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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9329 del 2023, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Ra. De Vi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, contro l'Agenzia Nazionale per l'Amministrazione e la Destinazione dei Beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...), per la riforma della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima n. -OMISSIS-, resa tra le parti, sul ricorso per l'annullamento dell'ordinanza di sgombero ex art. 47, co. 2, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, di due immobili confiscati siti nel Comune di -OMISSIS-. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Agenzia Nazionale per l'Amministrazione e la Destinazione dei Beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata; Visti tutti gli atti della causa; Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 23 aprile 2024, il Cons. Angelo Roberto Cerroni e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. - Il signor -OMISSIS- è stato attinto da un'ordinanza di sgombero ex art. 47, comma 2, del d.lgs. n. 159/2011 dell'Agenzia Nazionale per l'Amministrazione e la Destinazione dei Beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (di seguito, breviter, Agenzia) n. -OMISSIS-del 23 novembre 2022, notificata il 2 dicembre 2022, relativa a due beni immobili, acquisiti al patrimonio dello Stato in forza di confisca e siti nel Comune di -OMISSIS-, via -OMISSIS-, censiti nel N.C.E.U. di detto Comune al foglio -OMISSIS-particella -OMISSIS-subb. -OMISSIS- Il provvedimento è stato impugnato innanzi al TAR per il Lazio sull'addebito, articolato in un unico motivo, di violazione dell'art. 823, co. 2, cod. civ., carenza di motivazione, erroneità dei presupposti di fatto e difetto di istruttoria. Il giudice di prime cure ha rigettato la domanda demolitoria dopo aver motivatamente disatteso la censura incentrata sulla sussistenza del diritto di proprietà sui beni confiscati in capo al ricorrente, sia in forza di un titolo negoziale non trascritto, sia in forza di una indimostrata usucapione, sia in virtù di un successivo provvedimento di assegnazione della casa familiare al coniuge. 2. - Assumendo l'illegittimità della prima statuizione, il sig. -OMISSIS-ha interposto rituale appello, assistito da domanda cautelare, col quale lamenta, da un lato, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore di quella del giudice ordinario atteso che i provvedimenti di autotutela esecutiva ex art. 823, co. 2, cod. civ. si atteggiano a strumenti rimediali alternativi alle ordinarie azioni giudiziali petitorie e possessorie spettanti alla cognizione del G.O.; dall'altro lato, contesta la qualificazione di occupante sine titulo e rivendica la piena proprietà del bene, alternativamente, in forza di acquisto a titolo derivativo conseguente ad atto negoziale di compravendita (datato 18 gennaio 2001) o di maturata usucapione ordinaria in virtù di possesso pacifico, continuo e ininterrotto ventennale in corso di accertamento innanzi al giudice civile. L'appellante oppone, altresì, un provvedimento di assegnazione degli immobili in parola, a titolo di casa familiare, disposto in favore della coniuge e dei tre figli a seguito del procedimento di separazione consensuale e lamenta, al contempo, la conculcazione del diritto all'abitazione, protetto a livello costituzionale (art. 2 Cost.) e sovranazionale (art. 8 CEDU). 3. - Si è costituita in giudizio l'Agenzia Nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei Beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata con comparsa di mero stile. 4. - All'esito della trattazione cautelare il Collegio, con ordinanza n. -OMISSIS-del 27 dicembre 2023, ha respinto la domanda di sospensione dell'efficacia della sentenza impugnata rilevando preliminarmente che il provvedimento di confisca è divenuto inoppugnabile in data 14 novembre 2019 e la conseguente acquisizione al patrimonio indisponibile dello Stato è stata regolarmente trascritta nei registri immobiliari come da risultanze ipotecarie versate in atti, sicché i titoli negoziali (atto di compravendita recato da scrittura privata non autenticata, né trascritta del 18 gennaio 2001), legali (usucapione ordinaria) e giudiziali (assegnazione della casa familiare a seguito di omologa dell'accordo di separazione del 17 novembre 2021) fatti valere dall'odierno appellante non paiono idonei a scalfire l'efficacia dell'acquisto a titolo originario disposto per confisca, vuoi perché inopponibili ai terzi (compravendita immobiliare non trascritta), vuoi perché successivi al perfezionarsi della fattispecie acquisitiva in favore dello Stato. 5. - L'Agenzia ha svolto attività difensiva in vista dell'udienza pubblica controdeducendo nel merito delle tre censure svolte in appello. Nulla ha ulteriormente dedotto la parte appellante. 6. - La causa è venuta in discussione all'udienza pubblica del 23 aprile 2024 all'esito della quale è stata spedita in decisione. 7. - L'appello è infondato per le ragioni che si espongono dappresso. 8. - In primis, va dichiarato inammissibile il motivo di appello teso a censurare il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo nel caso di impugnativa di provvedimenti adottati dall'amministrazione nell'esercizio della potestà di autotutela esecutiva di cui all'art. 823, co. 2, cod. civ.. La giurisprudenza amministrativa si è ormai consolidata nel ravvisare nella coltivazione di tale eccezione una condotta abusiva dello strumento processuale immeritevole di tutela da parte dell'ordinamento (ex multis, Cons. Stato, Ad. Plen., 29 novembre 2021, n. 19; Cons. Stato, Ad. plen., ord. 28 luglio 2017, n. 4): inammissibilità che non si fonda unicamente sul rilievo tecnico del difetto della qualità di soccombente in primo grado su quel capo decisorio, anche in via implicita (cfr. Cons. Stato, sez. V, 13 dicembre 2023, n. 10756), ma soprattutto sull'esigenza di sanzionare l'abuso del diritto di difesa ispirato a mere ragioni opportunistiche secundum eventum litis. Segnatamente, ponendosi nel solco della giurisprudenza civile (Cass., SS.UU., 20 ottobre 201-OMISSIS-n. -OMISSIS-; seguita poi dalle sentenze 19 gennaio 2017, n. 1907, 25 maggio 2018, n. 13192, e 24 settembre 2018, n. 22439), si opina che la parte che abbia adito la giurisdizione amministrativa con l'atto introduttivo del giudizio non sia legittimata a contestarla attraverso l'eccezione di difetto di giurisdizione in appello in spregio del divieto di venire contra factum proprium (cfr. Cons. Stato, sez. V, 7 marzo 2023, n. 2362). 8.1. - La fattispecie in esame ricade de plano nel paradigma appena tratteggiato, con l'aggiunta che l'inammissibilità è ulteriormente aggravata dalla peculiare laconicità dell'atto introduttivo del giudizio in ordine ai profili di giurisdizione denunciati poi in appello, con particolare riguardo ai mezzi rimediali alternativi all'autotutela esecutiva e alla relativa devoluzione al giudice ordinario. 9. - Venendo ai profili più strettamente di merito giova ripercorrere succintamente i fatti secondo una scansione diacronica. I beni immobili oggetto dell'ordinanza di sgombero sono stati acquisiti al patrimonio indisponibile dello Stato, in virtù della confisca disposta dalla sentenza n. -OMISSIS-del Tribunale di Napoli, Quarta Sezione penale, depositata in data 28 dicembre 201-OMISSIS-parzialmente riformata con sentenza n. -OMISSIS-emessa in data 31 dicembre 2018 dalla Corte di Appello di Napoli, Sesta Sezione penale, corretta con ordinanza emessa dalla medesima sezione della Corte di Appello in data 11 gennaio 2019 e divenuta irrevocabile a far data dal 14 novembre 2019 a seguito di sentenza della Suprema Corte di Cassazione, Sezione V, n. 3368/2019. La fattispecie acquisitiva in esame, costituita da un provvedimento di confisca di prevenzione, integra un modo di acquisto a titolo originario che estingue e travolge qualsiasi posizione, reale o obbligatoria, come disposto dagli artt. 45 e 52 d.lgs. n. 159/2011 (art. 45: "A seguito della confisca definitiva di prevenzione i beni sono acquisiti al patrimonio dello Stato liberi da oneri e pesi"; art. 52: "la confisca definitiva di un bene determina lo scioglimento dei contratti aventi ad oggetto un diritto personale di godimento o un diritto reale di garanzia, nonché l'estinzione dei diritti reali di godimento sui beni stessi"), salva la tutela dei diritti dei terzi nelle forme previste dal titolo IV del codice antimafia, subordinata comunque all'anteriorità del titolo. Nel caso venuto in esame, l'appellante, a dispetto delle allegazioni svolte, non comprova la titolarità di titoli di proprietà piena opponibili all'Amministrazione e, segnatamente: a) il contratto di compravendita versato in atti, stipulato tra -OMISSIS- il giorno 18 gennaio 2001, è stato confezionato in forma di scrittura privata non autenticata, né trascritta nei registri immobiliari di tal ché non costituisce titolo opponibile erga omnes dispiegando efficacia solo inter partes; b) la fattispecie acquisitiva a titolo originario in forza di usucapione ordinaria resta allo stato di mera allegazione sguarnita di supporto probatorio, essendo tuttora in corso i riferiti giudizi civili volti al relativo accertamento. A tutto concedere, nell'esercizio della cognizione incidentale accordata al Collegio ex art. 8 cod. proc. amm. non si ravvisano neanche i presupposti per la maturazione dell'usucapione ordinaria ex art. 1158 cod. civ. giacché, assumendo come dies a quo di immissione nel possesso il 18 gennaio 2001, non consta il decorso del ventennio di possesso pacifico e non clandestino, interrotto dalla sopravvenienza del provvedimento di confisca, adottata nel 2016 e divenuta irrevocabile nel 2019; c) quanto infine al provvedimento di assegnazione giudiziale dell'immobile a titolo di casa familiare alla coniuge affidataria dei tre figli preme soggiungere che il documento versato in atti è un mero decreto di omologa non accompagnato dal verbale di udienza e dalle note depositate nel relativo giudizio per la definizione delle condizioni della separazione, indi non è chiaramente evincibile l'assegnazione dell'immobile a titolo di casa familiare, perplessità ulteriormente avvalorata dal tenore testuale del decreto di omologa che fa riferimento alla mera "cessione delle rendite immobiliari indicate nell'allegato accordo". A ciò si aggiunga che l'omologa decretata dal giudice delegato dal Presidente del Tribunale di Napoli Nord risale al 25 novembre 2021, dunque in data ampiamente successiva all'irrevocabilità della confisca di prevenzione intervenuta a far data dal 14 novembre 2019, in più non risulta trascritta ai fini dell'opponibilità a terzi, come invece prescritto dall'art. 337-sexies cod. civ. che richiama il regime di pubblicità immobiliare di cui all'art. 2643 cod. civ.. Tale notazione riveste valenza assorbente e consente di prescindere da ogni digressione sul delicato bilanciamento tra effetti della confisca di prevenzione e tutela del diritto all'abitazione, pur non sottacendo per incidens la condivisibilità delle argomentazioni di merito svolte sul punto dal primo giudice. 10. - Tutto ciò considerato, l'appello deve essere conclusivamente respinto. 11. - Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante alla rifusione in favore dell'Agenzia resistente delle spese di lite, che si liquidano nell'importo di euro 3.000,00 (tremila/00) oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 19-OMISSIS-e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 201-OMISSIS-a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la persona dell'appellante. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Raffaele Greco - Presidente Giovanni Pescatore - Consigliere Nicola D'Angelo - Consigliere Luca Di Raimondo - Consigliere Angelo Roberto Cerroni - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SECONDA SEZIONE CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Oggetto Dott. FELICE MANNA - Presidente - USUCAPIONE Dott. LINALISA CAVALLINO - Consigliere - Dott. VINCENZO PICARO - Consigliere - Ud. 23/05/2024 - PU Dott. GIUSEPPE FORTUNATO - Consigliere - R.G.N. 2075/2020 Dott. MAURO CRISCUOLO - Rel. Consigliere - Rep. ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso 2075-2020 proposto da: MULAS DANIEL JOSEPH JUANITO, rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRO CORDA, giusta procura in calce al ricorso; - ricorrente - contro MULAS ADRIANA, MULAS CARLO, MULAS EFISIO, MULAS FRANCESCO, MULAS GIUSEPPE, MULAS IGNAZIO, rappresentati e difesi dall’avvocato RAIMONDO SOLLAI, giusta procura in calce al controricorso; Ric. 2020 n. 2075 sez. S2 - ud. 23-05-2024 -2- - controricorrenti - nonché contro MULAS MARIA ROSARIA, MULAS SARAH, EREDI ROBERT RAYMOND; - intimati - avverso la sentenza n. 822/2019 della CORTE D'APPELLO di CAGLIARI, depositata il 14/10/2019; lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. FULVIO TRONCONE, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso; lette le memorie delle parti; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/05/2024 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO; Udite le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. FULVIO TRONCONE, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso; udito l’avvocato Alessandro Corda per il ricorrente; FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Mulas Giuseppe, Adriana, Carlo, Efisio, Giorgio, Francesco, ed Ignazio convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Cagliari i germani Mulas Maria Rosaria e Brunello per sentire dichiarare lo scioglimento della comunione del bene relitto caduto nella successione materna. Si costituiva Mulas Brunello che concludeva per il rigetto della domanda, asserendo in via riconvenzionale di avere posseduto il bene per un periodo di tempo utile ad assicurare l’usucapione, della quale chiedeva l’accertamento, chiedendo in via subordinata la condanna degli attori e dell’altra convenuta al rimborso delle Ric. 2020 n. 2075 sez. S2 - ud. 23-05-2024 -3- spese di miglioria e dei costi sostenuti per la costruzione della maggior parte della consistenza immobiliare. Alla domanda aderiva Clark Annie, moglie del convenuto. Riunito il giudizio a quello separatamente proposto da Mulas Maria Rosaria, la quale deduceva che, oltre all’immobile oggetto di causa, andavano considerati anche quelli interessati da compravendite simulate che avevano leso la propria quota di legittima, e di cui chiedeva la reintegra, nelle more del giudizio decedeva Mulas Brunello, cui subentravano gli eredi, tra cui anche l’odierno ricorrente. Il Tribunale con la sentenza non definitiva n. 2658/2010 rigettava la domanda di usucapione coltivata dagli eredi di Mulas Brunello e disponeva la prosecuzione del giudizio. Con la successiva sentenza n. 3178/2017 il Tribunale dichiarava inammissibile la domanda di riduzione proposta da Mulas Maria Rosaria e liquidava le spese di lite relativamente alla domanda di reintegra della quota di legittima ed alla domanda di usucapione, condannando Mulas Sarah, Daniel Joseph Juanito e Robert Raymond, quali eredi dell’originaria parte convenuta, al rimborso delle spese di lite in favore delle controparti, ritenendo che il valore della controversia dovesse essere determinato ai sensi dell’art. 15 c.p.c., sulla base della rendita catastale moltiplicata per 200. Con la medesima sentenza il Tribunale rimise la causa in istruttoria per la prosecuzione del giudizio di divisione. Avverso tale sentenza gli eredi di Mulas Brunello hanno proposto appello esclusivamente per il capo relativo alla condanna alle spese di lite, e la Corte d’Appello di Cagliari con la sentenza n. 822 del 14 ottobre 2019 ha rigettato il gravame. Ric. 2020 n. 2075 sez. S2 - ud. 23-05-2024 -4- Quanto alla deduzione secondo cui la prima sentenza non definitiva aveva previsto che la liquidazione delle spese sarebbe dovuta avvenire con la sentenza non definitiva (mentre non era tale quella impugnata che aveva dato ulteriori disposizioni per il prosieguo del giudizio di divisione), la Corte distrettuale reputava che, quanto alla domanda di usucapione, già la prima sentenza aveva carattere definitivo così che la successiva sentenza aveva ovviato ad una omissione nella quale era incorso il Tribunale. Quanto alla contestazione del valore della controversia, la sentenza impugnata osservava che era stata fatta corretta applicazione dell’art. 15 c.p.c., che stabilisce che il valore della causa si determina in base al reddito dominicale o alla rendita catastale e che, solo in assenza di tali elementi, è dato attenersi alle risultanze degli atti, ovvero in caso di tale ulteriore carenza, ritenere la causa di valore indeterminabile. Inoltre, gli elementi su cui il giudice può individuare il valore ex actis devono essere già precostituiti e disponibili fin dall’inizio del processo, essendo irrilevanti quelli acquisiti nel corso dell’istruzione. Ciò implicava che non poteva attribuirsi rilevanza alla successiva relazione tecnica redatta nel prosieguo del giudizio ed ai fini della divisione, né alla relazione di parte predisposta da un tecnico degli appellanti. Per l’effetto era corretta l’individuazione del valore della causa operata dal Tribunale e l’appello doveva essere rigettato. 2. Mulas Daniel Joseph Juanito ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza d’appello sulla base di un motivo. Mulas Adriana, Carlo, Efisio, Francesco, Giorgio, Giuseppe ed Ignazio hanno resistito con controricorso. Ric. 2020 n. 2075 sez. S2 - ud. 23-05-2024 -5- Gli altri intimati non hanno svolto difese in questa fase. 3. Con ordinanza interlocutoria n. 3905 dell’8 febbraio 2022 la Sesta Sezione civile ha rimesso la causa alla pubblica udienza. 4. Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte e le parti hanno depositato memorie. 5. Il motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 15, 91 e 115 c.p.c., dell’art. 6 del DM n. 55/2014 e dell’art. 1 della legge n. 228/2012, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3, c.p.c. Si deduce che è erronea l’applicazione dell’art. 15 c.p.c., in quanto il prosieguo del giudizio di divisione avrebbe potuto permettere di appurare con maggiore precisione il valore dell’immobile oggetto di causa. Lo stesso Tribunale nel disporre una consulenza tecnica d’ufficio sul bene ha peraltro riconosciuto di non avere sufficienti elementi per determinare il valore del bene. La perizia espletata dal CTU aveva consentito di appurare che dei vani oggetto di causa solo quattro erano regolari dal punto di vista urbanistico, in quanto la maggior parte erano stati edificati in carenza di provvedimento autorizzatorio. Ne consegue la violazione delle norme indicate in rubrica. Il motivo è infondato. 5.1 In primo luogo, deve sostanzialmente reputarsi abbandonata la contestazione mossa in appello in ordine al fatto che le spese di lite erano state liquidate con la seconda sentenza non definitiva, sebbene la prima sentenza del Tribunale, che aveva rigettato la domanda di usucapione, avesse rimesso la liquidazione delle relative spese alla sentenza definitiva. Ric. 2020 n. 2075 sez. S2 - ud. 23-05-2024 -6- Depone in tal senso la circostanza che le norme di cui si denuncia la violazione nella rubrica del motivo non consentono di inferire la loro attinenza con la questione dedotta con il motivo di appello, concernente l’impossibilità di poter liquidare le spese con la sentenza non definitiva. Conforta poi tale convincimento il fatto che la risposta data dalla Corte d’appello, e fondata sul fatto che già la sentenza che aveva rigettato la domanda di usucapione aveva sul punto carattere definitivo, così che la sentenza del Tribunale del 2017 aveva ovviato ad una colpevole omissione del Tribunale, non risulta in alcun modo attinta dalle critiche del ricorrente, così che, ove anche volesse ipotizzarsi la reiterazione della censura la stessa si palesa evidentemente inammissibile in quanto non presenta alcuna specifica critica al ragionamento che è alla base della decisione della Corte distrettuale in parte qua. Le pur apprezzabili considerazioni in punto di diritto, svolte nella memoria del Pubblico Ministero, quanto ai limiti al potere di liquidare le spese per la sentenza non definitiva, supportate da una puntuale disamina della giurisprudenza di questa Corte, tuttavia, non tengono conto del fatto che la relativa censura era stata disattesa dal giudice di appello, senza che sia stata validamente attinta dal motivo di ricorso, e senza che possa supplire a tale omissione quanto esposto in sede di discussione orale dal difensore del ricorrente. 5.2 La critica invece investe la scelta del valore della causa sulla scorta del quale sono state poi liquidate le spese di lite, sostenendosi da parte del ricorrente l’erroneità del rinvio ai criteri di cui al primo comma dell’art. 15 c.p.c., che contempla la Ric. 2020 n. 2075 sez. S2 - ud. 23-05-2024 -7- moltiplicazione del valore della rendita catastale per il coefficiente previsto per le cause relative al diritto di proprietà. Al riguardo occorre richiamare la disposizione di cui all’art. 5 del DM n. 55/2014 (che sul punto risulta riproduttivo delle analoghe previsioni contenute anche nei precedenti DM con i quali risultavano fissate le tariffe per la liquidazione dei compensi professionali degli avvocati), il quale prevede che per la liquidazione delle spese a carico del soccombente si ha riguardo al valore della controversia come determinato ai sensi delle norme del codice di procedura civile. Poiché la controversia per la quale risultano liquidate le spese di lite è relativa ad una domanda di usucapione, risulta incensurabile il richiamo alla previsione di cui all’art. 15 c.p.c., che al primo comma prevede appunto che il valore delle cause sia determinato in base alla rendita catastale moltiplicata secondo i coefficienti ivi indicati dal legislatore (nella specie per 200, trattandosi di causa relativa alla proprietà). La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che solo in assenza degli elementi richiamati dal primo comma dell’art. 15 c.p.c. è possibile per il giudice attenersi alle risultanze degli atti e, non emergendo da essi concreti ed attendibili elementi per la stima, ritenere la causa di valore indeterminabile, con l’ulteriore precisazione che gli elementi su cui fondare il giudizio di valore "ex actis" devono, peraltro, risultare precostituiti e disponibili fin dall'inizio del processo (essendo irrilevanti quelli acquisiti in corso di istruzione), nonché specifici, concreti, obbiettivi ed idonei a fornire un razionale fondamento di stima, tale non potendosi ritenere, nella specie, la mera indicazione delle ridotte dimensioni Ric. 2020 n. 2075 sez. S2 - ud. 23-05-2024 -8- della zona controversa (Cass. n. 7615/1997, richiamata anche dalla Corte d’Appello; Cass. n. 13567/1999; Cass. n. 3802/1995). E’ stato altresì specificato che la presunzione del valore indeterminabile delle cause relative a diritti reali su beni immobili opera solo qualora l'immobile oggetto della domanda non sia accatastato ed agli atti non risultino elementi per la stima, mentre non trova applicazione quando la domanda riguarda un immobile che, pur catastalmente frazionato in varie parti, alcune delle quali senza reddito dominicale, costituisce un'unitaria entità immobiliare, il cui valore, ai fini della competenza, va calcolato moltiplicando per i coefficienti di cui all'art. 15 cod. proc. civ. (nel testo fissato dall'art. 7 della legge 30 luglio 1984 n. 349) il reddito dominicale delle particelle per le quali esso risulta indicato (Cass. n. 1488/1995; Cass. n. 8745/1990). Alla luce di tali principi, atteso il pacifico accatastamento del bene per il quale era stata avanzata domanda riconvenzionale di usucapione, e stante il carattere sussidiario dei criteri di determinazione del valore posti dal terzo comma dell’art. 15 c.p.c., si palesa incensurabile la determinazione del valore avvenuta in base alla rendita catastale. Né può invocarsi la circostanza che sia stata disposta una consulenza tecnica d’ufficio onde pervenire alla stima del bene ai fini della divisione, in quanto, oltre a doversi rilevare che la consulenza d’ufficio ai fini della divisione mira non solo alla determinazione del valore del bene, ma anche alla verifica circa la fattibilità di una divisione in natura, occorre ribadire il carattere sussidiario dei criteri di cui al terzo comma, destinati a recedere ove in atti sia stata fornita la prova della rendita catastale dell’immobile. Ric. 2020 n. 2075 sez. S2 - ud. 23-05-2024 -9- Così come del pari risulta irrilevante il richiamo alla pretesa natura abusiva di parte del bene comune. Questa Corte ha, infatti, affermato che nelle cause relative alla divisione di un bene immobile, non può considerarsi l'immobile privo di rendita catastale e determinare il valore della causa secondo quanto emerge dagli atti solo perché lo stabile sia stato ampliato, essendo invece necessaria ai fini indicati, una totale trasformazione a seguito di modifiche talmente radicali da farlo considerare una entità distinta dalla preesistente non più confondibile ne identificabile con quella (Cass. n. 10573/1998). Lo stesso ricorrente riferisce di una parziale abusività del bene aggiungendo che in ogni caso, anche per le parti realizzate in assenza di provvedimento autorizzativo, sarebbe stata avanzata domanda di condono, circostanza questa che ben potrebbe assicurarne la commerciabilità. Ma quel che appare ancor più rilevante è che il preteso carattere abusivo di alcune delle parti dell’immobile può incidere solo laddove l’immobile sia interessato dal compimento di alcuni degli atti per i quali la legge prevede espressamente la sanzione della nullità, come per le ipotesi di nullità comminate dall'art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 della l. n. 47 del 1985 (per la cui disciplina si veda Cass. S.U. n. 8230/2019). La deduzione difensiva del ricorrente trascura però che la liquidazione è stata operata per una controversia avente ad oggetto la domanda di usucapione del bene, e cioè un’ipotesi di acquisto a titolo originario, sottratta, in ragione del carattere formale della nullità relativa ad immobili abusivi, alla previsione di nullità, così che sul punto diviene irrilevante la circostanza che la domanda abbia ad oggetto l’usucapione di beni in tutto o in Ric. 2020 n. 2075 sez. S2 - ud. 23-05-2024 -10- parte abusivi, rilevando unicamente il disposto del primo comma dell’art. 15 c.p.c. ai fini della determinazione del valore della causa, cui ragguagliare la liquidazione delle spese di lite. 6. Il ricorso è pertanto rigettato e le spese seguono la soccombenza, quanto ai controricorrenti, e si liquidano come da dispositivo, con attribuzione al difensore antistatario. Nulla a disporre relativamente alle parti rimaste intimate. 7. Poiché il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. PQM La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio in favore dei controricorrenti che liquida in complessivi € 4.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15 % sui compensi, ed accessori di legge, con attribuzione all’avvocato Raimondo Sollai, dichiaratosene anticipatario. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore somma pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13. Così deciso nella camera di consiglio del 23 maggio 2024 Ric. 2020 n. 2075 sez. S2 - ud. 23-05-2024 -11- Il Presidente Il Consigliere Estensore Felice Manna Mauro Criscuolo

