto/sottoscrizione di azioni, ovvero per disciplinare le comunicazioni all'esterno, ovvero ancora per regolamentare gli aspetti afferenti al patrimonio di vigilanza. Inoltre il modello aveva previsto un Organismo dì Vigilanza collegiale composto da tre soggetti e, segnatamente, da due avvocati esterni all'istituto di credito, nonché dal responsabile interno dell'audit, soggetto, quest'ultimo, dipendente gerarchicamente dal d.g. e funzionalmente dal CdA, ovverosia proprio da coloro che egli avrebbe dovuto controllare. Donde un evidente deficit di autonomia di tale organismo. Quanto, poi, al Collegio sindacale, era risultato composto da soggetti alcuni dei quali (Za., Za., Ca.) legati personalmente allo ZO., ovvero a società riconducibili a tale imputato. Le stesse relazioni ispettive di Banca d'Italia, del resto, avevano censurato la logica di cooptazione alla base della composizione dell'organo in questione, stigmatizzandone l'attività di mero controllore formale. Di qui il giudizio di complessiva grave inadeguatezza dei presidi organizzativi predisposti da B. per fronteggiare i rischi operativi assunti e la conseguente affermazione della responsabilità dell'ente. Quindi, passando alla quantificazione della sanzione, il primo giudice stabiliva, quanto al più grave delitto di aggiotaggio, il numero di 600 quote (a fronte di una forbice di riferimento tra le 400 e le 1000 quote), ridotte a 400 in ragione dell'attenuante ex art. 12, co, 2, D.L.vo 231/01, essendosi l'ente adoperato (con una proposta di transazione rivolta agli azionisti ed avente ad oggetto l'offerta di una somma a titolo di indennizzo) per ridurre le conseguenze dannose dell'illecito. Considerata, poi, la pluralità di illeciti, il tribunale determinava nella misura di 150 quote l'aumento per quelli ex art. 25 ter R ed in 360 quote l'aumento per quelli ex art. 25 ter S, Conseguentemente, precisato che la prescrizione di talune condotte delittuose non poteva rivestire alcun rilievo in relazione all'illecito amministrativo dell'ente, quantificava le quote complessive nella misura di 910 quote e, determinato il valore di ciascuna quota in euro 400, fissava la sanzione pecuniaria complessiva nella misura di euro 364.000,00. Infine, evidenziato che il profitto del reato andava identificato nel vantaggio economico (inteso come benefìcio aggiunto di tipo patrimoniale) causalmente derivato dal reato presupposto, e sottolineato, inoltre, come una stima in tal senso fosse stata unicamente effettuata con riferimento al reato di cui al capo N2, all'origine del sequestro, disposto dal GIP del tribunale di Vicenza in data 18.5.2017, con riferimento al valore di euro 106.012.687,50 (corrispondente all'ammontare delle sottoscrizioni di capitale versate alla banca, a seguito dell'aucap, dai soci il cui acquisto era stato sollecitato dalla banca stessa e che non avrebbero potuto sottoscriverlo ove fosse stato applicato il "test di adeguatezza bloccante"), il tribunale disponeva la confisca in tal senso, detraendo tuttavia l'importo di euro 31,8 milioni, oggetto di restituzione effettuata a titolo transattivo, e fissando, quindi, l'ammontare della confisca nella misura di euro 74.212.687,50 (con conseguente parziale revoca del sequestro). 1.11 Il trattamento sanzionatorio Con riferimento ai reati commessi dagli imputati ZO., PI., MA. e GI., dei quali andava ad affermare la penale responsabilità, il tribunale ravvisava la sussistenza del vincolo della continuazione, trattandosi di reati espressione di un'unitaria determinazione criminosa. Quindi: - esclusa quanto ai reati di cui ai capi A1, B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, I, L, M1 l'aggravante ex art. 112 nr. 1 c.p., in ragione del numero inferiore a cinque degli autori delle relative condotte; - riconosciuta, quanto ai reati di cui ai capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, M1, N1 l'aggravante ad effetto speciale ex art. 2638 co. 3, c.c., essendosi in presenza di istituto di credito emittente strumenti finanziari diffusi tra il pubblico in misura rilevante, ex art. 116 D.L.vo 58/98; - riconosciuta, altresì, in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, H1, I, L, M1, N1, l'aggravante di cui all'art. 61 nr. 2 c.p., trattandosi di condotte di ostacolo, susseguitesi nel tempo, al fine di occultare l'illecita manipolazione del prezzo sia di nascondere la falsità dei precedenti flussi informativi; - riconosciute, inoltre, a tutti gli imputati le attenuanti generiche, trattandosi di soggetti incensurati che avevano anche tenuto corrette condotte processuali (in effetti, presenti a tutte le udienze, costoro si erano anche sottoposti ad esame, eccezion fatta per ZO. il quale, peraltro, aveva reso dichiarazioni spontanee); - valutate le predette attenuanti in regime di mera equivalenza rispetto alle ravvisate aggravanti, in considerazione della notevole entità dei danni cagionati con le condotte delittuose; - ritenuto più grave il reato di cui al capo H1, in ragione della pena edittale di riferimento e del tempo significativo di protrazione della relativa condotta (esauritasi solo nell'aprile del 2015); - considerati, infine, i criteri tutti di cui agli art. 132, 133 c.p. (e, segnatamente: il ruolo apicale rivestito dagli imputati; il numero e la varietà delle condotte delittuose, protrattesi per anni; l'intensità del dolo all'origine delle medesime condotte e, in particolare, la pervicacia e l'ostinazione che avevano orientato l'azione di occultamento al mercato e alla vigilanza della reale situazione dell'istituto di credito), condannava: - Gi.Em. alla pena di anni sei e mesi tre di reclusione, così determinata: pena base per il reato di cui al capo H1, anni tre di reclusione; aumentata di mesi tre di reclusione per le condotte di cui al capo B1 (un mese e giorni quindici per ciascuna delle due condotte di ostacolo alla vigilanza ivi contestate); ulteriormente aumentata di anni due in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, M1 ed N1 (essendo evidentemente un errore materiale la quantificazione sintetica di tale aumento nella misura di anni uno, in ragione della specifica indicazione, nella misura di mesi tre, dell'aumento di pena irrogato per ciascuno di detti reati), con la precisazione che il capo M1 prevedeva la contestazione di due distinti reati in danno, rispettivamente, di BCE e di Banca d'Italia; aumentata, ancora, di mesi sei di reclusione con riferimento ai dodici reati di aggiotaggio (con aumento di quindici giorni per ciascuno di detti reati); e, infine, definitivamente aumentata di mesi sei di reclusione per i reati di cui ai capi I ed L (con aumento di tre mesi per ciascuno di detti reati); - Ma.Pa. e Pi.An. alla pena di anni sei di reclusione ciascuno, così determinata: pena base per il reato di cui al capo H1, anni tre di reclusione; aumentata di mesi tre di reclusione per le condotte di cui al capo B1 (un mese e giorni quindici per ciascuna delle due condotte di ostacolo alla vigilanza ivi contestate); ulteriormente aumentata di mesi ventuno in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, M1 (con aumento di mesi tre per ciascuno di detti reati e con la precisazione che il capo M1 prevedeva la contestazione di due distinti reati in danno, rispettivamente, di BCE e di Banca d'Italia); aumentata, ancora, di mesi sei di reclusione con riferimento ai dodici reati di aggiotaggio (con aumento di quindici giorni per ciascuno di detti reati); definitivamente aumentata di mesi sei di reclusione per i reati di cui ai capi I ed L (con aumento di tre mesi per ciascuno di detti reati); - Zo.Gi. alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione così determinata: pena base per il reato di cui al capo H1, anni tre e mesi sei di reclusione; aumentata di mesi tre di reclusione per le condotte di cui al capo B1 (un mese e giorni quindici per ciascuna delle due condotte di ostacolo alla vigilanza ivi contestate); ulteriormente aumentata di mesi ventuno in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, M1 (con aumento di mesi tre per ciascuno di detti reati e con la precisazione che il capo M1 prevedeva la contestazione di due distinti reati in danno, rispettivamente, di BCE e di Banca d'Italia); aumentata, ancora, di mesi sei di reclusione con riferimento ai dodici reati di aggiotaggio (con aumento di quindici giorni per ciascuno di detti reati); e, definitivamente aumentata di mesi sei di reclusione per i reati di cui ai capi I ed L (con aumento di tre mesi per ciascuno di detti reati). Gli imputati, infine, erano dichiarati interdetti dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. 1.12 La confisca per equivalente. Il tribunale, premesso che la disposizione di cui all'art. 2641 c.c., prevedeva, in relazione ai reati di cui agli artt. 2637 e 2638 c.c,, la confisca (diretta, ovvero, in via sussidiaria, per equivalente) non solo del prodotto/profitto dei reati, ma anche dei beni utilizzati per commetterlo, precisava, a tale ultimo riguardo (richiamando sul punto la sentenza della Corte Costituzionale nr. 112/2019 e la giurisprudenza di legittimità espressasi in fattispecie analoga), come in tale categoria di beni non rientrassero unicamente i tradizionali "instrumenta sceleris", ovverosia le cose intrinsecamente pericolose (il grimaldello, la stampante utilizzata per la produzione di cartamoneta falsa, ecc..) bensì qualsivoglia res l'impiego della quale avesse reso possibile la commissione del reato e, pertanto, con riferimento alla vicenda sub iudice, anche le risorse finanziarie concesse dall'istituto a titolo di finanziamento ed impiegate per l'acquisto delle azioni dell'istituto medesimo; risorse che, nella specie, erano state convincentemente quantificate dai consulenti del P.M. nella misura di euro 963,000,000,00. Nella prospettiva del primo giudice, infatti, erano proprio i finanziamenti concessi per le operazioni di capitale finanziato che avevano reso possibili i reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, trattandosi di reati che erano stati commessi comunicando un patrimonio di vigilanza non veritiero, in quanto non corrispondentemente decurtato. Erano detti finanziamenti, quindi, che, nel caso in esame, costituivano "i beni utilizzati per commettere i reati". A legittimare, poi, la confisca per equivalente nei confronti degli imputati era il mancato rinvenimento della somma oggetto dì confisca diretta e, quindi, l'impossibilità (peraltro da ritenersi all'uopo rilevante anche ove soltanto transitoria) di tale ablazione diretta. Nel caso di specie la confisca diretta era impedita dall'assoggettamento dell'istituto di credito, al momento della pronuncia, a liquidazione coatta amministrativa, trattandosi di procedura per effetto della quale era venuta meno in capo all'ente la disponibilità del patrimonio societario, destinato esclusivamente ad essere gestito, evitandone il depauperamento, in vista delle finalità della procedura medesima. Di qui la confisca disposta, per il valore di euro 963.000.000, nei confronti degli imputati ZO., PI., GI. e MA., con la precisazione che il principio solidaristico posto a fondamento della disciplina del concorso di persone, da un lato, e la natura eminentemente sanzionatoria della confisca per equivalente, dall'altro, implicavano che il provvedimento ablatorio fosse pronunziato, a carico di ciascuno di costoro, con riferimento all'intero importo. 1.13 Le questioni civilistiche Quindi, con riferimento alla posizione della Banca (...), citata da numerose parti civili in qualità di responsabile civile e in questa veste costituitasi in udienza preliminare, il tribunale riteneva la validità delle argomentazioni poste dall'istituto di credito a fondamento della relativa richiesta di esclusione (originariamente respinta per tardività) ex art. 83 TUB. In effetti la circostanza che l'istituto di credito fosse stato sottoposto a procedura di liquidazione coatta amministrativa con decreto ministeriale nr. 185 del 25 giugno 2017, ove debitamente valutata alla luce delle disposizioni di legge in materia, rispettivamente, di estensione alla procedura in esame delle disposizioni in materia di fallimento (art. 201), di disciplina dell'opposizione allo stato passivo (art. 83 TUB) e di improseguibilità delle pretese creditorie avanzate innanzi al tribunale ordinario (52 TUB), comportava la improcedibilità delle domande avanzate nei confronti della banca. Tutte le ragioni di credito, infatti, avrebbero dovuto essere fatte valere in sede concorsuale e, segnatamente, nell'ambito del procedimento di verifica affidato al commissario liquidatore, nel solco, peraltro, di quanto affermato ripetutamente dal giudice di legittimità. Di qui la declaratoria di improcedibilità della domanda avanzata dalle parti civili nei confronti del responsabile civile. Evidenziava infine il tribunale come esulassero dai poteri di ius dicere del giudice penale le domande (in taluni casi affiancate alle richieste risarcitone) volte a ottenere pronunce di accertamento della nullità e/o inefficacia dei contratti di finanziamento sottoscritti per l'acquisto di azioni. Quanto, poi, alle domande risarcitone da talune parti riproposte, in sede di conclusioni, nei confronti dell'Istituto di credito in qualità di ente incolpato ex D.L.vo 231/01, il Tribunale, richiamando i provvedimenti che non avevano ammesso la relativa costituzione di parte civile (sul rilievo della non esperibilità dì azioni civili volte ad ottenere il risarcimento del danno nei confronti degli enti in qualità di responsabili degli illeciti amministrativi), in tal senso espressamente motivava le ragioni che avevano indotto il collegio a non esaminare le relative richieste. Infine, con riferimento alle domande risarcitorie avanzate nei confronti degli imputati, il primo giudice pronunziava sentenza di condanna generica di questi ultimi in favore delle parti civili istituzionali (Banca d'Italia e CONSOB) e di quelle private (azionisti e obbligazionisti di B., siccome indicati negli elenchi, allegati al dispositivo, depurati delle parti le cui costituzioni erano state espressamente revocate, ovvero dovevano intendersi revocate per mancata presentazione delle conclusioni). In ordine ai primi, precisato che il pregiudizio patrimoniale consisteva negli esborsi e nel complessivo dispendio di risorse che le autorità di vigilanza avevano dovuto sostenere per ottenere quelle informazioni che erano state loro occultate, mentre il pregiudizio non patrimoniale doveva identificarsi nella compromissione delle finalità istituzionali delle suddette autorità e nella lesione dell'immagine che ne era derivata, il tribunale evidenziava la necessità di rimessione, per la quantificazione di dette voci dì danno, innanzi al giudice civile, in difetto di concreti elementi probatori idonei ad orientare la relativa determinazione. Nondimeno riconosceva una provvisionale nella misura di euro 601.017,39 in favore di Banca d'Italia e di euro 186.570 in favore di CONSOB, in entrambi i casi parametrandone l'entità ai costi (siccome quantificati dagli uffici interni di detti enti) sostenuti per l'aggravio di attività strettamente conseguenti alle condotte delittuose. Con riferimento, poi, alle parti civili private, osservato come il D.L. 99/17 che aveva posto in liquidazione coatta amministrativa l'istituto di credito avesse conservato i diritti dei titolari di obbligazioni subordinate nella liquidazione, sicché i predetti avrebbero potuto trovare soddisfazione solo una volta soddisfatti gli altri creditori, il primo giudice sottolineava che tutti gli investitori avevano subito un danno dalle condotte manipolative, in quanto indotti all'investimento sul presupposto di una situazione patrimoniale dell'istituto artatamente presentata come positiva e, quindi, senza essere stati posti nelle condizioni dì valutare la rischiosità dell'investimento stesso e la solvibilità della banca nell'estinguere il credito e nell'effettuare il rimborso. Segnatamente, con riferimento al delitto di aggiotaggio, il pregiudizio andava individuato nell'avere acquistato o conservato gli strumenti finanziari a prezzo non corrispondente al loro effettivo valore, ovvero nell'avere effettuato un investimento che, senza le condotte manipolative, non sarebbe stato posto in essere. Analogamente, con riferimento al reato di falso in prospetto, gli investitori erano stati pregiudicati da condotte delittuose che avevano avuto l'effetto di mantenere artificiosamente alto il valore delle azioni, al contempo rappresentando una solidità patrimoniale dell'istituto in realtà insussistente. Più nel dettaglio, ad essere stati danneggiati - precisava il tribunale - non erano solo coloro che, nel periodo di commissione delle condotte delittuose, avevano acquistato azioni ad un prezzo superiore al reale valore dei titoli, ma anche gli investitori che, già in possesso di detti strumenti finanziari, si erano astenuti dal disinvestimento per effetto delle richiamate condotte manipolative. Di maggiore complessità, poi, era la questione inerente a coloro (peraltro una minima parte degli investitori, prevalentemente acquirenti di obbligazioni subordinate) che avevano acquistato le azioni successivamente alle condotte delittuose, sebbene anche con riferimento a tale categoria di investitori fosse effettivamente prospettabile un pregiudizio derivante dai reati, tenuto conto del periodo apprezzabile intercorso tra la cessazione delle condotte delittuose ed il disvelamento di quanto avvenuto (trattandosi di circostanza che aveva determinato il protrarsi di effetti di errata rappresentazione al mercato della reale situazione dell'istituto di credito, con indubbio svantaggio informativo). Infine vi erano i clienti dell'istituto che avevano effettuato gli acquisti con il denaro erogato dalla banca. Costoro non avevano subito una lesione diretta, non avendo impiegato risorse proprie nell'investimento (se non nel caso di investimento solo parzialmente finanziato); nondimeno, al di là della sussistenza o meno dell'obbligazione restitutoria, l'esposizione debitoria segnalata alla centrale rischi che ne era seguita e l'addebito dei costi di finanziamento costituivano pur sempre un pregiudizio effettivo. Conclusivamente, con riferimento alle parti civili private, emergeva un quadro composito, caratterizzato da posizioni eterogenee. Ebbene - precisava il tribunale - dette parti avevano quantificato: - il pregiudizio patrimoniale nel controvalore del pacchetto azionario calcolato sul valore dell'azione pari a 62,50 euro, ovvero all'ammontare della somma investita nelle operazioni di investimento (e, quindi, sostanzialmente, nella perdita dell'investimento); - ed il danno non patrimoniale in una quota parte di quello patrimoniale. Nondimeno tali parametri non potevano ritenersi appaganti, posto, per un verso, che il danno non si poteva meccanicamente identificare nella perdita del valore dell'azione in quanto i reati di aggiotaggio e falso in prospetto presentavano profili peculiari che non consentivano di determinare il relativo pregiudizio facendo ricorso a siffatto automatismo; e, per altro verso, che le parti civili si erano limitate a documentare i titoli sottoscritti (ovvero acquistati) e il prezzo pagato, senza fornire ulteriori elementi utili per la esatta quantificazione del pregiudizio. Peraltro, nulla era dato conoscere in ordine all'indennizzo corrisposto agli investitori dal FIR (Fondo Indennizzo Risparmiatori). Di qui la condanna generica al risarcimento ed il riconoscimento di una provvisionale nella misura del 5% dell'importo nominale del valore delle azioni od obbligazioni acquistate risultante dagli atti di costituzione di parte civile e, in ogni caso, onde evitare sperequazioni (tenuto conto del fatto che le cifre più consistenti erano quelle inerenti alle operazioni di capitale finanziato), non superiore ad euro 20.000,00 per ciascuna parte (importo dal primo giudice ritenuto tale da coprire almeno il danno non patrimoniale). Infine il primo giudice respingeva la domanda risarcitoria avanzata dagli enti esponenziali (Confconsumatori, Federconsumatori Friuli Venezia Giulia, Federconsumatorì Veneto, Codacons, Cittadinanza Onlus) per difetto di prova alcuna in ordine al pregiudizio non patrimoniale asseritamente subito a seguito delle condotte delittuose. 2. GLI APPELLI DEGLI IMPUTATI 2.1. Appello proposto da Gi.Em. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello la difesa di Gi.Em.. 2.1.1 In particolare, con il primo motivo (oggetto di trattazione al capitolo I della parte I dell'impugnazione, dedicata alle questioni preliminari), l'appellante - anteponendogli una premessa nella quale ha censurato in via generale il metodo argomentativo assertivo seguito nella sentenza impugnata, carente nell'enunciazione degli specifici "motivi di fatto e di diritto" attributiva delia responsabilità all'imputato GI. e tendente all'esposizione solo di alcune risultanze processuali senza nel contempo citarne molte altre, pur decisive su aspetti imprescindibili - ha ribadito la già sollevata eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Vicenza in favore del Tribunale di Roma (fermo restando il carattere non vincolante di Cass. 15537/2018 del 7.12.2017 dep. 6.4.2018, emessa in sede cautelare, che aveva risolto in favore del foro vicentino il conflitto di competenza; conflitto sorto in relazione a un numero - tanto degli indagati quanto dei capi d'imputazione - all'epoca assai inferiore rispetto all'attuale e oltretutto connotato da una formulazione del capo B1 frattanto considerevolmente modificatasi). Le argomentazioni esposte in questo primo motivo d'appello dalla difesa del GI. a fondamento della dedotta competenza territoriale del Tribunale di Roma sono di tenore sostanzialmente analogo a quelle dell'appello ZO. (v. infra), cui si rinvia per il resto, fermo restando che dalla difesa dell'appellante GI. vengono particolarmente sviluppati i seguenti due argomenti: - il capo B1 contempla in sé, in realtà, sia il delitto di false informazioni (art. 2638 comma 1 c.c.) che quello di ostacolo (art. 2638 comma 2 c.c.) e i suddetti due delitti non si sono realizzati nel medesimo contesto temporale in quanto l'ispezione maggio-ottobre 2012 è stata per l'appunto preceduta dall'invio, in data 26.4.2012, della comunicazione di vigilanza (a firma del d.g. Sa.So.) avente ad oggetto il rendimento ICAAP sulla determinazione del patrimonio di vigilanza della banca al 31.12.2011; - nel decidere la questione di competenza la verifica del giudice non può essere limitata - diversamente da quanto ritenuto dal tribunale vicentino - alla mera enunciazione così come testualmente prospettata nel capo di imputazione, dovendo invece estendersi alla perimetrazione del fatto così come risultante dall'insieme di tutti gli atti allegati dalle parti (la comunicazione ICAAP inviata a Banca d'Italia il 26.4,2012 rientrerebbe per l'appunto fra gli atti di indagine specificamente relativi all'imputazione contestata sub capo B1 trattandosi di atti depositati dal Pubblico Ministero - segnatamente nel faldone n. 7 - e messi a disposizione del giudice con la richiesta di rinvio a giudizio); al riguardo vengono citati arresti giurisprudenziali di legittimità. L'appellante ha ribadito altresì - dopo averla prospettata già in primo grado nelle note d'udienza 2.4.2019 alle quali ha rinviato per tutti gli approfondimenti del caso - la possibilità di individuare in alternativa come territorialmente competente il Tribunale di Milano in quanto sede della CONSOB chiamata ad approvare il prospetto da pubblicare (ciò solo qualora i sia ritenuto più grave il reato di falso in prospetto a seguito del raddoppio di pena disposto dall'art. 39 comma 1 della legge n. 262 del 2005, se e in quanto ritenuto applicabile, trattandosi di questione tuttora dibattuta). 2.1.2 Con il secondo motivo (oggetto di trattazione al capitolo II della parte I dell'impugnazione, dedicata alle questioni preliminari) l'appellante ha dedotto la violazione degli art. 185 c.p. e 74 c.p.p. ad opera dell'ordinanza ex art. 491 c.p.p. pronunciata dal tribunale in data 21.3.2019 (parzialmente reiettiva della richiesta di esclusione delle parti civili) e di tutte le parti della sentenza che la richiamano. L'impugnazione dell'anzidetta ordinanza si riferisce, per la precisione, ai suoi paragrafi 1.5, 1-6 e 1.7: s quanto al paragrafo 1.5 si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile in capo agli azionisti e obbligazionisti che hanno acquistato titoli dopo i fatti di causa. Essendo costoro divenuti azionisti od obbligazionisti (puri, subordinati o convertibili) in epoca successiva ai fatti che qui occupano non possono - conseguentemente - lamentare di avere subito un danno immediato e diretto (alcuni di essi, anzi, appaiono piuttosto avere messo in atto una manovra anche speculativa dopo l'emersione dei fatti); quanto al paragrafo 1.6 si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile di coloro che hanno acquistato azioni in conseguenza delle c.d. operazioni "baciate"; tali soggetti non possono infatti che definirsi carenti di legitimatio ad causam essendo consapevoli di partecipare a un'operazione asseritamente illecita nella prospettazione d'accusa, a differenza di quanto affermato dal tribunale; al riguardo l'appellante ha ricordato come nella stessa costruzione generale dell'impianto accusatorio si dia indicazione della sottoscrizione, da parte dei clienti/soci/finanziati, di lettere di impegno - dal tenore chiaro ed esplicito - contenenti, per l'appunto, l'impegno da parte della banca al riacquisto delle azioni B. e/o contenenti la garanzia di un determinato rendimento; s quanto al paragrafo 1.7 si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile di coloro che hanno messo in vendita le loro azioni. Nei confronti di tali soggetti si è infatti verificata l'interruzione - a seguito delia vendita - del nesso causale, con il conseguente carattere solo indiretto del danno da reato (commisurato al deprezzamento fra il momento di acquisto dell'azione e la realizzazione effettiva). Ebbene, lo stesso tribunale vicentino più volte ha fatto riferimento, nel contesto dell'ordinanza impugnata, proprio alla consequenzialità immediata fra reato e danno (enunciata negli artt. 1223 e 1227 comma 2 c.c.) dalla quale far discendere la sussistenza della legittimazione. Consequenzialità immediata che, nel caso di danno indiretto, per l'appunto non ricorre. - conseguentemente si è richiesta l'esclusione di tutte le parti civili rientranti nell'una o nell'altra delle suindicate tre categorie. 2.1.3 Con il terzo motivo (oggetto di trattazione al capitolo III della parte II dell'impugnazione) l'appellante ha dedotto l'erronea ricostruzione -all'interno del cap. XIII della gravata sentenza - della posizione del GI. nell'organigramma di B., dovuta tanto a un'erronea valutazione degli elementi ritenuti a carico quanto alla mancata valutazione di molti altri elementi pur esistenti a discarico. Segnatamente: la sentenza impugnata, nel sostenere che il GI. avrebbe svolto un ruolo primario agendo congiuntamente al direttore generale Sa.So. (l'operatività era gestita dal direttore generale So. e dal suo vice Gi."), contrasterebbe con un dato conclamato alla luce dell'intera vasta istruttoria dibattimentale e in particolare testimoniale, ossia il fatto che Sa.So. fosse in realtà da lungo tempo portatore, nei confronti del GI., di un sentimento - da lui apertamente manifestato - di sfiducia, contrarietà e desiderio di causarne l'emarginazione, come riferito - fra gli altri - dai testi Di.Gr., Co.Tu., Cl.Gi., Da.Es., Pa.An. (quest'ultimo in particolare, nell'evidenziare come tale connotazione del rapporto fra i due fosse evidente anche per i componenti del CdA, aveva dichiarato: Sostenere che So. facesse tandem con Gi. anche se poi il fenomeno delle baciate potrebbe anche farlo pensare, è un qualcosa che era assolutamente irreale per chi un minimo respirava la banca, anche perché era notorio che So. non amasse la professionalità di Gi..."). Tutt'altre invero erano le persone che all'interno di B. frequentavano abitualmente l'ufficio del So., menzionate nominativamente - ad esempio - dal teste Esposito in sede dibattimentale; da tale "salotto buono" (cfr, pag. 31 atto di appello) ovvero "cerchio magico" (Ibidem) il GI., in altri termini, era rigorosamente escluso; - la stessa elencazione delle funzioni e competenze tanto della Divisione Mercati quanto del suo responsabile Em.Gi., così come sunteggiata alla pag. 639 della sentenza impugnata, non risponde al vero poiché ignora il fatto che gli organigrammi e i funzionigrammi di B. hanno subito nel tempo, proprio per volere del So., accentuati cambiamenti il cui scopo era esattamente quello di emarginare il GI. coinvolgendo, nel contempo, personale fedele al direttore generale; sono state citate al riguardo tanto l'analisi condotta dal consulente tecnico della difesa prof. Pe. quanto le deposizioni rese da vari testimoni (Al.Mo., Co.Tu., Ma.Ba., Gi.Am., Cl.Am., Cl.Gi., Fi.Ro.); - sempre l'istruttoria dibattimentale, in particolare testimoniale (cfr le deposizioni dei testi Al.Ba., Co.Tu., Cl.Gi., Ma.Ni., Se.Ro., Lu.Ve., En.Da., Di.Ip., Al.Cu.), ha consentito di appurare che le scelte riguardanti le operazioni qui in discussione e le loro modalità erano decise in piena autonomia dal solo So., il quale impartiva alle strutture della banca le conseguenti direttive o in prima persona oppure avvalendosi, a guisa però di mero tramite, del GI. e/o del direttore commerciale Gi.Am.; - sempre l'istruttoria dibattimentale (cfr. le deposizioni dei testi Cl.Gi., En.Da., Co.Tu.) ha evidenziato come anche lo stesso GI. - tratteggiato nella gravata sentenza come l'autore in prima persona di pressioni estreme sulla rete commerciale - fosse in realtà destinatario di minacce e pressioni provenienti direttamente dal So.. Quanto alle fonti di prova citate in sentenza con riguardo alle pretese pressioni esercitate dal GI. (cfr. in particolare le dichiarazioni dei testi Di.Ip. e Ma.Ni.) la difesa ha argomentato nel senso del loro fraintendimento e/o vaglio solo parziale e decontestualizzato da parte del tribunale; - la sentenza gravata ha completamente omesso di considerare i seguenti due episodi - definiti gravi e inquietanti dalla difesa - in danno del GI., i y quali ben evidenziano quanto egli fosse "estraneo al milieu compatto e ristretto di gestione reale della Banca" (cfr. pag. 34 atto di appello): a) riguardo alla questione degli storni è emerso che - in seno alla Divisione Mercati diretta dal GI. - era stato ordinato da Gi.Am. al suo subalterno Al.Fe. di correggere le lettere di storno sottoscritte dallo stesso Am. obliterando la firma di questi e lasciando inalterate solo le lettere firmate dal GI., quando per converso l'estraneità di questi alla procedura degli storni deve ritenersi dimostrata anche dal rigetto, nei suoi confronti, della domanda cautelare presentata in sede civile dalla banca (cfr. documento n. 668 prodotto dallo stesso Pubblico Ministero, corrispondente al provvedimento n. 4414/2015 del Giudice del lavoro presso il Tribunale di Vicenza); b) a detta del teste Co.Tu. il collega Ad.Ca. - uno dei componenti la ristretta cerchia di frequentatori abituali dell'ufficio del d.g. Sa.So. - all'inizio del mese di maggio 2015 aveva minacciato lo stesso Tu. di licenziamento perché si era rifiutato di scrivere una relazione nella quale si dicesse falsamente che il GI. era il responsabile di tutta l'operatività illecita; - l'ostilità nei confronti del GI. si era finanche acuita dopo l'inizio dell'attività ispettiva, essendo sorta - per effetto di quanto andava ivi emergendo - l'esigenza di catalizzare sul predetto ogni responsabilità. 2.1.4 Con il quarto, il quinto e il sesto motivo (oggetto di trattazione ai capitoli IV, V e VI della parte II dell'impugnazione) l'appellante ha dedotto l'erroneità dell'attribuzione al GI. - all'interno del cap. XIII della gravata sentenza - dell'ideazione e attuazione delle operazioni di finanziamento correlato, rivendicando altresì in capo al predetto la genuina convinzione che tali operazioni non solo fossero lecite ma altresì che venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza. Si è evidenziato in particolare al riguardo quanto segue: - il GI. era entrato in B. nel novembre 2007 allorquando la prassi delle operazioni correlate già era in essere (circostanza riferita non solo dall'imputato nel suo esame dibattimentale ma altresì dai testi Di.Gr. e Alessandro Ba. fra gli altri); - il GI. inizialmente era perplesso, e del resto si trattava di perplessità diffusa all'interno di B., circa l'applicabilità dell'art. 2358 cc. alle banche popolari come società cooperative e ciò quantomeno fino all'anno 2012, anno in cui aveva avuto luogo l'ispezione della Banca d'Italia; in tal senso del resto si era espresso anche un parere legale esterno acquisito dalla stessa B.; - la sentenza impugnata ha comunque errato nel ritenere non credibile il teste Cl.Am. circa l'andamento del suo colloquio con l'ispettore Ge.Sa. (del quale va tenuta in considerazione, in particolare, una conversazione captata - la n. 281 progn del 19.3.2017 - con il consulente tecnico del Pubblico Ministero, Pa., ove il primo diceva al suo interlocutore: "Poi, vedendo le carte, effettivamente alcune operazioni baciate c'erano", il che dimostrerebbe l'effettività dei disvelamento affermato dal teste Am.); né il tribunale ha valutato con adeguato rigore i plurimi elementi istruttori che depongono nel senso di un rapporto istituzionale "non esemplare" intrattenuto dalla Banca d'Italia, nella specifica occasione, con il So.; - plurime sono le evidenze testimoniali - citate nominativamente nell'atto di appello - di una "piana e pacifica conoscenza dell'esistenza delle operazioni correlate in capo a tutti i settori di B., incluso il settore legale nella persona dell'avv. An.Pa. (diversamente da quanto costei ha sostenuto in sede dibattimentale) e incluso soprattutto il settore bilancio e pianificazione di cui era responsabile il coimputato Ma.Pe., che oltretutto faceva parte - circostanza ben nota al Gi. - del milieu ristretto di dirigenti che avevano un rapporto esclusivo con il So. (al riguardo l'appellante ha lamentato il fatto che il PE. sia stato mandato assolto dal tribunale sull'assunto che in capo allo stesso PE. fosse insufficiente la prova dell'elemento soggettivo del reato); - il GI., atteso tutto quanto sopra (in particolare quanto osservato in relazione alla posizione del PE. e al contegno da questi tenuto), non poteva che maturare la convinzione che le operazioni correlate - a tutti note in B. - venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza; - non può condividersi per converso l'argomento, svolto a pag. 216 dalla sentenza impugnata, secondo cui è evidente che le operazioni correlate in oggetto non venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza in quanto, in caso contrario, sarebbero state del tutto inutili; tale argomento prova troppo, giacché, se davvero così fosse stato, tutti coloro che si erano occupati di operazioni correlate in B. (inclusi tutti gli esponenti dell'alta e media dirigenza, ivi compresi quelli più vicini al So.) sarebbero stati raggiunti dalle medesime imputazioni; ciò non è invece avvenuto proprio perché la Procura della Repubblica vicentina ha ritenuto mancante in capo a costoro la consapevolezza dell'intero disegno strategico intessuto al riguardi dal So. (e, con ogni probabilità, da questi tenuto riservato entro la ristretta cerchia delle persone per lui fidate, la quale non comprendeva - come detto - l'imputato GI., tenuto lontano dalle "strategie decisionali" del direttore generale stante il rapporto di emarginazione, sfiducia e contrarietà del quale egli era reso oggetto); - esistono inoltre ragioni prettamente tecniche, illustrate anche dal c.t, della difesa prof, Pe. (e passate in rassegna alle pagg. 50-51 dell'atto di appello), che rafforzano ulteriormente la conclusione da trarsi circa la genuina convinzione, in capo al GI., che le note operazioni correlate venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza. 2.1.5 Con il settimo e l'ottavo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli VII e VIII della parte II dell'impugnazione) l'appellante ha passato dettagliatamente in rassegna le numerose emergenze processuali già evidenziate in prime cure dalla difesa - ma ignorate dalla sentenza impugnata - che a suo avviso depongono nel senso della non consapevolezza, in capo al GI., dell'entità del fenomeno, censurando simmetricamente l'erronea valutazione, da parte del primo giudice, di quegli ulteriori elementi probatori che lo stesso tribunale ha ritenuto pesare a carico dell'imputato. In particolare si è evidenziato che: quanto al contenuto del file audio del Comitato di Direzione 10.11.2014, le frasi ivi pronunciate dal GI. e da altri partecipanti non sono state adeguatamente contestualizzate (a quell'epoca era ormai diffusa in B. una sensazione di "quasi defaul" manifesta e recepita da tutti con ovvie preoccupazioni); in alcuni altri casi invece - come ad esempio è a dirsi per la quantificazione da parte del So. dei "finanziamenti" in oltre un miliardo di euro - sono state travisate nel significato (in realtà sarebbe chiaro, a detta dell'appellante, che il So. non si riferiva al capitale finanziato bensì alla campagna pre-affidamenti, il che emergerebbe da vari elementi della svolta istruttoria); - del tutto neutro è il fatto che il So. prima del 2013 avesse fatto fare un report a Co.Tu. (circostanza evidenziata a pag. 668 della sentenza gravata), dato che la stessa sentenza ha ricordato come tale report - al pari delle tabelle di monitoraggio mensili diffuse nel corso delle riunioni della Divisione Mercati - riguardasse tutti i soci, anche quelli non finanziati; - anche la deposizione del teste Ro.Pr., valorizzata in sentenza quale dato significativo a carico del GI., non sarebbe stata letta ed esaminata nella sua interezza dai giudici vicentini; - le prove a discarico in punto "consapevolezza" del GI. sono state completamente ignorate dal primo giudice, pur provenendo esse a volte finanche da testi altrimenti rivelatisi alquanto "ostili" nei suoi confronti come Lu.Ve., Gi.Ca., En.Da., Se.Ro., Pa.An. (dei quali l'appellante ha riportato gli stralci di deposizione favorevoli al GI.); - quanto agli elementi probatori indicati in sentenza come "a carico" dell'imputato, invece, ivi non si è specificato neppure a quali fra i plurimi distinti reati contestatigli essi si riferiscano; - attesa la sopra ben evidenziata conoscenza diffusa a tutti i livelli, in B., del ricorso a operazioni di capitale finanziato, si svuotano di valenza probatoria "a carico" elementi come gli appunti del teste Ma.So. circa i contenuti del Comitato di Direzione 8.11.2011 e come l'incontestato ruolo di coordinamento della rete che il GI. esercitava in quanto direttamente afferente alla sua qualifica di responsabile della Divisione Mercati; - vari testi, ancora una volta ignorati dalla sentenza gravata, hanno riferito circa il reiterato attivarsi del GI. per favorire l'informatizzazione della procedura (il che avrebbe reso impossibile la prassi contestata), incontrando però sempre la ferma resistenza della Divisione Risorse; - non sono minimamente risolutivi gli asseriti indici di consapevolezza evidenziati in sentenza (il divieto alla rete di comunicare informazioni per iscritto; il ricorso alla ed. "clausola sentinella" generica nelle P.E.F.; l'invito a rispettare un distanziamento temporale tra fido e acquisto delle azioni), posto che, a tacer d'altro, la formula generica - preesistente all'ingresso di GI. in B. - è risultata non essere stata utilizzata in una cospicua percentuale delle stesse operazioni correlate (circa il 35,50%) e che pure la prassi del distanziamento temporale non era stata certo introdotta, come dimostrato dalla svolta istruttoria, dal GI., in capo al quale - diversamente da quanto ritenuto in sentenza - non può affatto di dimostrata una "pervicace condotta tesa all'occultamento del capitale finanziato nei confronti delie autorità di vigilanza" (cfr. pag. 647 sentenza gravata); - la sentenza impugnata, nell'indicare come elementi a carico significativi la vicenda Vi. (e relativo report Bo.), la richiesta di chiarimenti da parte della società di revisione KP. e le schede consegnate all'ispettore Gi.Ma., ha riportato solo alcuni aspetti della relativa vicenda ignorando le risultanze processuali utili a contestualizzarli e a inquadrarli; aspetti che l'appellante ha illustrato e analizzato alle pagg. 62-66 dell'atto di impugnazione. 2.1.6. Con il nono, decimo, undicesimo e dodicesimo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli IX, X, XI e XII della parte III dell'impugnazione) l'appellante ha illustrato quelli che a suo avviso sono fondamentali errori metodologici commessi dal primo giudice nella ricostruzione probatoria dei fatti, con particolare riguardo: - a una visibile confusione fatta tra gli elementi costitutivi della fattispecie legale dell'operazione correlata e l'individuazione dei mezzi probatori atti a verificarne l'effettiva realizzazione in una determinata situazione; all'utilizzo di "criteri" (nomenclatura estranea al diritto delle prove penali) non identificabili con le circostanze indiziarie disciplinate quali mezzi di prova dall'art. 192 comma 2 c.p.p., di talché si sarebbe persa di vista, in sentenza, la necessità che il quadro indiziario risulti connotato dai necessari requisiti di gravità, precisione, concordanza e necessità di adeguati riscontri; in altri termini la sentenza gravata non ha rispettato il citato canone processual-penalistico (cui era tenuta ad attenersi) bensì ha, piuttosto, utilizzato il metodo amministrativistico di cui alla circolare n. 263 della Banca d'Italia, e ciò benché le finalità perseguite dai vari metodi e dai differenti criteri in gioco (BCE, consulenti tecnici del P.M., CONSOB) si differenzino considerevolmente fra loro; - all'utilizzo in particolare, da parte della sentenza gravata, dei criteri impiegati dapprima da BCE e indi dai consulenti tecnici del P.M., che tuttavia sono estranei alla metodologia del processo penale di cui al citato art. 192 comma 2 c.p.p. in tema di valutazione critica delle prove indiziarie; metodologia che, se utilizzata, avrebbe dato esiti finali ben diversi e favorevoli all'imputato. 2.1.7 Con il tredicesimo, quattordicesimo, quindicesimo e sedicesimo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli XIII, XIV, XV e XVI della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha censurato la sentenza impugnata laddove ha ritenuto di ravvisare una responsabilità concorsuale del GI. ex art, 110 c.p.p., anzitutto, nei reati di aggiotaggio manipolativo-operativo (articolato in una prima condotta relativa alla concessione del capitale finanziato, in una seconda condotta relativa alla mancata iscrizione della riserva indisponibile ex art. 2358 c.c. nei bilanci di esercizio 2012, 2013, 2014 e in una terza condotta relativa alla mancata comunicazione all'esperto prof. Ma.Bi. della prassi aziendale in tema di operazioni correlate), non prima peraltro di avere stigmatizzato l'illegittima "moltiplicazione", operata in sentenza, dei reati di aggiotaggio di cui al capo Al, da ritenersi attuata in violazione del principio del ne bis in idem sostanziale. Ha evidenziato come l'apoditticità dell'argomentare dei giudici vicentini circa il ravvisato apporto concorsuale del GI. emerga a più riprese dalla lettura della sentenza, fermo restando che, ad applicare uguale metodologia argomentativa a svariati fra i soggetti escussi come testi in dibattimento, gli stessi sarebbero a loro volta dovuti figurare quali coimputati in ragione della loro conoscenza diretta del "fenomeno" del capitale finanziato e della loro altrettanto diretta operatività all'interno del fenomeno medesimo. Ha indicato come profondamente errata, alla stregua di tali considerazioni e della necessità di rispettare i principi generali in tema di concorso nel reato, l'attribuzione generalizzata al GI. (del tutto disancorata dalle prove acquisite al processo, anche per quanto riguarda i dati numerici) della penale responsabilità con riguardo a tutte le 874 operazioni emerse, pur frammentate negli anni oggetto di contestazione. In realtà - ha proseguito l'appellante - sarebbe stato necessario dimostrare, per ciascuna singola operazione correlata, che il GI. ne aveva deliberato il finanziamento per essa specificamente utilizzato; che ne aveva seguito l'intera evoluzione; che infine aveva avuto consapevolezza della non deduzione di tale finanziamento dal patrimonio di vigilanza. L'appellante ha escluso che le generiche affermazioni contenute in sentenza riescano a evidenziare in capo al GI. la prova della sua ravvisata penale responsabilità anche per la condotta di mancata iscrizione della riserva indisponibile ex art. 2358 c.c. nei bilanci di esercizio 2012, 2013, 2014; per converso il primo giudice ha completamente ignorato, ad avviso dell'appellante, una serie di prove a discarico (documentali e testimoniali) che, conducono a non poter ascrivere al GI. tale condotta, per vero del tutto estranea alle competenze della Divisione Mercati. Né - ha proseguito l'appellante - può ritenersi soddisfacente il generico e indistinto ricorso, da parte del primo giudice in aderenza alla formulazione dell'imputazione, alla nozione di "agevolazione", essendo noto che, nella interpretazione giurisprudenziale dell'art. 110 c.p., la c.d. "agevolazione" o il "rafforzamento del convincimento" (dato dal concorrente nel reato a colui che materialmente pone in essere la condotta) deve comunque estrinsecarsi in una condotta individuata nei suoi tratti essenziali. Indi l'appellante ha censurato come ancora una volta apodittico, e anzi in aperto contrasto con le risultanze dell'istruttoria dibattimentale, l'argomentare della sentenza impugnata circa l'asserito apporto concorsuale del GI. al reato di aggiotaggio manipolativo quanto alla condotta di mancata comunicazione all'esperto stimatore esterno incaricato da B. nel 2010, prof. Ma.Bi., della prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie. Ha comunque evidenziato che in base alla stessa relazione dei cc.tt del P.M. - pur ampiamente citata e utilizzata in sentenza sotto altri profili e viceversa pressoché ignorata su questo specifico punto - emerge come l'erronea stima del sovrapprezzo dell'azione B. da parte del prof. Bi., lungi dal dipendere esclusivamente dall'omessa comunicazione al predetto esperto circa l'esistenza del capitale finanziato così come adombrato in sentenza, fosse conseguita anche, e soprattutto, a una serie di errori metodologici commessi dallo stesso prof. Bi., il cui operato è in effetti ampiamente stato criticato anche dai cc.tt. del P.M. senza che il primo giudice si sia tuttavia soffermato adeguatamente su tale pur fondamentale parte della relazione di consulenza tecnica dell'accusa. Ad avviso dell'appellante la suddetta omissione del tribunale si è riverberata in maniera determinante sulla valutazione circa l'esistenza o meno di un nesso causale tra la contestata condotta di asserito nascondimento al prof. Bi. del fenomeno delle operazioni correlate e la sovrastima del valore dell'azione da parte dell'esperto, fermo restando che nessun elemento depone nel senso di un qualsivoglia apporto causale, da parte del GI., al suddetto nascondimento (lo stesso prof. Bi., nel suo esame dibattimentale, ha escluso di essersi interfacciato con il predetto). 2.1.8 Con il diciassettesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XVII della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha rivendicato l'estraneità del GI. anche al reato di aggiotaggio informativo, posto che il primo giudice, ancora una volta mantenendosi su di un piano di assoluta indeterminata genericità, non ha dato alcuna indicazione (né tantomeno ha indicato elementi probatori a carico) su quale possa essere stato il "contributo" dell'imputato - non meglio specificato nel capo di imputazione - alla materiale diffusione di notizie false nei vari canali informativi. Né certo la prova e la determinazione del preteso "contributo" del GI. a tale specifica condotta possono trarsi, secondo l'appellante, dalla pur data per scontata - ma a sua volta contestata - "consapevolezza", in capo al predetto, delle modalità di occultamento delle operazioni correlate (consapevolezza che in ogni caso attiene al piano dell'elemento soggettivo e non già a quello - ben distinto - dell'individuazione dell'apporto causale), ferma restando l'esatta distinzione giurisprudenziale tra connivenza non punibile e concorso manifestabile nella sua forma minima, ossia appunto nella agevolazione. Ancora una volta difetta totalmente, in tesi difensiva, il rispetto dell'esigenza di individuare in termini ben delineati quale sia stata in concreto la condotta del GI. inteso quale asserito concorrente "agevolatore". 2.1.9 Con il diciottesimo e il diciannovesimo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli XVIII e XIX della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha rivendicato l'insussistenza di una condotta concorsuale del GI. nei reati di ostacolo alle funzioni di vigilanza di Banca d'Italia e BCE (capi da B1 a MI), evidenziandone in particolare l'obiettiva estraneità alla produzione dei flussi di informazione decettivi destinati alla vigilanza e a nulla potendo valere la sistematica trasposizione reiterata - di stile - operata, in ciascun capo di imputazione, di quello che altro non è se non il criterio di imputazione soggettiva della distinta condotta di aggiotaggio manipolativo di cui al capo A1. Anche in questo caso difetta totalmente in sentenza, secondo l'appellante, l'individuazione per il GI. di una specifica condotta, dotata di tipicità, atta a individuare in capo al predetto la meramente dedotta condotta agevolativa, tanto più ponendo mente al fatto che in questo specifico caso il GI. si pone quale extraneus rispetto a un reato proprio e che pertanto andrebbero semmai applicate le stringenti regole in tema di responsabilità dell'estraneo nel reato proprio. In ogni caso - ha proseguito la difesa concludendo con una disamina analitica, capo per capo dal B1 fino al MI, del compendio istruttorio acquisito in sede dibattimentale - il tribunale ha fatto malgoverno delle prove ignorando, anche per i suddetti reati di ostacolo, i pur esistenti elementi a discarico. 2.1.10 Con il ventesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XX della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha eccepito la nullità della sentenza impugnata ex art. 604 comma 3 c.p.p. per violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p., avendo il tribunale condannato il GI., in relazione al capo N1, per un fatto totalmente nuovo, naturalisticamente autonomo e non enunciato in alcun modo nel decreto che dispone il giudizio: non gli è infatti più stata ascritta una intesa, al riguardo, con il d.g. Sa.So. ma un contegno attuativo di condotte decisionali esclusive e autonome del So. stesso. In altri termini - ha proseguito la difesa - la condotta per la quale il GI. ha riportato condanna non è sovrapponibile a quella originariamente descritta nel decreto che dispone il giudizio. Di qui l'eccepita nullità. 2.1.11 Con il ventunesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XXI della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha eccepito la nullità della sentenza impugnata ex art. 604 comma 3 c.p.p. per violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p. avendo il tribunale condannato il GI., in relazione ai capi I e L (reati di falso in prospetto), per un fatto nuovo non enunciato nel decreto che dispone il giudizio. In quest'ultimo infatti gli si contestava di avere preso parte alla materiale predisposizione dei testi dei due prospetti. La sentenza gravata, invece, pur dando atto (perché un tanto emerge dalla svolta istruttoria) che il contenuto dei prospetti è direttamente riconducibile alla condotta dolosa degli imputati ZO. e PI., e pur dando atto che il GI. - come pure l'altro imputato MA. - non era direttamente coinvolto nel processo di predisposizione e approvazione dei prospetti, ancora una volta ne ha fondato erroneamente la penale responsabilità (come già aveva fatto in relazione ai reati di ostacolo) sulla mera asserita consapevolezza dell'occultamento delle operazioni finanziate. 2.1.12 Con il ventiduesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XXII della parte V dell'impugnazione) l'appellante in subordine ha censurato il trattamento sanzionatorio sotto i seguenti profili: non corretta individuazione del reato più grave (ravvisato nel capo H1 quando viceversa, al momento di determinare la competenza territoriale dell'autorità giudiziaria vicentina, esso era stato identificato con il capo B1); mancata determinazione della pena base nei limiti di legge; mancata determinazione degli aumenti per la continuazione nel minimo di legge; mancato giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle contestate aggravanti. Illegittima deve ritenersi infine - e se ne è chiesta la revoca - la disposta confisca per equivalente non avendo il tribunale indicato le ragioni per le quali il GI. sia stato ritenuto responsabile dell'erogazione di tutti i finanziamenti strumentali alla formazione del capitale finanziato de quo. 2.1.13 Con il ventitreesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XXIII della parte VI dell'impugnazione) l'appellante, in relazione alle statuizioni civili, ha chiesto la revoca delle stesse; in ogni caso, e in subordine, ha chiesto sospendersi - sussistendo gravi motivi ex art. 600 comma 3 c.p.p. - l'esecuzione della condanna al pagamento della disposta provvisionale per tutte le partì civili. Riassuntivamente l'appellante GI. ha rassegnato le seguenti conclusioni: 1) In via preliminare principale di rito, riconosciuta l'incompetenza per territorio del Tribunale di Vicenza, pronunciarsi sentenza di annullamento ex art. 24 comma 1 c.p.p., della sentenza impugnata ordinando la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma ovvero, in subordine, alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano. 2) In via preliminare subordinata di rito annullarsi la sentenza impugnata ex art. 603 comma 4 c.p.p. sia in relazione al capo N1 che in relazione ai capi I e L per violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p., avendo il Tribunale di Vicenza condannato per fatti nuovi non enunciati nel decreto che dispone il giudizio. 3) In via principale di merito assolvere l'imputato GI. da tutti i reati a lui ascritti per non aver commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato o con altra formula ritenuta di giustizia. 4) In via subordinata di merito quanto al trattamento sanzionatorio, previa individuazione del reato più grave fra quelli ascritti nel capo B1, riduzione ai minimi di legge della pena base nonché di tutti gli aumenti operati per la continuazione interna con riconoscimento del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle residue aggravanti contestate. 5) In via subordinata quanto alle statuizioni civili, escludere quelli - fra soggetti costituitisi parti civili - da valutarsi come carenti di legittimazione attiva nei termini illustrati nel relativo motivo di gravame. In ogni caso revocare tutte le statuizioni civili e sospendere - sussistendo gravi motivi ex art 600 comma 3 c.p.p. - l'esecuzione della condanna al pagamento della disposta provvisionale per tutte le parti civili. 2.2 Appello proposto da Ma.Pa. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello anche la difesa di Ma.Pa.. 2.2.1 In particolare con il primo motivo, assai articolato, l'appellante ha censurato l'affermazione di responsabilità del MA. in relazione a tutti i reati contestati nel capo di imputazione sotto più profili che vengono qui di seguito illustrati. 2.2.1.1 Preliminarmente l'appellante ha eccepito la nullità della richiesta di rinvio a giudizio reiterando la già sollevata eccezione, respinta dal tribunale vicentino, di nullità delle notifiche dell'avviso ex art. 415 bis c.p.p. e dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare effettuate - nel domicilio da lui eletto in data 28.4.2017 nell'ambito del solo procedimento n. 5628/2015 RGNR, allora unico procedimento pendente a suo carico - con riguardo afte imputazioni relative alle condotte criminose che lo stesso MA., in tesi d'accusa, avrebbe posto in essere nell'anno 2015 (condotte che dapprima avevano costituito l'oggetto di un distinto procedimento recante il n. 5851/2017 RGNR, iscritto dalla Procura della Repubblica vicentina - a seguito del deposito dell'informativa finale 6.7,2017 della GdF di Vicenza estesa per la prima volta alle condotte commesse nell'anno 2015 - mediante stralcio dal già pendente procedimento n. 5628/2015 RGNR; indi riunito al suddetto procedimento n, 5628/2015 RGNR solo in occasione dell'udienza preliminare tenutasi nell'aprile 2018) per violazione dell'art. 157 c.p.p.. Ciò in applicazione del principio secondo cui l'elezione di domicilio effettuata dall'imputato ha validità unicamente nell'ambito del procedimento in relazione al quale essa viene effettuata, con divieto quindi di una sua ultrattività anche nei procedimenti connessi. 2.2.1.2 Indi l'appellante ha formulato richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, comprensiva in particolare del confronto tra il teste Cl.Am. (già responsabile dei Crediti Ordinari nell'ambito della Divisione Crediti di B.) e il teste Ge.Sa. (componente del tea/77 ispettivo di Banca d'Italia che aveva operato nel 2012); di una perizia super partes, mai disposta in primo grado, sul file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014 (ciò solo per il caso di rigetto dell'eccezione di sua inutilizzabilità sulla quale v. infra); di una perizia super partes, mai disposta in primo grado, atta a valutare l'importo complessivo del capitale ritenuto finanziato, a individuare l'effettiva disciplina della sua deducibilità dal patrimonio di vigilanza e - prima ancora - a individuare i criteri che debbono essere utilizzati al fine di stabilire se un'operazione di finanziamento possa o meno dirsi correlata/finalizzata all'acquisto e/o alla sottoscrizione di azioni. A tale ultimo proposito la difesa ha affermato di richiamarsi anzitutto alle articolate argomentazioni svolte dalla difesa ZO. (v. infra); ha evidenziato in ogni caso come emblematico, in ordine alla necessità di disporre perizia, il fatto che, mentre il tribunale ha avallato acriticamente il criterio temporale dei tre mesi (criterio basato su una indicazione del teste Ro. nonché adottato dall'ispettore Ma. e indi dai consulenti tecnici del P.M.), nondimeno l'espletata istruttoria dibattimentale ha in realtà consentito di appurare come il concretamente riscontrato intervallo temporale - a detta dello stesso teste Ma. - si fosse di fatto attestato attorno a un massimo di un mese circa. 2.2.1.3 L'appellante ha poi rinnovato la già svolta eccezione di inutilizzabilità del file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014; nel caso di specie, infatti, l'autore materiale della registrazione (uno o forse più tecnici all'uopo incaricati, a suo dire, dal segretario generale Ma.So.) era un soggetto - estraneo alla conversazione tra presenti in questione - che aveva operato da una consolle di registrazione sita all'esterno dell'aula consiliare e non vi era neppure stato ammesso ad assistere da alcuno se non eventualmente dal solo So. a insaputa di tutti gli altri partecipanti. 2.2.1.4 L'appellante ha lamentato un malgoverno delle prove in quanto la gravata sentenza, nonostante la mole ponderosa, si caratterizzerebbe: a) per una costante sottrazione di elementi, pur presenti all'interno dell'istruttoria dibattimentale ma nemmeno considerati nella motivazione; b) per una elusione delle questioni di fondo poste dalla difesa dell'imputato. In primo luogo, comunque, non è dato comprendere perché tutta una serie di soggetti (si sono indicati esemplificativamente i testi Cl.Gi., Co.Tu., Gi.Am. e altri), pacificamente resisi autori materiali delle medesime condotte contestate all'imputato, non siano mai stati nemmeno indagati in relazione a tali loro condotte. La suddetta considerazione è prodromica all'ulteriore doglianza difensiva concernente la totale assenza, nella gravata sentenza, di ogni e qualsiasi valutazione in ordine alla componente psicologica dei reati contestati. A tale ultimo proposito la difesa ha evidenziato in particolare come il MA. mai abbia sostenuto di ignorare l'esistenza in B. di operazioni di finanziamento correlato; egli in effetti ha costantemente dichiarato ben altro, ossia di essere sempre stato genuinamente convinto della piena liceità delle operazioni stesse: non solo tale tipologia di operazione veniva eseguito in B. già prima del 2009, anno di assunzione del MA., ma altresì egli, da neoarrivato, aveva ricevuto assicurazioni da vari colleghi, tra cui il GI., il Co. e il Se. (all'epoca responsabile della Divisione Crediti), sul fatto che - trattandosi di una banca cooperativa - non trovasse ad essa applicazione l'art. 2358 c.c.; in tale ultimo senso anzi la banca aveva a suo tempo richiesto e acquisito pure un parere legale formulato da uno studio incaricato ad hoc (trattavasi dello studio Erede-Bonelli; il parere, redatto da uno dei massimi esperti nella materia, era stato favorevole alla tesi della inapplicabilità dell'art. 2358 c.c. alle banche cooperative); in effetti la dottrina e la stessa giurisprudenza fino ad epoca assai recente si erano dimostrate tutt'altro che univoche sul punto. A ciò si aggiunge la circostanza che l'effettuazione di operazioni correlate fosse emersa, alla luce della svolta istruttoria dibattimentale, quale dato pienamente noto anche all'interna audit della banca (il che renderebbe assai precaria, sotto il profilo dell'attendibilità, la posizione del teste Ma.Bo., responsabile dell'audit) nonché al suo ufficio legale (considerazioni analoghe a quelle relative al teste Bo. andrebbero dunque svolte anche con riguardo alla sua responsabile, l'altra teste avv. An.Pa.): né l'una né l'altra struttura avevano mar avvisato alcuno in B. circa il fatto che si stesse con ciò ponendo in essere un'attività illecita. Anzi la teste Pa. in sede dibattimentale si era trovata costretta ad ammettere che aveva effettivamente potuto visionare la pratica (pacificamente correlata) Ca.-Lu. ma che, essendosi essa positivamente conclusa, non aveva ritenuto di fare nulla. 2.2.1.5 L'appellante ha indi lamentato l'errata ricostruzione operata dal tribunale - alla pag. 678 della gravata sentenza - delle competenze della Divisione Crediti, affermando che i giudici vicentini si sono basati, al riguardo, essenzialmente su quanto affermato dal teste Gi.Sc. nella relazione ispettiva 2012 della Banca d'Italia (laddove lo stesso Sc. in sede dibattimentale ha ammesso di non conoscere le facoltà deliberative autonome riconosciute alla rete), mentre sarebbe stata obliterata la delibera del CdA 7.2.2012 (pur acquisita al fascicolo del dibattimento) la quale aveva ridisegnato le competenze e le funzioni della Divisione Crediti istituendo le Direzioni Regionali. In particolare non risponde affatto al vero - ha proseguito l'appellante - l'assunto del primo giudice secondo cui "le competenze assegnate alla Divisione Crediti riguardavano l'intera filiera di erogazione del credito (...) la divisione era altresì incaricata delia successiva attività di perfezionamento degli stessi (affida menti) (e delle relative garanzie)". In rea Ita i I perfezionamento e l'erogazione degli affidamenti, come pure l'acquisizione delle eventuali garanzie ad essi relative, erano - nel periodo in esame - demandati a una società controllata da B. e denominata Servizi Bancari, come riferito concordemente in sede dibattimentale dai testi Cl.Am. e Sa.R. oltre che dallo stesso imputato MA.. La difesa del MA. ha affermato altresì che, sempre in tale passo dell'impugnata sentenza, i giudici vicentini hanno equivocato anche sul ruolo svolto dal teste Cl.Gi. indicandolo come "capo area di Vicenza" Al di là del refuso "13.6.2013" in luogo di "13.6.2019" riguardo alla data dell'esame testimoniale del Gi. (che pure - a detta dell'appellante - non depone a favore della precisione ricostruttiva complessivamente impiegata dal collegio giudicante), io stesso Gi. nel corso del suo esame testimoniale aveva chiaramente detto di avere assunto la carica di Direttore regionale Ve.Oc. all'indomani della modifica dell'organizzazione commerciale della banca, disposta nell'aprile - maggio 2012 con l'istituzione delle direzioni territoriali. Infine, e più gravemente, il passo in oggetto della gravata sentenza avrebbe totalmente travisato la stessa spiegazione, in sé completa ed esatta, fornita dal teste Gi.. Dalla parafrasi del tribunale pare che ad essere articolata su base territoriale decentrata fosse la Divisione Crediti ma ciò è difforme da quanto riferito dal teste Gi. (nonché da altri testi come ad esempio il teste Ma.Ba., il teste Lu.Ve. e il teste Gi.Am.): gli Uffici Crediti articolati su base territoriale erano infatti alle dipendenze delle Direzioni Regionali, le quali a loro volta erano gerarchicamente inquadrate all'interno della Divisione Mercati. In altri termini nel periodo 2012-2015 successivo all'ispezione della Banca d'Italia la situazione era la seguente: a) la Divisione Crediti non era coinvolta in alcun modo nell'erogazione e perfezionamento dei finanziamenti; b) ciò che al riguardo veniva deliberato -in piena autonomia - dalle Direzioni Regionali era completamente estraneo al perimetro conoscitivo della Divisione Crediti. Soltanto nel 2015, come riferito con chiarezza dal teste Cl.Am., l'assetto organizzativo di B. era variato nuovamente con il ritorno alla Divisione Crediti della competenza gerarchica sui crediti in rete. Nel periodo 2012-2015, viceversa, alla stregua delle suesposte considerazioni, essendo il processo del credito non accentrato, diversamente da quanto sostenuto nella gravata sentenza, la Divisione Crediti (il cui ruolo e la cui funzione erano circoscritti alla necessità di assicurare la qualità del credito e il recupero di esso) non aveva - né poteva avere - contezza della complessiva entità del capitale finanziato. 2.2.1.6 L'appellante ha poi evidenziato come nessun rilievo fosse stato sollevato dalla vigilanza nei confronti della Divisione Crediti, tanto all'esito dell'ispezione del 2012 quanto all'esito di quella del 2015, mentre per converso erano stati formulati i seguenti rilievi per omissioni e carenze a vario titolo: contro i consiglieri di amministrazione in carica all'epoca dei fatti; contro i sindaci in carica all'epoca dei fatti; contro il direttore generale (Sa.So.) in carica all'epoca dei fatti; contro i vice direttori generali in carica all'epoca dei fatti An.Pi. (Divisione Finanza) ed Em.Gi. (Divisione Mercati); contro le funzioni aziendali di controllo - ossia contro i responsabili della funzione Internai Audit (Ma.Bo.) e della funzione Compliance (Gi.Fe.) - in carica all'epoca dei fatti. 2.2.1.7 L'appellante, con riguardo alla questione della c.d. "causale sentinella" connotata da estrema genericità, ha sollevato forti dubbi sulla valenza sintomatica attribuita in tesi d'accusa - e fatta propria dal tribunale vicentino - alla causale stessa, posto che: s lo stesso teste Gi.Sc., capo team dell'ispezione 2012, aveva affermato che 'le carenze nella causale non erano un fatto sistematico, perché altrimenti lo avremmo registrato nel rapporto o, perlomeno, non mi è stato restituito come un fatto sistematico, poi non posso evidentemente immaginare che tutte le PEF siano state esaustive (...)"; - anche il teste Ge.Sa., altro membro del team dell'ispezione 2012, aveva manifestato, sotto altro profilo, considerevoli dubbi sulla natura effettiva di "sentinella" in capo alla suddetta causale generica; - l'assoluta mancanza di rilievi in merito alla presunta genericità di tale, proposta di fido contenuta nella P.E.F. era stata confermata anche dal teste Ma.D.Bo. (all'epoca direttore dei Crediti Anomali nonché uno dei diretti interlocutori con il team ispettivo); - nemmeno l'ispettore Em.Ga. nel 2015, benché le regole da seguire e applicare fossero frattanto divenute più stringenti (in quanto non più di, matrice nazionale bensì europea), aveva proposto sanzioni al riguardo nemmeno aveva invitato la banca a modificare modulistica, procedura e altro in tema di credito; - la formula generica "cogliere opportunità di investimenti mobiliari e immobiliari", lungi dall'essere stata introdotta dal MA. come poteva sembrare leggendo la sentenza impugnata, preesisteva al suo arrivo in B. e d'altra parte non era applicata unicamente ad operazioni c.d. "baciate" (lo stesso teste Fr.Io., ossia il nuovo direttore generale succeduto a Sa.So., lo aveva confermato in sede dibattimentale al pari del teste Co.Tu.); - in relazione a tutte le operazioni finanziate, così come individuate dalla consulenza tecnica Ta.-Pa.-Ca., l'esame delle P.E.F. faceva emergere il dato statistico secondo cui circa il 40% dell'importo finanziato (esattamente il 41,44%) portava causali diverse da quella sopra indicata. 2.2.1.8 L'appellante ha confutato come non rispondente al contenuto complessivo dell'espletata istruttoria dibattimentale anche l'ulteriore assunto - di cui alle pagg. 680 e ss. della sentenza impugnata - secondo il quale le pratiche riguardanti le operazioni correlate dovevano necessariamente essere predisposte su un format fornito dalla Divisione Crediti, e ciò a pena di essere rifiutate, su disposizione apparentemente impartita dal MA., in caso contrario. In realtà tutti i testi sentiti al riguardo si erano espressi de relato riportando asserite affermazioni rese loro in tal senso dall'uno o dall'altro esponente della Divisione Mercati; non a caso l'espressione utilizzata al riguardo in sentenza - "Inoltre, si disse che tale dicitura era condivisa con la Divisione Crediti e avrebbe consentito l'approvazione della pratica" (cfr. pag. 680 cit.) - era quanto mai generica e impersonale. Anche quanto all'altro preteso indicatore univoco della natura correlata dell'operazione, oltre alla c.d. "clausola sentinella", ossia la c.d. "sfasatura temporale" tra l'erogazione del fido e l'acquisto di azioni, la difesa ha osservato che la sentenza impugnata pare volutamente confondere i piani intersecando l'unica disposizione data dal MA. al riguardo (ossia che il denaro del finanziamento erogato dovesse risultare già accreditato nel c/c prima di poter procedere all'acquisto delle azioni) con il fenomeno - del quale il MA. non era in alcun modo partecipe - dell'occultamento di tale procedura agli occhi dell'eventuale controllore. In altri termini il monito in questione, rivolto dal MA. al personale a seguito della reiterata disinvoltura dimostrata in passato da B. sull'argomento (cfr. ad esempio l'operazione Lu.-Ca.), disinvoltura che come tale era stata censurata dal team ispettivo del 2012, aveva il solo fine di evitare eventuali sconfinamenti in c/c come aveva ad esempio ben spiegato fra gli altri il teste Co.Tu.. Le stesse deposizioni che sul punto vanno apparentemente in senso sfavorevole al MA., segnatamente quelle rese dai testi En.Da., Gi.Am. e Al.Cu., sarebbero state riportate in sentenza dal tribunale vicentino solo per brevi stralci completamente decontestualizzati, sì da stravolgerne il senso. 2.2.1.9 L'appellante indi ha affrontato un altro tema (svolto dalla sentenza impugnata alle pagg. 686-687), quello della "campagna riqualificazione impieghi" - intendendosi per impieghi i prestiti - anche detta "pre-deliberato", connotata semplicemente dallo stanziamento, ad opera di B., di una rilevante somma finalizzata all'applicazione di condizioni contrattuali differenziate (ossia più vantaggiose) in sede di rinnovo o revisione degli affidamenti di clienti meritevoli di un particolare rating creditizio. Il compito della Divisione Crediti, a detta dell'appellante, era esclusivamente tecnico e riguardava solo l'individuazione dei criteri di rating da utilizzare per selezionare i clienti ai quali riqualificare il prestito, formare apposite liste e inviarle alla rete per la definitiva verifica. Il tutto - ha proseguito la difesa del MA. - è stato esaustivamente spiegato in dibattimento dai testi Cl.Am. e Ma.Ba. mentre l'appellante, contrariamente a quanto parrebbe desumersi dalla sentenza gravata, non aveva nulla a che vedere con le modalità, più o meno corrette, attraverso cui tale iniziativa era poi stata presentata dalla rete commerciale ai propri clienti, non potendo ascriversi all'imputato le eventuali pressioni esercitate dalla rete medesima ° nei confronti della clientela per accompagnare l'iniziativa con inviti ad acquistare azioni B.. Al riguardo, ad esempio, la sentenza impugnata valorizzerebbe al massimo grado la deposizione del teste Um.Se. ma da un lato trattasi di soggetto che risulta avere deliberato, egli sì, numerosi finanziamenti destinati all'acquisto di azioni (sia come predecessore del MA. alla Divisione Crediti - anteriormente all'introduzione delle Direzioni Regionali - e sia in seguito come direttore generale della controllata Ba.Nu.) mentre dall'altro lato la reale natura dell'iniziativa (di per sé priva di qualsivoglia rilievo nell'alveo del problema del capitale finanziato) risulterebbe assai meglio illustrata nella relativa delibera acquisita al fascicolo del dibattimento. Anche in tal caso comunque - secondo quanto ha lamentato la difesa - il tribunale avrebbe selezionato gli elementi istruttori omettendo di menzionare quelli favorevoli all'imputato. 2.2.1.10 L'appellante ha censurato altresì il grande rilievo attribuito dalla sentenza impugnata a una serie di note e di approfondimenti provenienti dall'audit nella persona del suo responsabile Ma.Bo., posto che - come già sopra accennato - questi, al pari dell'ufficio legale della banca, era perfettamente al corrente dell'esistenza della prassi delle operazioni di finanziamento correlato e che mai tali strutture avevano segnalato alcunché, fermo restando quanto già detto in ordine al convincimento del MA. circa la liceità di tali operazioni ed esulando dall'ambito delle sue competenze quella di controllare se poi il capitale finanziato con tali operazioni venisse correttamente scomputato dal patrimonio di vigilanza. Analogamente - ha proseguito l'appellante - si sarebbe dovuto considerare l'atteggiamento di fuga dalla responsabilità tenuto dal CdA (composto non già da persone digiune della materia ma da docenti universitari, da imprenditori di primo piano e finanche da un ex Ragioniere Generale dello Stato), il quale, sottoscrivendo ogni delibera, aveva a sua volta scelto di abdicare al proprio compito di vigilare sul rispetto degli adempimenti e sulla corretta deduzione del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza. Oltretutto - ha notato la difesa - diversi altri componenti del CdA, e non solo l'imputato Gi.ZI., avevano sottoscritto essi stessi dei finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni B. 2.2.1.11 L'appellante si è diffuso a lungo sulle due ispezioni (Banca d'Italia 2012; BCE 2015) - in particolare sulla prima - evidenziando la necessità di un confronto tra i testi Cl.Am. e Ge.Sa. che avevano reso deposizioni tra loro inconciliabili ed erano stati entrambi definiti "debolmente attendibili" dal tribunale (il primo aveva sostenuto che l'effettuazione delle operazioni correlate di finanziamento non fosse stata affatto taciuta al team ispettivo del 2012, con i quali egli aveva avuto una diretta interlocuzione; il secondo - incorso peraltro in pesantissime contraddizioni nelle diverse occasioni in cui era stato sentito durante le indagini preliminari e finanche sottoposto a intercettazione telefonica dagli inquirenti - era tornato, in sede dibattimentale, ad affermare il contrario, ritrattando quanto aveva detto da ultimo agli stessi inquirenti). Ad avviso dell'appellante, comunque, l'Am., responsabile dei Crediti Ordinari nell'ambito della Divisione Crediti di B. nonché vice - assieme a Ma.D.Bo. - del MA., sarebbe assai più credibile del Sa. e più in generale dell'intero team ispettivo della stessa Banca d'Italia, la quale, dopo avere incentivato la crescita di B., non potrebbe, secondo la difesa, "permettere che qualcuno o qualcosa possa accusarla di essere stata omissiva of peggio, connivente" (cfr. pag. 103 atto di appello). Sul punto la difesa dell'appellante MA. ha menzionato l'esistenza nel web, quale fonte aperta, della registrazione di un colloquio intercorso nei primi mesi del 2014 fra il presidente di B. Zo.Gi., l'allora presidente di Ve.Ba. e l'allora capo della vigilanza della Banca d'Italia da cui si evinceva che quest'ultimo, nel ricordare ai suoi interlocutori che dal 4 novembre di quello stesso anno Banca d'Italia avrebbe dovuto passare ex lege la mano al SSM (Single Supervisory Mechanism) e che dunque i controlli sarebbero stati più severi, stava cercando di convincere Ve.Ba. ad unirsi con B.. 2.2.1.12 L'appellante ha evidenziato altresì come il tribunale non abbia riferito, nell'occuparsi della successiva ispezione del 2015, che in realtà il MA. non vi aveva nemmeno preso parte in quanto trasferito dal 18.12.2014 alla controllata siciliana Ba.Nu.. 2.2.1.13 L'appellante è poi passato a confutare con argomentazione particolarmente articolata (cfr. pagg. 126-149 atto di appello) l'assunto del collegio vicentino in ordine alla pretesa non credibilità e contraddittorietà del MA., sostenendo: a) che il contenuto dell'esame di questi sarebbe viceversa stato equivocato e travisato in più punti dal primo giudice; b) che tra i testi particolarmente valorizzati dal tribunale contro il MA. vi è ad esempio il teste Fu.Bo., non rientrante, così come vari altri, nel novero degli imputati solo a causa di una scelta operativa, definita "discutibile" degli inquirenti. Un soggetto, il Bo., che, in base al complesso dell'espletata istruttoria, emergerebbe viceversa come contraddittorio e poco credibile e del quale, in ogni caso, il tribunale (seguendo invero una tecnica redazionale spesso utilizzata nella gravata sentenza) avrebbe estrapolato solo alcuni frammenti di esame dibattimentale per lo più sfavorevoli al MA., senza porli a confronto con le rettifiche operate dallo stesso teste in sede di controesame. 2.2.1.14 L'appellante, con riguardo al capo MI relativo alle condotte di ostacolo contestate all'imputato MA. durante l'effettuazione del Comprehensive Assessment e dell'AQR (Asset Quality Review), ha escluso anzitutto che l'AQR possa paragonarsi in tutto e per tutto a una normale ispezione, indicandone le ragioni (fra l'altro nel corso di essa, in relazione alle posizioni esaminate, nemmeno era prevista l'interlocuzione tra ispettori e funzionari dell'istituto) ed evidenziando fra l'altro, in tale contesto, come finanche la Banca d'Italia, una volta diffusi i risultati dell'AQR e dello stress test, avesse affermato che il Comprehensive Assessment era stato un esercizio di natura prevalentemente prudenziale e non contabile, ove si era fatto ricorso a metodi di tipo statistico non contemplati dai criteri contabili. Indi la difesa ha ricordato come, per costante giurisprudenza, in tema di ostacolo alla vigilanza assumano rilevanza penale solo quelle false informazioni - ovvero l'omissione o il nascondimento di informazioni - capaci di entrare in conflitto con l'esercizio della funzione concretamente svolta, presupposto a suo avviso non ricorrente nel caso in esame (fermo restando che al MA. non potrebbe contestarsi di avere taciuto al team l'esistenza delle lettere di impegno al riacquisto e degli storni, dal momento che egli era venuto a sapere di tali procedure, come altri in banca, solo all'esito dell'ispezione BCE del 2015; né in atti vi sarebbero elementi idonei a dimostrare il contrario, anzi tutti i testi escussi hanno concordemente dichiarato che le lettere di impegno al riacquisto non erano inserite nelle P.E.F., bensì venivano conservate in cartaceo presso le filiali ove il cliente aveva il c/c di riferimento; in nessun modo era segnalata l'eventuale presenza di tale impegno, che restava una pattuizione riservata tra il responsabile della rete di riferimento e la controparte). 2.2.1.15 L'appellante è passato quindi a contestare (cfr. pagg. 154-172 atto di appello) la configurabilità in capo al MA. di un apporto concorsuale rilevante ai sensi dell'art. 110 c.p., censurando anzitutto la struttura del capo d'imputazione, configurato nel senso di una piena e totale condivisione di tutti gli imputati in relazione alle condotte contestate, a prescindere dal ruolo rivestito e dalle funzioni esercitate, sul presupposto che "tutti avessero fatto tutto" e dunque sulla base di una sorta di automatismo presuntivo, A sua volta la motivazione sui punto della sentenza impugnata - circoscritta alla sua pag. 216 - è stata censurata dall'appellante come sbrigativa e insoddisfacente in quanto basata su un'asserita "consequenzialità" ("In questo contesto operativo, è consequenziale concludere che gli imputati - che nei diversi ruoli hanno posto in essere le singole condotte di manipolazione del mercato - avessero piena ed assoluta consapevolezza dell'occultamento di questa operatività al mercato e alla vigilanza") che non avrebbe invece fondamento alcuno. A parere della difesa nel dibattimento di primo grado non è stata fornita la prova che tutti gli imputati indistintamente, e l'appellante MA. in particolare, sapessero che le c.d. operazioni "baciate" non venivano scomputate dal capitale di vigilanza e che inoltre esse erano finalizzate - oltre che all'esigenza, a tutti nota, di svuotamento del fondo acquisto azioni proprie (soprattutto in coincidenza con il fine anno) nonché a creare liquidità per il mercato secondario - anche a fornire "una distorta immagine di solidità del mercato azionario ferma restando la forte differenza tra il flusso informativo che giungeva alla Divisione Crediti e quello, ben più intenso, diretto e pregnante, che invece perveniva alla Divisione Mercati e ne animava le riunioni. Al riguardo desta forte perplessità nell'appellante il fatto che una similare differenza di flussi informativi tra diverse Divisioni fosse invece stata valorizzata dal tribunale per assolvere il coimputato Ma.PE.. 2.2.1.16 L'appellante ha lamentato altresì come al MA. sia contestato di avere "avallato una prassi" senza tuttavia che - sotto il profilo dell'elemento soggettivo del reato - risulti provato che egli, divenuto a un certo punto consapevole che la prassi da tempo seguita era in realtà illecita, l'avesse ciononostante pervicacemente reiterata. Ha censurato altresì l'operato dell'Accusa la quale, pur dopo l'emersione di un fenomeno - nell'ambito di B. - di autonome potestà deliberative diffuse e non già accentrate, e pur avendo conferito la stessa Accusa a seguito di ciò ai propri consulenti tecnici il compito di redigere una relazione integrativa (atta a identificare, sulla scorta delle delibere esaminate, quale fosse l'organo deliberativo di volta in volta interessato), non vi ha tuttavia dato realmente seguito, astenendosi dal ripartire fra gli autori in concreto delle varie delibere le somme contestate nel capo di imputazione quale importo complessivo del capitale finanziato. D'altra parte - ha proseguito l'appellante - qualora gli inquirenti avessero effettivamente seguito tale ultima via si sarebbero necessariamente dovuti iscrivere nel registro degli indagati alcuni fra i testimoni dell'Accusa quali concorrenti materiali nel reato. Nondimeno, difettando il dato quantitativo esattamente riferibile a ciascun imputato con riguardo alla frazione ad esso imputabile del maggiore capitale finanziato complessivo, non sarebbe possibile nemmeno valutare la reale offensività di ciascuna condotta. Il tutto comunque - ha precisato la difesa - vale, in relazione alla posizione del MA., per le sole contestazioni di fatti commessi fino al 18 dicembre 2014 dal momento che in tale data egli veniva rimosso dalla Divisione Crediti di B. e trasferito alla controllata Ba.Nu., Viceversa in sentenza il MA. è stato condannato - senza alcuna giustificazione - finanche per i fatti occorsi nell'anno 2015 (l'appellante ha osservato al riguardo che il responsabile della Divisione Crediti in carica per quegli importi è perfettamente identificabile trattandosi del teste non assistito, in quanto mai iscritto nel registro degli indagati, Al.Ba.). In via di mero subordine la difesa ha chiesto quindi che, nel caso di ravvisata penale responsabilità del MA., la stessa sia comunque ritenuta sussistente solo fino al 18 dicembre 2014. 2.2.2 Con il secondo motivo l'appellante ha censurato in via subordinata l'eccessività della pena inflitta, e ciò sia con riferimento alla pena base sia con riguardo agli aumenti operati per la ritenuta continuazione. 2.2.3 Quindi, con il terzo motivo, l'appellante - in via di ulteriore subordine - ha chiesto valutarsi le già riconosciute attenuanti generiche come prevalenti sulle contestate aggravanti nell'ambito del giudizio di bilanciamento. Conclusivamente, l'appellante ha chiesto: 1) assoluzione dell'imputato Ma.Pa. per non aver commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato; 2) in subordine, riduzione della pena inflitta (sia attraverso una diminuzione della pena base, quantificata nei minimi edittali, sia attraverso una riduzione dell'aumento operato per la continuazione); 3) in ulteriore subordine, riduzione della pena inflitta per effetto del richiesto giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle contestate aggravanti. 2.2.4 Quindi, con motivi nuovi tempestivamente depositati, la difesa ha ulteriormente argomentato in ordine alla già chiesta riapertura dell'istruttoria dibattimentale, insistendo in maniera particolare nella richiesta di confronto fra i testi Cl.Am. e Ge.Sa. e chiedendo altresì, trattandosi di sopravvenienze: a) l'acquisizione dei verbali relativi alle dichiarazioni testimoniali rese dai predetti (Am. all'udienza 8.3.2022; Sa. all'udienza 18.3.2022) nel distinto procedimento rubricato al n. 1031/2020 pendente dinanzi al Tribunale di Vicenza in composizione collegiale a carico di So.Sa.; b) disporsi, sotto forma di perizia, l'estrazione dei dati contenuti nel server di SEC Servizi corrente in Padova, e ciò al fine di accertare la concreta attività svolta dall'ispettore Ge.Sa. nel corso dell'ispezione 2012 della Banca d'Italia, con particolare riguardo a quanto da lui visionato nei giorni dall'1 al 7 luglio 2012. 2.3. Appello proposto da Pi.An. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello anche la difesa di Pi.An.. 2.3.1 In particolare, con il primo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 1 dell'impugnazione), l'appellante ha dedotto, richiamando alcuni arresti della giurisprudenza di legittimità, la nullità della sentenza per violazione degli artt. 121, 178 comma 1 lett. c) e 546 c.p.p. dovuta alla totalmente omessa considerazione non soltanto di tutti i cospicui contributi orali e documentali forniti dalla difesa nel corso dell'intero dibattimento (inclusi i controesami difensivi - talora viceversa rivelatisi decisivi - dei testi a carico) ma altresì delle argomentazioni difensive esposte in una specifica ampia e dettagliata memoria depositata, nelle forme delle note d'udienza, in data 19 gennaio 2021. 2.3.2 Quindi, con il secondo motivo, l'appellante ha eccepito la violazione dell'art. 210 c.p.p. e dell'art. 192 comma 3 c.p.p., nonché una carenza assoluta di motivazione, in ordine alla valutazione - operata dal tribunale - di coerenza intrinseca ed estrinseca delle deposizioni rese dai testi Ma.So., Fi.Ro., Pi.Ra., Al.Ma. e Ro.Ri., sulle quali si fonda - a suo avviso in via esclusiva - la ricostruzione dei fatti operata nella sentenza impugnata, e ciò benché la difesa avesse evidenziato, tanto in sede di discussione quanto nelle anzidette note d'udienza depositate il 19.1.2021, evidenti profili di inattendibilità e inutilizzabilità delle rispettive deposizioni. L'appellante ha evidenziato al riguardo i seguenti elementi: - i testi in questione sono soggetti che avevano contribuito in prima persona -loro sì materialmente - a quelle stesse condotte formanti l'oggetto della "prassi" contestata agli imputati, e in particolare al PI., nei capi d'imputazione, il che avrebbe quanto meno imposto un vaglio particolarmente stringente in ordine alla loro credibilità soggettiva e all'attendibilità di quanto da loro dichiarato; - oltre a ciò la pendenza del procedimento penale n. 2147/2019 RGNR (relativo alle asserite condotte di bancarotta connesse alla messa in L.C.A. di B. ha posto i predetti testi nella condizione di dover salvaguardare se stessi dal concreto rischio di essere incriminati in quel procedimento (nel cui ambito il Pubblico Ministero non aveva ancora cristallizzato l'imputazione né aveva ancora definito tutti i coindagati); - gli stessi testi, benché fossero stati sentiti a s.i.t. nel procedimento penale n. 2147/2019 RGNR proprio a ridosso della data del loro esame dibattimentale nel presente procedimento, in quest'ultimo hanno manifestato incertezze e lacune tali da rendere necessarie continue contestazioni, quando non addirittura letture diffuse - "in aiuto alla memoria" - dei verbali delle dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari quanto ai fatti che qui occupano (ciò varrebbe in particolare per i testi Ma.So. e Fi.Ro.); - più d'uno fra i suddetti testi si ritiene versi, in realtà, addirittura (come già eccepito in primo grado) in una condizione che ne avrebbe reso necessario l'esame nelle forme di cui all'art. 210 c.p.p. dal momento che a loro carico ricorrono obiettivi indizi di reità, quanto meno secondo i canoni del concorso di persone del reato, e ciò in adesione alla costante giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di prova dichiarativa, allorché venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali, prescindendo da indici formali quali l'avvenuta iscrizione nel registro delle notizie di reato, l'attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, con la conseguente necessaria escussione non già come testimone bensì quale imputato di reato connesso ai sensi dell'art. 210 c.p.p.. Viceversa sul punto la sentenza impugnata non contiene considerazioni di sorta; - a ciò conseguirebbe la vera e propria inutilizzabilità delle deposizioni rese dai testi Ma.So., Fi.Ro., Pi.Ra., Al.Ma. e Ro.Ri.; - ancor più peculiare sarebbe in realtà la posizione del teste Al.Ma. (sentito in qualità di testimone ex art. 194 c.p.p. all'udienza del 26.11.2020) posto che, successivamente al deposito della sentenza impugnata, è entrato nella disponibilità della difesa dell'imputato PI. (che lo ha allegato all'atto di appello e che ne ha chiesto - formulando istanza di rinnovazione probatoria ex art. 603 c.p.p. - l'acquisizione) un atto di esecuzione di perquisizione e sequestro a carico del Ma., eseguito per rogatoria dall'A.G, lussemburghese e datato 9.10.2020 (antecedente quindi all'esame dibattimentale del teste nel presente procedimento), dal quale si evincerebbe che anche il predetto Ma. - così come il teste pacificamente ex art. 210 c.p.p. Gi.St., avvalsosi in dibattimento della facoltà di non rispondere - all'epoca della sua deposizione già era iscritto (addirittura a far tempo dal 29 luglio 2020, in tesi difensiva) nel registro degli indagati del procedimento connesso n. 2147/2019 RGNR; - la vicenda relativa al teste Ma. viene indicata come di evidente gravità (la Procura della Repubblica vicentina non aveva, all'evidenza, mai reso noto che il teste, ben prima della sua ammissione ex art. 507 c.p.p., si trovasse già indagato in un procedimento fortemente connesso) ma l'unica sanzione di tale grave violazione delle garanzie difensive risiederebbe - in adesione alla costante giurisprudenza di legittimità - nell'inutilizzabilità della relativa deposizione. 2.3.3 Quindi, con il terzo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 3 dell'impugnazione, a sua volta articolato in più sotto-paragrafi che vanno dal 3.1 al 3.10), l'appellante ha eccepito il malgoverno delle prove da parte dell'impugnata sentenza, la quale a suo avviso ha ricostruito i fatti in modo incompleto e unilaterale, omettendo di considerare prove decisive in favore dell'imputato. E' stata altresì eccepita la violazione degli artt. 43 e 110 c.p. per essere del tutto carente la motivazione in merito alla prova del concorso del PI. ex art. 110 c.p. nelle condotte contestate, come pure in merito alla prova del dolo che tali condotte dovrebbe sorreggere. Più in particolare l'appellante ha osservato quanto segue; - il ragionamento probatorio del tribunale muove da un'adesione tanto incondizionata quanto infondata dello stesso alla tesi accusatoria circa la strumentali delle condotte di aggiotaggio rispetto a quelle di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza; strumentalità da cui deriverebbe quale consequenziale conclusione il concorso ex art. 110 c.p. di tutti gli imputati aventi posto in essere singole operazioni correlate (e dunque singole condotte di manipolazione del mercato) in tutte le ipotesi di reato contestate nei numerosi capi d'imputazione, e ciò indipendentemente dall'acquisizione di qualsivoglia prova in ordine alla conoscenza, rappresentazione e volontà del fenomeno e della vicenda intesi nella loro complessità; trattasi però di motivazione basata, come tale, su meri sillogismi e asserite prove logiche aventi invece dignità di mera congettura. A ciò si aggiungono, in più passi della gravata sentenza, il vero e proprio travisamento delle prove e/o l'attribuzione di rilevanza a elementi che ne sono del tutto privi (come ad esempio l'assunto - in realtà nemmeno dimostrato - che il PI. fosse uno dei più stretti collaboratori del direttore generale Sa.So.); s per il PI. era impossibile avere conoscenza della "prassi" della concessione di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. dal momento che la Divisione Finanza da lui guidata non era, né poteva essere, destinataria dei relativi flussi informativi e ferma restando l'assoluta segretezza con cui la Divisione Mercati, la Divisione Crediti e il Comitato Soci gestivano il fenomeno in oggetto (da soli sotto il controllo del direttore generale Sa.So.); oltretutto la presenza del PI. presso la sede di Vicenza di B. si limitava a una cadenza settimanale (ogni martedi, giorno in cui - pressoché settimanalmente - si teneva il CdA); - in prime cure è stata attribuita una grande rilevanza al fatto che il PI. avesse partecipato al comitato di direzione dell'8.11.2011 ma in realtà il teste Ma.So., assai valorizzato al riguardo, nel deporre non ha riferito un suo ricordo bensì una interpretazione di un suo appunto senza riuscire a ben rammentare cosa fosse effettivamente successo nell'occasione; in altri termini dal materiale probatorio in atti non riesce ad evincersi se davvero i presenti avessero ivi toccato il tema delle operazioni di finanziamento correlate all'acquisto di azioni B., considerando anche la ben scarsa attendibilità complessiva del teste assistito Fr.To., che aveva deposto nella veste di imputato di reato connesso ex art. 210 c.p.p. e che, anteriormente alla sua iscrizione nel registro degli indagati, aveva reso dinanzi agli inquirenti dichiarazioni di tenore tutt'affatto differente; v la motivazione della sentenza impugnata è in ogni caso illogica laddove ha mandato assolto, viceversa, l'imputato Ma.Pe. -responsabile della Divisione Bilancio e Pianificazione - che pure aveva partecipato anch'egli a quello stesso Comitato di Direzione dell'8.11.2011 (assurto invece a "pietra miliare delta responsabilità addebitata al Dott. i Pi.": cfr. pag. 42 atto di appello), ritenendolo attendibile allorquando egli aveva sostenuto di non aver dato peso adeguato, in quell'occasione, agli interventi di Fr.To. e Um.Se. (rispettivamente facenti capo alle controllate Ca. e Ba.Nu.), che si erano riferiti - peraltro in maniera molto superficiale - alla possibile adozione di operazioni "baciate", posto che all'epoca egli nemmeno conosceva la parola "baciata". Non si comprende - prosegue la difesa - perché le analoghe dichiarazioni rese, su tale specifico punto, dal PI. non siano invece state valutate in senso a lui favorevole; - considerazioni analoghe valgono circa l'asserita rilevanza della partecipazione del PI. a ulteriori comitati e/o riunioni successivi all'8.11.2011, fermo restando che né l'appellante né alcun suo sottoposto constano aver preso mai parte alle riunioni della Divisione Mercati diretta da Em.Gi.; - vengono evidenziate le deposizioni rese dal teste Gi.Am., il quale ha espressamente escluso (dopo aver riferito di avere partecipato a 3-4 riunioni del Comitato di Direzione nel 2014) che nel corso di quegli incontri si fosse fatto riferimento al fenomeno dei finanziamenti correlati all'acquisto o sottoscrizione delle azioni B., e dal teste Ad.Ca., espressosi in senso analogo; - il lamentato malgoverno delle prove (e in particolare la totale pretermissione di elementi di prova favorevoli all'imputato PI., inclusi gli esiti del controesame del teste Tagliabue) avrebbe indotto il tribunale vicentino a ritenere - a torto - che il PI. abbia avuto un ruolo nel rilascio di lettere di impegno; quanto poi alla vicenda del teste Fa. l'appellante ha evidenziato come quest'ultimo avesse investito nell'acquisto di azioni B. non già capitale finanziato dalla stessa banca bensì capitale proprio; in ogni caso la lettera di impegno rilasciata al Fa., e a questi esibita in primo grado, risulta sottoscritta - su richiesta dello stesso Fa. - dal direttore generale So. proprio in quanto il PI. aveva rifiutato - come confermato sempre dal teste Fa. - ogni diretto coinvolgimento in un ambito chiaramente esulante dalle competenze della Direzione Finanze di sua pertinenza; infine la lettera rilasciata al Fa. non potrebbe nemmeno definirsi d'impegno, da essa derivando al più una mera disponibilità non vincolante; - quanto all'episodio della società di revisione K. va escluso - secondo la difesa - che il PI. abbia apostrofato l'avv. An.Pa., dell'uffici" legale, con l'icastica e colorita espressione da costei attribuitagli, dato che il parimenti presente dott. Ma.Pe. ha affermato, nel corso del suo esame dibattimentale, di non serbarne ricordo; - quanto alla vicenda delle cosiddette "tre sorelle lussemburghesi" la difesa ha evidenziato come la svolta istruttoria abbia fatto emergere, quale unico autore delle relative operazioni di finanziamento correlato, proprio il dott. Pi.Ra., direttore generale della controllata irlandese B. Fi., la cui deposizione testimoniale - perno della tesi accusatoria sul punto - deve quindi ritenersi inattendibile (se non inutilizzabile per i motivi già visti supra), oltre che basata su mere congetture e ricca di inesattezze e lacune; per giunta la deposizione dell'altro teste Gi.Gi. (appartenente alla Divisione Mercati), ritenuta in sentenza un riscontro a quella del teste Ra., secondo l'appellante è stata travisata giacché in realtà sarebbe, nel suo complesso, di tenore esattamente opposto (anche se il primo giudice ha omesso di considerarne la parte contenente elementi di discolpa per il PI.); lo stesso è a dirsi per la deposizione del teste Gi.Fe. della Co. (che, secondo la difesa, lungi dal riscontrare la deposizione del RA., l'avrebbe confutata). In ultima analisi la deposizione del teste Ra. deve ritenersi priva di riscontri, s quanto alla partecipazione del PI. al Comitato di Direzione del 10.11.2014, il relativo file audio non sarebbe acquisibile ex art. 234 c.p.p., e comunque andrebbe dichiarato inutilizzabile; sul punto l'appellante si è associato, come già in prime cure, alla relativa eccezione svolta dalla difesa del coimputato MA., svolgendo argomentazioni analoghe. Ad ogni modo, anche a voler ritenere acquisibile e/o utilizzabile quel file audio (e la relativa trascrizione), la sentenza ugualmente risulterebbe viziata da un'erronea valutazione degli interventi del PI. in quella sede, il cui tenore testuale (a ben guardare finanche contrario alle proposte fatte dal direttore generale So.) sarebbe stato travisato. Inoltre si è sottolineato (cfr. pag. 93 atto di appello) come il lamentato mancato espletamento di una perizia al riguardo impedisca oltretutto l'individuazione dei partecipanti al comitato e la corretta attribuzione dei singoli passaggi ai rispettivi loro autori. 2.3.4 Quindi, con il quarto motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 4 dell'impugnazione), l'appellante ha eccepito la nullità della sentenza ai sensi dell'art. 522 c.p.p. in relazione all'art. 521 c.p.p. giacché il fatto ritenuto in sentenza - con riguardo all'investimento in fondi esteri unknown exposure ("Op." e "At.") e alla detenzione indiretta, mediante essi, di azioni B. - non risulta indicato in alcuno dei capi d'imputazione così come formulati dall'Accusa nei confronti dell'imputato PI., In alcun modo tali condotte, ritenute in sentenza commesse dal PI. nonché penalmente rilevanti, potrebbero rientrare nella contestatagli "prassi aziendale" avente ad oggetto "finanziamenti concessi a terzi soggetti, finalizzati all'acquisto di azioni B. sul mercato secondario. E d'altra parte, con ogni evidenza, l'investimento in OICR (Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio) non ha alcuna attinenza con l'erogazione del credito né alcuna connessione con le prassi decettive in seno a tale erogazione effettuate da altri. 2.3.5 Quindi, con il quinto motivo (oggetto di trattazione ai paragrafi 5, 6, 7 e 8 dell'impugnazione), l'appellante ha contestato anche nel merito la fondatezza dell'accusa con riguardo all'investimento in fondi esteri unknown exposure ("Op." e "At.") e alla detenzione indiretta, mediante essi, di azioni B.. Trattasi a suo dire di contegno non addebitabile al PI., pur non avendo questi mai negato di avere avuto un ruolo nella sottoscrizione dei fondi in questione. L'appellante ha evidenziato al riguardo quanto segue: s la unknown exposure non è sinonimo di decettività (in base alla deposizione del teste Da.Es., del Risk Management, il Comitato Finanza, a differenza di quanto ritenuto in sentenza, era correttamente informato di tutti i dati trasmessi dai fondi senza che alcun suo componente avesse mai lamentato profili di irregolarità); - il ricorso a fondi dedicati (che la gravata sentenza impropriamente definisce "gestione patrimoniale") era prassi diffusa tra gli istituti di credito, non solo italiani, come riferito anche dallo stesso teste Al.Ma., che pure per altri versi - ma non per questa parte della sua deposizione - risulta essere stato assai valorizzato, benché in realtà già indagato in procedimento connesso, dal giudice di prime cure; - le finalità per le quali tale investimento era stato autorizzato (vale a dire il reperimento di liquidità) erano state correttamente perseguite dal PI.; - irrilevante deve ritenersi, a fronte di altre emergenze istruttorie purtuttavia pretermesse dal tribunale, il da esso valorizzato doc. n. 350 delle produzioni del Pubblico Ministero (invero mai pervenuto nella sfera di conoscenza del PI.; né il suo invio aveva avuto alcun seguito); - la sentenza gravata ha travisato il contenuto delle deposizioni rese dai testi Fi.Ro., An.Su. (quest'ultimo peraltro connotato da evidenti profili di inattendibilità), Pi.Ra. e Al.Ma.; s più in generale (come dimostrato anche dalla vicenda dell'acceso confronto tra il teste avv. An.Su. e il teste Pa.Al., quest'ultimo responsabile della direzione Gl.Ma. all'interno della Divisione Finanza di B.; vicenda riferita nel suo esame dibattimentale dallo stesso teste Al.) si è evidenziata l'inattendibilità della ricostruzione della situazione offerta dagli esponenti di "Op." (testi Ma. e Su.), in quanto connotata da un chiaro tentativo di addossare agli esponenti di B., e segnatamente della sua Divisione Finanza, responsabilità eventualmente proprie del suddetto fondo; - peraltro - ha osservato l'appellante - l'attività istruttoria dibattimentale risulta essersi concentrata tutta su "Op." rimanendo carente sul conto di "At."; - la detenzione indiretta di azioni B. mediante i fondi "Op." e "At." in ogni caso non conduce alla prova del concorso del PI. nelle contestate condotte di aggiotaggio manipolativo sicché la sentenza presenta un vizio di motivazione sul punto, ferma restando in proposito la totale inattendibilità del teste Fi.Ro. (reso destinatario di corpose e continue contestazioni operate in dibattimento dal P.M., il Ro. era stato, fra l'altro, platealmente smentito dal teste Ti.Ch. - esponente del broker Ma.Sp. - circa la da lui asserita conoscenza tra questi e il PI., negata dal Ch.); - la condotta ascritta al PI. in relazione ai fondi "Op." e "At." neppure potrebbe condurre alla prova di un concorso dell'appellante nelle contestate condotte di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza, sicché la sentenza risulta erroneamente motivata sul punto con violazione degli artt. 43 e 110 c.p., tanto più che, con il mutare della normativa di settore a seguito dell'introduzione del CRR (Capital Requirements Regulation), Regolamento UE n. 575/2013, le strutture incaricate della tenuta delle comunicazioni avevano tempestivamente adottato le richieste da indirizzare ai fondi, come chiaramente illustrato dal teste Lu.Tr.; - la motivazione della sentenza è illogica nella parte in cui, con riferimento alla posizione personale di altro imputato e segnatamente di Pe.Ma., ha ritenuto sufficiente ad escluderne la responsabilità -mandandolo così assolto - il fatto che avesse formulato una richiesta di informazioni circa i sottostanti ai fondi de quibus. Il PI. infatti, dal canto suo, non solo non aveva avuto conoscenza dell'investimento operato dai fondi stessi in azioni B. ma neppure aveva inteso in alcun modo ostacolare la conoscenza dei sottostanti dei fondi medesimi da parte delle altre funzioni dell'istituto di credito, in particolare da parte delle funzioni di controllo; di fatto, anzi, il PI. aveva delegato i rapporti con i fondi ad altre strutture di B. diverse dalla Divisione Finanza, senza mai avere anche solo azzardato la minima ingerenza nelle loro funzioni; - l'assunto del primo giudice secondo cui anche la fase di dismissione delle azioni B. da parte di "Op." sarebbe stata eterodiretta dal PI. in veste di "regista" non risponde al vero e risulta anzi smentito - sempre secondo l'appellante - dalla deposizione del teste Ti.Ch., esponente del broker Ma.Sp., che evidenzierebbe altresì l'assoluta inattendibilità sul punto del teste Ro.Ri. (appartenente alla rete commerciale e per parte sua artefice di numerosissime operazioni correlate); il Ri. era infatti giunto ad affermare che il PI. lo aveva messo in contatto con il Ch. il quale invece come già detto sopra, negava di conoscere l'imputato. 2.3.6 Quindi, con il sesto motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 9 dell'impugnazione), l'appellante ha argomentato in ordine alla dedotta insussistenza di un concorso ex art. 110 c.p., del PI. nella asserita Op." posta alla base di tutti i capi di imputazione, della quale viceversa egli non era consapevole né tantomeno ad essa aveva aderito. Né certo un siffatto apporto concorsuale poteva desumersi dall'assunto che, in quanto vicedirettore generale in B., egli fosse necessariamente vincolato alle scelte del direttore generale Sa.So.. In realtà, essendo concepita l'imputazione come una contestazione complessiva di tutte le condotte in essa descritte nei confronti di tutti gli imputati, ipotizzandosi ivi un concorso di reati riuniti sotto la disciplina della continuazione, la gravata sentenza, ad avviso dell'appellante, non ha assolto al suo onere che era quello di dimostrare - sulla base però di elementi di prova certi e non di mere congetture - che l'imputato: a) fosse consapevole delle condotte poste in essere da tutti o parte degli altri pretesi concorrenti; b) avesse agito con la volontà di portare a compimento il reato. Non è in altri termini condivisibile, per la difesa, l'argomentare di una sentenza la quale, di fatto, finisce con il ricondurre vicende di enorme complessità, articolatesi nel corso di un non trascurabile lasso temporale -nonché coinvolgenti decisioni, valutazioni e specifiche azioni di controllo ascrivibili a una pluralità estremamente variegata di soggetti - a un unico semplicistico schema interpretativo che ripropone il parimenti semplicistico approccio dello spunto investigativo iniziale. Secondo l'appellante va poi considerato quanto segue: - con riguardo alla pretesa manipolazione informativa ogni concorso del PI. deve essere escluso, non avendo egli mai preso parte in alcuna misura alla definizione del contenuto dei comunicati stampa oggetto di contestazione; - con riguardo alla pretesa manipolazione operativa e al preteso ostacolo alla vigilanza la sentenza pretermette diversi fattori di elevata importanza: a) nessuna delle operazioni attribuite in ottica di accusa al PI. risultava essere stata ancora attuata all'epoca della conclusione dell'ispezione 2012 della Banca d'Italia (peraltro mirata unicamente alla verifica del rischio di credito di B.): al 12 ottobre 2012, infatti, Sa.So. e Pi.Ra. non avevano ancora sottoscritto la partecipazione ai fondi lussemburghesi "Op." e "At." né tantomeno la controllata irlandese B. Fi., della quale il Ra. era il direttore generale, aveva erogato i finanziamenti alle società lussemburghesi Br.; c) nel caso dell'ispezione BCE, iniziata il 26 febbraio 2015, B. aveva già comunicato al Regolatore le informazioni frattanto ricevute dai gestori dei suddetti fondi in ordine al preciso ammontare di azioni B. detenute dai comparti di "Op." e "At.", e ciò a far data dal luglio 2014, in perfetta ottemperanza agli obblighi informativi imposti dal CRR (Regolamento UE 575/2013); che la stessa BCE fosse stata portata a conoscenza di un tanto emergeva altresì dal suo stesso rapporto ispettivo del 2015; - manca, in ogni caso, totalmente la prova del dolo; anzi le conversazioni captate del PI. evidenzierebbero un tenore chiaramente incompatibile con la consapevolezza tipica del partecipe. 2.3.7 Quindi, con il settimo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 10 dell'impugnazione), l'appellante in subordine, sotto il profilo del trattamento sanzionatorio ne ha lamentato il carattere sproporzionato. Ha chiesto altresì che le già riconosciute attenuanti generiche siano valutate prevalenti sulle contestate aggravanti in sede di giudizio di bilanciamento. Ha ribadito inoltre le argomentazioni - già svolte in sede di discussione dinanzi al tribunale - circa la necessità di ricondurre a un'unica fattispecie di ostacolo alla vigilanza le plurime condotte configurate, in tesi d'accusa e in sentenza, come altrettanti reati distinti, fra loro unificati nel vincolo della continuazione. Ha richiamato al riguardo la giurisprudenza di legittimità che costruisce il reato ex art. 2638 comma 2 c.c., come suscettibile di assumere carattere eventualmente permanente. In tal caso, indipendentemente dalla reiterazione dell'invio di comunicazioni mendaci, la prima condotta deve intendersi assorbire le successive. Ha aggiunto che la strumentalità della fattispecie di ostacolo rispetto a quella di aggiotaggio fa sì che il disvalore della condotta decettiva si esaurisca tutto nell'evento del delitto di aggiotaggio. Ritenere diversamente si tradurrebbe altresì in una violazione del principio nemo tenetur se detegere, recentemente meglio delineato da Corte Cost. n. 84 del 2021. 2.3.8 Quindi, con l'ottavo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 11 dell'impugnazione), l'appellante ha ribadito la già sollevata eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Vicenza in favore del Tribunale di Roma (fermo restando il carattere non vincolante di Cass. 15537/2018, che aveva risolto in favore del foro vicentino un conflitto di competenza sorto in relazione a un numero - tanto degli indagati quanto dei capi d'imputazione - all'epoca assai inferiore), e ciò sulla base di argomentazioni analoghe a quelle dell'appello ZO. (v. infra) - al quale qui si rinvia per il resto - ovvero in favore del Tribunale di Milano, sede della CONSOB chiamata ad approvare il prospetto da pubblicare (se ritenuto più grave il reato di falso in prospetto a seguito del raddoppio di pena disposto dall'art. 39 comma 1 della legge 262 del 2005, se e in quanto ritenuto applicabile). 2.3.9 Quindi, con motivi nuovi tempestivamente depositati, la difesa dell'imputato PI. ha ulteriormente argomentato in ordine: a) all'incompetenza territoriale del Tribunale di Vicenza; b) alla violazione dell'art. 210 c.p.p. e dell'art. 192 comma 3 c.p.p. in relazione all'escussione di vari testi; c) alla violazione del principio nemo teneturse detegere. Conclusivamente, quindi, l'appellante ha chiesto l'annullamento o la riforma della sentenza e dell'ordinanza di rigetto dell'eccezione di incompetenza territoriale contestualmente impugnate, instando per l'assoluzione dell'imputato Pi.An. con la formula più ampia. 2.4 Appello proposto da Zo.Gi. Avverso detta sentenza (e con contestuale riferimento alle ordinanze del GUP e del tribunale emesse rispettivamente nelle date del 19.5.2018 e del 7.5.2019, entrambe di rigetto della già proposta eccezione di incompetenza territoriale) ha interposto appello il difensore di Zo.Gi. con impugnazione che ha devoluto alla cognizione della Corte i punti ed i capi della sentenza relativi, nell'ordine, alla competenza territoriale, alla affermazione di penale responsabilità, alla condanna risarcitoria ed alle spese processuali, al trattamento sanzionatorio, al mancato riconoscimento del concorso apparente tra le fattispecie contestate, alla confisca per equivalente e, infine, alla mancata assunzione di perizia. 2.4.1 In particolare, dopo una "introduzione" (oggetto di trattazione al paragrafo 1 dell'impugnazione) finalizzata ad evidenziare gli effetti, ritenuti pregiudizievoli per la serenità del giudizio, della "pressione" esercitata, nel contesto locale, dagli organi di informazione (argomenti già posti a fondamento della richiesta di remissione del giudizio ex art. 45 c.p.p., pure disattesa dalla Corte di Cassazione) il difensore, con il primo motivo (oggetto di trattazione ai paragrafi da 2.1 a 2.8 dell'impugnazione), ha censurato il rigetto dell'eccezione di incompetenza territoriale. In effetti, premesso: - che la sentenza della Corte di Cassazione n. 15537/2018 del 7.12.2017, dep. 6.4.2018 era stata motivata sul rilievo della connessione per continuazione tra i reati, rispettivamente, di cui ai capi E1 e B1, con la precisazione che il più risalente reato di ostacolo alla vigilanza oggetto di tale ultimo capo di imputazione doveva intendersi verificato in Vicenza, in quanto luogo nel quale "vengono assunte le determinazioni degli organi sociali"; - che, in sede di udienza preliminare, era stata ribadita la competenza del Tribunale di Vicenza in ragione della ritenuta infondatezza della contraria tesi difensiva che sollecitava l'individuazione presso la sede, in Roma, della Banca d'Italia, destinataria della comunicazione ICAAP, del luogo di commissione di tale reato (infondatezza argomentata sul rilievo della necessità di valutare la competenza alla stregua del perimetro dell'imputazione, rispetto al quale dovevano ritenersi estranee le vicende relative all'invio della predetta comunicazione); - che il Tribunale, con ordinanza 7,5.2019, aveva nuovamente confermato tali conclusioni, dichiarando inammissibile l'eccezione difensiva (riproposta nei medesimi termini) in ragione della preclusione derivante dalla vincolatività della citata pronunzia della Corte di Cassazione e, in ogni caso, ne aveva sostenuto l'infondatezza in considerazione della necessità di ancorare il giudizio in materia di incompetenza alla prospettazione accusatoria che, nella specie, non contemplava la contestazione dell'invio della comunicazione ICAAP; - che, infine, nella sentenza impugnata, erano state ancora una volta ribadite le argomentazioni (vincolatività della sentenza della Corte di cassazione, non superata da fatti nuovi; estraneità al perimetro dell'imputazione di riferimento della condotta dell'invio alla Banca d'Italia della comunicazione ICAAP) esposte nella precedente ordinanza 7.5.2019, il difensore ha contestato le conclusioni cui era pervenuto, sul punto, il primo giudice. Quanto al primo profilo, era errato sostenere la vincolatività della decisione della Corte di Cassazione. Si era in presenza, infatti, di pronunzia attinente ad uno specifico thema decidendum (quello della necessità di dirimere il contrasto inerente all'attribuzione della competenza - rispetto a reati oggetto di provvedimento cautelare - all'autorità giudiziaria vicentina, ovvero milanese) in ordine al quale era rimasta del tutto estranea la questione della eventuale competenza del Tribunale di Roma, in quanto non ricompresa nel perimetro del devolutum (come desumibile dalla stessa lettura della citata sentenza n. 15537/2018, sentenza dalla quale emergeva chiaramente che la Corte di cassazione, ai fini della decisione del conflitto, non aveva preso in considerazione la circostanza, pure nota al giudice di legittimità, della sopravvenuta iscrizione per il reato di falso in prospetto e come, del resto, confermato dallo stesso tribunale di Vicenza, a pag. 240 della sentenza impugnata). In ogni caso la diversità delle parti dei procedimenti attinenti, rispettivamente, alla cautela ed al merito impediva che potesse legittimamente evocarsi, sul punto, qualsivoglia preclusione processuale. Quanto al secondo profilo, por, ha contestato l'estraneità dell'invio della comunicazione ICAAP alla Banca d'Italia rispetto al perimetro dell'imputazione di cui al predetto capo B1. A ben vedere, infatti, il riferimento alle comunicazioni ed alle segnalazioni all'autorità di vigilanza, siccome contenuto nel medesimo capo di incolpazione, avrebbe dovuto ritenersi, all'uopo, del tutto sufficiente, trattandosi di riferimento effettuato in modo generico (e, quindi, necessariamente tale da ricomprendere anche l'invio della citata comunicazione). Ciò posto, l'appellante: - evidenziato il difetto di vincolatività della decisione della Corte di Cassazione n. 15537/2018; - sottolineato che l'invio della comunicazione ICAAP (pacificamente costituente, per l'importanza di tale adempimento, il primo degli atti di sviamento della funzione di vigilanza) doveva ritenersi ricompreso nel perimetro dell'imputazione; - precisato, in ogni caso, che il tribunale ben avrebbe potuto attribuire a tale comunicazione il doveroso rilievo, senza affatto indebitamente anticipare un sindacato di merito sulla falsità della comunicazione medesima (donde, anche sotto tale profilo, l'infondatezza delle argomentazioni poste dal primo giudice a fondamento del rigetto dell'eccezione di incompetenza territoriale); - osservato, ancora, che l'indicazione del luogo di consumazione del reato siccome indicato in imputazione Vicenza") non poteva ritenersi vincolante, allorché, come nella specie, un diverso focus commissi delicti ("Roma", sede della Banca d'Italia) fosse ricavabile dagli atti posti a disposizione dei giudicante (il GUP, prima; il tribunale, poi); s e rimarcato, infine, che il primo giudice nell'esercizio del potere/dovere di correggere l'errore nel quale era incorso il P,M. nell'individuazione del luogo di consumazione del reato non avrebbe affatto incontrato i limiti costituiti, rispettivamente, dal carattere macroscopico dello sbaglio e dalle circostanze di fatto siccome descritte in imputazione, purché queste ultime fossero, come nella specie, risultanti ex actis (pena la violazione dei principi in materia di obbligatorietà dell'azione penale e di rispetto del giudice naturale precostituito per legge), ha ribadito l'incompetenza del tribunale di Vicenza per essere competente il tribunale di Roma e, pertanto, ha sollecitato la declaratoria di nullità delle impugnate ordinanze e, quindi, della sentenza che le aveva confermate. 2.4.2 Con il secondo motivo (oggetto di trattazione ai paragrafi da 3.1 a 3.6 dell'impugnazione), poi, ha contestato l'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, affermazione basata su una motivazione, al contempo, carente e contraddittoria rispetto a specifiche emergenze processuali. Per un verso, infatti, il tribunale aveva omesso di considerare molteplici elementi probatori, in primo luogo in relazione al tema, per vero decisivo, della mancata attivazione di "campanelli d'allarme", da parte degli organismi deputati alla vigilanza interna (e, segnatamente, dell'ufficio di In.) circa il fenomeno del capitale finanziato, ma anche ai profili della vicenda costituiti, nell'ordine, dalle caratteristiche del fenomeno in esame, dal ruolo svolto dall'imputato in relazione a tale fenomeno e, più in generale, dalla posizione rivestita dallo ZO. all'interno dell'istituto di credito. Per altro verso, poi, il percorso argomentativo della decisione appariva viziato, quanto alla posizione processuale del medesimo ZO., da marcati profili di contrasto cori le risultanze probatorie, oltre che di vera e propria illogicità con particolare riferimento alla presunta conoscenza, da parte dell'imputato, del fenomeno delle "operazioni baciate". Sotto il primo profilo (quello della mancata valutazione di emergenze probatorie favorevoli) il difensore ha sostenuto che l'imputato non era stato affatto portato a conoscenza del fenomeno del capitale finanziato da parte degli organismi di vigilanza interna e, in particolare, dai responsabili dell'In., i quali avevano dolosamente sottaciuto, sul punto, circostanze ed esiti ispettivi di assoluto rilievo. Deponevano in tal senso le dichiarazioni, in ordine all'assenza di flussi informativi interni relativi agli esiti delle verifiche compiute dall'Au. e dal Ri., dei testi Do. (membro del CdA dal 2009 e, successivamente, Presidente del Comitato Controlli, poi Comitato Rischi) e Za. (dal 2014 membro del Collegio Sindacale che, dallo stesso anno, aveva assunto la funzione di Organismo di Vigilanza). Peraltro, anche le deposizioni degli ispettori BCE Ga. e Ma. avevano evidenziato le carenze dell'In.. Inoltre, lo stesso teste Bo. aveva dichiarato di essere stato a conoscenza del fenomeno del capitale finanziato perlomeno dal 2012 ma di averne parlato solo nel corso dell'ispezione, rivolgendosi all'ispettore Ga., ed aveva soggiunto di non averne mai riferito al Collegio Sindacale né all'Organismo di Vigilanza, in quanto rassicurato dal successo dell'operazione di aumento di capitale del 2014. Il teste Es. (responsabile della funzione di Ri.), dal canto suo, con riferimento alle operazioni di investimento nei fondi lussemburghesi, aveva parimenti dichiarato di non avere effettuato segnalazioni di criticità, precedentemente a quella del 2014 inerente all'incremento degli storni. Infine, anche dalla deposizione del teste Ferrante (responsabile della Co.) era emerso che il Bo. aveva ignorato qualsivoglia segnale di allarme ed aveva omesso di portare a conoscenza di tali criticità il CdA, il Collegio Sindacale e l'Organismo di vigilanza. E, in effetti, la stessa intercettazione telefonica del colloquio intercorso il 28.8.2015 tra tale teste ed il predetto Bo. confermava che mai quest'ultimo aveva riferito alcunché allo ZO.. Così delineato il contesto di omissioni informative imputabili all'ufficio di In., il difensore ha richiamato una serie di episodi specifici ulteriormente dimostrativi delle gravi carenze ed omissioni in ordine al flusso interno di informazioni inerenti al fenomeno delle operazioni "baciate". Trattasi, segnatamente: dell'"insabbiamento" degli esiti delle verifiche di audit relative ad operazioni baciate poste in essere presso le filiali di Padova e di Manzano; - della denunzia effettuata, nel corso dell'assemblea del 2014, dal socio Da.Gr., "nemico storico" dello ZO., denunzia cui non erano poi seguite attività di controllo di sorta da parte del Collegio Sindacale, al quale, del resto, il responsabile dell'au. aveva negato l'esistenza di fenomeni di capitale finanziato; - delle dimissioni del private banker Vi., dimissioni delle quali l'imputato ZO. non aveva ricevuto informazioni esaurienti, come emerso dai testi escussi e, in particolare, come dichiarato dallo stesso Bo., per effetto di una determinazione ascrivibile al d.g. So.; - della vicenda delle tre lettere anonime inviate a B. negli anni 2013 e 2014, la prima (quella del 7.10.2013), priva di riferimenti al fenomeno del capitale finanziato, le altre non portate a conoscenza del presidente ZO. o, comunque, non seguite da precise informazioni indirizzate all'imputato inerenti al fenomeno del capitale finanziato; - dell'articolo del Sole 24 Ore a firma Cl.Ga. (articolo, peraltro, bensì contenente accuse in ordine alle pressioni rivolte alla struttura per l'acquisto delle azioni, ma non anche la descrizione del fenomeno del capitale finanziato), mai seguito da attività di riscontro da parte della Direzione Generale, ovvero della Funzione di Controllo, ed in relazione al quale, in ogni caso, non era stata predisposta e portata a conoscenza del Presidente una relazione ispettiva. In definitiva, nessun serio segnale d'allarme era stato mai rappresentato allo ZO., la posizione del quale, pertanto, sul punto, non poteva ritenersi differente da quella del coimputato ZI., pure dal tribunale assolto, ovvero da quella degli altri componenti del CdA e del Collegio Sindacale. Tutti costoro, infatti, erano stati tenuti all'oscuro, per volontà del d.g. So., di quanto emerso in relazione al fenomeno del capitale finanziato nel corso delle attività di audit. Di seguito, l'appello ha evidenziato convergenti elementi probatori che avevano delineato il profilo dello ZO. non già nei termini di uno scaltro "padre padrone" dell'istituto di credito, come pure ripetutamente affermato dal primo giudice, bensì come quello di un presidente, certamente energico ma niente affatto autoritario, il quale aveva investito ingenti risorse personali e familiari nella banca, confidando nella solidità dell'istituto (dal miliardo di lire nel 1995 ai 25 milioni di euro del 2015), a riprova della buona fede che ne aveva sempre ispirato la condotta. In particolare, il difensore ha richiamato plurime deposizioni testimoniali dalle quali era emerso che l'imputato: non era affatto aduso imporre le proprie decisioni; era presente raramente presso la sede dell'istituto; si occupava solo di questioni strategiche e non tecniche; non interveniva nelle pratiche di fido e non aveva avuto rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia; pur comprensibilmente aspirando all'incremento del valore delle azioni non aveva fatto pressioni in tal senso; non aveva un ruolo determinante nella gestione del personale; si limitava a firmare i comunicati B. che, quanto alla parte riferibile allo stesso presidente, erano predisposti dal dipendente Ca. Del resto - ha precisato l'appellante - le stesse deposizioni dei testi Se. e Ro., prima facie pregiudizievoli per la posizione dell'imputato, ad una più attenta lettura deponevano in senso contrario, posto che evidenziavano come lo ZO. non avesse mai avuto un ruolo tecnico all'interno dell'istituto e, comunque, non interferisse affatto nelle decisioni di tale natura. D'altronde, a smentire il ruolo di "monarca assoluto" dell'istituto di credito attribuito allo ZO. dal primo giudice concorreva anche la circostanza che mai l'imputato avesse presieduto alcun comitato esecutivo dal 2012 al 2015 (nonostante, secondo le previsioni statutarie, ne costituisse il vertice) e che, quanto ai Comitati di Direzione/Riunioni svoltisi dal 2011 al 2015, lo stesso ZO. (anche in tal caso diversamente da quanto sostenuto dal Tribunale che, infatti, aveva escluso la presenza dell'imputato al solo incontro del 10 novembre del 2014, peraltro II più importante) si era limitato a presenziare, solo per un breve saluto, a quello dell'8 novembre 2011. In tal senso, infatti, deponeva l'accurata analisi dei dati documentali disponibili e delle deposizioni assunte in dibattimento. Inoltre, nessun ruolo l'imputato aveva mai svolto con riferimento all'erogazione del credito nella consapevolezza della destinazione dei finanziamenti all'effettuazione di operazioni "baciate". In effetti la posizione dello ZO., al riguardo, non differiva da quella degli altri componenti del CdA che lo stesso primo giudice aveva ritenuto fossero rimasti all'oscuro del fenomeno del capitale finanziato (ivi compreso il coimputato ZI., assolto nonostante avesse compiuto, con la propria finanziaria, un paio di operazioni "baciate"). Sul punto, l'appellante ha richiamato plurime deposizioni testimoniali dalle quali emergeva il difetto di tale consapevolezza da parte dei componenti del consiglio, oltre alla importante conversazione telefonica del 28.8.2015, intercorsa tra il coimputato MA. e il responsabile audit Bo., nel corso della quale, al tentativo di quest'ultimo di indurre l'interlocutore a formulare un "atto di accusa" a carico dello ZO., all'evidente scopo di farne una sorta di capro espiatorio di quanto, oramai, andava inequivocabilmente emergendo, il MA. aveva ribattuto sostenendo di non avere fatto il nome del presidente in quanto il direttore generale So. non glielo aveva indicato espressamente come soggetto a conoscenza del fenomeno (ma si era limitato, come suo solito, a sostenere che aveva informato "chi di dovere") e, inoltre, aveva ribadito più volte che mai si era parlato "di baciate", alla sua presenza, con il presidente. Quanto, poi, alla svalutazione del titolo B. nell'aprile del 2015 da 62,50 a 48 euro, si era trattato, come palesato dal tenore di specifiche deposizioni testimoniali, di una decisione in relazione alla quale l'imputato aveva operato nel rispetto delle indicazioni fornitegli dagli organi preposti alla valutazione del titolo e, segnatamente, dall'esperto indipendente prof. Bi. (e, questo, nonostante lo stesso imputato ed i membri della sua famiglia fossero tra i principali azionisti della banca), mentre era stato il So. ad esprimere contrarietà alla svalutazione. In ordine alla predisposizione della "task-force", istituita con delibera del CdA del 28.4.2015, destinata a fronteggiare i problemi sorti con gli azionisti per effetto della svalutazione del titolo e ad affrontare la questione dei finanziamenti correlati, l'imputato era rimasto del tutto estraneo alla relativa iniziativa, in quanto, a partire dal mese di aprile, era stato di fatto esautorato da ogni ruolo nella banca, mentre l'unico dominus delle scelte gestionali ed imprenditoriali era l'amministratore delegato So., tanto che l'incontro dello stesso ZO. con il professionista esterno, avv. Ge., era stato solo fugace e formale. La prima conversazione telefonica intercorsa tra i due, del resto, aveva avuto luogo solo il 7 maggio 2015, al momento della cessazione dell'incarico, quando oramai le risultanze BCE erano emerse. Inoltre, con specifico riferimento alla scoperta delle lettere di garanzia, alla criticità dei fondi lussemburghesi ed alle risposte alle richieste degli ispettori BCE, l'appellante ha evidenziato che ZO., appena venuto a conoscenza dei primi esiti dell'ispezione, non aveva frapposto alcun ostacolo, ma si era attivato affinché la dirigenza fornisse piena collaborazione agli ispettori medesimi, tanto che a costoro erano state consegnate le lettere di impegno solo a seguito dell'intervento dell'imputato. Illuminanti, sul punto, erano le deposizioni degli ispettori Ga. e Ma., là dove il primo aveva riferito che l'imputato aveva dichiarato che la reazione dello ZO. era stata quella di sorpresa per l'entità del fenomeno in esame ed il secondo aveva precisato che le lettere di impegno erano state consegnate solo dopo l'intervento dello ZO. (il quale, peraltro, ad avviso del teste, non aveva colto appieno l'importanza del fenomeno del capitale finanziato, avendo manifestato preoccupazione soprattutto con riferimento al tema dei fondi di investimento e delle lettere di garanzia). Anche le deposizioni dei testi An., So., Co. e Fa., del resto, andavano nella medesima direzione, ovverosia deponevano nel senso della mancata consapevolezza, da parte del presidente, dei fenomeni illeciti (capitale finanziato/lettere di garanzia/fondi lussemburghesi). In relazione alle dimissioni dell'amministratore delegato So. poi, non si era affatto trattato di decisione adottata dal presidente per assicurare un commodus discessus al predetto onde garantirsi un "salvacondotto" a fronte dell'attività di accertamento della squadra ispettiva BCE. In effetti, non solo il tribunale non aveva considerato che i soli soggetti che avevano ottenuto dalla BCE tale "salvacondotto", tanto da essere rimasti estranei al procedimento, erano stati i veri responsabili delle irregolarità emerse (e, segnatamente, da un lato, i preposti ai controlli interni, i quali avevano violato tutti i doveri loro imposti dal ruolo ricoperto, nonché, dall'altro lato, i dirigenti/funzionari che avevano compiuto le "operazioni baciate"), ma aveva anche di fatto ignorato che ZO. mai aveva fatto ricorso ad un finanziamento per l'acquisto di azioni dell'istituto. In ogni caso, la velocità della "sostituzione" del So. era stata imposta dalla BCE che aveva sollecitato una immediata discontinuità nella gestione dell'istituto di credito, come puntualmente dichiarato dallo stesso ZO. in sede di dichiarazioni spontanee (udienza 25.6.2020) e come confermato da specifiche deposizioni testimoniali, in primis quella dell'ispettore Ma., il quale aveva riferito che la scelta di allontanare l'amministratore delegato era ascrivibile proprio alla BCE. Quanto, poi, al compenso milionario riconosciuto al So., le condizioni economiche assicurate a quest'ultimo nell'accordo - condizioni delle quali, peraltro, si erano esclusivamente occupati i dirigenti Ca. e Va. - erano state regolarmente comunicate alla BCE senza che ne derivassero obiezioni di sorta (se non la precisazione che il compenso avrebbe dovuto essere pagato in parte in azioni e, comunque, differito nel tempo). Del resto, la riferibilità alla BCE dell'avvicendamento dei vertici operativi era stata confermata, nel corso del proprio esame, anche dal coimputato GI. (sia pure con riferimento alla posizione del medesimo dichiarante). Infine, il tribunale neppure aveva considerato adeguatamente, per un verso, che ZO., prima di definire l'accordo di risoluzione del rapporto con il So., aveva contattato tutti i membri del CdA, in taluni casi incontrandoli personalmente (tanto che proprio lo ZI. - unico tra i consiglieri - aveva potuto manifestare le proprie perplessità, orientandosi nel senso del licenziamento); e, per altro verso, che la velocità e la spontaneità dell'avvicendamento erano funzionali a limitare il danno reputazionale per la banca. Anzi, lo ZO. non si era successivamente opposto all'iniziativa adottata dall'amministratore Io. di presentare un'istanza di sequestro delle somme pagate al So. ed aveva finanche promosso una azione giudiziaria verso quest'ultimo, obiettivamente incompatibile con l'intenzione di "comprarne il silenzio". Quanto, infine, alla condotta tenuta, negli ultimi mesi di presidenza, dall'imputato, quest'ultimo - il quale, peraltro, unitamente al CdA, già nei primi giorni di agosto 2015 (e, quindi, un anno prima dell'analoga iniziativa di Banca d'Italia) aveva dato incarico di presentare una denunzia presso la Procura della Repubblica di Vicenza - non aveva minimamente ostacolato gli accertamenti interni, lasciando al nuovo amministratore Iorio ogni compito inerente alle verifiche ed alle segnalazioni all'autorità giudiziaria. In definitiva, il primo giudice aveva omesso di considerare numerosi elementi probatori che, in relazione a plurimi e certamente significativi profili della vicenda, deponevano per l'estraneità dell'imputato alla concreta operatività della banca e, in particolare, alle condotte delittuose oggetto di addebito. Ciò posto, l'appello ha censurato la sentenza impugnata anche in relazione alle conclusioni cui era pervenuta in ordine alle caratteristiche del capitale finanziato. In effetti, il primo giudice si era totalmente adagiato sulla ricostruzione del fenomeno in esame siccome effettuata dai consulenti del P.M., giungendo alla conseguente conclusione che un sistema tanto pervasivo non avrebbe potuto essere ignorato dallo ZO. (sebbene, sempre secondo il tribunale, tutti gli altri membri del CdA, ivi compresi quelli che avevano effettuato, attraverso le società di riferimento, operazioni "baciate", fossero rimasti all'oscuro del fenomeno in esame). In realtà, il quadro rivelato dall'istruttoria dibattimentale era ben diverso. Innanzitutto, dalla deposizione del teste Gr. (amministratore delegato dell'istituto tra il 2001 e il 2011) era emerso, da un lato, che, nel suddetto periodo, i fisiologici problemi di liquidità "stagionale" delle azioni erano usualmente risolti mediante la richiesta di acquisti da parte di altre banche popolari, sulla base di intese che non prevedevano obblighi di riacquisto, se non "morali"; dall'altro, che si trattava di questioni rispetto alle quali ZO. - limitatosi costantemente a svolgere un ruolo istituzionale o, tutt'al più, strategico - non aveva concretamente operato. Ulteriori deposizioni testimoniali, poi, avevano consentito di attribuire solo alla persona del d.g. So. la decisione, occasionalmente adottata a fronte di situazioni specifiche, di ricorrere al finanziamento per l'acquisto di azioni proprie. Si era trattato, segnatamente, delle operazioni "De.Ro." e "Lo.Tr.". In effetti, unicamente a partire dall'anno 2012, a causa del perdurare della crisi mondiale (e, quindi, in un contesto nel quale molti clienti e soci avevano problemi di liquidità, sicché avevano iniziato a vendere in modo consistente azioni della banca), il fenomeno del capitale finanziato, per effetto dell'esclusiva iniziativa di So., aveva subito un incremento, con l'avvio di una pressione sulla rete commerciale della banca per il collocamento delle azioni medesime. D'altronde, sul punto, lo stesso coimputato GI., al di là della generica chiamata in correità di tutti i componenti del CdA della B. e di tutti i dirigenti di vertice, non aveva fornito specifici elementi probatori a carico dello ZO.. In definitiva - ha sostenuto l'appellante - tanto la genesi del fenomeno, quanto la sua successiva gestione, erano imputabili a decisioni operative facenti capo al predetto Sa.So.. Inoltre, il tribunale, pur in presenza delle marcate divergenze ravvisabili tra gli esiti degli elaborati predisposti, rispettivamente, dai consulenti del P.M. e della difesa, in ordine all'entità ed alle caratteristiche del fenomeno del capitale finanziato, per un verso aveva respinto la richiesta di perizia sul punto (peraltro motivando il rigetto unicamente con riferimento al profilo dell'entità di detto fenomeno); e, per altro verso, si era supinamente allineato alle conclusioni dei cc.tt. del P.M. (sostenendo, al riguardo, che la relazione del consulente della difesa prof. Gualtieri non aveva proposto una quantificazione alternativa del fenomeno in esame, senza tenere conto del fatto che era stata proprio l'assenza di prove disponibili circa la natura correlata o meno di talune operazioni ad avere impedito tale quantificazione alternativa). A tale riguardo, innanzitutto, il difensore ha evidenziato l'errore nel quale era caduto il tribunale, alla luce della disciplina (circolare 263/2006 di Banca d'Italia) vigente all'epoca di gran parte delle operazioni "incriminate", nell'escludere che la sussistenza del nesso teleologico tra finanziamento ed acquisto delle azioni costituisse dato rilevante per l'individuazione delle operazioni di capitale finanziato. Trattavasi, al contrario, di elemento all'uopo essenziale, non potendosi a tal fine unicamente considerare il fattore rappresentato dalla coincidenza temporale tra i due negozi, pena un automatico obbligo di deduzione dal capitale di vigilanza privo di effettivo ancoraggio normativo. Parimenti errata, poi, era la conclusione secondo la quale l'obbligo di deduzione avrebbe operato tanto con riferimento alle operazioni di acquisto di azioni dell'istituto di credito in sede di aumento di capitale quanto all'atto di acquisto di dette azioni sul mercato secondario. In realtà, poiché solo gli acquisti del primo tipo generavano, a carico della banca, un rischio di impresi; era solo a detti acquisti che conseguiva l'obbligo di deduzione. Che, poi, la disciplina di riferimento nulla precisasse sul punto, come pure evidenziato dal tribunale, derivava dall'ovvietà della circostanza. Né potevano confondersi, in ragione della diversa ratio economica di riferimento, i finanziamenti erogati in vista dell'aumento di capitale con quelli erogati per l'acquisto di azioni già emesse, con l'effetto che, proprio in ragione di tale differenza, solo i primi facevano scattare l'obbligo di deduzione dal capitale di vigilanza. Del resto, un esplicito ancoraggio normativo a tale interpretazione poteva ravvisarsi nella disposizione di cui all'art. 28 CRR, dalla quale era possibile evincere che gli strumenti rilevanti ai fini del CET 1 erano quelli interamente liberati e non finanziati dall'ente che li aveva emessi. Nella prospettiva dell'appellante, infatti, gli unici casi nei quali gli acquisti di azioni sul secondario comportavano l'obbligo di deduzione erano - come, peraltro, ben spiegato dal consulente prof. Gu. - quelli rispetto ai quali la banca si era assunta un obbligo di acquisto ad un dato valore nominale, ovvero che erano stati effettuati, a seguito di finanziamento, da clienti privi di merito creditizio. Questo proprio perché, in entrambi i suddetti casi, la banca finiva per assumere in proprio il relativo rischio di impresa. Ulteriore seria imprecisione nella quale era incorso il primo giudice, poi, era ravvisabile nel passaggio della motivazione nel quale era stato escluso che il merito creditizio assumesse rilievo ai fini della computabilità delle azioni finanziate nel patrimonio di vigilanza. In effetti, ciò era vero esclusivamente con riferimento alle azioni di nuova emissione. Infine, il giudizio del tribunale era stato ulteriormente viziato dalla confusione tra le pratiche di sviluppo commerciale tipico delle società cooperative ed il fenomeno del capitale finanziato. A ben vedere, infatti, la proposta ai clienti di diventare soci attraverso l'acquisto del pacchetto azionario minimo poteva essere legittima o meno a seconda della prospettazione di vantaggi ovvero dell'adozione di modalità ricattatorie incidenti sulla conclusione del negozio (quali, ad esempio, il subordinare la concessione del finanziamento alla previa acquisizione dei titoli). Tuttavia, le modalità eventualmente illegittime adottate nella vendita dei titoli non avrebbero per ciò solo reso "finanziata" una operazione che non aveva le caratteristiche per la deduzione. In definitiva il primo giudice aveva sbrigativamente liquidato le argomentate conclusioni del prof. Gu., giungendo ad esiti errati con specifico riferimento al grado di diffusione delle operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni. Ciò era dipeso dai vizi metodologici che avevano caratterizzato la consulenza disposta dal p.m., poi integralmente accolta dal tribunale. Quindi, l'atto di appello ha passato in rassegna le risultanze probatorie inerenti alle vicende, individuate secondo il "campione" (necessariamente parziale) selezionato dalla pubblica accusa e ritenute dal tribunale significative della conoscenza da parte dello ZO. del fenomeno del capitale finanziato e del ruolo concretamente rivestito, in proposito, dal predetto imputato. E, a tale disamina, il difensore ha premesso l'avvertenza che tutti i clienti coinvolti nelle operazioni "baciate", avendo subito perdite milionarie in ragione dell'azzeramento del valore del titolo, avevano reso deposizioni che ponevano non trascurabili problemi di piena attendibilità, sotto il profilo del disinteresse alla esatta ricostruzione dei fatti, e che, ciononostante, avevano fornito contributi testimoniali dai quali si ricavava l'estraneità dell'imputato ai fatti sub iudice. In particolare, il difensore ha rievocato la deposizione dell'industriale Al.Fe., il quale - nonostante avesse contratto operazioni "baciate" per circa 18 milioni e ad onta del suo incarico presso il CdA di Servizi Bancari - mai aveva riferito di avere parlato delle operazioni in questione con ZO. (e neppure con il presidente del Collegio Sindacale, Za.). Analoghe considerazioni, poi, valevano per le deposizioni rese da Ca. Em., Br.Ca., Bo.Lo., Ca.Pi. (nonostante questi avesse concluso operazioni "baciate" per venti milioni di euro), Fa.An. (il quale, sebbene non avesse concluso operazioni "baciate", aveva investito somme consistenti nelle azioni della banca), Fe.Lu., Bu.Sa., D.Fr.Ma., Da.Vi.Pi., Va.Lu., Ro.Gi. (il quale, pur avendo sostenuto che il presidente avrebbe dovuto necessariamente essere al corrente della questione, aveva tuttavia escluso di avere parlato di tale questione espressamente con il medesimo presidente o comunque, aveva precisato di non serbarne memoria), Br.Fa., Ta.Ed., Fa.Al., Ri.Fr., De.Ch.Re., Co.Il., Ti.Da., Ti.An., Ma.Si., Tr.Al., Se.Al., To.En., Ba.Al.Te., Se.Cl.. Altrettanto doveva dirsi, poi, con riferimento a quanto dichiarato da Ma.Va., amministratore del gruppo So., il quale aveva trattato una importante operazione esclusivamente con il d.g. So. (e con An.Pi. della Divisione Finanza), Infine, quanto alla deposizione di Ca.Si., il difensore ha evidenziato come costui, dopo avere sostenuto in sede di indagini che, allorquando aveva manifestato perplessità sull'operazione, il funzionario della banca che gli aveva proposto tale operazione aveva replicato che "Gi. e De.Fr." gli avrebbero potuto adeguatamente illustrare, in occasione di una cena, i dettagli dell'operazione, in sede dibattimentale aveva poi mutato versione individuando nello ZO. il soggetto che, secondo il medesimo funzionario, gli avrebbe potuto chiarire i termini della questione onde rassicurarlo. Si era in presenza, ad avviso del difensore, di una testimonianza davvero sintomatica dell'"inquinamento" della genuinità delle deposizioni conseguente ad anni di clamore mediatico in ordine alla posizione di "padre padrone" della banca che i media avevano attribuito allo ZO.. A ben vedere, dalle citate deposizioni testimoniali era emerso che mai l'imputato aveva intrattenuto rapporti con i clienti (tranne in qualche occasione di rappresentanza, ovvero istituzionale) e che, in ogni caso, mai con costoro aveva trattato (e ancora meno concluso) operazioni "baciate". Infatti, neppure nel corso delle occasioni di contatto conviviale (ivi comprese le cene organizzate da Lo.Tr.) ZO. aveva affrontato il tema delle operazioni "baciate". Ciò emergeva dalle deposizioni rese dai testi Mo., Lo.Tr., Ra.Gi.. Perfino un teste ostile come Lo.Da. era stato costretto a riconoscere che mai aveva avuto colloqui con l'imputato in merito alle "baciate", mentre il teste Ra. Silvano aveva unicamente riferito di rassicurazioni generiche fornitegli dallo ZO. a fronte di richieste formulate dallo stesso teste in termini altrettanto vaghi. Inoltre, anche le testimonianze degli "amici" dell'imputato deponevano tutt'altro che a sfavore di quest'ultimo, posto che: - Ca.Re. - cfr. anche deposizione Am. - aveva bensì goduto di tassi di favore, ma non aveva trattato la questione con l'imputato e, in ogni caso, non aveva concluso operazioni "baciate"; - Ri.Fe. aveva reso dichiarazioni assolutamente generiche; - Ir.Do. e, in particolare, il di lei figlio, Ha.Mi., non avevano trattato di operazioni "baciate" con ZO., bensì con altri interlocutori; - Ra.Fo.Fe., a sua volta, non aveva affrontato il tema delle "baciate" con l'imputato; - Be.de.Pa., il quale aveva parimenti affermato di non avere parlato delle "baciate" con ZO., non poteva ritenersi smentito dai testi Gi. e Ba., posto che l'affermazione in tal senso del primo giudice era sfornita di qualsivoglia apparato motivazionale di sostegno. Si aggiunga che, contrariamente a quanto sostenuto dal tribunale, né ZO., né le società del gruppo e neppure i familiari del predetto avevano mai concluso operazioni "baciate", fatta eccezione per il cognato dell'imputato, Zu.Fr., il quale, tuttavia, nelle dichiarazioni rese ex art. 391 bis co.2 c.p.p., acquisite al fascicolo del dibattimento, aveva precisato che mai ne aveva parlato con il proprio affine. La stessa "vicenda Ma." (vicenda che, trascurata in sentenza, è stata invece dettagliatamente ripercorsa nell'atto di appello) avrebbe dovuto ritenersi sintomatica, nella sua assoluta inverosimiglianza, del vero e proprio accanimento della pubblica accusa nella ricerca di elementi di responsabilità a carico dell'imputato. Neppure dalle dichiarazioni rese dai funzionari e dirigenti B. - ha proseguito l'appellante - era possibile desumere che ZO. fosse consapevole dell'esistenza del capitale finanziato. Nessuno di costoro, infatti, aveva avuto con l'imputato colloqui inerenti al fenomeno in esame, né aveva appreso da altri colleghi di conversazioni aventi tale oggetto alle quali avesse preso parte il presidente dell'istituto. Così era con riferimento alla deposizione del private banker Ri., dalla quale era peraltro emerso il rapporto di assoluta sudditanza tra il responsabile dell'audit Bo. ed il d.g. So.; così con riferimento alle deposizioni di Gi., dapprima responsabile della più importante area di B. e poi direttore interregionale; così, ancora, in relazione ai contributi dichiarativi: di Tu., direttore regionale (il quale aveva escluso che il coimputato GI. avesse mai parlato del fenomeno in esame allo ZO.), di To., vicedirettore e, quindi, direttore generale area Toscana, di Pa. (responsabile ufficio legale B.), di Ro., responsabile della Direzione Sviluppo, di Cu., capo area Friuli, di Ba., capo area Vicenza sud-ovest, di Te., private area Bassano, di Veronese, capo area Castelfranco e direttore regionale, di Ca., capo, area Treviso, di Da., capo area Vicenza nord, di Pi., direttore area Prato e, successivamente, direttore Veneto occidentale, di Bo., capo area Vicenza, di Ip., responsabile area Brescia, di Gi., di Ma., responsabile corporate Vicenza sud ovest, di Si., responsabile zona Th. e Sc., di Ni., capo zona Bassano, di Pr., capo area province Padova e Rovigo, di Ro., responsabile Ufficio Soci, di Be., viceresponsabile di area, di St., gestore di patrimoni private, di Sa., responsabile divisione estero, di Me., direttore della filiale di Asti, di Ta., direttore private e affluent; così, infine, in relazione alle deposizioni: di Pa. (deposizione pure valorizzata dal tribunale per sostenere il pervasivo controllo del presidente anche sull'operatività spicciola" e, segnatamente, in tema di campagne pubblicitarie); di Gi., direttore regionale di Lombardia, Piemonte e Liguria (il quale, con specifico riferimento alle operazioni "baciate" effettuate da Be.de.Pa., aveva bensì sostenuto che quest'ultimo ne avesse parlato con lo ZO., ma aveva precisato che il medesimo teste, personalmente, non aveva affrontato la questione con l'imputato) e di Ba.. Neanche dalle dichiarazioni dei soggetti addetti agli organi di controllo interno, ovvero dai membri dell'alta direzione (segnatamente, i coimputati), erano emersi elementi ai quali ancorare fondatamente l'affermazione della conoscenza, da parte dello ZO., del capitale finanziato. Quanto ai primi, l'appello ha richiamato le deposizioni del membro del Collegio Sindacale Za., nonché dei consiglieri di amministrazione Do., Co., Ro.di.Sc. e Ti., del vicepresidente Mo. e di Mi.. Quanto ai secondi il riferimento è stato all'esame reso, sul punto, dal coimputato ZI., il quale, per un verso, aveva decisamente escluso che in CdA fosse mai stato affrontato il tema in esame e che ZO. fruisse di un flusso informativo differenziato rispetto a quello degli altri consiglieri; per altro verso, con riferimento all'"operazione Ze.", aveva specificamente riferito che non si era parlato con ZO. di finanziamento correlato; e, per altro verso ancora, aveva evidenziato come l'imputato, a decorrere dagli anni 2012-2013, non avesse più avuto un'idea precisa dei conti della banca ed avesse maturato l'intenzione di dimettersi dalla presidenza nel 2016, in occasione dei 150 anni di vita dell'istituto. Peraltro, anche l'intercettazione del colloquio ZI.-Bo. del 25.8.2015 (inerente all'azione di responsabilità avviata dall'istituto nei confronti del d.g, So.) confermava il tenore delle dichiarazioni rese, con riferimento allo ZO., dal coimputato ZI.. Inoltre, ad essere valorizzate dall'appellante erano anche le deposizioni dei coimputati PI. e PE., oltre al tenore dell'intercettazione dei colloqui intercorsi tra il coimputato MA. e, rispettivamente, i funzionari Bo. (intercettazione nr. 259 del 28.8.2015) e Cu. (intercettazione nr. 526 del 9.9.2015), trattandosi di conversazioni dalle quali era stato possibile apprendere che tanto MA. quanto il Cu. non avevano mai affrontato con il presidente il tema delle operazioni "baciate". Quindi, con specifico riferimento alle dichiarazioni del GI. -dall'appellante qualificato come il vero e proprio dominus" fin dalle origini, di tutte le operazioni "baciate" - il difensore ha evidenziato come la generalizzata chiamata in correità formulata dal predetto (peraltro non accreditata di attendibilità in sentenza, se non con riferimento alla posizione dello ZO.) fosse stata smentita dai dati processuali disponibili e, segnatamente: - dal documento nr. 857 del P.M., costituito da un appunto manoscritto proveniente dallo stesso ZO., intitolato "dichiarazioni Gi." e contenente il riferimento al fenomeno dei finanziamenti correlati, documento dal quale era possibile arguire, sul piano logico, che l'imputato aveva appreso dell'esistenza di tale fenomeno solo allorquando, in data 4.5.2015, aveva raccolto le dichiarazioni del predetto GI.; - dalla deposizione resa il 3.7.2019 dal teste Tu., vice di GI.; - dall'intercettazione del colloquio intercorso tra La.Pi., membro del collegio sindacale, ed il medesimo GI., il quale ultimo neppure in un contesto di espliciti riferimenti ed ammissioni in ordine alle irregolarità degli storni e delle lettere di garanzia aveva coinvolto il presidente in dette irregolarità. Di analogo tenore, poi, era anche la conversazione nr. 2261, relativa al colloquio GI.-ZI. del 24 settembre 2015, trattandosi di colloquio dal quale emergeva che nessuno era a conoscenza dell'entità del fenomeno." D'altronde, nessun esplicito/implicito riferimento al tema delle operazioni "baciate" era contenuto in oltre 2000 ore di registrazione delle riunioni del CdA. In definitiva, il tribunale aveva ritenuto ZO. consapevole dell'esistenza del fenomeno del capitale finanziato pur in presenza di una sequela di testimoni che avevano deposto in senso contrario. Infatti, oltre un centinaio di testi erano stati escussi e pressoché tutti avevano concordemente affermato l'estraneità dell'imputato rispetto a tale fenomeno. Né, del resto, il giudice di prime cure aveva speso considerazioni di sorta per dimostrare la conoscenza in capo all'imputato della criticità dei fondi lussemburghesi, ovvero della presenza delle lettere di garanzia e degli storni, ovvero ancora degli interessi riconosciuti ai clienti che concludevano operazioni "baciate". Ma anche l'argomento, sostanzialmente unico, speso dal primo giudice a sostegno dell'affermazione di responsabilità - ovverosia il ruolo di vertice ricoperto dall'imputato all'interno dell'istituto di credito, in modo "pervasivo", secondo un modello "autocratico" e con una "logica padronale" - appariva obiettivamente infondato. Innanzitutto, non era affatto vero che ZO. avesse pilotato le decisioni degli esponenti di vertice dell'istituto (a partire dal d.g. So., fino ai membri del Collegio Sindacale e dei CdA), essendosi in presenza di interlocutori (imprenditori e professionisti) con competenze tecniche non certo inferiori a quella del presidente. Peraltro, l'istituto operava affidandosi al lavoro di tecnici esperti (era il caso, ad esempio, del prof. Bi.). Né persuadeva la valorizzazione, in chiave accusatoria, del fatto che le decisioni del CdA fossero assunte all'unanimità. In ogni caso, occorreva tenere distinto il piano della scelta "dello staff" e delle opzioni strategiche, inerenti alla politica di espansione della banca, da quello delle modalità tecniche di attuazione di tale "indirizzo politico". In effetti, l'imputato trascorreva pochissimo tempo presso la sede dell'istituto di credito (cfr. deposizione della teste Ca.Li.) e non conosceva ('"operatività tecnica" della banca (cfr. deposizione del teste Um.Se.). Era bensì temuto - in quanto era colui che "comandava", come riferito dal teste Pa. -ma questo non significava affatto che conoscesse il fenomeno del capitale finanziato. Del resto, l'ingerenza del presidente nella vendita delle azioni non poteva essere desunta dalle dichiarazioni rese, sul punto, dal predetto Pa. (dichiarazioni, peraltro, smentite dal teste di riferimento Ro.), né dai documenti prodotti dal P.M. sub 31 e 321 (trattandosi di documenti sostanzialmente irrilevanti sul punto), ovvero dall'autorizzazione data, dall'imputato alla vendita delle azioni possedute dallo ZI. (trattandosi di un membro del consiglio di amministrazione) e neppure, infine, dall'appunto redatto da So. recante la dizione "Ro. fascicoli procedure" (nulla essendo emerso sull'esatto oggetto della conseguente discussione). In ordine alla gestione della "divisione estero", poi, la deposizione del teste Sa. - il quale aveva riferito che il presidente era solito informarsi sull'andamento economico del settore - non provava certo che ZO. si fosse ingerito nell'attività tecnica della banca. Così come le dichiarazioni rese dall'imputato nella riunione 11.11.2014 in ordine ad un articolo di stampa che aveva messo in dubbio il valore del titolo non assumevano reale rilevanza in chiave accusatoria, in quanto non univocamente sintomatiche della conoscenza del fenomeno del capitale finanziato. Inoltre, quanto riferito dal teste Gi. - secondo il quale, a fronte delle difficoltà nella vendita delle azioni da parte dei soci che intendevano liberarsene, l'imputato aveva ipotizzato l'intervento della banca a mezzo finanziamenti - avrebbe dovuto essere interpretato non già come l'espressione di un parere favorevole al ricorso ad operazioni "baciate", bensì come una proposta di sostegno finanziario da erogarsi in favore degli stessi soci titolari dei titoli, in attesa della vendita degli stessi. Con riferimento, quindi, ai documenti valorizzati dal tribunale per affermare un ruolo operativo del presidente, l'appellante ha evidenziato; - quanto agli appunti di So. relativi alla riunione di budget 9.12.2011, che si trattava di documento che non dimostrava affatto un ruolo "operativo" del presidente; - quanto al documento 322 della produzione del P.M, che si era in presenza di una e-mail (nella quale il dipendente Ro. si lamentava di essere stato costretto, mentre era in ferie, a contattare il d.g. ed il presidente) parimenti priva di significativo rilievo sul punto; s quanto alla e-mail di cui al documento 320 della produzione del P.M., nella quale si riferiva che il presidente sosteneva "che occorre incrementare il possesso azionario delle Za.", che il reale significato di detta comunicazione era stato successivamente chiarito dal teste Ro. (il quale, sul punto, aveva precisato come Za. fosse un socio che stava a cuore allo ZO. in quanto "socio storico", sicché, in questa prospettiva, le istruzioni impartite dall'imputato perdevano di significato, non attestando affatto che il predetto avesse effettiva contezza dei portafogli delle singole posizioni); - quanto al documento 521 della produzione del P.M., che si trattava di una e-mail relativa ad un intervento di repricing dalla quale emergeva bensì l'esistenza di posizioni di "intoccabili" ma che, per un verso, non era diretta all'imputato e, per altro verso, neppure conteneva riferimenti a quest'ultimo. Allo stesso modo, privo di significativo rilievo in chiave accusatoria era il contenuto della trascrizione della seduta del Comitato di Direzione del 10.11-2014. In effetti i passaggi della suddetta trascrizione inerenti, da un lato, allo svuotamento del fondo azioni proprie attraverso il ricorso alla "Fondazione CR Lucca" e, dall'altro lato, alla circostanza che il presidente ed il d.g., avrebbero di lì a poco avuto un incontro con i rappresentanti di tale istituto, non significavano affatto, tenuto conto dell'esatto tenore delle espressioni nell'occasione proferite, che il suddetto incontro fosse stato fissato in vista dell'investimento, bensì l'esatto contrario. Inoltre, la frase "Il presidente vuole vedere i numeri", proferita da An.Fa. nel corso del medesimo comitato, attestava unicamente l'interesse dell'imputato ad approfondire, con il conforto dei dati, un non meglio precisato aspetto di quanto oggetto di discussione nel corso di tale seduta. Ad avviso dell'appellante anche i rapporti tra ZO. e So. - rapporti ai quali la sentenza aveva pure attribuito ampio risalto, interpretandoli nel senso di uno stretto rapporto di collaborazione tra i due - avrebbero dovuto essere diversamente spiegati. In particolare, nessuna "insana complicità", volta a coprire una operatività illecita, aveva spinto il primo a sostenere la nomina del secondo, nel febbraio del 2015 (ovverosia in un momento di palese criticità per l'istituto), a consigliere delegato, bensì il solo, comprensibile interesse a conferire maggiore autonomia gestionale ad un soggetto apicale nei confronti del quale l'imputato nutriva stima. Peraltro, anche i tre messaggi di cui ai documenti nn.ri 653, 654 e 655, espressamente richiamati m sentenza (e relativi a comunicazioni in cui MA. o GI. avevano sollecitato So. a parlare col presidente di alcune posizioni che sarebbero poi risultate "baciate") potevano essere ragionevolmente intesi come finalizzati a preparare il terreno affinché il presidente nulla avesse da eccepire sulla concessione dei finanziamenti, piuttosto che come espressione di un consapevole coinvolgimento dello ZO. in tali operazioni correlate. La stessa risoluzione del rapporto con il d.g., poi, era stata frutto di una decisione - assunta, peraltro, dopo che era oramai emersa la realtà dei fatti - condivisa dalla dirigenza. Inoltre, la repentinità di tale iniziativa, lungi dal dimostrare una complicità dell'imputato con il direttore generale, era espressione di virtuosa capacità di assicurare la necessaria soluzione di continuità nella gestione dell'istituto, coerentemente con le direttive della BCE. L'inserimento della clausola di riservatezza, infine, rientrava nella prassi ordinaria in situazioni consimili. Le conclusioni cui era pervenuto il tribunale - ha proseguito l'appellante - non trovavano sostegno neppure nelle intercettazioni telefoniche, posto che quella, già sopra citata, relativa al colloquio tra lo ZI. ed il Ba. (nel corso della quale il primo aveva sostenuto che ZO. e il direttore generale "viaggiavano a braccetto") non era altro che espressione della obiettiva sintonia tra i due (come spiegato, del resto, dallo stesso ZI.), ma non provava nulla di più. Quanto, poi, ai colloqui intrattenuti dal So. (nn.ri 459 del 31.8.2015, 300 del 7.9.2015, 610 del 2.9.2015, 845 del 6.9.2015), si trattava di conversazioni che non indicavano affatto che il presidente fosse a conoscenza delle operazioni di capitale finanziato (e, men che meno, della questione, connessa, inerente alla mancata decurtazione dal capitale di vigilanza), potendo, in effetti, prestarsi a differenti interpretazioni e, segnatamente, legittimando la conclusione di una ben più generica conoscenza dei fatti. Questo, a fortiori, ove si fosse debitamente considerato che il predetto So., nel periodo di riferimento (da collocarsi in una fase in cui gli accertamenti BCE avevano oramai portato alla luce le gravi irregolarità gestionali), aveva un evidente interesse a sminuire il proprio ruolo e a sovradimensionare quello dello ZO.. Inoltre, l'appellante ha preso in considerazione tutti i rapporti con la clientela considerati dal primo giudice espressione del coinvolgimento dello ZO. nelle operazioni correlate. Ebbene, anche in questi casi (assai pochi, peraltro in rapporto a quelli, molto più numerosi, in cui i clienti avevano escluso qualsivoglia rapporto con il presidente), le deposizioni degli investitori non provavano in alcun modo la responsabilità dell'imputato: - così era per Ca., il quale, del resto, aveva impiegato fondi propri per l'acquisto delle azioni; - così per Pi., posto che costui, pur avendo riferito di avere parlato con ZO. dei finanziamenti ricevuti per l'acquisto delle azioni, aveva reso una deposizione contraddittoria (anche alla luce del "memorandum" prodotto in dibattimento e dei documenti dalle difese, che ne smentivano la presenza tra gli ospiti che avevano soggiornato nella residenza dell'imputato di Ca.d.), tenuto peraltro conto delle reali finalità all'origine delle operazioni di acquisto di azioni dell'istituto effettuate dal predetto Pi., finalità non già "di cortesia", bensì speculative; s così per Be.de.Pa., il quale aveva negato di aver parlato col presidente delle sue operazioni di capitale finanziato (mentre le contrarie dichiarazioni de relato rese dal Gi. - espresse, peraltro, in forma dubitativa - erano state smentite, per l'appunto, dal teste di riferimento), - così per le dichiarazioni della Ir., posto che costei aveva riferito che l'imputato l'aveva dirottata sul direttore generale (e che il teste Cu. aveva precisato, al riguardo, che a trattare l'operazione erano stati il GI. ovvero il So.); - così, inoltre, per i fratelli Ra., tenuto conto del tenore generico delle relative deposizioni in ordine alle rassicurazioni ricevute dall'imputato circa l'andamento dei loro investimenti; - così, ancora, per quanto riferito dallo Zu. e dal Ri., essendosi in presenza di dichiarazioni che, a ben vedere, deponevano in termini esattamente contrari alla consapevolezza dell'imputato in ordine al fenomeno del capitale finanziato, - così, infine, per la testimonianza di Ro., in quanto la convinzione da questi maturata in ordine alla conoscenza, in capo allo ZO., dei finanziamenti correlati era frutto di una mera deduzione personale ("io faccio riferimento alia mia azienda, Le responsabilità sono sempre del presidente", "per svolgere il compito di presidente sicuramente avrà dovuto sapere tutto"...) non già di dati concreti aventi reale efficacia probante. Quindi, l'appellante ha rievocato la registrazione del colloquio che aveva avuto luogo, tra GI. e ZO., poco prima dell'inizio del CdA del 18.6.2013, colloquio inerente ai finanziamenti chiesti dall'imprenditore catanese Ri.Co.. Ebbene, che si fosse trattato di una richiesta finalizzata a porre in essere una operazione "baciata" era una conclusione cui il tribunale era pervenuto in assenza di adeguato sostegno probatorio. Infatti, per un verso, le dichiarazioni rese sul punto dal coimputato GI. erano contraddette dalla versione dello ZO., secondo il quale l'invito che lui stesso, nell'occasione di tale colloquio, aveva rivolto al predetto GI. E meglio essere prudenti, poiché chiacchiera, chiacchiera...") non dipendeva affatto dalla natura illecita delle operazioni che interessavano il Co. (operazioni nelle quali, pertanto, non era prudente coinvolgere soggetti delle cui riservatezza non si avevano garanzie), bensì dalla scarsa solidità patrimoniale di tale imprenditore; e, per altro verso, quest'ultimo aveva negato di avere mai affrontato con ZO. il tema dei finanziamenti inerenti all'acquisto di azioni. Questo, senza che la circostanza che dall'agenda dell'imputato risultasse un incontro tra i due potesse provare il contrario, ben potendo le parti avere discusso, nell'occasione di tale contatto, di operazioni diverse da quelle "baciate". Né il tribunale aveva minimamente illustrato le ragioni che lo avevano indotto a privilegiare la lettura dell'evento fornita dal coimputato GI. rispetto a quella proposta dal teste Coffa. Infine, neppure i rapporti tra ZO. e il gestore private Ri. rivestivano un rilievo gravemente indiziente. In effetti, sebbene quest'ultimo fosse stato uno dei maggiori artefici delle "baciate", la circostanza che avesse al contempo gestito il portafogli dell'imputato non provava alcunché. Piuttosto, il fatto che ZO. mai avesse posto in essere operazioni di tale natura (avendo egli sempre acquistato azioni della banca con risorse proprie) deponeva, sul piano logico, in senso contrario. In definitiva, la sentenza era caratterizzata, per un verso, dalla sistematica pretermissione dei dati probatori che orientavano nel senso dell'estraneità dello ZO. ai reati contestati e, per altro verso, dalla eccessiva valorizzazione degli "scarni e vaghi" elementi di prova emersi a carico dell'imputato medesimo. 