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9789 del 2019, proposto da Ma. Me. Pa., Ma. Le. Pa., rappresentati e difesi dall'avvocato Cl. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Piazzale (...); contro Anas S.p.A., non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima n. 8390/2019, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 10 aprile 2024 il Cons. Giovanni Tulumello e udito l'avv. Ma. per la parte appellante. Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La sentenza impugnata nel presente giudizio ha respinto il ricorso introduttivo proposto dalle odierne appellanti per la condanna di Anas S.p.a. al risarcimento dei danni conseguenti all'abusiva occupazione di un'area di proprietà delle medesime, sita in Roma. L'indicata sentenza è stata impugnata con ricorso in appello dalle ricorrenti in primo grado. L'Anas S.p.a. non si è costituita in giudizio. Il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione all'udienza straordinaria del 10 aprile 2024. 2. Le ricorrenti, proprietarie di due particelle, ne subiscono l'occupazione e la successiva espropriazione; in sede di opposizione alla stima, scoprono che una delle particelle (la n. (omissis)) in realtà non è stata oggetto di esproprio, e domandano per questa il risarcimento del danno da occupazione illegittima in misura pari al valore venale del bene. In particolare: la particella (omissis) ha originato, a seguito di frazionamento, le particelle (omissis). A sua volta la particella (omissis) aveva a sua volta originato, a seguito di frazionamento, la particella n. (omissis) di mq. 5.531 e la particella (omissis) di mq. 456. Solo la seconda è stata espropriata, per cui oggetto del giudizio, come chiarito nel ricorso in appello, "veniva ad essere la richiesta risarcitoria derivante dalla abusiva occupazione della porzione della ex particella (omissis) poi individuata come particella n. (omissis) di mq. 5.531". Il che trova conferma nella parte in fatto della sentenza impugnata: "Con il ricorso introduttivo del giudizio le ricorrenti, rappresentando che l'occupazione d'urgenza dell'area ex mapp. (omissis) era venuta a scadere sin dal 22 settembre 2003 e che nel frattempo la residua porzione del mapp. ex (omissis), non espropriata dal Comune di Roma, era stata utilizzata per la realizzazione delle opere afferenti l'ampliamento del Grande Raccordo Anulare, ha chiesto la condanna dell'ANAS al risarcimento dei danni conseguenti alla perdita dell'area, attesa l'oggettiva impossibilità di restituirla". 3. Il T.A.R. ha dichiarato inammissibile il ricorso, perché non sarebbe ammissibile la rinuncia abdicativa al diritto di proprietà : in sostanza, il proprietario potrebbe e dovrebbe agire per la restituzione, mentre nel caso di specie non sarebbe stata chiesta la restituzione. Il T.A.R. ha altresì affermato che "L'ANAS, d'altro canto, potrà acquisirne la proprietà adottando un provvedimento sanante, ai sensi del più volte citato art. 42 bis del D.P.R. n. 327/2001, ovvero addivenendo con le ricorrenti ad un accordo di cessione bonaria o ad altro atto di natura negoziale, o ancora adottando un decreto di esproprio all'esito di un procedimento di espropriazione per pubblica utilità "ordinario", ovviamente corrispondendo alle ricorrenti la somma dovuta in base alla normativa di riferimento o concordata inter partes, fatti salvi gli eventuali effetti dell'usucapione". Il T.A.R. ha, inoltre, respinto la domanda di risarcimento avanzata in relazione alla avvenuta interclusione della residua proprietà, al deprezzamento della medesima, nonché all'avvenuta interruzione delle condotte adducenti l'acqua pubblica e all'estirpazione di 36 piante ad alto fusto che insistevano sul terreno occupato. Il giudice di prime cure ne ha, in particolare, ritenuto l'infondatezza in quanto le odierne appellanti non avrebbero prodotto nulla a dimostrazione dell'esistenza e dell'entità dei menzionati danni. 5. Ad avviso di parte appellante, il T.A.R, sostenendo che il proprietario del bene illecitamente occupato avrebbe diritto a richiedere la restituzione, ma non il danno pari al controvalore del bene, si sarebbe posto in contrasto con la normativa e la giurisprudenza nazionali e sopranazionali. Le interessate, in sede di ricorso dinanzi a questo Consiglio di Stato, deducono nuovamente che l'occupazione d'urgenza dell'area ex mapp. (omissis) era venuta a scadere sin dal 22 settembre 2003 e che, nel frattempo, la residua porzione del mapp. ex (omissis), non espropriata dal Comune di Roma, era stata utilizzata per la realizzazione delle opere afferenti l'ampliamento del Grande Raccordo Anulare. Domandando, dunque, la condanna dell'Anas al risarcimento dei danni conseguenti alla perdita dell'area, attesa l'oggettiva impossibilità di restituirla, parte appellante argomenta in ordine all'entità di tale risarcimento, evidenziando che, per l'esproprio della particella censita come mapp. (omissis), il Comune di Roma aveva corrisposto una indennità di mq. 79,23/mq. Oltre al danno conseguente alla perdita della disponibilità dell'area, le interessate fanno valere, ancora, che la proprietà loro residuata si è deprezzata, essendo rimasta sostanzialmente interclusa, a causa del fatto che i lavori di realizzazione dell'ampliamento stradale avevano comportato la demolizione dell'originario accesso alla proprietà, nonché di numerosi alberi e la creazione di una nuova strada di accesso di non agevole percorrenza e non idonea al passaggio di mezzi pesanti. Evidenziano, altresì, l'avvenuta interruzione delle condotte adducenti l'acqua pubblica. 6. Il ricorso è infondato. Successivamente all'introduzione del ricorso in appello sono intervenute le sentenze dell'Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato nn. 2, 3 e 4 del 2020 che depongono chiaramente nel senso del rigetto del ricorso, avendo escluso la possibilità di ipotizzare l'istituto della rinuncia abdicativa, con ogni conseguente effetto. Il ricorso in appello è pertanto infondato e la sentenza impugnata da confermare, anche in relazione alla statuizione comunque relativa al difetto di prova del danno lamentato. Non essendosi costituita l'ANAS, nulla va disposto sulle spese del grado. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Nulla per le spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Fabio Franconiero - Presidente FF Raffaello Sestini - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere, Estensore Ugo De Carlo - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Napoli Nord, Prima Sezione Civile, in persona del giudice unico Fulvio Mastro, ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile n. 7466/2022 R.G. avente ad oggetto: "usucapione", vertente TRA (...) rappresentati e difesi dagli avv.ti Fa.Ro. e Lu.Co., presso il cui studio elett.mente domiciliano in Aversa, alla (...) ; ATTORI E (...), in persona del l.r.p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Do.Pi., presso il cui studio elett.mente domicilia in Aversa, alla (...) CONVENUTO RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE letti gli atti del procedimento in epigrafe indicato; considerato che la presente domanda, avente ad oggetto "usucapione", è soggetta alla procedura della mediazione obbligatoria, prevista quale condizione di procedibilità (cfr. art. 5 D.Lgs. n. 28/2010); considerato che secondo il più recente orientamento della Corte di Cassazione, che lo scrivente ritiene di seguire, nel procedimento di mediazione obbligatoria disciplinato dal D.Lgs. n. 28 del 2010, quale condizione di procedibilità per le controversie nelle materie indicate dall'art. 5, comma 1bis, del medesimo decreto, è necessaria la comparizione personale delle parti, assistite dal difensore, pur potendo le stesse farsi sostituire da un loro rappresentante sostanziale, dotato di apposita procura speciale sostanziale, in ipotesi coincidente con lo stesso difensore che le assiste; ai fini della realizzazione della condizione di procedibilità, la parte non può evitare di presentarsi davanti al mediatore, inviando soltanto il proprio avvocato, ma, allo scopo di validamente delegare un terzo alla partecipazione alle attività di mediazione, la parte deve conferirgli tale potere mediante una procura avente lo specifico oggetto della partecipazione alla mediazione e il conferimento del potere di disporre dei diritti sostanziali che ne sono oggetto; ne consegue che, sebbene la parte possa farsi sostituire dal difensore nel partecipare al procedimento di mediazione, non può conferire tale potere con la procura conferita al difensore e da questi autenticata, benché possa conferirgli con essa ogni più ampio potere processuale; per questo motivo, se sceglie di farsi sostituire dal difensore, la procura speciale rilasciata allo scopo non può essere autenticata dal difensore, perché il conferimento del potere di partecipare in sua sostituzione alla mediazione non fa parte dei possibili contenuti della procura alle liti autenticabili direttamente dal difensore; perciò, la parte che non voglia o non possa partecipare personalmente alla mediazione può farsi liberamente sostituire, da chiunque e quindi anche dal proprio difensore, ma deve rilasciare a questo scopo una procura sostanziale che non rientra nei poteri di autentica dell'avvocato neppure se il potere è conferito allo stesso professionista (cfr. Cass. n. 8473/2019); in questi termini, la Corte d'Appello di Napoli ha chiarito che il procedimento di mediazione obbligatoria ex D.Lgs. n. 28/2010 ha natura personalissima, con la conseguenza che esso esige la presenza personale della parte, ovvero la presenza di un rappresentante munito di procura speciale; all'uopo, le parti possono conferire procura speciale ad altri soggetti per farsi rappresentare nel procedimento di mediazione, a condizione che sia espressamente conferito loro il potere di parteciparvi; il rappresentato, quindi -trattandosi di rappresentanza avente natura negoziale e non processuale - deve conferire adeguata procura ad negotia che autorizzi il rappresentante ad agire in nome e per conto, con chiara specificazione dei poteri e dei limiti e solo la procura notarile speciale, redatta per il singolo affare, è idonea a fornire le indispensabili garanzie sulla sua utilizzabilità nei riguardi di terzi; la mediazione, infatti, non può considerarsi ritualmente esperita neppure con la semplice partecipazione del legale, ancorché munito di procura speciale per la partecipazione alla mediazione (sentenza n. 3227 del 29.9.2020); considerato che, nel caso di specie, come emerge dai verbali prodotti in atti, è comparsa personalmente in sede di mediazione soltanto la parte Parte_l privo della procura nei termini di cui prima si è detto; ritenuto alla luce delle suesposte ragioni che la domanda va dichiarata improcedibile, per mancato effettivo e rituale esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione; ritenuto che le spese di lite, attesa la novità della questione trattata e l'esito del giudizio in mero rito, possono integralmente compensarsi tra le parti; P.Q.M. - dichiara improcedibile la domanda; - compensa integralmente tra le parti le spese di lite. Così deciso in Aversa, 6 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4933 del 2023, proposto dai signori Na. Ma. e Vi. Ra., rappresentati e difesi dall'avvocato An. Fe. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Il. Br. in Roma, via (...); contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Fi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche Sezione Prima n. 00146/2023, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visto l'appello incidentale del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 febbraio 2024 il Cons. Luca Monteferrante e uditi per le parti gli avvocati presenti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Con ricorso al T.a.r. per le Marche i Sig.ri Ma. Na. e Ra. Vi., comproprietari di vari appezzamenti di terreno siti in (omissis) (AN), tra i quali quelli distinti nel C. T. di detto Comune al Foglio (omissis), particelle (omissis), hanno chiesto l'accertamento della formazione del silenzio-inadempimento sulla diffida inviata dai medesimi in data 16 febbraio 2021 al Comune di (omissis), lamentando che detti mappali erano stati abusivamente occupati dal Comune per la costruzione di un campo da tennis con annessi spogliatoi, in assenza di procedura espropriativa. Per tale ragione, con p. e. c. del 16 febbraio 2021, i Sig.ri Ma. e Ra. diffidavano il Comune di (omissis) affinché regolarizzasse la situazione, senza tuttavia ricevere risposta. In punto di diritto, lamentavano la illecita occupazione delle predette particelle utilizzate dal Comune per finalità di interesse pubblico ma senza un valido titolo. Per porre rimedio alla condotta del Comune, prospettavano due alternative possibili: la restituzione del bene, previa rimessione in pristino, o l'acquisizione sanante ex art. 42-bis del d.P.R. 327/2001, cui era per l'appunto finalizzata la diffida inviata in data 16 febbraio 2021; chiedevano in ogni caso, la condanna del Comune al risarcimento dei danni patiti ed al rimborso delle somme pagate nel tempo a titolo di imposte gravanti sui predetti immobili illecitamente occupati, fino alla adozione del decreto ex art. 42-bis del d.P.R. n. 327/2001 ovvero alla restituzione dei terreni. Il Comune di (omissis) si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso avversario sulla scorta delle seguenti deduzioni: - in via pregiudiziale, eccepiva il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore del giudice ordinario, trattandosi di una vicenda interamente svoltasi sul piano civilistico, peraltro definita da un giudicato civile formatosi sulla domanda possessoria di reintegra del possesso proposta dal Comune contro i ricorrenti ed accolta dal Tribunale di Ancona con sentenza n. 1565/2014; - in via preliminare, evidenziava che non era configurabile un silenzio-inadempimento perché il Comune, a mezzo del procuratore appositamente incaricato, aveva riscontrato tempestivamente la diffida dei ricorrenti con p.e.c. in data 2 aprile 2021, comunicando il diniego di quanto richiesto in forza del giudicato civile formatosi inter partes e comunque per essere intervenuta l'usucapione dei predetti terreni in favore del Comune, stante il lungo lasso di tempo intercorso dalla immissione nel possesso; - nel merito, inquadrava la vicenda nell'alveo del diritto civile, precisando di non aver agito iure imperii, allo scopo di espropriare l'area, ma, con il benestare dell'originario proprietario Sig. Ma. Pi., dante causa degli appellanti, in vista dell'auspicata successiva stipula dell'atto notarile di acquisto dell'area; l'impossessamento dell'area non era dunque avvenuto autoritativamente ma sulla base di intese rette dal diritto civile, oltretutto in modo non violento né clandestino, come poi riconosciuto dal giudice ordinario con sentenza passato in giudicato. Il T.a.r. per le Marche, ritenuto di dover trattare la domanda con rito ordinario, in ragione della presenza di una concorrente domanda risarcitoria e della complessità della vicenda, in applicazione dell'art. 117, comma 6, c.p.a., con sentenza 22 febbraio 2023, n. 146 accoglieva parzialmente il ricorso, ritenendo sussistente il silenzio inadempimento sulla diffida del 16 febbraio 2021 mentre lo respingeva con riguardo alla domanda risarcitoria. I Sig.ri Ma. Na. e Ra. Vi. hanno proposto appello avverso la predetta sentenza, chiedendone la riforma in quanto errata in diritto. Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis) proponendo, a sua volta, appello incidentale per chiedere la riforma della predetta sentenza, in particolare nella parte in cui ha respinto l'eccezione di difetto di giurisdizione. Alla udienza pubblica del 15 febbraio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. Per ragioni di ordine logico la trattazione deve prendere le mosse dalla disamina dell'appello incidentale del Comune che, con un primo motivo, ripropone l'eccezione di difetto di giurisdizione già sollevata in primo grado e respinta dal T.a.r. Aggiunge il Comune - articolando sul punto un secondo motivo di appello - che la statuizione del T.a.r. sarebbe errata, soprattutto perché contrasta con il giudicato civile formatosi sulla sentenza n. 1565/2014 del 22 settembre 2014, emessa in esito al giudizio possessorio rubricato al n. 200267/2011 R. G. del Tribunale di Ancona che il T.A.R. Marche avrebbe omesso di esaminare e di valutare. I due motivi - che in quanto strettamente connessi possono essere esaminati congiuntamente - sono infondati. Sebbene dalla narrazione in fatto - analiticamente ricostruita dal T.a.r. - emerga che la vicenda per cui è causa concerne in realtà una ipotesi di occupazione senza corrispondente esercizio di poteri pubblicistici in quanto le particelle in questione non sono mai state interessate da una dichiarazione di pubblica utilità o comunque dall'avvio di un procedimento espropriativo né risulta gravata da vincolo preordinato all'esproprio (cfr. allegazioni a p. 14 e 15 dell'appello), ciò non di meno, la giurisprudenza amministrativa è dell'avviso che, anche in siffatte ipotesi, sia applicabile l'art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001, con conseguente sussistenza dell'obbligo di provvedere in capo all'amministrazione in presenza di una domanda formale di adozione del relativo decreto. In particolare l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza n. 5 del 2020, ha affermato che: "L'art. 42 bis, d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 si applica a tutte le ipotesi in cui un bene immobile altrui sia utilizzato e modificato dall'amministrazione per scopi di interesse pubblico, in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, e dunque quale che sia la ragione che abbia determinato l'assenza di titolo che legittima alla disponibilità del bene". Non rileva che in sede possessoria il giudice civile abbia accertato la piena legittimità del possesso dell'area da parte del comune che vi ha realizzato, da tempo, un campo da tennis con annessi spogliatoi, accogliendo il ricorso per reintegra del possesso proposto dal Comune contro i proprietari ricorrenti in primo grado. Ed infatti l'istanza dei ricorrenti in primo grado non attiene alla situazione possessoria bensì a quella petitoria di cui chiedono la regolarizzazione attraverso l'adozione del decreto di acquisizione sanante, non essendo stato possibile addivenire al trasferimento del diritto di proprietà mediante atto negoziale. L'appello incidentale, sul punto, deve pertanto essere respinto stante la non incompatibilità della domanda finalizzata anche alla eventuale adozione del decreto di acquisizione sanante (o comunque alla restituzione del bene) con una vicenda caratterizzata dalla intervenuta legittima acquisizione del possesso da parte del Comune - accertata con sentenza passata in giudicato - al di fuori dell'esercizio di poteri pubblicistici, essendo piuttosto controverso come ricondurre lo ius possidendi in capo al legittimo proprietario. Sussiste dunque un interesse legittimo di tipo pretensivo alla definizione del relativo procedimento, ai sensi dell'art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001, nella ricostruzione fornita dalla Adunanza Plenaria, che radica la giurisdizione del giudice amministrativo, sub specie di giudizio avverso il silenzio inadempimento del Comune che - nella tesi dei ricorrenti - non avrebbe ritenuto di pronunciarsi sul merito dell'istanza. Sul punto giova sin d'ora precisare che il Comune non ha ritenuto di gravare la sentenza del T.a.r. nella parte in cui ha ritenuto la risposta fornita dal proprio legale con nota del 1° aprile 2021 inidonea ad assolvere l'obbligo di provvedere, sicché deve ritenersi passato in giudicato l'accertamento della violazione dell'obbligo di provvedere da parte del Comune, avendo il T.a.r. statuito che: "6.1. Va anzitutto disattesa l'eccezione di inammissibilità del ricorso avverso il silenzio, formulata dal Comune in ragione del fatto che la diffida del 16 febbraio 2021 sarebbe stata riscontrata a mezzo della nota dell'avv. Ma. Fi. datata 1° aprile 2021. In disparte la banale considerazione che in alcun modo la nota del legale di fiducia dell'ente può essere assimilata ad un atto/provvedimento amministrativo idoneo a determinare il venir meno del silenzio-rifiuto (per un precedente ana, si veda la sentenza del T.A.R. n. 722/2022, § 5. Della motivazione), neanche dal punto di vista sostanziale la nota de qua è utile a far venire meno l'obbligo di provvedere, visto che: - quanto alla sentenza n. 1565/2014 del Tribunale di Ancona, la stessa, come il T.A.R. ha correttamente osservato nella sentenza n. 564/2021, attiene ad un giudizio possessorio ed è dunque inconferente rispetto all'accertamento del diritto di proprietà ; - quanto al riferimento all'usucapione, si tratta di rilievo ancora meno conferente, non avendo il legale dell'ente chiarito quando e come l'usucapione si è perfezionata e quale provvedimento giurisdizionale l'ha dichiarata.". Con un terzo motivo il Comune ha dedotto "Violazione dell'art. 112 c. p. c. per vizio di ultrapetizione". Lamenta che la sentenza impugnata sarebbe errata anche nella parte in cui ha ritenuto che "la domanda risarcitoria è assorbita dall'avvenuto accoglimento della domanda principale, visto che il Comune, all'esito del procedimento che sarà avviato in esecuzione della presente sentenza, dovrà in ogni caso indennizzare o risarcire i ricorrenti dei danni legati all'occupazione sine titulo dell'area in questione". Per tali voci di danno infatti i ricorrenti principali non avrebbero formulato alcuna specifica domanda di condanna nelle conclusioni; la domanda risulta invece limitata alla richiesta di risarcimento delle spese sostenute per far fronte, nel tempo, al pagamento degli oneri tributari sugli immobili in contestazione. Il motivo è inammissibile poiché, avendo il T.a.r. dichiarato tale domanda risarcitoria assorbita, in quanto intempestiva - dovendosi attendere le decisioni del Comune scaturenti dalla dichiarazione dell'obbligo di provvedere -, nessun pregiudizio può discendere da tale affermazione che, se da un lato, prefigura possibili poste risarcitorie, dall'altro non le accerta, neppure nell'an, ma ne rimette la verifica all'esito delle determinazioni che il Comune riterrà di adottare, in attuazione dell'obbligo di provvedere. L'affermazione del T.a.r. per cui "il Comune, all'esito del procedimento che sarà avviato in esecuzione della presente sentenza, dovrà in ogni caso indennizzare o risarcire i ricorrenti dei danni legati all'occupazione sine titulo dell'area in questione" deve essere letta con quanto affermato al punto 8 della motivazione ("il ricorso va accolto con riguardo alla domanda di condanna del Comune di (omissis) a provvedere sulla diffida notificata dai ricorrenti in data 16 febbraio 2021") e presuppone che il Comune, nella sua discrezionalità, resti libero di optare per l'adozione del provvedimento di acquisizione sanante (cui potranno conseguire la predette conseguenze risarcitorie rectius indennitarie), in luogo della restituzione e sempre che il Comune non intenda invece eccepire l'intervenuta usucapione, come pure prospettato nella risposta censurata dal T.a.r.. In conclusione l'appello incidentale dev'essere respinto. Può dunque passarsi alla disamina dell'appello principale che è infondato. Con un primo motivo gli appellanti censurano la sentenza n. 146/2023 del T.A.R. Marche "... laddove, confermando, quanto al rito... il contenuto della precedente ordinanza n. 335/2022, ha assoggettato al rito ordinario sia la domanda avverso il silenzio ex artt. 31 e 117 c. p. a., sia la domanda risarcitoria...". Il motivo è inammissibile poiché gli appellanti non hanno interesse alla doglianza non avendo subito alcun pregiudizio in termini di possibile lesione - o anche solo limitazione - del diritto di difesa, cui non è riconducibile il diritto ad una sentenza di merito "in tempi più celeri", in ragione del rito camerale, peraltro in fattispecie in cui il giudizio, nonostante il rito ordinario, è stato comunque definito in appena 12 mesi (ricorso notificato e depositato il 17 marzo 2022; sentenza pubblicata il 10 marzo 2023). La doglianza è in ogni caso infondata nel merito poiché l'art. 117, comma 6, c.p.a. afferma che: "Se l'azione di risarcimento del danno ai sensi dell'articolo 30, comma 4, è proposta congiuntamente a quella di cui al presente articolo, il giudice può definire con il rito camerale l'azione avverso il silenzio e trattare con il rito ordinario la domanda risarcitoria". La norma non prevede alcun obbligo di definire la domanda sul silenzio con il rito camerale per poi trattare con il rito ordinario la domanda risarcitoria ma lascia al giudice la facoltà ("può ") di optare per la trattazione cumulativa mediante il rito ordinario, come accaduto nel caso di specie, in linea con quanto previsto anche dall'art. 32, comma 1, secondo periodo, c. p. a., secondo cui "Se le azioni sono soggette a riti diversi, si applica quello ordinario, salvo quanto previsto dal Titolo V del Libro IV". Con il secondo motivo gli appellanti lamentano che il T.A.R. Marche avrebbe inteso indirizzare il Comune nella scelta da compiere, orientandolo verso l'emanazione del provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42-bis del T. U. 327/2001, piuttosto che verso la restituzione delle aree, previa rimessione in pristino. In tal modo avrebbe anche esercitato una inammissibile giurisdizione di merito, ingerendosi in un ambito decisionale riservato al Comune. Il motivo è infondato poiché il T.a.r., pur essendosi soffermato con dovizia di argomenti sul procedimento di acquisizione sanante, ha concluso il proprio ragionamento in modo chiaro, statuendo (cfr. punto 8 della motivazione) che "il ricorso va accolto con riguardo alla domanda di condanna del Comune di (omissis) a provvedere sulla diffida notificata dai ricorrenti in data 16 febbraio 2021", limitandosi pertanto a dichiarare l'obbligo di provvedere, senza ingerirsi nella scelta di merito del Comune. Nessun effetto di condizionamento può e deve derivare alla scelta del Comune dai riferimenti contenuti nella motivazione del T.a.r. al procedimento di cui all'art. 42-bis del d.P.R.n. 327 del 2001. Con il terzo motivo gli appellanti principali censurano la sentenza di primo grado nella parte in cui ha accertato "... questioni e circostanze non conformi alla realtà e al diritto che, ove coperte dal giudicato, risulterebbero gravemente pregiudizievoli per i diritti e gli interessi degli appellanti anche in funzione di ulteriori giudizi conseguenti a quello in corso". La doglianza avversaria si rivolge, in particolare, ad una serie di argomentazioni ed affermazioni contenute nella motivazione della sentenza del T.a.r. (riportate da p. 13 a p. 19 dell'appello) in relazione alla ricostruzione fornita dal giudice di primo grado della articolata vicenda. Il motivo è inammissibile per difetto di interesse poiché le affermazioni in questione costituiscono dei meri obiter dicta, come tali irrilevanti ai fini della presente decisione e dunque non idonei a far stato tra le parti. In via generale è stato chiarito (Cons. Stato, Ad. Plen., n. 6 del 2021) che: "... secondo consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa e civile, l'interpretazione del giudicato formatosi su una sentenza civile pronunciata a definizione di un giudizio ordinario di cognizione, va effettuata alla stregua non soltanto del dispositivo della sentenza, ma anche della sua motivazione: infatti, il contenuto decisorio di una sentenza è rappresentato, ai fini della delimitazione dell'estensione del relativo giudicato, non solo dal dispositivo, ma anche dalle affermazioni e dagli accertamenti contenuti nella motivazione, nei limiti in cui essi costituiscano una parte della decisione e risolvano questioni facenti parte del thema decidendum". Nel caso di specie l'oggetto del giudizio ex art. 31 e 117 c.p.a. è rappresentato dall'accertamento dell'obbligo di provvedere in capo ad un organo della pubblica amministrazione. Nella specie il T.a.r. doveva limitarsi ad accertare se a fronte dell'istanza del 16 febbraio 2021 fosse configurabile o meno l'obbligo del Comune di adottare un provvedimento espresso. Il T.a.r. ha effettivamente ritenuto sussistente siffatto obbligo, accogliendo la domanda dei ricorrenti che non hanno pertanto interesse a dolersi di affermazioni relative alla ricostruzione in fatto o in diritto della vicenda, che potranno rilevare nelle successive fasi - dove saranno accertate e verificate funditus - allorquando occorrerà acclarare se vi siano i presupposti per l'adozione di un provvedimento di acquisizione sanante o se il Comune possa, piuttosto, adottare un provvedimento di restituzione, con riduzione in pristino, anche in relazione alla possibile rilevanza dell'usucapione. Con il quarto motivo lamentano il mancato accoglimento della domanda risarcitoria, asserendo la ricorrenza di tutti i presupposti prescritti per il suo accoglimento. Il motivo è infondato. Quanto al danno asseritamente patito in conseguenza della mancata disponibilità delle due particelle sino al momento della loro restituzione - anche ai fini della loro valorizzazione economica in quanto particelle edificabili sino al 1996 -, si rinvia a quanto osservato in merito al terzo motivo di appello incidentale con il quale il Comune, a fini opposti, ha censurato identica affermazione del T.a.r. che ipotizza tali voci di danno, rimettendone tuttavia ogni accertamento in concreto all'esito della decisione del Comune. In ogni caso nessun danno può configurarsi in relazione al mancato sfruttamento a fini edificatori delle particelle poiché tale destinazione è venuta meno dopo il 1996 sicché nessun danno da ritardo può essere eziologicamente ricondotto ad una pretesa inerzia del Comune a fronte di una istanza presentata dagli appellanti solo nel febbraio 2021, in fattispecie di occupazione senza titolo pubblicistico dove non vi è stato alcun procedimento espropriativo avviato, come ribadito dagli stessi appellanti, con conseguente insussistenza di un obbligo di provvedere prima della domanda di parte, essendo rimesso agli interessati la scelta se agire con il rito del silenzio o con una eventuale azione di condanna al rilascio di fondi detenuti sine titulo. Gli appellanti principali hanno poi chiesto la condanna al rimborso delle spese asseritamente sostenute per le imposte sugli immobili in loro proprietà ma, da tempo, nella disponibilità del Comune. Senonché, come correttamente rilevato dal T.a.r. "soggetti passivi delle imposte de quibus sono i proprietari catastali degli immobili" che nella specie sono gli appellanti. La situazione venutasi a creare con lo spossessamento dei terreni potrà, al più, generare pretese risarcitorie in relazione al mancato godimento dei predetti immobili ma non in relazione alle imposte che, in quanto collegate alla titolarità degli stessi, sono legittimamente poste a carico dei proprietari, anche in mancanza del possesso. La giurisprudenza citata dagli appellanti (es. Corte di Cassazione, Sez. V, ordinanza n. 9956/2023) è inconferente poiché riguarda il tema della configurabilità della capacità contributiva in casi in cui il proprietario non ha la materiale disponibilità e quindi il godimento dell'immobile: riguarda cioè la legittimità del potere impositivo in siffatte ipotesi, non l'ampiezza dei danni risarcibili in caso di occupazione abusiva di immobili. Peraltro gli appellanti chiedono il risarcimento dei danni patiti per tale causale senza neppure quantificarli e senza dimostrarne l'effettivo pagamento, come fondatamente eccepito dal Comune. Alla luce delle motivazioni che precedono, devono essere respinti sia l'appello incidentale che quello principale mentre le spese del grado devono essere interamente compensate tra le parti in ragione della soccombenza reciproca. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, così provvede: - respinge l'appello incidentale; - respinge l'appello principale; - compensa le spese del grado tra le parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Gerardo Mastrandrea - Presidente Francesco Gambato Spisani - Consigliere Silvia Martino - Consigliere Luca Monteferrante - Consigliere, Estensore Ofelia Fratamico - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SECONDA SEZIONE CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: LORENZO ORILIAPresidente MAURO MOCCIConsigliere MARIO BERTUZZIConsigliere VINCENZO PICAROConsigliere ANTONIO MONDINIConsigliere-Rel. Oggetto: PROPRIETA' Ud.16/04/2024 PU ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 26532/2020 R.G. proposto da: CANGIOTTI SERGIA, domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato MINARDI MIRCO (MNRMRC69T06A271W) -ricorrente- contro CANGIOTTI ANNUNZIATA, domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato MARCELLI GIOVANNI (MRCGNN64S17G479P) -controricorrente- nonchè contro CANGIOTTI CARLO e MENEGAZZO LAURA, elettivamente domiciliati in ROMA VIA ALESSANDRIA 119, presso lo studio dell’avvocato CICCHIELLO FRANCO (CCCFNC41D26H501P) che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato BATTAGLIA FRANCESCO (BTTFNC73R16D488N) -controricorrenti- avverso SENTENZA di CORTE D'APPELLO ANCONA n. 400/2020 depositata il 05/05/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/04/2024 dal Consigliere ANTONIO MONDINI. Udite le conclusioni della Procura Generale, nella persona del dottor TOMMASO BASILE, che ha chiesto rigettarsi il ricorso. FATTI DI CAUSA 1. Con atto di citazione notificato in data 12.06.2008, Cangiotti Annunziata e Cangiotti Sergia convenivano innanzi il Tribunale di Urbino Cangiotti Carlo e Menegazzo Laura, al fine di sentir dichiarare il loro diritto di proprietà esclusiva sulla corte censita nel Catasto fabbricati del Comune di Urbino al Foglio 210, mappale 44 sub 4. A sostegno della domanda, le attrici deducevano che la corte in questione, ancorché catastalmente individuata come bene comune sia ai subalterni 44 sub 1 e 44 sub 2, di loro proprietà, sia ai subalterni 44 sub 6 e 44 sub 7, di proprietà dei convenuti, doveva ritenersi in realtà nella loro esclusiva titolarità, siccome derivante dall’antico mappale 719/6023 del Catasto pontificio, appartenuto ad un loro remoto dante causa e a loro pervenuto all’esito di una serie di trasferimenti compiuti nel corso del tempo, di cui producevano prova documentale. Affermavano, altresì, che l’odierna individuazione della corte come bene comune non censibile (B.C.N.C.), di pertinenza anche dei mappali dei convenuti, era dipesa da un errore dei tecnici che avevano curato il passaggio dal Catasto pontificio al Catasto dello Stato italiano, consistito in particolare nell’aver considerato unitariamente il mappale 44, benché frazionato in più subalterni, non tutti in realtà derivanti dal mappale 719/6023. I convenuti, nel resistere alla domanda, deducevano che il subalterno 44 sub 4 aveva da sempre costituito corte comune ai subalterni 44 sub 1, 44 sub 2, 44 sub 6 e 44 sub 7, ed affermavano quindi di esserne comproprietari con le attrici, vuoi per acquisto a titolo derivativo, vuoi per usucapione. A tali deduzioni replicavano le Cangiotti, eccependo in particolare la tardività dell’eccezione riconvenzionale di usucapione, siccome sollevata con comparsa di risposta tardivamente depositata, oltre il termine di venti giorni dalla prima udienza di comparizione. Il Tribunale di Urbino, istruita la causa mediante prova per testi e consulenza tecnica di ufficio, accoglieva la domanda attorea, ritenendo provata la proprietà esclusiva delle attrici in forza dei titoli versati in atti e delle convergenti conclusioni della CTU; il primo giudice riteneva invece non provato il possesso ultraventennale della corte da parte dei convenuti, in relazione alla genericità delle dichiarazioni rese sul punto dai testi escussi, che si erano limitati a dare atto dell’utilizzo dell’area come parcheggio. 2. Sul gravame di Cangiotti Carlo e Menegazzo Laura, e nella resistenza di Cangiotti Annunziata e Cangiotti Sergia, la Corte d’Appello di Ancona, con sentenza n. 400/2020, riformava integralmente la pronuncia del Tribunale, rigettando la domanda formulata dalle originarie attrici. In particolare, la Corte distrettuale riteneva infondata l’eccezione di tardività della costituzione in primo grado dei convenuti, sul presupposto che il termine dei venti giorni antecedenti l’udienza di prima comparizione, fissata per il 7 novembre 2008, era scaduto domenica 19 ottobre, e doveva intendersi dunque prorogato a lunedì 20 ottobre, quale primo giorno non festivo successivo alla scadenza, data in cui i Cangiotti e Menegazzo avevano depositato la comparsa di risposta, con conseguente tempestività dell’eccezione riconvenzionale di usucapione ivi sollevata. Nel merito, il giudice di seconde cure osservava che: (a) gli appellanti, oltre al possesso ad usucapionem ultraventennale, avevano fatto valere anche un titolo di proprietà del 1959, con cui il loro dante causa aveva acquistato il subalterno 44 sub 3 (che poi sarebbe stato frazionato negli attuali subalterni 44 sub 6 e 44 sub 7) comprensivo delle adiacenze, pertinenze, diritti, azioni, ragioni, usi e servitù fino ad allora praticati; ampia formulazione, questa, ritenuta idonea a trasmettere anche la titolarità dell’area in contestazione, catastalmente individuata come bene comune non censibile; (b) tra il 1914 e il 1926, squadre specialistiche di cartografi avevano ricostruito ex novo tutte le mappe catastali, previa assunzione di informazioni direttamente presso gli interessati; d’altra parte, nessuno della famiglia Cangiotti risultava aver proposto reclamo, dopo la pubblicazione delle nuove mappe, nel termine all’uopo concesso; (c) le risultanze della CTU avevano sconfessato le deduzioni attoree circa la provenienza del subalterno 44 sub 4, poiché dagli accertamenti peritali era emerso che nel Catasto pontificio esso risultava indicato come mappale 719/6023 proveniente dal mappale 719, privo di attinenza con l’attuale foglio 210 mappale 44, che rappresenta la parte comune del fabbricato. Era peraltro prassi dei tecnici del Catasto attribuire lo scoperto al sub 1 (di proprietà delle appellate), per una mera semplificazione nella realizzazione dei disegni; (d)vi era discordanza e discontinuità tra la mappa d’impianto del Catasto italiano e le mappe del Catasto pontificio; (e) era impossibile ricostruire la vicenda della corte in contestazione in termini di proprietà esclusiva delle appellate sulla base degli atti da loro allegati, precedenti al passaggio dal Catasto pontificio a quello italiano; (f) di contro, le risultanze documentali e catastali, unitamente a quelle testimoniali sul possesso comunque esercitato dagli appellanti, deponevano per la sussistenza del diritto di comproprietà di questi ultimi sull’area oggetto di causa. 3. Per la cassazione di detta decisione ha proposto ricorso Cangiotti Sergia, affidandosi a tre motivi. 4. Cangiotti Carlo e Menegazzi Laura hanno resistito con controricorso. 5. Cangiotti Annunziata si è associata al ricorso principale, concludendo per il relativo accoglimento. 6. Con il primo motivo di ricorso Cangiotti Sergia deduce “nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione degli artt. 166 e 167 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4) c.p.c.”: afferma che il giudice di seconde cure avrebbe errato a considerare tempestiva l’eccezione riconvenzionale di usucapione sollevata dai convenuti nella comparsa di risposta depositata 18 giorni prima dell’udienza di prima comparizione delle parti; osserva che la scadenza in un giorno festivo del termine ex art. 166 cod. proc. civ., trattandosi di termine “a ritroso”, avrebbe dovuto comportarne la proroga al primo giorno non festivo antecedente, non a quello successivo. 7. Il secondo motivo è così rubricato: “nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4) c.p.c. Omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione, in relazione all’art. 360 n. 5) c.p.c.”. La ricorrente si duole che la sentenza impugnata sarebbe solo apparentemente motivata quanto all’affermazione dell’esercizio del possesso sull’area in contestazione da parte degli originari convenuti; sostiene, altresì, che il giudice di merito avrebbe omesso di considerare che i Cangiotti e Menegazzo si erano limitati a sostenere di aver usato l’area come parcheggio; attività comunque inidonea a comportare l’acquisto della proprietà per usucapione. 8. Il terzo, articolato, motivo è così rubricato: “nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione dell’art. 132 n. 4 e 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4) c.p.c. e violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3) c.p.c.”. La ricorrente censura la decisione impugnata nella parte in cui, per un verso, non ha ritenuto provata la titolarità esclusiva della corte in capo alle originarie attrici; per altro verso, ne ha ritenuto provata la comproprietà con gli appellanti sulla scorta dei titoli versati in atti: lamenta, in proposito, che la Corte d’Appello avrebbe erroneamente interpretato e travisato il titolo del 1959 prodotto dai convenuti, poiché esso aveva avuto ad oggetto i soli mappali 44 sub 2 e 44 sub 3 (quest’ultimo poi frazionato nei subalterni 44 sub 6 e 44 sub 7), e non anche il mappale 44 sub 4 relativo alla corte in contestazione; sostiene che la mancata proposizione di opposizioni da parte dei membri della famiglia Cangiotti alle nuove mappe, realizzate dai tecnici del Catasto italiano tra il 1914 e 1926, non avrebbe in alcun modo potuto conferire ai danti causa dei convenuti un titolo di proprietà che costoro non avevano, mentre del tutto irrilevante sarebbe stata la prassi di assegnare lo scoperto al sub 1, in quanto le attrici avevano sottoposto all’attenzione del giudice di merito i titoli di proprietà tramite cui poter risalire all’effettiva situazione dominicale della corte, attraverso i passaggi descritti e confermati anche nella CTU. Quanto, poi, all’affermazione secondo cui sarebbe stato impossibile ricostruire le vicende traslative dell’area in questione nel passaggio dal Catasto pontificio a quello italiano, in ragione della discordanza tra le rispettive risultanze, la Cangiotti denuncia la mera apparenza e contraddittorietà della motivazione, alla luce dell’accertata provenienza dell’attuale subalterno 44 sub 4 dal mappale 719/6023 del vecchio catasto Pontificio. 9. In esito all’adunanza camerale del 12 dicembre 2023, la causa è stata rimessa alla pubblica udienza per il profilo di rilevanza nomofilattica relativo alla operatività delle preclusioni processuali in un caso come quello in esame in cui parte convenuta abbia eccepito tardivamente l'acquisto per usucapione della proprietà dell'area rivendicata dalla controparte, in quanto la proprietà e gli altri diritti reali di godimento appartengono alla categoria dei cosiddetti diritti autodeterminati, che si identificano in base alla sola indicazione del loro contenuto e non per il titolo che ne costituisce la fonte, la cui eventuale deduzione non assolve ad una funzione di specificazione della domanda o dell'eccezione, ma è necessaria ai soli fini della prova. 10. La Procura Generale ha chiesto rigettarsi il ricorso. 11. La ricorrente Cangiotti Sergia ha depositato memoria. 12. Cangiotti Carlo e Menegazzi Laura hanno depositato memoria RAGIONI DELLA DECISIONE 1.In relazione al primo motivo di ricorso va innanzi tutto osservato che il giudice di seconde cure è incorso in errore laddove ha dichiarato la costituzione del convenuto tempestiva. Non ha tenuto conto del fatto che il termine di costituzione del convenuto, ai sensi dell’art. 166 cod. proc. civ. applicabile ratione temporis (secondo cui, come è noto, la comparsa di risposta deve essere depositata “almeno venti giorni prima dell’udienza di comparizione”), si computa “a ritroso”, come tutti i termini contraddistinti dall’assegnazione di un intervallo di tempo minimo prima del quale deve essere compiuta una determinata attività. Questa Corte ha costantemente affermato che i commi 4 e 5 dell’art. 155 cod. proc. civ., diretti a prorogare al primo giorno non festivo il termine che scada, rispettivamente, in un giorno festivo o nella giornata di sabato, si applicano anche ai termini “a ritroso”, dovendosi tuttavia correlare l’operatività di siffatto meccanismo alle caratteristiche proprie di tale tipologia di termine, con la conseguente individuazione del dies ad quem nel giorno non festivo cronologicamente precedente rispetto a quello di scadenza, in quanto, altrimenti, si produrrebbe l'effetto contrario di una abbreviazione dell'intervallo, in pregiudizio per le esigenze garantite dalla previsione del termine medesimo (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 182 del 04/01/2011, Rv. 616375; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14767 del 30/06/2014, Rv. 631570; Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 21335 del 14/09/2017, Rv. 645702; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8496 del 24/03/2023, Rv. 667109). Nel caso in esame, l’udienza di prima comparizione era fissata per il giorno 7 novembre 2008, il termine di venti giorni, a ritroso, è scaduto in data 18 ottobre 2008 e non in data 19 ottobre come affermato dalla Corte d’Appello (infatti, il giorno dell’udienza costituisce il dies a quo, che notoriamente non computatur in termino ai sensi dell’art. 155, primo comma, cod. proc. civ.). Il 18 ottobre 2008 cadeva nella giornata di sabato e, ai sensi del quinto comma dell’art. 155 cod. proc. civ., il dies ad quem è stato prorogato al primo giorno non festivo antecedente, cioè a venerdì 17 ottobre 2008. Si rileva ad abundantiam che, anche collocando la scadenza nella giornata di domenica 19 ottobre 2008 (come ha erroneamente fatto il giudice di merito), facendo corretta applicazione dei suindicati principi avrebbe comunque dovuto farsi luogo alla proroga del termine “a ritroso” a venerdì 17 ottobre 2008. Ne consegue la tardività della comparsa di risposta dei convenuti Cangiotti e Menegazzo, depositata solamente in data 20 ottobre 2008. 2. Riguardo al se alla tardività della costituzione di parte convenuta consegua o meno l’inammissibilità dell’eccezione riconvenzionale di usucapione sollevata con la comparsa di costituzione, il Collegio - premesso il rilievo per cui la questione può concretamente porsi solo nell’ipotesi rara in cui le circostanze integrative del possesso ad usucapionem siano state già acquisite al processo per tempo (evidentemente ad opera di parte diversa dal convenuto), altrimenti l’eccezione resta preclusa dall’essere correlata a fatti non più allegabili (v. in tema Cass.27405/2018)- ritiene il Collegio doversi rispondere in senso negativo: costituisce principio generale, enucleato da Cass. Sez. U, 03/06/2015, n. 11377, l’affermazione per cui "tutti i fatti estintivi, modificativi od impeditivi, siano essi fatti semplici oppure fatti- diritti che potrebbero essere oggetto di accertamento in un autonomo giudizio, sono rilevabili d'ufficio, e dunque rappresentano eccezioni in senso lato; l'ambito della rilevabilità a istanza di parte (eccezioni in senso stretto) è confinato ai casi specificamente previsti dalla legge o a quelli in cui l'effetto estintivo, impeditivo o modificativo si ricollega all'esercizio di un diritto potestativo oppure si coordina con una fattispecie che potrebbe dar luogo all'esercizio di un'autonoma azione costitutiva"; l’eccezione di usucapione è un’eccezione in senso stretto soggetta al termine fissato per la proposizione di tali eccezioni (v., tra molte, Cass. Sez. 2, n.25107/2023; Cass. Sez. 2, n.27246/2023, in motivazione, Cass. Sez. 2, 27/08/2019, n. 21716; Cass. Sez. 2, 19/05/2015, n. 10206 e Cass. 30/06/2017, n.16279 relative alla disciplina anteriore alla riforma introdotta dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito dalla legge 14 maggio 2005, n. 80; Cass. Sez. 6- 2, 4 marzo 2020, n. 6009; Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 18322 del 27/06/2023, Rv. 668272); si applica, infatti, in forza del rinvio dell'art. 1165 c.c. alle norme sulla prescrizione in generale, l’art. 2938 c.c. che stabilisce la non rilevabilità d’ufficio della prescrizione non opposta. In questo senso la Corte si è già espressa è più volte espressa (v., tra altre, Cass. Sez. 2, 22/07/2002, n. 10685; Cass. 13107/2010). La Corte ha altresì ritenuto che tra le norme richiamate dall’art. 1165 c.c. vi sia anche l’art. 2937 c.c. che prevede la rinuncia alla prescrizione (v. Cass. Sez. 2 - , Sentenza n. 1363 del 19/01/2018 ; Cass. 17321 del 31/08/2015; Cass. 2616/1970; Cass. Sez. 1, Sentenza n.4945 del 28/05/1996) e come è stato notato dalla dottrina assolutamente prevalente espressasi pur essa per l’applicazione dell’art. 2938 c.c. all’usucapione, la non rilevabilità d’ufficio è coerente con il fatto che la parte che può far valere l’usucapione può anche rinunciarvi in forza dell’art. 2937 c.c. 3. Alla luce delle considerazioni che precedono, il primo motivo di ricorso deve essere accolto. 4. L’esame della censura veicolata con il secondo motivo è assorbito in conseguenza dell’accoglimento del primo motivo. 5. Il terzo, articolato, motivo è fondato. 5.1. Il Collegio ritiene dirimente l’esame delle argomentazioni in base alle quali il giudice di merito ha affermato l’impossibilità di ricostruire le vicende della corte oggetto di giudizio nel passaggio dal Catasto pontificio a quello italiano. Nello specifico, la Corte distrettuale ha ritenuto inconsistenti le deduzioni delle Cangiotti sulle origini del subalterno 44 sub 4 (che costoro sostenevano annesso al mappale 721 del vecchio Catasto pontificio, appartenente ad un loro dante causa), poiché, come si legge a pagina 6 della sentenza, ove si rinvia alla consulenza tecnica d’ufficio, “l’attuale particella 44 sub 4 (area oggetto di causa), era indicata sulle Mappe del Catasto Pontificio al numero 719/6023 e proveniva dalla particella 719 che non ha alcuna attinenza con il Foglio 210 mappale 44 che rappresenta la parte comune del fabbricato”. Orbene, in tale passaggio della motivazione si ravvisa un irriducibile contrasto logico, in quanto il giudice di merito afferma che l’attuale subalterno 44 sub 4 (cioè la corte di cui si discute) proviene dalla particella 719/6023 del Catasto pontificio, a sua volta derivante dalla particella 719, che non ha nulla a che vedere con il subalterno 44 sub 4 (che però è proprio l’area di cui si discute). Per dare un senso al periodo, deve necessariamente concludersi che la particella 719/6023 delle mappe pontificie individua la corte oggi censita come subalterno 44 sub 4, mentre la particella 719 individua tutt’altro bene, e che sia solo quest’ultima a non aver alcuna attinenza con il Foglio 210 mappale 44. Se così è, allora il passaggio in commento si risolve in una non motivazione, poiché, una volta individuata la provenienza della corte (particella 719/6023), è su quest’ultima che la Corte d’Appello avrebbe dovuto concentrare la propria attenzione al fine di ricostruire l’attuale regime dominicale dello scoperto, e non sulla particella 719, che per stessa ammissione del giudice di merito non ha nulla a che vedere con l’area oggetto di causa. In particolare, al fine di verificare l’esattezza di quanto sostenuto dalle appellate (cioè, che la corte in questione era loro pervenuta tramite un proprio remoto dante causa che ne era titolare esclusivo, essendo peraltro connessa alla particella 721, parimenti di un loro dante causa), il giudice di merito avrebbe dovuto procedere all’esame dei titoli di provenienza prodotti dalle Cangiotti. L’affermazione secondo cui sarebbe risultato impossibile “ricostruire la vicenda relativa alla corte oggetto di controversia in termini di proprietà esclusiva a favore delle sorelle Cangiotti Sergia e Annunziata sulla base degli atti da loro allegati, precedenti al passaggio dal Catasto Pontificio al Catasto dello Stato Italiano (1879/1919)” (così a pag. 7 della sentenza impugnata), appare invero apodittica in assenza di riferimenti alle risultanze dei titoli di proprietà prodotti dalle appellate, e si risolve in una motivazione affetta da mera apparenza, che peraltro contraddice apertamente quanto poco prima affermato dalla Corte d’Appello in ordine alla riconducibilità del subalterno 44 sub 4 dell’odierno Catasto italiano al mappale 719/6023 del vecchio Catasto pontificio. Una volta infatti accertato quale fosse il mappale che individuava lo scoperto nel Catasto pontificio, e qual è oggi il subalterno che lo individua nel Catasto italiano, in assenza di ulteriori chiarimenti (che il giudice di merito non rende) non è dato comprendere in cosa consista l’impossibilità di ricostruirne le vicende dominicali e traslative nel passaggio dal primo al secondo sistema. D’altra parte, tale impossibilità non può ritenersi derivare dalla mera “discordanza e discontinuità tra la Mappa d’Impianto del Catasto italiano e la Mappa del vecchio Catasto Pontificio” (così, ancora, a pag. 7 della sentenza), la quale piuttosto costituisce il presupposto di fatto della controversia in essere tra le parti, alla cui soluzione il giudice di merito avrebbe dovuto pervenire tramite l’esame dei titoli versati in atti, anteriori e successi al passaggio dal vecchio al nuovo Catasto. 3.3. Alla luce delle considerazioni che precedono, deve concludersi che la motivazione della sentenza impugnata non risulta rispettosa del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., in quanto non consente alcun controllo sull'esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio (Cass., Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 13248 del 30/06/2020, Rv. 658088; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022, Rv. 664120). Si impone dunque l’accoglimento del motivo in esame, con assorbimento degli ulteriori profili della censura articolati dalla ricorrente. 4. Ne consegue la cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte di Appello di Ancona, in diversa composizione, che provvederà, altresì, alla disciplina delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il primo e il terzo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Ancona, in diversa composizione, per un nuovo esame del merito, nonché per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile in data 16/04/2024 IL CONSIGLIERE EST. IL PRESIDENTE Antonio Mondini Lorenzo Orilia

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7894 del 2023, proposto da Comune di Foggia, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato An. Pa., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia; contro Fr. Vi. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato In. Ca., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Sezione Terza n. 1053/2023; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dei signori Fr. Vi. ed altri; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2024 il consigliere Paolo Marotta e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Viste le conclusioni delle parti. FATTO e DIRITTO 1. Il Comune di Foggia ha impugnato la sentenza indicata in epigrafe, con la quale il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sez. III, ha accolto il ricorso di primo grado, proposto dai signori Vi. Fr. ed altri per l'accertamento dell'illegittimità del silenzio inadempimento formatosi per effetto della inerzia del predetto Comune sull'istanza/diffida, inviata a mezzo pec il 3 novembre 2022, al fine di ottenere l'adozione di un provvedimento di acquisizione ex art. 42 - bis d.P.R. n. 327/2001 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità ) in ordine ad un'area di proprietà dei ricorrenti o, in alternativa, la sua restituzione previo ripristino dello status quo ante ovvero la sua acquisizione mediante atto transattivo. 2. Il giudice di primo grado, nell'accogliere il ricorso, ha dichiarato l'illegittimità del silenzio inadempimento, con condanna dell'amministrazione comunale intimata a provvedere sulla istanza - diffida dei ricorrenti con provvedimento espresso entro 90 (novanta) giorni dalla notifica o comunicazione in via amministrativa della sentenza; ha nominato, per l'ipotesi di persistente inadempimento del Comune, quale Commissario ad acta, il Prefetto di Foggia o suo delegato (che dovrà provvedere nel termine di 90 giorni su istanza di parte); ha condannato il Comune di Foggia alla rifusione delle spese di causa in favore delle parti ricorrenti, liquidate in Euro 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge, e al rimborso del contributo unificato, ponendo a carico del Comune stesso anche l'eventuale compenso spettante al Commissario ad acta, da liquidarsi con separato provvedimento. 3. Il Comune di Foggia premette quanto segue. 3.1. Con ricorso proposto ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a. davanti al T.a.r. Puglia, i signori Fr. Vi. ed altri, in proprio e nella qualità di eredi del signor Vi. An., hanno chiesto "l'accertamento dell'illegittimità del silenzio serbato dal Comune di Foggia sull'istanza/diffida, inviata a mezzo pec il 3.11.2022, tendente ad ottenere l'adozione di un provvedimento di acquisizione ex art. 42bis TU Espr. dell'area dei ricorrenti o, in alternativa, la sua restituzione previo ripristino dello status quo ante ovvero la sua acquisizione mediante atto transattivo. In ogni caso con risarcimento dei danni e indennizzi tutti come per legge e la condanna della predetta Amministrazione a concludere il procedimento con l'azione di un provvedimento espresso e la nomina di un commissario ad acta". 3.1. I ricorrenti evidenziavano che, con decreto del Ministro dei lavori pubblici n. 1975 del 27 aprile 1965, era stato approvato il piano di zona n. (omissis), predisposto dal Comune di Foggia in attuazione di un programma di edilizia economica e popolare, ai sensi della l. n. 167/1962, che prevedeva, tra l'altro, la sistemazione a verde pubblico di un'area, previa espropriazione di alcuni terreni, tra cui quello censito al catasto al foglio (omissis) - p.lla (omissis), appartenente al signor Vi. An.. 3.2. Con successivo decreto n. 193 del 28 settembre 1972, il Presidente della Giunta Regionale della Puglia aveva autorizzato il Comune di Foggia ad occupare d'urgenza gli immobili necessari per l'esecuzione del piano di zona e, in data 16 novembre 1972, il predetto Comune aveva proceduto alla immissione in possesso del terreno sopra indicato; il Comune di Foggia aveva poi proceduto alla trasformazione del fondo occupato, con la realizzazione di un campo sportivo e di alcune opere complementari. 3.2. Il decreto del Ministro dei lavori pubblici n. 1975/1965, di approvazione del piano di zona ex l. 167/1962 "Ofanto Sud" adottato dall'Ente Comunale, recava dichiarazione di pubblica utilità dell'opera per la durata di anni 18 (e quindi fino al 27 aprile 1983); entro il predetto termine, il Comune di Foggia non aveva proceduto alla emissione del relativo decreto di esproprio, con la conseguenza che doveva considerarsi occupante sine titulo a far data dal 16 novembre 1977 (data di scadenza dell'occupazione d'urgenza); nonostante la messa in mora del 20 -30 novembre 1999, il Comune di Foggia non aveva provveduto all'acquisizione del terreno. 3.3. Con atto di citazione notificato il 22 dicembre 2004, i signori Vi. avevano adito il Tribunale di Foggia per sentire dichiarare l'illegittimità dell'occupazione del terreno in questione da parte del predetto Comune e ottenere la restituzione del bene o, in via subordinata, la condanna del Comune all'acquisizione dell'area e (in ogni caso) la condanna al risarcimento dei danni per l'occupazione illegittima. 3.4. Con sentenza n. 1014/2008, il Tribunale di Foggia aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario. 3.5. Con atto di messa in mora, notificato il 6 giugno 2018, i signori Vi. avevano invitato nuovamente il Comune di Foggia ad esprimere le proprie determinazioni in ordine alla all'acquisizione del terreno. 3.6. Da ultimo, con nota inviata via pec del 2 novembre 2022, i signori Vi. avevano diffidato il Comune di Foggia a provvedere, entro e non oltre 30 (trenta) giorni, all'adozione di un provvedimento di acquisizione sanante, ai sensi dell'art. 42 bis del d.P.R. n. 327/2001 o, in alternativa, ad acquisire l'area mediante atto transattivo ovvero a restituirla previo ripristino dello status quo ante, con risarcimento dei danni e/o degli indennizzi spettanti per legge; il Comune, tuttavia, non aveva emesso alcun provvedimento, continuando ad occupare sine titulo il terreno di proprietà degli odierni appellanti. 3.7. I signori Vi. avevano quindi proposto ricorso davanti al T.a.r. Puglia per l'accertamento della illegittimità del silenzio - inadempimento. 3.8. Nel costituirsi in giudizio, il Comune di Foggia aveva eccepito l'inammissibilità del ricorso proposto con il rito del silenzio - inadempimento, venendo in rilievo (a suo giudizio) la lesione di posizioni giuridiche soggettive aventi natura e consistenza di diritto soggettivo, rispetto alle quali il rito del silenzio inadempimento è inammissibile. 