2.4-3 Con il terzo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 4 dell'impugnazione), poi, l'appellante ha censurato l'affermazione di penale le responsabilità sul rilievo dell'assenza di riscontro in ordine alla sussistenza dell'elemento psicologico dei delitti oggetto di addebito. In effetti, la contestazione elevata a carico dello ZO. di avere avallato la prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto delle azioni dell'istituto - contestazione già assai problematica sotto il profilo della tipizzazione del contributo concorsuale asseritamente offerto dall'imputato, sul quale, in effetti, non incombeva alcuna posizione di garanzia attivabile in chiave di concorso omissivo nell'altrui reato - presupponeva la consapevolezza in capo allo stesso ZO. dell'esistenza del fenomeno in esame. Sul punto, il difensore, nel sottolineare, anzitutto, la problematicità della stessa definizione delle operazioni "baciate", a fortiori nel periodo in esame, allorché l'unico riferimento normativo era costituito dalla circolare 263/2006 della Banca d'Italia (circolare che parificava le operazioni di finanziamento effettuate dalla banca per finalità di acquisto di azioni proprie al riacquisto dei titoli), ha precisato che tale riacquisto, sotto il profilo contrattuale, era caratterizzato da un "atto coordinato" tra finanziamento ed acquisto delle azioni. Ebbene, ad avviso del primo giudice, perché scattasse l'obbligo di decurtazione dal patrimonio di garanzia dei finanziamenti concessi ai soci, era sufficiente che vi fosse, tra il credito concesso e l'acquisto dei titoli, una "relazione di tipo oggettivo". Tuttavia, tale conclusione contrastava con la natura propria delle Ba.Co., ovverosia di istituti di credito che frequentemente erogavano finanziamenti a soggetti che erano già soci, oppure lo divenivano contestualmente, con l'ulteriore complicazione conseguente alla stessa fungibilità del denaro (sicché era arduo stabilire, anche nel caso di contiguità cronologica tra finanziamento ed acquisto, se le risorse oggetto del credito erogato dalla banca fossero poi state utilizzate per l'acquisto delle azioni). Di qui - ad avviso dell'appellante - la necessità di ricorrere, per individuare le "operazioni baciate", proprio a quell'ulteriore criterio del "nesso teleologico" che era stato illustrato dal consulente della difesa, prof. Gu.. In effetti, i criteri adottati dagli ispettori BCE e, segnatamente, sia quello cronologico (con l'individuazione di un periodo di riferimento di "tre mesi"), sia quello quantitativo (secondo il quale l'ammontare finanziato avrebbe dovuto essere superiore al sottoscritto), non potevano ritenersi appaganti. In particolare il primo di tali criteri, privo di ancoraggio normativo, era stato stabilito unilateralmente ed in via convenzionale. In ogni caso l'insufficienza di tali parametri era emersa anche nel corso del dibattimento, là dove, per un verso, gli stessi cc.tt. del P.M. avevano evidenziato la necessità dell'esame delle singole posizioni riferibili alla clientela e, per altro verso, l'ispettore Ga. aveva segnalato l'esigenza di analisi dettagliata del conto corrente di ciascun cliente. Ebbene, era proprio la complessità delle operazioni necessarie per la comprensione del fenomeno a rendere inverosimile che il presidente avesse potuto apprendere delle operazioni "baciate" nel corso delle attività del CdA, ovvero dall'esame dei dati dei quali disponeva in virtù della carica ricoperta. Questo, a fortiori, ove si fosse prestata la debita attenzione al fatto che i finanziamenti correlati che avevano caratterizzato l'operatività di B. non erano stati "statici" ma erano spesso cambiati nel tempo in ragione di rimborsi ovvero per altre cause (come segnalato dal teste Tr. all'udienza 5.11.2019 e come evidenziato dallo stesso consulente del P.M. dott. Pa. all'udienza 12.11.2019, là dove questi aveva suggestivamente paragonato l'esito dell'attività di consulenza non già ad una fotografia del fenomeno in esame bensì ad un film che, di tale fenomeno, aveva seguito l'andamento a decorrere dal 30.6.2012 e fino al 31.3.2015). Fatta tale premessa e ulteriormente precisato come, con riferimento alla posizione dei coimputati ZI. e PE., il primo giudice avesse correttamente escluso il coinvolgimento di costoro proprio in considerazione della difficoltà di identificare una "operazione baciata", l'appello ha evidenziato, nell'ordine: - che lo ZO., per un verso, non era affatto dotato di una competenza maggiore di quella propria dello ZI. e, per altro verso, non aveva fruito di informazioni maggiori di quelle a disposizione di tale coimputato, come emerso nel corso dell'istruttoria e come già evidenziato nello stesso atto di impugnazione; - che la prova del dolo, tanto con riferimento alla componente rappresentativa quanto a quella volitiva, non tollerava il ricorso a schemi presuntivi (neppure se "agganciati" a ipotetiche ed indimostrate posizioni di "dominio informativo") e men che meno a "indici di sospetto", pena la trasformazione "della colpa in dolo" e la degradazione "del dolo ad eventualità di dolo", proprio per effetto di una inammissibile semplificazione probatoria; - che, con riferimento al tema della decurtazione dei finanziamenti dal patrimonio di vigilanza, lo scarto tra realtà effettiva e dati patrimoniali contabilizzati costituiva un elemento centrale nella ricostruzione dell'oggetto del dolo; - che era già l'impiego, per alludere alle operazioni "baciate", di una sequela di differenti espressioni ("operazioni baciate", "operazioni correlate", "operazioni K", "big ticket", "operazioni di portage", tanto che "ogni area aveva le sue definizioni come precisato dal teste Ba.) a rendere vago il concetto di riferimento; concetto, peraltro, parimenti indeterminato anche quanto alle modalità di ricostruzione (stante la evidenziata diversità di approcci "criteriologici"); - che, per la prova del dolo in ordine alle comunicazioni che avevano omesso di registrare, decurtandoli, i finanziamenti correlati, non poteva ritenersi sufficiente una generica consapevolezza (peraltro, nella specie, insussistente) del fenomeno in esame, ove non accompagnata anche dalla conoscenza della entità delle relative dimensioni in termini di significatività tali da alterare i valori patrimoniali di bilancio e, a cascata, quelli del titolo B.; - che la peculiare natura di banca popolare dell'istituto vicentino rendeva non agevole la distinzione tra la qualifica di socio e quella di "affidato", specie in assenza di censure da parte degli organi di controllo, tanto che, sotto il primo profilo, era generalmente ritenuto fisiologico che il socio avesse pacchetti azionari, depositasse le proprie liquidità in banca e si facesse anche finanziare dalla banca medesima, sicché disporre di informazioni al riguardo costituiva elemento probatoriamente "neutro" ai finì in esame (donde l'irrilevanza di quanto emerso in ordine alle comunicazioni intercorse tra alcuni soci ed il presidente ZO., anche in occasione delle cene periodiche); - che, tenuto conto della contestazione del reato in forma concorsuale, non erano emersi elementi di sorta per ipotizzare la tesi di un previo concerto tra i diversi coimputati ed ipotetici concorrenti; - che, in ogni caso, una eventuale "vaga conoscenza" della possibilità che fossero state realizzate alcune operazioni irregolari, la mancata decurtazione delle quali non avrebbe determinato significativi scostamenti del Tier 1, ovvero degli altri parametri di bilancio (plurime testimonianze, invero, avevano evidenziato come un minimo di operazioni irregolari sarebbero state tollerate o, comunque, considerate non materialmente rilevanti), non poteva certo equivalere alla rappresentazione (e successiva volizione) del fenomeno in concreto realizzatosi, la prova del dolo richiedendo la rappresentazione e volizione "del fatto storico nella sua globalità" (con 1 conseguente irrilevanza dell'eventuale conoscenza delle operazioni poste in essere dai soli clienti Pi., Da.Ro. o Ro.); - che, d'altra parte, neppure era consentito "compensare" un deficit del momento volitivo con un solido momento rappresentativo In definitiva, per non giungere ad una inaccettabile ed incostituzionale equiparazione tra conoscibilità e conoscenza dell'oggetto del dolo e per evitare, in sostanza, di travestire un rimprovero sostanzialmente colposo sotto le mentite spoglie di un rimprovero doloso, quei "segnali d'allarme" che la giurisprudenza aveva ripetutamente valorizzato quali indicatori tanto della componente rappresentativa quanto della "accettazione del rischio", non solo avrebbero dovuto essere "perspicui e peculiari", ma anche effettivamente percepiti come fattori annunciane un illecito in itinere. Ad essi, poi, si sarebbe dovuto necessariamente accompagnare il momento volitivo. Ebbene, nel caso di specie, i segnali d'allarme che l'imputato ZO. aveva ricevuto erano sostanzialmente gli stessi (difficoltà del mercato secondario; detenzione di azioni proprie da parte dei fondi; segnalazioni del socio Da.Gr. e dell'avv. Es.; articoli di stampa; riacquisti di azioni avvenuti nel 2014) che erano pervenuti agli altri componenti del CdA. Si era trattato, inoltre, di segnali vaghi e non precipui e, ad eccezione della vicenda del dipendente Vi., tutti già a conoscenza dell'autorità di vigilanza che, nondimeno, non aveva colto alcunché del fenomeno del capitale finanziato fino a quando, nel 2015, la BCE non aveva proceduto agli approfondimenti ispettivi. E, in ogni caso, i suddetti "segnali d'allarme" non erano stati percepiti dall'imputato (come, del resto, dagli ispettori di Banca d'Italia, dagli altri consiglieri di amministrazione e dai sindaci) in quanto tali, ovverosia come specifici e precipui. Comunque l'analisi di tutti gli "indicatori sintomatico-probatori" rivelatori del dolo eventuale (siccome indicati dalla giurisprudenza di legittimità nella nota Cass. Pen. Sez. (J., 18 settembre 2014, n. 38343, Thyssenkrupp) conduceva ad escludere che l'imputato fosse stato consapevole sia del fenomeno dei finanziamenti correlati, sia - ed in ogni caso - della sua reale entità. Nulla, comunque, avrebbe consentito di affermare che ZO., se avesse avuto certezza della irregolarità della situazione, avrebbe agito in un determinato modo (secondo la verifica controfattuale riconducibile alla c.d. "prima formula di Frank"), ovverosia avrebbe "avallato" la prassi in questione; prassi, del resto, che indeboliva il patrimonio della popolare e che, pertanto, andava in direzione esattamente opposta rispetto all'obiettivo di rafforzamento dell'istituto tenacemente perseguito dal presidente. E, sul punto, l'appellante ha richiamato la pronunzia delle SSUU 26.11.2009, Nocera, in ordine all'atteggiarsi del dolo eventuale nella fattispecie di ricettazione, per evidenziare la necessità, ai fini dell'affermazione della responsabilità penale dello ZO., della conoscenza, da parte del predetto, tanto della effettiva natura quanto della portata del fenomeno delle operazioni "baciate", non essendo all'uopo sufficiente un mero stato di dubbio ovvero di sospetto. Di qui la richiesta di assoluzione per assenza dell'elemento soggettivo dei reati, in difetto di adeguata prova sul punto. 2.4.4 Con il quarto motivo (oggetto di trattazione ai paragrafi 5 e 6 dell'impugnazione), l'appellante, in via subordinata, ha censurato l'incongruità del trattamento sanzionatorio. Innanzitutto, la pena irrogata allo ZO. era stata determinata in misura superiore rispetto a quella inflitta ai coimputati sulla base di quella inesistente posizione di assoluta egemonia all'interno della struttura di vertice dell'istituto di credito che, fondata esclusivamente sulla vox populi, aveva invece costantemente scandito le argomentazioni del tribunale, pur in difetto di ogni reale riscontro alla stregua degli esiti dell'istruttoria dibattimentale. Peraltro, si trattava di una dosimetria sanzionatoria configgente con la semplice considerazione del ruolo dallo stesso primo giudice attribuito allo ZO. nella vicenda delittuosa in esame, essendosi egli, anche nella prospettiva del tribunale, limitato ad avallare una prassi da altri ideata ed attuata. Sul punto, l'appellante ha infatti ribadito come l'imputato si fosse limitato a svolgere funzioni strategiche e di rappresentanza, astenendosi dal partecipare ai comitati esecutivi e a quelli di direzione, non avesse rilasciato alcuna lettera di garanzia e fosse anche rimasto del tutto estraneo alla vicenda dei fondi lussemburghesi. Anche sotto il profilo dell'intensità del dolo, poi, fi trattamento sanzionatorio non trovava alcuna giustificazione, solo a considerare che l'imputato aveva investito, negli aumenti di capitale dell'istituto, un patrimonio personale di più di venti milioni di euro, peraltro senza mai ricorrere ai finanziamenti della banca. In ogni caso, l'incongruità della pena inflitta era palese ove confrontata con quelle irrogate ai coimputati e, in particolare, al GI., il cui ruolo centrale nell'operatività delittuosa era stato pure espressamente evidenziato dallo stesso tribunale. In definitiva, tutti i parametri ex art. 133 c.p. (e, segnatamente, quelli inerenti alle modalità dell'azione, alla capacità a delinquere, ai motivi a delinquere, alla assenza di precedenti penali, alla condotta di vita antecedente e successiva al reato, al comportamento processuale ed alle condizioni di vita individuale, familiare e sociale) avrebbero dovuto univocamente orientare per il contenimento della pena al minimo, anche con riferimento agli aumenti irrogati a titolo di continuazione per i reati considerati satelliti. Peraltro, a tale ultimo riguardo (ovverosia quello inerente alla pluralità degli addebiti), l'appellante ha lamentato la violazione del divieto di bis in idem sostanziale e del principio del nemo tenetur se detegere. Ciò in quanto, per un verso, le diverse contestazioni (tanto con riferimento alle condotte di ostacolo alla vigilanza quanto a quelle di aggiotaggio) apparivano in realtà riconducibili ad un unico reato; e, peraltro verso, la consumazione della prima condotta di ostacolo alla vigilanza contestata sub B1 avrebbe necessariamente implicato le successive condotte delittuose, pena l'autoincriminazione per tali ulteriori reati. Sotto il primo profilo, infatti, l'informazione taciuta, ovvero falsata, era stata sempre la medesima (ovverosia l'esistenza di finanziamenti correlati che avrebbero comportato lo scomputo del relativo controvalore dal patrimonio di vigilanza), donde la configurabilità, con riferimento all'ipotesi delittuosa ex art. 2638 c.c., pur a fronte di una pluralità di condotte, di un unico reato (analogamente, del resto, a quanto previsto dalle fattispecie di cui agli artt. 513 bis, 609 octies c.p., parimenti caratterizzate dalla considerazione di una pluralità di "atti", rispettivamente, di concorrenza illecita e di aggressione sessuale). Avrebbe dovuto orientare in tal senso una interpretazione conforme ai principi costituzionali di proporzionalità della pena, a fortiori considerato che, nel caso di specie, erano riscontrabili tanto l'identità dei titolari degli interessi lesi dalle condotte contestate quanto la "unicità della spinta motivazionale". Peraltro, nella peculiare vicenda sub iudice, si era in presenza di una triplicazione di fattispecie a fronte di un identico nucleo fattuale di riferimento, consistente nel supposto occultamento del fenomeno delle operazioni "baciate" e nella conseguente alterazione dei dati patrimoniali, nucleo dal quale erano in effetti scaturite tanto le condotte di alterazione del prezzo dell'azione, quanto quelle di falsità in prospetto, quanto, infine, quelle di ostacolo alla vigilanza. Ebbene, il divieto di bis in idem sostanziale, finalizzato ad evitare eccedenze sanzionatone irrispettose del principio di proporzionalità della pena (divieto la cui portata sostanziale era stata recepita, nel solco delle pronunzie della Corte Edu e delia Corte di Giustizia Ue, anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza 43/18), avrebbe imposto, in ragione della sovrapponibilità fattuale delle imputazioni, l'esclusione del concorso dei reati, segnatamente facendo applicazione del principio di consunzione, con conseguente "sopravvivenza" della sola fattispecie di ostacolo alla vigilanza, più grave in ragione della contestazione della relativa aggravante di cui al terzo comma della disposizione incriminatrice di riferimento. Tale soluzione, del resto, sarebbe stata anche coerente con la doverosa considerazione del richiamato principio del nemo tenetur se detegere, rispetto al quale non poteva condividersi quanto sostenuto dal tribunale in ordine alla sua portata sostanzialmente limitata all'ambito processuale. In particolare, sul punto, per contestare la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva affermato che il principio in esame non avrebbe potuto trovare applicazione al di fuori dei casi previsti ex art. 384 c.p., l'appellante ha richiamato la sentenza della Corte di giustizia UE 24.2.2021 (là dove era stato riconosciuto, in conformità con i principi di cui agli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, il diritto al silenzio di chi fosse stato richiesto dall'autorità amministrativa di fornire notizie che avrebbero potuto esporlo a sanzioni penali), nonché la sentenza della Corte Costituzionale n. 112/19. 2.4-5 Infine, con il quinto motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 7 dell'impugnazione), l'appellante ha censurato la violazione della disciplina in materia di confisca. In primo luogo, premesso che il tribunale aveva disposto la confisca per equivalente per un ammontare pari all'entità dei finanziamenti erogati per le operazioni "baciate" (considerando tali finanziamenti come i "beni utilizzati per commettere il reato", alla stregua della lettera dell'art. 2641 c.c. e delle considerazioni svolte, sul punto, dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza 112/19), l'appellante ha anzitutto censurato la decisione impugnata per la mancata previa verifica della concreta praticabilità della confisca diretta. In effetti, le considerazioni svolte dal primo giudice - là dove il tribunale aveva argomentato detta impossibilità sul rilievo della sottoposizione dell'istituto di credito a liquidazione coatta amministrativa -non trovavano affatto il conforto della univoca giurisprudenza di legittimità, essendo riscontrabile, in proposito, un contrario, preferibile orientamento. Per vero, l'esistenza di una procedura concorsuale non avrebbe potuto essere considerata preclusiva della confisca diretta dei beni della società, come anche precisato da recenti arresti della giurisprudenza di legittimità non solo con riferimento alla ablazione del profitto dei reati ma anche dei beni utilizzati per commetterli (Cass. Sez. V, 21.1.2020, nr. 5400; Cass. Sez. nr. 6391 del 4-18.2.2021). Peraltro, anche con riferimento al "conflitto" ravvisabile tra il vincolo imposto dall'apertura della procedura e quello discendente dal sequestro, la giurisprudenza di legittimità aveva affermato la prevalenza del vincolo del sequestro (Cass. Sez. III, 18.1.2020, nr. 15776). Infine, neppure sussisteva, nel caso di specie, l'unico ostacolo effettivamente in astratto ravvisabile rispetto alla confisca diretta - ovverosia quello della riferibilità dei beni da sottoporre a confisca a soggetto estraneo al reato - non potendosi l'istituto di credito ritenere tale, avendo pacificamente tratto profitto dalla commissione dei reati. In secondo luogo, l'appellante ha evidenziato come sottoporre a confisca i finanziamenti concessi dalla B. per l'acquisto delle azioni proprie in quanto "beni utilizzati" per commettere i reati di cui agli artt. 2637 e 2638 c.c., avrebbe violato i prìncipi costituzionali. In proposito ha richiamato la già citata sentenza Corte Cost. 112/19 che, ravvisata la natura sostanzialmente punitiva della confisca ex art. 187 sexies TUF in relazione ai beni utilizzati per commettere l'illecito in questione, aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale della disposizione in esame nella parte in cui prevedeva la confisca obbligatoria, diretta o per equivalente, del prodotto dell'illecito e dei beni utilizzati per commetterlo e non del solo profitto. Questo, sul rilievo dei principi della personalità della responsabilità penale, della proporzionalità ed individualizzazione della pena e del necessario orientamento rieducativo della stessa. Sicché, tenuto conto del contenuto - del tutto speculare - ravvisabile tra la disposizione oggetto della citata declaratoria di incostituzionalità e quella di cui all'art. 2641 cc., ha sollecitato la Corte territoriale a fornire una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione da ultimo citata, con conseguente revoca della confisca disposta nei confronti di Zo.Gi., ovvero, in alternativa, a promuovere il relativo incidente di costituzionalità. Conclusivamente, l'appellante ha chiesto: - in via preliminare, dichiararsi l'incompetenza territoriale con conseguente trasferimento del procedimento all'autorità giudiziaria di Roma; - ai sensi dell'art. 603 c.p.p., disporsi la rinnovazione del dibattimento con escussione dei testi specificamente indicati nell'impugnazione e con l'espletamento di perizia ai fini di accertare entità e caratteristiche del fenomeno del capitale finanziato; - in via principale, assolversi l'imputato per non avere egli commesso il fatto, ovvero perché il fatto non costituisce reato e, conseguentemente, revocarsi la condanna al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili; - revocarsi la confisca per equivalente per mancata previa verifica della praticabilità della confisca diretta nei confronti di B.; - in ogni caso, escludersi la possibilità di applicare la confisca per equivalente in relazione ai beni utilizzati per commettere il reato, ovvero, in via gradata, sollevarsi la questione di costituzionalità con riferimento alla disposizione di cui all'art. 2641, co.2, c.c. per contrasto con gli articoli 3, 27, 42 Cost; - in via subordinata, previo assorbimento delle fattispecie di aggiotaggio e falso in prospetto nel più grave delitto di ostacolo alle funzioni di vigilanza, applicarsi il solo trattamento sanzionatorio previsto per tale ultima fattispecie; - comunque, contenersi la pena nel minimo e, questo, tanto con riferimento alla pena base quanto agli eventuali aumenti a titolo di continuazione, previo riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di prevalenza. 2.4.6 Quindi, con motivi nuovi tempestivamente depositati, i difensori dell'imputato hanno ulteriormente argomentato in ordine alla erroneità della sentenza impugnata con riferimento alla confisca. Inoltre, hanno sollecitato la rinnovazione dell'attività istruttoria nei termini più oltre precisati. Sotto il primo profilo, da un lato, hanno richiamato, oltre alla già citata sentenza della Corte Costituzionale 112/19, le precedenti pronunzie del Giudice delle leggi nn.ri 68/17, 223/18 e 63/19, onde evidenziare la natura di sanzione penale non solo della confisca per equivalente ma anche di quella diretta, stante la sua valenza punitiva là dove la stessa abbia un carattere peggiorativo rispetto alla situazione patrimoniale precedente all'illecito; e, dall'altro, hanno evocato la recente modifica legislativa dell'art. 187 TUF per effetto della Legge Europea 238/21 (che ha escluso che potesse disporsi la confisca del prodotto del reato di abuso finanziario nonché dei beni utilizzati per commetterlo), trattandosi di innovazione legislativa inequivocabilmente attestante come, anche in materia penale, la confisca non possa eccedere il profitto dell'illecito. Conseguentemente, hanno denunziato l'illegittimità costituzionale, non solo, come già sostenuto negli originari motivi, della disposizione di cui all'art. 2641, 2° co, c.c., ma anche di quella di cui al comma primo del medesimo articolo, là dove dette disposizioni prevedono la confisca dei beni utilizzati per commettere il reato, ovvero di beni dal valore equivalente. Si tratterebbe, infatti, delle uniche (residue) ipotesi di disposizioni dell'ordinamento che, nell'ambito dei delitti finanziari, continuerebbero a prevedere la confisca dei beni utilizzati per la commissione del reato, peraltro attraverso il ricorso ad un criterio di quantificazione "rigido", non commisurato alla condotta del reo e non proporzionato al profitto eventualmente da questi conseguito, con violazione, sul punto, dei parametri di cui agli artt. 3, 27 Cost.. Di qui la richiesta, in via prioritaria, di interpretazione di dette disposizioni in modo conforme alla Legge fondamentale, con conseguente limitazione della confisca disposta nei confronti dell'imputato al solo profitto del reato. In subordine, hanno sollecitato la Corte a sollevare incidente di costituzionalità. In via di estremo subordine, infine, hanno chiesto la revoca della confisca perché applicata in difetto del requisito della sussidiarietà, stante la mancata verifica della praticabilità della confisca diretta nei confronti della società, non costituendo, sul punto, la procedura concorsuale un ostacolo decisivo. Sotto il secondo profilo, poi, hanno sollecitato - evocando la giurisprudenza della Corte Edu formatasi in relazione all'art. 6 CEDU - la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale e, segnatamente, hanno chiesto l'escussione dei membri del CdA e del collegio sindacale che, già citati nel giudizio di primo grado, si erano in quella sede avvalsi della facoltà di non rispondere in quanto indagati, trattandosi di soggetti la cui posizione era stata medio tempore definita con provvedimento di archiviazione, con conseguente mutamento del regime giuridico di escussione testimoniale. Il principio di effettiva oralità, infatti, avrebbe imposto l'audizione dei testimoni - a fortiori nel caso di fonti mai escusse - non solo nel caso di giudizio d'appello che faccia seguito a sentenza di assoluzione, ma ogniqualvolta si imponga il riesame di una causa, in fatto o in diritto. E, nel caso di specie, le testimonianze dei componenti del CdA e del collegio sindacale rivestirebbero il carattere della decisività ai fini della comprensione dell'effettivo ruolo svolto dallo ZO. nell'ambito di B., tenuto peraltro conto delle peculiari considerazioni svolte, sul punto, nella sentenza di primo grado. Di qui la richiesta di escussione dei testimoni Br., Mo., Do., Zu., Ti., Pa., Sb., Bi., Ma., Fa., Za., Ca. e Pi.. 2.5 Appello proposto da Zi.Gi. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello anche il difensore di Zi.Gi.. 2.5.1 In particolare, con il primo motivo, l'appellante ha lamentato la erronea formula assolutoria adottata dal tribunale ("perché il fatto non costituisce reato") a fronte di un compendio probatorio che avrebbe dovuto necessariamente orientare per un proscioglimento motivato dalla estraneità dell'imputato alle condotte oggetto di imputazione, ovvero dall'insussistenza dei fatti allo stesso ascritti. A ben vedere, del resto, lo stesso apparato argomentativo della decisione era caratterizzato da plurimi, significativi passaggi nei quali, da un lato, si era dato atto dell'assenza "di alcuna significativa prova del coinvolgimento dell'imputato nella programmazione e/o attuazione delie condotte di manipolazione dei mercato e di ostacolo alla vigilanza, siccome cristallizzate nelle imputazioni" (così era dato leggere alle pagg. 768 e ss. della sentenza); e, dall'altro, si era precisato che "le condotte 0 addebitate a ZI. attengono alla sua operatività in veste di cliente coinvolto in operazioni illegittime", sicché "desumere da ciò la prova di un concorso materiale di condivisione operativa delie condotte manipolatone e di falsa informazione al mercato ed alla vigilanza" avrebbe comportato " una inammissibile semplificazione probatoria..." (così alle pagg. 771 e ss.). 2.5.2 Quindi, con il secondo motivo, ha censurato la erroneità della individuazione e della valutazione delle operazioni di finanziamento correlate all'acquisto di azioni Banca (...) che avrebbero dovuto essere detratte dal capitale della banca con riferimento all'"operazione Ze." In effetti, era errato ritenere che la Ze. s.r.l. avesse acquistato azioni dell'istituto di credito in attuazione di una operazione correlata. Si trattava, in particolare, di una conclusione alla quale il primo giudice era pervenuto sulla scorta delle deposizioni dei testi Ba. e Criscuolo, della contabilizzazione dei relativi interessi e del contenuto del memorandum redatto dall'imputato. Sennonché: - incontestato il fatto che la Ze. s.r.l. avesse impiegato, per l'acquisto di azioni B., finanziamenti erogati dallo stesso istituto di credito; s e considerato che, per unanime riconoscimento, costituiva prassi comune quella dell'erogazione di credito da parte delle banche popolari in favore dei rispettivi soci (come precisato dal teste Barbagallo, le dichiarazioni del quale, del resto, erano state anche riportate nella relazione scritta fornita nel corso dell'audizione parlamentare), ha osservato l'appellante che quella compiuta da Ze. s.r.l. non poteva affatto definirsi una operazione correlata. Sul punto, infatti, il tribunale aveva acriticamente sposato la tesi dei cc.tt. del P.M. - i quali, per individuare quali fossero le cc.dd. operazioni "baciate", avevano all'uopo considerato ogni finanziamento che fosse stato utilizzato per l'acquisto di azioni dell'istituto (a prescindere, quindi, dal tempo intercorso tra finanziamento ed acquisto, nonché dalla stessa percentuale riscontrabile tra entità del capitale erogato ed importo impiegato per l'acquisto dei titoli) - e, così facendo, aveva del tutto trascurato le contrarie, argomentate considerazioni spese dal prof. Pe. e dal prof. Gu., consulenti, rispettivamente, delle parti GI. e ZI.-ZO., là dove costoro avevano dettagliatamente evidenziato come, al fine di individuare correttamente le "baciate", si sarebbero dovuti considerare gli ulteriori criteri del "nesso teleologico" e (nell'ipotesi di acquisto di titoli sul mercato secondario) del "merito creditizio" (come anche precisato, a tale ultimo riguardo, dal teste Pa. il quale, in effetti, aveva sottolineato l'importanza, quale canone interpretativo, proprio del concetto del rischio di impresa). In ogni caso, la varietà dei criteri utilizzabili sul punto - e, quindi, l'incertezza che regnava in materia - era palesemente emersa dalle variegate prassi operative adottate, in proposito, dagli organi di vigilanza (CONSOB/Banca d'Italia/società di revisione). Del resto, gli stessi PP.MM., nel corso delle rispettive requisitorie (così come nella richiesta di archiviazione nel procedimento RGNR 3862/16 iscritto a carico di tutti i membri del CdA), avevano dato mostra di essere ben consapevoli di ciò. Ebbene, nel caso della Ze. srl era decisivo considerare che tale società aveva rimborsato l'intero finanziamento di 14 milioni (versando 8,5 milioni attinti dalla liquidità propria e 5,5 milioni derivanti dalla vendita parziale degli 11 milioni in azioni B. detenuti da tale società), nonostante tale restituzione fosse poi stata del tutto obliterata nella sentenza impugnata. Più nel dettaglio, l'appellante ha precisato: - che Ze. s.r.l. era una holding finanziaria ed immobiliare, nell'ambito della quale l'imputato - il quale, peraltro, poiché quotidianamente impegnato presso l'Associazione Industriali, si recava di rado presso la sede della suddetta società - si occupava delle partecipazioni (all'epoca ammontanti, complessivamente a circa 15 milioni), mentre il fratello, Zi.Gi., curava gli investimenti immobiliari (all'epoca aventi un valore complessivo di circa 10 milioni); - che i fratelli ZI., nell'anno 2008, con i proventi della vendita delia partecipazione nella società Tr., avevano acquistato, per un controvalore di 1,2 milioni di euro, azioni B. ed avevano altresì sottoscritto, per un valore di 300.000 euro, un prestito obbligazionario convertibile, così portando la loro partecipazione nell'istituto di credito ad un valore di circa 1,5 milioni di euro (valore al quale si doveva poi aggiungere quello delle azioni detenute a titolo personale); - che, quindi, tra i titoli posseduti tramite Ze. s.r.l. e quelli posseduti dall'imputato a titolo personale, si era in presenza di strumenti finanziari aventi un valore complessivo di circa 8,5 milioni di euro, sicché lo stesso imputato, dopo il presidente ZO., era il maggior azionista della banca e, quindi, tra i soggetti che avevano subito il danno più consistente (al quale, peraltro, doveva aggiungersi il pregiudizio rappresentato dagli oltre 700,000 euro pagati a titolo di interessi passivi per i finanziamenti ottenuti dalla predetta Ze. s.r.l.); - che, nel 2012 - ovverosia nel periodo nel quale si collocavano le operazioni oggetto di contestazione - Ze. s.r.l. aveva in essere una pluralità di trattative commerciali (alcune poi concretizzatesi, altre no) per un importo complessivo di 14-15 milioni di euro (tra le operazioni in questione l'appellante ha dettagliatamente richiamato quelle relative ad "Ar", a "Do.", a Sa.Im." ed a "Ne.Co.") e, non avendo la liquidità necessaria per portarle a termine, aveva ricercato sul mercato un idoneo finanziamento, innanzitutto rivolgendosi ad U., con cui già intratteneva rapporti, e, successivamente, stanti le difficoltà operative che erano emerse (segnatamente, la necessità di disinvestimento di strumenti finanziari, come precisato dal teste Vi.), seguendo il suggerimento di Gi.Em., a B.; - che era stato intorno alla fine di settembre - inizi di ottobre 2012 che il GI. aveva iniziato ad istruire la pratica di finanziamento per un importo di 12,5 milioni di euro, importo dalla banca ritenuto coerente con il merito creditizio di Ze. s.r.l.; - che solo successivamente - in un "secondo momento" (rispetto all'avvio della pratica di finanziamento) seguendo la terminologia dell'appellante - era stato comunicato a B. che parte di questo importo, pari a circa 2,5 milioni di euro, sarebbe stato impiegato per l'acquisto della partecipazione in Ar., come precisato dai testi Ba. e Cr., il quale ultimo figurava come il proponente della P.E.F. (proposta di fido elettronica), peraltro significativamente caratterizzata da una motivazione sottostante tutt'altro che generica; - che solo a questo punto (e, quindi, in un "terzo momento") lo ZI. era stato richiesto di investire la rimanente somma di 10 milioni di euro (somma che non aveva ancora impiegato, né lo avrebbe fatto a breve) in azioni della banca, fermo restando che, non appena Ze. s.r.l. avesse venduto dette azioni, avrebbe investito il relativo importo nell'acquisto di partecipazioni in altre società, come desumibile, ancora, dalle deposizioni dei citati Ba. e Cr.- Ebbene, tale scansione degli eventi rendeva evidente come l'operazione conclusa da Ze. s.r.l. con B. non fosse affatto una operazione di "portage". Quindi, con riferimento all'Aucap 2013, il difensore ha evidenziato che si era trattato dell'adesione, da parte di Ze. s.r.l. all'operazione di aumento di capitale, adesione effettuata utilizzando, per l'importo complessivo di 1 milione di euro (500,000 euro investiti in azioni, altrettanti in obbligazioni), parte del fido di 1,5 milioni concesso dall'istituto, il tutto mentre la restante parte del finanziamento era stata destinata all'impiego in altre operazioni commerciali, come dettagliatamente riferito dall'imputato nel corso del proprio esame. Quanto, poi, alla vendita parziale delle azioni B. detenute da Ze. s.r.l. effettuata nel 2014, si era trattato della cessione di 88,000 azioni, per un controvalore di 5,5 milioni (ovverosia della vendita di circa la metà delle azioni dell'istituto detenute dalla società in questione), motivata esclusivamente da ragioni fiscali (segnatamente, dalla impossibilità di dedurre completamente gli interessi passivi del finanziamento, stante la natura di società mista immobiliare-finanziaria di Ze. s.r.l., come precisato dal consulente fiscale dott. Ba.). Peraltro, anche successivamente alla svalutazione dell'azione, gli interessi del finanziamento erano stati regolarmente corrisposti da Ze. s.r.l. con fondi propri e, già a maggio del 2014, la società aveva parzialmente restituito il finanziamento (poi rinegoziato ed estinto nel 2016) per l'importo di 1,2 milioni di euro, senza vendere alcuna azione; circostanza, questa, logicamente incompatibile con una operazione concordata ab origine. In definitiva, nessuna delle operazioni di acquisto di azioni B. poste in essere da Ze. s.r.l. aveva le caratteristiche proprie delle "baciate", se non quella della vicinanza temporale (caratteristica, quest'ultima, significativa secondo i parametri valorizzati dalla BCE ma, ad esempio, non per quelli adottati dalla CONSOB). Si era in presenza, infatti, di operazioni: - poste in essere a seguito di finanziamenti inizialmente destinati all'acquisto di partecipazioni in altre società; - caratterizzate da causali dettagliate; - realizzate da società il cui merito creditizio era ampiamente sussistente; s prive di scadenza, bensì connotate dal mantenimento, per un tempo significativo, dei titoli, poi venduti (peraltro solo in parte) unicamente per ragioni fiscali; - non connotate dallo storno di interessi, né dal rilascio di lettere di garanzia; - rispetto alle quali erano stati regolarmente pagati gli interessi (nella specie per l'importo, non certo irrilevante, di 700,000 euro); - alle quali, infine, aveva fatto seguito la restituzione del finanziamento (peraltro effettuata, in prevalenza, con fondi propri). Conseguentemente l'appellante ha escluso che si trattasse di operazioni che avrebbero dovuto comportare lo scomputo dell'importo finanziato dal patrimonio di vigilanza. Inoltre ha contestato che deponessero per la natura correlata delle operazioni effettuate da Ze. s.r.l. le circostanze pure all'uopo valorizzate dal primo giudice ai punti 2 e 2.1 della sentenza impugnata. Così era per il messaggio sms ("Faccio anche ZI.. Ma. d'accordo, Vedi problemi?") intercorso tra GI. e So. di cui al documento 661 del P.M., trattandosi di comunicazione che, al più, dimostrava che quello che era stato fatto era avvenuto all'insaputa dell'imputato; cosi per l'ulteriore messaggio sms ("Ti ricordo ZI. da parlarne con Presidente per fido da farsi sulla finanziaria") inviato da MA. a So. di cui al doc. 665 del P.M., in quanto privo di ogni valore probatorio (risultando evidente il riferimento alla disciplina ex art. 136 TUB e, dunque, alla necessità di avvertire il presidente affinché venisse adottata la relativa procedura di uscita dall'aula dell'interessato); così, inoltre, in relazione alla tabella - peraltro non redatta dall'imputato - contenente lo specchietto di riepilogo delle competenze di cui al documento nr. 737 del P.M., essendo inequivoco che quello del 4,75% ivi indicato era il tasso interno applicato ad Ar. per il favore fattole da Ze. (s.r.l. anticipandole la relativa somma, come precisato dal teste Fr. e come anche dimostrato dal documento nr. 16 prodotto dalla difesa all'udienza 30.6.2020; così, ancora, in ordine alla e-mail di cui al documento nr. 121 del P.M., trattandosi di comunicazione inerente ad una richiesta di rimborso da intendersi come avente ad oggetto la riduzione legittima dei tassi più volte sollecitata da Gi.ZI. e, per suo conto, dalla impiegata della Ze. s.r.l. Ca.Ro., come da quest'ultima precisato nel corso della propria escussione dibattimentale; così, infine, in relazione al rimborso di cui al documento nr, 121 del P.M., trattandosi di documento che andava interpretato come conseguente non già ad una richiesta di storno bensì di mitigazione dei tassi di interesse (peraltro mai andata a buon fine), come desumibile dalla congiunta valutazione delle deposizioni rese dai testi Cr., Ma. ed Am.- Quanto, poi, alle intercettazioni telefoniche valorizzate dal primo giudice al punto 2,2 della sentenza, trattavasi di conversazioni tutte successive ai fatti e che, ove debitamente contestualizzate, non avrebbero potuto affatto costituire elementi di prova a carico, attestando piuttosto - ed unicamente - il disperato tentativo dell'imputato di comprendere la ragione per la quale figurasse tra gli indagati. In tal senso, infatti, andava interpretata la telefonata nr. 135 del 25.8.2015, intercorsa con Bo.Lu. (conversazione nella quale l'imputato aveva affermato di essere uno dei consiglieri finanziati dall'istituto, al contempo negando di essere a conoscenza del fatto che tale pratica riguardasse altri soci), come, d'altronde, convincentemente spiegato dallo stesso ZI. nel corso del proprio esame dibattimentale. Infine, in relazione al memorandum di cui al documento del P.M. nr, 731, parimenti valorizzato al punto 2.2 della sentenza, il difensore ha rappresentato trattarsi di documento redatto "di getto" dal proprio assistito (il quale, peraltro, aveva fatto confusione in ordine alle date delle operazioni effettuate con Ze. S.r.l.); documento, tuttavia, che conteneva il riferimento alle sole operazioni effettuate dalla predetta Ze. s.r.l. per le quali la società aveva pagato interessi passivi ed il cui complessivo tenore, a ben vedere, deponeva per la più totale ed assoluta ignoranza di aver posto in essere operazioni anche solo irregolari. Infine, il difensore ha evidenziato come i punti 3, 4 e 5 della sentenza avessero fatto riferimento a temi (trattasi, segnatamente: dell'operazione effettuata da Gi.ZI.; dell'operazione U. inerente al finanziamento utilizzato dall'imputato per l'acquisto di derivati e non di azioni della banca; della e-mail inviata a GI. e Gi. nella quale l'imputato precisava "B. non opera con questa politica e che forse hanno capito male o il funzionario non si è espresso bene") estranei alla imputazione. Ha concluso, pertanto, chiedendo la modifica, in termini più favorevoli, della formula adottata dal primo giudice per mandare assolto Zi.Gi. e, segnatamente, insistendo per il proscioglimento del proprio assistito non già "perché il fatto non costituisce reato", bensì "per non avere commesso il fatto". 3. Appello proposto da Banca (...) in liquidazione coatta amministrativa. Avverso detta sentenza ha interposto appello Banca (...) in L.C.A. con impugnazione che ha devoluto alla cognizione della Corte i punti della sentenza inerenti alla affermazione di responsabilità dell'ente in relazione agli illeciti amministrativi ascritti ai capi di imputazione sub A2, B2, C2, D2, E2 F2, G2, H2, M2 ed N2, al mancato riconoscimento dell'attenuante ex art. 12, co.2 lett. b, D. L.vo 231/01, alla quantificazione del profitto del reato di ostacolo alla vigilanza di cui al capo N2, alla quantificazione della sanzione ed alle spese processuali. 3-1 Con il primo motivo ha censurato la sentenza impugnata sul rilievo della erroneità dell'affermazione della sussistenza dell'interesse ovvero del vantaggio per l'ente derivante dai reati presupposti. In particolare, il primo giudice aveva esplicitamente sostenuto che i reati in contestazione, sebbene parte integrante di una politica di impresa che, all'esito, si era addirittura rivelata dannosa per l'istituto di credito, fossero stati espressione di una attività posta in essere nell'interesse ed a vantaggio di tale ente, in quanto strumentali a non farne emergere l'operatività illecita e, così, per un verso, a consentire l'afflusso di nuovo capitale e, per altro verso, ad assicurare il mantenimento di quello esistente. Questo, sul rilievo della doverosa distinzione tra le singole operazioni di capitale finanziato, da un lato, e le specifiche condotte delittuose, dall'altro; condotte, queste ultime, successive alle prime e funzionali a consentire di realizzare un vantaggio economico immediato nei termini anzidetti. In definitiva - ha precisato l'appellante - il tribunale aveva tarato la prospettiva di giudizio sulla valutazione dell'interesse dell'ente in un momento successivo rispetto alle condotte delittuose. Ebbene, tale interpretazione era errata. In effetti, il difensore, dopo avere premesso: - che la differenza tra l'ente attuale (B. in L.C.A.) e quello amministrato/diretto dagli imputati non aveva rilevanza alcuna in punto di responsabilità amministrativa, in ragione della "autonoma oggettività" che costituiva la "cifra interpretativa" della disciplina in materia; - che il criterio di ascrizione stabilito ex art. 5 D.L.vo 231/01 imponeva di avere riguardo all'interesse o al vantaggio in relazione al singolo e specifico fatto di reato presupposto volta a volta addebitato alla persona fisica; - che il fatto del quale l'ente era chiamato a rispondere, trattandosi di fatto proprio ed autonomo dell'ente medesimo, non poteva identificarsi con il reato commesso, sottolineava come l'elemento costitutivo delia responsabilità amministrativa rappresentato dall'interesse/vantaggio dovesse essere valutato con diretto riferimento alla persona giuridica e dovesse essere necessariamente tale, in un'ottica di valutazione ex ante, da prospettare il verificarsi di una situazione migliorativa per l'ente in questione; prospettiva, peraltro, da valutarsi in termini squisitamente oggettivi e non già sulla base della ricostruzione "dell'attitudine psicologica dell'autore del reato presupposto", nella sfera esclusiva del quale restavano, per contro, gli estremi costitutivi del reato perpetrato. Donde, sotto tale profilo, l'impossibilità di valutare l'interesse dell'ente sulla base del movente che aveva guidato gli autori del reato e che, ripetutamente, era stato da costoro identificato "nell'interesse della banca". In altri termini l'interesse rilevante era solo quello, per un verso, avente una dimensione oggettiva e, per altro verso, identificabile, ex ante, in un reale utile per l'ente; utile, peraltro, da valutarsi in una prospettiva funzionale e (strumentale rispetto alla persona giuridica. Quanto al vantaggio, poi, valevano le medesime considerazioni, con la precisazione, tuttavia, che la identificazione di tale elemento presupponeva una valutazione da effettuarsi ex post. Ebbene, già tali considerazioni consentivano - ad avviso dell'appellante - di apprezzare l'errore di valutazione nel quale era incorso il primo giudice, solo a considerare, da un lato, che non rientrava certamente nell'interesse della banca effettuare un aumento di capitale con mezzi della banca medesima (trattandosi di operazione che, sin dal momento genetico, si presentava come foriera di un impoverimento patrimoniale dell'istituto); e, dall'altro, che nessun vantaggio era derivato alla B. dai reati perpetrati dagli imputati, reati che, al contrario, avevano generato un pregiudizio di vaste dimensioni. Più nel dettaglio, con riferimento al fenomeno sottostante alle condotte contestate di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, il difensore ha sottolineato - alla stregua, segnatamente, di quanto riferito dai testi Ba. e Io. -come gli aumenti di capitale effettuati negli anni 2013 e 2014, lungi dal rafforzare la stabilità patrimoniale dell'istituto vicentino, avessero unicamente creato una parvenza di stabilità e solidità economico-finanziaria (posto che si erano tradotti in una costruzione fittizia di patrimonio). Per un verso, infatti, le risorse utilizzate per gli aucap erano state fornite dal medesimo istituto di credito, sicché non vi era stata alcuna reale immissione di nuove risorse finanziarie; e, per altro verso, la neutralizzazione degli interessi passivi attraverso il cosiddetto "storno" si era tradotta in un depauperamento per l'istituto di credito, per effetto di operazioni "in perdita" (come del resto emerso nel corso dell'esame dell'imputato MA. e comprovato da specifiche deposizioni testimoniali). In effetti, la deposizione del teste ispettore Ma. era stata illuminante in ordine all'antieconomicità di tali operazioni. Il contenuto delle lettere di impegno rinvenute nel corso dell'ispezione BCE, poi, aveva confermato il carattere pregiudizievole per il patrimonio societario delle operazioni suddette (in quanto sostanzialmente tali da trasformare le azioni in obbligazioni, senza alcun reale apporto di risorse nuove in cambio di una quota parte del capitale sociale, come precisato dalla teste Pa.). Donde l'impossibilità di ravvisare, ex ante, alcuna positiva ripercussione di tali operazioni, poste in essere dalle persone fisiche, sulla persona giuridica. Inoltre, altrettanto pregiudizievoli per l'istituto di credito erano state le operazioni legate all'investimento di circa 350 milioni di euro nei fondi lussemburghesi "At." ed "Op.", in considerazione della natura delle operazioni poste in essere, del tutto eccentriche (come emerso solo al momento della disclosure circa il sottostante dei fondi) rispetto all'interesse di B., peraltro unico sottoscrittore dei fondi medesimi, con conseguente aumento del rischio di danno in caso di scelta di disinvestimento (come precisato dal teste Li.), danno, poi, puntualmente verificatosi (come evidenziato dal teste Io.). D'altronde, le operazioni suddette - e, in particolare, le "operazioni baciate" - avevano costretto la govemance aziendale subentrata a seguito delle verifiche BCE a fronteggiare una situazione davvero critica, di assoluta debolezza rispetto al tentativo di recuperare le perdite della precedente amministrazione (amministrazione, la prima, che aveva concesso fidi a clienti dall'apparente merito creditizio, la capacità restitutoria dei quali, al contrario, nella maggior parte dei casi, era risultata inesistente, con l'ulteriore anomalia che le garanzie dei finanziamenti erano state costituite, sovente, dalle stesse azioni; circostanza, questa, che si era riverberata negativamente, ab origine, sulla possibilità di recupero del capitale erogato). Tanto precisato con riferimento all'operatività sottostante alle condotte delittuose ex artt. 2637 e 2638 c.c., il difensore ha ribadito come la sottoscrizione di azioni di nuova emissione attraverso finanziamenti erogati dallo stesso istituto emittente, al pari dell'acquisto delle azioni B. sul mercato secondario ugualmente effettuato attraverso l'erogazione di credito da parte della banca vicentina, fossero operazioni che, sin dall'origine, compromettevano la consistenza economico-patrimoniale dell'istituto. Ed analoghe conclusioni si imponevano per gli investimenti nei fondi lussemburghesi e per gli impegni di garanzia. Ciò posto, era su tali modalità operative sottostanti che si erano innestate le condotte di occultamento, con mezzi fraudolenti, dell'effettività della situazione. Nondimeno, si trattava di condotte (volte a far apparire come effettivo un aumento di capitale; ovvero a sostenere artificiosamente l'appetibilità del titolo; ed, in ogni caso, a nascondere la effettività della situazione sottostante) del tutto distoniche e configgenti, sul piano oggettivo, con l'interesse di B., istituto che, al pari di qualsiasi altra banca, non poteva certo ritenersi oggettivamente interessato ad un aumento di capitale fittizio, tale da risolversi in un depauperamento della consistenza economica della banca. In un siffatto contesto, la tesi espressa dal tribunale, secondo il quale i reati erano stati "strumentali proprio a non rivelare tale operatività lungi dal comprovare l'esistenza di un interesse della banca rispetto a ciascun singolo reato, deponeva in senso esattamente opposto, dato che l'istituto aveva il contrario interesse di concludere operazioni sostenibili, ovvero di interrompere una operatività pregiudizievole per i propri obiettivi istituzionali. L'esito drammatico per B. del disvelamento dell'occultamento di tali irregolari modalità operative, del resto, confermava come queste ultime fossero in radicale contrasto con gli obiettivi della banca. A ben vedere, infatti, il reato ex art. 2638 c.c., non poteva affatto sostenersi fosse stato perpetrato nell'interesse dell'ente, trattandosi di delitto sostanziatosi nell'occultamento alla autorità di vigilanza di informazioni che, se comunicate, avrebbero impedito il rilascio dei nulla osta necessari per gli aumenti di capitale, ovvero per il riacquisto delle azioni proprie e, cioè, per operazioni tutte certamente dannose, sin dall'origine, per l'ente medesimo (come concluso, in fattispecie analoga, dal P.M. presso il tribunale di Siena nel decreto di archiviazione prodotto in allegato all'atto di appello, sub 1), In buona sostanza, contrariamente a quanto sostenuto dal tribunale, l'interesse della banca non avrebbe certo potuto essere individuato nell'occultamento della debolezza patrimoniale dell'istituto medesimo al fine di "conseguire afflussi di capitale e mantenere l'operatività" e, così, scongiurare interventi più incisivi dell'autorità di vigilanza, trattandosi di obiettivi contrari a quelli propri di un ente bancario e, anzi, forieri di rischi e pericoli. Diversamente opinando - ha osservato l'appellante - ogni condotta di aggiotaggio ed ostacolo alla vigilanza finirebbe per trarre seco la responsabilità amministrativa dell'ente, anche nelle ipotesi, quali quelle sub iudice, caratterizzate da condotte produttive, ab origine, di un depauperamento per l'ente medesimo, con conseguente surrettizia introduzione di una sorta di responsabilità oggettiva della persona giuridica. Peraltro, la circostanza che la disposizione di cui all'art. 5, co. 2 D. L.vo 231/01 non contenesse riferimento alcuno alla nozione di vantaggio, costituiva significativo indice del fatto, con riferimento alla ipotesi disciplinata dal precedente comma, che, in assenza del relativo interesse, non sarebbe ravvisabile la responsabilità dell'ente. In effetti - ha osservato, conclusivamente, il difensore - l'unico interesse ravvisabile nella specie era quello, esclusivamente proprio del gruppo dirigente, ad occultare la reale situazione dell'istituto di credito per mantenere, il più a lungo possibile, ruoli e posizioni professionali di prestigio ed al contempo scongiurare il discredito che sarebbe derivato da una emersione del fenomeno in esame, interesse che gli imputati avevano perseguito ad ogni costo, in radicale contrasto con quello dell'istituto di credito. 3.2 Con il secondo motivo, poi, il difensore ha contestato la sussistenza della responsabilità dell'ente sotto il diverso profilo della asserita inidoneità del modello di organizzazione e gestione predisposto per la prevenzione dei reati e, in ogni caso, in ragione dell'asserita elusione fraudolenta dello stesso da parte dei vertici aziendali. In particolare l'appellante ha censurato le conclusioni cui è pervenuto il primo giudice, sostenendo, per contro, che B., nel predisporre ed attuare il modello di organizzazione, non si sarebbe affatto discostata dal comportamento astrattamente doveroso, con la conseguenza che, in difetto di un effettivo "scarto" tra ente modello ed ente concreto, difetterebbe il requisito dell'illecito amministrativo costituito dalla "colpa di organizzazione", siccome delineata ex art. 6 D. Lvo 231/01; colpa in concreto insussistente ove, come nella specie, il modello avesse caratteristiche tali da poter essere eluso solo attraverso un comportamento fraudolento. Ciò posto, dopo avere premesso: - che il difetto di analiticità del modello, lungi dall'esprimerne l'inadeguatezza, risponderebbe piuttosto all'ineludibile esigenza di non comprimere la libertà di organizzazione dei fattori produttivi; v che il carattere "ideale" del modello non avrebbe potuto essere "ipostatizzato", dovendosi necessariamente avere attenzione ad un modello "relativamente ideale", tenuto conto dell'attività concretamente svolta dall'ente, delle dimensioni dello stesso e, più in generale, delle caratteristiche tutte della persona giuridica di riferimento; - che, inoltre, nella valutazione del giudizio sulla sussistenza della colpa, rettamente intesa come "rimproverabilità", si sarebbero dovuti adeguatamente considerare eventuali profili di inesigibilità; s che, Infine, non si sarebbe certo potuto far automaticamente discendere dalla commissione dei reati la conclusione circa l'inadeguatezza del modello, il difensore ha analizzato le caratteristiche del modello di organizzazione effettivamente adottato da B., specificando che si trattava di modello - progressivamente aggiornato, sino al 2014 - ispirato ai principi ed alle linee guida dell'ABI.. Più nel dettaglio, la Sezione 11° del modello, con specifico riferimento alla funzione di vigilanza, prevedeva l'esistenza di un organo di controllo che, introdotto nel 2003, a decorrere dal 2008 era stato trasformato in un Organismo di Vigilanza ad hoc, composto da tre membri (il responsabile dell'audit e due soggetti esterni), munito di numerosi poteri (necessari per attuare le procedure di controllo, svolgere verifiche periodiche, coordinarsi con il responsabile della formazione del personale, raccogliere ed elaborare dati rilevanti, verificare le esigenze di aggiornamento del modello) e che curava una funzione di reporting agli organi sociali. Tale Organismo, poi, era integrato da specifiche responsabilità facenti capo alle diverse funzioni aziendali. L'Organismo di Vigilanza, a sua volta, riceveva informazioni e garantiva che coloro che avessero effettuato una segnalazione non subissero conseguenze negative di sorta da tali comunicazioni/denunzie. Inoltre, il modello, da un lato, includeva anche un sistema disciplinare quale elemento costitutivo dell'attività di controllo (sistema che contemplava un apparato sanzionatorio applicabile non solo agli organi apicali, ma a tutti i dipendenti dell'istituto, oltre ai collaboratori esterni); e, dall'altro, prevedeva un continuo monitoraggio del funzionamento del modello stesso, promuovendo all'uopo gli aggiornamenti ritenuti necessari. Nella Sezione IIIA, poi, era delineato un sistema preventivo (suddiviso nelle sotto-sezioni "Rischio", "Processo", "Funzioni Coinvolte", "Protocolli di controllo", "Normativa interna vigente") rivolto alla prevenzione del pericolo di commissione di specifici reati (questi ultimi, peraltro, oggetto di puntuale "mappatura" in un apposito allegato). E, con particolare riferimento alle ipotesi delittuose contestate, l'appellante ha precisato che, contrariamente a quanto sostenuto a pag. 795 della sentenza impugnata, per un verso, la procedura di redazione dei bilanci e la tenuta della contabilità erano effettuate facendo applicazione di manuali appositamente concepiti (ai quali si aggiungevano i "funzionigrammi", gli organigrammi ed i regolamenti interni pubblicati sull'intranet aziendale); e, per altro verso, specifica attenzione era dedicata proprio alle operazioni potenzialmente incidenti sull'integrità del capitale e/o del patrimonio sociale. Anche con riferimento alla trasparenza, poi, il modello conteneva specifiche disposizioni e, così, svolgeva una funzione, sul punto, "integrativa": alle procedure vigenti, infatti, aggiungeva disposizioni ulteriori relative all'osservanza della normativa societaria. In definitiva, quello adottato dall'istituto di credito vicentino era un valido presidio rispetto al rischio di commissione delle fattispecie penali di riferimento. In ogni caso, dopo avere ripercorso struttura e contenuto del modello, l'appellante si è concentrato sulle censure specificamente contenute nella sentenza impugnata, secondo la quale le carenze del modello in questione sarebbero state riferibili: - in primo luogo, alla composizione dell'Organismo di Vigilanza; se, in secondo luogo, all'inefficacia del modello rispetto ai reati contestati agli imputati. Ebbene, sotto il primo profilo, era sufficiente evidenziare come le stesse linee guida predisposte dall'ABI nel 2004 lasciassero ampia discrezionalità con riferimento alla composizione dell'ODV (nel senso che era previsto che le banche potessero creare un organismo ad hoc, ovvero utilizzare un organismo o una funzione già esistenti). Inizialmente la scelta di B. si era indirizzata verso un organo composto dal responsabile dell'internal audit affiancato da due soggetti esterni; quindi, nel 2014, l'istituto vicentino aveva modificato la composizione dell'organo in questione, in linea, peraltro, con l'evoluzione normativa in materia. A seguito dell'inserimento del co, 4 dell'articolo 6 D.Lvo 231/01 per effetto della legge di stabilità del 2012, infatti, B. aveva attribuito al Collegio Sindacale le funzioni in questione. Sicché, sul punto, le scelte della banca non potevano essere censurate. Quanto al secondo profilo, poi, il tribunale era pervenuto ad una valutazione di responsabilità per effetto di una erronea valutazione di inidoneità, conseguente alla stessa commissione dei reati e, in sostanza, adottando un criterio di giudizio basato su un inammissibile automatismo, di fatto tale da rendere del tutto inutili le previsioni ex artt. 6 e 7 D.Lvo 231/01. Per contro, ogni valutazione sul punto avrebbe dovuto essere effettuata secondo i criteri della "prognosi postuma" (pena la inevitabile, costante conclusione, in caso di commissione dei reati, della inadeguatezza del modello adottato dall'ente). Peraltro - ha proseguito, sul punto, il difensore - l'erroneità delle conclusioni, cui era giunto il primo giudice sarebbe emersa in termini di maggiore evidenza ove si fosse debitamente considerata la natura fraudolenta ed elusiva delle modalità di commissione del reato da parte delle persone fisiche in posizione apicale. L'elusione del modello organizzativo da parte di tali soggetti, infatti, era stata tale da "segnare una evidente scissione tra l'ente medesimo e il soggetto apicale autore del reato", la condotta di quest'ultimo non potendosi ritenere espressione "della politica di impresa dell'ente stesso", ma costituendo "una scelta personale e propria dell'autore dei fatto di reato". In definitiva - ha precisato l'appellante - "quando l'autore dei reato è un soggetto apicale, l'ampiezza dei poteri a questi conferiti introduce la variabile umana dell'abuso; essa segna i confini sussistenti tra i comportamenti ex ante prevedibili certamente compresi tra i pericoli che un valido modello organizzativo deve saper inibire, da un lato; e, dall'altro, quelli dei quali è predicabile un'intrinseca valenza fraudolenta perpetrati mediante l'abuso dei supremi poteri sociali come tali necessariamente ribelli alla possibilità di un qualsiasi controllo, seppure ben concepito e calibrato". E, sul punto, erano evidenti tanto le modalità fraudolente adottate per porre in essere le operazioni di capitale finanziato (solo a pensare alle clausole generiche inserite nei contratti di finanziamento), quanto la strumentalità delle operazioni di investimento estero nei fondi lussemburghesi. Donde la conclusione circa l'adeguatezza del modello organizzativo adottato da B.. 3.3 Quindi, con il terzo motivo, articolato in via subordinata, il difensore ha censurato il mancato riconoscimento dell'attenuante ex art. 12, co. 2, lett. b, D. L.vo 231/01, nonché l'errata quantificazione della sanzione pecuniaria rispetto ai criteri di determinazione del valore e del numero delle quote, anche in relazione all'aumento delle quote medesime per effetto della disciplina della pluralità di illeciti. Innanzitutto, la circostanza che la Banca si fosse dotata di un modello organizzativo sin dal 2002 ed il fatto che l'istituto avesse ristorato, a titolo transattivo, ben 66.770 azionisti, avrebbero dovuto fondare il contenimento nei minimi sia del numero delle quote che dell'aumento derivante dalla pluralità degli illeciti. La concessione dell'attenuante ex art. 12, co. 2, lett. b, D.L.vo 231/01, poi, avrebbe dovuto indubbiamente trovare riconoscimento. Questo, solo a considerare debitamente la condotta adottata dall'istituto di credito che, successivamente all'ispezione BCE, aveva prontamente provveduto alla revisione del modello organizzativo, dimostrando l'incontrovertibile intenzione dell'ente di dotarsi di un valido presidio per la prevenzione della commissione di ulteriori illeciti a seguito del disvelamento della mala gestio della precedente amministrazione. Infine, l'importo della singola quota era stato fissato senza tenere adeguatamente conto, come invece prescritto dall'art. 11 D.Lvo cit., delle condizioni economiche e patrimoniali dell'ente, al fine di assicurare l'efficacia della sanzione. La liquidazione dell'istituto di credito, invero, rendeva evidente l'inconciliabilità del valore della singola quota rispetto alla condizione dell'ente medesimo, con un conseguente "peso" della sanzione irrogata in misura sproporzionata rispetto alla effettiva responsabilità. Di qui la richiesta di determinazione nel minimo edittale della sanzione amministrativa irrogata a B. in L.C.A. 3.4 Inoltre, con il quarto motivo, l'appellante ha censurato la quantificazione del profitto del reato di ostacolo alla vigilanza contestato al capo N2 e, conseguentemente, del valore della relativa confisca. Il primo giudice, infatti, aveva disposto, nei confronti dell'istituto di credito, la confisca per l'importo di euro 74,212.687,50, quale indebito profitto del reato di ostacolo alla CONSOB perpetrato in occasione dell'aumento di capitale del 2014. In particolare, in occasione di tale aucap, l'operazione straordinaria era stata effettuata omettendo, nei confronti dell'investitore-sottoscrittore, il test di adeguatezza. In effetti, all'esito della replica del test di adeguatezza effettuato in sede ispettiva, era emerso che, su circa 10.812 sottoscrizioni, una parte consistente di operazioni, segnatamente 7.795, era stata effettuata da soggetti (non finanziati) ritenuti "inadeguati"; soggetti, pertanto, che non avrebbero potuto procedere in tal senso ovvero che avrebbero dovuto disporre di un adeguato compendio informativo. Sennonché, l'appellante ha segnalato che il profitto derivato dalle irregolari modalità di esecuzione dell'aumento di capitale, più che dall'ostacolo alla vigilanza in danno di CONSOB posto in essere dal GI. (ovverosia dall'imputato del reato presupposto contestato sub NI), era ascrivibile al reato ex art, 173 bis D.Lvo 58/98, contestato al capo L), di falso in prospetto relativo al medesimo aumento di capitale dell'anno 2014; delitto, tuttavia, non ricompreso nel novero dei reati presupposto di cui al D.L.vo 231/01. Donde l'impossibilità di sanzionare l'ente per la corrispondente condotta e, conseguentemente, l'insussistenza dei presupposti per la confisca del profitto del reato nei confronti dell'ente medesimo. Di qui la richiesta di dissequestro e restituzione della somma di euro 74.212,687,50. 3.5 Infine, con il quinto motivo, ha sollecitato la revoca della condanna al pagamento delle spese processuali quale effetto della invocata assoluzione dell'ente. 4 Gli appelli del P.M. 4.1 Appello inerente alla posizione di Pe.Ma. Il P.M. presso il tribunale di Vicenza ha impugnato l'assoluzione di Pe.Ma., assoluzione che il primo giudice aveva motivato sul rilievo dell'assenza di prova circa il coinvolgimento dell'imputato nella strutturazione dell'operatività delle "operazioni baciate" (e, ancor prima, circa la stessa effettiva conoscenza, da parte dell'imputato, del fenomeno in esame, con specifico riferimento alle caratteristiche della prassi delle operazioni correlate ed alla loro diffusività) ritenendo, per contro, ragionevolmente dimostrato che costui, al più, avesse nutrito sospetti in proposito e, tuttavia, ne avesse sottovalutato le portata e le implicazioni in punto di incidenza sul patrimonio di vigilanza e sui coefficienti prudenziali. Ad orientare in tal senso le conclusioni del tribunale - ha precisato l'appellante - erano state, essenzialmente, le deposizioni rese dai testi Fa., Tr., Mo. e Li., la vicenda della disclosure sui fondi "At." ed "Op." al giugno 2014, l'episodio degli accertamenti effettuati dalla società K. incaricata della revisione del bilancio al 31.12.2014 e, infine, l'intervento dell'imputato durante la seduta del CdA dell'1.4.2014. Per contro, le circostanze della partecipazione dell'imputato al Comitato di Direzione 8.11.2011 ed alla riunione del 7.1.2015, il contenuto della registrazione della seduta del Comitato di Direzione 10.11,2014 e le deposizioni dei testi Am., Ba., Tu. e So. in ordine alle riunioni dell'alta dirigenza dell'istituto, erano stati ritenuti dati probatori "insufficienti a dimostrare la consapevolezza in capo al predetto delle condotte manipolatone poste in essere dai vertici di B.". Ebbene, la sentenza impugnata, per un verso, aveva omesso di valutare (ovvero aveva erroneamente valutato) prove in realtà pienamente dimostrative della integrale conoscenza, da parte dell'imputato, tanto della esistenza quanto dell'entità significativa del fenomeno del capitale finanziato; per altro verso, aveva radicalmente trascurato talune circostanze che, accertate nel corso del dibattimento, confermavano siffatta consapevolezza; e, per altro verso ancora, aveva effettuato una valutazione frazionata ed atomistica del materiale probatorio, astenendosi da un doveroso raffronto dei singoli elementi con l'intero compendio disponibile, conseguentemente pervenendo a conclusioni scorrette. E, al riguardo, il P.M., dopo avere richiamato le responsabilità ed i compiti che incombevano sul PE. tanto secondo il "funzionigramma" dell'istituto vicentino quanto, in ragione dell'incarico di dirigente preposto, in base alla disciplina di legge (art. 154 bis D.L.vo 58/98) ed alla normativa secondaria emanata dalla Banca d'Italia, e dopo avere altresì rievocato, sulla base della deposizione resa dal teste Tr., il meccanismo di tenuta della contabilità adottato da B., ha evidenziato il significativo rilievo probatorio, ai fini dell'esatta comprensione della posizione del PE., sotto il profilo dell'elemento psicologico dei reati in esame, rivestito, nell'ordine: a} dagli appunti redatti da So.Ma. in ordine alla seduta del Comitato di Direzione del giorno 8.11.2011 e dalla e-mail del 10.6.2011 inviata da Ro.Fi. all'imputato (oltre che ad altri dirigenti e funzionari dell'istituto). In particolare, dal contenuto di tale e-mail si ricavava chiaramente che, al momento della partecipazione alla citata seduta del Comitato di Direzione, nel quale era poi stato espressamente trattato il tema delle operazioni "baciate" (come desumibile da alcuni passaggi degli appunti manoscritti di So.), il PE. era necessariamente a conoscenza della situazione di grave squilibrio del mercato secondario delle azioni dell'istituto (con il fondo acquisto azioni proprie impegnato per ben 112 milioni di euro). Donde la conclusione che l'intervento effettuato dal PE. durante la seduta - allorquando l'imputato, in un contesto di espliciti riferimenti da parte del To., del Se. e del So. alle "baciate", aveva sollecitato un decremento dell'ammontare delle azioni proprie detenute in portafoglio per raggiungere un Tier 1 ratio dell'8% ("per andare ad S", secondo l'espressione attribuita al medesimo PE. negli appunti) - era necessariamente espressione di una effettiva conoscenza di un fenomeno strutturato ed in corso da tempo, fenomeno del quale si segnalava, durante detto incontro, la necessità di monitoraggio giornaliero e di ulteriore pianificazione. Peraltro - ha precisato l'appellante - il contenuto dell'appunto era coerente con la ricostruzione di tale fenomeno siccome effettuata dai cc.tt. del P.M. (secondo i quali, al 31.12.2010, le operazioni di capitale finanziato ammontavano a 50 milioni, mentre, nel corso dell'anno successivo, erano cresciute notevolmente sino a raggiungere il valore di ben 243 milioni). Ebbene, nonostante il tribunale avesse opportunamente valorizzato il rilievo probatorio del documento rappresentato dagli appunti in questione onde desumere il coinvolgimento, nell'operatività illecita della banca, dei coimputati GI. e PI. (visto che, in quell'occasione, erano state delineate "le strategie operative per gli interventi sul capitale ... che prevedevano il ricorso alle operazioni baciate come strumento per svuotare il fondo acquisto.."), del tutto incomprensibilmente lo stesso primo giudice aveva poi omesso di trarne le dovute, necessarie conclusioni in relazione all'analoga posizione del PE. (pure intervenuto attivamente, nel corso della riunione in questione, fornendo indicazioni rilevanti ai fini del perseguimento degli obiettivi fissati dal d.g. So.). In effetti, la versione fornita dall'imputato - secondo il quale "non aveva dato il giusto peso agii interventi di Se. e To. perché, all'epoca, non conosceva la parola "baciata" - lungi dall'essere "non inverosimile", era scopertamente difensiva; b) dalle deposizioni di So.. Am., Ba. e Tu.. Alla stregua di tali deposizioni, tutt'altro che generiche ed imprecise, era stato possibile, nell'ordine: ricostruire le modalità di funzionamento degli organi collegiali manageriali dell'istituto; apprendere che il PE., nella sua qualità di responsabile della "Divisione Bilancio e Pianificazione", aveva sempre preso parte sia ai Comitati di Direzione svoltisi sino al 2011 (e, in seguito, nuovamente convocati a partire dalla seconda metà del 2014, per effetto di una espressa richiesta BCE), sia alle informali "riunioni di direzione" convocate nel periodo intermedio; conoscere che, in occasione di tali riunioni, erano stati trattati anche i temi dell'operatività dei finanziamenti correlati, nell'ambito dei più generali argomenti della gestione del capitale, del fondo acquisto azioni proprie e dello squilibrio del mercato secondario delie azioni B.. Che, poi, il PE. non avesse compreso portata e caratteristiche del fenomeno in questione, era conclusione che contrastava, sul piano logico, con la circostanza che detto fenomeno aveva finito per rappresentare - come peraltro puntualmente osservato dal tribunale - una sistematica modalità di gestione dell'attività di impresa, protrattasi per un lungo arco temporale (5/6 anni), fino a raggiungere una dimensione quantitativa notevole (sia per il numero delle operazioni concluse, sia per il controvalore delle stesse), tale da coinvolgere i soci più importanti, da interessare tutte le zone di insediamento della banca e da rivestire una incidenza notevole, sul funzionamento del mercato secondario dei titoli B. e sulla situazione patrimoniale dell'istituto. Né alcun teste aveva riferito che il tema in esame costituisse argomento segreto, del quale le strutture della Divisione Bilancio e Pianificazione fossero state tenute all'oscuro. Peraltro, rientrava nelle competenze di detta Divisione la funzione di capital management, alla quale non era certo estranea la questione dell'entità della quota indisponibile del fondo acquisto azioni proprie (per le conseguenze sui livelli di patrimonializzazione e sui ratios patrimoniali prudenziali); c) dai risultati delle intercettazioni telefoniche. In particolare, il tribunale aveva del tutto omesso di considerare il tenore di due colloqui telefonici dai quali era possibile desumere la conoscenza, da parte dell'imputato, del fenomeno delle "operazioni baciate". Si trattava della conversazione nr, 359 dell'1.9.2015, intercorsa tra il coimputato GI. e il membro del collegio sindacale Pi.La. (nel corso della quale era stato effettuato l'esplicito riferimento al fatto che il PE., in relazione alle operazioni baciate, "dava ordini.."); nonché della conversazione nr. 259 del 28.8.2015, intercorsa tra il responsabile audit Bo. ed il coimputato MA. (in occasione della quale quest'ultimo aveva ribadito che del fenomeno in questione erano a conoscenza anche gli altri componenti della Direzione Generale in quanto il So. era solito parlarne nel corso delle riunioni dell'alta dirigenza); d) dagli sms intercorsi tra i coimputati PI. e GI. in data 3.5.2015 (ovverosia in un momento nel quale i primi esiti dell'ispezione BCE stavano conducendo al disvelamento dell'operatività illecita della banca), là dove tali SMS contenevano l'esplicita affermazione del coinvolgimento collettivo dell'alta direzione dell'istituto ("deve essere chiaro che tutto era condiviso e che nessuno può dire di non sapere e chiamarsi fuori"); e) dalle dichiarazioni del teste Bo. in merito alla riunione del febbraio 2015 in previsione dell'avvio dell'ispezione BCE, riunione alla quale aveva preso parte anche il PE. e nella quale lo stesso teste aveva illustrato la criticità rappresentata dalla questione del capitale finanziato, senza che alcuno dei partecipanti avesse manifestato il benché minimo stupore; f) dalla registrazione della seduta del Comitato di Direzione del 10.11.2014, ovverosia da un elemento di eccezionale valore probatorio, in quanto, in un contesto di espliciti riferimenti a tutti gli aspetti problematici del fenomeno del capitale finanziato (natura di portage delle operazioni; obbligo di riacquisto; interessi riconosciuti alle controparti; rilascio delle lettere di garanzia del rendimento e dell'impegno al riacquisto; necessità di occultamento alla vigilanza; dimensioni del fenomeno), documentava che nessuno degli intervenuti all'incontro aveva richiesto delucidazioni sul punto, ovvero aveva manifestato dissensi, ovvero ancora stupore. Ebbene, nonostante il PE. fosse assente a quella riunione, emergeva chiaramente come le analisi che, nell'occasione, erano state discusse, fossero frutto anche del lavoro delle strutture della "Pianificazione", come, peraltro, desumibile dal riferimento, effettuato dal coimputato GI. nel corso dell'incontro, a tale "Ma." ("...allora, noi, comunque, le posizioni baciate, grosse, dobbiamo eliminarle....però bisogna confrontarsi con Ma..,.."), evidentemente da individuarsi nell'imputato, quale soggetto da interpellare per verificare le ipotesi di soluzione che andavano emergendo. Né tale riferimento poteva ritenersi - come, invece, sostenuto dal tribunale - di equivoca lettura, essendo chiaro che l'operazione di cui si era dibattuto nella riunione (ed in relazione alla quale, pertanto, occorreva confrontarsi con il PE.) non riguardava semplicemente l'eliminazione "di pezzi di attivo", bensì l'eliminazione delle operazioni "baciate" accompagnata dalla necessità di rimanere con i ratios stabili nonostante il decremento di capitale. Peraltro, tanto le e-mail intercorse tra il 14.8.2014 ed il 12.11.2014, quanto la deposizione resa dal teste Fa. confermavano il coinvolgimento dell'imputato nelle analisi inerenti all'impatto negativo delle operazioni "baciate" in ordine al margine di interesse della banca, analisi che aveva costituito il presupposto per le proposte operative formulate dal d.g. So., nel corso della predetta seduta del Comitato di Direzione, per superare le difficoltà inerenti proprio al meccanismo delle operazioni correlate. Peraltro, a fronte della mancata corretta valutazione di tali emergenze probatorie, la sentenza aveva sopravvalutato, ovvero equivocato, valorizzandoli come prove a discarico, gli elementi rappresentati, nell'ordine: a) dalla verifica compiuta dalla società di revisione K posto che, a ben vedere, una attenta analisi di quanto emerso al riguardo deponeva in senso diametralmente opposto, essendo la condotta tenuta, nell'occasione, dal PE. volta non certo ad agevolare, bensì a vanificare gli esiti di detta verifica, in adesione agli intendimenti del direttore generale; b) dalle deposizioni dei testi Fa., Tr., Mo. e Li., trattandosi di testimonianze sostanzialmente irrilevanti (così nel caso della deposizione del Tr., non avendo egli riferito di avere parlato con l'imputato delle operazioni "baciate"), ovvero di scarsa affidabilità (così con riferimento a quanto riferito dal Mo., dal Fa. e dal Li. - i quali avevano dichiarato di essersi convinti che il PE., prima del 2015, non avesse maturato una precisa conoscenza del fenomeno del capitale finanziato - posto che era ragionevole ritenere che l'imputato non avesse fatto automaticamente partecipi i terzi di quanto a lui effettivamente noto); c) dall'episodio della disdosure sui fondi "At." ed "Op.", con conseguente comunicazione all'autorità di vigilanza, essendosi in presenza ai attività esecutiva di uno specifico obbligo normativo e che, comunque, ove non compiuta, avrebbe comportato effetti maggiormente penalizzanti per l'istituto; d) dalle critiche espresse dal PE., in occasione del CdA 1.4.2014, in merito all'operato dell'esperto indipendente prof. Bi., in ragione della natura implicita - se non addirittura criptica - delle critiche formulate dall'imputato (il quale, peraltro: secondo la teste Pa., aveva manifestato contrarietà alla ostensione, in favore del socio Da.Gr., successivamente all'assemblea dei soci 26.4.2014. della relazione di stima del valore delle azioni; e, secondo il teste Ca., nel corso degli anni, aveva più volte ammesso come l'elaborazione dei piani industriali fosse il modo a sua disposizione per sostenere il prezzo dell'azione e in tal guisa influire sulla relativa stima da parte dell'esperto all'uopo incaricato). Conclusivamente, il P.M. appellante ha sostenuto che le prove disponibili erano certamente tali da attestare la piena conoscenza, in capo all'imputato, a far data dalla fine del 2011, dell'esistenza e della consistenza del fenomeno delle operazioni "baciate", fenomeno che, negli anni 2013 e 2014, era stato esteso anche alle operazioni inerenti agli aumenti di capitale. Tale conoscenza non era frutto del flusso delle informazioni ufficiali che gli pervenivano in ragione del suo ruolo istituzionale, bensì effetto della partecipazione "ai momenti di confronto della Direzione Generale e, quindi, per essere stato destinatario di quanto in quei contesti veniva riferito e, più in generale, per avere preso parte al gruppo dei dirigenti B. "allineati" ....ai presidente ZO., al Direttore Generale So.Sa. alla concertazione del quale, come indicato in sentenza, devono ricondursi le decisioni e l'attuazione della prassi delle operazioni baciate". Era stato nella piena consapevolezza del fenomeno delittuoso in esame, quindi, che il PE. aveva fornito il proprio decisivo contributo all'occultamento di detto fenomeno, predisponendo ripetutamente documenti (dal bilancio ai comunicati stampa, dalle segnalazioni prudenziali alle comunicazioni di interlocuzione con le autorità di vigilanza) aventi contenuto mendace e decettivo. Di qui la richiesta di affermazione della penale responsabilità dell'imputato con conseguente condanna alla pena di anni otto e mesi due di reclusione, come già richiesto all'atto delle conclusioni rassegnate nel giudizio di primo grado. 4.2 Appello inerente alla posizione di Zi.Gi. Il P.M. ha proposto appello anche avverso l'assoluzione di Zi.Gi., sul rilievo della errata individuazione del criterio di imputazione della responsabilità penale del predetto nonché della mancata valutazione di specifici elementi probatori. Al riguardo, dopo avere sinteticamente ripercorso ì passaggi contenuti nei sette paragrafi della sentenza che il tribunale aveva dedicato all'analisi della posizione di tale imputato, il P.M. ha evidenziato, innanzitutto, che il primo giudice aveva equivocato nel l'interpretare quale fosse, secondo l'impostazione d'accusa, il profilo di responsabilità che fondava l'imputazione elevata a carico del predetto ZI.. A costui, infatti, era stato contestato di avere avallato ripetutamente la prassi illecita delle operazioni correlate, così fornendo un concreto ausilio alle attività delittuose realizzate dalla dirigenza dell'istituto, posto che tale avallo non solo aveva agevolato la conclusione di siffatte operazioni, ma, per un verso, aveva contribuito a rassicurare i dipendenti sulla "esistenza di una copertura da parte dell'organo amministrativo" e, per altro verso, essendo l'imputato membro del CdA, aveva integrato anche i reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza. Era stato il consiglio, infatti, a deliberare la concessione dei fidi relativi agli acquisti di azioni nell'ambito delle "baciate", nonché ad approvare i documenti contabili e le comunicazioni dirette agli organi di vigilanza. In presenza di tali contestazioni, quindi, le affermazioni del primo giudice, secondo il quale, da un lato, l'imputato non era stato parte attiva di "una condivisione operativa delle condotte manipolatone e di falsa informazione ai mercato ed alla vigilanza" e, dall'altro, non risultava provato il suo coinvolgimento nelle scelte gestionali relative alla liquidità dell'azione e alla crisi del mercato secondario", apparivano espressione di una inesatta comprensione dell'effettivo tenore della contestazione elevata a carico dello ZI.. Inoltre, la trama argomentativa della sentenza rivelava la radicai 5 J pretermissione, ovvero la inadeguata valutazione, di significativi elementi ai prova a carico. Al riguardo, sotto il primo profilo, il P.M. ha richiamato l'omessa considerazione dell'intercettazione nr. 543 del 31.8.2015, inerente ad una conversazione intercorsa tra l'imputato e To.Ni., conversazione dalla quale era possibile evincere la piena consapevolezza, in capo allo ZI., della prassi di sollecitare la clientela, in occasione della concessione o del rinnovo del credito, all'acquisto delle azioni tramite finanziamento. Sotto il secondo profilo, poi, ha evocato, segnatamente: a) la e-mail del 2.7.2014 inviata da Mi.Ga.; b) la partecipazione da parte del medesimo imputato ad importanti operazioni di svuotamento del fondo acquisto azioni ed alla sottoscrizione di azioni in occasione degli aumenti di capitale; c) la piena consapevolezza, in capo allo stesso giudicabile, dell'impiego surrettizio dello strumento del finanziamento; d) la significativa capacità professionale dell'imputato (presidente di Confindustria Vicenza nel periodo di interesse e titolare di una holding di partecipazioni), tale da assicuragli la piena comprensione della natura illecita e decettiva delle condotte poste in essere, anche suo tramite, dalle strutture dell'istituto di credito. Tanto premesso, l'appellante ha passato in rassegna le evidenze probatorie che avrebbero dovuto, ove correttamente inquadrate e valutate, condurre ad un giudizio di penale responsabilità. Trattasi, nell'ordine: a) dell'operazione effettuata, nell'anno 2011, da Zi.Gi.. fratello dell'imputato, il quale aveva ricevuto un finanziamento di 5 milioni di euro il 27.12.2011, finanziamento al quale aveva fatto seguito, in data 29.12.2011, l'acquisto di azioni B. per un pari importo. Quindi, in occasione dell'aumento di capitale 2013, lo stesso Gi.ZI. vi aveva partecipato, come persona fisica, fruendo di un finanziamento di 500.000 euro. Ebbene, con riferimento alla prima operazione - poi chiusa da Zi.Gi. con un "annullamento" e, questo, pur in assenza di inadempimenti di sorta da parte del predetto socio che, soli, alla stregua delle regole dell'istituto, avrebbero potuto giustificare un siffatto "annullamento" - l'imputato aveva sostenuto di essere rimasto all'oscuro dell'operazione in questione, essendo stata la pratica deliberata in sua assenza, stante l'applicabilità dell'art, 136 TUB. Sennonché, l'istruttoria dibattimentale (e, segnatamente, le dichiarazioni del teste Ba.) aveva provato l'esatto contrario. Peraltro il memorandum (costituente il documento nr, 731) rinvenuto nei supporti informatici dell'imputato conteneva, con riferimento alla data dell'8 maggio, annotazioni relative a dichiarazioni rese dallo stesso ZI. in ordine al fatto che il medesimo, in due occasioni (segnatamente, nel 2011 e nel 2012), era stato richiesto di effettuare operazioni di acquisto, tramite finanziamenti, di azioni della banca, operazioni la prima delle quali era stata chiusa nel 2014 e che, con ogni evidenza, doveva identificarsi proprio nell'operazione formalmente conclusa dal fratello Gi.. Peraltro, lo stesso documento nr. 730 - predisposto da Zi.Gi. e contenente una sorta di riepilogo delle operazioni "con finanziamento" - convergeva nel dimostrare come l'operazione effettuata nel 2011, da un lato, fosse sostanzialmente riconducibile a Zi.Gi. e, dall'altro, rientrasse nell'ambito della "campagna svuota fondo" relativa al medesimo anno; b) dell'operazione compiuta tramite Ze. S.r.l. nel novembre 2012, consistita nel finanziamento di 12,5 milioni in data 13.11.2012 e nell'acquisto, il successivo 20.11.2012, di azioni per il valore di 10 milioni di euro. Sebbene l'imputato avesse sostenuto (dapprima, nella memoria 14.4.2017; quindi, nell'interrogatorio 26.9.2017) che l'acquisto delle azioni era stato frutto di una decisione estemporanea, assunta allorché l'originario obiettivo di acquisire alcune partecipazioni si era rivelato non perseguibile, in sede di esame dibattimentale costui si era visto costretto, dalle inequivoche emergenze istruttorie sul punto (costituite, segnatamente: dal contenuto delle deposizioni di Ba., Gi. e Io.; dal contenuto del messaggio sms, inviato dal coimputato MA. al d.g. So. e relativo proprio all'operazione conclusa dallo ZI.; dall'analogo messaggio inviato da GI. al medesimo So.; dallo stesso tenore del documento relativo all'operazione in questione, in quanto caratterizzato dalla causale, assolutamente generica, "ulteriori significativi investimenti che al momento non sono ancora definiti"; dal fondamentale documento64 rinvenuto presso la sede della ditta Ze. S.r.l. - documento del quale, peraltro, nessuno dei potenziali redattori aveva riconosciuto la paternità - contenente elementi univocamente sintomatici della natura "baciata" delle operazioni effettuate dalla Ze. s.r.l.; dall'ulteriore documento inerente all'accordo per non pagare neppure le imposte sugli strumenti finanziari) a mutare versione, ammettendo che il finanziamento in questione era stato strutturato, ab origine, per l'acquisto di azioni dell'istituto. Del resto, il memorandum relativo alla data dell'8 maggio confermava chiaramente la partecipazione dell'imputato ad operazioni di finanziamenti correlati; partecipazione, peraltro, ulteriormente corroborata anche dalla deposizione, de relato dall'imputato, resa, sul punto, dal teste Ba., oltre che dalle dichiarazioni del teste Cr.. In definitiva - ha osservato il P.M. - se ZI. aveva concluso, anche per conto di Ze. s.r.l., operazioni correlate per importi considerevoli, significava che lo stesso, allorquando aveva trattato in CdA le pratiche inerenti alle analoghe operazioni poste in essere dai maggiori azionisti della banca, era perfettamente in grado di comprenderne natura, entità ed implicazioni, sicché a tale imputato non potevano affatto attagliarsi le considerazioni che il tribunale aveva riservato agli altri consiglieri in ordine al difetto, sul punto, di effettiva consapevolezza; c) della partecipazione tramite Ze. s.r.l. all'aumento di capitale 2013 (siccome ricostruita nella relativa scheda redatta dai cc.tt. del p.m. a pag. 367 dell'elaborato di consulenza), caratterizzata, a fronte di una linea di credito concessa dall'istituto per 1,5 milioni di euro, dall'acquisto di azioni della banca per 565.000 euro e dall'impiego di analogo importo per la partecipazione al prestito obbligazionario previsto dall'offerta. Ebbene, la sottoscrizione di azioni di nuova emissione con provvista della banca in occasione di un aumento di capitale - ovverosia in occasione di una iniziativa finalizzata ad aumentare il patrimonio netto dell'emittente - non poteva non costituire per un componente del CdA dell'istituto (peraltro titolare di una holding di partecipazioni, quale lo ZI.) un evidente campanello di allarme in ordine alla operatività delle strutture della banca, trattandosi di una operazione che contraddiceva la finalità dell'aumento di capitale, rendendolo, di fatto, solo apparente. L'imputato, infatti, dopo essere stato richiesto di / effettuare operazioni correlate per 5 milioni a fine 2011 (con operazione conclusa a nome del fratello) e per 10 milioni a fine 2012, effettuava una nuova operazione per circa un milione in sede di aumento di capitale. Di qui l'inverosimiglianza di quanto sostenuto dal giudicabile allorché, nel commentare con i consiglieri To. e Fa. il buon esito della chiusura dell'aumento di capitale 2013, aveva espresso la propria soddisfazione per il successo dell'operazione, essendosi per contro in presenza - come non poteva sfuggirgli - di una situazione tutt'altro che favorevole; d) delle intercettazioni telefoniche e, segnatamente: della conversazione nr. 153 del 25.8.2015, nel corso della quale l'imputato aveva riferito a Lu.Bo. di essere stato finanziato, al pari di altri consiglieri, soggiungendo di non essere a conoscenza dei finanziamenti concessi ad altri "soci" anche se avrebbe potuto "immaginarlo"); della conversazione nr, 235 del 26.8.2015, intercorsa tra ZI. e Pa.Ba. di Confindustria, nella quale si riferiva che GI. aveva fatto, su indicazione del So., cose non corrette "in difesa della banca") nonché della conversazione nr. 543 del 31.8.2015 - di cui l'imputato, peraltro, in sede di esame, non aveva saputo fornire spiegazioni -in occasione della quale lo stesso ZI., parlando con il consigliere To., aveva affermato che era prassi che la banca sollecitasse i clienti ai quali concedeva credito ad impiegare parte del denaro per l'acquisto di azioni dell'istituto, secondo un modus operandi che, per quanto irregolare, era diffuso tra tutti gli istituti di credito; e) dell'affermato difetto di conoscenza, da parte del medesimo imputato, del trattamento contabile degli acquisti di azioni finanziate. Se, infatti, lo ZI. aveva sostenuto di ignorare che gli acquisti finanziati non potessero essere computati nel patrimonio di vigilanza - affermazione della quale il tribunale aveva preso atto senza effettuare, al riguardo, alcuna valutazione specifica - a deporre, sul piano logico, in senso contrario erano le qualità personali dell'appellato, gestore di una società immobiliare e di partecipazioni, attività necessariamente implicante la capacità di valutazione dei bilanci, tanto che era stato lo stesso ZI., nel corso del proprio esame, a definirsi un esperto in materia. Peraltro, costui era stato presidente di Confindustria di Vicenza ad aveva anche aspirato, per sua stessa ammissione, alla presidenza di B., ovverosia di un istituto che, al tempo, era tra le prime dieci banche italiane, con oltre 3 miliardi di patrimonio netto. In ogni caso, nel corso dell'interrogatorio 26.9.2017, acquisito a seguito delle contestazioni formulate in dibattimento ai sensi dell'art. 503 c.p.p., era stato il medesimo imputato a confermare di conoscere il divieto di computo, pur soggiungendo di non avere mai nutrito sospetti sulla regolarità della gestione in materia. Era bensì vero che, in sede di esame dibattimentale, lo ZI. aveva spiegato tali dichiarazioni sostenendo che intendeva riferirsi, quando aveva affermato di essere al corrente di tale divieto, all'epoca in cui le aveva rese e non già al momento dei fatti, allorquando, al contrario, era all'oscuro del divieto medesimo. Nondimeno, al di là delle considerazioni già spese in ordine al profilo, proprio dell'imputato, di soggetto altamente qualificato, era lo stesso tenore complessivo delle risposte fornite in occasione del citato interrogatorio a rendere evidente che il momento cui il dichiarante aveva inteso alludere era quello nel quale lo stesso era consigliere di amministrazione della banca; f) dell'episodio di Mi.Ga.. Trattasi della e-mail con la quale quest'ultimo, rappresentante della società Ar., titolare di ben due fidi, entrambi in scadenza, da circa 500.000 euro l'uno, aveva segnalato la pretesa dell'istituto di credito che detta società, onde ottenerne il rinnovo, acquistasse azioni per almeno 50.000 euro in relazione a ciascuna linea di credito; pretesa che lo stesso ZI., nell'inoltrare al coimputato GI. ed al Gi. tale missiva, aveva poi significativamente definito "un ricatto". Ebbene, l'imputato, non solo non si era confrontato con gli altri consiglieri in relazione a tale vicenda; non solo non l'aveva segnalata ai responsabili della funzione di controllo; ma, nell'interloquire con i predetti GI. e Gi., si era sostanzialmente limitato a chiedere che vi fosse un "occhio di riguardo" per l'amico Ga.; g) dell'operazione con U., ovverosia del finanziamento che lo ZI. (interessato ad effettuare una operazione di acquisto di strumenti finanziari per compensare minusvalenze per circa 200.000 euro) aveva richiesto ed ottenuto da B. a titolo di favore in quanto, come rammentato dal teste Vi., "aveva fatto molti favorì alla banca". Detto finanziamento, peraltro, era stato concesso con la "solita" causale generica e sulla base della sola "capacità patrimoniale" e, poiché in data 28.3.2014 era stata avanzata dagli ZI. una richiesta di storno in relazione all'operazione Ze., poi non processata, era concreto il sospetto che il finanziamento in esame, mai restituito a seguito del contenzioso intentato dalla banca nei confronti dell'imputato, fosse stato espressione di una remunerazione alternativa proprio allo storno delle competenze. Pertanto, non solo l'imputato aveva preso parte attiva ad alcune operazioni correlate ma il quadro probatorio deponeva nel senso della piena consapevolezza, in capo a costui, tanto dell'esistenza di una prassi diffusa in tal senso, quanto delle relative "implicazioni tecniche" per l'operatività dell'istituto. E, a tale ultimo riguardo, non erano affatto irrilevanti sia le dichiarazioni del teste Bo. (là dove costui aveva sostenuto di non avere riferito al CdA in ordine agli accertamenti effettuati sul caso Vi. proprio perché il CdA, ad avviso di detto teste, "era il principale indiziato", immaginando che alcuni componenti dell'organo in questione fossero non solo a conoscenza ma anche direttamente coinvolti nel fenomeno del finanziamento), sia il contenuto della conversazione telefonica nr. 528 del 9.9.2015, intercorsa tra il coimputato MA. ed il collega Cu. nel corso della quale il primo, a riprova della consapevolezza da parte del CdA in ordine alle correlate, aveva affermato;" ma come si fa a dire che il Consiglio non sapeva, capito Al.?", ricevendo dall'interlocutore la significativa risposta; "..dai su, l'ha fatta anche ZI. una mi hanno detto, dai su..."). Peraltro, l'imputato era ben a conoscenza delle condizioni di difficoltà incontrate dalla banca sia sul mercato secondario, sia su quello primario e comprendeva esattamente il significato e le finalità delle operazioni di finanziamento all'acquisto delle azioni e dei "portage" (come dimostrato dalla citata conversazione nr. 299, intercorsa con To., allorché aveva ammesso la "leggerezza" usata dal CdA nel finanziare i soci per l'acquisto di azioni). Il fatto poi, che costui, allorquando era stato a sua volta richiesto di effettuare operazioni correlate, avesse dichiarato che non intendeva "guadagnare nulla" (come risultante dal documento nr. 731), lungi dal poter essere interpretato quale intendimento riferibile ad un eventuale incremento del valore delle azioni (come pure sostenuto dall'imputato nel corso del suo esame) appariva, piuttosto, espressione del fatto che lo stesso ZI. non intendeva, diversamente da altri soggetti finanziati, trarre vantaggi dalla conclusione di operazioni correlate e, quindi, deponeva per la piena conoscenza, da parte del predetto, delle caratteristiche usualmente proprie di tali operazioni. In conclusione, l'imputato aveva avallato, anche tramite la realizzazione in prima persona di operazioni di tale natura, tanto sul mercato primario quanto su quello secondario, le prassi illecite di finanziamento, finendo per "rassicurare" i dipendenti della banca sulla esistenza di una "copertura" da parte dell'organo amministrativo; e, al contempo, aveva posto in essere le condotte di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza in quanto era stato tramite il CdA, del quale l'imputato medesimo era parte, che erano "passate" non solo le delibere di fido e di acquisto relative alle operazioni "baciate", ma anche l'approvazione dei documenti contabili e le segnalazioni effettuate nei confronti degli organi di vigilanza. Di qui la richiesta di riforma della sentenza impugnata con condanna dell'imputato alla pena di anni otto e mesi due di reclusione come da richieste rassegnate all'esito del giudizio di primo grado. 5 Gli appelli delle parti civili. Avverso la suddetta sentenza hanno interposto appello le parti civili Va.Gi., RO.El. e Va.De., Pa.La. e Pa.Gi., Ad.An., Ad.Lu., Ad.Ma., Zo.Li., Ca.Mi., Bi.Ce., Cr.La. e Co.An." 5.1 Appello delle parti civili Va.Gi., RO.El. e Va.De. Va.Gi., RO.El. e Va.De., costituiti parti civili limitatamente all'imputazione rubricata sub Al), hanno interposto appello avverso la pronunzia di assoluzione resa nei confronti di Pe.Ma.. Nel merito, l'impugnazione riproduce, per incorporazione, l'appello della pubblica accusa nei confronti del predetto imputato (sicché, sul punto, non può che richiamarsi quanto esposto sub 4.1) e conclude chiedendo l'affermazione di penale responsabilità del PE. e la condanna dello stesso, in solido con ì coimputati e con Banca (...) in L.C.A., al risarcimento dei danni cagionati alle predette partici civili, nella misura: - di euro 124.000,00 per Va.Gi. An. (euro 37.200 a titolo di danno morale; la restante parte - corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 1984 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale); - di euro 124.000,00 per RO.El. (euro 37.200 a titolo di danno morale; la restante parte - corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 1984 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale); - e di euro 46.962,50 per Va.De. (euro 10.838,50 per danno non patrimoniale; la restante parte - corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 578 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale), ovvero nell'importo ritenuto di giustizia, oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo. In subordine, dette parti hanno sollecitato la condanna generica dell'imputato, con condanna al pagamento di una provvisionale da determinarsi anche tenuto conto dell'importo riconosciuto nel provvedimento di sequestro conservativo GUP Vicenza 7.5.2018, pari al 50% dell'importo richiesto a titolo di danno patrimoniale (nella misura di euro 62.000 ciascuno per Va.Gi. An. e RO.El. e ad euro 18.062,50 per Va.De.). In ogni caso, gli appellanti hanno chiesto la conferma del sequestro conservativo emesso dal GUP del tribunale di Vicenza in data 7.5.2018, la condanna dell'imputato al pagamento delle spese sostenute dalle medesime parti civili, la dichiarazione di provvisoria esecutività delle condanne risarcitone e di quelle al pagamento delle spese e, infine, la subordinazione dell'eventuale sospensione condizionale della pena al pagamento delle somme liquidate a titolo risarcitorio o provvisoriamente assegnate sul relativo ammontare. 5.2 Appello delle parti civili Pa.La. e Pa.Gi. Pa.La. e Pa.Gi. (entrambi costituti parti civili in relazione all'imputazione rubricata sub Al e Pa.Gi. anche in ordine all'imputazione di cui al capo I, in quanto sottoscrittore dell'aumento di capitale 2014) hanno interposto appello avverso la pronunzia di assoluzione resa nei confronti di Pe.Ma.. Anche in tal caso, nel merito, l'appello riproduce, per incorporazione, l'impugnazione proposta dalla pubblica accusa nei confronti del predetto imputato. Ciò posto, gli appellanti hanno concluso chiedendo l'affermazione di penale responsabilità del PE. e la condanna dello stesso, in solido con i coimputati e con Banca (...) in L.C.A., al risarcimento dei danni patrimoniali cagionati alle predette parti civili, nella misura: - di euro 106.250,00 per Pa.La. (euro 62,50 moltiplicato per 1700 azioni possedute dalla parte); - e di euro 56.250,00 per Pa.Gi. (euro 62,50 moltiplicato per 900 azioni possedute dalla parte), ovvero nell'importo ritenuto di giustizia, oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo. In subordine, tali parti hanno sollecitato la condanna generica dell'imputato, con condanna al pagamento di una provvisionale da determinarsi anche tenuto conto dell'importo riconosciuto nel provvedimento di sequestro conservativo del GUP Vicenza in data 7.5.2018, pari al 50% dell'importo richiesto a titolo di danno patrimoniale (euro 53,125 per Pa.La. e 28.125,00 per Pa.Gi.). In ogni caso, gli appellanti hanno chiesto la conferma del citato sequestro conservativo emesso dal GUP del tribunale di Vicenza in data 7.5.2018, la condanna dell'imputato al pagamento delle spese sostenute dalle medesime parti civili, nonché la dichiarazione di provvisoria esecutività delle condanne risarcitone e di quelle al pagamento delle spese e, infine, la subordinazione dell'eventuale sospensione condizionale della pena al pagamento delle somme liquidate a titolo risarcitorio o provvisoriamente assegnate sul relativo ammontare. 5.3 Appello delle parti civili Ad.An., Ad.Lu., Ad.Ma., Zo.Li. e Ca.Mi. Ad.An., Ad.Lu., Ad.Ma., Zo.Li. e Ca.Mi., costituti parti civili limitatamente all'imputazione rubricata sub Al), hanno interposto appello avverso la pronunzia di assoluzione resa nei confronti di Pe.Ma.. Come nel caso degli appelli delle parti civili già esaminati, l'impugnazione riproduce, per incorporazione, quella proposta dalla pubblica accusa nei confronti del predetto imputato e conclude chiedendo l'affermazione di penale responsabilità dello stesso e la sua condanna, in solido con i coimputati e con Banca (...) in L.C.A., al risarcimento dei danni cagionati alle predette parti civili, nella misura: - quanto a Ad.Lu., di euro 67,843, 75 (euro 52,187,50 - corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 835 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale, nonché euro 15,656,25 a titolo di danno morale); - quanto a Ad.An., di euro 67,843,75 (euro 52.187,50-corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 835 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale, nonché euro 15.656,25 a titolo di danno morale); - quanto a Ad.Ma., di euro 67,843,75 (euro 52.187,50 -corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 835 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale, nonché euro 15.656,25 a titolo di danno morale); - quanto a Zo.Li., di euro 101.887,50 (euro 78.375,00 -corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 1254 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale, nonché euro 23.512,00 a titolo di danno morale); - quanto a Ca.Mi. di euro 58.825,00 (euro 45.250,00 - corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 724 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale, nonché euro 13.575,00 a titolo di danno morale), ovvero nell'Importo ritenuto di giustizia, oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo. In subordine dette parti hanno sollecitato la condanna generica dell'imputato, con condanna al pagamento di una provvisionale, da determinarsi anche tenuto conto dell'importo riconosciuto nel citato provvedimento di sequestro conservativo GUP Vicenza 7.5.2018, pari al 50% dell'importo richiesto a titolo di danno patrimoniale (pari ad euro 26.093,00 per Ad.Lu., ad euro 26,093,00 per Ad.An., ad euro 26.093,75 per Ad.Ma., ad euro 39.1987,00 per Zo.Li. e ad euro 21.125,00 per Ca.Mi.). In ogni caso, gli appellanti hanno chiesto la conferma del già menzionato sequestro conservativo emesso dal GUP del tribunale di Vicenza in data 7.5.2018, la condanna dell'imputato al pagamento delle spese sostenute dalle medesime parti civili, la dichiarazione di provvisoria esecutività delle condanne risarcitone e di quelle al pagamento delle spese e, infine, la subordinazione dell'eventuale sospensione condizionale della pena al pagamento delle somme liquidate a titolo risarcitorio o provvisoriamente assegnate sul relativo ammontare. 5.4 Appello delle parti civili Cr.La. e Co.An. Cr.La. e Co.An. hanno a loro volta impugnato la sentenza evidenziando come, nonostante si fossero costituiti parte civile in relazione non solo al reato di cui al capo Al), ma anche in ordine alle condotte delittuose stigmatizzate sub I) ed L), avendo sottoscritto gli aumenti di capitale 2013 e 2014 (la Cr. avendo acquistato nr. 103 azioni il 9.7.2013 ed il 25.6.2014, nonché, il 9.7.2013, obbligazioni a cinque anni successivamente convertite unilateralmente in azioni dall'istituto di credito; il Corrà avendo a sua volta acquistato nr, 74 azioni il 27.8,2013 ed il 29.8.2014, nonché, in data 24.7.2013, obbligazioni a cinque anni successivamente convertite unilateralmente in azioni dall'istituto di credito), il tribunale avesse accolto la domanda risarcitoria unicamente con riferimento al delitto di cui al citato capo Al). Di qui la richiesta di riconoscere valida e pienamente efficace la costituzione di parte civile con riferimento a tutti i reati di cui ai richiamati capi di imputazione e, conseguentemente, di condanna degli imputati al relativo risarcimento dei danni. 5.5 Appello della parte civile Bi.Ce. Il difensore delia parte civile Bi.Ce. ha proposto appello avverso la sentenza, nonché avverso l'ordinanza 28.11.2020 di rigetto della richiesta di assunzione della deposizione delta medesima parte offesa. Al riguardo, la difesa ha preliminarmente ricostruito la peculiare posizione del BI. evidenziando come il predetto, in data 14.6.2013, aderendo alla sollecitazione rivoltagli da funzionari apicali dell'istituto di credito, avesse ottenuto l'erogazione del finanziamento della somma di euro 500.000, importo interamente destinato all'acquisto di nr. 8000 azioni di B.. Quindi, in data 29.7.2014, al medesimo azionista era stata corrisposta la somma di euro 11.304,68 a titolo di rimborso degli interessi relativi all'anno precedente. Sopravvenuta la liquidazione coatta amministrativa della banca, poi, il BI., rappresentando che il finanziamento non era stato da lui richiesto, bensì era stato sollecitato dall'istituto, e precisando che detta erogazione era stata corredata dalla pattuizione circa la possibilità di restituzione, in qualsiasi momento, delle azioni sottoscritte, con conseguente annullamento de) finanziamento medesimo, aveva affermato di non essere tenuto alla restituzione dell'importo erogatogli, restituzione che, tuttavia, gli era stata intimata. Di qui l'esercizio dell'azione, nell'ambito del giudizio civile 13518/16 RG, radicato innanzi al Tribunale di Venezia - Sezione specializzata delle imprese, finalizzata alla declaratoria di nullità del negozio, ex art. 2358 c.c., azione che, successivamente, il BI. aveva trasferito, ai sensi dell'art. 75 co. 1 c.p.p., nel presente processo penale. Nondimeno, il tribunale di Vicenza aveva dichiarato l'improcedibilità dell'azione ex art. 83 T.U.B. senza affatto considerare la peculiare posizione del BI. medesimo, bensì parificandola a quella degli altri azionisti che rivendicavano il danno loro derivato dal deprezzamento delle azioni. In tal senso ricostruiti i fatti, l'appellante ha censurato la decisione impugnata, sul rilievo della perseguibilità dell'azione di nullità, in quanto azione non esperibile nell'ambito della procedura finalizzata all'accertamento del passivo (come peraltro ripetutamente precisato, proprio con riferimento alle "operazioni baciate", dalla giurisprudenza della sezione specializzata del Tribunale lagunare). Nel caso di specie, infatti, il BI., all'atto del trasferimento dell'azione nel processo penale, aveva espressamente domandato che venisse dichiarato nulla essere dovuto in adempimento del contratto di affidamento di euro 500.000,00 intervenuto con B. e relativo alia sottoscrizione di 8000,00 azioni della Banca stessa". Inoltre, una ulteriore ragione di nullità del negozio derivava, ex art. 1418 c.c., dalla illiceità della relativa causa. Per contro, il tribunale, ritenendo che l'azione fosse di tipo risarcitorio e non già demolitorio, aveva concluso nel senso della sua improcedibilità. Né poteva risultare di ostacolo all'accoglimento di detta domanda l'intervenuta procedura di liquidazione coatta amministrativa dell'istituto di credito, non essendosi per ciò solo in presenza di una soluzione di continuità incidente sul piano della soggettività della parte che aveva erogato il finanziamento. In ogni caso, la nullità del negozio e, quindi, della pretesa creditoria in capo a B., rendeva conseguentemente non riconoscibile il medesimo credito in capo a B. in liquidazione. Pertanto, la difesa ha chiesto, in via istruttoria, l'escussione del BI., ove ritenuta necessaria ai fini della prova della esclusiva provenienza da B. dell'invito ad accettare l'erogazione dell'affidamento; nel merito, ha concluso sollecitando la declaratoria di nullità del finanziamento di euro 500.000 e della coeva sottoscrizione di nr. 8000 azioni con conseguente dichiarazione che nulla era dovuto dal BI. in adempimento del suddetto contratto. Ha chiesto, infine, la liquidazione delle spese del giudizio civile trasferito nel processo penale e la condanna di B. al pagamento delle spese sostenute dalla medesima parte civile. 6 Il processo d'appello All'udienza 22.4.2022, ha avuto luogo la costituzione delle parti e la Corte, pronunziando su istanze del difensore del responsabile civile B. in liquidazione, ha pronunziato ordinanza di estromissione di detta parte. Le parti, poi, hanno depositato memorie come da verbale. Quindi, la Corte ha dato atto della predisposizione di relazione scritta, segnalando che il relativo deposito (tramite inserimento, a mezzo di apposito link, sul sito internet dell'ufficio) avrebbe potuto surrogare l'illustrazione orale e, acquisito l'accordo delle parti, è stato disposto in tal senso. Inoltre, in considerazione dell'elevatissimo numero delle parti civili e delle conseguenti implicazioni logistiche (anche in considerazione delle problematiche connesse alla pandemia da Covid 19) è stata prevista la possibilità che dette parti ed i rispettivi difensori, ovviamente senza alcuna deroga alle disposizioni di legge in materia di partecipazione alle udienze, potessero assistere (senza possibilità di interlocuzione diretta, quindi) alle udienze alle quali non avessero inteso presenziare direttamente fruendo del collegamento streaming, appositamente approntato dall'ufficio. Alla successiva udienza 16.5.2022, la Corte ha dato atto dell'avvenuto deposito della relazione scritta nei termini concordati. Quindi, le parti hanno illustrato le rispettive eccezioni (di inammissibilità delle impugnazioni; di nullità; ovvero di inutilizzabilità di singole prove) ed istanze di rinnovazione istruttoria" Tale attività è proseguita all'udienza 18.5.2022 e, all'esito, la Corte ha pronunziato ordinanza, cui si rinvia. La rinnovazione istruttoria, che si è tradotta nell'acquisizione di prove documentali ed orali, ha impegnato le udienze 30.5.2022, 1.6.2022, 8.6.2022, 13.6.2022, 15.6.2022, 17.6.2022, 20.6.2022, 24.6.2022, 5.7.2022, 8.7.2022 e 15.7.2022. La discussione, poi, ha avuto luogo alle udienze 19.9.2022, 20.9.2022, 22.9.2022, 23.9.2022, 28.9.2022, 30.9.2022 e 5.10.2022. Infine, all'udienza 10,10,2022, si sono svolte le repliche ed è stata pronunziata sentenza. MOTIVI DELLA DECISIONE Premessa metodologica La vicenda processuale, come s'è visto, si caratterizza per l'inusitata complessità dei fatti sub iudice, tanto per la natura estremamente specialistica delle tematiche economico-finanziarie di riferimento, quanto per le conseguenti implicazioni giuridiche, quanto, ancora, per la vastità del panorama probatorio raccolto all'esito di una lunga e laboriosa istruttoria dibattimentale. Ebbene, a tutte le tematiche rilevanti ai fini del decidere, il primo giudice ha offerto una risposta analitica, argomentata e, ad avviso di questa Corte, persuasiva, fatta eccezione, per quanto si dirà più oltre, con riferimento a talune specifiche questioni (segnatamente, in ordine alla affermazione circa la reiterazione delle contestazioni di aggiotaggio e, in parte, anche di ostacolo alla vigilanza, nonché in relazione alla confisca). Tenuto conto di ciò e considerata la diversa natura del giudizio di appello, chiamato a dare riposte alle questioni devolute con i motivi di gravame, è inevitabile il richiamo, per quegli aspetti della vicenda non oggetto di specifica censura, al provvedimento impugnato. Del resto, là dove ci si trovi in presenza di una sentenza di conferma del primo giudizio - ovverosia della c.d. "doppia conforme" - la struttura argomentativa dei provvedimenti di merito è destinata a saldarsi, in base alla omogeneità dei criteri di valutazione delle prove concretamente utilizzati (cfr. sul punto, Cass. Sez., V, n. 7437 del 15.10.2021, Ci. e altri, pag. 47; nonché Sez. II, n. 37295 del 19.6.2019, Sez. III, n. 44418 del 16.7.2013, Ar., Sez. III n. 13926 del 1.12.2011, Va.). Di qui la legittimità del rinvio alla trama argomentativa della decisione di primo grado, trama che, a ben vedere, costituisce la "cornice" all'interno della quale debbono collocarsi tutte le considerazioni svolte, nel solco delle specifiche doglianze argomentate negli atti di appello, nella presente sentenza. Tanto premesso, una ulteriore precisazione è d'obbligo. I motivi di impugnazione proposti dagli imputati affrontano, ripetutamente, questioni comuni (la competenza territoriale; i criteri di individuazione delle "operazioni baciate" e la "portata applicativa" dell'obbligo di deduzione delle operazioni correlate dal patrimonio di vigilanza dell'istituto di credito; la natura e la struttura dei reati oggetto di addebito; le sollevate eccezioni di violazione dei principi del ne bis in idem sostanziale e del nemo tenetur se detegere) e la soluzione di tali questioni - unitamente alla verifica dell'attendibilità e consistenza della chiamata di correo sopravvenuta in grado di appello - costituisce presupposto ineludibile anche con riferimento alla trattazione degli appelli proposti dal P.M.. Donde la decisione di far precedere alla trattazione dei singoli motivi di impugnazione l'analisi di questioni che, proprio in quanto di "interesse generale", ragioni di ordine espositivo e di semplificazione della struttura motivazionale rendono opportuno affrontare in un unico contesto, anche al fine di evitare superflue ripetizioni nel corso della presente trattazione. 7 La competenza Le difese degli imputati ZO., GI. e PI., nei termini di cui ai rispettivi atti di appello e motivi nuovi, hanno eccepito l'incompetenza del tribunale di Vicenza (quanto all'imputato GI., trattasi, peraltro, del cap. I dell'atto di appello, ossia di uno fra i motivi di gravame resi oggetto di espressa rinuncia da parte della sua difesa all'udienza del 23.9.2022, come da nota difensiva depositata in tale occasione). L'eccezione è infondata. Al riguardo, va anzitutto evidenziato come la (parziale) diversità delle parti dei procedimenti attinenti, rispettivamente, alla cautela ed al merito (taluni degli odierni imputati non risultando indagati al momento della risoluzione del conflitto di competenza ad opera della Corte di Cassazione con sentenza Sez. I, n. 15537 del 7.12.2017, dep. il 6.4.2018) e la estraneità della prospettata competenza del tribunale di Roma rispetto alla cognizione devoluta alla Suprema Corte adita dal GIP del tribunale di Milano in occasione di tale conflitto impediscano di ravvisare nella decisione di cui alla citata sentenza della Suprema Corte la preclusione processuale prevista ex art. 25 c.p.p.. Ciò posto, sussisteva la competenza dell'autorità giudiziaria di Vicenza. Al riguardo, va in primo luogo ribadito come il reato più grave, ai fini della competenza, sia stato correttamente individuato dal primo giudice nella fattispecie di ostacolo di cui al capo B1), in considerazione della contestata aggravante ex art. 2638, co. 3, c.c.. Le articolate argomentazioni svolte nella sentenza gravata in ordine alla inapplicabilità alle fattispecie di falso in prospetto, contestate sub I) ed L), dell'aumento di pena previsto ex art. 39, c. 1, L. 262/05 sono, invero, del tutto convincenti e, in questa sede, non possono che essere integralmente richiamate, deponendo in tal senso tanto il tenore della disposizione ex art. 39, co. 3 L. cit. quanto l'intentio legis siccome ricavabile dai lavori preparatori. Né possono condividersi le considerazioni difensive in ordine alla avvenuta consumazione del suddetto reato di ostacolo in Roma, presso la sede della Banca d'Italia, al momento della ricezione della comunicazione ICAAP da parte della predetta autorità di vigilanza. Per vero, in disparte ogni considerazione di merito in ordine alla attitudine decettiva di tale comunicazione, è decisivo osservare: - per un verso, in diritto, che la valutazione che il giudice di primo grado è chiamato a svolgere in ordine alla propria competenza deve esplicarsi nell'alveo della contestazione siccome formulata dal pubblico ministero, effettivo dominus dell'azione penale (cfr. Cass. Sez. I, n. 36336 del 23.7.2015, dep. 8.9.2015, confl. comp. in proc. Novarese), al di là dell'ipotesi della presenza, nel corpo dell'imputazione medesima, di errori macroscopici, ictu oculi percepibili come tali (Cass. Sez. I, n. 31335 del 23.3,2018, dep. 10.7.2018, confl. comp, in proc. Gi., Cass. Sez. I, n. 11047 del 24.2.2010, confl. comp. in proc, Gu.). Il sistema processuale, infatti, non può tollerare indebite incursioni del giudicante in uno spazio costituzionalmente riservato alla pubblica accusa ex art. 112 Cost., beninteso fatta eccezione per l'ipotesi - che, d'altronde, non viene in rilievo nel caso di specie - di addebito tanto impreciso da pregiudicarne la esatta comprensione (in quanto, in tal caso, sussiste il potere/dovere del giudice, in sede di udienza preliminare, di sollecitare la puntualizzazione dell'imputazione prima di disporre, in caso di mancata adesione del P.M. a tale sollecitazione, la restituzione degli atti allo stesso P.M.); - e, per altro verso, in fatto, che il predetto capo di imputazione sub B1) non contemplava, neppure indirettamente, la contestazione della condotta di invio della comunicazione ICAAP alla Banca d'Italia. Ed invero, non solo non v'è riferimento alcuno, in tale capo di imputazione, alla citata comunicazione ICAAP, ma l'articolata descrizione dei fatti ivi contestati è interamente relativa a condotte poste in essere in sede di vigilanza ispettiva, presso la sede dell'istituto vigilato. Del resto, l'indicazione del focus e del tempus commissi delicti di riferimento ("In Vicenza, dal 28 maggio ai 12 ottobre 2012"), ancorché non decisiva, costituisce chiaro riscontro dell'intenzione della pubblica accusa di escludere l'invio della comunicazione citata dal perimetro della imputazione. In buona sostanza, quello che i difensori vorrebbero ricompreso nel perimetro del capo B1), facendone discendere il radicamento della competenza in capo all'autorità giudiziaria romana, è un fatto storico distinto da quelli oggetto di addebito in tale imputazione, fatto che ben avrebbe potuto integrare una autonoma ipotesi delittuosa connessa ex art. 12 co. 1, lett. b, seconda ipotesi, c.p.p. e, pertanto, giustificare una integrazione dell'imputazione in sede di udienza preliminare ex art. 423, co. 1, c.p.p. (senza, peraltro, che possa configurarsi, in capo al giudicante, la facoltà di invitare la parte pubblica ad operare in tal senso - cfr. Cass. Sez. II, n. 44952 del 9.10.2014), ma la contestazione del quale, in ogni caso, potrebbe pur sempre essere oggetto di separato addebito. Di qui il rigetto della eccezione di incompetenza territoriale. E' solo per mera completezza, quindi, che si precisa come a non diverse conclusioni dovrebbe comunque giungersi anche ove si volesse considerare la citata comunicazione ICAAP - diversamente da quanto, lo si ripete, ritiene questa Corte - indirettamente "ricompresa" nel perimetro dell'imputazione. E, questo, sia qualora si qualificasse l'invio di tale comunicazione come modalità esecutiva dell'ipotesi di reato dì "mera condotta" e di "pericolo concreto", caratterizzato dal "dolo specifico" di ostacolo, di cui alla fattispecie ex art. 2638, co. 1, c.c.; sia nell'ipotesi in cui il medesimo invio fosse invece considerato alla stregua di una condotta integrante la diversa fattispecie, ex art. 2638, co. 2 c.c., di "delitto di evento" (evento costituito dall'intralcio al potere di vigilanza). A ben vedere, infatti, il luogo di consumazione del reato andrebbe individuato: - nel primo caso, in quello di invio della comunicazione medesima e, quindi, nella vicenda per cui è processo, sempre in Vicenza. Questo, in quanto sarebbe di certo errato confondere il momento di esecuzione della attività decettiva con quello della sua successiva efficacia, essendosi in presenza di un reato istantaneo che, conseguentemente, si consuma nel momento in cui è posta in essere la relativa condotta (ed inerendo l'accertamento del pericolo unicamente al profilo della necessaria offensività dì tale condotta e non già a quello della consumazione del reato, pena un indebito "avanzamento" della relativa soglia, senza che possa a tal fine valorizzarsi l'eventuale natura recettizia della comunicazione in questione, incidente unicamente in punto di efficacia dell'azione tipica); - e, nel secondo caso, in quello nel quale l'attività di controllo, pregiudicata dalla comunicazione ingannevole, avrebbe dovuto svolgersi (e dove, di lì a poco, ha effettivamente avuto luogo), ovverosia, nella concretezza del caso sub iudice, presso la sede dell'istituto di credito vigilato (e, pertanto, ancora una volta, nel capoluogo berico). 8 Il reato di aggiotaggio Il tribunale di Vicenza, nel capitolo VI della sentenza impugnata, ha dettagliatamente illustrato i criteri ermeneutici seguiti nella ricostruzione dell'istituto in questione, dando compiutamente conto degli approdi cui è pervenuto sul punto, anche attraverso pertinenti richiami alla giurisprudenza di legittimità di riferimento. In estrema sintesi, il primo giudice, dopo avere individuato, alla stregua della disposizione normativa in materia, le condotte integranti gli estremi del reato di aggiotaggio finanziario (finalizzato "a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari non quotati, ovvero per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato") e bancario (finalizzato "ad incidere in modo significativo sull'affidamento che il pubblico ripone nella stabilità patrimoniale di banche o gruppi bancari"), rispettivamente, nella diffusione di "notizie false" (aggiotaggio informativo) ovvero nel compimento di "operazioni simulate", ovvero ancora nell'utilizzo di altri artifici" (aggiotaggio manipolativo o operativo), ha precisato come, nella vicenda in esame, le "operazioni simulate" e gli "altri artifici" in altro non consistessero che nel sistematico ricorso al capitale finanziato, nella conseguente omessa iscrizione a bilancio della riserva indisponibile ex art. 2358 c.c. e, infine, nella mancata comunicazione dell'esistenza di detta prassi all'esperto incaricato della stima del valore del titolo. Sulle ragioni tanto della natura simulata o, comunque, artificiosa, del ricorso al capitale finanziato, quanto della conseguente omessa iscrizione a bilancio della relativa riserva, quanto, ancora, della mancata comunicazione di detta prassi in sede di stima del valore dell'azione, non resta che richiamare, in assenza dì specifiche doglianze difensive, le puntuali considerazioni svolte, in prime cure, alle pagine 397 - 406 della sentenza impugnata. Analogamente, con riferimento alla diffusione delle notizie false in sede di pubblicazione dei bilanci d'esercizio (segnatamente, al 31.12.2012, 31.12.2013 e 31.12.2014), di comunicati stampa (in data 8.2.2012, 19.3.2013, 27.4.2013, 9-8.2013, 27.8.2013, 18.3.2014, 8.7.2014, 29.8.2014, 26-10.2014, 10.2.2015, 3.3.2015), di comunicazioni ai soci (lettere del 30.3.2012, del 3,9.2012, del 19.3.2013, del 10.9.2013, del 2.4.2014, del 9.9.2014, del 4.12.2014, del 19.3.2015) e, infine, delle comunicazioni al pubblico ex art. 114 TUF, il tribunale ha evidenziato in modo rigoroso i profili di falsità e l'attitudine decettiva dei dati e delle informazioni ivi riportate. Sicché, anche al riguardo, è d'uopo il rinvio alla sentenza impugnata. Così come meritevole di richiamo, infine, è il percorso argomentativo (cfr. sentenza impugnata, pagg. 419-423) seguito dal tribunale nella dimostrazione dell'idoneità delle predette condotte operative ed informative ad incidere, per un verso, sul prezzo delle azioni B. e, per altro verso, sull'affidamento riposto nella stabilità patrimoniale di B. e dell'omonimo gruppo bancario. Diversamente, più articolate considerazioni si impongono in relazione alle conclusioni cui il primo giudice è giunto in ordine al concorso di reati, trattandosi di profilo sul quale si sono appuntate specifiche ed argomentate doglianze difensive (cfr. appello Gi., pagg. 80 e ss.; appello Pi., pagg. 145-146 nonché pagg. 12-18 dei motivi nuovi d'appello; appello Zo., pagg. 347 e ss, là dove, peraltro, il tema è stato valutato sotto lo specifico angolo visuale del divieto di "bis in idem sostanziale", come meglio precisato più oltre). Ebbene, il tribunale ha ricostruito la disposizione ex art. 2637 c.c., come una "norma penale mista cumulativa", ovverosia come una norma che contempla diverse condotte non già equipollenti ed alternative, bensì espressione di modalità esecutive di altrettanti reati, ciascuno dotato di autonomia e, pertanto, tutti sottoposti, guanto al reciproco rapporto, alla disciplina in materia di concorso di reati. Questo, con l'ulteriore precisazione che, se il rapporto tra aggiotaggio manipolativo ed informativo è tale da rendere unicamente ravvisabile il concorso materiale, ne deriva che, in caso di pluralità di operazioni omogenee (tanto nell'ipotesi di più condotte di aggiotaggio operativo, quanto in quella di aggiotaggio informativo), per comprendere se si sia in presenza o meno di una pluralità di reati si impone una analisi più approfondita. Inoltre, il giudice di prime cure ha qualificato il reato di aggiotaggio come un reato istantaneo, che si consuma al momento della diffusione delle notizie false, ovvero della realizzazione delle operazioni simulate, ovvero ancora delle altre condotte artificiose (e, al riguardo, il richiamo operato dal Tribunale è a Cass. Sez. V n. 40393 del 20.6.2012; si vedano, inoltre: Cass. Sez. V, n. 49362 del 7.12.2012, Consorte, Cass. Sez. V, n. 28932 del 4.5.2011, Ta., Cass. Sez. 5, n. 4324, 8.11,2012, dep. 29.1.2013, dall'Aglio e altro), con conseguente pericolo di destabilizzazione del sistema bancario/sensibile alterazione del prezzo dello strumento finanziario, tenuto conto del fatto che, trattandosi di reato di pericolo concreto, a venire in rilievo è il momento nel quale la "condotta acquisisce connotati di concreta lesività" (e, sul punto, la sentenza impugnata ha richiamato Cass. Sez. V, n. 4324 dell'8.11.2012). Peraltro, è appena il caso di precisare che la natura di reato di mera condotta e di pericolo concreto della fattispecie in esame - ovverosia di reato per l'integrazione del quale è sufficiente che siano posti in essere comportamenti diretti a cagionare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari, ovvero ad incidere in modo significativo sull'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale di una banca - è stata anche ribadita dalla successiva giurisprudenza di legittimità, sicché, in ordine a tali specifici lineamenti dell'istituto, si è in presenza di approdi oramai consolidati (cfr. ex plurimis, Cass. Sez. V, n. 4619 del 27.9,2013, P.M. e P.O. in proc. Compton e altri, Sez., V, n. 54300 del 14,9,2017, Ba.). In definitiva, il tribunale di Vicenza ha risolto il problema della unità/pluralità di reati ravvisando un unico reato là dove, anche in presenza di una sequela di atti omogenei, sussista una manovra caratterizzata, per utilizzare le parole del primo giudice, "dall'unitarietà dell'attitudine manipolativa". Diversamente, secondo la medesima prospettiva esegetica, la ripetizione di condotte omogenee, poste in essere in tempi diversi, avrebbe imposto di ritenere sussistenti una pluralità di operazioni manipolative. Trattasi di una interpretazione della fattispecie di riferimento, nel complesso, rispettosa dei lineamenti di tale ipotesi delittuosa e, pertanto, in larga parte meritevole di condivisione, sebbene si impongano, come si dirà di seguito, talune, significative precisazioni. Al riguardo, va anzitutto osservato che la definizione del reato di aggiotaggio come di un reato istantaneo non riscuote, nella giurisprudenza di legittimità, consensi unanimi, essendosi sostenuta, per contro, in talune pronunzie, la natura "eventualmente permanente" della fattispecie in esame (trattasi di Cassazione Sez. II, n. 12989 del 28.11.2012, dep. 21.3.2012 Consorte ed altri; si veda, inoltre, la precedente Cass. Sez. 15.4.2011, dep. 8.7.2011, n. 26829, confl. comp. in proc. Consorte). Conseguentemente, secondo tale approccio ermeneutico, pur nell'ipotesi di una pluralità di condotte tenute in tempi (e luoghi) differenti, si sarebbe in ogni caso in presenza di un unico reato. Sennonché, in disparte ogni considerazione in ordine al fatto che, nelle vicende processuali cui ineriscono le citate pronunzie, la tematica era stata analizzata sotto lo specifico angolo visuale della competenza territoriale, va precisato come il reato di aggiotaggio ben difficilmente possa essere ricompreso nel novero tanto dei reati permanenti (ovverosia di quei reati caratterizzati dal divieto della creazione di una situazione antigiuridica la cessazione della quale rientra nel dominio del soggetto agente), quanto di quelli eventualmente permanenti (qualora - come pare corretto ritenere - tra tali delitti dovessero ricomprendersi reati caratterizzati dalla possibilità di realizzazione attraverso plurime modalità di condotta, parte a carattere istantaneo, parte a carattere permanente, nell'accezione dianzi precisata). E' bensì vero che all'origine di tale impostazione v'è anche una insopprimibile esigenza di razionalità (alla quale, peraltro, non sono estranee palpabili ragioni di equità) e, segnatamente, quella di scongiurare la incontrollata proliferazione di contestazioni là dove - come, peraltro, normalmente accade nella prassi - il reato di aggiotaggio si presenti caratterizzato da una ripetizione di condotte analoghe, generalmente poste in essere in contesti temporali limitati. Tuttavia, è agevole osservare come, per scongiurare i paventati esiti, obiettivamente irrazionali, non siano affatto indispensabili particolari sforzi di ortopedia interpretativa e, in particolare, non occorra necessariamente ricondurre il reato in questione nell'alveo dei reati permanenti o eventualmente permanenti (come, peraltro, sostenuto anche da un risalente orientamento dottrinale, consolidatosi nella vigenza della pregressa formulazione della fattispecie) e neppure in quello dei reati eventualmente abituali. A ben vedere, infatti, al di là delle differenti opzioni teoriche, occorre considerare che, nel caso di specie, il Tribunale di Vicenza, ben lungi dall'avallare un'impostazione incline ad individuare una distinta fattispecie delittuosa in ciascuna delle condotte oggetto di contestazione, con conseguente aggravamento del rischio di indebita proliferazione dei reati, ha individuato correttivi destinati ad operare in concreto, avuto riguardo alla peculiarità della vicenda sottoposta al suo vaglio; correttivi che consentono di ricondurre ad unità condotte omogenee in quanto ricollegate al medesimo "evento" di pericolo determinato dalle condotte oggetto di contestazione. In particolare, è stato sufficiente valorizzare le concrete, marcate peculiarità dei fatti di riferimento, in quanto palesemente caratterizzati dall'unitarietà dell'attitudine manipolativa" delle relative condotte, del tutto analoghe e poste in essere in uno specifico arco temporale (annuale) dotato, come si dirà di seguito, di univoca significazione. Più nel dettaglio, il giudice di prime cure, adeguatamente valorizzando specifici e decisivi connotati concreti, ha considerato manifestazioni di un unico reato di aggiotaggio le condotte manipolative poste in essere all'interno Ih dell'arco temporale annuale. Questo, proprio in considerazione, per un verso del fatto che il prezzo dell'azione B. (essendosi in presenza di strumento finanziario non quotato) era determinato annualmente dall'assemblea dell'istituto, sulla base dei parametri patrimoniali ed economici evidenziati nel corso dell'anno, "in base ad una valutazione di un esperto che operava proprio sulla base delle informazioni fornite dall'istituto medesimo"; e, per altro verso, della circostanza che le condotte manipolative operative erano "pianificate sulla base dell'andamento del mercato stesso e della situazione patrimoniale della banca, in ragione delle cadenze prestabilite per le valutazioni - patrimoniali e di stima - in tal senso determinanti, che avevano periodicità annuale" (cfr. sentenza impugnata, pag, 425), Di qui la conclusione - che va condivisa - circa la ravvisabilità di tanti reati di aggiotaggio quanti sono gli anni di riferimento (dal 2012 al 2015). Più articolate considerazioni, per contro, si impongono con riferimento al profilo dei rapporti tra i reati di aggiotaggio "finanziario" e "bancario", tanto in ordine alle ipotesi di "manipolazione operativa", quanto a quelle di "manipolazione informativa". Ad orientare il tribunale nel senso della ravvisabilità del concorso di reati sono state: - sotto il primo profilo (quello inerente alla coesistenza delle ipotesi delittuose di aggiotaggio finanziario e bancario), la diversa, astratta natura degli "eventi di pericolo" considerati dalla disposizione di riferimento (costituiti, segnatamente, dalla sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari e dalla significativa incidenza sull'affidamento che il pubblico ripone nella stabilità di una banca); - e, sotto il secondo profilo (quello del concorso tra "manipolazione operativa" e "manipolazione informativa"), la strutturale distinzione delle modalità esecutive di riferimento. E' stato per tali ragioni, quindi, che il giudice di prime cure, nell'ambito della tradizionale distinzione tra "norme miste cumulative" (o "disposizioni a più norme") e "norme miste alternative" (o "norme a più fattispecie"), è pervenuto a collocare l'ipotesi ex art. 2637 c.c. nell'alveo della prima categoria, traendone le conseguenti conclusioni richiamate in premessa. Trattasi, peraltro, di impostazione che, sebbene avallata dalla pronunzia di legittimità evocata dallo stesso tribunale (Cass. 28932/11, imp. Ta.), non è affatto condivisa dalla prevalente dottrina, incline, al contrario, ad escludere il concorso formale eterogeneo tra diverse modalità di realizzazione della medesima fattispecie ed a ravvisare, in siffatta evenienza, un unico reato caratterizzato da alternative modalità di esecuzione. Questo, in ragione della struttura unitaria della fattispecie di riferimento (un argomento in tal senso è stato tratto, in dottrina, anche dai contenuti della Relazione Ministeriale al D.Lgs. 61/2002, con particolare riguardo ai suoi par. 1. e 17.) e, in ogni caso, facendo concreta applicazione di una pluralità di parametri usualmente impiegati per risolvere i problemi posti dalla presenza di "leggi penali miste". Ebbene, la soluzione della questione sub iudice, ad avviso di questa Corte, non implica affatto, necessariamente, l'astratta adesione all'una ovvero all'altra delle opzioni teoriche di riferimento: piuttosto, passa attraverso l'adeguato apprezzamento critico della peculiare concretezza di tale vicenda. A ben vedere, ove si considerino debitamente le specificità del caso, in effetti caratterizzato: - per un verso, dalla particolare natura (un istituto di credito, per l'appunto) dell'ente di riferimento; - per altro verso, dall'inestricabile combinazione di condotte di "manipolazione operativa" ed "informativa" poste in essere dagli imputati; - e, per altro verso ancora, dalla circostanza che tali condotte manipolative hanno avuto, quale riferimento, il titolo dell'istituto di credito, non pare affatto possibile ravvisare tanti reati di aggiotaggio bancario e finanziario, operativo ed informativo, quanti sono gli anni di riferimento. In effetti, ponendosi - come doveroso - sul piano della concretezza degli accadimenti, è giocoforza concludere, anzitutto, che "l'evento di pericolo" dell'aggiotaggio bancario non risulta, di fatto, separabile dall'"evento di pericolo" costituito dall'alterazione del prezzo delle azioni B., trattandosi, in buona sostanza, di null'altro che della medesima ricaduta perniciosa dell'articolato complesso delle attività delittuose osservata da due distinte prospettive. Ravvisare, nel caso di specie, una pluralità di reati costituirebbe, quindi, l'esito di una interpretazione formalistica, contraria alla concreta realtà degli accadimenti ed in stridente contrasto con le esigenze sottese al divieto di bis in idem sostanziale. A ben diversi approdi, infatti, potrebbe giungersi - ad ulteriore riprova della decisività di un approccio incline a valorizzare le specificità del caso - solo qualora le condotte di aggiotaggio informativo avessero inciso sull'affidabilità riposta dal pubblico nell'istituto bancario senza necessariamente presupporre la manipolazione operativa del prezzo del titolo (come, invece, pacificamente avvenuto nel caso in esame). Peraltro (e, sul punto, l'obiezione articolata dalla difesa GI. al paragrafo XIII-4 coglie nel segno), opinando nel solco delle considerazioni svolte dal tribunale si finirebbe per ravvisare, sempre e comunque, in ogni caso di aggiotaggio societario incidente su uno strumento finanziario non quotato, sia il reato di aggiotaggio bancario sia il reato di aggiotaggio finanziario. In definitiva, quella che è stata in dottrina qualificata come "irriducibilità degli eventi pericolosi" (sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari, da un lato; affidamento riposto nella stabilità patrimoniale della banca, dall'altro) - pure, sul piano astratto, evidentemente indiscutibile - costituisce elemento destinato a perdere ogni rilievo nell'ambito di una valutazione necessariamente calata dal piano della astratta speculazione a quello della reale dinamica degli eventi sottoposti al giudizio. Ne deriva che, nella peculiare vicenda al vaglio di questa Corte, possono essere fondatamente individuati, per ciascun anno di riferimento, gli estremi di un solo delitto di aggiotaggio e, segnatamente, di aggiotaggio bancario, ove si considerino: - da un lato, la circostanza che le modalità con le quali è possibile incidere sull'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale della banca sono certamente molteplici e, quindi, non sono certo necessariamente limitate alla alterazione del prezzo dell'azione (come del resto riscontrato anche nel caso di specie, alla stregua dalla variegata natura delle condotte oggetto di contestazione, inerenti, segnatamente, anche alla diffusione di notizie false relative "alla reale entità del patrimonio", alla "solidità patrimoniale della banca", alla "crescita della compagine sociale" e, infine, al "buon esito delle operazioni di aumento di capitale"); - e, dall'altro lato, evidenti ragioni di "specialità" (essendosi in presenza, nel caso in esame, di un ente societario avente la peculiare natura di istituto di credito). Del resto, pare obiettivamente arduo obliterare una circostanza tutt'altro che trascurabile ai fini di una ricostruzione del fenomeno delittuoso che sia, al contempo, coerente con la effettiva dinamica dei fatti ed immune da estrema astrattezza e da conseguenti eccessi rigoristici. Trattasi del fatto che, nell'ambito dell'arco temporale (annuale) di riferimento, il pericolo tanto di alterazione del prezzo degli strumenti finanziari, quanto del condizionamento dell'affidamento del pubblico nella stabilità patrimoniale della banca, costituivano, con ogni evidenza, un unitario "fattore di coagulazione" delle condotte antigiuridiche, comune sia alle manipolazioni operative che a quelle informative, queste ultime viste come coessenziali momenti dell'azione manipolativa, in quanto necessariamente determinate dalle prime e ineluttabilmente volte ad occultarle (onde non vanificarle). Aggiungasi che, com'è stato acutamente osservato, sovente, nella prassi - e la vicenda sub iudice, sul punto, né è la plastica conferma - le "tecniche manipolatone" non si presentano in forma esclusivamente informativa o manipolativa, bensì necessariamente assumono connotati ibridi, espressione di una combinazione, difficilmente scindibile, di condotte riconducibili alle due diverse categorie, dando così luogo ad un unico, ancorché complesso, effetto manipolativo. In ogni caso, ciò che rileva è il comune denominatore (costituito dalla oggettiva idoneità decettiva della condotta, tale cioè da influenzare il processo decisionale dell'investitore/risparmiatore) che induce ad assimilare le modalità informative a quelle operative. In definitiva, il carattere che unifica le due condotte è quello della medesima struttura fraudolenta. In altri e decisivi termini, nella peculiare fisionomia del caso in esame, caratterizzata tanto dalla riferibilità al medesimo nucleo di soggetti apicali sia delle condotte di aggiotaggio manipolativo che informativo, quanto dalla idoneità delle relative condotte a realizzare (od occultare) la medesima situazione di pericolo, una lettura dei fatti più aderente al loro concreto verificarsi induce a ricondurre le condotte di manipolazione operativa nell'orbita di quelle di manipolazione informativa, essendo dette forme eterogenee di manipolazione parti integranti di un'unica operatività delittuosa. Che, poi, nel contesto di tale, unitaria operatività abbia in concreto assunto più spiccato rilievo la "dimensione informativa" del reato in esame discende - sempre coerentemente ponendosi nell'ottica della effettiva materialità degli accadimenti - dalla semplice considerazione che, nell'ambito della inestricabile connessione tra condotte informative e condotte di manipolazione operativa di cui s'è detto, queste ultime costituivano "l'antefatto" delle prime, le quali, a loro volta, erano funzionali a rendere "proficue" le seconde, il tutto, come s'è detto, in attuazione di una inscindibile unitarietà del complessivo contegno manipolativo (si vedano, sul punto, le acute osservazioni contenute nella citata sentenza Cassazione Sez. II, n. 12989 del 28.11.2012, dep. 21.3.2012 Consorte ed altri). Ebbene, in un siffatto, peculiare contesto, il punto "di caduta" delle complessive azioni delittuose è stata la determinazione del prezzo dello strumento finanziario da parte dell'esperto, indotto in errore sulla base degli esiti dell'attività manipolativa (illeciti finanziamenti; operazioni correlate) e del conseguente flusso di informazioni false indirizzategli dalla "Divisione Bilancio". Inoltre, le informazioni decettive sono poi necessariamente confluite in quel "documento di sintesi" costituito dal bilancio, elemento essenziale per la comprensione dello "stato di salute" dell'istituto. E' solo in questi termini, quindi, che ha senso riconoscere effettivo rilievo, nella concretezza del caso di specie, alla "prevalenza" della condotta informativa su quella manipolativa. Donde la conclusione che, difformemente da quanto sostenuto dal primo giudice, non possono ravvisarsi, nel periodo di riferimento (2012-2015), 16 reati (4 reati di aggiotaggio finanziario operativo; 4 reati di aggiotaggio finanziario informativo; 4 reati di aggiotaggio bancario operativo; 4 reati di aggiotaggio bancario informativo), bensì soltanto 4 reati di aggiotaggio (bancario) singolarmente individuabili secondo una cadenza annuale, tale essendo la periodicità riferibile tanto alla determinazione del prezzo dell'azione quanto alla rappresentazione all'esterno dei "fondamentali" della banca che confluivano nel bilancio oggetto dì pubblicazione. Ovviamente, la scelta operata da questa Corte nel senso della riduzione ad unità di alcune delle fattispecie delittuose contestate (individuazione di sole quattro fattispecie di reato) implica immediate ricadute sul trattamento sanzionatorio, nel senso che ne determina necessariamente un ridimensionamento (astratta punibilità di sole quattro fattispecie in luogo delle sedici fattispecie individuate dal giudice di primo grado). Resta, in ogni caso, evidente che già in base all'impostazione adottata dal tribunale (che, come s'è detto, ha considerato manifestazioni di un unico reato le condotte di aggiotaggio di carattere omogeneo poste in essere all'interno dell'arco temporale annuale) è inevitabile calcolare in maniera diversificata la prescrizione delle diverse ipotesi di aggiotaggio, individuando un autonomo termine della relativa decorrenza con riferimento a ciascuno degli anni presi in considerazione. A tale impostazione consegue, in ogni caso, la dichiarazione di estinzione per prescrizione dei reati di aggiotaggio perfezionati negli anni fino al 2014, con conseguente eliminazione delle pene previste per le corrispondenti ipotesi di reato. 9 Il reato di ostacolo alla vigilanza In ordine alle imputazioni di ostacolo alla vigilanza in danno di Banca d'Italia, va ricordato come il tribunale, con riferimento agli addebiti, relativi ad ipotesi di vigilanza informativa, di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, H1, a fronte della contestazione tanto della fattispecie di cui all'art - 2638, co. 1 c.c., quanto dì quella di cui al secondo comma della disposizione in esame (e, questo, ad onta del richiamo, in rubrica, unicamente alla disposizione di cui all'art. 2638 co. 2, c.p.), abbia ritenuto sussistente, in presenza di condotte di omessa comunicazione con mezzi fraudolenti tali da creare ostacoli rilevanti alla autorità di vigilanza, unicamente il reato di cui all'art. 2638, co. 2, c.c.. Questo, in applicazione dei principi di sussidiarietà e consunzione, posto che, secondo l'opinamento del primo giudice, l'evento di ostacolo previsto ex art. 2638 co,2, c.c. avrebbe dovuto ritenersi tale da esaurire l'intero disvalore delle condotte. Diversamente, in relazione al reato di cui al capo B1, inerente alle condotte di ostacolo alla vigilanza ispettiva poste in essere in occasione dell'ispezione del 2012, a fronte della realizzazione di due condotte distinte (segnatamente: occultamento del capitale finanziato e delle lettere di impegno realizzato con mezzi fraudolenti; omessa comunicazione agir ispettori dell'anomala operatività collegata alle operazioni di capitale finanziato) il tribunale di Vicenza ha concluso nel senso della sussistenza di entrambi i reati previsti, rispettivamente, dal primo e dal secondo comma dell'art. 2638 c.c.. Infine, anche in ordine alla contestazione di cui al capo M1, il giudice di prime cure ha ravvisato una duplicità di reati, in ragione della diversità delle condotte di sviamento delle attività di controllo riferibili, rispettivamente, alla Banca d'Italia (in sede di attività ispettiva posta in essere nel corso del c.d. "Asset Quality Rewiev") ed alla Bc. (nell'ambito del c.d. "Comprehensive Assessment") Ebbene, l'esito cui il tribunale è pervenuto, con riferimento ai reati di cui ai predetti capi C1, D1, E1, F1, G1 ed H1, nell'escludere il concorso tra le due fattispecie, facendo applicazione del criterio dì consunzione, è certamente persuasivo. Al medesimo esito e per le stesse ragioni deve, tuttavia, pervenirsi anche in relazione all'imputazione stigmatizzata sub B1, essendosi parimenti in presenza, nella concretezza del caso di specie, di un solo reato. Il tribunale, in senso contrario, ha valorizzato la congiunta contestazione di condotte tanto di "occultamento con mezzi fraudolenti" delle circostanze, univocamente riferibili al fenomeno del capitale finanziato, richiamate in detta imputazione, quanto di "omessa comunicazione" di siffatte circostanze. Nondimeno, deve osservarsi, sul punto, come: - da un lato, entrambe le condotte debbano ritenersi caratterizzate dalla medesima finalità fraudolenta (essendo state poste in essere dagli stessi soggetti e nel medesimo contesto - ispezione della Banca d'Italia - con occultamento agli ispettori dell'indebito massiccio ricorso ad operazioni correlate), con la conseguenza che la stessa condotta di "omessa comunicazione" deve ritenersi solo un segmento omissivo di una più articolata condotta attiva; - dall'altro lato che, pure in relazione a tale ipotesi di reato, l'effettiva concretizzazione dell'ostacolo alla vigilanza realizzava, contestualmente alla condotta, anche l'intento perseguito, e, di conseguenza, in presenza di una fattispecie descritta e sanzionata secondo un duplice schema in termini di equivalenza (è infatti previsto lo stesso trattamento sanzionatorio per le due ipotesi), il disvalore della condotta risulta esaurito dal conseguimento dell'evento avuto di mira. Le condotte contestate al predetto capo B1, pertanto, devono ritenersi espressione di un unico reato ex art. 2638, co, 2 c.c., proprio in attuazione dei principi di assorbimento già valorizzati dal primo giudice in relazione alle ulteriori contestazioni di ostacolo alla vigilanza. E' solo per completezza, quindi, che va precisato come, anche a volere diversamente opinare sul punto - e, quindi, a voler ravvisare, con riferimento alle contestazioni elevate al predetto capo B1, nel solco della decisione del primo giudice, la coesistenza di entrambe le ipotesi di reato (2638 co. 1 e 2 c.c.) - la circostanza che le condotte di occultamento siano evidentemente collocabili, sotto il profilo temporale, all'inizio dell'attività ispettiva (ovverosia nel momento nel quale l'obbligo di cooperazione con la vigilanza avrebbe imposto l'ostensione di tutti i dati rilevanti ai fini della regolarità del controllo e, quindi, alla data del 28.5.2012, coincidente con l'inizio dell'ispezione di Banca d'Italia presso la sede dell'istituto vigilato) comporterebbe la presa d'atto dell'intervenuta prescrizione di tali condotte, con l'effetto che residuerebbe unicamente il reato di cui all'art. 2638, co.2 c.c.. Analoghe considerazioni, infine, si impongono con riferimento al reato di cui al capo M1, tenuto conto della medesimezza del percorso ispettivo/valutativo (ad onta del coinvolgimento di due autorità di vigilanza distinte ma "cooperanti", ovverosia Banca d'Italia e Bc.) nel cui ambito sono state poste in essere le condotte decettive stigmatizzate in imputazione. Si è evidentemente, in presenza, anche in tal caso, di un medesimo accadimento materiale costituito, nello specifico, da una unitaria operazione di sviamento delle attività di controllo integrata tanto dall'occultamento di dati rilevanti (quelli complessivamente inerenti al capitale finanziato), quanto dalla comunicazione di notizie non corrispondenti a verità (quelle contenute, rispettivamente, nella comunicazione 20.6.2014, inerente al "Preliminary Capital Plan", nelle informazioni relative agli "stress test" e, infine, nel "Capital Plan"), operazione che ha avuto l'effetto, per un verso, di scongiurare approfondimenti conoscitivi e, per altro verso, di indurre le autorità di vigilanza a concludere per l'idoneità delle misure di rafforzamento patrimoniale adottate dall'istituto di credito per superare le carenze emerse all'esito del c.d. Comprehensive Assessment. Pertanto - e concludendo sul punto - ritiene questa Corte che siano ravvisabili, con riferimento ai reati contestati ai capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1 ed M1, in danno di Banca d'Italia (e, quanto al reato di cui al capo M1, di Bc.), unicamente le ipotesi di reato di cui all'art. 2638, co. 2, c.c., e così pure per il capo N1, avente ad oggetto condotte di ostacolo alla vigilanza in danno di CONSOB. Ciò posto, va ulteriormente precisato che il tribunale di Vicenza, dopo avere richiamato l'orientamento giurisprudenziale incline ad individuare, nelle condotte in esame, un reato eventualmente permanente, ha escluso la ravvisabilità di una unitaria attività di ostacolo alla vigilanza protrattasi per un triennio "e, quindi, di un unico reato), ritenendo integrate, piuttosto, reiterate condotte delittuose poste in essere nel corso di distinte attività di vigilanza, ciascuna compiutamente esauritasi e, quindi, concludendo nel senso di una pluralità di reati. In effetti, ad avviso del giudice di prime cure, in presenza, come nella specie, di condotte di ostacolo protrattesi a lungo, sarebbe l'effettivo esaurimento o meno dell'attività di vigilanza pregiudicata dalle suddette condotte a costituire, al riguardo, l'elemento di discrimine. Trattasi di impostazione che va condivisa. A ben vedere, infatti, qualora siano ravvisabili ostacoli frapposti ad attività di vigilanza distinte (in quanto finalizzate ad eludere specifici interventi di controllo ovvero a conseguire obiettivi mirati, ad esempio il rilascio di autorizzazioni aventi un determinato contenuto) e tutte esauritesi, non pare revocabile in dubbio l'avvenuta consumazione di una pluralità di reati (il momento di consumazione di ciascuno dei quali dovendosi conseguentemente individuare proprio all'atto dell'esaurimento delle singole attività dì vigilanza oggetto di sviamento). Guardando al fenomeno in esame da tale prospettiva, quindi, il richiamo all'opinamento giurisprudenziale in ordine alla natura "eventualmente permanente" della fattispecie di ostacolo delineata dall'art. 2638, co. 2 c.c. assume, ad avviso di questa Corte, pertinente e persuasivo rilievo, in quanto, lungi dall'apparire l'esito di un mero esercizio accademico, se non addirittura di una sterile disputa classificatoria, fornisce le coordinate per scongiurare irrazionali approdi rigoristici, al contempo senza sconfinare in inammissibili "semplificazioni sostanzialistiche". Ebbene, nel caso di specie si è in presenza proprio di una situazione siffatta, ove si consideri che, nel solco degli addebiti di riferimento, le condotte delittuose: - nel caso dell'attività ispettiva del 2012 di cui al capo B1, hanno condizionato tale ispezione, falsandone l'esito; - nel caso di cui al capo C1, hanno consentito l'adozione di una "decisione SREP" più favorevole; - nel caso di cui al capo D1, hanno avuto incidenza sulla lettera di intervento del 24.6.2013 ed hanno impedito la contestuale adozione, da parte della Banca d'Italia, di ulteriori misure ed interventi di vigilanza; - nel caso di cui ai capi E1, G1, H1, hanno impedito l'adozione, da parte della medesima autorità di vigilanza, di "contromisure" coerenti con gli effettivi requisiti patrimoniali annuali; - nel caso di cui al capo F1, hanno consentito di ottenere il provvedimento autorizzativo necessario per l'aumento di capitale 2014; - nel caso di cui al capo M1, infine, hanno falsato l'esito del Comprehensive Assessment. Al riguardo si osserva che proprio la stessa giurisprudenza di legittimità espressasi per la natura di reato eventualmente permanente del delitto di ostacolo alla vigilanza (cfr., oltre alla già nota Cass. Pen. Sez. 5, n. 6884 del 12/11/2015 dep. 22/02/2016, Gi. e altri, anche la più recente Cass. Pen. Sez. 5, n. 29377 del 29/05/2019, P.G. c. Mu.) nel contempo ha opportunamente precisato come la fattispecie di cui al comma 2 dell'art. 2638 c.c., diversamente da quella di cui al comma 1, non sia un reato di condotta bensì di evento e, più in particolare, sia "una fattispecie causalmente orientata al risultato lesivo rappresentato dall'evento di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza", essendo peraltro sufficiente, per la configurabilità del reato in esame, ""la verificazione di un effettivo e rilevante ostacolo alla funzione di vigilanza, quale conseguenza di una condotta che può assumere qualsiasi forma, tra cui anche la mera omessa comunicazione di informazioni dovute". Ebbene, l'evidente e ben marcata differenza di fisionomia (poco sopra illustrata) che intercorre tra gli eventi di ciascuna delle singole fattispecie di ostacolo alla vigilanza oggetto dei vari capi di imputazione fa sì che non possa in alcun modo accedersi alla tesi difensiva della reductio ad unitatem. Né può opinarsi in senso contrario sul rilievo delle circostanze (pure espressamente valorizzate dal difensore di ZO. nell'atto di appello, sub 6, alle pagg. 346 e ss., 350-351) costituite, segnatamente: - dall'unicità del fenomeno taciuto (ovverosia l'esistenza dell'acquisto di azioni della banca finanziato dallo stesso istituto di credito); elemento, questo, valorizzato anche dalla difesa dell'imputato PI., cfr. pag, 145 del suo atto di appello; - ovvero dalla titolarità degli interessi tesi in capo al medesimo soggetto; - ovvero ancora dall'identità della "spinta motivazionale" ravvisabile all'origine di tali condotte. Sotto il primo profilo, infatti, non può non rilevarsi che trattasi di elemento di ben scarso rilievo ai fini della valutazione in ordine al tema della unicità/pluralità di reato. Sotto il secondo profilo, poi, è decisivo osservare che le informazioni ed i dati occultati, nonostante fossero tutti attinenti al medesimo fenomeno del 1 capitale finanziato, oltre ad incidere, per quanto detto, su attività di vigilanza connotate da finalità autonome (si pensi a quanto appena precisato in relazione alla ispezione del 2012, di cui al capo B1; alla decisione SREP di cui al capo C1; all'aumento di capitale 2014 di cui al capo F1, ovvero al Comprehensive Assessment di cui al capo M1), sono stati anche obiettivamente (e necessariamente) differenti, essendo riferibili - e trattasi di considerazione, sul punto, dirimente - ad una situazione finanziaria e patrimoniale dell'istituto di credito in costante evoluzione. Sotto il terzo profilo, infine, si è evidentemente in presenza di circostanza al più valorizzatale ai fini dell'unificazione (peraltro già operata nella sentenza impugnata) delle condotte contestate sotto il vincolo della continuazione ma "ontologicamente" inidonea a consentire di concludere per la sussistenza dì un unico reato. Di qui la conclusione circa la sussistenza della pluralità dei fatti-reato di ostacolo alla vigilanza già ravvisati dal tribunale (ferme restando le precisazioni già svolte in ordine ai capi B1 ed M1, riferibili, entrambi, a condotte integranti gli estremi di un unico episodio delittuoso). Da ultimo, quanto all'ostacolo alla vigilanza contestato al solo GI. al capo N1 e perpetrato in danno di CONSOB non può che farsi rinvio a quanto precisato, sul punto, dal Tribunale, non ponendosi problemi in ordine alla unicità/pluralità di reati. 