3.8.1. Il Comune di Foggia aveva evidenziato inoltre che, con delibera n. 61 del 21 luglio 2020, il Consiglio comunale aveva approvato il progetto definitivo dell'intervento "Concessione della progettazione definitiva, esecutiva, costruzione e gestione economica funzionale dell'intervento in project financing della ristrutturazione dell'impianto sportivo S. Pa. in Foggia via (omissis)", localizzato sull'area in questione e che tale approvazione costituiva dichiarazione implicita di pubblica utilità (ai sensi dell'art. 12, comma 1, lett. a, del d.P.R. n. 327/2001); aveva quindi sostenuto che il termine entro il quale poteva essere emanato il decreto di esproprio doveva essere individuato, ai sensi dell'art. 13, comma 4, del d.P.R. n. 327/2001, alla scadenza del quinto anno "decorrente dalla data in cui diventa efficace l'atto che dichiara la pubblica utilità dell'opera"; aveva quindi evidenziato l'insussistenza dei presupposti sostanziali per la emanazione di un provvedimento di acquisizione sanante. 3.8.2. Aveva eccepito, infine, l'intervenuta prescrizione quinquennale di ogni risarcimento e/o indennizzo per il periodo di occupazione illegittima dell'area per il periodo anteriore al quinquennio rispetto alla diffida del 2 novembre 2022. 3.9. Con sentenza n. 1053/2023, il T.a.r. Puglia ha accolto il ricorso nei termini sopra indicati, stabilendo l'obbligo della amministrazione comunale intimata di restituire l'area o di acquisirla ai sensi dell'art. 42 bis del d.P.R. n. 327/2001, ritenendo infondata l'eccezione di prescrizione sia per la natura permanente dell'occupazione illegittima, sia in relazione ai diversi atti interruttivi medio tempore intervenuti. 4. Tanto premesso il Comune di Foggia ha contestato la sentenza impugnata con quattro articolati motivi che, nel prosieguo del presente provvedimento, saranno oggetto di specifico esame. 5. Si sono costituiti in giudizio gli appellati, contestando le deduzioni di parte appellante e chiedendo la conferma della sentenza impugnata. 6. Alla camera di consiglio dell'11 gennaio 2024 il ricorso è stato trattenuto in decisione. 7. Con il primo motivo il Comune di Foggia deduce: errores in iudicando; errori di fatto; travisamento; contraddittorietà della motivazione: illogicità e ingiustizia manifesta; eccesso di potere per erronea presupposizione; violazione e falsa applicazione dell'art. 34, comma 2, c.p.a. e dell'art. 97, commi 2 e 3, Cost.; violazione ed erronea applicazione dell'art. 39 c.p.a. e dell'art. 112 c.p.c.; violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato; vizio di extrapetizione. 7.2. Secondo la prospettazione dell'amministrazione appellante, il giudice di primo grado avrebbe errato nel ritenere che la delibera C.C. n. 61 del 21 luglio 2020 sia inconferente e priva di rilevanza sotto il profilo del decorso del termine entro il quale avrebbe dovuto essere emanato il decreto di esproprio della particella in questione "essendo intervenuta ad opera già realizzata abusivamente dal Comune stesso, senza aver provveduto alle espropriazioni" e che "anzi tale delibera conferma che la trasformazione sia avvenuta sine titulo e che il Comune continui ad utilizzare abusivamente le opere realizzate". A giudizio dell'appellante, la sentenza impugnata si porrebbe in contrasto con quanto disposto dall'art. 34 c.p.a. nella parte in cui stabilisce che "In nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati. Salvo quanto previsto dal comma 3 e dall'articolo 30, comma 3, il giudice non può conoscere della legittimità degli atti che il ricorrente avrebbe dovuto impugnare con l'azione di annullamento di cui all'articolo 29" nonché con il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Secondo la tesi dell'appellante, il giudice di primo grado avrebbe sostanzialmente affermato l'illegittimità della delibera di approvazione del progetto dell'opera pubblica, costituente dichiarazione (implicita) di pubblica utilità, sebbene tale atto non sia stato mai impugnato, inibendo così al Comune di adottare un decreto di esproprio che consenta all'ente il legittimo acquisto della proprietà dei beni per cui è causa. 7.3. Con il secondo motivo di appello, il Comune di Foggia deduce: errores in iudicando; errori di fatto; travisamento; contraddittorietà della motivazione; illogicità e ingiustizia manifesta; eccesso di potere per erronea presupposizione; violazione e falsa applicazione dell'art. 31 c.p.a.; difetto di giurisdizione; difetto di legittimazione ad agire; violazione e falsa applicazione dell'art. 42 - bis T.U. espropri; violazione e falsa applicazione dell'art. 12, comma 1, lett. a), del d.P.R. n. 327/2001. Nel respingere l'eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio, in relazione alla natura della posizione giuridica azionata, il giudice di primo grado sarebbe incorso in errore. L'amministrazione comunale appellante evidenzia che, secondo un costante orientamento giurisprudenziale, il rito del silenzio non costituisce un rimedio di carattere generale, esperibile in tutte le ipotesi di comportamento inerte della pubblica amministrazione, costituendo un istituto processuale azionabile solo rispetto a potestà pubblicistiche in relazione alle quali vengono in rilievo posizione giuridiche soggettive aventi natura e consistenza di interesse legittimo. Ribadisce che l'intervenuta approvazione di un progetto di opera pubblica sui suoli, costituente dichiarazione implicita di pubblica utilità delle opere, in quanto idonea a determinare anch'essa l'acquisto ex nunc della titolarità dei beni, sarebbe preclusiva della favorevole delibazione della istanza di acquisizione sanante, con conseguente inammissibilità dell'azione proposta avverso il relativo silenzio. 7.4. Le doglianze formulate dal Comune di Foggia nel primo e nel secondo motivo di appello possono essere esaminate congiuntamente, attenendo a profili connessi; esse sono infondate. 7.4.1. L'occupazione sine titulo di beni immobili appartenenti a privati è una situazione di fatto del tutto contrastante con quella di diritto e l'amministrazione deve tempestivamente adoperarsi per ripristinare una situazione di legalità . 7.4.2. Questa Sezione ha da tempo affermato che, a fronte di occupazioni sine titulo, il privato può legittimamente domandare l'emissione del provvedimento di acquisizione sanante o, in difetto, la restituzione del fondo con la sua riduzione in pristino. Nell'attuale quadro normativo, le amministrazioni hanno infatti l'obbligo giuridico di far venir meno, in ogni caso, l'occupazione "sine titulo" e, quindi, di adeguare comunque la situazione di fatto a quella di diritto. Nei casi di occupazione abusiva di terreni privati, l'amministrazione ha due sole alternative: restituire i terreni ai titolari, con, sussistendone i presupposti, risarcimento del danno in forma specifica e per equivalente oppure attivarsi perché vi sia un legittimo titolo di acquisizione dell'area abusivamente occupata. Ciò che le amministrazioni non possono fare è restare inerti in situazioni di illecito permanente determinate da occupazioni abusive (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 26 marzo 2013, n. 1713; in senso conforme, sez. IV, 15 settembre 2014 n. 4696). 7.4.3. Fermo restando quindi il carattere discrezionale della valutazione rimessa alla amministrazione sulla possibilità di procedere ai sensi dell'art. 42 - bis del d.P.R. n. 327/2001, non v'è dubbio che l'esercizio di tale potestà non possa protrarsi indefinitamente nel tempo, altrimenti l'inerzia dell'amministrazione si tradurrebbe in un illecito permanente; ancorché l'art. 42 - bis del d.P.R. n. 327/2001 non contempli un avvio del procedimento ad istanza di parte, deve ritenersi che il privato possa sollecitare l'amministrazione ad avviare il relativo procedimento e che l'amministrazione abbia l'obbligo di provvedere al riguardo, essendo l'eventuale inerzia dell'Amministrazione configurabile quale silenzio-inadempimento impugnabile di fronte al giudice amministrativo. Infatti, per la pubblica amministrazione l'obbligo giuridico di provvedere, positivizzato in via generale dall'art. 2 della legge n. 241/1990, sussiste ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un'istanza, ovvero debba essere iniziato d'ufficio, derivandone che il silenzio-rifiuto è un istituto riconducibile ad un'inadempienza dell'amministrazione, in rapporto a un sussistente obbligo di provvedere che, in ogni caso, deve corrispondere ad una situazione giuridica soggettiva protetta e qualificata come tale dall'ordinamento giuridico. Peraltro, la giurisprudenza ha chiarito che tale obbligo è rinvenibile anche al di là di un'espressa disposizione normativa che tipizzi il potere del privato di presentare un'istanza e, dunque, anche in tutte quelle fattispecie particolari nelle quali dall'analisi complessiva delle norme di regolazione del potere emergano ragioni di giustizia e di equità che impongano l'adozione di un provvedimento (sez. IV, 15 settembre 2014 n. 4696). E' bene aggiungere che quella in esame, rispetto al modello generale del silenzio inadempimento di cui all'art. 2 della legge n. 241 del 1990, è una fattispecie peculiare in quanto non viene in rilievo un procedimento ad iniziativa di parte caratterizzato da un obbligo dell'amministrazione di adottare un provvedimento favorevole al privato, ma di un procedimento ad iniziativa d'ufficio, attivabile anche su istanza del privato, finalizzato all'adozione di un provvedimento (astrattamente) sfavorevole per il privato stesso. 7.4.4. Diversamente da quanto prospettato dall'amministrazione appellante, il giudice di primo grado non si è espresso sulla legittimità della deliberazione consiliare del 21 luglio 2020 n. 61 e quindi non ha esercitato poteri giurisdizionali al di fuori del perimetro delineato dall'art. 34 c.p.a., ma ha evidenziato correttamente l'irrilevanza della predetta deliberazione rispetto alla occupazione illegittima già consumata. Diversamente opinando l'amministrazione potrebbe sottrarsi all'applicazione del provvedimento di acquisizione sanante, approvando un progetto di opera pubblica comportante dichiarazione di pubblica utilità anche oltre la scadenza del termine previsto per l'emanazione del decreto di esproprio. La tesi sostenuta dal Comune di Foggia determinerebbe una evidente elusione dell'applicazione dell'istituto di acquisizione sanante di cui all'art. 42 - bis del d.P.R. n. 327/2001 e consentirebbe alle amministrazioni che hanno posto in essere occupazioni illegittime di sottrarsi agevolmente alle conseguenze che l'ordinamento giuridico prevede per le occupazioni sine titulo. 8. Con il terzo motivo di appello, il Comune di Foggia deduce: errores in iudicando; erroneo rigetto dell'eccezione di prescrizione; violazione dei principi e delle norme in materia di illecito permanente e di prescrizione; violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2935 e 2947 c.c.; contraddittorietà della motivazione; travisamento; illogicità e ingiustizia manifesta. 8.1. Il Comune di Foggia fa rilevare che il giudice di primo grado ha respinto l'eccezione di prescrizione quinquennale del risarcimento dei danni/indennizzi derivanti dalla illegittima occupazione dei beni immobili per cui è causa sollevata dal Comune di Foggia, evidenziando che "La natura permanente dell'illecito conseguente all'occupazione illegittima impedisce, quindi, il maturarsi della prescrizione del diritto al risarcimento del danno da parte del proprietario in assenza di una traslazione della proprietà in capo all'ente pubblico (cfr. sul punto questo T.A.R., Sez. Unite, 23/02/2023, n. 362). Per l'effetto, il termine di prescrizione dell'azione risarcitoria, di cui all'art. 2947 c.c. può decorrere solo dalla data di cessazione dell'illecito". L'amministrazione appellante fa rilevare che il giudice di primo grado ha erroneamente interpretato i principi enunciati dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato in materia di occupazione illegittima, confondendo il diritto alla restituzione del fondo, che è imprescrittibile, con il diverso diritto al risarcimento dei danni/indennizzi dovuti per l'illegittima occupazione, il cui dies a quo del termine prescrizionale, invece, si rinnova de die in diem. 8.2. Con l'ultimo motivo di gravame, il Comune di Foggia deduce: errores in iudicando et in procedendo; erroneo rigetto dell'eccezione di prescrizione; errori di fatto; omesso esame degli atti; travisamento sviamento; illogicità ed ingiustizia manifesta; illegittimità diretta e derivata; eccesso di potere per erronea presupposizione; violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2935 e 2947 c.c. La sentenza impugnata sarebbe erronea anche nella parte in cui ha rigettato l'eccezione di prescrizione sollevata, affermando che "Ad ogni buon conto, unitamente all'atto introduttivo risultano depositati numerosi atti interruttivi della prescrizione nei confronti del Comune di Foggia". Fa rilevare che con la diffida del 2 novembre 2022, gli odierni appellati chiedevano al Comune "di provvedere, entro e non oltre 30 (trenta) giorni, all'adozione di un provvedimento di acquisizione ex art. 42-bis TU espropriazione o, in alternativa, ad acquisire l'area mediante atto transattivo ovvero a restituirla previo ripristino dello status quo ante. In ogni caso con risarcimento dei danni e indennizzi tutti come per legge"; tale atto sarebbe idoneo ad interrompere la prescrizione solo per il quinquennio precedente, dovendosi così dichiarare la prescrizione per il periodo anteriore al 2 novembre 2017, in mancanza di precedenti atti interruttivi notificati nel corso di tale periodo. Evidenzia che i ricorrenti hanno depositato in giudizio un atto di messa in mora notificato in data 6 giugno 2018, con il quale, tuttavia, il Comune veniva diffidato al solo fine di "manifestare la volontà dell'Ente in ordine all'acquisto del terreno". In tale nota, dunque, non vi era alcun riferimento al risarcimento del danno per l'illegittima occupazione; tale atto non potrebbe avere alcun effetto interruttivo dei termini in ordine all'eccezione di prescrizione sollevata dal Comune. Di conseguenza, in riforma dell'impugnata sentenza, il Comune chiede che venga dichiarata la prescrizione del diritto al risarcimento dei danni/indennizzi per il periodo anteriore al 2 novembre 2017. 8.3. In subordine, nella denegata ipotesi in cui l'atto del 6 giugno 2018 venisse considerato quale valido atto interruttivo, dovrà essere dichiarata, quanto meno, la prescrizione per il periodo antecedente al 22 dicembre 1999, in quanto solo con l'atto di citazione notificato in data 22 dicembre 2004 veniva formulata domanda per il risarcimento dei danni da occupazione illegittima. A giudizio dell'amministrazione appellante, il precedente atto di messa in mora del 20 novembre 1999 non faceva alcun riferimento alla richiesta di risarcimento del danno/indennizzo per l'occupazione illegittima e quindi non avrebbe rilevanza ai fini della interruzione del relativo termine prescrizionale. 8.4 Anche le censure dedotte nel terzo e nel quarto motivo di appello debbono essere esaminate congiuntamente per ragioni di connessione; le conclusioni del giudice di primo grado debbono essere confermate (con parziale diversa motivazione). 8.4.1. Il termine di prescrizione, per il risarcimento del danno derivante dall'occupazione illegittima (divenuta tale a seguito della scadenza del termine dell'occupazione in via d'urgenza), è quinquennale ai sensi dell'art. 2947 c.c., trattandosi di un illecito extracontrattuale commesso dalla pubblica amministrazione (cfr. Consiglio di Giustizia amministrativa Regione Siciliana, 19 agosto 2022 n. 923; sent. n. 255 del 2019). 8.4.2. L'illecito spossessamento del privato da parte della pubblica amministrazione e l'irreversibile trasformazione del suo terreno per la costruzione di un'opera pubblica non danno luogo, anche quando vi sia stata dichiarazione di pubblica utilità, all'acquisto dell'area da parte dell'amministrazione e il privato ha diritto di chiederne la restituzione; il privato, inoltre, ha diritto al risarcimento dei danni per il periodo, non coperto dall'eventuale occupazione legittima, durante il quale ha subito la perdita delle utilità ricavabili dal terreno, e ciò sino al momento della restituzione; ne consegue che la prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento dei danni decorre dalle singole annualità, quanto al danno per la perdita del godimento, e dalla data della domanda, quanto alla reintegrazione per equivalente (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 11 luglio 2016 n. 3065). 8.4.3. Quale che sia la sua forma di manifestazione (vie di fatto, occupazione usurpativa, occupazione acquisitiva), la condotta illecita dell'amministrazione incidente sul diritto di proprietà non può comportare l'acquisizione del fondo e configura un illecito permanente ex art. 2043 c.c. - con la conseguente decorrenza del termine di prescrizione quinquennale dalla proposizione della domanda basata sull'occupazione contra ius, ovvero, dalle singole annualità per quella basata sul mancato godimento del bene - che viene a cessare solo in conseguenza: a) della restituzione del fondo; b) di un accordo transattivo; c) di una compiuta usucapione (a condizione che: I) sia effettivamente configurabile il carattere non violento della condotta; II) si possa individuare il momento esatto della interversio possesionis; III) si faccia decorrere la prescrizione acquisitiva dalla data di entrata in vigore del t.u. espropriazioni, 30 giugno 2003, perché solo l'art. 43 del medesimo t.u. aveva sancito il superamento dell'istituto dell'occupazione acquisitiva e dunque solo da questo momento potrebbe ritenersi individuato, ex art. 2935 c.c., il "giorno in cui il diritto può essere fatto valere"); d) di un provvedimento emanato ex art. 42 bis t.u. espropriazioni - d.P.R. n. 327 del 2001 (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 9 febbraio 2016 n. 2). 8.4.4. Coerentemente con le coordinate ermeneutiche desumibili dalle pronunce giurisprudenziali sopra richiamate, il termine di prescrizione quinquennale per il risarcimento del danno da mancato godimento del bene deve essere fatto decorrere dalle singole annualità . 8.4.5. Ritiene, tuttavia, il Collegio che non possa essere condiviso quanto sostenuto dall'amministrazione comunale appellante, in ordine alla inidoneità, ai fini interruttivi della prescrizione, degli atti (sopra richiamati) posti in essere dai signori Vi.. Secondo un consolidato orientamento della Suprema Corte, ai fini dell'idoneità di un atto ad interrompere la prescrizione, è necessario che lo stesso sia posto in essere in forma scritta e contenga, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato, l'esplicitazione di una pretesa e l'intimazione o la richiesta scritta di adempimento, in modo tale da manifestare inequivocabilmente la volontà dell'autore di far valere il proprio diritto, con l'effetto sostanziale di costituire in mora il destinatario. La valutazione in ordine alla sussistenza dei tali requisiti costituisce un giudizio di fatto, rimesso al giudice di merito e sindacabile in sede di legittimità esclusivamente per vizio di motivazione (cfr. Cass., sez. II, 31 maggio 2021, n. 15140; Cass., sez. lav., 21 novembre 2018, n. 30125; Cass., sez. III, 18 settembre 2007, n. 19359). 8.4.6.1. Orbene, nell'atto del 5-6 giugno 2018, gli odierni appellati diffidavano il Comune di Foggia a "manifestare la volontà dell'Ente in ordine all'acquisto del terreno..., ai termini e alle condizioni già acclarate nella consulenza tecnica d'ufficio avutasi nel corso nel giudizio civile sopra menzionato"; nella predetta relazione del c.t.u., in risposta ad uno specifico quesito del giudice, venivano quantificati i danni da occupazione illegittima del fondo. Quindi non solo con l'atto di citazione davanti al Tribunale di Foggia n. 5959/2004, i signori Vi. avevano agito, tra l'altro, per il risarcimento del danno da occupazione illegittima; ma tale richiesta è contenuta anche nella istanza diffida del 5-6 giugno 2018. 8.4.6.2. Nell'atto di diffida del 20 novembre 1999, i signori Vi., dopo aver evidenziato il protrarsi della occupazione illegittima del fondo di loro proprietà, diffidavano il Comune al rilascio immediato dello stesso, invitandolo formalmente a manifestare la volontà in ordine all'acquisto del predetto terreno, preannunciando (in caso contrario) il ricorso all'autorità giudiziaria per la tutela del diritto leso. Pur in assenza di particolari formule di rito, con la diffida del 20 novembre 1999, gli odierni appellati avevano espressamente rivendicato il diritto alla restituzione del bene illegittimamente occupato, prefigurando azioni giurisdizionali a salvaguardia del diritto di proprietà leso, la cui tutela ricomprende ordinariamente anche il risarcimento del danno da mancato godimento del bene abusivamente occupato. 9. In conclusione, per le ragioni sopra esposte, il ricorso in appello deve essere respinto, in quanto infondato e le conclusioni del giudice di primo grado debbono essere confermate (con parziale diversa motivazione). 10 Le spese del presente grado di giudizio, liquidate nel dispositivo, sono poste a carico della amministrazione appellante, secondo l'ordinario criterio della soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna il Comune di Foggia al pagamento in favore degli appellati delle spese del presente grado di giudizio, liquidate in Euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2024 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Lopilato - Presidente FF Francesco Gambato Spisani - Consigliere Michele Conforti - Consigliere Luigi Furno - Consigliere Paolo Marotta - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2816 del 2022, proposto da Comune di Napoli, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. An. e Br. Cr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Lu. Le. in Roma, via (...); contro Pl. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Pe. e Ma. De Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ma. De Sa. in Roma, viale (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Sesta n. 7625/2021, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Pl. s.r.l.; Viste le memorie delle parti; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 febbraio 2024 il Cons. Annamaria Fasano e uditi per le parti l'avvocato Ca. in dichiarata delega dell'avvocato An. e gli avvocati Cr. e Pe.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. La società Pl. s.r.l. (in seguito anche solo Pl.) ha proposto ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, a seguito di richiesta di trasposizione da parte del Comune di Napoli del ricorso straordinario al Capo dello Stato presentato dalla predetta società . Con riferimento alla vicenda processuale in esame, va premesso in fatto che il Tribunale di Napoli, con la sentenza n. 12802 del 2013, aveva accolto l'azione negatoria intentata dalla società Pl., proprietaria delle vie (omissis) e (omissis), contro il Comune di Napoli - il quale aveva delimitato su tali strade gli stalli di sosta (per autovetture, motocicli e scarico merci) - e, per l'effetto, aveva condannato il Comune 'ad interrompere ogni condotta perpetrata sulla proprietà della società attrice, ripristinando lo stato quo ante', ed a versare, in favore della ricorrente, una somma a titolo di risarcimento del danno. A seguito di tale pronuncia, il Comune di Napoli - Direzione centrale Infrastrutture, Lavori Pubblici e Mobilità - Servizio Mobilità Sostenibile, con ordinanza dirigenziale n. 192 del 5 aprile 2016, aveva disposto la revoca dell'ordinanza sindacale n. 349 dell'8 marzo 2005 relativamente: alla "istituzione delle aree di sosta a pagamento alle Vie (omissis) e (omissis) e più precisamente: n. 205 posti auto regolamentati a pagamento, n. 12 posti auto riservati agli invalidi, n. 6 posti per motocicli e n. 1 area di carico e scarico"; alla previsione della "sosta a titolo gratuito per un solo autoveicolo del nucleo familiare residente"; e alla "istituzione delle aree di sosta a rotazione non riservate ai residenti alla Vie (omissis) e (omissis)". Con la sentenza n. 1928 dell'8 aprile 2019, pronunciata nel giudizio per l'ottemperanza al giudicato formatosi con la sentenza n. 12802 del 2013, il T.A.R. per la Campania dichiarava la cessazione della materia del contendere limitatamente agli obblighi di facere specifico adempiuti dal Comune di Napoli, accogliendo il ricorso relativamente all'obbligo di dare esecuzione alla sentenza ottemperanda nella parte relativa alla condanna al risarcimento del danno. Nonostante ciò, il Comune di Napoli, con ordinanza n. 7 del 9 marzo 2017, disponeva con riferimento alla via (omissis) la realizzazione di n. 95 stalli auto regolamentati a pagamento (strisce blu), n. 16 stalli riservati alla sosta dei motocicli, mentre con riferimento a via (omissis) stalli auto regolamentati a pagamento (strisce blu), n. 1 stallo generico per disabili, n. 5 stalli riservati alla sosta di motocicli, ed un'area riservata al carico e scarico di merci (civ. (omissis)). Con successiva ordinanza dirigenziale n. 5 dell'8.5.2017, l'Ente municipale procedeva ad assegnare la gestione degli stalli di sosta alla società A.N. s.p.a. di cui all'ordinanza n. 7 del 2017. 2. La società Pl. proponeva ricorso straordinario al Capo dello Stato avverso i suddetti provvedimenti unitamente agli atti presupposti, preordinati, connessi e consequenziali, denunciandone l'illegittimità sotto diversi profili, poi trasposto dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania. 3. Il Tribunale adito, con sentenza n. 7625 del 2021, accoglieva il ricorso, rilevando la fondatezza della censura relativa alla denuncia di violazione delle garanzie di partecipazione procedimentale, atteso che il Comune non avrebbe dovuto negare alla società proprietaria delle strade la possibilità di interloquire attivamente durante lo svolgimento della fase istruttoria del provvedimento finale, al fine di rappresentare le proprie legittime istanze. Il T.A.R. ravvisava, inoltre, l'illegittimità della istituzione degli stalli di sosta a pagamento da parte dell'Amministrazione in una strada di cui non era proprietaria, nè titolare di altri diritti reali idonei a giustificare la compressione del diritto di proprietà della società Pl., accertato dalla sentenza del Tribunale di Napoli n. 12802 del 2013. Quanto alla domanda di risarcimento del danno proposta dalla ricorrente, il Collegio riteneva che non poteva essere riconosciuto come danno ingiusto l'intero valore di mercato dei posti auto, atteso che, in disparte la necessità della prova di concrete proposte di acquisto non andate a buon fine a causa dell'emanato provvedimento, l'intera area era destinata a tornare nella piena disponibilità della società Pl. per effetto della pronuncia di annullamento, pertanto diversamente opinando, si sarebbe prodotto in capo alla ricorrente un ingiustificato arricchimento, derivante dall'acquisizione del prezzo di un bene solo temporaneamente sottratto alla sua disponibilità . Né poteva essere riconosciuto il danno derivante dal mancato sfruttamento economico delle aree di parcheggio, in quanto la ricorrente non aveva fornito alcun elemento di prova. Il Collegio di prima istanza disponeva, pertanto, un risarcimento determinato in via equitativa nella misura di euro 20.000,00 a carico del Comune di Napoli. 4. Il Comune di Napoli ha proposto appello avverso la suddetta pronuncia, chiedendone l'integrale riforma, denunciando: "1. Error in procedendo. Per la mancata declaratoria del difetto di giurisdizione in favore del giudice ordinario e per il mancato accoglimento della specifica eccezione di inammissibilità del ricorso originario. Violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e ss. del c.p.a.. Eccesso di potere giurisdizionale, contraddittorietà, assenza di motivazione; 2. Error in procedendo. Per la mancata declaratoria dell'improcedibilità parziale del ricorso. Contrasto con il proprio precedente giudicato di cui alla sentenza T.A.R. Campania VIII del 8.4.2019 n. 1928, resa fra le parti sulla medesima questione. Eccesso di potere giurisdizionale. Contraddittorietà . Assenza di motivazione; 3. Error in iudicando. Per violazione e falsa applicazione dell'art. 7, comma 1, della l. n. 241 del 1990. Eccesso di potere giurisdizionale. Contraddittorietà . Assenza di motivazione; 4. Error in iudicando. Per violazione e falsa applicazione dell'art. 7, comma 7, del decreto legislativo n. 285 del 1992 (codice della strada), contraddittorietà e assenza di motivazione; 5. Error in iudicando sull'illegittima quantificazione del risarcimento del danno per violazione o falsa applicazione dell'art. 1226 c.c.". 5. La società Pl. s.r.l. si è costituita in resistenza ed ha spiegato appello incidentale, lamentando: "Violazione e falsa applicazione degli articoli 8, 9, 10 e 12 del d.P.R. n. 327/2001. Violazione e falsa applicazione dell'art. 42 Cost. Eccesso di potere per difetto di motivazione, motivazione insufficiente, manifesta ingiustizia, illogicità, irragionevolezza, contraddittorietà, sviamento. Violazione e falsa applicazione degli articoli 1226 e 2056 cod. civ.". 6. Le parti con successive memorie hanno precisato le proprie difese. 7. All'udienza dell'8 febbraio 2024, la causa è stata assunta in decisione. DIRITTO 8. Con il primo motivo, il Comune di Napoli censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, atteso che la controversia, avente ad oggetto la negazione di una servitù di uso pubblico sulle vie (omissis) e (omissis), rientrerebbe nella giurisdizione del giudice ordinario. 8.1. La denuncia non può trovare accoglimento. Va premesso che risulta dai fatti di causa che la società Pl. è l'esclusiva proprietaria delle porzioni immobiliari identificate al catasto al foglio (omissis), p.lla (omissis), sub da (omissis), su cui ricadono le strade oggi denominate via (omissis) e via (omissis). Il Tribunale di Napoli, con sentenza n. 12802 del 2013, ha condannato il Comune di Napoli al risarcimento dei danni per le molestie arrecate alla Pl. nell'esercizio dei suoi diritti di proprietà sulle porzioni immobiliari destinate a parcheggi, indicate specificamente al catasto sub da (omissis) a (omissis). La suddetta pronuncia è passata in giudicato. Il Collegio, per le ragioni di seguito illustrate, anticipa che, diversamente da quanto argomenta l'appellante nei propri scritti difensivi, le emergenze processuali inducono ritenere che le aree oggetto del presente giudizio sono quelle già oggetto del giudizio definito con la sentenza del Tribunale di Napoli n. 12802 del 2013 sopra richiamata, e precisamente le porzioni immobiliari indicate sub da (omissis) a (omissis). Il Tribunale, con la suddetta pronuncia, ha ordinato all'Amministrazione comunale la cessazione di ogni molestia, e l'ha condannata al risarcimento dei danni procurati alla Pl. a causa della mancata percezione dell'utile derivante dalla sottrazione dell'uso dei beni di proprietà . La decisione è stata poi oggetto del giudizio di ottemperanza definito favorevolmente per la società Pl., con sentenza dal Tribunale amministrativo per la Campania n. 1928 del 2019. Ciò premesso in fatto, con riferimento alla denuncia di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, il Comune appellante rileva che la ricorrente, nell'atto introduttivo della lite, ha sostanzialmente negato il potere dell'Ente di regolamentare sosta e viabilità sulle strade (omissis) e (omissis), contestando che le suddette strade siano ad uso pubblico. Pertanto, secondo l'esponente, la questione di giurisdizione avrebbe meritato un accertamento più approfondito per evidenziare il reale petitum introdotto dalla controparte ricorrente, che non si sostanzierebbe in una mera ricerca del quomodo del potere esercitato dall'Amministrazione, ma si estenderebbe all'an, sicchè la posizione giuridica soggettiva vantata sarebbe di diritto soggettivo, con la conseguente giurisdizione del giudice ordinario. L'approdo argomentativo non può essere condiviso. Come correttamente precisato dal Collegio di prima istanza, richiamando la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, se è pacifico che il giudice amministrativo non ha giurisdizione per l'accertamento, in via principale, della natura vicinale, pubblica o privata, della strada, ovvero della servitù pubblica di passaggio, essendo dette questioni devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, è anche vero che il medesimo giudice ben può, anzi deve valutare, incidenter tantum, la natura vicinale, pubblica o privata, del passaggio nella strada su cui si controverte, dal momento che tale questione costituisce un presupposto degli atti sottoposti al suo esame in via principale. Nella specie, la società ricorrente ha denunciato il cattivo uso del potere amministrativo da parte del Comune di Napoli nell'adozione degli atti impugnati, emanati sul presupposto, errato, dell'uso pubblico delle strade di proprietà della società Pl.. Infatti, con l'atto introduttivo del giudizio, si è proceduto ad impugnare i provvedimenti impositivi degli stalli di parcheggio tariffati (c.d. strisce blu), eccependone l'illegittimità per violazione dei principi che hanno riguardato l'esercizio del potere amministrativo quale, inter alia, l'uso scorretto del potere di disciplina della viabilità stradale, l'uso distorto del potere di imposizione dei parcheggi a pagamento su suolo di proprietà privata, in violazione del presupposto della effettiva titolarità del necessario diritto reale sulle aree assoggettate. Ne consegue che la giurisdizione sulla controversia appartiene al giudice amministrativo, al quale è stato chiesto l'annullamento dell'ordinanza n. 7 del 9 marzo 2017, che ha inciso sulla regolamentazione dell'uso delle strade di proprietà della ricorrente. Al suddetto giudice, ai sensi dell'art. 8 c.p.a., viene consentito, per la concentrazione delle tutele e la celerità del processo amministrativo, di accertare incidenter tantum la natura delle stesse (Cass. SS.UU. n. 28331 del 2019). Non si controverte, infatti, in via principale, circa la proprietà pubblica o privata, di una strada o circa l'esistenza dei diritti di uso pubblico su una strada privata, e neppure si discute dell'esistenza e dell'estensione di diritti soggettivi dei privati o della pubblica amministrazione (Cass. SS.UU. n. 26897 del 2016). L'oggetto della controversia ruota, invece, sul cattivo uso del potere amministrativo 'sfociato nell'adozione di un provvedimento asseritamente illegittimo (sotto diversi profili), che presuppone - in tesi, erroneamente - l'uso pubblico delle strade'; pertanto, come precisato dal T.A.R. 'correttamente, dunque, la ricorrente si rivolge al Giudice amministrativo per sentir dichiarare l'illegittimità dell'ordinanza n. 7 del 9 marzo 2017'. In ragione di siffatti rilievi, la sentenza impugnata in parte qua non merita censura. 9. Con il secondo mezzo, si contesta la statuizione del T.A.R. con la quale è stata respinta la denuncia di improcedibilità parziale del ricorso introduttivo proposto dalla società Pl.. A tale riguardo, il Comune di Napoli rileva un presunto contrasto con un precedente giudicato, asseritamente identico, reso con la sentenza del T.A.R. per la Campania n. 1928 del 2019 intervenuta tra le stesse parti. L'appellante sostiene l'improcedibilità parziale del ricorso con riferimento alla dedotta avvenuta cessazione delle condotte perpetrate e la riduzione in pristino, in esecuzione della sentenza del Tribunale di Napoli n. 12802 del 2013. Pertanto, gli atti di imposizione degli stalli comunali di sosta, oggetto del presente giudizio, non potrebbero essere ritenuti in elusione del detto giudicato civile. 9.1. La doglianza va respinta. Come precisato dal Tribunale adito, le pronunce richiamate dall'appellante riguardano circostanze di fatto e petitum diversi, in quanto la sentenza n. 1928 del 2019 del T.A.R. per la Campania ha accertato l'intervenuto adempimento da parte del Comune agli obblighi di facere specifico derivanti dalla sentenza del Tribunale civile di Napoli n. 12802 del 2013, con intervento iniziato in data 30 giugno 2016 e terminato in data 4 luglio 2016; mentre con l'atto introduttivo del presente giudizio la Pl. ha chiesto l'annullamento dell'ordinanza n. 7 del 2017, avente ad oggetto la regolamentazione della sosta nelle vie (omissis) e (omissis), per far valere l'illegittimità della condotta posta in essere dall'Amministrazione comunale. 10. Con la terza critica, si censura la decisione impugnata nella parte in cui si è ravvisata la violazione delle garanzie partecipative di cui all'art. 7 e ss. della legge n. 241 del 1990, in quanto, secondo l'esponente, le determinazioni comunali inerenti alla disciplina della circolazione stradale hanno portata generale, sicchè non vi sarebbe obbligo di comunicare l'avvio del procedimento. 10.1. Il mezzo è infondato. I provvedimenti impugnati, in quanto atti non generali, sono idonei ad incidere in maniera diretta nella sfera giuridica della società Pl., la quale, essendo proprietaria delle vie (omissis) e (omissis), vanta una posizione giuridica di vantaggio qualificata e differenziata. Pertanto, alla predetta società sarebbe spettata la comunicazione di avvio del procedimento al fine della tutela delle garanzie partecipative. Né si può predicare, come pretende l'appellante, che le determinazioni comunali concernenti la disciplina della circolazione stradale, in quanto funzionali ad una pluralità di interessi pubblici, abbiano portata generale, con conseguente esclusione delle garanzie partecipative. Ciò in quanto, come si è detto, l'ordinanza n. 7 del 2017, quanto agli effetti, incide in concreto nella sfera giuridica della società proprietaria delle strade interessate, essendo idonea a mortificare una posizione differenziata assunta dalla destinataria del provvedimento rispetto alla collettività, suscettibile di specifica tutela sia in seno al procedimento amministrativo, sia nell'ambito della successiva fase giudiziale. Così inquadrata la questione, appare del tutto corretta la soluzione data dal primo giudice alle deduzioni difensive proposte, anche in questa sede, dalla società Pl. s.r.l. 11. Con il quarto motivo di appello, il Comune di Napoli censura la sentenza impugnata per asserita violazione e falsa applicazione dell'art. 7, comma 7, del d.lgs. n. 285 del 1992, laddove si sostiene l'illegittimità della istituzione di stalli di sosta a pagamento da parte dell'Ente municipale in una strada di cui non è proprietario e, con riferimento alla quale, non è titolare di diritti reali che giustifichino la compressione dell'altrui diritto di proprietà, come accertato dalla sentenza del Tribunale di Napoli n. 12802 del 2013. Con memoria di replica, l'Ente municipale insiste nel ritenere che la situazione fattuale e giuridica conduce a riconoscere l'uso pubblico delle strade, come sarebbe rilevabile anche dalle conclusioni della C.T.U. espletata nell'ambito del giudizio civile R.G.N. 36781 del 2005, promosso dalla ricorrente Pl. dinanzi al Tribunale di Napoli. Conclude, pertanto, domandando che sia riconosciuta la presupposta servitù pubblica sulle strade (omissis) e (omissis), e quindi consentita la regolamentazione della circolazione e la sosta dei veicoli. 11.1. La denuncia è infondata. Il T.A.R., come già detto, ha evidenziato l'illegittimità della istituzione di stalli di sosta a pagamento da parte del Comune su strade di cui non è proprietario e non è titolare di diritti reali che giustificano la compressione dell'altrui diritto di proprietà, come accertato dalla sentenza del Tribunale di Napoli n. 12802 del 2013. Il Collegio di primo grado precisa altresì che: "Del resto, sarebbe illogico consentire a un ente (e in questo caso il Comune di Napoli) diverso dal titolare di sfruttare economicamente un bene altrui. E ciò a prescindere dalle allegate finalità di pubblico interesse, che potrebbero giustificare provvedimenti di mera regolamentazione del traffico e della sosta o, al più, lo svolgimento di procedure di carattere espropriativo con la corresponsione di un adeguato indennizzo". Questa Sezione condivide le conclusioni raggiunte dal primo giudice. Nel particolare caso di specie, dall'esame di tutta la documentazione versata in atti, emerge che non è stato assolto l'onere probatorio da parte del Comune circa la titolarità delle aree destinate a parcheggio di cui alle ordinanze impugnate, presupposto ai sensi dell'art. 7, comma 7, del d.lgs. n. 285 del 1992, per l'installazione di stalli a pagamento, e neppure è emersa, senza dubbio, la natura di strade ad uso pubblico. Ciò in quanto, la norma testualmente prevede: "I proventi dei parcheggi a pagamento, in quanto spettanti agli enti proprietari della strada, sono destinati alla installazione, costruzione e gestione di parcheggi in superficie, sopraelevati o sotterranei, e al loro miglioramento e le somme eventualmente eccedenti ad interventi per migliorare la mobilità urbana". Inoltre, l'art. 7, comma 1, lett. f) cit. precisa che il Comune può 'stabilire, previa delibera di giunta, aree destinate al parcheggio sulle quali la sosta dei veicoli è subordinata al pagamento di una somma da riscuotere mediante dispositivi di controllo di durata della sostanza, anche senza custodia del veicolo, fissando le relative condizioni e tariffe in conformità alle direttive del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti'. Infatti, non risulta che sia stata adottata una specifica deliberazione della Giunta comunale, né che il Comune abbia dimostrato alcun titolo legittimante il controllo della sosta mediante l'istituzione di parcheggi pubblici a pagamento su proprietà privata. Né può predicarsi che la dimostrazione dell'uso pubblico delle particelle oggetto dell'ordinanza n. 7 del 2017, di proprietà della società Pl., possa essere desunta dalle statuizioni contenute nella sentenza n. 2000 del 22.3.2023, resa nell'ambito del giudizio civile R.G. 7705 del 2018, atteso che, come chiarito dal C.T.U. nell'ambito del suddetto procedimento, non vi è identità tra le porzioni oggetto di tale giudizio e quello concluso con la sentenza civile n. 12802 del 2013, poiché il giudizio R.G. 7705 del 2018 ha avuto ad oggetto le due strade insistenti sul subalterno n. (omissis), mentre il giudizio definito con la sentenza n. 12802 del 2013, così come quello per cui oggi si procede, ha avuto ad oggetto le aree di cui ai subalterni da (omissis) a (omissis), destinate a parcheggio, e sulle quali il Comune ha realizzato strisce blu per sosta delle auto a pagamento e installato i relativi parcometri. Il Tribunale di Napoli nella sentenza n. 2000 del 2023 testualmente afferma: 'come si può evincere dalla C.T.U. le aree coinvolte nei due procedimenti sono differenti'. Le aree oggetto del presente giudizio, come chiaramente riferito dalla società Pl. con memoria, sono quelle già poste ad oggetto del giudizio concluso con la sentenza del Tribunale di Napoli n. 12802 cit., relative ai subalterni da (omissis) a (omissis). Come si è detto, la suddetta sentenza è passata in giudicato, ed è stata confermata in sede di ottemperanza dal T.A.R. per la Campania con la pronuncia n. 1928 del 2019. L'assunto è stato accertato dal C.T.U. nella relazione depositata nell'ambito del giudizio R.G.N. 7705 del 2018 relativo all'actio negatoria, il quale ha chiarito che 'non c'è identità tra le aree indicate nel presente giudizio e quello concluso con la sentenza n. 12802/2013'. Le denunce del Comune di Napoli, il quale sostiene che la Pl. ha frantumato la consistenza catastale delle strade solo in data 29 marzo 2017, sono rimaste prive di fondamento, in quanto, come desumibile dalle emergenze processuali (v. C.T.U. ing. La Mo. depositata nel giudizio R.G.N. 36781 del 2005 e C.T.U. disposta nell'ambito del giudizio R.G.N. 7705 del 2018 cit.), le aree della presente controversia erano già distinguibili all'epoca dell'instaurazione del giudizio che ha condotto alla sentenza n. 12802 del 2013. Il C.T.U. ha, infatti, evidenziato che nella causa iscritta al R.G.N. 36781 del 2005: 'il Giudice ordinario, per giungere ad una corretta decisione finale, ha disposto una CTU per valutare la titolarità delle singole particelle catastali acquistate dalla Società attrice...partendo dal 2004'. Orbene, con riferimento alle particelle oggetto del presente giudizio, non è emersa la situazione fattuale e giuridica dell'uso pubblico delle strade, e neppure è possibile desumerne l'uso pubblico dalla sentenza n. 12805 del 2013, anche perchè si è trattato di un procedimento articolato nei limiti di un actio negatoria finalizzata alla interruzione delle molestie e turbative arrecate dal Comune di Napoli ai fondi di proprietà della Pl.. Neppure è sufficiente, ai fini probatori, ad acclarare l'uso pubblico la relazione riassuntiva di cui alla nota del SAT della 5° Municipalità del Comune di Napoli, prot. n. PG/2016/718907 del 14.9.2016, e di cui alla successiva nota integrativa del medesimo servizio del 29.9.2016, atteso si tratta di un parere del soggetto gestore dell'attività di manutenzione della conferma di indici rivelatori di uso pubblico, che fa riferimento alla particella (omissis), oggi (omissis), ma senza alcuna specificazione dei subalterni (in particolare dal (omissis) al (omissis)) che riguardano il presente procedimento. Secondo l'indirizzo giurisprudenziale prevalente, qualora l'ente pubblico non sia proprietario della strada, come nella specie, la dimostrazione dell'uso pubblico richiede un atto che la sancisca quale un provvedimento amministrativo, una convenzione tra privato e amministrazione, o anche un atto di disposizione del privato, quale può essere un testamento, ovvero il possesso utile dell'usucapione ventennale accertato con sentenza, oltre che la concreta dimostrazione della sua idoneità ad assolvere pubbliche esigenze (Cons. Stato, sez. V, n. 7831 del 2003; id. sez. VI, n. 2544 del 2013). Va rammentato che, perché si costituisca per usucapione una servitù pubblica di passaggio su strada privata, è necessario che concorrano contemporaneamente le seguenti condizioni: a) l'uso generalizzato del passaggio da parte di una collettività indeterminata di individui, considerati 'uti cives' in quanto portatori di un interesse generale, non essendo sufficiente un'utilizzazione 'uti singuli', cioè finalizzata a soddisfare un personale esclusivo interesse per il più agevole accesso ad un determinato immobile di proprietà privata; b) l'oggettiva idoneità del bene a soddisfare il fine di pubblico interesse perseguito tramite l'esercizio della servitù ; c) il protrarsi dell'uso per il tempo necessario all'usucapione (Cass. n. 28632 del 2017). Gli esiti processuali e il lungo contenzioso che hanno visto contrapporre, con riferimento alle specifiche particelle oggetto di causa, la posizione della società Pl. s.r.l. e il Comune di Napoli escludono anche la cosidetta 'dicatio ad patriam', quale modo di costituzione di una servitù di uso pubblico, posto che in nessun caso (e fin dal 2005) la proprietaria ha concesso, involontariamente o volontariamente, di destinare, con carattere di continuità (non di precarietà e tolleranza), il bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, al fine di soddisfare un'esigenza comune 'uti cives'(Cass. n. 4851 del 2016; Cass. n. 4207 del 2012; v. anche Cons. Stato, sez. V, n. 728 del 2012). I presupposti per l'integrazione della 'dicatio ad patriam' consistono nell'uso esercitato 'iuris servitutis publicae' da una collettività di persone; nella concreta idoneità dell'area a soddisfare esigenze di interesse generale; in un titolo valido a costituire il diritto, ovvero in un comportamento univoco del proprietario che, seppure non intenzionalmente diretto a dare vita al diritto di uso pubblico, risulti idoneo a manifestare l'intenzione di porre il bene a disposizione della collettività (sui diversi profili cfr: Cons. Stato n. 5785 del 2019; id. n. 6460 del 2018; id. 5286 del 2018; id. n. 3446 del 2015). L'accertamento di un titolo idoneo in capo all'Ente municipale che, come noto, può essere concesso solo incidenter tantum a questo Giudice (Cass. SS.UU. n. 26897 del 2016), ai sensi dell'art. 8 c.p.a., nella specie non può essere effettuato, atteso che gli esiti processuali non hanno consentito di confermare le conclusioni raggiunte dall'appellante, il quale, con memoria di replica, a fronte delle contestazioni della società appellata, insiste nel sostenere la coincidenza delle aree oggetto del presente giudizio con quelle oggetto della sentenza del Tribunale di Napoli n. 2000 del 2023, ciò al fine di affermarne l'uso pubblico, pur essendo tale circostanza smentita, come sopra precisato, dai fatti di causa. Va, inoltre, condivisa la prospettazione difensiva sostenuta dalla Pl., secondo cui l'imposizione degli stalli di sosta comunali su area di proprietà privata costituisce, nella sostanza, un vincolo che inibisce completamente l'utilizzo del bene, assimilabile ad un provvedimento espropriativo che necessiterebbe di un apposito procedimento, ana a quello del vincolo preordinato all'espropriazione, stante l'insussistenza di qualsiasi titolo o presupposto legittimante il Comune di Napoli all'emissione dell'ordinanza n. 7 del 2017. In conclusione, va ribadito quanto acutamente osservato dal Collegio di primo grado, secondo cui: 'Del resto, sarebbe illogico consentire a un ente (in questo caso il Comune di Napoli) diverso dal titolare di sfruttare economicamente il bene altrui. E ciò a prescindere dalle allegate finalità di pubblico interesse, che potrebbero giustificare provvedimenti di mera regolamentazione del traffico e della sosta o, al più, lo svolgimento di procedure di carattere espropriativo con la corresponsione di un adeguato indennizzò . 12. In definitiva, l'appello principale non può trovare accoglimento, con conseguente conferma della sentenza impugnata anche con riferimento al quinto mezzo che, esaminato congiuntamente all'appello incidentale, va respinto. 13. La società Pl. s.r.l. ha spiegato appello incidentale, chiedendo la parziale riforma della pronuncia del T.A.R. nella parte in cui ha condannato il Comune di Napoli al risarcimento del danno in favore della ricorrente determinato in via equitativa in euro 20.000,00, con conseguente richiesta di condanna al risarcimento nella misura indicata con il ricorso introduttivo, ovvero nel diverso importo che vorrà essere liquidato in via equitativa. L'appellante incidentale chiede di essere ristorata per l'illegittima sottrazione delle aree di titolarità privata alla loro propria destinazione economica, nonché per il sostanziale svuotamento del loro valore economico per l'imposizione della destinazione ad un utilizzo pubblico, sostanzialmente ablativo, incompatibile con qualsivoglia iniziativa privata. E in ordine alla quantificazione del danno, domanda, pertanto, la rifusione del'mancato introito annuale del canone mensile per posto auto in relazione al numero dei posti auto esistenti nelle aree di proprietà della ricorrente' e 'del danno conseguente alla totale compressione, allo svuotamento sostanziale del valore del diritto della ricorrente ed all'impedimento concreto alla commerciabilità dei beni che ne costituiscono l'oggetto'. Il Comune di Napoli, con il quinto motivo di appello, ha evidenziato che tutte le aree individuate dal sub (omissis) al sub (omissis) sono ubicate ai margini laterali delle strade denominate via (omissis) e via (omissis). L'Amministrazione sostiene che la frantumazione della sede stradale non è opponibile al Comune, perché è successiva all'ordinanza impugnata che è stata pubblicata in data 10.3.2017, mentre l'accatastamento, con cui è stato separato catastalmente il tracciato della parte di carreggiata adibita alla circolazione veicolare dalle parti della stessa adibite ad area urbana o posto auto, è del successivo 29 marzo 2017. L'Ente municipale contesta la liquidazione del danno effettuata dal giudice del merito, ritenendo che nella specie il danno patrimoniale consistito nella mancata disponibilità del bene avrebbe dovuto essere accertato dal T.A.R., che di fatto non ha provveduto. 13.1. Il Collegio rileva che la domanda di risarcimento del danno, come riproposta nel presente giudizio dalla società Pl. va respinta. Né può trovare accoglimento il quinto mezzo spiegato dal Comune appellante. Il Tribunale amministrativo ha accertato il fatto dell'illecita sottrazione delle aree di proprietà della società ricorrente, riconoscendo correttamente i presupposti del risarcimento quale l'elemento oggettivo, il nesso di causalità e l'elemento soggettivo. Ed ha evidenziato che 'la società ricorrente è stata illegittimamente privata del godimento dei propri beni per un significativo lasso di tempo', pertanto, diversamente da quanto sostenuto dal Comune di Napoli, in disparte la questione dell'asserita frantumazione e inopponibilità dell'accatastamento, appare evidente il pregiudizio subito dalla società Pl. senza che sia necessario ulteriore supporto argomentativo. Ciò premesso, con riferimento al quantum debeatur, va condiviso il ragionamento logico seguito dal giudice territoriale, il quale rileva che non può, ovviamente, essere riconosciuto come danno ingiusto l'intero valore di mercato dei posti auto, atteso che, non solo non è stata offerta la prova delle concrete proposte di acquisto non andate a buon fine a causa dell'ordinanza n. 7 del 2017, ma anche perché l'intera area è destinata a tornare nella piena disponibilità della società Pl. a seguito dell'annullamento degli atti disposto con la sentenza, sicchè, diversamente opinando, 'si produrrebbe in capo al ricorrente un ingiustificato arricchimento, derivante dall'acquisizione del prezzo di un bene solo temporaneamente sottratto alla sua disponibilità '. Da quanto sopra consegue la correttezza e la congruità della determinazione in via equitativa del danno, nella misura indicata dal Collegio di prima istanza, non essendo stati forniti elementi relativi al possesso dei requisiti e dei titoli necessari a svolgere attività economica di sfruttamento delle aree di parcheggio. 14. In definitiva, per le motivazioni espresse va respinto l'appello principale e l'appello incidentale, con conseguente conferma della sentenza impugnata. 15. Le ragioni della decisione e la peculiarità della vicenda processuale giustificano l'integrale compensazione delle spese di lite del grado tra le parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando respinge l'appello principale e l'appello incidentale, come in epigrafe proposti. Compensa integralmente tra le parti le spese di lite del grado. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del giorno 8 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Paolo Giovanni Nicolò Lotti - Presidente Valerio Perotti - Consigliere Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere Giorgio Manca - Consigliere Annamaria Fasano - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SECONDA SEZIONE CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: LORENZO ORILIAPresidente MAURO MOCCIConsigliere MARIO BERTUZZIConsigliere VINCENZO PICAROConsigliere ANTONIO MONDINIConsigliere-Rel. Oggetto: PROPRIETA' Ud.16/04/2024 PU ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 27053/2019 R.G. proposto da: MANETTI PERAGNOLI LIDA, elettivamente domiciliato in ROMA CORSO VITTORIO EMANULE II 18, presso lo studio dell’avvocato STUDIO GREZ (-) rappresentato e difeso dagli avvocati BUSONI FILIPPO (BSNFPP71B13D403C), VETTORI GIUSEPPE (VTTGPP49H18L067B) -ricorrente- contro CONDOMINIO VILLA IL POGGIALE, in persona dell’amministratore pro tempore sig. Sandro Fanciullacci elettivamente domiciliato in ROMA Via Ludovisi 15, presso lo studio dell’avvocato Mario G. Ridola, rappresentato e difeso dagli avvocati SERGIO MENCHINI (MNCSRG57P27Z614E) E ALBERTO MIGLIORINI (MGLLRT66B03D403J) -controricorrente- avverso SENTENZA di CORTE D'APPELLO FIRENZE n. 1465/2019 depositata il 17/06/2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/04/2024 dal Consigliere ANTONIO MONDINI. Udite le conclusioni della Procura Generale, in persona della Dottoressa Luisa De Renzis che ha chiesto rigettarsi il ricorso 1.il Condominio Villa Il Poggiale, sito in Empoli, località Martignana, su terreno costituente una enclave all’interno della proprietà di Lida Manetti Peragnoli -proprietà dalla stessa acquistata in forza di due contratti di compravendita stipulati con Maria Novella Brischetti nel 1977 e nel 1980-, realizzava, a più riprese e in particolare nel 2004, lavori di recupero della strada bianca, denominata “strada del Poggiale” -figurante nell’elenco delle vie vicinali ad uso pubblico del Comune di Empoli-, di collegamento con la viabilità pubblica. La strada attraversava la proprietà Manetti. 2. Lida Manetti Peragnoli conveniva il Condominio davanti al Tribunale di Firenze per sentir dichiarare che la strada del Poggiale era di sua proprietà, che il Condominio non vi aveva alcun diritto, che i lavori realizzati dal convenuto nel 2004, erano consistiti nell’allargamento della strada con invasione del terreno della attrice e nell’interramento, a margine della strada e nella proprietà della attrice, di opere di canalizzazione di acqua. La Manetti chiedeva che, tanto accertato, il Tribunale condannasse il Condominio alla rimessione in pristino dei luoghi e al risarcimento dei danni. Il Codominio contestava il fondamento delle domande della attrice, a propria volta, sul presupposto che la strada era una via vicinale privata, chiedeva la condanna della attrice al pagamento della quota di sua competenza delle spese affrontate per l’esecuzione dei lavori. Il Tribunale di Firenze, rigettava le domande della attrice, accoglieva la riconvenzionale e condannava la attrice al pagamento di €. 4.797,00. La Corte d’Appello, adita dall’attrice soccombente, con sentenza n. 1465/2019 rigettava il gravame, osservando: dagli atti di provenienza prodotti dalla Manetti, in data 25 ottobre 1977 e in data 12 dicembre 1980, e dalle cartografie allegate, emergeva che la strada del Poggiale non era stata oggetto della vendita da Maria Fiorella Bruschetti alla Manetti ma era a confine con i terreni compravenduti. In particolare, dagli accertamenti svolti dal CTU e dalla planimetria e dalle fotografie allegate alla sua relazione, risultava smentita la tesi sostenuta dalla attrice in primo grado e in appello, per cui la strada “dal Poggiale a Botinaccio”, indicata come confine in entrambi i contratti, era diversa dalla strada del Poggiale oggetto di controversia. Si trattava invece della stessa strada e più precisamente: la strada “dal Poggiale a Botinaccio” era un tratto della strada che dava accesso dalla Via provinciale n.51 di Valdorme al Condominio e la “strada del Poggiale” era a sua volta solo un tratto della Strada “dal Poggiale a Botinaccio”; dalle verifiche del CTU in loco era emerso che la strada era di utilità per tutti i proprietari frontisti; la strada del Poggiale era iscritta nell’elenco comunale tra le vie vicinali private ad uso pubblico; in mancanza di prova della proprietà esclusiva dovevasi presumere, in base alle verifiche del CTU e all’iscrizione nell’elenco comunale delle vie vicinali private ad uso pubblico, la comproprietà della strada da parte della Manetti e del Condominio; dalla documentazione agli atti e dalla relazione del CTU era emerso che i lavori realizzati da parte del Condominio sulla strada erano stati sollecitati dal Comune di Empoli, che tra “i richiedenti” delle autorizzazioni al Comune vi era anche la Manetti, che i lavori non avevano comportato alcuna alterazione della larghezza della strada essendo consistiti nella rimozione della vegetazione che aveva invaso la sede stradale, nel ripristino del fondo stradale e in opere per la regimentazione delle acque, il tutto senza “sconfinamento” in danno della proprietà Manetti; il Condominio aveva diritto a ripetere dalla Manetti la quota delle spese sostenute per i lavori a cui aveva provveduto, sia ai sensi dell’art. 1104 c.c. sia ai sensi dell’art. 1110 c.c. sussistendo la necessità di provvedere e configurandosi “trascuranza” della Manetti; 3. contro la sentenza di appello la Manetti propone dieci motivi di cassazione; 4. il condominio resiste con controricorso. 