10. Il reato di falso in prospetto Con riferimento alle due ipotesi di reato di falso in prospetto oggetto di addebito, rispettivamente, ai capi I) ed L) della rubrica, la sentenza gravata, nel capitolo XI, ha operato una puntuale e convincente ricostruzione al riguardo e gli atti di impugnazione non ne sollecitano specificamente il riesame. Dì qui il richiamo a quanto evidenziato nel discorso giustificativo del primo giudice, con l'ulteriore precisazione che trattasi di reati ambedue medio tempore estinti per prescrizione. 11. I reati contestati: considerazioni generali conclusive. Alla luce delle considerazioni svolte, quindi, ricorrono tutte le fattispecie di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto oggetto di addebito, nei termini in precedenza evidenziati. Sul punto, infatti, non persuadono le censure alla affermata coesistenza di detti reati motivate facendo leva sui principi, rispettivamente, del "ne bis in idem" sostanziale (se non nei limiti indirettamente valorizzati nella unificazione delle condotte di aggiotaggio poste in essere nel medesimo arco temporale annuale, secondo quanto in precedenza evidenziato) e del "nemo tenetur se detegere" (è il caso, segnatamente, delle argomentazioni critiche esposte dalla difesa Zo., rispettivamente, ai paragrafi da 6,5.1 a 6,5.1.5 e 6.5.2. dell'atto di appello, pagg.352-363; dalla difesa PI., sotto il secondo profilo, al paragrafo 10 detratto di appello, pag, 146, e, sotto entrambi i profili, alle pagg. 12-18 dei motivi nuovi d'appello; dalla difesa PE. alle pagg. 159-179 della memoria prodotta nel corso del giudizio di primo grado e, quindi, nuovamente depositata in sede di appello, nonché, sotto il solo primo profilo e unicamente con riferimento al reato di aggiotaggio, dalla difesa GI. al cap. XIII dell'atto di appello, pagg. 80-83). Quanto al primo tra i principi evocati (ossia quello del divieto di "bis in idem" sostanziale, che, lo si ricorda, concerne le ipotesi di qualificazione normativa multipla di un medesimo fatto, e, mediante il criterio regolativo della specialità di cui agli artt. 15 e 84 c.p., fonda la disciplina del concorso apparente di norme, vietando che uno stesso fatto sia accollato giuridicamente due volte alla stessa persona), deve anzitutto osservarsi che i reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto presentano una strutturale differenza sia delle condotte, sia dei beni giuridici tutelati, sia dei soggetti passivi di riferimento. Ad accomunare tali reati, nella concretezza della presente vicenda processuale, invero, v'è solo una medesima, originaria situazione di fatto (ovverosia il dissennato ricorso al capitale finanziato e la conseguente necessità, per un verso, di amplificarne progressivamente la portata, al fine di fronteggiare una situazione sempre più incontrollabile e, per altro verso, di impedirne l'emersione), nulla di più. Ebbene, l'equivoco di fondo consiste, da parte delle difese che invocano in ispecie il "ne bis in idem" sostanziale, proprio nella nozione di "condotta" storico-naturalistica da esse adottata, fatta coincidere tout court con l'occultamento del capitale finanziato. A tal proposito non vi è ragione alcuna di discostarsi dal granitico, a dir poco, insegnamento giurisprudenziale di legittimità (costante a far tempo dalla capostipite Cass. Pen. Sez. U., n. 34655 del 28/06/2005, P.G. in proc. Do. e altro, e ulteriormente consolidatosi all'indomani dell'autorevolissimo avallo offerto da Corte Cost. n. 200/2016) secondo cui, ai fini della preclusione connessa al principio del "ne bis in idem", l'individuazione dell"'idem factum", se da un lato richiede (in conformità anche alla giurisprudenza sovranazionale della Corte EDU: cfr. per tutte la nota sentenza della Grande Camera del 10 febbraio 2009, Zo. c. Russia, chiamata ad interpretare l'art. 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione) che si abbia riguardo non già alla fattispecie normativa astratta bensì al fatto storico-naturalistico, dall'altro lato esige però che quest'ultimo sia inteso in senso complessivo, ossia in tutti i suoi elementi essenziali riconducibli alla triade costituita dalla condotta dell'imputato, dall'evento naturalistico e dal relativo nesso causale, e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona. In tal senso cfr., fra le moltissime, Cass. Pen. Sez. 5, n. 1363 del 25/10/2021 dep. 14/01/2022, Ab.; Cass. Pen. Sez. 6, n. 42933 del 21/10/2021, Ma.; Cass. Pen. Sez. 3, n. 30034 del 16/03/2021, Ca.; Cass. Pen. Sez. 4, n. 10152 del 02/03/2021, D'A.; Cass. Pen., Sez. 2, n. 52606 dei 31/10/2018, Bi.; Cass. Pen. Sez. 5, n. 50496 del 19/06/2018, Bo.; Cass. Pen. Sez. 3, n. 21994 del 01/02/2018, Pi.. Nell'occuparsi del bis in idem processuale, con la sopra citata sentenza n. 200 del 21 luglio 2016, la Corte costituzionale (che ha dichiarato illegittimo l'art. 649 c.p.p. nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussista un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale) ha ridefinito il principio del suddetto ne bis in idem processuale recependo, sul piano ermeneutico, l'opzione della Corte EDU, in ciò affermando il criterio dell'idem factum, e non dell'idem legale, ai fini della valutazione della medesimezza del fatto storico oggetto di nuovo giudizio. Un decisivo contributo alla rimodulazione del principio del divieto del bis in idem proviene ovviamente dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che pure, nel corso degli ultimi anni, ha fornito diverse precisazioni di principio. Con riferimento alla nozione rilevante di idem factum va evidenziato che la Corte EDU, dopo avere adottato nel tempo varie differenti interpretazioni, è infine giunta (con la citata sentenza della Grande Camera, 10 febbraio 2009, caso Se. contro Russia) a un approdo definitivo e organico. Nell'esaminare i trattati e gli strumenti internazionali che sanciscono il divieto del "bis in idem" la Corte EDU ha constatato (paragrafo 79) che non tutti usano gli stessi termini, e ha così affermato che la distinzione tra r termini "stessi atti" o "stessi fatti", da un lato, e "stesso reato", dall'altro, è stata ritenuta sia dalla CGUE che dalla Corte Interamericana dei Diritti Umani un elemento importante a favore dell'adozione di un approccio basato strettamente sull'identità degli atti materiali (idem factum) e sul rifiuto della mera qualificazione giuridica (idem legale) di tali atti quale criterio di verifica della violazione, giudicata come irrilevante. La Corte EDU prende spunto da questa constatazione e, ribadendo che la Convenzione EDU deve essere interpretata ed applicata in modo da rendere pratici ed effettivi, e non teorici o illusori, i diritti in essa riconosciuti, afferma (paragrafo 80) che l'uso del termine "offence/infraction" nell'art. 4 del Protocollo n. 7 non giustifica un approccio interpretativo di tipo restrittivo; il ricorso alla mera qualificazione giuridica del medesimo fatto (idem legale) rischia di indebolire il divieto di bis in idem, piuttosto che renderlo pratico ed effettivo, perché non impedisce che per la medesima condotta una persona possa essere processata e/o condannata due volte. Di conseguenza - secondo la Corte EDU - l'art. 4 del Protocollo n. 7 deve essere interpretato nel senso che il reato è il medesimo se i fatti che lo integrano sono identici oppure sono sostanzialmente gli stessi (paragrafo 82), dovendosi intendere per fatto "l'insieme di circostanze di fatto concrete che coinvolgono io stesso imputato e che sono inestricabilmente legate tra loro nel tempo e nello spazio, la cui esistenza deve essere dimostrata al fine di ottenere una condanna o avviare un procedimento penale" (paragrafo 84), Così consolidatasi l'interpretazione circa la necessità di verificare la violazione dell'art. 4 Prot. 7 Convenzione EDU sull'idem factum (e non già sull'idem legale), nonostante la formulazione linguistica della norma convenzionale sembrasse attribuire rilevanza alla sola qualificazione giuridica, la giurisprudenza successiva della Corte di Strasburgo si è articolata in una serie di pronunce (fra cui, ad esempio, Ma. contro Croazia, Sez. I, 25/6/2009) che, partendo dalla nozione di idem factum, hanno verificato volta per volt sulla base di un approccio casistico (connaturato alla stessa struttura della giurisdizione europea convenzionale), l'identità formale o sostanziale dei fatti posti alla base degli addebiti mossi, assumendo quali parametri l'insieme delle circostanze fattuali concrete relative allo stesso autore e indissolubilmente legate tra loro nel tempo e nello spazio, incluso l'evento. Tale approccio casistico (il quale, pur partendo dalla nozione di idem factum, non ha fondato un orientamento della Corte di Strasburgo che restringesse l'identità alla sola condotta) è stato ribadito anche recentemente, come ad esempio nel caso Ga. c. Croazia (Corte EDU, Sezione 1 del 31 agosto 2021). Ciò posto quanto agli approdi della giurisprudenza della Corte di Strasburgo sulla nozione rilevante di idem factum, va evidenziato che a sua volta la Corte Costituzionale, nella citata sentenza n. 200 del 2016, affermando il criterio dell'idem factum ai fini della valutazione della medesimezza del fatto storico oggetto dì nuovo giudizio, ha chiarito che l'affrancamento dall'inquadramento giuridico del fatto (ossia dall'idem legale) non implica l'affrancamento dai criteri normativi di individuazione del fatto. Il criterio dell'idem factum - afferma la Consulta - non può essere inteso nell'accezione ristretta alla sola condotta (azione od omissione), in quanto la stessa giurisprudenza della Corte EDU non è consolidata in tal senso, anche in virtù dell'approccio casistico (appena visto) che la connota, e in quanto la scelta sul perimetro dell'idem factum "è di carattere normativo", perché "ognuna di esse è compatibile con la concezione dell'idem factum" (Corte Cost. n. 200 del 2016, cit., paragrafo 4). In particolare Corte Cost. n. 200/2016 ha così argomentato l'erroneità della tesi secondo cui l'idem factum dovrebbe essere individuato in ragione soltanto dell'azione o dell'omissione, trascurando evento e nesso di causalità: "Il fatto storico - naturalistico rileva, ai fini del divieto di bis in idem, secondo l'accezione che gii conferisce l'ordinamento, perché l'approccio epistemologico fallisce nel descriverne un contorno identitario dal contenuto necessario. Fatto, in questa prospettiva, è accadi mento materiale, certamente affrancato dal giogo dell'inquadramento giuridico, ma pur sempre frutto di un'addizione di elementi la cui selezione è condotta secondo criteri normativi. Non vi è, in altri termini, alcuna ragione logica per concludere che il fatto, pur assunto nella sola dimensione empirica, si restringa all'azione o all'omissione e non comprenda, invece, anche l'oggetto fisico su cui cade il gesto, se non anche, al limite estremo della nozione. l'evento naturalistico che ne è conseguito, ovvero la modificazione della realtà indotta dal comportamento dell'agente. E' chiaro che la scelta tra le possibili soluzioni qui riassunte è di carattere normativo, perché ognuna di esse è compatibile con la concezione dell'idem factum. Questo non significa che le implicazioni giuridiche delle fattispecie poste a raffronto comportino il riemergere dell'idem legale. Esse, infatti non possono avere alcun rilievo ai fini della decisione sulla medesimezza del fatto storico. Ad avere carattere giuridico è la sola indicazione dei segmenti dell'accadimento naturalistico che l'interprete è tenuto a prendere in considerazione per valutare fa medesimezza del fatto. Nell'ambito della CEDU, una volta chiarita la rilevanza dell'idem factum, è perciò essenziale rivolgersi alla giurisprudenza consolidata della Corte EDU, per comprendere se esso si restringa alla condotta dell'agente, ovvero abbracci l'oggetto fisico, o anche l'evento naturalistico" (Corte Cost., n. 200 del 2016, cit., paragrafo 4). Proprio confrontandosi con la giurisprudenza della Corte EDU la Corte Costituzionale ha escluso che l'idem factum sia stato delimitato, dai giudici di Strasburgo, con riferimento esclusivo alla condotta: "Né la sentenza della Grande Camera, 10 febbraio 2009, Zo. contro Russia, né le successive pronunce della Corte EDU recano l'affermazione che il fatto va assunto, ai fini del divieto di bis in idem, con esclusivo riferimento all'azione o all'omissione dell'imputato. A tal fine, infatti, non possono venire in conto le decisioni vertenti sulla comparazione di reati di sola condotta, ove è ovvio che l'indagine giudiziale ha avuto per oggetto quest'ultima soltanto (ad esempio,, sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens contro Italia)". In particolare, prosegue la Consulta, "non solo non vi è modo di ritenere che il fatto, quanto all'art. 4 del Protocollo n. 7 sia da circoscrivere alla sola condotta dell'agente, ma vi sono indizi per includere nel giudizio l'oggetto fisico di quest'ultima, mentre non si può escludere che vi rientri anche l'evento, purché recepito con rigore nella sola dimensione materiale" (Corte Cost., n. 200 del 2016, cit. paragrafo 5). Il concetto viene più volte ribadito da tale pronuncia della Corte Costituzionale, ove in un altro passo si precisa, con ancor maggiore chiarezza, che "allo stato la Convenzione impone agli Stati membri di applicare il divieto di bis in idem in base ad una concezione naturalistica del fatto, ma non di restringere quest'ultimo nella sfera della sola azione od omissione dell'agente" (Corte Cost., n. 200 del 2016, cit., paragrafo 6). Sulla nozione di idem factum, a sua volta, la giurisprudenza della Corte di Cassazione si è, come detto, ormai da tempo consolidata - a fortiori dopo l'avallo offerto da Corte Cost. n. 200/2016 - nell'affermare che, ai fini della preclusione connessa al principio del "ne bis in idem", l'identità del fatto sussiste solo quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, da considerare in tutti i suoi elementi costitutivi sulla base della triade condotta nesso causale-evento, non essendo sufficiente la generica identità della sola condotta. Dunque, non potendo restringere la nozione di idem factum alla sola condotta, e dovendo considerare il fatto concreto nella sua integrità, comprensivo anche dell'evento e del nesso causale, è evidente che l'identità non sussiste quando, ad esempio, vi sia una marcata differenza dell'evento nell'uno e nell'altro reato di evento oppure quando si sia in presenza, contemporaneamente, di reati di evento e di reati di condotta. Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte in tema dì ne bis in idem, insomma, nessuna "indebita triplicazione di fattispecie" a fronte di un"'unica condotta fattuale" contestata (così si legge nell'appello ZO., sub paragrafo 6.5, pag. 351; di "indebita triplicazione di fattispecie" in presenza di un "unico nucleo fattuale", poi, si parla anche nella memoria PE.; pag. 164) è dato, nella specie, ravvisare tra i reati di aggiotaggio - come sopra ridotti peraltro di numero, da sedici a quattro, uno per ogni singola annualità - sub capo A1 (l'aggiotaggio è reato non già di evento bensì di pericolo concreto), quelli di ostacolo alla vigilanza (l'ostacolo ex art. 2638 comma 2 c.c., è invece reato di evento; in ispecie, peraltro, gli eventi di ciascuno dei reati sub capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, M1, N1 si differenziano radicalmente - come già detto supra - gli uni dagli altri) e quelli di falso in prospetto sub capi I e L (ciascuno dei quali, necessariamente, ha in concreto implicato la redazione e diffusione all'esterno di un ben distinto e specifico documento - per l'appunto il prospetto - destinato agli aspiranti partecipanti a due ben distinte e specifiche offerte al pubblico di prodotti finanziari, rispettivamente riguardanti i due distinti aumenti di capitale 2013 e 2014) contestati agli imputati. Da ultimo, con riferimento al principio del "nemo teneturse detegere", il tribunale ha escluso che potesse essere ravvisata l'esimente in esame, invocata dalle difese sul rilievo della necessità di non autoincriminazione in relazione alle pregresse condotte di aggiotaggio manipolativo ed informativo. E, al riguardo, il primo giudice ha argomentato le proprie conclusioni in ragione, rispettivamente: - della natura eccezionale della deroga alla regola generale di cui all'art. 61 n. 2 c.p.; - dell'inammissibile "effetto paradossale" che deriverebbe dall'adesione alla prospettazione difensiva (in quanto, opinando in tal guisa, si finirebbe per assicurare un trattamento di maggior favore a colui che avesse già commesso un reato rispetto a quello riservato all'autore solo dell'ultimo reato); - e, infine, delle conseguenze pregiudizievoli che ne deriverebbero sotto il profilo della pratica impossibilità di emersione di notitiae criminis per i reati cc.dd. "senza vittima". Ebbene, le conclusioni cui è pervenuto il giudice di prime cure nell'escludere che possa trovare spazio, nella vicenda sub iudice, l'esimente in questione, meritano adesione. Orientano in tal senso le seguenti ragioni. In primo luogo, nel solco della consolidata, persuasiva giurisprudenza dì legittimità formatasi al riguardo, deve osservarsi - e trattasi, per vero, di considerazione di per sé decisiva -, come l'operatività del "diritto al silenzio" (da ricondursi nell'alveo delineato dall'art. 51 c.p., in quanto espressione del diritto a non autoincriminarsi), proprio in ragione della finalità assegnata all'istituto in esame di costituire adeguato presidio di un "equo processo", presupponga, necessariamente, un processo già in itinere e non possa, pertanto, trovare spazio in fasi ad esso antecedenti, stante la ratio dell'istituto in esame, consistente nella necessità di "protezione dell'imputato da coercizioni da parte dell'autorità". D'altro canto, neppure può fondatamente pervenirsi a differenti esiti interpretativi facendo leva - come, pure, espressamente sostenuto dalla difesa ZO. (paragrafo 6.5.2 dell'atto di appello, pagg. 360-363) - sulla recente evoluzione dei lineamenti dell'istituto in esame per effetto dell'elaborazione della giurisprudenza sovranazionale e costituzionale in materia. Il riferimento d'obbligo è alla sentenza della Corte GUE - Grande Sezione 2.2.2021 (peraltro originata dal rinvio pregiudiziale operato dalla Corte Costituzionale con l'ordinanza 117/19). A ben vedere, infatti, anche in detta prospettiva il "diritto al silenzio" (inteso come diritto a non rendere dichiarazioni di natura confessoria) implica pur sempre che la condotta che si vorrebbe scriminata sia stata posta in essere nel corso di un procedimento dal quale possano scaturire sanzioni, sebbene non necessariamente di natura penale (nel caso che ha originato la suddetta pronunzia, si trattava, com'è noto, di un procedimento CONSOB per insider trading). In altri termini, anche a seguito dell'ampliamento degli spazi di operatività riconosciuti all'istituto in esame dalla giurisprudenza sovranazionale, i confini del "right to remain silent" (rettamente da intendersi non soltanto, stricto sensu, come protezione dell'accusato rispetto all'impiego di strumenti coercitivi da parte dell'autorità finalizzati ad ottenere mezzi di prova, ma anche, più in generale, come facoltà dì astenersi dal deporre), costituisce pur sempre espressione dell'"equo processo" e, quindi, necessariamente, non può che assumere rilievo solo in ottica processuale/procedimentale. Del resto, anche la conseguente sentenza della Corte Costituzionale 84/21 (ampi stralci della quale sono, ad esempio, riportati dalla difesa PI. alle pagg. 17-18 dei suoi motivi nuovi d'appello), nel dichiarare la illegittimità costituzionale dell'art. 187 quinquiesdecies TUF "nella parte in cui si applica anche alla persona fisica che si sia rifiutata di fornire alla Banca d'Italia o alla CONSOB risposte che possano far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative di carattere punitivo, ovvero per un reato", là dove presuppone la previa formulazione di domande e richieste specifiche da parte delle predette autorità di vigilanza, ha conseguentemente circoscritto proprio ad un ambito procedimentale, sia pure lato sensu inteso, finalizzato all'accertamento di specifiche violazioni ed alla conseguente irrogazione di sanzioni, l'operatività del principio in esame. Ebbene, in nessun caso gli episodi di ostacolo oggetto dì addebito nel presente giudizio si collocano nel contesto di un procedimento amministrativo finalizzato alla eventuale irrogazione di sanzioni nei confronti di soggetto determinato. Questo è certamente vero "e, in effetti, è anche di immediata percezione - per i fatti di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, H1 (in quanto riferibili ad interlocuzioni periodiche con Banca d'Italia e, segnatamente, alle segnalazioni periodiche poste in essere negli anni 2012, 2013, 2014, 2015 ovvero alle informazioni inerenti agli aumenti di capitale) ed N1 (inerenti all'interlocuzione con CONSOB relativa all'aumento di capitale 2014). Ma ciò è altrettanto vero anche in relazione ai fatti stigmatizzati ai capi B1 ed M1, posto che, in tali casi, l'attività di vigilanza oggetto di sviamento, nel cui ambito le condotte delittuose di riferimento sono state perpetrate, era costituita da ispezioni finalizzate a verificare la regolarità della gestione aziendale, non già da procedimenti destinati all'accertamento di violazioni amministrative ed alla irrogazione di eventuali sanzioni nei confronti di specifici soggetti. In secondo luogo, va richiamato il principio - ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità e recentemente confermato proprio dalla Corte GUE e dalla Corte costituzionale nelle sentenze testé citate - secondo il quale il "diritto al silenzio" non può, in ogni caso, pregiudicare prevalenti interessi pubblici. In particolare, nella sentenza 2.2.2021, la Corte GUE ha escluso che tale diritto possa spingersi al punto di compromettere del tutto le funzioni dell'autorità di controllo. La Corte Costituzionale, dal canto suo, nella pronunzia 84/21, ha conseguentemente precisato come il diritto al silenzio non possa certo giustificare comportamenti ostruzionistici rispetto all'attività di vigilanza, ovvero manovre dilatorie, ovvero ancora l'omessa consegna di dati, documenti e registrazioni preesistenti alla richiesta dell'autorità. Infine - e con specifico riferimento proprio alla fattispecie di ostacolo alla vigilanza che viene in rilievo nel presente giudizio - il giudice della nomofilachia, in una recentissima sentenza (trattasi di Cass. Sez. V, n. 3555 del 7.9.2021, dep. 1.2.2022, Co.), consapevolmente ponendosi nel solco di precedenti pronunzie in materia e dopo avere espressamente ripercorso gli approdi delle citate sentenze della CGUE e della Corte Costituzionale, ha sottolineato come il profilo di falsità che connota la figura delittuosa ex art. 2638, co. 2, c.c. costituisca un "quid pluris" rispetto al dovere di collaborazione con l'autorità cui è conformato l'illecito amministrativo in relazione al quale era intervenuta la citata declaratoria di incostituzionalità; pertanto, all'esito di una valutazione comparativa che ha evidenziato la prevalenza dell'interesse alla tutela del bene giuridico di riferimento rispetto a quello dell'imputato all'impunità, ne ha tratto l'inequivoca conclusione che tale conclusione comparativa non è contraddetta dalla richiamata pronuncia di incostituzionalità, proprio in ragione della "pregante connotazione lesiva che caratterizza i fatti penalmente rilevanti in forza dei secondo comma dell'art. 2638 c.c.". Alla stregua delle complessive argomentazioni sin qui svolte, le censure mosse, sul punto, alla sentenza impugnata risultano destituite di fondamento. 12. I criteri di individuazione delle operazioni di capitale finanziato e la portata applicativa dell'obbligo di deduzione dal patrimonio di vigilanza dei relativi valori. S'è già detto che il tribunale è pervenuto alla quantificazione del fenomeno del capitale finanziato all'esito della congiunta valutazione di una pluralità di evidenze probatorie di varia natura (esiti di consulenza tecnica; deposizioni testimoniali; prove documentali, ecc.) e che, nel tracciare detto perimetro, ha assunto rilievo centrale la consulenza tecnica svolta dai consulenti della procura di Vicenza, dott.ssa Ca. e prof. Ta., trattandosi di consulenza che: - da un lato, ha analizzato scrupolosamente l'intera documentazione disponibile (segnatamente: sono state esaminate tutte le delibere di affidamento al fine di rilevare l'importo finanziato, la dichiarata estinzione delle somme, la durata del prestito e la distanza temporale tra finanziamento ed acquisto; inoltre, sono state oggetto di vaglio le complessive movimentazioni sia del portafoglio titoli del cliente, sia dei conti correnti interessati - talvolta risultati accesi proprio all'atto del primo finanziamento - al fine di valutare se all'acquisto dei titoli avessero concorso in tutto o in parte fondi del cliente; la verifica, infine, ha riguardato anche l'estratto conto dei titoli per riscontrare la permanenza/delle azioni/obbligazioni convertibili B. nel dossier titoli del cliente, l'esistenza di lettere di impegno e di storni/verifiche, nonché lo stato dell'indebitamento segnalato in Centrale Rischi per acclarare l'andamento della situazione debitoria; complessivamente, sono state esaminate tutte le posizioni dei 965 clienti oggetto di segnalazione, con conseguente analisi dei circa 53.500 file di riferimento); - e, dall'altro, si è ispirata ad un approccio prudenziale (in particolare, onde scongiurare il rischio di duplicazioni nel caso di finanziamenti indiretti). Inoltre, come precisato dal primo giudice, i molteplici criteri sintomatici di "correlazione" utilizzati dai predetti consulenti per individuare le operazioni "baciate" sono strati tutti basati su evidenze oggettive e sono stati posti a fondamento, nel solco tracciato dar puntuali quesiti formulati dall'inquirente, di una ricostruzione "dinamica" (di trimestre in trimestre) del fenomeno analizzato. Infine, sulla scorta dell'esito della quantificazione del fenomeno in esame, calcolato nella misura di "complessivi Euro 1,031,6 mln (per un numero totale di azioni acquistate tramite finanziamenti B. di 15.426.391), di cui Euro 963 mln riferiti ad acquisti di azioni B. ed Euro 68 mln riferiti a sottoscrizione di prestito obbligazionario convertibile" (cfr. pagg. 354-355 sentenza gravata), la medesima consulenza è giunta a determinare tanto la consistenza del patrimonio di vigilanza dell'istituto di credito, quanto il livello dei coefficienti patrimoniali prudenziali alla data del 30.6.2012 e, successivamente, con cadenza trimestrale, sino al 31,3.2015, pervenendo a conclusioni che, anche in tal caso, sono state condivise dal primo giudice. Pertanto, non può che richiamarsi quanto già dal tribunale esposto al riguardo (segnatamente, nel capitolo V della sentenza impugnata, alle pagg. 347-386). Nondimeno, come parimenti evidenziato in precedenza, in sede di esposizione dei singoli motivi di impugnazione, le difese di taluni imputati (segnatamente ZO. ed anche GI.; per quest'ultimo imputato trattasi peraltro di uno fra i motivi di gravame resi oggetto di espressa rinuncia da parte della sua difesa all'udienza del 23.9.2022, come da nota difensiva depositata in tale occasione) hanno contestato sotto plurimi profili la predetta consulenza, in particolare con riferimento ai criteri impiegati per l'individuazione delle "operazioni baciate", sostenendo, conseguentemente, l'inattendibilità della determinazione dell'importo complessivo del capitale finanziato nella misura sopraindicata e, al contempo, sollecitando l'espletamento di perizia sul punto. In primo luogo, le obiezioni mosse alla consulenza Ca.-Ta. ineriscono alla mancata adozione, tra gli indici sintomatici di correlazione, di quello consistente nel nesso teleologico tra concessione del finanziamento da parte dell'istituto di credito e destinazione delle relative risorse all'acquisto delle azioni emesse dal medesimo ente (cfr. appello Zo., paragrafo 3-4 b, pagg. 156 e ss.). La difesa del solo imputato GI. (cfr, appello Gi., parte terza, cap, IX, pag. 67; trattasi peraltro - come detto - di uno fra i motivi di gravame resi oggetto di espressa rinuncia da parte della sua difesa all'udienza del 23.9.2022, giusta nota difensiva depositata in tale occasione), poi, ha lamentato l'errore metodologico nel quale sarebbe incorso il primo giudice, là dove avrebbe sostanzialmente basato la ricostruzione del fatto in punto di "capitale finanziato" sull'esito dell'applicazione di criteri di tipo "amministrativistico", sostanzialmente desunti dalla circolare n. 263 del 27.12.2006 di Banca d'Italia, non già sull'adozione del procedimento euristico avente diritto di cittadinanza nel giudizio penale e fondato sulla valutazione di prove, anche indiziarie. In questa prospettiva, pertanto, la circostanza che, rispettivamente, la Bc., la Consob e i consulenti dell'inquirente avessero fondato i rispettivi giudizi su criteri parzialmente distinti (in ragione della differente finalità delle rispettive analisi), non dimostrerebbe, ad avviso dell'appellante, la mera opinabilità di detti criteri, bensì il vizio di metodo in cui sarebbe incorso il primo giudice nell'ancorare il proprio convincimento agli esiti di una siffatta analisi. Più nel dettaglio, solo Consob, mirando alla ricerca di fatti specifici, avrebbe adottato criteri analoghi a quelli legittimamente spendibili nel processo penale. Diversamente, la Bc. e, di conserva, i consulenti del P.M., avrebbero adottato criteri utili a ricostruire "fenomeni", non già fatti specifici (cfr. atto di appello, pag. 73), donde l'inidoneità delle relative valutazioni a fondare il giudizio del tribunale. Né la erroneità, sotto tale profilo, dell'analisi dei predetti consulenti sarebbe "sanabile" ex post sul rilievo della convergenza dei relativi esiti con risultanze aliunde acquisite (dichiarazioni testimoniali; rinvenimento delle lettere di impegno; corrispondenza tra importi finanziati ed investimento in titoli, ecc.). Questo, per la semplice ragione che un mezzo di prova potrebbe "costituire riscontro ai risultato di altro mezzo di prova" solo "in quanto il tema di prova sia comune ad entrambi" (cfr. atto di appello, pag. 73), situazione nella specie non ravvisabile. Peraltro, nel peculiare caso in esame - caratterizzato dall'escussione di soli trenta testimoni in relazione a 133 operazioni, a fronte di ben 965 clienti asseritamele finanziati ed impegnati in 1274 operazioni per un ammontare complessivo di 963 milioni di euro - il presunto riscontro sarebbe addirittura costituito da una inammissibile "prova per campione". Infine, sul versante della determinazione del patrimonio di vigilanza, le censure difensive (trattasi, segnatamente, dell'obiezione avanzata dalla difesa Zo. - cfr. atto di appello, paragrafo 3.4 b), pagg. 161 e ss.) si sono specificamente appuntate sull'errata detrazione dal patrimonio di vigilanza dell'intero ammontare del capitale finanziato, sostenendosi, in senso contrario, che tale decurtazione avrebbe dovuto avere luogo, oltre che nell'ipotesi di sottoscrizione di azioni emesse, nel "mercato primario", all'atto dell'aumento di capitale, anche qualora si fosse trattato dì acquisti effettuati, sul "mercato secondario", da parte di investitori (finanziati dal medesimo istituto di credito) privi di adeguato merito creditizio. Trattasi, peraltro, di obiezioni già sollevate nel corso dell'istruttoria di primo grado ed oggetto di specifica confutazione da parte del primo giudice. Ebbene, questa Corte ha già affrontato tali temi, là dove, con ordinanza 18.5.2022, provvedendo sulle richieste di rinnovazione istruttoria, ha disatteso le relative istanze, segnatamente respingendo la sollecitazione a disporre perizia sul capitale finanziato. Tuttavia, l'analisi necessariamente sommaria allora effettuata rende indispensabili le precisazioni che seguono. Innanzitutto, quanto alla determinazione del "perimetro" del fenomeno del capitale finanziato siccome indicata in sentenza sulla scorta della consulenza Ca.-Ta., deve osservarsi che si è in presenza di stima pienamente affidabile e, al più, come si dirà, determinata per difetto. Sul punto, va anzitutto precisato che il primo giudice ha compiutamente delineato, anche in termini diacronici, la disciplina di riferimento alla stregua della quale individuare gli acquisiti di azioni finanziati dallo stesso ente (art. 2358 c.c.; Circolari Banca d'Italia n. 155 del 18.12.1991 e n. 263 del 27.12.2006; Regolamento UE n. 575/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 c.d. CRR - "Capital Requirements Regulation"; Regolamento Delegato UE n. 241/2014 della Commissione del 7 gennaio 2014) ed ha correttamente ravvisato il fenomeno del "capitale finanziato" nell'ipotesi dì impiego per l'acquisto di azioni B. di risorse erogate all'investitore dallo stesso istituto emittente nel caso in cui la concessione del finanziamento e l'acquisto del titolo fossero oggettiva espressione di un "atto coordinato". La finalità della disciplina in materia, invero, è quella di offrire adeguata garanzia, attraverso la tutela della effettiva integrità del patrimonio di vigilanza, agli investitori ed ai terzi, sicché quel che rileva, in definitiva, è il dato obiettivo dell'impiego delle somme erogate dall'emittente per l'acquisto dei titoli dello stesso ente. E la normativa di riferimento, ove rettamente intesa, depone inequivocabilmente in tal senso. Se ciò, infatti, è di immediata percezione in relazione alla disciplina ricavabile dai Regolamenti UE 575/13 e 241/14 (là dove, il primo, all'art. 28, precisa che gli strumenti dì capitale primario non possono essere finanziati dall'ente, né direttamente né indirettamente ed il secondo individua il "finanziamento diretto" in tutti i casi in cui un ente ha concesso ad un investitore, "in qualsiasi forma, un prestito o altri finanziamenti che sono utilizzati per l'acquisto dei suoi strumenti di capitale"), potendosi univocamente ricavare, da tali disposizioni, una nozione, per l'appunto, "oggettiva" di finanziamento diretto (nel senso che è tale una operazione caratterizzata dal mero impiego delle somme erogate per l'acquisto degli strumenti di capitale), a non diversi approdi ermeneutici deve pervenirsi alla stregua delle disposizioni in vigore precedentemente all'adozione della citata disciplina sovranazionale e, segnatamente, sulla base delle prescrizioni contenute nelle citate circolari di Banca d'Italia n. 155 del 18.12.1991 e n. 263 del 27.12.2006. La prima, infatti, già identificava il finanziamento correlato come caratterizzato da "operazioni di finanziamento destinate all'acquisto di azioni" della banca emittente (cfr. circolare 155/91, sezione 1, sottosezione 3, sua p. 1.3.8 dedicata agli "Elementi negativi del patrimonio di base"; detta circolare - in atti quale documento n. 2 deposito Banca d'Italia dell'udienza 13.9.2019 - è stata più volte aggiornata nel corso del tempo; la versione prodotta da Banca d'Italia nel presente giudizio è aggiornata al 3.4.2006), guardando al fenomeno in esame secondo una prospettiva in cui rivestiva rilievo centrale il dato concreto dell'impiego delle risorse erogate per l'acquisto dei titoli e, conseguentemente, stabilendo il relativo obbligo di deduzione dal patrimonio di vigilanza, fatta salva l'ipotesi che detto acquisto non fosse stato l'effetto di una autonoma ed indipendente iniziativa dell'investitore. La seconda (in atti quale documento n. 1 deposito Banca d'Italia dell'udienza 13.9,2019, a sua volta aggiornata a più riprese nel corso del tempo; la versione prodotta da Banca d'Italia nel presente giudizio è aggiornata al dicembre 2010), poi, introducendo la nozione di "atto coordinato" (trattasi - come detto - di locuzione esplicitamente adottata dalla suddetta circolare 263/06, titolo I, cap. 2, sez, II, p. 7), precisava come il capitale finanziato, in quanto tale non computabile nel patrimonio di vigilanza, non fosse solo quello espressamente destinato (secondo la esplicita regolamentazione pattizia) all'acquisto di azioni proprie, bensì, proprio al fine di scongiurare, sul punto, manovre elusive, anche quello effettivamente risultante come tale. L'individuazione delle operazioni di finanziamento implicanti l'applicazione del regime prudenziale, quindi, veniva bensì ancorata al ricorrere di un "atto coordinato", ovverosia ad una sorta di "collegamento negoziale" tra erogazione del prestito ed acquisto del titolo; nondimeno, l'esplicito richiamo, in tale atto normativo, oltre che al profilo contrattuale, alle "caratteristiche effettive dell'operazione", indicava chiaramente l'intenzione dell'ente regolatore di attribuire rilevanza non solo ai profili formali/documentali dell'operazione medesima, bensì al concreto atteggiarsi della stessa. In definitiva, tutta la disciplina in materia si è sviluppata secondo una direttrice coerente: originariamente finalizzata ad escludere dall'alveo delle operazioni correlate unicamente gli acquisti effettuati con finanziamenti solo occasionalmente e per autonoma ed indipendente scelta dell'investitore impiegati per l'acquisto dei titoli dell'emittente, si è successivamente evoluta giungendo ad attribuire rilevanza esclusiva all'aspetto "oggettivo" dell'acquisto del titolo effettuato con risorse erogate dallo stesso istituto emittente. Trattasi, peraltro, di interpretazione che ha trovato il significativo avallo, nel corso del giudizio di primo grado, da parte del consulente Parisi84, il quale ha sostanzialmente ripercorso nei medesimi termini l'evoluzione della suddetta disciplina, a partire da quanto previsto dalle circolari della Banca d'Italia, fino alle modifiche successive agli "accordi di Basilea", come ben si ricava dal passaggio della relativa deposizione siccome opportunamente riportato a pag. 350 della sentenza impugnata. Ebbene, ponendosi in tale prospettiva, se non v'è dubbio che la sussistenza del "nesso teleologico" evocato da talune difese (sulla scorta, in particolare, della consulenza Gu.) rappresenti la più marcata manifestazione di una operazione "coordinata", è parimenti evidente che limitare il fenomeno in esame alle operazioni connotate dalla presenza di un siffatto legame di tipo "psicologico", eh e fosse esplicitamente manifestato in sede di redazione/compilazione della documentazione contrattuale, finirebbe per restringere eccessivamente e del tutto arbitrariamente l'ampiezza di detto fenomeno, in radicale contrasto con la disciplina in materia, siccome testé ricostruita. Va necessariamente ricusata, quindi, una interpretazione della normativa di riferimento che attribuisse, sul punto, rilievo decisivo alla volontà dei contraenti siccome desumibile dalla modulistica contrattuale: il legame di tipo psicologico preteso dalle difese, infatti, deve essere necessariamente indagato non solo alla stregua della documentazione pattizia ma di tutte le caratteristiche dell'operazione che possono illuminare e dimostrare il fine effettivamente perseguito dalle parti. E' solo per completezza, pertanto, che deve osservarsi come, ancorando rigorosamente (com'è d'obbligo, per quanto detto) la individuazione della "correlazione" a dati concreti, effettivamente rivelatori dì un "collegamento negoziale" (e, quindi, non solo a quanto, sul punto, espressamente consacrato in un documento contrattuale), dovrebbe, in ogni caso, necessariamente convenirsi che i criteri adottati dai consulenti del p.m. (trattasi, segnatamente: dell'indicazione generica delle finalità dell'affidamento riportate nella delibera; della durata delle linee di credito; del ridotto lasso temporale tra concessione del finanziamento ed acquisto dei titoli; dell'importo dell'affidamento in raffronto al controvalore delle azioni/obbligazioni convertibili acquistate; del riferimento alla vendita degli asset acquistati con il finanziamento quale fonte prioritaria di rimborso; della presenza delle lettere dì impegno/disponibilità al riacquisto; dell'effettuazione degli storni degli interessi applicati e/o di accrediti generici) non sarebbero affatto incompatibili, in concreto, con quello (rettamente inteso) del "nesso teleologico" evocato dai difensori, trattandosi degli unici parametri - ragionevolmente individuabili - alla stregua dei quali necessariamente indagare l'effettiva intenzione delle parti, così da ancorarla ad evidenze obiettive (e non già a dati meramente formali), onde scongiurare comportamenti opportunistici, se non anche fraudolenti. Senza trascurare il fatto che è la stessa circolare che individua criteri, in via esemplificativa, di cui è necessario tener conto, con riferimento espresso ai dati temporali e ai dati quantitativi delle somme in gioco, ovvero proprio ad alcuni dei parametri presi in esame e adottati anche dai cc.tt. (cfr. circolare 263/06, cit., titolo 1, cap. 2, sez. II, p. 7: "..si ritiene che sussista un riacquisto qualora, sotto i profili contrattuale e delle caratteristiche effettive dell'operazione (e la congiunzione sottolinea fa necessità di una valutazione unitaria), momenti dell'emissione dello strumento della banca con conseguente raccolta di fondi patrimoniali e dell'erogazione di finanziamenti a beneficio del sottoscrittore rappresentino, per ammontare e scadenze (trattasi, a ben vedere, di parametri esemplificativi che trovano specificazione in quelli concretamente adottati dai cc.tt.), un atto coordinato"). In quest'ottica, quindi, il contrasto tra il criterio teleologico indicato dal consulente prof Gu. e quelli, "sostanzialistici", che hanno orientato il vaglio dei consulenti dott.ssa Ca. e prof Ta., finirebbe decisamente per scolorire sino a divenire, in concreto, pressoché evanescente. Quanto, poi, alla contestazione del parametro di riferimento temporale (trimestrale) adottato (tra i vari criteri) dai predetti consulenti, parametro/, censurato in quanto eccessivamente ampio, deve osservarsi: - per un verso, che il riferimento al trimestre è stato conseguenza non già dì una scelta arbitraria effettuata dai suddetti professionisti, bensì, da un lato, della natura dinamica della rilevazione da costoro compiuta in adempimento dell'incarico loro conferito dall'inquirente85 (il quale, in effetti, ha richiesto una valutazione parametrata proprio a tale arco temporale, nel solco della prassi bancaria della rendicontazione trimestrale - sulla base, com'è noto, di "trimestri fissi" - e dei conseguenti obblighi di comunicazione alla vigilanza); e, dall'altro, della constatazione che, presso B., intercorreva un siffatto lasso temporale tra la data di formalizzazione (in modalità solitamente cartacea) dell'ordine di acquisto dei titoli sul mercato secondario e quella di definitivo perfezionamento dell'acquisto (all'esito dì una complessa procedura che prevedeva, tra l'altro, un accurata verifica della pratica presso l'Ufficio Soci, come precisato dal teste Ro. in sede di deposizione dibattimentale); - per altro verso, che lo stesso consulente della difesa Pe., dott. Pa., ha condiviso tale riferimento temporale; - e, per altro verso ancora - e trattasi, in ogni caso, di considerazione dirimente - che il tribunale ha precisato come, in concreto, la gran parte (l'86%) delle operazioni correlate individuate sia consistita in operazioni poste in essere entro novanta giorni (con l'ulteriore peculiarità che tanto il finanziamento quanto il successivo acquisto dei titoli è avvenuto nell'ambito del medesimo trimestre di riferimento "cfr. sentenza impugnata, pag. 385) e che l'ispettore Ma. ha avuto modo di precisare come, in realtà, grandissima parte dei finanziamenti fossero stati poi impiegati per l'acquisto delle azioni nell'arco di pochi giorni. Venendo, quindi, alle censure metodologiche articolate dalla difesa GI. (trattasi peraltro - va ribadito - di uno fra i motivi di gravame resi oggetto di espressa rinuncia all'udienza del 23.9.2022, come da nota difensiva depositata in tale occasione), deve osservarsi che nessuna automatica trasposizione di valutazioni rilevanti unicamente in sede amministrativa ha avuto luogo nel caso di specie. I consulenti del P.M., infatti, hanno scandagliato l'intera documentazione disponibile e, come detto, hanno adottato tutti i criteri, basati su elementi oggettivi, razionalmente utilizzabili per individuare la correlazione tra i finanziamenti e l'acquisto di azioni emesse da B.. Che, poi, detti criteri possano fungere da parametri anche per finalità di tipo ulteriore (e, segnatamente, di natura amministrativa) è circostanza che, ad onta delle contrarie argomentazioni difensive, non inficia minimamente gli esiti di indagine, né tantomeno li espone all'obiezione di inutilizzabilità in sede penale. Tanto precisato in ordine ai criteri di riferimento e, passando, quindi, alla valutazione degli esiti della applicazione di siffatti criteri al caso in esame, osserva questa Corte che la quantificazione dell'ammontare complessivo delle operazioni correlate cui sono pervenuti i cc.tt. dell'ufficio di Procura è obiettivamente persuasiva. Non solo, infatti, come già detto, si è trattato di un risultato scaturito da una dettagliata valutazione della documentazione tutta disponibile, ma - e trattasi di circostanza di assoluto rilievo - si è in presenza di un esito sostanzialmente coincidente con quello cui sono pervenuti sia la Bc. che lo stesso istituto dì credito (peraltro a conclusione di una verifica effettuata anche avvalendosi dell'ausilio dì società di consulenza esterna specializzata), beninteso ove si considerino debitamente i parametri di riferimento adottati, rispettivamente, da tali soggetti89. Inoltre, si è in presenza di un ordine dì grandezza sostanzialmente (e significativamente) coincidente anche con le ulteriori risultanze d'indagine, ove si consideri debitamente: - non solo che il teste Am. ha riferito che, nei primi mesi del 2015, all'esito di alcuni colloqui con i direttori di area, aveva "mappato" il fenomeno in questione, pervenendo alla quantificazione approssimativa di 800 milioni di euro; - non solo che il teste Li. ha confermato di avere appreso proprio dal teste Am. l'eclatante dimensione del capitale finanziato, riferendo di una quantificazione che si aggirava intorno al miliardo di euro; - ma che lo stesso D.G. So. - ovverosia il soggetto apicale che aveva la più completa conoscenza del tema in questione - in occasione della seduta del comitato di direzione 10,11.2014, icasticamente affermando: abbiamo fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare...", ha quantificato il capitale finanziato a quella data esistente proprio nella misura - sostanzialmente corrispondente a quella individuata dai consulenti - di 1,2 miliardi di Euro. Quanto, poi, all'icastica affermazione resa dal D.G. So. in occasione della seduta del comitato di direzione 10.11.2014 (v. pag. 34 della relativa trascrizione sub doc. 110 del P.M.) va detto che taluni fra gli appellanti (in particolare GI. a pag. 54 del suo atto di appello, cap. VII, e PI. nelle spontanee dichiarazioni rese a verbale all'udienza del 15 luglio 2022 nel presente grado di giudizio, altresì prodotte nella stessa udienza dalla sua difesa in formato cartaceo) sostengono che l'espressione "....abbiamo fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare - particolarmente valorizzata alla pag. 666 della sentenza di prime cure - non si riferirebbe in realtà all'entità del capitale finanziato ma "alla campagna pre-affidamenti" (cfr, pag. 54 appello GI., cap. VII; trattasi peraltro di uno fra i motivi di gravame resi oggetto di espressa rinuncia da parte della sua difesa all'udienza del 23.9.2022, come da nota difensiva depositata in tale occasione; nello stesso senso si era espresso, nel corso del suo esame dibattimentale in primo grado, anche l'imputato MA.: cfr. pagg. 100-102 verbale stenotipico 11.6.2020) oppure (cfr. in particolare la pag. 17 della versione cartacea delle spontanee dichiarazioni dell'imputato PI.), si riferirebbe - arguendosi ciò da quanto il D.G. So. afferma alle pagg. 65-66 della trascrizione del file audio del suddetto Comitato di Direzione 10.11.2014 - a una mera proposta del So. stesso "di sostituire dei finanziamenti in essere con dei time deposit. Il time deposit presuppone che il cliente depositi dei soldi alla Banca mentre il finanziamento è evidentemente un impiego della Banca verso il cliente". Può osservarsi peraltro: - che, nel corso del presente grado di giudizio, l'imputato GI., mutando avviso e linea difensiva nell'indursi a rendere dichiarazioni auto-ed etero-accusatorie (dapprima prospettate nel memoriale scritto depositato all'udienza del 30.5,2022, indi articolate e sviluppate in sede dì rinnovo dell'esame dibattimentale - e relativo controesame - tenutosi alle udienze del 15, 17 e 20 giugno 2022), ha riconosciuto (cfr. al riguardo, la pag. 21 del memoriale depositato il 30,5.2022, cit.; cfr altresì la pag. 17 del verbale stenotipico dell'esame GI. in grado di appello di data 15.6,2022) che così dicendo il So. si riferiva, nel corso di quel Comitato di Direzione del 10.11.2014, realmente a un folto gruppo di impieghi - poco redditizi - correlati all'acquisto di azioni della Banca; - che l'imputato MA. ha inteso motivare la propria interpretazione della frase del So. "...abbiamo fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fere..." limitandosi a evidenziare che il GI. nell'occasione ebbe a replicare prontamente al D.G. (con un chiaro quanto esclusivo, per il MA., riferimento alla campagna "pre-affidamenti", anche detta "pre-deliberato", che sempre secondo il MA. non era riuscita a decollare) pronunciando l'espressione "Ma non li ... Ma non li prendono, Sa."; a ciò si aggiunge quanto affermato dal teste Ci.Am., appartenente alla Divisione Crediti diretta dal MA. (cfr, pag. 112 verbale stenotipia) 11.2.2020: "su tutta quanta la clientela della banca applicai i filtri per scremare i nominativi che potevano avere queste caratteristiche. E vennero fuori 6-7 mila posizioni su B. e 600 circa su Ba.Nu. di potenziale pre-deliberato. Mi sembra che il potenziale fosse 1 miliardo e 2 sulla B., e il potenziale 70 milioni su Ba.Nu.. Vado a memoria perché andiamo indietro di otto anni"). Nondimeno, se sì valuta nella sua interezza - debitamente contestualizzandolo - il relativo passo dell'intervento del So. in seno al Comitato di Direzione 10.11,2014 (cfr. pag, 34 della trascrizione di cui al doc. 110 del P.M.) emerge come il D.G. stia invece con ogni evidenza parlando di finanziamenti non già potenziali o "papabili" bensì accordati in passato, nonostante i quali - con suo preoccupato disappunto, ivi espresso - rimanevano urgentemente da collocare, quando ormai si era giunti quasi a fine anno, come per l'appunto aveva poco prima annunciato GI. al consesso, gli "85, no, adesso vedremo anche gli altri 40 che fine ... che fine fanno, perché anche quelli li devono ... devono ..." (v. pag, 30 ibidem: So. qui si riferisce - da un lato-lato - all'eccessiva entità del fondo acquisto azioni proprie, ammontante in quel momento a 85 milioni di Euro quando il limite da non superare, come illustrato al Comitato poco prima dal GI., era di appena 25 milioni, sicché andavano ricollocate azioni per un ammontare di 60 milioni già solo su quel primo fronte; e - dall'altro lato - alla presenza di azioni B. per complessivi 42 milioni di Euro nei fondi esteri; presenza che andava eliminata a sua volta trovando, del pari, una nuova collocazione a tali azioni: v. chiaramente sul punto, in seno allo stesso Comitato di Direzione, l'intervento di Pi.An., pag. 36 Ibidem). D'altra parte lo stesso GI., poco oltre (v. pagg. 36-37 ibidem), precisava - nell'ambito del medesimo Comitato di Direzione - come l'importo delle operazioni deliberate in sede di "campagna pre-affidamenti", condotta in maniera diffusa dalla rete facente capo alla Divisione Mercati da lui diretta, fosse, in realtà, al 10.11.2014, pari a "20 milioni, che sono ordini che devono arrivar su" (alla fine, secondo il teste Ci.Am., la "campagna pre-deliberato" fu chiusa con finanziamenti accordati per 169 milioni di euro: cfr. deposizione Am., pag. 112 verbale stenotipico d'udienza 11.2.2020). Insomma il miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare" menzionato dal DG So. non poteva riferirsi alla campagna pre-affidamenti allora in corso (fra l'altro iniziata da pochissimo tempo, appena nel mese precedente ossia nell'ottobre 2014: cfr. pagg. 111-112 deposizione Am. cit.) bensì corrisponde con ogni evidenza - se si contestualizza in maniera corretta l'affermazione del So. - all'entità dei finanziamenti correlati già erogati in passato, tanto più che lo stesso So., nel proseguire la discussione su tale specifico tema (v. pagg. 35-36 ibidem), lamentava come fino ad allora ci si fosse rivolti più o meno sempre allo stesso bacino locale, con il rischio quindi - si badi - dì attirare un eccesso di attenzione su siffatto tipo di operazioni; ciò proprio in quanto esse venivano condotte, per lo più, sempre con i medesimi soggetti veneti laddove sarebbe stato, a suo avviso, opportuno diversificare radicalmente la platea di coloro con i quali stipulare t finanziamenti correlati, spostandola ad esempio più sull'asse Milano-Roma (v. pag. 36 ibidem: "E dopo dobbiamo sempre ricorrere al solito Ja., sempre ricorrere alla solita Vicenza, no? E, invece, bisogna che sta roba qui venga fatta Milano Roma, noi dobbiamo trovare Milano Roma, perché poi se ne parla meno. Se qui facciamo sempre e solo in ultima, facciamo intervenire i soliti, figurati se questi non parlano! Cioè, non ... non ... bisogna pianificarla meglio questa attività qua, dobbiamo ..."; concetto ribadito dal So. più avanti, cfr. pagg. 39-40 ibidem: "Sa. Ecco, però io ... Sì, se fosse possibile, io andrei fuori dal ... dal territorio, io farei più su Roma, su Milano, su ... anche se sono finanziati, ma almeno usciamo usciamo da qua"); - che l'imputato PI. ha a sua volta inteso motivare la propria personale - e diversa, si noti, da quella degli altri imputati poco sopra menzionati - interpretazione della frase del So. "....abbiamo fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare ..." utilizzando argomentazioni che in realtà, anche nel suo caso, contrastano con il testo complessivo della registrazione audio del Comitato di Direzione 10.11.2014, del quale il PI. stesso, nell'occasione, ha estrapolato brevi frammenti decontestualizzandoli. In particolare il PI. (cfr. pagg. 15-21 della versione cartacea delle sue dichiarazioni spontanee prodotta dalla difesa e, in particolare, pag. 18), a riprova del suo assunto, ha sostenuto che "a fronte di questo passaggio del Dott. So. (...) nessuno dei partecipanti alla riunione si è stupito da quanto affermato dal DG. Se fosse vera la tesi che si parlava di finanziamenti erogati per acquistare azioni allora almeno uno dei presenti avrebbe dovuto riprendere il DG e dire "cosa stai dicendo, non è possibile fare quello che proponi". Ebbene, in primo luogo è viceversa dimostrato in base a plurimi elementi come ì presenti a quel selezionato consesso di alti dirigenti sapessero in realtà da lungo tempo che in B. venivano effettuate operazioni correlate (cfr., esemplificativamente, oltre alle propalazioni rese dall'imputato GI., sullo specifico punto, già in primo grado, i contenuti del Comitato di Direzione 8.11.2011 siccome emergenti dagli appunti presi nell'occasione dal teste Ma.So. - pagg. 47 e ss. del verbale stenotipia) 29.10.2019 - nonché, più in generale, la stessa deposizione del teste So. considerata nella sua interezza, che ampiamente si diffonde sullo specifico tema della piena contezza dell'esistenza ed entità del fenomeno dei finanziamenti correlati in capo ai vertici di B.: cfr, pagg. 56 e ss. del verbale stenotipico 29.10.2019 - ed ancora l'esame dibattimentale dell'imputato MA., che in tale sede ha a sua volta riconosciuto a più riprese - cfr. in particolare le pagg. 15-22 del verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020 - il notorio largo utilizzo pluriennale, fatto in B., dei finanziamenti correlati, pur, contestando egli recisamente ogni penale responsabilità sul presupposto del suo pieno convincimento circa la loro liceità e circa il loro avvenuto scomputo dal patrimonio di vigilanza). Non vi era dunque ragione alcuna, per i partecipanti al Comitato di Direzione del 10.11.2014, di stupirsi nel sentir nominare una prassi ormai consolidata da anni di massiccio utilizzo, della quale tutti i presenti erano a conoscenza. Inoltre - alle pagg. 66 e 67 della relativa trascrizione - rispettivamente "VM10" (pacificamente lo stesso PI., come questa Corte già ha acclarato nell'ordinanza istruttoria del 18 maggio 2022, pag. 37) e "VM8" (il GI.) così replicano al So. (che insisteva sulla necessità di "smontare" gli impieghi anzidetti, già stipulati per l'ammontare sopra indicato, recanti - per usare il lessico dello stesso So. - azioni ad essi "appiccicate", in modo tale da poter riuscire "a toglierci e a ridurre questi finanziamenti importanti con azioni sottostanti andiamo a liberare il cet one": VM10 (PI.): "Ci sono una serie di problemi che impediscono sta cosa qua", e prosegue elencando al So. tutte le questioni tecniche che escludono di poter ritenere fattibili le vie dì uscita ipotizzate dal So. stesso per ovviare all'indicata ingente entità di impieghi, poco redditizi, recanti "azioni appiccicate" ovvero "azioni sottostanti"; VM8 (GI.): "Posso, Sa., una cosa? Cioè, allora, cerchiamo di allargare un attimo il discorso no? Allora, noi comunque, le posizioni baciate grosse dobbiamo eliminarle, perché, quando arriverà, speriamo il più lontano possibile, nel momento in cui il valore dell'azione non sarà più quello, ci fottiamo nel senso che, se a uno che tu gli hai dato 100, il valore... eh ... delle azioni era 100 e va a 70, tu, quel 30 che questo ha perso, come glielo dai? Comunque noi dobbiamo fare in modo che "sti impieghi vadano scaricati". Ma davvero decisivo, in ordine alla entità complessiva del capitale finanziato nei termini anzidetti è uno specifico passaggio della conversazione intercettata n. 459 del 31.8.2015, nella quale è lo stesso So. a fare espresso riferimento a tale eclatante ammontare (cfr. pagg. 25-26 della perizia di trascrizione: "Cioè, lei ha capito, il miliardo ... miliardo rito deliberato io!...Io non ho deliberato una pratica di fido in vita mia, no?, se non le pratiche dei dipendenti, perché io non ho mai deliberato fidi in mia autonomia, tutto quello che era in mia autonomia andava sempre agli organi... agli organi... agli organi superiori..". Infine, relativamente alle conseguenze di detta quantificazione sul patrimonio di vigilanza, va parimenti condivisa l'integrale decurtazione operata dai medesimi consulenti. Sul punto, infatti, deve anzitutto precisarsi che nessuna fonte normativa legittima differenziazioni di sorta con riferimento al finanziamento degli acquisti di titoli effettuati in sede di aumento di capitale ovvero di negoziazione delle medesime azioni sul mercato secondario. Trattasi, peraltro, di una mancata distinzione che è assolutamente ovvia e discende, ancora una volta, dalla finalità di garanzia assegnata al patrimonio di vigilanza. A ben vedere, infatti, se ciò è di immediata percezione in relazione all'emissione di nuovi titoli, non è francamente dato comprendere per quale ragione si dovrebbe pervenire a differenti conclusioni nell'ipotesi dì successivo trasferimento delle azioni: anche in tal caso, infatti, il mancato scomputo dell'importo finanziato comporterebbe il sostanziale azzeramento dell'effetto di accrescimento del patrimonio dell'emittente conseguente al versamento del corrispettivo del titolo avvenuto all'atto di originaria collocazione dell'azione. Sul punto, pertanto, ogni ulteriore digressione sarebbe davvero ultronea. Altrettanto infondata, poi, è l'opinione - sostenuta dal consulente Gu. e fatta propria dalla difesa di ZO. (cfr. atto di appello, paragrafo 3.4 b), pagg. 161 e ss.) - secondo la quale detta decurtazione dovrebbe bensì avere luogo, oltre che nel caso di collocamento di azioni di nuovo conio, anche in quello di negoziazione del titolo (parimenti finanziata dall'emittente), ma, in tale ipotesi, limitatamente all'eventualità di acquisto dì titoli effettuato da parte di investitore privo di merito creditizio, poiché solo in siffatta evenienza il rischio dell'operazione verrebbe a gravare sull'ente, conseguentemente imponendo l'adozione dei citati presidi di garanzia. Ebbene, premesso che trattasi di argomentazione che ha originato anch'essa una ampia discussione nel corso del giudizio di primo grado91 e che è stata motivatamente disattesa dal tribunale (sicché non ci si può esimere dal rilevare, sul punto, come si sia in presenza della sostanziale mera riproposizione delle censure già mosse alla impostazione d'accusa), va in ogni caso ribadito che detta osservazione critica risulta destituita di fondamento. Innanzitutto, infatti, tale opinamento è privo di qualsivoglia aggancio normativo e, anzi, è palesemente contraddetto: - dal fatto che nessuna eccezione rispetto alla equiparazione tra l'acquisto di azioni proprie ed il finanziamento concesso per l'acquisto di azioni proprie ed al conseguente obbligo di decurtazione da patrimonio di vigilanza è stata mai prevista nell'ipotesi di concessione di finanziamenti correlati, men che meno sul rilievo del merito creditizio del soggetto finanziato (anzi, le circolari Banca d'Italia - coerentemente, del resto, con le linee guida emanate dal CEBS - Committee of European Banking Supervisors -; nel prevedere l'obbligo di decurtazione, operavano un espresso riferimento anche all'ipotesi di "riacquisto" del titolo, così evidentemente alludendo a titoli precedentemente emessi); - dalla successiva evoluzione normativa che, in coerenza con quanto stabilito dalle citate circolari, ha univocamente previsto la computabilità nel CETI solo di strumenti i cui corrispettivi fossero stati versati e l'acquisto dei quali non fosse stato finanziato, direttamente o indirettamente, dall'emittente; - dal principio del "fully paid in" che informa la normativa prudenziale, principio secondo il quale le azioni devono essere interamente liberate, sicché il capitale azionario deve essere "risk free", ovverosia non gravato da rischi di controparte. Inoltre - e trattasi di osservazione dirimente - è decisivo osservare che è proprio la già ripetutamente evocata finalità di garanzia (finalità "prudenziale" e da assicurarsi attraverso il rispetto di parametri oggettivi in ordine al rapporto tra patrimonio ed attività di rischio, secondo la disciplina introdotta, dall'anno 2007, a partire dagli accordi di "Basilea 2") sottesa all'istituto della decurtazione dei finanziamenti destinati all'acquisto dei titoli ad ostare a siffatte distinzioni, trattandosi di differenziazioni che finirebbero pericolosamente per rimettere all'emittente una valutazione (quella, per l'appunto, inerente al merito creditizio del cliente finanziato) determinante per la effettività dì tale garanzia, il tutto, peraltro, in stridente contrasto - come pertinentemente osservato dal P.G. (cfr. verbale udienza 18.5.2022, pag. 62 del verbale stenotipico) - con quanto già stabilito dalla circolare 263/06 di Banca d'Italia in ordine al fatto che l"'ammontare degli strumenti computabili nel patrimonio di vigilanza detenuti" deve essere di "pronta e univoca identificazione" e con la conseguente necessità - peraltro di immediata percezione - che, in caso di difficoltà, l'istituto dì credito si troverebbe nella condizione, tutt'altro che tranquillante, di fronteggiare eventuali perdite facendo ricorso a risorse non già immediatamente disponibili, bensì da recuperare attraverso ad un complesso procedimento di rimborso dei finanziamenti concessi (ovvero di escussione delle relative, eventuali garanzie). Conclusivamente, il merito creditizio del soggetto finanziato (ovvero l'esistenza di beni a garanzia del finanziamento) non assume rilievo di sorta ai fini della determinazione del trattamento prudenziale, sicché le censure variamente articolate, al riguardo, negli atti di impugnazione, sono destituite di fondamento. 13 La chiamata in correità di Gi.Em.. Nel corso del giudizio di appello l'imputato GI., come s'è detto, ha depositato una memoria contenente dichiarazioni confessorie ed anche esplicitamente eteroaccusatorie; quindi, sì è sottoposto nuovamente all'esame, rendendo una ampia e completa confessione e chiamando i coimputati alle rispettive responsabilità. Ebbene, la circostanza che tali dichiarazioni abbiano avuto ad oggetto non solo la materialità dei fatti ed il ruolo svolto, con riferimento a detti accadimenti, dal propalante, ma anche il coinvolgimento dei correi nell'intera vicenda delittuosa consiglia di affrontare in questa sede (e, quindi, prima della trattazione dei singoli appelli), sia pure nelle sue linee generali, per evidenti ragioni di economia espositiva, i temi inerenti, per un verso, alla credibilità soggettiva del dichiarante e, per altro verso, all'attendibilità del relativo contributo dichiarativo, trattandosi, per l'appunto, di questioni che si riverberano direttamente sulle posizioni di tutti gli altri imputati. Sarà poi all'atto della trattazione delle singole impugnazioni che si darà conto della specifica incidenza di tali propalazioni su dette, singole posizioni processuali. Ebbene, va in primo luogo evidenziato che il GI. - il quale, come s'è visto, già nel corso del giudizio di primo grado aveva reso dichiarazioni parzialmente ammissive, segnatamente là dove aveva sostenuto la diffusa consapevolezza, all'interno non solo della cerchia ristretta del management ma pressoché dell'intera struttura aziendale, del sistematico ricorso alle operazioni di finanziamento correlato al fine del reperimento del capitale necessario, da un lato, per assicurare la liquidità del titolo B. e, dall'altro, per continuare a perseguire l'ambiziosa politica di rafforzamento ed "espansione" dell'istituto tenacemente propugnata dal presidente ZO. - nell'ambito del citato memoriale e, quindi, nella successiva escussione nel dibattimento d'appello, ha fornito un contributo certamente significativo per la analitica comprensione degli accadimenti. A tale riguardo, infatti, deve premettersi che le dichiarazioni dell'imputato non hanno rivestito, in concreto, carattere dirimente nella decisione di questa Corte con riferimento alla comprensione del fenomeno delittuoso nelle sue linee generali: sul punto, in effetti, il compendio probatorio era già di tali vastità e concludenza da rendere sostanzialmente superflui ulteriori elementi, se non ai fini di una più puntuale intelligenza (non decisiva, peraltro) dei meccanismi operativi concretamente attuati dai vertici dell'istituto per fronteggiare la situazione di illiquidità dei titoli azionari e per occultarne gli esiti alle autorità di vigilanza. A ben vedere, l'esistenza di una attività tanto di marcata manipolazione relativa al prezzo delle azioni B. (con conseguenti ricadute sull'affidamento riposto sulla stabilità patrimoniale dì detto istituto di credito), quanto di occultamento di tale operatività delittuosa nei confronti di Banca d'Italia/Bc. e Consob risultava evidente alla stregua degli elementi documentali e testimoniali, nonché degli esiti di consulenza, già disponibili. Così come, tanto sotto il profilo logico, quanto alla stregua delle dichiarazioni rese da taluni testimoni, emergeva in termini di immediatezza la riconducibilità di dette scelte operative alla cerchia di amministratori apicali dell'istituto di credito, non essendo, del resto, razionalmente sostenibile, alla stregua della logica più elementare (secondo quanto, più oltre, meglio precisato), che un disegno criminoso così pervasivo, sistematico e risalente potesse essere stato realizzato solo dal massimo responsabile dell'amministrazione dalla banca - ovverosia dal d.g. So. - all'insaputa tanto del presidente ZO. quanto della cerchia dei suoi più stretti collaboratori, come se si fosse trattato di un autonomo "colpo di mano" da parte di un direttore generale infedele. Piuttosto, le propalazioni del GI. sono state tutt'altro che prive di utilità nel fornire delucidazioni circa il ruolo rivestito nei fatti da taluni imputati (con riferimento alla posizione del PE. e dello ZO. si vedrà che hanno finanche assunto notevole rilievo), segnatamente concorrendo a delineare l'indispensabile regolamento dei confini, nell'ambito dell'organigramma della banca, tra i soggetti che rivestivano posizioni apicali e che avevano la piena consapevolezza di tutte le implicazioni del ricorso al fenomeno del capitale finanziato ed erano anche direttamente impegnati nelle conseguenti attività di manipolazione e di occultamento, da un lato; e, dall'altro, le strutture incaricate di mansioni più marcatamente esecutive, ai componenti delle quali sfuggiva quella visione d'insieme del fenomeno in esame che avrebbe loro consentito di apprezzarne la natura delittuosa. Ciò posto, osserva questa Corte come, nella valutazione di una chiamata di correo, la giurisprudenza di legittimità consolidatasi da anni (a partire dalla fondamentale Cass. Sez. Un, 1653 del 21.10.1992, Ma.o e altri, passando, tra le varie, per Cass. Sez. V, n. 31442 del 28.6.2006, Sa. e altro, Cass. Sez. VI, n. 16939 del 20.12.2011, De. e altro, Cass. Sez. II, n. 21171 del 7.5.2013, Lo. e fino, ex multis, a Cass. Sez. IV, n. 34413 del 18.6.2019, Kh.) fornisca sicure coordinate di riferimento, insegnando come alla valutazione della credibilità soggettiva del dichiarante (da verificarsi alla stregua della personalità del predetto, delle sue condizioni socio-economiche e familiari e, più in generale, del profilo soggettivo di costui, dei rapporti intercorsi tra lo stesso propalante ed i chiamati in correità, nonché delle ragioni all'origine della determinazione alla confessione)/ debbano accompagnarsi il vaglio della consistenza intrinseca delle dichiarazioni d'accusa (da apprezzarsi alla luce, tra l'altro, della precisioni della costanza e della spontaneità del narrato) e la verifica della sussistenza di elementi di riscontro estrinseci ed "individualizzanti" - consistenti anche in valutazioni di carattere logico (cfr. al riguardo, Cass. Sez. II, n. 29648 del 17.6.2019, P.G. in proc. Pota) - rispetto a dette propalazioni, tali da consentire di corroborare la effettiva materialità dei fatti oggetto di dichiarazione e da collegarli univocamente alla posizione dei soggetti compromessi da dette accuse. E, come pure è stato autorevolmente precisato, la valutazione dei passaggi attinenti alla credibilità soggettiva ed alla attendibilità oggettiva della chiamata di correo non deve necessariamente transitare attraverso passaggi rigidamente separati, posto "che l'art. 192, comma 3, cod. proc. pen. non indica alcuna specifica e tassativa sequenza logico-temporale": in definitiva, "Il percorso critico che il giudice deve seguire non si correla (...) ... ad un modulo processuale predefinito, giacché il metodo di ricerca e di scansione dei singoli elementi fattuali su cui si radica un apprezzamento che non può che essere omnicomprensivo "la valutazione della prova deve essere strutturalmente unitaria/ anche se i relativi elementi dimostrativi possono essere frazionati quanto a risultati probatori "passa necessariamente attraverso un "sindacato" tanto dei dichiarante che del dichiarato: un singolo "frammento" di inattendibilità soggettiva non necessariamente incrina l'intera affidabilità oggettiva del narrato, così come, all'inverso, la riscontrata attendibilità soggettiva non esime dalla verifica globale del contenuto dichiarativo (così, Cass. Sez. II; n. 41500 del 24.9.2013, Ad. e altro; cfr., più di recente, la già citata Cass. Sez. IVB, n. 34413 del 18.6.2019, Kh.). Tanto premesso, va anzitutto precisato, con riferimento al profilo della credibilità del dichiarante, che sì è in presenza di fonte la cui attendibilità non può essere seriamente contestata. Non solo tutti ì criteri di carattere "soggettivo" ragionevolmente spendibili ai fini della relativa verifica (ed in precedenza solo esemplificativamente richiamati) depongono in tal senso (essendosi in presenza di imputato - ovviamente incensurato - che, all'interno dell'istituto di credito vicentino, rivestiva il ruolo, di assoluto rilievo, di vicedirettore generale, sicché definire il predetto come "socialmente inserito" sarebbe oltremodo riduttivo), ma anche la scelta collaborativa maturata da tale imputato è esente da profili di opacità. Se, infatti, in ordine al primo profilo, non sono davvero necessarie ulteriori considerazioni, quanto alla genesi della determinazione alla confessione osserva questa Corte come la circostanza (palesemente evincitele dal complessivo tenore delle relative dichiarazioni) che il GI. si sia determinato a dare piena consistenza alle iniziali dichiarazioni solo parzialmente ammissive (evidentemente conseguenti alla presa d'atto di una situazione probatoria a dir poco compromessa), assumendosi la piena, consapevole paternità delle condotte delittuose addebitategli, anche perché insofferente rispetto alla ritenuta "fuga" dei correi dalle rispettive responsabilità, non infici certo la credibilità del predetto. A ben vedere, infatti, quella di evitare di rimanere l'unico dirigente dell'istituto "con il cerino in mano" - per ricorrere all'efficace espressione adottata dal medesimo GI. nel corso dell'esame - è una motivazione umanamente comprensibile e, di per sé, non certo sintomatica di inattendibilità, specie ove palesata dallo stesso dichiarante, come, in effetti, avvenuto nella specie. Che, poi, detta "scelta collaborativa" possa essere stata dettata (e, anzi, sia stata ragionevolmente ispirata), oltre che da un sussulto di sensibilità e di maturità morale (secondo quanto il medesimo GI. ha pure inteso specificamente rappresentare in apertura dell'esame), anche dall'intenzione di fruire di un vantaggio personale, sotto il profilo del trattamento sanzionatorio, è circostanza che, pur imponendo un'estrema cautela nel vaglio delle dichiarazioni di accusa - a fortiori essendosi in presenza di chiamata di correo intervenuta dopo la sentenza di primo grado, ovverosia in un contesto nel quale il propalante ha potuto fruire della piena conoscenza degli esiti della istruttoria dibattimentale (cfr, sul punto, Cass. Sez. I, n. 43856, 1.10.2013, Mezzero) - non vale certo, nella concretezza della presente vicenda processuale, a pregiudicare la affidabilità della fonte, la quale, peraltro, va ribadito, con le propalazioni da ultimo rese ha unicamente dato coerente seguito a quel comportamento parzialmente ammissivo già adottato nel precedente grado di giudizio. Nulla, infatti, induce a ritenere, in termini di minimo fondamento, che il GI. - le dichiarazioni del quale, peraltro, sono state costantemente accompagnate da un contegno processuale e da modalità espressive connotati da pacatezza, continenza ed assenza di qualsivoglia ostilità nei confronti dei coimputati o di terzi rimasti immuni dal processo, elementi, questi, essi stessi sintomatici di genuina rivisitazione critica del precedente operato - sia stato mosso dall'intenzione di "barattare" un eventuale, ipotetico vantaggio con l'offerta di un contributo alla comprensione dei fatti implicante anche la formulazione di accuse a carico di persone estranee agli accadimenti riferiti, sconsideratamente "trascinando" soggetti ritenuti innocenti nel gorgo delle responsabilità. E, a tale riguardo, va in questa sede anticipato, con riferimento alla posizione del coimputato ZI., quanto più oltre meglio si preciserà nel trattare la relativa posizione processuale: in relazione a costui, infatti, il GI. ha bensì reso dichiarazioni accusatorie che non si sono poi tradotte nella riforma della sentenza di assoluzione. Nondimeno, ciò è avvenuto non perché quest'ultimo non sia stato ritenuto attendibile dalla Corte; piuttosto, perché lo stesso tenore delle dichiarazioni accusatorie non ha consentito, alla stregua delle complessive evidenze disponibili, di ritenere che il predetto imputato, pur consapevole - come riferito dal chiamante in correità - dello stato di crisi del mercato secondario del titolo B. e di una certa diffusione del ricorso alle operazioni "baciate", avesse piena coscienza della natura sistemica e della conseguente entità di tale fenomeno e, soprattutto, dell'illecito "trattamento" contabile riservato a tale prassi, anche con riferimento alle comunicazioni alla vigilanza, profili, questi, sui quali il predetto GI., in effetti, non ha affatto speso considerazioni concrete. In definitiva, quindi, non vi sono ragioni di dubitare della attendibilità soggettiva del medesimo GI., attendibilità che, al contrario, è apparsa a questa Corte piena e tangibile. Quanto, poi, al profilo della intrinseca consistenza della narrazione auto ed etero accusatoria, si è in presenza di una ricostruzione puntuale dei fatti sub iudice, tanto con riferimento alle vicende delle quali l'imputato è stato diretto protagonista, quanto a quelle, di contorno, dal medesimo apprese in ragione della posizione apicale rivestita all'interno dell'istituto di credito. Il propalante, infatti, ha reso una puntuale descrizione della genesi e dello sviluppo dell'attività manipolativa invalsa presso B. e della conseguente determinazione al relativo occultamento nelle interlocuzioni con le autorità di vigilanza, non solo spiegandone puntualmente le ragioni (peraltro già evidenti) e precisando contorni ed entità del proprio ed altrui coinvolgimento in tali operatività delittuose, ma anche offrendo adeguate delucidazioni in ordine alla diffusa conoscenza, all'interno dell'istituto di credito, del tema del capitale finanziato e, presso le strutture apicali, delle condizioni di grave difficoltà in cui versava il mercato secondario. Inoltre - e proprio in questo consiste il significativo rilievo del contributo conoscitivo offerto da detta fonte - il GI., da un lato, ha chiarito la natura dei rapporti effettivi che intercorrevano, con riferimento al fenomeno in esame, tra i vertici delle articolazioni operative di B., con particolare riguardo al coinvolgimento, rimasto effettivamente in ombra all'esito dell'istruttoria svoltasi in primo grado, della struttura chiamata a curare la predisposizione dei bilanci, degli adempimenti contabili e delle segnalazioni J alle autorità di vigilanza e, quindi, del suo vertice operativo (PE.); e, dall'altro, non solo ha contribuito a delineare quali fossero le concrete modalità di esercizio della presidenza da parte dello ZO., evidenziandone il costante sconfinamento nell'attività di concreta gestione dell'istituto, ma ha specificamente fornito ulteriori elementi di prova, tali da saldarsi coerentemente con le pregresse acquisizioni dibattimentali, in ordine alla effettiva conoscenza, da parte di tale imputato, del fenomeno del capitale finanziato. Peraltro, la narrazione dei fatti offerta dal medesimo GI. è stata sistematicamente accompagnata dall'illustrazione di coerenti elementi documentali, talvolta di più limitata significazione, talaltra di ben più consistente portata probatoria, elementi l'importanza di taluni dei quali, in effetti, era "sfuggita" nel corso della precedente istruttoria (trattandosi, il più delle volte, di documenti di ostica lettura ove non interpretati da soggetto intraneo alla struttura di vertice della banca e, quindi, in grado di trarne tutte le informazioni "implicite"), sicché, anche sotto tale profilo, deve concludersi nel senso della piena intrinseca persuasività delle relative dichiarazioni. Infine - e fermo il rinvio, sul punto, ancora una volta, a quanto sarà evidenziato più oltre con riferimento a ciascuna posizione processuale - le dichiarazioni d'accusa risultano corroborate, ab extrinseco, da una sequela di convergenti elementi di prova, relativi ad ogni fatto-reato oggetto d'addebito e tali da collegare specificamente gli eventi delittuosi narrati a ciascun imputato. Trattasi - va sottolineato - non di semplici "riscontri" ad una chiamata in correità, bensì di quella congerie di seri e concludenti elementi che, secondo la persuasiva lettura offertane dal primo giudice, già erano stati ritenuti idonei a fondare autonomamente le affermazioni di responsabilità (ovvero, con riferimento all'imputato PE., ad integrare un compendio probatorio di non trascurabile rilievo, ancorché dal tribunale ritenuto insufficiente), sicché, con riferimento a tale indispensabile requisito della chiamata in correità, ogni ulteriore digressione sarebbe davvero superflua. 14 Gli atti di appello. Premessa sui criteri di valutazione della prova. Premessa indispensabile alla analisi degli atti di appello è una valutazione generale dei criteri che hanno orientato questa Corte nella valutazione della prova. Sul punto, va precisato che la vicenda sub iudice si è caratterizzata non solo - come s'è già detto - per la vastità delle evidenze disponibili, ma anche per la laboriosità connaturata allo scrutinio necessario per la esatta comprensione delle dinamiche inerenti al fenomeno del "capitale finanziato" e, ancor più, per la individuazione delle singole responsabilità. In effetti, fin dall'avvio delle investigazioni gli inquirenti si sono mossi in un contesto assai ostico in ragione, per un verso, della complessità del fenomeno che andavano analizzando e, per altro verso, della struttura articolata della banca vicentina e della costante interdipendenza delle principali articolazioni operative di tale istituto (segnatamente: i "mercati", i "crediti"; la "finanza"; il "bilancio"; ma anche la "segreteria generale"; e, infine, i servizi ai quali era demandato il "controllo interno", in primis, l'"audit"). A complicare le indagini, poi, si sono aggiunte, da un lato, le difficoltà di reperimento di prove documentali conseguenti alle disposizioni tassative, progressivamente svelate dagli investigatori, che erano state impartite dai vertici aziendali al personale della banca, al quale era stato perentoriamente ordinato di non lasciare traccia scritta dei finanziamenti correlati; e, dall'altro lato, le condotte, se non sempre ostruzionistiche, generalmente tutt'altro che collaborative adottate da molti potenziali testimoni intranei all'istituto i quali, implicati, di fatto, in ragione degli incarichi ricoperti nell'organigramma della banca, nel fenomeno del capitale finanziato, nutrivano il palpabile timore di essere in qualche misura coinvolti - quantomeno sotto il profilo di eventuali responsabilità amministrative (come, peraltro, puntualmente accaduto per i membri del CdA e del Collegio Sindacale) - nelle indagini ed avevano, pertanto, tutto l'interesse a stornare dalle loro persone (e, nel caso dei consiglieri e dei sindaci, dall'intero organismo del quale erano membri) ogni sospetto. Peraltro, tale interesse, in taluni casi, si è spinto fino al plateale tentativo di inquinare il quadro delle evidenze che avrebbero più celermente potuto° orientare le indagini (il più immediato riferimento è alla soppressione/alterazione, operata su disposizione di Am., di taluni documenti compromettenti; ma, nel prosieguo degli accertamenti, come meglio si dirà più oltre, si è avuta contezza, attraverso le attività di intercettazione telefonica, dei tentativi posti in essere da non meglio individuati appartenenti al CdA, a tutto beneficio del presidente ZO., di ottenere da Ma.Pa. la modifica di quanto riferito al collega Bo., in sede di "intervista audit", circa il fatto che So. aveva sempre affermato la conoscenza, da parte del Presidente - pudicamente definito "chi di dovere" - del capitale finanziato; infine, le dichiarazioni dal Gi. rese in sede di appello, peraltro confortate dalle comunicazioni SMS/WhatsApp intercorse con Ba.St., hanno fatto luce anche sul tentativo, parimenti rimasto inattuato, di "bonifica" delle mail del medesimo ZO.). Tutto ciò ha avuto luogo in un contesto-contesto - giova ripeterlo - non solo caratterizzato da controlli volutamente strutturati in modo inefficiente, ma nel quale si era già avvezzi alla dissimulazione ed all'occultamento di evidenze documentali che avrebbero potuto rendere percepibile all'esterno (segnatamente, agli enti di vigilanza), il sistematico ricorso alle "operazioni baciate". Emblematico di tale contesto, invero, è il comportamento assunto dal già citato Bo. allorché costui, su ordine del d,g. So., non aveva esitato a omettere di dare seguito alla relazione - peraltro materialmente "occultata" dallo stesso So. - nella quale, pure, aveva evidenziato la "scoperta" di capitale finanziato per circa 200 milioni di Euro. Fin dall'avvio delle indagini, quindi, è stato determinante il rilievo delle prove documentali non sfuggite agli investigatori (in particolare: appunti sequestrati; talune comunicazioni via mail; le "lettere di impegno" recuperate nelle varie filiali territoriali; le registrazioni audio dì alcune sedute di organismi collettivi). E, questo, non solo per quanto in esse direttamente attestato (ovvero da esse indirettamente ricavabile), ma anche per la loro intrinseca attitudine a scongiurare, da parte dei potenziali testimoni assunti a s.i.t., dichiarazioni marcatamente in contrasto con evidenze, per l'appunto, documentalmente provate. Ebbene, le difficoltà insite in tale "contesto di ricerca" si sono poi inevitabilmente tradotte, in sede dibattimentale, in un altrettanto faticoso' percorso di ricostruzione dei fatti, percorso reso particolarmente arduo, come si diceva, dall'atteggiamento di numerosi testimoni, le dichiarazioni dei quali sono spesso risultate generiche, scandite da ricordi approssimativi, se non anche palpabilmente orientate a fare emergere una generica inefficienza delle strutture a scapito della esatta ricostruzione del fenomeno e, soprattutto, delle singole responsabilità. In particolare, non ci si può esimere dal sottolineare come i membri del CdA e del Collegio Sindacale siano risultati pressoché tutti davvero scarsamente attendibili nell'escludere che a tali consessi (o, quantomeno, ai componenti più tecnicamente attrezzati dei predetti organi collegiali, finanche nel caso avessero loro stessi beneficiato di finanziamenti correlati) fossero giunte anche solo indirette notizie del fenomeno in esame e persino "indici di allarme" che avrebbero consigliato, se non imposto, l'espletamento di approfondimenti. Assolutamente emblematica, sul punto, è stata la deposizione del teste Za., esperto dottore commercialista già presidente del Collegio Sindacale e, in questa, veste, anche a capo dell'OdV, il quale, escusso nuovamente nel corso del giudizio di appello, non è stato neppure in grado di ricordare in cosa consistesse tale organismo di vigilanza. Ma altrettanto imbarazzante è stata la deposizione resa, sempre nel dibattimento di appello, dal teste prof. Br.: costui, per lunghissimi anni vicepresidente della banca, ha negato finanche di avere percepito "sintomo" alcuno di quanto, da tempo, andava accadendo nella gestione dell'istituto e, a fronte delle dichiarazioni dell'imputato GI. - il quale lo aveva indicato come presente al colloquio tra il medesimo propalante e lo ZO., colloquio nel corso del quale quest'ultimo aveva ammesso di essere a conoscenza delle "baciate parziali" - nel confermare la propria presenza in occasione di tale incontro ha nondimeno affermato di non serbare memoria di quanto specificamente riferito, sul punto, dal chiamante in correità e, questo, del tutto incredibilmente, solo a considerare, per un verso, la assoluta centralità dì tale "passaggio" e, per altro verso, la funzione di testimone che allo stesso Br., nello specifico, era stata evidentemente assegnata nell'interesse del presidente. Parimenti inaffidabili, poi, sono risultati, come meglio si dirà nell'analizzare la posizione dell'imputato PE., plurimi passaggi delle deposizioni reset dai più stretti collaboratori di tale imputato (trattasi dei testimoni Fa., Tr., Mo.). In linea di massima (e fatte salve le specificazioni che saranno più oltre effettuate) può in questa sede anticiparsi che le deposizioni più attendibili tra i contributi forniti dai soggetti, a diverso titolo, facenti capo a B., sono risultate quelle dei funzionari dell'istituto più "distanti" dai vertici aziendali, in quanto estranei alle dinamiche decisionali del fenomeno del capitale finanziato. Per il resto, il vaglio del materiale testimoniale proveniente "dall'interno" dell'istituto bancario ha imposto un approccio assai prudente, rendendo necessaria una analisi particolarmente accorta dei singoli contributi testimoniali. E, sul punto, va ribadito che la corretta chiave di lettura di tale compendio dichiarativo è stata quella già indicata (sia pure con specifico riferimento alle dichiarazioni dei principali soci finanziati) dal primo giudice (cfr, sentenza impugnata, pag. 634): nell'ambito delle rispettive deposizioni, i più o meno scarni passaggi in ordine all'esistenza del fenomeno del capitale finanziato ed alla attribuzione delle singole responsabilità sono risultati assai più persuasivi di quelli (sovente assai più consistenti dal punto di vista quantitativo) caratterizzati da generici ed autoassolutori richiami alle inadeguatezze strutturali del sistema dei controlli, ovvero da definizioni volutamente vaghe (è il caso dei riferimenti al capitale finanziato che taluni testi, non potendoli negare, hanno qualificato come "allusivi", "indiretti", "obliqui", quasi che il ricorso a simili espressioni edulcorate potesse realmente valere a rendere il significato e le implicazioni di detti riferimenti davvero inafferrabili per soggetti professionalmente assai attrezzati come erano i componenti del management di B. ed i loro più stretti collaboratori). Nondimeno, ad onta della descritta complessità del "contesto di ricerca", è stato possibile, all'esito di una assai laboriosa attività istruttoria, peraltro parzialmente rinnovata in appello, non solo ricostruire in modo appagante il fenomeno del capitale finanziato che ha finito per travolgere l'istituto di credito vicentino, ma anche delineare compiutamente le rispettive responsabilità con riferimento a tali accadimenti, come di seguito precisato in sede di valutazione dei singoli atti di impugnazione. Da ultimo, una precisazione si impone con riferimento al rilievo che, come si vedrà, hanno necessariamente assunto, nel vaglio dei compendio probatorio disponibile, le considerazioni di natura logica. Ebbene, trattasi di strumenti concettuali che non solo rivestono rilievo centrale nella spiegazione delle condotte umane e che, pertanto, non possono certo essere abbandonati se - come si è efficacemente osservato - non si voglia condannare il giudice (cui è imposta l'indicazione dei criteri adottati nella valutazione della prova, ex art, 192 c.p.p.), sul punto, all'afasia"; ma che, nella vicenda sub iudice, inerente alla modalità adottate dall'alta direzione di una impresa bancaria per fronteggiare una problematica di vitale importanza, assumono un rilievo particolarmente significativo. In altre parole, se è vero che in ogni valutazione logica del comportamento umano è ontologicamente intrinseco un margine di incertezza (non potendosi ovviamente confondere - come pure è stato precisato "l'id quod plerumque accidit" con "l'id quod semper necesse") è altrettanto vero che, in casi quali quello in esame - aventi ad oggetto l'operato di un ente "razionale" per definizione (nell'ambito del quale, quindi, tutte le decisioni erano necessariamente precedute da accurata analisi e costituivano l'esito di procedure predeterminate o, comunque, dell'agire coordinato di una pluralità di soggetti professionalmente assai attrezzati), tale margine è destinato ad assottigliarsi fin quasi a divenire davvero evanescente. 14.1 Gli appelli degli imputati 14.1.1 L'appello nell'interesse di Gi.Em. Con riguardo alla posizione dell'imputato Gi.Em. (resosi autore, nel presente grado di giudizio, di propalazioni auto ed etero accusatorie che già sono state oggetto - v. supra, par. 13 della presente sentenza - di accurato vaglio sotto il duplice profilo della credibilità soggettiva del dichiarante nonché dell'attendibilità e coerenza intrinseche del suo contributo dichiarativo) va innanzitutto dato atto della intervenuta rinuncia, da parte della difesa, a un rilevante numero di motivi di gravame. All'udienza del 23 settembre 2022 la difesa del GI. ha infatti depositato una nota avente il seguente tenore: "I sottoscritti avvocati, difensori di fiducia di Em.Gi., unitamente a quest'ultimo (...), dichiarano, a norma dell'art. 589 c.p.p., di rinunciare ai seguenti motivi così numerati nell'atto di appello: I, IV, V, VI, VII, VIII, IX, X, XI, XII, XIV, XV, XVI, XVII, XVIII, XIX". Quanto poi all'ulteriore capitolo XX dell'atto di appello - non ricompreso, nella citata nota scritta d'udienza, fra quelli oggetto di espressa rinuncia - la difesa, in sede di discussione, ha comunque manifestato, nei seguenti termini, l'intenzione di renderlo oggetto di quella che ha definito "rinuncia implicita", di fatto non coltivando più, cioè, la relativa eccezione di nullità dell'impugnata sentenza (a suo tempo sollevata ex art. 604 comma 3 c.p.p, per ritenuta violazione dell'art. 522 c.p.p.) e limitandosi, in ultima analisi, a chiedere che le considerazioni ivi svolte vengano prese in esame unicamente, ex art. 133 c.p., al fine della determinazione del trattamento sanzionatorio. Conseguentemente l'appello risulta essere stato effettivamente coltivato dalla difesa del GI. nei seguenti, ormai circoscritti, termini: - capitolo II (pagg. 24-27 atto di appello): "Violazione degli arti. 185 c.p. e 74 c.p.p. da parte della ordinanza ex art. 491 c.p.p. del 21.3.2019 e di tutte le parti della sentenza che la richiamano"; - capitolo III (pagg. 28-36 atto di appello): "L'erronea ricostruzione della posizione di Gi. in banca"; trattasi peraltro di censure che, al pari di quanto or ora visto per il capitolo XX, attengono in via esclusiva al vaglio della personalità, del grado di protagonismo e dell'intensità dell'elemento soggettivo in capo al reo confesso GI., come tali rientranti nell'ambito di applicazione dell'art. 133 c.p. e dunque confluenti nell'oggetto del capitolo XXII, interamente dedicato al trattamento sanzionatorio; - capitolo XIII (pagg. 80-83 atto di appello): "L'illegittima "moltiplicazione operata in sentenza, dei reati di aggiotaggio di cui al capo A.l. La violazione del divieto di ne bis in idem sostanziale"; trattasi peraltro dì temi già ampiamente ed esaustiva mente trattati nella parte generale della presente sentenza e precisamente nei suoi paragrafi 8 e 11, ai quali senz'altro si rinvia. - capitolo XXI (pagg. 134-137 atto di appello); "Nullità della sentenza impugnata ex art. 604 c. 3 c.p.p. per violazione dell'art. 522 c. 2 c.p.p. avendo il tribunale condannato Gi., in relazione ai capi I) e L), per un fatto "nuovo non enunciato nel decreto che dispone il giudizio""; - capitolo XXII (pagg. 137-144 atto di appello): "In via subordinata sul trattamento sanzionatorio: corretta individuazione del reato più grave; rideterminazione ai minimi di legge della pena base; rideterminazione ai minimi di legge degli applicati aumenti per continuazione interna; concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle residue contestate aggravanti"; - capitolo XXIII (pagg. 144-148 atto di appello): "Quanto agli aspetti civili: richiesta di revoca di tutte le statuizioni civili. In ogni caso e in subordine: sospensione della condanna al pagamento della provvisionale per "gravi motivi" ex art. 600 comma 3 c.p.p.". Ciò premesso, quanto ancora residua dell'appello proposto dalla difesa di Gi.Em. è parzialmente fondato, e ciò con riguardo: - alle considerazioni già svolte nella soprastante parte generale - par. 8 - quanto al numero effettivo di reati di aggiotaggio ravvisabili nelle condotte contestate dall'Accusa; - al trattamento sanzionatorio, risultando condivisibili - in applicazione di tutti i canoni di cui all'art. 133 c.p., nessuno escluso - le istanze difensive con le quali sì chiede: a) che il giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p. sia condotto nel senso della prevalenza delle già riconosciute circostanze attenuanti generiche sulle ritenute aggravanti; b) che venga adeguatamente ridotta l'entità degli aumenti di pena praticati ex art. 81 cpv. c.p. a titolo di continuazione. Inoltre va dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato Em.Gi. - limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014 - in ordine ai delitti di aggiotaggio (come sopra sì è detto ridotti nel numero, ossia da sedici a quattro) ascrittigli al capo A1, e ciò per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione. Analogamente va dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato Em.Gi. per i reati di falso in prospetto cui ai capi I e L, sempre per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione. Infine, come pure già si è precisato supra (v. parte generale della presente sentenza, par. 9), va ritenuta, anche quanto ai reati di ostacolo alla vigilanza sub capi B1 e M1, la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c.. Di seguito si procederà alla trattazione dei motivi di gravame ancora coltivati dalla difesa. 14.1.1.1. L'eccepita violazione degli artt. 185 c.p. e 74 c.p.p. ad opera dell'ordinanza ex art. 491 c.p.p. del 21 marzo 2019 e ad opera di tutte le parti della sentenza che la richiamano (capitolo II dell'atto di appello, pagg. 24-27). L'appellante ha dedotto la violazione degli artt. 185 c.p. e 74 c.p.p., ad opera dell'ordinanza ex art. 491 c.p.p., pronunciata dal tribunale vicentino in data 21.3.2019 (parzialmente reiettiva della richiesta di esclusione delle parti civili) e ad opera di tutte le parti della sentenza che la richiamano. L'impugnazione dell'anzidetta ordinanza si riferisce, per la precisione, ai suoi paragrafi 1.5, 1.6 e 1.7; se ne riepilogano qui brevemente i termini: - quanto al paragrafo 1.5 dell'ordinanza si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile in capo agli azionisti e obbligazionisti che hanno acquistato titoli dopo i fatti di causa. Essendo costoro divenuti azionisti od obbligazionisti (puri, subordinati o convertibili) in epoca successiva ai fatti che qui occupano non possono - conseguentemente - lamentare, secondo la difesa, di avere subito un danno immediato e diretto (alcuni di essi, anzi, sempre a detta della difesa, appaiono piuttosto avere messo in atto una manovra anche speculativa dopo l'emersione dei fatti); - quanto al paragrafo 1.6 dell'ordinanza si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile di coloro che hanno acquistato azioni in conseguenza delle operazioni di finanziamento correlato: tali soggetti debbono infatti definirsi, secondo la difesa, carenti di legitimatio ad causam essendo consapevoli - a differenza di quanto affermato dal tribunale - di partecipare a un'operazione che viene indicata come illecita nella stessa prospettazione d'accusa: al riguardo l'appellante ricorda come proprio nella costruzione generale dell'impianto accusatorio venga data l'indicazione della sottoscrizione, da parte dei clienti/soci/finanziati, di lettere di impegno - dal tenore chiaro ed esplicito - contenenti, per l'appunto, l'impegno da parte della banca al riacquisto delle azioni B. e/o contenenti la garanzia di un determinato rendimento; - quanto al paragrafo 1.7 dell'ordinanza si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile di coloro che hanno messo in vendita le loro azioni. Nei confronti di tali soggetti si è infatti verificata, secondo la difesa, l'interruzione - a seguito della vendita - del nesso causale, con il conseguente carattere solo indiretto del danno da reato (commisurato al deprezzamento fra il momento di acquisto dell'azione e la realizzazione effettiva). Osserva l'appellante come lo stesso tribunale vicentino faccia riferimento, nell'incipit dell'ordinanza impugnata, proprio alla consequenzialità immediata fra reato e danno (enunciata negli artt. 1223 e 1227 comma 2 c.c.) dalla quale far discendere la sussistenza della legittimazione; consequenzialità immediata che, nel caso di danno indiretto, per l'appunto non ricorrerebbe. Conseguentemente la difesa del GI. nuovamente richiede, nella presente sede, l'esclusione di tutte le parti civili rientranti nell'una o nell'altra delle suindicate tre categorie. Ritiene questa Corte che tali censure difensive non meritino accoglimento. Quanto agli azionisti e obbligazionisti che hanno acquistato titoli dopo i fatti oggetto del presente procedimento (paragrafo 1.5. dell'impugnata ordinanza 21.3.2019), si ravvisano anzitutto profili di inammissibilità del motivo di gravame stante la sua assoluta genericità: da un lato non vengono in alcun modo individuate, ivi, le parti civili delle quali si chiede l'esclusione per tale ragione; dall'altro lato è parimenti del tutto generica l'affermazione secondo j cui "alcuni" - anch'essi non meglio identificati - fra costoro avrebbero' "piuttosto messo in atto una manovra anche speculativa dopo l'emersione dei fatti" (cfr. pag. 25 atto di appello). Nel merito basti osservare, in ogni caso, che è del tutto indimostrata in fatto la conoscenza in capo a ciascuna delle predette non meglio identificate parti civili, al momento di acquistare i titoli, tanto dell'esistenza stessa quanto, a fortiori, dell'entità e portata complessive del fenomeno del finanziamento correlato, come pure la conoscenza di quali potessero essere le sue conseguenze sulla sorte dei titoli B. e più in generale sulla solidità dell'istituto di credito emittente. Al riguardo coglie nel segno il primo giudice allorquando evidenzia (cfr. pagg. 826-827 sentenza gravata) che "resta uno scollamento tra la cessazione delle condotte delittuose e il disvelamento, il che ha determinato il protrarsi degli effetti di una errata rappresentazione al mercato della reale situazione dell'istituto con indubbio svantaggio informativo (indotto dalle condotte delittuose) per l'investitore". Quanto poi a coloro che hanno acquistato azioni in conseguenza delle operazioni di finanziamento correlato (paragrafo 1.6. dell'impugnata ordinanza 21.3.2019), non è fondato l'assunto difensivo di partenza, secondo cui almeno costoro, fra gli acquirenti dei titoli, sarebbero stati pienamente consapevoli di partecipare a un'operazione illecita. Ciò che ha reso penalmente rilevanti le operazioni in oggetto è stato il mancato scomputo dal patrimonio di vigilanza dei titoli che grazie ad esse venivano acquistati dai soggetti finanziati; questi ultimi, al momento dell'acquisto, non potevano sapere che la banca avrebbe tenuto tale contegno omissivo né potevano sapere che essa non avrebbe rispettato le procedure autorizzative di legge concernenti l'erogazione di finanziamenti per l'acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie. In ogni caso non è stata fornita la dimostrazione di una siffatta conoscenza in capo a costoro. Si osserva anzi (e il tema verrà più ampiamente trattato infra con riguardo, in particolare, alla posizione dell'imputato MA.) che all'epoca era finanche assai controverso - in dottrina e finanche nella giurisprudenza di legittimità - lo stesso assoggettamento, o meno, delle banche cooperative e popolari al disposto dell'art. 2358 c.c., il quale detta per l'appunto le condizioni affinché una società possa, direttamente o indirettamente, accordare prestiti o fornire garanzie per l'acquisto o la sottoscrizione delle proprie azioni. La difesa del GI. obietta che quantomeno gli azionisti destinatari di lettere d'impegno non potevano non essere consapevoli dell'illiceità delle operazioni in questione. In contrario può osservarsi, in aggiunta a quanto fin qui detto: a) che le lettere di impegno emerse nel corso dell'attività ispettiva sono in numero appena superiore alla sessantina; b) che semmai i loro destinatari erano stati ulteriormente indotti - per tale via - al convincimento, dimostratosi in ultima analisi fallace, di detenere titoli non solo liquidi ma anche e soprattutto immediatamente liquidabili in ogni tempo senza assunzione di rischi di sorta. Un'efficace confutazione della suddetta tesi difensiva si rinviene d'altronde - esemplificativamente e in aggiunta alle altre deposizioni, dì tenore analogo sul punto, già citate nella nota 733 di pag. 827 della sentenza gravata - pure nella deposizione del teste Va.Ma., vertice del gruppo "So." (pag. 9 verbale stenotipia" 12.12.2019). A tale ultimo proposito, pertanto, può dirsi che colga senz'altro nel segno l'argomentazione del primo giudice - cfr. pag. 827 sentenza gravata - secondo cui "conseguenze dannose restano comunque certamente configuratoli a fronte della esposizione debitoria segnalata alla centrale rischi e all'addebito dei costi del finanziamento". Quanto infine a coloro che hanno messo in vendita le loro azioni (paragrafo 1.7. dell'impugnata ordinanza 21-3,2019), si ravvisano anzitutto profili di inammissibilità del motivo dì gravame stante la sua assoluta genericità, non venendo in alcun modo individuate, ivi, le parti civili delle quali si chiede l'esclusione per tale ragione. Nel merito basti osservare, in ogni caso, che per costoro il danno aveva già iniziato a prodursi anteriormente alla successiva messa in vendita dei titoli. Non è fondato l'assunto difensivo di partenza secondo cui, con la vendita dei titoli stessi, si sarebbe interrotto ex se il nesso causale, con l'inevitabile venir meno di quella consequenzialità immediata tra reato e danno che è richiesta dagli artt. 1223 e 1227 c.c.. A tal proposito non vi è, qui, ragione di discostarsi dal costante e consolidato insegnamento giurisprudenziale di legittimità secondo il quale, con riguardo all'illecito civile, si ha interruzione del nesso di causalità soltanto nell'ipotesi - con ogni evidenza non ricorrente nella presente fattispecie - in cui la causa sopravvenuta (che può identificarsi anche con la condotta dello stesso danneggiato) sia da sola sufficiente a provocare l'evento, in quanto autonoma, eccezionale ed atipica rispetto alla serie causale già in atto, sì da assorbire sul piano giuridico ogni diverso antecedente causale e ridurlo al ruolo di semplice occasione. In tal senso cfr., da ultimo, Cass. Civ. Sez. 3, ordinanza n. 21563 del 07/07/2022 resa su ricorso proposto da Du.Em. e Mi.Ol. c. Ente Parco Regionale del fiume Si. In senso del tutto analogo cfr., ex multis, Cass. Civ. Sez. 3, sentenza n. 19180 del 19/07/2018 resa su ricorso proposto da Ga.En. c. No. S.a.s. e altri, secondo cui si ha interruzione del rapporto di causalità tra fatto del danneggiante ed evento dannoso per effetto del comportamento sopravvenuto dì altro soggetto (che può identificarsi anche con lo stesso danneggiato), quando il fatto di costui si ponga, ai sensi dell'art. 41, comma 2, c.p., come unica ed esclusiva causa dell'evento di danno, sì da privare dell'efficienza causale e rendere giuridicamente irrilevante il precedente comportamento dell'autore dell'illecito, ma non quando, essendo ancora in atto ed in fase dì sviluppo il processo produttivo del danno avviato dal fatto illecito dell'agente, nella situazione di potenzialità dannosa da questi determinata si inserisca una condotta di altro soggetto ed eventualmente dello stesso danneggiato) che sia preordinata proprio al fine di fronteggiare e, se possibile, di neutralizzare le conseguenze di quell'illecito. In tal caso - si badi - lo stesso illecito resta unico fatto generatore sia della situazione di pericolo sia del danno derivante dall'adozione di misure difensive o reattive a quella situazione, sempre che rispetto ad essa siano coerenti ed adeguate. 14.1.1.2. L'eccezione di nullità della sentenza impugnata ex art. 604 comma 3 c.p.p. per violazione dell'art. 522 c. 2 c.p.p. in relazione ai capi I e L (capitolo XXI dell'atto di appello, pagg. 134-137). Secondo la difesa il tribunale vicentino avrebbe condannato il GI., in relazione ai capi I e L (reati di falso in prospetto, dei quali va qui dichiarata in ogni caso l'estinzione per intervenuta prescrizione), per un fatto nuovo non enunciato nel decreto che dispone il giudizio, con conseguente eccepita violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p.. Nel decreto che dispone il giudizio, infatti, si contesta al GI. di avere preso direttamente parte alla materiale predisposizione dei testi dei due prospetti, laddove viceversa la sentenza gravata100, pur dando atto del mancato diretto coinvolgimento materiale del GI. (a differenza, secondo lo stesso primo giudice, di quanto poteva dirsi per gli imputati ZO. e PI.) nel processo di predisposizione e approvazione dei prospetti, ne avrebbe fondato - del tutto erroneamente - la penale responsabilità sulla mera asserita sua consapevolezza dell'occultamento delle operazioni finanziate. Ritiene questa Corte che l'eccezione di nullità ex art, 522 c.p.p. sia infondata e che l'affermazione di penale responsabilità nei confronti del GI., correttamente fatta dal primo giudice in epoca anteriore alla frattanto intervenuta estinzione per prescrizione dei due reati, andasse, semplicemente, da esso argomentata nel merito con diversa motivazione, non riscontrandosi per converso alcuna difformità tra il tenore di ambedue i rubricati capi d'imputazione I e L Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture ...") e il fatto concretamente da ascriversi all'imputato GI. sulla base della svolta istruttoria. Basti al riguardo citare - ponendo mente all'inciso, sopra evidenziato, "anche per il tramite delle proprie strutture" - il contenuto, in parte qua, della deposizione resa il 17.1.2020 dal teste Ma.Ca., dipendente di B. dal 2007 al 2018 con mansioni di responsabile dell'unità in staff al responsabile della Divisione Finanza. Il teste Ca. (cfr. in particolare le pagg. 76, 78 e 91-92 del relativo verbale stenotipico) ha infatti individuato quali, in concreto, tra le strutture facenti capo alla Divisione Mercati capeggiata dal GI., ebbero a prendere parte diretta, per quanto di loro competenza, al gruppo di lavoro che curò la predisposizione dei prospetti in questione. 14.1.1.3. Il trattamento sanzionatone (capitoli III, XX - in parte qua - e XXII dell'atto di appello). Sulla scorta delle considerazioni sin qui esposte va dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato Em.Gi. - limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014 - in ordine ai delitti di aggiotaggio (come sopra si è detto ridotti nel numero, ossia da sedici a quattro) ascrittigli al capo A1, e ciò per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione. Analogamente va dichiarato non doversi procedere per i reati di falso in prospetto di cui ai capi 1 e L, sempre per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione. Infine, come pure già si è precisato supra (v. parte generale della presente sentenza, par. 9), va ritenuta, anche quanto ai reati di ostacolo alla vigilanza sub capi B1 e M1, la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c.. Ciò posto, risultano, come sopra accennato, condivisibili - in applicazione di tutti i canoni dì cui all'art. 133 c.p., nessuno escluso - le istanze difensive con le quali si chiede: a) che il giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p, sia condotto nel senso della prevalenza delle già riconosciute circostanze attenuanti generiche sulle ritenute aggravanti nonostante l'entità eclatante dei fatti e dei danni cagionati; b) che venga adeguatamente ridotta l'entità degli aumenti dì pena praticati ex art. 81 cpv. c.p. a titolo di continuazione. Non può, infatti, non differenziarsi, in relazione ad ambedue tali profili, la posizione del GI. rispetto a quella degli altri imputati (viceversa ritenendosi adeguato all'oggettiva gravità dei fatti e delle loro conseguenze, in sé considerata, il mantenimento della pena base per il più grave reato sub capo H1 nella stessa misura - tre anni - già individuata in prime cure), e ciò sotto plurimi aspetti: - anzitutto si richiamano tutte le articolate considerazioni già svolte supra (nella parte generale della presente sentenza, par. 13) in relazione alle propalazioni auto ed etero accusatorie del GI., con riguardo tanto alla credibilità soggettiva del dichiarante quanto all'attendibilità e intrinseca consistenza del relativo contributo dichiarativo, quanto all'incidenza e pregnanza di tali propalazioni grazie alle quali il già solido quadro probatorio è andato ulteriormente rafforzandosi (con particolare - ma non esclusivo - riferimento alle posizioni dei due coimputati ZO. e PE.); - secondariamente si evidenzia come colga nel segno l'osservazione difensiva (svolta in relazione al capitolo XX dell'atto di appello, il quale è stato reso oggetto di rinuncia implicita tranne che per tale specifico e circoscritto aspetto) secondo cui può senz'altro valorizzarsi in senso favorevole al reo, ex art. 133 c.p., il fatto che lo stesso primo giudice, in relazione al capo N1, abbia riconosciuto - cfr. pag. 546 della gravata sentenza - che "le missive indicate in imputazione sono firmate da Sa.So., direttore generale di B., dall'istruttoria dibattimentale è emersa la prova che l'iniziativa commerciale tesa a garantire il buon esito dell'aumento di capitale è stata ideata ed organizzata dal direttore generale" (ossia, in altri termini, l'apporto concorsuale del GI. nella commissione del reato sub capo N1, ostacolo alla vigilanza Consob, vi è stato, sì, ma in veste di collaboratore ed esecutore materiale di direttive concepite e impartite dal d.g. Sa.So., non ponendosi quindi il GI. su un piano paritario con quest'ultimo (cfr. altresì pag. 547 della gravata sentenza: "Un fondamentale ruolo di supporto e collaborazione al direttore generale è stato svolto da Em.Gi., vicedirettore generale e responsabile della divisione mercati; le univoche risultanze probatorie sopra esposte dimostrano che egli ha puntualmente curato l'esecuzione e l'attuazione delle linee guida dettate dal suo diretto superiore Sa.So., nell'ambito della pianificazione commerciale dell'aumento di capitale"); - nella stessa ottica coglie nel segno anche l'ulteriore osservazione difensiva (svolta in relazione al capitolo III dell'atto di appello) secondo cui non risponde esattamente al vero l'assunto dell'Accusa - fatto proprio dal primo giudice - in base al quale il GI. avrebbe sempre operato, fino alla fine, in perfetta e paritaria sinergia con il direttore generale So. godendone la piena stima e condividendone integralmente ogni determinazione; in realtà emerge dalla svolta istruttoria come, da un lato, il GI. non godesse in effetti di una tale spiccata considerazione in seno a B. (viepiù vedendo egli progressivamente scemare col tempo la stima e la fiducia del d.g. So. nei suoi confronti, già mai state particolarmente elevate: cfr. in tal senso, puntualmente, le deposizioni dei testi Tu., Gi., Fa., Es., An., tutte debitamente citate alle pagg. 29-30 dell'atto di appello) mentre, dall'altro lato, il GI. - quanto meno a far tempo dal qui ripetutamente menzionato Comitato di Direzione 10,11.2014: cfr, tutti i passaggi già più volte citati sopra del relativo doc. 110 del P.M., in particolare le sue pagg. 40, 67-68, 76-77 e 78 - effettivamente si distingueva, all'interno di quel ristretto consesso di massimi dirigenti della banca, non solo per il fatto che mostrasse di avere piena e assoluta contezza delle dimensioni - ormai abnormi e ingestibili - assunte dal fenomeno dei finanziamenti correlati, in uno con l'ingravescente illiquidità dell'azione B., ma altresì per essersi già allora arrischiato ad esternare con grande chiarezza, sempre in quel ristretto consesso, le sue motivate e accorate preoccupazioni circa il modestissimo valore effettivo del titolo (oltretutto ormai "rivelato" - a una platea potenzialmente quanto mai vasta - dalle acute elucubrazioni di un articolo di stampa nazionale generalista, dal GI. ivi commentato: v. pag. 78 doc. 110 cit.) e circa le probabili rovinose conseguenze future del meccanismo perverso ormai avviato dalla banca, anche se poi, di fatto, egli non portò fino alle massime conseguenze tale suo sentire e continuò - nonostante tutto - a dare il suo apporto causale al perpetuarsi della scellerata quanto consolidata prassi ormai da anni intrapresa dalla banca. Davvero emblematiche, consapevoli e drammaticamente premonitrici, sul punto, sono le parole pronunciate dal GI. il 10 novembre 2014 in corrispondenza delle pagg. 67-68 del citato doc. 110 del P.M.; "VM 8 (GI.3 (...) Allora, noi comunque, le posizioni baciate grosse dobbiamo eliminarle, perché, quando arriverà, speriamo il più lontano possibile, nel momento in cui il valore detrazione non sarà più quello, ci fottiamo nei senso che, se a uno che tu gli hai dato 100; il valore ...eh ... delle azioni era 100 e va a 70, tu, quel 30 che questo ha perso, come glielo dai? Comunque noi dobbiamo fare in modo che "sti impieghi vadano scaricati"; concetto, questo, di lì a poco ripreso e ribadito dal GI. nel medesimo ristretto consesso di vertice con parole di pari pregnanza e puntualità, a fronte delle quali può notarsi il ben diverso atteggiamento tenuto da altri fra gli astanti (cfr. pagg. 76-77 ibidem: "VM 8 (GI.): Faccio ... Per esempio, facciamo che siano 500 milioni, a titolo esemplificativo, no, e il valore dell'azione perde il 30%, sono 150 milioni che noi dovremmo ridare a questi qua in dieci anni, metti, no? Quindi, son 30 milioni... son 15 milioni l'anno. (...). - VM 10 (PI.): Sì, tocchiamoci i coglioni, comunque! (ride)"). Tenuto conto di tutti gli elementi sopra indicati, dunque, stima questa Corte equo determinare la sanzione complessiva nella misura di anni due mesi sette giorni quindici di reclusione, così determinata: pena base in relazione al reato di cui al capo H1, che anche in questa sede si ritiene essere il più grave (la pur sopra illustrata "presa di coscienza" del GI. datata novembre 2014 - definita "ribellione interiore" dalla sua difesa in sede di discussione, cfr, pag. 39 verbale stenotipico 23.9.2022 - e l'altrettanto sopra illustrato scadente rapporto con il d.g. So., come detto, non si tradussero, in ogni caso, in un'astensione dal continuare a concorrere nei contegni penalmente rilevanti; tantomeno si tradussero nelle dimissioni e/o in una denuncia all'A.G.), anni tre di reclusione; ridotta ad anni due di reclusione per le concesse attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p. in regime di prevalenza; aumentata di complessivi mesi sette e giorni quindici per i reati satellite (con aumenti, segnatamente, dì giorni ventisette per ciascuno degli ulteriori otto reati di ostacolo alla vigilanza sub capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, M1, N1 e di giorni nove per il residuo reato di aggiotaggio sub capo A1). Ciò con la precisazione che l'aumento per la continuazione, in relazione ai reati di ostacolo di cui a ciascun capo di imputazione, consegue (in misura inferiore rispetto agli altri imputati per tutto quanto fin qui detto; lo stesso è a dirsi per l'aumento ex art. 81 cpv. c.p. relativo al residuo reato satellite di aggiotaggio) alla ritenuta individuazione di un solo reato, anziché di due episodi delittuosi, per ogni annualità di riferimento. Deve, infatti, evidenziarsi che in maniera del tutto illogica e incoerente il primo giudice, senza spiegarne le ragioni, ha applicato la medesima pena sia con riferimento agli anni per i quali ha individuato una duplicità di reati di ostacolo alla vigilanza, sia per gli anni nei quali ha invece ravvisato la sussistenza di un unico reato, provvedendo, però, poi, a diversificare in concreto la pena negli anni in cui ha ravvisato una duplicità di violazioni, con la conseguenza che, in modo assolutamente irrazionale, è stata applicata alternativamente, in prime cure, una pena diversa per violazioni che palesemente rivestono sempre il medesimo disvalore. La pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici va, infine, conseguentemente revocata. Per quanto poi attiene alla disposta confisca ex art. 2641 comma 2 c.c. "per il valore equivalente alla somma di Euro 963.000,000", va dato atto che l'imputato GI. è stato il solo, assieme all'imputato ZO., a formulare una doglianza al riguardo nel suo atto di gravame. Nondimeno si osserva che tale doglianza (succintamente espressa nel par. 6 del cap. XXII in tema di trattamento sanzionatorio: cfr. gli ultimi cinque righi di pag. 143 e i primi cinque righi di pag. 144 dell'atto di appello GI.), a differenza di quella - assai articolata - proveniente dalla difesa ZO., che investe anche l'an della confisca suddetta, è circoscritta al quantum della relativa statuizione e, precisamente, alla dedotta assente indicazione delle "ragioni per le quali Gi. è stato ritenuto responsabile della erogazione di tutti i finanziamenti strumentali alla formazione di quel capitale finanziato" (cfr. pag. 144 atto di appello). Si rinvia pertanto alla sottostante trattazione della posizione dell'imputato ZO. e più precisamente al par. 14.1.4,6 della presente sentenza, laddove si darà conto delle articolate argomentazioni - in fatto e in diritto - che inducono questa Corte, in accoglimento del relativo motivo di gravame prospettato dalla difesa ZO., a revocare tout court, per difetto del requisito della proporzionalità, la confisca disposta, per l'ammontare di 963 milioni Euro, nei confronti dì tutti gli imputati condannati in primo grado. 14.1.1.4. Le statuizioni civili (capitolo XXIII dell'atto di appello, pagg. 144-148). Le doglianze prospettate dalla difesa dell'imputato GI. nel suo ultimo motivo di gravame, avente ad oggetto il complesso delle statuizioni civili, possono riassumersi come segue: a) annunciata riserva di verificare, per la celebrazione del giudizio di appello, l'individuazione di eventuali revoche di costituzione di parte civile nei confronti del GI. non tenute in considerazione dal primo giudice; b) illegittimità - nell'an - della condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali in favore di Banca d'Italia e Consob; insussistenza, in ogni caso, dei presupposti richiesti dall'art. 539 comma 2 c.p.p. per la condanna al pagamento di una provvisionale in favore delle stesse parti civili; c) illegittimità - nell'an - della condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali in favore delle parti civili private; insussistenza, in ogni caso, dei presupposti richiesti dall'art. 539 comma 2 c.p.p. per la condanna al pagamento di una provvisionale in favore delle stesse; d) sussistenza, in subordine, dei presupposti ex art. 600 comma 3 c.p.p., per disporre la sospensione del pagamento delle disposte provvisionali; e) necessità di revocare le statuizioni inerenti alla condanna al pagamento delle spese processuali in favore delle parti civili private o comunque, in subordine, eccessività della relativa liquidazione operata dal primo giudice. Quanto al punto b), concernente la condanna al risarcimento dei danni - patrimoniali e non - in favore di Banca d'Italia e Consob da liquidarsi dinanzi al giudice civile, con condanna a una provvisionale (concernente il solo danno patrimoniale) in favore di ognuna delle due suddette parti civili, ritiene questa Corte che vada disattesa l'eccezione difensiva di insussistenza nell'an di danni risarcibili mentre, per converso, merita accoglimento la doglianza relativa all'insussistenza dei presupposti per il riconoscimento di una provvisionale ai sensi dell'art. 539 comma 2 c.p.p.., dovendosi viceversa fare luogo, nei confronti dei due organismi di vigilanza, a una sentenza di condanna generica con rimessione in toto delle partì dinanzi al giudice civile senza previsione di alcuna provvisionale. Per ciò che concerne il pregiudizio non patrimoniale, ad avviso di questa Corte, l'an di un danno risarcibile a tale titolo può ravvisarsi quanto meno con riguardo al danno arrecato all'immagine dì ognuno dei due organismi di vigilanza. A tal proposito sì ritiene esente da censure la motivazione della gravata sentenza laddove (cfr. in particolare pag. 824) si sofferma sulla "compromissione della credibilità dell'attività svolta dalle autorità di vigilanza (...). Indice ne è il fatto che molte parti civili private hanno chiesto la citazione delle autorità di vigilanza come responsabili civili adducendone la responsabilità per non aver svolto la loro funzione con la necessaria diligenza, consentendo agli imputati di eludere i controlli e impedendo ai risparmiatori di conoscere il reale dissesto dell'istituto bancario, a riprova della percezione che le condotte delittuose hanno indotto di autorità di vigilanza inefficienti nel disimpegno delle proprie funzioni di vigilanza e, quindi, sostanzialmente inutili". Quanto poi al danno patrimoniale va debitamente evidenziato come sia la Banca d'Italia sia la Consob lo abbiano, esse stesse, esclusivamente "parametrato al costo sostenuto dall'Istituto per l'attività di vigilanza svolta dai propri funzionari e dirigenti nell'ambito dell'attività istruttoria espletata in relazione alle vicende in cui si sono contestualizzate le condotte di ostacolo e con riferimento alla collaborazione con l'autorità giudiziaria e altre autorità" (cfr. pag. 824 sentenza gravata, cit.). In altri termini, dunque, la sola posta di danno patrimoniale risarcibile ad essere stata effettivamente pretesa dai due istituti di vigilanza, e comunque la sola ad essere stata loro riconosciuta in prime cure (con l'esclusione, per ciò che concerne Banca d'Italia, dell'attività da essa svolta in relazione all'avvio della procedura di l. c.a., attività non ritenuta dal tribunale berico - cfr. pag. 825 sentenza appellata - causalmente connessa con le condotte di ostacolo e comunque qualificata, nella gravata sentenza, come attività interamente istituzionale avente carattere ordinario), è quella corrispondente al c.d. "danno da sviamento" (cfr. pag. 824 sentenza gravata, cit.: "Il danno in termini di dispersione di risorse, svolgimento di attività straordinaria, sviamento da altre attività ha trovato riscontro, sotto il profilo dell'An, nell'istruttoria dibattimentale: sono stati sentiti gli ispettori che hanno condotto le verifiche per conto delle rispettive autorità di vigilanza; sono state prodotte le relazioni ispettive che danno conto dell'attività svolta; l'istruttoria ha evidenziato la complessità degli accertamenti che hanno portato all'emersione delle condotte di ostacolo e le attività conseguenti che si sono rese necessarie"). Su tale presupposto il tribunale berico ha appuntato la propria statuizione di condanna degli imputati (con l'ovvia eccezione dei due assolti in prime cure, ossia Zi. e Pe.) al pagamento di altrettante provvisionali immediatamente esecutive in favore di Banca d'Italia e di Consob, così motivando (cfr. pagg. 824-825 sentenza gravata): "Le parti vanno, dunque, rimesse avanti al giudice civile per l'esatta quantificazione del danno. In questa sede può essere liquidata una provvisionale che si ritiene di commisurare al costo sostenuto dall'autorità di vigilanza per il dispendio di risorse in attività inutile e per l'attività straordinaria svolta a seguito delle condotte di ostacolo. I conteggi fatti dagli uffici interni sui costi complessivi sostenuti per l'attività svolta sono puntuali e costituiscono adeguato parametro di riferimento. A Banca d'Italia va dunque liquidata una provvisionale pari ad Euro 601.017,39: si è tenuto conto dei costi sostenuti per l'attività strettamente conseguente alle condotte di ostacolo e riconducibili all'aggravio dell'attività derivante dalla commissione dei reati (...). A CONSOB va liquidata una provvisionale pari ad Euro 186.570,00 (...)". Rileva tuttavia questa Corte come non si possa pronunciare, in favore di un organismo di vigilanza costituito parte civile nel processo penale, una condanna al risarcimento del cosiddetto "danno funzionale", rappresentato dallo sviamento e turbamento dell'attività di accertamento ispettivo, se non nel caso in cui dall'attività illecita derivi un pregiudizio patrimoniale, per il soggetto in questione, che sia ulteriore e dimostrato nel suo preciso ammontare rispetto a quello costituito dal costo della normale attività istituzionale, Cfr. al riguardo Cass. Pen., Sez. 3, n. 52752 del 20/05/2014, Vi. e altro. In senso identico cfr. altresì, più recentemente, Cass. Pen. Sez. 5, n. 3555 del 07/09/2021 dep. 01/02/2022, Co., secondo cui, in tema di abusi di mercato, ove avvenga la costituzione di parte civile ad opera della Consob, il giudice non può pronunciare condanna al risarcimento del cosiddetto "danno funzionale", costituito dal costo dell'attività di vigilanza correlato all'istruttoria espletata per l'accertamento delle violazioni e l'irrogazione delle sanzioni, in quanto tale costo è posto, in via generale, a carico del bilancio statale per l'espletamento di attività che rientrano nelle funzioni istituzionali della Commissione, dovendosi fare salvi solamente i casi, nella motivazione del citato arresto definiti "eccezionali" o comunque "residuali", in cui dall'attività illecita dell'agente derivi un pregiudizio patrimoniale diretto, ulteriore e dimostrato nel suo preciso ammontare rispetto a quello costituito dal costo della normale attività istituzionale. Resta inteso (cfr. sempre, in motivazione, la da ultimo citata Cass. Pen. 3555/2022, Co.) che è specifico onere dell'istituto di vigilanza costituitosi parte civile dimostrare quale effettivo pregiudizio, diverso e ulteriore rispetto all'esercizio della funzione istruttoria propria dell'ente, la condotta dell'imputato abbia in concreto cagionato; ciò in quanto (cfr., in motivazione, Cass. 52752/2014, Vi. e altro, cit.), se da un lato non si può in astratto escludere che una particolare attività illecita determini, in casi eccezionali, un danno patrimoniale concreto e specifico - ulteriore rispetto a quello costituito dal costo della normale attività istituzionale -, nondimeno il riconoscimento di tale danno richiederà che l'ente "fornisca rigorosamente puntuali elementi di prova sulla sua concreta esistenza ed entità nel particolare caso in esame". Ebbene, la documentazione prodotta al riguardo dai due istituti di vigilanza (avente ad oggetto "i conteggi fatti dagli uffici interni sui costi complessivi sostenuti per l'attività svolta": cfr. pag. 824 sentenza gravata; il riferimento è, per Banca d'Italia, ai suoi docc. 72 e 73 prodotti all'udienza del 6.10.2020 e, per Consob, alla nota Prot. 0093005 19 del 20 02 2019 prodotta all'udienza del 6.6.2019) non può dirsi in grado di soddisfare i requisiti posti dall'art. 539 comma 2 c.p.p. per il riconoscimento di una provvisionale immediatamente esecutiva, ponendosi come non idonea - in sé - a consentire di discernere con sicurezza, neppure in parte qua, quale ulteriore diverso e concreto pregiudizio i predetti enti abbiano potuto subire rispetto all'esercizio dell'istituzionale funzione istruttoria/ispettiva che è propria degli enti medesimi. La doglianza di cui al suesteso punto b) è stata proposta dalla sola difesa di Gi.Em. ma gli effetti del suo accoglimento (con la conseguente revoca delle provvisionali disposte in favore di Banca d'Italia e Consob) non possono che ritenersi estesi a tutti gli imputati. Quanto al suesteso punto c) delle censure espresse nel capitolo XXIII dell'appello dell'imputato GI. (vertente sull'asserita illegittimità nell'an - della condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non, patrimoniali in favore delle parti civili private, azionisti e obbligazionisti/ ovvero, in subordine, sull'insussistenza dei presupposti ex art. 539 comma 2 c.p.p. per la condanna al pagamento di una provvisionale in loro favore), le considerazioni difensive vanno viceversa disattese. Lo stesso appellante dà atto, in realtà, dell'esistenza di "elementi documentali specificamente allegati ai singoli atti di costituzione di parte civile" (cfr. pagg. 146-147 atto di appello), ed è proprio in base a tali elementi documentali che il primo giudice ha, questa volta correttamente, ritenuto integrato il requisito posto dall'art. 539 comma 2 c.p.p. ai fini del riconoscimento di una provvisionale, adottando un criterio-criterio - condivisibilmente da esso indicato come congruo - che quantifica, per ognuna delle parti civili richiedenti, l'entità di detta provvisionale "nella misura del 5% dell'importo nominale del valore delle obbligazioni od azioni acquistate, quale risultante dagli atti di costituzione di parte civile e relativi allegati e in ogni caso non super/ore ad Euro 20.000,00 per ciascuna parte, tenuto conto che gli importi che vengono in rilievo vanno da alcune migliaia di Euro sino a svariati milioni" (cfr. pag. 829 sentenza gravata). Né tale oggettivo dato documentale potrebbe mai essere posto nel nulla dall'obiezione difensiva - cfr. pagg. 146-147 atto di appello - secondo la quale il tribunale vicentino non ha provveduto a illustrare e valutare compiutamente ed espressamente in sentenza, per ciascuna singola parte civile privata, i contenuti dei suddetti allegati ai rispettivi atti di costituzione. Al riguardo va evidenziata, a fronte delle conseguenze - altrimenti esiziali in ispecie - del fenomeno del c.d. gigantismo processuale, la piena ostensibilità dei suddetti allegati documentali, ostensibilità che dunque consente di procedere, del tutto legittimamente, a una motivazione, sostanzialmente per relationem, del genere di quella adottata dal primo giudice, di cui questa Corte non può, sul punto, che condividere l'argomentare (cfr. pagg. 828-829 sentenza gravata: un dato di fatto che il rilevante numero di parti civili costituite nel presente procedimento non consente un esame specifico di ogni singola posizione. Non si può non evidenziare come l'accertamento del danno specifico concernente ogni singola posizione, a fronte di oltre 7000 parti civili costituite, avrebbe imposto una istruttoria specifica (peraltro non attivabile d'ufficio a fronte dell'onere sopra delineato a carico della parte) e comunque determinato una dilatazione dei tempi processuali incompatibile con le priorità assegnate nel processo penale e contraria agli interessi delle stesse parti civili, tenuto conto che il decorso del tempo costituisce specifica causa di estinzione del reato"). Quanto ai suestesi punti a), d) ed e) basti qui osservare, rispettivamente, che: - sub a) la riserva pur annunciata dalla difesa GI. non è poi stata sciolta; - sub d) le considerazioni svolte dalla difesa GI. ai sensi dell'art. 600 comma 3 c.p.p. sono oramai superate, nella presente sede, dalla necessità dì applicare il disposto dell'art. 605 comma 2 c.p.p.; - sub e) le valutazioni della difesa GI. (cfr. pag. 148 atto di appello), originate esclusivamente dalla considerazione secondo cui "pressoché tutti i patroni di parte civile sono stati assenti dal processo (al di fuori delle udienze relative alla costituzione di parte civile e alle udienze dedicate alle conclusioni)", collidono con il disposto dell'art. 12 del D.M. 55/2014 e successive modifiche, il quale, da un lato, necessariamente contempla una liquidazione per fasi e, dall'altro lato, attribuisce rilievo alla partecipazione in sé a ogni singola fase, inclusa quella decisionale, senza distinguere tra difese orali e scritte. Il tutto fermo restando che la sentenza di prime cure, alla sua pag. 830, ha in realtà dato espressamente atto che le difese delle parti civili private "non hanno svolto attività istruttoria e l'apporto nel corso delle udienze, salvo qualche eccezione, è stato limitato. La discussione, nella quasi totalità dei casi, si è limitata alla precisazione delle conclusioni", di ciò tenendo, quindi, già adeguatamente conto nella determinazione dei relativi importi. 14.1.2 L'appello nell'interesse di Ma.Pa. Il gravame proposto dalla difesa di Ma.Pa., ferme restando le considerazioni svolte nella soprastante parte generale (in particolare con riguardo al numero effettivo di reati di aggiotaggio ravvisabili nelle condotte contestate dall'Accusa), è parzialmente fondato nei termini di seguito indicati. In particolare l'appello MA. è fondato laddove - cfr. pag. 121 nonché, più diffusamente, pagg. 179-180 atto di appello - ci si duole della declaratoria di penale responsabilità dell'imputato anche per i fatti contestati dall'Accusa come commessi nell'anno 2015 (essendo pacifico, in base agli atti, che il predetto MA. usci da B., passando a rivestire la carica dì direttore generale della siciliana Ba.Nu., in data 18.12.2014). In aggiunta a ciò Ma.Pa. va altresì assolto dai capi I e L di rubrica, corrispondenti ad altrettante fattispecie di falso in prospetto. Per tali reati contestati come commessi nelle date del 10 giugno 2013 e del 9 maggio 2014 - risulta invero maturato il termine di prescrizione; tuttavia con riguardo alla specifica posizione del MA., direttore della Divisione Crediti di B., va rilevato come la suddetta Divisione Crediti non risulti essere stata coinvolta nel gruppo di lavoro - che pure era trasversale a varie Divisioni della banca - in concreto deputato al compito di predisporre i prospetti informativi. A tale ultimo proposito cfr. la già citata deposizione specificamente resa sul punto all'udienza del 17.1.2020 dal teste Ma.Ca., dipendente di B. dal 2007 al 2018 con mansioni di responsabile dell'unità in staff al responsabile della Divisione Finanza (deposizione in cui la Divisione Crediti non viene menzionata fra le pur numerose specificamente indicate dal teste come direttamente coinvolte nella predisposizione dei prospetti). Nelle restanti sue parti il gravame del MA. è infondato. Preliminarmente va dato atto che tutte le questioni dalla difesa trattate da pag. 1 a pag. 21 dell'atto di appello (eccezione di nullità della richiesta di rinvio a giudizio quanto a una parte delle imputazioni; eccezione di inutilizzabilità del file audio relativo al Comitato di Direzione del 10,11,2014; richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale), nonché tutte le questioni da essa trattate nella memoria di motivi aggiunti depositata in data 5.4.2022 (quest'ultima avente in verità ad oggetto unicamente richieste di rinnovazione istruttoria), sono già state approfonditamente vagliate e decise da questa Corte con l'ordinanza emessa in data 18.5.2022, alla quale senz'altro si rinvia. Al netto di tali questioni la rimanente parte del primo e assai articolato motivo di gravame (pagg. 21-181 atto di appello) consta di una serie di censure che contestano la sentenza impugnata sotto una pluralità di profili, ma che sono tutte accomunate dalla finalità di evidenziare le mancanze motivazionali asseritamente riscontrabili, nella trama argomentativa della decisione appellata, con specifico riferimento alla posizione dell'imputato MA.. Ad avviso dell'appellante, infatti, il primo giudice avrebbe erroneamente affermato il ruolo di concorrente del MA. in tutti i contestati reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto sulla base di elementi probatori inadeguati, carenti, ovvero smentiti da specifiche evidenze di segno contrario che, diversamente, deporrebbero per l'estraneità di costui rispetto ai fatti addebitatigli. Più specificamente ci si duole del fatto che la sentenza di prime cure, in relazione alla posizione dell'imputato MA., abbia: a) operato una costante sottrazione di elementi, pur presenti all'interno dell'istruttoria dibattimentale ma nemmeno considerati nella motivazione; b) attuato un'elusione delle questioni di fondo poste dalla difesa dell'imputato. Le suddette censure difensive possono riassumersi - in estrema sintesi - nei termini seguenti: - il tribunale si sarebbe ampiamente diffuso su aspetti concernenti la consapevolezza, in capo al MA., dell'esistenza in B. di operazioni correlate, e ciò ancorché l'imputato mai abbia sostenuto di esserne stato all'oscuro bensì abbia affermato di essere sempre stato genuinamente convinto della loro liceità per il fatto che fossero poste in essere nell'ambito di una banca cooperativa, il cui assoggettamento all'art. 2358 c.c. era del resto, all'epoca, ancora dibattuto in dottrina e in giurisprudenza (un parere legale richiesto dalla banca a un prestigioso studio, d'altra parte, aveva - a detta del MA. - escluso tale assoggettamento); inoltre non sarebbe dato comprendere come numerosi soggetti, buona parte dei quali sentiti come testimoni in dibattimento, benché pacificamente resisi autori materiali - in seno a B. - di operazioni di finanziamento correlato, non siano mai stati nemmeno indagati; del tutto inattendibili dovrebbero infine ritenersi i testi Ma.Bo. e An.Pa. - ai vertici rispettivamente l'uno della struttura dell'interna/audit e l'altra dell'ufficio legale della banca - essendo emerso dalla svolta istruttoria che gli stessi rimasero inerti ancorché ben edotti circa l'effettuazione in concreto delle operazioni correlate (cfr. pagg. 21-44 atto di appello); - la sentenza di primo grado avrebbe ricostruito in modo del tutto errato - alle sue pagg. 678-679 - le competenze e le funzioni della Divisione Crediti nel periodo 2012-2015, obliterando la delibera del CdA 7.2.2012 che le aveva ridisegnate ponendo gli Uffici Crediti, articolati su base territoriale, alle dipendenze delle Direzioni Regionali, a loro volta gerarchicamente inquadrate nella Divisione Mercati diretta dal coimputato Em.Gi.; in altri termini la Divisione Crediti diretta dal MA. non aveva ricoperto, in quell'arco temporale, alcun ruolo nell'erogazione e nel perfezionamento dei finanziamenti, attività demandata alle strutture della rete coordinate dalla Divisione Mercati, e ciò anche con riguardo alla c.d. "campagna pre-deliberato"; d'altro canto nessuno specifico rilievo era stato sollevato dalla vigilanza nei confronti della Divisione Crediti all'esito delle ispezioni del 2012 e del 2015 (cfr., pagg. 44-61 nonché 78-84 dell'atto di appello); - il primo giudice avrebbe attribuito un ingiustificato rilievo ai pretesi elementi sintomatici del carattere correlato dell'operazione di finanziamento, rappresentati in particolare: a) dalla c.d. "causale generica sentinella"; b) dalla c.d. "sfasatura temporale": la prima risultava essere stata applicata in B. da ben prima dell'assunzione del Ma. e comunque riguardava meno del 60% del complesso delle operazioni finanziate aventi carattere correlato, così come individuate dagli stessi consulenti del P.M.; la seconda, a detta di numerosi fra i testi escussi e non soltanto del MA., veniva sì regolarmente sollecitata da quest'ultimo, ma a nessun altro fine se non quello di evitare sconfinamenti di c/c (cfr. pagg. 61-78 atto di appello); - il convincimento del MA. circa la piena liceità delle operazioni di finanziamento correlato poste in essere sarebbe stato ulteriormente rafforzato - oltre che dalla consapevolezza dell'essere stato richiesto dalla banca, come detto, un parere legale a un prestigioso studio professionale - dall'assenza di comunicazioni di segno diverso da parte dell'internal audit e dell'ufficio legale, rispettivamente diretti dai già citati Ma.Bo. e An.Pa., oltre che dal contegno tenuto dal CdA - a sua volta composto non già da persone digiune della materia bensì da imprenditori di primo piano, da docenti universitari e finanche da un ex Ragioniere Generale dello Stato - che, sottoscrivendo ogni delibera, mai aveva espresso rilievi di sorta (cfr. pagg. 84-98 atto di appello). - il primo giudice, nell'occuparsi dell'ispezione condotta da Banca d'Italia nel 2012, avrebbe fatto malgoverno delle prove preferendo alla versione dei fatti resa - in senso congruente con la tesi difensiva del MA. - dal teste Ci.Am., dipendente B. direttamente subordinato allo stesso MA. nell'ambito della Divisione Crediti, secondo cui il MA. e i suoi diretti subordinati avrebbero messo a disposizione degli ispettori tutti gli incartamenti (in formato tanto cartaceo quanto digitale) relativi a una complessiva quindicina circa di posizioni di soci che avevano fruito di finanziamenti correlati, l'opposta ricostruzione sostenuta in maniera compatta da tutti i testi appartenenti al team ispettivo della Banca d'Italia, evidentemente interessati - sostiene l'appellante - a fugare dalle loro persone ogni pur giustificato sospetto di negligenza e/o lassismo nella conduzione dell'ispezione stessa. In particolare, prosegue l'appellante, non vi sarebbe ragione alcuna di prediligere - tra le deposizioni, radicalmente divergenti fra loro, rispettivamente rese dal teste Ci.Am. e dal teste ispettore Ge.Sa. (testi entrambi valutati come "debolmente attendibili" dal tribunale, che ha però ritenuto il Sa. ampiamente riscontrato tanto dalle deposizioni dei suoi colleghi quanto da elementi documentali acquisiti agli atti) - proprio quella dell'ispettore Sa. (cfr. pagg. 98-126 atto di appello); - il tribunale, nel valutare erroneamente come non credibile e contraddittorio l'esame dibattimentale del MA., ne avrebbe equivocato e travisato in più punti il contenuto, valorizzando per converso in maniera particolare le deposizioni sfavorevoli rese da testi, come ad esempio ii teste Bosso, essi sì di assai dubbia credibilità in quanto autori di condotte che - secondo l'appellante - ne avrebbero semmai legittimato l'iscrizione nel registro degli indagati (cfr. pagg. 126-149 atto di appello); - quanto alle fattispecie di ostacolo alla vigilanza contestate al MA., quelle sub capo M1, concernenti l'effettuazione del Comprehensive Assessment e dell'AQR (4sset Quality Review), non terrebbero in adeguata considerazione il fatto che non si fosse trattato di una verifica ispettiva bensì di un esercizio di natura prudenziale basato sull'utilizzo di metodi di tipo statistico non contemplati dai criteri contabili; né, per altro verso, al MA. poteva contestarsi di aver taciuto l'esistenza delle lettere di impegno al riacquisto e degli storni, avendone egli appreso l'esistenza solo all'esito dell'ispezione condotta da Bc. nel 2015 (cfr. pagg. 149-154 atto dì appello); - alla stregua di tutte le considerazioni che precedono, insomma, la motivazione della gravata sentenza sarebbe viziata, circa il ravvisato apporto concorsuale dei MA. ex art. 110 c.p. alle condotte di cui ai capi d'imputazione, dal ricorso a una sorta di indebito automatismo presuntivo in base al quale dovrebbe ritenersi che tutti gli imputati indistintamente e quindi anche il MA. - a prescindere dal ruolo rivestito e dalle funzioni esercitate da ciascuno in concreto - fossero consapevoli del fatto che le c.d. operazioni "baciate" non venivano in concreto scomputate dal patrimonio di vigilanza nonché del loro carattere finalizzato, oltre che a svuotare ciclicamente il fondo acquisto azioni proprie, anche a fornire una distorta immagine di solidità del mercato azionario; viene ribadita al riguardo la differenza, rivendicata dall'appellante, tra il flusso informativo a disposizione della Divisione Crediti, diretta dal MA., e quello ben più intenso a disposizione della Divisione Mercati (cfr. pagg. 154-172 atto di appello); - in ogni caso difetterebbe il dato quantitativo esattamente riferibile a ciascun imputato con riguardo alla frazione ad esso specificamente ascrivibile del maggiore capitale finanziato complessivo, sicché risulterebbe impossibile valutare la reale offensività di ciascuna condotta e, segnatamente, della condotta del MA., ferma restando la non ascrivibilità al predetto di qualsivoglia condotta contestata come posta in essere nell'anno 2015 (cfr. pagg. 173-181 atto di appello). Il sopra illustrato complesso di argomentazioni difensive non ha pregio (tranne quanto già detto supra circa la non ascrivibilità al MA. delle condotte contestategli come poste in essere nell'anno 2015 nonché delle condotte oggetto dei capi I e L). Vero è che - come chiarito in prime cure, e ulteriormente nel presente grado di giudizio, dalla svolta istruttoria orale dibattimentale (già in primo grado vi aveva comunque provveduto analiticamente il teste Ci.Gi., il quale, titolare della carica di capo area Vicenza Città fino alla primavera 2012, successivamente e fino al 31 dicembre 2014 ricoprì la carica di Direttore regionale del Veneto Occidentale, che raggruppava "le tre aree di Vicenza, quindi tutta la città di Vicenza e la provincia, e l'area di Padova, che comprendeva le filiali nella città e nella provincia di Padova": cfr. pagg. 33 e ss. verbale stenotipico udienza 13.6.2019) - nel triennio 2012-2015 l'attività di erogazione dei finanziamenti si articolava su base territoriale per singole aree (coordinate, per gruppi formati ciascuno da più aree, dai direttori regionali, figure istituite nel 2012) le quali andavano a formare una rete che in tale periodo faceva capo non già alla Divisione Crediti, il cui responsabile era il MA., bensì alla Divisione Mercati, il cui responsabile era il coimputato Em.Gi.. E' pertanto corretto affermare su tali basi, così come fa il difensore appellante, che la Divisione Crediti diretta dal MA. non ebbe a ricoprire in quell'arco temporale (primavera 2012 - dicembre 2014) alcun ruolo nell'erogazione dei finanziamenti, attività demandate invece alle strutture della rete coordinate dalla Divisione Mercati. Nondimeno il MA., come da lui stesso riconosciuto in sede di esame dibattimentale, pur non concorrendo a nessun titolo nella materiale attività di erogazione di tali finanziamenti correlati (a parte l'impulso determinante da lui impresso nell'isolato caso Ci.-(...), v. subito infra), giungeva comunque regolarmente a conoscenza diretta della loro esistenza in quanto le pratiche di finanziamento venivano sottoposte alla sua Divisione Crediti per la verifica - di competenza di tale Divisione - circa l'adeguatezza delle relative proposte. Il MA. aveva indi l'incarico di presentare personalmente, relazionando al riguardo, le pratiche di finanziamento di maggiore ammontare (ripartite, a seconda del loro valore, tra il Comitato Centrale Fidi, il Comitato Esecutivo e il CdA) agli organi collegiali. Atteso quanto sopra, dunque, coerentemente il MA. nel corso del suo esame dibattimentale, benché non fosse all'epoca dei fatti (né sia mai stato) a capo della Divisione Mercati bensì della Divisione Crediti, ha chiaramente affermato di essere stato pienamente a conoscenza dell'esistenza del vasto fenomeno delle c.d. operazioni "baciate" stipulate nell'ambito di B., a una delle quali egli invero ebbe finanche - eccezionalmente - a prendere parte diretta in prima persona, proponendo insistentemente all'interlocutore Ci.Ez. di sottoscrivere azioni per 5 milioni di Euro in quanto buon conoscente del predetto imprenditore, vertice del gruppo (...) (si rinvia per i dettagli di tale specifica operazione di finanziamento correlato alle pagg. 687-688 della sentenza appellata, ove è altresì ampiamente riportato il contenuto delle s.i.t., rese al riguardo dal Ci. nel relativo verbale dd. 24.10.2016, acquisito al fascicolo del dibattimento ai sensi dell'art. 493 comma 3 c.p.p.). Sulla piena e diretta conoscenza in capo a sé, riconosciuta dal MA., del fenomeno - divenuto a suo stesso dire sempre più massiccio col passare degli anni - del ricorso in B. a operazioni correlate cfr. le pagg. 15-22 della prima parte del suo esame dibattimentale contenuta nel verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020.. Si noti, per inciso, la corrispondenza tra quanto illustrato dall'imputato MA. in sede di esame dibattimentale circa la tipologia e collocazione geografica dei soggetti finanziati (e, negli anni a venire, rifinanziati) nell'ambito delle operazioni correlate ("I primi impianti vengono fatti a agosto, fine agosto, settembre, ottobre 2011. Le successive pratiche, tutte in aumento su questi nominativi vengono fatte negli anni 2012 e poi principalmente a fine 2013-2014. Stiamo parlando sempre degli stessi nominativi, perché quello che girava nei Consiglio di Amministrazione di nuovi..., adesso dico magari una..., impianto, impianto creditizio, cioè voglio dire nuovo impianto creditizio, nuovo affidamento, sono stati fatti tutti all'inizio, nel 2011. Successivamente erano tutti aumenti rispetto a quanto era già in essere. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - O rinnovi, anche? IMPUTATO MA. - Come? PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - O anche rinnovi e basta? IMPUTATO MA. - Aumenti, rinnovi o revisioni, perché ogni anno c'erano le revisioni") e quanto lamentato al riguardo, nel corso del Comitato di Direzione del 10.11.2014, dal D.G. di B., Sa.So. (proprio perché tale staticità, basata sui rinnovi e sulle revisioni di vecchi finanziamenti correlati già erogati anni prima sempre agli stessi soggetti, per lo più radicati sul territorio veneto, rendeva sempre più rischioso mantenerli in essere; ed invero appena un paio di settimane prima rispetto a quel Comitato di Direzione, precisamente in data 27 ottobre 2014, era stato pubblicato l'articolo de "Il." a firma Cl.Ga., in atti sub doc, 207 del P.M., basato in parte non minimale sulle rivelazioni dell'imprenditore scledense Pa.Tr.). Nell'occasione del Comitato di Direzione 10.11.2014 il So. aveva infatti caldeggiato, di fronte al ristretto consesso dì vertici dirigenziali della B. formato per la quasi totalità dai suoi vice direttori generali, incluso il MA., un rinnovo del "parco" dei soggetti da rendere destinatari di operazioni di finanziamento correlato, possibilmente uscendo dalla regione Veneto per meglio assicurare la discrezione assoluta sulle anzidette operazioni (cfr. pagg. 35-36 della relativa trascrizione in atti sub doc. 110 del P.M.): "Sa. - E dopo dobbiamo sempre ricorrere al solito Ja. (trattasi del già citato teste Ci.Gi., all'epoca Direttore regionale del Veneto Occidentale che - come spiegato in udienza dal teste stesso - raggruppava "le tre aree ai Vicenza, quindi tutta la città di Vicenza e la provincia, e l'area di Padova, che comprendeva fe filiali nella città e nella provincia di Padova"), sempre ricorrere alla solita Vicenza, no? E, invece, bisogna che 1sta roba qui venga fatta Milano-Roma, noi dobbiamo trovare Milano-Roma, perché poi se ne parla meno, Se qui facciamo sempre e solo in ultima, facciamo intervenire i soliti, figurati se questi non parlano! Cioè, non ... non ... bisogna pianificarla meglio questa attività qua, dobbiamo ... uhm ... dobbiamo essere più confidenti e avere addirittura ... Avevamo anche detto che riuscivamo a a ... a recuperare qualcosa in più per smaltire le le ... le richieste pendenti. Fino ... Quindi, fino ad oggi, quanto abbiamo?". Ciò posto, osserva questa Corte come non sia in realtà di per sé radicalmente implausibile l'assunto del MA. secondo cui egli si sarebbe convinto - sul ritenuto presupposto della non applicabilità dell'art. 2358 c.c. alle banche cooperative - della liceità delle anzidette operazioni di finanziamento correlato, e ciò anche grazie alle rassicurazioni ricevute in tal senso tanto dai suoi colleghi con maggiore anzianità di servizio, come Se. e GI., quanto da un autorevole parere legale richiesto e ottenuto, a suo dire, dalla banca (parere legale al quale il suo difensore ha fatto ripetutamente riferimento, tanto nell'atto di appello - cfr, sua pag. 38 - quanto - cfr, pagg. 65-66 verbale stenotipico 30.9.2022 - in sede di discussione finale). Quanto meno non è sicuramente implausibile ritenere che, nel dubbio pur persistente al riguardo, in B. si fosse scelto, per evidente convenienza, di abbracciare la tesi dell'inapplicabilità della citata norma alle società cooperative. Effettivamente a quell'epoca si trattava di questione dibattuta in dottrina e in giurisprudenza, ed anzi va detto che ancora nel 2015 la stessa Corte di cassazione ebbe ad esprimersi - richiamando suoi precedenti arresti - proprio nel senso della non applicabilità dell'art. 2358 ex. alle banche cooperative: cfr. Cass. Civ. Sez. 1, n. 9404 del 09/04/2015, Curatela Fallimento La. Sas contro Cr.Si. SpA (società, quest'ultima, che aveva incorporato la Banca (...)), non massimata, la quale - in motivazione - così argomenta: "L'art. 2358 c.c. che nel testo invocato dalla ricorrente vietava alle società per azioni di accettare in garanzia azioni proprie, non era in realtà applicabile atte società cooperative, per le quali già all'epoca l'art. 2522 c.c. (poi riprodotto nell'attuale art, 2529 c.c.) prevedeva che l'atto costitutivo potesse autorizzare gli amministratori ad acquistare o a rimborsare quote o azioni della società, Né alle banche popolari era applicabile l'art. 34 dei D.Lgs. n. 385 del 1993, che analogo divieto prevedeva (prima della sua abrogazione a opera dell'art. 5 D.Lgs. n. 542 del 1999), per le banche di credito cooperativo, perché il divieto non era invece imposto dall'art. 30 dello stesso D.Lgs. n. 385 del 1993, specificamente destinato alla disciplina appunto delle banche popolari. Nella giurisprudenza di questa corte, dei resto, si è già riconosciuto che fa natura cooperativa delle banche popolari ne giustificava una disciplina peculiare, diversificata rispetto a quella delle società per azioni; e in particolare che "è valida la clausola dello statuto di una banca popolare, con cui si prevede che le azioni della società sono vincolate a garanzia di qualsiasi obbligazione contratta dal socio con la società stessa, con conseguente facoltà, per gli amministratori della banca, in ipotesi di inadempimento del debitore, di procedere al rimborso ed all'annullamento di dette azioni, secondo le modalità previste in caso di recesso del socio, utilizzandone l'importo per estinguere il debito" (Cass. sez. I, 29 ottobre 1996, n. 9445, in Giust. Civ. 1997, p. 681)". Nondimeno, al di là del fatto che lo stesso istituto di credito, in occasione dei miniaucap 2013 e 2014, ebbe a ritenere applicabile tale norma, in ogni caso le operazioni di finanziamento correlato in oggetto, quand'anche si fossero potute considerare effettivamente lecite (stante la conformazione societaria di B.) in ossequio all'orientamento poco sopra illustrato, non per questo si sarebbero potute ritenere esenti dall'obbligo di scomputo dal patrimonio di vigilanza, trattandosi di due piani totalmente distinti fra loro e non sovrapponibili. Di ciò in verità il MA. ha riconosciuto di essere sempre stato pienamente consapevole allorquando ha dichiarato quanto segue: - interrogatorio reso dinanzi ai Pubblici Ministeri il 28.4.2017 alla presenza del suo difensore fiduciario (il cui verbale, al pari di quello del successivo interrogatorio svoltosi il 2.5.2017 con le medesime modalità, è stato acquisito al fascicolo del dibattimento in quanto prodotto dall'Accusa all'udienza del 18.6.2020 ai sensi dell'art. 503 c.p.p. giacché utilizzato per le contestazioni all'imputato in sede di esame nelle due udienze precedenti): "Confermo che ero consapevole che anche i finanziamenti correlati all'acquisto/sottoscrizione di azioni B. impattavano sul TIER 1 e che, pertanto, la loro esistenza doveva essere oggetto di segnalazione alla Banca d'Italia" (cfr. pag. 5 verbale di interrogatorio cit.); - esame dibattimentale (cfr. pag. 30 del verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020): "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Lei conosceva quello che era l'impatto, invece, di questo tipo di operazioni sul Tier 1? IMPUTATO MA. - No. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - No. Al tempo disse: "Confermo che ero consapevole che anche i finanziamenti correlati all'acquisto o sottoscrizione di azioni impattavano sul Tier 1" IMPUTATO MA. - Sì, dell'impatto sì. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Questo le ho chiesto, "e che pertanto la loro esistenza doveva essere oggetto di segnalazione alla Banca d'Italia IMPUTATO MA. - No, lei mi ha chiesto se sapevo il peso sul Tier 1. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Forse mi sono spiegato male io. IMPUTATO MA. - Lei mi ha chiesto se sapevo il peso... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Cioè l'impatto. IMPUTATO MA. - Cioè l'impatto, pensavo... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Ho usato il termine dell'interrogatorio. PRESIDENTE - L'impatto nel senso di deducibilità del capitale finanziato dal Tier 1, non la quantificazione. IMPUTATO MA. - Sì, no, no, avevo capito l'impatto in percentuale. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - No, ma anche adesso, con riferimento allo svuotamento del fondo, lei ha utilizzato il termine, mi pare, "impattare", quindi pensavo che quello fosse... E lei disse al tempo: "All'epoca ero convinto che questo avvenisse effettivamente nelle segnalazioni periodiche", per correttezza le leggo anche questa cosa. IMPUTATO MA. - Sì."; - controesame dibattimentale condotto dal difensore di Banca d'Italia, avv. Ce. (cfr, pag. 67 verbale stenotipia) d'udienza 16 giugno 2020): "PARTE civile, AVV. Ce. - Va bene, chiudiamo qui, Lei dice, e devo dire, insomma, onore al merito, perché dice che conosceva l'obbligo di dedurre, la necessità di dedurre dal patrimonio le azioni finanziate. IMPUTATO MA. - Sì, io confermo. PARTE CIVILE, Avv. Ce. - Che sembra che non lo sapesse nessuno in questa banca". Il punto nodale da affrontare, pertanto, rimane unicamente quello della consapevolezza o meno, in capo al MA., del fatto che in realtà lo scomputo di tale capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza di B. non aveva luogo. Egli in sede di esame dibattimentale ha recisamente negato tale consapevolezza, affermando di essere sempre stato convinto che lo scomputo venisse regolarmente posto in essere e di non avere peraltro mai affrontato l'argomento con i colleghi della Divisione Bilancio: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Quindi conferma questo? IMPUTATO MA. - Sì, io confermo, ero convinto che venisse scomputato, l'ho detto allora e lo dico adesso. Io però di questo non ne ho mai parlato con il Bilancio, eh, a chiedere se lo facevano. In quanto c'era una riserva indisponibile, da mie letture sull'argomento, voglio dire, del 2358 e quant'altro, c'era una riserva indisponibile statutaria di bilancio di 3,7 miliardi di Euro, ampiamente disponibile per te operazioni che vedevamo noi in sede centrale. Io ho visto girare, mi son fatto i miei calcoli ultimamente, un circa 400 milioni di operazioni, media, non superavano mai questo importo di delibere negli Organi collegiali (cfr, pag. 30 verbale stenotipico d'udienza 11 giugno 2020); "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - e l'evidenza nell'ambito dei dati di bilancio di queste operazioni lei ha avuto modo di apprenderla quale era? IMPUTATO MA. - No, guardi, io col bilancio non... PRESIDENTE - Chiedo scusa, dottor Ripeschi, quando dice "queste operazioni" fa riferimento agli storni o alle operazioni di capitale... pubblico MINISTERO, DOTT. Pi. - Scusi, alle operazioni di finanziamento correlato. PRESIDENTE - Non avevo capito io la domanda. IMPUTATO MA. - Sì, ma non ho capito la domanda io, Presidente. PRESIDENTE - Presumo, interpreto il Pubblico Ministero: la evidenza dai dati di bilancio nel senso della deducibilità, deduzione dal patrimonio di vigilanza, è quello che intende dire? PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Certo, sì, si PRESIDENTE - Questo. IMPUTATO MA. - No, ho detto anche prima, io non avevo evidenze. L'unica cosa che vedevo nel bilancio, nelle tabelle integrative, le riserve statutarie e le riserve straordin... sovrapprezzo che coprivano quei finanziamenti, secondo me; e poi c'era (a tabella degli annullamenti delle compensazioni delle azioni. PRESIDENTE - Ex articolo 20? Operazioni ex articolo 20? IMPUTATO MA. - Ex articolo 16 e 20, che corrispondevano esattamente a quelle che portavamo in Consiglio di Amministrazione per annullare azioni e utilizzi, o per posizioni NPL oppure anche per operazioni ordinarie, perché ne sono state annullate anche di operazioni ordinarie. Quella tabella c'era, faceva un riassunto degli annullamenti (cfr. pagg. 46-47 verbale stenotipia) d'udienza 11 giugno 2020); la recisa negazione della circostanza è stata poi ribadita dal MA. durante il controesame condotto sempre in primo grado dal difensore di Banca d'Italia, avv. Ce. (cfr. pagg. 67-69 verbale stenotipico d'udienza 16 giugno 2020); detta negazione è infine stata ancora reiterata, nel presente grado di giudizio, in sede di spontanee dichiarazioni rese all'udienza del 24.6.2022 (le quali, articolate dal MA. in pochi brevi punti, non hanno aggiunto alcuna novità sostanziale - neppure sugli altri aspetti del thema decidendum - rispetto al contenuto dell'esame reso dall'imputato in primo grado). Viceversa - come contestatogli dal P.M. in udienza (cfr, pag. 47 verbale stenotipico 11.6.2020 nonché, più diffusamente, pag. 77 verbale stenotipico 16.6.2020) - il MA. aveva reso, al riguardo, dichiarazioni di ben altro tenore nell'interrogatorio del 2.5.2017 dinanzi ai Pubblici Ministeri, effettuato alla presenza del proprio difensore fiduciario (cfr. pag. 2 del relativo verbale): "Confermo che nei bilanci di competenza non vi era evidenza alcuna relativa alle operazioni baciate. Di questo non ho parlato con altri colleghi, nonostante che per i Mini Aucap 2013 e 2014 nei relativi bilanci d'esercizio emergessero i finanziamenti concessi ai clienti per la sottoscrizione di azioni B.. Preciso che non rientrava nelle mie competenze di responsabile della Divisione Crediti la redazione del bilancio d'esercizio, alla cui predisposizione non contribuivo in alcun modo. Avevo modo di prendere cognizione dei bilanci durante le annuali assemblee dei soci B., cui partecipavo in qualità di socio, Inoltre, sempre in tale veste, prendevo visione della Relazione finanziaria semestrale pubblicata dalla Banca stessa". In sede di esame dibattimentale il MA., a fronte della puntuale contestazione dell'Accusa, ha sostenuto, in evidente e totale contrasto con quanto dichiarato tre anni prima nell'interrogatorio 2.5.2017, di avere sì esaminato i bilanci, rendendosi in tale occasione conto del mancato i scomputo, ma di averlo fatto soltanto ex post, dopo la sua uscita da B.. Si veda al riguardo il seguente passo dell'esame dibattimentale (pag, 77 verbale stenotipico 16.6.2020): "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - In ordine al confronto con, diciamo così, il Bilancio, quindi la Divisione Bilancio, io non ho capito, lei aveva al tempo verificato se queste operazioni che lei riteneva caratterizzate da questa correlazione erano evidenziate, nel senso se se ne era tenuto conto in bilancio, sì o no? Al tempo, non dopo. IMPUTATO MA. - No, no, non ho verificato. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Ma allora quando nel verbale del 2 maggio 17 dice; "Confermo che nei bilanci di competenza non vi era evidenza alcuna relativa alle operazioni baciate. Di questo non ho parlato con altri colleghi, nonostante che per i mini aucap 13 e 14 nei relativi bilanci di esercizio emergessero i finanziamenti concessi ai clienti per la sottoscrizione di azioni Bp.". Cioè, pare di capire che è una cosa che fece già al tempo questa di dare un'occhiata ai fatto che nel bilancio... Questo è il suo verbale. IMPUTATO MA. " Sì, sì, ma io lì parlo dei bilanci, che me li sono guardati tutti dopo. Durante il periodo runica cosa che io ho colto era quella famosa delibera dei 100 milioni che hanno spostato come riserva indisponibile. Sul resto, per me erano all'interno della riserva sovrapprezzo azioni, Poi ho verificato dopo, quando sono uscito dalla banca. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Guardi, vado avanti perché io complessivamente da quello che era scritto avevo capito un'altra cosa: "Preciso che non rientrava nelle mie competenze di responsabile della Divisione Crediti la redazione del bilancio di esercizio, alla cui predisposizione non contribuivo in alcun modo. Avevo modo di prendere cognizione dei bilanci durante le annuali Assemblee dei soci B., cui partecipavo in qualità di socio. Inoltre, sempre in tale veste prendevo visione della relazione finanziaria semestrale pubblicata dalla banca stessa" Cioè quello che le ho letto adesso, con quello che le ho letto prima, mi avevano fatto capire invece che questa cosa l'avesse verificata. Lei dice che non è così? IMPUTATO MA. - No, io non l'ho verificata. Ero convintissimo che in quella riserva ci fosse lo spazio, come le ho detto e dico da due giorni. Mi ha colpito il mini aucap, PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Avevo capito bene che c'era una differenza tra quello che ha detto e quello che io avevo inteso di qua e le ho letto, com'è mio diritto, la parte. Tutto qua. Ho finito, grazie". Ebbene, ritiene questa Corte che le dichiarazioni contra se - che a questo punto assumono rilievo dirimente in ordine all'elemento soggettivo del reato - contenute al riguardo nell'interrogatorio reso dal MA. ai Pubblici Ministeri il 2.5.2017 (alla presenza altresì del suo difensore fiduciario) abbiano valore di vera e propria prova nei suoi confronti, non limitandosi esse a incidere sulla mera valutazione di credibilità del suo esame dibattimentale, poiché trattasi di dichiarazioni rese dal MA. nell'immediatezza dell'inizio delle indagini preliminari avviate nei suoi confronti (e dunque decisamente più attendibili stante la stretta contingenza temporale: l'avviso di garanzia per i fatti da lui commessi in tesi accusatoria fino all'anno 2014 era stato notificato al MA. in data 24.4.2017) nonché in presenza di tutti i presupposti di cui ai commi 5 e 6 dell'art. 503 c.p.p.. Non vi è infatti ragione di discostarsi dal costante e consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui le precedenti dichiarazioni difformi rese dall'imputato nella fase predibattimentale, lette per le contestazioni nel corso del suo esame e conseguentemente acquisite al fascicolo per il dibattimento, possono essere utilizzate come prova contro lo stesso se sono state assunte con le modalità indicate all'art. 503, commi quinto e sesto, c.p.p.; se rivolte invece contro i coimputati possono essere utilizzate solo per stabilire la credibilità del dichiarante medesimo. In questo senso, fra le altre, vanno richiamate Cass. Pen. Sez. 3, n. 50435 del 12/05/2015, imp. S., nonché Cass. Pen. Sez. 2, n. 19618 del 12/02/2014, imp. D.G.. Tale ultimo arresto - nel ritenere utilizzabili come prova le dichiarazioni confessorie rese dall'imputato in sede di interrogatorio innanzi al G.I.P. e impiegate per contestare la ritrattazione dello stesso compiuta nel corso dell'esame dibattimentale - ha precisato in motivazione, con convincente e condivisibile ragionamento richiamante anche vari precedenti conformi, che i primi tre commi dell'art. 503 c.p.p., dettano regole di carattere generale e disciplinano, soprattutto, l'esame delle parti private diverse dall'imputato, come è confermato dalla specifica regolamentazione - per l'imputato - contenuta nel predetto art. 503 c.p.p., commi 5 e 6; ed è proprio per questo motivo che il comma 4 richiama la regola contenuta nell'art. 500 c.p.p., comma 2, secondo la quale le dichiarazioni lette per la contestazione possono essere valutate ai fini della credibilità del teste (e quindi non si parla di imputato). Viceversa i commi 5 e 6 dell'art. 503 c.p.p. dettano una regola completamente diversa per le dichiarazioni rese dall'imputato: "le dichiarazioni alle quali il difensore aveva diritto di assistere assunte dar Pubblico Ministero o dalla Polizia Giudiziaria su delega del Pubblico Ministero sono acquisite nel fascicolo per il dibattimento, se sono state utilizzate per le contestazioni previste dal comma 3. La disposizione prevista dal comma 5 si applica anche per le dichiarazioni rese a norma dell'art. 294, art. 299, comma 3 ter; artt. 391 e 422". E' chiaro, quindi, che il legislatore "ha trattato in modo diverso le dichiarazioni delle parti private (simili ai testi, come, ad esempio, la P.C) regolamentate nell'art. 503 c.p.p. da quelle rese dall'imputato regolamentate sempre nello stesso art. 503. Per le prime si applicano tutte le regole del precedente art. 500 c.p.p. così come confermato anche dal richiamo del predetto articolo effettuato nell'art. 503, comma 4, per le seconde una regola del tutto diversa che si ricava chiaramente dall'art. 503 c.p.p., commi 5 e 6. In proposito è costante l'orientamento giurisprudenziale di questa Corte secondo il quale le dichiarazioni acquisite al fascicolo per il dibattimento ai sensi dell'art. 503, commi 5 e 6, assumono piena efficacia probatoria e sono perciò utilizzabili ai fini della decisione ai sensi dell'art. 526 c.p.p. (si vedano Sez. 6, Sentenza n. 1167 dei 21/10/1998 Ud. - dep. 28/01/1999 - Rv. 213329; Sez. 1, Sentenza n. 42449 del 21/10/2009 Ud. - dep. 05/11/2009 - Rv. 245520), Conferma quanto sopra anche il fatto che la L. 1 marzo 2001, attua ti va dei principi del "giusto processo", mentre ha radicalmente mutato il regime di utilizzabilità delle dichiarazioni lette per le contestazioni al testimone, ripristinando l'originale regola di esclusione probatoria (salvo per i casi di cui al comma 4, eccezione, d'altronde, prevista nello stesso art. III Cost.), ha lasciato inalterata la disciplina prevista dall'art. 503 c.p.p. commi 5 e 6" (così, in motivazione, Cass. Pen. Sez. 2, n. 19618 del 12/02/2014, imp. D.G., cit.). Ovviamente una lettura di detta disciplina compatibile con il principio del contraddittorio e ragioni di coerenza sistematica inducono a ritenere che gli effetti della contestazione siano distinti a seconda che essa riguardi il dichiarante (come in ispecie) ovvero altri coimputati: il "precedente difforme", nel primo caso, può essere utilizzato contro il dichiarante se le dichiarazioni contestate sono state assunte - come in ispecie sono state assunte - con le modalità indicate nei commi 5 e 6 dell'art. 503 c.p.p.; è solo nel secondo caso/ che, in applicazione dell'art. 500 c.p.p., comma 2 (richiamato dall'art. 503 c.p.p., comma 4), la dichiarazione dell'imputato esaminato può essere valutata unicamente per stabilire la credibilità dello stesso, salvo che ricorrano i presupposti dell'art. 500 c.p.p., comma 4. Ed invero, nel primo caso - precedente difforme utilizzato contro il dichiarante dopo le contestazioni di cui sopra -, che ricorre appunto in ispecie, siamo in presenza di dichiarazioni rese dall'indagato contra se, con l'assistenza del difensore e nel contraddittorio con il P.M.; dichiarazioni, poi, ritrattate in dibattimento e, quindi, sottoposte alle contestazioni del P.M. in base al precedente difforme. E' chiaro, dunque, che, in tal caso, non si viola alcuno dei principi di cui all'art. III Cost., Sul punto - come ricordato sempre dalla citata Cass. Pen. Sez. 2, n. 19618 del 12/02/2014, imp. D.G. - si è in tal senso pronunciata anche la Corte Costituzionale (C. Cost. 1 luglio 2009, n. 197). D'altra parte - fermo restando il carattere probatorio già di per sé dirimente circa l'elemento soggettivo, in ordine alla specifica posizione dell'imputato MA., delle dichiarazioni da questi rese il 2.5.2017 nel corso dell'interrogatorio reso dinanzi ai Pubblici Ministeri alla presenza del suo difensore fiduciario - questa Corte osserva che, più in generale, nessun senso avrebbero logicamente avuto, nel caso di effettivo convincimento dei vertici di B. (incluso il MA.) circa l'effettuato scomputo delle operazioni correlate dal patrimonio di vigilanza, tanto la "consegna del silenzio" vigente all'interno della banca (un esempio fra i molti è lo scambio di battute -"neanche il tuo cane io deve sapere" - tra Sa.So. e Um.Se. nel corso del comitato di direzione 10.11,2014: cfr. pagg. 30-31 del doc, 110 del P.M.), quanto la costante preoccupazione dello stesso imputato MA. di evitare di correre il benché minimo rischio di allertare gli organismi di vigilanza in ordine all'effettuazione di siffatte operazioni. A titolo esemplificativo, sotto l'ultimo dei due profili ora menzionati, si possono citare le seguenti emergenze processuali a carico del MA.: - deposizione del teste Co.Tu. (subalterno di Em.Gi. alla Divisione Mercati), pag. 70 del verbale stenotipico d'udienza 3.7.2019: "PUBBLICO MINISTERO DOTT. Sa. - Si ricorda, a dire di Mario, il perché di questi consigli? TESTIMONE TU. - Sempre, appunto, perché essendo un po' operazioni cosiddette, chiamiamole, "borderline", non ci fosse proprio la coincidenza dei tre eventi, cioè delibera, sottoscrizione e addebito, nella stessa data, Quindi che Consob e Banca d'Italia potevano in qualche modo dire qualcosa"; - intervento del MA. (corrispondente a "VM9", come egli stesso in sede di esame ha riconosciuto, cfr. pag. 58 verbale stenotipico 11 giugno 2020: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Pagina 42, invece, dice, 42 e a seguire, voce maschile 9, si, sa chi è? - IMPUTATO MA. - Sono io") nel f Comitato di Direzione del 10.11.2014, pagg. 42-44 della relativa trascrizione in atti sub doc. 110 del P.M., ove il MA. disserta con Pi.An. (VM10) in ordine a un'operazione correlata (cfr. sul punto anche pagg. 7-8 del verbale di interrogatorio MA. del 28.2.2017), prospettata dal PI. come possibile, da condursi con un soggetto avente sede in Roma (trattasi, come si vedrà infrat di quella che poi fu l'operazione "So.") e finalizzata a cercare di consentire l'uscita dai fondi esteri di 27 sui 42 milioni di Euro in azioni B. in essi ancora giacenti; ivi il MA. insiste in maniera particolare sulla necessità di non far coincidere l'entità del finanziamento con il valore delle azioni acquistate e di destinare una parte di esso all'acquisto di altri prodotti diversi dalle azioni in modo da non suscitare l'attenzione degli organismi di vigilanza: "VM 9 (Voce lontana) Bon bon non ... più che altro poi... No, cioè, nel senso che ... cioè, che non ci sia il collegamento tra 27 e 15, cioè V M 10 No, no, no, V M 9 (voce lontana) (inc.) piuttosto facciamo 3 milioni in più di finanziamento. V M 10 Ah, sì, sì, sì, V M 9 Capito? Ecco, e, quindi, gli facciamo comprare qualcos'altro E' questo un po'... V M 10 Sì, sì, sì, V M 9 Di non fare importi baciati, questo volevo dire, ecco, tutto qua. Sa. Va bene V M 10 Si può fare una roba ... V M 9 (voce lontana) Cioè, voglio dire, ne fai 25, dopo gli do un fido di 29, con gli altri 4 compra qualcos'altro (voci sovrapposte) (inc.) Sa. Oppure anche se lo portiamo ... V M 9 (voce lontana) E, dopo, gli altri 2, gliene piazziamo un altro, con un finanziamento di 4 (inc.) azioni, ma ... hai capito? Cioè, riesci a fare un misto (voci sovrapposte) (inc.)" - esame dibattimentale dello stesso MA. (cfr. pagg. 60-61 del verbale stenotipico d'udienza 11,6.2020), ove l'imputato, nel commentare proprio quello specifico passo della trascrizione del Comitato di Direzione del 10.11.2014, non si fa remore (come, del resto, già in precedenza nel corso del suo interrogatorio del 2.5.2017, ancor più esplicito sul punto: cfr. pag. 4 del relativo verbale) nel dichiarare che era per lui un'esigenza imprescindibile quella di evitare l'uso di ogni formula atta ad allertare, potenzialmente, gli organismi di vigilanza circa il carattere correlato della ivi ventilata operazione. Considerate, inoltre, le ulteriori discrasie - illustrate nelle pagg. 693 e ss. della gravata sentenza - tra i due interrogatori resi dal MA. il 28.4.2017 e il 2.5.2017 da un lato e il suo esame dibattimentale dall'altro lato, possono ritenersi provate a carico del MA., alla stregua delle considerazioni sopra svolte, quanto meno le seguenti altre rilevanti circostanze, dapprima ammesse nell'immediatezza dell'avvio delle indagini e indi ritrattate - o comunque significativamente ridimensionate - in dibattimento dall'imputato: - rilevanza dell'utilizzo della c,d. "causale generica sentinella": "In questa fase, ulteriore elemento che mi ha permesso di capire la natura correlata (all'acquisto di azioni B.) delle operazioni di finanziamento, è stata la formula che per prassi veniva inserita nella P.E.F., vale a dire espressioni del tipo "acquisto valori mobiliari o immobiliare" oppure "cogliere opportunità nel mercato mobiliare o immobiliare" (cfr. pag. 3 verbale di interrogatorio 28.4.2017), fermo restando che comunque una percentuale tutt'altro che irrilevante dei finanziamenti correlati (pari a poco meno del 40%), in base alla stessa relazione depositata dai consulenti del P.M., non era invece connotata dall'utilizzo di tale causale; - consapevolezza "in tempo reale" dell'esistenza del fenomeno degli storni (fenomeno che, viceversa, in sede di esame dibattimentale - cfr. pagg. 45-46 verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020 - il MA. ha sostenuto essergli divenuto noto solo nel 2015 quando ormai era divenuto direttore generale della siciliana Ba.Nu.): "Comunque, per i finanziamenti baciati, le condizioni economiche erano di mercato; in genere, lo spread era previsto nella misura del 1-1,5%, da aggiungersi al tasso EURIBOR trimestrale o semestrale del periodo (si trattava sempre di finanziamenti a tasso variabile). Ciò nonostante, la redditività di alcuni di questi rapporti era negativa in conseguenza degli "storni" di competenza e/o di valuta riconosciuti Nel corso delle sedute del CdA è capitato più volte che, in sede di esame della proposta di rinnovo di un finanziamento baciato, all'esito della mia esposizione della relativa proposta, qualche consigliere abbia chiesto spiegazione delle motivazioni di tale redditività negativa. A queste domande, rispondeva sempre il D.G. So. giustificando la redditività negativa con motivi tecnici e, comunque, rassicurava il Consiglio dicendo che avrebbe dato indicazione alla Divisione Mercati di rivedere le condizioni del finanziamento in esame" (cfr. pag. 2 verbale di interrogatorio 2.5.2017); - carattere effettivamente correlato - peraltro agevolmente evincibile già dalle pagg. 41-44 della trascrizione del file audio del Comitato di Direzione 10.11.2014, doc 110 del P.M. nonché, più ancora, dalla deposizione del teste Va.Ma. e dall'intercettazione n. progr. 478 dell'8.9.2015, sulla quale v. subito infra - della c,d. operazione "So." (cfr. pagg. 7-8 verbale di interrogatorio 28.4.2017), viceversa negato dal MA. in sede di esame dibattimentale (cfr. pagg. 54 e ss. del verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020). In relazione all'operazione "So." la difesa, alle pagg. 25-26 della memoria depositata all'udienza del 30.9.2022 a conclusione della propria arringa (nonché nel corso di quest'ultima: cfr. pagg. 71-72 verbale stenotipico 30.9.2022), ha inteso sostenere, allegando a tale atto una P.E.F. redatta in tal senso il 27.11.2014 con delibera favorevole del CdA datata 2.12.2014, che si trattò non già di una operazione di finanziamento correlato (c.d. "baciata") bensì di un'operazione di tutt'altra natura, immobiliare, citando peraltro all'uopo solo un breve stralcio iniziale dell'esame del teste Va.Ma. (A.D. del Gruppo So.) estrapolato dal contesto ben più ampio della sua complessiva deposizione resa all'udienza del 12.12,2019. Dal prosieguo della deposizione Ma., viceversa, emerge chiaramente: - che lo stesso Ma. aveva effettivamente intavolato, con B., iniziali trattative unicamente finalizzate a che detto istituto di credito entrasse, con una trentina di milioni di Euro, a far parte di un sindacato di banche chiamato ad erogare a So. un normale e regolare mutuo immobiliare destinato a finanziare l'acquisto di "un immobile in America, in Throne Building, che è un immobile fatto proprio a trono, dove c'è il Civic Opera House di Chicago, ed era un immobile che costava sui 120 milioni di dollari, e stavamo cercando delle banche per un mutuo" (cfr, pag. 10 esame testimoniale cit., prima parte; le modalità di quello che sarebbe dovuto essere il mutuo immobiliare erogato da B., in realtà mai perfezionatosi a livello di stipula contrattuale fra le due parti, sono poi spiegate dal teste Ma. alle pagg, 11-12 ibidem); - che tuttavia, mentre la prospettata operazione di mutuo immobiliare non venne alla fine mai perfezionata inter partes, accadde che Pi.An. (Direttore della Divisione Finanze di B.) chiese al Ma., verso la metà del mese di dicembre 2014, di comprare a sconto 25 milioni di azioni B. per aiutare la banca a collocarle (cfr, seconda parte pag. 10 esame testimoniale Cit.: "TESTIMONE Ma. - E poi avvenne che, poco prima di Natale, mi pare il 14, guardi, adesso non ricordo, o del 15, il dottor Pi. mi disse: siccome dobbiamo collocare un po' delle nostre azioni, se vi diamo un finanziamento di 25 milioni, comprereste delle nostre azioni? E io dissi: vabbè, tanto era un'operazione... Veramente prima sembrava dovesse essere un'operazione pronti contro termine, cioè 25 milioni di affidamento che dovevano servire per comprare l'immobile ci venivano dati, però, intanto, dovevamo fare un'operazione pronti contro termine acquistando titoli di Stato come sottostanti; in realtà, poi mi disse: invece di titoli di Stato, perché non prendete le nostre azioni? Rimasi un po'devo dire, perplesso, però poi lo abbiamo fatto (...). Ci tengo a dire, però, che questo finanziamento non ci fu dato, e noi lo abbiamo gestito, cioè non è che ci hanno dato 25 milioni e noi abbiamo visto un dollaro, un euro o una sterlina: entrarono e uscirono per comprare le azioni"); - che, come detto, nessuna operazione di mutuo immobiliare fu alla fine stipulata in concreto tra B. e il Gruppo So. benché le iniziali trattative avessero avuto quell'oggetto (cfr. pag. 12 esame testimoniale cit.: "TESTIMONE Ma. - Con il dottor Pi. si era avviato un rapporto, cercando di aumentare le operazioni da fare. E c'era questa operazione immobiliare che io ho evidenziato, e la Banca (...) mi chiese, dice: vorremmo entrare anche noi a far parte di questo pool di banche per finanziare l'operazione di Chicago, e io dissi va bene nell'ambito di questo... PRESIDENTE - Ma poi sono entrati in questo sindacato di banche? TESTIMONE Ma. - Beh, no, è successo che ci hanno chiesto questa operazione con le azioni, si è ritardato l'acquisto dell'immobile, e poi siamo rimasti con le azioni della banca che si sono deprezzate. PRESIDENTE "Cioè, quindi, questa operazione di finanziamento finalizzata all'acquisto di azioni? TESTIMONE Ma. - Si è deviata su quest'altra. PRESIDENTE - E non ha più avuto nessun nesso con l'operazione immobiliare? TESTIMONE Ma. - No, assolutamente no"); - che in concreto il suddetto finanziamento da 25 milioni dì Euro (con ogni evidenza, atteso quanto sopra, correlato all'acquisto di azioni B.: cfr, ad ulteriore riprova anche pag. 13 della deposizione Ma., laddove il teste riferisce di una promessa verbale di riacquisto delle azioni fattagli da An.Pi. e dal D.G. Sa.So. durante un incontro congiunto) venne erogato alla So. Group International Holding non già dalla capogruppo B. bensì dalla sua controllata irlandese Fi. (cfr. pagg. 10-11 esame testimoniale cit.). Fra l'altro è lo stesso imputato MA., nel corso del suo esame (cfr. pag. 61 verbale stenotipico 11.6.2020), a confermare che "L'operazione che è arrivata il 2 di dicembre, che è andata in delibera (...) l'hanno perfezionata mantenendo i depositi ma non facendo l'acquisto dell'immobile". Nel senso del carattere correlato dell'operazione "So.", già ben evidente da quanto fin qui detto, nonché nel senso della consapevolezza di ciò in capo al MA., milita del resto un ulteriore pregnante elemento probatorio. Trattasi della conversazione telefonica captata n. progr. 478 dell'8.9.2015 tra Fr.Io. (nuovo Direttore Generale di B., subentrato al posto di Sa.So., che nell'occasione - così dice Io. nelle prime battute della conversazione intercettata - doveva incontrarsi fra un'ora proprio con un legale del Gruppo So.) e Pa.Ma., pagg. 160-164 della perizia di trascrizione: (omissis) Per inciso un'altra affermazione resa dal MA. in sede di esame dibattimentale (cfr. pag. 63 verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020 nonché pag. 48 verbale stenotipico d'udienza 16.6.2020), secondo cui egli avrebbe appreso solo a marzo 2015 dagli organi di stampa del rilascio di lettere di impegno da parte di B., è smentita dal tenore dei seguenti passi del doc 110 del P.M., corrispondente alla trascrizione del file audio del Comitato di Direzione del 10.11.2014, al quale il MA. era presente: (omissis) Con ogni evidenza, invece, quand'anche il tenore del passo del Comitato di Direzione 10.11,2014 corrispondente alla pag. 40 della sua trascrizione (doc, 110 del P.M.) fosse - il che non è - di ambigua interpretazione, certo non può dirsi altrettanto del successivo passo di cui alla pag. 78, ove il parlante, che-anche in tal caso è Em.Gi., platealmente ed esplicitamente collega la necessità di emettere quella che egli chiama "side letter" al timore dell'acquirente di ritrovarsi titolare di azioni B. fortemente deprezzate rispetto al valore nominale da tempo fissato in Euro 62,50, come ormai andavano pubblicamente ventilando alcuni organi di stampa. Ciò posto, non è fondato neppure l'assunto difensivo - cfr, pagg. 174-178 atto di appello - secondo cui difetterebbe il dato quantitativo esattamente riferibile a ciascun imputato con riguardo alla frazione ad esso specificamente ascrivibile del maggiore capitale finanziato complessivo, sicché risulterebbe impossibile, a detta dell'appellante, valutare la reale offensività di ciascuna condotta e, segnatamente, della condotta del MA.. Al contrario, proprio muovendo da quanto dichiarato anche in sede di esame dibattimentale dallo stesso MA. - cfr. pagg, 35-36 del verbale stenotipico d'udienza 16.6.2020 - circa le sue competenze in tema di deliberazione individuale (fino all'ammontare di Euro 6 milioni) nonché in tema di presentazione delle pratiche di finanziamento ai vari organi collegiali (per le pratiche di valore superiore), risulta puntuale e ineccepibile la ricostruzione, operata dal tribunale di Vicenza alla pag. 700 dell'appellata sentenza, righi 24-38, del volume di finanziamenti correlati - obiettivamente ingente: si tratta di complessivi 800 milioni circa di euro - alla cui realizzazione il MA. ha direttamente prestato, rivestendo di volta in volta l'uno o l'altro dei suddetti ruoli, il suo personale apporto concorsuale. Ne consegue l'infondatezza, altresì, dello strettamente correlato ulteriore assunto difensivo (svolto alle pagg. 177-178 dell'atto di appello) secondo cui il giudicante si troverebbe per ciò stesso nell'impossibilità di "valutare se, sottratto al valore di mercato il capitale asseritamele finanziato per la parte direttamente riferibile a Ma./ il valore (delle azioni B.) sarebbe stato diverso od uguale, con riferimento ai ratios obbligatori" e dunque se la condotta dell'imputato - come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità in tema di aggiotaggio: l'appellante cita in particolare Cass. Pen. Sez. 5, n. 4324 del 08/11/2012 dep. 29/01/2013, Dall'Aglio e altro, nonché Cass. Pen. Sez. 5, n. 45829 del 16/07/2018, imp. F. - possa davvero definirsi "concretamente idonea ad influire sulla formazione della volontà negoziale dell'investitore e meglio persuaderlo della convenienza nell'impiego del denaro con l'investimento del titolo" (cfr. pag. 177 atto di appello, cit.). Le ingenti proporzioni, poco sopra illustrate, del fenomeno delle operazioni di finanziamento correlate alle quali il MA. ha, in una forma o nell'altra, prestato direttamente il suo apporto concorsuale - si tratta in buona sostanza dei due terzi circa del totale - consentono infatti di dare risposta senz'altro affermativa a tale quesito sollevato dalla difesa. D'altra parte è dimostrato in atti - cfr. in particolare, v. meglio infra, le pagg. 67-68, 76-77 e 78 del più volte citato doc. 110 del P.M. (trascrizione del file audio relativo al Comitato di Direzione 10.11.2014) in contrapposizione al doc, 646 del P.M., ossia alla rassicurante lettera ai soci datata 4.12.2014 a firma del Presidente ZO. (sulla quale parimenti v. infra) - come tutti i vertici dirigenziali dell'istituto di credito fossero consapevoli della pesante sopravvalutazione dell'azione B., che andava rivelandosi sempre più illiquida e sempre meno appetibile e che pure, per continuare a sostenere l'apparenza di forza e solidità ostentata dalla banca, andava offerta - e di fatto veniva offerta - dalla rete alla clientela con insistenza "martellante" (per usare un'icastica espressione impiegata dall'imputato GI. durante il Comitato di Direzione del 10.11.2014, cit., cfr. pag, 34 del doc. 110 del P.M.), mentre dall'altro lato andavano significativamente ingrossandosi le fila - peraltro destinate a una sempre più lunga attesa, della quale molti azionisti si dolevano con reclami formali - di coloro che richiedevano alla banca di poter vendere le azioni in loro possesso (a tutto il 10.11.2014 risultavano pendere a tal proposito 313 reclami formali di soci: cfr. pagg. 23-25 del doc, 110 del P.M.); costoro erano resi oggetto di rassicurazioni prive di qualsivoglia corrispondenza con la situazione reale del titolo B.. Ed invero nel ristretto consesso verticistico-dirigenziale del Comitato di Direzione 10.11.2014, alla presenza del direttore generale Sa.So. e di tutti gli altri vicedirettori generali incluso il MA., il direttore della Divisione Mercati Em.Gi. esprimeva - come già visto sopra nel trattarne la posizione - in termini quanto mai chiari la sua inquietudine: a) per i preoccupanti scenari che andavano profilandosi - quanto al drastico calo del valore effettivo del titolo azionario, il cui valore nominale era ancora, all'epoca, fissato a 62,50 euro - qualora non si fosse riusciti a trovare una soluzione al circolo vizioso instauratosi, in virtù del quale, nonostante un protratto massiccio ricorso al finanziamento correlato tale da impattare significativamente sul patrimonio di vigilanza, non solo continuavano ad esservi azioni B. per decine e decine di milioni di Euro da collocare con la massima urgenza (fatalmente, dunque, finendosi con il dover fare ricorso, ancora una volta, anche ai finanziamenti correlati), vuoi perché giacenti in eccesso nel fondo acquisto azioni proprie vuoi perché detenute da fondi esteri, ma altresì incombeva un numero oramai imponente di domande pendenti di vendita di ulteriori azioni B.; b) per il fatto che di tali preoccupanti scenari, nonostante la consegna del silenzio verso l'esterno pretesa in B. sull'argomento, avesse ormai iniziato a scrivere a più riprese - come già accennato saprà - la stampa nazionale (si vedano, entrambi acquisiti al fascicolo del dibattimento, il già citato articolo de "Il." del 24 ottobre 2014 a firma Cl.Ga. nonché un altro articolo del "Co.", di un paio di settimane successivo, a firma Stefano Righi, intitolato "Banche, se Veneto e Vicenza valgono Ubi" (prodotto quale "fonte aperta" dalla difesa del coimputato Pi. all'udienza del 4,2,2020), ove si puntava l'attenzione sul fatto che B. e Ve., società cooperative per azioni non quotate in Borsa in relazione alle quali il valore del titolo azionario era determinato in via unilaterale mediante perizia affidata a uno specialista nominato dalla stessa banca, paradossalmente fossero "gli unici casi di banche che "valgono" di più del loro patrimonio netto iscritto a bilancio"; tale articolo di stampa si concludeva affermando che "si può anche applicare il rapporto di (...) ai titoli della Vicenza e della Veneto. In questo caso i titoli della Vicenza raggiungerebbero un valore di 21,90 euro; quelli di Ve. un valore di 15,20 Euro. Secondo i fautori del credito non quotato - principio condivisibile per i piccoli istituti locali e le Banche di credito cooperativo, assai meno quando le dimensioni diventano, appunto, europee - è una questione di principio. Ma talvolta, come cantava En., quando si dice che è per principio, è per i soldi. Gli stessi che molti azionisti di alcune banche popolari non quotate - tra cui Vicenza e Veneto - faticano a realizzare dalla vendita delle loro azioni, perché illiquide. li problema si trascina da tempo le assemblee della scorsa primavera e le ripetute lettere ai giornali ne sono testimonianza. Molti si sono voltati dall'altra parte, ma oggi una soluzione, europea o italiana, attraverso la Consob o le organizzazioni a tutela dei risparmiatori, andrebbe trovata"). Al riguardo sono illuminanti i seguenti passi dell'intervento del GI. - alla presenza, lo si ripete, del MA. e degli altri vicedirettori generali oltre che del direttore generale So., nessuno dei quali ivi esprime il benché minimo abbozzo di reazione anche solo moderatamente stupita - in seno al Comitato di Direzione 10.11,2014 (la numerazione delle pagine si riferisce sempre alla trascrizione, prodotta dal P.M. quale suo doc. 110, del relativo file audio): (omissis) Stridente è il contrasto tra la preoccupante situazione effettiva del titolo B. - come sopra esposta e in tal guisa ben nota a tutti i dirigenti di vertice della banca, incluso il MA. - e il tenore della lettera ai soci, a firma del presidente ZO., di lì a poco inviata ai titolari di azioni B. recante la data del 4.12.2014, in atti sub doc, 646 del P.M., ove si legge fra l'altro quanto segue: "(...), Abbiamo sempre fatto il nostro dovere di banca al servizio del territorio nell'interesse dei nostri Soci e dei nostri Clienti, ma per continuare lungo questa direttrice non dobbiamo farci distrarre né da chiacchiere né da pettegolezzi. Abbiamo bisogno solo di due cose. La prima riguarda il nostro Paese ed è l'attuazione più veloce possibile di politiche di governo, nazionali e comunitarie (...). La seconda cosa, altrettanto importante, è la fiducia dei Soci in questa Banca che vuole aiutarli a proteggere i loro investimenti. Abbiamo tutelato in questi anni il valore dell'azione Banca (...), evitando la quotazione in borsa dei nostro titolo anche quando tanti lo consideravano conveniente. Ora, dopo che negli ultimi dieci anni i titoli delle banche quotate hanno perso in media il 60% del loro valore mentre quello della nostra azione è cresciuto del 33%, sappiamo che abbiamo avuto ragione e che, i nostri 110.000 Soci ce ne sono grati So che qualche Socio lamenta che i tempi di vendita delle nostre azioni si sono allungati. E' vero, come è vero che, con la crisi, tutti i mercati sono rallentati e la domanda è debole, in ogni settore, persino quello Immobiliare (,..). Gli scenari economici che abbiamo davanti non sono ancora incoraggianti ma siamo una banca forte e sana e non ci fermeremo nel nostro percorso di crescita (...)". Alla stregua delle considerazioni da ultimo esposte, dunque, sono destituite di fondamento anche le argomentazioni difensive svolte alle pagg. 177 -178 dell'atto di appello. Ciò posto, vanno disattese anche le censure sollevate dall'appellante in tema di ostacolo alla vigilanza. Giova anzitutto ricordare che il MA., in sede di esame dibattimentale (cfr. pag. 76 verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020), ha sostenuto: - non soltanto di avere provveduto in data 4.7.2012 a ordinare di far caricare nel disco/directory allestito e gestito dall'internal audit per Banca d'Italia (come risulta per tabulas anche dal carteggio via e-mail datato 4.7.2012 di cui al doc. 508 del P.M) il mero elenco - dal quale (basta esaminare il relativo documento, in atti, nulla però può evincersi, di per sé, in ordine alla correlazione o meno delle relative posizioni - dei primi 30 soci di B. per numero di azioni possedute con indicazione per ognuno del controvalore delle azioni, così esaudendo la richiesta rivoltagli a voce il giorno prima dagli ispettori Ge.Sa. e Vi.Te. su impulso proveniente dal capo del team ispettivo Gi.Sc. (richiesta conseguente alla scoperta, da parte degli ispettori, delle peculiari "sfasature temporali" che connotavano la singola posizione Ca.-Lu., in relazione alla quale il MA., a suo dire, ebbe a rispondere candidamente che si trattava di un finanziamento correlato); - ma di avere altresì, la sera stessa del 4 luglio 2012, consegnato egli personalmente a mano al team ispettivo la versione cartacea del medesimo elenco dei primi 30 soci poi caricato nel disco di Banca d'Italia in formato digitale, specificando in più a voce, contestualmente e del tutto spontaneamente, expressis verbis, che, fra quelle 30 posizioni, 14 presentavano finanziamenti correlati per l'acquisto di azioni B.; al che gli sarebbe stato risposto, sempre a voce, di mettere a disposizione di Banca d'Italia tutti i relativi incartamenti integrali, cosa che a detta del MA. sarebbe stata fatta - tanto in cartaceo quanto in digitale mediante caricamento nel disco/directory di Banca d'Italia previa scannerizzazione - già in data 5 luglio 2012 (cfr. pag. 76 cit.: "Il 3 luglio incontro, come da mio appunto, il dottor Te. e il dottor Sa. per realizzo coattivo di azioni, poi ce l'ho io anche l'originale, che è stato fotocopiato in interrogatorio, il 3 luglio me lo chiedono e mi dicono anche: "Su richiesta del dottor Sc. ci mandi l'elenco dei primi trenta soci della banca, con controvatore delle azioni, intanto ce lo mandi e poi ci venga a dire quali sono i finanziamenti in essere e quindi i fascicoli di queste posizioni", "Va bene". Il 4 luglio alla sera, come dagli elenchi che avete in interrogatorio, noi consegniamo tutti i realizzi coattivi e annullamenti che sono stati fatti dall'Ufficio Soci a seguito della richiesta del dottor Te., ai sensi del 16 e 20 dello Statuto, è stato fatto la sera del 4 luglio; io poi quel giorno lì ero da clienti, quando Am. è stato chiamato dal Direttore. Nel frattempo, quando ho consegnato l'elenco dei trenta e fatto caricare all'Audit, il 4 luglio sera, nel disco Bankit, sono salito, gliel'ho dato a mano e gli ho detto; "Di queste, quattordici posizioni hanno affidamenti", "Per cosa?", "95% i finanziamenti per comperare azioni, tipo Ca."f "Ci porti tutti i fascicolilo il giorno dopo ho fatto scannerizzare tutti i fascicoli di tutte quelle operazioni ti alla segreteria e sono stati consegnati a mano e poi caricati nel portale. Ho informato il Direttore Generale, anche per iscritto, il 5 luglio sera, che mi avevano chiesto di questi finanziamenti, ma l'altra cosa che mi è rimasta molto impressa è il primo mail di Ge.Sa. sulle richieste che ha fatto, dove come oggetto mette "info acquisto azioni Po.Vi.". Questo lui ha scritto nella e-mail come oggetto, che poi ce lo siamo girati tra tutti i dirigenti, quindi lui aveva già guardato diverse pratiche e chiedeva domanda di acquisto, la data di ammissione a soci e quant'altro, Poi lui ha fatto tutto con il dottor Am.; io dalla consegna del 5 luglio sera, di tutto quello che è stato fatto, di azioni con finanziamenti per acquisto azioni non ho più parlato con loro, ho seguito tutti gii altri tipi di pratiche ordinarie o crediti anomali o quant'altro"). Ciò che MA. nel suo esame definisce "il primo mail di Ge.Sa. sulle richieste che ha fatto, dove come oggetto mette "info acquisto azioni Po.Vi." fa parte della corrispondenza dì cui al doc. 509 del P.M., che comprende: a) la e-mail per l'appunto inviata da Ge.Sa. a Ci.Am. della Divisione Crediti di B. alle ore 15.47 del 4.7,2012, testualmente intitolata "RICH IONFO ACQUISTO AZIONI NPOPVI" ed avente il seguente tenore: "Gent.mo dr Am., faccio riferimento alla verifica sugli azionisti B. che, allo stesso tempo, sono affidati dalla banca. Le chiedo cortesemente di verificare se per i nominativi indicati in calce (El., Te.Sa., Br.Fu.) - analogamente a quanto effettuato per i signori Ca. e Lu. - le date di acquisto delle azioni Po. e il tipo di provvista utilizzata" (l'Am. inoltrava per conoscenza tale e-mail al MA. alle ore 16.18 del 4.7.2012; a ciò seguiva, cfr. doc. 510 del P.M., rinvio da parte del MA. a Gi.Em. e a Tu.Co. della Divisione Mercati, nonché per conoscenza al proprio subalterno Ci.Am., di una e-mail in data 4.7.2012 ad ore 16.41, avente il seguente tenore: "Dei 30 primi soci presentati agli ispettori, le richieste per ora di approfondimenti dopo che il sottoscritto ha illustrato con posizione fido/cliente le controparti sono le tre sotto indicate. Prepariamo la documentazione con l'ausilio del collega Ro.Fi., già contattato da Am., e dal quale chiediamo celerità"), b) una seconda e-mail inviata da Ge.Sa. a Ci.Am. alle ore 18.12 del 5.7.2012 (e inoltrata dall'Am. un paio di ore dopo a Fi.Ro. dell'Ufficio Soci oltre che al MA. e al collega Ba.Al.), intitolata "neh info acquisto azioni-integrazione" ed avente il seguente tenore: "Ad integrazione della precedente richiesta di pari oggi La prego di inserire anche i seguenti nominativi; To.Ma., Bu.Sa."; c) una e-mail indi inviata da Ma.Pa. al d.g. So.Sa. e al direttore della Divisione Mercati Gi.Em. alle ore 20.48 del 5.7.2012 ove, nell'inoltrare ai predetti la nuova richiesta formulata all'Am. dal Sa., il MA. così si esprimeva: "Hanno aggiunto richiesta informazioni. Su To. e Bu. che non fanno parte della lista dei 30 azionisti consegnata. Hanno guardato il Gruppo So. S.p.A. che abbiamo consegnato 20 gg. fa essendo nella lista di clienti con un accordato superiore ai 25 mm di Euro e hanno visto le posizioni. Ciao". In sede di esame il MA. ha proseguito affermando che il team ispettivo ebbe a parlare di posizioni di finanziamento correlato non solo con lui ma anche con il suo subalterno Ci.Am., precisando che di tutto quanto sopra, e in particolare della materiale consegna dei relativi incartamenti integrali in copia agli ispettori in aggiunta alla lista dei primi 30 soci (quest'ultima risultante pacificamente caricata sul disco/directory della Banca d'Italia: cfr., sub doc. 566 del P.M., la e-mail inviata al team ispettivo il 5.7.2012 ad ore 9.04 dal responsabile dell'internal audit Ma.Bo., addetto alla gestione di tale supporto), sarebbe stato a piena conoscenza anche il collega Sa.Re., a sua volta diretto subalterno dell'Am.: "Con me ne hanno parlato con quattro o cinque; il resto, di cui io avevo già parlato, le hanno richieste anche ai dottor Am., le stesse cose. Quindi con me o con il dottor Am.. La struttura era assolutamente informata che avevo consegnato, dei Crediti, tutti i fascicoli, perché hanno fatto le fotocopie e tutto quanto e Sa.Re. è andato a comunicarlo, come ho sentito, anche agli altri dirigenti" (cfr. pag. 77 verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020). Sostanzialmente analoghe, nel loro nucleo essenziale, erano state le dichiarazioni rese sul punto dal MA. nei suoi interrogatori resi il 28.4.2017 e il 2.5.2017 dinanzi ai Pubblici Ministeri con l'assistenza del suo difensore fiduciario, con la differenza, però, che ivi l'imputato aveva affermato di avere personalmente discusso a voce con i due ispettori Te. e Sa. solo due delle quattordici posizioni "baciate" in oggetto (a suo dire ammontanti, come valore complessivo, a Euro 234 milioni; cifra, questa, che in effetti a più riprese la difesa in sede di discussione - cfr, in particolare pag, 75 verbale stenotipico 30.9.2022 e pag. 30 della coeva memoria conclusiva - ha dato nel presente giudizio per dimostrata ed evidente già nell'ispezione del 2012 - il che non è, come si vedrà infra - quanto al controvalore delle operazioni correlate che sarebbero state documentate al team ispettivo dalla Divisione Crediti), segnatamente la Ca.-Lu. e la Da., lasciando ai suoi subalterni - Ci.Am., An.Re., Pa.Se., ma di questi ultimi due il MA. si dichiarava non più sicuro nell'interrogatorio del 2 maggio, ribadendo tale incertezza anche nel suo esame dibattimentale dd. 11.6.2020, cfr. pag. 78 del relativo verbale stenotipico - il compito di discutere con gli ispettori le rimanenti posizioni "baciate". Al riguardo, tra la pag. 4 dell'interrogatorio 28 aprile 2017 e le pagg. 5-6 di quello del 2 maggio 2017, possono - come detto - notarsi apprezzabili discrasie; a sua volta, come si è visto, la versione dei fatti resa dal MA. nell'esame dibattimentale è ancora diversa su tale specifico punto. In ogni caso tanto il Se. (cfr, il suo esame dibattimentale alle pagg. 62-72 del verbale stenotipico d'udienza 30,1,2020) quanto il Re. (cfr. il verbale delle s.i.t. dallo stesso rese in data 15.9,2016, acquisito al fascicolo del dibattimento su consenso delle parti all'udienza del 29.9,2020) hanno recisamente negato che ciò sia avvenuto; a sua volta il teste Sa.Re. ha reso in sede di esame (cfr. pagg. 39-40 del verbale stenotipico d'udienza 12.12.2019) dichiarazioni di tenore opposto alle affermazioni del MA. che lo riguardano. Dal canto suo il teste Ci.Am. (il cui esame dibattimentale si è articolato nel primo grado del presente giudizio in due udienze: cfr. pagg. 66-122 verbale stenotipico 11.2.2020 e pagg. 12-88 verbale stenotipico 13.2.2020) ha reso in detta sede un'ampia deposizione, sostanzialmente congruente con la tesi difensiva del MA., i cui contenuti sono stati minuziosamente passati in rassegna (e vagliati analiticamente sia quanto alla loro coerenza intrinseca, rivelatasi in più punti estremamente carente, sia quanto ai pretesi riscontri esterni, rivelatisi in realtà inesistenti) dal giudice di prime cure: cfr. pagg. 454-457, 459-462 e 465-469 sentenza gravata. Ebbene, per ciò che attiene all'ispezione condotta da Banca d'Italia nel 2012 (tema affrontato dalla gravata sentenza, quanto al MA., alla pag. 692 mediante un rinvio "alla trattazione specifica nel capitolo IX" (in realtà sì tratta del capitolo Vili, par. 2., corrispondente alle pagg. 446-475 della sentenza di primo grado) la difesa, in ultima analisi, si fonda sul contrapporre la deposizione del teste Ci.Am. (appartenente alla Divisione Crediti diretta dal MA.), da essa indicato come "unico tra quelli sentiti che non aveva alcun interesse a nascondere qualcosa o a riferire cose diverse dal reale" (cfr, pag. 101 atto di appello) - il quale ha inteso confermare l'assunto del MA. circa l'avvenuto "disvelamento" al team ispettivo di Banca d'Italia di una quindicina circa di operazioni correlate (con asserita pronta consegna agli ispettori della relativa documentazione integrale) - al complesso delle deposizioni - tra loro convergenti, invece, nel senso che siffatto "disvelamento" non abbia mai avuto luogo - rese dai vari appartenenti al predetto team ispettivo; queste ultime deposizioni sarebbero tutte viziate, secondo la difesa, da un'inattendibilità dovuta al "peccato originale che Banca d'Italia vuole emendare in questo processo: ha creduto e ha incentivato la crescita della Banca (...) e ora, a banca collassata, non può permettere che qualcuno o qualcosa possa accusarla di essere stata omissiva o, peggio, connivente" (cfr. pag. 103 atto di appello), definendo di conseguenza l'argomentazione del primo giudice at riguardo come "prima che ingenua, illogica: si può veramente pensare che fianca d'Italia possa pubblicamente, per voce dei suoi ispettori, ammettere di aver quantomeno tollerato che in Banca (...) ci fossero finanziamenti destinati all'acquisto di azioni?" (cfr. pag. 119 atto di appello). Ad avviso di questa Corte il primo giudice ha viceversa fatto buon governo di tale complesso materiale istruttorio (né ha apportato novità apprezzabili l'acquisizione, nel presente grado di giudizio, dei verbali delle dichiarazioni rese dai testi Am. e Sa. - nel distinto procedimento n. 1031/20 R,G. - 5628/15 R.G.N.R. in corso a carico di So.Sa. - in occasione delle udienze, rispettivamente, 8.3.2022 e 18.3.2022; sul punto v. più ampiamente infra). Valgano al riguardo le seguenti considerazioni. 1. Il tribunale ha opportunamente evidenziato "cfr. pag. 699 sentenza gravata - il silenzio serbato sul preteso "disvelamento delle 14 posizioni correlate" dal MA. con l'interlocutore Di.Gr. in una conversazione telefonica captata, la n. progr. 2342 del 29.10.2015 (pag. 182 perizia trascrizione), ove l'imputato da un lato commenta, con una risatina, "La Banca d'Italia le sa leggere le istruttorie o no, a questo punto mi chiedo, hai capito?" ma dall'altro lato, in concreto, si limita a riferire al Gr. - che era stato il D.G. di B. prima dell'avvento di Sa.So. - di avere "consegnato l'elenco dei primi trenta soci finanziati dalla banca all'ispezione della Banca d'Italia", non facendo viceversa parola della qui pretesa e rivendicata rivelazione agli ispettori, da parte della Divisione Crediti, del carattere correlato della metà circa di quelle posizioni: "(...) Pa.: Ma, e fermo, e poi quelle pratiche lì, adesso l'ho trovato, perché ho trovato nei miei file... nei miei file: nel 2012, durante l'ispezione... - V.M.: Sì... - Pa.: ...ho consegnato l'elenco dei primi trenta soci finanziati dalla banca all'ispezione della Banca d'Italia, e ci sono tutti sti nomi qua che mi stanno... Che la Banca d'Italia non ha riportato niente nel verbale che ci ha consegnato nel 2013... - V.M.: Eh, - Pa. (Risatina): Cioè, voglio dire, quindi, signori, son valutazioni di merito creditizio, non mi dice niente neanche la Banca d'Italia, cos'è che volete? - V.M.: Eh già, - Pa.: La Banca d'Italia le sa leggere le istruttorie o no, a questo punto mi chiedo, hai capito? (Risatina) Ecco. - V.M.: Sì... No, no. - Pa.: Vedremo, vedremo, dai. ("?.), Pa.; L'ottimo sarebbe lunedì ... a. - V.M.: Lunedì, lunedì. - Pa.: Beh, domani io vedo l'avvocato, potrei venire anche lunedì, così mi dai dei consigli anche te, dai. - V.M.; Esatto. - Pa.: Lunedì, va bene, dai. - V.M.: Lunedì... - Pa.; Sì. - V.M.: Lunedì sì, pari pari. - Pa.: Va bene. Va bene. (...)". Si noti in effetti che: a) il MA. in tale conversazione parla con Gr. esclusivamente dell'unico documento che nel presente giudizio è effettivamente certo sia stato trasmesso nel 2012 agli ispettori di Banca d'Italia, ossia dell'anodina "lista dei primi trenta soci" (in realtà, cfr. il relativo documento in atti sub doc. 508 del P.M., non erano i primi trenta "soci finanziati", come egli afferma, bensì i primi trenta soci per numero di azioni detenute; fra essi vi erano anche nominativi di grossi azionisti, come Am., con certezza mai resisi destinatari di finanziamenti correlati: cfr. al riguardo pag. 17 verbale stenotipico esame GI. reso il 15.6.2022 in grado di appello), senza viceversa menzionare né consegne di altra documentazione né esternazioni verbali fatte agli ispettori circa quali e quante, di quelle trenta posizioni, godessero di finanziamenti correlati; b) per giunta - e ciò è significativo - MA. precisa a Gr. di essersene ricordato solo consultando i suoi fife (il che risulterebbe quanto meno peculiare - date la rilevanza e la portata potenzialmente dirompente della circostanza, come tale suscettibile di essere nitidamente ricordata anche senza siffatto ausilio - se alla consegna dell'anodina lista dei primi trenta soci si fosse realmente affiancato il preteso "disvelamento" agli ispettori circa il carattere correlato dei finanziamenti sottesi alla metà circa di dette posizioni); c) non regge neppure la giustificazione, offerta dal MA. nel corso del suo esame e ripresa dal suo difensore in sede di discussione (cfr, pag. 75 verbale stenotipico 30.9.2022), secondo cui egli non sì sarebbe dilungato al riguardo col Gr. in quanto la conversazione verteva sui consigli da chiedergli per organizzare la propria difesa nella causa intrapresa dinanzi al giudice del lavoro: tale ultimo argomento ha in realtà solo sfiorato la conversazione in quanto subito rinviato a un loro successivo incontro in Toscana, che i due fissavano proprio in occasione di detta telefonata. Il MA. nel suo esame (cfr. pag. 23 verbale stenotipico 16.6.2020) sostiene poi di avere riferito al Gr. del "disvelamento" in altri contesti ma trattasi di circostanza completamente sfornita di prova. 2. Il tribunale - cfr. pag. 466 e ss. sentenza gravata - ha opportunamente evidenziato come i colleghi della Divisione Crediti Sa.Re., An.Re., Pa. Se., Ma.De., menzionati (cfr. pagg. 108-109 del verbale stenotipico d'udienza 11.2.2020) dal teste Am. quali persone che egli aveva reso a vario titolo partecipi del riferito "disvelamento" agli ispettori, abbiano viceversa tutti negato di essere stati relazionati in tali termini dall'Am. (mentre quest'ultimo, anche nella successiva, deposizione da lui resa l'8.3.2022 nell'ambito del separato giudizio pendente"' nei confronti di So.Sa., ha insistito sul suo assunto, finanche sostenendo che il MA. "chiese ai colleghi" della segreteria crediti, che era un'unità che dipendeva dal collega Sa.Re. dell'analisi, di stampare fe pratiche e i fidi di garanzie di tutti quanti questi primi 30 soci. So che i colleghi portarono il carrello su nell'ufficio degli ispettori.": cfr. pag. 49 del relativo verbale stenotipico). Sul punto il gravame non si confronta adeguatamente con la motivazione del collegio berico, limitandosi di fatto ad estrapolare, citandoli alle pagg. 105-107 dell'atto di appello, stralci assai parziali della deposizione del solo teste De. (la quale nella sua interezza occupa le pagg. 56-75 del verbale stenotipico d'udienza 19.12.2019) e obliterando gli ulteriori passi della medesima deposizione, illuminanti per chiarezza, citati - per esteso - alle pagg. 467-469 della gravata sentenza, oltre a trascurare totalmente quanto dichiarato al riguardo dai testi Re, Se. e Re.. Tra l'altro osserva questa Corte come lo stesso teste Am., nelle battute conclusive del suo esame dibattimentale nel primo grado del presente giudizio (cfr. pagg. 79-80 del verbale stenotipico d'udienza 13.2.2020), modifichi - rispondendo alle domande del presidente del collegio - le sue precedenti affermazioni in ordine alle asserite rivelazioni da lui fatte al collega Sa.Re., ridimensionandole in misura sostanziale. 3. Il tribunale ha opportunamente evidenziato come, tra le plurime contraddizioni nelle quali è incorso il teste Am., vi sia quella riguardante l'assenza di ogni cenno al preteso "disvelamento delle 14 posizioni correlate" nell'intervista da lui data all'internal audit nell'agosto 2015 e il fatto che dapprima - cfr. pag. 114 verbale stenotipico d'udienza 11.2.2020 - egli abbia cercato di motivarla con l'asserito carattere "veloce" del relativo colloquio intercorso con il responsabile dell'audit Ma.Bo., tale da non avergli consentito di riferirgli tutto quanto a sua conoscenza, salvo poi - cfr. pag. 85 verbale stenotipico d'udienza 13.2.2020 - mutare radicalmente impostazione, contraddicendosi in toto, e sostenere che in realtà egli aveva puntualmente riferito al Bo. in ordine al "disvelamento" ma che questi nulla scrisse. Infine, nella deposizione da ultimo resa in data 8.3.2022 nell'ambito del separato giudizio pendente nei confronti di So.Sa. (cfr. in particolare le pagg. 56-59 del relativo verbale stenotipico), l'Am., forse consapevole dell'insanabile contraddizione nella quale era caduto due anni prima deponendo quale teste nel presente giudizio, ha tentato - così facendo, però, risultando viepiù palesemente contraddittorio - di sostenere al tempo stesso, con l'obiettivo di contemperarle, la tesi dell'estrema "velocità" del suo colloquio con Bo. (dovuta all'avere questi avuto ben 70 interviste da condurre in un ristretto lasso di tempo), con conseguente mancanza del "tempo materiale" per poter riferire tutto al responsabile dell'internai audit, e la tesi, con essa configgente, dell'omissione posta in essere da parte dello stesso Bo. il quale non avrebbe riportato per iscritto tutto quanto pur riferitogli a voce dall'intervistato (al che il P.M. esaminante si è ritrovato a tentare, per vero senza apprezzabile successo, di ricondurre ad unità tale intrinsecamente contraddittoria deposizione, v. pag. 57 ibidem: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Però, Am., io voglio sapere: lei in quel contesto non ha riferito di questi tre episodi perché non ha avuto il tempo o perché invece li ha riferiti ma Bo. non li ha scritti? Sono due cose differenti. Io vorrei capire qual è delle due"). 4. Nella nuova deposizione resa l'8.3.2022 nel separato giudizio pendente nei confronti di So.Sa. il teste Am. si dimostra, in effetti, non meno contraddittorio e non meno "debolmente attendibile" di quanto già egli non si fosse rivelato nell'esame reso nel primo grado del presente giudizio, entrando peraltro anche in parziale, ma significativa, contraddizione con affermazioni rese dallo stesso imputato MA.. A puro titolo esemplificativo si noti come l'Am. ivi fra l'altro sostenga (cfr. pag. 41 deposizione 8.3.2022): a) che "(...) Intanto Ma. viene contattato dagli ispettori per avere l'elenco dei primi 30 soci"? Ma. si fa dare l'elenco dei primi 30 soci. Questo il giorno dopo che avevamo visto Ca.-Lu., quindi il giorno del colloquio con So.. Fa stampare dalle colleghe della segreteria le pratiche di fido piuttosto che i fidi di garanzie di queste posizioni, che i colleghi portano su con il carrello sempre, e va a parlarne con gli ispettori", laddove in realtà si è visto come finanche il MA. sostenga di avere personalmente discusso funditus con gli ispettori solo una minimale frazione di tali posizioni delegando il resto allo stesso Am. e/o, in parte, a taluni subalterni del predetto (a maggior ragione dunque risulta inattendibile l'Am. allorquando - cfr. in particolare pag, 49 della sua deposizione 8.3.2022 cit., - giunge ora ad affermare - per la prima volta, come evidenziato dalla stessa difesa MA. nei suoi motivi nuovi d'appello - qualcosa che nemmeno il MA. sì è in realtà mai lontanamente spinto a sostenere nelle dichiarazioni da lui rese nel corso del presente giudizio, ossia che il prederò imputato avrebbe personalmente "visto i movimenti dei conto corrente con il dottor Sa., dal dottor Sa." relativamente alle posizioni El., Br.Fu. e Te.Sa., riferendo poi un tanto all'Am.); b): che "(...) sempre quel giorno dopo, che era il 5 luglio, mi arriva un'ulteriore e-mail da parte dei dottor Sa., il quale mi dice: "Come già fatto anche per le posizioni precedenti mi fornisca anche qua data acquisto e provvista, anche sulle posizioni Bu.Sa. e To.Ma.". Qui il teste Am., attribuendo al Sa. l'espressione "Come già fatto anche per le posizioni precedenti mi fornisca anche qua", pare voler alludere a una già avvenuta consegna, con conseguente consultazione completa da parte del team ispettivo o comunque da parte di Ge.Sa., quanto meno degli incartamenti riguardanti le posizioni El., Te.Sa. e Br.Fu. (oggetto, come si è visto suprat di una specifica e-mail inviata all'Am. dallo stesso Sa. alle ore 15.47 del 4.7.2012). Tuttavia il teste Am., in questa sua nuova deposizione, non riporta affatto in modo fedele il contenuto della da lui citata nuova e-mail inviatagli dal Sa. alle ore 18.12 del 5.7.2012 (doc. 509 del P.M.), che è invece il seguente, del tutto anodino ed anzi tale da indurre già di per sé a ritenere che la richiesta precedente fosse - quanto meno per il momento - ancora rimasta inevasa: "Buonasera. A integrazione della precedente richiesta di pari oggi La prego di inserire anche i seguenti nominativi: To.Ma., Bu.Sa.". Anzi osserva al riguardo la Corte come in atti vi sia l'evidenza documentale del contrario di quanto afferma sul punto il teste Am., posto che a tale data non si disponeva in realtà nemmeno delle copie degli ordini di acquisto delle azioni detenute da ognuno dei nominativi anzidetti, trattandosi di operazioni più risalenti nel tempo rispetto alla Ca.-Lu. e, quindi, da recuperare in archivio. Eloquenti sono in tal senso i docc. 511 e 512 del P.M., corrispondenti ad altrettante e-mail inviate all'Am. (e in copia al MA.) da Fi.Ro., responsabile della Gestione Soci: - doc. 511: e-mail inviata da Ro.Fi. in data 6 luglio 2012 alle ore 12.02: "Cl., Vi fornisco solo ora le copie degli ordini di acquisto richieste in quanto la documentazione relativa alle operazioni del 2010 è presso il nostro magazzino di Aite di Montecchio Maggiore e i tempi di recupero non sono immediati In allegato quindi copia degli ordini di acquisto di: - El. S.r.l. per 320.000 azioni (...); - Br.Fu. per 160.000 azioni (...); - Te.Sa. per 176.500 azioni (...)") "doc. 512: e-mail inviata da Ro.Fi. in data 9 luglio 2012 alle ore 17.03: "Cl., Vi fornisco le copie degli ordini di acquisto richieste che trattandosi di operazioni del 2010 sono presso il nostro magazzino di Alte di Montecchio Maggiore: Bu.Sa. per n. 81,000 azioni (...); To.Ma. per n. 81.000 azioni (...)". 5. Le considerazioni ora svolte rendono dunque viepiù inattendibile l'intera deposizione del teste Am. sul c,d. "disvelamento delle 14 posizioni correlate", incluso - lo si ribadisce - l'assunto (cfr. pagg. 41 e 49 verbale stenotipico 8.3.2022 cit.) secondo cui, in relazione alle posizioni El., Te.Sa. e Br.Fu., non soltanto sarebbero stati consegnati agli ispettori i relativi fascicoli integrali in formato cartaceo ma altresì lo stesso MA. gli avrebbe riferito di averne ampiamente discusso a voce con l'ispettore Sa., per giunta esaminandone i movimenti di c/c assieme a quest'ultimo (il quale, per parte sua, ha sempre recisamente negato in sede dibattimentale la veridicità di tutte queste circostanze). Non appare inutile ricordare nuovamente, al riguardo, come finanche lo stesso MA., con ciò di fatto sconfessando sul punto tali ultime "inedite" affermazioni dell'Am., sostenga si - da un lato-lato - di avere, con l'ispettore Sa., personalmente parlato della posizione Ca.-Lu., nonché dì avergli personalmente svelato in termini generici a voce, riservandosi di documentarglielo, che complessivamente 14 posizioni nella lista dei primi 30 soci (da luì consegnata, a suo dire, anche a mano in formato cartaceo) corrispondevano a finanziamenti correlati, ma abbia escluso - dall'altro lato - di avere mai avuto, al dì là di questo, altre interlocuzioni dirette e personali sullo specifico argomento con il Sa. (cfr. pag. 76 esame MA. 11.6.2020: "Poi lui (Sa.) ha fatto tutto con il dottor Am.; io dalla consegna dei 5 luglio sera, di tutto quello che è stato fatto, di azioni con finanziamenti per acquisto azioni non ho più parlato con loro, ho seguito tutti gli altri tipi di pratiche ordinarie o crediti anomali o quant'altro)". 6. Manca, in ogni caso, una qualunque attestazione dell'invocata consegna agli ispettori dei fascicoli cartacei concernenti le posizioni oggetto del preteso "disvelamento", laddove esistevano viceversa in B. precise istruzioni - già seguite durante le precedenti ispezioni e nuovamente impartite nel corso dell'ispezione del 2012 - circa la necessità, in caso di consegna di documenti in formato cartaceo, di predisporre un apposito elenco in formato Word ove andavano annotati "o documenti consegnati, la data di consegna e l'ispettore al quale gli stessi sono stati consegnati"; si veda al riguardo, sub doc. 500 del P.M., la dettagliata e-mail inviata in tal senso alle ore 10.11 del 31.5.2012 da Ma.Bo., responsabile dell'internal audit (che aveva in carico la gestione del disco-directory riservato a Banca d'Italia), a tutti i vertici dirigenziali di B. nonché ad alcuni fra i loro diretti subalterni fra cui lo stesso Ci.Am.. 7. per la verità, ferma restando l'assenza di riscontri circa l'assunto dell'imputato MA. e del teste Am. (inattendibili entrambi sul punto per tutto quanto sin qui detto e finanche, da ultimo, in parziale contraddizione reciproca) riguardo a una parallela consegna in formato cartaceo dei relativi incartamenti agli ispettori, lo stesso teste Am. nella seconda parte della sua deposizione resa nel primo grado del presente giudizio, durante il controesame condotto dal difensore della Banca d'Italia avv. Ce. (cfr., pagg. 57-59 verbale stenotipico d'udienza 13.2.2020), ha finito con il riconoscere che, di fatto, egli non sa se in concreto il caricamento in formato digitale, all'interno del disc of directory della Banca d'Italia previa loro scannerizzazione, dei fascicoli afferenti alle quattordici posizioni "baciate" de quibus (caricamento invocato dall'imputato MA. come avvenuto) abbia realmente avuto mai luogo105. Né certo può bastare l'assenza in atti di solleciti alla consegna degli incartamenti da parte di Banca d'Italia a far ritenere provata la consegna stessa, come invece pare adombrare la difesa a pag. 116 dell'atto di appello. 8. Il tribunale ha poi evidenziato che la testimonianza dell'ispettore Ge.Sa., diversamente da quella del funzionario Cl.Am., risulta complessivamente riscontrata - benché anch'essa parzialmente contraddittoria - da quelle, più lineari e prive di aporie, rese da tutti i suoi colleghi del team ispettivo. La difesa al riguardo obietta che i predetti sarebbero parimenti inattendibili perché comunque tutti appartenenti a Banca d'Italia e dunque portatori dì un ben preciso interesse a non vedere accertata una loro eventuale responsabilità per negligenza o, peggio, connivenza nell'esercizio dell'attività ispettiva. In contrario già basti osservare che tra i suddetti testi ve ne sono due i quali all'epoca dell'ispezione di Banca d'Italia del 2012 erano semplici tirocinanti, ossia recenti vincitori di concorso affidati ai colleghi più anziani in qualità di tutor/supervisori: trattasi di Fe.Fr. (del quale è stato acquisito al fascicolo del dibattimento, ex art. 493 comma 3 c.p.p., il verbale delle s.i.t. rese il 15-11,2018) e Br.Lu. (che nel suo esame dibattimentale - cfr. pagg. 41-54 del verbale stenotipico d'udienza 23.1.2020 - ha fra l'altro dettagliatamente illustrato come fosse strutturato il tirocinio suo e del collega Ferraro). Ebbene, nessuno dei due testi in questione ha riferito - benché siano state loro rivolte puntuali domande sull'argomento - di avere affiancato l'ispettore Sa. nell'assistere a una qualsivoglia conversazione tra il predetto e un esponente della banca in cui il tema fosse quello degli acquisti di azioni da parte di soggetti con provvista attinta da finanziamenti. Per converso il teste Am. - ribadendolo poi nel separato giudizio n. 1031/20 R.G. - 5628/15 R.G.N.R. ancora pendente nei confronti di So.Sa.: cfr. pag. 43 del relativo verbale stenotipico 8,3.2022 - proprio questo ha affermato nel suo esame dibattimentale. 9. Per parte sua il teste ispettore Ge.Sa., giudicato dal tribunale berico come parimenti "debolmente attendibile", in effetti può meritare tale valutazione - e peraltro, come già detto, a differenza del teste Am. il tenore delle affermazioni da lui rese in dibattimento risulta riscontrato da plurimi elementi, ben evidenziati dal giudice di prime cure - per il fatto di non aver saputo dare adeguato conto di talune apprezzabili discrasie riscontrate tra le sue dichiarazioni dibattimentali e quelle rese a s.i.t. durante le indagini preliminari nel 2016 e nel 2017. Vero è infatti che, tanto nell'esame da lui reso nel primo grado del presente giudizio il 21.1.2020 - cfr. ad es. sue pagg. 61 e 65 - quanto nella nuova deposizione da lui resa il 18.3.2022 nel separato giudizio pendente nei confronti di So.Sa. - cfr. ad es. sue pagg. 80-81 e 89 -, l'ispettore Sa. si è di volta in volta giustificato, a fronte delle contestazioni mossegli, replicando di non essere stato lucido al cospetto degli inquirenti e/o di essere giunto impreparato dinanzi ad essi per non avere egli riletto neppure la relazione ispettiva e/o di non avere correttamente inteso quanto richiestogli e/o di essersi spiegato male. Nondimeno va qui evidenziata la piena congruenza tra il tenore dell'esame dibattimentale reso dal teste Sa. il 21.1.2020 e quello dell'esame dibattimentale da lui reso il 18.3.2022 nel separato giudizio pendente a carico di So.Sa., che nulla ha di fatto aggiunto o modificato, sotto tale profilo, rispetto alla sua deposizione originaria: in entrambe le sedi dibattimentali il teste Sa., esponendo una versione dei fatti sempre intrinsecamente coerente benché, come detto, solo parzialmente tale se rapportata ad alcuni passi delle s.i.t. rese nel 2016-2017, ha affermato in estrema sintesi: a) che il circoscritto oggetto dell'ispezione 2012 non verteva in alcun modo sul patrimonio bensì esclusivamente sul rischio di credito dell'intero gruppo B., con l'incarico di vagliare le posizioni in sofferenza, quelle ad incaglio e infine quelle classificate dalla banca come in bonis ma eventualmente suscettibili di essere spostate - previa verifica ispettiva - in una delle altre due categorie; il tutto anche alla luce della peculiarità di B. rappresentata dallo squilibrio del rapporto fra impieghi, ossia finanziamenti erogati, e raccolta (squilibrio che avrebbe reso indispensabile attuare da un lato il deleveraging, ossia la riduzione del rapporto impieghi/raccolta, e dall'altro lato il repricing, ossia la riduzione degli impieghi accordati ai grossi clienti Corporate e Large Corporate e l'incremento degli impieghi accordati ai maggiormente redditizi clienti rientranti nelle categorie Small Corporate e Mid-Corporate), sottolineando egli in più occasioni come né il team ispettivo né tantomeno un singolo ispettore avessero comunque il potere di estendere unilateralmente il perimetro dell'ispezione siccome delineato nella lettera d'incarico a firma del Governatore di Banca d'Italia; b) che tali circoscritte finalità ispettive giustificavano di per sé sole non soltanto il tenore della richiesta, evasa da B., della lista dei primi 30 soci per numero di azioni detenute (trattandosi, e la spiegazione è in sé plausibile, di cercare di verificare l'eventuale esistenza di soci che di fatto godessero, proprio in quanto detentori di cospicui pacchetti azionari, di trattamenti di favore, con conseguente possibile emersione dì un allentamento degli standard creditizi nei confronti di soggetti viceversa non meritevoli) ma altresì il tenore delle sopra citate e-mail inviate dallo stesso Sa. nelle date del / 4 e 5 luglio 2012, Il teste ha più volte ripetuto che le richieste da lui ivi 1/ formulate, lungi dall'avere a che fare con verifiche patrimoniali in realtà escluse dal perimetro dell'ispezione, non modificabile unilateralmente a sua discrezione, erano finalizzate esclusivamente all'esigenza di disporre di un set informativo più ampio circa la meritevolezza del credito, interessando all'uopo verificare da quanto tempo i detentori di cospicui pacchetti azionari rivestissero la qualità di socio e di quale provvista essi avessero potuto concretamente disporre per riuscire ad acquisire un numero sì rilevante di azioni; ancora una volta, però, tutto questo, a detta del Sa., serviva esclusivamente per vagliarne la personale solidità in termini di merito creditizio nonché per escludere l'eventualità di trattamenti di favore a loro vantaggio, non già ad altri fini; tale spiegazione, come detto, è in sé plausibile; c) che comunque le poche e-mail di cui ai docc. 508-510 del P.M. facevano parte di un numero infinitamente maggiore di analoghe comunicazioni da lui complessivamente inviate a mezzo posta elettronica nel corso di un'ispezione sul rischio di credito che lo portò ad esaminare in tutto ben 400 posizioni circa, il che fra l'altro non lo pone, a suo dire, in alcun modo in grado di riferire in quali specifici casi egli si fosse concretamente avvalso della possibilità (che pure era stata genericamente messa a disposizione del team ispettivo, come riconosciuto dal teste, cfr. pag. 59 esame dibattimentale Sa. del 21.1.2020) di interrogare online gli estratti conto; d) che anzi egli non serba memoria del perché avesse chiesto approfondimenti, nelle citate e-mail del 4-5 luglio 2012, proprio con riguardo alle posizioni individuali ivi nominativamente indicate (il teste Sa. si è diffuso in maniera particolarmente ampia su tale tema alle pagg. 82-93 della deposizione da lui resa il 18.3,2022 nel separato giudizio a carico di Sa.So.; nello stesso senso cfr. peraltro già le pagg. 110-111 e 116 della deposizione 21.1.2020 resa nel presente giudizio); il tutto fermo restando che - a suo dire - talvolta venivano presi anche dei nominativi a caso e che comunque egli non crede di avere, di fatto, esaminato alcuna documentazione attinente a quelle particolari posizioni specifiche. Ed invero il teste Sa. - cfr. in particolare le pagg. 91-93 della deposizione 18.3.2022 cit. nel separato giudizio a carico di Sa.So., acquisita nel presente grado di appello - ha sostenuto non essere in realtà affatto insolito che una iniziale richiesta di approfondimento documentale formulata dal team ispettivo possa rimanere non evasa, in tutto o in parte, dalla banca ispezionata senza che ciò abbia riflessi apprezzabili sulla capacità dell'ispezione di giungere/esaustivamente a compimento, qualora si tratti di elementi utili ma non indispensabili all'uopo; e) che egli non ricorda di avere avuto né con il MA. né con il suo subalterno Am. conversazioni vertenti sull'esistenza di una prassi di finanziamenti correlati (e in ogni caso - sempre a detta del teste Sa.: cfr. ad es. pag. 100 della deposizione 18.3.2022 cit. - egli di certo non avrebbe mai intrattenuto da solo siffatte conversazioni poiché ciò esulava dal suo collaudato modus operandi in sede ispettiva; si ricordi al riguardo che nessuno dei componenti il team ispettivo, inclusi i due tirocinanti, ha affermato di avere assistito a conversazioni siffatte); f) che egli in effetti non ebbe alcuna contezza dell'esistenza di una siffatta prassi di finanziamenti correlati fino a quando non fu sentito per la seconda volta - il 17 marzo 2017 - dagli inquirenti, i quali (il teste Sa. lo ribadisce più e più volte in entrambe le deposizioni da lui rese, quella del 21.1.2020 nel presente giudizio e quella del 18.3.2022 nel separato giudizio a carico di So.Sa.) lo spiazzarono - in un'occasione, cfr. pag. 54 della deposizione 21.1.2020, egli usa l'icastica espressione "cascato dal pero" - sottoponendogli in visione documenti da lui indicati come sicuramente mai visti in precedenza; trattasi di documenti relativamente ai quali il P.M. in udienza nel presente giudizio, cfr. pag. 55 deposizione 21.1.2020 cit., ha precisato a sua volta trattarsi della "documentazione consultata dai Consulenti del Pubblico Ministero inerente alle posizioni Ca., Te., Sa., El., mi pare anche Bu. e To.". Oltre alle pagg. 54-55 della deposizione Sa. del 21.1.2020, appena citate, cfr. altresì nello stesso senso le pagg. 87-88 e 98 ibidem. Sempre nello stesso senso si vedano le pagg. 94-95 della deposizione Sa. del 18.3.2022 (in questo caso il P.M. in udienza - cfr pag. 94 ibidem - ha precisato a sua volta che "quello che fu esibito al Teste nel 2017 non è quello che viene richiesto in quella famosa ormai e-mail del 2012"). 10. Rimane, in ultima analisi, insuperato il dato documentale, preciso e puntuale nella sua nuda essenzialità, evidenziato dalla parte civile Banca d'Italia al paragrafo 4., pag. 16, delle sue note di replica depositate in primo grado, il cui tenore sul punto - una volta esaminata in concreto la lista de qua, in atti quale allegato al carteggio via e-mail sub doc. 508 del P.M. - non può che essere condiviso da questa Corte: "(...) la Usta dei 30 principali soci (...) resta l'unico documento agli atti del processo e dalla stessa, come è evidente, non è ricavabile alcuno degli elementi fattuali idonei ad evidenziare il fenomeno nel suo complesso, ma neppure la correlazione dei finanziamenti con l'acquisto delle azioni per quelle specifiche posizioni (...) di tutta la documentazione che Am. asserisce essere stata consegnata all'ispettore Sa. in proposito non vi è alcun riscontro, addirittura non se ne trova neppure traccia nell'elenco della directory che riporta/documenti forniti in ordine cronologico a tutti gli ispettori nel corso degli accertamenti del 2012 (...)". Non esiste infatti, con riguardo ai documenti oggetto del preteso "disvelamento", alcuna comunicazione di tenore analogo al doc. 566 del P.M., corrispondente alla e-mail inviata al team ispettivo di Banca d'Italia il 5-7.2012 ad ore 9,04 dal responsabile dell'internai audit Ma.Bo. (addetto alla gestione del disco-directory dedicato al suddetto team) con la quale si segnalava appunto che - nella directory dedicata sotto Direzione Crediti Ordinari" era stata inserita la lista dei primi 30 soci per numero di azioni detenute. La tesi difensiva non trova riscontri neppure nelle plurime intercettazioni telefoniche di conversazioni intrattenute nel corso del mese di marzo 2017 (come detto fu in tale mese, precisamente il giorno 17, che il teste fu, per la seconda volta in un anno, sentito a s.i.t. dai Pubblici Ministeri vicentini) dall'ispettore Ge.Sa. con vari interlocutori, riportate alle pagg. 701 - 737 della perizia di trascrizione. Trattasi in particolare delle seguenti conversazioni: - n. progr. 19 del 14.3.2017 ad ore 12.19.39 tra Ge.Sa. e "Ca." (presumibilmente trattasi di Ca.Ba., all'epoca capo del Dipartimento Vigilanza Bancaria e Finanziaria della Banca d'Italia) (pagg. 724-729 perizia trascrizione), intercettata sull'utenza del Sa.; ivi quest'ultimo, che ha ricevuto la seconda convocazione in Procura, lo annuncia al suo interlocutore che poi gli chiede notizie di altra ispezione al momento in corso; - n. progr. 115 del 19.3.2017 ad ore 20.22.20 sub RIT 54/17 tra Ge.Sa. e Gi.Sc., capo team dell'ispezione di Banca d'Italia del 2012 (pagg. 701-707 perizia trascrizione), intercettata sull'utenza dello Sc.; la medesima conversazione - della quale il Sa. invero conserva un ricordo quanto mai sbiadito per non dire nullo: cfr. pagg. 90-92 verbale stenotipico d'udienza 21.1.2020 - appare anche, sub RIT 55/17, con il n. progr. 276 del 19,3,2017 (pagg. 710-716 perizia trascrizione), come intercettata sull'utenza del Sa.; ivi quest'ultimo annuncia allo Sc. di essere stato convocato, due giorni prima, per la seconda volta in Procura a Vicenza, al che il suo interlocutore gli replica di esserlo stato per la terza volta e che continuerà a ripetere agli inquirenti sempre le stesse cose già dette loro nelle precedenti occasioni perché altro non vi è da dire. Sa. e Sc. si confermano a vicenda che la loro era stata unicamente un'ispezione sul credito, come tale inidonea a svelare aspetti critici sul ben diverso piano del patrimonio (".. Ge.: dei file, delle cose, Poi se... se,., cioè, francamente, quello che io ho continuato a... ho detto una volta, l'ho detto pure l'ultima volta che quella è un'ispezione sul credito, eh, insomma. - Gi.: Eh, certo. - Ge.: Perché il discorso è che.,. qua le azioni comprate con i prestiti della banca... - Gi.: Eh. - Ge. ...capitale finanziato. Però noi (inc.) sul credito, insomma, se il cliente andava bene tanti approfondimenti non è che... - Gi.: No, assolutamente no. - Ge. (Inc. voci sovrapposte). - Gi.: Assolutamente no. Ma poi credo che quel problema lì sia un problema che sia maturato prevalentemente dopo, cioè dopo le grandi, per effetto della grande ripatrimonializzazione, dopo la (inc.) e dopo... Cioè, non so neanche quanto fosse diffuso, perché non abbiamo fatto degli approfondimenti specifici su quel tema lì. Pronto? ... - Ge.: (Breve interruzione) dei clienti, anche quelli famosi, tipo... erano in due, insomma, poi gli altri francamente non è che mi posso ricordare nomi, cose. Poi in questo caso non tieni un file, non tieni una cosa scritta... - Gi.: Appunto. Appunto ...); - n. progr. 281 del 19.3.2017 ad ore 20.33.11 tra Ge.Sa. e "Ga." (pagg. 717-723 perizia trascrizione), intercettata sull'utenza del Sa.; il "Ga.", come chiarito dal teste Sa. in sede di esame (cfr. pagg. 70 e ss. verbale stenotipico 21.1.2020), è Ga.Pa., collega ispettore di Banca d'Italia (nonché consulente della Procura di Vicenza ma il teste Sa. esclude - v. pag. 70 ibidem - di essere stato a conoscenza di tale ultima circostanza all'epoca della conversazione, benché avesse inteso che il Pa. stava in qualche modo occupandosi in quel momento proprio di B.: "... E ne ho parlato con il collega, il dottor Ga.Pa., io francamente non sapevo... sapevo che il collega si stava occupando della Vicenza, di queste operazioni, non sapevo a che titolo, poi l'ho scoperto dopo"). Anche in questo caso il Sa. sottolinea a più riprese con l'interlocutore (che concorda con tali sue affermazioni, tanto che Sa. si sente in qualche misura tranquillizzato: cfr. pag. 70 verbale stenotipico 21.1.2020) quale fosse l'oggetto, circoscritto alla mera valutazione del credito, dell'ispezione 2012, riferendogli altresì succintamente quanto accaduto in Procura il 17.3.2017, chiedendogli cosa fosse frattanto in concreto emerso (rimanendo con ogni evidenza stupito e all'apparenza frastornato nell'apprendere dal Pa. l'entità del fenomeno dei finanziamenti correlati come in quel momento - cinque anni dopo l'ispezione - risultava accertata a tutto il 2012) e chiedendogli altresì consiglio sulla necessità o meno di avvisare della nuova convocazione in Procura, e del tenore delle s.i.t. da lui rese, anche il proprio superiore gerarchico dott. La.: "(.,.) V.M.: Ah, io son stato... quando è stato? Venerdì mi hanno chiesto: c'erano un po' di operazioni che... di queste baciate, - Ga.; Sì. - V.M.: Però io francamente all'epoca non Cioè, a parte che facendo... facendola sul credito, questi aspetti di capitali, di patrimonio, non li avevamo visti. - Ga.: Eh certo. - V.M.: Cioè non li abbiamo proprio considerati. Ma io un po' non.. veramente non mi ricordavo neanche i nomi... neanche i nomi dei... - Ga. (Inc. voci sovrapposte). - V.M.: Omissis. - n. progr. 107 del 20.3.2017 ad ore 15.11.57 tra Ge.Sa. "Da." (pagg. 730-737 perizia trascrizione), intercettata sull'utenza del Sa.; il "Da.", come chiarito dal teste Sa. in sede di esame (cfr. pag. 73 verbale stenotipico 21.1.2020), è Da.Ca., collega ispettore di Banca d'Italia, fermo restando che anche di tale conversazione col Ca., come già di quella con lo Sc., il Sa. invero conserva un ricordo quanto mai sbiadito per non dire nullo (v. ibidem). In essa ancora una volta il teste Sa. rievoca l'oggetto ristretto (perché circoscritto alla verifica della qualità del credito) dell'ispezione Banca d'Italia 2012, indicandolo come preclusivo di ogni possibile scoperta sul fronte della prassi dei finanziamenti correlati e ricevendo riscontro in tal senso dal suo interlocutore: Omissis Il leit motiv di tali conversazioni è dunque sempre rappresentato dal Sa. che, turbato dal fatto di essere stato convocato in Procura a Vicenza già due volte nel giro di un anno, ripete ad ogni suo interlocutore (tutti colleghi della vigilanza di Banca d'Italia) esattamente quanto - come si è visto supra - i, riferirà poi, tre anni dopo, in sede di esame dibattimentale nel presente giudizio (ribadendolo, altri due anni dopo, anche nel separato giudizio pendente a carico di Sa.So.), ossia: che egli ricordava ben poco dell'ispezione del 2012 presso B. al di là di due singole posizioni peculiari (evidente il riferimento alla posizione Ca.-Lu.); che, in ogni caso quell'ispezione aveva ad oggetto unicamente la verifica della qualità dei crediti, sicché anche le posizioni concretamente esaminate lo erano state unicamente a quel fine; che gli inquirenti in data 17 marzo 2017 gli avevano mostrato documenti, a lui prima ignoti, i quali lo avevano colto dì sorpresa rivelandogli una realtà della quale non aveva avuto minimamente modo dì rendersi conto in sede ispettiva. In nessuna di tali conversazioni captate il Sa. confida all'interlocutore di turno di avere visionato, nel corso dell'ispezione 2012, documenti tali da consentire, all'epoca, la scoperta di una prassi di operazioni di finanziamento correlato, o anche soltanto di avere ricevuto a voce informazioni di sorta in tal senso da chi operava in seno a B.. La difesa ha opinato diversamente con riguardo all'inciso "Poi vedendo le carte effettivamente alcune operazioni baciate c'erano" (conversazione n. progr. 281 del 19,3.2017 tra il Sa. e Ga.Pa.) ma, contestualizzandolo e considerando la frase pronunciata dal Sa. nella sua interezza cioè nel 2012, francamente i nomi non me li ricordavo. Poi vedendo le carte effettivamente alcune operazioni baciate c'erano, ma noi in quella fase lì... veramente avevamo visto solo il credito e basta"), è evidente che le "carte" cui si riferisce nella conversazione n. progr. 281 il Sa. sono - come del resto da lui ribadito, v. ampiamente supra, più e più volte nel corso di entrambi ì suoi esami dibattimentali (quello reso il 21.1.2020 nel presente giudizio e quello reso il 18.3,2022 nel separato giudizio pendente a carico dì Sa.So.) - i documenti, a suo dire mai visti fino a quel momento, esibitigli appena due giorni prima dai Pubblici Ministeri vicentini in data 17.3.2017 in occasione delle seconde s.i.t.. Analogamente il "noi le abbiamo viste" proferito dal Sa. nel corso della conversazione n. progr. 107 del 20.3.2017 con Da.Ca. va contestualizzato ("Ge.: Eh, noi le abbiamo viste... insomma, se avevano problemi di credito, se c'erano trattamenti preferenziali..."), nel senso che - come lo stesso teste Sa. ha spiegato in maniera plausibile e convincente in sede di esame dibattimentale (cfr. pagg. 73-74 verbale stenotipico 21.1.2020), "... io in questa telefonata confermo che noi queste benedette posizioni le abbiamo viste esclusivamente per verificare se c'era un trattamento preferenziale a favore dei soci e a detrimento della banca, e se il merito creditizio di quelle posizioni era coerente con la classificazione in bonis. Questa è la spiegazione alla telefonata". Sul tema del preteso "disvelamento" operato dalla Divisione Crediti, attraverso l'imputato MA. e il suo subalterno Am., nel corso dell'ispezione Banca d'Italia del 2012 resta infine qui da valutare se e in che termini rivesta un effettivo rilievo l'elemento sopravvenuto rappresentato dalla ricostruzione, effettuata dall'imputato Em.Gi. in sede di rinnovazione del suo esame dibattimentale (cfr. in particolare i verbali stenotipici del 15 giugno e del 17 giugno 2022), dell'episodio occorso il 4 luglio 2012 nell'ufficio del D.G. Sa.So., allorquando lo stesso So. ebbe a far chiamare il dipendente Ci.Am., convocandolo ivi - alla presenza di altre persone fra cui Ma.So. e, per l'appunto, il GI. - e apostrofandolo alquanto bruscamente nel chiedergli che cosa avesse egli riferito al team ispettivo. Il difensore del MA. si è ampiamente diffuso, in sede di discussione finale, su tale sopravvenienza (cfr, al riguardo pagg. 27-32 della memoria conclusiva depositata il 30.9-2022 nonché pagg. 72-75 del coevo verbale stenotipico d'udienza). Secondo la difesa si tratterebbe di un elemento assolutamente determinante in favore della tesi del "disvelamento"; un elemento di per sé stesso idoneo, anzi, a corroborare e suffragare tutto quanto sul punto dichiarato dal MA. e dal teste Am.. Così non è. In tale circoscritto segmento del lungo esame da lui reso in grado di appello Em.Gi., come detto, ricostruisce il concitato confronto del 4.7.2012 tra So. e Am., avvenuto nell'ufficio del So.. Più precisamente: - a pag. 13 e indi a pag. 70 del verbale stenotipico del 15.6.2022 dell'esame reso in grado di appello da GI. si legge quanto segue: "C'è stato un episodio abbastanza critico in cui a So. (eravamo in stanza con So.) venne riferito che Ma. e i suoi uomini avevano rappresentato a Banca d'Italia queste - operazioni, e sicuramente al tavolo c'eravamo io e Ma., e forse Tu., con So. e So. si è molto innervosito (che è un eufemismo) con Ma. e i suoi perché non gli avevano detto, non gli avevano riferito che queste operazioni erano state in qualche modo rappresentate a Banca d'Italia. Questa comunicazione arrivò a So., che era un ex Ispettore Banca d'Italia, e che riferì a So. proprio questo fatto. (...) PARTE CIVILE, AVV. VE. - Un'altra domanda in relazione a quanto è stato riferito circa il dottor So. si sarebbe arrabbiato quando ha saputo che Ma. e altri avevano rappresentato a Banca d'Italia alcune operazioni; a che operazioni si riferiva? IMPUTATO GI. - A una trentina di operazioni baciate che Banca d'Italia aveva chiesto alla Divisione Crediti nelle persone di Ma. e Am. da parte, credo, di Sa.; operazioni baciate tipo Ca., se ricordo bene. "; - a pag. 7 e ss, del verbale stenotipia) del 17.6.2022 GI. ribadisce tale narrazione (correggendosi solo con riguardo alla previamente da lui riferita presenza di MA., in realtà quel giorno pacificamente assente) dichiarando quanto segue: "IMPUTATO GI. - Allora, diciamo che le cose sono andate in questo modo, Non so se mi sono confuso o meno, però ritengo che abbia detto le cose che sto dicendo, però le ripeto per essere estremamente chiaro e preciso. E cioè: ci fu un incontro, in una di queste riunioni di direzione e comitati, con So., e c'era anche So., arrivò una telefonata a So.; So. parlò con So., e So. si innervosì particolarmente perché ci disse che Am. aveva in qualche modo interloquito con Banca d'Italia su una trentina di posizioni baciate. A quel punto So. chiese a tutti di chiamare Ma., che non era in Banca, lo chiese a tutti i partecipanti a quella riunione, io chiese anche a me. Ma Ma. era irraggiungibile. A quel punto chiese alla Segreteria di chiamare Am.; Am. entrò della stanza di So. e fu maltrattato da So., maltrattato pesantemente perché non si doveva permettere di parlare con Banca d'Italia di queste operazioni. Ma. era irraggiungibile, quindi venne chiamato Am.. Questo è il fatto avvenuto nella stanza di So.. Non so se intendesse questo, Avvocato. DIFESA, AVV. Ro. - Sì, perché l'altra volta lei aveva fatto il nome di Ma., non di Am.. Questo è l'appunto che mi ero fatto io. IMPUTATO GI. - No, no, Ma. fu chiamato, ma non partecipò a quell'incontro. DIFESA, AVV. Ro. - Esatto, l'interlocutore fu Am.. IMPUTATO GI. - Fu Am., si DIFESA, AVV. Ro. - Lei ha capito chi era l'autore della telefonata che riceve So. e il contenuto della quale viene trasmigrato a So.? IMPUTATO GI. - Uno degli Ispettori di Banca d'Italia, però non so di chi trattasse, perché non disse il nome So.. DIFESA, AVV. Ro. - Però, che fosse uno del team ispettivo è pacifico? IMPUTATO GI. - E' pacifico, sì". Ebbene, in realtà il GI. si limita a riferire ivi i seguenti eventi occorsi in sua presenza e da lui direttamente percepiti: a) Ma.So. riceve una chiamata (con ogni evidenza proveniente da un componente del team ispettivo di Banca d'Italia, organismo da cui lo stesso So. proveniva continuando a intrattenere rapporti assai amichevoli con alcuni ispettori: ne fa invero menzione anche il teste Am. alla pag. 97 del verbale stenotipico d'udienza 11.2.2020, ivi ipotizzando, in effetti, che potesse essere stato proprio il So. ad avvisare il So. circa l'incontro avuto il giorno prima da Am. con l'ispettore Sa.); b) subito dopo aver ricevuto tale chiamata (il cui contenuto ovviamente è ignoto al GI.) Ma.So. interloquisce con Sa.So.. Si badi - e ciò è appena evidente leggendo il soprastante passo dell'esame 17.6.2022 di GI. - che quest'ultimo, in realtà, ignora non solo il tenore della telefonata ricevuta dal So. ma finanche il contenuto effettivo della susseguente conversazione So./So.. E' unicamente il So. che sceglie di descrivere agli astanti quanto appena riferitogli annunciando loro che "Am. ha in qualche modo interloquito con Banca d'Italia su una trentina di posizioni baciate", laddove quanto occorso nel suo ufficio il 4 luglio 2012 è in realtà del tutto compatibile anche con l'avere l'Am. interloquito con l'ispettore Sa. unicamente sulla singola posizione Ca. - Lu. (interlocuzione, questa, che - v. infra - è effettivamente documentata in atti). Al riguardo può darsi che il GI., stante la concitazione del momento, non sia stato poi in grado di ricordare l'episodio con assoluta esattezza (anche e soprattutto perché esso non lo coinvolgeva direttamente in prima persona né coinvolgeva direttamente la Divisione Mercati da lui capeggiata, bensì la Divisione Crediti; ed invero in prima battuta il GI. ha creduto pure di ricordare, cfr. verbale stenotipico 15.6.2022, che fosse presente il MA., salvo correggersi all'udienza successiva del 17.6,2022); può tuttavia darsi, invece, che il So. e/o il So., sempre nella concitazione, avessero realmente frainteso la comunicazione proveniente dal team ispettivo di Banca d'Italia; o infine può anche darsi che il predetto So. avesse esagerato apposta, di sua iniziativa, nel riassumere agli astanti quanto udito al telefono dal So. (che prontamente glielo aveva riportato), e ciò magari al fine di poter più efficacemente "maltrattare" in pubblico il frattanto convocato Am. sì da indurlo a ben comprendere, in via preventiva e una volta per tutte, cosa egli non avrebbe mai dovuto riferire al team ispettivo. Sta di fatto - e ciò è un dato del tutto pacifico - che nemmeno l'imputato MA. nè il teste Am. si sono mai lontanamente spinti a sostenere, in sede dibattimentale (l'Am. non lo ha fatto neppure nel separato procedimento pendente a carico di Sa.So.: cfr, pagg. 40-41 e 93-99 del relativo verbale stenotipico 8.3.2022), che tutti e 30 i nomi della lista scritta dei primi soci per numero di azioni detenute, fatta avere at team ispettivo, corrispondessero ad altrettante operazioni di finanziamento correlato. Tanto il MA. quanto l'Am. hanno infatti sempre sostenuto di avere detto al team ispettivo (circostanza, tuttavia, per tutto quanto detto sopra, non riscontrata) che la metà circa di tali posizioni corrispondeva a operazioni di finanziamento correlato. Basti, del resto, soffermarsi sul fatto che quella "lista dei 30 primi soci" annoverava per certo anche nominativi di grossi azionisti, come ad esempio Am., mai resisi destinatari di finanziamenti correlati; tale ultima circostanza è confermata proprio dall'imputato GI. (in questo caso con la piena cognizione di causa derivantegli dal suo ruolo di responsabile della Divisione Mercati) in altra parte del suo esame reso nel presente grado di giudizio: cfr. al riguardo pag. 17 verbale stenotipico 15.6.2022, esame di Em.Gi. reso in grado di appello: ma c'erano anche degli impieghi, ad esempio, ad Am. che non aveva mai fatto baciate; ma ovviamente andargli a dire: "ti alziamo i tassi", Am. ti vendeva le azioni, quindi era comunque un problema". Finanche il teste Am. afferma costantemente, tanto nel presente giudizio così come in quello pendente a carico di Sa.So., che, al momento del tormentato rendez vous con il D.G. So. (il quale gli si era rivolto con tono aggressivo alla presenza di GI., di So. e di alcune altre persone intimandogli di dire cosa avesse riferito agli ispettori) egli aveva parlato funditus con l'ispettore Sa. soltanto della posizione Ca.-Lu., per il resto limitandosi - a suo dire - a raccontargli a voce, genericamente, che quella posizione (concretamente connotata da un ordine di acquisto azioni anteriore di alcuni giorni alla delibera del CdA di erogazione del finanziamento di 21 milioni di Euro successivamente emessa, in ddta 20.12.2011, sulla base di una P.E.F. del 19-12.2011, nonché connotata dall'addebito sul conto Ca.-Lu., avvenuto in data 30.12.2011, del pressoché coincidente importo di Euro 20.038.400,00= per comprare azioni B.) non era un episodio isolato. Si vedano, sul punto, le pagg. 96-97 del verbale stenotipico 11.2.2020 (deposizione resa dal teste Am. in primo grado). In effetti, se vi è un singolo punto della contraddittoria deposizione del teste Am. in sé dotato di intrinseca coerenza (e, soprattutto, di riscontri documentali), esso attiene all'essersi egli interfacciato con l'ispettore Sa., nella data del 3 luglio 2012 (giorno precedente alla sua tumultuosa convocazione ad opera di Sa.So. originata dalla telefonata di un componente del team ispettivo ricevuta da Ma.So.), a proposito della posizione Catta neo-Lu., esaminata dal Sa. in quanto facente parte dell'originario elenco di 100 nominativi inizialmente fornito al team ispettivo e connotata, oltre che dalla coincidenza di importi, dalle peculiari sfasature temporali di cui poco sopra si è detto. Sempre l'Am. ha sostenuto, in entrambe le sue deposizioni, che il Sa. in data 3 luglio 2012 gli chiese, per integrare le proprie cognizioni su tale posizione, la copia dell'ordine di acquisto delle azioni e che egli, ottenutolo tramite il collega Fi.Ro. della Gestione Soci, lo fece avere - sempre in data 3 luglio 2012 - all'ispettore, il quale, esaminandolo, gli evidenziò l'anomalia dell'anteriorità dell'ordine di acquisto suddetto rispetto alla data della P.E.F. e della susseguente delibera del CdA. I riscontri documentali a tale circoscritto segmento della deposizione Am. si rinvengono, oltre che nel già citato doc, 509 del P.M., nei docc. 506 e 507 del P.M., corrispondenti il primo a una e-mail inviata dall'Am. all'ispettore Sa. in data 3 luglio 2012 e il secondo alla successiva trasmissione in pari data all'Am., da parte del suo collega Ro., dell'ordine di acquisto azioni posto in essere il 16.12.2011 dai coniugi Ca.Lo. e Lu.Ro.: - doc. 506: e-mail inviata da Ci.Am. martedì 3 luglio 2012 ad ore 13.12 a Ge.Sa., avente quale oggetto "NOMINATIVO (...) Ca.Lo. LU.RO.", del seguente tenore: - Gent.mo Dottore, sono passato per fornirle la risposta ma ipotizzo che fosse a pranzo. Quando sarà libero ripasserò. Andrò a pranzo tra le 14.00 e le 1430. Mi faccia sapere. Cordiali saluti"; - doc. 507: e-mail inviata da Fi.Ro. martedì 3 luglio 2012 ad ore 17.01 a Ci.Am., avente quale oggetto "Azioni Bp. - Ca./Lu.", del seguente tenore: "Cl., in allegato copia degli ordini di acquisto dei nominativi in oggetto (...)"; - doc. 509: e-mail inviata da Ge.Sa. a Ci.Am. mercoledì 4 luglio 2012 ad ore 15.47, testualmente intitolata "RICH IO. ACQUISTO AZIONI NPOPVI" ed avente il seguente tenore: "Gent.mo dr Am., faccio riferimento alfa verifica sugli azionisti B. che, allo stesso tempo, sono affidati dalla banca. Le chiedo cortesemente di verificare se per i nominativi indicati in calce (El.Sr., Te.Sa., Br.Fu.) - analogamente a quanto effettuato per i signori Ca. e Lu. - le date di acquisto delle azioni Po. e il tipo di provvista utilizzata". Lo stesso teste ispettore Ge.Sa., in entrambi i suoi esami dibattimentali, pur dichiarando di non ricordare bene il tenore delle sue interlocuzioni con l'Am., ha affermato di ritenere "probabile", proprio alla luce delle anzidette e-mail, che vi fosse stata una interlocuzione fra sé e l'Am. riguardo alla posizione Ca.-Lu., ma ciò sempre e solo in un'ottica finalizzata (nel perimetro circoscritto dell'accertamento ispettivo) alla verifica del rischio e del merito creditizio, destandogli sospetto in tal senso la peculiare sfasatura temporale riscontrata tra la data dell'ordine di acquisto azioni, la delibera di fido del CdA e l'effettivo acquisto delle azioni per pressoché pari ammontare: cfr. al riguardo rispettivamente pag. 67 del verbale stenotipico 21.1.2020 nonché pag. 100 del verbale stenotipia) 8.3.2022 nel separato procedimento a carico di Sa.So.. In ultima analisi non è affatto dimostrato che la telefonata fatta da un qualche componente del team ispettivo in data 4 luglio 2012 a Ma.So. (che per parte sua nulla ha detto al riguardo nel corso del suo esame) vertesse su qualcosa di diverso dalla certa e documentata interlocuzione Sa./Am. sulla singola posizione Ca.-Lu.; interlocuzione a sua volta originata, peraltro (e sul punto le affermazioni del teste Sa. sono in sé plausibili, come detto), dall'esigenza di verificare l'affidabilità e la solvibilità di soggetti che presentavano la "stranezza" estrema di un ordine di/ acquisto azioni effettuato prima ancora di disporre della provvista necessaria, il che, nell'ottica dell'ispezione del 2012 mirata alla valutazione del rischio di credito, poteva senz'altro rappresentare un forte indice di allarme circa "essere stato loro riservato un trattamento dì favore per nulla meritato". Totalmente destituito di fondamento - e in alcun modo conforme all'effettivo contenuto, sopra passato in rassegna, delle dichiarazioni rese da Em.Gi. sull'argomento - è dunque l'assunto della difesa secondo cui il GI. "ricorda come siano state mostrate una trentina di posizioni con 234 milioni di finanziato" (cfr. pag. 30 memoria conclusiva depositata dalla difesa MA. il 30.9.2022). Alla stregua del complesso di considerazioni fin qui svolte merita dunque piena condivisione la conclusione, cui è giunto il tribunale berico, circa la mancata prova del preteso "disvelamento" al team ispettivo - da parte dell'imputato MA. e/o del teste Ci.Am., suo subalterno - di una prassi concernente la stipula di una serie di operazioni di finanziamento correlato. D'altra parte osserva questa Corte che il preteso - ma nient'affatto provato, per tutto quanto detto - "disvelamento" spontaneo agli ispettori di Banca d'Italia, da parte del MA. e dell'Am. nel luglio 2012, di 14 posizioni di finanziamento correlato (in un momento in cui il team ispettivo aveva manifestato perplessità solo in ordine alla singola posizione Ca.-Lu. in quanto connotata dall'essere stato effettuato l'ordine di acquisto azioni prima ancora di entrare nella disponibilità della relativa provvista) costituirebbe oltretutto una circostanza per nulla coerente con quello che invece risulta essere stato, secondo quanto già visto supra l'atteggiamento ben preciso e reiterato del MA. nel corso degli anni, improntato (in maniera, viceversa, del tutto coerente con la sua dimostrata piena consapevolezza del mancato scomputo delle operazioni correlate dal patrimonio dì vigilanza) a una costante raccomandazione nel senso di evitare di allertare gli organismi di vigilanza circa l'effettuazione stessa delle operazioni "baciate". Vanno infine disattese le considerazioni svolte dalla difesa del MA. alle pagg. 149-154 dell'atto di appello sotto la rubrica "COMPREHENSIVE ASSESSMENT EASSET QUALFTY REVIEW", che è il solo paragrafo dell'atto impugnazione concernente le interlocuzioni con la vigilanza avute dall'imputato dopo l'ispezione di Banca d'Italia del 2012 e prima del suo trasferimento (avvenuto in data 18.12.2014) alla siciliana Ba.Nu.. A tale tema sono dedicate per la specifica posizione MA. le pagg. 692-693 della gravata sentenza (mentre una sua più diffusa trattazione, non concernente il solo MA., è contenuta nel cap. IX della stessa sentenza, cfr, in particolare le sue pagg. 476-519); ivi si evidenzia efficacemente quale sia stato, rispettivamente nel 2013 e nel 2014, l'atteggiamento - del tutto silente quanto al fenomeno delle operazioni di finanziamento correlato - tenuto dal MA. durante le sue interlocuzioni con i testi Ma.Pa. e Vi.Ca. in base alle deposizioni dei predetti (esame Pa.: cfr, verbali stenotipia d'udienza 28.11.2019 e 29.11.2019, con particolare riguardo - per le interlocuzioni avute con il MA. - alle pagg. 8-9 del verbale 29.11.2019, nonché cfr, appunto in atti sub doc. 451 del P.M., a firma dello stesso Pa., acquisito al fascicolo del dibattimento; esame Ca.: cfr. verbale stenotipico d'udienza 16.1.2020, con particolare riguardo - per le interlocuzioni avute con il MA. - alla sua pag. 41). Ebbene, la difesa, nell'indicato paragrafo dell'articolato primo suo motivo di appello, non si confronta minimamente con le ora illustrate emergenze processuali se non per rivendicare: - il carattere non ispettivo, bensì di mero esercizio avente natura prevalentemente prudenziale e non contabile, dell'AQR; - l'impossibilità per il MA. di riferire, in tali sedi, circa fenomeni (gli storni, le lettere di impegno) di cui egli, come detto nel suo esame, v. saprà, avrebbe appreso solo nel 2015 una volta uscito da B.. Nessuno di tali argomenti ha pregio. Sotto il primo dei due profili si veda anzitutto la definizione che dell'AQR fornisce la Banca d'Italia nella sua "nota tecnica sulle modalità di conduzione dell'esercizio di valutazione approfondita (Comprehensive Assessment)" datata 26 ottobre 2014 (...), ove da un lato-lato - come evidenzia l'appellante - afferma trattarsi di un "esercizio di natura prevalentemente prudenziale, non contabile", ma dall'altro lato evidenzia, fra le altre cose, che "l'AQR può comportare esigenze di capitale, qualora gli accantonamenti addizionali (che derivano o da un insufficiente provisioning sulle posizioni già classificate come deteriorate o dal passaggio da posizioni in bonis verso non deteriorate) portino il coefficiente di patrimonio di migliore qualità (CET1 ratio; al di sotto della citata soglia dell'8 per cento". Del resto lo stesso teste Ca. ha chiarito a più riprese non trattarsi, tecnicamente, di un'ispezione (v. ad esempio, con particolare forza, a pag. 55 del verbale stenotipico cit.) precisando nondimeno (v. pag. 34 ibidem) che "... tutto il 2014, come probabilmente molti sanno, è stato... l'attività di vigilanza è stata impegnata, non solo in Italia ma anche negli altri Paesi europei, a svolgere questo Comprehensive Assessment, che avrebbe dovuto essere, sostanzialmente, un esercizio che chiariva con estrema precisione quali fossero esattamente I problemi del sistema bancario europeo, che creasse, come dire, un livello comune tra tutti i Paesi europei che fino allora avevano delle norme, prassi, legislazioni assolutamente disparate, e che si concludesse con una comunicazione in qualche modo al mercato delle eventuali esigenze di capitale che sarebbero emerse da questo esercizio. Nell'ambito di questo Comprehensive Assessment, che ha impegnato praticamente tutte le strutture della Banca d'Italia, è stato previsto anche un accesso, che in Italia è stato fatto essenzialmente da ispettori e da membri delle società di revisione, presso le banche per compiere una parte di questo Comprehensive Assessment, che è la cosiddetta "Asset Quality Review", ossia una revisione degli attivi delle banche che in realtà si è indirizzato, si è focalizzato prevalentemente nell'esame dei crediti Trattasi dunque, in ogni caso, inequivocabilmente, dello svolgimento di un'attività rientrante a pieno titolo nella nozione di "vigilanza", come ancor più efficacemente esplicitato dallo stesso teste Ca. più avanti nel corso del suo esame nell'illustrare le possibili ed eventuali concrete conseguenze pregiudizievoli, per l'istituto di credito, degli esiti di detto esercizio (v. pag., 60 ibidem): "TESTIMONE CA. - No, il modello... Attenzione. No, io ho detto, vorrei essere preciso, io ho detto: attenzione che la costruzione dell'Asset Quality Review, molto mirata al segmento creditizio, inevitabilmente e più, come dire, blanda, queste parole del Governatore, non mie, sotto il profilo della finanza, sicuramente finisce per essere più pericoloso per un intermediario tradizionale, per un mondo bancario tradizionale come quello italiano che per quello estero. A noi, tutto sommato, se l'Asset Quality Review fosse stata improntata a una severa analisi dell'attività finanziaria delle banche, le banche italiane ne sarebbero uscite alla grande perché non hanno di fatto... perché fanno un lavoro un po' più normale le banche italiane". Sotto il secondo dei due profili basti infine ricordare come supra si sia ampiamente argomentato circa la non rispondenza al vero dell'assunto del MA. secondo cui sarebbe giunto a conoscenza dell'esistenza degli storni e delle lettere di impegno solo nel 2015 una volta uscito da B.. Il trattamento sanzionatorio Sulla scorta delle considerazioni sin qui esposte l'imputato Pa.Ma. va dichiarato assolto: - dai reati di falso in prospetto di cui ai capi I e L per non aver commesso il fatto; - dai reati di ostacolo alla vigilanza di cui ai capi H1 e M1, limitatamente alle condotte ascrittegli come successive al 18.12.2014, per non aver commesso il fatto, fermo restando che, quanto al capo M1 (e analogamente è a dirsi per il capo B1), si ritiene integrata - v. parte generale della presente sentenza, par. 9 - la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c.. Va altresì dichiarato non doversi procedere nei confronti del predetto MA. - limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014 - in ordine ai delitti di aggiotaggio (come sopra si è detto ridotti nel numero, ossia da sedici a quattro) ascrittigli al capo Al, e ciò per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione; si impone invece nei suoi confronti la declaratoria di penale responsabilità per quanto residua della contestazione di aggiotaggio, atteso l'apporto causale comunque fornito dall'imputato - in relazione ad essa - anteriormente alla cessazione del rapporto dì lavoro con B. avvenuta in data 18.12.2014. Ciò detto, non v'è spazio per il riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di prevalenza, ostandovi l'entità eclatante dei danni cagionati e non emergendo elementi (ulteriori rispetto a quelli già valorizzati ex art. 133 c.p.) all'uopo proficuamente spendibili. Conseguentemente stima questa Corte equo determinare la sanzione complessiva nella misura di anni tre mesi quattro giorni quindici di reclusione, così determinata: pena base in relazione al reato di cui al capo H1, più grave, anni due mesi sei di reclusione (stante l'assoluzione del MA. da tale capo limitatamente alle condotte ascrittegli come successive al 18.12.2014), aumentata di complessivi mesi dieci e giorni 15 per i reati satellite (con aumenti, segnatamente, di mesi uno e giorni 15 per ciascuno degli ulteriori, reati di ostacolo dì cui ai capi B1, C1, D1, E1, F1 e G1; di mesi uno per il reato di ostacolo sub capo M1 stante la sua assoluzione da tale capo limitatamente alle condotte ascrittegli come successive al 18.12.2014; di giorni 15 per il residuo reato di aggiotaggio sub A1). Questo con la precisazione che l'aumento per la continuazione, nella misura di mesi uno e giorni quindici di reclusione (mesi uno per il solo capo M1 a cagione della parziale assoluzione del MA. da esso), in relazione ai reati di ostacolo di cui a ciascun capo di imputazione, consegue alla individuazione di un solo reato, anziché di due episodi delittuosi, per ogni annualità di riferimento, donde la riduzione alla metà dell'aumento, pari a mesi tre di reclusione, già individuato dal primo giudice. Deve infatti evidenziarsi, come già detto saprà, che in maniera del tutto illogica e incoerente il primo giudice, senza spiegarne le ragioni, ha applicato la medesima pena sia con riferimento agli anni per i quali ha individuato una duplicità di reati, sia per gli anni nei quali ha invece ravvisato la sussistenza di un unico reato (aumento di mesi tre di reclusione), provvedendo, però, poi, a diversificare in concreto la pena negli anni in cui ha ravvisato una duplicità di violazioni, anni nei quali ha invece quantificato in un mese e quindici giorni di reclusione la pena per ciascun reato, con la conseguenza che, in modo assolutamente irrazionale, è stata applicata alternativamente una pena diversa (a volte mesi tre di reclusione e a volte giorni quarantacinque di reclusione) per violazioni che palesemente rivestono sempre il medesimo disvalore. Donde la necessità, per il giudice di appello, al fine di riportare a coerenza la determinazione della pena, dì applicare un trattamento sanzionatorio omogeneo per tutte le violazioni commesse nei diversi anni, con conseguente quantificazione della pena, in assenza di impugnazioni della Procura riguardo al trattamento sanzionatorio, in quella, di misura minore, di mesi uno e giorni quindici (mesi uno per il solo capo M1 a cagione della parziale assoluzione del MA. da esso), ovvero in quella che in alcuni casi è stata individuata come pena equa da parte del primo giudice. L'aumento per la continuazione in relazione all'episodio residuo di aggiotaggio, infine, resta invariato. Va conseguentemente revocata nei confronti dell'imputato MA., stante la determinazione della pena base per il capo H1 in anni due mesi sei di reclusione, la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici, posto che - notoriamente - ai fini dell'applicazione della suddetta pena accessoria, in caso di più reati unificati sotto il vincolo della continuazione, occorre fare riferimento alla misura della pena base stabilita in concreto per il reato più grave, come risultante a seguito dell'eventuale diminuzione per la scelta del rito, qui non ricorrente, e non già alla pena complessiva risultante dagli aumenti operati a titolo di continuazione (cfr., ex multis, Cass. Pen. Sez. 5, n. 28584 del 14/03/2017, Di Corrado e altri; Cass. Pen. Sez. 7, n. 48787 del 29/10/2014, Di Tana e altri). 14.1.3. L'appello nell'Interesse di Pi.An. Il gravame proposto dalla difesa di Pi.An. è parzialmente fondato; ciò con riguardo alle considerazioni già svolte nella soprastante parte generale - par. 8 - quanto al numero effettivo di reati di aggiotaggio ravvisabili nelle condotte contestate dall'Accusa. Nelle restanti sue parti il gravame del PI. è infondato, fermo restando che, quanto ai capi I e L di rubrica - corrispondenti ad altrettante fattispecie di falso in prospetto contestate come commesse nelle date del 10 giugno 2013 e del 9 maggio 2014 - risulta maturato il termine di prescrizione, con conseguente pronuncia di non doversi procedere - in relazione a tali due capi - per sopravvenuta loro estinzione. Preliminarmente va dato atto che sono già state approfonditamente vagliate e decise da questa Corte, vuoi nella propria ordinanza 18.5.2022 vuoi nella suestesa parte generale della presente sentenza, alle quali dunque senz'altro si rinvia in toto, le seguenti questioni trattate dalla difesa PI. nel suo atto di appello e nei motivi nuovi depositati il 5.4.2022: - eccezione di nullità della richiesta di rinvio a giudizio e degli atti conseguenti per nullità della notifica dell'avviso ex art, 415 bis c.p.p, in relazione ai reati relativi ai fatti concernenti l'anno 2015 di cui ai capi M1 e N1 (eccezione sollevata dalla difesa PI. in grado di appello - associandosi a quella analoga già svolta in precedenza dalla difesa MA. - all'udienza del 16 maggio 2022); si veda l'ordinanza 18 maggio 2022; - eccezione di incompetenza territoriale (cfr. paragrafo 11 dell'atto di appello, pagg. 146 e ss., nonché motivi nuovi d'appello): si veda la parte generale della presente sentenza, pan 7; - eccezione di non acquisibilità e, comunque, di inutilizzabilità del file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014 (cfr. paragrafo 3.9 dell'atto di appello, pagg. 90 e ss.): si veda l'ordinanza 18 maggio 2022; - richiesta subordinata di espletamento di una perizia sull'anzidetto file audio (cfr. paragrafo 3.9 dell'atto di appello, pag. 93): si veda l'ordinanza 18 maggio 2022; - eccezione di formale inutilizzabilità processuale delle deposizioni rese dai testimoni Al.Ma., Pi.Ra., Ma.So., Ro.Ri. e Fi.Ro. per violazione degli artt. 210 e 192 comma 3 c.p.p. in quanto soggetti indagabili per reato connesso o che addirittura, nel caso del teste Ma., sarebbero già indagati, secondo la difesa, per reato connesso (cfr. paragrafo 2 dell'atto di appello, pagg. 8 e ss., nonché motivi nuovi d'appello): si veda l'ordinanza 18 maggio 2022; - eccezione di violazione del principio nemo teneturse detegere (cfr. paragrafo 10 dell'atto di appello, pag. 146, nonché motivi nuovi d'appello) e del principio del ne bis in idem sostanziale (cfr. motivi nuovi d'appello): si veda la parte generale della presente sentenza, par. 11. Al netto di tali questioni si può dunque passare alla trattazione delle seguenti residue parti dell'atto di appello nonché dei motivi nuovi di appello (questi ultimi invero, per tutto quanto fin qui detto, rimangono di fatto circoscritti, ormai, alla valutazione dell'attendibilità, nonché della coerenza intrinseca ed estrinseca, delle deposizioni - pienamente utilizzabili, giusta ordinanza 18.5.2022 di questa Corte - rese dai testimoni Al.Ma., Pi.Ra., Ma.So., Ro.Ri. e Fi.Ro.): - primo motivo (par. 1, pagg. 4-7 dell'atto dì appello): nullità della gravata sentenza per violazione degli artt. 121, 178 comma 1 lett. c) e 546 c.p.p., per omessa considerazione delle argomentazioni difensive, con particolare riguardo a quelle esposte nelle note d'udienza del 19.1.2021; - secondo motivo (par. 2, pagg. 8-15 dell'atto di appello): carenza assoluta di motivazione in ordine alla valutazione - operata dal tribunale - di attendibilità e coerenza, intrinseca ed estrinseca, delle deposizioni rese dai testimoni Al.Ma., Pi.Ra., Ma.So., Ro.Ri. e Fi.Ro.; - terzo motivo (par. 3 articolato nei sotto-paragrafi 3.1-3,10, pagg. 15-97 dell'atto di appello): malgoverno delle prove da parte del primo giudice con/ riguardo a tutte le ipotesi di reato per le quali l'imputato ha riportato condanna; - quarto motivo (par. 4, pagg. 98-103 dell'atto di appello): nullità della sentenza di primo grado ai sensi dell'art. 522 c.p.p. in relazione all'art. 521 c.p.p. con riguardo agli investimenti nei fondi esteri Op. e At., non essendo tali condotte ricomprese, in tesi difensiva, in alcuno dei capi d'imputazione; - quinto motivo (par. 5, 6, 7, 8, pagg. 103-139 dell'atto di appello): contestazione anche nel merito, in subordine, della fondatezza dell'accusa con riguardo agli investimenti nei fondi esteri Op. e At.; - sesto motivo (par, 9, pagg. 139-142 dell'atto di appello): insussistenza di un concorso del PI. nell'asserita "prassi" dell'effettuazione in seno a B., ad opera di Divisioni non rientranti nella competenza dell'imputato, di operazioni di finanziamento correlato (c.d. "operazioni baciate"); insussistenza di un suo concorso ex art. 110 c.p.p., conseguentemente, nei reati di aggiotaggio, di manipolazione tanto informativa quanto operativa, di ostacolo alla vigilanza e di falso in prospetto; in subordine mancata prova dell'elemento soggettivo dei reati stessi; - settimo motivo (par, 10, pagg. 142-146 dell'atto di appello): trattamento sanzionatorio. Tali motivi, come detto, non sono fondati (tranne quanto già detto supra circa il numero effettivo di reati di aggiotaggio ravvisabili nelle condotte contestate dall'Accusa - con ogni relativa conseguenza - e salva restando la declaratoria, in ordine ai capi I e L riguardanti altrettante fattispecie di falso in prospetto, di non doversi procedere per intervenuta prescrizione). Per esigenze di migliore organizzazione espositiva si procederà anzitutto alla trattazione delle eccezioni di nullità costituenti l'oggetto dei motivi rispettivamente primo e quarto, passando indi a una trattazione congiunta, articolata secondo i singoli filoni di concreta operatività contestati all'imputato dall'Accusa, dei motivi secondo, terzo, quinto e sesto fino a concludere con il trattamento sanzionatorio (settimo motivo). 14.1.3.1. L'eccezione di nullità della gravata sentenza per violazione degli artt. 121, 178 comma 1 lett. c) e 546 c.p.p.. L'eccezione è infondata. Anche a voler prescindere, infatti, da ogni considerazione in ordine alla sussistenza o meno, nel percorso argomentativo seguito dal primo giudice, di una implicita valutazione delle considerazioni che la difesa aveva consegnato alla memoria depositata il 19.1.2021 (e, più in generale, degli elementi probatori che la medesima difesa aveva introdotto ritenendoli meritevoli di valutazione con riferimento alla posizione processuale dell'imputato PI.) è decisivo osservare come, al di là di isolate e risalenti pronunce di segno contrario (oltre a Cass. Pen. Sez. 1, n. 31245 del 7.7,2009, Pa., constano le sentenze Cass. Pen. Sez. 6, n. 13085 del 3.10.2013 dep. 20.03.2014, Am. e altri; Cass. Pen. Sez. 1, n. 37531 del 07.10.2010, Pi.; Cass, Pen. Sez. 1, n. 45104 del 14.10.2005, Ru.; Cass. Pen. Sez. 1, n. 23789 del 06.05.2005, Ma.), costituisca opinione oramai consolidata nella più recente giurisprudenza di legittimità quella secondo cui la mancata valutazione di memorie difensive (e, più in generale, di elementi probatori valorizzati dalla difesa) non costituisca affatto causa di nullità della sentenza impugnata bensì possa unicamente integrare un vulnus alla congruità e alla correttezza logico-giuridica della relativa motivazione, pregiudicandone la tenuta (cfr. - fra le moltissime - Cass. Pen. Sez. 1, n. 26536 del 24/06/2020, Ol.; Cass. Pen. Sez. 5, n. 24437 del 17.1.2019, Ar.; Cass. Pen. Sez. 3, n. 23097 dell'8.5.2019, Ca.; Cass. Pen. Sez. 4, n. 18385 del 9.1.2018, Ma. e altro; Cass. Pen. Sez. 2 n. 14975 del 16.3.2018, Tr. e altri; Cass. Pen. Sez. 3, n. 5075 del 13.12.2017 dep. 2.2.2018, Bu. e altri; Cass. Pen. Sez. 5, n. 51117 del 21,9,2017, Ma.; Cass. Pen. Sez. 5, n. 4031 del 23.11.2015 dep. 29.01.2016, Gr.), e, in tal guisa, fondare ragioni di critica destinate "ove debitamente riproposte nell'atto di appello, com'è avvenuto in questo caso - ad essere adeguatamente considerate dal giudice dell'impugnazione. Ad avviso dì questa Corte trattasi di orientamento del tutto persuasivo (oltre che, ormai, largamente maggioritario e più aggiornato) in quanto coerente per un verso con il principio della tassatività delle nullità e per altro verso con la funzione, propria delle memorie difensive (sulle quali, peraltro, diversamente da quanto previsto per le "richieste", non è previsto l'obbligo per il giudice di provvedere, ex art. 121, co. 2, c.p.p.), di ampliamento non già dell'ambito della decisione bensì della relativa argomentazione. A ciò consegue il rigetto della sollevata eccezione di nullità. 14.1.3.2. L'eccezione di nullità della gravata sentenza ex art. 522 c.p.p. in relazione all'art. 521 c.p.p. con riguardo agli investimenti nei fondi esteri Op. e At.. L'eccezione di nullità in esame si basa sul fatto che tali specifiche manifestazioni dell'operatività del PI. (sulle quali ci si diffonderà ampiamente infra passando, nel par. 14,1.3.5., all'esame del merito), avendo natura di investimento in fondi esteri unknown exposure e non già natura di erogazione di finanziamenti a soggetti terzi, in nessun modo potrebbero rientrare nell'ambito dei capi d'imputazione formulati a suo carico (il cui testo unicamente all'attività di finanziamento si riferisce), e ciò anche volendo ritenere - seguendo la tesi accusatoria - che attraverso tale investimento in fondi esteri si sia, di fatto, dato vita a una forma di detenzione indiretta di azioni B. (non seguita dallo scomputo integrale del controvalore di esse, viceversa in tal caso dovuto, dal patrimonio di vigilanza). Ritiene questa Corte che l'eccezione di nullità vada disattesa. In primo luogo va osservato che gli apparenti "investimenti" finanziari operati nel 2012 da B. e nel 2013 dalla sua controllata irlandese Fi. nei fondi esteri Op. 1 e 2 e At. non possono definirsi come effettivi investimenti finanziari dal momento che i suddetti fondi, anche al di là del loro essere unknown exposure, sono soprattutto risultati essere non già ordinari fondi collettivi OICVM (caratterizzati da una pluralità dì investitori in essi) bensì entità con riguardo alle quali la stessa B. (ovvero, nel caso di Op., la sua controllata irlandese Fi.) era l'unico "investitore", rectius l'unico soggetto ad iniettare denaro nei loro comparti, i quali peraltro - si badi - alla banca stessa erano, a loro volta, dedicati. Si veda al riguardo - rinviandosi, per una assai più dettagliata disamina, all'esame del merito che verrà condotto infra nel par. 14.1.3.5, - il doc. 418 del P.M. (relazione dell'Internai Audit sulla vicenda dei fondi esteri stilata in vista del CdA del 12.5.2015), pag. 4: - Atta data, B. e Fi. rappresentano di fatto gli unici sottoscritto(ri) dei 3 Fondi (100% di Op. I e II e circa il 99% di At.). Si precisa altresì che i contratti di sottoscrizione dei Fondi Op. prevedeva (no) la costituzione, in seno a ciascun Sub-fondo, di un "Investment Committee" i cui membri potevano essere eletti dagli investitori in funzione della loro quota. Detti Comitati non sono mai stati costituiti". Da tale circostanza discende che le relative operazioni - seppur basate, nel loro essere comunque connotate da analoghe finalità e analoghi risultati, su un meccanismo più sofisticato rispetto a quello dell'"ordinaria" pratica dei finanziamenti correlati - sono assai più assimilabili, in concreto, ai suddetti finanziamenti correlati di quanto non lo siano a un investimento finanziario in fondi OICVM. Di fatto, a ben guardare, l'operatività è realmente analoga nell'uno e nell'altro caso: - il comparto del fondo "non OICVM", dedicato alla banca, nel ricevere da questa - suo unico soggetto sottoscrittore - l'iniezione di denaro (corrispondente, per quanto detto sopra, a quello che solo formalmente appare come un ordinario investimento in un fondo), con cui provvede ad acquistare azioni della stessa banca, si ritrova a fungere da depositario dì tali azioni per conto della banca suddetta, la quale ottiene nel contempo l'obiettivo di risultarne, formalmente, non più titolare benché tali azioni siano state acquistate con denaro proprio; - il singolo soggetto finanziato, nel ricevere dalla banca l'iniezione di denaro (corrispondente a quella che solo formalmente appare come un'ordinaria erogazione di finanziamento, dal momento che quest'ultimo non può essere liberamente impiegato per i più disparati scopi ma è vincolato ad essere impiegato nell'acquisto di azioni della banca erogatrice), con cui provvede ad acquistare azioni della stessa banca, si ritrova a fungere da depositario di tali azioni per conto della banca suddetta, la quale ottiene nel contempo l'obiettivo di risultarne, formalmente, non più titolare benché tali azioni siano state acquistate con denaro proprio. Tale accentuata assimilabilità dell'uno all'altro meccanismo fa sì che in ispecie ci si mantenga ampiamente entro il rispetto dei requisiti posti dalla più rigorosa giurisprudenza di legittimità espressasi in subiecta materia, secondo cui la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e l'accertamento contenuto in sentenza si verifica ogni qual volta "il fatto accertato si trovi, rispetto a quello contestato, in un rapporto di eterogeneità o di incompatibilità, tale da recare un reale pregiudizio dei diritti della difesa". In tal senso cfr. da ultimo, in motivazione, Cass. Pen. Sez. 1, n. 15560 del 09/03/2022, Ta., nonché, sempre in motivazione, l'ivi richiamata Cass. Pen. Sez. 4, n. 4497 del 16/12/2015 dep. 03/02/2016, Ad. e altri, secondo cui ricorre la nullità quando "Va descrizione dell'accadimento, visto in tutte le sue componenti, per il quale il soggetto viene condannato, venga a trovarsi in rapporto d'incompatibilità, eterogeneità (Cass. Sez. 1, n. 28877 del 4/6/2013, Rv. 256785), o, può soggiungersi, eccentricità, rispetto alla primigenia accusa. In quanto, pur avendo avuto l'imputato ovvio accesso a tutta la massa del materiale processuale utilizzabile, la sua difesa risulta essersi concentrata sul fatto siccome descritto nel capo d'imputazione, costituente specifica e precipua rappresentazione della vicenda di vita addebitata". In senso sostanzialmente conforme cfr., anche Cass. Pen. Sez. 1, n. 28877 del 04/06/2013, Co., secondo cui sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di incompatibilità ed eterogeneità tali da dare luogo un vero e proprio stravolgimento dei termini dell'accusa. L'eccepita nullità pertanto non ricorre nel caso in esame, e ciò anche non volendo aderire ad altro e più permissivo orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui, in tema di correlazione tra accusa e sentenza, non può ritenersi diverso il fatto che pure presenti connotati materiali difformi da quelli descritti nella contestazione originaria, laddove la differente condotta realizzativa sia comunque emersa dalle risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato, di modo che anche rispetto ad essa egli abbia comunque avuto modo di esercitare le proprie prerogative difensive (in tal senso cfr. da ultimo Cass. Pen. Sez. 6, n. 38061 del 17/04/2019, Rango, occupatasi di una fattispecie in cui la responsabilità per il reato di partecipazione a sodalizio criminale di stampo mafioso è stata riconosciuta in ragione del contributo arrecato dall'imputato al fatto estorsivo altrui, emerso solo a seguito dell'istruttoria, e non invece per la condotta di ausilio alla latitanza di uno degli esponenti di vertice del clan, originariamente ascrittagli; analogamente cfr., Cass. Pen. Sez. 6, n. 47527 del 13/11/2013, Di. e altro; Cass. Pen. Sez. 1, n. 35574 del 18/06/2013, Cr.; Cass. Pen. Sez. 6, n. 5890 del 22/01/2013, Lu. e altri). Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte deve dunque ritenersi infondata, sotto ogni profilo, l'anzidetta eccezione difensiva di nullità. 1.4.1.3.3. La conoscenza in capo a Pi.An. della consolidata prassi del ricorso al finanziamento correlato ordinariamente attuata in B. e la sua partecipazione diretta a tale tipologia di condotte. Molteplici sono gli elementi probatori dai quali si evincono tanto la piena conoscenza in capo al PI. della consolidata prassi del ricorso al finanziamento correlato ordinariamente attuata in B. quanto la sua stessa partecipazione diretta a tale tipologia di condotte, finalizzata a consentire di escludere dal computo del patrimonio di vigilanza il controvalore delle azioni B. - via via sempre più illiquide - acquistate con la relativa provvista dai soggetti all'uopo finanziati. Ad avviso di questa Corte un'evidenza particolare - e inequivoca - in tal senso è rivestita come minimo dai seguenti elementi fra loro convergenti: a) gli appunti scritti redatti dal teste Ma.So., incaricato della verbalizzazione, circa gli argomenti trattati nel Comitato dì Direzione dell'8.11.2011 (doc. 389 del P.M.) e il contestuale scambio di messaggi sms ovvero WhatsApp intercorso tra An.Pi. e il d.g. Sa.So. (doc. 810 del P.M.); b) il file audio (la cui trascrizione è in atti sub doc. 110 del P.M.) del Comitato di Direzione del 10.11.2014; c) la vicenda "So."; d) la vicenda Ta.; e) l'appunto redatto per iscritto nel novembre 2014 da Em.Gi., responsabile della Divisione Mercati, prodotto dal P.M. quale suo doc. 663 nonché la deposizione, ad esso relativa, resa dalla teste di P.G. Me.Ro. all'udienza del 4.2.2020; f) l'esplicita chiamata in correità operata al riguardo (cfr. pag. 24 del verbale stenotipico d'udienza 15.6.2022) dal medesimo coimputato Em.Gi., della cui credibilità e coerenza come propalante già si è detto supra nella parte generale - par. 13 - della presente sentenza; g) lo scambio di messaggi sms ovvero WhatsApp (doc. 811 del P.M.) intercorso tra An.Pi. ed Em.Gi. in data 3 maggio 2015, ossia alla vigilia dell'incontro tenutosi il giorno seguente, 4 maggio 2015, tra il GI. e il presidente di B. Zo.Gi. (per inciso appena due giorni dopo, ossia il 6 maggio 2015, come si evince dall'appunto manoscritto redatto al riguardo dallo ZO., in atti sub doc. 855 del P.M., toccò al PI. incontrarsi con il predetto ZO., in Roma, a seguito - cfr. pag. 105 esame PI. del 3.3.2020 - di sua diretta convocazione ad opera del Presidente di B.; tali incontri dì ognuno dei due vice direttori generali con lo ZO. furono prodromici al loro allontanamento da B., concretizzatosi per ciascuno di essi nella redazione, in sede sindacale ex art, 412 ter c.p.c., di separati verbali di conciliazione datati 8.6.2015, in atti rispettivamente sub docc. 668 e 669 del P.M., attestanti l'accordo ivi raggiunto per la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro - autorizzata dal CdA il 4.6.2015 - con decorrenza 3.6.2015); h) il contenuto della conversazione telefonica n. progr. 360 dell'I.9.2015 intrattenuta da An.Pi. con An.Mo. di Ub. (cfr, pagg. 120 e ss. della perizia di trascrizione intercettazioni). Scendendo nei dettagli: a) Gli appunti scritti redatti dal teste Ma.So., incaricato della verbalizzazione, circa all argomenti trattati nel Comitato di Direzione dell'8.11.2011 (doc, 389 del P.M.) e il contestuale scambio di messaggi sms ovvero WhatsApp tra An.Pi. e il d.a. Sa.So. (doc. 810 del P.M.). Il doc. 389 del P.M., è un appunto manoscritto redatto dal teste Ma.So. (ex ispettore di Banca d'Italia entrato nel 2008 in B. con mansioni di responsabile della Direzione Segreteria e Affari Generali, indi Direzione Segreteria Generale, privo dunque, in B., di effettive competenze a livello operativo e decisionale) ai finì della successiva verbalizzazione - compito quest'ultimo al quale il So. era istituzionalmente preposto - e concernente la seduta del Comitato di Direzione 8.11.2011, al quale era presente anche Pi.An.; in tale documento manoscritto si legge fra l'altro (cfr. suoi fogli 1 e 2): Omissis Dallo stesso tenore letterale del suddetto doc. 389 del P.M. si evince già con sufficiente chiarezza che in quel passaggio del Comitato di Direzione 8.11-2011, essendo stata rappresentata agli astanti l'esigenza dì reperire capitale aggiuntivo - in ragione di 110 milioni di euro - per raggiungere l'obiettivo (8% di Tier 1) indicato dal responsabile della Divisione Bilancio e Pianificazione Ma.Pe. ed essendosi tuttavia ormai giunti in prossimità della fine dell'anno, fra i presentì tanto Um.Se. (all'epoca vice direttore generale della controllata siciliana Ba.Nu., di cui sarebbe divenuto direttore generale nel 2012; il Se. ha, in veste di teste, dichiarato alquanto implausibilmente - cfr. pagg. 24-25 verbale stenotipico 31.10.2019 - di non ricordare nulla di tale Comitato di Direzione 8.11.2011 pur dopo aver avuto in visione il doc. 389) quanto Fr.To. (già direttore generale della controllata toscana Ca.Ri., indi fusa per incorporazione in B.; all'epoca egli era il direttore regionale dell'area Toscana di B.) ebbero in sostanza a dire che l'unica maniera possibile di centrare in così poco tempo (di fatto appena una trentina di giorni lavorativi o poco più, al netto del periodo natalizio) un sì ambizioso obiettivo sarebbe stata quella di porre in essere operazioni c.d. "baciate", ossia di finanziamento correlato all'acquisto di azioni. Tale dato letterale, già evidente di per sé, è ulteriormente suffragato dai seguenti elementi: - la deposizione esplicativa (cfr. pagg, 46 e ss. del verbale stenotipico 26.10.2019) resa dall'estensore stesso dell'appunto manoscritto sub doc. 389, ossia il teste Ma.So., che, diversamente da quanto sostiene la difesa, non si ha qui ragione di ritenere inattendibile (tanto meno inutilizzabile: v. sul punto l'ordinanza collegiale 18,5,2022); il fatto - rivendicato dalla difesa - che il So. provenisse da un'esperienza professionale trascorsa per quasi trent'anni in Banca d'Italia, di cui la metà con funzioni ispettive, e avesse dunque senz'altro la piena contezza della vastità ed entità del fenomeno dei finanziamenti correlati in B., non muta la sostanza dei fatti, ossia l'assenza di competenze operative e decisionali di sorta in capo al predetto So.. in effetti assunto dalla banca vicentina con compiti di tutt'altra natura (responsabile della Direzione della Segreteria Generale, cui si era affiancata, più avanti nel tempo, la titolarità dell'Ufficio Reclami) i quali involgevano - tra l'altro - la verbalizzazione delle sedute collegiali; - la deposizione, assai particolareggiata e lineare sul punto, resa in dibattimento dal teste assistito (poiché indagato nel procedimento 7362/2018 RGNR per il reato, interprobatoriamente collegato, di false informazioni al Pubblico Ministero) Fr.To. (cfr. pagg. 17-18 verbale stenotipico 9.11.2019). In verità (e ciò ulteriormente rafforza, ex post, l'interpretazione del già ben poco equivocabile testo del doc, 389 del P.M.) l'ambizioso obiettivo in questione fu poi effettivamente centrato grazie - per l'appunto - a un vero e proprio "cambio di passo" bruscamente impresso all'attività dì collocamento delle azioni. In concreto l'entità del capitale finanziato nel bimestre novembre-dicembre 2011 risultò infatti finanche superiore ai 110 milioni di Euro emersi come "fabbisogno" della banca nel corso del Comitato di Direzione 8.11.2011; cfr. al riguardo i dati obiettivi esposti alla pag. 643 della gravata sentenza: "... La CT della pubblica accusa attesta infatti che al 31 dicembre 2010 le operazioni di capitale finanziato ammontano ad Euro 50 mln; esse registrano un cospicuo incremento nei 2011 raggiungendo l'importo di Euro 243 min. Significativo del cambio di passo impresso alla rete dopo la riunione del novembre 2011 è il raffronto tra l'importo del capitale finanziato al 30 ottobre 2011 pari ad Euro 109.912.486 ed il dato dei mesi di novembre e dicembre 2011f in cui si registrano operazioni finanziate pari ad Euro 134.712.500 (cfr, CT P.M.)". Ebbene, una volta assodato - in base alle considerazioni fin qui svolte - che nel Comitato di Direzione 8.11.2011 si parlò realmente dell'effettuazione di operazioni "baciate" quale unico mezzo per poter conseguire, secondo quanto poi in effetti avvenne, lo sfidante obiettivo ivi indicato come da raggiungere necessariamente entro fine anno, si osserva: a) che An.Pi. era ivi presente; b) che non risultano agli atti sue manifestazioni di stupore, né tantomeno di indignazione o comunque di dissenso rispetto alla linea così tracciata; c) che anzi, al contrario, proprio mentre ciò accadeva il PI. ebbe a scherzare ironicamente con il So. inviandogli un messaggio (in atti sub doc. 810 del P.M.) del seguente tenore: "Quelle di To. sono baciate... tra uomini, che vanno coccolati" al che il So. replicava, dopo nemmeno un minuto, "Come discorso". In ogni caso, come si vedrà subito infra, risultano dimostrati nel presente giudizio non solo il fatto che il PI. ben conoscesse - come minimo sin da allora - il fenomeno delle c.d. operazioni "baciate" ma finanche il diretto coinvolgimento del predetto, negli anni a ciò immediatamente seguenti, in singole operazioni di finanziamento correlato condotte in prima persona, b) il file audio (la cui trascrizione è in atti sub doc. 110 del P.M.) del Comitato di Direzione del 10.11.2014. Già si è ampiamente illustrato supra il contenuto del file audio (la cui trascrizione è in atti sub doc. 110 del P.M.) contenente la registrazione del Comitato di Direzione del 10.11.2014. Con riguardo alla posizione PI. non può che ribadirsi dunque ancora una volta, nel rinviare, per il resto, soprattutto alla parte generale (paragrafo 12 della presente sentenza) nonché ai paragrafi relativi alle posizioni degli imputati GI. e MA., tutto quanto già da questa Corte ivi affermato e ampiamente argomentato - con l'ausilio di plurime citazioni di passi della relativa trascrizione, l'interpretazione dei quali, come già si è detto e y diversamente da quanto hanno sostenuto la difesa e lo stesso imputato PI. in sede di esame e dì dichiarazioni spontanee, non lascia davvero adito a dubbi di sorta - circa il fatto che: - dinanzi al consesso dei vice direttori generali, incluso il PI. che, al pari dei colleghi, non ebbe a manifestare stupore alcuno né frappose contrarietà di sorta, vennero affrontati e discussi dal d.g. Sa.So. nella maniera più aperta possibile (ma al tempo stesso con la consegna del silenzio più assoluto verso l'esterno, motivata dal So. anche con la recente pubblicazione di alcuni allarmanti quanto apparentemente ben informati articoli di stampa: cfr, pagg. 30-31 trascrizione cit.) i temi: a) dell'illiquidità dell'azione B. (con il GI. il quale, accorato, ricordava a sua volta - cfr. pag. 78 trascrizione cit. - che "... ormai tutto sanno, dopo l'articolo di oggi sui "Co." (inc.) milioni di persone che l'hanno letto, che (l'azione B.) vale 20,00 Euro"); b) del ricorso che fino a quel momento si era fatto, proprio al fine di ovviare a tale illiquidità e per un complessivo ammontare indicato dal d.g. Sa.So. in "un miliardo e 2" (cfr. pag. 34 trascrizione cit.), ai finanziamenti correlati "apposta per fare" (ibidem), per lo più tuttavia erogati a imprenditori vicentini sicché si rendeva necessario diversificare, sempre secondo il So., tale platea rivolgendosi anche ad altre realtà territoriali; c) dei possibili strumenti ulteriori da mettere in campo, affiancandoli comunque ai finanziamenti correlati, per perseguire detta finalità (dovendosi tenere conto, ad un tempo: dei nuovi stringenti limiti quantitativi apposti ex lege all'entità del fondo riacquisto azioni proprie; del crescente e ormai imponente numero di reclami e di domande pendenti di vendita di titoli presentate dagli azionisti B.; dell'urgente necessità di trovare quanto prima una diversa collocazione al notevole quantitativo di azioni B. risultate ancora indirettamente detenute dai fondi esteri Op. e At.); - anzi fu proprio il PI., in quella sede, a ostentare semmai un atteggiamento cinico e beffardo di fronte alla prospettazione, da parte del collega GI., dei possibili rovinosi effetti delle scelte operate da B. al fine di mascherare la pesante illiquidità del suo titolo (cfr. pagg. 76-77 trascrizione cit.: "VM 8 (GI.): Faccio ... Per esempio, facciamo che siano 500 milioni, a titolo esemplificativo, no, e il valore dell'azione perde il 30%, sono 150 milioni che noi dovremmo ridare a questi qua in dieci anni, metti, no? Quindi, son 30 milioni ... son 15 milioni l'anno, (...). - VM 10 (PI.): Sì, tocchiamoci i coglioni, comunque! (ride)"); - in quella sede il PI., nella trascrizione indicato come "VM10", e il So. (cfr. pagg. 38-41 trascrizione cit.) ebbero - con l'intervento anche del MA., sempre particolarmente sensibile, a suo stesso dire, all'esigenza di evitare dì attirare in qualsiasi modo l'attenzione degli organismi di vigilanza (cfr. pagg. 42-44 trascrizione cit.) - a delineare, sia pure in via embrionale, anche il progetto di quella che poi si sarebbe concretizzata come l'operazione "So.", riproponendosi di ricontattare più seriamente "quella persona che abbiamo visto a Roma", da identificarsi (come ha confermato lo stesso PI. pur negando poi, contro ogni evidenza probatoria come già detto nel trattare la posizione MA., trattarsi di finanziamento correlato: cfr. pag. 43 del suo esame 3.3.2020) nel teste Va.Ma. del gruppo "So.", e ciò al fine specifico (cfr. pag. 41 trascrizione cit.: - VM 10 Sì, lì mi libero di ... serviva per liberarsi dei fondi") di trovare quanto prima una nuova collocazione a una rilevante parte di quelle decine di milioni di Euro in azioni B. ancora giacenti, al 10,11,2014, nei comparti (sotto-fondi) dei fondi esteri Op. e At., sui quali v. infra; - nell'ambito dell'anzidetta ricerca collettiva di possibili strumenti ulteriori da mettere in campo, affiancandoli comunque ai finanziamenti correlati, per ovviare all'illiquidità dell'azione B. il PI., lungi dal manifestare in quel Comitato di Direzione 10.11.2014, come da lui invece sostenuto a mezzo del suo difensore oltre che in sede di spontanee dichiarazioni, ostilità e contrapposizione tout court verso la pratica del finanziamento correlato e/o verso gli obiettivi indicati dal d.g. So. come da perseguirsi ad ogni costo, viceversa ebbe a porsi in un'ottica di cooperazione dialettica col direttore generale, evidenziando pacatamente - dall'alto delle sue riconosciute e indiscusse elevate competenze - gli svantaggi e/o l'impraticabilità sul piano squisitamente tecnico di talune soluzioni ulteriori ipotizzate dal So. e suggerendone delle altre; - in quella sede il PI. diede espressamente atto, nel confermarlo al GI. (indicato nella trascrizione cit. come "VM8") che glielo ricordava (cfr. pag. 40 trascrizione cit.), di avere effettivamente già partecipato con lui in passato alla redazione di talune side letter, strumento del quale il GI.. gli indicava come indispensabile l'adozione (cfr. pag. 40 trascrizione cit.: "Sai, qui, An., bisogna Scusa, apro una parentesi, no? Qui il tema è che la gente ti dice, uno: "Cosa mi rende? Perché lo devo fare?", due: "Se il valore va giù, come mi cautelo?" E, terza cosa, se trovi un accordo, bisogna metterlo su carta, comunque devi fare una side letter, che dovremo firmare io e te ... eh ... come stiamo facendo su altre cose e ... - VM 10 (PI.): Eh, sì, lo abbiamo già fatto, ma... - VM 8: E fare in modo che ... Allora, magari, ci mettiamo un attimo a tavolino e cerchiamo di capire quale potrebbe essere la formula, perché, con questa formula per cui tu li cauteli sull'andamento del valore e li cauteli sul rendimento, ne trovi che ... che ti comprano"; si noti per inciso la piena congruenza con il contenuto dell'appunto manoscritto sub doc. 663 del P.M. - "Trovare formula con An. per baciate" - vergato dallo stesso GI. nella propria agenda, su cui v. meglio infra, proprio nello spazio corrispondente alla data di quel Comitato di Direzione); tale indispensabilità del rilascio di side letter, secondo il GI., derivava dal fatto che nessuno ormai - circolando insistentemente finanche sulla stampa nazionale generalista, da qualche tempo, voci allarmanti circa l'effettivo valore dell'azione B. e circa la sua illiquidità - avrebbe altrimenti più accettato di acquistarne, sia pure utilizzando capitale finanziato, senza ricevere una piena assicurazione al riguardo (cfr. sempre Em.Gi., pag. 78 trascrizione cit.: "... Con questa side letter in cui gli spieghiamo che è cautelato, sennò non te lo comprano questo, perché fuori ... ormai tutto sanno, dopo l'articolo di oggi sul "Co." (inc.) milioni di persone che l'hanno Ietto, che (l'azione B.) vale 20,00 Euro"). Sul fatto che con il termine side letter proprio ciò - anche da parte del PI., che, pure, nel presente giudizio lo nega - si intendesse (ossia il rilascio di vere e proprie lettere di impegno al riacquisto delle azioni B. e/o alla corresponsione di interessi attivi quale corrispettivo per la loro detenzione), e null'altro, sì è già ampiamente argomentato supra nei trattare la posizione MA.. La difesa del PI. obietta che il tribunale vicentino non avrebbe attribuito il giusto rilievo alla congiunzione avversativa "ma ..." pronunciata dal suo assistito nell'occasione, indice a suo avviso di mancata condivisione della tesi del GI.; al riguardo basti osservare che, quand'anche così fosse, questo non varrebbe certo a obliterare il dato, espressamente riconosciuto dallo stesso PI. nel contesto di quel Comitato di Direzione, del pregresso ricorso, anche da parte sua ("Eh, si, lo abbiamo già fatto..."), a tale strumento. Sul tema delle lettere di impegno, inoltre, v. infra per una disamina delle produzioni documentali effettuate al riguardo nel corso dell'udienza 19.9.2022 dal Procuratore Generale. c) la vicenda "So.". Con riguardo alla vicenda "So." (episodio ove fu lo stesso An.Pi. in prima persona, come dettagliatamente spiegato dal teste Va.Ma., a condurre un'operazione avente ad oggetto un finanziamento-finanziamento - in, concreto erogato dalla controllata irlandese Fi. - correlato all'acquisto di azioni B. per 25 milioni di Euro, operazione a sua volta finalizzata a consentire l'indispensabile uscita urgente - per pari ammontare - delle suddette azioni dai fondi esteri ove esse erano state, di fatto, rese oggetto di deposito indiretto in virtù di altra precedente operazione sempre posta in essere dal PI., sulla quale v. infra), basti qui richiamare integralmente il complesso delle articolate considerazioni svolte supra a tal proposito nell'esaminare la posizione dell'imputato MA.. Ad esse va aggiunta l'ulteriore, significativa considerazione per cui al prezzo di vendita unitario dell'azione B. praticato all'acquirente in tale operazione fu applicato uno sconto non indifferente (euro 50,00= in luogo del valore ufficiale unitario di Euro 62,50=: cfr. deposizione del teste ispettore Gi.Ma., verbale stenotipico 26.10.2019, pag, 20), proprio così come era stato ventilato tanto da An.Pi. quanto dal d.g. Sa.So. nell'iniziare a delineare in via embrionale, durante il Comitato di Direzione B. del 10.11.2014, quella che poi si concretizzò come l'operazione "So.": cfr. sul punto pag. 39 della relativa trascrizione, in atti sub doc. 110 del P.M., e pag. 43 dello stesso doc. 110. d) la vicenda Ta.. Altra diretta partecipazione materiale alla "prassi" dei finanziamenti correlati in esame, che viene ascritta - fondatamente - dall'Accusa ad An.Pi., è l'operazione conclusa con l'imprenditore lombardo - operante al confine tra Como e Milano - Ed.Ta., la cui deposizione (cfr. verbale stenotipico 10.12.2019 pagg. 60-73) non è affatto scalfita, nel suo delineare una chiara operazione di finanziamento correlato, dal tenore del controesame svolto dalla difesa dell'imputato. Nel caso in questione il finanziamento - così precisa da subito il teste - era inizialmente stato erogato nella misura di 1 milione di Euro alla società della famiglia Ta. denominata Es. S.r.l. (d'ora in avanti Es.) in data 24.7.2013 da B. su richiesta della stessa Es., che voleva utilizzarlo quale finanziamento ordinario per poter fare dei normali investimenti (non in azioni B.). In seguito, tuttavia, proprio il PI. (assieme a Vi.Pi., ex direttore della filiale Cr.It. - come tale noto a Ed.Ta. - frattanto divenuto consulente commerciale per B.) ebbe, in una conversazione a tre che il teste Ta. non riesce a collocare esattamente nel tempo ma comunque successiva non di molto all'erogazione del finanziamento, a chiedere che invece Es. destinasse quel milione di Euro all'acquisto di azioni B.. Il teste Ed.Ta. è chiaro e lineare nell'affermare, in sede di esame diretto, che i due, tanto Pi. quanto PI., insistettero congiunta mente con lui affinché quel finanziamento in origine non correlato all'acquisto di azioni B. divenisse, di lì a poco tempo (l'arco temporale è comunque modesto benché non quantificato - lo si ripete - con assoluta puntualità dal teste; inizialmente il Ta. afferma di non ricordare bene; indi lo colloca nel settembre 2013; indi ancora lo descrive come successivo di un paio di mesi all'erogazione del finanziamento; infine in sede di controesame afferma nuovamente di non ricordare bene), correlato a tale acquisto. Va precisato che il PI. concorse a chiedere al Ta., assieme al Pi., solo il primo fra i più acquisti di azioni B. che lo stesso Ta. complessivamente ebbe a porre in essere: i successivi, infatti, glieli chiese, a suo stesso dire, il solo Pi.. Nondimeno il primo di tali acquisti, come sopra descritto, già rappresenta a tutti gli effetti una vera e propria operazione di finanziamento correlato, in virtù della quale si può affermare che anche in tale occasione (così come accadrà con la cronologicamente successiva operazione "So.") si ebbe il comprovato coinvolgimento materiale, diretto e in prima persona di An.Pi. nel fenomeno dei finanziamenti correlati per così dire "ordinario", ossia non legato alle competenze specialistiche esercitate dal predetto PI. in seno alla Divisione Finanza da lui diretta. Secondo la difesa non sarebbe dato rinvenire alcun apporto causale del PI. in questa operazione perché il suo ruolo sarebbe stato unicamente quello di rassicurare verbalmente il Ta. sul fatto che - all'occorrenza - il fondo riacquisto azioni proprie di B., in quanto ben capiente, non avrebbe avuto difficoltà a riacquistargli celermente le azioni della banca in suo possesso (cfr. pag. 70 deposizione Ta.: "DIFESA, AVV.TO. -...non per l'acquisto delle azioni. E' corretto dire che il dottor Pi. ha soltanto rassicurata sull'operatività del fondo acquisto azioni proprie della banca? TESTIMONE TA. - E' corretto"). In realtà tale circostanza (che peraltro, a ben guardare, si pone già di per sé come l'equipollente verbale di una vera e propria lettera di impegno al celere riacquisto da parte della banca, e ciò a fronte dei dubbi esternati nell'occasione dal Ta. circa la convenienza per sé dell'operazione di acquisto azioni) è bensì stata riferita in sede di controesame dal teste Ta. ma non è certo in grado di obliterare il fatto che, nel corso del suo esame diretto, questi espressamente abbia indicato entrambi i suoi interlocutori Pi. e PI., e non già il solo Pi., come intenti a convincerlo a destinare l'affidamento, già ottenuto a luglio dalla società Es., all'acquisto di azioni B.. Anzi, qualora si contestualizzi l'affermazione resa in controesame dal teste Ta. in seno all'intera verbalizzazione del suddetto controesame appare evidente che egli, lungi dal voler smentire quanto detto in sede di esame diretto circa il carattere congiunto dell'invito rivoltogli a comprare azioni B., intendeva unicamente puntualizzare, in risposta a una precisa domanda della difesa, che il PI. - circostanza invero pacifica - non aveva viceversa preso parte all'originaria erogazione del finanziamento in favore della società Es.. e) l'appunto scritto redatto nel novembre 2014 da Em.Gi., responsabile della Divisione Mercati, prodotto dal P.M. quale suo doc. 663 nonché la deposizione, ad esso relativa, resa dalla teste di P.G. Me.Ro. all'udienza del 4.2.2020 (cfr. pag. 111 del relativo verbale stenotipico). Si tratta di un elemento documentale che ancora una volta dimostra non soltanto la piena conoscenza in capo al PI. del fenomeno delle operazioni c.d. "baciate" (o anche "parzialmente baciate", ossia comunque correlate pur in difetto di una totale coincidenza tra l'ammontare del finanziamento erogato e il controvalore delle azioni B. acquistate) ma altresì il fattivo apporto concorsuale da questi prestato al fine di garantire l'operatività e l'efficacia di tale meccanismo, impiegando il quale, in misura progressivamente sempre più massiccia, B. cercava di ovviare all'accentuata illiquidità del proprio sopravvalutato titolo azionario: "TESTIMONE Ro. (...) Inoltre, sempre con riferimento alla conoscenza in capo a Pi. del fenomeno relativo alla concessione dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie tra la documentazione cartacea sequestrata presso l'abitazione di Gi. vi era un appunto manoscritto, in cui veniva riportata la frase "Trovare formula con An. per baciate" Non ho fatto personalmente questo esame, però so che tale appunto è stato collocato temporalmente nel mese di novembre 2014. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - 663, Presidente, questo l'abbiamo già prodotto. TESTIMONE Ro. - Nel mese di novembre 2014, in ragione di alcune date che erano riportate nella pagina precedente e nella pagina successiva. Nella precedente era scritto CdD 10/11 e sotto Cd A 18/11. Nella pagina invece successiva a questa frase c'era scritto 11/11/2014. In tal senso, in data 10 novembre 2014f si era tenuto il Comitato di Direzione, e in quell'anno, in quella data, quindi 18 novembre 2014, si era tenuta una riunione del Consiglio di Amministrazione della B., I Tale appunto scritto, fra l'altro, si salda perfettamente - come detto - con le parole rivolte dal GI. "VM8") al PI. ("VM10") proprio nel contesto del Comitato di Direzione tenutosi il 10.11.2014 (cfr. pag. 40 della relativa trascrizione sub doc. 110 del P.M.: "VM 8: E fare in modo che... Allora, magari, ci mettiamo un attimo a tavolino e cerchiamo di capire quale potrebbe essere la formula, perché, con questa formula per cui tu li cauteli sull'andamento del valore e li cauteli sul rendimento, ne trovi che ... che ti comprano"). f) l'esplicita chiamata in correità operata al riguardo dal medesimo coimputato Em.Gi., della cui attendibilità e coerenza quale propalante già si è ampiamente detto supra (nella parte generale della presente sentenza, par. 13), quanto al materiale apporto direttamente fornito anche da An.Pi. in prima persona al fenomeno dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B.. Si veda infatti il seguente passo di pag. 24 del verbale stenotipico d'udienza 15.6.2022: "Quindi questo (ossia le operazioni di equity swap - scambio di titoli B. con titoli Ve. - effettuate nel periodo ricompreso tra il 20.3.2014 ed il 3.10.2014 per consentirne la dismissione dai fondi esteri, sulle quali v. più ampiamente infra) è stato l'unico momento in cui c'è stato da parte della Divisione Mercati, ma più che altro dall'Ufficio Soci, un'interlocuzione con Pi., e quindi sulla Divisione Finanza, sulla prassi delle baciate, al di là di alcune operazioni che Pi. direttamente ha fatto con alcune controparti, soprattutto sulla piazza (...) Milano". D'altra parte già in primo grado l'imputato GI. aveva riferito circa la piena conoscenza da parte del PI. - senza che questi avesse mai ad obiettare alcunché a tale prassi, anzi - del fenomeno del finanziamento correlato, cfr. pag. 70 verbale stenotipico 25.6.2020: PUBBLICO MINISTERO - Quindi quello che lei ha riferito fino adesso, sulle operazioni correlate, le caratteristiche, le necessità, lo svuota fondo e quant'altro, non era un argomento riservato, addirittura segreto rispetto a settori, strutture, persone della banca? Cioè, se ne parlava liberamente? IMPUTATO GI. - Assolutamente liberamente e un modo esplicito. PUBBLICO MINISTERO - E questo vale anche per i coimputati? IMPUTATO GI. - Per tutti, PUBBLICO MINISTERO - Ma., Pi. e Pe.? IMPUTATO GI. - Sì, Ma., Pi. e Pe.. PUBBLICO MINISTERO - Senta, perché Pi., era presente anche lei, se non ricordo male, ha detto che in realtà a lui, sostanzialmente, è stata tenuta segreta questa prassi, questo fenomeno dei finanziamenti correlati? IMPUTATO GI. - Era palese e conosciuto, ripeto, da tutti. q) lo scambio di messaggi sms ovvero WhatsApp (doc. 811 del P,M.) intercorso tra An.Pi. ed Em.Gi. in data 3 maggio 2015, ossia alla vigilia dell'incontro tenutosi tra quest'ultimo e il presidente di B. Zo.Gi. che aveva in animo di attuare formalmente un nuovo corso di netta "discontinuità" in seno alla banca, allontanandone - come poco dopo in effetti fece: le risoluzioni consensuali dei due rapporti di lavoro sono entrambe datate 8.6,2015 con decorrenza 3.6,2015, come detto supra - proprio GI. (additato come pesantemente responsabile in prima persona, in particolare, del rilascio di plurime lettere di impegno) e PI. (additato come pesantemente responsabile in prima persona, in particolare, della vicenda degli investimenti in fondi esteri - sulla quale v. ampiamente infra - risultati essere non collettivi e dotati di una giacenza di azioni B. nei propri comparti, oltre che unknown exposure); con ogni evidenza i due non stanno parlando dell'attività finanziaria e in particolare della vicenda dei fondi esteri, vicenda alla quale il GI. è d'altra parte ritenuto estraneo dalla stessa Accusa (tale egli è anche a detta del PI.: cfr. pag. 55 dell'esame 3,3.2020 di questi), bensì dell'attività "ordinaria" di finanziamento correlato che coinvolgeva, a vari livelli peraltro fra loro ben differenziati quanto alla conoscenza dell'entità e dei dettagli (fino a giungere al vertice ristretto formato dal d.g. So. nonché dai vice direttori generali e capi di Divisione, qualifica quest'ultima rivestita da GI. così come da PI.), sostanzialmente la pressoché totalità del personale della banca: "Pi.: "Mi raccomando domani con il presidente. Parla a nome di futi e due". Gi.: "Certo" Gi.: "Vedrai risolviamo". Pi.: "Penso anche io. Deve essere chiaro che tutto era condiviso e che nessuno può dire di non sapere e chiamarsi fuori". h) il contenuto della conversazione telefonica n. progr. 360 dell'1.9.2015 intrattenuta da An.Pi. con An.Mo. di Ub. (pagg. 120 e ss. della perizia di trascrizione intercettazioni). Le espressioni usate dal PI. con il suo interlocutore, anche in questo caso, all'evidenza non riguardano - o comunque di certo non riguardano soltanto - l'attività finanziaria e/o la specifica vicenda dei fondi esteri sui quali v. infra, risultando estremamente plastiche ed efficaci nel descrivere il grado del costante coinvolgimento in toto dello stesso PI. in quello che, anno dopo anno, si era oramai andato consolidando come un autentico circolo vizioso generato dalla costante esigenza di trovare modalità sempre più spinte per ovviare in qualche modo all'illiquidità ingravescente del titolo azionario di B., banca ivi definita efficacemente dall'imputato "una baracca che sta in piedi con io sputo" (in stridente contrasto con il tenore - costantemente entusiastico e ottimistico - delle comunicazioni offerte dalla banca stessa all'esterno, in particolare ai soci: cfr, ad es. il già citato doc. 646 del P.M. lettera ai soci del 4.12.2014). Si noti come qui l'imputato rimproveri amaramente ex post se stesso, usando espressioni anche icastiche, per avere proseguito ad oltranza concorrendo nelle condotte illecite pur essendo egli - anche in virtù della sua indubbia preparazione professionale: ad es. il teste An. a più riprese nella sua deposizione del 4.10.2020 afferma che PI. era considerato "l'enfant gàté della banca" per i brillanti risultati conseguiti - da lungo tempo ben consapevole delle loro possibili rovinose conseguenze ("l'avevo, fra virgolette, letta, capito?, che andava... poteva andare in una certa maniera"), sostenendo di essere stato a ciò indotto, da un lato, dal proprio sentimento filoaziendalista e, dall'altro lato, dalla piega ormai consolidata, per certi versi senza ritorno ("e però sei dentro"; "fai parte di un meccanismo"), che avevano preso gli eventi: Pi. (...) perché veramente ho il vomito, perché la vicenda mia è una vicenda che ti assicuro se uno la vive ti... ti chiami coglione, hai capito?, dici: sono proprio un coglione, perché alla fine... Anche perché l'avevo, fra virgolette, ietta, capito?, che andava... potevo andare in una certa maniera. E però sei dentro... An. Eh, immagino. Pi. ...Sei dentro... sei dentro a una situazione, cosa fai? Si, spingi corri fai, vai via sempre a cento all'ora, sacrifichi tutto, eccetera, e poi quando c'è il minimo problema, capito?, eh, purtroppo... Hai visto, anche Pa., è andato via anche lui. An. SI ho sentito. Ho sentito. Pi. E niente... An. No, no, guarda, la situazio... la... la.., la cosa tua... immagino come sia andata e son le classiche robe che... che dopo ti tagliano la corda quando gli hai salvato il culo per anni, no? Pi. Eh, per forza. Certo, certo. Ma infatti io, guarda, non posso... mi chiamo coglione perché... perché dovevo... dovevo, fra virgolette, fermare prima certe cose". An. Mmh. Pi. ...chiamarmi fuori prima... Però poi, sai, eh, purtroppo, ti ripeto, fai parte di un meccanismo, di una situazione, eccetera, per cui... An. Sì. Sì, però... Pi. ...io che sono uno... filoaziendalista... (...) Pi. ...tutto quello che si è fatto per dopo avere la conclusione così... così com'è successo, quello che continua... quello che continua a accadere, perché poi lì non è ancora finita fa questione, è... è deprimente. Deprimente perché... An. Ah. Pi. ...perché (inc. voci sovrapposte) da che pulpito (risatina) che vengono certi discorsi certi ragionamenti, certi scarichi di responsabilità. Er pazzesco. Però... però lo sapevi prima e quindi dovevi essere per forza prima, mi chiamo coglione per quel motivo lì, tutto là. Eh... e va beh, oh, fa parte anche questo delle.. - delle... delle vicende umane. An. Dell'esperienza. Pi. Eh sì. Eh si. Perché poi, ti ripeto, tu mi hai riconosciuto, vedi, quanto abbiamo sempre spinto, quanto abbiamo sempre, capito?, cercato di innovare, di co... di fare per tener su in piedi la baracca. An. Certo. Pi. Perché è una baracca sta in piedi con lo sputo, capito?, per tutta una serie di cose, no?, eh... e dopo poi prendersi a pesci in faccio, perché letteralmente a pesci in faccia, insomma... Però, va beh, è andata così, dai. Omissis A corollario di tutto quanto fin qui illustrato, che già di per sé concorre a formare un solido quadro probatorio circa la compartecipazione del PI. alla complessiva prassi dell'ordinario ricorso al finanziamento correlato, può altresì ricordarsi l'episodio riferito dalla teste avv. An.Pa., responsabile dell'ufficio legale B. (cfr. pag. 20 verbale stenotipico 13.9.2019): "TESTIMONE PA. - Ecco, e io dissi (al d.g. Sa.So. il quale le aveva chiesto, presenti anche Ma.Pe. e An.Pi., di redigere un parere che dichiarasse legittime le operazioni dì finanziamento correlato appena scoperte, in numero peraltro ancora assai circoscritto, dalla società di revisione Kp.): "Questo non te lo posso dare, anzi, dissi, da legale quello che posso suggerirti è di fare immediatamente un audit per verificare se"... Siccome non è che era una posizione, ma erano un gruppo di posizioni, dico: "per verificare se questo fenomeno è un fenomeno più ampio di quello da una semplice estrazione" E il Direttore mi assalì, mi disse che... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Non fisicamente? TESTIMONE PA. - Verbalmente, verbalmente mi disse che si sarebbe trovato un altro avvocato, e che fui dormiva cinque ore per notte, e che noi dovevamo assumerci le nostre responsabilità, e... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Usò questa espressione: dobbiamo assumere.,.? TESTIMONE PA. - Sì, dobbiamo assumerci (e nostre responsabilità. Anzi, no, questo lo disse Pi., mi sembra, le responsabilità, sì; lo disse il dottor Pi., che saltò su e mi disse: "Ma sei matta! Un audit? Se facciamo un audit, andiamo tutti a casa7' Io rimasi allibita, veramente, non sono una persona, voglio dire, che si commuove facilmente, sono abbastanza tosta, ma devo dire che ero sconvolta dopo questo colloquio col Direttore/'. Vero è, al riguardo, che il coimputato PE., nel confermare per tutto il resto con estrema puntualità nel suo esame del 18.6,2020 l'episodio (incluso il violento scatto d'ira del d.g. Sa.So. quale reazione alla frase della Pa. - ivi descritta dal PE. come "molto, molto colpita" - circa l'opportunità di coinvolgere l'Internai Audit), ha viceversa affermato di non rammentare che il PI. avesse nell'occasione proferito la frase "Se facciamo un audit, andiamo tutti a casa"" (cfr. pagg. 58-59 dell'esame dibattimentale reso dal PE. in data 18.6.2020: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Pi.? IMPUTATO PE. - Quella... devo essere sincero... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - No, la ripeta per il verbale. IMPUTATO PE. - Per il verbale, era: "Se coinvolgiamo l'Audit",.. mi pare, l'ho vista sui... "Andiamo tutti a casa", una roba del genere. Questa io non fa ricordo. Quello che ricordo è che sicuramente il concetto della Pa. era: non è un tema solo legale, bisogna fare un'indagine e va coinvolto l'Audit. Questo sicuro, cioè che la Pa. abbia tirato fuori il tema dell'Audit, sicuro. La frase di Pi., sinceramente, non mi ricordo che rabbia detta"). Nondimeno può osservarsi che il PE., nella sua qualità di coimputato, ha tutto l'interesse a negare la circostanza, risultando altrimenti difficilmente spiegabile, da parte sua, la mancata reazione a una frase così dirompente. In conclusione non possono davvero revocarsi in dubbio - diversamente da quanto sostiene a più riprese la difesa: cfr. ad es. pag. 16 dell'atto di appello - la piena conoscenza in capo a Pi.An. di ogni segmento della complessiva prassi del ricorso al finanziamento correlato ordinariamente attuata in B. - quanto meno fin dall'inizio della fase in cui le fu impressa una forte accelerazione, ossia fin dagli ultimi mesi del 2011, ma in realtà da epoca ancora anteriore, v. infra - e la sua partecipazione (in più di una occasione anche diretta, in prima persona, come si è visto) a tale tipologia di condotte... Né, stante l'esaustività degli elementi probatori fin qui passati in rassegna, vi è in realtà bisogno di chiamare in causa, per valorizzarle, talune ulteriori risultanze processuali - pure indicate come rilevanti dal primo giudice - nei confronti delle quali si sono appuntate le censure, per la verità almeno in parte centrate, della difesa, ossia: a) il passo della deposizione di Ma.So. (pag, 57 verbale stenotipico 29.10,2019) ove il teste afferma che gli pare di ricordare di avere sentito u/7 dottor So. e il dottor Pi. che parlavano di strutturare delle operazioni volte anche ad acquisire capitale Ne stava parlando o il dottor So. o il dottor Pi.. Questo non me lo ricordo, citando al riguardo, dopo un'iniziale difficoltà a rammentarne i nomi, il gruppo imprenditoriale Fe. e il Fo.Ag.. In verità, come ha correttamente puntualizzato la difesa, il teste Lu.Fe. - cfr. suo esame dell'11.7.2019, in particolare pag. 16 - non ha in alcun modo citato il PI. quale partecipe ai finanziamenti correlati riguardanti il suo gruppo imprenditoriale, menzionando unicamente So., Gi. e un capoarea dell'Emilia-Romagna, mentre il teste ispettore Gi.Ma. ha espressamente escluso, in relazione al Fo.Ag., che si fosse in presenza di capitale finanziato, cfr. pag. 68 della sua deposizione 26.10.2019: "Queste operazioni di acquisto non le abbiamo considerate finanziate perché abbiamo ritenuto, insomma, che i soldi non provenivano da un finanziamento ma da una vendita cioè i fondi avevano venduto delle quote e con queste quote avevano avuto la disponibilità per comprare 10 milioni di azioni. Quindi giugno 2012, alcuni Consorzi comprano 10 milioni di azioni non ritenute finanziate da noi"); b) la vicenda Fa.. In realtà, come ha riconosciuto in sede di requisitoria nel presente grado di giudizio lo stesso rappresentante dell'Accusa (cfr. pag. 7 della memoria depositata dal Procuratore Generale all'udienza del 19.9.2022 nonché pag. 48 del relativo verbale stenotipico), l'imprenditore tessile An.Fa. - era soggetto economicamente molto abbiente, non aveva bisogno di denaro dalla Banca, ma era fui che desiderava investire in modo redditizio, sicuro e a breve termine", sicché non si è qui in presenza di un finanziamenti, correlato all'acquisto di azioni B., le quali furono sicuramente acquistate dall'imprenditore An.Fa. - che aveva esposto proprio al PI. tale sua disponibilità all'acquisto: cfr. pagg. 55-56 deposizione Fa., verbale stenotipico 10.7.2019 - con denaro proprio, investito in parte in azioni della banca e in parte in PCT (pronti contro termine). Risponde inoltre al vero l'assunto difensivo secondo cui la vicenda Fa., per il suo carattere risalente nel tempo, si colloca al di fuori del perimetro del capo di imputazione, che si riferisce al periodo 2012-2015. Nondimeno, restando nell'ambito della vicenda Fa., si pone come ugualmente assai rilevante ex se (perché offre la cifra di quanto il coinvolgimento del PI. nell'illecita operatività "ordinaria" di B. fosse in realtà molto datato e consolidato) il dato documentale emergente dalle produzioni effettuate dal Procuratore Generale all'udienza del 19.9.2022 aventi ad oggetto le stampe cartacee di alcune e-mail, e relativi allegati, estrapolate dall'hard disk n. 5 già facente parte, come supporto fisico, del fascicolo del dibattimento. Tale dato documentale è indice inequivoco di un diretto coinvolgimento del PI. in prima persona - e ciò, per l'appunto, almeno a far tempo dal 2010, ossia oltre un anno prima dell'accentuata accelerazione, di cui si è detto supra, impressa al volume complessivo delle operazioni correlate a seguito delle decisioni prese nel Comitato di Direzione 8.11.2011 - nella redazione e/o supervisione del testo di talune lettere nelle quali la banca si impegnava ad assicurare all'imprenditore Fa., in relazione ai suoi investimenti presso B. (non da essa finanziati), il beneficio di una assai vantaggiosa remunerazione. Tra le anzidette lettere redatte con l'apporto, quanto meno in termini di supervisione, del PI. vi sono per l'appunto - come è ben documentato rispettivamente dalla e-mail sub ali. 2 e dalla e-mail sub ali. 8 della produzione 19.9.2022 del Procuratore Generale - le seguenti: - bozza non sottoscritta dì una lettera datata 15 dicembre 2010 a firma Sa.So. (già prodotta nella sua versione definitiva, sottoscritta cioè dal So., in primo grado dal P.M. quale doc. 90 ed esibita al teste Fa. nel corso del suo esame dibattimentale); - bozza non sottoscritta di una lettera (che il teste Fa. ha spiegato riguardare una distinta e precedente operazione) datata 8 ottobre 2010 a firma Sa.So. (non potuta esibire nella sua versione definitiva, sottoscritta cioè dal So., al Fa. in sede di esame dibattimentale ma alla quale lo stesso teste ha in ogni caso fatto espresso riferimento alla pag. 55 della sua deposizione 10.7.2019 e che è comunque citata nel contesto testuale del doc. 90 del P.M.). La remunerazione riconosciuta all'investitore Fa. corrispondeva in concreto a un tasso attivo quantificato per la più risalente operazione (8 ottobre 2010) in misura pari al 3% netto su base annua (cfr, e-mail 8.10.2010 sub ali, 8 della produzione 19.9.2022 del Procuratore Generale, cit.) e indi, a partire dall'operazione ad essa successiva (15 dicembre 2010), quantificato in misura pari al 3,1% netto su base annua e al 3,5428% lordo su base annua (cfr. e-mail 14.12.2010 sub ali. 2 della produzione 19.9.2022 del Procuratore Generale, cit.). Il teste Fa. ha spiegato - cfr, pag. 55 della sua deposizione, cit. - che mai egli, pur disponendo di abbondante liquidità propria da investire, si sarebbe indotto ad acquistare, con essa, azioni B. se non gli fosse stata assicurata una siffatta appetibile remunerazione (in aggiunta a una parimenti da lui pretesa garanzia di pronta liquidabilità dei titoli a semplice richiesta, come poi in effetti avvenne nel maggio 2013: cfr. l'all. 6 della produzione 19.9.2022 del Procuratore Generale): Omissis Si tratta, a ben guardare, di un contegno pur sempre rientrante, benché in assenza dì un finanziamento correlato, nella medesima ottica (quella cioè per cui B. si è mostrata, nel tempo, sempre più disposta a spendere senza esitazioni denaro della banca - vuoi in forma di finanziamento vuoi in altre forme come quella della non dovuta remunerazione con elevato tasso attivo - pur di assicurare la protratta giacenza presso terzi del massimo quantitativo possibile di azioni proprie). In relazione alla vicenda Fa. l'imputato PI. ha invero sostenuto, in sede di esame dibattimentale (cfr. pagg. 40-41 del verbale stenotipico 3.3.2020), che il tasso attivo di interesse riconosciuto all'imprenditore nelle suddette operazioni ebbe a riguardare unicamente la parte di investimento in pronti contro termine e non anche quella in azioni B.. Così non è, viceversa, secondo la ricostruzione del teste Fa. (teste al quale nemmeno la difesa del PI. ha mai inteso muovere censure di inattendibilità e che - in effetti - non vi è ragione alcuna di ritenere poco credibile), il quale in sede di esame ha specificato con estrema chiarezza che il rendimento in questione riguardava anche la parte dell'investimento costituita dall'acquisto di azioni B. (cfr. pagg. 62-63 verbale stenotipico 10.7.2019): "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Un particolare, chiedo scusa, signor Presidente. Senta, Ingegnere, lei si ricorda se in questo accordo complessivo per questo investimento con Banca (...) le fu garantito un rendimento anche per quanto riguarda la quota di investimento In azioni Banca (...)? TESTIMONE Fa. - Sh era tutto compreso, era tutto compreso. PUBBLICO MINISTERO. DOTT. Sa. - Anche quella quota? TESTIMONE Fa. - Era tutto compreso. D'altro canto tali affermazioni del Fa. (circa il tasso attivo d'interesse da lui pattuito con B. quale remunerazione del suo investimento complessivo, dunque anche per la parte di esso costituita dalle azioni della banca sono puntualmente riscontrate nei seguenti termini dalle summenzionate produzioni documentali poste in essere il 19.9.2022 dalla Procura Generale: - il testo della prima missiva dell'8 ottobre 2010 (non potuto esibire in primo grado, come detto, né al teste Fa. né all'imputato: cfr. pag. 55 esame Fa. cit.) riferisce senz'altro, nel suo secondo paragrafo, il rendimento annuo all'operazione di investimento intesa nel suo complesso: "Alla scadenza dei primi sei mesi provvederemo a reitare (sic) l'operazione per il periodo da lei gradito come orizzonte temporale dell'investimento ad un tasso fissato e certo che sarà tale da conguagliare il rendimento target obiettivo dell'insieme di operazioni, onde assicurarLe un rendimento annuo netto del complessivo investimento e sino al " mantenimento del suo ammontare massimo del 3% netto su base annua"; - il testo della seguente missiva del 15 dicembre 2010 ribadisce, nel suo terzo paragrafo, ancor più chiaramente il concetto: "Si aggiunga che, anche per il precedente investimento di Eur 70 min, di cui Eur 20 mln circa in azioni di Banca (...) e Eur 50 mln in pct, il rendimento che Le verrà riconosciuto fino alla scadenza (...) sarà pari al 3,1% netto su base annua (3f5428% lordo su base annua) per l'intera durata dell'investimento rispetto a quanto precedentemente concordato (3% netto su base annua corrispondente a 3,4285% lordo su base annua) - si veda lettera di accordo dell'8 ottobre u.s. a firma dei Direttore Generale dott. So.. Più in generale può dirsi che tutte le produzioni documentali effettuate all'udienza 19.9.2022 dal Procuratore Generale ulteriormente confermino, sul tema specifico delle lettere di impegno, quanto - come detto supra - già emerge in ogni caso con chiarezza dal tenore del Comitato di Direzione 10.11.2014, ossia una lunga, risalente e consolidata dimestichezza del PI. con la redazione e/o quanto meno con la supervisione, finalizzata al successivo inoltro a chi di fatto doveva poi sottoscriverle, del testo di lettere che si possono sicuramente definire come lettere di impegno della banca (si noti, per inciso, che anche il teste Fa. nella sua deposizione 10.7.2019, cfr. ad es. pag. 58 del relativo verbale stenotipia), le definisce "side letter", così come esse vengono chiamate dai vertici manageriali di B. nel corso di quel Comitato di Direzione): a volte l'impegno assunto era al solo riacquisto delle azioni B. detenute dai loro destinatari, altre volte l'impegno assunto era finanche alla corresponsione di remunerazioni sotto forma di tassi di interesse attivi - tanto generosi quanto non dovuti - a fronte di tale detenzione. Si vedano ancora a titolo esemplificativo, sempre nell'ambito di tali produzioni documentali dd. 19.9.2022 del Procuratore Generale, due facsimili entrambi risalenti all'anno 2011: l'ali. 1 (missiva 1.9.2011 di Em.Gi. indirizzata ad An.Pi., recante come oggetto la dicitura - estremamente riservata" e come testo la richiesta "Ci dai un occhio"), con un allegato file Word denominato "standard K.docx" a sua volta rappresentato da un facsimile di missiva recante l'intestazione "Egregio Dottore XXX, Vicenza, XXX settembre 2011", ove si assicura al destinatario, in quanto acquirente dì azioni B. per un controvalore di 13 milioni di Euro, un rendimento pari al 4% lordo su base annua oltre ad assicurargli l'accoglimento, da parte della banca, di un'eventuale richiesta di riacquisto; l'ali. 5 (missiva 4.11.2011 di Gi.Ta. - soggetto operante in B. dal 2010 al 2013 con le mansioni di responsabile della Direzione Private e Affluent in seno alla Divisione Mercati - indirizzata ad An.Pi. nonché a Co.Tu. della Divisione Mercati, quest'ultimo avente all'epoca le mansioni di Direttore commerciale e responsabile del coordinamento commerciale della rete - recante come oggetto la dicitura Bozza contratto Riservata" e come testo - La aspettavate ... Eccola, naturalmente da riadattare"), con un allegato file Word denominato "(...)" a sua volta rappresentato da un facsimile di missiva recante l'intestazione Vicenza, 26/10/2011 (...) ...", ove si assicura al destinatario, in quanto acquirente di "ulteriori" 8 milioni di Euro di azioni B., un rendimento pari al 3,5% netto su base annua oltre ad assicurargli l'accoglimento, da parte della banca, di un'eventuale richiesta di riacquisto. Alla stregua di tutte le considerazioni che precedono, insomma, non possono revocarsi in dubbio, e ciò quanto meno sin dall'anno 2011, ma in realtà (v. le produzioni documentali effettuate dal Procuratore Generale all'udienza del 19.9.2022) da epoca ancor più risalente, tanto la piena conoscenza in capo al PI. della consolidata prassi del ricorso al finanziamento correlato attuata in B., considerata in ogni suo segmento e articolazione (incluso il rilascio di lettere di impegno), quanto la sua stessa partecipazione diretta a tale tipologia di condotte pur nella consapevolezza (cfr. la citata conversazione captata n. progr. 360 dell'I.9.2015) delle sue inevitabili conseguenze. A ciò già di per sé consegue, fra l'altro, l'infondatezza radicale dell'assunto difensivo secondo cui l'operato del PI. avrebbe causalmente inciso, a tutto voler concedere, in proporzione numericamente quanto mai modesta sull'entità e sul volume complessivi delle operazioni poste in essere nell'ambito di B. e illecitamente non scomputate dal patrimonio di vigilanza. A tale ultimo proposito, d'altra parte, non può non osservarsi che, anche non volendo considerare all'uopo, in ipotesi, il concorso (viceversa dimostrato, come sì è visto) del PI. in ogni segmento dell'attività "ordinaria" di finanziamento correlato (non certo solo per i complessivi 25 + 1 milioni di Euro in azioni B. complessivamente acquistati dal gruppo "So." e dall'imprenditore Ta.), limitandosi quindi a valutare le sole operazioni ascrittegli come direttamente rientranti nelle competenze della Divisione Finanza da lui diretta, risulterebbe ugualmente elevata la suddetta proporzione numerica, con conseguente indiscutibile "materialità" della sua condotta, tenuto conto: - del fatto che - come più analiticamente si illustrerà infra al par. 14,1,4.5. - il controvalore originario delle azioni indirettamente detenute tramite i fondi esteri Op. e At., rimasto tale quanto meno per tutto Tanno 2013 prima di ridursi, al giugno-luglio 2014, a 52,4 milioni di Euro, era pari a 60 milioni di Euro (cfr. pagg. 8-21 della deposizione del teste ispettore Gi.Ma., verbale stenotipico 26.10,2019; la cifra esatta è pari a Euro 59.972.000,00=); al riguardo tanto la difesa del PI. quanto il predetto imputato in sede di spontanee dichiarazioni rese il 15,7,2022 hanno insistito nel perorare l'assunto della modesta incidenza del suddetto importo sul patrimonio di vigilanza. Ebbene, così non è già in relazione a tale singola posta. Gli acquisti di azioni B. operati tramite i fondi esteri Op. e At. risultarono infatti decisamente determinanti, in prossimità della fine dell'anno 2012, nel consentire di svuotare il fondo riacquisto azioni proprie di B., equivalendo già solo essi, per importo, a un quarto del valore complessivo dell'anzidetto fondo, nell'entità considerevole (240 milioni di euro) che esso aveva all'epoca (la quale venne successivamente di molto ridotta ex lege); - del fatto che in quello stesso scorcio finale dell'anno 2012 il PI., nell'esercizio delle sue specifiche competenze quale direttore della Divisione Finanza, ebbe a curare anche la ben distinta operazione dei finanziamenti alle tre società lussemburghesi Ma. ed altre, immediatamente da esse girati alle tre società italiane Pe., Gi. e Lu.. Operazione, questa, che - come più analiticamente si illustrerà subito infra al par. 14.1.3.4. - da sola consentì, e ciò quando ormai si era giunti ancor più a ridosso del temuto traguardo di fine anno entro il quale andava svuotato il fondo riacquisto azioni proprie, di farne uscire - oltre ai 60 milioni di cui sopra - anche ulteriori 30 milioni di Euro in azioni B. (quindi in realtà l'impatto dell'operato del solo direttore della Divisione Finanza sullo svuotamento del fondo riacquisto azioni proprie a fine 2012 ammontò, trattandosi di 90 milioni di Euro complessivi, addirittura al 37,5% della sua capienza massima dell'epoca); inoltre a quei 30 milioni si aggiunsero nel 2013 altri 3 milioni di Euro in azioni B., questa volta in occasione - cfr. pag. 57 deposizione ispettore Em.Ga. del 26.9.2019 nonché pagg. 22-23 e pag. 25 deposizione ispettore Gi.Ma. del 26.10.2019 - dell'aumento di capitale di quell'anno. 14.1.3.4. I finanziamenti effettuati in favore delle società lussemburghesi Ma., Ju. e Br. (girati immediatamente da queste alle società italiane Pe., Lu. e Gi.) negli anni 2012 e 2013, Una peculiare modalità di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B., posta in essere - come emerge dall'istruttoria dibattimentale - con il diretto e determinante apporto causale di An.Pi., riguarda i finanziamenti effettuati dalla controllata irlandese Fi. in favore delle società lussemburghesi Ma., Ju. e Br. (con i relativi importi girati pressoché immediatamente, a mezzo bonifico, da queste ultime - rispettivamente - alle neocostituite società italiane Pe., Lu. e Gi., le quali a loro volta con tali provviste acquistavano, di lì a poco, corrispondenti importi di azioni B.) tanto nell'anno 2012 quanto nell'anno 2013. Fondamentale al riguardo è anzitutto, nel suo delineare con chiarezza i termini e i passaggi dell'articolata operazione, la deposizione resa dal teste ispettore Gi.Ma. all'udienza del 26.10,2019; cfr. in particolare le pagg. 23-25 del relativo verbale stenotipico nonché l'ivi citato doc. 380 del P.M., costituito da un dettagliato prospetto riepilogativo delle anzidette operazioni redatto dallo stesso teste Ma., grazie al quale si può immediatamente notare la strettissima contiguità temporale esistente tra: a) la data della delibera del finanziamento in favore di ciascuna delle tre società lussemburghesi Ma., Ju. e Br. (10 milioni di Euro a testa), rispettivamente 11.12.2012, 14.12.2012 e 7.12.2012; b) la data del bonifico effettuato (per pari importo, solo lievemente maggiorato) da ciascuna delle suddette tre società lussemburghesi in favore di ciascuna delle tre società italiane Pe., Lu. e Gi., rispettivamente 27.12.2012, 27.12.2012 e 14.12.2012; c) la data dell'acquisto di azioni B. per pressoché pari importo da parte di ciascuna delle suddette tre società italiane, che per tutte e tre è il 27.12,2012 (analoghe strettissime tempistiche connotano le similari operazioni poste in essere, per un minore ammontate pari a tre milioni " complessivi di Euro, uno a testa, tra il mese di luglio e il giorno 2 settembre 2013 in occasione dell'aucap B. di quell'anno). Questa la puntuale ricostruzione del teste Ma.: "(...) PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Senta, per aiutarla e per aiutare anche la comprensione di tutti io le esibirei il documento 380 della produzione del Pubblico Ministero (...), Che cos'è, innanzitutto? TESTIMONE MA. - Questo qua? PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Sì (il documento che le ho fatto vedere. TESTIMONE MA. - Questo è un mio riepilogo schematico, PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - E' il suo riepilogo, è un appunto fatto da lei quindi? TESTIMONE MA. - Sì, sì, sì, esce dal mio computer. E' un riepilogo, insomma, di quello che è successo sulle tre sorelle Pe., Lu. e Gi. nel 12, nel 13, nel 14 no perché non le trovammo finanziate. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Partiamo da sopra, dal 12, sbaglio? TESTIMONE MA. - Okay, Come vedete ci sono tre date, quelle sono le date di proposta finanziamento e data di delibera di... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - A sinistra? TESTIMONE MA. - A sinistra. Di tre fidi di 10 milioni ciascuno concesso da Po.Vi. Fi., Irlanda, a tre soggetti chiamati Br., Ju. e Ma.. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Quindi a sinistra è, diciamo così, il trasferimento di denaro? TESTIMONE MA. - No, no, no, la prima colonna sono le date di delibera del fido. La banca decide in quelle date di dare 10 milioni, 10 milioni e 10 milioni a Br., Lu. e Gi.. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Quale banca, dottore? TESTIMONE MA. - Irlanda. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Bp.? TESTIMONE MA. - Bp., sì, sì. Però anche qui la PEF viene vista dai Comitato Crediti della Capogruppo. Io cfho la PEF italiana, c'ho. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Ah, ho capito. TESTIMONE MA. - Bu. a quattro anni, delibera del Comitato Crediti delta Capogruppo, finalità delle PEF - fattore comune un po' per tutte e tre "finanziamento da destinazione esclusivamente all'acquisto di valori mobiliari di gradimento di Bp., anche per il tramite di società controllate, da depositare presso nostro Gruppo". (...). Okay. Tra il 14 dicembre terza colonna, data bonifico, tra il 14 dicembre e il 27 dicembre 12 queste tre società, Br., Ju. e Ma., mandano in effetti questi bonifici a Gi., Lu. e Pe.: mandano 11.600.000, 11.02S.000, 12.900.000 a Lu., Pe. e Gi.. (...) Ma. si accoppiava con Pe., come vedete dalla quarta e quinta colonna, Ju. si accoppiava con Lu., Br. si accoppiava con Gi.. (...). Cosa entra sui conti di Gi., Lu. e Pe.? Entrano questi bonifici in data 14 dicembre uno, 27 dicembre il secondo, 27 dicembre l'altro, e il 27 dicembre 12 tutti e tre mi comprano, in contropartita al fondo mi comprano una trentina di milioni di azioni. Questo vuoi dire praticamente che quei bonifici che sono entrati in realtà erano frutto del finanziamento che Bp. aveva fatto praticamente alle tre sorelle lussemburghesi, le quali a loro volta avevano trasferito alle tre sorelle italiane un importo leggermente maggiorato e con le quali poi hanno comprato azioni. Sui conti delle italiane non c'erano altre operazioni, cioè nel senso che, comunque sia, era facile stabilire la correlazione 1 a 1 tra il bonifico in entrata e l'acquisto di azioni, perché i conti delle tre italiane erano conti pressoché vuoti. Fatemi controllare, scusate. C'erano alcune partite di 10.000 Euro, 1.200 Euro qua, 10.000 Euro e 500 Euro qua, insomma non c'erano grosse partite che potevano portarmi a ritenere che c'erano tantissimi movimenti dare/avere tali per cui, insomma, non riuscivo a identificare quel bonifico all'acquisto delle azioni. Ma dietro quel bonifico c'è il fido dell'Irlanda, quindi Irlanda dà i soldi alle tre sorelle lussemburghesi, trasferiscono i soldi alle tre sorelle italiane, le quali mi comprano azioni del 2012. Queste azioni del 2012 sono le azioni in contropartita al fondo e quindi contribuiscono nel 2012 all'uso il termine "svuotare" il fondo, anche se questo termine poi arrivò alle mie orecchie alla fine dell'ispezione, contribuiscono a ridurre il fondo di 30 milioni, insieme ai 60 dei fondi At. e Op., insieme ai 10 della Ze. S.r.l.. Un'identica, uguale operazione sulle tre sorelle viene compiuta net 2013 in sede di aumento di capitale; ovviamente gli importi sono diversi, sono più bassi, ma l'operazione viene replicata uguale e identica nella forma e nella sostanza, cosa che cambia è gli importi, e gli importi li potete vedere in quella tabella chiamata "Acquisti primario 13", in cui erogano 3 milioni e mi comprano 3 milioni. Quindi l'Irlanda eroga 3 milioni, Ma., Br. e Ju., che si sono presi i milioni, me li trasferiscono immediatamente a Lu., Pe. e Gi., i quali a loro volta mi comprano, anzi, mi sottoscrivono in quel caso l'aumento di capitale dei 2013. Queste sono le operazioni riguardanti le tre sorelle lussemburghesi e italiane. La struttura di tali operazioni, connotate dalla sopra descritta triangolazione (senza, cioè, che in questo caso si fosse erogato un finanziamento direttamente utilizzato dal soggetto finanziato per acquistare azioni B.), era all'evidenza funzionale a dissimularne assai efficacemente la natura di finanziamento correlato, tanto che il teste Ma. ha ricordato, nei dettagli come la sua attenzione solo per un puro caso si appuntò sulle operazioni suddette, le quali hanno dunque concretamente "rischiato" di superare indenni l'ispezione Bc. del 2015 (cfr. pag. 22 deposizione Ma.). Gli indici della finalizzazione esclusiva di tali triangolazioni a null'altro se non alla realizzazione di una forma particolare - e più sfuggente ai controlli - di finanziamento correlato sono plurimi ed evidenti: - si trattava di società neo-costituite, tanto le tre lussemburghesi quanto le tre italiane, tutte facenti capo al gruppo Fi., i cui titolari, Ma. e De., già nel 2011 avevano peraltro concluso con B., sia pure a quel tempo non nella persona del PI., operazioni di finanziamento correlato c.d. "baciate parziali" (su tale ultimo punto cfr. pag. 45 deposizione teste Gi.Gi., verbale stenotipico 16.7.2019; "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Quindi c'è questa società che è già cliente della banca. Che tipo di operazione impostate e con quali soggetti giuridicamente? TESTIMONE GI. - Vengono impostate due operazioni: una con la Società David e una con la Società Ma.Gi.. Un'operazione... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Quindi Ma. presumo facesse riferimento a Ma. uno dei titolari? TESTIMONE GI. - Sì, sì. E David ad An. De., che era l'altro titolare, PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Okay, prego. TESTIMONE GI. - Impostammo un paio di operazioni, se non ricordo male, di valore più ampio rispetto a quella dell'operazione, sempre nell'accezione che dicevo prima, l'operazione... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Quindi parzialmente baciata, sarebbe? TESTIMONE GI. - Esatto. L'operazione era di 600-700 mila Euro, se non ricordo male, e la linea di credito poteva essere di 1 milione, ecco, una roba di questo tipo"); - non era ben chiaro quale fosse il loro oggetto, in ogni caso estraneo all'attività produttiva di beni, né - soprattutto - emergeva quali garanzie esse offrissero, sicché può ben dirsi che la valutazione del merito creditizio nei loro confronti fu effettuata in maniera eufemisticamente definibile come assai sbrigativa. E il Comitato Crediti che sì occupò di esaminare le relative PEF fu - si badi - esclusivamente quello della controllante capogruppo B.: cfr. pagg. 30-31 della deposizione del teste Pi.Ra., verbale stenotipico 21.11,2019 ("PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Ecco, ora, siccome l'ho interrotta, ma volevo chiarire questo aspetto, tornando a quello di cui lei ci stava parlando, e le faccio una domanda di carattere più generale: quando c'era da valutare in un'operazione di questo tipo, analoga, insomma, il merito creditizio, autonomamente procedeva Bp. o si appoggiava? TESTIMONE PA. - Sempre appoggiata a... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Cioè, perché? Perché era necessario? TESTIMONE PA. - Perché, per procedura, la parte creditizia era di spettanza della Po.Vi.") nonché pag. 40 ibidem ("PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Ma voi avevate, come dire, la struttura, le persone per fare una valutazione di merito creditizio? TESTIMONE Ra. - Avevamo un Comitato d'investimenti, ma che sulla parte creditizia non... semplicemente recepiva qual era la valutazione che aveva espresso la... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - La Capogruppo? TESTIMONE Ra. - Capogruppo. Quindi sulla parte di erogazione del credito si esprimeva soltanto sulla congruità del tasso d'interesse praticato, perché se poi io mi dovevo andare a finanziare a dei tassi superiori a quello che era il tasso che aveva incassato con l'erogazione del prestito, allora a quel punto il Comitato si sarebbe potuto opporre. Ma non sulla parte creditizia, valutazione delle garanzie, solidità del debitore e quant'altro"). Il teste Ra. è in ciò - si noti - pienamente riscontrato dalla deposizione del teste ispettore Gi.Ma., verbale stenotipico 26.10.2019, a pag. 24 ("TESTIMONE MA. - Bp., sì, sì. Però anche qui la PEF viene vista dal Comitato Crediti della Capogruppo. Io c'ho la PEF italiana, c'ho. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Ah, ho capito. TESTIMONE MA. - Bullet a quattro anni, delibera del Comitato Crediti della Capogruppo, finalità delle PEF - fattore comune un po' per tutte e tre -; "finanziamento da destinazione esclusivamente all'acquisto di valori mobiliari di gradimento di Bp., anche per il tramite di società controllate, da depositare presso nostro Gruppo".") e indi nuovamente a pag. 88; - il teste Ra., direttore generale della controllata Fi., ha in ogni caso efficacemente descritto la penuria estrema di dati disponibili per un serio controllo del merito creditizio da parte del Comitato Crediti della capogruppo B. a Ciò preposto: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Parliamo, quindi, sempre delle Ju., Ma. e Br.. TESTIMONE Ra. - Si PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Lei sa che documentazione aveva a disposizione il Comitato Crediti o, non so, se era il Comitato Crediti competente, ma insomma, per valutare il merito creditizio? Che documentazione ha utilizzato? TESTIMONE Ra. - Credo avesse un business pian di futura redditività dell'azienda, fatta di titoli e di finanziamento, un business pian molto semplice. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - E cioè, contenente cosa? TESTIMONE Ra. - li portafoglio titoli che ho citato prima, da una parte, e al passivo il finanziamento che aveva erogato, più capitale. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Ai tempo usò un'altra espressione, però fe chiedo che cosa voleva dire. Sempre il verbale del 20 febbraio 2017 disse, con riferimento ai business pian usò un altro aggettivo; "scarso, stringato". TESTIMONE Ra. "Sì, cioè è un foglio con, da una parte, l'attivo e, dall'altra, il passivo del finanziamento. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Non c'era nient'altro da valutare? TESTIMONE Ra. - Io non ho visto nient'altro"; - le sopra citate PEF, analizzate dal Comitato Crediti della capogruppo B., erano oltretutto caratterizzate da una causale quanto mai generica (cfr. pag. 24 deposizione teste ispettore Gi.Ma., verbale stenotipico 22.10.2019: "TESTIMONE MA. - Bp., sì, si Però anche qui la PEF viene vista dal Comitato Crediti della Capogruppo. Io c'ho la PEF italiana, c'ho. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Ah, ho capito. TESTIMONE MA. - Bu. a quattro anni, delibera del Comitato Crediti della Capogruppo, finalità delle PEF - fattore comune un po' per tutte e tre "finanziamento da destinazione esclusivamente all'acquisto di valori mobiliari di gradimento di Bp., anche per il tramite di società controllate, da depositare presso nostro Gruppo" Se volete le apro tutte e tre fe PEF, però... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Sono uguali? TESTIMONE MA. - Pressoché uguali, sono pressoché uguali")) causale in ogni caso disattesa: il finanziamento infatti, come si è visto, venne da ognuna delle tre società lussemburghesi destinato, mediante immediato bonifico bancario, alla creazione della provvista - prima inesistente - grazie alla quale le loro consorelle italiane poterono, a strettissimo giro, procedere all'acquisto di azioni B.; - l'apertura dei conti correnti delle società italiane Pe., Lu. e Gi. presso B. fu richiesta al teste Gi.Gi. (all'epoca in B. con mansioni di direttore regionale Lombardia-Liguria-Piemonte basato in Milano, ove la controllata irlandese Fi. si appoggiava - così ha spiegato lo i stesso teste Gi. alla pag. 70 della sua deposizione - in quanto priva di strutture operative proprie) da Ma.Sb., amministratore del gruppo Fi., in epoca subito successiva alla delibera dei finanziamenti in favore delle tre società lussemburghesi e i menzionati conti correnti vennero alimentati proprio con la provvista derivante dai suddetti finanziamenti, frattanto bonificati alle tre società italiane che di lì a pochissimo acquistarono le azioni B. costituenti il loro unico asset (sul punto cfr, pag. 72 deposizione teste Gi., verbale stenotipico 16,7,2019: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Cosa le disse Sb.? Lei ha avuto mica colloqui con Sb. su questa operazione? TESTIMONE GI. - No, mi disse: "Guarda, sono d'accordo, adesso ci sono da aprire questi tre conti correnti", decidemmo di aprirli poi presso fa sede di via Turati; arrivarono, appunto, questi quattrini e poi si sottoscrissero dai vari amministratori delle tre società le azioni"). Il ruolo di impulso rivestito dall'imputato An.Pi. nelle anzidette operazioni emerge a sua volta con nettezza dall'istruttoria dibattimentale. Il teste Pi.Ra., direttore generale della controllata irlandese Fi., così si è espresso sulle anzidette operazioni nel corso della sua deposizione (cfr. verbale stenotipico 21.11.2019): - pag. 28: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Dottor Ra., senta, vorrei proprio approfondire questa vicenda Ju., Ma. e Br. in tutti i suoi aspetti, per cui se può fare mente locale e ci racconti quello che si ricorda, poi eventualmente le faccio delle domande di precisazione. TESTIMONE Ra. - Quindi immagino debba raccontare come sono nate le operazioni. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Dall'inizio, sì, io partirei da come sono nate, TESTIMONE Ra. - La Divisione Finanza mi ha comunicato che c'era da fare questi finanziamenti. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - La Divisione Finanza è un soggetto inanimato? TESTIMONE Ra. - No, si chiama An.Pi., perché il dialogo ce l'avevo con lui. Mi ha comunicato che dovevo fare questi ..., che la società doveva erogare questi..."; - pag. 32: "TESTIMONE Ra. - Per la parte banca con la persona che ho detto prima, parlavo con An.Pi., mentre invece presso queste società... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Sì, no, per Ma., Ju. e Br.? TESTIMONE Ra. - Con Ma.Sb. di Finanziaria Internazionale. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - E perché si è rivolto a Sb.? TESTIMONE Ra. - Perché è la persona che mi è stata indicata da... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Da chi? TESTIMONE Ra. - ...An.Pi. come referente per la parte delle tre società"; - pagg. 36-37: Omissis - pag. 38: Omissis Il teste Ra., nell'escludere che la controllata irlandese Fi. - della quale egli era il direttore generale - disponesse all'epoca dì margini di autodeterminazione, ha altresì affermato - cfr, pagg. 26-27 ibidem - che ""L'unica possibilità di disattendere le indicazioni di Pi. erano di fatto le dimissioni (..,). Bisogna distinguere, secondo me, un periodo che va dal 2003 fino al 2012 e un perìodo successivo al 2012. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Perché bisogna distinguere? TESTIMONE Ra. - Perché nel 2012 l'invasività della Divisione Finanza nella gestione di una parte, non di una totalità ma di una parte, dell'attivo della Fi. era diventata motto presente, molto incisiva, molto pressante. PRESIDENTE - Dal 2003 al? TESTIMONE Ra. - Dal 2012 fino al 2015. E quindi, come dire, bisogna distinguere due fasi: una fase che va dal 2003 fino al 2012, nella quale c'è stata condivisione, c'è stato un allineamento nella gestione strategica dei portafogli, ma c'era un'autonomia pressoché completa nella gestione della società; e poi una nuova fase, che è quella che è iniziata con il 2012, ha visto un crescendo di ... diciamo così, di partecipazione nella gestione, dal 2012 fino al 2015, quando poi l'attività si è sostanzialmente interrotta. ". La difesa ha insistito nel richiedere la declaratoria di inutilizzabilità della deposizione del teste Ra. per asserita violazione degli artt. 210 e 192 comma 3 c.p.p. Trattasi di istanza motivatamente respinta da questa Corte con l'ordinanza 18.5.2022, rispetto alla quale nessuna sopravvenienza è stata acquisita, sicché valgono tuttora le considerazioni ivi svolte (anche con riguardo all'utilizzabilità della deposizione Ra. sulla distinta vicenda dei fondi esteri che verrà analizzata infra), considerazioni che per praticità qui si riportano in nota. Ciò posto, ritiene questa Corte che non siano fondate neppure le subordinate censure difensive di inattendibilità del teste Ra.. Per quanto attiene alla vicenda qui in esame - come pure perciò che concerne la distinta vicenda dei fondi esteri sulla quale v. infra - r riscontri alle dichiarazioni di Pi.Ra. sono plurimi. Già si è detto di come risulti effettivamente dimostrato, nel presente giudizio, che Fi.; a) non era neppure dotata dì una struttura operativa propria, tanto da dover utilizzare all'uopo quella milanese della controllante capogruppo B.; b) non era neppure in grado dì procedere da sé, con un minimo di autonomia, a un'attività delicata e fondamentale come fa verifica del merito creditizio nei confronti dei soggetti aspiranti a ricevere da essa finanziamenti, provvedendovi invece il Comitato Crediti della capogruppo controllante B. (si noti che ciò non fu un unicum circoscritto alla vicenda delle c.d. "tre sorelle" lussemburghesi e delle loro tre controllate italiane; si trattava viceversa della regola generale per Fi.: cfr., pag., 19 della deposizione 26.10.2019 del teste ispettore Gi.Ma., il quale descrive l'analogo iter - anche in quel caso connotato dalla verifica del merito creditizio condotta dal Comitato Crediti della capogruppo controllante B. - seguito nella ben distinta vicenda del finanziamento correlato erogato proprio dalla società irlandese Fi. al gruppo "So.", del quale si è detto supra; a tale ultimo proposito, anzi, si osserva che proprio la vicenda "So." plasticamente conferma gli assunti del teste Ra. in ordine alle pesanti ingerenze esercitate, a far tempo dal 2012, dalla Divisione Finanza della capogruppo controllante B. nei confronti della controllata irlandese Fi., di fatto in più occasioni utilizzata dalla prima come un mero utile strumento tramite il quale poter più agevolmente porre in essere operazioni "scomode"; ed invero lo stesso teste Va.Ma., legale rappresentante del gruppo "So.", nemmeno si aspettava, avendo egli condotto la trattativa esclusivamente con An.Pi. e con il d.g, Sa.So. di B., che alla fine il finanziamento correlato, pari a 25 milioni di Euro, gli venisse erogato da Fi., società a lui fino a quel momento ignota: cfr. pag. 59 deposizione Ma., verbale stenotipico 12.12.2019: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Si ricorda se, durante le trattative, se si possono definire così, le venne anticipato che, in realtà, il finanziamento arrivava da questa società? Lei la conosceva questa società irlandese? TESTIMONE Ma. - No, assolutamente no"). Dal canto suo il teste ispettore Em.Ga. ha evidenziato, riguardo a Fi., quanto segue, il che è a sua volta del tutto congruente con la rivendicazione, da parte del teste Pi.Ra., della ben scarsa autonomia della controllata irlandese rispetto alla capogruppo e in particolare rispetto alla Divisione Finanza di quest'ultima: "TESTIMONE Ga. - C'era anche nel mandato di ispezione l'obiettivo dì dare un occhio particolare all'operatività di Br.. Bp. è una società che faceva parte del Gruppo Po.Vi., una controllata di diritto irlandese, che era stata costituita, sostanzialmente, con obiettivi, quando un po'tutte le banche italiane, anche in virtù del particolare regime fiscale di favore che ha l'Irlanda, costituivano società all'estero in Irlanda; che non è mai decollata in maniera significativa, faceva un po' di operatività acquistando titoli originari da cartolarizzazioni, quindi con sottostanti crediti, cose di questo genere, Ma operatività sostanzialmente poco significativa in termini dimensionali. Quindi noi, nel fare le verifiche su Bp., abbiamo verificato che nell'attivo creditizio, premesso che i crediti non erano l'attività core, non dovevano essere l'attività core di Bp., quindi un'attività di elezione; in Bp. abbiamo notato queste posizioni creditizie relative a queste società Br., Ma. e Ju. E abbiamo approfondito queste posizioni". In aggiunta a tutto ciò, e venendo più specificamente alla vicenda delle tre società lussemburghesi, il teste Gi.Gi. (delle cui qualifiche già si è detto supra) a sua volta riscontra il teste Ra. circa il ruolo, per così dire strumentale, rivestito da Fi. - benché autrice materiale dei finanziamenti - nella vicenda suddetta, connotata da un impulso proveniente in realtà da An.Pi. tanto per le operazioni del 2012 quanto per quelle del 2013. - anno 2012 (cfr. pag. 70 del verbale stenotipico 16.7.2019): - TESTIMONE GI. - Fine 2012, quindi io sono a Milano da sette-otto mesi. E il dottor Pi. mi dice: "Guarda che ti chiamerà - che "vi chiamerà" o "ti chiamerà", non ricordo bene - Ra. per l'inquadramento di queste operazioni su queste società". PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Quindi lui citò anche le famose Br., Ma. e Ju.? TESTIMONE GI. - Non ricordo se citò, mi dice "Sarai" o "Sarete" non mi ricordo, "chiamati da Ra. per l'inquadramento di queste operazioni". PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Per inquadrare le operazioni, le citò qualche persona fisica che già lei conosceva o qualche società? TESTIMONE GI. - No, in quel momento, no, Ra. contatta - credo fosse de visu anche, cioè proprio viene a Milano perché ogni tanto poi c'era - il nostro capo dei Crediti della regione, il dottor Ma., e gli disse "Guarda che sono d'accordo con Pi. che inquadreremo... che ti manderò, ti inoltrerò queste pratiche perché? Perché fa Fi. non aveva struttura, e quindi si serviva, sostanzialmente, come service dell'area, o della direzione regionale o dell'area nella quale queste operazioni venivano inquadrate. Quindi Ra. scrive una e-mail e dice: "Caro dottor Ma., ti prego di inquadrare questa linea di credito su questa società, con questa durata, con questo tasso. Le finalità sono queste. I soci di questa società sono questi. Abbiamo fatto i controlli World Check" eccetera, e bla bla bla, eccetera eccetera. E quindi noi, come poi ..."; - anno 2013 (cfr. pag. 73 del verbale stenotipico 16.7.2019): "TESTIMONE GI. - No, poi, a un certo... lì siamo alla fine del 12, quindi lì poi succede che poi c'è l'aumento del capitale delle 13, no? Io ricordo che poi andai dal dottor Pi. e dissi: "Scusami" le società, le tre società devono fare l'aumento di capitale?", "Devono fare l'aumento di capitale" e allora. Sempre al teste Gi., nel corso dell'udienza del 16.7.2019, è stata mostrata la produzione documentale del P.M. costituita dal rapporto dell'Internal Audit relativo all'intervista fattagli il 23 luglio 2015, un passo del quale (primo paragrafo di pag. 2) ha il seguente tenore: "Altra eccezione è costituita dalle operazioni appostate sulla Fi. su input di Pi. a seguito dei rapporti instaurati con Ma. e De.. In base alle informazioni fornitegli dal Sig. Sb., dette operazioni furono costruite e concordate con " So., Pi., Ma. ed ovviamente Ra. appoggiandole sulle tre società lussemburghesi Ju., Ma. e Br.". Ebbene, il teste Gi., su specifica domanda del difensore del PI., ha confermato integralmente tale sua dichiarazione - inclusa dunque la parte relativa all'input proveniente dal predetto PI. - rettificandola unicamente quanto a un dettaglio irrilevante (l'aggiunta del nominativo del Ma. a quello del De.), cfr. pag. 79 verbale stenotipico 16.7.2019: Omissis Un altro significativo riscontro al teste Ra. circa il pieno e diretto protagonismo di An.Pi. nell'operazione in esame (tanto da avere quest'ultimo elaborato una sua versione dei fatti - in buona parte analoga a quella, come vedremo insoddisfacente, da lui offerta nel presente giudizio - per tacitare chi, all'interno di B., gliene chiedeva conto) viene dal teste Gi.Fe., ex militare della GdF passato in B. nel 2006, all'epoca responsabile della Co. (cfr. pagg. 45 e ss. verbale stenotipico 31.1.2020). Il Fe., imbattutosi casualmente in tale operazione nel 2013 nell'ambito di un controllo antiriciclaggio, ha dichiarato quanto segue (cfr. pagg. 45-46 ibidem): "Insomma, è una cosa che volevo capire bene, ma per l'antiriciclaggio volevo capirla bene, cioè all'epoca io non avevo la sensibilità che c'è stata dopo sul tema finanziamenti correlati all'acquisto di azioni. Andai da So., e So. mi rinviò su Pi., mi disse: parlane con Pi.. Quindi andai da Pi., e Pi. mi disse: no, guarda che con Finanziaria Internazionale abbiamo dei discorsi in piedi. E in effetti, la banca, in quei periodo, stava acquistando molte azioni di Sa., tanto che arrivò all'8% di Sa., cioè un po' di azioni furono acquistate direttamente nei/'ambito detta movimentazione del portafoglio proprietario, quindi dalla Divisione Finanza della banca, altre azioni furono acquistate ai blocchi da parte della banca passando per il processo del Comitato Partecipazioni. Per cui, effettivamente, cioè, Pi. me la vendette un po'così, dice: no, guarda, loro stanno comprando, hanno della liquidità a disposizione in questo momento che noi gii abbiamo fornito per fare altre cose, gli abbiamo chiesto di comprare azioni, cioè, anzi, no gli abbiamo chiesto di comprare azioni, ci scambiamo ... Loro comprano azioni detta banca, noi stiamo comprando azioni di Sa., io avevo fatto un po' di ragionamenti anche su ipotesi di market abuse, però eravamo arrivati alta conclusione che non ci fossero problematiche di quel genere, anche perché c'era assoluta trasparenza sul fatto che Po.Vi. stava scalando il capitale di Sa., cioè era diventato il principale azionista di Sa., oltre a Ma.. E quindi la vicenda si chiuse così. Cioè, poi, successivamente, è stato chiaro che... è stato chiaro dopo che ne abbiamo parlato con Bc. e Consob che in realtà l'obiettivo era un altro, PRESIDENTE - Mi scusi, Dottore, ma lei questo accertamento, questo colloquio quando lo ha avuto con So./Pi.? TESTIMONE Fe. - 2013. PRESIDENTE - 2013, quando? TESTIMONE Fe. - Eh, poco dopo l'ispezione fatta in Irlanda, in Fi.. Mi pare, però forse mi sbaglio, estate 2013. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Se posso, perché effettivamente sul punto non aveva detto, nel verbale del 7 ottobre 2015 lei disse: "Nel corso di un incontro con So., da me richiesto per questa vicenda, avvenuto, se ben ricordo, nel giugno del 2013, lo stesso Direttore Cenerate mi invitò a sentire Pi. - Ecco, poi le interlocuzioni si sono svolte di lì a poco rispetto a? TESTIMONE Fe. - Sì, sì, no, era stato tutto motto immediato. La giustificazione dell'operazione che ebbe a fornire nel 2013 il PI. al teste Fe. della Compliance, ossia il suo essere una sorta di operazione di "mutuo soccorso" volta ad aiutare il gruppo Fi. a mantenere il controllo di Sa., società dì gestione dell'aeroporto Ma.Po. di Venezia, rastrellandone azioni, è stata indi riproposta dall'imputato, peraltro con non insignificanti modifiche, nel suo esame dibattimentale del 3.3.2020 (cfr. sue pagg. 88-95). In sede di esame, per la verità, lo stesso PI. ha finito con l'ammettere dì aver concepito lui, personalmente, tale operazione su proposta di Ma.Sb. di Fi. (è anzi a suo dire lo Sb. che, testualmente, gli riporta l'operazione da fare": cfr. pag. 90 esame dibattimentale del 3.3.2020 cit.) e di averla affidata a Fi. soltanto perché veicoli erano lussemburghesi, per cui l'unica società che poteva fare un finanziamento a un veicolo lussemburghese era la Fi. perché era un finanziamento estero su estero, così come faceva la Fi. di mestiere" (cfr. pag. 92 ibidem). Tale operazione, secondo il PI., sarebbe rientrata "in un novero di rapporti a più alto livello tra la Banca (...) e il Gruppo Fi. Il Gruppo Fi.... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - "A più alto livello" che significa? IMPUTATO PI. - Scusi? PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - più alto livello" che significa? IMPUTATO PI. - A livello, probabilmente, di CdA o di Direzione Generale, con i responsabili... con gli amministratori delegati e anche i proprietari di quello che all'epoca era il Gruppo Finanziaria Internazionale, cioè Ma. e De., all'epoca, poi rimase solo Ma.. Dico questo perché di fatto la banca aiutò il Gruppo Finanziaria Internazionale a mantenere il controllo del rapporto Sa ve di Venezia, non a caso... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Perché vendevano gli Enti locali, no? IMPUTATO PI. - Scusi? PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - La partecipazione degli Enti locali che veniva venduta? IMPUTATO PI. - Comprammo una parte la partecipazione degli Enti locati, che dismisero l'investimento, ma io, poi, come Divisione Finanza, feci parecchie operazioni sul mercato per accrescere la percentuale. Tanto che la Po.Vi. era il secondo azionista di Sa., a un certo punto, con t'8,2% della cosa. Questo era il quadro generale all'interno del quale si staglia questo tipo di operazione. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Okay. Ma, come dire, chiamiamola "scalata" si può dire di B. a." - O l'acquisto semplicemente di B. delta partecipazione di Sa., è un'iniziativa di chi? E' una decisione? IMPUTATO PI. - è un'iniziativa che proviene dal CdA della banca. PUBBLICO MINISTERO, DOTT.. Sa. - Dal CdA della banca? IMPUTATO PI. - Assolutamente sì" (cfr. pagg. 88-89 ibidem). Tuttavia la ricostruzione operata dal PI. nel suo esame dibattimentale - differendo sul punto da quanto egli aveva riferito nel 2013 al teste Fe. - risulta contraddittoria laddove da un lato l'imputato ribadisce il preteso scopo di mutuo soccorso e di aiuto reciproco tra B. e Fi. (cfr. pag. 90 ibidem: "Esattamente la stessa logica che dicevo prima sugli investimenti con gli accordi con investitori istituzionali; tu mi aiuti da un lato e io ti aiuto dall'altro. Lo trovavo anche logico dal punto di vista..."), il che avrebbe logicamente importato che la contropartita del rastrellamento di azioni Sa. da parte di B. fosse l'acquisto di azioni B. da parte di Fi. ovvero delle sue controllate (come appunto il PI. ebbe a riferire nel 2013 al teste Fe., v. supra), mentre dall'altro lato il PI. afferma in sede di esame che l'accordo con Fi. prevedeva viceversa l'acquisto, da parte di quest'ultima, non già di azioni B. (la cui detenzione da parte delle tre società italiane Pe., Gi. e Lu. l'imputato sostiene di avere scoperto solo nel 2013 in quanto riferitagli proprio dal teste Fe. della Co.: cfr. pag. 93 ibidem) bensì di titoli tutt'affatto diversi, emessi da soggetti terzi (cfr - pag. 92 ibidem: "Genericamente, private equity o comunque equity dei nord est, e rinnovabili. Infatti, compravano Co.")) ciò fa però scolorire del tutto il vantato scopo di reciproco sostegno che avrebbe animato l'operazione, non riuscendosi allora a scorgere quale mai potesse essere, così stando le cose, il vantaggio, per così dire, "sinallagmatico" conferito da Fi. a B. in cambio di tutto il prodigarsi di quest'ultima per rastrellare azioni Sa., Ed invero, nonostante i ripetuti tentativi del Pubblico Ministero di riuscire a individuare - in sede di esame dibattimentale del PI. - l'altro capo del preteso rapporto biunivoco dì mutuo soccorso e reciproco sostegno intercorso con Fi. in relazione all'acquisto di azioni Sa., va detto che tale ricerca è rimasta, di fatto, priva di esito (cfr. pagg. 94-95 ibidem). A questo punto l'unica logica spiegazione dell'operazione in esame è e resta, dunque, quella - del tutto lineare - fornita dal teste Ra. (della cui attendibilità, in quanto adeguatamente riscontrato su plurimi aspetti della sua deposizione, già si è detto), secondo la quale l'operazione, concepita e sottopostagli per la materiale esecuzione dal PI., non aveva altro scopo se non quello di aiutare B. a liberarsi di un rilevante quantitativo di proprie azioni: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. "Il 20 febbraio 2017 lei disse questo: "Nel momento in cui ho appreso che le società italiane - chiamiamole S.r.l. - avevano acquistato" Lei non si ricorda i nomi di queste società? TESTIMONE Ra. - Gi., Pe. e Lu.? PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Sì, quindi si ricorda, Gi., Pe. e Lu., mi pare, ecco, non mi ricordo neanche io! ..." avevano acquistato queste azioni Bp., a fronte delie mie perplessità, Pi. mi ha replicato che era necessario aiutare la banca a comprare le azioni proprie". Questo è accaduto? TESTIMONE Ra. - St. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Sì, no, quando: nel primo momento o nel momento in cui è stato evidente che il finanziamento era stato destinato ad acquistare azioni delta banca? TESTIMONE Ra. - Nel momento in cui è apparso evidente che tutta l'operazione era poi finalizzata ad acquistare azioni della Po.Vi.. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Della banca, quindi Pi. le dette questa spiegazione? TESTIMONE Ra. - SI" (cfr. pagg. 37-38 verbale stenotipico 21.11.2019). Alla stregua delle considerazioni fin qui svolte non può revocarsi in dubbio la penale responsabilità di An.Pi. con riguardo ai finanziamenti erogati nel 2012 e nel 2013, tramite Fi., alle società lussemburghesi Ma., Ju. e Br.. 14.1.3.5. Le operazioni di investimento nei fondi esteri At. e Op. (Mu. e Mu.). Dall'istruttoria dibattimentale è altresì emerso il diretto e determinante apporto causale di An.Pi. negli investimenti operati, tanto nel 2012 da parte della capogruppo B. quanto nel 2013 da parte della sua controllata irlandese Fi., nei fondi esteri unknown exposure denominati At. (con sotto-fondo/comparto denominato Eu., oggetto di investimento a fine novembre 2012 da parte di B.) e Op. (fondo-ombrello Op., due "raggi" del quale erano il Fo., articolato nei sotto-fondi/comparti Beta, Gamma e Delta, oggetto di investimento a fine novembre 2012 da parte di B., e il Fo.Mu., oggetto di investimento l'anno seguente, 2013, da parte della controllata irlandese Fi.); investimenti tradottisi: - da un lato, e anzitutto, nella protratta giacenza, presso determinati comparti (o sotto-fondi) di tali fondi, di azioni B. per un valore originariamente pari a complessivi Euro 60 milioni, di cui 30 milioni su At. e 30 milioni su Op.; azioni costituenti dunque oggetto di un vero e proprio deposito indiretto e occulto in spregio all'allora vigente circolare 263/2006 di Banca d'Italia che, pur non essendo ancora entrato in vigore l'ancor più stringente regime del c.d. CRR (Regolamento UE n. 575/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, vigente dall'I.1.2014), già prevedeva comunque l'obbligo di scomputo dal patrimonio di vigilanza delle azioni proprie detenute a qualsiasi titolo, diretto o indiretto; - dall'altro lato, e in aggiunta a ciò, nella sostanziale effettuazione - tramite altri comparti dei suddetti fondi esteri - di "operazioni creditizie non passate attraverso gli organi competenti. Queste operazioni creditizie, invece di passare attraverso gli organi competenti, erano state fatte in forma di emissione, di sottoscrizione di obbligazioni. Sono stati dati soldi al Gruppo Ma., al Gruppo De Ge., al Gruppo Fu., due gruppi, tra l'altro, De Ge. e Ma. che la banca... che già non pagavano, superando limiti importanti di ammontare" (cfr. pag. 66 deposizione teste ispettore Em.Ga., verbale stenotipico 26.9.2019). Fondamentale al riguardo è ancora una volta, in primo luogo, la deposizione resa dal teste ispettore Gi.Ma. all'udienza del 26.10.2019; cfr, in particolare le pagg. 8-21 del relativo verbale stenotipico, da cui si evince che: - il team ispettivo Bc. entrò in B. "sapendo che c'erano dei fondi che detenevano al 30 giugno 2014, sulla base delle segnalazioni effettuate a Banca d'Italia, a Bc., 55 (rectius 52,4) milioni di Euro di azioni proprie Che poi erano scesi fino a zero al 31 dicembre (...)" (cfr. pagg. 8-9 deposizione teste Ma.); - lo stesso team ispettivo Bc., nella persona proprio dell'ispettore Ma., rapportandosi con l'Ufficio Soci di B. (il cui responsabile era il teste Fi.Ro.), riuscì a ricostruire "le modalità di acquisto di questi 55 (rectius 52,4) milioni che in realtà non furono 55 ma erano 60" (cfr. pagg. 9 deposizione teste Ma.); - gli ispettori, in particolare, ebbero a verificare a tal proposito che in data 27-28 novembre 2012 la banca decide di investire 100 milioni su un fondo chiamato Op., 100 milioni su un fondo chiamato At.. Le modalità con le quali avviene questo investimento nei fondi sono di questo tipo: la banca, o il sottoscrittore, si impegna irrevocabilmente a versare 100 milioni, poi sono i fondi che decidono di chiamare a sé, ricevere i 100 milioni. Op. li riceve subito, i primi giorni di dicembre 2012 riceve questi 100 milioni, si fa dare 100 milioni; At. si fa dare 70 milioni a dicembre e i 30 a gennaio 13. Quindi quello che è importante è che a dicembre 2012 i fondi avevano in pancia, dalle ricostruzioni, 100 milioni cash uno, Op., 70 milioni cash l'altro, At.. 28 novembre... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Novembre 2012? TESTIMONE MA. - Novembre 2012. Dopodiché I fondi acquistano azioni con tre operazioni diverse, si cominciano a muovere praticamente sulle azioni proprie, e questo avviene tutto tra il 27 dicembre 12 e 31 dicembre 12. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Quindi a fine anno? TESTIMONE MA. - Assolutamente sì (...). I fondi acquistano 60 milioni in questo modo. Cominciamo con un'operazione semplice, l'operazione semplice la fa l'Op.: mi compra 29,972.000 Euro dì azioni, se permette arrotondo a 30 altrimenti numeri (...), Op., arrotondo a 30 milioni, ordine 27-28 dicembre, valuta 31 dicembre. Cosa significa? Che il 31 dicembre c'è lo scambio: Op. si prende le azioni dal fondo e fornisce 30 milioni alla controparte. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Direttamente? C'era un intermediario qua? TESTIMONE MA. - Qui in mezzo c'è un broker chiamato Ma.Sp. (...). Op. compra 30 milioni, valuta 31 dicembre. At.. At. fa una stessa identica operazione: ordine il 27-28 dicembre 12, valuta 31.12.12, però At. mi compra 5,5 milioni. In mezzo c'è De.. Mancano all'appello 24,5 milioni. Questi 24,5 milioni hanno una struttura un pochino più complessa, cerco di essere il più possibile semplice (...). At./Eu., se ricordo bene. Quindi 30 Op., 5,5 At., mancano all'appello 24,5. Questi 24,5 milioni nascono in realtà un po' prima delfine dicembre, perché l'Ufficio Soci mi portò delle e-mail, chiesi all'Ufficio Soci: mi fate capire come nasce l'ordine, come nasce l'acquisto, perché questi fondi hanno acquistato? L'Ufficio Soci, nella persona del dottor Ro., mi portò delle e-mail. Queste e-mail partono il 14 dicembre 12 e riguardano uno scambio di e-mail tra il dottor Pi. e due soggetti italiani (...) avevano lo stesso cognome, Ri.Al. e Ri.Em., se ricordo bene, che lavoravano in una banca londinese ma giapponese, banca No. (...). Dopodiché questa operazione, 14 dicembre, le e-mail che seguono riguardano, diciamo, la parte operativa, cioè l'Ufficio Soci della Po.Vi. e il back office di questa banca. Arriviamo quindi all'ordine. L'ordine di No. è di 24,5 milioni, un ordine che corrisponde a 392.000 pezzi di azioni che, controvalorizzate appunto sono 24,5 milioni. Ordine del 27 e 28 dicembre, valuta 31.12. Uguale identico agli altri fondi Op. e At.. Prezzo 62,50, ovviamente, perché la banca non è che poteva vendere a un prezzo più alto o più basso. E l'operazione fini là, quindi No. al 31 dicembre si prende 24 milioni di azioni. Successivamente, quando abbiamo ricevuto praticamente dai fondi At. ed Op. la contabile con la quale loro erano venuti in possesso, diciamo, delle azioni, notai che in realtà la banca depositaria di At. scrive ad At. dicendo: guarda che tu hai acquistato 24,5 milioni di azioni, e su in alto c'è una data che è 28 dicembre 2012, trade date, trade date significa data dell'ordine, insomma, però valuta 2 gennaio. Cosa significa? Significa, ai miei occhi, che No. compra 24,5 milioni il 27 dicembre, valuta 31, ma sotto probabilmente c'era un altro contratto già fatto con At., stessa data ma passiamo il Capodanno, 2 gennaio 2013, 2 gennaio perché l'I gennaio/ insomma, è festa per tutti In questo modo / fondi hanno comprato 60 milioni, Siamo ai 2 gennaio 2013: 30 milioni Op., 5,5 At., di prima, 24,5, fa somma fa 60 milioni. Siamo al primo gennaio 2013 e il 2013 scorre in maniera, diciamo, normale - Ritengo che i fondi avessero in pancia ancora 60 milioni (...). No. compra dalla banca a 62,50 e poi vende, stessa data ma con valuta 2 gennaio, ad At., ovviamente sono banche che non fanno nulla per nulla, le vende non a 62,50 ma a 62,56. Diciamo che due privati possono scambiarsi le azioni di Po.Vi. a qualsiasi prezzo, insomma non sono obbligati". Se non vai sul mercato della banca compri a un prezzo che vuoi, insomma, com'è successo poi su un'altra operazione che, semmai vi può essere utile raccontarvi, 62,56. Se noi moltiplichiamo 62,56 per il numero delle azioni vediamo che No. da questa operazioncina ha guadagnato lo 0,1% di 24,5 milioni, cioè 24.500 euro" Quindi No. ci guadagna da questa bridge, chiamiamola bridge, ponte, operazione ponte, 24.500 Euro per di fatto tenere le azioni un giorno, due giorni, da131.12 ai 2 gennaio, Il 2 gennaio già ce le aveva At./Eu., dai documenti che io ho e dalle evidenze contabili. Il 2013 scorre in questo modo, cioè i fondi hanno 60 milioni in pancia, ritengo che avessero 60 milioni in pancia perché? Perché nel 2013... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Però non si sapeva? TESTIMONE MA. - Non si sapeva" (cfr. pagg. 9-12 deposizione teste Ma.). E' altresì emerso, sempre in sede ispettiva, che i fondi esteri in questione, al di là del fatto di essere fondi appartenenti alla categoria unknown exposure (= a esposizione ignota o non comunicata), ossia non tenuti a comunicare all'investitore come e dove impiegheranno i suoi denari (un connotato, questo, che - come osserva la difesa - non era estraneo neppure a taluni fondi di tutt'altro gestore in precedenza utilizzati da B. con profitto per la propria liquidità), avevano quale loro ben più significativa - e questa sì del tutto anomala - caratteristica quella di non essere fondi collettivi, ossia connotati da una pluralità di investitori, bensì di vedere quale proprio unico investitore (e/o, al più, quale proprio investitore al 90%) la stessa B.. Tale peculiarità - invero determinante nel condurre a ravvisare la penale responsabilità dell'imputato PI., come sì vedrà infra - è stata illustrata con particolare chiarezza dal teste ispettore Em.Ga. alle pagg. 60-62 della sua deposizione resa il 26.9.2019: "TESTIMONE Ga. - A esposizione ignota o non comunicata, insomma, poi fa traduzione... Cioè fondi in cui il gestore ha fa possibilità di non comunicare i sottostanti. Qual è la singolarità? Quindi uno strumento consueto, anche se un po' particolare, però è normale, può capitare. Qua! è la singolarità? La singolarità è che Po.Vi. era, sostanzialmente, l'unico sottoscrittore di questi fondi. Quindi questi fondi, il fondo, per sua natura, anche il fondo più riservato, per sua natura, ha una pluralità di sottoscrittori; cioè c'è una serie di soggetti che sottoscrivono quote di un fondo e conferiscono delle somme perché vengano gestite e investite - Qui, invece, la vera natura giuridica, la sostanza è che non si trattava di fondi: si trattava di gestioni patrimoniali, cioè se il fondo è completamente alimentato da risorse mie non è un fondo, è una gestione patrimoniale di mie risorse. (.... Il Comitato Finanza, in realtà, non ha mai saputo nulla di quello che c'era nei fondi perché / veri asset in cui i fondi erano investiti erano sottofondi che, a loro volta, occultavano i veri strumenti finanziari target strumenti finanziari finali in cui i fondi erano investiti. E in più, il Consiglio di Amministrazione non ha mai verificato che l'obiettivo iniziale per cui questi fondi erano stati... si era deciso di acquistare questi fondi quello che è stato formalizzato, cioè quello di intrattenere relazioni con chi potesse portare liquidità alla banca, si verificava, cioè si era verificato. Cioè, inizialmente, questi fondi erano stati sottoscritti perché il dottor So., Pi., non so chi ha presentato fa richiesta in Consiglio di Amministrazione, aveva detto: "No, vabbé, ci serve avere questo plafond, che è stato progressivamente aumentato, plafond importante perché il rischio è elevato, "Ci serve avere questo plafond perché così intratterremo relazioni con clienti che poi ci potranno portare della raccolta, noi abbiamo bisogno di raccolta", quindi un po' replicando quel meccanismo che la banca aveva utilizzato con Az. nel 2011 -2012, alla fine del 2011: quando la banca aveva avuto dei problemi di liquidità, aveva investito in fondi Az., e Az. Aveva portato, credo, 400 milioni di raccolta. Però i problemi di liquidità, alla fine del 2012f erano venuti meno e, comunque, in ogni caso, il Consiglio di Amministrazione non ha mai verificato che effettivamente i fondi Op. o At. avessero portato quella liquidità, e poi effettivamente non è stata portata". Già le sole acquisizioni dei dati oggettivi, qui riportati, esposti dagli ispettori Gi.Ma. ed Em.Ga. rendono evidente l'infondatezza di una serie di assunti difensivi volti a perorare la bontà e la piena legittimità delle suddette operazioni di investimento nei fondi esteri; assunti ribaditi con forza dalla difesa in sede di discussione finale, secondo cui: a) un soggetto di solida reputazione come la banca internazionale No. ebbe a divenire, in tal modo, investitore e socio di B. (in realtà, come si è visto, No. si tenne le azioni B. appena per due giorni, vendendole immediatamente dopo al fondo At. e finanche lucrando su tale sua rapida intermediazione l'importo di 24.500,00= euro); b) l'operazione era una mera replica di quella fatta in precedenza con i fondi Az., che avevano effettivamente dato ottimi risultati in termini di liquidità, e ciò in quanto Op. e At. avrebbero distribuito i 60 milioni di azioni B. presso la propria clientela, essendo investitori istituzionali (in realtà, come si è visto, i fondi lussemburghesi Op. e At. e per essi i loro sotto-fondi - ovvero comparti-, non essendo fondi collettivi, erano strutturati ben diversamente dai fondi Az. fino a quel momento utilizzati, giacché, di fatto, non avevano la benché minima clientela presso la quale poter distribuire quelle azioni, semplicemente in quanto non esistevano, di fatto, altri loro investitori se non la stessa B.). Quanto poi all'appena ricordato ruolo di mero intermediario e depositario temporaneo (per due soli giorni) svolto da Banca No. nella vicenda dell'acquisto di azioni B. per 24,5 milioni di Euro da parte del fondo At., il protagonismo del PI. è reso evidente, al pari della vera natura dell'operazione (con la quale B. perseguiva l'obiettivo di dare una collocazione occulta a un non certo irrilevante quantitativo di azioni proprie), dal tenore della e-mail inviatagli in data 14.12.2012 ad ore 8.59 da Ri.Al. di No., in atti sub doc. 378 del P.M.: "Ciao An.. Spero tutto ok" Ti volevo segnalare che abbiamo un concreto interesse da investitori per acquisto azioni B.. Stiamo smarcando alcuni passaggi formali interni che dovrebbero essere completati fra oggi e lunedì. A quel punto potremo formalmente farvi un'offerta di acquisto. Avrei bisogno di sapere da te: - Conferma del prezzo che abbiamo già discusso di persona; - Conferma che e ok che acquirente risulterà poi essere SPV di No.; - Conferma su vostra indicazione di size. Mi avevi detto che forse preferivate fare importi rotondi. Aspetto tue notizie, Metto in copia Al.Ri. mio collega di Eq. che seguirà questa operazione (essendo io in vacanza prossima settimana)". Come ha condivisibilmente affermato (v. subito infra) il teste ispettore Gi.Ma. mentre il suddetto doc. 378 gli veniva esibito dal P.M., sarebbe ben bizzarro, in una normale transazione connotata dalla segnalata presenza di reali investitori effettivamente interessati all'acquisto di azioni altrui, che l'entità del pacchetto azionario oggetto della potenziale compravendita non fosse determinata dalle indicazioni dell'acquirente - che è l'aspirante azionista - bensì da quelle del venditore; in più nello stesso doc. 378 del P.M. compare anche una successiva e-mail inviata il 20.12.2012 ad ore 11.08 da Al.Ri. di No. al PI., oltre che all'omonimo suo collega Ri.Al., avente il seguente tenore: "Gentile dott. Pi.. Spero che questa mia email la trovi bene. le chiederei la cortesia di sentirci ai telefono, magari nella mattinata di oggi, per dare seguito alle conversazioni da lei avute con il mio collega Ra.. Mi potrebbe dire su che numero la posso rintracciare e a che ora la posso disturbare?". Se sì fosse realmente in presenza dì una normale e trasparente transazione di compravendita di azioni, condotta alla luce del sole, davvero non sarebbe dato comprendere la ragione di tanta segretezza. Su tutto ciò cfr., per l'appunto, pag. 11 deposizione Ma., verbale stenotipico 26.10.2019: "TESTIMONE MA. - Se andate a pagina... dovete fare tre giri di pagina, ci sono delle frecce" quelle sono le mie frecce. Ri. Ra. scrive a Pi., ma questa è una curiosità, è rimasta tate, insomma, però ovviamente mi avevano un po' incuriosito le modalità di formazione di questa operazione, perché? Perché Ri. Ra., potenziale compratore, dice: "guarda che noi abbiamo un concreto interesse da alcuni investitori per acquistare le vostre azioni"; e poi, al terzo capoverso: "mi conferma su tua indicazione la size? Mi avevi detto che preferivi fare importi rotondi". Ora, mi aveva incuriosito questa cosa perché il compratore non chiede al venditore "che volume vuoi fare?". Insomma, il compratore va dal venditore e gii dice "scusa, voglio comprare 24,S, ce l'hai?" Comunque, al di là di questo, questa fu una curiosità. Oltre al fatto, insomma, nella parte aita di questa pagina ci sono altre frecce con le quali Ri., insomma, dice "sentiamo al telefono"; per altri motivi". D'altra parte, che l'operazione Op.-At. avesse connotati diversi - e volutamente assai più "misteriosi", pure all'interno della stessa Direzione Finanza di B. - rispetto alla pregressa esperienza di investimento con i fondi Az. è dimostrato anche dalla deposizione resa in data 9,1,2020 (pagg. 47-49 del relativo verbale stenotipico) da Pa. Al., subalterno del PI. nell'ambito della Divisione Finanza, con il quale l'imputato, pur trattandosi di uno dei suoi più stretti collaboratori e per di più responsabile della branca Global Markets (veste nella quale l'Al. aveva svolto un ruolo rilevante nelle operazioni di investimento pregresse con i fondi Az.), si dimostrò evasivo e sfuggente, non coinvolgendolo se non per sommi capi: "TESTIMONE AL. (...) a partire dalla fine dei 2011, ci fu un inserimento di una componente di fondi. Nell'ambito di questa componente di fondi, la mia... il mio ruolo è stato soprattutto di portare o di proporre, e poi è stato validato dal Comitato Finanza e dal Consiglio di Amministrazione, investimenti nei fondi Az.. I fondi Az. di riferimento erano collegati a un investimento della banca a fronte di un deposito di liquidità da parte dei fondi medesimi - Ovviamente, questa cosa avveniva a nostro favore, nel senso che raccordo era di acquistare un x dì questi fondi e di avere, dall'altra parte, 3 volte x di liquidità a favore della banca; e in questo ambito io facevo... PUBBLICO MINISTERO - Quindi l'obiettivo strategico era la liquidità? TESTIMONE AL. - Assolutamente, PUBBLICO MINISTERO - Parliamo di azimut? TESTIMONE AL. - Az., assolutamente - E nell'ambito del tema dei fondi Az., la vicenda iniziò nel 2011, e anche quando andai via, nel 2015, mi ricordo che con il nuovo Responsabile della Divisione Finanza feci proprio un incontro con Az., perché Az. era e rimaneva uno dei principali depositanti a livello istituzionale di liquidità nei nostri confronti, Dopodiché, c'è la vicenda dei fondi a cui lei fa riferimento. La decisione di investire in questi fondi non fu una decisione dove io ebbi un ruolo nel dire: andiamo a investire in questi fondi. Non ricordo di aver partecipato a discussioni circa la selezione dei fondi, Non vidi, se non poi, come lei accennava, Dottore, nella parte finale, il tema relativo ai contratti. Furono, come qualsiasi investimento, rappresentati in Comitato Finanza, mi sembra di ricordare, però è un ricordo di memoria, quindi non ho una e-mail o feci una e-mail a questo riguardo, che quando furono presentati questi fondi io domandai a An.Pi. che cosa fossero questi fondi, e,.. PUBBLICO MINISTERO - Ma, quindi, di che periodo parliamo, quando ci fu questa interlocuzione? TESTIMONE AL. - Guardi, secondo me, poteva essere il 2012, nel senso che in Comitato Finanza il mio ricordo è che comunque erano... come si dice? Rappresentati la presenza, l'esistenza di questi fondi come ammontare. Se ricordo bene, la cosa che feci era di domandare al dottor Pi.: ma, An., questi fondi che cosa sono? PUBBLICO MINISTERO - Ma lei... No, finisca, perché poi mi è venuta in mente una cosa da chiedere. Finisca pure, TESTIMONE AL. - Gli domandai: ma che cosa sono? E fui mi disse; questi qui sono fondi dove il Direttore Generale ha espresso la decisione di... decisione di investire. (...). PUBBLICO MINISTERO - Lei a Pi. chiese la spiegazione di che questo tipo di investimento non era partito da una proposta della sua struttura? TESTIMONE AL. - Diciamo che forse sono un po' più naif, nel senso che gli chiesi: ma scusa, ma cos'è questa... questa cosa? Ritorno a quello che vi dicevo, E lui mi disse: è un investimento deciso dal Direttore Generale/'. Il dato nodale, quindi, è rappresentato dal fatto che i fondi e i sotto-fondi in esame non fossero collettivi, non potendo dunque essi nemmeno definirsi a rigore come OICVM, acronimo per "Organismi di Investimento Collettivo in Valori Mobiliari". Già questo offre la misura dell'entità e gravità, in concreto, del tradimento del mandato conferito anno dopo anno dal CdA (per parte sua dimostratosi tutt'altro che vigile e attento nel vegliare sul rispetto del mandato stesso, il che rende del tutto prive di qualsivoglia valore le deposizioni testimoniali rese all'udienza del 30.5.2022 in grado di appello dal sindaco Giacomo Ca. e dal consigliere di amministrazione Gi.Pa., invocate dalla difesa come a sé favorevoli) in occasione dei progressivi cospicui aumenti del plafond, secondo quanto si evince dalle rispettive delibere, qui di seguito elencate e tutte rinvenibili in atti all'interno del composito doc. 102 del P.M.: - verbale CdA del 21.2.2012, in particolare sub aff. 122-123 (viene deliberato il brusco innalzamento del plafond degli investimenti, portato a Euro 500 milioni per gli "investimenti finanziari in quote di OICVM" rispetto agli appena 150 milioni precedenti; il nuovo plafond e le linee guida degli investimenti della banca vengono presentati al CdA dal solo An.Pi.); i primi cospicui investimenti nei fondi At. e Op. avranno luogo proprio alla fine del mese dì novembre dello stesso anno 2012, per giunta in modo tale da rischiare seriamente di superare di alcune decine di milioni di Euro il plafond stesso, benché elevato a 500 milioni di euro: cfr. i docc. 347 e 348 del PM, carteggio Ca./Pi. del 29/11/2012, dai quali si evince che Ma.Ca., subalterno del PI. in seno alla Divisione Finanza, gli segnalava tale concreto pericolo; il PI. gli replicava a stretto giro dì non preoccuparsi in quanto per fine anno avrebbero sistemato la cosa rientrando nel plafond deliberato, e ciò grazie alla dismissione di 60 milioni dai fondi Az. C Prima di allora dismetteremo altri 60 mln di fondi Az. non superando mai il limite. Saluti, An."); - verbale CdA del 5.2.2013, in particolare sub all. 382-383 (ulteriore innalzamento del plafond degli investimenti da 500 a 700 milioni di Euro per gli "investimenti finanziari in quote di OICVM"); anche in tale occasione il nuovo plafond e le linee guida degli investimenti della banca vengono presentati al CdA dal solo An.Pi., non ancora affiancato in tale compito da Da.Es., responsabile del Risk Management; - verbale CdA del 23.7.2013, in particolare sub all. 107 (ulteriore innalzamento del plafond degli investimenti da 700 a 800 milioni di Euro per gli investimenti finanziari in quote di OICVM ... di cui 300 milioni di Euro al massimo allocabili sul plafond di Fi. che avrà la possibilità di investire in asset class che esprimano un profilo rischio/rendimento in linea con le esigenze strategiche del gruppo")) solo questa volta il PI. (che pure prenderà la parola immediatamente dopo per illustrare il programma di offerta di prestiti obbligazionari; v. aff. 108 stesso documento) è sostituito - nella presentazione al CdA del nuovo plafond e delle linee guida degli investimenti finanziari in quote dì OICVM - dal collega Da.Es., responsabile del Risk Management, Nondimeno, come puntualizza il teste Pi.Ra., direttore generale di Fi. (della cui attendibilità già si è detto supra con riguardo alla vicenda delle c.d. "tre sorelle lussemburghesi"), nemmeno in questo caso può certo dirsi che il PI. si fosse defilato dalla scena degli investimenti in fondi esteri, tanto che - cfr. pag. 45 dell'esame Ra. 21.11.2019 - fu proprio il PI. ad avvisarlo che, di quei 300 milioni di Euro, i due terzi andavano necessariamente destinati a uno specifico fondo già individuato, l'Op.. Si noti, d'altra parte, che tra la delibera del 5.2.2013 (di ampliamento del plafond a 700 milioni di euro) e la successiva del 23.7.2013 (di ulteriore suo ampliamento a 800 milioni, di cui un massimo di 300 milioni allocati su Fi., controllata irlandese) erano frattanto intervenute due altre importanti delibere intermedie del CdA datate 193.2013 e 28.5.2013, come si evince anche dal doc. 418 del PM (relazione dell'Internai Audit sui fondi esteri stilata in vista del CdA del 12.5.2015), le quali danno contezza di come - a partire dal marzo 2013 - An.Pi. fosse divenuto titolare di una delega piena ad operare nel settore, disgiunta da quella analoga che era stata conferita al d.g. Sa.So.. Delega, si noti, espressamente richiamata, e non già revocata, anche nella delibera CdA del 23 luglio 2013. L'ampiezza dei poteri conferiti dal CdA ad An.Pi. con la delega disgiunta di cui alla delibera 19.3.2013 è ben illustrata nei termini seguenti dal menzionato doc. 418 del PM (relazione dell'Internai Audit sui fondi esteri stilata in vista del CdA del 12.5.2015): "(...) In data 19 marzo 2013 con specifica delibera il Consiglio di Amministrazione ha provveduto a conferire delega ai Direttore Generale e al Responsabile della Divisione Finanza disgiuntamente tra loro per il compimento di ogni atto necessario e o ritenuto opportuno per la formalizzazione degli investimenti finanziari in quote di OICVM sino al massimo di 700 mln ... dando sin d'ora per rato e validato il loro operato. Tale ulteriore delibera si era resa necessaria in quanto la scrivente Funzione (audit) nell'ambito delle periodiche verifiche ispettive circa l'operatività posta in essere dalla Divisione Finanza aveva rilevato la mancata assegnazione di deleghe con riferimento al plafond in parola richiedendo alle strutture della Divisione Finanza di procedere alla formalizzazione delle stesse. La delibera prevedeva inoltre che gli investimenti citati fossero oggetto di analisi e di periodica valutazione da parte del Comitato Finanza ed ALMS su indicazione della Divisione Finanza della Divisione Bilancio e Pianificazione e della Direzione Risk Management e di rendicontazione periodica al Consiglio di Amministrazione. Successivamente in occasione della seduta del 28 maggio 2013 il Consiglio di Amministrazione ha inoltre approvato la revisione dei criteri di inclusione nel plafond citato consentendo anche la sottoscrizione di OICVM che investano in strumenti di capitale purché questi non rappresentino una quota superiore ai 40% del totale del plafond stesso (...)". Come si può notare le delibere del CdA in materia risultano totalmente travalicate e contraddette dai contenuti delle operazioni in concreto concluse con i fondi Op. e At.: essi non sono definibili come OICVM, ossia come fondi collettivi; non sono destinati alla distribuzione di azioni tra i loro pretesi investitori, che non esistono; i loro investimenti in strumenti di capitale hanno ad oggetto azioni proprie di B.. Come si legge nel suddetto doc. 418 del PM ben altra era "la mission del plafond su cui tali investimenti insistono ovvero la strumentalità degli stessi a partnership finalizzate ad acquisire liquidità per il Gruppo". Obiettivo che era viceversa stato perseguito, anche con buoni risultati, con i diversi fondi nei quali si era investito sino a fine novembre 2012. Che il carattere non collettivo dei fondi At. e Op. rappresentasse una scelta incompatibile con un'effettiva volontà di investire (e compatibile, invece, unicamente con la volontà di dare vita a un deposito indiretto occulto di titoli), emerge altresì dal fatto che tale circostanza, una volta appresa, destò l'incredulità del responsabile della Divisione Bilancio e Pianificazione, Ma.Pe., resosi autore di un appunto manoscritto privo di data che è stato acquisito agli atti quale doc, 805 del P.M., da quest'ultimo prodotto all'udienza del 4,2,2020 (la teste di P.G. Me.Ro. ha spiegato durante tale udienza che l'appunto - privo di data ma sicuramente successivo, dato il suo complessivo contenuto, all'entrata in vigore del CRR, ossia all'1.1.2014 - si trovava annotato su un'agenda sequestrata nell'ufficio di Pe.), In tale appunto, assieme ad altre annotazioni, si legge; "Indiretti? Che senso ha investire in un fondo 100% o 90% che investe in azioni banca?". Ed invero lo stesso imputato PI., dopo avere sostenuto per buona parte del suo esame dibattimentale 3.3.2020 che si era trattato di un regolare mirato investimento, finalizzato alla - distribuzione" delle azioni B. tra i vari clienti investitori nei fondi At. e Op. ("imputato Pi. - 2012, quindi stiamo parlando di settembre-ottobre 2012, E invece, con loro trovammo la definizione, per cui la proposta qual era? Che la banca avrebbe investito 100 milioni nel fondo meglio, in determinati comparti dei fondi At. e Op., e Op. e At. avrebbero distribuito 30 milioni di azioni Po.Vi. presso la propria clientela. Questo era l'accordo che fu preso con foro e da cui partì poi l'investimento nei due comparti": cfr., pag. 47 verbale stenotipico 3.3,2020), con lo scopo dichiarato di ampliare e diversificare la platea degli azionisti (per "aumentare la base di investitori istituzionali in relazione agli altri soci della banca. Questo perché? Perché la Banca (...), fino a quel momento lì, aveva una base sociale, in maniera assolutamente preponderante, direi il 95-96%, fatto da individui o da imprenditori, pochissimi nel settore istituzionale, forse la banca in assoluto che aveva meno investitori istituzionali a livello di azionariato in banca. Quindi c'era necessità di andare a spingere, rispetto a questo numero, su investitori istituzionali (...) Quindi sempre di più si doveva cercare di andare a trovare almeno uno zoccolo duro di investitori istituzionali. E questo tipo di attività, di "scouting", diciamo, di ricerca di investitori istituzionali, a me è stato chiesto da parte del Direttore Generale So.": cfr. pagg. 44-45 verbale stenotipico 3,3.2020), ha dovuto riconoscere infine, in risposta a una precisa domanda della presidente del collegio dì primo grado riferita proprio al tenore dell'appunto manoscritto dì Ma.Pe. sub doc. 805 del P.M., la verità, ossia che - al momento della sottoscrizione dei fondi Op. e At. - egli ben sapeva che B. ne era il solo investitore e che dunque non vi sarebbe stata alcuna "distribuzione" delle azioni B. tra plurimi investitori, perché questi ultimi erano in realtà inesistenti (cfr. pag. 132 verbale stenotipico 3.3,2020): "PRESIDENTE - C'è un appunto del dottor Pe., che è stato prodotto dal Pubblico Ministero, che contiene una domanda che anch'io mi sono fatta, mi sono posta; che senso ha investire in fondi, se i fondi comprano azioni della banca? è una domanda che anch'io mi sono posta, è in grado di darci una risposta? IMPUTATO PI. - Col senno di poi, ovvio, certo che non aveva senso, tanto che dopo diciamo bisogna in qualche maniera redimerli, perché non ha senso, anzi, patrimonialmente non c'è logica, Ma questo non era l'obiettivo. Non dovevano i fondi comprare azioni della banca, o meglio, non dovevano mettere delle azioni della banca su comparti in cui la banca stessa aveva investito. Non era questa la logica". Né potrebbe seriamente obiettare l'imputato - come pure egli ha implausibilmente tentato di fare nel corso del suo esame dibattimentale - di avere "sperato" che, prima o poi, la situazione iniziale a lui ben nota (connotata dal carattere non collettivo dei fondi esteri in esame, che vedevano la stessa B. quale foro sostanzialmente unico investitore ed erano oltretutto "chiusi", dunque tali da fornire alla stessa B. soltanto insufficienti e scarne informazioni di primo livello) mutasse consentendo finalmente la comparsa all'orizzonte dell'auspicata vasta platea dì investitori diversificati ai quali "distribuire" le azioni per il momento giacenti nei comparti dedicati ("sotto-fondi") dei fondi medesimi. Investitori, si badi, che ancora non si erano minimamente palesati a tutto il giugno 2014 (ciò dimostrando a fortiori che il solo intendimento del PI. e del So. era in realtà ab origine sempre stato quello di collocare stabilmente a tempo indeterminato le azioni B. nei comparti dei fondi a ciò dedicati al fine di attuare una forma occulta di loro detenzione indiretta), allorquando - v. su ciò più ampiamente infra - l'entrata in vigore del c.d. CRR costrinse infine la Divisione Finanza di B. a chiedere una disclosure tanto ad At. Capital quanto a Op. circa la giacenza di azioni B. presso i comparti dei rispettivi fondi, mentre fu necessario ulteriormente attendere l'ispezione Bc. del 2015 (e le pressioni in tale sede esercitate dal team ispettivo sul d.g. So. e sullo stesso PI.: cfr. deposizione del teste ispettore Em.Ga., pag. 64 verbale stenotipico 26.9.2019) per poter avere contezza di quali fossero i sottostanti ai fondi medesimi. Ebbene, a seguito di ciò risultò che ancora nel mese di maggio 2015 B. e Fi. seguitavano ad essere gli unici sottoscrittori, rispettivamente, del Fondo Op. 1 e Mu. mentre B. seguitava ad essere sottoscrittore al 99% di At., come si evince dal doc. 418 del P,M, (relazione dell'Internai Audit sulla vicenda dei fondi esteri stilata in vista del CdA del 12.5.2015), pag. 4: "Alla data, B. e Fi. rappresentano di fatto gli unici sottoscritto(ri) dei 3 Fondi (100% di Op. I e II e circa il 99% di At.). Si precisa altresì che i contratti di sottoscrizione dei Fondi Op. prevedevamo) fa costituzione, in seno a ciascun Sub-fondo, di un "Investment Committee" i cui membri potevano essere eletti dagli investitori in funzione della loro quota. Detti Comitati non sono mai stati costituiti Risulta del tutto inverosimile - e invero anche svilente della sua riconosciuta elevata professionalità - la figura, tratteggiata per sé dal PI. alle pagg. 50-53 del suo esame dibattimentale 3,3,2020, di colui che, dopo avere adottato la consapevole e volontaria decisione di condurre B. a investire un rilevante importo nella sottoscrizione di fondi non collettivi aventi la medesima B. quale loro sostanzialmente unico investitore, si sarebbe poi di fatto limitato, assieme al direttore generale So., ad affidarsi al destino (accettando, quindi, anche l'eventualità, nient'affatto remota e in concreto verificatasi, che l'investitore rimanesse la sola B. per sempre), senza che peraltro i vertici della banca fossero posti - per sua stessa ammissione - nelle condizioni di verificare l'evolversi di tale situazione (e dunque, a tacer d'altro, senza che B. potesse disporre dei dati indispensabili a verificare se, quando e in quale misura dover scomputare dal patrimonio di vigilanza azioni proprie giacenti nei comparti dei suddetti fondi): - cfr. pagg. 50-51 esame PI.: Omissis - cfr. pag. 53 esame PI.: Omissis A ciò si aggiunga che il PI. riconosce anche (cfr. pag., 55 suo esame 3.3.2020) che tutta la vicenda degli investimenti nei fondi At. e Op. prese le mosse dall'esigenza, annunciatagli come impellente dal direttore generale Sa.So., di far uscire dal fondo riacquisto azioni proprie della banca il controvalore di 60 milioni di Euro in azioni B.: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Quando lei è stato sentito dal Pubblico Ministero, nel corso dell'interrogatorio, verbale 26 settembre 2017, quindi dopo che ha ricevuto ravviso di conclusione delle indagini preliminari, lei dice: "Con riferimento all'operazione At. e Op., ricordo che tra settembre e ottobre 2012 il dottor So. (...) mi aveva rappresentato la necessità di collocare 60 milioni di Euro di azioni della banca per alleggerire il fondo riacquisto azioni proprie". IMPUTATO PI. - Confermo. Assolutamente sì. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Quindi So. le dice che bisogna...? IMPUTATO PI. - Certo. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - ...come dire, dismettere dal fondo 60 milioni ..? IMPUTATO PI. - Sì, anche perché io non ho contezza di quant'è la capienza del fondo, quindi qualcuno deve dirmelo.". Tutte le affermazioni del PI. da ultimo passate in rassegna si pongono in netta contraddizione col suo assunto di partenza secondo cui la finalità delle operazioni stipulate con i fondi esteri in esame sarebbe stata esclusivamente quella di reperire nuovi "investitori istituzionali a livello di azionariato in banca" e risultano ben più congruenti col tenore, assai diverso sul punto (e collimante invece con la deposizione del teste Fi.Ro. dell'Ufficio Soci: cfr. pag. 54 dell'esame 8.10.2019 di questi), del suo interrogatorio 26.9.2017, il cui verbale è stato prodotto dal P.M. ex art. 503 c.p.p. all'udienza del 23.6.2020, laddove l'imputato sosteneva di avere sempre avuto ben chiaro fin dall'inizio - allorché cioè il d.g. So. chiese a lui e al GI. di attivarsi per collocare, rispettivamente, 60 e 40 milioni di azioni B. - che l'operazione andava ricondotta a una "necessità della banca" (precisamente la necessità di svuotare il fondo riacquisto azioni proprie) e "non un'opportunità di investimento. In questa occasione, come ho già detto, ebbi il sentore di una certa difficoltà della banca sul riacquisto delle proprie azioni dai soci L'operazione di collocamento delle azioni fu poi eseguita presso la B. da Ro." (cfr. pag, 5 interrogatorio cit.). A ben guardare l'imputato, con le sue dichiarazioni rese in sede di esame dibattimentale da ultimo passate in rassegna, ha finito viceversa con il riconoscere la veridicità di quanto affermato tanto dal teste avv. An. Su., responsabile - nell'ambito di Op. - della funzione Legal e Compliance nonché membro del CdA della società di gestione Op., quanto dal teste Al.Ma., quest'ultimo fondatore della suddetta Op. (sulla piena utilizzabilità della deposizione Ma. sì rinvia integralmente all'ordinanza 18.5.2022 di questa Corte, salva restando, e ciò vale anche per il teste avv. An. Su., ogni doverosa valutazione in tema di complessiva attendibilità date le conclamate ragioni di ostilità nutrite da Op. verso B., ben riassunte nella missiva 13.3.2017 dello studio legale Fr.St. di cui al doc. 429 del P.M.), circa il carattere "dedicato" dei fondi in questione e circa il carattere di pressoché unico loro investitore (tranne quote minimali altrui) rivestito da B., il che costituiva altresì la ragione della conclamata inesistenza, nel caso in esame, di un comitato investitori (il teste Ma. ha altresì fatto riferimento a più riprese all'esigenza, a suo dire manifestatagli dall'imputato, di creare un -polmone" nel quale poter accomodare una parte delle azioni B. che erano non quotate, illiquide e difficili da collocare: cfr. pagg. 19-22 del relativo verbale stenotipico): - cfr. pagg. 19-20 deposizione Su., verbale stenotipico 19.11.2019: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Quando l'investitore, mi corregga, Mu., era uno solo, cioè la banca? TESTIMONE Su. - Esatto, quindi quello che le stavo tentando di farvi capire, nel senso che è prassi comune, quando si hanno dei comparti con multi investitori, avere questi comitati investimenti, perché chiaramente sono finalizzati al fatto di poter dare una parola a tanti investitori, che sono appunto molteplici e non si conoscono neanche l'uno con l'altro. Diversamente questi qua sono comparti che in gergo vengono definiti e classificati come tailor-made, ossia fatti a misura d'uomo, un po' come una sartoria, cioè disegnati sulla falsariga di ciò che effettivamente il cliente vuole. Quindi, essendo disegnati a loro immagine e somiglianza, anche la politica d'investimento del comparto stesso non è più promossa dal gestore ma è disegnata a loro immagine e somiglianza. Quindi, nel caso specifico della Po.Vi., questo comitato non è stato ritenuto di dover essere costituito, poiché, appunto, avevamo... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Per la peculiarità di... TESTIMONE Su. - Esatto, la peculiarità ... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Della esistenza di un solo investitore? TESTIMONE Su. - Assolutamente, dell'investitore") - cfr pag. 16 deposizione Ma., verbale stenotipico 26.11.2020: - TESTIMONE Ma. - No.. allora, i fondi erano indubbiamente fondi dedicati, su questo non ci sono dubbi. Stiamo parlando di due fondi: il Mu. e il Mu.. (...). Non ricordo ci fossero degli investitori rilevanti, forse in uno dei due fondi - vado a memoria ma dovrei approfondire - a un certo punto era entrato con una piccola quota un altro investitore, che onestamente non ricordo chi fosse, ma era una quota marginale o addirittura irrilevante, Quindi sicuramente fa Banca era... aveva, diciamo cosi... era il principale investitore nei fondi, ed erano fondi dedicati alla Banca/'. I testi Ma. e Su., diversamente da quanto sostiene la difesa, risultano riscontrati anche con riguardo alla circostanza, da entrambi riferita, degli incontri frequenti di An.Pi. con Gi.St., il senior manager di Op. deputato da quest'ultima a trattare il rapporto con B. fino alle sue improvvise dimissioni nel 2014, allorquando lasciò Op. per fondare la concorrente struttura denominata Ka. (struttura presso la quale il PI. si fece parte attiva, nel novembre 2014, per cercare di trasferire in blocco ivi, con una redemption in kind, le azioni B. ancora giacenti nel fondo Op. - che però aveva ormai necessariamente dovuto fare disclosure attorno alla metà dell'anno 2014 - senza peraltro conseguire il suo intento: cfr. al riguardo il doc. 431 del P.M.). Vero è che i due testi Ma. e Su. (quest'ultimo de relato dallo St.: cfr. pagg. 22-23 esame Su., verbale stenotipico 19.11.2019) collocano tali incontri PI. - St. in Milano nelle giornate di martedì, laddove risulta dagli atti che l'imputato, per lo più, il martedì si recasse a Vicenza per assistere al CdA di B.. Nondimeno il dato dei frequenti incontri personalmente intrattenuti dal PI. anche dopo la stipula dei contratti con i responsabili dei fondi esteri è dimostrato (a ben poco rilevando, in ultima analisi, il giorno esatto della settimana in cui essi si tennero) dal contenuto della seguente conversazione telefonica intrattenuta dal predetto PI. con il già sopra menzionato suo ex stretto collaboratore Pa. Al. (anch'egli nel frattempo uscito da B.), il quale - si ricordi il tenore della sua deposizione, saprà passato in rassegna, circa l'essere stato inopinatamente pretermesso dal suo superiore nell'allestire l'operazione Op.-At. - appare qui freddo, distaccato e poco convinto, rispondendo quasi sempre a monosillabi, verso un PI. alquanto agitato e alla ricerca di persone da indicare, nella sua lite civile con la banca, come sommari informatori: Conversazione captata n. progr. 415 del 2.9.2015 ad ore 19,09,19, utenza chiamante intestata a Pi.An., qui "V.M." (pagg. 133-143 perizia di trascrizione): Omissis Né, infine, può in alcun modo accedersi alla tesi difensiva secondo cui il PI., con riguardo alla vicenda dei fondi esteri, sarebbe stato una sorta di mero procacciatore di nominativi di potenziali controparti ma per il resto si sarebbe limitato ad assistere passivamente a operazioni ideate e condotte in piena autonomia dal direttore generale Sa.So. per B. e da Pi.Ra. per la controllata irlandese Fi.. Al di là del fatto che i contratti stipulati alla fine del 2012 con i fondi Op. e At. recano in ogni pagina non soltanto la sottoscrizione del So. ma altresì la sigla del Pi., significativi sono in contrario già diversi dati documentali, i quali riscontrano appieno, sul punto, le deposizioni non solo dei già citati testi Ma. e Su. ma altresì quelle - assai articolate e dettagliate in tal senso - dei testi Pi.Ra., direttore generale della controllata irlandese Fi. (cfr, in particolare le pagg. 45-49 del suo esame 21.11.2019) e Fi.Ro., dell'Ufficio Soci (soggetto, come tale, dotato di poca o nulla autonomia decisionale sullo specifico tema al di là delle attività prettamente materiali da lui poste in essere); cfr. in particolare la pag. 52 dell'esame di Ro. datato 8.10-2019, ove il teste, nel ricordare di avere preso parte il 5.12.2011 a una riunione fatta in videoconferenza con il PI. (ove presenziarono anche Ma.So., che di Op. conosceva da lunghi anni tale Gi.Ma., nonché quest'ultimo, il quale sua volta portò con sé nell'occasione il fondatore e vertice di Op., Al.Ma.), riunione concordemente descritta da tutti i vari altri testi ora citati come conclusasi all'epoca in un nulla di fatto, ha precisato che verso novembre-dicembre del 2012 fu proprio il PI. a ricontattarlo autonomamente per chiedere di poter essere messo in contatto con le persone di Op. da lui conosciute l'anno prima (il che priva dunque di rilievo le due pur assodate circostanze, evidenziate e rivendicate dalla difesa, dell'esito inconcludente della riunione del 5.12.2011 e del fatto che Ma.So., a suo stesso dire, mai ebbe a inoltrare a chicchessia la e-mail inviatagli dall'amico Gi.Ma. il 9.2,2012, in atti sub doc. 350 del P.M., contenente una proposta contrattuale di Op.); sempre il teste Ro., a pag. 62 del suo esame 8.10.2019, ha confermato quanto da lui riferito a suo tempo a s.i.t.: "Nel darmi le tre referenze Pi. mi disse che era già tutto concordato con i rispettivi referenti, anche per gli importi (30 milioni per Ma.); I dati documentali in questione sono i seguenti: - messaggi sms ovvero WhatsApp intercettati sull'utenza telefonica cellulare di An.Pi. dall'11 ottobre 2012 al 23 novembre 2012, in atti sub doc. 311 del P.M., attestanti il fatto che, con l'intermediazione dell'avv. Patrizio Messina dello studio legale Or. (come riferito infatti, puntualmente, anche dal teste Al.Ma.: cfr pag. 15 della sua deposizione 26.11.2020), fu il PI. ad attivarsi per riannodare le fila del rapporto con i rappresentanti di Op. dopo il mancato seguito della riunione 5.12.2011 di quasi un anno prima, oltre a intavolare autonomi rapporti con Ra.Mi., direttore di At. (il quale, significativamente, si rivolgerà via e-mail non già al So. bensì solo al PI. e al suo subalterno Ma.Ca., in data 7.12,2012 e indi in data 21.1.2013, allorquando chiederà di procedere con l'investimento, rispettivamente, dei primi 70 milioni di Euro e dei successivi 30 milioni di Euro "as previously agreed", cioè come da precedenti accordi: cfr, doc. 337 del P.M.), di tutto ciò essendo poi sempre il PI. a informare il So. con messaggi del seguente tenore (tutti appartenenti al doc, 311 cit.): Omissis; - doc. 731 del P.M., costituito da un lungo resoconto dattiloscritto del consigliere d'amministrazione Gi. "Pi." Zi., intitolato "Appunti su situazione B. 2015", ove fra l'altro lo Zi., a pag. 4, riassume i contenuti di un suo incontro a tre del 9.5.2015 con Em.Gi. e An.Pi., entrambi ormai in procinto di uscire da B., i quali gli avevano offerto le rispettive versioni dei comportamenti loro ascritti; è significativo qui il fatto che il PI. confidi allo Zi.: a) di avere - sempre operato per aiutare la rete a svuotare il fondo azioni proprie"; b) che i contratti stipulati da B. con i fondi Op. e At. erano sì stati firmati da Sa.So. ma soltanto perché a quell'epoca il medesimo PI. non era ancora titolare dei necessari poteri (peraltro conferitigli di lì a pochi mesi, come si è visto, dal CdA con apposita delibera 19.3.2013 di ampia delega, disgiunta da quella conferita al So.); lo Zi. infatti annota; "Ordini firmati da SS perché non nei poteri di AP"; - doc. 331 del P.M., rappresentato da una e-mail di risposta inviata il 25.7.2013 da An.Pi. a Pi.Ra., direttore generale di Fi. (il quale aveva appena scritto nei seguenti termini al PI. sottoponendogli per il controllo una bozza di delibera relativa all'operazione di investimento, da parte della controllata irlandese, nel fondo Op. 2: "Caro An., ho buttato giù la delibera per il fondo optimum ... Dagli anche tu per cortesia una lettura per vedere se ti risulta tutto in ordine, Ps Domani mattina vedo To.Fo. (membro del CdA di Fi.) e gliene parlo tu sei riuscito a trovare il presidente? Grazie. Piero"); ivi il PI. replicava via e-mail al Ra. nei seguenti termini, con ciò plasticamente dimostrando chi realmente prendesse le decisioni - non certo il Ra. - anche per gli investimenti operati da Fi.: "Sono a pranzo con lui (ossia con il presidente di Fi., Ad.La.) e So.. Abbiamo concordato di fare investimenti fino a Eur ISO min". La totale assenza di autonomia decisionale di Ra., già supra passata in rassegna quanto alla vicenda delle c.d. "tre sorelle lussemburghesi", è qui palese e il doc. 331 offre fra l'altro un'ulteriore conferma del giudizio di piena credibilità da svolgersi nei confronti del suddetto teste (cfr. puntualmente, al riguardo, pag. 47 della deposizione Ra., verbale stenotipico 21.11.2019: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Invece, con riferimento a questa cosa, che, sì, forse ormai l'ho letta, ci fu un'interlocuzione anche col Presidente del CdA di Bp.? Chi è che spiegò al Presidente del CdA il fine dell'operazione, la strutturazione e quant'altro? TESTIMONE Ra. - Quello che dissi ad An.: "Parliamo di una cifra importante, dev'essere deliberata dal Consiglio di Amministrazione, bisogna in primis informare il Presidente di un'operazione del genere e spiegargliela. E lui mi rispose: "Sono a pranzo con lui e So., gliela spiego io - PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Quindi lei sapeva che, comunque, La. era informato? TESTIMONE Ra. - Sì, per me La. è stato informato in quell'occasione dell'operazione"). Si noti come il protagonismo di An.Pi. sia stato totale anche con riguardo alla dismissione, attraverso vari canali, delle azioni B. detenute dai fondi Op. e At.. Dell'operazione "So." - a ciò finalizzata - sì è già detto ampiamente. Del pari si è già accennato al non riuscito tentativo di redemption in kind tramite il progetto di trasferire in blocco gli asset di B. giacenti nel fondo Op. (che ormai a metà del 2014 si era trovato, a causa dell'entrata in vigore del c.d. CRR, a dover operare necessariamente una disclosure circa le azioni B. presso di sé giacenti: cfr, doc, 379 del P.M.) a una nuova struttura da poco costituita e con esso concorrente, denominata Ka. e facente capo, peraltro, a quello stesso Gi.St. che era stato a lungo il diretto referente del PI. prima di lasciare proprio nel 2014 Op. e dunque aveva il polso dell'intera delicata vicenda (il tutto con l'intermediazione dello studio legale Or. per le trattative all'uopo intraprese con Op. - cfr. deposizione avv. An. Su. 19.11,2019, pag. 36 - in seguito all'invio dì una missiva in tal senso firmata dal PI. oltre che dai formali sottoscrittori dei fondi, So. e Ra.: cfr. docc. 427 e 431 del P.M.). Un altro veicolo progettato ad hoc, utilizzato per liberare i fondi esteri dalle azioni B. ancora da essi detenute, fu rappresentato dall'operazione che gli ispettori di Bc. denominarono equity swap, avente ad oggetto il trasferimento ai fondi esteri di azioni Ve., detenute da vari clienti di B., in cambio di azioni della stessa B., Operazione le cui caratteristiche sono state puntualmente riassunte dal teste ispettore Em.Ga. alla pag. 59 del suo esame, verbale stenotipico 26.9.2019: "E l'altra operazione è quella che abbiamo chiamato di "equity swap", fatta attraverso Ma.Sp., in cui, sostanzialmente, i clienti hanno trasferito a Op. azioni clienti; ci sono tanti clienti che erano al tempo stesso soci di Ve. e soci di Po.Vi., avevano quindi azioni di entrambe; e hanno trasferito a Op., hanno fatto un compenso, hanno trasferito a Op., almeno a Op., forse anche a At., non lo so, non mi ricordo, però è indicato. Hanno trasferito azioni di Ve. in contropartita di azioni di Vicenza, quindi hanno preso in carico azioni di Vicenza dando per eguale ammontare azioni di Ve.. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Ma.Sp. è il broker che si era interposto fra le due banche? TESTIMONE Ga. - Sì, che si era già interposto all'epoca, al 2012, in uno degli acquisti. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Dei fondi. TESTIMONE Ga. - Dei fondi, sì. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Si interpone anche nella cessione da parte dei fondi lussemburghesi". Ancor più dettagliata nel delineare gli snodi dell'operazione equity swap è la deposizione resa il 26.10.2019 dal teste ispettore Gi.Ma., cfr. pagg. 16-18 verbale stenotipico 26.10.2019. Sono agli atti sub doc. 296 del P.M. alcune fra le lettere - ricalcate tutte sul medesimo facsimile, indirizzate a B. e per conoscenza al broker londinese Ma.Sp. (ancora una volta resosi intermediario come già aveva fatto a fine dicembre 2012 all'epoca dell'acquisto di circa 30 milioni di Euro in azioni B. da parte del fondo estero Op.) - con cui vari clienti B. titolari di azioni Ve. chiesero (tra il 20.3,2014 e il 3.10.2014: cfr. la ricostruzione elaborata, con allegata tabella esplicativa, dall'Internal Audit nella nota sub doc. 344 del P.M., pagg. 4-5) di acquistare da Ma.Sp. azioni B. (valore nominale Euro 62,50=) e di vendere contestualmente le loro azioni Ve. (valore nominale Euro 39,50=) alla stessa Ma.Sp.. In tesi difensiva il PI. non ebbe alcun ruolo in tale operazione di equity swap in quanto la stessa sarebbe stata gestita interamente con l'intermediario londinese Ma.Sp. dai dipendente di B. Cl.Br., operante in seno alla rete della Divisione Mercati a sua volta diretta da Em.Gi. (per inciso è effettivamente inesatto, come lamentato dalla difesa, quanto sostenuto al riguardo dall'Accusa, ossia che il Br. sarebbe stato già in quiescenza all'epoca in cui vennero poste in essere tutte le operazioni di equity swap; o meglio il dipendente risultava a quel tempo ancora in servizio presso il Punto Private B. dì Co. tranne che per i soli giorni 1-2-3 ottobre 2014: cfr. al riguardo la citata nota dell'Internai Audit sub doc. 344 del P.M., pag. 4: - Per le operazioni in questione effettuate nei periodo ricompreso tra il 20/03/2014 ed il 03/10/2014 si è provveduto ad acquisire la documentazione di supporto dall'U.O. Finanza di Servizi Bancari riscontrando un azione di coordinamento complessivo di tutte le operazioni in parola del sig. Cl.Br., al tempo operante presso il Pu.Pr. (in quiescenza dal mese di ottobre 2014)"). Particolare rilievo viene attribuito dalla difesa alla deposizione del teste Ti.Ch., che all'epoca curò l'operazione per il broker londinese intermediario Ma.Sp., evidenziando come questi abbia dichiarato di essersi interfacciato in prima persona - a distanza - solo col summenzionato Cl.Br. e di non avere mai frequentato gli uffici milanesi della Divisione Finanza di B. (cfr. pagg. 50-52 e 54 verbale stenotipico 17.9.2020) oltre a non avere mai visto, se non in tribunale durante il dibattimento, la persona fisica di An.Pi., da luì in effetti mai conosciuto; il teste Ch. ha anzi escluso di essersi interfacciata professionalmente in qualsiasi modo, anche solo a distanza, con la figura del PI. (cfr. pag. 55 ibidem). In realtà il teste Ch. non può definirsi attendibile, dal momento che: - egli non ebbe a interagire in prima persona soltanto - come sostiene la difesa - con il dipendente Cl.Br. in relazione agli scambi di azioni B.-Ve. bensì anche, quanto meno, con Fi.Ro. dell'Ufficio Soci (il teste Ch. ammetterà infine di essersi interfacciato anche con il Ro., e di averlo fatto anzi più volte, tanto via e-mail quanto telefonicamente, solo a seguito di specifica contestazione del P.M.: cfr. pag. 59 deposizione Ch., verbale stenotipico 17.9.2020); - lo stesso imputato PI. (cfr. pagg. 82-83 del suo esame 3.3.2020) ha in realtà affermato di essere stato proprio lui a mettere in contatto la rete B. con Ti.Ch. di Ma.Sp., avendo avuto egli cura di "dare il numero, i contatti, insomma, di Ma.Sp." all'Ufficio Soci, non ricorda se in persona di Ro. o di Ro., affinché si mettessero essi a loro volta in contatto con il broker londinese per procedere ad allestire l'operazione di equity swap ("... io quello che feci, feci una cosa semplice: misi in contatto, credo, Ro. o Ro., adesso non mi ricordo" con il broker. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Con? IMPUTATO PI. - Con il broker... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Ma.Sp.. IMPUTATO PI. - con il rappresentante di Ma.Sp."). Tale operazione era stata suggerita al PI., a detta di questi, dal collega Em.Gi., cfr. sempre pagg. 82-83 ibidem. Tuttavia il coimputato e propalante Em.Gi., della cui attendibilità e coerenza già si è detto a più riprese, ha precisato come andarono in realtà le cose tra lui e il PI. al riguardo, ossia nel senso esattamente inverso (cfr, pagg. 23-24 del verbale di esame GI. 15.6.2022 in grado di appello): "La Divisione Finanza si è occupata di fondi, e quindi è un tema su cui io non sono mai entrato, se non quando a un certo punto c'erano dei fondi esteri che avevano delle azioni in portafoglio; questi fondi dovevano scaricare le azioni, quindi si dovevano liberare delle azioni della Banca, e quindi Pi. mi disse se potevamo collocarle sul mercato, quindi ai nostri soci. Eravamo in un frangente in cui le azioni della Po.Vi. erano molto più attrattive e appetibili rispetto a quelle di Ve., per cui questi fondi esteri proposero ai soci della Banca di acquistare azioni Ve. in cambio di azioni della Po.Vi.. Quindi i fondi si sono scaricati delle azioni della Po.Vi. acquisendo azioni Ve. e i soci della Banca hanno acquisito azioni Po.Vi. al posto delle azioni Ve. - Quindi questo è stato l'unico momento in cui c'è stato da parte della Divisione Mercati, ma più che altro dall'Ufficio Soci, un'interlocuzione con Pi., e quindi sulla Divisione Finanza, sulla prassi delle baciate, al di là di alcune operazioni che Pi. direttamente ha fatto con alcune controparti, soprattutto sulla piazza (...) Milano". Con tali elementi probatori ben si salda dunque, senza manifestare in alcun modo le pretese contraddizioni lamentate dalla difesa, anche la deposizione (cfr. pagg. 42-44 verbale stenotipico 6.6.2019) resa dal teste Ro.Ri., della cui utilizzabilità già si è detto nell'ordinanza 18,5,2022 alla quale sul punto si rinvia, e che certo non può essere ritenuto inattendibile - circa la peculiare e ben distinta vicenda dell'equity swap - per il solo fatto di avere egli altresì materialmente effettuato, in qualità di gestore Private operante in B. presso la filiale vicentina di Co., un numero massiccio di operazioni di finanziamento correlato rientranti nella prassi per così dire "ordinaria" della banca. Alla stregua delle considerazioni fin qui esposte non può revocarsi in dubbio il ruolo determinante e di primo piano svolto da An.Pi. nell'intera vicenda dei fondi esteri, dalla sua ideazione sino al momento della dismissione - attuata in varie forme e modalità ma sempre con il suo apporto - delle azioni detenute dai suddetti fondi. 14.1.3.6. I reati di ostacolo alla vigilanza. La difesa ha altresì censurato - cfr. in particolare pagg. 141-142 e 145-146 dell'atto di appello - la declaratoria di penale responsabilità dell'imputato PI. quanto alle condotte di ostacolo alla vigilanza contestategli (in relazione alle quali, come già si è detto nella parte generale della presente sentenza, par. 9, non vi è ragione di non estendere anche ai capi B1 e M1 il ragionamento seguito dal primo giudice per i rimanenti capi nel ritenere integrato il solo comma 2 dell'art. 2638 c.c.). Ciò sulla base delle seguenti argomentazioni: - tutte le operazioni specificamente ascritte alla persona dell'imputato (dalla vicenda delle società lussemburghesi Ma./Ju./Br. a quella dei fondi esteri Op./At. fino alle singole operazioni dì finanziamento correlato concluse con l'imprenditore Ta. e con il gruppo "So.") risultano essere state poste in essere in epoca successiva al 12 ottobre 2012, data di emissione del rapporto ispettivo a chiusura dell'ispezione di Banca d'Italia (peraltro non avente ad oggetto verifiche patrimoniali ma incentrata esclusivamente sul rischio di credito); - quanto all'ispezione Bc. iniziata il 26.2.2015, B. aveva già comunicato alla stessa Bc. le informazioni ricevute dal gestore dei fondi At. e Op. in ordine al preciso ammontare di azioni della banca giacenti presso i comparti (sotto-fondi) degli stessi, e ciò almeno a far data dal luglio 2014, in piena ottemperanza, dunque, agli obblighi informativi imposti dal CRR (Capital Requirements Regulation) di cui al Regolamento UE n. 575/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 (vigente dall'1.1.2014); - in ogni caso le plurime contestazioni di ostacolo alla vigilanza ex art. 2638 c.c. avrebbero, a ben vedere, quale unico oggetto sempre la stessa informazione taciuta, vale a dire l'esistenza di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. con il conseguente obbligo di scomputare dal patrimonio di vigilanza il relativo controvalore, sicché, nonostante l'apparente molteplicità dei fatti storici, non ricorrerebbe una pluralità di reati bensì un unico reato, stante la natura di reato eventualmente permanente che connoterebbe la fattispecie criminosa p. e p. dall'art. 2638 comma 2 c.c.; - a sua volta, però, la strumentalità - ravvisata dalla stessa sentenza di primo grado - che connoterebbe la fattispecie di ostacolo alla vigilanza rispetto a quella dì aggiotaggio farebbe sì che la condotta decettiva di cui alle imputazioni si esaurisca tutta nell'evento del delitto di aggiotaggio, con la conseguente esclusione del concorso fra i reati di aggiotaggio e quelli di ostacolo alla vigilanza, dovendosi in ultima analisi trattare questi ultimi alla stregua di un post factum non punibile. Nessuna delle anzidette argomentazioni difensive ha pregio. Osserva al riguardo questa Corte quanto segue. Per ciò che concerne l'ispezione di Banca d'Italia del 2012 basti porre mente al sopra ampiamente dimostrato pieno coinvolgimento del PI. anche nell'attività per così dire "ordinaria" di finanziamento correlato praticata da B. come minimo dal 2011 (ma, in realtà, già da epoca precedente). Quanto poi alle vicende successive all'ispezione Banca d'Italia del 2012, se è vero che il CRR (Regolamento UE n. 575/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013) entrò in vigore l'1.1.2014, nondimeno va ricordato che in precedenza, comunque, vigeva la circolare 263/2006 di Banca d'Italia, la quale (come chiaramente ed esaustivamente illustrato anche dal teste ispettore Gi.Ma.: cfr. pag. 13 verbale stenotipico 26.10.2019) già prevedeva l'obbligo di scomputo dal patrimonio di vigilanza, in quanto sue componenti negative, delle azioni proprie detenute a qualsiasi titolo, diretto o indiretto; eppure nessuna comunicazione venne mai data, per circa un anno e mezzo, agli organismi di vigilanza riguardo alle azioni B. giacenti - per un controvalore di originari 60 milioni di Euro, ridottisi a 52,4 milioni alla data del 30.6.2014 - presso i comparti (sotto-fondi) dei fondi esteri At. e Op.. Come puntualizzato sempre dal teste ispettore Gi.Ma. (cfr. pag. 14 del verbale stenotipico 26.10.2019), la prima richiesta in assoluto rivolta in tal senso da B. ai gestori dei fondi Op. e At. risale alle e-mail inviate loro soltanto in data 27 giugno 2014 da Ma.Ca. (subalterno del Pi. in seno alla Divisione Finanza), rinvenibili in atti, con le relative risposte dei due fondi, sub doc. 379 del P.M.. Esaminando tali documenti si nota che, come riferito sempre dal teste Ma. (cfr. pag. 14 ibidem), entrambi i fondi esteri non si dimostrarono affatto reticenti e riscontrarono pressoché subito tale richiesta - dal canto suo alquanto tardiva - della Divisione Finanza di B. entrambi nel mese di luglio 2014, sicché non appare ascrivibile a contegni omissivi dei fondi stessi la protratta mancata comunicazione pregressa di tale dato, tenuto viceversa ben occultato da B. (e in particolare dalla sua Divisione Finanza) fino ad allora. Peraltro va evidenziato come neppure alla disclosure prontamente operata dai fondi Op. e At. nel luglio 2014 fece seguito in realtà, da parte di B., l'immediato scomputo dal patrimonio dì vigilanza delle azioni proprie così indirettamente detenute (cfr. al riguardo l'e-mail 16.2.2017 inviata al teste di P.G. Mi.To. dal consulente del P.M. Ga.Pa., prodotta all'udienza del 4.2.2020 dalla difesa dell'imputato Ma.Pe., ove il Pa. evidenzia come emergesse, a causa del non ancora avvenuto scomputo, "un'informativa non corretta alla Bc. del CET 1 del Gruppo B. al 15/08/2014" sia pure dandosi atto che, finalmente, nella successiva "segnalazione del 6/10/2014 il dato delle azioni indirettamente detenute aveva concorso al calcolo"). Si noti altresì che l'invio in data 27 giugno 2014 delle suddette e-mail di richiesta ai fondi Op. e At. da parte di Ma.Ca. della Divisione Finanza non fu comunque spontaneo bensì fu sollecitato da un invito pressante a farlo, proveniente dalla Divisione Bilancio e Pianificazione della stessa banca nella persona di Lu.Tr. (subalterno di Ma.Pe.); la missiva redatta dal Tr., datata 19 giugno 2014 e inviata al predetto Ma.Ca. nonché, in copia, al PI., all'altro suo subalterno Pa. Al. e a Ma.Pe., è in atti sub doc. 411 del P.M. e contiene il seguente aut-aut che di fatto non consentiva alternative: (...) Ti rappresento che in caso di mancata risposta da parte dell'Organismo interposto o di risposta parziale e/o incompleta, la Banca dovrà applicare agli investimenti della specie (ossia agli investimenti "indiretti e sintetici detenuti dal nostro Gruppo in soggetti dei settore finanziario") un trattamento prudenziale particolarmente penalizzante (deduzione diretta dal CETI). E' pertanto indispensabile sensibilizzare le controparti affinché rispondano alla richiesta in maniera il più completa possibile ed entro le tempistiche indicate". Si noti altresì che analogo riscontro non era stato dato dalla Divisione Finanza di B., diretta da An.Pi., ad altra e più risalente richiesta inviata via e-mail sempre da Lu.Tr. della Divisione Bilancio e Pianificazione ancora in data 1 febbraio 2013 a Ma.Ca. (in atti sub doc. 410 del P.M.), ove si invitava quest'ultimo, in relazione ai da poco sottoscritti fondi Op. e At., a verificare: a) che gli "investimenti in fondi sottostanti (...) NON investano in strumenti di capitale (...), in modo da poter escludere i predetti investimenti dalla verifica dei limiti previsti dal Regolamento in materia di partecipazioni detenibili dal Gruppo B."; b) di avere "evidenza analitica dei sottostanti i singoli fondi suddetti (...); tale informazione è necessaria ai fini della segnalazione dei Grandi Rischi di gruppo (...)". A tale ultimo proposito va evidenziato, inoltre, come all'avvio dell'ispezione Bc. del 2015 risultasse di essere stata già messa in chiaro - nei sensi e con le tempistiche ora visti - la detenzione di 52,4 (risultati essere originariamente 60) milioni di Euro in azioni B. presso i fondi Op. e At., ma ancora non fossero stati rivelati ì sottostanti dei medesimi fondi, e ciò a dispetto della citata richiesta in tal senso formulata dalla Divisione Bilancio e Pianificazione, in persona di Lu.Tr., già in data 1 febbraio 2013 (lo stesso Tr., in una sua successiva e-mail datata 19 marzo 2013 inviata fra gli altri pure al PI., in atti anch'essa sub doc. 411 del P.M., nuovamente rappresentava - sempre senza ricevere riscontro dalla Divisione Finanza - "che, seppure non presente nella segnalazione dei Grandi Rischi trasmessa, tuttavia nell'elenco delle prime 20 esposizioni a livello di Gruppo al 31.12.2012 (oggetto di segnalazione all'Organo di Vigilanza nell'ambito della Base Informativa "(...)"), figura una "unknown exposure" per un valore (di bilancio e ponderato) di Euro315 milioni stante che in relazione a taluni investimenti in fondi (...) non risultano disponibili i dettagli informativi necessari per attribuire i singoli investimenti sottostanti al fondo (...). Le disposizioni di vigilanza prudenziale affermano peraltro che "in linea generale, la banca deve essere in grado di identificare e controllare nel tempo le attività sottostanti lo schema di investimento" e che la banca può adottare i metodi di cui alle lettere b) (unknown exposure) e c) (structured-based approach) solo se è in grado di dimostrare che la scelta è dovuta esclusivamente alla mancanza di una effettiva conoscenza delle esposizioni sottostanti lo schema". Ebbene, l'informazione, pur dì così vitale importanza, circa i sottostanti dei fondi esteri Op. e At. venne infine fornita dopo l'inizio dell'ispezione Bc. del 2015 e solo a seguito della forte pressione esercitata dal team ispettivo, che dovette all'uopo agitare, nelle sue interlocuzioni con il d.g. So. e con An.Pi., lo spettro dello scomputo, in alternativa, dell'intero investimento dal patrimonio di vigilanza, come ha ben chiarito il teste ispettore Em.Ga., cfr. pag. 64 del verbale stenotipico 26.9.2019. (omissis) Con ogni evidenza, stante l'immediatezza della disclosure seguita solo nel 2015 alle fosche prospettive illustrate dal team degli ispettori Bc. al So. e al PI., la previa resistenza da costoro lungamente frapposta alla rivelazione dei sottostanti non può imputarsi alla pretesa reticenza dei fondi (proprio come la tardività nella disclosure delle azioni in essi giacenti non poteva parimenti imputarsi alle pretese loro reticenze, in realtà inesistenti: v. supra). Va altresì disattesa l'affermazione difensiva secondo cui, nonostante l'apparente molteplicità dei fatti storici, non ricorrerebbe in ispecie una pluralità di reati di opposizione alla vigilanza bensì un unico reato, stante la natura di reato eventualmente permanente che connoterebbe - viene citata al riguardo in particolare Cass. Pen. Sez. 5, n. 6884 del 12/11/2015 dep. 22/02/2016, Gi. e altri - la fattispecie criminosa p. e p. dall'art. 2638 comma 2 c.c.. Al riguardo questa Corte non può che confermare il complesso delle argomentazioni già esausti va mente svolte al riguardo nella parte generale - par. 9 - della presente sentenza, dovendosi qui ribadire come proprio la pronuncia citata dalla difesa (ma trattasi di orientamento ormai consolidato: in tal senso cfr. anche Cass. Pen. Sez. 5, n. 29377 del 29/05/2019, P.G. c. Mu.) nel contempo precisi che la fattispecie di cui al comma 2, diversamente da quella di cui al comma 1, non è un reato di condotta bensì di evento e, più in particolare, è - una fattispecie causalmente orientata ai risultato lesivo rappresentato dall'evento di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza", essendo peraltro sufficiente, per la configurabilità del reato in esame, w/a verificazione di un effettivo e rilevante ostacolo alla funzione di vigilanza, quale conseguenza di una condotta che può assumere qualsiasi forma, tra cui anche la mera omessa comunicazione di informazioni dovute". L'evento di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza, dunque, si realizza o con "l'impedimento in toto di detto esercizio" ovvero anche soltanto "con il frapporre al suo dispiegarsi difficoltà di considerevole spessore o con il determinarne un significativo rallentamento: difficoltà o rallentamento che devono dar corpo ad un effettivo e rilevante ostacolo alla funzione di vigilanza" (così si è chiaramente espressa, in motivazione, la citata Cass. Pen. Sez. 5, n. 29377 del 29/05/2019, P.G. c. Mu.). L'evidente e ben marcata differenza di fisionomia (già illustrata da questa Corte nella parte generale della presente sentenza, par. 9) che intercorre tra gli eventi di ciascuna delle singole fattispecie di ostacolo alla vigilanza oggetto dei vari capi di imputazione fa sì - come già questa Corte ha argomentato supra - che tale eccezione difensiva sia destituita di fondamento. Per la stessa ragione, ossia per il fatto che trattasi di un reato di evento (sicché il momento consumativo del delitto di ostacolo va individuato nel verificarsi dell'evento (di ostacolo)), va disatteso l'ulteriore assunto difensivo secondo cui dovrebbe finanche escludersi in ispecie il concorso fra i reati di aggiotaggio e quelli ó& ostacolo alla vigilanza in quanto questi ultimi andrebbero - sempre ad avviso della difesa - semmai assimilati alla figura del post factum non punibile rispetto all'unitaria condotta decettiva. Tutto ciò premesso non può revocarsi in dubbio la penale responsabilità del PI. quanto ai reati di ostacolo alla vigilanza ascrittigli. Già si è visto poco sopra in quali termini - puntualmente riepilogati anche dal giudice di prime cure: cfr, pag. 726 sentenza gravata - il teste ispettore Em.Ga. (cfr. pag. 64 della sua deposizione 26.9.2019) abbia descritto il comportamento di ostacolo tenuto nei suoi confronti, anche con una certa qual pervicacia, da An.Pi. oltre che dal d.g. Sa.So. in relazione alla disclosure dei sottostanti dei fondi esteri Op. e At.. Sempre nella gravata sentenza - cfr. sue pagg, 725-726, alle quali qui senz'altro si rinvia - si illustrano più che ampiamente le ulteriori condotte di ostacolo alla vigilanza, rilevanti ai sensi dell'art. 2638 comma 2 c.c., tenute, fra gli altri, dal PI. in occasione: - dell'incontro del 27,3.2013 con l'Autorità di Vigilanza (cfr. al riguardo la deposizione resa dal teste Ma.Pa., pagg. 37-40 del verbale stenotipico 28.11-2019, con particolare riguardo alle pagg. 38-39, da esaminarsi congiuntamente all'Appunto per il Capo del Servizio" redatto dallo stesso Pa. in data 3.4.2013, in atti sub doc. 442 del P.M.: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Viene consegnato a voi di Banca d'Italia dagli esponenti di Banca Popolare che erano presenti a questo incontro. Senta, in questo incontro fu fatto riferimento da Pe., Pi. o So. della possibilità, dell'intendimento, della prospettiva, dell'eventualità che anche, come dire, l'aucap, quello che poi sarà realizzato nella misura di 253 milioni', anche per questa operazione potessero essere concessi i finanziamenti.., TESTIMONE Pa. - No. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - No? TESTIMONE Pa. - No, assolutamente. L'unica... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Quindi di questo non fu fatta menzione? TESTIMONE Pa. - L'unico riferimento a operazioni di finanziamento era fegato alla campagna soci e quindi un'operazione finanziata ai sensi del 2358 del Codice Civile, secondo quelle modalità, che richiedono tra l'altro l'autorizzazione dei soci, è l'Assemblea che deve autorizzare questa operazione valutando gli interessi aziendali"); - della successiva riunione tenutasi 20.10.2014 con l'Autorità di Vigilanza in Francoforte (cfr. al riguardo la deposizione resa dal teste Ma.Pa., pagg. 60-62 del verbale stenotipico 28.11.2019): anche in tal caso la delegazione di B. presente a Francoforte, comprensiva del PI., non ebbe a fare cenno alcuno ai molteplici nodi altamente problematici che pure, di lì a poco, nel Comitato di Direzione del 10.11.2014 sarebbero stati ampiamente dibattuti - con la consegna del silenzio più totale verso l'esterno impartita dal d.g. So. - fra i membri del ristretto consesso formato dai vice direttori generali, incluso il PI., oltre che dal So. stesso e da altre personalità di primo livello nell'ambito di B.. A tutto ciò sj aggiunga ancora quanto emerge dai docc. 813-814-815 del P.M., prodotti all'udienza del 4.2.2020. Trattasi delle progressive stesure in itinere della bozza della lettera di risposta da inviare alla Banca d'Italia che aveva chiesto, con nota del 25.10.2014 (a sua volta in atti, prodotta dal P.M. sub doc 648 e doc. 687), chiarimenti sulle azioni proprie di B. alla luce del CRR frattanto entrato in vigore. Alla stesura della risposta a Banca d'Italia (che poi le fu inviata - con modifiche minimali rispetto alla bozza finale sub doc. 815 del P.M. - in data 4.11.2014 e che è in atti sub doc. 404 del P.M.) collaborarono diversi soggetti all'interno di B., ciascuno in relazione all'ambito di sua competenza. Si noti che il segmento della risposta inviata il 4,11.2014 a Banca d'Italia ad essere stato redatto per ultimo risulta essere proprio quello di competenza della Divisione Finanza diretta da An.Pi., il cui incipit - nella bozza finale sub doc. 815 del P.M. - è "Per quanto attiene alle transazioni alla base della detenzione indiretta di azioni proprie..." mentre nella risposta ufficiale del 4.11.2014 diviene "Per quanto attiene alle transazioni alla base della c.d. detenzione indiretta di azioni proprie...". Ancora in data 30 ottobre 2014, infatti (cfr. il doc. 813 del P.M.), Ma.Pe. - la cui Divisione Bilancio e Pianificazione aveva con ogni evidenza il compito di assemblare i vari segmenti nel documento di risposta finale - scriveva al direttore generale So. allegandogli una "bozza lettera risposta a Bankit ancora da completare per il punto che sta scrivendo An.", che dimostra che la redazione del segmento qui in esame fu effettivamente opera di An.Pi. in persona. Ebbene, una volta finalmente redatto dal PI., e ormai si era giunti già al 31 ottobre 2014, tale segmento della bozza finale affidato alla Divisione Finanza, esso si rivela corrispondere (cfr. docc. 815 cit. e 404 cit.) a un esercizio dì assoluta tautologia, non dicendo in realtà nulla a giustificazione delle azioni B. risultate "a seguito della sopra menzionata disclosure del giugno-luglio 2014 indotta dall'entrata in vigore del CRR - giacenti nei comparti dei fondi esteri Op. e At. per l'ammontare di 52,4 milioni di Euro (52,4 milioni che Banca d'Italia, nella sua nota del 25,10,2014 cit., senza usare troppi giri di parole, definiva appunto come oggetto dì detenzione indiretta"); né tantomeno ivi si dice alcunché riguardo al trattarsi di fondi non collettivi che vedevano B. quale sostanzialmente unico investitore (si veda, come detto, la stesura della bozza finale della lettera di risposta sub doc. 815 del P.M.; viceversa nelle stesure sub docc. 813 e 814 il relativo segmento, lo si ribadisce, era ancora in bianco, in attesa di redazione da parte del PI., mentre le parti affidate ai suoi colleghi delle altre Divisioni erano già pronte). Il tenore della richiesta di chiarimenti formulata da Banca d'Italia il 25.10.2014, quanto allo specifico paragrafo concernente la detenzione indiretta di azioni della banca, era il seguente: "(si richiedono) le informazioni necessarie alla comprensione delle transazioni alla base della detenzione indiretta di azioni proprie, precisando le controparti (società veicolo/OICR) presso le quali i titoli sono depositati". Nel segmento della risposta a Banca d'Italia rientrante nella sua competenza il PI. si limita invece, di fatto, a indicare appena poco più dei nomi delle controparti At. e Op. e delle date di stipula dei relativi contratti, guardandosi bene dal fornire la benché minima informazione utile alla comprensione della relativa transazione, nonché del carattere non collettivo dei fondi e altresì di quali fossero i loro sottostanti. Infine, quale corollario del già più che solido ed esaustivo complesso di elementi di prova orale e documentale fin qui illustrati, si osserva che proprio il carattere estremamente sofisticato (triangolazioni societarie; fondi non collettivi "chiusi" a investitore unico e dotati di comparti articolati a loro volta in sotto-fondi) degli artifici utilizzati dal PI. nelle operazioni da lui concepite e attuate esercitando le sue specifiche competenze professionali di responsabile della Divisione Finanza implica ex se in capo al predetto una particolarmente accentuata volontà di dissimulazione e occultamento che è perfettamente coerente con le finalità illecite perseguite attraverso il reato di ostacolo alla vigilanza, essendo in tal caso quasi proibitiva la decrittazione dell'operazione finale (basti qui ricordare, a tal proposito, la già sopra vista totale casualità della scoperta, da parte dei team ispettivo Bc. nel 2015, della triangolazione che vide protagoniste le tre società lussemburghesi Ma., Ju. e Br. e le tre società italiane Pe., Gi. e Lu.). A tal riguardo deve infatti considerarsi che, mentre le normali operazioni correlate generavano comunque flussi informativi (sia pure di dati complessivi) che potevano teoricamente essere intercettati dalle attività di controllo interno ed esterno (si pensi ad esempio alle 17 posizioni dì finanziamento correlato autonomamente intercettate dalla società di revisione Kp.) e che erano indirizzati alla Divisione Bilancio nonché assoggettati a verifica del Dirigente Preposto, viceversa le operazioni riguardanti le c.d. "tre sorelle" lussemburghesi e quelle relative ai fondi esteri presentavano un carattere di insidiosità e un connotato fraudolento talmente accentuati da implicare già logicamente ex se, in capo al loro autore, la volontà di dissimulazione dei dato sottostante. Non è invero privo di significato a tal riguardo nemmeno il fatto, riferito dal teste Ad.Ca. (cfr. pag. 23 del verbale stenotipico 6.2.2020), che il PI. - una volta emersa, nella sorpresa generale (si ricordi anche il tenore incredulo, già visto saprà, dell'appunto manoscritto redatto dal direttore della Divisione Bilancio e Pianificazione Ma.Pe. sub doc. 805 del P.M.), la vicenda dei fondi esteri e di quanto giaceva nei loro comparti - altro non abbia replicato, alle richieste dei colleghi, se non che le operazioni suddette erano - formalmente" corrette, con ciò dimostrando che il valore fondamentale di esse, nella sua ottica, risiedeva proprio nella loro impenetrabilità dall'esterno: - TESTIMONE Ca. - Io ricordo una riunione lunghissima surreale dove si alternavano momenti di... come si dice? Di preoccupazione estrema a momenti di leggerezza. Non ci è stato detto, in quel momento, quanto fosse ampio il fenomeno delle lettere. Sapevamo che c'era questo fenomeno e sapevamo che l'Avvocato Ge. in qualche maniera, stava facendo delle sue valutazioni delle sue analisi. Così come sui fondi esteri d'investimento la parola d'ordine generale era: "Formalmente le operazioni sono corrette" PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Chi lo disse questo? TESTIMONE Ca. - An.Pi., in riunione, disse: "Formalmente le operazioni sono corrette". Simmetricamente, infine, anche le modalità per lo più parimenti sofisticate - sopra meglio illustrate - attraverso le quali fu condotta dal PI. la fase conclusiva della dismissione delle decine di milioni di Euro di azioni B. ancora detenute presso i fondi esteri dopo la disclosure di metà anno 2014 sono indicative della piena volontà del predetto di partecipare alla finalità di occultamento. Anzi si noti come, negli intendimenti del PI., gli effetti della disclosure si sarebbero dovuti in buona sostanza neutralizzare grazie alla poi non riuscita redemption in kind, ossia al progettato trasferimento in blocco delle azioni da Op. alla neo-costituita Ka. di quello stesso Gi.St. che, nella sua precedente incarnazione professionale, si era costantemente occupato, interfacciandosi con il PI., proprio dei fondi Op. ed era probabilmente l'unico, assieme allo stesso PI., a detenere ogni conoscenza in ordine a quella vicenda. Alla stregua delle considerazioni sin qui esposte non può revocarsi in dubbio la penale responsabilità di An.Pi. in relazione alle ipotesi di ostacolo alla vigilanza ascrittegli. 14.1.3.7. I reati di falso in prospetto. Come detto supra i due reati di falso in prospetto contestati sub capi I e L vanno dichiarati entrambi estinti per intervenuta prescrizione. Non vi sono i presupposti per una pronuncia assolutoria dal momento che la Divisione Finanza, diretta da An.Pi., risulta essere stata in concreto coinvolta a fondo nel gruppo di lavoro - trasversale a quasi tutte le' Divisioni della banca - in concreto deputato al compito dì predisporre i prospetti informativi riguardanti gli aucap e mini aucap 2013 e 2014. Che tale compito rientrasse a pieno titolo nelle formali attribuzioni della Divisione Finanza, diretta da An.Pi., emerge anzitutto dal funzionigramma di B. (in atti sub doc. 261 del P.M,): ivi si legge che tra le varie funzioni della Divisione Finanza, e in particolare della sua unità denominata Documentation, vi erano quelle di - assicurare l'espletamento delle attività di natura amministrativa legate alla predisposizione dei Prospetti Informativi e all'emissione dei prestiti obbligazionari del Gruppo, coordinandosi con le Unità competenti" nonché di "supportare le funzioni responsabili del processo di gestione delle informative da fornire alla Clientela prima della negoziazione di strumenti finanziari secondo quanto previsto dall'art. 31 del Regolamento Intermediari (n. 16190 del 29/10/2007) nella fase di aggiornamento delle stesse". Chetale compito sia poi stato in concreto effettivamente svolto dalla Divisione Finanza in occasione degli aumenti di capitale 2013 e 2014 emerge in maniera inequivocabile dalla deposizione specificamente resa sul punto all'udienza del 17.1.2020 dal teste Ma.Ca., dal 2007 al 2018 dipendente di B. con mansioni di responsabile dell'unità in staff al responsabile della Divisione Finanza e, dunque, subalterno del PI. nel periodo qui in esame. Cfr. in particolare le pagg. 67-76 del relativo verbale stenotipico, ove il teste illustra il duplice ruolo concretamente rivestito in ambedue le occasioni, 2013 e 2014, dalla suddetta Divisione Finanza: da un lato fornire i dati da essa elaborati in quanto afferenti al profilo prettamente finanziario dell'operazione ("... e poi' anche la Finanza stessa su quelle che potevano essere poi le caratteristiche finanziarie dell'operazione che veniva posta in essere ..."); dall'altro lato curare la reductio ad unitatem di tutti i diversi contributi provenienti dalle varie Divisioni ("... Sì, diciamo la sintesi, nel senso che la collazione di tutti questi contributi eccetera, veniva fatta, appunto, come dicevo, dalla nostra struttura, dalla mia struttura"). A corollario degli elementi già solidi ed esaustivi qui riportati va altresì ribadito, nell'esaminare la posizione dell'imputato An.Pi., quanto già si è osservato più ampiamente supra (paragrafo 14.1.3.6) nel trattare i reati di ostacolo alla vigilanza, ossia che proprio il carattere estremamente sofisticato (triangolazioni societarie; fondi non collettivi "chiusi" a investitore unico e dotati di comparti articolati a loro volta in sotto-fondi) degli artifici utilizzati dal PI. nelle operazioni finanziarie da lui concepite e attuate implica ex se - unitamente al suo protagonismo nella dismissione delle azioni indirettamente detenute tramite i fondi esteri - una volontà di dissimulazione e "occultamento" tanto accentuata da risultare perfettamente coerente con le finalità illecite perseguite attraverso i reati comunicativi non solo di ostacolo alla vigilanza ma anche di falso in prospetto. Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte va dunque dichiarata l'estinzione, per intervenuta prescrizione, dei reati di falso in prospetto di cui ai capi I) e L) di rubrica per ciò che concerne la posizione dell'imputato An.Pi.. 14.1.3.8. Il trattamento sanzionatorio. Sulla scorta delle considerazioni sin qui esposte va dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato An.Pi. - limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014 - in ordine ai delitti di aggiotaggio (come sopra si è detto ridotti nel numero, ossia da sedici a quattro) ascrittigli al capo A1, e ciò per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione. Analogamente va dichiarato non doversi procedere per i reati di falso in prospetto cui ai capi I e L, sempre per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione. Infine, come pure già sì è precisato supra (v. parte generale della presente sentenza, par. 9), va ritenuta, anche quanto ai reati di ostacolo alla vigilanza sub capi B1 e M1, la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c.. Ciò detto, non v'è spazio per il riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di prevalenza, ostandovi l'entità eclatante dei danni cagionati e non emergendo elementi (ulteriori rispetto a quelli già valorizzati ex art, 133 c.p.) all'uopo proficuamente spendibili. Conseguentemente stima questa Corte equo determinare la sanzione complessiva nella misura di anni tre e mesi undici di reclusione, così determinata: pena base in relazione al reato di cui al capo H1, più grave, anni tre di reclusione, aumentata di complessivi mesi undici per i reati satellite (con aumenti, segnatamente, dì mesi uno e giorni 15 per ciascuno degli ulteriori reati di ostacolo di cui ai capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, M1 e di giorni 15 per il residuo reato di aggiotaggio sub A1). Questo con la precisazione che l'aumento per la continuazione, nella misura di mesi uno e giorni quindici di reclusione, in relazione ai reati di ostacolo di cui a ciascun capo di imputazione, consegue alla individuazione di un solo reato, anziché di due episodi delittuosi, per ogni annualità di riferimento, donde la riduzione alla metà dell'aumento, pari a mesi tre di reclusione, già individuato dal primo giudice. Deve, infatti, evidenziarsi, come già detto supra, che in maniera del tutto illogica e incoerente il primo giudice, senza spiegarne le ragioni, ha applicato la medesima pena sia con riferimento agli anni per i quali ha individuato una duplicità di reati, sia per gli anni nei quali ha invece ravvisato la sussistenza di un unico reato (aumento di mesi tre di reclusione), provvedendo, però, poi, a diversificare in concreto la pena negli anni in cui ha ravvisato una duplicità di violazioni, anni nei quali ha invece quantificato in un mese e quindici giorni di reclusione la pena per ciascun reato, con la conseguenza che, in modo assolutamente irrazionale, è stata applicata alternativamente una pena diversa (a volte mesi tre di reclusione e a volte giorni quarantacinque di reclusione) per violazioni che palesemente rivestono sempre il medesimo disvalore. Donde la necessità, per il giudice di appello, al fine di riportare a coerenza la determinazione della pena, di applicare un trattamento sanzionatorio omogeneo per tutte le violazioni commesse nei diversi anni, con conseguente quantificazione della pena, in assenza di impugnazioni della Procura riguardo al trattamento sanzionatorio, in quella, di misura minore, di mesi uno e giorni quindici, ovvero in quella che in alcuni casi è stata individuata come pena equa da parte del primo giudice. L'aumento per la continuazione in relazione all'episodio residuo di aggiotaggio, infine, resta invariato. 14.1.4 L'appello nell'interesse di Zo.Gi. L'appello è parzialmente fondato nei termini di seguito esposti. 14.1.4.1 La competenza (primo motivo di appello/paragrafo 2 dell'atto di Impugnazione). Il primo motivo dì impugnazione (tale dovendosi ritenere quello, numerato sub 2, trattato alle pagine 13-39 dell'atto dì appello, inerente alla asserita incompetenza dell'autorità giudiziaria vicentina) è destituito di fondamento. Sul punto, si rinvia a quanto già evidenziato nel precedente paragrafo 7. 14.1.4.2 La consapevole partecipazione alle operazioni di capitale finanziato (secondo motivo dì appello). Considerazioni introduttive. Parimenti infondato è il secondo, articolato motivo di appello (numerato sub 3 e trattato alle pagine 40-300 dell'impugnazione). Trattasi, va precisato, di una serie di censure che contestano la sentenza impugnata sotto una pluralità di profili, ma che sono tutte accomunate (fatta eccezione per quelle, rubricate al paragrafo 3.4, specificamente inerenti al tema "generale" del capitale finanziato, in relazione alle quali non può che rinviarsi alle riflessioni già svolte, sul punto, al precedente paragrafo 12, comune a tutte le posizioni processuali) dalla finalità di evidenziare le carenze motivazionali asseritamente riscontrabili, nella trama argomentativa della decisione gravata, con specifico riferimento alla posizione di tale imputato. Ad avviso dell'appellante, infatti, il primo giudice avrebbe erroneamente affermato il coinvolgimento di ZO. nei reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto sulla base dì elementi probatori inadeguati, equivoci e finanche smentiti da specifiche evidenze di segno contrario, evidenze che, diversamente, deporrebbero per l'estraneità di costui rispetto ai fatti addebitatigli. In particolare, oggetto di doglianza sono i passaggi della sentenza nei quali sono state affermate: - l'inerzia del predetto imputato rispetto ad eventuali indici di allarme sintomatici dell'esistenza del fenomeno del capitale finanziato (paragrafo 3.2 dell'atto di appello); - l'attività concretamente gestoria svolta dal giudicabile nella conduzione della banca (paragrafo 3.3 dell'atto di appello); - la conoscenza, da parte dello stesso ZO., del fenomeno del "capitale finanziato" (paragrafo 3.5 dell'atto di appello); - la specifica consapevolezza, in capo al medesimo imputato, delle "operazioni baciate" (paragrafo 3.6 dell'atto di appello). Ebbene, con riferimento a ciascuno di detti "passaggi" dello sviluppo logico del discorso giustificativo della decisione l'appellante ha evidenziato le asserite incongruenze ed aporie motivazionali, richiamando, altresì, gli elementi probatori che sosterrebbero la diversa lettura della vicenda proposta nel gravame e che sarebbero stati dal giudice di prime cure obliterati o, comunque, equivocati nella loro effettiva significazione. Questo, sul rilievo della possibilità - che il medesimo appellante ha denunziato essersi concretizzata nel caso di specie (come evidenziato nella premessa al relativo motivo di appello, sub 3-1) - che una sentenza possa essere viziata da una motivazione, al contempo, carente e contraddittoria rispetto alle emergenze processuali. La memoria conclusiva "note scritte di discussione" 28.9.2022, accompagnata dalle ulteriori "note scritte", in pari data, in materia di "rinnovazione istruttoria dibattimentale in appello"), poi, ha riepilogato gli argomenti oggetto di dettagliata analisi nell'atto di impugnazione, confrontandosi, altresì, con le ulteriori acquisizioni probatorie che hanno avuto luogo nel corso del giudizio di appello. Ebbene, si è in presenza di censure infondate. Al riguardo, una premessa è d'obbligo. Il tribunale ha ricostruito il ruolo concretamente svolto dall'imputato ZO. nella vicenda sub iudice all'esito di una corretta e persuasiva lettura - tanto specifica quanto "d'insieme" - dell'intero, vasto materiale probatorio disponibile, di natura documentale, testimoniale e logica, ovviamente selezionato sulla base della relativa attitudine dimostrativa rispetto al thema probandum. Pertanto, come già evidenziato nella premessa dì metodo, è alla trama argomentativa della sentenza gravata che deve farsi preliminare rinvio, trattandosi della base motivazionale alla quale la presente pronunzia è destinata a saldarsi, in ragione non solo della coerenza dei rispettivi approdi decisionali ma anche dell'omogenea natura dei criteri di valutazione all'uopo impiegati. Ciò posto, ritiene questa Corte che gli esiti dell'originaria istruttoria dibattimentale abbiano offerto ampia dimostrazione del fatto che Zo.Gi., nel concreto esercizio delle prerogative di presidente dell'istituto di credito vicentino, non solo abbia avuto piena contezza del fenomeno delle operazioni correlate, nel suo multiforme, concreto dispiegarsi (comprensivo tanto delle operazioni "baciate", ovvero "parzialmente baciate", quanto degli "impegni al riacquisto", quanto, infine, degli antieconomici rendimenti garantiti agli acquirenti dei titoli, anche attraverso i ccdd. "storni", peraltro utilizzati anche per "sterilizzare" i costi dei finanziamenti, peraltro in modo tanto sistematico da costituire, essi stessi, una eclatante anomalia117) ma, proprio sulla base di detta conoscenza, abbia anche fornito un decisivo contributo alla perpetrazione dei reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto che radicano le imputazioni di riferimento, condividendo con il d.g. So. il ricorso ad una strategia operativa - quella, per l'appunto, del sistematico ricorso al finanziamento dell'acquisto dei titoli B. - che recava necessariamente seco inevitabili implicazioni delittuose. A tale ultimo riguardo, com'è stato osservato dal primo giudice - e la considerazione è di tanto stringente logica da non richiedere ulteriori precisazioni - solo nell'ottica della successiva omessa deduzione degli importi finanziati dal patrimonio e, quindi, del pedissequo occultamento di tale operatività alla vigilanza, avrebbe avuto senso porre in essere, da parte della dirigenza di B., un meccanismo operativo tanto scellerato. Peraltro - va precisato sin da subito - ai dati probatori valorizzati dal primo giudice si è aggiunto, all'esito della rinnovazione istruttoria espletata in sede di appello, l'ulteriore, significativo elemento costituito dalla puntuale chiamata in correità del coimputato GI., nient'affatto inficiata, nella sua capacità dimostrativa, dalle deposizioni introdotte, a prova contraria, dalla difesa del giudicabile. In definitiva, a compromettere la posizione del presidente ZO., conducendo ad un giudizio di complessiva concludenza probatoria del tutto coerente con l'ipotesi d'accusa, concorrono, come si dirà di seguito (nel solco, per ragioni di ordine espositivo, dell'articolazione delle deduzioni difensive), una sequela di convergenti elementi, tanto di natura logica (a loro volta ancorati, come si avrà modo di precisare, a solide evidenze fattuali) quanto rappresentativa. 14.1.4.2.1. Il ruolo concretamente svolto da Zo.Gi. nella presidenza di B. e le implicazioni conseguenti (secondo motivo di appello: paragrafi 1 e da 3.1 a 3.3). Come s'è detto, il primo giudice ha puntualmente delineato il ruolo concretamente svolto dal giudicabile, nel lunghissimo periodo della sua presidenza di B., in termini di costante protagonismo, radicalmente esorbitante dai confini della mera rappresentanza istituzionale dell'ente. A tali conclusioni - va precisato sin da subito - il tribunale è pervenuto sulla base di una pluralità di elementi probatori convergenti nel dimostrare come Zo.Gi., rimasto saldamente al vertice della banca dal 1996 al 2015, fosse tutt'altro che un presidente "decorativo" e neppure rispettoso dei limiti propri della funzione di garanzia affidatagli. In effetti, già il rapporto ispettivo redatto da Banca d'Italia all'esito dell'ispezione del 2007-2008, dopo avere sottolineato come i meccanismi del governo societario fossero orientati ad assicurare il mantenimento di una salda conduzione delle assemblee da parte dei vertici, attraverso politiche volte a controllare ed orientare il trasferimento delle azioni, aveva stigmatizzato la funzione predominante esercitata dallo ZO., censurando, da un lato, l'assenza di autonomia del CdA rispetto al suo presidente e, dall'altro, la forte influenza esercitata da quest'ultimo anche sul management, fidelizzato attraverso frequenti riunioni informali e trattamenti remunerativi particolarmente favorevoli ed anche svincolati dai risultati concretamente raggiunti. Il Presidente era definito "leader indiscusso della banca dal 1996", e se ne rimarcava il "ruolo dominante" in seno ad un CdA in cui - precisava la relazione ispettiva - raramente "si riscontrano contributi dialettici da parte dei consiglieri...individuati e scelti in ambienti professionali vicini ai vertici della banca. Inoltre, in tale relazione si segnalava che - L'appiattimento (del CdA) sulle posizioni del Presidente" aveva "conosciuto una significativa accentuazione nella seconda metà del 2007 allorquando il Consiglio ha conferito al dr Zo. un'ampia delega a elaborare le strategie della banca univocamente orientate a promuoverne il ruolo aggregante...". All'esito di tale ispezione - ha opportunamente ricordato il primo giudice - l'autorità di vigilanza aveva persino inviato una lettera post-ispettiva attraverso la quale, proprio per contrastare il debordante protagonismo del presidente, era stato sollecitato il rispristino di una "equilibrata dialettica interna". E tali criticità, anche con specifico riferimento al ruolo predominante del presidente rispetto al CdA - e, più in generale, rispetto alla dirigenza "operativa" - erano state riscontrate pure all'esito della successiva ispezione di follow up del 2009 (cfr relazione ispettiva, doc. 2 del P.M.). L'ispezione sul credito del 2012, poi, aveva confermato come lo ZO. fosse non solo pienamente consapevole delle strategie aziendali, ma anche l'effettivo ispiratore delle stesse, secondo una visione, al predetto presidente prevalentemente riconducibile, di un successo commisurato al numero degli sportelli, alle relazioni con gli Enti pubblici e con le organizzazioni imprenditoriali" (cfr. doc. n. 3 della produzione P.M.). E' bensì vero che - come osservato dalla difesa dell'imputato (da ultimo, in sede di conclusioni) - nella relazione ispettiva di riferimento non si dà più conto di ingerenze operative dello stesso giudicabile; tuttavia, in disparte l'ambito assai circoscritto (in quanto limitato al credito) dell'attività ispettiva in questione, nulla autorizza ragionevolmente a ritenere che si fosse improvvisamente realizzata una significativa cesura rispetto ad un radicato modo di interpretare la presidenza da parte del giudicabile. Né, a fronte delle problematicità segnalate dalla Vigilanza, può assumere rilievo, in senso contrario, la circostanza (da ultimo valorizzata dalla difesa nelle note conclusive 28.9,2022) costituita dal fatto che tali "deviazioni" non si fossero poi tradotte nell'adozione, nei confronti dell'imputato, di alcun "provvedimento sanzionatorio o interdittivo ... rispetto all'assetto di governance dell'impresa bancaria" (cfr note scritte di discussione, pag. 20), stante l'inequivoco tenore delle citate osservazioni critiche. Del resto, sul punto, è decisiva la testimonianza, già adeguatamente valorizzata dal primo giudice, resa dal teste ispettore Ga., responsabile della squadra ispettiva Bc., trattandosi di deposizione che compendia efficacemente, nella sua icasticità, quanto accertato al riguardo: "... il presidio del Presidente sui fatti aziendali e sulla gestione aziendale era molto forte. Era un fatto notorio - e l'ispezione me ne ha dato consapevolezza - che nulla in azienda si muovesse senza che Zo. fosse stato informato", in proposito, è appena il caso di precisare che non siamo affatto di fronte ad una semplice opinione (per quanto resa da soggetto tecnicamente assai attrezzato a comprendere le dinamiche operative di quelle assai complesse strutture che sono gli istituti di credito), bensì al giudizio rassegnato da un esperto ispettore che aveva appena ispezionato proprio B.. E tanto basterebbe, tenuto conto dell'autorevolezza della fonte (l'ente di vigilanza Banca d'Italia, per l'appunto, per il tramite degli esperti ispettori inviati a verificare la gestione di B. ed a lungo presenti, a stretto contatto con i funzionari della banca ispezionata, presso la sede dell'istituto, tanto da averne potuto cogliere appieno le dinamiche operative). Ma v'è assai dì più. In effetti, ulteriori, significative evidenze probatorie acquisite al giudizio hanno confermato come al timone dell'istituto di credito, con riferimento a tutti gli aspetti della vita della banca - a partire dalle questioni strategiche, passando agli snodi essenziali della operatività dell'ente e fino a tematiche di ben minore cabotaggio, talune (è il caso della organizzazione delle cene sociali) solo apparentemente "spicciole", ove si consideri che viene in esame l'operatività di una banca popolare di una ricca città di provincia, ovverosia di un istituto di credito per definizione strettamente legato al territorio di riferimento ed al locale tessuto produttivo, donde l'importanza della accorta "gestione" dei rapporti con gli imprenditori dell'area - vi fosse proprio il presidente ZO.. Il giudice di prime cure, sul punto, ha fornito un articolato resoconto delle emergenze istruttorie. In sintesi - e rinviando, per il resto, alla sentenza impugnata - va evidenziato che è emerso che era l'imputato; - a selezionare all'ingressi nel CdA e nel Collegio sindacale. Al riguardo, vanno richiamate, oltre all'efficace descrizione delle dinamiche di cooptazione fornita dal coimputato Zi., le deposizioni rese, nell'istruttoria di primo grado, dai testi Ma., Co., Ro., Ti., Do. e, in sede di rinnovazione istruttoria nel giudizio di appello, dal teste An.. Il teste Lo. ha riferito della propria emarginazione conseguente al rifiuto rispetto al "metodo Zo." di selezione dei consiglieri. Parimenti significativa di tale pervasivo controllo sulla composizione del CdA, poi, è anche la vicenda della originaria opposizione da parte del coimputato Zi. rispetto all'inserimento in CdA del consigliere Mo.: a seguito della propria iniziale astensione - peraltro poi commutata, per effetto di "opportune" pressioni, in voto favorevole - lo Zi., come da lui stesso precisato, era stato anch'egli sostanzialmente emarginato. - a dirigerne le sedute con assoluta fermezza ed in termini che, di fatto, non ammettevano repliche, tanto che dalla lettura dei relativi verbali si coglie il difetto di ogni reale dialettica interna, essendosi in presenza di delibere adottate sistematicamente all'unanimità. Sul punto, il primo giudice ha opportunamente richiamato - in quanto sintomatiche di tale supina adesione dell'organo collegiale rispetto ai desiderata del presidente - le vicende relative alla fissazione del valore dell'azione in sede di CdA 1.4.2014 ed alla fallimentare operazione immobiliare inerente all'acquisto della sede di Cortina d'Ampezzo. A tale riguardo, considerate le obiezioni difensive articolate sul punto, una breve precisazione è d'obbligo: è del tutto evidente che l'attenzione del presidente per il patrimonio immobiliare dell'istituto (e, più in generale, per i vantaggi di immagine che sarebbero derivati alla banca dalla collocazione delle filiali in località ed in immobili di assoluto pregio) è più che giustificata e, quindi, non può certo costituire elemento neppure latamente indiziario. Sennonché, tale episodio è stato opportunamente evocato dal primo giudice in quanto indicativo dell'assoluta subordinazione dell'organo collegiale rispetto alle indicazioni del presidente finanche nel caso - quale, pacificamente, quello in esame di proposte già in partenza economicamente insostenibili. Nella fattispecie, invero, la perdita, conseguente alla operazione in esame, di oltre venti milioni di Euro, corrispondenti al finanziamento all'uopo erogato da B. alla società Pe. s.r.l. della famiglia Ca., era stata sostanzialmente preannunciata dalle valutazioni effettuate dal coimputato MA. il quale, in effetti, aveva opportunamente segnalato l'incapacità di detta società di rimborsare il finanziamento (La vicenda - va precisato - è dettagliatamente descritta alle pagine 588 e ss. della sentenza impugnata, nella quale, peraltro, è evocata anche la significativa intercettazione intercorsa, in data 21.9.2015, tra il sindaco Pi. ed il consigliere To., anch'essa ivi riportata, nei passaggi di interesse). IL Coerente con tale decisa modalità di conduzione dell'organo collegiale, secondo la ricostruzione del tribunale, poi, è anche la descrizione della presidenza ZO. fattane dal teste Gr., all'udienza 30.1.2020, là dove costui, pur escludendo, nel periodo della sua gestione, ingerenze operative dell'imputato, come ripetutamente evidenziato dalla difesa, ha confermato le precedenti dichiarazioni in occasione delle quali aveva riferito, secondo quanto già riportato dal primo giudice, che "... quello del presidente del CdA era un ruolo che stava stretto alla persona di Zo.... in realtà Zo. svolgeva un ruolo di impulso rispetto al CdA della banca e di indirizzo della direzione generale della banca medesima... ed ha rievocato la politica di forte espansione tenacemente perseguita dall'imputato. Quindi, nel corso della sua rinnovata escussione del 5.7.2022, il medesimo Gr. ha descritto le difficoltà che ('"esuberanza" dello ZO. gli aveva provocato più volte con Banca d'Italia, costringendolo a rimediare alle improvvide iniziative del presidente (cfr. pag. 43: Omissis). La più evidente riprova di una condizione di sostanziale soggezione del CdA al suo vertice, del resto, la si ricava dall'unanime consenso espresso a fronte della proposta dell'imputato di cooptare in consiglio il d.g. So. come consigliere delegato e, questo, nonostante si fosse nel febbraio del 2015, ovverosia in un torno di tempo nel quale erano oramai manifeste le condizioni, nelle quali versava l'istituto di credito, di estrema criticità (il tribunale, al riguardo, ha puntualmente evidenziato che: il bilancio 2014 registrava una perdita di circa 800 milioni; l'istituto aveva superato il Comprehensive Assessment solo grazie alla conversione del prestito obbligazionario deliberata d'urgenza nella seduta 26,10,2014; la vigilanza stava approfondendo le questioni del riacquisto di azioni effettuato, per circa 200 milioni di Euro, in costanza di aumento di capitale e della detenzione indiretta di azioni proprie da parte dei fondi lussemburghesi). Come sopra accennato, il giudice di prime cure ha, inoltre, opportunamente rievocato (cfr. pagine 590-591 della sentenza impugnata) il ruolo predominante svolto dall'imputato, nella seduta del CdA 1.4.2014, con riferimento alla determinazione del prezzo dell'azione, determinazione adottata in deroga alle stesse regole procedurali interne della banca. Altrettanto dicasi per la gestione del licenziamento del medesimo So., di cui si tratterà meglio più oltre, licenziamento deciso direttamente dallo ZO. e solo successivamente ratificato con voto unanime (peraltro in violazione sia delle regole statutarie che attribuivano al CdA la relativa competenza, sia della normativa di vigilanza in materia di remunerazione dei dirigenti, come puntualmente osservato dal tribunale); e, questo, nonostante la richiesta del consigliere Zi. di valutare il licenziamento piuttosto che la risoluzione consensuale (richiesta che, riportata nelle trascrizioni audio della seduta del CdA, è tuttavia significativamente assente nel relativo verbale). E' bensì vero, sul punto, che, come la difesa dell'imputato non ha ripetutamente mancato di osservare, un forte segnale di "discontinuità" nella guida della banca era sostanzialmente preteso dall'organo di vigilanza e che (come parimenti sostenuto dalla medesima difesa, da ultimo in sede di discussione) i "tempi di reazione" erano necessariamente assai stretti, dovendosi mirare, anche attraverso una celere rimozione del vertice esecutivo, a scongiurare (o, più verosimilmente, a contenere) il danno reputazionale che sarebbe potuto derivare all'istituto dai riflessi pubblici di una discussione sul punto. Ma è agevole replicare che nulla impediva allo ZO. di coinvolgere rapidamente il CdA in una riservata valutazione della questione (anche ricorrendo a quei mezzi tecnici, quali il collegamento a distanza, che, in precedenza, l'imputato non aveva mancato di utilizzare in frangenti di certo meno preoccupanti) invece di limitarsi a consultare taluni collaboratori e solo alcuni tra i consiglieri di amministrazione di più stretta fiducia per poi chiamare il CdA ad una oramai inevitabile conferma di quanto già da lui deciso; - ad individuare le figure dei manager da assumere (sul punto, il primo giudice ha correttamente evidenziato come Gr., So., Fa. e Ro., ma anche i coimputati Gi. e Pi., fossero stati "selezionati" dall'imputato; ha precisato, inoltre, che Ra.Fo. era stato invitato direttamente da ZO. a svolgere l'incarico di presidente di un comitato che avrebbe dovuto curare lo sviluppo dell'attività dell'istituto di credito nel nordovest e che il medesimo Ra.Fo. era stato nominato presidente di Mo., società immobiliare del gruppo B.); - a controllarne/influenzarne l'operatività, a differenza del precedente presidente, Br.. Significativa, sul punto è la deposizione resa dal teste Pa., vice responsabile della divisione marketing (TESTIMONE PAOLI - No, direi un Presidente esecutivo in maniera importante. Cioè non è un Presidente di rappresentanza per le riunioni in ABI, ma era un Presidente assolutamente operativo, era in banca tutti i giorni, se non era in sede a Vicenza era in sede a Roma ... - cfr. udienza 14.7.2020, pag. 52), anche perché, avendo fatto tale teste ingresso in B. nel 2014, trattasi di deposizione che si riferisce proprio al periodo della "direzione So.". Ma rilevanti sono anche le deposizioni rese, oltre che dal predetto Pa. (il quale ha anche significativamente descritto Zo. come un presidente operativo, che si occupava finanche delle campagne pubblicitarie, circostanza, quest'ultima, anche documentalmente provata dall'appunto contenuto nell'agenda di Ma.So.), dai testimoni Se., Sa., Me. ed Am., così come significativi sono i riscontri documentali evocati dal primo giudice (trattasi dei documenti richiamati alle pagg. 596-598 della sentenza impugnata). Aggiungasi che lo ZO., quando il gestore private Ri. si era dimesso a seguito del trasferimento dalla filiale B. di Vicenza-Co. ad un'altra sede cittadina, dopo un breve incontro con tale funzionario nell'abitazione del presidente ove il primo era stato convocato e nel corso del quale aveva spiegato all'imputato le ragioni della sua scelta, ne aveva immediatamente disposto la riassunzione e la ricollocazione nella medesima sede; - a "preparare" le sedute del CdA attraverso una puntuale, previa interlocuzione con il d.g. So.. Del fatto che Sa.So. fosse stato prescelto dallo ZO. si è già detto. Con riferimento alle modalità di stretta collaborazione tra i due, poi, di assoluto rilievo sono le deposizioni (in particolare, quelle dei testi Ro. e Ro.) richiamate dal tribunale122, dalle quali complessivamente si ricava come tra il presidente ed il d.g., non vi fosse solamente una forte consonanza di intenti ma anche un indissolubile legame operativo, peraltro ammesso dallo stesso So. nel corso delle comunicazioni captate, dal tenore davvero inequivoco, che saranno più oltre riportate. La conversazione n. progr. 