5.La Procura Generale ha chiesto rigettarsi il ricorso. 6. Le parti hanno depositato memorie. RAGIONI DELLA DECISIONE 1.Con il primo motivo di ricorso viene lamentata “nullità della sentenza per assenza di motivazione (art. 360, c.p.c. comma 1, n.4) e travisamento rilevante (art. 360, c.p.c. comma 1, n.5). 1.1. Il motivo si riduce alla affermazione per cui nel contratto di acquisto concluso dalla ricorrente nel 1977 “la parte venditrice si riserva per sé e per i suoi aventi causa il diritto di passo a favore dei beni indicati nel fogli di mappa 48 sulla strada colorate in blu”. Da qui secondo la ricorrente dovrebbe ricavarsi che la strada - essendo quella oggetto di causa- le sarebbe stata trasferita. 1.2. Il motivo è infondato. La Corte di Appello ribadendo, con diffuso esame del titolo di acquisto de quo, quanto già rilevato dal Tribunale, ha escluso che il titolo traslativo abbia riguardato la strada vicinale di cui trattasi. La struttura argomentativa della sentenza in esame si sottrae ad ogni possibile censura. È possibile censurare per cassazione solo anomalie motivazionali che si tramutano in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. SU 8053/2014): "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico"; "motivazione apparente"; "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili"; "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile". La Corte di Appello ha osservato che dagli atti di provenienza prodotti dalla Manetti, in data 25 ottobre 1977 e in data 12 dicembre 1980, e dalle cartografie allegate, emerge che la strada del Poggiale non era stata oggetto della vendita da Maria Fiorella Bruschetti alla Manetti ma era a confine con i terreni compravenduti. Si tratta di motivazione chiara e coerente. Ciò posto, la struttura argomentativa del motivo prospetta che il contenuto del contratto del 1977 sia diverso da quello che i giudici di merito hanno accertato essere: scambia il ruolo della Corte di cassazione per quello di una terza istanza di merito. Si applica il principio per cui “È inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l'apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito” (SU 34476/2019). 2. Con il secondo motivo di ricorso viene lamentata “violazione dell’art. 949 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c., degli artt. 2727-2729 c.c. e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n.3 e n. 4 c.p.c. comma 1, n.5”. 2.1. Questo motivo si ricollega al precedente. Vi si sostiene in premessa che la ricorrente ha dimostrato di aver acquistato la strada in base a titolo valido. Viene quindi dedotto che, avendo la ricorrente dato tale dimostrazione, la Corte di Appello avrebbe violato l’art. 949 e le altre norme evocate, in quanto si sarebbe distaccata dal principio per cui nell’azione di accertamento negativo della servitù, la titolarità del bene si pone come requisito di legittimazione attiva e non come oggetto della controversia, sicché l’attore ha non già l'onere di fornire, come nell'azione di rivendicazione, la prova rigorosa della proprietà del fondo mediante titoli di acquisto o di usucapione, ma di dimostrare, con ogni mezzo e anche in via presuntiva, di possedere il fondo in forza di un valido titolo e, una volta assolto tale onere, spetta al convenuto provare l'esistenza del proprio diritto, in virtù di rapporto di natura obbligatoria o reale, di compiere l'attività lamentata come lesiva dalla controparte. 2.2. Il motivo è inammissibile perché sotto l'apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge assume -cioè, postula- che i fatti non siano quelli accertati dai giudici di merito. 3. Con il terzo motivo di ricorso viene lamentata “nullità della sentenza per vizio di ulta e/o extra petizione (art. 360, c.p.c. comma 1, n.4). Deduce la ricorrente che il Condominio, nella comparsa di costituzione, aveva scritto che “la strada vicinale del Poggiale essendo di uso pubblico non può essere oggetto di proprietà privata ed a maggiore ragione di comproprietà”. La Corte di Appello riconoscendo che la strada era in comproprietà avrebbe riconosciuto al Condominio un diritto proprietario che il Condominio aveva escluso di avere. 3.2. Il motivo è infondato. Va ricordato che il Condominio aveva chiesto in via riconvenzionale la condanna della odierna ricorrente al rimborso della quota parte della spese per i lavori effettuati sulla strada e ciò ai sensi dell’art. 1104 o 1110 c.c. Entrambe le norme sono relative alla comunione. La Corte di Appello ha qualificato il diritto che il Condominio ha dedotto di avere sulla strada vicinale privata, frontistante alla sua proprietà, come diritto di comproprietà. La Corte di Appello si è limitata a qualificare in termini di diritto dominicale quel diritto che il Condominio aveva vantato ma che non aveva ritenuto di poter qualificare in termini di diritto dominicale sull’assunto che la strada vicinale privata ad uso pubblico non potesse essere propriamente oggetto di comproprietà. Non vi è stata quindi alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c. È stato infatti chiarito che “In materia di procedimento civile, l'applicazione del principio "iura novit curia", di cui all'art. 113, comma 1, cod. proc. civ., importa la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite, nonché all'azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, potendo porre a fondamento della sua decisione princìpi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti. Tale principio deve essere posto in immediata correlazione con il divieto di ultra o extra-petizione, di cui all'art. 112 cod. proc. civ., in applicazione del quale è invece precluso al giudice pronunziare oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, mutando i fatti costitutivi o quelli estintivi della pretesa, ovvero decidendo su questioni che non hanno formato oggetto del giudizio e non sono rilevabili d'ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato” (Cass. Sez. 6 - 1, Ordinanza n.8645 del 09/04/2018 (Rv. 649502 - 01) Ed è stato anche scritto che ““La corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, che vincola il giudice ex art. 112 c.p.c., riguarda il "petitum" che va determinato con riferimento a quello che viene domandato nel contraddittorio sia in via principale che in via subordinata, in relazione al bene della vita che l'attore intende conseguire, ed alle eccezioni che, in proposito, siano state sollevate dal convenuto, ma non concerne le ipotesi in cui il giudice, espressamente o implicitamente, dia al rapporto controverso o ai fatti che siano stati allegati quali "causa petendi" dell'esperita azione, una qualificazione giuridica diversa da quella prospettata dalle parti” (Cass. Sez. 2 - , Sentenza n.11289 del 10/05/2018 (Rv. 648503 - 01). Va ribadito che il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, fissato dall'art. 112 c.p.c., non osta a che il giudice qualifichi giuridicamente la domanda in senso diverso da come la domanda è stata qualificata dalle parti. 4. Con il quarto motivo di ricorso viene lamentata “violazione degli artt. 191, 195, 196 c.p.c. e dell’art. 354 c.p.c., in relazione all’art. 360, c.p.c. comma 1, n.3 e n. 4 nella parte in cui la Corte di Appello ha delegato al consulente il giudizio sulla qualificazione giuridica dei fatti e atti al fine di pronunciarsi in merito alla proprietà”. 4.1. Il motivo è infondato. La Corte di Appello ha basato la propria decisione su un duplice argomento: non esservi, a favore della odierna ricorrente, un titolo derivativo avente ad oggetto la strada; essere la strada ricompresa tra le strade vicinali private ad uso pubblico e, come tale, presuntivamente, una strada di tutti i frontisti. Questo duplice argomento è stato tratto da un esame autonomo da parte della Corte di Appello dei due contratti di acquisto conclusi dalla ricorrente e da un dato incontroverso (l’inclusione della strada nell’elenco, come ricorda la stessa ricorrente, era stata evidenziata già nell’atto di citazione originario). La Corte di Appello si è rifatta agli accertamenti svolti dal CTU solo laddove ha rilevato che da tali accertamenti risulta smentita la tesi sostenuta dalla attrice in primo grado e in appello, per cui la strada “dal Poggiale a Botinaccio”, indicata come confine in entrambi i contratti, era diversa dalla strada del Poggiale oggetto di controversia. La Corte di Appello non ha demandato al CTU alcuna qualificazione giuridica della strada. Ha sì ricordato che il CTU aveva “nella relazione integrativa precisato che si tratta di strada privata di tutti coloro che vi si attestano ed è una entità unica in tutto il suo tracciato che vi si indivisa ed indivisibile proprio per le caratteristiche di utilità per tutti i frontisti e non è di esclusiva proprietà di un singolo soggetto in quanto frontista in un solo tratto di strada”, ma ha basato la qualificazione della strada sulle ricordate proprie autonome valutazioni dei titoli di provenienza della ricorrente e della rilevanza presuntiva della inclusione della strada nell’elenco delle vie vicinali private. 5.Con il quinto motivo di ricorso viene lamentata “violazione dell’ art. 111, comma 6, Cost., dell’art. 132 comma 2, n.4 c.p.c., dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla domanda formulata ex art. 2043 c.c. (art. 360, c.p.c. comma 1, n.3) e in relazione all’art. 360, c.p.c. comma 1, n. 4 (nullità della sentenza). Assenza della sentenza per omessa motivazione (violazione dell’art. 132 n.4)”. 5.1. Il motivo è inammissibile. Sotto la rubrica appena riportata - contraddittoria in quanto non possono ricorrere assieme i vizi di omessa motivazione, presupponente una pronuncia, e di omessa pronuncia- la ricorrente mira a sostenere che vi sarebbe stato da parte del Condominio, con i lavori realizzati sulla strada, uno sconfinamento dannoso sulla proprietà di essa ricorrente e che la Corte di Appello avrebbe negato il danneggiamento pur dopo avere riconosciuto che i lavori comportarono “movimenti di tessa visibili nelle foto”. La motivazione della sentenza è assolutamente lineare: la Corte di Appello a pagina 11 e a pagina 12 della sentenza ha evidenziato che, dagli accertamenti del CTU, era emerso che “la strada non era stata alterata”. In sostanza, sotto l’usbergo del prospettato difetto di motivazione, la ricorrente postula che i fatti non siano quelli accertati dai giudici di merito. 6. Con il sesto motivo di ricorso viene lamentata “violazione e falsa applicazione dell’ art. 116 c.p.c., e dell’art. 132 n.4 c.p.c., in relazione all’art. 360, c.p.c. comma 1, n. 4 e n.5”. Viene dedotto che la Corte di Appello non avrebbe tenuto conto del dato -pacifico perché risultante anche dalla comparsa di costituzione del Condominio- per cui quest’ultimo aveva apposto canalette “a lato della strada”. Dacché, secondo la ricorrente, la conclusione che la strada era stata ampliata. 6.1. Il motivo è inammissibile. La Corte di Appello ha dato conto del posizionamento delle “opere di regimentazione delle acque” subito dopo aver affermato (a pagina 15 e a pagina 16) che la strada non era stata alterata. Ha così confermato l’accertamento del Tribunale escludendo lo sconfinamento lamentato dalla attrice appellante. Al di là della rubrica, il motivo veicola non una censura di omesso esame di fatti -censura che, peraltro, sarebbe inammissibile atteso che a fronte di un doppio accertamento conforme dei giudici di primo e secondo grado, l’impugnazione della sentenza d’appello soggiace alla preclusione derivante dalla regola di cui all'art. 348- ter, comma 5, c.p.c.- bensì ancora una volta l’assunto per cui i fatti non starebbero come la Corte di Appello e il Tribunale hanno accertato che stanno. 7. Con il settimo motivo di ricorso viene lamentata “violazione e falsa applicazione degli artt. 922, 948, 1100, 2697 e 2729 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c. Travisamento della prova (art. 360, c.p.c. comma 1, n.5) che ha portato la Corte di Appello a ritenere che si fosse costituita, con riguardo alla strada in questione (qualificata come strada vicinale ad uso pubblico) una comunione incidentale prescindendosi dal conferimento di quote di terreno da parte dei proprietari dei fondi contigui e dalla effettiva realizzazione della strada medesima a seguito di tale conferimento”. 7.1. Il motivo è inammissibile perché non attiene alla ratio della decisione bensì ad una questione che la Corte di Appello ha espressamente definito “non dirimente”. La Corte di Appello ha dato conto del fatto che la odierna ricorrente aveva sollevato la questione per cui la strada non avrebbe potuto essere definita come strada agraria formatasi ex collatio agrorum privatorum in difetto di prova del conferimento di terreni da parte dei proprietari frontisti. La Corte di Appello ha evidenziato che non era dirimente stabilire come la strada vicinale si fosse formata (v. pagina 10 sentenza citata) essendo dirimente solo che la ricorrente non aveva dato prova di essere proprietaria esclusiva della strada e che si trattava di strada vicinale. Il motivo che -come quello in esame- non coglie la ratio decidendi è inammissibile per difetto del requisito dell’ interesse all’impugnazione ex art. 100 c.p.c. (si vedano, tra molte, Cass. n.19989 del 10/08/2017; Cass. 8247/2024 e Cass. 10168/2018, in motivazione). 8. Con l’ottavo motivo di ricorso viene lamentata “violazione e falsa applicazione dell’ art. 111 Cost. e degli artt. 102 e 107 c.p.c. nonché degli artt. 1104 e 1110 c.c. in relazione all’art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c.”. Deduce la ricorrente che la Corte di Appello avrebbe errato nel confermare l’accoglimento della domanda proposta dal Condominio ai sensi degli artt. 1104 e 1110 c.c. malgrado che il Condominio non avesse chiamato in causa il Comune di Empoli e tutti “gli eventuali terzi proprietari degli immobili” frontisti. Viene poi dedotto che la Corte di Appello non avrebbe potuto applicare l’art. 1104 né l’art. 1110 c.c. essendo la strada di proprietà esclusiva di essa ricorrente. 8.1. Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile. Quanto alla prima deduzione si osserva, per un verso che, come la Corte di Appello ha ricordato, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che “La norma dell'art. 1104 cod. civ. per cui ciascun partecipante alla comunione deve contribuire nelle spese per la conservazione e il godimento della cosa comune, trova applicazione pure con riguardo a strada vicinale soggetta a servitù di uso pubblico, ancorché per la sua amministrazione non risulti costituito il consorzio pubblico, previsto dagli art. 3 del d.l. 1 settembre 1918 n. 1146 e 14 della legge 12 febbraio 1958 n. 126, con la conseguenza che per la manutenzione della detta strada, cui abbia provveduto la comunione dei privati proprietari della stessa questa è legittimata a recuperare da ciascun partecipante la quota dovuta per le spese relative” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5272 del 28/08/1986) e, per altro verso, che l’obbligazione di rimborso delle spese che grava sul partecipante alla comunione nei confronti del compartecipe che le abbia anticipate per ovviare ad una situazione di trascuranza non è un’obbligazione che coinvolge in alcun modo partecipanti alla comunione ulteriori rispetto a quello nei cui confronti può e deve essere chiesto, pro quota, l’adempimento. In linea generale il litisconsorzio suppone che una domanda debba essere strutturata, per essere utile in modo soggettivamente conforme ad una previsione di legge che imponga la relativa proposizione nei confronti di più soggetti. Non esiste alcuna previsione di legge che imponga di agire ex artt. 1104 e 1110 c.c. nei confronti di tutti i compartecipi alla comunione per ottenere da un singolo compartecipe la quota delle spese di sua competenza. In riferimento alla prima deduzione può aggiungersi che la ricorrente, ove vi fosse stata una ipotesi di litisconsorzio, non avrebbe potuto limitarsi alla generica allegazione a cui si è limitata e per cui al processo avrebbero dovuto partecipare tutti “gli eventuali terzi proprietari degli immobili” frontisti. Una allegazione così formulata determina l’inammissibilità del motivo per difetto di specificità (art. 366 c.p.c.). E’ stato infatti statuito: “In tema di litisconsorzio necessario, la parte che denunci per cassazione la violazione dell'art. 354 c.p.c., in relazione all'art. 102 c.p.c., ha l'onere di indicare nominativamente, nel ricorso, le persone che debbono partecipare al giudizio ai fini dell'integrità del contraddittorio, nonché di documentare i titoli che attribuiscano ai soggetti pretermessi la qualità di litisconsorti, ricadendo sul ricorrente il dubbio in ordine a questi elementi, tale da non consentire alla S.C. di ravvisare la fondatezza della dedotta violazione” (Cass. Sez. 2, Ordinanza n.10168 del 27/04/2018). Quanto alla seconda deduzione si osserva che la stessa ripropone ancora una volta l’assunto smentito dai giudici di merito per cui la strada apparterrebbe alla ricorrente. Si tratta non di una censura ma della inammissibile postulazione che i fatti non sono quelli accertati dai giudici di merito. 9. Con il nono motivo di ricorso viene lamentata “violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. Omessa pronuncia sulla domanda risarcitoria (art. 360, nn.3 e 4 c.p.c.). Il quantum. In ipotesi, riproposizione della domanda risarcitori per l’ipotesi di decisione nel merito in questa sede o per il giudizio di rinvio che venisse disposto”. 9.1. Deduce la ricorrente che “la Corte di Appello, ritenendo infondata l’azione ex art. 949—1067 c.c. ha di conseguenza omesso di pronunciarsi sula domanda risarcitoria”. 9.2. Il motivo è inammissibile perché non tiene conto delle statuizioni della sentenza impugnata che ha espressamente rigettato la domanda risarcitoria sul rilievo per cui i lavori realizzati dal Condominio non avevano prodotto danni alla proprietà della ricorrente. 10. Con il decimo motivo di ricorso viene lamentata “violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 324, 345, 287 ss. (art. 360, n.3 e 4 c.p.c.)”. Il motivo è riferito alla statuizione della Corte di Appello per cui la richiesta formulata dal Condominio con appello incidentale perché la decisione di primo grado fosse integrata nella parte relativa alle spese di causa con la liquidazione anche delle spese di CTP doveva essere accolta malgrado che l’appello incidentale fosse tardivo perché tale domanda non “richiedeva neppure l’appello incidentale” integrando una istanza di correzione di errore materiale. 10.1. Il motivo è infondato. Va precisato che, come emerge della sentenza impugnata, il giudice di primo grado aveva posto le spese a carico della attrice, interamente soccombente, ma aveva omesso, pur esistendo in atti tutti gli elementi a ciò necessari, di liquidare le spese di CTP. La Corte di Appello ha escluso che nella condanna alle spese operata dal giudice di primo grado fossero incluse -pur senza essere specificamente quantificate- le spese di CTP. Ciò posto, poiché il riconoscimento delle spese relative alla consulenza tecnica di parte, alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte, rientrano tra quelle che la parte vittoriosa ha diritto di vedersi rimborsate -a meno che il giudice non si avvalga, ai sensi dell'art. 92 c.p.c., comma 1, della facoltà di escluderle dalla ripetizione perché eccessive o superflue(v. tra altre, Cass. 28309/2020; Cass. 25 novembre 1975, n.3946; Cass., 16 giugno 1990, n.6965; Cass. 3 il gennaio 2013, n. 84), legittimamente la Cort di Appello ha fatto ricorso al procedimento di correzione degli errori materiali, atteso che, nel contesto specifico, la omessa pronuncia del giudice di primo grado si collega ad una mera disattenzione del giudice. 11. In conclusione il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13, se dovuto. PQM la Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rifondere alla controparte le spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 5000,00, per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma 16 aprile 2024. Il Consigliere est. Il Presidente Antonio Mondini Lorenzo Orilia

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE D'APPELLO DI CAGLIARI SEZIONE DISTACCATA DI SASSARI La Corte, composta dai sigg. Magistrati Dott. (...) ha pronunciato la seguente: SENTENZA nella causa civile, iscritta al n. (...) del Ruolo Generale per gli affari contenziosi dell'anno 2022, promossa da: Comune di (...) ((...)) in persona del (...) in carica (...) rappresentato e difeso, anche disgiuntamente, dall'Avv. (...) e dall'Avv. (...) come da procura in atti; APPELLANTE CONTRO (...) ((...)), rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, dall'avv. (...) e dall'Avv. (...) come da procura in atti; (...) ((...)), rappresentato e difeso dall'avv. (...) come da procura in atti; (...) ((...)), rappresentata e difesa dall'Avv. (...) come da procura in atti; APPELLATI All'udienza del 12 gennaio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione sulle seguenti (...) Nell'interesse dell'appellante: "Voglia l'(...)mo Tribunale adito A) rigettare ogni contraria istanza, eccezione e/o deduzione. Nel merito, in via principale B) accertare e dichiarare che il compendio immobiliare sito in (...) contraddistinto al n.c.e.u. al foglio (...) mappale (...) appartiene al demanio del Comune di (...) e che, pertanto, non può essere oggetto di usucapione; C) per l'effetto dell'accoglimento della domanda sub B) rigettare la domanda di usucapione eventualmente formulata da controparte e condannare parte convenuta al rilascio dei beni posseduti illegittimamente. Nel merito, in via subordinata D) accertare e dichiarare che il compendio immobiliare sito in (...) contraddistinto al n.c.e.u. al foglio (...) mappale (...) appartiene al patrimonio indisponibile del Comune di (...) e che, pertanto, non può essere oggetto di usucapione; E) per l'effetto dell'accoglimento della domanda sub D) rigettare la domanda di usucapione eventualmente formulata da controparte e condannare parte convenuta al rilascio dei beni posseduti illegittimamente. Nel merito, in via ulteriormente subordinata F) nella denegata ipotesi di pronunzia di usucapione, circoscrivere detta statuizione ai soli immobili abitativi oggetto della domanda proposta in primo grado, costituiti da tre distinti corpi di fabbrica insistenti sul mappale (...) ed identificati al N.C.E.U. rispettivamente foglio (...) mappale (...) sub. 2, cat. A/3 (abitazioni di tipo economico), sub. 3 e 4, cat. C/2 (magazzini e locali di deposito), escludendo la porzione di terreno ad esso circostante ed individuata dal foglio (...) mappale (...) sub 1. In ogni caso G) con vittoria di spese, diritti ed onorari." Nell'interesse degli appellati: "Si assumono le seguenti (...) 1) Ogni contraria istanza, eccezione e deduzione respinta; (...) 2) (...) la nullità dell'atto di appello avendo il Comune di (...) impugnato la sentenza n. 581/2013 in luogo della sentenza n. (...)/2014, (...) in (...) salva l'eccezione di nullità di cui al capo 2), 3) Ai sensi e per gli effetti di cui all'(...) 345 c.p.c., per tutti i fatti esposti, dichiarare la inammissibilità di tutti i motivi di appello perché nuovi e non fatti valere in primo grado e, per l'effetto, rigettare l'atto di appello proposto dal Comune di (...) con conferma della Sentenza n. (...)/2014 nella parte in cui non viene richiesta incidentalmente la riforma; (...) salve le eccezioni di inammissibilità di cui infra, 4) (...) l'atto di appello proposto dal Comune di (...) perché infondato sia in fatto che in diritto e per effetto 5) Confermare la sentenza n. (...)/2014 del (...) di (...) nella parte in cui non viene incidentalmente impugnata dai signori (...) e (...) In forza dell'Appello Incidentale 6) (...) i signori (...), nato a (...) ((...) l'08 aprile 1944; e (...), nata a (...) ((...) il 14 ottobre 1952; (...) residenti ad (...) ((...) in (...) s.n.c.; Proprietari dei seguenti immobili: a. immobile, sito in (...) loc. (...) s.n.c., contraddistinto al F. (...), Particella (...), (...) 2, Categoria A/3, (...) 1, superficie catastale di mq. 200, rendita Euro 495,80; b. immobile, sito in (...) loc. (...) s.n.c., contraddistinto al F. (...), Particella (...), (...) 3, Categoria C/2, (...) 1, superficie di mq. 55, rendita Euro 65,07; c. immobile, sito in (...) loc. (...) s.n.c., contraddistinto al F. (...), Particella (...), (...) 4, Categoria C/2, (...) 1, superficie catastale di mq. 136, rendita Euro 171,98; Dichiarando la sentenza valido titolo per la trascrizione presso la (...) dei (...) di (...) con totale esonero da ogni responsabilità in capo al (...) In ogni caso, 7) Con vittoria di spese e compensi". SVOLGIMENTO DEL PROCESSO (...) di (...) agiva in rivendica nei confronti dei signori (...) e (...) domandando il rilascio dell'immobile in (...) regione (...) n. 51, costituito dal primo piano di un fabbricato rurale, di cui aveva acquistato la proprietà dal disciolto Ente per lo (...) ((...) con atto pubblico del 4/7/1970, previa autorizzazione con legge 421/1968; immobile che assumeva posseduto senza titolo dal (...) e dalla sua famiglia. I convenuti resistevano alla domanda di rivendica, proponendo a loro volta domanda riconvenzionale di usucapione della proprietà dell'immobile per averlo posseduto uti dominus per oltre vent'anni. (...) di (...) esclusa l'appartenenza del fabbricato al patrimonio indisponibile del (...) in quanto inserito in una zona che, per quanto sottoposta a vincolo paesaggistico, non era destinata concretamente a soddisfare un pubblico interesse o realizzare un pubblico servizio, accoglieva la domanda di usucapione ritenendo raggiunta la prova di un possesso esclusivo e uti dominus del (...) e della sua famiglia, quantomeno a decorrere dal 1978. Avverso la sentenza ha proposto appello il (...) di (...) denunciando violazione dell'art. 826 3 comma, legge 211 del 25/3/1953, legge 1947 del 29.6.1939, legge 421 del 28.3.1968 e atto rep. 883 del 4/7/1970, per avere il (...) erroneamente escluso la natura pubblicistica del bene e la conseguente insuscettibilità di costituire oggetto di diritti di privati, dunque di possesso utile all'acquisto a titolo originario. Resistevano all'impugnazione i signori (...) La Corte d'appello confermava la decisione del (...) assumendo che non era stata provata dal (...) la natura di bene indisponibile dell'area (...) in cui sorgeva l'immobile oggetto della domanda, rilevando che, affinché un bene possa rivestire tale qualità, occorre sia la manifestazione di volontà in tal senso dell'ente pubblico che ne è titolare sia la sua effettiva ed attuale destinazione, mentre la delibera comunale del 12.3.1999, dalla quale risultava la volontà dell'amministrazione d'imprimere al bene tale destinazione, non era stata attuata ed era rimasta una mera previsione programmatica. La sentenza veniva impugnata dal (...) dinanzi alla Corte di Cassazione con due motivi con i quali era rispettivamente denunciata: 1) violazione dell'art. 111 Cost e 132 comma 1 e 4 per avere escluso la natura indisponibile dell'immobile oggetto di causa sulla base di circostanze - la delibera del 12.3.1999 e la sua asserita non esecuzione - mai introdotte in giudizio dalle parti, attinte dalla Corte da altri provvedimenti; 2) violazione e falsa applicazione dell'art. 113 c.p.c., 822 comma 2, 824 comma 1 c.c. art. 2 commi 1,2, e3, 10,12,53 commi 1 e 2 e 54 d.lgs. n. 42 del 2004 per non aver riconosciuto la natura pubblicistica dell'immobile perché appartenente al demanio culturale, e dunque la sua inalienabilità e insuscettibilità di diritti di privati. La Corte di Cassazione ha accolto il secondo motivo e rinviato la causa all'intestata Corte in diversa composizione collegiale, per accertare se l'area in cui è sito l'immobile oggetto di causa appartenga per atto dell'autorità o per le sue intrinseche caratteristiche al demanio culturale, provvedendo anche sulle spese di lite del giudizio di legittimità. Il giudizio di rinvio è stato riassunto dal (...) di (...) che ha concluso per l'accoglimento della domanda di rivendica sul fondamentale presupposto della natura demaniale dell'immobile. Hanno resistito i signori (...) e (...) subentrati ai genitori (...) e (...) nelle more deceduti. La causa, senza ulteriore attività istruttoria, è stata trattenuta in decisione all'udienza del 12 gennaio 2024, previa assegnazione di termini per il deposito di scritti conclusionali. MOTIVI DELLA DECISIONE La causa ritorna all'esame della Corte, in diversa composizione collegiale, per la decisione dell'unica questione della natura demaniale del complesso immobiliare di (...) nel quale l'immobile oggetto di causa è inserito, e del conseguente regime giuridico di inalienabilità e insuscettibilità di diritti privati di terzi. (...) normativo indicato dal (...) di (...) nell'atto di appello, richiamato dalla Corte di Cassazione, non può che portare all'affermazione della natura pubblica del comprensorio di (...) Non è infatti in contestazione che il complesso immobiliare appartenesse all'(...) di (...) subentrato all'(...) per la colonizzazione e la bonifica della regione (...) e che fosse vincolato per legge alla realizzazione di fini pubblicistici d'interesse generale. (...) Sez. 1, (...) n. 5024 del 09/06/1987 "i terreni acquisiti a seguito di espropriazione forzata al patrimonio degli enti di riforma agraria (trasformati dall'art. 1 legge 14 luglio 1965 n. 901 in enti di sviluppo) sono destinati, in modo vincolante, all'attuazione della funzione istituzionale di detti enti che, a norma dell'art. 1 legge 12 maggio 1950 n. 230, consiste nella redistribuzione della proprietà terriera e nella sua conseguente trasformazione, con lo scopo di ricavarne i terreni da concedersi in proprietà ai contadini. detti beni, pertanto, in quanto destinati ad un pubblico servizio non possono essere sottratti alla loro destinazione se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano, ai sensi degli artt. 830, cpv. e 828 cpv. cod. civ., onde l'impossibilità giuridica di una loro acquisizione da parte di terzi in virtù di usucapione, ancorché sia venuto a scadenza il termine ordinatorio previsto dall'art. 20 della legge 12 maggio 1950 n. 230 per l'assegnazione delle terre espropriate.". Destinazione pubblicistica che non è venuta meno neppure nei successivi trasferimenti. (...). 