235 intercettata il 26.8.2015, intercorsa tra il coimputato Zi. e Pa.Ba., del resto, ne costituisce l'ennesimo, significativo riscontro, là dove il primo ha descritto il rapporto tra presidente e direttore generale come quello di soggetti che "viaggiavano a braccetto". E, anche in tal caso, mette conto osservare che si è in presenza di una affermazione davvero significativa, trattandosi non già di una valutazione (in quanto tale caratterizzata da insuperabili profili di opinabilità) resa da un soggetto estraneo alle dinamiche operative dell'istituto, bensì di un icastico giudizio (del tutto sincero, in quanto captato dagli investigatori all'ascolto) proveniente da un consigliere di amministrazione il quale, peraltro, come si è appreso nel corso del processo, era tanto sensibile alla sorte di B. ed impegnato nella vita dell'istituto da ambire ad assumerne la presidenza, succedendo a ZO., A corredo di tali elementi, poi si collocano le dichiarazioni di quei soggetti - anche costoro intranei all'istituto di credito o, comunque, pienamente inseriti nel contesto produttivo vicentino del quale la banca era il polmone finanziario e, quindi, ben consapevoli di quanto andavano dicendo - che hanno descritto l'imputato come "padre padrone" (è il caso di quanto riferito dal funzionario B. Ro., ovvero dall'imprenditore Ro., nonché dell'espressione proferita dal d.g. So. nel corso di una intercettazione telefonica), ovvero come "monarca assoluto" della banca (è il caso del sindaco Pi., intercettata nel corso di una conversazione con il consigliere To.. Sul punto, con riferimento alla inattendibile "smentita" dibattimentale di tale definizione, sì rimanda a quanto più oltre evidenziato): se è vero, infatti, che tali definizioni, a stretto rigore, come sistematicamente rimarcato dalla difesa del giudicabile, non si emancipano dal rango di valutazioni, è altrettanto indubitabile che, provenendo da soggetti qualificati (i quali, evidentemente, ancoravano le predette affermazioni a vicende da costoro vissute nella quotidianità dell'ambiente di lavoro), si è in presenza di giudizi che scaturivano da solide evidenze fattuali, significativi di una modalità di interpretazione del ruolo presidenziale tutt'altro che formale. Si è in presenza, quindi, di apprezzamenti di significazione tutt'altro che incerta e, anzi, di indubbia efficacia probatoria. Peraltro - osserva questa Corte - non sembra affatto errato spingersi a sostenere che è proprio la larga condivisione di un siffatto giudizio tra soggetti, a diverso titolo, tutti ben informati dei concreti assetti gestionali dell'istituto di credito e, specificamente, delle dinamiche della conduzione della banca, ad integrare, essa stessa, una importante evidenza fattuale. A tali elementi, poi, si aggiungono le significative, coerenti dichiarazioni rese dal coimputato GI., il quale, offrendo una ulteriore "lettura dall'interno" delle dinamiche in atto nel "board ristretto" dell'istituto - lettura particolarmente utile in quanto, per un verso, proveniente proprio da un soggetto apicale nell'organigramma della banca; e, per altro verso, non influenzata da quel palpabile imbarazzo se non anche, come s'è detto, da quella ritrosia al limite della reticenza riscontrabile in numerose deposizioni di alti funzionari che hanno agito a stretto contatto con il più elevato management aziendale (e, ancor più, di numerosi consiglieri e membri del collegio sindacale di amministrazione dell'istituto, evidentemente condizionati anche dal ruolo di responsabilità rivestito da costoro nella banca, peraltro all'origine delle sanzioni amministrative loro irrogate dalla vigilanza) - ha individuato proprio nello ZO. l'effettivo vertice operativo di B. e, nel CdA un organo collegiale sostanzialmente supino. In effetti, nel memoriale prodotto a sostegno della richiesta di rinnovazione dell'esame, il predetto GI., con specifico riferimento alla posizione di Zo.Gi., ne ha definito con nettezza il profilo operativo, icasticamente affermando che il presidente era "il vero amministratore delegato della banca" - in quanto tutte le decisioni di un qualche rilievo necessitavano della sua approvazione o erano, comunque, da questi condivise. Ciò egli ha fatto: - dopo avere ricostruito l'operatività della banca nelle operazioni correlate come una prassi diffusa e consolidata a partire dagli anni 2011-2012 (ovverosia - come da questi precisato - dal momento nel quale le azioni B. avevano cessato di essere attrattive per i clienti, sia in termini di dividendi che di incremento di valore, sicché si era manifestata una situazione di crisi strutturale del mercato secondario del titolo); - e dopo avere precisato, altresì, che la scelta di astenersi, illegittimamente, dall'operare le decurtazioni dal patrimonio di vigilanza degli importi finanziati per l'acquisto delle azioni medesime era funzionale a migliorare i requisiti di capitale, ad esaudire le richieste di vendita dei soci ed a sostenere il prezzo delle azioni, soggiungendo, inoltre, che le indicazioni impartite dal d.g. So. al management erano nel senso di mantenere riservata all'esterno tale operatività della banca (donde l'impiego, nelle pratiche di fido, della dicitura anodina operazioni mobiliari/immobiliari, divenuta, all'interno della banca, vero e proprio sinonimo di "operazioni correlate"). Più nel dettaglio, il GI. ha ricordato come il d.g. So. fosse solito trascorrere l'intero pomeriggio del giorno precedente alle sedute del CdA, ovvero l'intera mattina di tale giorno, con il presidente, per discutere e concordare le delibere che sarebbero state presentate all'organo collegiale, precisando dì essere direttamente a conoscenza di tale prassi perché era stato ripetutamente convocato allorquando le delibere provenivano dalla "Divisione Mercati". In quelle occasioni, ZO. era solito approvare, modificare o cancellare il testo della bozza del provvedimento ed il d.g. So. costantemente interveniva a sostegno. Ebbene, si è chiaramente in presenza di dichiarazioni che, ben lungi dal delineare, come vorrebbe la difesa dell'imputato, ì contorni di una ordinaria operatività del presidente (ovverosia una operatività necessariamente caratterizzata da quei periodici contatti con il d.g. finalizzati a consentirgli di acquisire le informazioni necessarie ad assolvere il ruolo non operativi assegnatogli dalla normativa di riferimento), attestano l'esistenza (quantomeno) di una irregolare diarchia nella conduzione della banca, peraltro plasticamente confermata anche dalla retribuzione riconosciuta allo ZO. (il quale percepiva un compenso annuo di circa 1 milione 110 mila Euro annui, a fronte di quello medio dei singoli consiglieri che si aggirava intorno ai 140 mila Euro annui, ovverosia una retribuzione quasi equivalente a quella del d.g., So., i compensi annui del quale oscillavano tra 1 milione e 300 mila Euro ed 1 milione 500,000 euro126), E, a sostegno di tali dichiarazioni, il propalante ha richiamato plurimi documenti dai quali, in effetti, ad onta delle generiche contestazioni difensive127, è possibile ricavare l'attiva partecipazione del coimputato nella quotidiana operatività della banca, al di fuori, quindi, del perimetro delle attribuzioni proprie di un ruolo di rappresentanza e di garanzia. Trattasi, segnatamente: - della lettera da inviare ai soci a giustificazione dei ritardi nell'evasione delle richieste di vendita delle azioni prodotta (cfr. documento allegato al memoriale, sub 4.1.1); v della missiva inviata dal d.g. della società immobiliare del gruppo al vicedirettore Ca. inerente ad una richiesta di ZO. in merito agli immobili facenti capo al Gruppo Banca (...) (missiva prodotta sub 4.1.2); - della comunicazione in materia di avviamenti con la quale il coimputato PE. riferiva al d.g. So. che l'argomento avrebbe dovuto essere trattato con ZO. (comunicazione di cui al documento allegato sub 4,1.3); - di mail ed allegati documenti attestanti il coinvolgimento del presidente nelle decisioni in materia di "codice etico" e di "riorganizzazione della sede centrale" (di cui alle produzioni sub 4.1.4, e 4.1.5). Ebbene, si è in presenza, com'è evidente solo ad una veloce lettura di tali produzioni, di documenti che, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa dell'imputato (cfr. pagg. 6-9, 11-12 della memoria inerente agli esiti della rinnovazione istruttoria; cfr., inoltre, le considerazioni svolte nella memoria conclusiva), sono di significato tutt'altro che trascurabile ed incerto. Quindi, rievocando le fasi finali della propria permanenza presso l'istituto di credito, il GI. ha riferito che lo ZO., coerentemente con i suggerimenti offertigli dall'avv. Ge. (e, al riguardo, il dichiarante ha richiamato il documento in allegato al memoriale sub 4,6,1., ovverosia la nota riservata datata 11.5,2015, inviata dall'avv. Ge. al presidente Zo., nella quale si suggeriva anche l'esecuzione di un "forensic sulle mail aziendali", ovverosia di "un'attività di sana e prudente ricerca dello stato di conoscenza tra i funzionari e dirigenti dei fatti cui alludono gli ispettori presenti in Banca" - così a pagina 4 della predetta nota), aveva tentato di affrontare il problema che allora stava emergendo dei finanziamenti "baciati", operando una netta discontinuità gestionale, ma, così, sostanzialmente, scaricando le relative responsabilità solo su altri. In questo contesto di predisposizione di una sorta di exit strategy - ha soggiunto il dichiarante - lui stesso aveva appreso della richiesta, proveniente dal medesimo ZO., di cancellazione delle mail presidenziali, richiesta della quale gli aveva riferito un impiegato del SEC di Padova, Ba.St., e che, poi, non era stato possibile attuare. E, a sostegno di tali affermazioni, il GI. ha prodotto un documento di significativo rilievo, ovverosia la stampa della chat inerente alle comunicazioni scambiate, sul tema, proprio con il predetto Ba., comunicazioni che, in effetti, confortano dette propalazioni etero-accusatorie (cfr. documento allegato al memoriale, sub 4.6.2.: "Ciao Stefano. Una curiosità. Tu avevi detto a Ca. che Zo. ti aveva chiesto di cancellare le sue mail? Grazie mille, Abbi pazienza" - "Non mi ricordo bene l'episodio. Devo pensarci un attimo per richiamare la cosa alla memoria" .... ..."Mi sembra che la Li. avesse chiesto se era possibile. Ma le era stato risposto che non si poteva fare perché comunque rimanevano le tracce della cancellazione e sarebbero servite direttive. Secondo me avevano chiesto ai ragazzi che gestivano le mail"). Peraltro, significativa dell'esistenza di una attività di occultamento di elementi a che potessero evidenziare un coinvolgimento del Presidente è anche la conversazione intercorsa tra Bo. e MA. nel corso della quale il primo si faceva latore della richiesta, proveniente da ambienti del CdA, di modificane quanto dallo stesso MA. riferito in sede di intervista "audit" in ordine al fatto che il d.g. So. fosse solito attestare la conoscenza della prassi del capitale finanziato in capo allo Zo. (nel citato colloquio allusivamente indicato come "chi di dovere"). Trattasi, complessivamente, di un protagonismo che davvero mal si concilia con la tesi di un presidente confinato in un ruolo di rappresentanza e che, al contrario, appare coerente con la vera e propria attività gestoria evocata dallo stesso propalante e rispecchiata dagli ulteriori elementi citati. Infine, il GI. ha descritto i rapporti intercorrenti tra il presidente ed il d.g. So. in termini di strettissima collaborazione, in stringente aderenza, peraltro, ad ulteriori evidenze probatorie (si pensi, per tutte, alla già evocata affermazione del coimputato ZI., secondo la quale i due "viaggiavano a braccetto"), soggiungendo che il presidente ed il d.g. erano anche legati da una sorta di reciproca riconoscenza: da un lato, infatti, il primo aveva trovato in So. una sponda per vanificare la proposta del precedente d.g., Co., allorquando costui intendeva promuovere la fusione con il Ba.Po.; dall'altro, il secondo aveva beneficiato della comprensione dello ZO. con riferimento alla manipolazione dei bilanci della Sec, se non anche ad una presunta vicenda "di mazzette" relativa ai rapporti con i fornitori della Ca.. Peraltro, con specifico riferimento alla questione dei bilanci SEC, la deposizione del teste Gr. ha puntualmente confermato le propalazioni del GI., là dove l'ex direttore generale, nel corso della sua rinnovata escussione dibattimentale, ha rievocato tanto la falsificazione dei bilanci di tale società ascrivibile al So. quanto la decisione dello ZO. di graziarlo perché "non aveva rubato" e, quindi, a giudizio del presidente, il "peccato commesso" non era dei più gravi. Trattasi, a ben vedere, dì elemento di estrema significazione, in quanto appare ben difficilmente spiegabile, se non proprio nella prospettiva indicata dal GI., il comportamento di un presidente che, reso edotto di tale grave mancanza, evidentemente sintomatica di un assai pericolosa "disinvoltura" nella redazione dei bilanci di una "controllata", non si fosse preoccupato che un siffatto approccio potesse essere replicato anche con riferimento alle scritture di B.. Il rinnovato esame dibattimentale del medesimo GI., poi, ha consentito di saggiare ulteriormente l'affidabilità della fonte (posto che l'escussione di quest'ultimo nel contraddittorio delle parti non ha fatto emergere criticità ed incoerenze della narrazione e, men che meno, falsità di sorta), oltre che di arricchire il contributo di conoscenza originariamente dal propalante affidato al citato memoriale. Il GI., infatti, non solo ha confermato il forte protagonismo operativo dello ZO. nella conduzione della banca, rendendo le seguenti, puntuali affermazioni: particolare, che io sono l'ultimo arrivato in Banca perché sono arrivato a fine 2007, fare questo, che io debba dire che il Presidente era il vero Amministratore Delegato della Banca. Quindi questa è una cosa particolare, no? Nel senso che tutti sapevano che il Presidente interveniva su qualunque decisione importante in Banca, qualunque: non c'era una delibera di Consiglio di Amministrazione che non passasse sotto il suo vaglio. Il Presidente era presente, era presente nei gangli organizzativi. So. non muoveva un dito senza che il Presidente sapesse. I consigli di amministrazione venivano condotti e guidati da Zo., Quindi, voglio dire, io dico quello che ho visto: io ho visto organigrammi della Banca che non potevano essere deliberati, se il Presidente non li avesse convalidati e non li avesse visti. Ovviamente questa è una mia posizione che ho cercato anche di oggettivare con dei documenti perché, se no, sarebbe la mia posizione contro la posizione di altri quattro cinque Imputati Purtroppo sono dovuto andare a fare le analisi, andare a tirare fuori i documenti per comprovare quello che sto dicendo..."; ma, come si dirà più oltre, ha ribadito ed approfondito quanto anticipato nel memoriale, in particolare con specifico riferimento alla piena conoscenza in capo al presidente del sistematico ricorso al capitale finanziato. Deve allora necessariamente convenirsi che i dati valorizzati dal tribunale ed in precedenza succintamente richiamati - elementi ai quali si è aggiunto il significativo contributo conoscitivo fornito dal coimputato GI., siccome testé rievocato - costituiscano la più sicura conferma, ove mai ve ne fosse bisogno, del puntuale giudizio già reso dall'ente di vigilanza Banca d'Italia con riferimento alla governance dell'istituto di credito e, segnatamente, alla ingombrante presenza di un presidente che, al contempo, individuava gli obiettivi strategici della banca e ne seguiva la realizzazione, preoccupandosi, altresì, di ogni questione operativa. Pertanto, si è in presenza - va precisato per completezza - di una situazione tutt'affatto differente rispetto a quella, propria di una presidenza meramente "formale", evocata dall'appellante attraverso la produzione, in allegato all'atto di appello, della richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura della Repubblica dì Treviso in data 2.4.2020 con riferimento alle analoghe contestazioni mosse al Presidente del CdA di Ve., Tr.Fl.. In effetti, ai convergenti dati probatori valorizzati dal primo giudice, l'appellante ha contrapposto (al paragrafo 3.3, let.re b-j, pagg. 76-137 dell'atto di impugnazione) elementi (poi in larga parte ripresi ed ulteriormente valorizzati nelle citate "note scritte di discussione" in data 28.9.2022 - cfr. pagg. 18 e ss.) asseritamente di segno contrario - in quanto ritenuti tali da escludere che l'imputato potesse essere definito come il "monarca" dell'istituto e, anzi, considerati idonei a dimostrare che costui non esorbitasse affatto dalle attribuzioni della presidenza e non svolgesse, pertanto, alcun ruolo operativo (come sostenuto al conclusivo punto 3.3 lett. k) - ma, in realtà, tutt'altro che adeguati a legittimare una differente lettura del ruolo concretamente svolto dallo ZO.. Trattasi, segnatamente: - della conversazione n. 526, intercorsa tra il coimputato MA. ed il collega Cu. (par. 3.3, lett. b); - di specifici "passaggi" delle deposizioni dei testi Gr., Do., Li., Lo., So., Me., Bi., An., Tu., Fa., Se. e Ro. (par. 3.3., lett. c); - della mancata partecipazione dell'imputato ai Comitati Esecutivi ed ai Comitati di Direzione (par. 3.3, lett. d); s dell'estraneità dell'imputato rispetto alla erogazione del credito (par. 3.3, lett. e); - del ruolo corretto tenuto dal presidente in relazione alla svalutazione del valore dell'azione da 62,50 a 48 Euro deliberato nell'aprile del 2015 (par. 3.3, lett. f); - dell'estraneità del giudicabile all'iniziativa di creazione della "task force gestione soci" costituita nella primavera del 2015 (par. 3.3, lett. g); - della tempestiva attività svolta dal medesimo ZO. per corrispondere alle richieste degli ispettori Bc. che intendevano approfondire le questioni delle "lettere di garanzia" e dei "fondi lussemburghesi" (par. 3.3 lett. h); - del reale comportamento tenuto dal predetto con riferimento alle dimissioni del d.g. So. e dei coimputati GI. e PI. (par. 3.3, lett. i) e della condotta assunta dal presidente dal momento della nomina del nuovo Direttore Generale e Consigliere Delegato, Fr.Io., sino alle sue dimissioni (par, 3.3, lett. j). In effetti, detti elementi non legittimano affatto le conclusioni che pretende trarne l'appellante. Sul punto, una precisazione è d'obbligo: quelli evocati dalla difesa a sostegno delle considerazioni svolte ai predetti punti 3.3 lettre b, c, e, f, g, h, i dell'impugnazione sono, in larga parte, contributi testimoniali che scontano - come già premesso ed a differenza di quanto direttamente verificato, con riferimento all'effettivo ruolo svolto dal presidente ZONIIM, dagli ispettori di Banca d'Italia (peraltro anche in periodi significativamente antecedenti rispetto all'arco temporale in cui si collocano i fatti oggetto di addebito) - un più o meno marcato deficit di affidabilità, in quanto provengono da soggetti a diverso titolo coinvolti nella vicenda in esame (in qualità di componenti del CdA, come nel caso di An., Do., Co., Ro., ovvero di membri del Collegio Sindacale; ovvero di dipendenti dell'istituto di credito impegnati in settori "sensibili" rispetto al tema del capitale finanziato, come nel caso, in particolare, di Ri., di Fa. e di Tu., o comunque, strettamente legati al vertice dell'istituto, come So., il quale, peraltro, nel complesso, come si vedrà più oltre, ha reso dichiarazioni assai significative nell'evidenziare la diffusa conoscenza, ai vertici operativi della banca, del fenomeno delle operazioni correlate; ovvero ancora di professionisti intervenuti in momenti decisivi della vicenda in esame, ed è il caso del professor Bi. e dell'avv. Ge.). Si è in presenza, pertanto, di deposizioni (massimamente quelle dei consiglieri di amministrazione e dei membri del collegio sindacale, ma anche quelle di coloro che hanno offerto la propria stretta collaborazione ai vertici operativi della banca maggiormente coinvolti nella concreta gestione dei finanziamenti correlati) alle quali - va ribadito - è doveroso approcciarsi con estrema prudenza. Ciò posto - e passando al merito delle considerazioni difensive - gli elementi valorizzati nell'appello, ancorché ampiamente enfatizzati nella relativa esposizione, assumono, in ottica difensiva, davvero scarso rilievo rispetto al tema in oggetto: - così è per la conversazione n. 526 (par, 3.3, lett. b), intercorsa tra il coimputato MA. ed il capo-area Fr.Cu., posto che non è certo pensabile che l'imputato - il quale, com'è pacificamente emerso, di questioni significative interloquiva pressoché esclusivamente con il d.g. So. - si intrattenesse con un "semplice" capo-area su questioni inerenti alla conduzione dell'istituto di credito; - così per i passaggi, evocati nell'appello (par. 3.3, lett. c), delle deposizioni dei testi Gr., Do., Li., Lo. e So., Bi., Me., An., Tu., Fa., Se. e Ro.. In particolare, le dichiarazioni del Gr., richiamate nella parte in cui il predetto ha rivendicato la propria autonomia rispetto al presidente Zo., sono state nondimeno trascurate là dove il medesimo dichiarante ha significativamente delineato il ruolo dell'imputato in termini di forte protagonismo. Peraltro, il medesimo teste Gr., in occasione della rinnovata escussione in sede di giudizio di appello, con riferimento alle modalità di esercizio della presidenza da parte dello, ZO., dopo avere richiamato il perimetro assai circoscritto delle attribuzioni presidenziali delineato dalla disciplina di Banca d'Italia, ha precisato che lui stesso era solito discutere con l'imputato delle questioni di una certa importanza, soggiungendo che, con riferimento alla tematica della quotazione in borsa, era stato proprio lo ZO. a esprimersi in senso contrario. Aggiungasi che detto teste ha velatamente (ma in modo chiaramente percepibile da parte di un ascoltatore avvertito delle dinamiche proprie del contesto di riferimento) operato una distinzione, a ben vedere nient'affatto casuale, tra quello che avveniva, nei rapporti con il presidente, durante la sua gestione, insofferente di ogni indebita intromissione e quello che, diversamente, sarebbe potuto avvenire durante la gestione So., il quale, peraltro, come riferito dallo stesso Gr. innanzi al tribunale, aveva uno stretto rapporto con lo ZO. che ne apprezzava il decisionismo, fermo restando che il rapporto tra i due, siccome puntualmente descritto dal teste Pa., era caratterizzato dal timore reverenziale nutrito dal d.g. (non diversamente, del resto, da tutto il personale della banca) nei confronti di un presidente assai autorevole, se non addirittura autoritario. D'altra parte, tale avvicendamento era avvenuto in concomitanza con la crisi finanziaria e del mercato secondario, per cui è ragionevole ritenere che la mancata ingerenza dell'imputato nell'operatività dell'istituto durante la gestione Gr. potrebbe non essersi affatto riprodotta nel periodo successivo, quando il direttore generale era persona, per un verso, meno rigorosa del predetto Gr. e, per altro verso, maggiormente condizionata nella sua gestione dell'istituto dall'inasprirsi della crisi che rischiava di vanificare le ambizioni di ZO. (non più contenute dalla concretezza e dal realismo di Gr.). E, sul punto, significative sono le già richiamate dichiarazioni rese dal teste Pa., relative proprio al periodo successivo all'avvicendamento Gr.-So. - In ogni caso, a ben vedere, quella resa dal teste Gr. è una deposizione davvero inconciliabile con la tesi di un imputato "confinato" in un ruolo di semplice rappresentanza. Di trascurabile significato, poi, sono anche i passaggi richiamati delle deposizioni dei testi: Do., essendosi questi limitato a dichiarare che l'imputato gli aveva riferito che si occupava solamente di "strategia" (circostanza, peraltro, anch'essa incoerente con un quell'incarico poco più che meramente formale che, nella prospettiva in precedenza delineata, potrebbe giustificare l'ignoranza della pervasiva prassi delittuosa in essere, da anni, presso B.); Li. e Lo., trattandosi, in tali casi, dì dichiarazioni che, per i ruoli dei dichiaranti (la prima, segretaria personale dell'imputato; la seconda, dapprima responsabile della direzione comunicazione e, successivamente, membro del CdA di fondazioni "partecipate" da B.) consentono di conoscere, per un verso, (e abitudini lavorative del giudicabile e, per altro verso, gli interessi da questi coltivati rispetto ad attività culturali e benefiche, ma nulla predicano di specifico in relazione al tema oggetto di prova; nonché So., quello evocato dall'appellante essendo un breve passaggio, sostanzialmente irrilevante, della ben più articolata deposizione resa da tale testimone (eccezion fatta per quanto riferito in ordine alle pratiche di fido, delle quali, tuttavia, il So. non si occupava direttamente, donde lo scarso rilievo, sul punto, di detta dichiarazione). Altrettanto dicasi per deposizione del teste Bi., in quanto la circostanza che tale professionista interloquisse solamente con il d.g. e non avesse subito pressioni di sorta dall'imputato nell'ambito delle valutazioni demandategli in punto di determinazione del valore del titolo B., non contrasta affatto con le evidenze probatorie valorizzate dal primo giudice, al pari del fatto che, secondo quanto riferito dal medesimo Bi., lo ZO. si esprimesse, con riferimento al tema "valore dell'azione", in termini "atecnici". Peraltro, non è affatto irrilevante evidenziare, ai fini della comprensione del ruolo dello ZO. e del CdA nella determinazione del prezzo (sovrastimato) dell'azione, come il Bi., nell'interloquire con il PE. (e, quindi, non solo con il So.), avesse avuto modo di precisare che l'attribuzione del valore del titolo nei termini poi definiti di 62,5 Euro fosse stata conseguenza di una scelta della banca assai opinabile. In effetti il tenore della mail inviata dal professore al Responsabile della Divisione Bilancio PE. il 29.4.2013 non lascia adito a dubbi: "Gentile dott. Pe., mi sembra esagerata l'enfasi data alle mie considerazioni sul prezzo di 62,5 rispetto a quanto riportato nella mia valutazione. Sarei più prudente. Così come è messa sembra che il perito vi dica che 62,5 è runico prezzo da scegliere, mentre l'aver evidenziato una forchetta di valori dell'adozione del criterio reddituale va semmai nel senso contrario....In breve consiglierei una maggiore prudenza di lettura della perizia e segnalerei tra i rischi quello di non riuscire a realizzare il piano"). Aggiungasi che lo stesso Bi. ha riferito come il tema dell'incremento di valore del titolo fosse un obiettivo perseguito dallo ZO. e dal So. ("Zo. e So. avevano espresso un aspetto di ispirazione verso un incremento del titolo B. anche se non ho ricevuto pressioni sollecitazioni o inviti a raggiungere un determinato risultato finale"...), i nomi dei quali, d'altronde, come opportunamente evidenziato dal P.G. nella memoria conclusiva, nella narrazione del teste ricorrono sempre abbinati, quasi come - una endiadi", ad ulteriore riprova dello stretto collegamento operativo tra i due. Analoghe conclusioni, poi, si impongono con riferimento alle dichiarazioni rese dai testi Me., An., Tu. e Fa., ove si consideri la genericità delle circostanze da costoro riferite e, nondimeno, specificamente valorizzate dall'appellante (cfr. al riguardo, quanto precisato alle pagg. 84-87). In ogni caso, si è in presenza di dichiarazioni che, a ben vedere, risultano tutt'altro che incompatibili con quanto aliunde emerso a carico dello ZO., Che, infatti, il Me. - amministratore di Pa.Fi. - avesse poi trattato della lettera dì garanzia con il So. è circostanza del tutto coerente con il ruolo del direttore generale, pacificamente risultato il vero e proprio regista delle operazioni dì capitale finanziato. Peraltro, non può trascurarsi di considerare che il medesimo Me. ha riferito di essersi incontrato con il d.g. dopo l'allontanamento di quest'ultimo da B., soggiungendo che il So., nell'occasione, gli aveva riferito come il presidente fosse ben consapevole della prassi invalsa presso la banca ma intendesse scaricare ogni responsabilità proprio sullo stesso d.g., quale "capro espiatorio"134. Quanto, poi, ai passaggi delle dichiarazioni del teste Tu. evocati dal difensore, il tema ivi affrontato (interessamento da parte dello ZO. in relazione alle questioni della pinacoteca del comune di Prato e della chiusura del banco-pegni della medesima località) è davvero obiettivamente trascurabile. Non è in discussione, infatti, che il giudicabile si occupasse di tali questioni "di contorno" (questioni che, al contrario, è pacifico che suscitassero il vivo interessamento dell'imputato, assai sensibile a tutto ciò che potesse accrescere il prestigio della banca), bensì che costui esorbitasse, nel l'interpreta re il proprio ruolo presidenziale, da tali ambiti. Infine, la circostanza, riferita dal teste Fa., che al presidente pervenissero i comunicati già predisposti è assolutamente "in linea" con la presenza, presso B., di una struttura amministrativa obiettivamente articolata, ma non implica affatto che lo ZO. si limitasse ad apporre una "inconsapevole" firma in calce a detti documenti. Del resto, il teste An., anch'egli nuovamente escusso nel dibattimento d'appello, non solo ha precisato che era stato l'imputato ad inserirlo, dapprima, nel CdA di Ba.Nu. (dove aveva poi assunto il ruolo di vicepresidente) e, quindi, in quello di B. (il che ulteriormente conferma il protagonismo del giudicabile nella selezione dei soggetti destinati a ricoprire ruoli di responsabilità nell'istituto), ma, nell'evidenziare come lo ZO. avesse espresso forte contrarietà alla proposta di So. di bloccare la valutazione del titolo B. e nel precisare, inoltre, che il rapporto tra l'imputato ed il d.g. era di "esclusività", in quanto il presidente faceva sostanzialmente da "cerniera" tra la dirigenza ed il CdA135, ha implicitamente avvalorato la ricostruzione di una modalità di esercizio delle attribuzioni presidenziali da parte del giudicabile tutt'altro che di mera rappresentanza, contribuendo a chiarire come, all'interno della più alta dirigenza dell'istituto, fosse sostanzialmente riscontrabile una duplicità di livelli: quello, di massimo vertice, relativo alla coppia "ZO.-So."; e quello, più propriamente riconducibile alla ordinaria dinamica di un board ristretto, inerente ai rapporti tra il d.g. e gli altri dirigenti apicali. Infine, in relazione alle deposizioni dei testi Se. e Ro., deve osservarsi, con riferimento al primo (Se.), che il passaggio valorizzato dall'appellante evidenzia unicamente che l'imputato non era esperto di "operatività tecnica" e, segnatamente, di "merito creditizio", non già che costui non fosse - come peraltro espressamente affermato dal medesimo teste, nei passaggi di poco precedenti della stessa deposizione - "presente e interventista". Anzi, è opportuno precisare che tale teste ha precisato che l'imputato "era presente in ogni ganglio operativo, scendeva sulle strutture". Del resto, la mail inviata da Gi. ad alcuni colleghi della Direzione Generale il 13.9.2010 nella quale il primo, in relazione alla riunione che avrebbe avuto luogo la sera stessa, esplicitamente affermava ".. Il Presidente sarò (sarà) duro con i capi area...", ne è un'evidente conferma. Peraltro, non è affatto inutile sottolineare come, a far giustizia della tesi di un presidente incapace di comprendere, al di là delle specifiche questioni più propriamente tecniche, significato e portata delle tematiche che vengono in rilievo nel presente giudizio, siano le stesse parole dell'imputato, più oltre evocate, dalle quali si apprende come costui fosse ben consapevole dell'importanza e delle relative implicazioni, anche sul patrimonio di vigilanza, del - Fondo acquisto azioni proprie" (ovverosia, come s'è detto, di uno dei più importanti temi inscindibilmente collegati alla generale questione del capitale finanziato). Ne consegue che descrivere lo ZO. - il quale, per moltissimi anni, ha guidato l'istituto di credito vicentino, orientandone con decisione la politica espansionistica che aveva portato la banca a divenire uno dei gruppi bancari più importanti d'Italia - come un "semplice" imprenditore del settore vinicolo "prestato" al circuito bancario e privo di alcuna competenza in materia (e, quindi, fare leva su tale radicale difetto di conoscenze ed esperienza, per tentare di accreditare la tesi di un presidente facile vittima di un direttore generale infedele) appare davvero un fuor d'opera. Del resto, non pare affatto inutile richiamare, a riprova di una effettiva competenza del giudicabile che andava ben oltre ai "fondamentali" in materia, quanto riferito dal teste Fa., là dove questi, peraltro nell'ambito di contributi dichiarativi, come s'è detto (e come ancora si dirà più oltre), costantemente ispirati ad un approccio "riduzionistico", non solo in ordine alla effettiva conoscenza del fenomeno in esame all'interno della struttura di B. ma anche (e conseguentemente) delle altrui responsabilità in ordine a tale prassi, nel rievocare un incontro che aveva avuto con il presidente nel corso del CdA del 10-11.2014 ha precisato che tale incontro era stato richiesto dalla segreteria di ZO. in quanto quest'ultimo aveva la necessità di approfondire, attraverso i dati di riferimento, l'evoluzione dei "Price Book Value" di banche popolari quotate e non quotate ed ha significativamente soggiunto, a richiesta del difensore della parte civile, che il presidente mostrava di conoscere il concetto in esame, consistente nel parametro di sopravvalutazione o sotto valutazione di un'azione". Con riferimento al secondo testimone (Ro.), poi, si è trattato di una fonte dichiarativa che, pur avendo successivamente ridimensionato (senza, peraltro, fornirne convincente ragione) il senso delle espressioni precedentemente rese ("non si muove foglia senza il suo consenso" - "padre padrone della banca") ed escludendo quelle interferenze dell'imputato nelle procedure di vendita delle azioni che, pure, in precedenza, aveva linearmente descritto (donde, ad avviso della Corte, l'inattendibilità di tale revirement, peraltro contraddetto dall'esplicito tenore delle mail - trattasi dei significativi documenti nn.ri (...) e (...) della produzione del P.M. - esibite a detto teste nel corso della relativa escussione141) ha nondimeno ribadito che lo ZO. interpretava il proprio ruolo in modo tutt'altro che passivo. In relazione, da ultimo, alle dichiarazioni rese dal teste Br. (e diffusamente richiamate nella memoria conclusiva inerente alla rinnovazione istruttoria), è sufficiente ribadire quanto già detto in ordine alla complessiva inattendibilità di tale fonte, trattandosi di soggetto legato da una stretta collaborazione decennale con l'imputato ed evidentemente influenzato dall'interesse a ridimensionare il proprio ruolo in relazione alla vicenda del "default" di B. per sottrarsi alle responsabilità, non solo di ordine "morale" ma anche amministrativo, sullo stesso gravanti connesse alla posizione di membro del CdA e queste ultime all'origine delle sanzioni irrogategli da Consob; - così per la mancata partecipazione del giudicabile ai comitati esecutivi e di direzione (pan 3.3, lett. d). Ed invero, a parte il fatto che lo ZO. ha sicuramente presenziato (circostanza pacifica e non contestata - cfr. atto di appello, pagg. 96-97) alla riunione 11-11.2014, convocata dopo la pubblicazione del citato articolo di stampa sul quotidiano "(...)" ed anche a voler ammettere che lo ZO. non fosse intervenuto al comitato di direzione 20.4.2015 (con la conseguenza che quello del teste Am. in ordine alla presenza del presidente sarebbe un ricordo errato, come minuziosamente argomentato dalla difesa alle pagg. 97-98 dell'atto impugnazione), deve osservarsi come, per quanto detto in ordine ai rapporti dell'imputato con il vertice del management aziendale (e, segnatamente, con il d.g. So.), non fosse certo in occasione delle riunioni predette che il presidente acquisiva contezza delle problematiche della banca (bensì, come meglio si dirà più oltre, in occasione dei continui contatti riservati che intratteneva con il d.g.). E' agevole osservare, del resto, che la diretta partecipazione del presidente a tali incontri avrebbe pesantemente "oscurato" la posizione del direttore generale, compromettendone l'autorevolezza. Donde il rilievo davvero trascurabile delle deduzioni difensive sul punto; - così, ancora, per l'assenza di interventi diretti nell'erogazione del credito (par. 3.3, lett. e). Trattasi, invero, di circostanza, al contempo, pacifica e irrilevante. Questo, ove si abbia la debita attenzione, per un verso, al ristretto livello nel quale venivano adottate le relative decisioni strategiche; per altro verso, alla riservatezza che contraddistingueva tale operatività illecita; e, per altro verso ancora, con specifico riferimento alla posizione dello ZO., alle considerazioni svolte in ordine alla separata interlocuzione che egli costantemente intratteneva pressoché esclusivamente con il d.g. So. (donde anche l'irrilevanza della intercettazione della comunicazione intercettata n. 259, richiamata alle pagg. 101-105 dell'appello e non considerata dal primo giudice, nel corso della quale il coimputato MA. negava di avere mai personalmente interloquito, sul punto, con il presidente)-Peraltro, va rimarcato, in senso contrario, che l'ascolto dell'audio dell'intervento dell'imputato nel corso del CdA del 5.11.2013 consente univocamente di apprezzare il profilo di un presidente pienamente cosciente anche delle problematiche inerenti alla gestione del credito e delle implicazioni di tale tema con quello del mercato secondario, come si evince agevolmente dal seguente passo della relativa trascrizione: "....quando c'è una pratica che cominciano i milioni di Euro bisogna fermarsi e leggerla bene perché non possiamo e devono essere ancora più severi nella selezione del credito perché le banche che vanno meno peggio sono quelle che sono state più severe nella selezione del credito. Noi abbiamo aiutato ma finché aiuti quello da 20 mila Euro va bene ma quando uno viene coi 20 milioni o i 30 milioni e li perdi dove vai? Ti attacchi a un capannone dopo. Allora se uno ha bisogno di quattrini e vende e non c'è più nessuno che ti compra l'azione perché non aumenta il valore e perché gli dai una redditività molto bassa cosa fai tu? Dimmi cosa fa il Consiglio? Cosa fai?..." (cfr. pag. 5 della trascrizione); - così, inoltre, per il ruolo rivestito dall'imputato al momento della svalutazione del valore del titolo (par. 3.3, lett. f), nell'aprile del 2015 (allorquando il predetto era stato rispettoso delle indicazioni fornite, in particolare, dall'esperto prof. Bi.), essendosi in presenza di una determinazione inevitabile, in quanto adottata in un contesto di crisi oramai conclamata. Aggiungasi che il primo giudice ha dato puntualmente conto, con riferimento alla precedente determinazione del prezzo dell'azione, dell'intervento del giudicabile - cui aveva fatto seguito, al solito, la supina adesione da parte del CdA - teso a privilegiare, tra i criteri per la determinazione di detto prezzo, il criterio reddituale, peraltro in deroga alle stesse regole procedurali nell'occasione adottate dalla banca, regole che sconsigliavano in modo esplicito l'enfatizzazione di un criterio rispetto ad un altro; inoltre, ha opportunamente evidenziato come il comunicato stampa diramato per annunciare tale determinazione non avesse minimamente fatto cenno alla suddetta deroga procedurale, peraltro all'origine dell'attribuzione di un valore del titolo (62,5 euro) nettamente superiore a quello (49,3) cui avrebbe condotto l'adozione di altro criterio (quello del Market Approach); - così, poi, per la mancata diretta partecipazione alla iniziativa di attivazione della "task force" del 2015 (par. 3.3, lett. g), essendosi in presenza di una decisione strettamente operativa (peraltro pressoché immediatamente naufragata). In ogni caso, è decisivo osservare come, in una fase di tanto eclatante criticità, il palese protagonismo del presidente (aduso ad assumere condotte tutt'altro che improvvisate) sarebbe risultato certamente inopportuno, se non anche pericolosamente controproducente per la posizione di quest'ultimo. Del resto, il varo della "task force" si colloca nel medesimo contesto temporale di ulteriori iniziative alle quali prese parte anche l'imputato (intende farsi riferimento alle interlocuzioni con l'avv. Ge., incontrato dallo ZO. il 6.5.2015 presso la sede B. di Roma) e che portarono alla decisione di adottare un segnale di forte discontinuità nel management; - così per il contegno tenuto dall'imputato in relazione alla scoperta delle lettere di garanzia ed alla criticità dei fondi lussemburghesi (par.3.3 lett. h), trattandosi, anche in tal caso, di condotte assunte, nel pieno dell'ispezione Bc., in una situazione di crisi oramai conclamata, sicché qualsivoglia comportamento finalizzato ad ostacolare l'emersione di tali questioni sarebbe stato davvero "suicida". Ed è proprio in questi termini che può leggersi anche la decisione di denunziare i fatti all'a.g. (peraltro solo nel mese di agosto del 2015), donde l'irrilevanza, sul punto, anche di tale elemento; - così, ancora, per le "dimissioni" del d.g. So. e degli imputati GI. e PI. (par. 3.3, lett. i), posto chetali iniziative, al contrario, depongono nel senso di una decisa iniziativa del presidente il quale, con specifico riferimento all'allontanamento del direttore generale, agì con assoluta determinazione, addirittura sostanzialmente ponendo il CdA, come s'è detto, dì fronte al fatto compiuto; - così, infine, per il comportamento tenuto dall'imputato, negli ultimi mesi, durante la "gestione Io." (par. 3.3, lett. j). Se è vero, infatti, che il giudicabile, in questo periodo, non risulta avere frapposto ostacoli agli accertamenti in corso, è del tutto evidente che, in quel contesto, nessuna differente condotta avrebbe avuto alcun senso, sicché del tutto ragionevolmente il tribunale, ad onta di quanto censurato, sul punto, dalla difesa, ha omesso di considerare specificamente tale circostanza. In altri e decisivi termini, sostenere, come vorrebbe l'appellante, che l'imputato svolgesse, nella presidenza di (...), se non un ruolo di mera rappresentanza, una funzione strettamente "istituzionale" e che, conseguentemente, non fosse coinvolto nella concreta operatività dell'istituto, è conclusione radicalmente contraddetta da una ragionata analisi del panorama probatorio disponibile che, come s'è visto, predica di una costante e "debordante" presenza dell'imputato nella vita della banca. D'altronde, l'intervento effettuato dallo ZO. in occasione della citata seduta del CdA del 5.11.2013 - trattasi sostanzialmente di un lungo monologo, la cui registrazione audio è stata anche ascoltata in udienza nel corso dell'esame del coimputato GI. - restituisce la più vivida immagine di un presidente assolutamente consapevole tanto della generale situazione di difficoltà in cui versava l'intero settore delle banche popolari (settore rispetto al quale l'imputato, nell'occasione citata, si poneva come un vero e proprio punto di riferimento, nel riportare ai consiglieri le interlocuzioni occorse con i vertici di altre banche popolari e con lo stesso presidente delle Associazioni delle Ba.Po.), quanto, più specificamente - ed è ciò che maggiormente rileva in questa sede - dello stato di profonda sofferenza nel quale si dibatteva B. a causa della crisi del mercato secondario, tanto da spingersi a sostenere l'ineluttabilità di una radicale riforma del settore, nella evidente speranza che ciò potesse assicurare a B. una via d'uscita dalla oramai cronica situazione di illiquidità del titolo e da impegnarsi personalmente in tal senso. Certamente, si trattava di temi "strategici" e non immediatamente gestionali; tuttavia, le ricadute operative erano immediate e di assoluto rilievo. Peraltro, nel corso di tale intervento, è dato cogliere la piena contezza, in capo al giudicabile: - non solo della gravità della situazione del mercato del titolo B. e della conseguente sopravvalutazione del valore dell'azione, dato che una delle (rare) interruzioni del discorso dell'imputato (interruzione posta in essere, come precisato all'udienza del 17.6.2022 dalla difesa ZO. nel produrne la trascrizione effettuata a sua cura e come confermato dall'imputato GI. durante l'ascolto in aula del relativo file audio, da Gi.Fa., già per anni al vertice della segreteria particolare del Direttorio della Banca d'Italia, indi andato in pensione e divenuto, nel corso di quello stesso anno 2013, consulente di B., nonché presente con regolarità, secondo quanto affermato da GI., ai consigli di amministrazione della Banca, anche se, a suo dire, egli si limitava a stare "a disposizione nella stanza antistante il Consiglio"; il Fa. è stato infatti escusso come teste in primo grado all'udienza del 14.7.2020) consiste proprio in un puntuale intervento dell'interlocutore Fa. in tal senso: "...le popolari italiane ancora non sono interessanti oggi probabilmente (e non "forse'", come erroneamente riportato nella citata trascrizione) il valore detrazione è sopravvalutato..." (cfr. trascrizione citata, pag. 7). Ed invero il predetto Fa., al di là del già chiaro tenore del suo intervento di fronte a ZO. nel CdA del 5.11,2013 (intervento che, peraltro, egli, in sede di deposizione testimoniale, resa il 14.7.2020, ha sostenuto, in contrasto con la documentazione audio in atti, citatagli in aula, di non ricordare affatto: cfr. pagg. 44-45 verbale stenotipico cit.), è stato - sul punto - finanche più esplicito nel corso della deposizione testimoniale suddetta, allorquando ha dichiarato quanto segue, pur cercando a un certo punto di attenuare in parte l'iniziale peso della sua affermazione (cfr. pag. 21 del relativo verbale stenotipico): "TESTIMONE Fa. - Guardi, parlando con I miei col leghi (della Banca d'Italia) mi è stato segnalato, mi dissero: guarda, lì il problema vero è l'azione che è sopravvalutata, il valore dell'azione che era sopravvalutata. - PRESIDENTE - Con quali colleghi ha parlato, mi scusi? - TESTIMONE Fa. - Ho parlato con colleghi della vigilanza. - PRESIDENTE - Sì. Qualcuno, qualche nome? - TESTIMONE Fa. - No. - PRESIDENTE - Non ricorda nessun nome? - TESTIMONE Fa. - No. Insomma, erano colleghi con i quali si aveva consuetudine di scambiare... - PRESIDENTE - Sì, giusto per identificarli. - TESTIMONE Fa. - No, no. L'azione era sopravvalutata, come però lo era per tutte le banche popolari, era un problema diciamo comune a tutta la categoria delle banche popolari, ma la sopravvalutazione allora non era completamente fuori linea, c'era una j sopravvalutazione ma... così"; - ma anche delle implicazioni patrimoniali di tale crisi con riferimento al fondo acquisto azioni proprie ("....il problema delle popolari così come sono concepite è che quando cominciano a venderti le azioni e tu non le compri perché non hai più il fondo di acquisto azioni proprie che va a deprimere il patrimonio, ehhh tu sei finito, sei finito..." - cfr. trascrizione prodotta dalla difesa ZO.; foglio 6). Come si è visto, infatti, la strategia del ricorso al "capitale finanziato" ha rappresentato, nelle intenzioni dei vertici aziendali, la risposta alle difficoltà del mercato secondario del titolo e, quindi, lo strumento per assicurare la "sopravvivenza" dell'istituto di credito. Ed i piani aziendali, pacificamente irrealizzabili (e non certo solo "sfidanti", secondo l'eufemistica espressione adottata da taluni testimoni - cfr. dep. Fa., udienza 15.6.2022, pag. 12; cfr. dep. Ca., udienza 6.2.2020, pag. 68, cfr. inoltre, infra), erano predisposti in tal modo - esattamente come esplicitato dal chiamante in correità GI. - proprio in quanto funzionali a sostenere il valore dell'azione, palesemente sopravvalutata, in una sorta di dissennata rincorsa verso il baratro. Né, del resto, quella del 5.11.2013 è stata fa sola seduta del CdA durante la quale gli interventi del presidente ZO. hanno palesato la piena e consapevole partecipazione dello stesso alla gestione della banca, ben al di là, quindi, dì quel ruolo formale che, nell'appello, vorrebbero ritagliargli i difensori. In particolare, in occasione della seduta del 28.10.2014, ZO. e So. risultano essere intervenuti proprio sul tema della difficoltà di collocare le azioni e, in quel contesto, il d.g. ha effettuato un palese - ancorché non esplicito - riferimento a mutui al quale erano "appiccicate" le azioni, ovverosia a finanziamenti correlati da effettuare in sede di aumento di capitale; "... (Zo.): davamo una certa velocità, adesso questo è come dover passare per un buco stretto, è dura. (So.) Ecco un'altra considerazione, Purtroppo è che la crisi continua, la crisi c'è. E quindi se prima, fino a due anni fa, i 6250 Euro, pari a 100 azioni, era abbastanza normale e facile che uno li appiccicava al mutuo, al mutuo di 100.000, 110.000, 80.000, oggi per un reddito di 1500; 2000 Euro al mese, che già il rapporto rata reddito fa fatica a pagare la rata, aggiungere 6250, vi assicuro che è complicato, no? Dicono; ma non possiamo comprarne meno? Noi non ci interessa diventare soci basta essere, avere un po' di azioni. Quindi....(Zo.) se hanno azioni e non sono soci non possono avere (So.) le agevolazioni....piuttosto se necessario andiamo in assemblea e portiamo la proprietà minima a 50 azioni...). Ma significative della consapevolezza delle dinamiche operative della società sono anche le registrazioni sia della seduta del CdA 19.3.2013, in occasione della quale l'imputato aveva spiegato agli interlocutori come la decisione di pagare il dividendo in azioni fosse stata adottata per svuotare il fondo acquisto azioni proprie: "(Zo.)....solo che gli ultimi due anni li abbiamo dati in azioni, in azioni che avevamo in portafoglio, nel fondo acquisti azioni proprie per svuotare più o meno questo fondo, in modo da ricominciare dal 1 gennaio o subito dopo le...subito dopo l'assemblea, per essere più corretti, perché c'è il periodo dove non commercializziamo, non vendiamo e non acquistiamo le azioni..."); sia della seduta del CdA 4.3.2014, nel corso della quale il presidente, con riferimento all'aumento di capitale che era in procinto di essere lanciato, si era esposto al punto da precisare che, in attesa dell'approvazione da parte delle autorità dì vigilanza, sarebbe stato necessario spingere sulla rete commerciale al contempo assicurandosi che venisse mantenuta la segretezza di tale operatività: "... (Zo.) noi chiederemo alla Consob Banca d'Italia di approvare la....quando ....un po' prima....intanto si fa formazione sulla rete, che non devono parlare, devono spiegare bene come dicevano....perché bisogna fargli capire....che è un po' complessa, ma insomma, quando poi... quando è entrata nella testa poi non è così complicato, non è così difficile dai..."): sia, infine, della seduta del CdA 11.6.2013. posto che il giudicabile, con riferimento ancora una volta alle operazioni di aumento di capitale, si era dimostrato pienamente consapevole e partecipe finanche dei passaggi più strettamente operativi dell'operazione, peraltro gestiti, ancora una volta, nel segno dell'illegalità, in quanto in contrasto con le prescrizioni ricevute all'atto della relativa autorizzazione: (Za.) ....scusa presidente....ma viene mandata una lettera ai soci? (So.) sì (Za.)...ecco perché non tutti leggono i giornali (Zo.)...prima di mandare la lettera dovevamo avere un'autorizzazione., la lettera è pronta? (So.) è tutto già predisposto...adesso la vediamo.... sì sì questa è l'ultima autorizzazione sì... (Zo.) bisogna partire veloci con le lettere, perché sennò i soci si lamentano se vogliamo prorogare di un mese è possibile? No non non, ma riteniamo di non aver problemi (Zo.) Adesso i soci vengono tutti contattati dai nostri dipendenti, oltre che con la lettera. (So.) oltre che la lettera, c'è un'azione, una campagna molto dettagliata...)". Infine, l'audio della seduta del 18.6.2013 costituisce chiara conferma non solo della ingerenza dell'imputato nelle concrete dinamiche operative dell'istituto ma - come si avrà modo di ribadire più oltre - della stessa conoscenza del capitale finanziato, là dove riscontra le dichiarazioni del GI. in ordine alla richiesta di sottoscrizione di operazioni finanziate avanzata dall'imprenditore siciliano Co., Solo in tale prospettiva, infatti, è possibile attribuire un senso all'invito alla cautela ed alla riservatezza formulato dall'imputato al GI. in vista della interlocuzione con tale potenziale investitore: "... (Zo.) ... le prime sensazioni e ... mi raccomando attenzione per quel signore e noi non facciamo mai doppio conto. O è un correntista di Vicenza o è un correntista di banca nuova. I doppi conti non vanno bene. (Gi.) Già gli ho anticipato di aver parlato con i colleghi di banca nuova...(ZO.) meglio esser prudenti perché chiacchiera chiacchiera. (GI.) gli darò tutte le informazioni che ho recuperato oggi e poi... (ZO.)...però non si sa mai insomma... .mi ha fatto un discorso, mi ha detto: casomai possiamo fare 5 milioni, poi 2/3 milioni li mettiamo noi in azioni...(GI.) ma l'ha fatto (ZO.) anche a lei? Attenzione ... (GI.) io gli ho detto che se si tratta di fare un finanziamento per quei 3 milioni va bene, ma poi per il resto non ci interessa perché non abbiamo azioni da dargli. (ZO.) e cosa ha detto? Non ha più parlato....)". Quindi, riassumendo: Zo.Gi., è stato tutt'altro che un presidente "istituzionale" e men che meno un presidente "di facciata" o "decorativo", occupato solamente, come assai riduttiva mente vorrebbe la difesa (sulla base di un lettura parziale e - soprattutto - oltremodo parcellizzata del materiale probatorio complessivamente disponibile), da un lato, a curare l'immagine dell'istituto di credito, attraverso una maniacale attenzione prestata a questioni di dettaglio (gli arredi degli immobili dell'istituto; i menù delle "cene sociali" ecc.) e, dall'altro, a delineare "strategie operative", senza poi curarsi degli snodi essenziali della gestione della banca. Piuttosto, durante il lungo periodo nel quale ha ricoperto la presidenza dell'istituto di credito vicentino, è stato l'anima della banca, anzi, "è stato la banca" (realmente efficace, invero, è la descrizione dell'imputato offerta dall'imprenditore RO., riportata a pag. 623-624 della sentenza impugnata: Mera il capo, il padrone il padrone della banca, era il presidente della banca, il riferimento di tutti..."): l'ha rappresentata nelle interlocuzioni con gli ambienti politici ed istituzionali; ne ha assicurato lo stretto legame con il tessuto imprenditoriale, non solo locale; ma, soprattutto, per quel che specificamente rileva in questa sede, ne ha ispirato la politica aziendale - per scelta diretta dell'imputato orientata ad una insostenibile espansione territoriale, implicante una moltiplicazione delle strutture e degli sportelli sul territorio e tale da assorbire consistenti quote di capitale ("la banca sono le sue strutture", infatti, era il principio ispiratore del presidente, tanto da averlo indotto a cassare ogni proposta di recuperare liquidità dalla vendita di asset immobiliari, come ricordato dal GI.144; si ricordi, ancora, l'operazione relativa alla sede di Cortina d'Ampezzo) - seguendone anche direttamente l'attuazione, nonostante la consapevolezza della situazione di crisi in cui versava l'istituto, non solo con specifico riferimento al mercato secondario del titolo. Tali conclusioni, come s'è visto, si impongono alla stregua di solide evidenze fattuali, corroborate da coerenti valutazioni provenienti da soggetti assai ben informati del tema in esame (Valutazioni, quindi, non certo derubricabili a meri, opinabili apprezzamenti). Chiaramente sintomatico di un siffatto approccio alla presidenza da parte del giudicabile è anche un passaggio dell'intervento effettuato dall'imputato nel CdA del 5.11,2013, nel quale emerge addirittura la diretta partecipazione ad un incontro con i capi area: "Io personalmente sono convinto che se vogliamo che il mondo cooperativo vada avanti a livello di banche popolari dobbiamo dare, perché quando abbiamo fatto la riunione dei capi area ho fatto una domanda ho detto "voi dovete rispondermi perché le persone devono investire sulle banche popolari?.....Perché vanno su il valore delle azioni.. Fino a 4/5 anni fa è andata bene, adesso francamente non è più così..."(cfr. trascrizione citata, pag. 1). Tutto ciò il giudicabile ha fatto assicurandosi il più saldo controllo dell'istituto, mediante la scelta di manager di fiducia (la sorte dei quali ha autonomamente decretato, anche al di fuori del ristretto ambito delle sue competenze) ed attraverso il netto rifiuto opposto alla proposta di quotazione in borsa avanzata ripetutamente dal d.g. Gr. (soluzione che - va detto per inciso - avrebbe scongiurato l'esito fallimentare poi verificatosi) e menando vanto, nella interlocuzione con i soci, di tale scelta. Quando, poi, la situazione era oramai divenuta insostenibile e solo una radicale riforma del settore avrebbe potuto salvare B., lo ZO. si è bensì impegnato attivamente in tal senso (circostanza che costituisce l'ennesima conferma della centralità del ruolo ricoperto dal giudicabile, non solo nell'ambito delle dinamiche interne alla banca vicentina, ma nell'intero "circuito" delle banche popolari); ciò ha fatto, tuttavia, animato dall'intenzione di assicurarsi che tale riforma venisse pilotata - secondo gli auspici dell'imputato anche attraverso l'inserimento, nella commissione che se ne sarebbe dovuta occupare, di nomi a lui graditi (nomi, peraltro, che lo stesso ZO. aveva già autonomamente individuato) - verso un esito nel quale l'ingresso di nuovi soci avrebbe dovuto convivere con il vecchio sistema di governance, in modo che fosse comunque assicurato il perpetuarsi del controllo della banca (sul punto, è d'uopo il richiamo a quanto prospettato dall'imputato ai consiglieri nel corso della seduta del CdA poco sopra evocata, alla trascrizione della quale, in questa sede, s'impone un formale rinvio). In conclusione, la ricostruzione delle modalità dì esercizio della presidenza da parte dell'imputato quali espressione di una costante ingerenza nell'operatività dell'istituto è stata dal primo giudice ancorata a solide evidenze probatorie, peraltro successivamente implementate, nel dibattimento d'appello, dalle dichiarazioni dei propalante GI., sicché, su) punto, non pare davvero possibile nutrire perplessità di sorta. Se così è - e, per quanto sin qui detto, non pare davvero possibile opinare diversamente - possono apprezzarsi in termini di evidenza tanto l'inconsistenza fattuale quanto l'insostenibilità logica della tesi difensiva secondo la quale l'imputato, confinato in un ruolo meramente decorativo e dì mera rappresentanza - o, al più, impegnato a vagheggiare strategie aziendali (sul punto, l'appello richiama, in particolare, la deposizione del teste Do. in ordine agli interessi meramente "strategici" dell'imputato146), ma senza avere alcuna concreta possibilità di incidere sulla realizzazione di tali progetti - non avrebbe avuto alcun sentore del fenomeno del capitale finanziato, fenomeno la responsabilità del quale sarebbe tutta esclusivamente addebitabile al vertice immediatamente esecutivo di B., ovverosia al d.g. So. oltre che, com'è ovvio, ai suoi più stretti collaboratori (stante l'evidente impossibilità, per costui, di attuare "in solitudine" scelte dalle ricadute operative e gestionali tanto complesse). In effetti, nella prospettiva sostanzialmente sottesa all'atto d'appello (ed esplicitamente rappresentata in questi termini in sede di conclusioni), il presidente, dedicandosi a seguire iniziative culturali e benefiche o, comunque, ad un ruolo dì generica rappresentanza e di mero indirizzo, sarebbe rimasto vittima inconsapevole di una sorta di "congiura del silenzio" per effetto della coordinata azione di dirigenti infedeli i quali, peraltro - non può non rilevarsi - non avrebbero agito per trarne un immediato vantaggio, se non quello di assicurarsi il mantenimento delle rispettive posizioni - tutt'altro che precarie, in verità - nel board ristretto della banca, bensì per scongiurare la crisi dell'istituto di credito o, quantomeno, per differirne gli effetti. Questo, con l'inevitabile corollario (non esplicitato dall'appellante ma imposto dalle evidenze processuali) che tale "congiura" ai danni del presidente sarebbe stata posta in essere pressoché dall'intera dirigenza operativa della banca. Ora, non v'è chi non veda che si tratta di una ipotesi intrinsecamente irragionevole e davvero inconciliabile con la vastità, la risalenza e le complesse implicazioni del fenomeno in esame, necessariamente tali da coinvolgere l'operatività (come s'è già visto analizzando le posizioni dei coimputati MA., GI. e PI.) pressoché dì tutte le articolazioni operative dell'istituto (ovverosia "il mercato", "la finanza", il "credito" e, come si dirà più oltre, anche "il bilancio"). Al riguardo, infatti, sono davvero illuminanti le puntuali considerazioni dell'ispettore Ga.: "....Sì, So. sostanzialmente riferisce, come dire, di una piena consapevolezza da parte della struttura direttiva di Po.Vi. del fenomeno Ma del resto, insomma, come dire, io non faccio fatica a credergli perché, ripeto ancora, le dimensioni del fenomeno, la persistenza nel tempo, la persistenza nel tempo soprattutto, il fenomeno è durato anni, l'estensione del fenomeno, sono cose che è obiettivamente impossibile, impossibile che siano gestite all'insaputa di un coordinamento da parte dell'alta direzione, e non solo di un solo soggetto ma, insomma, di una serie di soggetti: devono coordinare una struttura, una rete commerciale che deve fare queste operazioni, è necessario, come dire, una piena comunione di intenti da parte del vertice aziendale ...". Peraltro - va precisato - la situazione di estrema difficoltà nella quale versava l'istituto non era nota solo ai vertici operativi della banca, ma anche ai funzionari che occupavano ruoli che li ponevano quotidianamente a contatti con le "conseguenze pratiche" della crescente, inarrestabile inappetibilità del titolo: davvero significative, sul punto, sono le dichiarazioni rese dal teste Ro., addetto all'ufficio soci, il quale ha efficacemente descritto il contesto di sostanziale paralisi nell'ordinario avvicendamento dei soci, riferendo di "valanghe" di richiesta di vendita segnalate come urgenti a partire dagli anni 2011-2012 e precisando che ciò aveva anche fatto "saltare" il criterio cronologico in precedenza seguito per l'evasione delle relative pratiche. Evidentemente consapevole della debolezza logica di siffatta prospettazione alternativa, la difesa ha puntellato tale ricostruzione della vicenda sostenendo che il presidente sarebbe stato tenuto all'oscuro della prassi delle operazioni correlate per effetto di quella sorta dì "muro invalicabile" che il d.g. So. avrebbe appositamente eretto per "confinare" il presidente, impedendogli di interloquire con i restanti membri del management e, in tal guisa, scongiurando il rischio che lo stesso ZO. potesse acquisire contezza di tale prassi dagli altri top manager di B. (ai quali il So. riferiva, per rassicurarli, che il presidente, contrariamente al vero, condivideva la prassi delle "baciate"). In buona sostanza, il So. avrebbe ingannato, al contempo, "a monte", il presidente, nascondendogli il sistematico ricorso alla concessione di finanziamenti per l'acquisto dei titoli B.; e, "a valle" i suoi più stretti collaboratori, millantando con costoro di fruire, al riguardo, del pieno appoggio di ZO.. Di talché il presidente sarebbe rimasto estraneo rispetto a quel "comitato ristretto" responsabile, secondo la stessa difesa dell'imputato, "dell'operatività occulta all'interno di B.". E, a corroborare tale impostazione, concorrerebbero, secondo la difesa, le deposizioni dei testimoni Ca., To. e Tu., là dove costoro hanno riferito che il So. era assai accorto nel riservare a sé stesso le interlocuzioni col Presidente (il teste Ca. avendo precisato, peraltro, che il d.g. veniva immediatamente informato di eventuali contatti tra i dirigenti e lo ZO. ed era solito chiedere immediate spiegazioni al riguardo). Inoltre, la medesima difesa, anche da ultimo151, ha richiamato la deposizione resa dalla teste Pi. innanzi a questa Corte là dove costei ha avuto modo di rievocare una conversazione intrattenuta col GI. nel corso della quale questi le aveva riferito che il So., richiesto di precisare se effettivamente il presidente fosse a conoscenza delle "baciate", aveva bensì rassicurato l'interlocutore sostenendo che, seduta stante, avrebbe telefonato allo ZO. per acquisirne il rinnovato consenso, ma aveva poi effettuato la chiamata al presidente ponendosi al riparo dall'ascolto del vicedirettore, così ponendo io/ essere una condotta dalla quale, ad avviso della teste, non poteva certo trarsi la conferma dell'effettivo coinvolgimento dello stesso ZO. nella prassi in esame. Ed un analogo episodio, parimenti richiamato dal difensore, è stato quello descritto nel corso di una conversazione telefonica intercorsa tra Bo. e Fe., in occasione della quale si era fatto esplicito riferimento ad una telefonata che il So. aveva intrattenuto con lo ZO. senza che i presenti potessero ascoltarlo (nell'occasione il d.g. si sarebbe recato in bagno). Ancora, lo stesso Gi. - ha soggiunto la difesa - nel corso dell'esame reso il 17.6.2022, nel sostenere che se avesse riferito qualcosa al Presidente ovvero al CdA avrebbe messo a serio repentaglio il proprio posto di lavoro, avrebbe corroborato tale impostazione. Infine, la medesima difesa, richiamando le deposizioni rese dai testimoni An. e Tu. ed il resoconto del coimputato ZI., ha evidenziato, a riprova dell'estraneità dell'imputato al "comitato ristretto" responsabile delle operazioni "baciate", la scansione degli eventi verificatisi tra la fine di aprile e l'inizio di maggio del 2015: quando l'imputato, informato da Ca. e An. di quanto andava emergendo, ne aveva chiesto conto al So. ed al GI., costoro, invece di richiamare il presidente ad una comune assunzione di responsabilità, come sarebbe stato lecito attendersi se fossero stati tutti d'accordo, si erano accusati reciprocamente dell'ideazione delle operazioni. Ebbene, nonostante tali osservazioni (come si vedrà, tutt'altro che decisive), l'insostenibilità dell'impostazione difensiva permane invariata. Non solo, infatti, il protagonismo del giudicabile nella operatività aziendale, siccome in precedenza delineato, fa giustizia, in punto di fatto, di tale ipotesi, ma trattasi di ricostruzione che, non appena sottoposta a quel più approfondito vaglio sollecitato dagli argomenti valorizzati dalla difesa, manifesta tutta la sua inconsistenza sul piano della logica più elementare. Come s'è detto, la tesi della conventio ad excludendum del presidente ZO. ordita dal d.g. So. confligge, anzitutto, con la semplice osservazione che il fenomeno del capitale finanziato era ben noto all'interno delle strutture operative della banca e, in particolare, era di pubblico dominio nell'ambito della rete commerciale dell'istituto (costituita - sarà bene ribadirlo - non già da pochi impiegati confinati in un ufficio isolato, ma da alti dirigenti, numerosi funzionari e migliaia di addetti sparsi sul territorio) chiamata ad attuare con prontezza le direttive di collocamento delle azioni, anche attraverso appositi - finanziamenti, impartite alla catena commerciale del d.g. So. per il tramite del vicedirettore GI. (come da questi convincentemente illustrato. Assolutamente significative, sul punto, sono le dichiarazioni rese dai testi Pi., Ba., Ni. e Ba.. S'è visto, del resto, che le disposizioni in ordine al mantenimento del segreto di tale prassi erano destinate ad operare all'esterno - e, segnatamente, nei confronti della vigilanza - attraverso il divieto di lasciarne traccia scritta, non certo nei confronti di una rete commerciale tanto ramificata. Lo stesso teste Mo., del resto, nel corso della sua rinnovata escussione dibattimentale - pure connotata, come si dirà più oltre, da un marcato ed interessato approccio "riduzionistico" nella descrizione della conoscenza del fenomeno (là dove ha riferito come delle "baciate" non si parlasse apertamente) - non ha potuto negare come non fossero mancati i riferimenti, ancorché allusivi, a tale fenomeno (ad esempio nel corso dei contatti informali tra i capi area, ecc.). Analogamente, il teste Fa., anch'egli in sede di rinnovata escussione e parimenti nell'ambito di una deposizione orientata al sistematico ridimensionamento della diffusa conoscenza dei fatti e delle singole responsabilità, ha riferito come, prima del periodo di forte tensione in cui va collocata la seduta del comitato del 14,4,2014, il fenomeno delle "baciate" fosse noto e tollerato, in quanto "prassi comune alle banche popolari". Aggiungasi che, come evidenziato dal tribunale, il fenomeno in esame, nelle sue linee generali, era comunque noto: - sia all'interno del CdA (diversamente da quanto sostenuto dai plurimi consiglieri escussi) - come, peraltro, significativamente affermato dallo stesso So. nel corso di una rilevante conversazione intercettata - se non altro a quei componenti dell'organo collegiale che ne avevano consapevolmente fruito e, ragionevolmente, anche a coloro che avevano più stretti rapporti con il contesto di imprenditori locali che avevano acquisito, nel tempo, "pacchetti" di azioni di valore rilevantissimo; - sia all'interno del Collegio Sindacale, almeno nella persona del suo presidente e nelle sue linee generali (significativo, al riguardo, nonostante la percepibile cautela lessicale ragionevolmente dettata dalla consapevolezza della registrazione, è il seguente passaggio della seduta del comitato per il controllo 22.11.2013: "... (Es.) No...caro presidente del collegio sindacale, lei sa molto bene che il fondo a fine anno ...Cosa succede? Non mi fate parlare ... (Za.) ... diventa a zero ... (Es.) ... bravo (Za.) ... zero ... Allora li (inc.) ... (Es.) ecco, bravo ...grazie ho finito ...)". Peraltro, le sentenze della Cassazione civile che hanno confermato le sanzioni irrogate da CONSOB nei confronti di numerosi membri del CdA (oltre che dei sindaci), per un verso, hanno evidenziato la sussistenza di una sequela di indici di allarme che ben avrebbero dovuto rendere percepibile la connessione tra le richieste di finanziamento e gli acquisti di azioni; e, per altro verso, hanno messo in evidenza come la CONSOB, già nel 2014, avesse sollecitato un adeguato controllo sui legami intercorrenti tra i componenti del CdA ed i sindaci, da un lato, ed i soggetti beneficiari dei finanziamenti, dall'altro, richiesta, questa, che non poteva non costituire un palese segnale di allarme di possibili anomalie (cfr. Cass. civile 4519/22 su ricorso Br.). Né, d'altro canto, è minimamente emerso che il d.g. avesse diffidato alcuno, tra i dirigenti/funzionari di B., dal riferire alcunché al presidente ZO.. Anzi, vi sono elementi di segno nettamente contrario, ove si consideri che il teste Ba. ha riferito come, interpellato dallo ZO. prima che quest'ultimo si incontrasse con Be., non avesse esitato a riferire al presidente delle operazioni correlate effettuate da tale investitore. Pertanto, confidare che il presidente potesse restare all'oscuro di una prassi la cui conoscenza era tanto diffusa pare, a dir poco, inverosimile. Se, poi, sì tiene debitamente conto del coinvolgimento nella sottoscrizione di operazioni di capitale finanziato di larga parte dell'imprenditoria vicentina, ovvero di quel contesto produttivo del quale l'imputato era campione, e si consideri, inoltre, che fra i sottoscrittori v'erano amici di vecchia data del giudicabile (e finanche il di lui cognato), non v'è chi non veda come l'ipotesi difensiva di uno ZO. pressoché unico soggetto ignaro di un fenomeno, per il resto, pressoché notorio, finisca davvero per dissolversi nell'assoluta irrealtà. In questa prospettiva, quindi, le osservazioni dell'appellante basate sulle dichiarazioni valorizzate dalla difesa ed in precedenza evocate (trattasi, segnatamente, delle deposizioni Ca., To., Tu., Pi.), pure convergenti nel delineare l'estrema attenzione con la quale il So. aveva riservato alla propria persona le interlocuzioni con il presidente, lungi dal dimostrare l'esistenza di un piano orchestrato dal d.g. per "isolare" il presidente stesso, onde poterlo più agevolmente ingannare con riferimento alla questione di vitale importanza del capitale finanziato, trovano ben più agevole spiegazione in una condotta conseguente ad una impostazione degli assetti dirigenziali fortemente gerarchizzata, condotta, peraltro, con ogni probabilità, esasperata dal timore del d.g., di essere "scavalcato" dai vicedirettori. Ed è proprio in quest'ottica che può trovare agevole spiegazione anche la vicenda delle telefonate (probabilmente, peraltro, trattasi dello stesso episodio) alla quale hanno fatto riferimento la teste Pi. in sede di deposizione e gli interlocutori della citata conversazione intercettata n. 114, nel senso che una interlocuzione effettuata, con il presidente, alla presenza di terzi e ponendo lo ZO. a conoscenza del fatto che i più stretti collaboratori del d.g. non avevano fiducia nel loro "capo", avrebbe finito irrimediabilmente per compromettere l'autorevolezza dello stesso d.g. agli occhi del medesimo presidente. Quanto, poi, alle dichiarazioni rese dal GI., sì è in presenza di un contributo narrativo impropriamente evocato, posto che, a rileggere il relativo passaggio dell'esame, si coglie chiaramente che il propalante intendeva riferirsi alla impossibilità, pena l'immediato allontanamento dalla banca, di investire il CdA della questione del capitale finanziato, in quanto si sarebbe trattato di una iniziativa, peraltro del tutto irrituale, assunta in plateale violazione della "direttiva" secondo la quale il tema in esame non sarebbe dovuto mai emergere formalmente (cfr. verbale udienza 17.6.20220, pag. 32: IMPUTATO GI. - Eravamo molto preoccupati della regolarità di questo tipo di operazione, e quindi volevamo essere sicuri che fossimo coperti da Zo., dal Consiglio di Amministrazione e dal Collegio Sindacale. DIFESA, AVV. Ma.Gi. - E non ha mai sentito l'esigenza lei, o qualcun altro che aveva queste preoccupazioni, di parlarne apertamente in CdA? Dato che lei continua a dire che il CdA era a conoscenza. IMPUTATO GI. - No, ma ero fuori dalla Banca il giorno dopo. DIFESA, AVV. Ma.Gi. - Come? IMPUTATO GI. - Ero fuori dalla Banca il giorno dopo. Questa è un'operatività che doveva rimanere occulta non dichiarata, non scritta, di cui non si doveva parlare, per cui tutti si nascondevano dietro a formalismo di una comunicazione ufficiale. Per cui, nella sostanza: tutti sapevano, ma formalmente non dovevano esserci comunicazioni ufficiali. Se io ne avessi parlato col Presidente, coi Consiglieri in Consiglio di Amministrazione, il giorno dopo sarei stato messo fuori dalla Banca ..."). Non è certo in questo passaggio delle parole del chiamante in correità, quindi, che può trovare sostegno la tesi di un presidente confinato in un ruolo puramente formale ed all'oscuro dell'andamento della gestione dell'istituto di credito vicentino. Infine, con riferimento alle osservazioni critiche fondate sull'asserita incoerenza della condotta del So. e del GI. (là dove costoro non avrebbero invitato il presidente ad una assunzione di responsabilità) è sufficiente evidenziare, per un verso, che non è certo dalla voce dì testimoni (è il caso del teste An.) che non conoscevano le reali dinamiche della gestione del capitale finanziato in atto, a vari livelli, presso l'istituto, che possono ricavarsi elementi decisivi per comprendere la natura dei rapporti, sul punto, tra il presidente, il d.g. So. ed il vicedirettore GI. (essendosi già detto, peraltro, che i primi due erano soliti incontrarsi riservatamente per discutere delle questioni inerenti all'istituto di credito), mentre assai più convincenti, in proposito, sono le informazioni che si ricavano dalle già evocate intercettazioni delle conversazioni intrattenute dal medesimo d.g.; e, per altro verso, che è dalla puntuale descrizione degli accadimenti restituita dall'esame del GI. - il quale ha efficacemente rievocato la surreale situazione creatasi allorquando, il 4.5.2015, si era incontrato con lo ZO., in termini che è opportuno, di seguito, riportare integralmente - che si trae la prova dell'effettivo assetto dei rapporti, al vertice dell'istituto, in relazione al delicato tema della gestione dell'operatività illecita: Omissis In un contesto basato sulla continua dissimulazione, sull'occultamento dell'operatività illecita, su interlocuzioni, al vertice, "separate" (si è già detto - peraltro anche sulla base delle dichiarazioni del teste An. - che il d.g. So. faceva da "cerniera" tra il presidente ed il resto del management) e, finanche, sulla plateale menzogna, voler arguire l'estraneità dello ZO. rispetto al fenomeno in esame dalla apparente incoerenza della condotta di protagonisti che tentavano, disperatamente, di ridimensionare le proprie responsabilità, anche a scapito dei colleghi; pretendere che il GI. - il quale, messo alle strette, si era visto obbligato a richiedere un colloquio con lo ZO. nella speranza di salvare il proprio posto in B. - aggredisse frontalmente il presidente dell'istituto inchiodandolo alle sue responsabilità (e decretando, in tal guisa, il proprio definitivo allontanamento dalla banca), pena l'incoerenza di quanto dal medesimo GI. poi dichiarato in sede processuale, pare, a questa Corte, davvero insostenibile. A fortiori, tali considerazioni si impongono con riferimento all'incontro del quale ha riferito il teste An. nel passaggio della sua deposizione evocato dalla difesa (cfr. pagg. 54-55 delle "note scritte di discussione"), incontro nel corso del quale, peraltro, secondo detto teste, il chiamante in correità aveva sostenuto, alla presenza anche dello stesso ZO., come il So., nel tempo, avesse ripetutamente affermato che il presidente era a conoscenza del fenomeno in esame (e tutto ciò, stando al racconto dello stesso An. - il quale, in effetti nulla ha riferito sul punto - senza che il predetto ZO. obiettasse alcunché, circostanza, questa, che pare anch'essa tutt'altro che irrilevante). In definitiva, ipotizzare, come vorrebbe l'appellante, che l'imputato sia rimasto vittima di una sorta di tradimento da parte del So. e dei più stretti collaboratori di quest'ultimo (tradimento, peraltro, pressoché con certezza destinato a venire alla luce, stante la inevitabile, diffusa conoscenza del capitale finanziato all'interno della rete dell'istituto e considerata la protrazione nel tempo, per anni, di tale illecita operatività) costituisce una interpretazione della vicenda radicalmente smentita, sul piano della razionalità e nei termini di minima ragionevolezza, dalla sensata lettura delle complessive emergenze istruttorie, non già da una mera, meccanicistica applicazione di astratti criteri logici. In effetti, ove si considerino: - la natura risalente, pervasiva e sistematica del fenomeno del ricorso all'erogazione di finanziamenti destinati all'acquisto di azioni proprie B. (o ad altri rimedi, come le "lettere di impegno al riacquisto"), fenomeno divenuto, nella prospettiva dell'alta dirigenza dell'istituto di credito, man mano che le difficoltà del mercato secondario delle azioni della banca da sporadiche divenivano "strutturali", l'unico rimedio concretamente praticabile, se non per superare tale stato di grave criticità, assicurando la liquidità del titolo e scongiurando il default della banca, quantomeno per differirne la manifestazione e, così, procrastinarne gli effetti deflagranti (in un contesto, peraltro, nel quale non si intendeva invertire la rotta rispetto alla politica di espansione territoriale dell'istituto, anche perché ciò avrebbe rivelato la sopravvenuta condizione di difficoltà della banca); - le inevitabili implicazioni in tema di omesse decurtazioni e di comunicazioni decettive all'organo di vigilanza di tale metodico ricorso al finanziamento dell'acquisto di azioni proprie (s'è visto, infatti, che le condizioni patrimoniali dell'istituto rendevano indispensabile, per "reperire capitale" onde assicurare il rispetto dei parametri di riferimento, omettere le dovute decurtazioni dal patrimonio di vigilanza degli importi erogati a titolo di finanziamenti destinati all'acquisto di azioni B.); - il ruolo dall'imputato rivestito in concreto - e, quindi, anche ben ai di là della carica formale di mera garanzia in ordine al corretto funzionamento del CdA siccome delineato dalla disciplina di riferimento dettata dalle circolari di Banca d'Italia - nella gestione della banca, caratterizzato da ripetuti sconfinamenti nell'operatività dell'istituto di credito; - lo strettissimo legame operativo sussistente tra l'imputato ed il d.g. So.. con il quale il primo si incontrava costantemente per essere aggiornato sulle tematiche di rilievo e per preparare le sedute del CdA (davvero emblematico di tale legame, del resto, è quanto dallo stesso So. riferito, in tempi non sospetti, al socio Lo.Tr., allorché questi lo aveva interpellato circa la conoscenza da parte dello ZO. della natura "baciata" delle operazioni sottoscritte dal medesimo Lo.: PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. -..TE in un'altra occasione lei disse allora: "Rammento bene che lo stesso So. mi disse: Io non posso neanche andate a fare la pipì senza che Zo. lo sappia' a confermare - dice lei - il controllo che Zo. aveva all'Interna della banca". TESTIMONE LO.TR. - E' vero anche questo. E se non sbaglio, anche la seconda me l'ha detta durante anche una telefonata. Se non sbaglio." 163. Del resto, le conversazioni effettuate dal So. ed intercettate dagli investigatori che saranno specificamene richiamate nel paragrafo seguente, ove sottoposte ad una ragionevole lettura, sono assolutamente coerenti con tali conclusioni (ad onta della contraria interpretazione offertane dalla difesa nella memoria conclusiva, là dove, peraltro, ne sono state richiamate solo talune - cfr. memoria conclusiva, pagg. 35 e ss.); - e, più in generale, il vero e proprio timore reverenziale che la figura dell'imputato ispirava nell'intera dirigenza dell'istituto di credito, l'ipotesi - pure, tenacemente, sostenuta dalla difesa - dell'estraneità del più alto esponente di B. rispetto ad un fenomeno di tale portata già si prospetta, alla stregua di una prima valutazione d'insieme, radicalmente infondata e scopertamente difensiva. Per contro - e specularmente - le effettive modalità di gestione della presidenza da parte del giudicabile finiscono necessariamente per rappresentare, nella peculiare concretezza del caso di specie, sotto il profilo razionale, un dato probatorio a carico di indubbia significazione, A ben vedere - e concludendo sul punto - attribuire rilievo alla posizione concretamente rivestita dallo ZO. nella compagine societaria onde comprendere il ruolo svolto da costui nell'operatività delittuosa sub iudice, ben lungi dall'essere, come vorrebbe l'appellante, il frutto avvelenato di un grave errore di metodo (quello conseguente ad una cieca, aprioristica e, in quanto tale, inaccettabile applicazione di presunte massime di esperienza, secondo le quali il presidente di una banca "non potrebbe non conoscere" le prassi operative in atto presso la "propria" struttura aziendale o, comunque, alla semplicistica applicazione di comode scorciatoie deduttive), discende, nei dovuti termini di minima ragionevolezza, dalla congiunta valutazione di solide evidenze probatorie. Il fortissimo protagonismo dell'imputato nell'esercizio delle funzioni presidenziali, infatti, è un dato pacificamente emerso nel corso dell'istruttoria e, quindi, per nulla ancorato, come ancora vorrebbe la difesa, ad elementi incerti, equivoci o. addirittura, a "voci correnti nel pubblico". Il tribunale, quindi, non è affatto incorso in un corto circuito logico-giuridico; non ha fondato l'efficacia di prova (beninteso indiretta) di tale elemento su una inammissibile (in quanto intrinsecamente fallace) catena di indizi. In un quadro probatorio pure caratterizzato da palpabili resistenze di molti testimoni a fare emergere chiaramente i reali contorni della posizione presidenziale (davvero emblematica di siffatta resistenza è la inverosimile spiegazione offerta a questa Corte dalla teste Pi. - "stavo scherzando" delle affermazioni dalla stessa effettuate nel colloquio intercettato ove, al riparo da orecchie indiscrete, aveva icasticamente definito il presidente ZO. come "monarca assoluto") sono nondimeno emerse chiare ed inequivoche evidenze del fatto che l'imputato era tutt'altro che un presidente decorativo, bensì fortemente incidente nell'operatività dell'istituto di credito. Pertanto, non può certo fondatamente negarsi il rilievo di tale elemento indiziario. Sennonché, come si dirà di seguito, l'istruttoria dibattimentale ha offerto ulteriori e più consistenti riscontri della fondatezza dell'impostazione d'accusa. 14.1.4.2.2. La conoscenza da parte dello ZO. delle operazioni di capitale finanziato e le relative censure difensive (Secondo motivo di appello: paragrafi 3.2, 3.5 e 3.6). In effetti, l'istruttoria dibattimentale ha consentito di verificare la conoscenza, in capo all'imputato, del fenomeno del capitale finanziato non unicamente, in via indiretta, in forza di pur stringenti considerazioni di natura logica inerenti alle modalità di concreto esercizio del ruolo presidenziale, ma anche per effetto di ben più tangibili elementi (elementi che, peraltro, finiscono a loro volta per avvalorare ulteriormente le conclusioni "razionali" testé esposte). Non solo, infatti, l'imputato, come si avrà modo di ribadire, era pienamente cosciente dello stato di crisi del mercato secondario del titolo di B., ovverosia - va sottolineato ancora una volta - di quella che è risultata la più significativa causa del ricorso al finanziamento degli acquisti del titolo azionario della banca (tanto che la consapevolezza delle ragioni di una così grave difficoltà finisce quasi per implicare, sul piano logico, anche la conoscenza dell'unico rimedio escogitato, ed a lungo attuato, per fronteggiarla); ma vi sono ulteriori, specifiche prove - dirette ed indirette i che il giudicabile fosse pienamente avvertito proprio della prassi delle "operazioni baciate". Al riguardo, occorre necessariamente ribadire, onde consentire un corretto apprezzamento di tali emergenze processuali, coerente con il contesto nel quale si collocano i fatti oggetto di prova, che l'operatività dell'istituto di credito relativamente alle operazioni correlate era caratterizzata, verso l'esterno, da estrema riservatezza, a riprova della assoluta consapevolezza, in capo ai vertici aziendali, della complessiva illiceità della prassi instaurata e, soprattutto, delle sue ricadute di natura penale. Di qui non solo la decisione di omettere ogni riferimento scritto alla correlazione tra finanziamenti ed azioni (con conseguente ricorso, nelle PEF, alla generica formula di cui s'è detto), ma anche l'adozione di un linguaggio cauto e sorvegliato in occasione delle sedute degli organi collegiali. Se, infatti, all'interno delle strutture operative della banca (e, in particolare, nell'ambito della rete commerciale dell'istituto di credito, chiamata a collocare le azioni "ad ogni costo", in attuazione delle direttive impartite, per il tramite del GI., dal d.g. So.), vi era una conoscenza del fenomeno delle "baciate", al contempo, diffusa ed imprecisa (ai funzionari facendo difetto quella "visione d'insieme" indispensabile per comprendere la vastità del fenomeno ed intuirne tutte le implicazioni), i vertici operativi erano assai attenti ad evitare che, extra moenia, potessero filtrare informazioni sul punto. Le dichiarazioni rese in proposito dall'imputato GI. sono assai chiare e combaciano con quanto già evidenziato, al riguardo, dal primo giudice. In questa sede, va solo aggiunto che lo stesso imputato PE., nel corso del proprio rinnovato esame, ha avuto modo di precisare come la consapevolezza, in capo al vertice operativo dell'istituto, della illiceità della prassi delle "baciate" e, comunque, della necessaria deduzione del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza fosse fuori discussione. Questo spiega, ad avviso della Corte, l'adozione di procedure informatiche che, di fatto, impedivano radicalmente che operazioni di finanziamento per l'acquisto dì azioni proprie potessero essere "registrate" come tali dal sistema informatico in uso presso B. (non esistendo un "codice prodotto" che ne consentisse la individuazione, diversamente da quanto previsto per il "mini aucap" in relazione al quale tale codice era stato appositamente introdotto). In un contesto connotato da tanto palpabile cautela, quindi, non deve affatto sorprendere la quasi totale assenza dì documentazione scritta, ovvero di (registrazioni dì interventi in sede di organi collegiali, caratterizzati da riferimenti trasparenti alle "operazioni baciate". Quasi totale assenza, si è detto, giacché in effetti si rinviene qualche significativa eccezione in atti, non a caso rigorosamente circoscritta ai consessi più ristretti e riservati all'alta dirigenza di B.. Si veda, sul punto, il già sopra ricordato passaggio della registrazione audio del Comitato di Direzione 10.11,2014 (pagg. 67-68 della relativa trascrizione sub doc, 110 del P.M.) ove VM8 - Gi.Em., vertice della Divisione Mercati - così replica al d.g. So., alla presenza altresì, fra gli altri, di Pi.An. (vertice della Divisione Finanza), di Ma.Pa. (vertice della Divisione Crediti) e di FA. An. (stretto collaboratore dell'assente Pe.Ma. in seno alla da lui capeggiata Direzione Pianificazione e Bilancio, ove il FA. gestiva la Pianificazione Strategica): "VM8: Posso, Sa., una cosa? Cioè, allora, cerchiamo di allargare un attimo il discorso no? Allora, noi comunque, le posizioni baciate grosse dobbiamo eliminarle, perché, quando arriverà, speriamo il più lontano possibile, nel momento in cui il valore dell'azione non sarà più quello, ci fottiamo nel senso che, se a uno che tu gli hai dato 100, il valore... eh ... delle azioni era 100 e va a 70, tu, quel 30 che questo ha perso, come glielo dai? Comunque noi dobbiamo fare in modo che "sti impieghi vadano scaricati". Sì noti, significativamente, che, all'inizio di detto Comitato di Direzione, il d.g. So. si era premurato, ad ogni buon conto, di ammonire gli ivi presenti vertici dirigenziali ben selezionati (con particolare riguardo al suo diretto interlocutore Um.Se., direttore generale della controllata siciliana Ba.Nu., che prendeva parte al Comitato in collegamento a distanza dall'isola) circa la necessità assoluta di non lasciar trapelare alcunché all'esterno di quel ristretto consesso: - Sa.: Sì. Io non ho fatto premesse di sorta, ma è chiaro che quello che ci diciamo qui, ovviamente, eh, neanche il tuo cane lo deve sapere, eh. - Um.: Va bene." (cfr. pagg. 30-31 trascrizione cit.). Trattasi - come questa Corte ha già avuto modo di evidenziare nell'ordinanza 18 maggio 2022 - di sollecitazione specificamente finalizzata a garantire che il contenuto dei colloqui che, di lì a poco, avrebbero avuto luogo, sarebbe rimasto patrimonio esclusivo dei partecipanti all'incontro (e, più in generale, per effetto della relativa documentazione, della dirigenza dell'istituto di credito), tant'è vero che più avanti nella registrazione (cfr. sempre pag., 31 trascrizione cit.) il d.g. So. esplicitava ancor meglio il concetto: "Sa.: Eh. Già stanno facendo la caccia a chi fa uscire informazioni, perché dicono che sia uno di noi che dà le informazioni ai giornalisti e che dà le informazioni al... Eh, quindi... eh ... cerchiamo di non ... di non ... eh ... dare alibi, dare alibi ai consiglieri che dicono che è uno della direzione che dà ... che dà informazioni, perché solo uno della direzione può sapere di questo, di quest'altro e di quell'altro, eh. Mi raccomando! - Um.: D'accordo. - Sa.: Bene". Ebbene, effettuata tale precisazione "di contesto", osserva questa Corte come, con riferimento al tema della conoscenza, in capo allo ZO., della prassi delle "operazioni correlate", fatto salvo il doveroso richiamo alle puntuali osservazioni già svolte, in proposito, dal primo giudice, meriti di essere in primo luogo richiamato il contenuto della deposizione resa dall'ispettore Ga., In effetti, detto teste, nel rievocare i plurimi colloqui intercorsi con il presidente, sebbene abbia affermato come questi si fosse poi ripetutamente dichiarato all'oscuro del fenomeno del capitale correlato, ha precisato come, in occasione del primo contatto, avvenuto in data 7 maggio 2015, l'imputato avesse sostanzialmente ammesso di essere al corrente di (sia pure sporadici) casi di finanziamento di acquisti di azioni (cfr. dep. Ga., udienza udienza 26.9.2019, pag. 65 del verbale stenotipico: ".. Perché qui c'è un tema, cioè quando ho avuto modo di discutere con il Presidente Zo., e ho rappresentato gli elementi che stavano emergendo, la mia impressione fortissima - poi impressione confermata anche dalle verbalizzazioni del Consiglio di Amministrazione, però impressione forte che ho avuto sia nell'occasione del 7 maggio sia negli incontri che ho avuto successivamente - è che il Presidente fosse molto colpito dal fenomeno dei fondi; cioè, mentre di fronte al fenomeno dei finanziamenti ha cercato sostanzialmente di minimizzare, dicendo: io pensavo che qualche ipotesi del genere ci potesse essere, però, insomma, non di questo,., probabilmente c'era, però non era un fatto che mi preoccupava, ritenevo non fosse un fenomeno rilevante, non ho mai avuto elementi per ritenere che fosse rilevante. Glissava, diciamo..."). Trattasi, com'è evidente, di deposizione di assoluto rilievo tanto per la fonte da cui promana (trattandosi di soggetto di indiscutibile attendibilità, in considerazione del ruolo ricoperto e, quindi, dell'estraneità rispetto alle dinamiche interne all'istituto vicentino), quanto per l'eclatante portata del suo contenuto, sostanzialmente equiparabile ad una sorta di confessione stragiudiziale. Del resto, del tutto coerenti con le dichiarazioni del teste Ga. sono i ricordi del di lui collega Ma., il quale, presente al citato colloquio, ha rievocato l'incontro in questione riferendo che l'imputato, alla rappresentazione del dirompente problema dei finanziamenti correlati, aveva replicato, senza scomporsi eccessivamente, che anche altre banche operavano in tal senso Presidente non colse un po' il livello di serietà di questo fenomeno e mi ricordo che disse, una cosa che mi ricordo che disse: ma tanto lo fanno anche altre... so che lo fanno anche altre banche. E la cosa finì lì, la discussione finì lì su questi finanziamenti, diciamo, correlati ..."). Non può sorprendere, quindi, che l'imputato, il quale, in sede di interrogatorio, aveva ammesso che Ga. gli aveva segnalato, nel corso del colloquio, l'emersione di un importo di operazioni finanziate "importante", in sede processuale abbia poi negato la circostanza, esplicitamente limitando l'oggetto dell'interlocuzione con l'ispettore al tema dei fondi esteri e delle lettere di impegno. Del tutto convergenti con le suddette dichiarazioni, poi, sono le prove costituite dagli esiti di intercettazione delle comunicazioni telefoniche intrattenute dal d.g. So., conversazioni dal tenore davvero inequivoco e dalla sicura capacità probatoria, solo a considerare che il direttore generale, allorché era sottoposto a captazione, era solito impiegare anche una utenza intestata a terzi, donde l'impossibilità di ipotizzare, con un minimo di fondamento, che costui, sospettando di essere intercettato, callidamente intendesse coinvolgere il presidente per "alleggerire" la propria posizione. Assolutamente significativo, innanzitutto, è il colloquio intrattenuto il 31.8.2015, di cui al progressivo n. 459 (cfr. pagg. 24 e ss, dell'elaborato di trascrizione) che, di seguito, si riporta nei passaggi più significativi: (omissis). Sul punto, va doverosamente precisato che la Pi., nel corso dell'escussione innanzi a questa Corte, chiamata a fornire delucidazioni con riferimento a tale colloquio, ha giustificato l'espressione con la quale aveva escluso che il presidente potesse essere all'oscuro del fenomeno del capitale finanziato ("No, ma scusa un attimo ... no, ma scusa un attimo: come faceva a non sapere, uno che ha governato come un monarca assoluto ...") sostenendo che si era trattato di una semplice "battuta" e soggiungendo che, al contrario, a suo giudizio, ZO. era una "vittima". Sennonché, la spiegazione delle proprie parole offerta dalla teste è tutt'altro che convincente, ove sì presti la dovuta attenzione al complessivo tenore del colloquio. Si trattava, infatti, di una allarmante vicenda, ancora tutta in divenire e che, peraltro, aveva immediate implicazioni anche per la posizione dei singoli consiglieri. Davvero significativo è il passaggio del colloquio in cui la medesima Pi. affermava: No, sai qual'è il guaio? E'che o si sa... se si salva fui ci salviamo tutti... sennò sprofondiamo tutti, Non vorrei però che si salvasse lui e sprofondassimo tutti.."), essendosi in presenza di affermazione che, a ben vedere, fornisce una corretta chiave di lettura delle dichiarazioni rese dalla teste e, più in generale - ed è bene ribadirlo ancora una volta - dell'atteggiamento tenuto da molti membri del CdA e del Collegio Sindacale nel corso delle rispettive escussioni (ivi comprese quelle rese in sede di rinnovazione istruttoria), sistematicamente improntato alla negazione della conoscenza, in capo ai predetti, non solo del fenomeno del capitale finanziato ma anche di elementi che potessero costituire segnali di allarme in tal senso. Inoltre, merita di essere evocata, in quanto anch'essa contenente chiari riferimenti allo stretto rapporto intercorrente tra il d.g. So. ed il presidente ZO. nella conduzione dell'istituto di credito, anche con riferimento al fenomeno del capitale finanziato, la conversazione n. 153 del 25.8.2015 (riportata a pag. 227 e ss. della perizia di trascrizione) tra Zi.Gi. il suo commercialista, Lu.Bo., nel corso della quale i due commentavano sarcasticamente l'atteggiamento "negazionista" assunto da Zo. in relazione alle irregolarità accertate in sede ispettiva ed alludevano esplicitamente al potere di "ricatto" del So. nei confronti del presidente: (omissis) Ebbene, a tali elementi di prova, assai significativi e chiaramente convergenti con le pregnanti dichiarazioni rese dal teste Ga. ed in precedenza richiamate, sono venute a saldarsi le coerenti propalazioni del coimputato GI.. In effetti, in sede di esame, costui ha ribadito quanto "anticipato" nel memoriale circa la piena consapevolezza del fenomeno in esame da parte del presidente, ripercorrendo diffusamente tali "anticipazioni" e convincentemente replicando alle obiezioni mossegli, al riguardo, in sede di controesame. Per un inquadramento generale del contributo dichiarativo offerto dal predetto con riferimento alla posizione ZO. è opportuno richiamare l'incipit dell'esame del propalante: "....PRESIDENTE - Va bene; con questo avrei chiuso le domande della Corte sulla posizione Zi.. Adesso volevo passare a esaminare la posizione Zo., cioè, a parte quello che lei ha già detto in primo grado, se e in base a quali elementi lei sostiene che il dottor Zo. sapesse o partecipasse a determinate scelte, quantomeno, che hanno avuto ricadute su questa vicenda penale sostanzialmente, IMPUTATO GI. - Presidente, interlocuzione diretta, quindi premetto: So. diceva a me e ai capi area e direttori regionali, a Ma., ai Vice Direttori Generali, che Zo. era a conoscenza di questo tipo di operatività e chi avrebbe dovuto sapere sapeva. Quindi questa è la premessa. Interlocuzione diretta con Zo. sulle operazioni baciate l'ho avuta, è stata sporadica: l'ho avuta sulla questione Co., che era un imprenditore siciliano, che si è presentato a Vicenza per ottenere un affidamento, dicendo "Io con questo affidamento, non so se 4 o 5 milioni, compro 2 milioni di azioni", 2 milioni di Euro di ammontare di azioni il Presidente, prima di entrare, mi disse che fa persona era poco affidabile perché parlava, quindi io dissi a questo Co.: "Non ce ne abbiamo più di azioni"; poi il Presidente in Consiglio di Amministrazione, prima che iniziasse il Consiglio di Amministrazione, questa cosa è stata registrata; mi chiese lumi e io gli dissi appunto cosa avevo riferito a Co., e che quindi lui era d'accordo nel non procedere con questa operazione. Quindi questo è l'episodio chiaro con Zo.. Quando io, nel periodo finale della mia esperienza in Banca, quindi stiamo parlando del maggio 2015, che successe il 4 maggio del 2015, il 30 aprile del 2015 eravamo a Vicenza io e Pi., fummo chiamati la sera da So. che ci disse: "Il Presidente vi vuole far fuori". E noi chiedemmo il perché: "Perché ci vuole far fuori il Presidente?", "Eh, sì, perché in pratica da Bc. due cose sono venute fuori": le lettere d'impegno, le baciate, e poi c'era anche il discorso per quanto riguarda Pi. dei fondi. Quindi il Presidente mi ha chiesto: "Ma lei ne so qualcosa?" e noi gli abbiamo detto: "Ma tu cosa bai risposto?", "Eh, no, che avrei approfondito, che non ero sicuro". Quindi ci ritrovammo io e Pi. di fronte a una situazione molto particolare, nel senso che Zo., che avrebbe dovuto sapere, parlava con So., che sapeva di questo tipo di operatività, e si negavano - secondo quello che ci dicevo So. - a vicenda la conoscenza dell'operatività. Quindi io chiamai Zo. di fronte a Pi.. lo non chiamavo Zo., semmai mi chiamava luì col cellulare per gli auguri oppure per farmi incontrare dei clienti. Chiamai Zo. e chiesi un appuntamento. Ottenni questo appuntamento per il 4 maggio e, prima dì incontrare Zo., passai da Gr., perché ero andato a Roma per il Primo Maggio dai miei, e passai da Firenze la domenica, e poi lunedì incontrai Zo.. E ricordo chiaramente, perché anche fisicamente Zo. mi lo mostrò dicendo, io, scusi, mi portai le carte che dimostravano che era un'operazione diffusa, quindi mi portai gli storni; mi portai Da., mi portai le lettere Fa., quindi andai lì dicendo: "Ma cosa state dicendo voi due?" e Zo. mi disse: "Guardi, dottor Gi., io non sapevo delle operazioni baciate (intendendo probabilmente quelle 100 e 100) ma sapevo delle operazioni parziali" E mi fece proprio il cenno così, cioè di arrotondamento per fare acquistare azioni, quindi: ti concedo, non so, 10.000 Euro, tu hai bisogno 10.000 Euro, te ne do 1Z.000,13.000,14.000 e con quei 3-4.000 Euro compri azioni Davanti a Br. perché ovviamente ci voleva il testimone. Io sono andato lì, come dire, cercando di capire perché stava succedendo questa cosa e perché dovessi essere fatto fuori dalla Banco. Zo. si presentò con testimone Br., e mi affermò in modo chiaro e inappuntabile che lui era a conoscenza delle operazioni, come dire, parziali, non quelle 100 e 100. Ma poi, andando in corso nelle udienze di primo grado, sempre sentendo questi audio in CdA, ma So. ne parlava di queste operazioni parziali al CdA. Abbiamo fatto sentire due audio in cui proprio So. diceva, sempre usando io stesso termine: "azioni appiccate ai mutui", quindi ai finanziamenti. Quindi anche nel corso del primo grado io ho avuto la conferma che So. aliene parlasse a Zo. di questo tipo di operatività. Poi, se li regista dell'operatività fosse So. e un'operatività avallata da Zo. o il contrario, questo non glielo so dire perché comunque erano discorsi che facevano tra loro. Sicuramente Zo. ne era a conoscenza. PRESIDENTE - Vuole aggiungere altro su questo? IMPUTATO GI. - Su Zo.? PRESIDENTE - Sulla posizione Zo., sì, in questo momento. IMPUTATO GI. - L'ultima cosa. Anche in tema dì lettere, sentendo questi audio, 0 un certo punto il Presidente, perché anche queste lettere d'impegno che sicuramente non hanno avuto una diffusione così ampia come le correlate e le baciate, quindi ho ascoltato un CdA in cui c'era un cliente della Po.Al. che voleva in qualche modo vendere te proprie azioni; la Po.Al., e quindi la Banca, gli prometteva e gli garantiva verbalmente l'impegno a venderle, e Zo. dice a tutto il CdA: "Fattelo mettere per iscritto". Quindi ha consigliato a questo cliente esattamente la stessa prassi che utilizzavamo noi per quanto riguarda le lettere d'impegno, E questo in qualche modo mi ha fatto intuire che anche sulle lettere Zo. fosse a conoscenza di questa prassi. PRESIDENTE - Poi lei ha parlato sempre nel suo memoriale della conoscenza, secondo lei, di Zo. anche di tutte le problematiche del mercato secondario, giusto? IMPUTATO GI. - Sì, si PRESIDENTE - E anche della rilevanza di questo fenomeno, di questo problema. IMPUTATO GI. - Zo. diceva proprio che era un problema drammatico per la Banca e che, se non fossimo riusciti, se la Banca non fosse riuscita a gestirlo, la Banca avrebbe chiuso - Questo in CdA, quindi anche questo è stato ascoltato in primo grado...". Significative, poi, sono anche le risposte che il propalante ha fornito alle domande rivoltegli dal suo legale: (...) DIFESA, AVV. Mi. - Il Presidente Zo. interveniva rispetto ai soci e rispetto a questa problematica, che mi pare di capire sempre più esasperata, del ritardo nell'evasione delle domande di cessione? IMPUTATO GI. - Il Presidente Zo. è intervenuto puntualmente chiedendo varie cose: primo, "convincete i soci a non vendere". Mi ricordo che se la prese anche con i consiglieri di amministrazione che andavano da lui a dire: "Ci stanno questi soci che vogliono vendere, dobbiamo evadere la richiesta". E in un incontro in Palazzo Thiene, prima in Consiglio di Amministrazione fece una premessa, poi a Palazzo Thiene riprese questi consiglieri proprio per dire: "Voi dovreste difendere la Banca, convincete i soci a non vendere, non venite qua a chiedermi di evadere le loro richieste di vendita". Questo lo chiedeva in primis ai consiglieri, soprattutto di Vicenza Nord, e lo chiedeva poi alle aree, perché lui incontrava le aree e le direzioni regionali, e gli chiedeva: "Guardate che la Banca è buono, siamo su un buon territorio, il valore dell'azione è congruo, dovete convincerli a non richiedere una cessione. Se poi, diceva, questi clienti hanno bisogno di liquidità, finanziateli". Quindi, come dire: un fenomeno di baciate ex post, per cui una persona voleva vendere 100:000 Euro di azioni perché aveva un problema, ad esempio, di salute, e allora il Presidente chiedeva di finanziarlo, quindi diceva: "invece di fargli vendere le azioni, finanziate questi 100.000 Euro. DIFESA, AVV. Mi. - Lei c'era, e quindi ha vissuto, lei si ritrova con quanto dichiarato dall'imputato Zo. circa una sua presenza non operativo, a tratti sporadica, in Banca, di rappresentanza? Si ritrova con questo ruolo di Zo.? IMPUTATO GI. - E' particolare, che io sono l'ultimo arrivato in Banca perché sono arrivato a fine 2007, fare questo, che io debba dire che il Presidente era il vero Amministratore Delegato della Banca. Quindi questa è una cosa particolare, no? Nel senso che tutti sapevano che il Presidente interveniva su qualunque decisione importante in Banca, qualunque: non c'era una delibera di Consiglio di Amministrazione che non passasse sotto il suo vaglio, Il Presidente era presente. era presente nei gangli organizzativi So. non muoveva un dito senza che il Presidente sapesse - I consigli di amministrazione venivano condotti e guidati da Zo.. Quindi, voglio dire, io dico guelfo che ho visto: io ho visto organigrammi della Banca che non potevano essere deliberati se il Presidente non li avesse convalidati e non li avesse visti. Ovviamente questa è una mia posizione che ho cercato anche di oggettivare con dei documenti perché, se no, sarebbe la mia posizione contro la posizione di altri quattro cinque Imputati Purtroppo sono dovuto andare a fare le analisi, andare a tirare fuori i documenti per comprovare quello che sto dicendo ...". Tanto premesso, e passando ad analizzare più nel dettaglio le propalazioni complessivamente rese del GI. (nel memoriale a sua firma e nel corso dell'esame), va precisato come questi abbia dichiarato che il presidente non solo era perfettamente a conoscenza della prassi dello "svuotafondo" ma che la sosteneva apertamente, trattandosi di rimedio funzionale a "fare mercato, ovvero a consentire al socio la possibilità di vendere le azioni in quanto, in difetto, nessuno avrebbe più avuto fiducia nella Banca, bloccando la crescita degli impieghi e le operazioni straordinarie di acquisizione di Banche/Sportelli" (cfr. memoriale citato, pag. 31) ed ha precisato che, a decorrere dal 2012, tale prassi era divenuta indispensabile, poiché il titolo B. aveva cessato di aumentare di valore, era stata interrotta la erogazione del dividendo e, infine, le vendite finalizzate a monetizzare il controvalore delle azioni della banca erano divenute frequenti (posto che, in una fase di crisi economico-finanziaria generale, l'azione dell'istituto era uno dei pochi strumenti finanziari ad avere conservato valore). E, a conferma della consapevolezza del coimputato ZO. in merito alla correlazione tra azioni della banca e finanziamenti, sotto varie forme, il GI. ha prodotto (in allegato al memoriale, con numerazione da 4.2.1 a 4.2.8) ulteriori documenti costituiti, segnatamente: - da comunicazioni dalle quali si ricavava la conoscenza da parte dello ZO. della vicenda Da. e della risposta - concordata tra il collegio sindacale e la funzione di Compliance - fornita a costui (allegato 4.2.1); - da comunicazioni attestati la conoscenza in capo allo stesso ZO. della richiesta di vendita di azioni da parte di un socio-socio - tale La.Re. - poi prontamente "tacitato" a seguito della missiva da costui inviata all'attenzione del presidente (ali. 4,2,2); v dalla comunicazione epistolare indirizzata al presidente da un altro socio - tale Bo.Sa. - nella quale questi lamentava la mancata evasione della richiesta di vendita delle azioni, esplicitamente denunziando l'illiquidità del titolo ("...adesso mi trovo con 30.000 Euro di vostri titoli che, nonostante le rassicurazioni a parole, sono di fatto un capitale non liquido.." - allegato 4.2.3); - da comunicazioni mail attestanti il coinvolgimento della presidenza (la mail di riferimento risulta inoltrata alla segretaria di ZO., Li. Camilla) nelle operazioni di vendita di azioni ad un gruppo imprenditoriale (Fr.) che, nonostante fosse in grave difficoltà, la banca continuava a finanziare (allegato 4.2.4); - dalla "denunzia" del presidente dell'Ad., La., pubblicata sul social network Twitter, in data 30.10.2014 (evidentemente derivante dalle dichiarazioni dei soci pubblicate sui quotidiani in ordine ai finanziamenti in cambio dell'acquisto di azioni, posto che l'articolo a firma Ga. pubblicato da "Il.", come s'è detto, risaliva al precedente 27,10,2014): "Po.Vi., Immarcescibile Zo., si guadagnerà una denunzia per il reato di estorsione?", denunzia inoltrata dalla segreteria al Presidente e, successivamente, su disposizione dello stesso ZO., trasmessa dalla segreteria all'avv. Am. (allegato 4.2.5); - da ulteriori sollecitazioni alla vendita di azioni provenienti da soci (Pr. - allegato 4.2.6; Ce. - Mo. - allegato 4.2.7), in un caso con comunicazione di vera e propria azione legale e con la precisazione che la banca aveva concesso finanziamenti a fronte della mancata vendita delle azioni (doc. 4.2.7.); - dalla traccia del discorso rivolto al personale in occasione delle festività natalizie 2014 nel quale era palese il riferimento alla difficoltà nella evasione delle richieste di vendita delle azioni provenienti dai soci e si precisava: "se poi qualche socio avesse necessità urgenti la Banca gli è sicuramente vicina" ... allegato 4.2.8). Del resto, a fugare qualsivoglia perplessità sul punto e a confermare quanto sostenuto dal chiamante in correità in ordine alla piena conoscenza della prassi dello "svuotafondo" in capo al presidente è decisivo il richiamo alle dichiarazioni rese dallo stesso imputato in occasione dell'interrogatorio investigativo 22.3.2017 (prodotto dal P.M. all'udienza dell'11.6.2020 e acquisito ex art. 513 c.p.p.), là dove ZO. pur dichiarando di non essere in grado di "descrivere esattamente l'andamento del FONDO ACQUISTO AZIONI PROPRIE nel corso dei vari anni" (cfr, verbale interrogatorio 22,3.2017, pag. 4) ha chiaramente ammesso di essere a conoscenza delle relative problematiche, per essere stato informato proprio da So. ("...é capitato che So. mi abbia dato informato dell'andamento del FONDO ACQUISTO AZIONI PROPRIE in occasione dei colloqui che, nel corso del tempo, ho avuto periodicamente con il medesimo... Preciso che non mi occupavo dell'andamento e della gestione dei FONDO ACQUISTO AZIONI PROPRIE"), soggiungendo di essere perfettamente consapevole dei risvolti dell'andamento del fondo con riferimento proprio al tema del patrimonio di vigilanza ("... tuttavia, ero interessato all'entità dell'utilizzo del FONDO in quanto, come detto, comportava effetti negativi sul patrimonio e sul bilancio della banca..."). Inoltre, il GI., come s'è visto, ha esplicitamente affermato la piena consapevolezza, da parte del presidente, del fenomeno del capitale finanzialo. In effetti - ha precisato il propalante - ZO. era cosciente non solo, come detto, dell'andamento ciclico del mercato secondario e dei ritardi/problemi relativi all'evasione delle richieste di vendita delle azioni (e, sul punto, il dichiarante ha richiamato e prodotto lettere di reclamo dei soci, con la precisazione che in una di tali missive - segnatamente, quella del socio Gr.Ma. - oltre ad evidenziarsi le forti contraddizioni tra il successo dell'aumento di capitale e le difficoltà del mercato secondario, si poneva l'accento anche sulla sopravvalutazione del prezzo dell'azione, richiamandosi, sul punto, il severo giudizio consegnato alla stampa dal noto economista Zi.), ma anche - e specificamente - dell'erogazione di "finanziamenti correlati" avendo egli raccolto, in proposito, dichiarazioni ammissive dal coimputato nelle seguenti occasioni, nelle quali aveva direttamente affrontato con ZO. tale argomento. Trattasi, segnatamente: - dell'interlocuzione relativa alla richiesta dell'imprenditore siciliano Co. (interlocuzione specificamente affrontata nella sentenza di primo grado e ricostruita dal GI. in termini coerenti con la lettura dell'episodio offerta dal primo giudice e della quale si tratterà anche più oltre); - dell'incontro avvenuto il 4.5.2015, alla presenza del vicepresidente Br. - il quale, dal canto suo, nel corso della propria escussione all'udienza del 24,6.2022, come si accennava, ha negato di conservare memoria di tale importante incontro, a di poco sorprendentemente, ove si consideri il grave frangente in cui esso aveva avuto luogo. Ebbene, in occasione di tale interlocuzione - ha precisato il GI. - il presidente aveva ammesso di essere a conoscenza del fenomeno del finanziamento dell'acquisto di azioni, sia pure limitando detta conoscenza alle sole "baciate parziali"; - del colloquio intrattenuto durante un intervallo dell'udienza 5.6.2019 del processo di primo grado, allorquando lo ZO., mentre si trovavano nell'automobile condotta dal coimputato ZI., aveva ribadito di essere stato a conoscenza delle sole "baciate parziali". Infine, anche con riferimento alla prassi consistita nel rilascio delle lettere di impegno, il GI. ha affermato di avere acquisto contezza della piena consapevolezza, in capo al coimputato, della prassi di ricorrere a tale t "strumento" per convincere i potenziali acquirenti delle azioni dell'istituto a rilevare titoli della banca, là dove ha evocato l'audio della seduta di CdA del 5.11.2013 nel corso della quale lo ZO. aveva riferito di aver consigliato ad un suo amico, nonché socio della Po.Al., di farsi rilasciare una lettera di tale natura. A ben vedere, il mero ascolto di tale audio (e, così, la lettura della relativa trascrizione) non offre conforto, in termini di certezza, rispetto alle dichiarazioni del GI., in quanto il passaggio evocato, anche per la sua brevità, è suscettibile di non univoca lettura, poiché non implica necessariamente un implicito riferimento alla prassi, invalsa presso B., del ricorso alle vere e proprie lettere di impegno (cfr. pag. 8 della relativa trascrizione: "....Quando comincia il passaparola della crisi hai finito, hai finito". La banca popolare dell'Alto Adige - conosciamo un azionista, giusto? Un socio non compra le azioni. Adesso fanno la fusione perché pensano che con due debolezze non fanno e allora gli ha detto ma per marzo gliele compriamo e allora è venuto da me questo qua e mi ha detto per marzo me le comprano e allora dice cosa vuoi aspetto qualche mese. E allora ho detto fattelo mettere per iscritto. Ha detto: ci provo. Se vuoi scommetto che non le mettono niente. Questa è la Ba.Po.. Perché il problema vale per tutti ma ricordatevi che vale anche per noi....."). In teoria (nel solco di quanto suggerito dalla difesa), infatti, si potrebbero spiegare le parole proferite, nel frangente, dall'imputato come un semplice, generico suggerimento a farsi assicurare per iscritto che il problema si sarebbe risolto nei tempi (brevi) che i responsabili della banca altoatesina avevano prospettato al cliente. Peraltro, va precisato che quella proposta dal chiamante in correità è una lettura del senso delle affermazioni dello ZO. non certo azzardata, sicuramente non smentita dal dato documentale e che, anzi, ove doverosamente interpretata alla luce del contesto complessivo del discorso in cui si inserisce (i passaggi della registrazione immediatamente precedenti riguardano, come si è visto, il pericolo che il "passaparola" tra i soci possa generare la crisi e, quindi, in sostanza, dare l'avvio ad una vendita in massa delle azioni della banca), appare davvero quella più convincente, tenuto peraltro conto del fatto che la descrizione del meccanismo effettuata dall'imputato (ovverosia richiedere un impegno "scritto") ben si attaglia al sistema delle "Mettere di impegno" invalso proprio presso B.. Ove poi si consideri che trattasi di interpretazione che trova significativo riscontro nelle già citate conversazioni intercettate nn.ri 1587 e 1570 intrattenute dal d.g. (nelle quali, come s'è visto, è parimenti evocata la conoscenza in capo all'imputato delle lettere di impegno) deve necessariamente convenirsi nel senso della assoluta ragionevolezza della lettura della vicenda proposta dal chiamante in correità. Sul punto, va precisato, per sgomberare il campo da ogni possibile equivoco, che è certamente vero che lo stesso GI., come evidenziato dalla difesa dello ZO. (cfr. pag. 26 delle note relative alla "rinnovazione istruttoria"), con riferimento alle "lettere di impegno", ha dichiarato, in sede di rinnovazione istruttoria, che non aveva avuto "percezione che il Presidente fosse a conoscenza di queste lettere". Nondimeno, come può agevolmente arguirsi dalla lettura del relativo passaggio dell'esame dello stesso GI., trattasi di affermazione che, ben lungi dal contraddire quanto dal medesimo propalante riferito in relazione al citato file audio 5.11.2013, delinea unicamente quale fosse la consapevolezza di costui con riferimento a tale questione ed al coinvolgimento, sul punto, del presidente, al momento dell'esercizio della vicepresidenza di B. (e, indirettamente, vale a confermare l'attendibilità della fonte). Ebbene, con riferimento al complessivo contributo dichiarativo offerto dal coimputato GI., si è in presenza di dichiarazioni che, ben lungi dal poter essere sbrigativamente derubricate al rango di "vacue suggestioni" (così nelle "note scritte di discussione", pag. 68), convergono nel ribadire la conoscenza, da parte dell'imputato, del fenomeno del "capitale correlato". Trattasi di dichiarazioni precise, oltre che corroborate dal pertinente richiamo ad elementi documentali, taluni dei quali - ad onta delle considerazioni difensive, che, in senso contrario, ne hanno sostenuto la inconsistenza probatoria (cfr. note scritte relative alla rinnovazione dibattimentale, pagg. 19 e ss.) - sono, come s'è visto, di obiettiva significazione. D'altra parte - e trattasi di profilo che, ad avviso di questa Corte, è bene che sia costantemente tenuto presente per non smarrire la "dimensione sistemica" del fenomeno dei finanziamenti correlati e, quindi, non compromettere l'esatta comprensione della complessa vicenda in esame - la crisi del mercato secondario del titolo B. aveva inevitabili, immediate ricadute anche sulla determinazione del valore dell'azione (il cui deprezzamento avrebbe ineluttabilmente aggravato tale crisi) e, ove non contrastata con ogni mezzo, avrebbe compromesso non solo l'immagine della banca, ma anche la sua capacità di porsi, secondo la visione strategica perseguita tenacemente da ZO. (in passato addirittura in controtendenza rispetto alla più realistica prospettiva della dirigenza di B. - cfr. deposizione Gr.), come "struttura aggregante", in grado di ampliare ulteriormente la propria dimensione territoriale (in termini di diffusione degli "sportelli" nel territorio nazionale) e di accreditarsi come gruppo bancario di primaria importanza. In altri termini, il ricorso al capitale finanziato, la crisi del mercato secondario, la sopravvalutazione del prezzo del titolo (sostenuta anche attraverso piani industriali del tutto irrealistico altro non sono, nella concretezza della vicenda sub iudice, che diverse "sfaccettature" di un medesimo fenomeno, con l'ulteriore conseguenza che parlare della prassi dello "svuotafondo" e del ricorso alle lettere di impegno significa null'altro che riferirsi ad alcuni aspetti specifici del più generale problema dei finanziamenti correlati. Ed è proprio tenendo a mente tale "dimensione sistemica" che debbono vagliarsi le propalazioni del GI., onde poterne adeguatamente cogliere la reale, complessiva capacità dimostrativa. A tali rilevanti dati probatori, poi, si aggiungono gli ulteriori elementi, già puntualmente valorizzati dal primo giudice, in quanto indici sintomatici di una conoscenza effettiva del capitale finanziato e della sua diffusione da parte dello ZO. e, segnatamente: - i rapporti dell'imputato con svariati soci titolari dì partecipazioni di rilievo con B. e la conoscenza delle operazioni finanziate da costoro effettuate (è il caso di Be.De., Do.Ir., dei fratelli Ra., di Fr.Zu. e Fe.Ri., di Gi.Ro.), ovvero dell'esistenza di lettere di impegno al riacquisto, come nel caso di Re.Ca. (cfr. sentenza impugnata, pagg. 614-624); - il coinvolgimento dello ZO. nella vicenda della richiesta di conclusione di operazione "baciata" avanzata dall'imprenditore catanese Ri.Co. (cfr. sentenza impugnata, pagg. 624-626), ovverosia della vicenda evocata anche dal propalante GI.; - gli stretti rapporti intercorrenti tra lo ZO. e il gestore private della filiale dì Co., Ro.Ri., ovverosia il più attivo promotore di operazioni "baciate" (cfr. sentenza gravata, pagg. 626-628); - il contenuto dì alcuni messaggi SMS intercorsi tra i vertici operativi della banca ed inerenti proprio ad alcune operazioni correlate 172; - la consapevole, fattiva partecipazione dell'imputato alla pianificazione dell'aumento di capitale 2014 (caratterizzata, come s'è detto, dalla sistematica violazione della disciplina per il collocamento dei titoli), partecipazione, peraltro, che aveva visto lo ZO. significativamente intervenire nel CdA del 4.3.2014 a sostegno delle irregolari modalità di raccolta delle adesioni, posto che il predetto, nell'occasione, aveva sostenuto la necessità di tenere nascosta l'attività di preventivo contatto dei potenziali investitori, onde rispettare formalmente il principio dell'effettività della iniziativa del cliente (la già citata registrazione audio della seduta, invero, documenta la pronunzia della frase "Noi chiederemo alla Consob e alla Banca d'Italia di approvare, quando. Un po' prima, intanto si fa formazione sulla rete, che non devono parlare, devono spiegare bene come..."). Nel corso della medesima seduta, peraltro, il d.g. So. aveva illustrato la possibilità del ricorso al time-deposit per consentire la sottoscrizione dell'aumento di capitale; - la gestione dell'allontanamento di So., "ricompensato" con un lauto emolumento, gestione ragionevolmente interpretata dal primo giudice - sulla scorta, peraltro, di coerenti esiti di intercettazione (il riferimento è alla già citata conversazione Pi.-To.), dai quali si ricava come una tale interpretazione fosse diffusa tra soggetti collocati in posizioni di notevole responsabilità all'interno dello stesso istituto di credito e, quindi, "informati sui fatti" - quale espressione dell'intendimento dell'imputato di "comprare il silenzio" del direttore generale (cfr. sentenza gravata, pagg. 606 e ss). Peraltro, non può non sottolinearsi come le modalità di gestione dell'allontanamento del So., come visto lautamente "premiato" per la sua fallimentare gestione, si differenzino significativamente anche da quelle poi adottate dall'istituto di credito per il ben più sommario allontanamento dei vicedirettori GI. e PI. e, questo, senza che possa essere soltanto la differenza di "rango" tra costoro a giustificare tale diversità di "registro"; - l'inerzia del giudicabile tanto a fronte delle dimissioni di An.Vi. quanto a seguito della denunzia effettuata, dal socio Da., in occasione dell'assemblea del 26.4.2014 (cfr. sentenza impugnata, pagg, 628-632). A ciò deve aggiungersi la ricezione, da parte dell'imputato, di missive anonime (trattasi dei documenti 650, 651 e 652 della produzione del P,M., dettagliatamente richiamati a pag. 631 della sentenza impugnata) nelle quali il fenomeno era oggetto di denunzia, anche assai esplicita (è il caso, in particolare, della lettera dell'11.3.2014 - doc, 651, su cui v. più ampiamente infra - nella quale il ricorso sistematico al finanziamento per l'acquisto di azioni, anche in occasione dell'aumento di capitale, era stigmatizzato in modo plateale ed accompagnato da riferimenti a condotte quasi "estorsive"; ma anche il documento 652 è di inequivoco tenore sul punto). In definitiva, si è in presenza di una sequela di elementi, di natura logica e rappresentativa, che, oltre ad essere tutti coerenti (tanto nella loro specifica significazione, quanto ove debitamente sottoposti a congiunta valutazione) con la effettiva consapevolezza, da parte del giudicabile, del ricorso alla "strategia" del capitale finanziato, sono poi convergenti con le più puntuali e specifiche evidenze costituite, con riferimento a tale thema probandum, dalle evocate dichiarazioni del teste Ga., dagli esiti dell'attività di intercettazione telefonica di cui s'è detto, oltre che delle già citate propalazioni del coimputato GI. (le quali ultime - va precisato - costituiscono, in proposito, una significativa prova diretta, avendo trovato plurimi riscontri esterni individualizzanti proprio in tali ulteriori dati probatori). Ebbene, a fronte di tale sequela di convergenti e concludenti elementi, le obiezioni difensive, volte a sostenere che l'imputato non avrebbe neppure avuto contezza, ancor prima che del "capitale finanziato", finanche della esistenza dei relativi "indici di allarme", appaiono, quindi, radicalmente insostenibili, in quanto fondate, nell'ambito di una lettura volutamente "parcellizzata" del compendio probatorio, sulla valorizzazione di singole emergenze istruttorie che, per un verso, sono del tutto inidonee a smentire le considerazioni sin qui svolte, in ordine alla posizione dell'imputato, sulla base di una razionale lettura d'insieme del panorama delle evidenze disponibili; c. per altro verso - ed in ogni caso - sono anche dì intrinseca, assai limitata capacità dimostrativa. Ciò, a ben vedere, esimerebbe dal considerarle specificamente. Sennonché, ragioni di completezza ne rendono opportuna una analisi dettagliata. In particolare, la difesa, sub 3.2, ha sostenuto l'inconsapevolezza di siffatti indici sintomatici sul rilievo, nell'ordine: - dell'inerzia degli organi di controllo - e, in particolare dell'Audit - tale da avere impedito all'imputato, al pari dei membri del CdA, di cogliere segnali di allarme del fenomeno del capitale finanziato. A sostegno di tale impostazione, l'appellante ha richiamato le deposizioni dei testi Do., Za., Ga., Ma., Bo., Es., Fe., Pi., Gr., Cu. (cfr. atto di appello paragrafo 3.2, lett. a). Ora, non v'è chi non veda come si sia in presenza di considerazioni del tutto inidonee ad inficiare la evidente capacità dimostrativa degli elementi valorizzati dal primo giudice (ai quali - non va trascurato - si saldano le circostanziate accuse del coimputato GI.), trattandosi di obiezioni scarsamente significative, anche per la loro assai limitata consistenza intrinseca. Con riferimento all'inerzia degli organi di controllo, infatti, è decisivo osservare che è proprio la accertata ingerenza dello ZO. nella gestione operativa della banca, per il tramite del d.g. So. ed in forza di una pacificamente accertata sinergia gestionale tra i due, a rendere sostanzialmente irrilevanti, "a monte", le considerazioni difensive predette. Era dalle sistematiche interlocuzioni che l'imputato intratteneva con il d.g. So. (alle quali ha fatto cenno lo stesso imputato nel corso del già citato interrogatorio 22.3.2017), infatti, che il primo acquisiva le informazioni che gli consentivano di "prendere il polso" della banca (ovverosia di monitorare quale fosse la reale situazione dell'istituto di credito, specie sotto i profili finanziario e patrimoniale) e, quindi, di partecipare attivamente (attraverso la condivisione con il d.g. So. delle relative iniziative) alla politica d'impresa, come si è in precedenza evidenziato. Donde lo scarso interesse - se non ai fini della più ampia comprensione delle dinamiche operative degli organi di B. - di indagare quale fosse il livello di conoscenza del fenomeno in esame da parte degli altri membri del Cda, ovverosia di comprendere se costoro (o almeno alcuni di essi) fossero consapevoli di quanto andava accadendo nella erogazione del credito correlato all'acquisto di azioni dell'istituto e delle relative implicazioni sul patrimonio di vigilanza, oppure si trovassero unicamente in una condizione nella quale la presenza di taluni segnali d'allarme avrebbe loro imposto di procedere a doverosi approfondimenti sul punto (come, peraltro, precisato nelle pronunzie della Suprema Corte di conferma delle sanzioni amministrative irrogate nei confronti di molteplici consiglieri oltre che dei sindaci). Ha davvero poco senso, infatti, ricostruire l'effettivo ruolo rivestito dal presidente nella vicenda delittuosa in esame assimilandone la posizione a quella di qualsivoglia altro membro del CdA, se non allo scopo di accreditare l'inverosimile lettura della vicenda secondo la quale, come s'è detto in apertura, l'imputato sarebbe stato una vittima inconsapevole delle malefatte di un management infedele. In ogni caso, come s'è detto, quelle esposte al paragrafo 3.2 dell'appello sono argomentazioni di ben scarsa, intrinseca significazione probatoria con riferimento alla posizione processuale dello ZO.. Certamente ciò vale con riferimento alla pur indubbia inerzia degli organi di controllo, solo a considerare che tale inerzia è risultata in larga parte dovuta non solo all'inadeguatezza dei meccanismi di controllo interni, specie sotto lo specifico profilo della assenza di autonomia dell'organismo di vigilanza (si veda, sul punto, quanto più oltre precisato con riferimento all'appello proposto da B. in l. c.a.), ma anche alla diretta responsabilità dei vertici aziendali. Quando, infatti, il responsabile dell'Audit, Bo., da tempo avveduto di quanto andava accadendo, aveva manifestato qualche velleità di intervento, erano bastate le "istruzioni" bruscamente impartitegli da So. per farlo desistere da qualsivoglia iniziativa in proposito. In definitiva, quindi, tale inerzia va fatta risalire alla volontà del vertice operativo di B. (ovverosia al So., il quale, nondimeno, come s'è detto, operava in stretta sinergia con il presidente), sicché, sul punto, si è in presenza di circostanza, bensì provata, ma del tutto irrilevante in relazione alla posizione dello ZO.. Il fatto, poi, che il teste Ga. abbia riferito di avere ricevuto dal segretario generale del CdA So. la confidenza che quest'ultimo era pienamente a conoscenza del fenomeno del capitale finanziato, lungi dal deporre, come vorrebbe l'appellante, in senso favorevole all'imputato, conferma il convincimento che il tema in esame, come già detto, fosse largamente conosciuto (sia pure con differenti livelli di comprensione della relativa entità e delle conseguenti implicazioni) tra i soggetti che, a vario titolo, rivestivano ruoli di responsabilità nell'organigramma dell'istituto di credito, anche se non direttamente coinvolti nella politica di collocamento dei titoli B. (oltre che da tutti i funzionari addetti alla "commercializzazione" dei titoli) e, così, a ben vedere, concorre anch'esso a compromettere, sul piano logico, la posizione dello ZO., a meno che non si voglia ritenere - nel solco della implausibile ricostruzione che è implicita nell'impugnazione - che quest'ultimo sia rimasto vittima di una "congiura" da parte di pressoché tutti i suoi più stretti collaboratori, compresi quelli che neppure indirettamente erano implicati in tale fenomeno, come nel caso di So. (il quale, va precisato, svolgeva una funzione - quella di segretario generale del CdA - che lo qualificava come il più stretto collaboratore della presidenza con specifico riferimento alla attività di direzione del CdA stesso). Di centrale rilievo, infatti, sono le dichiarazioni dello stesso So. dalle quali emerge non solo la risalente, comune consapevolezza del fenomeno in esame in capo all'alta dirigenza di Bp., ma anche il coinvolgimento dei vertici aziendali nella "gestione" della prassi del ricorso alle "baciate". E' anche alla stregua di tali dichiarazioni che, a giudizio di questa Corte, si ricava l'assoluta inverosimiglianza della estraneità del solo ZO. rispetto alla conoscenza di un siffatto fenomeno; - di una lettura della "vicenda Da." secondo la quale la denunzia effettuata da tale socio (il quale, durante l'assemblea - va precisato - aveva esplicitamente chiesto "al Collegio Sindacale ed alla Vigilanza della Banca d'Italia di verificare se nel recente passato la Po.Vi. ha fatto affidamenti o dato garanzie dirette o indirette a soci o non soci affinché questi potessero sottoscrivere in toto o in parte azioni o obbligazioni convertibili della Banca (...)" - cfr. doc. 153 della produzione del P.M.) non avrebbe costituito un serio "campanello di pericolo" perché trascurata tanto dal collegio sindacale (a causa del doloso occultamento dei dati da parte del responsabile Audit, Bo.), quanto da parte degli ispettori di Banca d'Italia (cfr, atto di appello, paragrafo 3.2, lett. b). Osserva, in senso contrario, questa Corte, che se è vero che quanto denunziato da tale socio non ebbe riscontro nell'attività di controllo del Collegio Sindacale (come esattamente sostiene l'appellante, richiamando le deposizioni Za., Fe., Tr., Am. e comunque evocando, a sostegno della tesi secondo la quale tali denunzie non avevano suscitato allarme nei presenti all'assemblea, le deposizioni dei testi Co., Ro. e Do. - cfr. atto di appello, pagg. 60-63), è decisivo osservare - in disparte ogni considerazione in ordine alle ragioni che possono avere indotto gli organi di controllo interno ad adottare una risposta a dir poco inadeguata (essendo davvero difficile dissipare il sospetto di una linea di condotta consapevolmente omissiva, stante la diffusa conoscenza del fenomeno del capitale finanziato siccome in precedenza descritta) - come contrasti con la logica più elementare ritenere che un presidente tanto presente nella vita dell'istituto e così avvertito delle gravi difficoltà nelle quali si dibatteva il mercato secondario delle azioni B., qual era Zo.Gi., non prestasse la benché minima attenzione alle gravi ed esplicite accuse mosse dal socio Da. se non, per l'appunto, in quanto aventi ad oggetto circostanze tutt'altro che sconosciute e volutamente "silenziate". Questo, a fortiori, ove si consideri debitamente che tale vicenda si inseriva nel medesimo contesto temporale delle analoghe denunzie costituite dagli scritti anonimi pervenuti all'imputato (cfr., a tale ultimo riguardo, infra). Ed è proprio l'esplicito tenore della denunzia del Da. ad impedire di prestare fede alle dichiarazioni - pure ampiamente valorizzate dalla difesa dell'imputato - rese, in sede di rinnovazione dibattimentale, dai testi Ca., Pa., Pa. e Mo., là dove costoro - peraltro interessati, per i ruoli rispettivamente rivestiti in B., ad offrire una siffatta lettura della vicenda - hanno ridimensionato, sotto il profilo della "capacità di allarme", le accuse formulate da tale socio; - della mancata conoscenza, in capo allo ZO., tanto della vicenda relativa alle dimissioni del dipendente Vi., tenuta all'oscuro del Presidente e del CdA per volontà, ancora una volta, del d.g. So. con la complicità di Bo. (cfr. atto di appello, paragrafo 3.2, lett. c), quanto delle lettere anonime inviate a B. negli anni 2013-2014 (cfr. atto di appello, paragrafo 3.2, lett. d). Ebbene, le argomentazioni difensive in ordine alle dimissioni del dipendente Vi. (private banker dimessosi per le pressioni ricevute dalla dirigenza B. affinché promuovesse "operazioni baciate"), secondo le quali lo ZO. mai sarebbe stato portato a conoscenza in modo esaustivo di tale vicenda e delle relative implicazioni, in quanto al predetto ed al CdA sarebbero stati sottaciuti i relativi esiti di indagine a causa dell'intervento dì So. nei confronti del "solito" Bo., sono tutt'altro che persuasive. La difesa, sul punto, ha richiamato le deposizioni Li., Va., Fi., Fe., Ca., Po., Fe., Do., Za. e dello stesso Bo. per sostenere che tale vicenda, "lungi dal costituire un indice di allarme" confermerebbe che lo ZO. non era mai stato notiziato del fenomeno del capitale finanziato (così, nell'appello a pag. 69). Ebbene, anche in tal caso, pare davvero inverosimile che l'imputato non abbia dato peso al contenuto tanto circostanziato della denunzia delle ragioni delle dimissioni del consulente (denunzia trasmessa, via PEC, tanto al presidente, quanto al CdA, quanto, ancora, all'ufficio - Compliance"), specie ove si tenga a mente, da un lato, l'esplicito tenore, davvero allarmante, della segnalazione in questione, puntualmente evocata dal P.G. in sede di requisitoria175 (in effetti, l'avv. Es. aveva riferito che il suo assistito "aveva interrotto il rapporto di lavoro...in considerazione delle irregolarità che gli veniva richiesto di compiere dai funzionari a lui sovraordinati", precisando, al riguardo, che il predetto Vi. "era continuamente richiesto di reperire clienti disposti a sottoscrivere le cd " "operazioni baciate" nelle quali la Banca erogava un finanziamento al cliente a condizioni spesso particolarmente vantaggiose affinché questi acquistasse azioni della banca stessa", soggiungendo, sul punto, che si trattava di un sistema che aveva movimentato "svariati milioni di euro" e del quale il medesimo Vi. aveva verificato "la piena conoscenza da parte di molti funzionari operativi ed anche della funzione del personale al momento di dare le dimissioni e concludendo, infine, come fosse intenzione del proprio cliente rinnovare "ai vertici dell'istituto le segnalazioni all'epoca inascoltate" e mettere "sin d'ora a disposizione", per il tramite dello stesso legale, "tutte le informazioni in suo possesso nell'auspicio che la banca voglia procedere agli opportuni interventi a tutela degli azionisti e della clientela .." - cfr, doc. 420 produzione P.M.); dall'altro lato, la piena padronanza, da parte del predetto, della situazione di grave difficoltà del mercato secondario delle azioni B. (che - va ribadito ancora una volta - costituiva la principale ragione del ricorso al "capitale finanziato"); e, dall'altro lato ancora, la circostanza che il Presidente ZO., letta la predetta denunzia il 7,7,2014, non ne aveva disposto l'inoltro al responsabile dell'Audit Bo. (al quale era poi pervenuta comunque, tramite il responsabile della "Compliance", Fe.), bensì ai soli vertici dell'ufficio legale, avv. Pa., e della Divisione Risorse, Ad.Ca. (soggetti che si andavano ad aggiungere agli ulteriori destinatari già individuati dalla segreteria, So., So., Fe., Gi., Va. e Ro.), così sostanzialmente derubricando la vicenda ad una questione legale relativa al personale (questione, pure, certamente sussistente, ma del tutto trascurabile rispetto alla assoluta gravità di quanto denunziato dal legale del Vi.) o, comunque, ad un reclamo (del resto, la risposta all'avv. Es. era poi stata resa dall'Ufficio Reclami, come precisato dal teste Fe.), né aveva poi chiesto informazioni sugli sviluppi della questione. Il medesimo giudizio di sostanziale irrilevanza, poi, si impone con riferimento alle considerazioni difensive in ordine alle lettere anonime (cfr. atto dì appello pagg. 69-73) che contenevano espliciti riferimenti non solo alle pressioni esercitate per indurre alla sottoscrizione di capitale, ma anche ai finanziamenti all'uopo erogati dalla banca. Questo, senza che possa ritenersi minimamente credibile, quanto alla già citata missiva (doc. 651 produzioni / del P.M.), recante la data dell'11 marzo 2014 e ricevuta il 13 marzo 2014 - / ovverosia alla lettera che conteneva il più esplicito riferimento alle "baciate" ("Presidente, perché continuare in questa folle corsa a dimostrare le forze di una banca che non ci sono o se sembrano esserci derivano da numeri manipolati ad arte. Perché deliberare un aumento di capitale in 15 minuti, senza un consorzio, come aver deciso in quale ristorante andare a mangiare. Perché non capire che i soldi drenati nell'ultimo aumento sono stati tanti e sarà Impossibile ritrovarli anche stressando rete e clienti. Come fai a non sapere che l'ultimo aumento di capitale è avvenuto a forza di finanziamenti di centinaia di migliaia di Euro ad aziende che non potevano dire di no, giustificati dai motivi più svariati. Ma se venisse Banca d'Italia e notasse (verifica più che facile da fare) che l'80% dei prestiti erogati ad aziende è stato, nonostante la richiesta fosse partita con altri intenti utilizzato per sottoscrivere azioni della Banca, cosa potresti direi Non ti sentire intoccabile.....Come fai a pensare di fare un aumento di capitale non rinnovando le obbligazioni in scadenza, stravolgendo il profilo di rischio del cliente, forse siamo la banca che opera più variazioni MIFID in assoluto, che logica che deontologia c'è alla base di tutto questo......invia segnali di lucidità e correttezza altrimenti è giusto che l'opinione pubblica (i giornali) e l'organo deputato (Banca Italia) sappiano cosa è accaduto e cosa sta accadendo") e che era pervenuta in epoca che avrebbe consentito l'adozione di "contromisure", se non tempestive, "meno tardive" - l'ipotesi che di tale corrispondenza il presidente non avesse avuto conoscenza per effetto dì una sorta di "censura preventiva" operata dal d.g. So.. Ciò, in particolare, ove sì consideri: in primo luogo, che, come precisato dal teste di P.G. Ta.Vi., la suddetta missiva era poi stata inoltrata dallo stesso So. ad altri soggetti (segnatamente, al vicedirettore Ca. e al dipendente Va.); e, in secondo luogo - e trattasi, a ben vedere, di circostanza di decisivo rilievo - che la missiva in questione era pervenuta non già a mezzo mail (come sostenuto dalla difesa ZO.) bensì a mezzo posta cartacea e, una volta ricevuta nonché regolarmente protocollata in data 13 marzo 2014 dalla Segreteria della Presidenza B., era stata scannerizzata, (come si desume dall'indicazione "Allegati: scan pdf) per poi essere in tale veste trasmessa, quale allegato, ad una mail inviata dalla Segreteria della. Presidenza B. in data 14 marzo 2014 al d.g. So.. Il tutto è provato per tabulas dal citato doc. 651 del P.M.. Segnatamente, risulta ben chiara l'apposizione, sulla missiva anonima cartacea poi scannerizzata, del regolare timbro di protocollo della Segreteria della Presidenza con data 13 marzo 2014; eloquente è poi, sul fatto che la missiva anonima fosse pervenuta in formato cartaceo a mezzo del servizio postale ordinario, l'oggetto (sul quale v. subito infra) della mail inviata dalla stessa Segreteria, il giorno seguente alla sua ricezione, al d.g. So.. Sicché trova radicale smentita l'ipotesi (più esplicitamente illustrata in sede di discussione, rispetto a quanto adombrato a pag. 71 dei motivi di appello, in difetto, peraltro, di qualsivoglia riscontro che possa emanciparla dal rango di mera illazione) che detto scritto non sarebbe mai stato stampato a beneficio del presidente e, al contrario, sarebbe stato immediatamente inoltrato al d.g. So., in esecuzione di una sorta di censura attuata, in danno dell'imputato, dal d.g., avvalendosi della collaborazione di una segretaria (la dott.ssa Li.) infedele. In effetti, non può certo fondatamente valorizzarsi, a sostegno di siffatta ricostruzione, la mera circostanza che su detta missiva, mai sequestrata (e "recuperata" soltanto in sede di esame dell'account di posta elettronica del So.), non risultassero apposte annotazioni manoscritte dell'imputato. Del resto, anche ove non intendesse prestarsi fede alle dichiarazioni della teste Li., la quale ha riferito che ogni lettera indirizzata al presidente era verificata e collocata, ordinatamente, secondo le priorità desumibili dal contenuto, sulla scrivania dello ZO., senza eccezione alcuna177, la circostanza che la segreteria avesse provveduto a protocollare la missiva in esame, come si ricava dal timbro apposto sul documento, costituisce la più evidente smentita, sul piano logico, della tesi della sottrazione di corrispondenza in danno del giudicabile per effetto di una callida determinazione del direttore generale. Aggiungasi, del resto, che è lo stesso contenuto della mail di trasmissione al d.g. (tanto con riferimento al testo: "Egregio Direttore, come da Sua richiesta..", quanto alla puntuale descrizione dell'oggetto; "Lettera anonima ricevuta il 13 marzo 2014 - timbro postale di Firenze datato 11 marzo 2014 - riservata") a confliggere con la tesi secondo la quale si sarebbe trattato di una trasmissione clandestina, effettuata a tutto discapito del presidente di B.; - della assenza, nell'articolo apparso sul quotidiano economico "Il." del 27 ottobre 2014, a firma Ga., di effettivi riferimenti al fenomeno del capitale finanziato (tale non potendosi ritenere quanto riferito al giornalista dall'imprenditore di Sc.Pa.Tr., il quale aveva dichiarato che, a fronte del proprio rifiuto di acquistare azioni, si era visto ridurre i finanziamenti) e, comunque, dell'assenza di riscontri a quanto denunziato da parte della direzione generale e delle funzioni di controllo, sicché tale articolo non avrebbe potuto, in concreto, rappresentare un "serio e specifico segnale d'allarme" (paragrafo 3.2, lett. e). In proposito, è decisivo osservare, in senso contrario, che tale intervento, effettuato sulla più autorevole testata giornalistica specializzata, aveva prodotto nell'intero settore bancario e, a fortiori, all'interno di B., una vastissima eco. Inoltre, non è affatto vero che detto articolo, pur non facendo esplicito riferimento alle operazioni "baciate", non contenesse un chiaro riferimento al fenomeno del capitale finanziato. Sul punto, infatti, al di là della precisa deposizione resa dal teste ispettore Ga., è dirimente la lettura di tale scritto, dalla quale è possibile direttamente apprezzare come il giornalista, oltre ad affrontare i temi, evidentemente connessi, dell'"anomalia del fondo acquisto azioni proprie" (così, espressamente, nell'"occhiello" dell'articolo), della illiquidità del titolo azionario (definito dall'ex consigliere Consob, Sa.Br., il cui parere era ivi richiamato, un "prodotto palesemente fuori mercato", per effetto di una valutazione del titolo u fuori dal mondo"179) e del valore dell'azione, avesse riportato le dichiarazioni rese da un imprenditore del settore degli imballaggi e delle spedizioni (tale Pa.Tr., di Sc.) il quale aveva sostanzialmente riferito di avere ricevuto la proposta di finanziamento per l'acquisto di azioni ("..A noi sono venuti ripetutamente a offrire azioni dell'istituto in cambio di finanziamenti - Io mi sono rifiutato e dopo pochi mesi mi sono stati ridotti i finanziamenti.."), soggiungendo, peraltro, essergli noto che si trattava di un caso tutt'altro che isolato ("La mia esperienza porta a pensare che non abbiano fatto così solo con le aziende. Questa primavera un mio dipendente aveva bisogno di un mutuo per l'ampliamento di casa, e quando lo ha chiesto si è sentito dire che se avesse comprato azioni della banca gli avrebbero dato un tasso di favore. Altrimenti sarebbe stato molto più alto..."). E' fuori discussione, pertanto, che si trattasse di un articolo che costituiva un serissimo indice di allarme per qualsivoglia vertice aziendale, a fortiori se pienamente consapevole, come lo ZO., della difficoltà del mercato secondario del titolo. Le deposizioni assunte, poi, hanno confermato l'impatto deflagrante che tale pubblicazione aveva avuto, anche all'interno del CdA (là dove, peraltro, in modo assai poco ragionevole, si era discusso, come riferito dal teste Br., di avviare un'azione legale nei confronti del giornalista ancor prima di interrogarsi sulla fondatezza, anche parziale, della notizia). Sicché escludere che tale articolo costituisse (specie per un presidente di certo cosciente della effettiva illiquidità dell'azione B.) un serio segnale d'allerta per l'assenza di un esplicito riferimento alle "operazioni baciate" costituisce ipotesi davvero surreale. Peraltro, è appena il caso di considerare che, nel medesimo periodo (11 novembre 2014), era stato pubblicato, su una testata di autorevolezza e diffusione assolute ("Co."), come ampiamente ricordato supra nel trattare la posizione dell'imputato Ma., anche un altro articolo - prodotto quale fonte aperta dalla difesa dell'imputato Pi. all'udienza del 4.2,2020 - dal contenuto assai allarmante con riferimento a B. (ed a Ve.) nel quale sostanzialmente si denunziava, con dovizia di particolari, l'eccessiva, inverosimile patrimonializzazione delle banche venete per effetto di una attribuzione alle azioni di valori sovrastimati (quanto a B. si ipotizzava un reale valore di 21,90 euro), tanto che - precisava il giornalista, Stefano Righi - le azioni di tali banche erano sostanzialmente "illiquide". Considerazioni del medesimo tenore si impongono - conseguentemente - anche con riferimento alle censure che l'appellante ha mosso alla sentenza impugnata con specifico riferimento alla affermata conoscenza del ricorso al capitale finanziato e, più specificamente, alle "operazioni baciate" (rispettivamente ai punti 3.5 e 3.6 dell'atto di impugnazione), in quanto, anche in tal caso, gli elementi valorizzati dalla difesa non confortano minimamente la lettura dei fatti secondo la quale l'imputato avrebbe ignorato l'esistenza delle "operazioni baciate". Segnatamente, l'appellante ha evidenziato (al paragrafo 3.5): - che, nell'ambito del "campione" di clienti i quali avevano effettuato operazioni "baciate" escusso in dibattimento, pressoché tutti i testimoni avevano escluso un ruolo attivo dell'imputato nel consigliare/proporre tale tipo di operazioni (l'appellante ha richiamato espressamente le deposizioni Fe., Ca.Em., Ca.Pi., Br., Bo., Fa., Fe., Bu., De., Da., Va., Ro., Br., Ta., Fa., Ma., Ri., De., Co., Ti.Da., Ti.An., Ma., Tr., Se., To., Ba., Se., Ca. - paragrafo 3.5, lett. a):). Ebbene, la circostanza che non fosse stato lo ZO. a proporre/consigliare tali operazioni ai testimoni evocati dalla difesa, non riveste alcun significato, solo a considerare che le proposte in tal senso erano solitamente avanzate, alla migliore clientela, non già dal presidente, bensì dalla più alta dirigenza commerciale dell'istituto (si pensi a quanto avvenuto con riferimento alla operazione sottoscritta dal coimputato ZI. ed a questi proposta dal GI., il quale ultimo, del resto, ha anche dettagliatamente descritto il contesto - spesso un appuntamento al domicilio dei migliori clienti - nel quale venivano formulati gli inviti all'acquisto delle azioni B.). Peraltro, va rammentato che il teste Ro. ha dichiarato che l'imputato, in occasione di incontri conviviali, lo aveva ripetutamente rassicurato che non avrebbe avuto problemi in relazione alla operazione (una "baciata" per l'importo di 5 milioni di euro) che aveva effettuato. Sebbene detto teste non abbia affermato con certezza di avere citato, nelle interlocuzioni con l'imputato, tate finanziamento ("certamente si ma non è venuto il presidente Zo. a chiedermi di fare questo finanziamento....Si parla delle azioni ma non proprio del finanziamento. Io non mi ricordo, può essere che abbiamo parlato anche di questa operazione..."), ha comunque riferito che si trattava di un presupposto implicito ("Erano tutte sottintese. Tutti i finanziamenti erano/ operazioni che si facevano, e che non avevamo bisogno...io non lo facevo, ripeto, a scopo di lucro, lo facevo per avere un buon rapporto con la banca ..."); - che le c.d. "cene di Lo." altro non erano che sporadici appuntamenti conviviali nel corso dei quali mai il presidente aveva fatto cenno, in alcun modo, al fenomeno in esame (e, al riguardo, nell'appello si richiamano le deposizioni Mo., Lo.Tr., Ra.Gi. e Ra.Si., sottolineando, per contro, l'inattendibilità di quanto riferito da Lo.Tr. e da Lo.Da. - paragrafo 3.5, lett. b). A ben vedere, che non si affrontasse esplicitamente il tema del capitale finanziato in occasione di tali cene è circostanza assai poco significativa, tenuto conto proprio del contesto conviviale in questione (che induceva a non parlare di "banca", ovverosia "di lavoro", come precisato dal teste Mo.181). Nondimeno, tanto Ra.Gi. quanto Ra. Silvano hanno riferito che, al margine di tali eventi, erano soliti chiedere garanzie al presidente, il quale non mancava di tranquillizzarli, circostanza che, tenuto conto della serietà dell'imputato e dell'importanza" di tali interlocutori (i quali detenevano un pacchetto di azioni per circa 90 milioni di euro), induce ragionevolmente ad escludere che il giudicabile ignorasse la tipologia di operazione da costoro effettuata. Peraltro, il teste Ra. ha pertinentemente osservato, per confortare la tesi secondo la quale le rassicurazioni che lui stesso ed il fratello sollecitavano dallo ZO. non riguardassero affatto, in generale, la tenuta dell'azione, bensì "le loro operazioni correlate", come non avrebbe avuto alcun senso, all'epoca, dubitare sulla tenuta del titolo di B. (""Zo., in queste occasioni, ci tranquillizzava dicendoci che, finché c'era lui in banca, non avremmo dovuto preoccuparci di niente. Questo tipo di rassicurazioni ce l'ha data in più di una occasione anche prima delle assemblee degli azionisti. Evidenzio che, come ho già precisato, noi non avevamo finanziamenti o ragioni di esposizioni con fa banca ai di fuori delle operazioni che ho descritto. Pertanto le rassicurazioni di ZO. erano chiaramente rivolte a queste operazioni proposte da So. e GI., peraltro quanto ZO. ci dava queste rassicurazioni facevamo esplicito riferimento alle "operazioni concluse"(....) Rammento che mi rivolgevo a ZO. con espressioni del tipo "Presidente, possiamo stare tranquilli sulle operazioni che abbiamo fatto?" Di sicuro non parlavamo di informazioni sulla tenuta dell'azione. Del 1 resto, net 2012 (ovverosia quando avevano iniziato ad interrogare l'imputato, la loro prima operazione finanziata essendo collocabile nel 2011) nessuno sollevava dei dubbi sulla tenuta in sé dell'azione,."182). Pertanto, da tali deposizioni non si ricava affatto l'inattendibilità di quanto dichiarato dal teste Lo.Tr. in ordine alle rassicurazioni dallo stesso ricevute da So. e da Gi. circa il fatto che il presidente fosse consapevole delle "operazioni baciate"; - che dal contenuto delle deposizioni degli "amici del presidente" Ca., Ri., Ir., Ra.Fo. e Be.De. e del familiare dello ZO., Zu., non si sarebbero potuti affatto ricavare elementi a carico dell'imputato (paragrafo 3.5, lett. c). Per contro, ad avviso di questa Corte, il tribunale ha convincentemente valorizzato tali deposizioni. Quanto al Ca., avendo questi goduto di tassi vantaggiosi per il rinnovo dei "time deposit" ed essendo destinatario di due lettere di impegno (a fronte di un prestito obbligazionario) che gli garantivano un rendimento determinato previa esplicita autorizzazione di ZO., trattasi di deposizione che, in ogni caso, evidenzia l'ingerenza dell'imputato nella operatività della banca con riferimento ai "grandi investitori". La deposizione del Ri., amico di vecchia data dell'imputato, poi, è tutt'altro che generica là dove riferisce che lo ZO., appreso che costui aveva sottoscritto un acquisto finanziato di azioni B. per 150.000 Euro, si era dimostrato compiaciuto. Altrettanto dicasi per quanto riferito dallo Zu., posto che lo strettissimo legame familiare intercorrente con l'imputato rende davvero irrealistico ritenere che quest'ultimo non conoscesse la fonte della provvista impiegata dal cognato per l'operazione, ancorché questi abbia poi sostenuto di non averlo ragguagliato dì tale acquisto di azioni. In ogni caso, qualora, come sotteso all'impostazione difensiva (ed esplicitato in sede di discussione, là dove, come s'è detto, si è ricostruita la vicenda sub iudice prospettando una i sorta di "isolamento" dello ZO. posto in essere dal d.g. So. il quale, interessato a gestire detto fenomeno all'insaputa del presidente, avrebbe eretto un muro invalicabile tra costui e l'alta dirigenza della banca), il d.g. So. avesse realmente inteso mantenere all'oscuro il presidente circa il ricorso alle operazioni baciate, sarebbe stato davvero assurdo che contratti di tal genere fossero stipulati con un soggetto tanto legato allo ZO. quale, per l'appunto, il di lui cognato. La deposizione delle teste Ir., poi, per quanto stringata, non può affatto ritenersi irrilevante, avendo comunque la donna riferito di avere intavolato proprio con lo ZO., il quale l'avrebbe poi dirottata sul d.g., la trattativa che sarebbe sfociata in una "baciata" da 3,5 milioni. Inoltre, quanto al Be.De., se è vero che questi ha sostenuto di non avere mai parlato con il presidente delle proprie "baciate", vanno richiamate le contrarie dichiarazioni rese dai testi Gi. e Ba., siccome già valorizzate dal primo giudice in ordine alla conoscenza, in capo al giudicabile, delle operazioni finanziate riferibili a tale socio. In particolare, va precisato che, come affermato dal teste Gi., il Be., da un lato, era in strettissimi rapporti con l'imputato (con il quale era solito incontrarsi finanche durante le vacanze); e, dall'altro, era un'"diffusore" della banca, un "portatore di contatti" (o, come riferito dal Gi. alla stregua dell'efficace espressione con la quale lo stesso Be. era solito definirsi, "un soldato della banca") nel senso che si impegnava per la promozione dell'istituto su nuovi territori (segnatamente, la Lombardia), sicché si è in presenza di specifici elementi di fatto che rendono davvero impensabile che lo ZO. non fosse a conoscenza degli investimenti in titoli B., finanziati dall'istituto, effettuati da tale soggetto. Peraltro, non ci si può esimere dal sottolineare che il Be.De. - il quale, secondo il Gi., nell'aprile del 2015, dopo la svalutazione del titolo, aveva telefonato manifestando veementemente tutto il proprio disappunto185 - richiesto di riferire quale fosse stato il tenore del colloquio che, portatosi fino a Vicenza, aveva intrattenuto, proprio nel predetto mese di aprile, con il presidente Zo., ha assai poco persuasivamente riferito di non serbare memoria dell'episodio (...Non rammento gli argomenti di detto colloquio con Zo. ..."). Infine, che il tribunale abbia omesso di considerare le deposizioni Ha. e Ra.Fo. discende dalla sostanziale irrilevanza di tali dichiarazioni (attesa la genericità di quanto riferito dall'Ha. e considerato che dall'estraneità del presidente rispetto all'operazione effettuata dal Ra.Fo. non è certo arguibile il difetto di conoscenza del fenomeno del capitale finanziato da parte dello ZO.). Del resto, non può certo trascurarsi di considerare che opportunamente il primo giudice ha valorizzato la deposizione di Se.Pi., assai significativa circa la conoscenza delle "badate" da parte del presidente, senza che possa svalutarsi detto contributo dichiarativo sul presupposto, sotteso all'impostazione difensiva, di una indimostrata ostilità successivamente maturata da tale teste verso il giudicabile (ostilità, peraltro, che sarebbe dovuta essere di intensità tanto accesa da giustificare dichiarazioni false così gravi, specie tenuto conto dello stretto legame di amicizia tra il teste ed il figlio dell'imputato), ovvero sulla base delle incongruenze parimenti segnalate dalla difesa, a ben vedere trascurabili e, comunque, agevolmente spiegabili (e spiegate dallo stesso testimone, quanto alla questione della telefonata tra So. e ZO., come frutto di un refuso188; e, quanto all'incontro a castello d'Albola, in ragione di un progressivo affioramento dei ricordi, peraltro obiettivamente ragionevole in relazione a vicende tanto complesse. Del resto, il teste ha riferito che aveva soggiornato più volte presso tale residenza, sicché, anche sotto tale profilo, il mancato iniziale ricordo non può destare particolare sorpresa); - che, tra i familiari del presidente i quali (a differenza, peraltro, dell'imputato, della sua stretta famiglia e delle aziende del gruppo) avevano compiuto operazioni "baciate", era soltanto annoverabile il già evocato Fr.Zu., il quale, come visto, aveva riferito di non aver mai parlato di operazioni correlate con il presidente della banca (paragrafo 3.5, lett. d). Trattasi, com'è evidente, di circostanza di nessun rilievo sul punto, non essendo in discussione la effettività dell'apporto di capitali "reali" fornito dallo ZO. e dai suoi familiari alla banca; - che la "vicenda Ma." (inerente all'acquisto di azioni B. con finanziamento della banca) vedeva del tutto estraneo lo ZO. (paragrafo 3.5, lett. e). E' agevole osservare, in proposito, che l'estraneità dell'imputato ad una specifica operazione non rileva affatto, sotto il profilo probatorio, con riferimento alla questione in esame, inerente alla conoscenza di un ben più vasto e radicato fenomeno; - che dall'esame dei dirigenti e dei funzionari B. i quali, a diverso titolo, avevano contribuito alla diffusione del fenomeno del capitale finanziato non emergevano affatto elementi di responsabilità a carico del presidente, non avendo costoro mai parlato con ZO. delle "operazioni baciate" o, comunque, ascoltato il presidente affrontare tale argomento (l'appello, sul punto, ha richiamato le deposizioni Ri., Gi., Tu., To., Se., Pa., Ro., Cu., Ba., Te., Ve., Ca., Da., Pi., Bosso, Ip., Gi.n, Ma., Si., Ni., Pr., Ro., Be., St., Sa., Me., Ta., Pa., Gi., Ba. - paragrafo 3.5, lett. f). Ebbene, fermo restando che, come già anticipato, le dichiarazioni dei funzionari di B. scontano un più o meno marcato deficit di affidabilità; tenuto conto del differente grado di coinvolgimento di taluni di costoro in "segmenti", anche importanti, della operatività illecita di B. (pur se non accompagnato dalla consapevolezza della vastità di tale prassi e delle relative implicazioni), si è in presenza, in ogni caso, di deposizioni che, con specifico riferimento alla posizione dello ZO., risultano davvero di trascurabile rilievo, posto, per un verso, che il presidente non si occupava certo delle singole operazioni finanziate; e, per altro verso, che costui, come ripetutamente evidenziato, non intratteneva rapporti diretti (se non in casi assolutamente sporadici), con i funzionari della banca, limitandosi ad interloquire unicamente con i massimi vertici operativi (e, segnatamente - lo si è già detto - con il d.g.). In ogni caso, sebbene il teste Pa. non abbia riferito di avere assistito al diretto coinvolgimento dell'imputato in discussioni inerenti alle operazioni "baciate", la deposizione di costui merita dì essere evidenziata, provenendo da un alto funzionario di B. che, non essendo in alcun modo coinvolto direttamente nella operatività in esame (trattandosi di vicedirettore della divisione marketing), risulta obiettivamente attendibile: "..TESTIMONE PA. - Allora, sicuramente questo tipo di operatività e questo tipo di operazioni con gli imprenditori era impossibile che né il Presidente, né So.", non ne fossero a conoscenza. Era evidente perché? Perché parlavano con gli imprenditori quotidianamente, sotto tanti aspetti, che potevano riguardare una sponsorizzazione o un evento o c/n... Cioè, c'era un forte legame col territorio, quindi gli imprenditori parlavano continuamente con Zo., li vedevo comunque entrare in banca e andare a parlare comunque con i vertici della banca. Quindi è impensabile che non ci fosse consapevolezza di quello che stava accadendo e di questo tipo di operazioni, proprio per il ruolo che avevano sia il Presidente, sia So., nella gestione della banca..." (cfr. dep. Pa., udienza 10.9.2020, pag. 52); s che né gli organi dì controllo interno (Audit, Comptiance, Risk Manager) e neppure i membri del collegio sindacale e del CdA avevano reso deposizioni a carico dello ZO. circa la conoscenza del capitale finanziato (paragrafo 3.5, lett. g). In proposito, si è in presenza di considerazione bensì fondata sulla corretta lettura delle deposizioni di riferimento, ma, anch'essa, in concreto, di scarsi significazione. In disparte, anche in tal caso, l'attendibilità di contributi dichiarativi provenienti da soggetti coinvolti indirettamente (per i doveri di controllo su di loro incombenti) nei fatti sub iudice - soggetti i quali, ammettendo la conoscenza del fenomeno delittuoso in capo a ZO., avrebbero inevitabilmente finito per coinvolgere le loro stesse persone in un ambito di responsabilità di tipo quantomeno "morale" - è dirimente la considerazione, già ripetutamente espressa in precedenza, in ordine al fatto che era al di fuori del perimetro del CdA - e, segnatamente, in occasione delle continue interlocuzioni con il d.g. So. - che l'imputato affrontava le questioni più delicate; - che, infine, il solo GI., tra tutti i coimputati, aveva reso dichiarazioni che attribuivano allo ZO. la consapevolezza di tale fenomeno, non ricavandosi dalle dichiarazioni degli imputati PI., MA. e PE. alcunché di pregiudizievole per il presidente (paragrafo 3,5, lett. j); Ebbene, anche in tal caso, quello segnalato dall'appellante è un elemento di ben scarso peso, tenuto conto della veste processuale dei predetti soggetti e del convergente obiettivo difensivo di costoro di "scaricare" ogni responsabilità sul d.g., invocando, in loro favore, analogamente all'imputato ZO., profili di più o meno marcata inconsapevolezza del fenomeno in questione; - che da quanto sostenuto dal coimputato MA. e dal dirigente Ca. nel corso delle conversazioni di cui alle intercettazioni, rispettivamente, n. 259 e 526, si ricaverebbe la mancata conoscenza, in capo al presidente, del capitale finanziato (ancora paragrafo 3,5, lett. j). Al riguardo, valgano le seguenti considerazioni. Della telefonata n. 526, intercorsa tra Ca. e Cu., s'è già detto, sicché si rimanda alle considerazioni svolte sul punto. Quanto, poi, alla conversazione n. 259, svoltasi tra il coimputato MA. e il responsabile Audit Bo. - conversazione, peraltro, che, come s'è detto, costituisce significativa espressione del tentativo di quest'ultimo di farsi da tramite con il primo per indurlo a modificare quanto riferito in sede di audit poiché pregiudizievole per il presidente - deve osservarsi come il mancato esplicito riferimento al nome dello ZO. quale soggetto informato del fenomeno in esame (secondo quanto riferito al medesimo MA. dal So.) appaia di rilievo davvero trascurabile. Anzi, a leggere con la dovuta attenzione la trascrizione del colloquio (del quale, di seguito, si riportano i passaggi più significativi, rimandandosi, per il resto, alla perizia di trascrizione) è possibile cogliere come il medesimo MA. avesse interpretato proprio in tal senso (l'unico ragionevole, del resto) l'indicazione del So. di avere informato - chi di dovere", dando, per l'appunto, per "scontato" che il d.g., con tale espressione, intendesse effettivamente riferirsi al presidente: (......) Omissis (......) E, del resto, lo stesso MA., in occasione dell'esame reso nel corso del giudizio di primo grado, si è univocamente espresso in tal senso (cfr. esame Ma., udienza 16.6.2020, pagg. 18-19). - che dall'appunto manoscritto riguardante Em.Gi. sequestrato presso l'ufficio del presidente si ricaverebbe, ancora una volta, come costui fosse all'oscuro del fenomeno delle baciate. Al riguardo, deve osservarsi, in senso contrario, che desumere dall'intitolazione ("Dichiarazioni Gi.") e dal contenuto degli appunti redatti dall'imputato in occasione dell'incontro con il coimputato del 4.5.2015 - in atti quale doc, 857 del P.M. - l'ignoranza da parte del presidente dell'argomento affrontato in occasione di detto incontro è conclusione tanto ardita da non richiedere specifica confutazione: l'imputato, infatti, aveva tutto l'interesse a manifestare la propria estraneità all'accaduto (di cui, peraltro, in occasione di detto colloquio, secondo quanto riferito dal GI., non aveva potuto negare una sia pur parziale conoscenza, quella, per l'appunto, delle "baciate parziali"). Quindi (al successivo paragrafo 3,6), l'appellante ha sostenuto come l'ignoranza da parte dello ZO. della prassi delle "operazioni baciate" potesse ricavarsi da una serie di elementi emersi nel corso dell'istruttoria e, in particolare, ha evidenziato: - che lo ZO. non si ingeriva affatto nella vendita delle azioni (paragrafo 3.6, lett. b), non deponendo in senso contrario l'interessamento rispetto alla operazione di vendita delle azioni detenute dal coimputato ZI., trattandosi di una operazione effettuata da un membro del CdA e che, parimenti l'imputato non si interessava, se non nell'ambito di una normale interlocuzione propria di un "presidente scrupoloso", dell'andamento della divisione estero (paragrafo 3.6, lett. c). Trattasi, anche in tal caso, di considerazioni sostanzialmente irrilevanti. Il mancato coinvolgimento del presidente nel collocamento delle azioni e l'assenza di ingerenza nella gestione degli investimenti esteri, infatti, discendono unicamente, in termini di evidenza, dal ruolo non operativo dell'imputato (fermo restando, peraltro, quanto emergente dalla mail, più oltre richiamata, inerente all'incremento della partecipazione azionaria "delle Za."); - che il commento effettuato nel CdA 11.11.2014 relativo all'articolo de "Il." che aveva messo in dubbio il valore dell'azione - commento caratterizzato dal biasimo per lo scritto, in ragione delle modeste oscillazioni del titolo B. rispetto a quelle di altri titoli bancari - deponeva nel senso della buona fede dell'imputato (paragrafo 3,6, lett. d). Ebbene, degli effetti della pubblicazione del menzionato articolo si è già detto. L'effettiva buona fede dell'imputato, a ben vedere, avrebbe implicato una ferma richiesta di approfondita indagine, non già una reazione scandalizzata (peraltro del tutto contraddittoria con la già evidenziata piena consapevolezza delle condizioni critiche del mercato secondario); - che le dichiarazioni rese dal funzionario Gi. - là dove costui aveva riferito che il presidente aveva dato l'indicazione di sostenere con finanziamenti i soci intenzionati a vendere il titolo - non si sarebbero dovute interpretare come inerenti ad una operazione di finanziamento correlato (in questo caso ex post), bensì come un ausilio economico prestato, in attesa della realizzazione della vendita, a coloro che, per bisogno dì liquidità, intendevano liberarsi dell'azione (paragrafo 3.6, lett. e). In proposito, vale osservare, in senso contrario, che l'interpretazione data dal primo giudice delle dichiarazioni rese dal Gi. è la più coerente con le complessive emergenze istruttorie in ordine alla più volte evocata cognizione, da parte dello ZO., della sostanziale illiquidità del titolo B.; - che i documenti richiamati, in sentenza, per avvalorare il ruolo operativo svolto dall'imputato non predicavano affatto in senso coerente con l'ipotesi d'accusa. E, al riguardo, l'appellante ha richiamato, in particolare, gli appunti So., la mail del 25.9.2010, nonché i documenti nn.ri 322 e 320 della, produzione del p.m, (paragrafo 3.6, lett. f). Ora, la lettura "neutra" offerta dalla difesa dei documenti citati alle pagg. S63 e ss. dell'atto di appello è, per l'appunto, "neutra" (peraltro, il documento 320 del P.M. - ovverosia la mail nella quale Ro. scriveva a Ro. che il presidente sosteneva "che occorre incrementare il possesso azionario delle Za." - ovverosia di soggetti che erano "soci storici" - obiettivamente orienta nel senso dell'ingerenza dell'imputato in temi operativi di rilievo); - che quanto affermato nel corso della seduta del comitato di direzione 10.11.2014, con specifico riferimento all'incontro previsto tra il Presidente e la "fondazione Lucca", non era inerente alla ricerca di un interlocutore che, acquisendo azioni B., potesse contribuire alla pratica di "svuotafondo"(ancora paragrafo 3.6, lett. f). Diversamente, deve osservarsi che è la lettura delle interlocuzioni immediatamente precedenti, inerenti proprio al predetto tema dello "svuotafondo", a rendere decisamente più ragionevole che tale fondazione potesse essere coinvolta in tale operatività in occasione del prossimo incontro che il presidente, di lì a poco, avrebbe avuto con i vertici di tale ente (senza che alla congiunzione "però" possa attribuirsi significato dirimente in senso contrario. E, in ogni caso, trattasi di circostanza di ben trascurabile rilievo); - che i rapporti con il d.g. So. non potevano affatto essere letti in termini di "insana complicità" tra i due e che i messaggi SMS valorizzati in sentenza (nn.ri 653, 654, 655) non erano passibili di univoca interpretazione, a quella proposta dal tribunale affiancandosi quella, opposta, secondo la quale si sarebbe trattato di comunicazioni volte a sollecitare il d.g. a "spianare la strada" ai finanziamenti", non già a sollecitare il medesimo d.g. a riferire allo ZO. che detti finanziamenti erano specificamente destinati all'acquisto di azioni B. (paragrafo 3.6, lett. g). A ben vedere, la ricostruzione difensiva dei rapporti con So. - ricostruzione secondo la quale tali rapporti sarebbero stati espressione di reciproca stima e non già di "insana complicità" - è coerente con una lettura praticabile solo sul piano astratto, ovverosia avulso dal complessivo panorama probatorio acquisito al giudizio. Trattasi, infatti, di lettura che, non appena "calata" nel reale contesto operativo siccome delineato dalle emergenze istruttorie, trova piena smentita nelle evidenze fattuali disponibili (ivi compreso il trasparente tenore delle comunicazioni intercettate effettuate dal d.g. So.), oltre che nelle considerazioni logiche in precedenza evocate. - che le intercettazioni valorizzate a carico dello ZO. non erano significative (paragrafo 3.6, lett. h), perché generiche (è il caso della conversazione del 26.8.2015 tra Zi. e Ba. nella quale si diceva che So. e Zo. "viaggiavano a braccetto"), ovvero perché inattendibili (in quanto inerenti a conversazioni tenute da soggetto - il d.g. So. - interessato a sminuire il proprio ruolo, coinvolgendo il presidente), ovvero ancora perché inerenti a tematiche differenti dal capitale finanziato (è il caso della conversazione n. . 300 intercorsa tra il d.g. e la segretaria di ZO., relativa all'aumento di capitale). Ora, delle comunicazioni intercettate intrattenute da So. e delle relative affidabilità e concludenza si è già detto, sicché non resta che rinviare alle considerazioni esposte al riguardo. Analoghe considerazioni debbono svolgersi con riferimento alla citata conversazione intercorsa tra il coimputato ZI. e Ba., di significato tutt'altro che vago ed opinabile, considerata la conoscenza che lo ZI., in ragione del ruolo ricoperto, aveva delle modalità operative del presidente; - che la risoluzione del rapporto con il d.g. So. non era stata una iniziativa personale ma era stata preceduta da incontri con PI., GI. e con l'ispettore Ga. e dall'ascolto del parere dei legali Do., An., Am., alla presenza dei consiglieri Br. e Ma.. In ogni caso, come anche diffusamente ribadito nelle "note scritte sulla rinnovazione istruttoria" (cfr, pagg. 33-34), si era trattato di decisione assunta con la necessaria rapidità, nel solco delle indicazioni di Bc., come precisato dal teste An. (cfr, dep. An., udienza 5.7.2022, pag. 31), nell'interesse esclusivo dell'istituto di credito, e nel rispetto delle indicazioni fornite dagli ispettori. Quanto alla clausola di riservatezza era un dettaglio neutro, funzionale ad assicurare il necessario riserbo (paragrafo 3.6, lett. i). Ebbene, anche sul punto non può che rinviarsi a quanto già in precedenza evidenziato in ordine al significativo e pressoché esclusivo protagonismo dell'imputato nella gestione dell'uscita di scena del direttore generale, gratificato con un trattamento economico inspiegabile ed illegittimo, con fa doverosa precisazione che l'acquisizione del parere di alcuni esponenti di vertice del CdA versati in materie giuridiche nulla toglie alla riferibilità allo ZO. delle modalità di definizione dell'accordo. Se, infatti, la decisione di operare una soluzione di continuità può ragionevolmente ricollegarsi anche ai desiderata di Bc., sono le concrete modalità di attuazione dell'allontanamento (e, in particolare, la ricchissima "buonuscita") a legittimare - unitamente, beninteso, al complessivo quadro probatorio disponibile - la interpretazione di tale evento datane dal primo giudice (ovverosia, l'intenzione dell'imputato di "comprare il silenzio" del direttore generale). E, sul punto, non può non richiamarsi la conversazione intercettata n. progr 271 del 6.9.2015, in precedenza evocata, nella quale si faceva riferimento ad un "patto di non aggressione" stipulato tra ZO. e So.; - che i rapporti intrattenuti con taluni clienti, in realtà, non dimostravano il coinvolgimento del presidente nella vicende gestorie e neppure la conoscenza del capitale finanziato: così era per Pi., a leggerne bene la deposizione ed a valutarne attentamente l'attendibilità; così per Be.De., il quale aveva negato di avere parlato con ZO. delle operazioni correlate, smentendo così quanto riferito, de relato, dal teste Gi.; così per la Ir. e per i fratelli Ra.; così, infine, per Gi.Ro. (paragrafo 3.6, lett. j). Ebbene, anche sul punto si impone il rinvio alle considerazioni in precedenza spese; - che l'imprenditore catanese Co. aveva negato di avere parlato di finanziamenti per l'acquisto di azioni B. con ZO. e che, ogni caso, il presidente, nell'occasione dell'incontro con il predetto Co., si era limitato a dirottare l'interlocutore sul vicedirettore GI. (ancora paragrafo 3.6, lett. j). Al riguardo, osserva questa Corte che l'interlocuzione con l'imprenditore catanese Co. è stata puntualmente ricostruita e convincentemente interpretata dal primo giudice. Il chiamante in correità, del resto, in sede di rinnovazione istruttoria nel giudizio di appello (nel memoriale e, quindi, nell'esame), ha fornito una versione dell'episodio in questione del tutto coerente con la lettura offertane nella sentenza impugnata. Pertanto, le stringatissime, contrarie dichiarazioni del Co. acquisite nel corso del giudizio di primo grado non valgono ad incrinare tale interpretazione dell'episodio (interpretazione, peraltro - va doverosamente sottolineato - avvalorata dal tenore del fife audio all'uopo valorizzato dal primo giudice, posto che l'invito alla prudenza effettuato dallo ZO. nel corso del colloquio ha senso unicamente ove l'acquisto delle azioni B. richiesto dal Co. avesse dovuto avere luogo proprio attraverso un finanziamento da parte dell'istituto di credito); - che i rapporti intrattenuti, per mere ragioni professionali, con il gestore private Ri., tra i maggiori artefici di operazioni baciate, non implicavano affatto che lo ZO. fosse a conoscenza delle operazioni compiute da costui (paragrafo 3.6, lett. k). Ora è bensì vero che gli stretti rapporti intrattenuti con il gestore private Ri. non implicavano necessariamente che l'imputato conoscesse la tipologia di operatività attuata da tale gestore (uno dei massimi promotori di "operazioni baciate"); trattasi, nondimeno, di legami che rendono certamente ragionevole una siffatta conclusione, peraltro coerente con quanto riferito da Ti.Da. (là dove questi, cliente del Ri., ha dichiarato, ancorché in relazione ad un fatto avvenuto nei primi mesi del 2015, che il predetto gestore gli aveva garantito di avere parlato allo ZO. delle operazioni "baciate" effettuate dal medesimo Ti., ottenendo dal presidente la rassicurazione che tali operazioni sarebbero state "chiuse", secondo la volontà del cliente). In definitiva, riassumendo: la difesa ha sistematicamente valorizzato elementi tutt'altro che legittimanti, in relazione alla posizione dell'imputato ZO., una lettura della vicenda processuale differente da quella accolta nella sentenza impugnata. Non solo, infatti, nessun dato probatorio addotto a sostegno della tesi difensiva è idoneo a dimostrare la asserita inconsapevolezza, da parte dell'imputato, del "capitale finanziato", ma neppure ad inficiare, indebolendola, la capacità dimostrativa degli elementi raccolti a carico del giudicabile, consentendo una ricostruzione dei fatti alternativa rispetto a quella posta a fondamento dell'ipotesi d'accusa che sia dotata di minima verosimiglianza. In effetti, non v'è alcuna tra le numerose circostanze evocate nell'impugnazione che si ponga in termini di reale incompatibilità (e, a ben vedere, neppure di significativo contrasto) con l'impostazione d'accusa, neppure quella, pure obiettivamente suggestiva, costituita dalla decisione di investire consistenti risorse personali nelle azioni dell'istituto e dalla quale dovrebbe trarsi, a lume di ragione, la mancata consapevolezza del fenomeno del capitale correlato da parte dell'imputato. A tale ultimo riguardo, invero, è agevole osservare, in senso contrario, che lo ZO. era responsabile da anni, al più alto livello, della guida dell'istituto di credito, avendo ispirato tutta la politica industriale e commerciale di B., all'immagine della quale, peraltro, aveva indissolubilmente legato il proprio prestigio di imprenditore e di vero e proprio "rappresentante" del territorio, l'istituto di credito avendo finito per assumere, nell'immaginario locale, a torto o a ragione, i connotati di una sorta di "istituzione" del luogo. Il giudicabile, pertanto, non era minimamente nelle condizioni di liquidare (e neppure di ridurre) le partecipazioni azionarie detenute nella banca, pena la plateale sconfessione di tutta la propria gestione e la conseguente denunzia della condizione di crisi insanabile nella quale tale sconsiderata conduzione aveva precipitato l'istituto di credito. Peraltro, non è inutile osservare, sotto tale profilo, che le evidenze istruttorie hanno restituito il quadro di un imputato che, a lungo e fin quasi alle soglie del deflagrare dello scandalo, ha ritenuto di poter traghettare l'istituto al di fuori della situazione di crisi - evidentemente sottovalutata nella sua gravità - che attanagliava B. e, questo, finanche confidando nella propria capacità di orientare, nel senso auspicato, quella radicale riforma del settore del "credito popolare" che, oramai, si prospettava come ineludibile, tenuto conto della situazione di comune difficoltà che attanagliava l'intero comparto. Per contro, la tesi dell'ignoranza, da parte dell'imputato, non solo delle eclatanti dimensioni del fenomeno del capitale finanziato, ma finanche dell'esistenza stessa di detto fenomeno, tesi che si tenta di accreditare nell'atto di impugnazione (nell'evidente consapevolezza, del resto, che una siffatta conoscenza avrebbe comunque integrato i presupposti per l'adozione di doverose contromisure da parte del soggetto cui istituzionalmente competeva la rappresentanza dell'ente e la conduzione del CdA) contrasta radicalmente tanto con le emergenze probatorie valorizzate dal primo giudice ed in precedenza richiamate, quanto con le evidenze sopravvenute nel corso del giudizio di appello (segnatamente, la chiamata in correità effettuata dal coimputato GI.) e con la relativa, razionale interpretazione. L'unica lettura dei dati disponibili logicamente sostenibile, infatti, orienta univocamente, nei dovuti termini di certezza processuale, nel senso non solo della consapevolezza, in capo all'imputato, della prassi del ricorso al finanziamento dell'acquisto di azioni proprie da parte dell'istituto di credito e delle conseguenti, inevitabili implicazioni delittuose in termini di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, ma anche in quello della cosciente partecipazione dello ZO. a detta operatività delittuosa, in termini di concorso dell'imputato con il d.g., nella decisione di ricorrere a tale prassi nella speranza di superare, in tal modo, la crisi in cui versava B., o comunque, di differirne nel tempo la manifestazione, in tal guisa non compromettendo la propria immagine di presidente simbolo della banca (cfr. in ordine ai requisiti del contributo del compartecipe alla consumazione del delitto di aggiotaggio, consistente anche in un contributo agevolatore tradottosi nel rafforzamento del proposito del correo, Cass. Sez. V, n. 9369 del 20.11.2013, Tonini; ma altrettanto può dirsi, coerentemente con i principi generali in materia di concorso di persone nel reato, con riferimento alle ulteriori ipotesi delittuose contestate). Questo, in considerazione della effettiva co-gestione, da parte dello ZO., dell'istituto di credito, quantomeno con riferimento alle iniziative ed alle decisioni più impegnative, siccome inequivocabilmente delineata dalle acquisizioni istruttorie. 14.1.4.2.3 La partecipazione dello ZO. all'operatività delittuosa: brevi considerazioni conclusive. In altri e decisivi termini - e concludendo sul punto - l'affermazione di penale responsabilità di Zo.Gi. in ordine alla partecipazione del predetto giudicabile alla commissione dei delitti di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto siccome oggetto di addebito non trova affatto semplicistico fondamento nell'astratto richiamo al ruolo di vertice da questi occupato nell'organizzazione gerarchica d'impresa (ovverosia in un elemento che, di per sé, avrebbe potuto unicamente giustificare l'inferenza abduttiva posta a fondamento di una ragionevole ipotesi d'accusa) ed ancora meno, come da ultimo sostenuto dalla difesa (cfr. '"note scritte di discussione", pagg. 47-48), in una acritica adesione, da parte del primo giudice, ad una impostazione d'accusa espressione di una "cripto-contestazione di associazione per delinquere", fondata su elementi evanescenti quali "un alone di generico autoritarismo oppure la "tendenziale nocività per Banca" delle prospettive espansionistiche della strategia d'impresa dell'imputato, bensì riposa saldamente, all'esito della doverosa sperimentazione nell'agone dibattimentale, sull'esito positivo della scrupolosa verifica di siffatta ipotesi. Sono infatti emerse, alla stregua di un variegato panorama probatorio, costituito da elementi logici, dichiarativi e documentali, non solo quella diretta ingerenza dell'imputato nell'attività di gestione dell'istituto di credito che fonda la prova logica delineata sub 14.1.4.2.1, ma anche (in forza di ulteriori, più specifici dati probatori), la effettiva conoscenza e la piena condivisione, da parte del giudicabile, del ricorso ai variegati meccanismi di finanziamento dell'acquisto dei titoli B. attuati dall'alta dirigenza dell'istituto come contromisura per garantire la liquidità del titolo e, più in generale, per assicurare il reperimento del capitale indispensabile onde corrispondere ai requisiti patrimoniali imposti dalla evoluzione della relativa disciplina normativa, al contempo senza rinunziare alla politica di espansione aziendale tenacemente perseguita, contro ogni evidenza, per esplicita volontà dell'imputato medesimo. 14.1.4.3 Il dolo dei reati contestati (terzo motivo di appello). Anche il terzo motivo di impugnazione (numerato sub 4 e trattato alle pagine da 300 a 336 dell'atto di appello e, quindi, compendiato nelle considerazioni conclusive esposte, sul punto, alle pagg. 84 e ss, delle "note scritte di discussione") e specificamente inerente alla contestazione dell'elemento soggettivo dei reati oggetto di addebito non può trovare accoglimento. In effetti, sul punto l'impugnazione non fa che riproporre, in sintesi, leggendole "attraverso le lenti" del dolo, le ragioni esposte a sostegno del precedente motivo di appello in ordine al difetto di consapevolezza, in capo all'imputato, del fenomeno del capitale finanziato e, comunque, dell'entità di tale fenomeno, tale da implicare una alterazione dei coefficienti patrimoniali della banca. Questo, anche sul rilievo della eterogenea natura delle operazioni accomunate nella definizione dì "operazioni correlate" e della difficoltà di esatta definizione del perimetro delle "baciate", perimetro dai consulenti del p.m. individuato in assenza di solidi ancoraggi normativi all'uopo adeguatamente valorizzagli. Ebbene, premesso che, a tale ultimo riguardo, non possono che richiamarsi le considerazioni già spese, sul punto, al precedente paragrafo 12; e considerato, altresì, che questa Corte ritiene di avere testé offerto adeguata contezza della piena consapevolezza, in capo al giudicabile, dell'esistenza e della vastità delle dimensioni del fenomeno in esame, sono sufficienti, in proposito, considerazioni davvero stringate. In particolare, le argomentazioni spese dal primo giudice in ordine alla conoscenza vaga ed aspecifica di detto fenomeno da parte dei coimputati ZI. e PE. (considerazioni, peraltro, che, come si avrà modo di precisare, non si attagliano affatto alla posizione del predetto PE.) non possono certo essere estese alla posizione del presidente, ove si abbia attenzione al ruolo da quest'ultimo in concreto ricoperto (profilo, questo, che sarebbe davvero ultroneo ripercorrere nuovamente) di soggetto che concorreva, nell'ambito di uno stretto sodalizio operativo con il d.g. So., nella "gestione informata" dell'istituto. In definitiva, l'"avallo" delle decisioni del So. al quale ha fatto ripetutamente riferimento l'appellante, censurando la genericità di siffatta espressione contenuta nell'imputazione, va necessariamente letto, alla stregua delle complessive evidenze disponibili, nei termini di una vera e propria "copertura", ovverosia di una consapevole approvazione delle scelte operative delittuose che orientavano la gestione del d.g.. E tale, a ben vedere, è stata l'interpretazione offertane dal primo giudice, sicché, nella sentenza impugnata, sul punto, non è dato ravvisare alcuna incertezza. Di qui l'inconsistenza, in punto di fatto, delle obiezioni difensive (astrattamente del tutto condivisibili) in ordine alla necessità che, nell'oggetto del dolo, rientri la conoscenza dei "dati falsi" (e, quindi, dell'esistenza e dell'entità delle operazioni correlate). Certamente, l'imputato non era aggiornato "in tempo reale" dell'esatto ammontare e delle variazioni di tali dati; né, del resto, sarebbe stato possibile che ciò avvenisse (considerazione che vale, peraltro, per lo stesso d.g. So.), trattandosi, com'è evidente, di elementi suscettibili di variazioni continue che non potevano certo essere monitorate ininterrottamente dai vertici aziendali. Tuttavia, la conoscenza, da parte del presidente dell'istituto di credito, dell'entità eclatante del fenomeno in esame (tale da comportare l'alterazione dei valori patrimoniali del bilancio, dei titoli B., delle informazioni contenute nei prospetti relativi agli aumenti di capitale e di quelle fornite alle autorità di vigilanza) è conclusione che non può essere seriamente revocata in dubbio e che necessariamente discende dal pieno, consapevole coinvolgimento di ZO. nella decisione di ricorrere massicciamente al finanziamento dell'acquisto delle azioni B. al fine di evitare la deflaorazione della crisi dell'istituto. Si è infatti trattato - e va ancora una volta ribadito - di una decisione adottata ai massimi livelli della "catena di comando" dell'istituto di credito come unica contromisura praticabile per scongiurare (o, almeno, differire) il default della banca, nella speranza - della quale v'è pieno riscontro proprio nelle parole del presidente ZO. (il riferimento è alla ripetutamente evocata trascrizione della seduta del CdA 511.2013) - che, prendendo tempo, si concretizzasse quella radicale riforma del settore che avrebbe potuto offrire una via d'uscita dalla crisi. E ciò fa giustizia, ancora una volta sul piano della concretezza delle evidenze disponibili, delle considerazioni difensive (acute e, in linea teorica, anch'esse del tutto condivisibili) in ordine alla necessità della effettiva conoscenza del fenomeno in esame e delle sue dimensioni (o, quantomeno, di "precipui e specifici" segnali d'allarme in tal senso) affinché la responsabilità dolosa non degradi in un rimprovero sostanzialmente colposo. Nessuna incertezza è possibile fondatamente nutrire circa la consapevolezza, in capo all'imputato, del massiccio ricorso allo strumento dei finanziamenti correlati. Nessuno stato di dubbio, al riguardo, può anche solo ragionevolmente ipotizzarsi. E, questo, occorre rimarcarlo, in ragione di quel pieno coinvolgimento del presidente nella decisione di ricorrere al capitale finanziato per assicurare la liquidità del titolo B., sostenere il valore dell'azione e recuperare surrettiziamente capitale ai fini del rispetto dei requisiti di vigilanza, coinvolgimento, del quale s'è in precedenza dato conto (senza indulgere affatto - si ritiene - nell'"applicazione pigra" dei "meccanismi presuntivi" denunciati dalla difesa), che inevitabilmente implicava la consapevole, volontaria adesione: - tanto alla diffusione di notizie false ed al compimento di operazioni simulate idonee a provocare una sensibile alterazione del prezzo del titolo B. e, in tal guisa, ad incidere in modo significativo sull'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale della banca; - quanto (e conseguentemente) alle condotte decettive poste in essere, nei confronti degli organi di vigilanza, allo scopo di occultare l'esistenza del capitale finanziato, onde potere proseguire indisturbati in tale dissennata prassi operativa. Donde il ricorrere, nell'agire del giudicabile, degli estremi tutti del dolo (peraltro generico, quanto alle fattispecie ex art. 2637, 2638 co.2 c.p. - cfr. con riferimento all'aggiotaggio, Cass. Sez. V, n. 28932 del 4.5.20122 Ta. e altri, Cass. Sez. III, n. 880 del 17.3.1966, Gualco; specifico, quanto all'ipotesi ex art. 2638 co. 1 c.c. - Cass. Sez. V, n. 21067 dell'11.3.2004, Do., ipotesi, questa, peraltro, non rilevante nel presente giudizio, potendosi ravvisare unicamente la fattispecie di cui al secondo comma dell'art. 2638 c.c., come precisato al precedente paragrafo 9) richiesto dalle fattispecie incriminatrici di riferimento. 14.1.4.4 Il trattamento sanzionatorio (quarto motivo di appello) Quanto al quarto motivo di gravame (numerato sub 5 e trattato alle pagine da 336 a 344 dell'impugnazione), inerente al trattamento sanzionatorio, la doglianza è parzialmente fondata, nei termini di seguito esposti. Il tribunale, nel l'orientare l'esercizio della discrezionalità in punto di dosimetria della sanzione, ha valorizzato, quanto allo ZO., il ruolo egemonico da questi esercitato sul management e sugli organi sociali della banca, in ciò individuando le ragioni di una pena base più alta rispetto a quella riservata ai correi. Trattasi di aspetto che non può essere trascurato. Nondimeno, al doveroso apprezzamento della posizione di predominio concretamente rivestita dall'imputato all'interno dell'ente bancario (ben oltre - come s'è visto - rispetto al ruolo, pure apicale, a questi riconosciuto dall'organigramma aziendale) non può non accompagnarsi, nell'ambito di una valutazione debitamente ispirata all'esigenza di calibrare la risposta punitiva al complessivo profilo del giudicabile, la considerazione delle seguenti circostanze. Si è in presenza, anzitutto, di soggetto anziano, immune da pregiudizi di sorta, il quale ha guidato a lungo - e, per molto tempo, con successo - un istituto di credito divenuto, da piccola banca di provincia, uno tra i più importanti enti creditizi del panorama nazionale. Parallelamente, il giudicabile ha esercitato brillantemente, per decenni, senza incorrere in violazioni di sorta, l'attività di impresa in settore tutt'affatto differente. E' certamente vero, poi, che lo ZO., a fronte delle difficoltà ingravescenti nelle quali, dopo la notoria crisi del settore bancario, versava anche B., non ha in alcun modo inteso prendere atto - e in ciò, a ben vedere, va individuata la sua "colpa d'origine" - della necessità dì un serio ridimensionamento delle ambizioni che ne avevano orientato T'espansionistica" politica d'impresa; ed è altrettanto vero che, in luogo di gestire prudentemente tale situazione di difficoltà, ponendo in essere una sorta di "ripiegamento strategico" in attesa di tempi migliori, ha preferito optare, in concorso con il So. e trascinando al seguito l'alta dirigenza della banca, per lo sconsiderato, sistematico ricorso ai finanziamenti correlati (peraltro incrementando una prassi non ignota allo stesso istituto di credito e, più in generale, al circuito delle "popolari"), con tutte le conseguenti implicazioni di penale rilevanza che si sono viste. Tuttavia, l'imputato ha agito in tal guisa essendo sempre convinto - ancorché, da un certo momento in avanti, in modo, obiettivamente, del tutto irrazionale - che il default della banca potesse essere comunque scongiurato e senza mai essere animato (al pari dei coimputati, del resto) da finalità di locupletazione personale. Peraltro, mai il giudicabile ha fatto ricorso a finanziamenti correlati e, anzi - s'è detto anche questo - ha personalmente iniettato liquidità molto consistenti nella banca (sebbene vi sia stato sostanzialmente costretto anche dall'esigenza dì non adottare condotte di "disimpegno", ovvero di tiepida adesione, che sarebbero sinistramente suonate, all'esterno, come inequivoco sintomo di un imminente crollo). Il comportamento processuale, infine, è stato esemplare, avendo costui presenziato a tutte le udienze, nonostante l'età oltremodo avanzata. In definitiva, se la posizione dell'imputato è stata differente rispetto a quella dei correi sotto il profilo della responsabilità delle scelte di fondo (ma non, ovviamente, sotto quello dell'operatività concreta, necessariamente riservata al management), ciò appare comunque "compensato" dalle peculiari caratteristiche soggettive del giudicabile testé evocate (oltre che dal concreto protagonismo dei coimputati nell'attuazione della prassi delle "baciate"). Di qui la irrogazione del medesimo trattamento sanzionatorio riservato ai correi (fatta eccezione per GI. e fatte salve le diversità riferibili, quanto, al MA., alle disposte parziali assoluzioni derivanti dalle peculiarità del caso). Ciò detto, non v'è spazio per il riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di prevalenza, ostandovi l'entità eclatante dei danni cagionati e non emergendo elementi (ulteriori rispetto a quelli già valorizzati ex art, 133 c.p.) all'uopo proficuamente spendibili. Conseguentemente stima questa Corte equo determinare la sanzione complessiva nella misura di anni tre e mesi undici di reclusione, così determinata: pena base in relazione al reato di cui al capo H1, più grave, anni tre di reclusione, aumentata di complessivi mesi undici per i reati satellite (con aumenti, segnatamente, di mesi uno e giorni 15 per ciascuno degli ulteriori reati di ostacolo di cui ai capi B1, C1, D1, E1, F1, GÃ?, M1 e di giorni 15 per il residuo reato di aggiotaggio sub Al). Questo, con la precisazione che l'aumento per la continuazione, nella misura di mesi uno e giorni quindici di reclusione, in relazione ai reati di ostacolo di cui a ciascun capo di imputazione, consegue alla individuazione di un solo reato, anziché di due episodi delittuosi, per ogni annualità di riferimento, donde la riduzione alla metà dell'aumento, pari a mesi tre di reclusione, già individuato dal primo giudice. Deve, infatti, evidenziarsi, come già detto supra, che in maniera del tutto illogica e incoerente il primo giudice, senza spiegarne le ragioni, ha applicato la medesima pena sia con riferimento agli anni per i quali ha individuato una duplicità di reati, sia per gli anni nei quali ha invece ravvisato la sussistenza di un unico reato (aumento di mesi tre di reclusione), provvedendo, però, poi, a diversificare in concreto la pena negli anni in cui ha ravvisato una duplicità di violazioni, anni nei quali ha invece quantificato in un mese e quindici giorni di reclusione la pena per ciascun reato, con la conseguenza che, in modo assolutamente irrazionale è stata applicata alternativamente una pena diversa (a volte mesi tre di reclusione e a volte giorni quarantacinque di reclusione) per violazioni che palesemente rivestono sempre il medesimo disvalore. Donde la necessità, per il giudice di appello, al fine di riportare a coerenza la determinazione della pena, di applicare un trattamento sanzionatorio omogeneo per tutte le violazioni commesse nei diversi anni, con conseguente quantificazione della pena, in assenza di impugnazioni della Procura riguardo al trattamento sanzionatorio, in quella, di misura minora, di mesi uno e giorni quindici, ovvero in quella che in alcuni casi è stata individuata come pena equa da parte del primo giudice. L'aumento per la continuazione in relazione all'episodio residuo di aggiotaggio, infine, resta invariato. 14.1.4.5 Ancora sul trattamento sanzionatorio (quarto motivo di appello). L'asserita violazione dei principi del nemo tenetur se detegere e del divieto di bis in idem sostanziale. Le ulteriori doglianze inerenti al trattamento sanzionatorio, formulate con specifico riferimento alla asserita violazione dei principi del nemo tenetur se detegere e del divieto di bis in idem sostanziale (ed articolate nella "prosecuzione" del quarto motivo di appello, sub 6, alle pagine 346-362 dell'impugnazione), sono infondate. E, sul punto, non può che rinviarsi a quanto già esposto nel relativo paragrafo. 14.1.4.6 La confisca (quinto motivo di appello) Il quinto motivo di appello (trattato al paragrafo 7 dell'atto di impugnazione, alle pagine 363-376 dell'atto di impugnazione) è fondato. Come s'è visto, l'appellante contesta la legittimità della confisca per equivalente - disposta dal tribunale per un ammontare pari all'entità dei finanziamenti erogati per le operazioni "baciate" (considerando tali finanziamenti come i "beni utilizzati per commettere il reato", alla stregua della lettera dell'art. 2641 c.c. e delle considerazioni svolte, sul punto, dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza 112/19) - per una duplicità di, ragioni (peraltro ribadite e compendiate, da ultimo, nella memoria 28.9.2022) e, segnatamente: - in primo luogo, sul rilievo della mancata previa verifica della concreta praticabilità della confisca diretta. Nella prospettiva dell'appellante, infatti, resistenza di una procedura concorsuale non avrebbe affatto precluso la confisca diretta dei beni della società (Cass. Sez. V, 21.1.2020, n. 5400; Cass. Sez. n. 6391 del 4-18.2.2021), tenuto conto, peraltro, da un lato, che, con riferimento al supposto "conflitto" ravvisabile tra il vincolo imposto dall'apertura della procedura e quello discendente dal sequestro, la giurisprudenza di legittimità aveva avuto modo di affermare la prevalenza del vincolo del sequestro (Cass. Sez. III, 18.1.2020, n. 15776); e, dall'altro, che neppure era dato ravvisare, nell'ipotesi in questione, l'ostacolo della riferibilità dei beni da sottoporre a confisca a soggetto estraneo al reato, avendo l'istituto di credito pacificamente tratto profitto dalla commissione dei reati; - in secondo luogo (ed in ogni caso) in considerazione del fatto che sottoporre a confisca i finanziamenti concessi dalla B. per l'acquisto delle azioni proprie in quanto "beni utilizzati" per commettere i reati di cui agli artt. 2637, 2638 c.c., avrebbe comportato la violazione dei principi costituzionali: la natura sostanzialmente punitiva della confisca (già espressamente evidenziata dal giudice delle leggi, con riferimento all'illecito amministrativo ex art. 187 bis TUF, nella sentenza 112/19) imporrebbe, infatti, l'adozione di una interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni di riferimento (2641 c. 1, 2 c.c.), con conseguente revoca della confisca disposta nei confronti di Zo.Gi., esito, questo, del resto, da ultimo avvalorato, come si precisa nei motivi nuovi, dalla recente modifica legislativa dell'art. 187 TUF per effetto della Legge Europea 238/21 (là dove è stato escluso che possa disporsi la confisca del prodotto del reato di abuso finanziario nonché dei beni utilizzati per commetterlo), essendosi in presenza di innovazione legislativa inequivocabilmente attestante come, anche in materia penale, la confisca non possa eccedere il profitto dell'illecito. Ulteriore profilo di illegittimità costituzionale, poi, sarebbe ravvisabile nella "rigidità" del criterio di quantificazione dell'oggetto della confisca, trattandosi di criterio non commisurato alla condotta del reo e non proporzionato al profitto eventualmente da questi conseguito, con violazione, quindi, dei parametri di cui agli artt. 3, 27 Cost.. Ebbene, se il primo argomento agitato nell'impugnazione è infondato (dovendosi aderire, in presenza di tema controverso nella stessa giurisprudenza di legittimità, all'orientamento incline a ritenere non aggredibili le somme riferibili a B. in quanto non più nella disponibilità della/ società, bensì vincolate dalla procedura concorsuale, con conseguente impossibilità di ablazione in via diretta nei confronti della persona giuridica, da equipararsi ad un soggetto terzo per effetto dello spossessamelo causato dal fallimento (cfr Cass. Sez. II, n. 19682 del 13.4.2022, dep. 19,5.2022 Os. più altri; cfr. altresì, Cass. Sez. 3 -, n. 14766 del 26/02/2020, PM. c/ Sa.Lu., Cass. Sez. 3 n. 47299 del 16/11/2021, Fallimento Be. srl, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 45574 del 29/05/2018, Cass. Sez. 3, n. 51462 del 04/10/2019, PM in proc. Sa., non mass.), colgono nel segno le ulteriori riflessioni là dove è stata evidenziata la marcata frizione, nel caso di specie, della disposizione ex art. 2641 c.c., con i principi costituzionali. Al riguardo, infatti, deve premettersi che, in forza delle univoche indicazioni fornite tanto dai Giudice delle leggi (cfr. Corte Cost. 112/19) che da quello della nomofilachia (cfr. Cass. Sez. V, n. 42778 del 26,5,2017, dep. 19.9.2017, Consoli e altro), costituisce oramai ius receptum il principio secondo il quale, nei reati finanziari, i beni utilizzati per commettere i reati siano costituiti dalle somme di denaro investite nelle operazioni all'origine della commissione delle attività criminose. Sicché le perplessità che pure non sarebbe irragionevole nutrire sul punto (segnatamente, in ragione della obiettiva difficoltà di applicare a tale categoria di reati, connotati da evidenti profili di "immaterialità", una nozione - quella, per l'appunto, di beni strumentali rispetto alla commissione dei reati - che pare presupporre il ben più diretto rapporto di "strumentalità" proprio dei consueti instrumenta sceleris) debbono, necessariamente, essere accantonate. Del tutto fuori discussione, poi, alla luce di approdi oramai condivisi e consolidati della riflessione giuridica in materia, tanto costituzionale (Corte Cost. ordinanza 97/09) che di legittimità (Cass. Sez. Un, 25.6.2009, 38691; Cass. Sez. Un. 31.1.2013, n. 18374, cass. Sez. III, n. 11086 del 4.2.2022, Pu., cass, Sez. III, n. 39950, 8.5.2021, Ca., Cass. Sez. III, n. / 33429 del 4.3.2021, Ub.) è la natura sanzionatoria della confisca per/ equivalente. Ebbene, se tali premesse sono fondate - e, per quanto detto, non pare possibile opinare diversamente - l'obiezione difensiva va condivisa. In effetti, qualora i "beni utilizzati" per commettere il reato siano costituiti da somme di denaro (peraltro, nella specie, di entità elevatissima) costituenti provviste non già nella originaria disponibilità degli imputati, bensì, come nel caso sub iudice, di soggetto terzo B., disporre la confisca per equivalente nei confronti degli imputati significherebbe adottare un provvedimento sanzionatorio manifestamente sproporzionato, oltre che del tutto disancorato, per l'automaticità del relativo criterio di commisurazione, dal disvalore dell'illecito (nonché dei singoli contributi concorsuali), con conseguente violazione dei principi costituzionali in materia di rieducazione del condannato, essendo ragionevolmente applicabili al caso di specie le riflessioni svolte dalla Corte Costituzionale nella evocata sentenza 112/19 e, più in generale, le considerazioni espresse, in materia di requisiti della pena (segnatamente, con riferimento ai parametri ex artt. 3 e 27, co. 1, 3 Cost.), nelle precedenti pronunce del Giudice delle leggi. In definitiva, a venire in rilievo, nella peculiarità della vicenda sub iudice, ad avviso di questa Corte territoriale, è l'eclatante sproporzione tra l'afflittività insita nel provvedimento ablatorio disposto dal tribunale e la condotta posta in essere dagli imputati, condotta che, per quanto grave, è già adeguatamente punita dall'apparato sanzionatorio detentivo di riferimento, tale da prevedere una ampia forbice edittale del tutto idonea ad assicurare che la risposta punitiva sia doverosamente calibrata rispetto all'entità dell'offesa arrecata dal reato al bene giuridico presidiato dalla fattispecie incriminatrice e al contributo offerto da ciascun correo alla perpetrazione dei delitti. In definitiva, aggiungere alla pena detentiva prevista dalle fattispecie di reato una tanto smisurata sanzione significherebbe "sfregiare" il "volto costituzionale" di quest'ultima, che, per essere effettivamente orientata alla rieducazione secondo le coordinate imposte ex art, 27 Cost., deve necessariamente caratterizzarsi per intrinseci requisiti di proporzione e ragionevolezza. A fortiori ove si consideri che, nel caso di specie, gli imputati non hanno tratto alcun profitto economicamente valutabile dalla commissione dei reati, avendo operato, utilizzando risorse dell'istituto, nell'interesse esclusivo di B. (profilo, questo, che sarà più approfonditamente affrontato nel trattare dell'appello proposto nell'interesse dell'ente), ancorché - come pure è evidente - sì sia trattato di una "lettura" dell'interesse della banca t radicalmente contraria al rispetto di quelle regole di sana e prudente gestione che avrebbero dovuto orientarli nella conduzione dell'istituto di credito. In siffatta prospettiva, quindi, non ogni risorsa economica andrebbe esclusa dal novero "dei beni utilizzati per commettere il reato" suscettibili di confisca per equivalente, bensì le sole somme che, per la loro entità eclatante e, soprattutto, per la loro non riferibilità all'imputato, bensì ad un soggetto terzo, non potrebbero essere apprese, per un ammontare pari al loro valore, senza che ciò implichi l'irrogazione di una sanzione "incostituzionale" per le ragioni anzidette, tenuto conto dell'apparato sanzionatorio detentivo già direttamente previsto per le fattispecie di riferimento. E, nella peculiare vicenda sub iudice, l'ammontare esorbitante (963,000.000 di euro) dell'importo al quale è stata parametrata la confisca per equivalente - e, quindi, la sproporzione di una sanzione che implicasse, oltre alla irrogazione della sanzione detentiva, anche il suddetto provvedimento ablatorio - è tale da non richiedere ulteriori precisazioni, tanto più ove - nel solco di quanto evidenziato, sia pure con opposta finalità191, dalla parte civile Banca d'Italia - si ipotizzasse di ricorrere all'indice di ragguaglio ex art. 135 c.p.. Operando in tal guisa, infatti, l'importo in questione risulterebbe equivalere ad una durata della reclusione pressoché incalcolabile, immensamente superiore rispetto a quella (30 anni di reclusione, pari a "soli" 2.700.000 Euro circa) prevista dall'ordinamento quale limite massimo della pena detentiva (ad esclusione dell'ergastolo, beninteso), con la conseguenza che la lesione del bene giuridico - pure, com'è evidente, di indubbio rilievo - della tutela della solidità e della affidabilità del mercato e dei sistemi bancari, finirebbe per trovare una risposta sanzionatoria incommensurabilmente superiore a quello della stessa vita (sempre fatta eccezione per le ipotesi di delitti puniti con la pena dell'ergastolo), esito, questo, tanto irragionevole da non richiedere, sul punto, ulteriori commenti. Senza contare, infine, la mancanza dì razionalità e di efficacia (anche sul piano della prevenzione) di una sanzione di fatto inesigibile. Considerazioni più articolate, invece, si impongono con riferimento ai rimedi approntati dall'ordinamento per ricondurre nell'alveo della proporzione la sanzione irrogata. Al riguardo, l'appellante ha suggerito la proposizione di questione di legittimità costituzionale ovvero, in via gradata, ha sollecitato una interpretazione costituzionalmente orientata che dovrebbe condurre alla revoca della confisca. Ed è proprio quest'ultima la strada che si ritiene qui praticabile, attraverso una interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata che, come si dirà, conduce alla diretta disapplicazione della disposizione ex art. 2641 c.c.. In proposito, infatti, va precisato che disporre, nel caso di specie, la confisca per equivalente non solo confliggerebbe con i principi costituzionali in precedenza evocati, ma si porrebbe anche in diretto contrasto con quelli convenzionali e, segnatamente, con la disposizione di cui all'art. 49, par. 3 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea, disposizione che - veicolata, com'è noto, nell'ordinamento interno attraverso l'art. 117 Cost. - prescrive, per l'appunto, che le pene debbano essere proporzionate rispetto al reato. Se ciò corrisponde al vero, la soluzione più appropriata non potrà essere, ad avviso di questa Corte, quella della proposizione di incidente di costituzionalità (peraltro, fino a tempi recentissimi, costantemente ritenuto inammissibile dalla Corte Costituzionale là dove l'art. 49 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea fosse stato evocato per denunziare l'illegittimità di norma non rientrante tra le materie del "diritto europeo" - cfr., da ultimo, sentenza Corte Costituzionale 30/2021), bensì, nel solco della recentissima sentenza della Grande Sezione della Corte GUE 8.3.2022 nel procedimento C-205/20 (e col conforto dei conformi opinamenti di autorevole dottrina che ha avuto modo di sottolineare la portata radicalmente innovativa di tale pronunzia), la diretta disapplicazione della disposizione ex art. 2641 c.c.. Nella citata sentenza, infatti, mutando il precedente orientamento in materia (espresso da Corte GUE, VA sezione, sentenza C-384/17 nel caso "Li.") la Corte di Lussemburgo ha precisato come, qualora le disposizioni nazionali contrastino con il principio di proporzionalità della sanzione, avente valore "imperativo", spetti al giudice nazionale garantire la piena efficacia di tale principio, con l'effetto che, ove non vi sia spazio per procedere a un'interpretazione della normativa nazionale conforme a tale requisito, dovrà "disapplicare, di propria iniziativa, le disposizioni nazionali che appaiono incompatibili con quest'ultimo", in modo da giungere/alla irrogazione di sanzioni proporzionate che permangano, al contempo, effettive e dissuasive. Né può ritenersi che ostino a tale disapplicazione i principi di certezza del diritto e di legalità delle pene, ove si consideri, per un verso, che il primo non è affatto compromesso dell'esigenza di adeguare la sanzione secondo le insopprimibili esigenze di proporzione; e, per altro verso, che il secondo costituisce limite invocabile unicamente pro reo (sicché sarebbero evocate davvero a sproposito, nel caso in esame, le pronunce inerenti alla nota vicenda "Ta.", nella quale si discuteva della possibilità di applicare sanzioni penali a carico dell'imputato nonostante fosse maturato il termine di prescrizione del reato secondo le regole del diritto nazionale). Trattasi, peraltro, di interpretazione che, ad avviso di questa Corte, riceve ulteriore conferma anche dalla più recente evoluzione normativa sovra nazionale. Intende farsi riferimento al Regolamento (come tale self executing) 1805/18 UE - peraltro successivo, quanto alla sua entrata in vigore, tanto alla sentenza della Corte Costituzionale 112/19 quanto alle Sentenze Consoli della Suprema Corte, in quanto pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea il 28 novembre 2018 ma applicabile dal 19 dicembre 2020 - che, intervenendo in materia di "cooperazione internazionale", ha stabilito un principio di portata generale proprio in tema di confisca, là dove ha previsto quanto segue - nel considerando n. 21, nell'art. 1 par. 3 e nella norma di chiusura contenuta all'art. 41 - in ordine a tutti i provvedimenti giurisdizionali di confisca e di congelamento (id est sequestro) emessi da Stati membri: - considerando n. 21: "Nell'emettere un provvedimento di congelamento o un provvedimento di confisca, l'autorità di emissione dovrebbe assicurare il rispetto dei " principi di necessità e di proporzionalità. A norma del presente regolamento, un provvedimento di congelamento o un provvedimento di confisca dovrebbe essere emesso e trasmesso all'autorità di esecuzione di un altro Stato membro solo se avrebbe potuto essere emesso e utilizzato unicamente in un caso interno, L'autorità di emissione dovrebbe essere responsabile di valutare sempre fa necessità e la proporzionalità di tali provvedimenti, dal momento che il riconoscimento e l'esecuzione di provvedimenti di congelamento e di provvedimenti di confisca non dovrebbero essere rifiutati per motivi diversi da quelli previsti dai presente regolamento"; - art. 1 par. 3: "Nell'emettere un provvedimento di congelamento o un provvedimento di confisca, le autorità di emissione assicurano il rispetto dei principi di necessità e di proporzionalità"; - art. 41: "Il presente regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile negli Stati membri conformemente ai trattati". Si è dunque di fronte all'enunciazione - in forma generale e diretta - dì un principio di proporzionalità che tutti i provvedimenti aventi questa natura debbono rispettare necessariamente. In effetti, tale regolamento 1805/18 UE (oltre a costituire una base normativa in grado di superare la tradizionale obiezione della Corte Costituzionale siccome in precedenza evocata), offre un formidabile riscontro di diritto positivo in ordine alla praticabilità della soluzione, indicata dalla Grande Sezione della Corte GUE nella citata pronunzia, della disapplicazione diretta della norma interna, foriera, ove applicata dai giudici nazionali nel caso oggetto di giudizio, della irrogazione di sanzione sproporzionata. Ora, non sfugge di certo a questa Corte che una siffatta disapplicazione (come segnalato da una autorevole dottrina, peraltro concorde nell'interpretazione della facoltà di diretta disapplicazione di sanzioni penali sproporzionate riconosciuta ai giudici nazionali per effetto della sentenza della Grande sezione della Corte GUE in precedenza evocata) potrebbe essere foriera, nell'immediato, di quelle incertezze e disparità di trattamento inevitabilmente conseguenti a decisioni adottate dalle singole autorità giudiziarie, prive, in quanto tali, di efficacia erga omnes; e che, diversamente, la proposizione di eccezione di incostituzionalità potrebbe consentire alla Corte Costituzionale, che dovesse convenire con il giudice remittente, di intervenire, anche "chirurgicamente", sulla disposizione "incriminata". Nondimeno, si tratterebbe di una soluzione in contrasto quanto enunciato dalla citata pronunzia della Corte GUE, che, nel rispetto del primato del diritto sovranazionale, impone alle autorità giudiziarie nazionali di assicurare che venga data celere attuazione al principio di proporzione del trattamento sanzionatorio. Un ultimo cenno, infine, va dedicato alle ragioni all'origine della decisione di questa Corte di procedere alla integrale disapplicazione della confisca e non già ad una riduzione del relativo ammontare. Ebbene, trattasi dì decisione che si impone proprio in considerazione: - da un lato, della già evidenziata piena idoneità del trattamento sanzionatorio "principale" (quello, per intendersi, costituito dalla sanzione detentiva prevista per i reati in contestazione) ad esaurire adeguatamente la risposta punitiva dello Stato nel rispetto della suddetta esigenza di proporzione rispetto alle singole responsabilità; - e, dall'altro lato, dell'assenza di profitto alcuno suscettibile di valutazione economica al quale ancorare l'individuazione di una corrispondente quantificazione dell'importo da sottoporre a confisca che sia stato tratto, oltre che dalla banca (al di là - come precisato dal tribunale - dell'utilità derivante a B. dal reato di cui al capo N1 e già "coperta" dalla confisca disposta, per il corrispondente valore, nei confronti dell'ente, come si dirà più oltre), dagli stessi imputati. Di qui, in accoglimento del relativo motivo di appello, la revoca della confisca disposta, per l'ammontare di 963 milioni di Euro, nei confronti dello ZO. (e dei coimputati). 14.1.4.7 La rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale (sesto motivo di appello) Sulla richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale si rinvia a quanto evidenziato nella relativa ordinanza di questa Corte in data 18.5.2022. 14.1.5 L'appello nell'interesse di Zi.Gi. L'appello è infondato. La difesa di Zi.Gi., come s'è detto, sostiene che tale imputato non avrebbe fornito contributo alcuno alla commissione dei reati in esame. Questo, sul presupposto che le operazioni di acquisto di azioni B. effettuate dal predetto imputato tanto sul mercato secondario, nel 2012, quanto, l'anno successivo, su quello primario, in sede di Aucap 2013, non rientrerebbero nel novero delle operazioni correlate. Più nel dettaglio, richiamate le considerazioni critiche svolte, sul punto, dai consulenti degli imputati prof. Pe. e prof. Gu. in relazione alla necessità, perché possa ravvisarsi la "correlazione", per un verso, della sussistenza del "nesso teleologico" tra finanziamento ed acquisto dei titoli e, per altro verso, dell'assenza di merito creditizio in capo all'investitore, l'appellante ha in primo luogo contestato, per le ragioni già evidenziate, fa natura correlata dell'operazione di acquisto di azioni B. per il controvalore di 10 milioni di Euro effettuata da Ze. s.r.l. nel 2012. Trattasi di obiezione inconsistente. In effetti, tenuto conto del perimetro delle operazioni correlate siccome tracciato nel relativo paragrafo (là dove si è evidenziato il carattere essenzialmente oggettivo dei parametri interpretativi di riferimento) e rinviando, comunque, con specifico riferimento ai concreti connotati delle operazioni di acquisto/sottoscrizione di azioni B. effettuate dallo Zi. con fondi all'uopo messigli a disposizione dall'istituto di credito, a quanto più oltre meglio precisato in proposito nel trattare l'appello proposto dal p.m. (cfr. infra), sono sufficienti, sul punto, le considerazioni che seguono. Innanzitutto, va precisato come la circostanza che il finanziamento di 12,5 milioni di Euro erogato, nel 2012, da B. a Ze. s.r.l. fosse inequivocabilmente finalizzato anche a consentire l'acquisto delle quote di Ar. (per un valore di 2,5 milioni di euro) - il tutto, nelle intenzioni dell'imputato, nell'ambito della programmazione di ulteriori investimenti, peraltro, all'epoca, non ancora definiti (come, del resto, indicato nella relativa "pef") - costituisca elemento palesemente inidoneo ad escludere la natura "correlata" dell'operazione in esame. Questo ove si consideri, per l'appunto, che larghissima parte del credito (10 milioni su 12,5) è stato effettivamente concesso ed utilizzato proprio per l'acquisto di azioni B.. Ciò inequivocabilmente si ricava, innanzitutto, come osservato dal tribunale, dal complessivo tenore delle deposizioni rese dai testi Ma., Ba., Cr. e Ba., le dichiarazioni dei quali, del resto, hanno trovato puntuale riscontro negli elementi di natura documentale, acquisiti al giudizio ed anch'essi puntualmente evocati dal primo giudice. Non v'è dubbio, infatti, che la ricostruzione dell'operazione in questione siccome complessivamente delineata dalle citate deposizioni trovi inequivoco conforto, in primo luogo, nel più favorevole trattamento relativo agli interessi previsti con riferimento alla maggior "quota" di credito destinato all'acquisto dei titoli della banca (rispetto a quelli pattuiti relativamente alla parte di fido concesso per l'acquisto delle quote di Ar.) e, in secondo luogo, nella previsione del relativo "storno". Trattasi, in effetti, di circostanze univocamente dimostrate: - dalla richiesta di storno (peraltro per l'importo, assai consistente, di oltre 112 mila euro); - dal documento "storia azioni "extra" ad aprile 2015" predisposto da Zi.Gi. e contenente un chiaro riferimento alla "doppia contabilizzazione degli interessi"; - dal prospetto riassuntivo estratto dal computer presente presso la sede della predetta Ze. s.r.l.; - oltre che dall'esplicito riferimento alla previsione del relativo rimborso contenuto nelle comunicazioni inviate dalla società dell'imputato, ovverosia da una sequela di convergenti elementi documentali l'esatta interpretazione dei quali è stata puntualmente offerta nella sentenza impugnata che, pertanto, sul punto, va integralmente richiamata. A ben vedere, infatti, le contrarie considerazioni svolte nell'atto di appello (segnatamente, alle pagine 21-23) appaiono davvero pretestuose, ove si consideri: - quanto al tenore degli SMS nn.ri 661 e 665, che, diversamente dalla lettura offertane dall'appellante, si è in presenza di comunicazioni il contenuto delle quali (sms 661, inviato da Gi. a So.; "faccio anche Zi., Ma. d'accordo, Vedi problemi? li fratello ha già in atto operazione"; sms 665, inviato da Ma. a So.; "ti ricordo Zi. di parlarne al presidente per il fido da farsi sulla sua finanziaria"), ove letto alla luce della complessiva prassi operativa disvelata dall'istruttoria dibattimentale - ivi comprese le dichiarazioni, più oltre meglio richiamate, rese dal coimputato GI. (anche con riferimento al ruolo svolto dal MA. nella presentazione delle pratiche di finanziamento inerente alle più consistenti operazioni baciate) - è esattamente coerente con la natura correlata dell'operazione in questione; - quanto alla tabella di cui al citato documento n. 737, per un verso, che il rinvenimento di detto documento nel computer di Ze. s.r.l. priva di ogni rilievo la mancata identificazione del soggetto che ebbe materialmente a redigerlo; e, per altro verso, che il suo contenuto - e, soprattutto, la peculiare natura dell'operazione in questione (trattandosi, secondo l'immaginifico gergo talvolta adottato al riguardo, di c.d., "baciata parziale") - rende davvero trascurabile l'osservazione difensiva - peraltro dall'appellante ancorata alle dichiarazioni del coimputato MA. (cfr, atto di appello, pag. 23) - in ordine alla prassi relativa al riconoscimento di un unico tasso di interesse per ciascuna linea di credito; - quanto alla mail di cui al documento n. 121 della produzione del p.m., che le relative osservazioni difensive (relative, segnatamente, alla possibilità di attribuire significato alla lamentela ivi esposta circa l'imposta di bollo unicamente con riferimento ad una richiesta di mitigazione dei tassi e non già di rimborso degli stessi) hanno assai scarsa rilevanza, posto, da un lato, che dette osservazioni si scontrano con il tenore letterale della comunicazione in questione (che, per l'appunto, contiene un espresso riferimento al "rimborso a suo tempo concordato") e, dall'altro lato, che l'effettivo assetto di interessi concordato aveva ad oggetto l'impegno, per l'appunto, alla integrale restituzione degli interessi (si vedano, sul punto, oltre alle dichiarazioni del GI., più oltre richiamate, le considerazioni svolte, nel trattare l'appello del P.M., con riferimento alla natura delle operazioni concluse dallo ZI. con B.); - quanto, infine, al memoriale redatto dall'imputato di cui al documento n. 731 della produzione del p.m., che le spiegazioni fornite, al riguardo, dallo stesso ZI. in sede di esame (là dove questi ha sostenuto di essere incorso in un errore nella rievocazione dei fatti con riferimento alla loro collocazione temporale), oltre ad essere assai confuse, confliggono, anche in tal caso, con il chiaro contenuto di detto appunto (contenuto, peraltro, del tutto coerente con il tenore della conversazione n. 153 nella quale lo ZI. confermava all'interlocutore Bocca di essere stato finanziato da B. per l'acquisto dì azioni). Del resto, come testé accennato, lo stesso coimputato GI., tanto nel memoriale prodotto nel corso del giudizio di appello quanto nel corso dell'esame svoltosi all'udienza 17.6.2022, ha espressamente confermato il "collegamento" sussistente tra la gran parte del finanziamento in questione (10 milioni di euro) e l'acquisto dei titoli di B. per avere egli stesso sollecitato allo ZI. la conclusione di tale operazione, operazione della genesi e dello sviluppo della quale detta fonte ha offerto una dettagliata ricostruzione. E, con riferimento alle obiezioni difensive in tema di interessi, il propalante, rispondendo ad una specifica richiesta di chiarimenti rivoltagli dalla Corte, ha precisato, in termini davvero inequivoci, che l'accordo intercorso tra l'istituto di credito e lo ZI. implicava lo storno integrale degli interessi, avendo quest'ultimo aderito alla proposta di acquisto delle azioni all'espressa condizione di non rimetterci alcunché (pur avendo egli espressamente riferito che non intendeva lucrare da detta operazione). Conclusivamente, la circostanza che, nelle intenzioni dell'imputato, le azioni B. che lo stesso ZI. si era determinato ad accettare, aderendo all'invito in tal senso rivoltogli dal coimputato GI., fossero destinate alla successiva liquidazione - e, questo, al fine di ricavarne la liquidità necessaria a concretizzare quelle ulteriori operazioni di investimento (Do., Sa., Ne.) rispetto alle quali, all'epoca, si era ancora in fase di trattativa - non muta affatto la natura "correlata" del finanziamento. Analoghe considerazioni, poi, si impongono in relazione alla partecipazione all'aumento di capitale 2013 posto che, anche in tal caso, l'imputato ha beneficiato dì un apposito finanziamento (sotto il profilo dell'ampliamento della linea di credito originariamente accordatagli). Di qui l'irrilevanza anche delle ulteriori considerazioni svolte nell'impugnazione (segnatamente, a pag. 20) in ordine all'assenza, con riferimento a tali operazioni, di taluni degli indici usualmente ricorrenti nel fenomeno del capitale finanziato. In definitiva, quindi, non v'è alcun dubbio che l'imputato ha posto in essere operazioni correlate. Né può negarsi che lo ZI., nella sua veste di membro del consiglio di amministrazione dell'istituto di credito, abbia autorizzato finanziamenti destinati (nell'accezione già precisata) ad operazioni correlate. Infine, neppure può contestarsi che si sia obiettivamente trattato, nel complesso, di comportamenti che, di fatto, sono andati ad inserirsi in quella più vasta e strutturata operatività, posta in essere dai vertici operativi dell'istituto di credito, tesa alla manipolazione del mercato, la ricaduta della quale si è poi tradotta anche nell'occultamento alle autorità di vigilanza di quanto, da tempo, andava accadendo nella dissennata gestione dell'istituto di credito. Ne discende che le condotte che radicano, sotto il mero profilo della materialità degli accadimenti, gli addebiti elevati a carico dello ZI. risultano indubbiamente sussistenti. In effetti, l'invocata, radicale estraneità dell'agire dello ZI. - nelle sue coincidenti vesti di consigliere di amministrazione dell'istituto di credito berico e di investitore coinvolto in "operazioni baciate" - alla manipolazione del mercato ed al conseguente sviamento delle attività di vigilanza non trova, sotto il profilo fattuale, riscontro in atti, risultando piuttosto provato l'esatto contrario, pur nei ristretti limiti delineati nelle imputazioni di riferimento. A ben vedere, una volta chiarita la natura correlata delle consistenti operazioni di acquisto/sottoscrizione di titoli B. effettuate dall'imputato (analogamente al fratello), neppure può fondatamente dubitarsi che una i tanto consistente partecipazione al "capitale finanziato" da parte di membro del Cda, peraltro per importi - e trattasi di profilo tutt'altro che irrilevante - di molto superiori a quelli relativi alle analoghe operazioni poste in essere da altri consiglieri non esecutivi (le pur consistenti operazioni riferibili ai consiglieri Do. e Mo., infatti, sono significativamente inferiori), possa essere stata interpretata, dalle varie componenti della struttura amministrativa della banca, come una forma di "avallo" della prassi esistente in tal senso. Questo, proprio in ragione del ruolo rivestito dallo ZI. all'interno della compagine societaria e dell'ammontare considerevole delle operazioni correlate da questi poste in essere. Aggiungasi che l'imputato (al pari degli altri consiglieri, peraltro) ha ripetutamente "ratificato" le proposte di finanziamento destinate all'esecuzione di operazioni baciate (interamente, ovvero parzialmente), donde, anche sotto tale profilo, la possibilità di ravvisare, di fatto, un contributo causalmente efficiente rispetto alla attuazione del disegno manipolativo concepito dai vertici aziendali. Così come, nell'approvare, sempre nella sua veste di membro del CdA, talune comunicazioni destinate alle autorità di vigilanza dal contenuto decettivo egli ha parimenti contribuito, sempre sul piano squisitamente fattuale, a vanificarne l'attività di controllo. Donde il difetto dei presupposti per la modifica della formula assolutoria adottata, per difetto dell'elemento soggettivo dei reati contestati, dal primo giudice (sul rilievo di quelle specifiche considerazioni che saranno più oltre oggetto di approfondimento in sede di valutazione dell'appello proposto dal p.m."). 15 Gli appelli del P.M. 15.1 L'appello inerente alla posizione di Zi.Gi. L'appello è infondato. Al riguardo, è d'uopo la premessa che segue. Si è già avuto modo di precisare che il tribunale ha affermato la natura/ correlata delle operazioni effettuate da Zi.Gi. per il tramite di Ze. S.r.l. e, segnatamente, dell'acquisto di azioni B., effettuato, nel 2012, impiegando in larga parte un fido di 12,5 milioni di Euro appositamente concesso dalla banca, nonché della sottoscrizione di titoli B. in occasione dell'aumento di capitale 2013 per effetto di una apposita estensione del fido, pari a 1,5 milioni di Euro. Trattasi di una ricostruzione che il primo giudice ha saldamente ancorato, come detto, ad una pluralità di convergenti elementi probatori, di natura testimoniale (in particolare, le deposizioni dei testi Ba., Cr. e Ba.), tecnica (la consulenza dei cc.tt. del P.M.), documentale (la richiesta di storno; l'annotazione redatta da Zi.Gi.; il prospetto riassuntivo estratto dal computer della segretaria di Ze. s.r.l. il contenuto dell'e-mail inviata dalla segretaria di Ze. s.r.l., Ca.Ro. alla filiale B. di cui al documento n. 121; il pro-memoria redatto dallo stesso imputato), nonché al tenore della conversazione telefonica n. 153 (sostanzialmente "confessoria") intercorsa tra tale imputato e l'interlocutore Lu.Bo. e, infine, alle stesse dichiarazioni rese dall'imputato in sede di esame dibattimentale. A tali evidenze probatorie ed in assoluta coerenza con le stesse, poi, deve aggiungersi l'elemento sopravvenuto costituito dalle recenti propalazioni auto ed eteroaccusatorie rese dal coimputato GI. in occasione dell'esame reso all'udienza 17.6.2022, là dove costui, nel rendere completa confessione (così ampliando, precisando e, su taluni punti essenziali, rettificando quanto già riferito in sede di esame svolto innanzi al tribunale di Vicenza) ha puntualmente rievocato anche l'operazione relativa all'erogazione del finanziamento da 12,5 milioni effettuato in favore dello ZI. (operazione al dichiarante ben nota per averla egli direttamente proposta all'interlocutore), ribadendone, con puntuali riferimenti concreti, la natura correlata. Ebbene, questa Corte ha già evidenziato come, in presenza di tali, convergenti emergenze istruttorie, le osservazioni critiche mosse dalla difesa di Zi.Gi. non consentano affatto di contestare, con il benché j minimo fondamento, la natura correlata delle operazioni di acquisto/sottoscrizione di azioni B. concluse dal predetto giudicabile. Va decisamente escluso, infatti, che il ricorrere di un interesse personale dell'imputato - tanto se di natura economica (per vero, nel caso in questione, insussistente), quanto se di altra tipologia (ivi compreso, quindi, l'obiettivo "politico" di acquisire una importante partecipazione in vista di una eventuale - scalata" alla presidenza dell'istituto) - che fosse concorrente con quello di favorire la banca (fornendole, con l'acquisto di un consistente pacchetto azionario, un apprezzabile ausilio nella circolazione/collocazione delle azioni) valga a relegare al di fuori del perimetro del "capitale finanziato" le operazioni di acquisto delle azioni che fossero state realizzate impiegando risorse erogate dallo stesso emittente dei titoli. Sul punto, pertanto, non può che rimandarsi a quanto già argomentato su tale specifico argomento, onde evitare ripetizioni che sarebbero davvero superflue. Ciò posto, il giudice di prime cure ha escluso la responsabilità penale dello ZI. ravvisando il difetto di consapevolezza, in capo a costui, della diffusività del ricorso al meccanismo del capitale finanziato. Questo, non solo in considerazione dell'accertata estraneità del predetto rispetto alla concertazione, intercorsa ai massimi livelli dell'istituto di credito, delle condotte di manipolazione del mercato e di sviamento delle autorità di vigilanza, ma per la dirimente ragione rappresentata dall'assenza di elementi che inducessero a ritenere, nei dovuti termini di univocità, che il predetto imputato versasse, sotto il profilo della consapevolezza di tale operatività delittuosa, in una situazione significativamente differente rispetto a quella, assolutamente vaga e generica, in cui si trovavano altri membri del CdA, taluni dei quali, pure, avevano posto in essere analoghe operazioni correlate. In effetti, nella prospettiva del tribunale, solo una situazione di effettivo e precipuo allarme in ordine ad attività delittuose "in itinere" avrebbe consentito di ravvisare gli estremi della penale responsabilità, peraltro sulla base di un inquadramento di tale responsabilità - ovverosia ex art. 40 c.p. - esorbitante rispetto al perimetro dell'imputazione, in effetti espressione di un addebito che - pur scontando taluni profili di ambiguità inevitabilmente derivanti della portata semantica di taluni vocaboli all'uopo adottati (intende farsi riferimento, segnatamente, all'impiego del verbo "avallava", ovverosia di un termine che implica anche, in certo qua) modo, profili di tolleranza dell'altrui agire) - è stato dalla pubblica accusa elevato con riferimento ad un concorso mediante condotta commissiva. Tale decisione è stata oggetto di impugnazione da parte del P.M. sul rilievo, in primo luogo, dell'asserita erronea individuazione dei criteri che avevano fondato l'imputazione di responsabilità penale: - da un lato, infatti, secondo l'impostazione d'accusa, l'imputato, membro del CdA, concludendo egli stesso "operazioni baciate" avrebbe "avallato" la prassi illecita del capitale finanziato, così contribuendo a rassicurare i dipendenti dell'istituto dì credito circa l'esistenza di "una copertura da parte dell'organo amministrativo"; - e, dall'altro lato, proprio in quanto componente del consiglio, deliberando la concessione dei finanziamenti che avevano reso possibili tali operazioni ed approvando i documenti e le comunicazioni inviate agli organi di vigilanza, lo stesso giudicabile avrebbe concorso nella perpetrazione dei delitti di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza. E' stato sulla base di tale impostazione d'accusa, quindi, che il p.m., appellante ha ripercorso le acquisizioni istruttorie lamentandone la mancata valutazione "sintetica" da parte del giudice di prime cure; sostenendone, per contro, l'idoneità a fondare l'affermazione di colpevolezza dell'imputato; ed invocando - infine e conseguentemente - la riforma della sentenza impugnata. In effetti, come questa corte ha già avuto modo di precisare nell'ordinanza adottata in esito alle richieste istruttorie, l'appello proposto avverso l'assoluzione di Zi.Gi. ha espressamente sollecitato il giudice del gravame ad operare quella lettura complessiva dell'intero compendio probatorio disponibile asseritamente omessa dal primo giudice, il quale, nella prospettiva dello stesso appellante, ne aveva unicamente offerto una (peraltro pertinente, ad avviso della stessa pubblica accusa) valutazione analitica. Tanto premesso, ritiene questa Corte che difettino i presupposti per l'invocata riforma della sentenza impugnata. Per vero, ove si abbia la dovuta attenzione: - per un verso, alla natura assolutamente specialistica delle tematiche coinvolte dalla regiudicanda (e, sul punto, non può non rimandarsi a quanto già ripetutamente evidenziato, oltre che nei precedenti paragrafi, nella trama argomentativa della sentenza impugnata, segnatamente in ordine al perimetro ed alle caratteristiche delle operazioni correlate ed alle conseguenti implicazioni in punto di disciplina prudenziale); - per altro verso, al ruolo concretamente rivestito dall'imputato all'interno della compagine dell'istituto di credito (trattandosi di consigliere di amministrazione privo di deleghe operative); - e, per altro verso ancora, al concreto, peculiare atteggiarsi delle dinamiche gestionali della banca in questione, caratterizzate, da un lato, dalla rigorosa delimitazione ai livelli apicali della presidenza e del management più elevato della compiuta conoscenza del fenomeno del capitale finanziato e delle conseguenti determinazioni operative; e, dall'altro (come peraltro già stigmatizzato dalla Banca d'Italia all'esito di precedenti verifiche), da quell'atteggiamento di sconcertante passività e totale accondiscendenza del consiglio di amministrazione (fatte salve talune, sporadiche eccezioni) che si traduceva, all'esito di un simulacro di discussione, in approvazioni unanimi delle proposte presidenziali, deve necessariamente convenirsi con le conclusioni cui è pervenuto il tribunale. Trattasi, a ben vedere, di conclusioni che, ben lungi dal costituire l'esito di un apprezzamento meramente "parcellizzato" delle prove disponibili (ovverosia, come sostenuto dall'appellante, di una valutazione atomistica illogicamente sottratta ad una successiva visione d'insieme), rappresentano l'unico approdo coerente con il rigoroso standard probatorio idoneo a legittimare, nei dovuti termini di tranquillante certezza, l'affermazione di penale responsabilità. In effetti, le circostanze valorizzate nell'impugnazione e, segnatamente: - la natura correlata tanto dell'operazione effettuata nel novembre del 2012 tramite Ze. S.r.l., peraltro caratterizzata dalla significativa entità, pari a 10 milioni di Euro, del relativo ammontare (dei 12, 5 milioni erogati, infatti, solo 2,5 milioni erano stati impiegati per rilevare le quote della società Ar., la restante parte venendo destinata all'acquisto di azioni dell'istituto), quanto dell'ulteriore dell'operazione relativa alla partecipazione all'aumento di capitale 2013 per il tramite di un apposito incremento della linea di credito già in essere; - i vantaggi riconosciuti all'imputato in relazione alle citate operazioni correlate, segnatamente con riferimento agli interessi praticati dall'istituto di credito (stante la differenziazione tra quelli relativi, da un lato, alla parte di finanziamento impiegato per l'acquisto delle azioni B., in ordine ai quali era anche previsto il rimborso e, dall'altro, alla quota di fido concesso per rilevare la partecipazione in Ar.); - la circostanza che analoghe operazioni fossero state poste in essere dal fratello dell'imputato, Gi.Zi., e che anche quest'ultimo avesse fruito di un trattamento di favore (a tale ultimo riguardo, il riferimento è all'"annullamento" dell'operazione ed agli "storni" di interesse formalmente applicati); - il fatto che il giudicabile, con ogni probabilità, fosse consapevole dell'esistenza di ulteriori soci finanziati dall'istituto di credito i quali, peraltro, traevano vantaggi da tali operazioni (tanto da essersi preoccupato di precisare, in occasione dell'adesione alla proposta di "baciata" da 10 milioni di Euro, come non fosse sua intenzione "guadagnare" alcunché, evidentemente alludendo, con tale precisazione, alla volontà di differenziarsi dagli altri investitori che, al contrario, da tale tipologia di operazioni traevano profitto); - il trattamento di favore che egli aveva rivendicato come una sorta di contropartita della pregressa disponibilità manifestata nel concludere operazioni correlate allorquando, successivamente, nel dicembre del 2014, aveva richiesto ed ottenuto da B. un finanziamento senza garanzia (intende farsi riferimento al prestito inerente all'operazione poi effettuata con Ub. descritta dal teste Vi., allorché questi ha ricordato come l'imputato gli avesse riferito che il finanziamento gli era stato concesso da B. perché aveva un "credito nei loro confronti sicché l'operazione "gli era dovuta"); - la censurabile sottovalutazione della vicenda relativa alla mail inviata da Mi.Ga., valgono bensì a dimostrare come Zi.Gi. avesse contezza della sussistenza della prassi, più o meno diffusa, circa la concessione, da parte dell'istituto di credito vicentino, di finanziamenti destinati, in tutto o in parte, all'acquisto di azioni proprie della banca (ed il tenore delle conversazioni nn.ri 222 e 543 richiamate dal p.m., in effetti, orienta certamente in tal senso, ma non prova nulla di più), ma non consentono affatto di concludere che lo ZI. fosse consapevole dell'entità del fenomeno del capitale finanziato neppure in termini di ordine di grandezza approssimativo e, soprattutto, delle conseguenti implicazioni sul bilancio (e, segnatamente, sul regime prudenziale dell'istituto di credito). E men che meno legittimano la conclusione che il medesimo imputato - sempre che fosse a specificamente informato della sussistenza degli obblighi di decurtazione dei finanziamenti destinati all'acquisto di azioni proprie dal patrimonio di vigilanza/fondi propri - fosse poi cosciente dell'effettivo mancato rispetto della normativa prudenziale in questione. In effetti, va ancora una volta precisato che la conoscenza dell'esistenza di una prassi, più o meno diffusa, in ordine al "capitale finanziato" (conoscenza che, nelle sue linee generali, come si è più volte evidenziato, era evidentemente ben nota all'interno dell'istituto di credito, specie nella catena della "rete commerciale", se non altro per l'esigenza che le decisioni di vertice sul collocamento delle azioni si traducessero in concrete, ramificate operazioni di collocamento dei titoli presso la clientela) costituisce condizione necessaria ma non sufficiente per desumere la consapevolezza dell'esistenza di una strutturata attività di manipolazione dei titoli B., posto che tale consapevolezza avrebbe richiesto anche la disponibilità di informazioni adeguate in ordine all'entità del fenomeno in esame, alla conseguente incidenza sul valore dell'azione ed alle sue ricadute concrete sotto il profilo del patrimonio di vigilanza/fondi propri). E, questo, a tacere del fatto che, sul piano logico, sarebbe difficilmente comprensibile la decisione, specie se adottata da un attento investitore professionale quale Zi.Gi., di acquisire (ancorché tramite finanziamento senza interessi, pur sempre implicante l'obbligo di restituzione del capitale erogato) una partecipazione azionaria tanto consistente (a fortiori nell'ottica di una scalata alla presidenza) ove costui fosse stato realmente consapevole sia della effettiva e non transeunte situazione di illiquidità del titolo sia, più in generale, della precarietà delle condizioni patrimoniali della banca. Al profilo di tale imputato, infatti, non possono certo attagliarsi le considerazioni che, al contrario, ben si addicono alla posizione del coimputato ZO. (nell'impugnazione del quale - come s'è detto - sono stati rivendicati gli ingenti conferimenti di capitale effettuati, peraltro integralmente con risorse del giudicabile, nell'acquisto di azioni dell'istituto, ritenendoli sintomatici di atteggiamento ispirato da buona fede). Se, infatti, il presidente di B. non era affatto nelle condizioni di liquidare (e neppure di ridurre) le partecipazioni azionarie detenute nella banca per le decisive ragioni personali di cui s'è detto, la posizione di Zi.Gi., sul punto, era di tutt'altra natura, non avendo egli affatto legate, a differenza dello ZO., la propria persona e le proprie prospettive imprenditoriali in modo indissolubile alla banca (nella quale rivestiva un ruolo bensì importante, ma non certo rappresentativo). Trattasi, a ben vedere, di differenza tanto evidente da non richiedere ulteriori considerazioni. E' bensì vero che le emergenze istruttorie - ivi compreso quanto riferito dal coimputato GI. nel corso dell'esame reso in sede di giudizio di appello - hanno consentito di verificare come l'esistenza di tensioni sul mercato secondario dei titoli di B. fosse questione che, come da ultimo precisato dal propalante, ripetutamente era stata trattata in CdA ed evidentemente rappresentata all'imputato (o, comunque, dallo stesso ZI. certamente intuita al momento della proposta avanzatagli di concludere l'operazione "baciata" del 2012, posto che, in difetto, non avrebbe avuto alcun senso detta sollecitazione all'acquisto dei titoli e tenuto conto che, come pure s'è avuto modo di apprendere dall'istruttoria dibattimentale, sino agli anni 2008-2010 le azioni B. erano molto richieste dal mercato, tanto che il ricorso alle "baciate" era puramente occasionale e dettato da ben differenti finalità). In effetti, l'ascolto, effettuato all'udienza in data 17.6,2022, della registrazione dell'intervento effettuato dall'imputato ZO. nel corso della seduta del CdA 5.11.2013 non lascia adito a dubbi, stanti i palesi ed insistenti riferimenti in proposito, ivi compreso quello, effettuato dal consulente di B., Gi.Fa. ed in precedenza evocato, in ordine ad una probabile sopravvalutazione del prezzo dell'azione (cfr. pag. 7 della relativa trascrizione, effettuata a cura della difesa ZO. e da essa prodotta alla stessa udienza del 17.6.2022). Nondimeno, proprio per la sorprendente, ma verificata superficialità delle modalità di funzionamento di tale organo collegiale - modalità che, in effetti, sono state ripetutamente evidenziate, da ultimo dal coimputato GI. nel corso della sua più recente escussione (e che, peraltro, hanno fondato, nei confronti di numerosi componenti del medesimo consesso oltre che del collegio sindacale, l'irrogazione di sanzioni amministrative la legittimità delle quali è stata recentemente confermata dalla suprema Corte) - va escluso che i consiglieri di amministrazione fossero stati messi a parte, per ragioni legate all'ufficio ricoperto, delle effettive condizioni nella quale versava l'istituto di credito in relazione al tema del capitale finanziato e delle conseguenti implicazioni operative. Questo, anche tenuto conto, con specifico riferimento al tema costituito dal valore dell'azione B., dell'esistenza di una perizia di stima che, anche per la sua provenienza da uno dei massimi esperti in materia, appariva assolutamente tranquillante. Con particolare riguardo alla posizione del predetto ZI., poi, una siffatta, puntuale conoscenza neppure risulta aliunde acquisita. In particolare, trattasi di consapevolezza che non può automaticamente desumersi dal fatto che costui, all'atto della conclusione delle "operazioni baciate" del 2012 e del 2013, avesse agito "per fare un favore alla banca". Difettano, invero, univoche evidenze del fatto che il giudicabile avesse contezza non già di una situazione, più o meno temporanea, di difficoltà di funzionamento, rispettivamente, del mercato secondario e di quello primario, bensì dello stato di effettiva illiquidità del titolo azionario e della (conseguente) incapacità della banca di incrementare le proprie risorse in sede di aumento di capitale, ovverosia dì quella situazione complessiva di crisi strutturale che era intenzione dell'alta dirigenza dell'istituto sterilizzare ed occultare proprio attraverso il sistematico, perverso ricorso al capitale finanziato. In altri e decisivi termini, non v'è prova del fatto che lo ZI. disponesse di elementi di conoscenza, sul punto, significativamente maggiori rispetto a quelli in possesso dei "colleghi" consiglieri. Al riguardo, infatti, non assume particolare significato il radicato collocamento dell'imputato nel tessuto imprenditoriale vicentino (in quanto già presidente della articolazione territoriale di Confindustria), essendosi in presenza anche in tal caso, di uno status (quello di soggetto intraneo al locale ambiente economico-finanziario) non sostanzialmente difforme rispetto a quello dei restanti componenti del Consiglio, parimenti ben introdotti nel circuito d'impresa e, taluni, finanche dotati di competenze specialistiche di assoluto rilievo. Né può attribuirsi eccessivo rilievo - men che meno al fine di farne discendere una sostanziale differenza di posizioni tra lo ZI. e gli ulteriori esponenti del Consiglio di amministrazione di B., parimenti finanziati dall'istituto di credito - alla circostanza che l'imputato fosse un imprenditore aduso ad operare investimenti sui mercati finanziari con conseguente conoscenza dei "fondamentali" in materia. Questo, solo a considerare che, all'interno del medesimo CdA, v'erano soggetti, come testé evidenziato, le competenze tecniche dei quali erano decisamente superiori rispetto a quelle dello stesso giudicabile e che, nondimeno, sono stati convincentemente ritenuti dalla medesima autorità giudiziaria vicentina (si veda il provvedimento di archiviazione adottato su richiesta della stessa Procura berica, pur consapevole degli addebiti e delle sanzioni applicate dall'autorità amministrativa nei confronti di altri componenti del Consiglio di Amministrazione) privi di una chiara visione del fenomeno in esame, con conseguente archiviazione delle relative posizioni (cfr. ordinanza di archiviazione GIP tribunale di Vicenza 30.3.2022, prodotto dalla difesa dell'imputato PE. in allegato alla memoria 12.5.2022 in materia di rinnovazione istruttoria). In altri termini, il panorama probatorio che viene restituito dall'istruttoria dibattimentale (anche alla luce dell'implementazione avvenuta in sede di appello) dimostra: - per un verso, l'effettiva esecuzione, da parte dell'imputato, di operazioni correlate (come, del resto, da questi "ammesso" nel pro-memoria rinvenuto, in sede dì perquisizione, nei supporti informatici dell'imputato e relativo alla ricostruzione dell'incontro che il predetto aveva avuto il giorno 8 maggio con il presidente ZO., presenti il vicepresidente Br. e l'avv. Am.); - e, per altro verso, la consapevolezza, in capo al medesimo giudicabile, che la banca versasse, in quello specifico frangente (e, più in generale, nel periodo, in cui si collocano i fatti sub iudice), in una condizione di difficoltà (peraltro comune all'intero settore del credito) e, pertanto, avesse necessità dì un sostegno nell'assicurare una adeguata circolazione delle azioni, ma non consente affatto di concludere che il medesimo ZI. ritenesse che tale necessità fosse strutturale e non transeunte (e, più specificamente, che non derivasse, almeno significativamente, da un aumento di richieste dì vendita da parte degli azionisti legate ad un contesto dì difficoltà economica generale conseguente alla crisi internazionale in atto e non già ad una situazione di strutturale illiquidità del titolo che aveva cessato di essere appetibile per ragioni "intrinseche") e, soprattutto, che all'esecuzione di siffatte operazioni correlate non conseguisse la dovuta attuazione delle "contromisure" prudenziali ed il conseguente rispetto della disciplina inerente ai rapporti con gli enti di vigilanza. Le conversazioni intercettate che hanno visto coinvolto l'imputato212, del resto, specie se doverosamente analizzate nella loro complessiva significazione, restituiscono l'immagine di un soggetto non solo sinceramente preoccupato per le sorti dell'istituto di credito, ma anche, ed è quel che più rileva (visto che nessuno dei coimputati ha operato scientemente per pregiudicare la sorte della banca, essendo stati, piuttosto, tutti animati dalla intenzione di traghettare l'istituto di credito fuori dalle secche della crisi, anche a costo di perpetrare i reati sub iudice), effettivamente incredulo delle dimensioni e delle implicazioni del fenomeno del capitale finanziato. Aggiungasi che lo stesso coimputato GI., pur molto severo, anche nei giudizi da ultimo resi, nei confronti, tra gli altri, dei componenti del CdA di B., ha bensì evidenziato come costoro, ai quali non era ignota l'esistenza delle operazioni correlate, fossero nelle condizioni, ove realmente interessati, di approfondire il tema in esame e, così, di giungere a comprendere gli esatti termini della crisi nella quale versava l'istituto di credito; tuttavia, non ha affatto riferito di una effettiva consapevolezza, in capo a costoro, della esatta j dimensione del fenomeno, né dell'omessa decurtazione dal patrimonio di vigilanza degli importi dei finanziamenti. In definitiva, gli elementi disponibili, anche ove doverosamente sottoposti alla valutazione d'insieme sollecitata dalla pubblica accusa (valutazione, peraltro - va doverosamente precisato - che non è stata affatto omessa dal primo giudice), sono tutt'altro che sintomatici di quella conoscenza approfondita non solo della sistematicità e della complessiva entità delle operazioni correlate effettuate presso B. ma anche - e soprattutto - delle conseguenti implicazioni sui coefficienti patrimoniali prudenziali che costituiscono l'indispensabile presupposto della reale comprensione, da parte dell'odierno giudicabile, del fatto che, presso B., fosse in atto una prassi operativa di sistematica manipolazione del mercato e di conseguente occultamento alla vigilanza di quanto, sul punto, andava accadendo. Di qui l'impossibilità dì ravvisare nelle operazioni di capitale finanziato poste in essere dallo ZI. la inequivoca dimostrazione dì una volontaria adesione e di una consapevole, fattiva partecipazione alle attività delittuose che radicano le imputazioni di riferimento, con conseguente impossibilità dì riconoscere, alla base dell'agire dell'imputato, la sussistenza dell'indispensabile "dolo di partecipazione". Non ignora questa Corte come non sia affatto necessario, per affermare la penale responsabilità del compartecipe, che questi abbia previamente concertato con i concorrenti l'attività delittuosa, né che egli abbia avuto contezza dell'esatta identità dei correi e neppure delle specifiche modalità esecutive della condotta delittuosa nel suo complesso; nondimeno, è pur sempre necessario che costui abbia avuto la consapevolezza di agire, in comune, per una finalità unitaria e conoscendo, quantomeno a grandi linee, il ruolo svolto dagli altri partecipi (cfr. ex plurimis, Cass. Sez. V, n. 40274 del 5.10.2021, Catalano, Cass. Sez. II, n. 18745 del 15.1.2013, Am., Cass. Sez. VI, n. 46309 del 9.10.2012, P.G. in proc. An., Sez. V, n. 25894 del 15.5.2009, Ca. e altri, Cass. Sez. VI, n. 37337 del 10.7.2003, D'A. Cass. Sez. VI, 25705 del 21.3.2003, Sa. e altri) o, comunque, che egli abbia, anche solo unilateralmente (cfr. sul punto, Cass. Sez. III n. 44097 del 3.5.2018, I.), deciso di convergere sull'evento finale perseguito dai concorrenti (peraltro tale da includere, quanto al reato ex art. 2638, co. 2 c.c., la realizzazione dell'attività di ostacolo, specificamente oggetto di dolo). Ebbene, trattasi di requisiti che, nella specie, non sono affatto ravvisabili con riferimento alla posizione dello ZI.. E' solo per completezza, quindi, che si precisa (analogamente a quanto effettuato dal giudice di prime cure nell'ampia digressione contenuta alle pagg. 771-773 della sentenza impugnata) che a non diverse conclusioni dovrebbe pervenirsi qualora l'addebito elevato a carico dell'imputato dovesse essere ricondotto al paradigma ex art, 40 cpv. c.p. (riferimento, questo, in ogni caso, estraneo rispetto al perimetro dell'imputazione - come, peraltro, ulteriormente si ricava dalle puntualizzazioni effettuate, con riferimento al criterio di imputazione della responsabilità penale sotteso all'impostazione d'accusa, dallo stesso P.M. appellante - donde la natura di mera precisazione delle presenti considerazioni). L'evidenziata assenza di elementi univocamente sintomatici della consapevolezza, in capo allo ZI., di una attività, in itinere, di manipolazione del titolo e del mercato e di una conseguente azione di sviamento della vigilanza, infatti, escluderebbe in ogni caso la sussistenza del presupposto per ravvisare, a carico del giudicabile, una responsabilità omissiva di rilievo penale. Pertanto - e concludendo sul punto - difettano, ad avviso di questa Corte, margini di sorta per l'invocata riforma della pronunzia assolutoria impugnata (cfr. sulla necessità, in tal caso, di motivazione rafforzata, da ultimo, Cass. Sez. IV n. 2474 del 15.10.2021 dep. 21.10.20121, Ma., Cass. Sez. IV, n. 24439 del 16.6.2021, dep. 22.6.2021, Fr.), pronunzia che, anzi, appare pienamente persuasiva, in quanto coerente con una attenta valutazione (tanto analitica quanto sintetica) del complessivo compendio probatorio disponibile. 15.2 L'appello inerente alla posizione di Pe.Ma. Come s'è detto, il P.M. ha proposto appello avverso la sentenza che ha mandato assolto Pe.Ma. per difetto dell'elemento soggettivo dei reati oggetto di addebito, censurandone il percorso argomentativo sul rilievo: - per un verso, della mancata debita considerazione, da parte del primo giudice, dì talune evidenze probatorie dalle quali sarebbe stato possibile desumere la consapevolezza, in capo al giudicabile, del radicato ricorso al finanziamento degli acquisti delle azioni B. (segnatamente, nell'ordine: la partecipazione alla seduta del comitato di direzione 8.11.2011; il coinvolgimento dell'imputato nelle ulteriori sedute degli organi collegiali manageriali della banca nei quali si affrontava, sotto diversi profili, il fenomeno del capitale finanziato; gli esiti delle attività di intercettazione telefonica ed il contenuto delle comunicazioni SMS; le dichiarazioni rese dal responsabile Audit Bo. in occasione della riunione indetta dal d.g. So., nel febbraio 2015, in vista dell'avvio dell'ispezione Bc.; il tenore della discussione svoltasi in occasione del comitato di direzione 10.11.2014); - e, per altro verso, della sopravvalutazione di elementi probatori asseritamente a discarico ("episodio KP."; le deposizioni dei colleghi Fa., Tr., Mo. e Li.; la condotta tenuta dall'imputato in relazione alla disclosure inerente ai fondi At. ed Op.; e, infine, la valutazione espressa dal medesimo PE., in sede di CdA 1.4.2014, in ordine alla stima del valore dell'azione proposta dal prof. Bi.). Conseguentemente, l'impugnazione ha proposto una rilettura critica di tali snodi dell'istruttoria dibattimentale idonea, ad avviso dell'appellante, a legittimare il ribaltamento della decisione assolutoria adottata dal primo giudice, donde le coerenti conclusioni rassegnate dalla pubblica accusa con richiesta di condanna del PE. in relazione a tutti i reati ascrittigli. Sul punto, non può che rimandarsi a quanto esposto saprà, là dove sono state ripercorse le argomentazioni svolte a sostegno del gravame, con la doverosa precisazione che agli elementi valorizzati dal p.m. nell'atto di appello si sono poi aggiunte le dichiarazioni auto ed eteroaccusatorie del coimputato GI.. L'appello è fondato. Al riguardo, va sin d'ora precisato che, ai fini della corretta lettura del ruolo svolto dal PE. nei fatti per cui è processo, assume dirimente rilievo il tema della consapevolezza, in capo a costui, della risalente prassi del ricorso al capitale finanziato da parte del management di B., prassi che - s'è detto anche questo - inizialmente invalsa per raggiungere l'obiettivo di svuotamento del fondo azioni proprie ai fini di dimostrare elevati standard di efficienza gestionale era poi divenuta essenziale per corrispondere all'esigenza, via via sempre più pressante, di assicurare la liquidità del titolo, il tutto senza rinnegare le politiche di espansione tenacemente perseguite dal presidente ZO.. Solo qualora fosse provata tale conoscenza avrebbe senso - com'è evidente - interrogarsi sulla cosciente e volontaria adesione a siffatta operatività, E' essenzialmente sul versante della conoscenza dell'esistenza e dell'entità del capitale correlato, infatti, che è stata decisa, in primo grado, la sorte processuale del giudicabile ed è su questo medesimo versante che, del tutto coerentemente, si sono concentrati, nel giudizio di appello, gli sforzi argomentativi delle parti (cfr. quanto alla difesa PE., i ragionamenti svolti, in particolare, alle pagg. 28-87 delle considerazioni "in fatto" contenute nella memoria difensiva 4.2.2020; cfr., altresì, quanto evidenziato nella articolata memoria conclusiva 30.9.2022; si vedano, infine, le deduzioni "di replica" contenute nella memoria 7.10.2022). Di seguito, pertanto, si affronteranno, nell'ordine, le questioni della conoscenza, da parte del predetto imputato, di tale fenomeno e della fattiva cooperazione fornita dal medesimo all'attuazione della suddetta prassi. 15.2.1 La conoscenza del fenomeno del capitale finanziato da parte di Pe.Ma.. In proposito, sì impongono le seguenti osservazioni preliminari, di ordine, rispettivamente, fattuale e logico. Sotto il primo profilo (quello della premessa fattuale) è stato più volte evidenziato come l'esistenza della concessione di finanziamenti per l'acquisto delle azioni dell'istituto di credito costituisse oggetto di diffusa, se non addirittura capillare, conoscenza all'interno delle varie articolazioni di B. e in particolare, a tutti i livelli della rete commerciale dell'istituto, trattandosi di struttura chiamata ad attuare le direttive - sempre più stringenti a partire dall'anno 2011 - di collocamento "a tutti i costi" delle azioni impartite dalla più alta dirigenza della Banca (il teste Tu. ha significativamente precisato, sul punto, che persino i "cassieri" ne erano consapevoli214; il teste Premi, dal canto suo, ha altrettanto efficacemente specificato che "il 99% del personale" della banca ne era a conoscenza, soggiungendo come, del resto, fosse un sistema impossibile da tenere celato, sia per la sua amplissima diffusione, sia perché implicava il contributo delle più diverse professionalità), sebbene - lo si è precisato in precedenza - si trattasse di conoscenza che solo ai "piani" più alti dell'istituto, ove si disponeva di una visione di insieme del fenomeno in esame, era corredata da precise coordinate circa l'esatta entità (peraltro oggetto di continua evoluzione) del capitale finanziato. Sul punto, pertanto, ogni ulteriore digressione sarebbe superflua. Sotto il secondo profilo (quello della valutazione razionale), poi, è d'uopo la seguente considerazione: se è vero - come pure si è ripetutamente evidenziato - che il ricorso sistematico alla concessione di finanziamenti destinati all'acquisto delle azioni dell'istituto è stato lo strumento impostosi per fronteggiare la situazione di ingravescente illiquidità del titolo, non più scongiurata dall'impiego delle risorse del "fondo acquisto azioni proprie" (fondo che, del resto, era necessario "svuotare" periodicamente per assicurare il rispetto dei ratios patrimoniali imposti dalla sempre più stringente disciplina in materia e, al contempo, sostenere il valore dell'azione), è giocoforza concludere, alla stregua della logica più elementare, che le operazioni di capitale finanziato e, in particolare, le "campagne svuotafondi", costituissero oggetto, dapprima, di una adeguata pianificazione e, quindi, di una conseguente attuazione, costantemente monitorata, non essendo ragionevolmente ipotizzabile che siffatte operazioni fossero poste in essere "alla cieca", ovverosia ignorandone presupposti ed effetti. Trattasi, d'altronde, dì conclusione che trova piena conferma nel più volte evocato intervento tenuto dal d.g. So. in occasione della seduta del Comitato dì Direzione 8 novembre 2011 siccome restituitoci dalla sintetica (ma assai precisa) ricostruzione consentita dalle annotazioni del So., là dove, pur nella doverosa sintesi imposta dalle caratteristiche di detto scritto (un semplice appunto pro memoria, in ogni caso redatto da soggetto particolarmente affidabile in quanto istituzionalmente incaricato della verbalizzazione delle sedute), non fa difetto un esplicito riferimento proprio alla esigenza di costante verifica dell'andamento di tali operazioni ("...dobbiamo veramente monitorare giornalmente (Fa. Abbiamo degli impegni nei confronti di B. e CdA........al corporate bisogna farle bene e poi vanno mantenute..."). Sennonché il tribunale, dopo avere correttamente riconosciuto (cfr. pag. 735 della sentenza impugnata) che il monitoraggio dei dati contabili rilevanti ai fini del rispetto dei ratios patrimoniali della banca in relazione non solo agli attivi ponderati (RWA) ma anche all'andamento del fondo acquisti azioni proprie costituiva una incombenza assegnata alla direzione "Pianificazione Strategica" (affidata alla guida del Fa.), ovverosia ad una articolazione aziendale facente capo alla Divisione Bilancio diretta dal PE., ha nondimeno affermato (cfr., pag. 751 della sentenza impugnata), pur in presenza dell'esplicito tenore dell'appunto del So. testé richiamato, come il - monitoraggio del capitale finanziato" non fosse "univocamente riconducibile" all'intervento di detta direzione e, segnatamente, del suo responsabile Fa. (intervento dal quale, in effetti, sarebbe stato indirettamente desumibile il coinvolgimento del PE.). Ebbene, occorre necessariamente prendere atto che, nel pervenire a tale approdo, il primo giudice non si è minimamente confrontato con le necessarie implicazioni (davvero difficilmente sostenibili, a ben vedere, sul piano della razionalità) di una siffatta conclusione. In effetti, posto che: - per un verso, è impensabile che il d.g. So. ed il vicedirettore Gi. provvedessero personalmente a valutare le operazioni di finanziamento con specifico riferimento agli effetti di dette operazioni sul patrimonio di vigilanza, limitandosi costoro, in effetti, a verificare (in particolare attraverso l'analisi del report c.d. "colorato", predisposto dall'ufficio soci216) quale fosse l'andamento degli acquisti e delle vendite e ad impartire le conseguenti disposizioni; - per altro verso, non v'è traccia alcuna dell'esistenza di una struttura separata ed occulta alla quale fosse stata affidata la tenuta della contabilità relativa alle implicazioni sui ratios patrimoniali delle operazioni inerenti ai finanziamenti correlati (posto che il monitoraggio del quale, come peraltro precisato dal teste Ba., si occupavano l'ufficio soci e, all'interno della Direzione Commerciale, il funzionario Tu., era evidentemente riferibile all'andamento delle operazioni di collocamento delle azioni, non già alle relative ricadute sui requisiti di vigilanza); - e, per altro verso ancora, l'unica articolazione dell'istituto di credito in grado (per le competenze tecniche dei suoi componenti) di svolgere un siffatto controllo (peraltro di natura assolutamente identica rispetto a quella dell'analogo compito affidatogli in via "istituzionale") era proprio la "Direzione Pianificazione Strategica"218 (si veda, sul punto, la deposizione del To., riportata, più oltre, in nota e, segnatamente, il passaggio nel quale il predetto, con riferimento alle valutazioni funzionali alla vigilanza, ha affermato: "....erano mobili perché il Tier 1 è di fatto un rapporto fra il capitale, fra il patrimonio e le attività a rischio; le attività a rischio poi devono essere ponderate a seconda della forma tecnica e, perciò, è un calcolo complicato e sofisticato che solo Pe. era in grado di poter poi dare il risultato finale, perché aveva gli uomini che gliele fornivano..."; si veda, inoltre, proprio con riferimento alla discussione svoltasi in occasione del comitato di direzione 8 novembre 2011, quanto riferito dal coimputato GI. già nel corso del dibattimento di primo grado circa il fatto che la "Divisione Mercati" facesse necessario affidamento, anche in materia di ratios patrimoniali, sui dati elaborati dalla "pianificazione"219; si veda, infine, quanto riferito, al riguardo, in sede di rinnovazione istruttoria, dal teste Tr., in ordine al monitoraggio delle azioni proprie sotto il profilo della verifica del rispetto dei ratios patrimoniali), è inevitabile concludere che un siffatto monitoraggio dovesse essere assicurato proprio da tale Direzione, non essendo in alcun modo logicamente sostenibile alcuna altra ipotesi alternativa. Trattasi, a ben vedere, di una significativa - per quanto indiretta - prova (logica) del coinvolgimento della "Divisione Bilancio" (per il tramite della sua articolazione interna costituita dalla citata "Direzione") nelle operazioni di monitoraggio del capitale finanziato, sia pure non a livello operativo, bensì di pianificazione e controllo (segnatamente, sotto il profilo dei risvolti in tema di ratios patrimoniali). L'assoluta importanza di siffatte operazioni occulte per la sopravvivenza stessa dell'istituto di credito; le gravissime implicazioni (anche di ordine penale) del necessario nascondimento di tale prassi alle autorità di vigilanza (le interlocuzioni con le quali rientravano nella competenza proprio dell'imputato PE.); e, infine, le caratteristiche dì marcata gerarchia proprie dell'organizzazione aziendale in esame, orientano, poi, sempre sul piano logico, nel senso della implausibilità della tesi secondo la quale il predetto PE. - massimo responsabile, lo si ripete, della "Divisione Bilancio" - sarebbe stato tenuto all'oscuro di una siffatta attività (sistematicamente svolta da una struttura aziendale affidata, in ultima analisi, proprio alla sua responsabilità) per effetto di una sorta di (irragionevole) conventio ad excludendum. della quale, peraltro (e trattasi di circostanza decisiva), non v'è riscontro di sorta. Dell'amplissimo compendio probatorio disponibile, infatti, nessun elemento, tanto di natura documentate quanto testimoniale (ivi comprese, pertanto, le dichiarazioni dei più stretti collaboratori dell'imputato, pure ispirate, si avrà modo di evidenziarlo, dal percepibile - e in certa misura umanamente comprensibile - intento di non nuocere al giudicabile ma, soprattutto, dall'interesse di allontanare dalle rispettive persone, peraltro rimaste esenti da ogni contestazione, qualsivoglia sospetto di una consapevole collaborazione alla prassi in esame) ha fatto emergere l'esistenza di direttive orientate ad escludere il PE. (ovvero altri dirigenti apicali della banca) dalla conoscenza del fenomeno del capitale finanziato. Piuttosto, come si dirà più oltre, può dirsi ampiamente provato l'esatto contrario. Che, poi, i "flussi informativi" ufficiali che giungevano al PE. non dessero conto di siffatta operatività, come ripetutamente osservato dalla difesa del predetto (cfr., in particolare, memoria difensiva, pag. 22), è circostanza del tutto irrilevante, ove si consideri che - come pure pacificamente emerso - vigeva una severa direttiva interna volta ad evitare che potessero essere lasciate tracce documentali di tale fenomeno. Ne consegue che le argomentazioni spese dalla difesa221 per sostenere che la pluriennale gestione del capitale finanziato potesse tranquillamente prescindere dal contributo della Divisione Bilancio (articolazione, assolutamente essenziale, sbrigativamente equiparata agli organi di vigilanza e di controllo interni, tenuti all'oscuro del fenomeno in questione) non hanno davvero alcuna consistenza (fermo restando, in ogni caso, che è pure emerso - con specifico riferimento al ruolo dell'Audit e del suo responsabile, Bo. - come le strutture deputate al controllo interno, acquisita la consapevolezza del fenomeno, fossero rimaste inerti, soprassedendo da ogni intervento doveroso). Tanto premesso, è all'interno di una siffatta cornice di ordine fattuale e logico che, ad avviso della Corte, può più utilmente collocarsi la disamina degli (ulteriori) elementi probatori - diretti ed indiretti, documentali, dichiarativi e logici - specificamente emersi a carico dell'imputato in ordine alla effettiva conoscenza non solo dell'esistenza del capitale finanziato "occulto" (posto che la conoscenza di finanziamenti "dichiarati" all'uopo concessi in occasione degli aumenti di capitale - ed oggetto di conseguente decurtazione dal capitale di vigilanza - non è certo in discussione) ma anche della sua significativa entità, non prima, tuttavia, di avere doverosamente precisato come il PE., nella sua qualità di responsabile della Divisione Bilancio e di dirigente preposto, fosse ben avvertito (come, del resto, da luì stesso ammesso nel corso dell'esame reso in sede di rinnovazione istruttoria): - da un lato, della necessità che ad eventuali operazioni di erogazione di finanziamenti per l'acquisto di azioni conseguisse la corrispondente decurtazione dal patrimonio di vigilanza (un tanto essendo stato esplicitamente previsto per le operazioni di tale natura effettuate in sede di aumento di capitale); - e, dall'altro, che le ordinarie procedure di "registrazione" adottate dall'istituto di credito non prevedessero la possibilità di regolare "tracciamento" contabile di operazioni di capitate finanziato, in assenza di quel codice prodotto - peraltro espressamente introdotto in sede di miniaucap anche con la collaborazione dell'imputato - che, al contrario, ne avrebbe consentito la evidenziazione informatica. E, sul punto, l'imputato, per giustificare tale carenza (altrimenti a lui addebitabile in ragione della specifica funzione ricoperta), si è limitato a sostenere (del tutto tautologicamente, all'evidenza) che l'assenza di siffatte procedure discendeva dal fatto che operazioni di finanziamento per l'acquisto di azioni proprie non erano contemplate dalla "normativa interna della banca" e che "non c'era una procedura", a fronte, peraltro, di una situazione di incertezza circa l'applicabilità o meno alle banche popolari delle disposizioni di cui all'art. 2358 c.c. (applicabilità che - va precisato - all'interno dell'istituto era esplicitamente esclusa proprio per avvalorare la tesi, nei confronti degli appartenenti alla rete di vendita, della concedibilità dei finanziamenti correlati). Ebbene, nell'analisi del compendio probatorio non può che prendersi le mosse dal già citato documento redatto dal So. ai fini della successiva verbalizzazione ed inerente alla seduta del Comitato di Direzione 8.11.2011, documento che è utile riportare per esteso nella parte di interesse: Omissis Ora, come si evince agevolmente dal tenore dell'appunto (e come del resto precisato dal suo estensore So., oltre che dal To.: di ciò si è già dato dato conto sapra), si tratta di un passaggio della riunione inequivocabilmente dedicato all'esigenza di reperimento di capitale aggiuntivo per raggiungere l'obiettivo indicato dal PE. (8% di Tier 1) e nel quale è esplicito il riferimento alla necessità di ricorrere all'esecuzione di "operazioni baciate". Occorreva, infatti, come anche esplicitato dal predetto To., collocare oltre 100 milioni di azioni (per l'esattezza 110, secondo quanto più precisamente riferito dal PE.) nel volgere solo di poco più di un mese. Dopo gli espliciti, coerenti interventi dei responsabili di Ca. e Ba.Nu., To. ("Da noi sono baciate, non sono facili da proporre") e Se. ("anche da noi sono baciate") - interventi che, nella loro "trasparenza" (ed anche alla luce della successiva assenza di reazioni da parte del d.g.), sono già decisivi nel provare l'assenza di alcuna strategia aziendale volta ad escludere il PE. dalla conoscenza del fenomeno del capitale finanziato - seguiva la pronta "sintesi" del d.g. So. ("Dobbiamo veramente monitorare giornalmente. Dobbiamo continuare a spingere sul retail e si deve pianificare. Al corporate bisogna farle bene e poi vanno mantenute. Il soggetto deve essere credibile... ") che non lascia davvero dubbi circa le conclusioni concordemente raggiunte nell'occasione: effettuare operazioni "baciate", ovviamente avendo cura di scegliere interlocutori affidabili "credibili") sotto il profilo del merito creditizio, in attuazione di una strategia che richiedeva tanto una adeguata pianificazione quanto un costante monitoraggio del suo andamento, strategia che, nella prospettiva del massimo dirigente B., avrebbe dovuto necessariamente coinvolgere (dato il poco tempo a disposizione ed il significativo volume del valore in gioco), sia il settore "Retail sia quello - Corporate". E, in effetti, come puntualmente evidenziato dal primo giudice a pag. 303 della sentenza impugnata, lo stesso To., finita la riunione, aveva convocato i capi area impartendo disposizioni in tal senso, tanto che, a seguire, erano state concluse alcune operazioni baciate significative (si tratta delle operazioni con Co. Spa, Be.Ma., Ta.Ra. e Ro.). D'altronde, che quella testé esposta sia, ad onta delle contrarie considerazioni difensive (si veda, sul punto, la memoria difensiva, pagg. 29-41), l'unica "lettura" dell'appunto di So. ragionevolmente proponibile lo si ricava dalla debita considerazione (del tutto obliterata dal tribunale vicentino, peraltro) delle comunicazioni mail (significativo è il documento n. 166 della produzione del P.M., documento erroneamente definito come il report "colorato" nell'atto di appello, secondo quanto censurato dalla difesa, ma senza che ciò abbia alcuna rilevanza pratica, posto che correttamente l'appellante ne ha poi richiamato il contenuto 227) intercorse tra la più alta dirigenza dell'istituto di credito (ivi compreso il PE.) nei mesi precedenti rispetto all'incontro dell'8 novembre e tali da evidenziare la situazione di estrema difficoltà nella quale, già allora, versava il mercato secondario delle azioni, nella specie caratterizzato da domande di cessione dei titoli il cui valore complessivo, nel primo semestre dell'anno (pari a 158 milioni), aveva di gran lunga superato (di ben 110 milioni, ammontare significativamente corrispondente a quello che sarebbe poi stato evocato, occasione di detta riunione, dal PE.) quello delle richieste di acquisto (pari a 48 milioni). Anche l'appunto redatto dal funzionario Co.Tu. di cui al documento n. 884 della produzione del P.M. (richiamato a pag. 303 della sentenza impugnata ed erroneamente ivi indicato con il n. 881), da un lato, attesta in termini di evidenza la situazione di crisi economico-finanziaria che, sin dal 2011, affliggeva la banca e, dall'altro, riconduce il ricorso alla operatività in azioni proprie direttamente al sensibile incremento delle richieste di vendita dei titoli, manifestatosi in quel periodo, ed alla conseguente saturazione del "fondo acquisto azioni proprie". L'andamento di detto fondo, del resto, era monitorato dalla Divisione del PE. in vista delle periodiche segnalazioni alla vigilanza, come, del resto, riconosciuto dalla stessa difesa dell'imputato. Inoltre, non va dimenticato che il medesimo Tu. ha riferito che aveva ripetutamente affrontato con il PE. il tema delle crescenti difficoltà del mercato secondario (ancorché detto teste abbia poi collocato temporalmente - peraltro non senza approssimazione - tali comunicazioni nel periodo 2013-2014), difficoltà che, come s'è ripetutamente evidenziato, solo il sempre più spasmodico ricorso ai finanziamenti correlati consentiva dì fronteggiare. Se questo è lo scenario di riferimento, emerge davvero in termini di evidenza il coinvolgimento del PE. nell'approntamento della strategia da attuare (sotto il profilo, segnatamente, della individuazione dell'entità del "buco" da coprire) per raggiungere gli indispensabili obiettivi di capitale al contempo assicurandone, per il tramite dei suoi collaboratori facenti capo alla Direzione Pianificazione ("....Dobbiamo veramente monitorare giornalmente (Fa. abbiamo degli impegni nei confronti di B.I. e CdA.."), il relativo monitoraggio, funzionale a garantire il certo raggiungimento di quegli standard imprescindibili per rispettare gli impegni con l'autorità di vigilanza. Quella fornita dal PE. nel corso dei Comitato 8.11.2011, del resto, costituisce una indicazione - e non è certo irrilevante sottolinearlo, come, del resto, si è già fatto saprà - poi puntualmente soddisfatta da un vero e proprio "cambio di passo" impresso all'attività di collocamento delle azioni, ove si abbia attenzione all'entità del capitale finanziato nel bimestre novembre-dicembre 2011, finanche superiore alle stesse indicazioni dell'imputato231. Ed allora, la tesi sostenuta dal medesimo PE. - tesi secondo la quale, sostanzialmente, costui non avrebbe inteso appieno il senso del riferimento alle operazioni "baciate" effettuato nell'occasione, posto che allora ignorava finanche il significato di detta espressione232 - appare, a dir poco, inverosimile: a prescindere dal dato (a ben vedere difficilmente superabile) costituito dall'esplicito riferimento, negli appunti del So., proprio a tale tipologia di operazioni (ed anche a volere trascurare la circostanza costituita dall'assenza, nel medesimo pro memoria, di annotazioni circa quelle richieste di chiarimenti delle quali sarebbe stato ragionevole attendersi che nello scritto fosse stata lasciata traccia, qualora l'imputato, non comprendendo quanto gli interlocutori andavano precisando, avesse preteso le necessarie delucidazioni), supporre che il giudicabile ritenesse che il collocamento delle azioni deciso in occasione di quell'incontro dovesse avvenire "regolarmente" (ovverosia senza ricorrere al finanziamento) costituisce ipotesi tanto implausibile da non meritare ulteriori commenti. Questo, solo a considerare: - per un verso, la gravità dello squilibrio che affliggeva il mercato secondario del titolo B.; - per altro verso, il brevissimo tempo a disposizione per effettuare un collocamento tanto massiccio (110 milioni) di azioni dell'istituto; - e, per altro verso ancora, la circostanza costituita dal fatto che - come s'è visto - le operazioni di finanziamento, all'epoca, costituivano tutt'altro che una novità, essendo state ripetutamente attuate negli anni precedenti (ancorché prevalentemente per il differente obiettivo dell'abbellimento del bilancio"), peraltro per importi già significativi. In sintesi: ipotizzare che il PE. ritenesse che un collocamento di azioni di siffatta entità potesse essere "assorbito" dalle normali dinamiche del mercato secondario - come da questi sostanzialmente ribadito anche nel corso dell'esame reso in sede di rinnovazione istruttoria (là dove il giudicabile ha nuovamente affermato che il d.g. So., nell'occasione, non aveva chiesto di ricorrere a finanziamenti correlati ed ha precisato che, alla fine, il fondo non era stato del tutto svuotato in quanto si era deciso di pagare il dividendo con azioni) - sconfina, obiettivamente, nell'irrealtà. Se così è - e la univoca significazione delle circostanze esposte non rende plausibile una diversa ricostruzione dell'episodio - non sì comprende davvero come il primo giudice abbia potuto ritenere "non inverosimile" (cfr. pag. 751) la versione proposta dal PE., trattandosi, per contro, di spiegazione che, ad avviso di questa Corte, risulta del tutto inattendibile e scopertamente difensiva. Del resto, esaminato nel corso del giudizio di primo grado, il teste So. ha significativamente dichiarato (peraltro nell'ambito di una deposizione assai "faticosa" - come può agevolmente apprezzarsi dalla lettura dei relativi passaggi della deposizione stessa - anche per la palpabile preoccupazione del testimone di rimarcare la propria mancanza dì consapevolezza dell'entità del fenomeno in esame) che aveva avuto modo ripetutamente di confrontarsi con il PE. circa i problemi del capitale e dei requisiti di vigilanza, problemi che, per tutto quanto si è detto, necessariamente implicavano, per la crescente importanza di tale prassi, anche la questione delle "operazioni baciate". D'altro canto, non può certo trascurarsi di considerare che l'imputato era tutt'altro che una presenza occasionale in sede di Comitato di Direzione (le cui riunioni, svoltesi con regolarità sino al 2011 e, quindi, sostituite da più informali convegni denominati "riunioni di direzione", ripresero ad essere convocate dal 2014), ovverosia in occasione di quei momenti di riflessione collettiva e di raccordo tra i vertici operativi dell'istituto nei quali venivano affrontati, tra gli altri, i temi (inscindibilmente connessi) del capitale, dell'andamento del fondo acquisto azioni proprie e dei ratios patrimoniali. Le deposizioni sul punto sono plurime e convergenti (si veda quanto dichiarato dai testi So., Am., Tu., Fa., Ca., nei puntuali richiami effettuati dal P.M. alle pagine 15-17 dell'atto di appello). Ebbene, nel corso di tali riunioni è risultato ricorrente il riferimento anche alle operazioni correlate, come riferito dai testi, Am., Ba., e, ancora, So. (il quale, peraltro, ha specificamente riferito di rammentare la discussione inerente alle operazioni correlate "Ag." e "Fe.", sebbene vada poi doverosamente precisato come, alla stregua di quanto in precedenza sottolineato, l'acquisto di titoli da parte di "Ag." non sia inquadrabile nel novero delle "operazioni correlate"). E' bensì vero che, come, peraltro, rimarcato dal primo giudice, non sono emerse prove dirette della presenza dell'imputato a specifiche riunioni (ulteriori rispetto a quella dell'8.11.2011) nelle quali venne esplicitamente affrontato il tema del capitale finanziato. Nondimeno: - lo stabile inserimento del giudicabile nei consessi di più alta direzione di B.; - la progressiva decisività, per la stessa sopravvivenza dell'istituto di credito, del ricorso al capitale finanziato (con tutte le inevitabili implicazioni in punto di valutazioni previsionali e successivi monitoraggi, nonché in ordine alle conseguenti comunicazioni decettive alla vigilanza); - l'insostenibilità, sul piano logico, dell'ipotesi secondo la quale la trattazione dì argomenti inerenti alle asfissianti difficoltà di reperimento del capitale - posto che la banca era divenuta, secondo l'efficace espressione proferita dal coimputato PI. in occasione della già menzionata conversazione intercettata n. 360 di data 1.9.2015, - una baracca (che) sta in piedi con lo sputo" - non comportasse necessariamente la previa conoscenza e la costante considerazione, quantomeno a livello implicito, delle questioni relative al "capitale finanziato" da parte di colui che rivestiva il ruolo di massimo responsabile della contabilità e delle comunicazioni alla vigilanza e che, come s'è visto, interveniva alle riunioni proprio per indicare quali fossero i livelli di capitale indispensabili (si veda, sul punto, a titolo esemplificativo, quanto precisato dal To. e riportato, precedentemente, in nota) o, comunque, vi partecipava indirettamente per il tramite di suoi collaboratori; - e, infine, come pure pertinentemente osservato dall'appellante, l'impossibilità di esigere dai testimoni escussi, a distanza di anni, il nitido ricordo di quali fossero i dirigenti presenti in occasione di specifici incontri, nonché della data e dell'ordine del giorno di detti convegni periodici, tenutisi in un ampio arco temporale, sono tutti elementi, di ordine fattuale e logico, che, ove doverosamente sottoposti a congiunta valutazione, lungi dal privare di rilevanza probatoria il dato della ricorrente partecipazione del PE. alle sedute del "comitato di direzione" (ove non assistita dalla dimostrazione della specifica trattazione del tema del capitale finanziato nella singola riunione alla quale v'è prova che il giudicabile fosse presente), conferiscono a tale regolare presenza effettivo rilievo in ottica accusatoria. Sicché le contrarie considerazioni svolte dalla difesa sul punto, essenzialmente fondate sulla svalutazione tanto dei ricordi del So. (il quale avrebbe rammentato, peraltro a seguito di insistenti domande, solo due operazioni correlate trattate alla sua presenza), quanto del significato del citato documento n. 166, quanto, ancora, delle dichiarazioni rese dai citati testimoni (Ba., Tu., Am., Ca., Fa.) è frutto di una lettura atomistica e davvero fuorviante delle evidenze probatorie disponibili. Del resto, una esplicita riprova della conoscenza, in capo al PE., dell'esistenza di un eclatante ricorso al capitale finanziato è possibile trarla dalla conversazione (anch'essa incomprensibilmente trascurata dal primo giudice) n. 359 di data 1.9.2015, effettivamente tale da orientare nel senso del coinvolgimento anche di tale imputato nel "board ristretto" dell'istituto di credito implicato nell'operatività delittuosa. Nel corso di siffatto colloquio, invero, il coimputato GI., dialogando con il sindaco Pi.La. e facendo inequivoco riferimento alle operazioni di capitale finanziato, ancorché non esplicitamente evocate, affermava: "No, perché, La., da quando...cioè, lui in pratica...il casino è successo perché ha detto al presidente che non sapeva niente di queste cose, che i responsabili eravamo io e Pi... Invece è il contrario, era lui che orchestrava questo tipo di operatività. Come faccio a sen.." - Pi.: "Cioè, lui chi?" " GI.: "So.......Eh nel senso che veramente, Poi, voglio dire, La., presenti tutti, nel senso che lui in Comitato di Direzione (inc.) Ca." Ma..Pe.. ecc., dava ordini, cioè diceva...." Bisogna fare queste cose" Guarda, quando io mi sono opposto, perché non ce la facevo più, a settembre del 2015....del 2014, l'anno scorso..". Trattasi, all'evidenza, di dialogo di significativo rilievo probatorio, essendosi in presenza di precise affermazioni poste in essere da un soggetto il quale, nell'occasione, non solo ammetteva espressamente il proprio coinvolgimento nell'operatività delittuosa (poi, come detto, oggetto di piena, definitiva e convincente assunzione di responsabilità nel corso del giudizio di appello) ma effettuava un esplicito riferimento alla posizione (tra gli altri) del PE., peraltro in modo del tutto incidentale (l'intenzione perseguita dal dichiarante essendo palesemente quella di rendere partecipe l'interlocutrice della riconducibilità al d.g. So. della decisione del massiccio ricorso a) capitale finanziato) e senza manifestare alcuna animosità nei confronti del collega. In effetti, il contenuto del colloquio in esame è idoneo a rivelare come, nella prospettiva del GI., tanto lo stesso propalante, quanto gli altri più stretti collaboratori del So. (ivi compreso, pertanto, il predetto PE.) fossero stati destinatari di forti pressioni, se non di veri e propri diktat, da parte del massimo dirigente di B. (di diktat, in effetti, ha parlato espressamente il teste assistito To.), ordini ai quali tutti costoro non erano stati in grado di sottrarsi. Di qui l'attendibilità di quanto affermato dal GI. nel corso della telefonata. Peraltro, nel corso di tale colloquio è emerso il chiaro riferimento alla pratica degli "storni", esplicitamente evocata dal GI. come sintomatica della conoscenza, in capo al PE., dell'operatività delittuosa in esame. Di seguito i passaggi del colloquio all'uopo significativi (con la precisazione che VM si identifica nel GI.): Omissis Si è in presenza, a ben vedere, di elemento a carico di tutt'altro che scarsa significazione, specie ove sì consideri che l'entità eclatante degli "storni" runa marea" secondo l'efficace espressione del Risk Manager Es., di cui s'è detto) - ovverosia, giova ripeterlo, dello strumento utilizzato per azzerare i costi dei finanziamenti a carico dei clienti che avevano concluso operazioni "baciate", ovvero per ricompensarli con laute remunerazioni - era indiscutibilmente tale da denunziare l'esistenza di una anomalia tanto marcata da non potere certo essere trascurata. Per vero, posto che la pratica in questione era "istituzionalmente" finalizzata a porre rimedio ad errori nella gestione dei rapporti di dare-avere con la clientela, un tanto consistente ed inspiegabile incremento di siffatto, necessariamente residuale, rimedio non poteva che essere attribuito - specie da parte di esperti dirigenti, quale indiscutibilmente era il PE. - ad una anomala operatività dei finanziamenti (a meno di non voler ipotizzare, contro ogni logica, l'improvviso "impazzimento" degli impiegati di B. addetti a tale settore). E' bensì vero, al riguardo, che la difesa dell'imputato, evocando la deposizione del teste Tr., ha contestato la correttezza di quanto sostenuto dal GI. nel corso del citato colloquio, con particolare riferimento alla competenza della Ragioneria in tema di "storni", in quanto tale ufficio si sarebbe limitato a ricevere i dati di riferimento e ad inserirli in una "procedura informatica" (cfr. memoria difensiva, pagg. 109-112), traendone quindi la conclusione della falsità di quanto affermato dal predetto GI. nel corso del citato colloquio telefonico (cfr. memoria conclusiva, pagg. 112-116). Tuttavia, l'obiezione si basa su un equivoco: evidentemente, il GI. non intendeva affatto alludere ad una responsabilità diretta della Ragioneria nell'implementazione del ricorso a siffatto rimedio, bensì alla passiva ricezione dei dati degli "storni" ed all'altrettanto passiva gestione contabile di evidenze palesemente inattendibili, ovverosia ad una condotta evidentemente ritenuta sintomatica di adesione alla irregolare prassi sottostante. Del resto, se diverso fosse stato l'intendimento del predetto nell'alludere al "controllo della Ragioneria", è ragionevole ritenere che l'interlocutrice (esperta commercialista e, soprattutto, componente del Collegio Sindacale e, quindi, ben a conoscenza della ripartizione delle competenze delle varie articolazioni dell'istituto) avrebbe manifestato, sul punto, il proprio dissenso. Al contrario, la Pi. risulta avere assentito alla ricostruzione del GI. (Sì, sì, sì"). D'altronde, deve anche osservarsi - a conforto della attendibilità di quanto sostenuto dal medesimo GI. nel corso della citata conversazione ed a riscontro del fatto che quella testé esposta sia l'unica interpretazione ragionevole e corretta delle suddette evidenze probatorie - che la diffusa consapevolezza, all'interno di B., dell'anomalia operativa inerente alla gestione dei finanziamenti rappresentata dagli "storni" è stata confermata in sede giurisdizionale. Il riferimento è al provvedimento 2.11.2015 del Tribunale di Vicenza - Giudice del lavoro dott. Campo (in atti tanto sub docc. 139 e 668 del P.M. quanto sotto forma dì produzione documentale effettuata dalla difesa dell'imputato GI. all'udienza del 9.1.2020) là dove l'autorità giudiziaria berica, nel rigettare la domanda cautelare avanzata da B. nei confronti del GI. (il relativo ricorso per sequestro conservativo ante causam - con subordinata istanza ex art. 700 c.p.c. - e la memoria di costituzione del resistente GI. sono in atti quali docc. 137 e 138 del P.M.) in relazione al pregiudizio patrimoniale asseritamente arrecato dal predetto vicedirettore all'istituto di credito a seguito dell'improprio ricorso alla procedura di "storno", ha precisato, alla luce della documentazione tutta disponibile (ivi compreso il "Manuale Gestione Storni della Clientela" richiamato dal teste Tr. e prodotto in copia nel primo grado del presente giudizio, all'udienza del 9.1.2020, dalla difesa dell'imputato GI.), per un verso, che "le informazioni sui fa utilizzazione impropria dello storno fossero già a conoscenza della società"; e, per altro verso - ed è quello che, in questa sede, maggiormente rileva " che tale prassi si era protratta nel tempo ed aveva ottenuto "l'avallo...dagli organi di controllo interno" e, segnatamente, proprio della Ragioneria Generale, chiamata ad una verifica di "congruenza sui suoi conti economici appostati per la singola richiesta" come da punto n. 3.3. del manuale operativo" (cfr, provvedimento citato, pagg. 7-8). Vale richiamare, concludendo sul punto, il seguente, assai esplicito passaggio del citato provvedimento giurisdizionale, là dove, a pagina 8, il giudice civile ha sostenuto che "...di fronte ad una operazione non corretta...la Ragioneria generale aveva il potere, e il dovere di bloccarla e questo a maggior ragione nei casi, come quelli segnalati dalla società ricorrente, in cui era palese l'utilizzazione di questo strumento per "opportunità commerciali" e comunque in assenza dei presupposti del manuale operativo", così chiarendo quale fosse, in materia, la competenza della "Ragioneria", assai più puntualmente della fuorviante descrizione fattane dal teste Tr. (le cui affermazioni in ordine al fatto che l'aumento della frequenza degli stomi - aumento del quale, pure, si era evidentemente accorto - non lo aveva affatto allarmato, appaiono davvero inattendibili242) e coerentemente con quanto sostenuto dal GI. nel colloquio telefonico in precedenza evocato. Né può valorizzarsi, in senso contrario, quanto sostenuto dal consulente della difesa PE., dott. Pa., là dove costui, con specifico riferimento alla materia degli storni ed alle relative competenze affidate alla Divisione Bilancio e Pianificazione (ed al relativo responsabile), ha evidenziato che - non rientrava nell'alveo delle responsabilità affidate agli stessi alcuna attribuitone in ordine alla verifica delle competenze autorizzale in materia di concessione di sconti/abbuoni alla clientela" (cfr. elaborato di consulenza, pag. 60): a venire in rilievo, infatti, non è certo il profilo di eventuali autorizzazioni preventive all'esecuzione di dette operazioni, bensì quello, tutt'affatto differente, inerente all'omissione di qualsivoglia successivo intervento pur in presenza di un incremento eclatante del ricorso alla pratica in esame (ammesso dallo stesso Pa., che, sul punto, a pag., 61 dell'elaborato di relazione, ha parlato di "crescita significativa"), evidentemente sintomatico di una anomalia certamente meritevole, quantomeno, di doveroso approfondimento (e, questo, a prescindere dall'incidenza di tale pratica sul decremento della voce dì conto economico "Interessi attivi e proventi assimilati" - cfr. relazione Pa., pag. 60). Aggiungasi che nello stesso senso - ovverosia a sostegno della tesi del coinvolgimento del vertice ristretto del management B. nelle operazioni di capitale finanziato - depone, a ben vedere, anche la conversazione n. 259 in data 28.8.2015, inerente ad un colloquio intercorso tra il responsabile dell'Audit Bo. ed il coimputato MA. (colloquio trascritto, nella parte di interesse, a pag. 22 dell'atto di appello, cui si rinvia; l'intera conversazione può leggersi in ogni caso alle pagg. 144-159 della perizia di trascrizione), ancorché non contenente, a differenza di quella in precedenza evocata, l'esplicito riferimento alla persona del PE. (in detto colloquio risultando citato il solo Ca., nella specie indicato con il prenome di "Ad.") ed all'esatto contesto (circostanza, anche questa, espressamente stigmatizzata dalla difesa - cfr. memoria conclusiva, pag. 117) nel quale tali comunicazioni avrebbero avuto luogo. In analoga direzione, poi, orienta anche il ben più esplicito tenore della comunicazione SMS/WhatApp intercorsa tra i coimputati PI. e GI. in data 3.5,2015: trattasi del messaggio, del quale già si è detto supra, di cui al doc, n. 811 della produzione del P.M. (elemento, anch'esso, trascurato dal primo giudice nella valutazione della posizione del PE.), nel quale il primo si raccomandava con il collega, in vista dell'appuntamento che il medesimo GI. era riuscito a concordare con ZO. per il giorno successivo (trattasi dell'incontro del quale si è ampiamente trattato con riferimento alla posizione di quest'ultimo imputato), affinché ribadisse al presidente il coinvolgimento di tutto il gruppo dirigente di B. nell'operatività delittuosa Cmi raccomando domani con il presidente. Paria a nome di tutti e due... deve essere chiaro che tutto era condiviso e che nessuno può dire di non sapere e chiamarsi fuori .."). Ebbene, anche in tal caso, ad onta del mancato espresso riferimento alla posizione del PE. (al pari del resto, degli altri manager dell'istituto), si è in presenza di elemento che, a dispetto di diverse considerazioni difensive in ordine ad una asserita equivocità del dato243, in realtà tutt'altro che vago nella sua significazione, conforta l'impostazione d'accusa in ordine al consapevole coinvolgimento del board ristretto della banca (del quale faceva necessariamente parte il massimo responsabile della Divisione Bilancio, nonché dirigente preposto e responsabile delle comunicazioni alla vigilanza, Ma.Pe.) nella prassi del capitale finanziato. Aggiungasi che non trascurabile rilievo probatorio deve attribuirsi alle dichiarazioni testimoniali (anch'esse del tutto obliterate dal primo giudice in sede dì valutazione della posizione del PE.) rese dal teste Bo. con riferimento alla riunione, indetta dal d.g. So. nel febbraio del 2015 in previsione dell'avvio dell'ispezione Bc.: nell'occasione - ha ricordato il dichiarante - lui stesso aveva evidenziato ai colleghi i rischi connessi a tale verifica, facendo espresso riferimento alla criticità rappresentata proprio dal capitale finanziato e richiamando, sul punto, la relazione che aveva sottoscritto il precedente 4.9.2014, riassuntiva di quanto pochi mesi prima accertato dall'Audit con specifico riferimento alla allarmante dimensione del fenomeno in esame (in effetti, nella relazione predetta - peraltro esplicitamente predisposta a seguito delle dimissioni del "gestore private". Vi. - si riferiva di finanziamenti correlati per l'importo di oltre 422 milioni di euro) ed ai conseguenti, gravi rischi per l'istituto. Ebbene - ha precisato il teste - se, nell'occasione, il d.g. So. aveva sbrigativamente minimizzato il rilievo della questione (avendo questi, sul punto, replicato: "la gestiamo"), nessuno degli altri partecipanti alla riunione aveva manifestato la benché minima reazione rispetto ad una notizia che, al contrario, ove fosse stata realmente ignorata dai presenti, avrebbe dovuto suscitare il più vivo allarme di costoro.244 E' bensì vero, al riguardo, che il P.M. ha sottolineato come il PE. fosse "certamente" presente a tale riunione, mentre, sul punto, il teste Bo., dopo una iniziale affermazione in tal senso effettuata in termini di sicurezza, in sede di controesame ha manifestato profili di perplessità, sebbene debba pure doverosamente sottolinearsi come, alla fine, sottoposto a riesame, il testimone abbia sostanzialmente ribadito quanto riferito in apertura circa la effettiva presenza del giudicabile alla suddetta riunione. Nondimeno, anche a voler ipotizzare che il PE. Non avesse preso parte ad un tanto importante convegno (ipotesi - ancorché fortemente sostenuta dalla difesa - francamente implausibile, proprio in ragione del rilievo assolutamente decisivo di detto incontro, visto che si trattava di impostare la "linea difensiva" da assumere nel corso dell'ispezione che - già preannunciata - di lì a poco avrebbe avuto luogo ed avrebbe portato a smascherare la prassi del capitale finanziato, rivelandone, a cascata, tutte le gravissime implicazioni), è assolutamente irrealistico ipotizzare che il PE. non fosse poi stato prontamente informato di quanto emerso nel corso di detto incontro. Inoltre, assoluto rilievo va riconosciuto alla trascrizione (cfr, documento 110 della produzione del P.M.) della seduta del comitato di direzione 10.11.2014, in precedenza più volte evocata e, in particolare, a quel passaggio nel quale viene effettuato un esplicito riferimento alla persona del PE. - nell'occasione di certo assente - come interlocutore con il quale, ad avviso del coimputato GI., sarebbe stato necessario approfondire la questione trattata ("...però bisogna confrontarsi con Ma...."). Trattasi, in questo caso, dì elemento sul quale il primo giudice ha sbrigativamente argomentato, sostenendone l'equivocità (cfr. sentenza impugnata, pag. 753: "... si tratta di un elemento che non si presta ad univoca lettura ..."), ma che, ad avviso di questa corte, ove doverosamente valutato alla luce di una interpretazione razionale e, soprattutto, non frammentaria della registrazione in esame, si rivela tutt'altro che di incerta significazione. Il dato di partenza (che, peraltro, non è sfuggito al primo giudice nell'analisi della posizione del coimputato PI.) è costituito dal fatto che, nell'occasione, i top manager della banca presenti alla riunione ebbero ad analizzare compiutamente - peraltro, va sottolineato, con un tono dal quale si evince un clima di condivisione e di ricerca di soluzioni concordate nient'affatto irrilevante ai fini della compiuta comprensione della dimensione "collegiale" delle responsabilità nella gestione del tema in esame - gli aspetti problematici del capitale finanziato (esaminato in pressoché tutte le sue caratteristiche: dalla natura di "portage" di gran parte delle operazioni, all'obbligo di riacquisto da parte della banca, assicurato anche mediante il rilascio di lettere di garanzia, ivi denominate side-letter; dalla remunerazione da riconoscersi alle controparti, alla sopravvalutazione del valore dell'azione, ecc.), capitale che, come espressamente riconosciuto dal d.g. So., aveva all'epoca raggiunto la dimensione monstre di oltre un miliardo di Euro (si vedano, sul punto: l'oramai noto passaggio della registrazione nel quale So. afferma ... "abbiamo fatto un miliardo e 2 apposta per fare..." - cfr. doc. 100 P.M., pag. 34; la consulenza dei CCTT del P.M. e, più specificamente, quanto riferito sul punto dai predetti consulenti all'udienza 12.11,2019, pag. 30 del verbale stenotipico; e, infine, la già citata conversazione 459 del 31.8.2015). A tale riunione, peraltro, si era giunti all'esito di un approfondito vaglio, del quale era stato reso partecipe anche il PE. (direttamente coinvolto nel relativo flusso di comunicazioni, oltre che indicato dallo stesso Fa. come il soggetto con il quale il medesimo teste aveva interloquito sul punto) circa l'impatto negativo per il "margine di interesse" della banca derivante proprio dalle operazioni correlate, vaglio che aveva impegnato le strutture della banca a partire dalla metà del mese di agosto precedente e che si era concluso con l'individuazione di un elenco dì operazioni che avrebbero dovuto essere oggetto di "repricing/chiusura al fine di ottimizzare il margine di interesse" (così, espressamente, nella comunicazione mail di cui al doc. n. 516 della produzione del P.M., inviata dal Fa. al GI. e trasmessa, per conoscenza, anche al PE.). Il riferimento, in proposito, è alle mail di cui ai documenti n. 294, 524, 513, 516, 521, 519, esplicitamente analizzati, nel loro specifico contenuto, alle pagg. 27-28 dell'appello del P.M., al quale, sul punto, per brevità, non può che farsi rinvio, con la precisazione che una di tali mail - ovverosia quella in data 24,8.2014 di cui al documento n. 294 della produzione del P,M., contenente anche l'esplicito riferimento alle azioni acquistate per il tramite della Divisione Finanza: "... Ci sono azioni anche sul lato Finanza .." - risulta inviata proprio dal PE. al GI. e, per conoscenza estesa, anche ad Am., Ba., Mo., Fa. Ro., Tu. e Va. (sicché trova documentale smentita la tesi difensiva della estraneità dell'imputato a tale attività di analisi propedeutica alla riunione in esame). Ebbene, era proprio sulla base di tale approfondita analisi preliminare che il d.g. So., nel corso della riunione del 10.11.2014 (facendo in quella sede esplicito riferimento proprio a tale valutazione preliminare) affrontava il tema del margine di interesse nei seguenti termini: Sa. "...Noi dobbiamo selezionare molto di più nostri impieghi, e poi vedremo, io ho fatto fare un lavoro da Risk e.. e.. e.. dalla pianificazione, dove abbiamo visto che, / nostri impieghi, ci sono degli impieghi che, per effetto della Q. R., ci assorbono tanto di quel capitale e ci mandano in perdita in misura rilevante e significativa, no? E, quindi, questi qui è chiaro che vanno smontati. Non possiamo, smontarli perché ci sono azioni dietro. ma non possiamo neanche tenerci tutto questo popò di problema. Quindi, dobbiamo risolverai problema del... delle azioni appiccicate a questi e poi andiamo a vedere, nominativo per nominativo, no? Li abbiamo bene individuati, questi veramente ci fanno male, male, male, male, sia come margine di interesse, ma anche, soprattutto, come...eh.., stress test da Q. R., che, indubbiamente, ogni anno, ogni anno, dovremmo... dovremmo subire. Allora, l'idea qui qual era? Era quella, innanzitutto, di individuare queste posizioni e andarle... e andarle a smontare, capire se... Seguitemi col ragionamento, noi prendiamo questi... queste azioni che sono finanziate, andiamo a smontare il finanziamento. Smontando il finanziamento, abbiamo un recupero importante sul margine di interesse, perché, ovviamente, sono finanziate eh... a un tasso molto basso, abbiamo un recupero sulla commissione, perché poi le commissioni sono quelle che dobbiamo ristornare nel caso in cui il margine d'interesse non sia sufficiente a remunerare il pacchetto di azioni che questi ci prendono, e abbiamo un beneficio, ovviamente, sulla Q. Come possiamo collocare queste azioni? Supponiamo di collocare queste azioni, invece, non più sul mondo, sul versante degli impieghi, ma sul versante della raccolta. Se noi utilizziamo il versante della raccolta, banalmente, con le forme tecniche più semplici, poi vedremo le forme tecniche più strutturate, esempio, un time deposit, quindi noi diciamo al nostro cliente; "Guarda, non ti faccio più il finanziamento, ti faccio un time deposit" a che tasso? E' un tasso importante, quindi andiamo a rimontare per un attimo l'aggravio sul margine di interesse. L'ho smontato sui... sul finanziamento, però sono disposto a portarmelo a casa come onere per quanto riguarda un maggior costo di raccolta, però ho un beneficio sul capitale, perché questo non mi assorbe più cet one che, invece, il finanziamento cet one me lo assorbe, e ho un beneficio sulla Q. R., perché non impatta, ovviamente, sulla Q. R. lo stress test. Quindi, se noi riusciamo a toglierci e a ridurre questi finanziamenti importanti con azioni sottostanti, andiamo a liberare il cet one, andiamo a liberare... eh... ora vedremo in che misura... eh... il rischio che deriva dalla Q. R, stress test. se lo andiamo a dirottare sul... sulla raccolta. Parlo del time deposit, che è quello più semplice, però l'obiettivo, anche qui, è quello di frazionarlo in continuazione, Quindi, noi dobbiamo frazionare in continuazione il nostro capitale, perché, se noi facciamo time deposit alla stregua di come facciamo oggi i finanziamenti ponti, i 30, i 20, insomma, ci son clienti che hanno più di 50 milioni e, e capisco, noi dobbiamo frazionarlo. Se noi lo frazioniamo nel mondo private, lo frazioniamo nel wealth management o, meglio ancora, se noi riusciamo a trovare un prodotto, uno strumento, dove... Perché l'altro tema è quello che fa rete dice: "Va bene, allora facciamo questo, però non facciamo più raccolta indiretta", dove, invece, noi dobbiamo fare raccolta indiretta perché bisogna fare il commissionale. Allora, l'idea sarebbe quella di trovare un prodotto che faccia raccolta indiretta, nel prodotto che fa raccolta indiretta ci mettiamo dentro anche le nostre azioni e gli affluent, il private e soprattutto il wealth management va a vendere e va a collocare quote di questi fondi, quote di queste SICAV, no, che hanno in pancia azioni, azioni nostre che abbiano comunque un rendimento che sia... che sia collocabile piuttosto che altri investitori istituzionali. Quindi, il ragionamento che... che ponevo è questo. Intanto, se condividiamo quello di switchare, di spostare le azioni dagli impieghi ai., al... alla raccolta, che sia diretta o indiretta, e con che modalità, andando a vedere, poi, ovviamente, l'aggravio di qua in termini di, probabilmente, margin press, però andiamo sicuramente a liberare, a liberare il cet one, quindi andiamo a liberare tutti questi impieghi che ci assorbono pesantemente e, soprattutto, ci assorbono in termini di A. Q. R.. Non so se mi son spiegato...". In buona sostanza, il d.g. insisteva sulla necessità di "smontare" le operazioni di finanziamento correlato (ovverosia - per restare al lessico del So. - quei finanziamenti che avevano "le azioni appiccicate"), distribuendo i titoli tra la clientela in abbinamento ad operazioni di raccolta e, quindi, "spostando" le azioni in questione dal versante degli "impieghi" a quello della "raccolta Seguiva l'intervento del GI. (Vm 8): V. M. 8 - Po. ..Posso Sa. una cosa? Cioè, allora, cerchiamo di allargare un attimo il discorso no? Allora, noi, comunque le posizioni baciate grosse dobbiamo eliminarle perché, quando arriverà, speriamo il più lontano possibile, nel momento in cui il valore detrazione non sarà più quello, ci fottiamo, nel senso che, se a uno che tu gli hai dato 100 il valore.. eh ...delle azioni era 100 e va a 70, tu quel 30 che questo ha perso, come glielo dai? Comunque, noi dobbiamo fare in modo che Asti impieghi vadano scaricati. Allora, io credo che un po' possa essere comunque un'attività di... di collocamento retail, quello che vogliamo,' l'alternativa è... però bisogna confrontarci con Ma., è: annullo le azioni e l'impiego. Dove vado a trovare... Ovviamente, avrò molto meno capitale. Dove vado a trovare.. - eh ...uhm quella copertura per il minor capitale che ho togliendo parti di attivo, cioè, vendendo parti di attivo? Adesso parliamo qui di partecipazioni, no? Cioè, io... qual è il problema mio? Che io ho 100 di impiego che vanno via, 100 di capitale che vanno via, ovviamente il minor capitale assorbito è molto meno rispetto a...al capitale che... che perdo, perché perderò ipotizziamo 100 milioni, perdo 100 milioni di capitale da una parte e ne acquisto 8 milioni di e... 8, 10 milioni di minor assorbimento dall'altro, no? Quindi runica cosa è... per rimanere con i ratio stabili, è di ... eh tagliare pezzi di attivo che assorbono capitale..". In estrema sintesi, il vicedirettore GI., per raggiungere lo stesso obiettivo ("smontare te baciate grosse") individuato dal d.g., proponeva di operare sul fronte del collocamento "retail", evidenziando come, per fronteggiare la conseguente riduzione dei fondi propri ("avrò molto meno capitale"), si sarebbe dovuto operare "togliendo parti di attivo", ovverosia riducendo proporzionalmente le attività di rischio ponderate per rimanere - con i ratio stabili", nonostante il decremento del capitale. Ed era proprio con riferimento a tale prospettiva - prospettiva che, in ultima analisi, avrebbe necessariamente comportato un significativo ridimensionamento del ruolo e delle ambizioni della banca, ripotata ad una dimensione locale, con conseguenti, inevitabili ricadute sul sistema di go°emance dell'istituto, i cui vertici sarebbero stati ragionevolmente travolti (donde, l'immediato accantonamento di tale ipotesi da parte del d.g. So. il quale, in effetti, la ignorava platealmente, come si comprende dalla lettura della registrazione della seduta) - che il medesimo vicedirettore evidenziava la necessità di interloquire con il PE. C dobbiamo confrontarci con Ma...."). Dal tenore dell'intervento del GI., in effetti, è dato cogliere la serietà della situazione e la piena consapevolezza, in capo a costui, del gravissimo