1 della L. 28.3.1968 n. 421 stabiliva che il trasferimento del complesso immobiliare dall'(...) al comune di (...) fosse effettuato ? tenendo contro dell'originaria destinazione, delle finalità di trasferimento e del programma di utilizzazione del terreno e fatto salvo il vincolo impresso ai sensi della legge 29 giugno 1939 n 1497 sul terreno?. Dunque, il complesso immobiliare di (...) sito di particolare pregio naturalistico, ricompreso tra il mare e lo stagno di (...) era espressamente assoggettato alla particolare tutela delle bellezze naturali (l. 1497 del 29-6-1939), confluita nell'attuale codice dei beni culturali e del paesaggio (d. lgs. 22 gennaio 2004 n. 42), che assoggetta i beni del patrimonio culturale al medesimo regime giuridico dei beni demaniali (art. 53), ossia all'inalienabilità e impossibilità di formare oggetto di diritti a favore di terzi ai sensi degli artt. 823 e 824 c.c.. I terreni ceduti dall'(...) al (...) con l'atto del 4/7/1070, oltre all'oggettiva caratteristica di bellezza naturale e paesaggistica, hanno anche una forte connotazione identitaria, così da poter essere sussunti anche tra i beni culturali di cui all'art. 10 co. 3 lett. d, soggetti alla medesima disciplina dei beni demaniali in forza del citato art. 53 del codice dei beni culturali. (...) delle bonifiche nella zona di (...) rappresenta, infatti, al pari di altre aree analoghe della (...) un sistema di interconnessioni tra viabilità storica, strutture di interesse archeologico e architettonico e altre componenti del paesaggio costituitesi, a partire dagli anni (...) del (...) durante l'attuazione del programma di bonifica e ruralizzazione da parte dell'ente ferrarese di colonizzazione, cui subentrò l'(...) e assume pertanto, come testimoniano i diversi elementi che lo caratterizzano e vi si intrecciano (l'area di bonifica, il frazionamento in poderi, le infrastrutture viarie storiche, le borgate, le architetture e i fabbricati agricoli anche precedenti) un significativo valore identitario. Il complesso immobiliare di (...) è pertanto soggetto al regime dei beni demaniali sia per le caratteristiche intrinseche di bellezza naturale, espressamente richiamate dall'articolo unico della l. 28/3/1968 n. 421 che ne ha autorizzato il trasferimento al (...) che per il valore storico identitario. Destinazione pubblicistica in ogni caso impressa da una disposizione legislativa che, come insegna la Corte di (...) non può venir meno che per effetto di una fonte di pari rango. Per i beni patrimoniali indisponibili la cui destinazione all'uso pubblico derivi da una determinazione legislativa, la declassificazione deve avvenire in virtù di un atto di pari rango, e dunque non può trarsi da una condotta concludente dell'ente proprietario; e che la cessazione tacita della patrimonialità indisponibile, così come della demanialità, postula in ogni caso che il bene abbia subito un'immutazione irreversibile tale da non essere più idoneo all'uso della collettività, ed a tal fine non è sufficiente la semplice circostanza obbiettiva che questo sia stato sospeso per lunghissimo tempo (v. Cons. Stato n. 30/91) ((...) 2, (...) n. 4430 del 2009). Da qui l'assoluta irrilevanza del preteso uso promiscuo che il (...) ne avrebbe fatto nel tempo. In ogni caso, e per quanto irrilevante per le ragioni dette, risulta che l'ente proprietario vi abbia anche eseguito concreti interventi pubblici, come opere di edilizia scolastica, un centro sportivo, complessi di edilizia economica popolare, l'ospedale, il palazzetto congressi e altro. Osserva, da ultimo, la Corte, come l'identica questione sia stata affrontata e risolta da (...) 2, Ordinanza n. 6486 del 12/03/2024, seppure con riferimento ai beni ceduti dall'(...) al comune di (...) In tale occasione il giudice di legittimità ha giudicato conforme ai principi di diritto reiteratamente affermati la sentenza della corte d'appello, che aveva rigettato la domanda di usucapione sull'assunto dell'insuscettibilità di diritti privati di terzi dei beni appartenuti agli enti di bonifica trasferiti ai comuni. Nell'occasione ha ribadito il principio che i terreni acquistati dagli enti di riforma fondiaria, "essendo destinati all'attuazione della funzione istituzionale dei medesimi, ossia quella della redistribuzione della proprietà terriera ai contadini, come stabilito dall'art. 1 della legge n. 230 del 1950 - non possono, in quanto destinati a un pubblico servizio, essere sottratti a tale finalità se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano, ai sensi degli artt. 830, secondo comma, cod. civ. e 828, secondo comma, cod. civ.; ne consegue l'impossibilità giuridica di una loro acquisizione da parte di terzi per usucapione, ancorché sia venuto a scadenza il termine ordinatorio previsto dall'art. 20 della medesima legge n. 230 del 1950 per l'assegnazione delle terre acquisite "((...) n. 4430/2009). La Corte ha inoltre chiarito come tale destinazione pubblicistica si fosse mantenuta anche a seguito del trasferimento del fondo dall'(...) di (...) agricolo al (...) sull'assunto che la "declassificazione" dei beni appartenenti al patrimonio indisponibile, la cui destinazione all'uso pubblico deriva da una determinazione legislativa, "deve avvenire in virtù di atto di pari rango, e non può, dunque, trarsi da una condotta concludente dell'ente proprietario, postulando la cessazione tacita della patrimonialità indisponibile, così come della demanialità, che il bene abbia subito un'immutazione irreversibile, tale da non essere più idoneo all'uso della collettività, senza che a tal fine sia sufficiente la semplice circostanza obiettiva che detto uso sia stato sospeso per lunghissimo tempo ((...) n. 2962/2012)". La natura demaniale del complesso immobiliare di (...) nel quale è inserito l'immobile occupato dal (...) e dalla sua famiglia, e la sua attuale soggezione al regime dei beni demaniali o comunque destinati per legge a finalità pubblicistiche, mai venute meno, li rende insuscettibili di possesso utile ai fini dell'usucapione, con conseguente rigetto della domanda proposta dal (...) e condanna dei suoi eredi, subentrati nell'occupazione, al rilascio dell'immobile nella disponibilità del (...) Le spese di lite di tutti i gradi del giudizio, in ragione della mancanza di un orientamento uniforme della giurisprudenza di merito, anche di questa stessa Corte, sono interamente compensate tra le parti. P.Q.M. la Corte, definitivamente pronunciando, disattesa ogni diversa deduzione, eccezione e domanda, accoglie l'appello proposto dal (...) di (...) avverso la sentenza n. (...)/14 del (...) di (...) in data (...), e per l'effetto 1) accerta che il compendio immobiliare sito in (...) distinto al n.c.e.u. al foglio (...) mappale (...) appartiene al demanio del (...) di (...) 2) rigetta la domanda di usucapione proposta da (...) e (...) 3) condanna (...) e (...) al rilascio dell'immobile libero da persone e cose; 4) compensa le spese di tutti i gradi del giudizio. Così deciso in Cagliari il 26 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 6 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte di Appello di Salerno, (...) composta dai magistrati: dr.ssa (...) relatore dr.ssa (...) dr.ssa (...) (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio civile di 2° grado iscritto al n. (...) del ruolo generale dell'anno 2022 TRA (...) in proprio e quale erede di (...) rappresentato e difeso dagli avv. (...) e (...) come da mandato in calce all'atto di appello (...) E (...) congiuntamente rappresentati e difesi dall' avv. (...) come da mandato su foglio separato allegato alla comparsa di costituzione e risposta (...)(...) avente ad oggetto: Appello avverso la sentenza n. (...)/22 del Tribunale di Salerno pubblicata il (...) (Proprietà) sulle CONCLUSIONI rassegnate dalle parti in conformità dei rispettivi atti di costituzione nelle note scritte inviate nel termine del 23/11/2023 fissato ex art. 127 ter cpc SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. Con atto di citazione notificato del 14/04/2012 (...) premesso che con rogito per notaio (...) del 06 luglio 1975 (...) aveva acquistato da (...) un terreno, ubicato in (...), località (...) di mq. 5322 circa; che successivamente, sulla base di una licenza edilizia rilasciata dal Comune nel marzo 1977, aveva edificato una consistenza immobiliare costituita da un locale terraneo adibito a negozio con annessi garages e I° piano costituito da n. 4 appartamenti e soffitte; che in scrittura privata successiva al suindicato rogito notarile (...) e la coniuge (...) avevano dichiarato che il predetto terreno e la consistenza immobiliare ivi edificata dovevano intendersi di proprietà comune con i germani (...) e (...) "per acquisto fattone con danaro comune con gli stessi"; che, in virtù della scrittura, (...) e (...) si erano immessi nel possesso della predetta consistenza immobiliare; che la menzionata scrittura aveva efficacia reale atteso che con la stessa era stata dichiarata la comproprietà del terreno e degli immobili ivi costruiti; che il complesso immobiliare era facilmente divisibile, conveniva in giudizio dinanzi alla (poi soppressa) sezione distaccata di (...) del Tribunale di (...) e (...) quali eredi del fratello (...) e (...) e (...) quali eredi di (...) al fine di sentir dichiarare l'efficacia reale della scrittura privata sottoscritta da (...) e (...) e per l'effetto dichiarare comproprietari del terreno acquistato con rogito (...) e dell'edificio ivi costruito esso attore ed i germani (...) e (...) e per essi, deceduti, i rispettivi eredi, per acquisto fattone con danaro comune, ordinando al contempo la trascrizione dell'emananda decisione di trasferimento della predetta consistenza immobiliare in comproprietà per un terzo ciascuno; dichiarare il fondamento del diritto allo scioglimento della comunione ordinaria e per l'effetto ordinarsi la divisione della consistenza immobiliare in tre parti uguali assegnando a ciascun condividente una porzione, con obbligo di rendiconto di tutto quanto percepito durante il possesso dei beni, con conguaglio. 2. Istaurato il contraddittorio, si costituivano in giudizio congiuntamente tutti i convenuti, (...)(...) e (...) che chiedevano il rigetto della domanda eccependo che né (...) né (...) avevano riconosciuto la scrittura privata, che comunque veniva disconosciuta nel contenuto e nell'efficacia anche dagli eredi di (...) e proponevano domanda riconvenzionale di rilascio dell'appartamento detenuto senza titolo da (...) 3. Con altro atto di citazione notificato il (...), (...) e (...) premesso di aver avuto, dalla seconda metà del mese di agosto del 1978, il possesso esclusivo di un appartamento al primo piano e di un locale garage al piano terra, facenti parte di un fabbricato allo stato grezzo in corso di costruzione sul suolo individuato alla part.lla (...) del NCT del Comune di (...) intestata a (...) ubicato alla via (...) 3, e di avervi fatto eseguire a proprie spese tutte le opere, gli impianti e le finiture occorrenti per l'ultimazione, stipulando altresì i contratti per le forniture di acqua, energia elettrica e allacciamento alla rete telefonica; che l'appartamento era stato fin da quell'epoca adibito ad abitazione del proprio nucleo familiare; che il (...) le unità immobiliari individuate dalla part.lla (...) (appartamento) e (...) (locale garage) erano state accatastate al (...) del Comune di (...) e contestualmente essi attori vi avevano trasferito la propria residenza anagrafica; che pertanto erano nel possesso esclusivo animo domini dei predetti beni sin dal settembre 1978 o quanto meno dall'ottobre 1985, convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di (...) gli eredi di (...) per sentire accertare l'intervenuta usucapione ventennale delle unità immobiliari identificate dalla particella 565 sub 7 (...) e sub 3 (locale garage) del foglio di mappa 6 del Comune di (...) con ordine di trascrizione al (...) dei (...) di (...) . 4. Si costituivano (...) e (...) che chiedevano il rigetto della domanda di usucapione all'uopo eccependo di essere le uniche proprietarie del compendio immobiliare; che (...) e la moglie (...) il (...) avevano contratto un mutuo di Lire 150.000.000 ponendo a garanzia il fabbricato; che avevano poi commissionato i lavori di completamento dell'immobile all'(...) ed al (...) che gli immobili di cui gli attori chiedevano accertarsi l'intervenuta usucapione erano di loro esclusiva proprietà ed erano stati concessi in locazione agli attori con contratti del 1978 e del 1996, tacitamente rinnovati sino alla richiesta di rilascio inviata da (...) con raccomandata a/r in data (...); che, non avendo ottenuto la restituzione dei beni, (...) nel 2011 aveva introdotto azione giudiziale dinanzi al Tribunale di (...) proc. n. (...)/2011 RG; che gli immobili dei quali gli attori pretendevano di essere dichiarati proprietari per usucapione, erano oggetto di espropriazione immobiliare da parte della (...) (oggi (...), proc. n. (...)/2011 RGE, ove erano state fissate pure le vendite; che la domanda degli attori era contraddittoria con quella, precedentemente introdotta, con la quale essi si erano dichiarati comproprietari dell'intero complesso immobiliare; che la condizione degli attori era di detenzione e non di possesso; che la loro iniziativa giudiziaria doveva ritenersi temeraria. 5. Con ordinanza del 15/05/2016 i due giudizi venivano riuniti. Il fascicolo della causa n.(...)/2012 RG andava smarrito e se ne disponeva la ricostruzione, che avveniva in modo parziale. Rigettate le istanze istruttorie, il Tribunale riservava la decisione concedendo i termini di cui all'art. 190 cpc. 6. Successivamente, con sentenza n. (...)/2022, il Tribunale di (...) rigettava la domanda di usucapione avanzata da (...) e (...) e la domanda di scioglimento della comunione avanzata dal solo (...) accertava che (...) e (...) occupavano sine titulo l'appartamento ed il locale deposito e ne ordinava il rilascio in favore di (...) e (...) eredi di (...) nel termine del 31/10/2022; condannava i soccombenti al pagamento delle spese di lite. 7. Con atto di appello notificato il (...) in proprio e quale erede di (...) ha impugnato la sentenza dinanzi a questa Corte al fine di ottenerne la riforma e, per l'effetto, per sentire "accogliere la domanda di trasferimento del terreno acquistato con atto a ministero del dott. (...) del 6 luglio 1975, individuato in catasto del Comune di (...) al foglio 6, p.lla n. 560/b (definitiva 565) di are 5322, nonché della consistenza immobiliare su di esso edificata, giusta licenza edilizia rilasciata dal Comune di (...), n. 1, del 17 marzo 1977, e successiva variante del 5 settembre 1977, n. 53, costituita da locale terraneo adibito a negozio, con annessi garages e I° piano, costituito da n. 4 appartamenti e soffitte, il tutto riportato in catasto al foglio 6, p.lla 565 sub 2,3,4,5,6,7,8,9,10 e 11 e comunque, rigettare, quella di rilascio per le ragioni espresse in motivazione. In via subordinata, nella denegata ipotesi di mancato accoglimento dell'appello principale, si chiede che venga dichiarato in favore dell'appellante (...) per intervenuta usucapione ultraventennale, l'acquisto della proprietà piena ed esclusiva dell'appartamento, sito nel Comune di (...) catastalmente individuato al (...), (...), con annesso locale garage, particella, (...) ordinando ai competenti uffici della (...) delle (...) di effettuare le opportune e dovute trascrizioni e volturazioni". In via istruttoria l'appellante ha articolato prova per testi; in via cautelare ha fatto richiesta di sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza. 8. Istaurato il contraddittorio, si sono costituite (...) e (...) le eredi di (...) che, eccepite in via preliminare l'inammissibilità dell'appello ai sensi dell'art 342 cpc, la nullità della procura all'impugnazione rilasciata da (...) e l'infondatezza dell'istanza di sospensione, hanno resistito ai motivi di gravame, di cui hanno chiesto il rigetto, col favore delle spese. Hanno chiesto, altresì, la condanna di parte appellante al pagamento di una indennità per l'occupazione senza titolo degli immobili dalla data 31/10/22, termine indicato nella sentenza appellata, sino all'effettivo rilascio, da quantificarsi nella misura di euro 500,00 mensili ovvero in quella somma ritenuta giusta ed equa dal Giudice, con rivalutazione ed interessi, nonché la condanna dell'appellante ai danni per lite temeraria art 96 cpc per evidente inammissibilità dell'appello. 9. La Corte, accolta l'istanza di sospensione della condanna al rilascio degli immobili in considerazione dell'età avanzata e delle patologia dalle quali risultava affetto l'appellante, ha rinviato la causa per la precisazione delle conclusioni. Successivamente, sulle conclusioni rassegnate dalle parti in conformità dei rispettivi atti di costituzione nelle note scritte inviate nel termine del 23/11/2023 fissato ai sensi dell'art. 127 ter cpc, con ordinanza del 07/12/ 2023 ha riservato la decisione concedendo i termini di cui all'art. 190 c.p.c. MOTIVI DELLA DECISIONE 10. (...) in proprio e nella spiegata qualità, ha articolato tre motivi di appello: 10.1. con il primo motivo -- (...) valutazione della domanda di trasferimento. Vizio di motivazione - l'appellante ha censurato la sentenza impugnata facendo rilevare che il Giudice, pur rigettando "tutte le domande attoree per le ragioni espresse in motivazione", si era limitato ad esaminare le sole domande di usucapione e di divisione ma non anche quella di trasferimento della consistenza immobiliare in comproprietà per 1/3 a ciascuno dei tre germani (...) né aveva offerto alcuna motivazione del rigetto. La domanda era, invece, fondata e meritava accoglimento in quanto tra i germani (...) e (...) era stato posto in essere un patto fiduciario in virtù del quale (...) aveva acquistato da (...) con atto per notaio (...) del 06/07/1975, "anche per nome e per conto dei fratelli fiducianti e soprattutto anche con loro denaro", il terreno di mq 5322 circa ubicato in (...) alla località (...) su cui poi era stato costruito, sempre con denaro comune, giusta licenza edilizia n. 1 del 17/03/1977 il complesso immobiliare identificato in catasto al (...); detta operazione era stata poi descritta nella scrittura a firma di (...) e della di lui coniuge (...) che costituiva un atto ricognitivo non già del trasferimento ma dell'intestazione fiduciaria degli immobili e dalla quale conseguiva l'esonero per il fiduciante dall'onere della prova del rapporto fondamentale, che si presumeva fino a prova contraria. La domanda degli appellanti di esecuzione specifica dell'obbligo di trasferimento gravante sul fiduciario era pertanto fondata ed il giudice di prime cure era caduto in errore laddove aveva qualificato la scrittura come "atto ricognitivo di diritti reali", essendo esso, invece, un atto ricognitivo della intestazione fiduciaria dei beni, da cui, ai sensi dell'art. 1706 cc, conseguiva in capo al mandante l'obbligo di ritrasferimento della quota di 1/3. Priva di alcun rilievo doveva poi ritenersi la circostanza che il fascicolo d'ufficio rg. (...)/2012 e la scrittura ricognitiva in esso contenuta erano stati smarriti nel trasferimento dalla sede distaccata del Tribunale alla sede (...)quanto, oltre ad essere una evenienza non dipesa dall'appellante e che dunque, non poteva produrre effetti pregiudizievoli in suo danno, il documento era stato prodotto anche nel successivo giudizio rg. 533/2015 ed esaminato dal Giudice, che l'aveva posto a fondamento delle ragioni del rigetto della domanda di divisione. (...) fa infine rilevare che, in tema di prova documentale, il Giudice è comunque tenuto a disporre la ricerca dei documenti invocati dalla parte ma non reperiti nel fascicolo di ufficio al momento della decisione e, in caso di esito negativo, ad autorizzare la ricostruzione del loro contenuto ove si tratti di documenti ritualmente prodotti ed il cui mancato rinvenimento non sia riconducibile a condotta volontaria della parte; 10.2. con il secondo motivo -- (...) accoglimento della domanda di revindica. Mancanza della probatio diabolica -- l'appellante lamenta che il primo Giudice sia incorso in errore nella valutazione dell'onere della prova sulla domanda di rivendicazione. Richiama a tal fine il principio per cui chi agisce in rivendicazione deve provare la sussistenza del proprio diritto di proprietà o di altro diritto reale sul bene anche attraverso i propri danti causa fino a risalire a un acquisto a titolo originario o dimostrando il compimento dell'usucapione, e fa rilevare che tale regola non può ritenersi attenuata per il solo fatto che la controparte proponga domanda riconvenzionale ovvero eccezione di usucapione. Nella specie, in spregio a siffatto principio, le appellate erano state del tutto sollevate dalla probatio diabolica della proprietà del bene e non avevano neppure dimostrato la loro legittimazione attiva giacché non avevano prodotto l'atto (...) del 1975 di acquisto del terreno da parte di (...) che, in quanto relativo a beni immobili, richiedeva la prova scritta ad substantiam. (...). 115, comma 1, cpc, infatti, non opera nel caso in cui il fatto costitutivo del diritto azionato sia rappresentato da un atto per il quale la legge impone la forma scritta "ad substantiam". (...) l'appellante, la sentenza era poi contraddittoria in ordine alla valutazione delle prove giacché il Giudice aveva considerato non provata dall'appellante la comproprietà a causa della mancata ricostruzione del fascicolo smarrito e aveva invece considerato provato il diritto di proprietà degli appellati nonostante che questi non avessero depositato alcun titolo di proprietà con riguardo al terreno ed agli immobili costruiti; . 10.3. con il terzo motivo d'appello -- (...) domanda di usucapione -, proposto in via subordinata, l'appellante ha censurato la sentenza nella parte in cui il Giudice aveva rigettato la domanda di usucapione per la stipula di due contratti di locazione, prodotti in giudizio dai convenuti, odierni appellati, ove (...) e (...) figuravano quali conduttori e, pertanto, meri detentori degli immobili. Lamenta l'appellante che il giudice di primo grado avrebbe invece dovuto ammettere la prova per testi da lui articolata al fine di far emergere la causa concreta dei contratti di locazione, che erano finalizzati esclusivamente ad ottenere il trasferimento della residenza anagrafica e l'allaccio delle utenze da parte dell'appellante, e contesta altresì le ragioni del rigetto della prova testimoniale da parte del Giudice, che aveva ritenuto non dedotta dall'appellante la simulazione dei contratti medesimi, e richiama all'uopo giurisprudenza di legittimità (Cass. n, 4933/2016) in ordine all'ammissibilità dell'eccezione di simulazione anche in sede (...)ogni caso, rilevare che la dimostrazione che i contratti di locazione erano stati stipulati al fine di far ottenere a (...) la residenza da parte poteva evincersi sia dalla circostanza che in oltre trenta anni erano stati stipulati soltanto due contratti di locazione, sia dalla mancata contestazione da parte dei convenuti che nessun canone di locazione era stato mai pagato. Pertanto anche la domanda di usucapione, proposta in via subordinata, avrebbe dovuto essere accolta. 11. Gli eredi di (...) hanno resistito all'impugnazione facendo in particolare rilevare che, anche a voler qualificare la scrittura privata unilaterale come promessa di trasferimento della proprietà, parte attrice avrebbe dovuto introdurre una domanda ex art. 2932 cc, che attualmente sarebbe prescritta; che i contratti di locazione, stipulati successivamente, sconfessavano il tenore della scrittura; che l'eventuale 'negozio fiduciario' richiedeva la forma scritta ad substantiam a pena di nullità; che l'azione di usucapione introdotta da (...) era contraddittoria con il tenore della predetta scrittura; che la prova per testi era stata rigettata con motivazione che avrebbe dovuto essere tempestivamente contestata dinanzi al primo Giudice, non potendo essere contestata direttamente in appello. 12. Preliminarmente va disattesa l'eccezione di inammissibilità dell'appello per violazione delle prescrizioni dell'art. 342 cpc, e ciò in quanto, benché, sotto il profilo strettamente formale, l'atto non sia del tutto coerente con la norma richiamata, la sua attenta lettura consente comunque di evincere le parti della sentenza che si impugnano e le ragioni di doglianza, che peraltro anche parte appellata dimostra di aver ben compreso e che ha confutato. 13. In via preliminare va altresì disattesa l'eccezione di nullità per illeggibilità della procura alla lite rilasciata (...) per l'introduzione del presente grado di giudizio. Ed infatti, per principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, " In materia di procedimento civile, la procura speciale apposta nell'atto di citazione (e in tutti gli atti indicati all'art. 81, terzo comma, cod. proc. civ.) deve essere sottoscritta da chi la conferisce e la sottoscrizione può risultare da qualunque segno grafico che indichi il nome ed il cognome dell'autore dell'atto, anche se espresso in forma abbreviata, purché decifrabile; mentre, se la sottoscrizione è stata apposta con firma illeggibile, la procura è valida quando il riferimento agli atti processuali consente di non avere dubbi sull'individuazione del sottoscrittore" (Cass. 2006/21245 e, con riferimento alle società, SU 2005/4814, ove si legge che "(...)à della firma del conferente la procura alla lite, apposta in calce od a margine dell'atto con il quale sta in giudizio una società esattamente indicata con la sua denominazione, è irrilevante, non solo quando il nome del sottoscrittore risulti dal testo della procura stessa o dalla certificazione d'autografia resa dal difensore, ovvero dal testo di quell'atto, ma anche quando detto nome sia con certezza desumibile dall'indicazione di una specifica funzione o carica, che ne renda identificabile il titolare per il tramite dei documenti di causa o delle risultanze del registro delle imprese"). Ritiene la Corte che nella specie non sia ravvisabile alcun vizio della procura giacché la firma del sottoscrittore (...) appare leggibile, l'indicazione del nome del sottoscrittore è fatta nel corpo dell'atto e la sottoscrizione è autenticata dai difensori. 14. Nel merito l'appello va rigettato. 14.1. Il primo motivo è infondato. 14.1.1. Rileva la Corte che, con la domanda introduttiva del giudizio di primo grado n. 287/2012 RG, (...) sul presupposto che la scrittura privata sottoscritta da (...) e dalla moglie (...) doveva "considerarsi valida a tutti gli effetti e conseguenze di legge in quanto ha efficacia reale, atteso che con la stessa è stata dichiarata la comproprietà del terreno di mq 5322 e della consistenza immobiliare ivi edificata in favore dei germani (...) 'per acquisto fattone con danaro comune '", rappresentava il proprio "interesse a procedere allo scioglimento della comunione ordinaria della menzionata consistenza immobiliare, con attribuzione di quanto allo stesso dovuto per la quota di sua spettanza " e pertanto chiedeva al Tribunale di "1. Accertare e dichiarare l'efficacia reale della scrittura", per l'effetto "dichiarare comproprietari i germani (...) per l'acquisto fattone con danaro comune", disponendo "la trascrizione della decisione di trasferimento della consistenza immobiliare in comproprietà per 1/3 ciascuno". (...) base di questa statuizione, chiedeva poi lo scioglimento della comunione e la divisione degli immobili in parti uguali, con i rendiconti ed eventuali conguagli. Il Giudice di primo grado ha rigettato la domanda ritenendo che la dichiarazione di (...) rientrasse "nell'ambito delle dichiarazioni ricognitive del diritto reale realmente intestato al dichiarante , in cui il dichiarante afferma che altri - in questo caso, insieme a lui - è titolare del bene a lui intestato, e ciò attraverso enunciazioni di diverso tenore tendenti a rendere ragione della divergenza esistente tra titolarità formale del bene e realtà sostanziale (come nella fattispecie, acquisto da parte del dichiarante con mezzi finanziari forniti anche da altri). Questo tipo di dichiarazione non vale a costituire in capo al destinatario la titolarità del bene. La proprietà 'legale' resta al dichiarante. Trattandosi di dichiarazioni attestanti circostanze di fatto, appaiono inidonee a far acquistare la titolarità del bene, essendo indispensabile, per l'effetto acquisitivo, una valida ed efficace manifestazione negoziale e non bastando una semplice dichiarazione ricognitiva..."