rischio che la situazione del capitale finanziato, per la sua eclatante dimensione, rappresentava per l'istituto. Di qui la proposta, davvero da ultima spiaggia, del vicedirettore (il quale aveva evidentemente di mira l'obiettivo di ridimensionare il valore complessivo del fenomeno in esame, anche a costo di archiviare i "sogni di gloria" che avevano animato la continua crescita dimensionale della banca vicentina), proposta, peraltro, della cui impraticabilità per ragioni "tecnico-contabili" aveva poi preso atto lo stesso y GI. (sul punto, vedi infra). Se ciò corrisponde a verità - e non pare davvero possibile opinaoe diversamente (discostandosi, cioè, da una ricostruzione che trova fondamento in un documento di tanto lineare lettura, oltre che nelle pregresse comunicazioni mail, espressione di un lavoro di analisi propedeutico all'incontro che, come affermato dal So., aveva coinvolto anche la "pianificazione" affidata al Fa., ovverosia una struttura facente capo alla Divisione Bilancio diretta dal PE.) - risulta oltremodo incomprensibile l'esito cui è pervenuto il primo giudice (in linea con quanto sostenuto, sul punto, dalla difesa dell'imputato nei passaggi della memoria citata dedicati all'argomento e, segnatamente, nei paragrafi 4.6-4.7 di detto scritto difensivo) là dove ha concluso (nel solco, come detto, della linea difensiva dell'imputato251) che l'intervento del PE. siccome auspicato dal coimputato GI., essendo limitato alla individuazione degli "attivi" da "tagliare", non avrebbe implicato la necessaria consapevolezza del capitale finanziato. Ragionare in tal guisa, infatti, significherebbe ammettere che il giudicabile potesse essere coinvolto nella soluzione di un problema gravissimo (è d'uopo rammentare ancora una volta l'entità eclatante del capitale finanziato, risultata pari, nel complesso, ad oltre un miliardo di euro) - soluzione dalla quale, in ultima analisi, dipendeva la stessa sopravvivenza dell'istituto di credito - ignorandone presupposti, implicazioni e conseguenze. E, al contempo, dovrebbe condurre ad ipotizzare che il GI. e, per suo tramite, il d.g. So., si sarebbero esposti al rischio, più che concreto e gravido di imprevedibili conseguenze, di dovere fornire spiegazioni ad un interlocutore perfettamente in grado di comprendere le implicazioni (anche di natura penale) di una prassi tanto radicata da avere originato una quota immensa di capitale finanziato (l'esistenza del quale - ponendosi in questa prospettiva - sarebbe stata costantemente occultata allo stesso PE., ad onta delle serie responsabilità gravanti sul predetto con specifico riferimento alle interlocuzioni che da tempo questi intratteneva con la vigilanza), affrontandone la scontata e difficilmente controllabile reazione. Trattasi - com'è evidente - di una ipotesi ricostruttiva a dir poco bizzarra. E, questo, a tacere del fatto che, alla riunione in esame, aveva preso parte lo stretto collaboratore del PE., An.Fa. (il medesimo funzionario che aveva curato lo studio che aveva preceduto l'incontro, come affermato dallo stesso So.), il quale, sia pure momentaneamente, assentatosi nel corso dell'incontro in questione, al rientro era stato ragguagliato dallo stesso d.g. So. di quanto discusso in sua assenza ("Sa.: Va bene. Ascolta, An., abbiamo parlato del...del tema di spostare, di togliere quello che hai fatto con... con il Risk, di togliere le azioni dagli impieghi. An. voce lontana Si? Sa. E girarlo sulla raccolta. An. voce lontana Si? Sa. Poi ti... eh... eh abbiamo detto che conviene, a sto punto, per evitare concentrazioni o altro, di metterlo sul prestito titoli. Quindi, rimetteremo in piedi il prestito titoli ... eh... con azioni attaccate. Il prestito titoli, poi, ci serve per far liquidità e per ridurre comunque la raccolta onerosa. E... E proviamo.... E proviamo a ragionare su questa ipotesi qua, dopo foro.." - cfr. doc. 110, pagg. 79). A tale congerie di elementi probatori - taluni dei quali, come s'è detto, del tutto trascurati dal primo giudice, quantomeno con specifico riferimento alla posizione del PE. - si sono poi aggiunte, nel corso del dibattimento di appello, le dichiarazioni auto ed eteroaccusatorie del coimputato GI., obiettivamente assai significative (ancorché inspiegabilmente trascurate dalla pubblica accusa, in sede di requisitoria) nella loro obiettiva idoneità ad implementare il compendio probatorio valutato dal tribunale, peraltro già di univoca significazione. Questi, dapprima nel memoriale 30.5.2022 e, successivamente, nel corso della rinnovata escussione dibattimentale nel contraddittorio delle parti, dopo avere evidenziato lo stretto rapporto sussistente tra il PE. e il d.g. So.252 ed avere precisato, altresì, che il medesimo coimputato, da un lato, aveva accesso diretto "ai sistemi informativi" di B., ovverosia alle "tecnologie/strumenti che permettono di tracciare/controllare/consuntivare tutte le operazioni di una banca" e, dall'altro, costituiva l'"interfaccia primaria con Banca d'Italia e Bc." e condivideva le risposte da dare agli Enti regolatori con il collaboratore Fa., ha evidenziato come il responsabile del bilancio, direttamente o per il tramite dei colleghi con i quali più strettamente collaborava, fosse solito partecipare alle riunioni ed ai comitati di direzione, ivi compresi gli incontri nei quali si era affrontato il tema del capitale finanziato, fenomeno del quale, pertanto, il PE. era pienamente consapevole, al pari, del resto, di tutti gli altri componenti dell'alta dirigenza dell'istituto di credito. Al riguardo, non è inutile riportare, preliminarmente, alcuni passaggi dell'esame del predetto GI., là dove costui - peraltro in modo assai efficace - per un verso, ha delineato il contesto operativo nel quale si collocano i fatti sub iudice; per altro verso, ha richiamato le plurime, ma strettamente connesse ragioni all'origine della scelta di ricorrere massicciamente alla concessione di finanziamenti per l'acquisto di azioni proprie; e, per altro verso ancora, ha rimarcato la condivisione della prassi in esame tra i massimi dirigenti della banca, spiegandone le necessarie motivazioni tecniche: "......IMPUTATO GI. - Cerco di essere sintetico. Presidente. Io sono arrivato in Banca a fine 2007 come Responsabile Divisione Mercati e Vice Direttore Generale. I primi comitati crediti del 2008 abbiamo trovato, io e c'era il collega Pa. Ma., delle operazioni baciate, quindi erano già preesistenti in Banca delle operazioni in cui si finanziava il cliente per acquistare azioni della Banca. Personalmente ho avuto anche incontri con Gr. e anche con So., con della clientela del vicentino, che aveva/70 già in atto operazioni baciate, o gli venivano proposte in questi incontri delle operazioni baciate. Quindi partiamo già dal 2007, quando sono arrivato. Erano - dalla mia consapevolezza di quello che stava succedendo in Banca all'epoca, anche perché io ero nuovo - delle operazioni sporadiche. Dopodiché, questo fenomeno e questa prassi si è pian piano ampliata e diffusa, anche perché non poteva essere tenuta ristretta a poche persone, data l'esigenza di cui parlavo prima, no? Quindi di fare molto capitale per acquisire" per incrementare gli impieghi e quant'altro. Quindi, dal 2011-2012, questa prassi si è incrementata, quindi si è necessariamente diffusa su tutta la Banca perché gli obiettivi di capitale aumentavano sempre di più. Quali erano? In parte l'ho detto e lo ripeto, quali erano gli obiettivi finali delle operazioni baciate? Sicuramente il raggiungimento di ratios patrimoniali richiesti dalla Vigilanza; il sostegno al prezzo dell'azione, nel senso che ovviamente, se fosse stato trasparente e chiaro che le richieste di vendita fossero maggiori delle richieste di acquisto da parte dei soci" quel prezzo delle azioni non si poteva tenere. E quindi bisognava andare in Assemblea a dire: "signori, il prezzo non è più 62 e mezzo, è 30". E sarebbe finita l'epoca della Presidenza Zo. perché comunque la Banca doveva in qualche modo chiudere un certo percorso e riaprirne un altro. Quindi sicuramente c'era un tema di prezzo delle azioni, e un terzo macro obiettivo era quello comunque di soddisfare le richieste dei soci per non generare malcontento. Questo terzo macro obiettivo ovviamente in parte si sovrappone con l'esigenza comunque di non diminuire il prezzo detrazione (...........) PRESIDENTE - Se capisco bene, è implicito, mi sembra: il prezzo dell'azione era sopravvalutato? IMPUTATO GI. - Il prezzo dell'azione era molto sopravvalutato, Presidente, Però, anche qui, quello che ci diceva Zo., e lo diceva anche ai soci, che all'inizio degli anni Duemila, quindi stiamo parlando 2002-2004-2005, i moltiplicatori di Borsa delle banche quotate viaggiavano intorno al 2x, cioè: la quotazione in Borsa delle banche arrivava fino a 2 volte il patrimonio, quindi poteva essere 1,5-1,6-1,8, anche 2. E all'epoca - ci diceva Zo. - alla Banca fu proposto di quotarsi e lui decise di non quotarsi - Adesso le altre banche erano - quindi adesso stiamo parlando degli anni dal 2010-2015 - a 0,4-0,6-0,8 il patrimonio, mentre noi eravamo a 1,2-1,3-1,4 - Quindi la giustificazione di tenere così alto il prezzo dell'azione è che, una volta superata la crisi, i moltiplicatori di Borsa potessero tornare ai livelli del 2002-2004, e quindi la nostra Banca, come prima era sottovalutata e adesso sopravvalutata, si sarebbe ritrovata nella media. Però, insomma, ai tempi in cui io ero Vice Direttore Generale, razione della Banca era notevolmente sopravvalutata; tant'è che uscivano articoli di giornale che noi avevamo la capitalizzazione di Borsa come Ba.In., PRESIDENTE - Si è detto anche che venivano indicati degli obiettivi particolarmente "sfidanti", più o meno è stata usata questa espressione: qual era la necessità di indicare questi obiettivi costantemente crescenti, per cui voi avevate anche difficoltà ad assecondare? Così ho capito dalla lettura del verbale di primo grado. IMPUTATO GI. - Presidente, io non ho mai avuto rapporti con chi poi ha periziato le azioni. Però uno dei tasselli che ho appreso fossero fondamentali per sostenere il prezzo delle azioni, e comunque avere dei piani industriali particolarmente ambiziosi, in modo da dimostrare una redditività futura della Banca in linea con quel prezzo. Io so solo che come Vice Direttori Generali ci ritrovavamo degli obiettivi realizzabili, e ogni piano aveva degli obiettivi realizzabili. Quindi questo da quando sono arrivato. E, nonostante questi piani industriali, quindi questi piani strategici, fossero puntualmente smentiti. Quindi si poneva l'asticella a 100, noi, non so, raggiungevamo 70, e il piano successivo andava a 120 come obiettivo, no? Per dire. E quindi ci ritrovavamo nell'impossibilità di poter raggiungere quegli obiettivi, nonostante le indicazioni del piano fossero quelle. PRESIDENTE - Ma gli obiettivi venivano elevati per necessità della Banca oppure per? IMPUTATO GI. - Per tenere alto il prezzo dell'azione. PRESIDENTE - Solo per tenere alto il prezzo? IMPUTATO GI. - Dopodiché, la Banca aveva dei gap, ma erano gap strutturali, nel senso che eravamo una banca d'impiego quando mancava liquidità sul sistema. Siccome la situazione è esattamente l'opposta rispetto a quella che è ora, quindi il costo della raccolta che non veniva in qualche modo fornita dalla clientela si doveva prendere sul mercato dell'ingrosso e costava tantissimo, Quindi questo era un problema strutturale: banca d'impiego che concedeva molti crediti al territorio. Poi avevamo questo problema delle azioni, cioè caricare i portafogli di risparmi dei clienti sulle azioni vuol dire non avere commissioni, e quindi c'era un problema di redditività, c'era un discorso delle baciate, quindi dei tassi sugli impieghi bassi. Quindi anche questo fattore della compagine sociale determinava un problema di redditività. Però, essendo a conoscenza di questi problemi strutturali, la Banca avrebbe dovuto dal mio punto di vista anche tarare gli obiettivi dei piani industriali in linea con questi problemi strutturali. PRESIDENTE - La crisi del mercato secondario e anche lo svuotafondo era un problema conosciuto, diffusamente conosciuto? IMPUTATO GI. - Il problema dello svuotafondo nei primi anni, quindi dal 2007 al 2010, non era un problema critico, era comunque una volontà di So. di chiudere a zero il fondo riacquisto azioni proprie per in qualche modo mostrare che fosse un bravo Direttore Generale. Dico per inciso che c'erano dei grossi dubbi su So. nel territorio all'epoca, quindi che fosse un bravo Direttore Generale e potesse soddisfare in qualche modo anche le comunicazioni positive di Zo. al territorio. Quindi nei primi anni non era un'urgenza, non era una criticità, però si doveva chiudere a zero il fondo riacquisto, anche attraverso operazioni baciate. Per vari motivi, quindi la crisi del mercato, la necessità dei soci di vendere le azioni per liquidare, la volontà comunque di acquistare banche, la volontà di acquistare sportelli: ricordo che con l'ispezione 2012 la Banca d'Italia tolse il vincolo da parte della Banca di non acquistare sportelli, mentre fino al 2012 questo vincolo era ancora vivo. Quindi c'erano velleità di crescita, di espansione, di arrivare a 200.000 soci e 1.000 sportelli, e quindi questa volontà qui in qualche modo non veniva bilanciata da una richiesta di acquisto di azioni da parte dei soci. E ovviamente, siccome il fondo riacquisto azioni proprie impatta sui requisiti patrimoniali, c'è la necessità di svuotarlo per fine anno. PRESIDENTE - Io non penso di dover ripercorrere le sue dichiarazioni in primo grado, e poi lascerò anche spazio alle Parti. Questo è un po' il problema, il fenomeno generale - Adesso volevo passare a un secondo punto, che era quello di dichiarazioni che lei fa nel memoriale e che possono riguardare più specificamente la posizione di terzi. (....) IMPUTATO GI. - Presidente, premetto che non c'è volontà da parte mia, come dire, non voglio fare il male di nessuno, okay? Quindi io voglio solo chiarire quello che succedeva in Banca all'epoca. E sono rimasto molto sorpreso anche dalle dichiarazioni di Zo. e dalle dichiarazioni di Pe. che non sapessero di questo tipo di operatività in Banca. Come dire: era impossibile per me e per la rete commerciale portare avanti questo tipo di operatività senza che tutta la Banca, almeno i vertici della Banca ne fossero a conoscenza, E' impossibile, però se uno riuscisse a immedesimarsi all'interno del contesto della Po.Vi. in quei sette anni, dal 2007 al 2015, avrebbe la piena percezione di come questa possibilità non fosse realizzabile; e cioè, che la rete commerciale, quindi le filiali potessero operare in modo autonomo, riuscendo a nascondere questa operatività al bilancio, riuscendo a. nascondere questa operatività nei confronti di Zo. e del Consiglio di Amministrazione, e portando avanti questa politica di operazioni baciate, senza che emergesse neanche una voce, una sollecitazione, uno stimolo. Quindi, siccome questa ipotesi è stata non solo dichiarata da Zo. e Pe. in primo grado, è stata reiterata negli appelli; mi sono sentito in dovere di dover controbattere a queste affermazioni. Ma io voglio dire, ma al di là di me, lo devo fare per la mia famiglia, per i miei, per le persone che lavoravano con me e per la trasparenza che in qualche modo mi è vicina. Quindi io, ripeto, non voglio essere io ad accusare nessuno, ma le mie responsabilità e le responsabilità della Divisione Mercati si fermano, e me le assumo queste responsabilità, si fermano rispetto a responsabilità di altri che sapevano, condividevano e portavano avanti anche loro un certo tipo di attività, che poi in qualche modo chiudesse il cerchio delle operazioni baciate. Parlo di operazione correlate e baciate, non parlo ovviamente di fondi perché non ne sono a conoscenza. Ovviamente io sono un Imputato condannato, e quindi per poter ribattere a queste affermazioni ho dovuto studiare. Ecco perché questa famosa storia degli hard disk; nel senso che poi sono dovuto andare ad approfondire queste e-mail; e-mail che tra l'altro potevano essere solamente analizzate da me, cioè da qualcuno che in Banca lavorava, perché dall'esterno sarebbe stato molto complicato estrarre da quelle e-mail delle indicazioni di responsabilità o meno. Quindi ho avviato questo percorso di studio e di analisi, non facile perché stiamo parlando di più di 1 milione di e-mail in quegli hard disk. E ci sono tre cose che volevo dire per quanto riguarda il Bilancio e Pe.. La prima cosa, che è incrementale rispetto a quelle che ho detto in primo grado, che comunque andavano già in questa direzione, Presidente: in riunioni di direzione e comitati di direzione non si parlava di baciate. Falso. Nei comitati di direzione e nelle riunioni di direzione si parlava di baciate. Ovviamente non sempre, in maniera progressiva dal 2012 fino ai 2014, ma si parlava di baciate - Io ricordo esattamente che in alcune occasioni, in chiusura, quindi una volta chiusi questi comitati e queste riunioni, Pe. venne da me e mi disse: "Ma quant'è 'sta roba? Di quanto stiamo parlando?". E io gli dissi: "Per quanto ne so, quindi operazioni fatte da me, stiamo parlando di 200-300 milioni'' Da me, quindi Gi. che incontrava i clienti. Quindi, ipotizzando che la Banca fosse molto più complicata e molto più estesa, questi 200-300 milioni si potevano moltiplicare per 2, 3, 4. Quindi le operazioni conosciute da me erano 200-300 milioni, e lo/ dissi chiaramente a Pe.. E questo, però, ovviamente è la pareva mia contro la parola di Pe., Quindi ho dovuto cercare dei documenti e degli atti che confermassero queste mie dichiarazioni. Parliamo allora del mercato secondario. Il mercato secondario, ci sono delle analisi, di cui ha parlato anche Fa. l'altro giorno, fatte nel maggio 2014, proseguite ad agosto del 2014, So. mi scrisse a Ferragosto, e portate avanti dopo l'AQR, quindi dopo l'Asset Quality Review, e con un risultato che venne condiviso da So. nel Comitato di Direzione del novembre 2014. Questa successione di analisi - che adesso ovviamente non sto ad aprire documenti magari lo vedremo dopo - dimostra in modo inoppugnabile una gran quantità di soci che avevano degli ammontari importanti di capitale, quindi di azioni, degli ammontari importanti di finanziamenti equivalenti. So. parla di 1 miliardo in un Comitato di Direzione. Probabilmente non è 1 miliardo ma siamo intorno ai 700-800 milioni perché quegli impieghi di cui parla lui appiccicati alle azioni non erano solo operazioni baciate, ma c'erano anche degli impieghi, ad esempio, ad Am. che non aveva mai fatto baciate; ma ovviamente andargli a dire: "ti alziamo i tassi", Am. ti vendeva le azioni, quindi era comunque un problema, Secondo aspetto, Terzo aspetto. Io ho ricordato durante queste analisi che alla fine dell'aumento di capitale 2013 mi incontrai con Ma. per i corridoi della Banca. Era stato addebitato l'aumento di capitale, quindi come funzionava? C'era stato l'aumento di capitale fino ai primi, gli ordini della rete venivano presi fino ai primi di agosto, quindi l'ordine di acquisto, e poi c'era un momento di regolamento, che era un'unica giornata, in cui venivano addebitati i conti, e la liquidità e i risparmi dei correntisti si tramutavano in azioni, Quindi, se uno avesse 10.000 Euro sul conto corrente di risparmi, di depositi, l'addebito di, ad esempio, 5.000 Euro di azioni avrebbe comportato che questo cliente post-addebito avrebbe avuto 5.000 Euro di depositi, di liquidità, sul conto corrente e 5.000 Euro di azioni. Quindi questo cosa comportava? Comportava un decremento della raccolta. Quindi io incontrai Ma., e Ma. mi disset "Ma, Em., ma hai visto come sono saliti gli impieghi con l'addebito?", cioè quante baciate sono state fatte con l'aumento di capitale? Perché ovviamente normalmente dovrebbe accadere che con l'addebito va giù la raccolta. I depositi dei clienti; se invece c'è un incremento degli impieghi, quindi dei crediti, quindi dei finanziamenti, vuol dire che quelle sono operazioni baciate, E mi ricordo questo fatto di Ma. che me lo disse per avvertirmi, per dirmi: "ma ci stiamo rendendo conto?". Allora cosa ho fatto? Sono andato a prendere le e-mail del Controllo di Gestione, quelle che l'Avvocato Mi. ha fatto vedere a Mo. lunedì, in cui sia nei 2013 sia nel 2014 c'è questo fenomeno. Ma stiamo parlando non di poche cose, stiamo parlando, sommando il 2013 e il 2014, di 350 milioni di crescita degli impieghi che, rapportata agli aumenti di capitale, dà una percentuale dell'intorno del 28%, che è più o meno la stessa percentuale che Consob nell'ispezione dice, afferma che fosse stata fatta attraverso baciate. Quindi Consob dice: siamo intorno al 25% di baciate sull'aumento di capitale, qui ci ritroviamo con il 28%, quindi siamo più o meno lì. Quindi questo oggettiva il fatto che tutta la Banca, perché questa e-mail è indirizzata a So. in copia conoscenza, i Vice Direttori Generali, Pe., gli uomini di Pe., la Divisione Mercati, il Risk Management, che tutta la Banca era a conoscenza che il collocamento delle azioni del capitale avvenisse attraverso baciate. PRESIDENTE - E So. si confrontava con qualcuno e con chi per le comunicazioni da indirizzare agli Organi di Vigilanza? IMPUTATO GI. - Io ricordo che tutte le comunicazioni di Vigilanza e comunque di Banca d'Italia in qualche modo poi dovessero arrivare a So. in Segreteria Generale, ex Ispettore Banca d'Italia, che poi le inoltrava alle strutture della Banca deputate. Per quanto riguarda le segnalazioni di vigilanza e l'interlocuzione con Banca d'Italia, la struttura e la divisione principe era quella di Pe.. PRESIDENTE - Lei poi scrive - l'abbiamo sentito già l'altra volta - che c'era una partecipazione di collaboratori di Pe. alle riunioni della Divisione Mercati; questo riguarda Mo. o riguarda anche altre figure? IMPUTATO GI. - Mo. partecipava a tutte le riunioni della Divisione Mercati che si tenevano mensilmente per condividere con fa rete, quindi i capi area e i direttori regionali, i risultati e dettare le linee guida per il mese successivo, quindi le priorità commerciali, non so: insistiamo sui mutui, vanno fatti più conti correnti eccetera eccetera. Mo. partecipava a tutte queste riunioni, perché preparava lui il materiale e le calendarizzava lui, Mo.. E' accaduto che due/tre volte l'anno a queste riunioni della Divisione Mercati potesse partecipare anche Pe., potessero partecipare Pe. Fa. solitamente anche con So., anche in funzione degli obiettivi di budget, quindi per dettare quelli che fossero gli obiettivi di budget condivisi in Consiglio di Amministrazione. PRESIDENTE - Lei ha sentito l'altra volta? Mo. dice: Io sono rimasto stupito nello scoprire l'entità del fenomeno Se ha da dire qualcosa, non necessariamente, IMPUTATO, GI. - No, io quello che dico in queste riunioni della Divisione Mercati si parlava in modo molto chiaro di capitale e di modalità per raggiungerlo e quindi di operazioni baciate - Quindi mi stupisco che Mo. possa aver detto che non se ne parlava all'interno di queste riunioni della Divisione Mercati. Lui parla di "allusioni", non so sinceramente cosa voglia dire: o se ne parlava o non se ne parlava. Io ero lì e se ne parlava. Dopodiché, con quale frequenza? Sempre maggiore con l'andare degli anni e del tempo. In alcuni casi, a chiusura delle riunioni della Divisione Mercati, io mandavo un messaggio a So. per partecipare, perché lui comunque voleva essere sicuro che suoi messaggi fossero i messaggi che poi venivano declinati sulla rete; chiamavo So., So. veniva solitamente con Ca. a chiudere la riunione, e anche lui parlava di capitale e di finanziamenti per raggiungere gli obiettivi di capitale. Tanto premesso, passando ad analizzare più nel dettaglio il contributo dichiarativo fornito dal chiamante in correità con specifico riferimento alla posizione del coimputato PE., osserva questa Corte come esigenze di chiarezza suggeriscano di attenersi all'ordine espositivo adottato nel memoriale, posto che detto documento ha poi costituito la traccia seguita nel corso dell'esame dell'imputato. Ebbene, in detto documento il GI. ha anzitutto evidenziato gli stretti rapporti intercorrenti tra il PE. ed il d.g. So. e, a tal fine, ha richiamato alcune evidenze documentali. Trattasi, segnatamente: - dei documenti allegati alla memoria sub 2.2.1, 2.2.2, e 2.2.3 ed inerenti al coinvolgimento della struttura del PE. nella comunicazione degli obiettivi della rete di vendita, obiettivi che - come s'è ripetutamente precisato - erano perseguiti anche attraverso il sistematico ricorso al capitale finanziato; - del documento 2.2.4, costituto da una mail nella quale, rispondendo al vicedirettore Ca. che manifestava la propria contrarietà rispetto al sistema incentivante, il PE. rispondeva in modo netto "ne discuteremo con il direttore", così manifestando, ad avviso del GI., la propria "vicinanza" al d.g.). Quindi, il propalante ha esplicitamente affermato la piena conoscenza, in capo al coimputato, sia della "prassi svuotafondo" e delle ragioni ad essa sottese, sia delle difficoltà, da mantenere nascoste all'esterno, nelle quali si dibatteva il mercato secondario dei titoli B., anche in tal caso richiamando, a sostegno delle proprie affermazioni, specifici supporti documentali e, segnatamente: - quanto al primo profilo, i documenti 2,3.1 e 2,3.2 (costituiti, rispettivamente, dalla richiesta, avanzata dal d.g. So. su elaborazione di Pe., di raggiungere l'obiettivo di Tier 1 pari all'8% a fine 2011 e del documento, predisposto dal Mo., nel quale si monitorava l'attuazione della direttiva del d.g. secondo cui ad ogni delibera di credito avrebbe dovuto essere associata l'acquisizione di un socio, direttiva, peraltro, che implicava necessariamente il blocco delle predette delibere fino all'acquisizione di un nuovo socio); - e, quanto al secondo profilo, il documento 2.3,3 (costituito da una mail inviata, in vista di una riunione con Bc. a Francoforte, dal So. al PE. e contenente - corredato dalla significativa indicazione "non illustrabile" - anche il riferimento all'andamento degli ordini di cessione delle azioni da parte dei soci), nonché dei documenti 2.3.3 bis, 2.3.3, ter (relativi alla predisposizione della risposta ai reclami dei soci, risposta nella quale si adduceva la responsabilità dei ritardi ad un mero mutamento della regolamentazione di riferimento avvenuta nel 2014, quando, al contrario - ha precisato il GI. - era notorio che tali difficoltà derivavano dalla risalente crisi del mercato secondario del titolo B.). Quanto, poi, alle Riunioni di Direzione, il propalante ha affermato come il coimputato PE. fosse solito prendervi parte, personalmente ovvero per il tramite dei suoi stretti collaboratori, Fa. e Mo.. E, a sostegno, ha prodotto i documenti in allegato alla memoria sub 2,4.1, 2.4.2, 2.4.3., 2.4.3 bis, 2.4.4., 2.4.5. relativi anche all'incontro, tenutosi a Roma, nel quale il So. aveva minacciato l'eliminazione delle direzioni regionali se non avessero raggiunto gli obiettivi assegnati, tra i quali i requisiti di capitale, anche attraverso le operazioni finanziate. Passando, quindi, ad analizzare l'intervento del PE. nel corso del più volte citato Comitato di direzione dell'8.11.2011, il GI. ha precisato - del tutto coerentemente, peraltro, con la lettura che di tale momento di "riflessione collettiva" è stata in precedenza proposta - che il coimputato era intervenuto con la funzione di fare da - guida della discussione per far in modo che si raggiungessero gli obiettivi di capitale, anche con finanziamenti correlati" (così si legge a pag. 16 della memoria): era stato in tale veste, infatti, che il responsabile del bilancio aveva assegnato un "obiettivo complessivo, tra Vicenza, Prato e Palermo di 110 mln di euro". Nell'occasione - ha precisato il dichiarante - nessuno aveva contestato che per collocare le azioni sarebbe stato necessario ricorrere anche alle "baciate" (come espressamente evidenziato da To. e da Se., tra i più in difficoltà nel collocamento, visto che nelle zone di loro competenza - la Toscana e la Sicilia - "B. non era conosciuta e non c'era alcun senso di appartenenza da parte del territorio") e, pertanto, il d.g. So. aveva rapidamente tratto le conclusioni, assegnando il monitoraggio di tale collocamento, da effettuare anche attraverso i finanziamenti, "a Fa. (cioè a Pe.)". Di seguito (si vedano le pagg. 16-17 del memoriale), il GI. ha rievocato la partecipazione del Fa. al Comitato di Direzione 10.11.2014 ed ha spiegato il significato del riferimento effettuato dallo stesso dichiarante alla necessità di confrontarsi con Ma.": il tema era quello della necessità di "smontare" le baciate e la proposta dello stesso GI. di fronteggiare la riduzione del capitale abbinato alle baciate attraverso la riduzione degli attivi della Banca, essendo i requisiti patrimoniali una frazione tra numeratore-capitale e denominatore-attivi" avrebbe necessariamente richiesto l'interlocuzione col PE., trattandosi del soggetto che "sapeva come poter tarare gli obiettivi relativi ai requisiti di capitale tra aumenti di capitale, svuotafondo, riduzione degli attivi rischiosi e riduzione dei finanziamenti baciati". Quindi, ha precisato di serbare il ricordo di un momento dì specifico confronto che aveva avuto, sul punto, con il PE.: a margine di una riunione di direzione tenutasi nel secondo semestre 2014, infatti, avevano esplicitamente affrontato tale argomento e, nell'occasione, avevano concordemente convenuto - che l'ammontare di riduzione degli attivi non sarebbe stato sufficiente a colmare il venir meno del capitale dei principali soci della banca". Quindi, nel corso dell'esame innanzi a questa Corte, ha rievocato nuovamente tale episodio. Ebbene, trattasi - com'è evidente - di una ricostruzione assolutamente sovrapponibile a quella già delineata dalle acquisizioni documentali e testimoniali nella disponibilità del primo giudice, ma che, nondimeno, è tutt'altro che irrilevante, provenendo da un diretto protagonista dell'episodio (e, segnatamente, proprio da colui che, nel corso della riunione, aveva evocato il PE.). Inoltre, il GI., da un lato, ha precisato che l'intervento degli esponenti della Divisione Pianificazione e Bilancio nelle riunioni della Divisione Mercati era costante, soggiungendo che costoro ne riportavano gli esiti al loro responsabile, PE. (cfr, pagina 18 del memoriale); e, dall'altro, ha convenuto che i piani industriali B., lungi dall'essere meramente ottimistici, ovverosia "sfidanti e non sempre di facile composizione" (come pure eufemisticamente ammesso dallo stesso CdA in risposta a Banca d'Italia con riferimento al Piano 2012-2014), fossero "irrealizzabili", "utopistici" e, ciononostante, fossero stati costantemente approvati. Questo, per la impellente necessità di "alimentare e sostenere il prezzo dell'azione" e, al contempo, "stressare le strutture commerciali", tenendole continuamente sotto pressione (cfr. pag. 19 del memoriale). E, anche sul punto - è appena il caso di rilevarlo - le affermazioni del propalante collimano con le risultanze istruttorie. Quindi, alle pagine 19-21 del memoriale, il chiamante in correità ha rievocato il coinvolgimento delle strutture dipendenti dal PE. nello studio di fattibilità del progetto del d.g. So. di eliminazione degli "impieghi poco redditizi" (trattasi della valutazione propedeutica alla Riunione del Comitato di Direzione 10.11.2014 di cui s'è detto); studio che, tuttavia, aveva evidenziato l'impraticabilità di tale eliminazione per tutti quegli impieghi costituiti dai finanziamenti concessi a soggetti - intoccabili perché azionisti della Banca" (tra cui il propalante ha specificamente ricordato "El., Ze., It., Za., Ro."): ebbene - ha precisato il GI. - tra le posizioni intoccabili espressamente valutate e riportate nel documento Excel all'uopo predisposto vi erano parti di operazioni correlate caratterizzate dalla corrispondenza tra importo del finanziamento erogato e valore delle azioni B. possedute dal soggetto finanziato (ad esempio "Ma.An., Ol.An., Na.Fa."), sicché il tema del capitale correlato emergeva, da tale studio, in termini dì evidenza. E, a sostegno di ciò, il GI. ha richiamato i documenti allegati al memoriale sub 2.7.1, 2.7.2 e 2.7.2 bis. Ciononostante - ha proseguito il dichiarante - il d.g. So., consapevole che questo fosse uno degli aspetti più problematici, con la collaborazione della "Pianificazione" e del "Risk" aveva continuato a lavorare per far emergere gli impieghi poco redditizi, questa volta anche valutando l'impatto dell'assorbimento di capitale. All'esito di tale approfondimento, era risultato un ammontare pari a circa un miliardo di Euro (come da tabella allegata al memoriale sub 2.7.3.) e, nell'occasione, era emerso, abbinando a tali impieghi il possesso azionario, nominativo per nominativo, che molti di questi impieghi erano correlati all'acquisto di azioni (come da documento allegato sub 2-7.4). Quindi, il GI. ha precisato che la Direzione Pianificazione e Bilancio aveva accesso ai dati relativi alle azioni ed ai finanziamenti (come, peraltro, confermato dal lavoro di studio, testé evocato, effettuato su richiesta del d.g. So.) ed ha richiamato due mail - prodotte in allegato al memoriale, sub 2.8.1 e 2.8.2. - relative all'analisi, "effettuata da Pianificazione/Bilancio", dell'andamento giornaliero della raccolta e degli impieghi alla data di regolamento dell'aumento di capitale 2014. Trattasi - ha precisato il GI. - di documenti attestanti la consapevolezza piena del fenomeno dei finanziamenti correlati con riferimento agli aumenti di capitale 2014 (in particolare, l'allegato 2.8.2. dimostrerebbe che l'Aucap 2014 era stato finanziato dalla banca stessa per l'ammontare di 168 milioni di euro). Quindi, come anticipato, nel corso dell'esame il GI. ha sostanzialmente ribadito quanto anticipato nel memoriale, soffermandosi più diffusamente sulle circostanze di maggior rilievo, specie nel rispondere alle sollecitazioni delle difese dei coimputati (e, per quello che specificamente rileva in questa sede, della difesa del PE.) ed ulteriormente puntualizzando quanto oggetto di "anticipazione scritta" (come nel caso dei periodici incontri per il jogging con i colleghi Fa. ed Es. in occasione dei quali erano ricorrenti i riferimenti alla prassi delle "baciate" in atto presso l'istituto - cfr. esame GI., udienza 15.6.2022, pag. 45). Ebbene, le risposte fornite sono state sempre coerenti con le citate "anticipazioni", non sono emerse contraddizioni e tantomeno il propalante è stato smentito nella interpretazione dei documenti dallo stesso prodotti al di là di talune, inevitabili contestazioni circa le conclusioni desumibili da alcuni di detti documenti. A tale ultimo riguardo, infatti, non può che ribadirsi come l'assenza di esplicita, dati documentali in ordine al capitale finanziato rispondesse ad una precisa direttiva aziendale, sicché non può certo destare sorpresa la circostanza che i documenti valorizzati dal propalante non siano di immediata comprensione (e ciò anche per la natura oltremodo "tecnica" del loro contenuto), ovvero si prestino ad interpretazioni parzialmente differenti. A ben vedere, quello che rileva è che nell'ambito di un pieno ed incondizionato disvelamento delle proprie responsabilità, espressione di un effettivo ripensamento critico maturato da persona soggettivamente attendibile (sul punto si richiamano le considerazioni già spese nel paragrafo 13 della presente sentenza), il GI. abbia delineato - in modo coerente, va ribadito, con le plurime evidenze probatorie logiche, documentali e testimoniali complessivamente disponibili - quale sia stato il ruolo rivestito, tra gli altri, dal coimputato PE., fornendo, in proposito, senza alcuna animosità (e, anzi, in maniera oltremodo pacata e tale da rendere evidente quanto fosse stata sofferta la determinazione alla "collaborazione" progressivamente maturata), il contributo, assai utile per la compiuta comprensione delle dinamiche operative collegiali del board ristretto dell'istituto di credito, proprio di un soggetto coinvolto, ai massimi livelli, nell'operatività delittuosa. In effetti, le pur articolate contestazioni mosse dalla difesa del PE. per contestare attendibilità e concludenza delle propalazioni d'accusa non colgono affatto nel segno. In particolare: - quanto alla obiezione inerente alla portata innovativa (rispetto alle dichiarazioni rese nel dibattimento di primo grado) da riconoscersi esclusivamente in ordine alla ammissione di personale responsabilità del medesimo GI. (cfr. memoria conclusiva difesa PE., paragrafo 4.1, pagg. 42 e ss.), è sufficiente la lettura di quanto riferito dallo stesso chiamante in correità innanzi a questa Corte per convincersi del contrario; - quanto alla contestazione circa la diffusa conoscenza del fenomeno del capitale finanziato (paragrafo 4.2.1 della memoria citata), non può che farsi riferimento alle considerazioni già spese al riguardo (anche in relazione alla posizione dei coimputati, segnatamente lo ZO.), tali da fugare qualsivoglia perplessità circa la suddetta ampia consapevolezza (nel settore dei "mercati" - lo si è visto - finanche capillare); - quanto, poi, alla confutazione in ordine al fatto che, in occasione dei Comitati di Direzione, si parlasse di "baciate" (paragrafo 4.32.2. della memoria), vale, ancora una volta, il rinvio alle osservazioni già esposte sul punto; - quanto, ancora, alle dichiarazioni relative ai colloqui "informali" intrattenuti con il Fa. e l'Es. in ordine alle "baciate", le diverse versioni rese da costoro, là dove hanno sostenuto di avere acquisito contezza del fenomeno solo verso la metà del 2015 (paragrafo 4,2.3. della memoria), non appaiono minimamente credibili in quanto evidentemente orientate dalla finalità di stornare qualsivoglia sospetto dalle rispettive persone, nel solco di un contegno che - lo si è già detto - ha trovato ampia diffusione; - quanto alla asserita falsità dell'affermazione che i piani industriali sarebbero stati manipolati per tenere alto il prezzo dell'azione (paragrafo 4.2.4 della memoria), non può che rinviarsi alle riflessioni in precedenza svolte al riguardo (segnatamente in relazione alla posizione del coimputato ZO., sulla base, in particolare, oltre che di considerazioni di natura logica, delle puntuali dichiarazioni, in proposito, del teste Ca.); - quanto, infine, alla contestazione circa i colloqui intercorsi tra il propalante ed il PE. in ordine al volume delle operazioni finanziate (paragrafi 4.2.5 e 4.2.6 della memoria), il rinvio è alle considerazioni che saranno esposte più avanti. Inoltre, la contestazione della significazione dei documenti prodotti dal GI. a sostegno delle proprie dichiarazioni (cfr. capitolo 4.3 della memoria, pagg. 62-84), se può essere condivisa con riferimento a taluni di essi, effettivamente dotati di una generica attitudine probatoria di mero "contesto" (è il caso dei documenti costituenti gli allegati 2.2.1, 2.2.2, 2.2.3, 2.2.4), non può affatto trovare avallo in relazione ad altra parte della produzione del predetto coimputato. Ciò è particolarmente vero con riguardo ai documenti 2.3.1, 2.3.2, e 2.3.3 che, effettivamente, orientano (in linea anche con le considerazioni di carattere logico effettuate in proposito) per il coinvolgimento della struttura facente capo al PE. nel monitoraggio di momenti essenziali della dinamica del capitale finanziato, con la doverosa precisazione, inoltre, che il documento 2.3.3 - ovverosia la mail inviata dal So. al giudicabile in vista della partecipazione di costui alla riunione Bc. a Francoforte, corredata dalla significativa indicazione "non illustrabile" e contenente anche il riferimento all'andamento degli ordini di cessione delle azioni da parte dei soci - costituisce, come si è già detto, elemento obiettivamente connotato da elevata specifica attitudine dimostrativa (al di là di quello che può poi essere stato l'effettivo contenuto della riunione in questione). Altrettanto è a dirsi, poi, con riferimento alle produzioni 2.3-3. bis e ter in quanto - ad onta, anche in tal caso, delle obiezioni difensive - trattasi di documenti dai quali si trae la rinnovata conferma della conoscenza, in capo all'imputato, della condizione di grave crisi del mercato secondario del titolo B., ovverosia - è bene ripeterlo nuovamente - di un aspetto inscindibilmente connesso al tema del capitale finanziato (del quale - lo si è già visto - l'ingravescente illiquidità del titolo azionario costituiva una delle principali cause). I documenti 2.4.1, 2.4.2., 2.4.3, poi, sono inerenti alla partecipazione dell'imputato e dei suoi collaboratori alle riunioni di direzione (ivi compreso l'incontro di Roma di cui s'è detto e nel quale, anche secondo i testi evocati dalla difesa, il So. si era espresso in modo assai incisivo sul tema del capitale, ancorché detti testimoni non abbiano menzionato espliciti riferimenti, da parte del d.g., alle operazioni correlate), sicché trattasi di dati che comunque corroborano, sia pure in tali termini più generali, la narrazione del propalante. Il documento 2.4.4, e soprattutto, quello 2.4,5 (trattasi di comunicazione in vista del comitato di direzione 10.11.2014), confermano come larga parte dei finanziamenti riguardasse proprio gli azionisti, donde il non trascurabile significato del dato. Ancora, i documenti 2.7.1, 2.7.2, 2.7.2 bis, 2.7.3, 2.7.4. riscontrano l'esistenza di un accurato lavoro, da parte delle strutture della banca (ivi compresa la "pianificazione") sul "margine di interesse", inerente anche ad operazioni rispetto alle quali la coincidenza tra ammontare dei finanziamenti e valore delle azioni possedute era tale da costituire, se non la prova, quantomeno un importante indice di allarme circa la natura finanziata degli acquisiti dei titoli; del resto, la dicitura "operazioni "particolari" contenuta nel documento 2.7.1., tenuto conto del lessico volutamente ambiguo ed allusivo imposto per trattare del "capitale finanziato" all'interno di B., deve evidentemente ritenersi riferita proprio a situazioni del genere (nonostante la contraria affermazione, evocata dal difensore, dell'inattendibile teste Fa.). Il significato di tali dati, quindi, è evidente, nonostante la difesa ne abbia proposto una lettura riduttiva e, soprattutto, "sganciata" dal complessivo contesto di riferimento. Altrettanto significative, infine, sono le produzioni 2.8.1 e 2.8.2 dalle quali, in effetti, si ricava, con riferimento al "contributo" offerto da Ba.Nu., l'incidenza significativa dei finanziamenti sull'esito positivo dell'aucap 2014, sicché - anche in tal caso nonostante le specifiche obiezioni difensive (relative alla minor somma di capitale finanziato poi riscontrato con riferimento alla predetta Ba.Nu. rispetto ai dati evinciteli da tali comunicazioni) - le produzioni effettuate a sostegno delle dichiarazioni del GI. corroborano l'attendibilità della fonte. Infine - è stato già anticipato, ma giova ripeterlo - le propalazioni del GI. hanno trovato piena conferma nelle prove a carico del PE. già acquisite nel corso del giudizio di primo grado, sicché l'esigenza dei riscontri alla chiamata di correo appare, sotto questo profilo, più che soddisfatta. Ciò posto, prima di passare alle conclusioni, si impone una analisi specifica, ancorché sintetica, di quelle evidenze che il primo giudice ha valutato come favorevoli all'imputato e che, diversamente, si rivelano, in quest'ottica, prive di rilievo (se non, addirittura, di segno contrario). E' il caso, anzitutto, delle deposizioni dei testi Fa., Tr., Mo. e Li., ampiamente richiamate dalla difesa dell'imputato (si vedano, segnatamente, le considerazioni svolte ai paragrafi 3.2 -3.5, pagg. 18-41 della memoria conclusiva). Ebbene, premesso quanto già ripetutamente esposto in ordine alla difficoltà incontrata (dapprima in sede di indagine e, successivamente, nel corso del giudizio) nell'ottenere dai contributi dichiarativi resi dai partecipi delle strutture di B. coinvolti, con ruoli non marginali, nelle operazioni di "capitale finanziato", informazioni realmente utili per il necessario regolamento di confini in punto di responsabilità individuali, deve osservarsi, quanto alle dichiarazioni del Fa. - là dove costui, come precisato in sentenza, ha riferito che tanto lui stesso quanto il PE. avevano acquisito la conoscenza dell'entità del capitale finanziato solo nel corso dell'ispezione della Bc. del 2015 ed ha precisato che, in precedenza, tale conoscenza era assolutamente generica, poiché derivata dalle sporadiche allusioni a tale fenomeno effettuate in sede di Comitato di Direzione - si è in presenza di affermazioni, alla luce di quanto sin qui detto, del tutto inaffidabili. Il primo giudice, sul punto, ha obliterato ogni valutazione di attendibilità, attendibilità che, per contro, va radicalmente esclusa, essendosi in presenza del collaboratore dell'imputato che, come s'è detto, curava la valutazione degli effetti dell'andamento del fondo sul patrimonio di vigilanza e che, quindi, svolgeva un'attività di assoluto rilievo ai fini del monitoraggio delle implicazioni del capitale finanziato sui requisiti prudenziali. Peraltro, lo stesso Fa., nel corso della rinnovata escussione dibattimentale innanzi a questa Corte, non ha potuto negare che in occasione del comitato "del 14.11.2014" (rectius del 10.11.2014) - ovverosia in una situazione di forte tensione - era stato specificamente affrontato il tema del capitale correlato, sostenendo che tale fenomeno, in precedenza, era tollerato (e, quindi, non certo ignorato) in quanto vera e propria prassi delle popolari. Quanto alla testimonianza resa dal Tr., poi, deve osservarsi che, con riferimento al PE., i passaggi più significativi di detto contributo dichiarativo riguardano, in primo luogo, il fatto che, ad avviso di tale teste, l'imputato mai gli avrebbe rappresentato (espressamente o implicitamente) di essere a conoscenza del fenomeno e, in secondo luogo, la circostanza che il medesimo giudicabile si sarebbe dimostrato sorpreso allorquando gli ispettori ebbero ad illustrare le evidenze emerse In relazione ai fondi At. ed Op., Ebbene, irrilevante la questione dei fondi (rispetto ai quali non è in discussione l'estraneità dell'imputato), trattasi, per il resto, anche a volersi prestar fede ad un testimone, complessivamente, anch'egli poco affidabile (in quanto parimenti partecipe della complessiva vicenda in esame, in qualità di collaboratore dell'odierno imputato, essendo egli responsabile della Ragioneria Generale), di contributo privo di sostanziale portata, com'è evidente alla luce del concreto contenuto di tali dichiarazioni. In relazione alla deposizione del Mo., poi, il tribunale ha evidenziato come costui avesse riferito che, prima della ispezione Bc., vi era consapevolezza bensì dell'esistenza, non già delle dimensioni del fenomeno in esame, soggiungendo, con specifico riferimento alla posizione del PE., che detto imputato era a conoscenza dello slogan di So. secondo il quale era necessario che ogni cliente affidato possedesse azioni B. per un controvalore pari ad almeno il 10%, Ebbene, rispetto a tale deposizione non possono non avanzarsi rilievi critici, in punto di attendibilità, del tutto analoghi a quelli relativi alla deposizione del collega Fa.. Questo, solo a considerare il fatto che il predetto Mo., per le sue funzioni di stretta collaborazione con la Divisione Mercati, alle riunioni mensili della quale partecipava stabilmente, era il soggetto, tra quelli appartenenti alla Divisione diretta dal PE., maggiormente coinvolto dai flussi informativi "informali" relativi alle pressanti iniziative di collocamento dei titoli che coinvolgevano tutta la rete commerciale. Si è in presenza, quindi, di dichiarazione alla quale non può certo attribuirsi particolare significato in chiave difensiva. Peraltro, giova evidenziare come, in sede di rinnovazione istruttoria, tale teste, nel ribadire, comunque, che, sia pure in modo allusivo ed in contesti informali, delle "baciate" si parlava all'interno della banca, abbia anche confermato - e trattasi di elemento tutt'altro che trascurabile, ove si consideri debitamente la più volte evocata "dimensione sistemica" del fenomeno in questione - le significative tensioni riscontrabili sul mercato secondario del titolo a partire dall'anno 2012. Infine, quanto al teste Li., costui ha sostenuto che il PE., all'inizio dell'ispezione, gli aveva riferito, peraltro esprimendosi in termini di mera probabilità, di essere a conoscenza di un ammontare del capitale finanziato non superiore a quello del fondo acquisto azioni proprie e, dunque, nei limiti dei 200 milioni. Ebbene, a parte il fatto che si tratterebbe di un importo comunque assai consistente (corrispondendo quasi alla consistenza massima del fondo azioni proprie nella fase precedente rispetto alla successiva riduzione prevista normativamente), tale da incidere significativamente sui requisiti di vigilanza, è decisivo osservare che l'interlocuzione tra i due si colloca in una fase di crisi oramai manifesta, quando tutti ragionevolmente miravano ad escludere (o, quantomeno, a ridimensionare) l'apporto da ciascuno fornito alla attuazione della prassi del capitale finanziato (si pensi alla già evocata distruzione, da parte di Am., dei documenti che potevano comprometterlo). Non v'è chi non veda, pertanto, come si sia in presenza di una deposizione priva di reale consistenza favorevole. In effetti, l'imputato (al pari dei suoi più stretti collaboratori, donde - va ribadito ancora una volta - la scarsa attendibilità delle dichiarazioni di costoro) aveva tutto l'interesse, in ottica autodifensiva, ad apparire all'oscuro quantomeno delle dimensioni del fenomeno in esame, onde avvalorare la tesi della propria estraneità ai fatti, o, comunque, di un coinvolgimento del tutto marginale. Venendo, quindi, alla disclosure relativa ai fondi At. ed Op., verificatasi nel giugno del 2014, coglie nel segno la censura articolata, sul punto, nell'atto di impugnazione del p.m.: non solo si è trattato di condotta doverosa (in quanto conseguente ad uno specifico obbligo); ma - e trattasi di considerazione, sul punto, davvero dirimente - è decisivo osservare come un differente contegno avrebbe comportato effetti ancora più pregiudizievoli per la banca, la quale si sarebbe vista costretta a detrarre dal patrimonio di vigilanza l'intero ammontare dell'investimento effettuato nei fondi lussemburghesi, pari a circa 350 milioni dì Euro, a fronte di una detenzione di azioni ammontante ad un valore di circa 50 milioni di euro259. L'irrilevanza di tale elemento, quindi, è tanto evidente da non richiedere ulteriori commenti. Considerazioni più articolate si impongono, invece, con riferimento alla "vicenda Kp.", alla quale il primo giudice, in relazione all'imputato, ha dedicato le osservazioni contenute alle pagg. 746-748 della sentenza impugnata. In estrema sintesi, il tribunale ha interpretato la condotta tenuta dal PE. in quel delicato frangente come insuscettibile di univoca interpretazione, al contempo riconoscendo come più probabile una lettura del complessivo contegno del giudicabile come sintomatico di mancata conoscenza dell'entità effettiva del capitale finanziato. Si ricorda che il PE., secondo la teste Pa., le aveva bensì chiesto un "parere legale", ma senza affatto suggerirle di attestare la legittimità delle operazioni di finanziamento per l'acquisto delle azioni cadute sotto la lente della società di revisione; quindi, in occasione della successiva riunione, allorquando il Pi., alla proposta della medesima Pa. di avviare "un audit", aveva reagito proferendo la frase "Ma sei matta! Un Audit? Se facciamo un audit andiamo tutti a casa", ed anche il So. aveva dato in escandescenze, era rimasto calmo, dando così mostra di non essere allineato agli altri vertici aziendali. Trattasi, ad avviso di questa Corte, di una lettura delle emergenze processuali disponibili davvero poco persuasiva e, anzi, a ben vedere, frutto di un marcato travisamento della prova. Ed invero, tralasciando quanto sin qui detto in ordine alle prove positive (dirette ed indirette, logiche, testimoniali e documentali) inerenti alla conoscenza effettiva dell'esistenza e della entità eclatante del capitale finanziato in capo al PE. e limitando l'analisi alla vicenda in esame (ed agli accadimenti ad essa immediatamente precedenti), non può non rilevarsi quanto segue. La società Kp. era impegnata nella revisione del bilancio 2014 e, in tale contesto operativo, si era determinata ad effettuare laboriosi approfondimenti, peraltro mai svolti in occasione delle analoghe attività espletate negli anni precedenti, approfondimenti che, a seguito dì appositi "incroci informatici" dei dati disponibili negli archivi dell'istituto, avevano portato all'emersione di alcune (17) "posizioni correlate", attinenti non solo all'aumento di capitale ma anche alle operazioni di acquisto azioni effettuate nel corso del medesimo anno. Con ogni probabilità (sebbene talune incertezze, sul punto, non siano state del tutto dissolte dall'istruttoria dibattimentale) ad orientare in tal senso l'attività di revisione erano stati significativi "campanelli d'allarme" che non potevano essere ignorati. In ogni caso, le evidenze emerse nell'occasione - ciò va precisato per il rilievo che tale circostanza è destinata ad assumere ai fini del dovuto apprezzamento della serietà di quanto andava emergendo - erano il frutto di verifiche eseguite su un mero campione e, quindi, erano del tutto prive di valore statistico (sicché era assai probabile che - come poi puntualmente avvenuto - una più analitica disamina avrebbe potuto portare alla luce una situazione assai più compromessa). Ebbene, all'emersione di tali evidenze aveva fatto seguito, su input della società di revisione, interessata ad acquisire il "punto di vista" della banca su tali evidenze di "correlazione", il coinvolgimento del PE. (immediatamente informato da Vi.An., di Kp., del problema che andava emergendo) e, per il tramite dello stesso imputato, del d.g. So., dell'ufficio legale di B. (nella persona della Pa.) e, infine, dello stesso Collegio Sindacale. A questo punto, gli eventi si erano succeduti freneticamente: la Pa., a fronte delle plurime richieste di parere (secondo la teste, anche il d.g. So. si era attivato in tal senso) e dopo essersi consultata con l'avv. Te. (alla presenza dello stesso PE.), aveva rifiutato di attestare la regolarità di quanto stava venendo alla luce, sostenendo trattarsi di prassi in contrasto con l'art. 2358 c.c., per poi ribadire tale decisione anche nella "famosa" riunione con il d.g. So. e gli imputati PI. e PE.. Si tratta proprio dell'incontro in occasione del quale, come efficacemente rievocato dalla teste, il So., si era "arrabbiato tantissimo", l'aveva aggredita verbalmente e l'aveva finanche minacciata di licenziamento (affermando espressamente che "si sarebbe trovato un altro avvocato") ed il PI., dal canto suo, alla proposta della stessa Pa. di svolgere un approfondimento Audit, aveva replicato "Ma sei impazzita? Sei matta? Se facciamo un Audit andiamo tutti a casa"263. Ciononostante, era stata alla fine trovata una sorta di soluzione di compromesso che, elaborata, con l'ausilio dell'avv. Te., dalla Pa., dal PE. e dal GI. (anche se poi riversata in un documento sottoscritto solo da quest'ultimo), aveva soddisfatto le esigenze di Kp., sicché la società di revisione si era determinata a certificare il bilancio. Sennonché, deve osservarsi che, nella risposta fornita da B., la banca si era limitata a fornire l'assicurazione che l'istituto, nell'erogazione dei finanziamenti, aveva sempre rigorosamente verificato il merito creditizio dei soggetti affidati (profilo, questo, com'è evidente, del tutto marginale rispetto al nucleo essenziale del problema della correlazione), per il resto sostanzialmente limitandosi a comunicare che avrebbe avviato "ogni opportuno approfondimento volto a verificare nei tempi tecnici necessari se vi siano casi in cui all'apparente contestualità dell'operazione corrispondano comportamenti irregolari", approfondimento il cui esito sarebbe stato "sottoposto agli organi competenti" ed informando la stessa società che avrebbe avuto "accesso alla relativa documentazione". In tal senso ricostruita la successione degli eventi, emerge platealmente l'insostenibilità della interpretazione della condotta del PE.. Ad ammettere che il giudicabile fosse stato all'oscuro della reale dimensione del fenomeno, infatti, sarebbe stato lecito attendersi che il predetto, di fronte alla eclatante reazione del PI. per effetto di una richiesta (quella di un approfondimento "audit") del tutto ragionevole, si sarebbe per primo dovuto allarmare, ben più della collega Pa., Questo, solo a considerare le gravissime prospettive che iniziavano a delinearsi non solo per l'istituto di credito ma per la stessa persona dell'imputato, tenuto conto del ruolo dal predetto rivestito di responsabile del bilancio e delle comunicazioni alla vigilanza. La condotta scomposta del So. e del PI., invero, rivelava chiaramente, ove mai ve ne fosse stato bisogno, agli occhi di un esperto dirigente quale PE., tutt'altro che incapace di cogliere la gravità dei fatti, che le posizioni irregolari incappate nella verifica della società di revisione ragionevolmente erano solo una minima frazione di un ben più vasto e radicato fenomeno, con la conseguenza della assoluta inattendibilità dei bilanci e delle comunicazioni predisposte dallo stesso PE., in questa prospettiva evidentemente vittima di un gravissimo, coordinato e risalente inganno ad opera degli altri più alti dirigenti e delle strutture della banca coinvolte in tale operatività. In un siffatto scenario, quindi, la reazione controllata dell'imputato nel corso dell'incontro non trova davvero alcuna plausibile giustificazione, al pari, del resto, del successivo tentativo del giudicabile di tranquillizzare la Pa. (la quale ipotizzava persino di dimettersi) durante il viaggio di ritorno, minimizzando la serietà di quanto andava emergendo. Ma v'è di più. Come s'è visto, quando ebbe a verificarsi la "vicenda Kp." (siamo nella prima metà di marzo 2015) aveva da poco avuto luogo la riunione indetta dal So. in vista dell'ispezione Bc., riunione in occasione della quale il "responsabile Audit" Bo., richiamando la propria relazione datata 4.9.2014, aveva manifestato serie preoccupazioni per l'entità del fenomeno del capitale finanziato quale sino ad allora accertato. E, come s'è detto, il PE. aveva preso parte a tale riunione (o, comunque, è assolutamente ragionevole ritenere che di quanto emerso in quella sede fosse stato prontamente informato). Sicché, anche sotto tale profilo, la condotta pacata e rassicurante tenuta dall'imputato al cospetto della Pa. risulta ancor più difficilmente leggibile come espressione di estraneità rispetto al resto dell'alta dirigenza della banca (e, in particolare, rispetto al So. ed al PI.). Assai più probabile - ad avviso di questa Corte - è che l'imputato abbia assunto detto contegno per contribuire, in tal guisa, a non recidere definitivamente i contatti con la Pa., mirando, d'intesa con il So. (o, comunque, interpretando in tal senso gli intendimenti di quest'ultimo), ad indirizzare l'operato della collega verso approdi il meno pregiudizievoli possibile per l'istituto di credito (ovviamente nell'ottica degli imputati). E, in effetti, alla fine, le cose erano andate proprio nel senso auspicato, posto che era stata trovata una "soluzione di compromesso", ove si consideri che la missiva inviata a Kp. (predisposta, oltre che dalla Pa., dall'avv. Te. e dal coimputato GI., anche dallo stesso PE., ancorché significativamente sottoscritta, come s'è detto, dal solo GI., la posizione del quale, evidentemente, già era considerata quella meno difendibile) si limitava a rappresentare l'impegno dell'istituto di credito a svolgere gli approfondimenti necessari per chiarire le posizioni segnalate. Ne consegue che la interpretazione della vicenda Kp. adottata dal primo giudice (sostanzialmente adesiva rispetto alla lettura fattane dalla difesa del PE. ed esplicitata al paragrafo 4.4, della memoria difensiva, pagg. 65-75), è nettamente contraddetta dalla razionale lettura delle esposte emergenze dibattimentali. Infine, in ordine all'intervento effettuato dal PE. nel corso della seduta del CdA 1.4.2014, vale osservare come, se è vero che l'imputato, nell'occasione, ebbe a svolgere osservazioni critiche, ciò non contrasta affatto con il coinvolgimento del medesimo nell'attività delittuosa. Infatti, è di certo verosimile che il predetto, evidentemente consapevole del baratro nel quale l'istituto di credito stava precipitando, ritenesse opportuno "frenare" la deriva circa la sopravvalutazione del prezzo dell'azione e mirasse, quantomeno, ad un "congelamento" della situazione. E, a ben vedere, ponendosi in questa prospettiva, la circostanza in esame finisce per assume un significato opposto a quello assegnatole dal primo giudice. Del resto, anche il GI. - come s'è detto - si sarebbe fatto proponente, in occasione del Comitato di Direzione di appena pochi mesi dopo, di una soluzione drastica (e risultata, alla stregua delle stesse dichiarazioni di costui, impercorribile) per smontare le "baciate", anche a costo di un radicale ridimensionamento dell'istituto. Nondimeno, nessuna dissociazione del predetto PE. (al pari, del resto, del coimputato GI.), ha avuto successivamente luogo. Per contro, come evidenziato dal P.M. nell'atto di appello, è emerso che PE. ha più volte ammesso, secondo quanto precisato dal teste Ca., come l'elaborazione di piani industriali irrealistici costituisse il contributo offerto dallo stesso imputato - significativamente definito dal teste, proprio con riferimento alla elaborazione dei piani in questione, il "braccio armato" del d.g. So. - per sostenere surrettiziamente il prezzo dell'azione. Sicché, anche sul punto, ha obiettivamente errato il primo giudice nel riconoscere portata favorevole all'imputato a tale circostanza. Deve, allora, necessariamente concludersi nel senso che tutti gli elementi significativi disponibili (tanto di natura logica, quanto documentale, quanto, ancora, dichiarativa) convergono - ove interpretati nella loro univoca, razionale significazione e debitamente sottoposti a complessiva lettura - nel collocare il PE. all'interno di quella struttura di vertice del management aziendale che non solo era a conoscenza del fenomeno del capitale finanziato e della sua eclatante portata, ma che aveva fattivamente cooperato, secondo le capacità e nell'ambito delle "competenze" proprie di ciascun alto dirigente, affinché tale prassi potesse trovare, al contempo, concreta attuazione nell'operatività interna di B. ed adeguata copertura "esterna" (segnatamente, nei confronti della vigilanza). Può certamente essere vero che il PE. non avesse costantemente la precisa cognizione delle esatte (e costantemente variabili) dimensioni del fenomeno, posto, per un verso, che il relativo monitoraggio veniva curato, come detto, dal Fa. e, per altro verso, che il Mo. (il quale - come s'è detto - partecipava alle riunioni periodiche della Divisione Mercati, ove - lo si è visto - la questione era spesso trattata) godeva di un significativo grado di autonomia e considerato, in ogni caso, che il contributo fornito (tramite il predetto Fa.) dalla Divisione Bilancio era quello di un vaglio, necessariamente periodico, finalizzato al tema specifico delle ricadute sul patrimonio di vigilanza (mentre, come ha ricordato il teste Ba., il monitoraggio sulle singole operazioni era effettuato dalla Divisione Mercati e dall'ufficio soci, secondo le rispettive competenze). Lo stesso imputato, del resto, in sede di rinnovazione istruttoria, ha precisato come non avesse interesse ad avere informazioni specifiche sulla movimentazione mensile del fondo azioni proprie, trattandosi di dato che assumeva concreto rilievo ("entrava nei radar") verso il mese di settembre, quando diveniva significativo ai fini delle valutazioni di competenza della Divisione267. In questa prospettiva, peraltro, trovano agevole spiegazione le interlocuzioni del giudicabile con il GI. (secondo quanto da quest'ultimo riferito, ma decisamente negato dall'imputato268), allorquando, all'esito di vari Comitati di Direzione, il primo aveva interpellato il secondo sull'ammontare delle correlate, ottenendo dal coimputato l'aggiornamento dell'entità delle operazioni riconducibili allo stesso interlocutore ("...Nei comitati di direzione e nelle riunioni di direzione si parlava di baciate. Ovviamente non sempre, in maniera progressiva dal 2012 fino al 2014, ma si parlava di baciate - Io ricordo esattamente che in alcune occasioni, in chiusura, quindi una volta chiusi questi comitati e queste riunioni, Pe. venne da me e mi disse: "Ma quant'è 'sta roba? Di quanto stiamo parlando?". E io gli dissi: "Per quanto ne so, quindi operazioni fatte da me, stiamo parlando di 200-300 milioni" Da me, quindi Gi. che incontrava i clienti. Quindi, ipotizzando che la Banca fosse molto più complicata e molto più estesa, questi 200-300 milioni si potevano moltiplicare per 2, 3, 4. Quindi le operazioni conosciute da me erano 200-300 milioni, e lo dissi chiaramente a Pe.. E questo, però, ovviamente è la parola mia contro la parola di Pe. ..."). E' bensì vero che l'imputato ha negato tali ripetute interlocuzioni, riferendo unicamente di una richiesta, da lui rivolta al GI., circa l'entità del capitale finanziato, richiesta che, peraltro, il giudicabile ha collocato nel marzo del 2015, dopo la vicenda Kp.269 (ovverosia in un'epoca nella quale l'evento in questione è destinato ad assumere, in chiave accusatoria, assai minore significato). Trattasi, tuttavia, di contestazione che si scontra con la precisione della chiamata di correo, peraltro complessivamente assistita dalle evidenze probatorie di cui s'è detto. Aggiungasi che vi era anche un comprensibile interesse dello stesso giudicabile a non "compromettersi" eccessivamente, per scongiurare eventuali future contestazioni, potendo egli fare affidamento, in relazione al monitoraggio delle ricadute del capitale finanziato sui requisiti del patrimonio di vigilanza, sulla collaborazione del Fa.. Trattasi, peraltro, di uria lettura del comportamento del PE. siccome improntata a cautela del tutto coerente con il quadro complessivo disvelato dall'istruttoria (caratterizzato, nel corso dell'operatività illecita, dall'adozione di prassi di occultamento del fenomeno in esame; quindi, successivamente al disvelamento di detta operatività, dal tentativo, da parte dei soggetti a diverso titolo in essa coinvolti, di "sfilarsi" da ogni coinvolgimento). Sennonché, come s'è visto, la conoscenza di tale fenomeno in capo all'imputato non era affatto vaga, bensì sufficientemente precisa circa l'entità comunque rilevante dei valori in gioco e, quando ve n'è stato bisogno, costui ha fornito significativi contributi tali da rivelare il suo dominio informativo della prassi delle "correlate". Le contrarie dichiarazioni rese dal PE., là dove il giudicabile, anche da ultimo, ha negato di avere avuto contezza del capitale finanziato prima del marzo 2015, individuando nell'esito della verifica espletata da Kp. il momento a partire dal quale aveva appreso di tale prassi (cfr. esame PE., ud. 8.7.2022, pag. 82), infatti, risultano chiaramente smentite dalle evidenze probatorie esposte e palesemente ispirate da intenti difensivi. Così come del tutto inverosimili si palesano le affermazioni secondo le quali il predetto non avrebbe avuto sentore delle gravissime difficoltà nelle quali versava il mercato secondario delle azioni B. sin dal 2011, avendo egli persino tentato di accreditare la tesi secondo la quale, finanche negli anni successivi al 2011, si sarebbe stati in presenza di una normale "ciclicità" della dinamica dell'andamento del fondo acquisto azioni proprie, essenzialmente spiegabile in termini di convenienza finanziaria (convenienza, a suo giudizio, rappresentata dal vantaggio di acquistare azioni B. a fine anno, prima del c.d. blocking period, per poi rivenderle nel volgere di pochi mesi, dopo avere riscosso i dividendi e fruito dei vantaggi conseguenti all'aumento di valore dell'azione siccome annualmente deliberato dal CdA). Sul punto, infatti, affermazioni del PE., sebbene, ove analizzate sul piano della astratta razionalità economica, siano fondate (e, probabilmente, siano anche aderenti alle dinamiche dell'andamento degli acquisti dei titoli B. nel periodo ante crisi), qualora, invece, doverosamente rapportate alla concretezza del caso sub iudice finiscono per rasentare la temerarietà. Questo, solo a considerare: - da un lato, che l'ultimo anno nel quale erano stati pagati i dividendi (peraltro in azioni) era stato proprio il 2011; che il valore dell'azione dall'anno 2010 non era più cresciuto; e, infine, che il bilancio della Banca si era chiuso con perdite, nel 2013, di 28 milioni e, nel 2014, di ben 758 milioni; - e, dall'altro lato, che il documento n. 166 in precedenza evocato, ancorché riferibile al primo semestre dell'anno 2011, attestava uno squilibrio tra richieste di vendita e di acquisto del titolo tanto eclatante da non poter non destare seria preoccupazione in un dirigente esperto quale l'imputato. Trattasi, peraltro, di spiegazione che davvero mal si concilia con quanto riferito dallo stesso PE. in differenti passaggi del proprio esame, tanto là dove costui ha sostenuto che le difficoltà di svuotamento del fondo, pure non gravi, richiedevano comunque un impegno importante della rete, tale da generare un'"area grigia" (anche se poi ha individuato le criticità come inerenti essenzialmente a probabili violazioni della disciplina MIFID) e, nel rievocare la predisposizione della lettera di risposta a Banca d'Italia del 4.11.2014, ha ricordato che si trattava di difficoltà note; quanto nella parte in cui, nel corso del giudizio di primo grado, ha ammesso come, in occasione di plurime riunioni di Comitato, fossero state ricorrenti le richieste di spiegazioni rivolte al GI. in ordine alle ragioni per le quali lo svuotamento del fondo azioni proprie procedesse a rilento. Del resto, era pacificamente prevedibile che le operazioni di aumento di capitale deliberate negli anni 2013 e 2014 provocassero (come peraltro precisato dallo stesso PE.) un contraccolpo negativo sull'andamento del mercato secondario del titolo B., avendo l'effetto indiretto di ridurre ulteriormente la platea dei potenziali acquirenti delle azioni della banca (trattandosi di investitori già ragionevolmente interessati dal collocamento dell'azione sul mercato primario), circostanza che, unitamente alla drastica riduzione (da 240 milioni a 60 milioni) dell'entità del fondo intervenuta nel 2014, contribuiva a creare le condizioni di una "tempesta perfetta". Anzi, non può non rilevarsi come l'inconsistenza di tali dichiarazioni, qualora letta congiuntamente alla sostanziale assenza di spiegazioni in ordine ad elementi probatori di indubbio rilievo (intende farsi riferimento, in particolare, al documento 2.3.3, allegato alla memoria del GI., contenente - corredato dalla significativa indicazione "non illustrabile" - anche il riferimento all'andamento degli ordini di cessione delle azioni da parte dei soci), finisca, a sua volta, per costituire un ulteriore, sia pure indiretto, significativo elemento di prova a carico. Di qui la conclusione circa la prova della conoscenza, in capo al giudicabile, dell'esistenza e dell'entità significativa del "capitale finanziato" (con conseguente irrilevanza delle considerazioni difensive in ordine "ai controsegnali" che avrebbero rassicurato l'imputato circa l'assenza di irregolarità di sorta negli acquisti dei titoli di B.). 15.2.2. Il concorso del Pe. nell'operatività delittuosa Le considerazioni testé svolte, quindi, orientano univocamente nel senso del coinvolgimento del PE. nella attività delittuosa. Sul punto, tuttavia, sono indispensabili le seguenti precisazioni. Il capo di imputazione addebita all'imputato di avere contribuito "attivamente" alla perpetrazione dei reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto. Dal canto suo, la difesa del giudicabile non ha mancato di osservare, in senso contrario, come ì rimproveri astrattamente addebitabili al PE. si sarebbero potuti in teoria risolvere unicamente "in presunti contributi di tipo omissivo non tanto per non avere impedito che altri realizzassero condotte illecite" - non essendo ravvisabile, ad avviso della stessa difesa, a carico del dirigente preposto e, tantomeno, del responsabile della "Divisione Bilancio e Pianificazione", alcuna "posizione di garanzia277 - piuttosto "per non avere dato atto" nei documenti espressione della sua funzione (bilanci, dati contabili destinati alle Autorità di vigilanza, ecc.) dell'esistenza di capitale finanziato..". Trattasi, a ben vedere, di questione che, ove doverosamente esaminata attraverso il prisma della concreta, peculiare dinamica dell'attività delittuosa siccome disvelata dai complessivi esiti dell'istruttoria, appare priva di reale consistenza. Al riguardo, una premessa è d'obbligo. Il ruolo rivestito dall'imputato all'interno della compagine di B. - e, segnatamente, l'incarico affidatogli di dirigente preposto - implicava necessariamente l'attribuzione, in capo al predetto, di una posizione di garanzia, ancorché il tribunale abbia affermato il contrario. In effetti, appare davvero arduo sostenere che non gravassero sull'imputato, una volta provatane - come si ritiene di avere fatto - la piena conoscenza del sistematico ricorso al capitale finanziato per valori complessivamente eclatanti, precisi doveri di intervento. A meno che non si voglia relegare - contro lo spirito e, come si vedrà, la stessa lettera della legge - il ruolo del dirigente preposto in ambiti meramente formali, infatti, è giocoforza concludere come, in una situazione quale quella in atto, da anni, presso l'istituto di credito vicentino, sul dirigente preposto incombessero specifici obblighi di intervento (eventualmente previo approfondimento della questione in esame) e, in ultima analisi, di franca dissociazione da una prassi tanto marcatamente irregolare. A fronte, per un verso, della conoscenza di un così diffuso ricorso al capitale finanziato (tale da alterare il valore dell'azione e, comunque, da indurre in errore ì terzi circa la solidità della banca berica) e delle ragioni all'origine di tale prassi, vitali per la stessa sopravvivenza dell'istituto di credito; e, per altro verso, della consapevolezza circa la doverosità dell'obbligo di decurtazione dal patrimonio di vigilanza degli importi dei finanziamenti destinati all'acquisto di azioni dell'istituto, ipotizzare che l'imputato potesse rimanere inerte, limitandosi ad elaborare i flussi informativi "ufficiali", della radicale inattendibilità dei quali era ben cosciente, senza incorrere in alcuna responsabilità, anche di natura penale, costituisce prospettazione del tutto irragionevole, prima ancora che giuridicamente infondata. In ogni caso, sotto tale secondo aspetto, va rimarcato che le funzioni ricoperte dal PE., tanto con riferimento alla direzione della "Divisione Bilancio" quanto al ruolo di "dirigente preposto", implicavano obblighi ben precisi. In particolare, l'art. 154 bis, co. 5, TUF, prevedeva l'idoneità dei documenti e delle procedure adottate dall'istituto a fornire una rappresentazione veritiera e corretta circa la situazione patrimoniale, finanziaria ed economica della società. E' bensì vero che tale veridicità doveva intendersi limitata, a seguito della modifica normativa introdotta dal D.L.vo 303/06 che ha eliminato il riferimento alla "corrispondenza al vero", alla attestazione della corrispondenza dei dati comunicati con quelli risultanti dalla contabilizzazione interna; tuttavia, non pare francamente sostenibile che la conoscenza, aliunde acquisita, di una tanto marcata inattendibilità dei dati provenienti dai "flussi informativi" ufficiali potesse consentire l'apposizione di un "timbro" di conformità, senza imporre al dirigente preposto di attivarsi quantomeno per un approfondimento in proposito. In ogni caso, è dirimente osservare che sul dirigente preposto incombevano, ex art. 154 bis, co. 3, 5 lett. a), TUF, specifici doveri di controllo (anche in ordine alla adeguatezza delle procedure adottate dall'istituto di credito per la formazione dei documenti contabili e, quindi, anche alla idoneità di dette procedure ad "intercettare" adeguatamente fenomeni, aventi implicazioni contabili, altrimenti non rilevabili), ancorché all'imputato, nello specifico, fosse consentito assolverli avvalendosi della collaborazione di altre strutture della banca (segnatamente, l'Audit, in ragione di accordi organizzativi interni, come del resto precisato dallo stesso PE.279 ed evidenziato nella "consulenza Pa."). Ne consegue che, in presenza di una eclatante dimostrazione dell'inadeguatezza delle procedure interne ad intercettare un fenomeno tanto marcato, non può esservi alcun dubbio che sull'imputato gravasse un obbligo di intervento. Donde l'insostenibilità di un atteggiamento di "indifferenza" rispetto al contenuto delle comunicazioni rivolte all'esterno. Sotto tale profilo, pertanto, vi sarebbero i presupposti tutti per ravvisare gli estremi dell'elemento materiale del concorso omissivo, ex art. 40 cpv. c.p.. In siffatta prospettiva, invero, sarebbe l'inerzia a fronte della piena conoscenza dell'esistenza del fenomeno del capitale finanziato e delle sue gravissime implicazioni sul patrimonio di vigilanza della banca a legittimare l'addebito della responsabilità omissiva, senza alcuna necessità di dilatare la posizione di garanzia riconducibile al ruolo di dirigente preposto sino al punto di ricomprendervi (del tutto erroneamente, alla stregua della modifica normativa intervenuta con riferimento alla disposizione testé evocata del testo unico) la responsabilità per la veridicità sostanziale dei dati contabili. Sennonché, come si diceva, la questione assume, nella concretezza del caso in esame, ben scarso rilievo. Ed infatti: - per un verso, i complessivi esiti dell'istruttoria dibattimentale, come anche implementata nel corso del giudizio di appello (alla stregua, in particolare, delle dichiarazioni del coimputato GI.), hanno restituito i lineamenti di un effettivo concerto tra tutti i manager apicali dell'istituto di credito in ordine al sistematico ricorso al capitale finanziato quale strumento per assicurare la liquidità del titolo della banca, preservarne (l'apparente) valore e, al contempo, proseguire nella politica di espansione territoriale tenacemente perseguita dalla presidenza ZO., politica che, ove accantonata, avrebbe necessariamente significato, come efficacemente chiarito dal medesimo GI., la rinunzia, da parte dello stesso ZO., alla guida dell'istituto di credito - Si è trattato, a tutti gli effetti, di un accordo intervenuto nei fatti, senza, pertanto, che si fosse resa necessaria una specifica decisione assunta in occasione di una apposita riunione (e, tantomeno, la sua formalizzazione in un documento ufficiale). In definitiva, si è sostanzialmente verificata, a partire dagli anni 2011-2012, la progressiva implementazione di una più risalente operatività, adottata quando ancora non vi erano problemi di liquidità delle azioni ma si era soliti ricorrere a questo "sistema" per svuotare il fondo a fine anno c. in tal guisa, dare prova, da parte del più alto management di efficienza gestionale. Come s'è avuto modo di apprendere dagli esiti dell'istruttoria dibattimentale, infatti, le crescenti difficoltà nel ricollocare le azioni dell'istituto, oggetto di sempre maggiori richieste di vendita a partire dal 2011; la connessa esigenza di sostenere il valore del titolo; e, infine, la conseguente necessità di reperire capitale per rispettare i ratios patrimoniali, hanno spinto i vertici della banca a ricorrere sistematicamente al finanziamento dell'acquisto dei titoli, dando così vita ad una spirale perversa e, di fatto, insuscettibile di interruzione, originando una prassi divenuta addirittura essenziale per la stessa sopravvivenza della banca (specie allorquando, per effetto delle normativa europea, l'ammontare del fondo azioni proprie era stato drasticamente ridimensionato); - e, per altro verso, all'artificioso, massiccio sostegno della domanda di titoli divenuti illiquidi attraverso l'erogazione di appositi finanziamenti ed al successivo, sistematico occultamento di tale pratica ha contribuito anche la struttura diretta dall'imputato, tanto con l'esecuzione dell'indispensabile monitoraggio del "capitale finanziato" e con la conseguente, essenziale simulazione delle previsioni di ricaduta sul piano dei ratios patrimoniali, quanto con la successiva, consequenziale dissimulazione di tale fenomeno in occasione delle periodiche comunicazioni alla vigilanza. Tutto ciò ha avuto luogo con il consapevole, fattivo coinvolgimento anche del PE.. In un siffatto contesto, lo specifico apporto fornito dal predetto all'operatività delittuosa in esame è stato segnatamente rappresentato da condotte caratterizzate da profili non solo meramente "omissivi" (con riferimento, ad esempio, al mancato adeguamento delle procedure di contabilizzazione delle operazioni di capitale finanziato ed alla omissione della predisposizione di adeguati controlli sul punto nonché della successiva verifica della relativa efficacia, carenze, comunque, specificamente imputabili alla sua responsabilità di dirigente preposto), ma anche - e soprattutto - marcatamente attivi, avendo egli predisposto le false comunicazioni ripetutamente inviate alla vigilanza e fornito i dati contabili poi confluiti nelle comunicazioni al pubblico che radicano gli addebiti di aggiotaggio informativo e di falso in prospetto e, comunque - giova ripeterlo - avendo il predetto coordinato l'azione di una divisione chiamata (specie con l'agire del collaboratore Fa. ma, come si è visto, anche mediante il personale intervento dello stesso giudicabile) a cooperare al fenomeno in esame in sede di "monitoraggio" del capitale finanziario. Nella concretezza della vicenda sub iudice, quindi, le diverse condotte fattive ed omissive) nelle quali si è tradotto il contributo fornito dal giudicabile al fenomeno del capitale finanziato, già difficilmente "separabili" sul piano della mera astrattezza, finiscono per "saldarsi" in un contegno necessariamente unitario, smentendo, quindi, quell'alternativa secca tra azioni ed omissioni prospettata dalla difesa. Di qui la sussistenza dei presupposti tutti per ravvisare, nell'agire del predetto PE., gli estremi del concorso (attivo) nell'operatività delittuosa, senza, pertanto, alcuna reale necessità di valorizzare la posizione di garanzia pure sussistente, per quanto detto in proposito, in capo al giudicabile, posto che, con riferimento all'elemento soggettivo dei reati oggetto di addebito, sono sufficienti le seguenti considerazioni, davvero stringate. Si è già detto, infatti, che l'affermazione della penale responsabilità del compartecipe non richiede affatto il previo, comune concerto dell'attività delittuosa, essendo sufficiente che l'imputato sia stato consapevole di agire in comunione di intenti con i correi, conoscendone, quantomeno a grandi linee, i singoli ruoli (cfr. ex plurimis, le già citate Cass. Sez. V, n. 40274 del 5.10.2021, Catalano, Cass. Sez. II, n. 18745 del 15.1.2013, Ambrosiano, Cass. Sez. VI, n. 46309 del 9.10.2012, P.G. in proc. An., Sez. V, n. 25894 del 15.5.2009, Catanzaro e altri, Cass. Sez. VI, n. 37337 del 10.7.2003, D'A. Cass. Sez. VI, 25705 del 21.3.2003, Sa. e altri), essendo, peraltro, comunque bastevole, a tali fini, anche una unilaterale, successiva decisione di convergere sull'evento finale perseguito dai concorrenti (cfr. sul punto, Cass. Sez. III n. 44097 del 3.5.2018,1.). Ebbene, non v'è dubbio che l'atteggiamento psicologico a fondamento dell'agire del PE. soddisfi ampiamente tali condizioni. L'imputato, infatti, non solo ha scientemente trascurato ogni considerazione del sistematico ricorso al capitale finanziato, della cui entità eclatante, pure, era ben consapevole, ma, per il tramite dei propri collaboratori - ed anche, come s'è visto, con il proprio diretto intervento - ha fornito un decisivo contributo all'attuazione del fenomeno del capitale finanziato (sotto il profilo del relativo monitoraggio e, quindi, della indispensabile individuazione dell'ammontare dei finanziamenti necessari al raggiungimento degli obiettivi di capitale ai fini del rispetto dei parametri prudenziali). Tutto ciò egli ha fatto nella piena consapevolezza che la concessione di un tanto consistente credito per l'acquisto dei titoli B. non seguita dalla doverosa decurtazione dei relativi importi dal patrimonio di vigilanza avrebbe, per un verso, significativamente alterato il valore del titolo (occultandone il marcato deprezzamento); e, per altro verso, dissimulato all'esterno la reale situazione di grave crisi nella quale versava l'istituto di credito. Inoltre, nella sua veste di responsabile della Divisione Bilancio - e, segnatamente, nel curare le comunicazioni dirette alle autorità di Vigilanza - ha fornito un apporto decisivo nell'occultamento della prassi in esame, avendo specificamente di mira proprio la realizzazione dell'evento dì ostacolo (che costituisce, specificamente, l'oggetto del dolo del reato ex art. 2638, co. 2, c.c.), in tal guisa assicurando che tale prassi potesse essere continuativamente replicata. Ogni ulteriore digressione sul punto, pertanto, sarebbe davvero superflua. Da ultimo, una considerazione in diritto. E' noto come il ribaltamento in appello della decisione assolutoria in primo grado (c.d. "overturning sfavorevole") implichi la rinnovazione delle prove dichiarative decisive. Il principio, oggetto di consolidata interpretazione della giurisprudenza di legittimità (a partire dalla nota sentenza delle Sezioni Unite n. 27620 del 28.4.2016, Da.) è stato successivamente tradotto in coerente disposizione di legge (art. 603, co.3 bis c.p.p.). Ebbene, nel caso di specie, è stata disposta, giusta ordinanza di questa Corte in data 18.5.2022, la riassunzione delle deposizioni che, nella prospettiva del primo giudice, avevano rivestito importanza ai fini della relativa pronunzia. Dette deposizioni, peraltro, non hanno assunto affatto decisivo rilievo ai fini della diversa decisione cui è pervenuta questa Corte. Piuttosto, la opposta "lettura" del ruolo concretamente rivestito dal PE. nei fatti per cui è processo è scaturita dalla congiunta valutazione di elementi di natura logica, prove documentali (rispetto alle quali non è certo previsto alcun obbligo di rinnovazione dell'attività di acquisizione - cfr. Cass. Sez. III, n. 36905 del 13.10.2020, Ve.), esiti di intercettazione di comunicazioni (talvolta, peraltro, obliterati dal giudice di prime cure: è il caso della conversazione GI./Pi. n. progr. 359 dell'1.9.2015, ma anche del messaggio SMS GI./PI. in atti sub doc. 811 della produzione P.M.), nonché di deposizioni il cui tenore era del tutto incontestato, ovvero che, con riferimento alla posizione processuale in esame, erano state pretermesse dal tribunale (intende farsi riferimento al passaggio della deposizione resa dal teste Bo. in ordine all'incontro tenutosi in vista dell'ormai prossima ispezione Bc.). Va precisato, infatti, con riferimento alle prove testimoniali, che si è in presenza, nel complesso, di elementi che, di perse inidonei a formare oggetto di opposte valutazioni in punto di responsabilità dell'imputato, hanno tuttavia assunto ben più pregnante significato proprio alla stregua dì tale complessiva valutazione. A ciò si sono aggiunte - come si è visto - le significative dichiarazioni rese, nel corso del giudizio di appello, dal coimputato GI., il cui contributo dichiarativo è stato oggetto di ampia "sperimentazione" nell'agone dibattimentale innanzi a questa Corte. Nessun pregiudizio alle ragioni difensive, pertanto, è dato, nella specie, ravvisare, con riferimento al ribaltamento della decisione di prime cure. 15.2.3 Il trattamento sanzionatorio Venendo, infine, al trattamento sanzionatorio, nel valutare tutti gli indici di riferimento rilevanti a tali fini, occorre necessariamente prendere le mosse dal ruolo essenziale ricoperto dal giudicabile nel verificarsi del fenomeno delle operazioni "baciate": se è vero che l'attuazione concreta di tale prassi ha più direttamente investito altre figure professionali (i vertici aziendali ed i responsabili delle Divisioni Mercati e Crediti), in ragione delle rispettive competenze, è altrettanto indubbio che i coimputati hanno potuto fare affidamento proprio sul decisivo apporto omissivo ed attivo fornito loro dal responsabile della Divisione Bilancio nei termini di cui s'è detto. I fatti, poi, sono di evidente gravità, per la prolungata durata delle condotte delittuose e, soprattutto, per gli esiti che hanno poi cagionato. Trattasi di elementi che dovrebbero orientare la dosimetria sanzionatoria nel senso del rigore. Nondimeno, neppure possono trascurarsi, in senso contrario, non solo il positivo profilo soggettivo del giudicabile, immune da precedenti di sorta, ma anche - e soprattutto - la circostanza che il PE. è stato, di fatto, trascinato (al pari dei correi GI., MA. e PI.) in una sconsiderata operatività illecita dalla volontà dei massimi responsabili aziendali e, con ogni probabilità, da un malinteso spirito di corpo, che lo ha indotto a piegare il proprio ruolo a quelli che gli parevano essere gli impellenti interessi "immediati" della Banca. Se, infatti, le specifiche qualità professionali del giudicabile lo rendevano tra i dirigenti più attrezzati per cogliere la assurdità di una prassi pressoché inevitabilmente destinata, per la sua crescente entità, ad esitare nel default dell'istituto, non emerge che a tale acuta consapevolezza si sia accompagnata una altrettanto marcata volontà di attuazione dell'operatività delittuosa in esame, sicché l'intensità del dolo non ne risulta altrettanto amplificata. Quanto al comportamento processuale tenuto dal giudicabile, poi, si è trattato di contegno improntato a correttezza e misura. Ricorrono, pertanto, le condizioni per riconoscere al PE. le attenuanti generiche, ancorché in regime di mera equivalenza, tenuto conto della obiettiva gravità dei fatti. Ciò posto, la valutazione dei criteri tutti ex art. 133 c.p. e, segnatamente, degli elementi testé richiamati, induce questa Corte a stimare adeguato ai fatti delittuosi ed al contributo prestato dall'imputato alla complessiva vicenda delittuosa in esame un trattamento sanzionatorio (tenuto ovviamente conto delle maturate prescrizioni) che, tanto con riferimento alla pena base (da quantificarsi nella misura di anni tre di reclusione in relazione all'addebito sub H1), quanto all'entità degli aumenti da irrogarsi a titolo di continuazione (mesi uno e giorni quindici per le ulteriori condotte di ostacolo; giorni quindici di reclusione per la residua condotta di aggiotaggio) non si discosta da quello da riservarsi ai coimputati PI. e MA. (fatte salve le diversità riferibili, quanto al MA., alle disposte parziali assoluzioni derivanti dalle peculiarità del caso), con conseguente pena finale da irrogarsi nella misura di anni tre e mesi undici di reclusione. 16 L'appello nell'interesse dì B. in l.c.a. L'appello è parzialmente fondato, nei termini di cui alla motivazione che segue. 16.1 Anzitutto, destituito di fondamento è il primo motivo di appello, volto a contestare che i reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza siano stati effettivamente commessi "nell'interesse" ed a "vantaggio" di B.. Al riguardo, si impongono, anzitutto, le seguenti considerazioni preliminari. Com'è noto, il D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, nel l'introdurre una forma di responsabilità dell'ente bensì connessa a quella, penale, propria dell'autore di tale delitto, ma anche del tutto autonoma, ha previsto, ex art. 5 D. L.vo cit., che la connessione in parola operi su due piani distinti: - da un lato, occorre che la persona fisica che ha commesso il reato abbia agito nell'"interesse" o a "vantaggio" dell'ente; - dall'altro, è necessario che l'autore del fatto rivesta un ruolo apicale all'interno dell'ente medesimo (trattasi dell'ipotesi ex art, 5 lett. co. 1 lett. a), d.L.vo cit.) - ovvero che costui sia sottoposto all'altrui direzione (è il caso previsto ex art. 5, co. 1, lett. b), D. L.vo cit.). Ebbene, come è stato efficacemente precisato dalla giurisprudenza di legittimità "... la lettera a) tipizza il ad. principio di identificazione, per il quale l'ente si identifica nel soggetto in posizione apicale e così, dunque, é come se avesse direttamente commesso il reato. E tuttavia previsto un contemperamento: l'ente non risponde se prova la sussistenza di tutti e quattro i criteri appositamente previsti dal successivo art. 6, co. 1, ossia l'esistenza e la corretta attuazione di modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire la commissione di reati della specie di quello verificatosi. Nel caso dei soggetti di cui alla ietterà b), invece, ci troviamo di fronte ad una vera e propria fattispecie colposa, prevista dall'art. 7 del decreto, a norma del quale l'ente risponde se non ha rispettato i propri obblighi di direzione o di vigilanza, I quali fanno capo al modello di organizzazione, gestione e controllo previsto dal decreto e considerato dai commi 2, 3 e 4 dell'art. 7..." (così, efficacemente, Cass. Sez. IV, n. 38363 del 23.5.2018, dep. 9.8.2018, Co.Me. s.a.c.). Quanto, poi, alla natura della responsabilità dell'ente, è consolidato il principio per cui trattasi di un tertium genus di responsabilità che, "...coniugando i tratti dell'ordinamento penale e di quello amministrativo, configura un sistema di responsabilità compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza (Sez. Un., n. 38343 del 24 aprile 2014, P.G., R.C., Es. e altri Rv. 261112). Parimenti, si è chiarita anche la natura autonoma della responsabilità dell'ente rispetto a quella penale della persona fisica che ponga in essere il reato-presupposto. Ai sensi dell'art. 8 del decreto, rubricato per l'appunto "autonomia della responsabilità dell'ente", la responsabilità dell'ente deve essere, infatti, affermata anche nel caso in cui l'autore del suddetto reato non sia stato identificato, non sia imputabile ovvero il reato sia estinto per causa diversa dall'amnistia (Sez. 5, n. 20060 del 4 aprile 2013 P.M. in proc. Ci., Rv. 255414; Sez. 6, n. 28299 del 10 novembre 2015, Bo., Rv. 267048). Ciò significa che la responsabilità amministrativo penale da organizzazione prevista dal D.Lgs. n. 231/2001 investe direttamente l'ente, trovando nella commissione di un reato da parte della persona fisica il solo presupposto, ma non già l'intera sua concretizzazione. La colpa di organizzazione, quindi, fonda una colpevolezza autonoma dell'ente, distinta anche se connessa rispetto a quella della persona fisica....." (cfr. così, ancora, la già citata Cass. Sez. IV, n. 38363 del 23.5.2018 dep. 9.8-2018, Co.Me. s.c.a.). Inoltre, con riferimento alla nozione di "interesse" e di "vantaggio", costituisce ius receptum il principio secondo il quale i predetti criteri, lungi dall'essere sovrapponibili, sono alternativi tra loro ed esprimono, rispettivamente, l'esito di una differente valutazione (cfr. ex plurimis, Cass. Sez. V, n. 10265 del 28.11.2013, Ba.It. S.p.a., Cass. Sez. II n. 3615 del 20.12.2005, D'A.). L'"Interesse", infatti, è espressione di una "valutazione teleologica del reato", da effettuarsi ex ante (ovverosia al momento di commissione del reato) secondo un "metro di giudizio marcatamente soggettivo", ma sempre ponendosi nella prospettiva del soggetto collettivo e non esclusivamente dell'autore del reato (come, del resto, si ricava dal fatto che la responsabilità dell'ente sussiste, ex art. 8 co. 1, lett. a D. L.vo cit., anche quando l'autore del reato non è identificabile o non è imputabile, nonché dal progressivo inserimento nel catalogo dei reati presupposti anche di ipotesi di responsabilità dell'ente per reati di natura colposa - cfr. sul punto, la già citata Cass. Sez. V, n. 10265 del 28.11.2013, Ba.It. S.p.a.; cfr. Cass. Sez. V, n. 40380 del 26.4,2012, Se.); il "vantaggio", invece, ha "una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile "ex post", sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell'illecito - (cfr. " Cass. Sez. U, Sentenza n. 38343 del 24/04/2014, dep. 18/09/2014, R.C., Es. e altri). L'"interesse", quindi, indica la finalizzazione del reato al perseguimento di una utilità (senza peraltro che sia necessario che l'utilità venga raggiunta); il "vantaggio", per contro, rappresenta il risultato obiettivamente positivo, non necessariamente di natura patrimoniale, scaturito dall'attività delittuosa. In altri e decisivi termini e concludendo sul punto, "... il richiamo all'interesse dell'ente valorizza una prospettiva soggettiva della condotta delittuosa posta in essere dalla persona fisica da apprezzare ex ante, mentre il riferimento al vantaggio evidenzia un dato oggettivo che richiede sempre una verifica ex post." (così si esprime Cass. Sez. IV, n. 38363 del 23.5.2018, dep. 9.8.2018, Co.Me. s.p.a., si veda, inoltre, Cass. Sez. V, n. 10256 del 28.11.2013, Ba.It. S.p.a.) In tal senso sinteticamente individuate le coordinate interpretative che debbono orientare il vaglio della regiudicanda e passando, quindi, a fare concreta applicazione di tali criteri nella vicenda sub iudice, osserva, anzitutto, questa Corte, come i requisiti costituiti, rispettivamente, dall'"interesse" dell'ente alla commissione dei reati presupposto e dal "vantaggio" tratto dal medesimo ente da tali reati siano stati dal tribunale di Vicenza correttamente ravvisati, nel solco dell'imputazione: - quanto al delitto ex art. 2637 c.c., nel mantenimento del valore dell'azione e nell'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale dell'istituto di credito; - e, quanto al reato ex art. 2638 c.c., nello svolgimento dell'attività bancaria in assenza di interventi della Banca d'Italia (e, nel periodo 2014/2015, di Bc.) i coerenti con la situazione reale dell'istituto, nonché nell'ottenimento dell'autorizzazione dell'autorità di vigilanza alla classificazione delle azioni di nuova emissione come strumenti di capitale di classe 1 e, infine, nel rafforzamento patrimoniale derivante dall'operazione di aumento di capitale del 2014. Ebbene, l'appellante, come s'è detto, si duole della ricostruzione operata dal primo giudice in ordine al presupposto per l'affermazione di responsabilità di B. costituto dall'essere stati perpetrati i reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza nell'interesse dell'istituto di credito vicentino. Più nel dettaglio, nel gravame si sostiene che il fenomeno sottostante alle, condotte delittuose sarebbe stato, ab origine, radicalmente pregiudizievole per la banca, sicché difetterebbe il presupposto dell'interesse/vantaggio derivante, per l'ente, dalla commissione dei reati in questione. In effetti, in disparte il riferimento generale alla nozione di interesse/vantaggio pure contenuto nell'appello, tutte le considerazioni svolte, nell'impugnazione, da pag. 10 a pag. 43 del relativo atto (sostanzialmente, l'intero primo motivo), altro non sono che una (peraltro condivisibile) ricostruzione di un fenomeno-fenomeno - quello del capitale finanziato e delle concrete caratteristiche che, nel caso di specie, tale fenomeno ha progressivamente assunto - contrastante con una sana gestione dell'attività creditizia e foriero di serio pregiudizio economico per l'istituto di credito. In questa prospettiva, pertanto, anche il successivo occultamento di tale fenomeno sarebbe stato parimenti dannoso per la B. perché, grazie a tale occultamento, l'istituto avrebbe potuto effettuare operazioni fruendo di autorizzazioni che la Banca d'Italia, ove adeguatamente informata, non avrebbe rilasciato. L'interesse dell'ente, pertanto, andrebbe verificato alla stregua di tali dati oggettivi e, conseguentemente, non sarebbe ravvisabile (alfa stregua, peraltro, della valutazione - ritenuta dall'appellante del tutto condivisibile - operata in fattispecie analoga dall'autorità giudiziaria senese, in sede di archiviazione, nel procedimento relativo alla gestione dell'istituto di credito Mp., per i reati 2622, 2638 ex. e 185 D. L.vo 185/98, come da provvedimento allegato all'appello). In altri termini, osservando il fenomeno in esame da siffatta visuale, tutto ciò che si pone in contrasto con una sana gestione aziendale non potrebbe essere compiuto nell'interesse dell'ente. Ne deriva - ad avviso dell'appellante - che il tribunale berico, nel sostenere che l'occultamento della situazione reale avrebbe giovato a B., sarebbe sostanzialmente incorso in un paralogismo. Sennonché è agevole osservare, in senso contrario, come l'argomentazione difensiva, pur prima facie suggestiva, sconti un radicale errore di prospettiva, oltre a trascurare, in punto di fatto, la circostanza (tutt'altro che marginale e, anzi, a ben vedere, di per sé già dirimente) che le "baciate" non esaurivano certo le operazioni di capitale finanziato (posto che una buona parte dei titoli di B. sono stati in ogni caso collocati, tanto sul mercato primario che su quello secondario, senza la necessità del ricorso ai finanziamenti e che ciò è potuto avvenire solo grazie alla prosecuzione dell'attività di impresa consentita proprio dalla prassi del capitale finanziato). Per vero, a fondare la responsabilità dell'ente, non sono affatto, genericamente, le operazioni di capitale finanziato poste in essere "a monte" del fenomeno delittuoso sub iudice, bensì le condotte di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza (e, tra le prime, segnatamente, quelle di aggiotaggio informativo) che, realizzate "a valle" dei finanziamenti "correlati," radicano gli addebiti di riferimento. Nel caso in esame, infatti, i reati presupposto, lungi dall'essere stati finalizzati a porre in essere, in assenza delle condizioni di sostenibilità finanziaria, operazioni bancarie pregiudizievoli per i "fondamentali" dell'ente, sono stati ideati e perpetrati allo scopo di occultare tale scorretta operatività (che, in sé stessa, prescindeva totalmente dall'attività delittuosa in esame), consentendo all'istituto di mantenere standard elevati nell'esercizio dell'attività bancaria (si veda, per un analogo caso di affermato interesse di un istituto di credito all'occultamento delle "lacune sul piano della tenuta finanziaria e patrimoniale" della società, la già citata Cass. Sez. V, n. 10265 del 28.11.2013, Ba.It. S.p.a.); In altri termini, come ben precisato dal primo giudice - senza, peraltro, che le relative considerazioni siano state oggetto di reale, argomentata censura nell'impugnazione (che, in effetti, sul punto, si limita alla sostanziale riproposizione delle argomentazioni già motivatamente disattese dal tribunale) - una volta che la dirigenza dell'istituto vicentino aveva spregiudicatamente iniziato ad incrementare il precedente, ben più sporadico ricorso al meccanismo di finanziamento per l'acquisto delle azioni proprie (finendo per ricorrervi non soltanto, come fatto in passato, per contingenti necessità, bensì come usuale modalità di gestione del mercato degli strumenti finanziari anche a costo di porre necessariamente in essere attività collegate - quali lo storno degli interessi, il rilascio di lettere di impegno e, addirittura, il riconoscimento di interessi in favore dei soggetti finanziati - complessivamente tali da depauperare le risorse dell'istituto medesimo), l'occultamento di tale prassi attraverso la perpetrazione delle condotte delittuose oggetto di addebito è stato indubbiamente funzionale a consentire la perdurante operatività dell'istituto di credito. In definitiva, i reati di aggiotaggio ed ostacolo alla vigilanza hanno assicurato all'istituto di credito: - per un verso (quanto al reato di aggiotaggio), l'apparente liquidità del titolo, il mantenimento del valore dell'azione e l'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale dell'istituto di credito, evitando che fossero destinate a riserve consistenti risorse; - e, per altro verso (quanto al reato di ostacolo alla vigilanza), la prosecuzione dello svolgimento dell'attività bancaria in assenza di interventi della Banca d'Italia coerenti con la (precaria) situazione reale dell'istituto (interventi, peraltro, che avrebbero anche potuto comportare il divieto della distribuzione di utili, oltre all'attivazione di procedure sanzionatone in relazione all'esubero delle azioni detenute), nonché l'ottenimento delle autorizzazioni delle autorità di vigilanza necessarie sia alla classificazione delle azioni di nuova emissione come strumenti di capitale di classe 1 sia agli aumenti di capitale 2014. Ebbene, ponendosi in siffatta prospettiva - l'unica aderente alla concreta dinamica dei fatti - l'interesse della società alla perpetrazione dei reati in esame emerge davvero in termini di evidenza. In effetti, una volta effettuate "operazioni baciate" e omesse le relative decurtazioni dal patrimonio di vigilanza (operazioni, isolatamente considerate, lo si ripete, non costituenti reato, se non quando, per la loro sistematicità, hanno determinato l'apparenza della liquidità del titolo ed hanno inciso sull'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale della banca, integrando gli estremi dell'aggiotaggio manipolativo) è davvero arduo negare che le successive condotte delittuose di aggiotaggio informativo e di ostacolo alla vigilanza abbiano consentito alla società di proseguire nell'attività dì impresa. Peraltro, una volta avviata la "spirale" perversa del ricorso al capitale finanziato anche le successive condotte di aggiotaggio manipolativo sono state indubbiamente funzionali ad assicurare la prosecuzione dell'attività creditizia. E' stato proprio attraverso le condotte di false prospettazioni al mercato ed alla vigilanza, infatti, che B. ha scongiurato gli effetti pregiudizievoli che sarebbero derivati dal disvelamento della dissennata politica di impresa di continuo ricorso al capitale finanziato e, in tal guisa, ha potuto proseguire nell'attività bancaria, assicurandosi - sia pure solo temporaneamente - tanto l'afflusso di nuovo capitale quanto il mantenimento di quello esistente, come efficacemente sintetizzato dal primo giudice. E, questo, a tacere del fatto che le attività decettive erano funzionali a nascondere carenze patrimoniali non unicamente derivanti da "operazioni baciate". Né tali conclusioni contrastano: - sia con l'accezione oggettiva che, come s'è detto, deve riconoscersi alla nozione di "interesse" rilevante ex art, 5 D.L.vo 231/01 (nel senso che non deve confondersi l'interesse dell'ente con quello proprio dell'autore dei reati); - sia con il momento (ex ante rispetto all'attività delittuosa) nel quale la relativa valutazione deve essere effettuata, secondo i parametri di riferimento sopra richiamati. A ben vedere, infatti, ove si effettui il relativo vaglio doverosamente tenendo a mente la concretezza della vicenda in esame - ovverosia calibrando il giudizio alla luce della situazione esistente al momento della commissione dei fatti di reato e non già astraendo dal contesto specifico di riferimento (e, sul punto, non può che richiamarsi la puntuale ricostruzione dei fatti siccome operata dal primo giudice) - è giocoforza concludere che l'attività delittuosa è stata posta in essere proprio in quanto logicamente ritenuta l'unico rimedio per consentire alla banca vicentina di proseguire nell'attività d'impresa, scongiurando la crisi o, comunque, differendone sensibilmente la manifestazione. E, quindi, per assicurare, proprio in quella logica di perseguimento del "profitto a tutti i costi" siccome efficacemente evocata dallo stesso appellante (cfr atto di appello, pag. 6), la prosecuzione dell'attività d'impresa, anche mediante comportamenti devianti. Il tribunale, pertanto, non ha affatto confuso l'interesse dell'ente con quello, personale, degli autori del reato, ma ha correttamente esaminato (ex ante) detto tema di indagine attraverso il prisma della effettiva situazione critica nella quale versava la B. allorché ha avuto concretamente attuazione il programma criminoso. Ovverosia, ha effettuato una analisi che, prendendo debitamente le mosse dalla considerazione critica del concreto contesto di riferimento, ha correttamente valutato il presupposto di responsabilità costituito dall'interesse dell'ente non già in modo astratto, bensì alla luce della specifica situazione di riferimento, il tutto secondo un criterio di riferimento debitamente oggettivo, in quanto misurato nella specifica prospettiva della società (necessariamente indagata alla luce dell'obiettivo - condiviso e scientemente perseguito dai vertici aziendali responsabili delle condotte delittuose - di assicurare la perdurante operatività dell'istituto di credito, superando le oravi criticità in atto e senza affatto confondere tale interesse con oli ulteriori scopi, di natura meramente personale, propri degli autori del reato. In quest'ottica, quindi, il fatto che all'origine delle serie difficoltà operative che la dirigenza dell'istituto di credito ha inteso "aggirare" attraverso la commissione dei reati in esame vi fossero scelte gestionali dissennate e radicalmente contrarie all'interesse ad una corretta e sana attività creditizia costituisce circostanza tanto pacifica quanto estranea allo specifico e differente (ancorché collegato) tema in esame. Altrettanto dicasi per le pur articolate argomentazioni difensive in ordine alla natura pregiudizievole per l'istituto di credito della prassi di ricorrere al capitale finanziato siccome concretamente adottata dalla dirigenza della banca. Ed analoghe conclusioni, poi, si impongono in relazione a quanto pur dettagliatamente sostenuto nell'atto di appello (segnatamente, alle pagg. 10-24, 25-30) in ordine al pregiudizio derivante alla banca vicentina: - dall'apparente rafforzamento patrimoniale conseguente agli aumenti di capitale 2013-2014; - dai finanziamenti "corredati" dalla pratica degli storni; - dall'applicazione di tassi di interesse "in perdita"; - dall'impegno al riacquisto, con conseguente trasformazione dell'azione in una sorta di obbligazione; - e, infine, dalla eccentricità rispetto al preteso interesse di B. dell'operatività sui fondi lussemburghesi. In definitiva, tutte le considerazioni critiche che esauriscono il primo motivo di gravame si risolvono nella riproposizione di un approccio al profilo della responsabilità dell'ente che sconta l'errore metodologico di sovrapporre la natura delle operazioni di capitale finanziato (certamente pregiudizievoli per una sana gestione dell'attività creditizia) all'obiettivo - individuato e pervicacemente perseguito dalla più alta dirigenza dell'istituto di credito (una volta che dette operazioni avevano iniziato a rappresentare una modalità ordinaria di "gestione" delle problematiche inerenti al mantenimento del valore delle azioni ed alla relativa collocazione e circolazione) - di proseguire nella gestione dell'attività bancaria occultando al mercato ed agli organismi di vigilanza dette difficoltà. In altri e decisivi termini, l'impostazione difensiva risulta sostanzialmente fondata su un equivoco: - da un lato, infatti, palesemente confonde le operazioni di capitale finanziato con i successivi reati di occultamento; - dall'altro - e conseguentemente - valuta l'interesse della B. in senso astratto, normativo, sotto il profilo del "dover essere" (ovverosia delle corrette modalità di esercizio dell'attività di impresa bancaria), del tutto prescindendo da quella situazione concreta che, al contrario, deve costituire il fuoco dell'attività di accertamento della responsabilità dell'ente. Del resto - e trattasi, sul punto, di considerazione davvero conclusiva - la tesi sostenuta nell'appello finisce, come suole dirsi, per "provare troppo". Opinando in tal guisa, infatti, si dovrebbe necessariamente concludere nel senso della impossibilità di ravvisare - sempre e comunque - la responsabilità dell'ente in relazione ai delitti di aggiotaggio, manipolativo ed informativo, nonché di ostacolo alla vigilanza, allorché posti in essere per occultare una pregressa/contestuale gestione irregolare dell'attività bancaria. Ma, allora, non si comprenderebbe l'inserimento di tali reati nel catalogo dei "reati-presupposto", posto che, in effetti, non residuerebbero margini significativi per una responsabilità dell'ente per siffatti delitti. Sicché, anche ove sottoposte ad un vaglio di "razionalità", le considerazioni difensive (anche là dove richiamano le valutazioni dell'autorità giudiziaria senese nel provvedimento di archiviazione reso nel procedimento 2973/13 a carico dell'istituto di credito Mp. - cfr. atto di appello, pag. 36 e decreto di archiviazione ad esso allegato) non possono affatto ritenersi persuasive. Che, poi, l'attività delittuosa sia stata anche funzionale ad assicurare il mantenimento dì posizioni apicali ai vertici aziendali è affermazione certamente convincente; trattasi, tuttavia, di circostanza che, non escludendo affatto il concorrente interesse della società, non elide certo la sussistenza dell'illecito dell'ente (cfr., ex plurimis, Cass. Sez. 1, n. 43689 del 26/06/2015, dep. 29/10/2015, Fe., là dove è stato precisato che: "la responsabilità da reato dell'ente deve essere esclusa qualora i soggetti indicati dall'art. 5 comma primo lett. a) e b) D.Lgs. n. 231 abbiano agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi, in quanto ciò determina il venir meno dello schema di immedesimazione organica e l'illecito commesso, pur tornando a vantaggio dell'ente, non può più ritenersi come fatto suo proprio ma un vantaggio fortuito, non attribuibile alla volontà della persona giuridica"; cfr altresì, Cass. Sez. VI, n. 15443 del 19.1.2021 dep. 23.4.2021, Ec.Se.: "Ai fini della configurabilità della responsabilità da reato degli enti, è sufficiente la prova dell'avvenuto conseguimento di un vantaggio ex art. 5 D.Lgs. n. 231 del 2001 da parte dell'ente, anche quando non sia possibile determinare l'effettivo interesse da esso vantato "ex ante" rispetto alla consumazione dell'illecito, purché il reato non sia stato commesso nell'esclusivo interesse del suo autore persona fisica o di terzi") cfr. infine, Cass. Sez. 6, n. 54640 del 25.9.2018, dep. 6.12.2018, Pa.: "Sussiste la responsabilità da reato dell'ente anche qualora l'autore del reato presupposto abbia agito per un interesse prevalentemente proprio. (In motivazione, la Corte ha ritenuto sussistente un marginale interesse della società rispetto alla condotta corruttiva dell'imputato, da questi realizzata principalmente per tutelare la sua immagine all'interno della società, ma comunque suscettibile di consentire all'ente di evitare l'irrogazione di penali e sanzioni, pur se di minima consistenza". Donde l'infondatezza del primo motivo di appello. E' solo per completezza, quindi, che va precisato come, nel caso di specie, l'attività delittuosa abbia anche arrecato un concreto vantaggio a B.. Il tribunale, sul punto, ha speso solo poche parole, evidenziando come, nel caso di specie, per un verso, venissero in rilievo condotte in relazione alle quali, all'epoca dei fatti, la formulazione dell'art. 25 ter D.L.vo 231/01 allora vigente non contemplasse il criterio del vantaggio, ancorché la giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. Sez. V, n. 10625 del 28.11.2013) avesse precisato che si trattava di un mero problema di tecnica di redazione del testo di legge dal quale non era affatto lecito inferire l'esistenza di una deroga prevista, in ambito societario, agli ordinari criteri di imputazione ex art. 5; e, per altro verso, la questione non assumesse rilievo dirimente "poiché resta assorbente il ricorrere, in tutti i reati presupposto che vengono in considerazione, di un interesse dell'ente, sicché la concretizzazione di un vantaggio, ove conseguito, si pone come ulteriore conferma del ricorrere di un interesse ex ante (così a pag. 779 della sentenza impugnata). Ebbene, osserva questa Corte, al riguardo, come, doverosamente prescindendo dal fallimentare esito "definitivo", esiziale per la stessa sopravvivenza dell'ente, conseguente al sistematico ricorso al capitale finanziato e tenendo a mente, per contro, il fatto che l'attività delittuosa ha consentito all'istituto di credito, per anni, di proseguire nell'attività di impresa e, in tal guisa, di recuperare ingenti risorse attraverso il collocamento di azioni (tanto sul mercato primario quanto su quello secondario) anche prescindendo dalla concessione di finanziamenti (e, al riguardo, è sufficiente richiamare i dati sugli aumenti di capitale per comprendere l'entità davvero significativa delle azioni "interamente liberate" collocate sul mercato), debba giocoforza concludersi nel senso che l'istituto di credito vicentino ha tratto, a lungo, effettivo ed assai concreto giovamento dall'attività delittuosa di manipolazione delle azioni e del mercato e di conseguente occultamento alle autorità di vigilanza di siffatta operatività illecita. Ponendosi in questa prospettiva (ovverosia effettuando bensì una valutazione ex post rispetto alla commissione dei reati ma sottraendosi, al contempo, all'abbaglio che deriverebbe dall'analizzare il fenomeno in esame privilegiando, quale punto di osservazione, quello coincidente con la fase finale della parabola della vita di B.) deve necessariamente concludersi nel senso del ricorrere, nel caso di specie, anche del requisito del "vantaggio", vantaggio che, d'altronde, - come già acutamente osservato dal primo giudice, costituisce un ulteriore riscontro dell'interesse perseguito dall'ente attraverso l'operatività delittuosa in esame. 16.2 Destituito di fondamento è anche il secondo motivo di impugnazione. Al riguardo, va anzitutto premesso che il primo giudice ha ripetutamente osservato: - per un verso, come, nel modello adottato da B., nulla dì realmente specifico fosse previsto con riferimento alla prevenzione dei reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, fin dalla fase di protrazione dei rischi; - per altro verso, come il modello non fosse attuato e presidiato da un organismo di vigilanza realmente idoneo allo scopo (sotto lo specifico profilo della dotazione di adeguati poteri e, soprattutto, degli indispensabili requisiti, dì indipendenza); - e, per altro verso ancora, come la commissione dei reati non sia stata conseguenza dell'elusione del modello in questione, "avendo gli imputati e, in particolare i vertici della banca....potuto operare senza sottostare ad alcun tipo di vaglio o riscontro....grazie all'assenza e comunque all'ineffettività dei già lacunosi controlli previsti e ad una situazione dei presidi interni a B. connotata da diffusi elementi di opacità, dalla assoluta inadeguatezza dei controlli e dalla compiacenza degli stessi soggetti che avrebbero dovuto fungere da controllori" (cfr. pag. 802 della sentenza impugnata). Per contro, nella prospettiva dell'appellante (che dedica ad argomentare le relative censure le pagine da 43 a 60 dell'atto di impugnazione) si sostiene che il modello organizzativo sarebbe stato effettivamente adeguato a prevenire i reati in esame, anche in ragione della sussistenza di un organismo di vigilanza caratterizzato da autonomia e dotato di effettivi poteri di controllo, tanto che la commissione dei reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza sarebbe stata unicamente l'effetto dell'elusione fraudolenta di tale modello. E, per sostenere siffatte conclusioni, l'appellante, dopo alcune considerazioni preliminari in punto di criteri di valutazione della "colpa di organizzazione" - colpa che, si precisa nel gravame, dovrebbe necessariamente trovare un insuperabile limite nella "inesigibilità" della condotta alternativa lecita - ha descritto struttura e contenuti del modello organizzativo vigente in B. (sia nella versione "base" del 2012, sia in quella successivamente aggiornata). Nondimeno, ad avviso della Corte, gli elementi disponibili depongono in senso radicalmente contrario. Per vero, ove si consideri, - che il modello organizzativo altro non rappresenta che uno strumento di gestione del rischio da commissione di (determinati) reati, ovverosia un dispositivo finalizzato a scongiurare la perpetrazione di attività delittuose poste in essere, come s'è detto, nell'interesse o a vantaggio dell'ente medesimo e, quindi, ad evitare le conseguenze sfavorevoli costituite, per l'ente in questione, dalle relative dalle sanzioni; - e che, pertanto, un modello organizzativo adeguato - la sussistenza del quale vale, unitamente alle altre condizioni, ad escludere la "colpa di organizzazione" (e, quindi, la responsabilità dell'ente, ex art. 6, co. 1 lett. a), D.l.vo 231/01) - deve essere caratterizzato dall'adozione e dalla conseguente attuazione di contro-misure di "prevenzione" idonee ed efficaci, contromisure che, per essere ritenute tali, non solo devono rispondere ai parametri astrattamente delineati ex artt. 6, 7 D.L.vo citato, ma devono poi essere adeguate alla concreta situazione di riferimento, deve necessariamente concludersi come, caso sub iudice, detto modello risulti caratterizzato da prescrizioni per lo più generiche e, quindi, manifesti gravi lacune tanto sotto il versante dell'idoneità quanto sotto quello dell'efficacia. In proposito, con specifico riferimento al modello relativo all'anno 2012 il richiamo è, segnatamente, ai paragrafi: 2.5, relativo alla "Mappatura delle aree a rischio"; 2.6, relativo alla "Analisi del sistema di controllo interno e definizione dei protocolli"; nonché, in relazione alla parte 4, inerente ai "Protocolli" (ovverosia alle sezioni del modello organizzativo contenenti le previsioni più specifiche), ai paragrafi: 4.2.1, inerente alla "Gestione delle operazioni societarie" (pagg. 61-66); 4.2.2, inerente alla "Gestione dei rapporti con le autorità di vigilanza" (pagg. 66 e ss.); 4.2.6 - inerente alla "Gestione della Co.Ge. e predisposizione del bilancio" (pagg. 80 e ss,); 4.2.7, inerente alla "Gestione delle attività sui mercati finanziari" (pag. 84 e ss.); 4.2.12 inerente alla "Gestione dei finanziamenti agevolati verso la clientela" (pag. 108 e ss.). Ebbene, dopo il richiamo alla disciplina di settore e la individuazione delle aree dì rischio, il modello in esame contiene indicazioni di portata assolutamente generale per prevenire la commissione dei delitti in questione, in larga parte risolvendosi nella previsione della adozione di una organizzazione interna basata sui criteri di ripartizione di competenze e segregazione funzionale in ordine a specifiche attività, nonché di cura di adempimenti formali, ovvero nell'impartire divieti attinenti a profili marginali rispetto all'esigenza di prevenire i reati in esame. Più nel dettaglio, dall'analisi delle previsioni contenute in detto modello emerge, con specifico riferimento al rischio di commissione dei delitti di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, l'assenza di previsioni puntuali riferibili, oltre che alle modalità di predisposizione dei bilanci (segnatamente, in relazione al computo dei requisiti patrimoniali anche ai fini del patrimonio di vigilanza) e di erogazione del credito, a profili essenziali dell'operatività della banca, sempre in relazione al pericolo di commissione dei suddetti delitti. Trattasi, segnatamente: a) dei meccanismi di controllo delle operazioni di collocamento delle azioni dell'istituto, azioni il cui valore - va ribadito - era affidato alla autodeterminazione da parte della banca. Davvero pertinente, sul punto, è il richiamo effettuato dal primo giudice alla deposizione resa dal teste Ro., là dove costui ha riferito che, quando aveva tentato di introdurre un meccanismo di informatizzazione della procedura per la gestione degli acquisti/vendite delle azioni, era stato minacciato dì licenziamento; b) degli impieghi ai quali erano destinati i finanziamenti concessi dall'istituto medesimo rispetto alla collocazione delle azioni (a mero titolo di esempio: non era contemplata la diretta verifica delle operazioni di finanziamento; né erano disciplinate interlocuzioni con la clientela finanziata, neppure in relazione agli aumenti di capitale); c) del flusso di informazioni interne (sempre a titolo meramente esemplificativo: manca la previsione di report periodici provenienti dai settori più a rischio in relazione alle fattispecie in esame; né constano presidi organizzativi tali da assicurare che all'OdV potessero giungere segnalazioni con modalità tali da assicurare garanzie reali di riservatezza, l'unico "canale" di comunicazione previsto essendo costituito da un indirizzo e-mail ed essendo rimasta confinata nell'ambito della mera dichiarazione di intenti, in assenza di qualsivoglia forma di concretizzazione, la previsione di cui al paragrafo 2.7.3 (cfr. pag. 25 del modello in questione), secondo la quale la Banca "garantisce i segnalanti da qualsiasi forma di ritorsione discriminazione o penalizzazione e assicura in ogni caso la massima riservatezza circa la loro identità fatti salvi gli obblighi di legge e la tutela dei diritti della banca o delle persone accusate erroneamente o in mala fede ..". Peraltro, l'istruttoria dibattimentale ha consentito effettivamente di verificare come i dipendenti non avessero effettuato segnalazioni, con riferimento alla vendita delle azioni proprie da parte dell'istituto, proprio per il timore di ripercussioni); d) e, soprattutto, del flusso di informazioni esterne. In particolare, va segnalata l'assenza di puntuali prescrizioni in ordine alla verifica della fondatezza delle comunicazioni rivolte al mercato ed agli organi di vigilanza, del tutto insufficienti dovendosi evidentemente ritenere le generiche previsioni previste nel "Regolamento per la comunicazione delle notizie rilevanti "price sensitive" della Banca (...)" che attribuiva le comunicazioni alla funzione "Comunicazione Esterna", incaricata della "cura della gestione della comunicazione esterna commerciale e di prodotto sulla base delle direttive della funzione commerciale, in coerenza con le strategia definite dalla Direzione generale" (così, specificamente, nell'atto di appello, pag. 56). In effetti, il rischio di abusi nel ricorso al meccanismo del capitale finanziato - rischio particolarmente concreto, come s'è visto, trattandosi di banca popolare non quotata - avrebbe imposto una specifica attenzione a tali profili e, tra essi, in particolare, a quello inerente al controllo ed alla verifica delle informazioni veicolate dalla società verso l'esterno. Ove si consideri, infatti, che il delitto di aggiotaggio è stato efficacemente definito un "delitto di comunicazione" (cfr. Cass. Sez. V, 18.2.2013, dep. 30.1.2014, Impregilo S.p.a., pag. 7), è proprio su tale versante che il modello - e, quindi, il controllo - avrebbe dovuto mostrare la propria adeguatezza. Con specifico riferimento al delitto di aggiotaggio informativo, invero, la predisposizione di un effettivo presidio avrebbe reso indispensabile l'attribuzione all'OdV di poteri di verifica preventiva circa la fondatezza delle notizie destinate ad essere diffuse al mercato. Diversamente, nel modello adottato da B. nessuna efficace verifica risulta prevista sul fronte delle comunicazioni "esterne" (ivi compresi i comunicati stampa) ad opera di un organismo di vigilanza interno che fosse effettivamente munito (come si dirà meglio più oltre) di reali requisiti di autonomia. In particolare, in materia di rapporti con le autorità di vigilanza (e, più in generale, con l'esterno), a parte il generico riferimento ai doveri di collaborazione e di trasparenza nei confronti degli esponenti di dette autorità (si veda, per il modello relativo all'anno 2012, quanto ivi previsto a pag. 68), le uniche disposizioni puntuali che è dato rinvenire nel modello attengono al divieto di effettuare/ricevere regali ed omaggi (cfr. documento citato, pag. 68). Per contro, non solo non risulta contemplata possibilità alcuna di espressione di una sorta di "dissenting opinion" sul "prodotto finito" tale da "mettere in allarme i destinatari" (per ricorrere all'efficace lessico adottato dal giudice della nomofilachia nella sentenza da ultimo citata, peraltro successivamente contraddetta, nell'ambito del medesimo procedimento, da Cass. Sez. VI, n. 23401, 11,11,2021, Impregilo, limitatamente alla impossibilità che tale opinione dissenziente possa sconfinare nelle attribuzioni operative spettanti alla assemblea ed agli altri organi societari284), siano essi le autorità di vigilanza, ovvero il pubblico; ma - ed è quel che più rileva in questa sede - neppure consta che tali comunicazioni venissero previamente comunicate all'ODV per una preliminare valutazione o, comunque, per l'opportuna conoscenza. Né - è stato pure convenientemente evidenziato dal tribunale - erano previsti controlli a sorpresa nei confronti delle attività aziendali sensibili. E tali conclusioni non mutano se, dal modello adottato per l'anno 2012 (in vigore sino all'agosto 2014), si estende l'analisi alle versioni successive, essendosi comunque in presenza di documenti rispetto ai quali, come puntualmente osservato dal primo giudice, si ripropongono, sostanzialmente invariate, le medesime carenze. Peraltro, con specifico riferimento a tali carenze, va ribadito quanto anticipato in premessa in ordine al difetto, nell'atto di impugnazione, di considerazioni realmente critiche rispetto alle puntuali osservazioni del primo giudice, posto che le censure contenute nell'appello si risolvono nel richiamo al contenuto del programma; programma che, tuttavia, anche in proposito, risulta connotato da previsioni del tutto generiche. E tanto basterebbe. Ma v'è di più. Il modello in esame, infatti, introduceva un organismo di vigilanza286 privo di autonomia effettiva rispetto alla direzione societaria, donde un ulteriore, decisivo profilo di inadeguatezza di tale strumento organizzativo. Nello specifico, la direzione dell'ODV era affidata (cfr. modello 2012 citato, pag. 23), al "Responsabile pro tempore della Direzione Internal Audit" (nel caso di specie, il dipendente Bo.), affiancato da due soggetti esterni che non abbiano alcun rapporto di lavoro dipendente con il Gruppo Banca (...)" (nel caso di specie, due avvocati). Era previsto, inoltre, che il Presidente di tale organismo non rivestisse "cariche sociali nelle società del Gruppo medesimo" (cfr. ancora, documento citato, pag. 23). Sul punto, il tribunale ha specificamente osservato che tanto il presidente che i due ulteriori componenti dell'organismo erano soggetti privi della necessaria indipendenza: - il primo, in quanto dipendente gerarchicamente dai d.g. So. e funzionalmente dal Cda, ovverosia proprio dai "poteri" che avrebbe dovuto controllare; - i secondi, in quanto soggetti che avevano ricevuto retribuzioni da società riconducibili a B., con conseguente sussistenza di elementi oggettivamente tali da minarne l'autonomia di giudizio. Significativa di tale legame tra OdV e vertici aziendali, del resto, è la circostanza (convenientemente richiamata dal primo giudice alle pagg. 796-797 della sentenza) costituita dal fatto che la relazione sulle attività svolte dall'ODV era effettuata, in sede di CdA, proprio dal direttore generale. Ebbene, anche su tali convincenti argomentazioni l'atto di appello ha omesso ogni specifica, reale considerazione critica, essendosi limitato a ribadire, all'uopo richiamandosi alle previsioni contenute nel modello, tanto l'autonomia dell'organismo di vigilanza quanto la disponibilità, in capo a tale soggetto, di adeguati poteri. Per contro, trattasi di profilo di essenziale rilievo, solo a considerare l'assoluta centralità rivestita da un OdV dotato di effettivi, penetranti poteri e, soprattutto, assistito da un effettivo statuto di autonomia (necessariamente intesa come assenza di subordinazione del controllante al controllato e, comunque, di ragioni di condizionamento) perché possa affermarsi l'idoneità del modello organizzativo. Peraltro, l'inadeguatezza del modello in esame, anche a tale specifico riguardo, emerge in termini ancora più marcati solo a considerare che, come s'è detto, le pregresse segnalazioni di Banca d'Italia avevano stigmatizzato la scarsa autonomia delle articolazioni societarie rispetto ad un presidente a dir poco "ingombrante". Ulteriore conferma dell'inadeguatezza con riferimento all'effettiva indipendenza ed ai poteri dell'OdV, del resto, la si ricava, sul piano logico, per un verso, dalla durata della condotta illecita (come visto protrattasi per alcuni anni) e dal numero elevato dei soggetti coinvolti; e, per altro verso, dalla condotta tenuta dal Bo.: sebbene a conoscenza del fenomeno del capitale finanziato sin dal 2012, costui aveva sostanzialmente ignorato tale circostanza, non facendola mai oggetto di verifica, ovvero di approfondimento, ovvero ancora anche di semplice discussione all'interno dell'OdV. E' stato lo stesso Bo., del resto, a descrivere l'attività svolta dell'OdV in termini sostanzialmente minimali, soggiungendo di non avere riferito in tal senso, neppure nel corso dell'ispezione del 2015, in quanto intimidito e condizionato dal d.g. So.. In effetti - come parimenti già osservato dal primo giudice - i verbali delle riunioni dell'OdV (l'ultimo dei quali, peraltro, si ferma al 21.5.2014 - cfr. documento 897 del p.m.) non sono che la plastica espressione di un organismo che interpretava il proprio ruolo in modo meramente formale, posto che non offrono la benché minima contezza di alcuna programmazione di attività di verifica, né evidenziano che fossero state rilevate criticità, neppure in relazione ai casi più eclatanti. Aggiungasi che nessuna concreta garanzia di riservatezza delle comunicazioni da inviare all'OdV era assicurata, al di là di generiche affermazioni in tal senso. D'altronde, come già detto, a tale organismo non risulta giunta alcuna segnalazione in ordine a questioni problematiche e rilevanti ai fini in esame e, questo, nonostante le numerose lamentele dei dipendenti per le continue pressioni sulla rete per la negoziazione di azioni, pressioni delle quali persino i sindacati si erano occupati (cfr. lettera inviata alla Direzione Generale - doc, p.m. 91) Quando, poi, dal 2013, la funzione di vigilanza era stata attribuita al Collegio Sindacale (con assunzione formale della carica in data 12.5,2014) la situazione, sotto tale profilo, non era affatto migliorata. In effetti, detto organismo - come puntualmente osservato dal tribunale (alle pertinenti considerazioni del quale, sul punto, non può che farsi rinvio) - difettava anch'esso di reale indipendenza, in quanto costituito secondo logiche di cooptazione e composto da sindaci alcuni dei quali (Za., Za., Ca.) avevano importanti interessenze con il presidente. D'altronde, il sindaco Za. - il quale, di lì a poco, avrebbe assunto le funzioni di presidente dell'OdV - aveva bensì partecipato all'assemblea dei soci del 26.4.2014, assemblea in occasione della quale il socio Da. aveva denunziato il fenomeno delle operazioni correlate; nondimeno, una volta assunta la direzione dell'OdV, non aveva ritenuto di avviare, in proposito, alcuna attività di serio approfondimento (come emerso, peraltro, anche all'esito della rinnovata escussione del teste Za.), analogamente, del resto, alla condotta che avrebbe tenuto successivamente alla seduta del Cda del 4.11.2014 nel quale si era discusso dell'articolo de "Il." a firma Ga.. In definitiva, l'istruttoria dibattimentale ha restituito l'immagine di una "osmosi" di fatto pressoché completa tra l'OdV ed i vertici aziendali, tanto da rendere del tutto impalpabili i margini di autonomia ed effettività dell'attività di controllo svolta da tale organismo. Dì qui la conclusione circa l'inadeguatezza, anche sul punto, del modello adottato da B., sia sotto il profilo astratto, sia - ed a fortiori - ove doverosamente "calato" nella concretezza della struttura societaria in esame. Del resto - e conclusivamente - vale osservare che la riprova di detta inadeguatezza la si ricava anche dalla semplice constatazione che - ad onta delle contrarie considerazioni spese, in proposito, nell'atto di appello, anche in tal caso, tuttavia, senza l'indicazione di concreti elementi a sostegno293 - la commissione dei reati non ha affatto richiesto alcuna condotta elusiva e fraudolenta del modello in esame. Molto più semplicemente, detto modello non ha rappresentato ostacolo di sorta per la consumazione delle condotte di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza (in particolare, per quanto concerne le comunicazioni al mercato ed alla vigilanza), tanto che gli autori delle condotte delittuose non si sono minimamente dovuti preoccupare di "aggirarlo" e, questo, proprio perché il modello in questione costituiva un presidio non solo del tutto formale ma anche radicalmente "fuori fuoco" rispetto alle condotte sub iudice. Conclusivamente, non corrisponde a realtà sostenere che il tribunale sia giunto alla conclusione dell'inadeguatezza del modello adottato da B. sul mero rilievo dell'avvenuta consumazione dei reati. L'affermazione di responsabilità non si è affatto basata su un tale "corto circuito" logico-giuridico, Piuttosto, è derivata dal doveroso apprezzamento della concreta inadeguatezza del modello in esame, all'esito di una valutazione correttamente effettuata sulla base di un giudizio rigorosamente normativo in ordine alla introduzione, presso l'istituto di credito vicentino, nel periodo in esame, di un sistema di controllo e di verifica che, con specifico riferimento ai delitti di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, se non meramente apparente era, comunque, gravemente deficitario. Che, poi, il modello adottato dall'istituto di credito vicentino abbia seguito lo schema predisposto dall'ABI - profilo, questo, sul quale, pure, l'atto di appello si sofferma diffusamente294 - è circostanza, al contempo, incontestata ed irrilevante. A tale riguardo, infatti, è ancora una volta la giurisprudenza di legittimità a fornire le coordinate da seguire per rispondere alle censure difensive. E' stato infatti precisato, con argomenti del tutto persuasivi, come nessun rinvio per relationem a schemi predisposti dalle associazioni di categoria (e ancor meno, quindi, a presunte "best practices", nella specie, peraltro, neppure evocate) possa ritenersi operato dalla previsione ex art. 6, co. 3 D.L.vo cit., là dove pure è previsto che i modelli di organizzazione possano (e non debbano) essere adottati sulla scorta di codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative del settore, spettando al giudice - il quale, beninteso, non potrà fare leva su personali convincimenti, ovvero su soggettive opinioni - la verifica dell'adeguatezza del modello, una volta doverosamente "calato nella realtà aziendale nella quale è destinato a trovare attuazione" (cfr. la già citata Cass. Sez. V, n. 4677 18.12.2013, dep. 30.1.2014, Impregilo, pag. 6). 16.3 Diversamente, il terzo motivo di appello, inerente al trattamento sanzionatorio, è fondato nei termini di cui alla seguente motivazione. In effetti, insussistenti le condizioni per riconoscere l'attenuante ex art. 12, co. 2, lett. b), D, L. vo 231/01 per le persuasive ragioni indicate dal primo giudice (trattasi dell'assenza di modifiche risolutive apportate al modello 231 nella versione del 2016295 e, soprattutto, della mancata dimostrazione della concreta operatività di tale modello, senza che possa incidere in senso contrario la circostanza, che, dopo pochi mesi, proprio per le conseguenze finali dei reati perpetrati, l'ente è stato sottoposto a l. c.a. con conseguente impossibilità di ulteriore sperimentazione, "sul campo", di tale versione), osserva questa Corte che una determinazione dell'ammontare della sanzione debitamente ispirata a criteri di equità e moderazione non possa prescindere dalla adeguata considerazione delle critiche condizioni economiche e patrimoniali dell'ente in questione (nel rispetto, del resto, del criterio normativo espressamente dettato dall'art. 11, co. 2, D.L.vo citato). Ebbene, nello specifico, come teste ribadito, si è in presenza di istituto di credito posto in liquidazione coatta amministrativa. Donde la sussistenza dei presupposti per la mitigazione della sanzione, mitigazione da conseguirsi, ad avviso di questa Corte, in ragione, per un verso, della riduzione delle quote conseguente alla attenuante ex art. 12 co. 2, lett. a), D. L.vo 231/01 che, già riconosciuta dal tribunale, dovrà tuttavia trovare applicazione nella sua massima estensione, essendosi l'ente seriamente prodigato per ridurre le conseguenze dannose cagionate dall'illecito; per altro verso, dì una diversa, più favorevole determinazione degli aumenti derivanti dalla pluralità di illeciti ex art. 21 D.L.vo 231/01; e, per altro verso ancora, di una riduzione dell'importo della singola quota. In definitiva, ritiene questa Corte congrua una sanzione così determinata: la pena base di 600 quote, già congruamente fissata dal primo giudice per l'ipotesi di aggiotaggio, deve essere ridotta, ex art. 12, co. 2, lett. a), D. Lvo 231/01, a 300 quote, per poi essere complessivamente aumentata di 24 quote per gli ulteriori reati di aggiotaggio, con aumenti di otto quote per ciascuno di tali residui reati (sul punto dovendosi precisare che la prescrizione di talune condotte di aggiotaggio, intervenuta successivamente alla contestazione, è irrilevante ai fini della responsabilità dell'ente, come insegna la giurisprudenza di legittimità, già correttamente richiamata dal primo giudice), nonché di complessive 270 quote per i reati di ostacolo, con aumenti di 30 quote per ciascuna delle relative condotte, il tutto per un numero di quote finali pari a 594. Per le ragioni già esposte, poi, si ritiene congruo ridurre l'importo della singola quota nella misura di 350 Euro. Di qui la rideterminazione della complessiva sanzione nella misura finale di Euro 207.900,00. 16.4 Il quarto motivo di impugnazione, inerente alla confisca, non può essere accolto. Al riguardo, deve osservarsi che il tribunale di Vicenza, dopo avere persuasivamente circoscritto il perimetro della nozione di profitto (correttamente includendovi unicamente l'incremento patrimoniale derivante dal reato, ovverosia l'accrescimento della sfera patrimoniale dell'ente ritenuto di derivazione causale diretta dal reato presupposto) ha disposto la confisca, limitatamente all'illecito di cui al capo N2 (l'unico per il quale ha ritenuto obiettivamente possibile procedere all'indispensabile quantificazione), individuando il profitto nell'ammontare delle sottoscrizioni di capitale versate, a seguito dell'aucap, dai soci che avevano effettuato acquisti a seguito delle sollecitazioni ricevute, in tal senso, da parte dell'istituto di credito e che non avrebbero potuto sottoscrivere detto aumento di capitale ove fosse stato applicato il test di adeguatezza bloccante (detratti, ovviamente, gli importi finanziati dalla stessa banca). Ciò alla stregua delle deposizioni dei testi Gr. e Me. e degli esiti dei calcoli effettuati da costoro, oltre che di quanto evidenziato nella relazione ispettiva CONSOB. Sennonché, la difesa ha obiettato che quello individuato dal tribunale sarebbe, più propriamente, il profitto del reato di falso in prospetto, non ricompreso nel novero dei delitti presupposto, in quanto, con riferimento al delitto di ostacolo alla vigilanza, solo indirettamente sarebbe possibile individuare un nesso di derivazione causale tra le relative condotte delittuose ed il suddetto incremento patrimoniale. Trattasi di obiezione che, pur suggestiva, è destinata a rivelarsi, non appena sottoposta ad una analisi minimamente aderente al concreto dipanarsi della vicenda sub iudice, radicalmente infondata. Se, infatti, costituisce ius receptum il principio secondo il quale il profitto confiscabile ex art, 231/01 deve derivare causalmente, in modo diretto ed immediato, dal reato presupposto (cfr. ex plurimis, Cass. Sez. 23013 del 22.4.2016, Gigli e altro, Sez. III, n. 33816 del 18.9.2020, 2., Cass. Sez. VI, n. 33226 del 14.7.2015, Azienda Agraria Gr. di Gu.Le.), non può fondatamente revocarsi in dubbio come, nel caso di specie, sia stato il reato di ostacolo alla vigilanza in danno di CONSOB a consentire all'ente di lucrare i vantaggi derivanti dall'acquisto di azioni effettuato, in sede di sottoscrizione dell'aumento di capitale, da parte di soggetti che, ove fosse stato applicato il test di adeguatezza bloccante, non avrebbero potuto acquistare i titoli dell'istituto. In altri termini, è stata proprio la condotta di ostacolo che ha consentito a B. di condurre in porto l'aumento di capitale 2014, sottraendosi ai controlli di adeguatezza e, in tal guisa, acquisendo capitali che, altrimenti, non sarebbe stato possibile "rastrellare", peraltro per il significativo importo complessivo che è stato correttamente stimato nella misura di Euro 106.012.687,50, corrispondente alla quota di acquisiti di azioni non finanziati effettuati dagli investitori che non avrebbero superato il test di adeguatezza bloccante. Sul punto, il pertinente richiamo del primo giudice è al documento 252 del p.m. ed alla deposizione del teste Me.. In effetti, la scansione degli accadimenti - puntualmente riportata alle pagg. 524 e ss, della sentenza impugnata - è assai chiara: in data 8.5.2014 CONSOB autorizzava il prospetto e, tra il 12 maggio e l'8 agosto successivi, si procedeva all'adesione. Sennonché, durante lo svolgimento delle relative operazioni, avevano luogo interlocuzioni tra B. e CONSOB: in particolare, con nota 16 maggio, CONSOB chiedeva informazioni tanto in relazione all'aucap (con specifico riferimento alle modalità operative adottate per l'adesione ed ai relativi controlli di adeguatezza ed appropriatezza) che al miniaucap (ed alla relativa prestazione di consulenza in relazione agli ordini dei clienti), sollecitando l'invio di un prospetto mensile, per tutto il periodo di offerta al pubblico, che avrebbe dovuto contenere, tra l'altro, l'indicazione del numero delle operazioni risultate adeguate o appropriate o non appropriate rispetto al profilo del cliente, con l'indicazione del relativo controvalore, A tale richiesta, faceva poi seguito la comunicazione 23.5.2014 nella quale B. precisava, tra l'altro, come, onde non interferire con il diritto di opzione, fosse stata esclusa l'applicabilità della valutazione dì adeguatezza di cui all'art. 40 del regolamento intermediari, soggiungendo, nondimeno, che era stato fatto divieto di prestare qualsivoglia attività consulenziale in favore dei titolari del diritto di opzione ed in relazione all'adesione all'aumento di capitale. Tuttavia, contrariamente a tali assicurazioni, il collocamento delle azioni, come è stato dettagliatamente evidenziato dal primo giudice (cfr. pagg. 530 e ss. della sentenza impugnata), aveva poi avuto massicciamente luogo per effetto di una accurata attività dì pianificazione commerciale tradottasi in una forma di surrettizia e martellante consulenza che non solo non era stata accompagnata dai presidi organizzativi previsti dalla disciplina mifid ma, soprattutto, mai era stata comunicata nel corso delle interlocuzioni con l'autorità di vigilanza che, pure, avevano scandito tutte le operazioni di aumento di capitale. Emerge, allora, davvero in termini di evidenza, come il profitto complessivo sopraindicato non sia stato conseguenza immediata del reato di falso in prospetto (reato perpetrato, come da imputazione di riferimento, il 9.5,2014, ovverosia al momento della approvazione del prospetto relativo all'aumento di capitale), bensì del successivo delitto di ostacolo alla vigilanza in danno di CONSOB (delitto, in effetti, posto in essere nel periodo, decorrente dal 23 maggio, protrattosi per tutta la durata dell'operazione di aumento di capitale e delle concomitanti interlocuzioni con la predetta autorità di vigilanza): ove CONSOB fosse stata notiziata delle reali, illegali modalità di attuazione dell'aumento di capitale, infatti, sarebbe necessariamente e prontamente intervenuta, impedendo che ciò avesse luogo. Donde la sussistenza dei presupposti tutti del provvedimento di confisca adottato dal primo giudice, ex art. 19 D. L.vo 231/01, per l'importo di Euro 74.212.687,50 (per effetto della corretta detrazione dalla predetta somma di 106.012.687,50 dell'entità degli importi complessivamente restituiti, pari ad Euro 31,8 milioni), provvedimento che, pertanto, va confermato. 16.5 Il rigetto della richiesta di assoluzione dell'ente comporta l'infondatezza del quinto motivo, inerente alla condanna alle spese processuali di primo grado. 17. Gli appelli delle parti civili 17.1 Gli appelli proposti dalle parti civili Pa.La. e PA.Gi. (rappresentate dall'avv. Da.), Ad.An., Ad.Lu., Ad.Ma., Zo.Li., Ca.Mi. (rappresentate dall'avv. Fa.), Va.Gi. An., RO.El. e Va.De. (rappresentate dall'avv. Cu.) con riferimento alla pronunzia assolutoria nei confronti dell'imputato Pe.Ma. meritano accoglimento. Sul punto, si rimanda alle considerazioni già svolte sub 15.2 in punto di fondatezza dell'appello proposto dal P.M. Dall'accoglimento dell'appello discende la condanna del PE., in solido con i coimputati ZO., GI., PI. e MA., al risarcimento dei danni cagionati a dette parti civili, danni da liquidarsi in separato giudizio civile nei termini di cui alla sentenza impugnata, nonché al pagamento, in favore delle predette parti civili, della somma già loro liquidata in prime cure a titolo di provvisionale (5% del valore nominale delle obbligazioni/azioni acquistate, per un valore in ogni caso non superiore ad Euro 20.000 per ciascuna parte). 17.2 L'appello della parte civile Bi.Ce. è infondato. Al riguardo, va preliminarmente osservato che, come precisato nell'atto di impugnazione (cfr. pagg.1-3), Bi.Ce., dopo avere instaurato il giudizio innanzi al tribunale civile instando per la declaratoria di nullità del negozio costituito dal finanziamento erogatogli per l'acquisto delle azioni B., ha trasferito l'azione civile nel processo penale. Quindi, in sede penale, il tribunale di Vicenza ha correttamente concluso per l'improcedibilità delle azioni civili proposte, a fini risarcitori, nei confronti di B. in liquidazione, ex artt. 83 T.U.B., 201 l.f.. Tuttavia, ad avviso della parte civile appellante, il primo giudice avrebbe erroneamente incluso tra le azioni risarcitone dichiarate improcedibili anche quella, tutt'affatto diversa, proposta dal medesimo BI.. Ebbene, se è certamente vero che la domanda avanzata dal predetto BI. non aveva natura risarcitoria (in quanto finalizzata alla declaratoria di nullità del contratto di finanziamento per illiceità della causa), è altrettanto vero che, conseguentemente, si è trattato di una domanda radicalmente estranea all'ambito di esercizio dell'azione civile nel processo penale, come peraltro espressamente osservato dal primo giudice con j riferimento a tutte le domande "di accertamento della nullità e/o inefficacia dei contratti di finanziamento sottoscritti per l'acquisto di azioni" (cfr. pag. 822 della sentenza impugnata). Com'è noto, infatti, le uniche azioni che possono legittimare la costituzione di parte civile sono, ex art. 74 c.p.p., quelle aventi ad oggetto pretese restitutorie/risarcitorie fondate sulla commissione di un reato. Dal difetto (originario) dei presupposti per l'ammissione della costituzione della parte civile - difetto rilevabile senza preclusioni temporali, ove si consideri che il controllo sui presupposti di legittimità formale e sostanziale richiesti per l'esercizio dell'azione civile in sede penale è consentito pur dopo l'ordinanza di ammissione della costituzione, avente per sua natura efficacia provvisoria (cfr. Cass. Sez. VI, n. 32478 del 5.7.2016, Tr.) - discende, l'infondatezza della censura articolata nel gravame. La decisione del tribunale berico, quindi, va integralmente confermata con conseguente condanna di Bi.Ce. al pagamento delle spese processuali. 17.3 L'appello proposto dalle parti civili Cr.La. e Co.An. Cr.La. e Co.An. hanno censurato la sentenza gravata sul rilievo dell'avvenuto accoglimento della domande risarcitone limitatamente al pregiudizio subito per effetto del reato stigmatizzato, in imputazione, sub Al), il tutto a fronte di una costituzione di parte civile effettuata in relazione a tutte le imputazioni, ivi comprese, quindi, quelle rubricate ai capi I) ed L), avendo i predetti appellanti sottoscritto tanto l'aumento di capitale per l'anno 2013 (di cui al predetto capo I), quanto quello del successivo anno 2014 (di cui al predetto capo L). Sennonché, lungi dall'essersi in presenza di una sentenza che abbia - sia pure implicitamente - accolto la domanda risarcitoria con esclusivo riferimento alla lesione cagionata a dette parti dalla sola condotta delittuosa di aggiotaggio di cui al capo Al), osserva questa Corte che il provvedimento impugnato è affetto, sul punto, da una mera omissione materiale. Dalla congiunta valutazione dell'atto di costituzione dei predetti Cr. e Co. e del contenuto della pronunzia del tribunale di Vicenza (caratterizzata dalla esposizione, necessariamente cumulativa, delle ragioni della decisione in punto di statuizioni civili, con conseguente rinvio, per le singole posizioni, all'elenco allegato al dispositivo) emerge, infatti, in termini davvero inequivoci, come in detta sentenza sia stata unicamente omessa l'indicazione, nella tabella riportata a pag. 1068 relativa alle parti civili rappresentate dall'avv. Sp. e costituite in relazione ai capi A1, I ed L, dei nominativi dei predetti Cr. e Co., inseriti unicamente nella distinta tabella riguardante le parti civili costituitesi per il solo reato sub A1. Nessun rigetto parziale (ancorché implicito ed immotivato) della domanda avanzata da dette parti civili con riferimento ai citati capi I) ed L), quindi, è dato, nella specie, ravvisare; bensì, una mera materiale aporia, alla quale può e deve porsi rimedio, da parte del giudice dell'impugnazione, ricorrendo alla relativa procedura di correzione, ex art. 130 c.p.p. (e la censura mossa alla sentenza del tribunale di Vicenza dalle citate parti civili, pertanto, deve essere interpretata tal senso). Donde la correzione, come da separato provvedimento. 18 La liquidazione dei compensi spettanti ai difensori delle parti civili. Nel liquidare i compensi ai difensori delle parti civili la Corte ha ovviamente tenuto conto tanto delle caratteristiche tutte del giudizio, quanto dell'aumento da riconoscersi ai professionisti in ragione della pluralità di parti assistite. Segnatamente, con eccezione della liquidazione disposta per alcune parti che hanno adottato iniziative più significative nella fase introduttiva (le plurime parti difese dagli avvocati Cu., Da. e fa.) o nel corso del processo (Banca d'Italia, Consob), è stata riconosciuta una liquidazione "base" di Euro 1800,00 (di cui Euro 450,00 per esame e studio; Euro 675,00 per la fase istruttoria; Euro 675,00 per la fase decisionale), importo, questo, calcolato tenendo debitamente conto della circostanza costituita, pur a fronte della complessità del processo, dal fatto che l'impegno richiesto dal procedimento di appello è stato, per le parti civili, in concreto, contenuto, con riferimento alle fasi istruttoria e decisionale (la prima, invero, non ha visto significativi interventi di dette difese che, a volte, non hanno neppure partecipato alle udienze; la seconda, poi, si è per lo più essenzialmente esaurita nel deposito delle conclusioni). Di qui l'adozione dei valori medi unicamente in relazione alla fase di "studio" e la riduzione per le restanti voci. Rispetto a tale liquidazione "base", poi, l'aumento per la pluralità di parti è " stato concretamente modulato al fine di scongiurare le marcate distorsioni dell'effetto moltiplicativo previsto dalla legge che si sarebbero inevitabilmente prodotte pur a fronte di attività del tutto omogenee e dell'assenza di "specifiche e distinte questioni di diritto". Donde la decisione di contenere, nel solco della determinazione, sul punto, del primo giudice, l'entità dell'aumento, per ogni parte ulteriore, sino a dieci parti, nella misura del 10% di detta "quota base", nonché nella misura di un ulteriore 5% per ciascuna parte aggiuntiva, sino al limite di 30 parti, con conseguenti singole liquidazioni, come da dispositivo. Oltre tale numero di parti (30 parti assistite, che costituisce anche il limite massimo preso in esame dalla legge), l'assoluta serialità dell'attività svolta per la difesa in sede processuale di parti titolari di posizioni assolutamente omogenee, o addirittura coincidenti, ha indotto la Corte ad escludere l'adozione di ulteriori aumenti, che pure sono stati calcolati forfettariamente dal giudice di primo grado, ma la cui concreta applicazione rientra pur sempre nella discrezionalità riconosciuta al giudice di merito dalla giurisprudenza di legittimità. P.Q.M. Visto l'art. 605, 592 c.p.p. In parziale riforma della sentenza emessa in data 19/3/2021 dal Tribunale di Vicenza, appellata: - dalla Procura della Repubblica di Vicenza; - dagli imputati Gi.Em., Ma.Pa., Zo.Gi., Pi.An., Zi.Gi.; - dalla Banca (...) in L. C.A., dichiarata responsabile degli illeciti amministrativi dipendenti da reato alla stessa ascritti ai sensi del D.Lvo 231/2001); - dalle parti civili Bi.Ce.; Cr.La. e Co.An.; Ad.An., Ad.Lu., Ad.Ma., Zo.Li., Ca.Mi.; Pa.La. e Pa.Gi.; Va.Gi., Ro.El. e Va.De., statuisce nei seguenti termini: 1) quanto a Zo.Gi., ravvisato, quanto all'ipotesi di aggiotaggio, un unico reato per ciascuna annualità di riferimento, dichiara non doversi procedere nei confronti del predetto imputato in ordine ai reati a lui ascritti al capo Al), limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014, nonché ai reati di cui ai capi I) e L), per essere gli stessi estinti per prescrizione; ritenuta, inoltre, quanto ai reati di cui ai capi B1) e M1), la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c., riduce la pena inflitta all'imputato ad anni 3 e mesi 11 di reclusione; 2) quanto a Pi.An., ravvisato, quanto all'ipotesi di aggiotaggio, un unico reato per ciascuna annualità di riferimento, dichiara non doversi procedere nei confronti del predetto imputato in ordine ai reati a luì ascritti al capo A1), limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014, nonché ai reati di cui ai capi I) e L), per essere gli stessi estinti per prescrizione; ritenuta, inoltre, quanto ai reati di cui ai capi B1) e M1), la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c., riduce la pena inflitta all'imputato ad anni 3 e mesi 11 di reclusione; 3) quanto a Ma.Pa., assolve l'imputato dai reati di cui ai capi I) ed L), nonché dai reati ascrittigli ai capi H1) e M1), limitatamente alle condotte ascrittegli come successive al 18/12/2014, per non aver commesso il fatto; ravvisato, quanto all'ipotesi di aggiotaggio, un unico reato per ciascuna annualità di riferimento, dichiara non doversi procedere nei confronti del predetto imputato in ordine ai reati a lui ascritti al capo Al), limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014, per essere gli stessi estinti per prescrizione; ritenuta, inoltre, quanto ai reati di cui ai capi B1) e M1), la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c., riduce e ridetermina la pena inflitta all'imputato ad anni 3 mesi 4 e giorni 15 di reclusione; 4) quanto a Gi.Em., ravvisato, quanto all'ipotesi di aggiotaggio, un unico reato per ciascuna annualità di riferimento, dichiara non doversi procedere nei confronti del predetto imputato in ordine ai reati a lui ascritti al capo Al), limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014, nonché ai reati di cui ai capi I) e L), per essere gli stessi estinti per prescrizione; ritenuta, inoltre, quanto ai reati di cui ai capi B1) e M1), la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c. e riconosciute le attenuanti generiche in regime di prevalenza, riduce la pena inflitta all'imputato ad anni 2 mesi 7 e giorni 15 di reclusione; 5) quanto a Pe.Ma., in accoglimento dell'appello proposto dalla Procura della Repubblica e dalle parti civili rappresentate dagli avvocati Cu., Da. e FA., ravvisato, quanto all'ipotesi di aggiotaggio, un unico reato per ciascuna annualità di riferimento, dichiara non doversi procedere nei confronti del predetto imputato in ordine ai reati a lui ascritti al capo A1), limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014, nonché ai reati di cui ai capi I) e L), per essere gli stessi estinti per prescrizione; dichiara l'imputato responsabile dei residui reati ascrittigli e ritenuta, inoltre, quanto ai reati di cui ai capi B1) e M1), la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c., riconosciute le attenuanti generiche in regime di equivalenza e unificati, infine, i predetti reati sotto il vincolo della continuazione, lo condanna alla pena di anni 3 e mesi 11 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio. Rigetta l'appello della Procura della Repubblica nei confronti di Zi.Gi. nonché l'appello proposto avverso la sentenza di primo grado dal medesimo imputato che condanna al pagamento delle spese processuali del presente grado di giudizio. Revoca le pene accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici nei confronti degli imputati MA. e GI.. Revoca la confisca per equivalente disposta ai sensi dell'art. 2641 comma II c.c. nei confronti degli imputati per l'intero suo importo pari ad Euro 963.000.000. In parziale accoglimento dell'appello dall'ente Banca (...) in Lea riduce ad Euro 207.900 la sanzione pecuniaria nei confronti del predetto ente quale responsabile degli illeciti amministrativi dipendenti da reato allo stesso ascritti ai sensi del D,lvo n. 231/2001, ritenuta l'unitarietà delle ipotesi di aggiotaggio. Revoca la provvisionale disposta in favore dì Banca d'Italia e Consob. Rigetta l'appello proposto da Bi.Ce. e condanna l'appellante al pagamento delle spese processuali. Visto l'art. 130 c.p.p., dispone la correzione dell'errore materiale contenuto nel dispositivo della sentenza di primo grado nella parte in cui condanna gli imputati al risarcimento dei danni e al pagamento delle spese di assistenza e difesa in favore della parte civile Bi.Ce.. Revoca nei confronti di Zo.Gi. e Gi.Em. la condanna al risarcimento dei danni e al pagamento delle spese di assistenza e difesa di parte civile disposta in favore delle parti civili Ab. S.r.l., Bu.Sa. e To.Ma., rappresentate dall'avv. Mo.Gi.. Condanna gli imputati in solido tra loro al pagamento delle spese di assistenza e difesa delle parti civili liquidate come da documento allegato al dispositivo nonché come di seguito specificato: - in favore di Banca d'Italia, la somma di Euro 5670 a titolo di onorari, oltre al rimborso spese generali (15%) iva e epa come per legge; - in favore di Consob, la somma di Euro 3150 a titolo di onorari, oltre al rimborso spese generali (15%) iva e epa come per legge; - in favore delle parti civili rappresentate dall'avv. Cu., la somma di Euro 3510, a titolo di onorari, oltre al rimborso spese generali (15%) iva e epa come per legge; - in favore delle parti civili rappresentate dall'avv. Da., la somma di Euro 2970 a titolo di onorari, oltre al rimborso spese generali (15%) iva e epa come per legge; - in favore delle parti civili rappresentate dall'avv. FA., la somma di Euro 3780,00 a titolo di onorari, oltre al rimborso spese generali (15%) iva e epa come per legge. Dispone il pagamento in favore dello Stato delle spese di costituzione e patrocinio delle parti civili Ci., che liquida nella misura di Euro 1800 oltre al rimborso spese generali (15%), Iva e epa come per legge. Conferma nel resto. Letto l'art. 544 comma III c.p.p. indica il termine di gg. 90 per il deposito della motivazione. Così deciso in Venezia il 10 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 4 gennaio 2023.

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