(cfr. pagg. 15,16 della sentenza impugnata). Con l'appello qui proposto (...) ha contestato la decisione facendo rilevare che "è pacifico come tra i germani (...) e (...) venne posto in essere un patto fiduciario o meglio una interposizione reale fiduciaria, in virtù della quale il primo acquistava da (...) anche per nome e per conto dei fratelli e soprattutto anche con loro denaro, il terreno (...) su cui poi, veniva costruito sempre con denaro comune giusta licenza edilizia n. 1 del 17 marzo 1977 e, successiva variante del 5 settembre 1977 n. 53, il complesso immobiliare (...). Operazione, questa, dettagliatamente indicata nella dichiarazione a firma del sig. (...) e della di lui coniuge la (...) in cui testualmente: 'dichiaro ai miei germani (...) e (...) che il suolo acquistato per atto per notar (...) sopradescritto e la relativa costruzione sopraesistente, con annesse opere murarie accessorie, è da intendersi di proprietà comune con i miei germani (...) e (...) perché acquistato quanto al suolo con denaro di proprietà comune e quanto alla costruzione ed accessori realizzata con denaro comune'" ; che "tra i germani venne ad esistenza un vero e proprio pactum fiduciae, in cui il fiduciario, (...) si obbligava ad acquistare il terreno anche per nome e per conto dei fiducianti (...) e (...) oltre che con il loro denaro, di guisa che legittima è la richiesta degli appellanti al ritrasferimento del suddetto compendio immobiliare, in conformità al principio granitico secondo cui vale per il patto fiduciario immobiliare quanto già la giurisprudenza ha statuito in materia di mandato ad acquistare, per il quale si è affermata la libertà di forma anche quando ha ad oggetto un diritto reale immobiliare. Di conseguenza, la dichiarazione del titolare dell'immobile che riconosce il carattere fiduciario della propria intestazione ha valore ricognitivo, e di essa si può avvalere il fiduciante per fondare la domanda di esecuzione specifica dell'obbligo di ritrasferimento gravante sul fiduciario. Cassazione civile sez. un., 06/03/2020, n.6459"; che pertanto " il giudice di prime cure ha errato nella parte in cui ha inteso qualificare la suddetta scrittura quale "atto ricognitivo di diritti reali" e, per l'effetto, privo di efficacia costitutiva del diritto vantato, obliterando che questo, in realtà, fosse sì un atto ricognitivo, ma non di un diritto dominicale bensì dell'intestazione fiduciaria dei beni, ossia del patto con il quale il fiduciario (...) nel 1975, in nome proprio ed anche per conto dei fratelli, si obbligava ad acquistare da (...) il terreno oggetto di causa, con il conseguente impegno per il mandate a ritrasferirlo ex art. 1706 c.c." 14.1.2. La prospettazione della vicenda contenuta in atto di appello e la domanda avanzata nella precisazione delle conclusioni sono evidentemente diverse rispetto a quelle contenute nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado, e pertanto sono inammissibili ai sensi dell'art. 345 cpc. Ed infatti, sì come risulta chiaro dal tenore letterale dell'atto di citazione testé riportato, l'attore (...) aveva chiesto lo scioglimento della comunione sull'espresso presupposto dell'efficacia reale della scrittura, ritenendo cioè che l'effetto acquisitivo della proprietà del suolo e delle costruzioni su di esso realizzate si fosse già verificato e chiedendo, di conseguenza, al Tribunale di dichiarare la comproprietà dei beni tra i fratelli; con l'atto di appello, invece, il (...) ha mutato la causa petendi, allegando che la scrittura fosse atto ricognitivo non già del trasferimento ma dell'intestazione fiduciaria dei beni a (...) e che quest'ultimo, in virtù di un patto fiduciario con i fratelli, aveva l'obbligo di ritrasferirli ai sensi dell'art. 1706 cc. In questa sede di gravame la vicenda è stata quindi inquadrata nell'ambito di un contratto di mandato senza rappresentanza, in virtù del quale (...) avrebbe acquistato il fondo e realizzato la costruzione in nome proprio ma nell'interesse anche degli altri fratelli e con danaro comune, restando conseguentemente obbligato a ritrasferire a (...) e (...) le rispettive quote. 14.1.3. In ogni caso, anche a voler diversamente ragionare e a voler cioè ritenere che la generica domanda proposta in primo grado da (...) presupponesse l'esistenza di un patto fiduciario in forma verbale che esonerava la parte dall'onere di provare il rapporto sottostante, osserva la Corte che egli avrebbe comunque dovuto chiedere l'adozione di una sentenza costitutiva del trasferimento ai fratelli e non, invece, limitarsi a chiedere l'adozione di una sentenza dichiarativa del già avvenuto trasferimento (cfr. sul punto Cass. SU 2020/6459 che ha enunciato il principio per cui " Per il patto fiduciario con oggetto immobiliare che s'innesta su un acquisto effettuato dal fiduciario per conto del fiduciante, non è richiesta la forma scritta ad substantiam; ne consegue che tale accordo, una volta provato in giudizio, è idoneo a giustificare l'accoglimento della domanda di esecuzione specifica dell'obbligo di ritrasferimento gravante sul fiduciario"). Ne consegue che non è ravvisabile nella sentenza impugnata il denunciato vizio di omessa pronuncia sulla domanda di trasferimento. 14.2. Va disatteso anche il secondo motivo di appello. Ritiene la Corte che correttamente il Tribunale ha accolto la domanda riconvenzionale di rilascio degli immobili detenuti dall'attore, qualificata come revindica, valorizzando la circostanza che non v'era alcuna contestazione dell'acquisto del fondo con l'atto (...) del 1975 da parte di (...) e del successivo acquisto, per accessione, della proprietà della costruzione realizzata su di esso. Ed infatti la circostanza che (...) avesse acquistato il fondo con atto (...) del 1975 e successivamente realizzato l'edificio nel 1977, divenendone proprietario per accessione, era stata allegata nel giudizio del 2012 proprio dall'attore (...) e non costituiva oggetto di controversia (rendendo di conseguenza non necessario che parte convenuta producesse il documento in giudizio). La questione controversa tra le parti era invece costituita esclusivamente dalla comproprietà dei beni in capo ai tre fratelli, che l'attore (...) aveva prospettato sulla base della scrittura a firma del fratello (...) e della moglie (...) al fine di ottenere lo scioglimento della comunione, allegando di essersi immesso nel possesso degli immobili proprio "in esecuzione ed attuazione della scrittura privata". Ne consegue che, tenuto conto dell'oggetto del giudizio, l'onere della prova gravante sulle convenute, eredi di (...) con riferimento alla domanda riconvenzionale di rilascio dei beni occupati dall'attore sine titulo risultava necessariamente attenuata rispetto alla probatio diabolica dell'azione di revindica. 14.3. Va rigettato anche l'ultimo motivo di gravame. La motivazione del primo Giudice, che ha disatteso la domanda di usucapione proposta dal (...) rilevando la condizione di detentore dell'attore in virtù di due contratti di locazione stipulati con il fratello (...) non impugnati per simulazione, è corretta e va confermata non potendo la simulazione essere eccepita per la prima volta in questa sede di gravame. Ed infatti, contrariamente a quanto ritenuto dall'appellante, nella richiamata pronuncia (cfr. Cass. 2016/4933) non si afferma la ammissibilità di una eccezione di simulazione sollevata per la prima volta in appello ma si richiama un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità (cfr. già Cass.1988/9916; 2006/13459, e successivamente Cass. 2023/25346) per cui, se nessuna delle parti allega l'esistenza della simulazione, il giudice non può ritenerla e, se la ritiene, la pronuncia viola il disposto dell'art. 112 c.p.c.; ciò perché la disciplina della simulazione va posta in relazione con il principio della corrispondenza fra chiesto e pronunciato che vieta al giudice di fondare la decisione su fatti e situazioni estranei alla materia del contendere. "La simulazione - che, in virtù del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, deve essere allegata dalle parti - se è fatta valere in via d'azione deve essere dedotta, a pena di inammissibilità, nel giudizio di primo grado, mentre, se è formulata come eccezione, può essere riproposta anche in appello"(cfr. Cass. 2016/4933). Va, altresì, rilevato che la prova articolata da (...) essendo finalizzata a dimostrare che i contratti erano stati stipulati al solo fine di consentirgli di trasferire la residenza anagrafica nel Comune di (...) e che tra le parti non era intercorso alcun pagamento di canoni, era riferita a circostanze che, se fossero state confermate dai testi, comunque non avrebbero giovato alla domanda di usucapione proposta dall'attore essendo rappresentative di una condizione non di possesso ad usucapionem ma di detenzione, verosimilmente riconducibile ad un rapporto di comodato sì come pare ricavarsi dalla racc.ta a.r. inviata da (...) e (...) a (...) in data (...). Ne consegue che prive di alcuna rilevanza sono le ulteriori osservazioni fatte dall'appellante sia in ordine alla 'stranezza' costituita dal fatto che nell'arco di circa trent'anni erano stati stipulati soltanto due contratti di locazione - osservazione che, a parte l'inconcludenza, contrasta con l'avversa, e non contestata, allegazione che i contratti si erano rinnovati negli anni, sino a quando, all'ultima scadenza, (...) non aveva chiesto il rilascio degli immobili -, sia in ordine alla finalità di far emergere, attraverso la prova, la 'causa concreta' dei due contratti e alla mancata contestazione che non veniva versato alcun corrispettivo per la locazione -- che, come già rilevato, costituiscono, anch'essi, elementi in sé insufficienti a dimostrare il possesso ad usucapionem. La motivazione di rigetto era tuttavia fondata anche sulla inammissibilità della prova ai sensi dell'art. 2722 cc e dell'art. 1417 cc, che costituiscono ulteriori rationes decidendi che avrebbero dovuto essere specificamente impugnate dall'appellante. 15. La domanda di pagamento dell'indennità di occupazione sine titulo va dichiarata inammissibile in quanto è stata avanzata dalle appellate per la prima volta con la comparsa di costituzione in grado di appello. Va altresì rigettata la domanda di risarcimento ex art. 96 cpc non ravvisandosi i presupposti della lite temeraria. 16. La sentenza impugnata va pertanto confermata. 17. Le spese di giudizio si liquidano in dispositivo in applicazione dei parametri di cui al DM n. 55/2014 come aggiornati dal DM. n. 147/2022, tenendo conto che il valore della causa è compreso nello scaglione da Euro 52.001,00 ad Euro 260.000,00, negli importi medi e per le fasi espletate (studio, introduttiva e decisionale). P.Q.M. La Corte di Appello di Salerno definitivamente pronunciando sull'appello proposto da (...) in proprio e quale erede di (...) avverso la sentenza del Tribunale di (...) n. (...)/2022, depositata il (...) e notificata in pari data, così provvede: 1. RIGETTA l'appello; 2. (...) in proprio e nella spiegata qualità, al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in favore di (...) e (...) quali eredi di (...) a titolo di compenso, in Euro 9.991,00, oltre rimborso forfettario del 15% per spese generali, iva e cap, con attribuzione all'avv. (...) che dichiara di averne fatto anticipo. La Corte da atto che sussistono le condizioni di cui all'art. 1, co.17 e 18, L. n. 228/2012 per il versamento da parte dell'appellante di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SECONDA SEZIONE CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: LORENZO ORILIA Presidente MAURO MOCCI Consigliere GIUSEPPE GRASSO Cons. Rel. ANTONIO MONDINI Consigliere STEFANO OLIVA Consigliere Oggetto: POSSESSO Ud. 12/03/2024 PU R.G.N. 4396/2018 ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso 4396/2018 R.G. proposto da: MIGLIORETTO ALESSANDRO e TODESCO TRANQUILLA, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MARCO MARULO 87, presso lo studio dell’avvocato STEFANO NICOLUCCI, che li rappresenta e difende; – ricorrenti – contro GOBBO GIULIANO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LIVIO ANDRONICO 24, presso lo studio dell’avvocato ILARIA ROMAGNOLI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato STEFANO ROSSI; – controricorrenti – GOBBO LAURA; – intimata – avverso la sentenza n. 2395/2017 della CORTE D'APPELLO di VENEZIA, depositata in data 26/10/2017; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12.03.2024 dal Consigliere GIUSEPPE GRASSO; Udito il P.M. in persona del Sostituto procuratore Generale ROSA MARIA DELL’ERBA, che ha concluso per il rigetto del ricorso. Uditi l’avvocato CLAUDIO RONCHIETTO su delega orale dell’avvocato STEFANO NICOLUCCI per i ricorrenti e l’avvocato STEFANO ROSSI per il controricorrente. FATTI DI CAUSA 1. Giuliano e Laura Gobbo agirono in rivendicazione nei confronti di Alessandro Miglioretto e Tranquilla Todesco, in relazione a uno stacco di terreno, che i convenuti possedevano. I convenuti si costituirono chiedendo il rigetto della domanda. Il Tribunale accolse la domanda. 2. La Corte d’appello di Venezia rigettò l’impugnazione dei soccombenti convenuti. 2. 1. Questo, in sintesi, per quel che ancora qui rileva, il ragionamento del Giudice di secondo grado. - il Tribunale era giunto a corretta valutazione delle emergenze probatorie, sia avuto riguardo ai titoli, che al consolidarsi, comunque, del diritto di proprietà in capo agli appellati per la maturata usucapione attraverso la successione nel possesso; - la statuizione possessoria intervenuta fra le parti, che aveva assegnato tutela al Miglioretto, non interferiva con la causa petitoria. 3. Alessandro Miglioretto e Tranquilla Todesco proponevano ricorso avverso la sentenza d’appello sulla base di tre motivi. Gli intimati resistevano con controricorso. 4. Il Consigliere relatore, formulava proposta ai sensi dell’allora vigente art. 380bis cod. proc., d’improcedibilità per << per omesso deposito copia autentica della notifica della sentenza impugnata >> , rimettendo la causa alla trattazione in camera di consiglio non partecipata della Sezione Sesta. 5. I ricorrenti depositavano memoria. 6. La Sez. Sesta, con ordinanza depositata il 6/3/2019, rimetteva il processo alla pubblica udienza. 7. Fissata per la trattazione l’odierna pubblica udienza, il P.G., conclusioni scritte. RAGIONI DELLA DECISIONE. 1. Per non mancare di evidenziare la piena consapevolezza del Collegio sul punto è utile premettere all’esame del merito che, come affermato da questa Corte, << nel giudizio di cassazione la proposta di trattazione camerale ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c. non riveste carattere decisorio e non deve essere motivata, essendo destinata a fungere da prima interlocuzione fra il relatore e il presidente del collegio, senza che risulti in alcun modo menomata la possibilità per quest'ultimo, all'esito del contraddittorio scritto con le parti e della discussione in camera di consiglio, di confermarla o di non condividerla, con conseguente rinvio alla pubblica udienza della sezione semplice, in base all'art. 391 bis, comma 4, c.p.c.; né il contenuto e la funzione di tale disposizione sono mutati all'esito del Protocollo di intesa tra la Corte di cassazione, il Consiglio Nazionale Forense e l'Avvocatura generale dello Stato sull'applicazione del "nuovo rito" ai giudizi civili di cassazione, intervenuto in data 15 dicembre 2016, che ha previsto l'"informazione circa le ragioni dell'avvio del ricorso alla trattazione in adunanza camerale". Ne consegue che in un giudizio di revocazione la suddetta proposta non può valere come indebita anticipazione del giudizio ad opera del consigliere relatore, né tantomeno comportare un obbligo di astensione di cui all'art. 51, n. 4, c.p.c. >> (cfr. Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 2720 del 05/02/2020 Rv. 657246; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 27305 del 07/10/2021 Rv. 662443). Ed ancora: << in tema di ricusazione nell'ambito del procedimento di cassazione ex art. 380-bis c.p.c., non ricorre l'obbligo di astensione di cui all'art. 51, n. 4, c.p.c., in capo al giudice relatore autore della proposta di cui al primo comma della citata disposizione, in quanto detta proposta non riveste carattere decisorio, essendo destinata a fungere da prima interlocuzione fra il relatore e il presidente del collegio, senza che risulti in alcun modo menomata la possibilità per il collegio, all'esito del contraddittorio scritto con le parti e della discussione in camera di consiglio, di confermarla o modificarla >> (cfr. Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 7541 del 16/03/2019 Rv. 653507). 2. Deve preliminarmente affermarsi la procedibilità del ricorso. 2. 1. Appare utile una, pur sommaria, ricostruzione dei principi, oramai consolidatisi, elaborati da questa Corte di legittimità in materia d’improcedibilità ai sensi dell’art. 369 cod. proc. civ. Va subito anticipato che il complesso delle decisioni sul punto è stato diretto al fine di eliminare qualunque ostacolo non indispensabile per ricorrere al giudizio di legittimità, nell’ottica di elidere quelle preclusioni non direttamente correlate alla necessità d’assicurare l’ordinata e celere accesso al giudizio nel merito delle doglianze, fermo il dovere di autoresponsabilità della parte processuale, che, adendo la Corte, è chiamata al tempestivo deposito degli atti di cui all’art. 369 cit., strumentali alla verifica del diritto processuale all’esame della domanda di giustizia in sede di legittimità. Si è così giunti ad affermare, quanto al rispetto dell’onere del tempestivo deposito della copia autentica della sentenza impugnata, che il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall'ultima notificazione, di copia analogica della decisione impugnata - redatta in formato elettronico e sottoscritta digitalmente, e necessariamente inserita nel fascicolo informatico -, priva di attestazione di conformità del difensore ex art. 16 bis, comma 9 bis, del d.l. n. 179 del 2012, convertito dalla l. n. 221 del 2012, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non determina l'improcedibilità del ricorso per cassazione laddove il controricorrente (o uno dei controricorrenti), nel costituirsi (anche tardivamente), depositi a sua volta copia analogica della decisione ritualmente autenticata, ovvero non disconosca la conformità della copia informale all'originale; nell'ipotesi in cui, invece, la controparte (o una delle controparti) sia rimasta soltanto intimata, ovvero abbia effettuato il suddetto disconoscimento, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità il ricorrente ha l'onere di depositare l'asseverazione di conformità all'originale della copia analogica, entro l'udienza di discussione o l'adunanza in camera di consiglio (S.U. n. 8312 del 25/03/2019, Rv. 653597 – 02; conf., ex multis, Cass. n. 3727, 12/02/2021). Non registrandosi contestazione alcuna della controparte, alla luce di quanto esposto, il ricorso è procedibile. 3. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 2909, 1158 e 1167 cod. civ. Secondo l’assunto il Giudice di secondo grado era incorso in errore per non avere riconosciuto la preclusiva valenza di giudicato nascente dalla sentenza n. 382/2006 del Tribunale di Belluno, divenuta irrevocabile perché non impugnata, la quale, secondo gli esponenti << aveva accolto domanda petitoria >> del Miglioretto nei confronti di Giuliano Gobbo. In virtù della predetta statuizione, della quale i ricorrenti riportano stralci in seno al ricorso, risultava che la parte ricorrente possedeva il piazzale già da diversi anni prima del 1993, anno in cui aveva avviato un’azienda agrituristica e, per converso, << la totale mancanza di possesso >> in capo alla controparte. In violazione del maturato giudicato esterno, continuano i ricorrenti, e in violazione degli artt. 1158 e 1167 cod. civ., la Corte di Venezia aveva ignorato che nell’invocata sede era stato affermato il possesso continuato e non interrotto per il tempo sufficiente all’acquisto del diritto. Lo spoglio operato da Giuliano Gobbo nell’anno 1999 era stato accertato dall’invocata sentenza, con la quale il Tribunale aveva ordinato la reintegrazione nel possesso in favore di Alessandro Miglioretto. 3. 1. La doglianza è infondata. I ricorrenti, va stigmatizzato, dopo avere esordito affermando che la sentenza, della quale invocano la forza del giudicato, aveva accolto << domanda petitoria >> del Miglioretto, il cui “diritto” era stato riconosciuto da quel Giudice, qualificano l’azione esperita come diretta a tutela dello spoglio perpetrato da Giuliano Gobbo e, ulteriormente, precisano che la predetta sentenza aveva condannato alla reintegra la controparte. Inequivocamente la sentenza qui impugnata riporta il precedente giudiziario intercorso tra le parti spiegando che ebbe a trattarsi di un giudizio possessorio intentato nei confronti di Giuliano Gobbo. In materia, al fine di disattendere la censura, vanno ripresi i principi di diritto più volte enunciati da questa Corte e ai quali il Collegio intende dare continuità. Le azioni proposte, rispettivamente, in sede possessoria e petitoria, pur nell'eventuale identità soggettiva sono caratterizzate dall'assoluta diversità degli altri elementi costitutivi (causa "petendi" e "petitum"); ne consegue che nel giudizio petitorio non possono essere invocati i provvedimenti emessi in sede possessoria, ne' le argomentazioni e le circostanze risultanti dalla sentenza che ha definito quel giudizio, giacché queste ultime hanno rilievo solo in quanto si trovino in connessione logica e causale con la decisione in sede possessoria, e perciò, lasciando impregiudicata ogni questione, sulla legittimità della situazione oggetto della tutela possessoria, non possono influire sull'esito del giudizio petitorio (Sez. 2, n. 7747, 20/07/1999, Rv. 528790). Si è poi, in esatta linea di continuità, chiarito che nel giudizio possessorio l'accoglimento della domanda prescinde dall'accertamento della legittimità del possesso, perché è finalizzato a dare tutela ad una mera situazione di fatto avente i caratteri esteriori della proprietà o di un altro diritto reale. Ne consegue che il giudicato formatosi sulla domanda possessoria è privo di efficacia nel giudizio petitorio avente ad oggetto l'accertamento dell'avvenuto acquisto del predetto diritto per usucapione, in quanto il possesso utile ad usucapire deve avere requisiti che non vengono in rilievo nei giudizi possessori (Sez. 2, n. 21233, 05/10/2009, Rv. 610215; conf., ex multis, Cass. n. 27513/2020, Cass. n. 24260/2023, non mass.). 4. Con il secondo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 116 e 132 cod. proc. civ. I ricorrenti sostengono che la Corte veneta aveva omesso di valutare le deposizioni testimoniali e reso motivazione inconsistente in ordine alla scelta di aver giudicato attendibili talune dichiarazioni e inattendibili altre. 4. 1. La doglianza non supera lo scrutinio d’ammissibilità. 4. 1.1. Quanto all’asserita omessa effettiva motivazione deve osservarsi quanto segue. Come noto la giustificazione motivazionale è di esclusivo dominio del giudice del merito, con la sola eccezione del caso in cui essa debba giudicarsi meramente apparente; apparenza che ricorre, come di recente ha ribadito questa Corte, allorquando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Sez. 6, n. 13977, 23/5/2019, Rv. 654145; ma già S.U. n. 22232/2016; Cass. n. 6758/2022 e, da ultimo, S.U. n. 2767/2023, in motivazione). A tale ipotesi deve aggiungersi il caso in cui la motivazione non risulti dotata dell’ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilità al caso concreto preso in esame, di talché appaia di mero stile, o, se si vuole, standard; cioè un modello argomentativo apriori, che prescinda dall’effettivo e specifico sindacato sul fatto. Siccome ha già avuto modo questa Corte di più volte chiarire, la riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è pertanto, denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione (S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 6-2, n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914). Qui non ricorre alcuna delle ipotesi sopra richiamate avendo la Corte distrettuale esplicitato le ragioni del proprio convincimento (non solo, con specificità, alle pagg. 12 e 13, ma ulteriormente alla pag. 10 e seg., al fine di dimostrare che gli appellati, anche tramite il possesso esercitato dai loro danti causa, avevano in ogni caso e da tempo maturato l’usucapione). 4. 1.2. Quanto al profilo di censura riguardante l’apprezzamento probatorio deve chiarirsi quanto appresso. La critica alla ricostruzione probatoria, come noto, anche qualora sostenuta dall’asserita violazione degli artt. 115 e 116, cod. proc. civ., non può essere contestata in questa sede, poiché, come noto, l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito non è, in questa sede, sindacabile, neppure attraverso l’escamotage dell’evocazione dell’art. 116, cod. proc. civ., in quanto, come noto, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 27000, 27/12/2016, Rv. 642299). Punto di diritto, questo, che ha trovato recente conferma nei principi enunciati dalle Sezioni unite in epoca recente (sent. n. 20867, 30/09/2020, conf. Cass. n. 16016/2021), essendosi affermato che in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell'art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato - in assenza di diversa indicazione normativa - secondo il suo "prudente apprezzamento", pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Rv. 659037). E inoltre che per dedurre la violazione dell'art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall'art. 116 c.p.c. (Rv. 659037). In armonia con gli esposti principi << l’omesso esame di elementi istruttori non è di per sé sindacabile in sede di legittimità in quanto non integra, per ciò stesso, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass civ., Sez. Un., 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054, RRvv. 629831 e 629834; v. anche Cass. civ., Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 21257 dell’8 ottobre 2014, Rv. 632914; Sez. 2 -, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018) >> - Cass. n. 35366/2023 -. 5. con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ., addebitando alla sentenza di avere effettuato la liquidazione delle spese << in modo indeterminato ed omnicomprensivo >> . 5. 1. Il motivo è inammissibile. Nel solo caso in cui il ricorrente asserisca che la liquidazione risulti illegittima per violazione del massimo di tariffa e costui dia contezza dei “range” di riferimento per le singole fasi, in relazione al valore della causa, risulta necessario scomporre la liquidazione. Si è spiegato che la parte, la quale intenda impugnare per cassazione la liquidazione delle spese, dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato, per pretesa violazione dei minimi tariffari, ha l'onere di specificare analiticamente le voci e gli importi considerati in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore, con la conseguenza che deve ritenersi inammissibile il ricorso che contenga il semplice riferimento a prestazioni che sarebbero state liquidate in eccesso rispetto alla tariffa massima (Sez. 1, n. 18584, 30/06/2021, Rv. 661816 – 02). Ovviamente, lo stesso principio non può che valere nel caso inverso, nel quale il ricorrente lamenti liquidazione superiore ai parametri di legge. Qui non viene mossa censura di tal fatta: non si contesta l’entità della liquidazione, bensì la sua onnicomprensività. La specificazione evocata dai ricorrenti, inoltre, trovava fondamento sotto la vigenza della distinzione fra “diritti” e “onorari”. Distinzione che suggellava una diversa imputabilità delle due categorie di compenso: a singoli e specifici atti nella loro materialità, la prima, all’opera intellettuale, avuto riguardo allo “step” definito dalla legge, i secondi. Anche sotto la vigenza di quel regime, tuttavia, il ricorrente non poteva limitarsi a dolersi della liquidazione, ove non l’avesse posta a confronto con la nota spese a suo tempo depositata. Tanto da essersi affermato inammissibile, per violazione del principio di autosufficienza, il ricorso per cassazione che, nel censurarne la complessiva quantificazione operata del giudice di merito, non indichi le singole voci della tariffa, per diritti ed onorari, risultanti nella nota spese, in ordine alle quali quel giudice sarebbe incorso in errore (Sez. 1, n. 20808, 02/10/2014, Rv. 632497). In linea con un tale assetto si riscontra la giurisprudenza di questa Corte (cfr., ex multis, Cass. n. 18905/2017). Né qui ricorre il caso di liquidazione per più gradi del giudizio, che impone al giudice di distinguere, quanto imputato a ciascun grado (sul punto la giurisprudenza è abbastanza ricorrente, per brevità può farsi riferimento sempre a Cass. n. 18905/2017 cit.). Né, ancora, quello in cui il giudice abbia onnicomprensivamente liquidato, in uno al compenso, gli esborsi, senza specificare quanto sia da rapportare al primo e quanto ai secondi (Cass. n. 23919/2020). 5. 1.1. In conclusione, deve declinarsi il seguente principio di diritto: << Non è ammissibile il motivo con il quale il ricorrente lamenti che il giudice abbia liquidato in maniera onnicomprensiva il compenso per onorari – ove, ratione temporis, non trovi più vigenza la categoria dei “diritti” –, senza dolersi della violazione della tariffa, nel massimo o nel minimo, spiegandone le ragioni, e senza, infine, dolersi della mancata distinzione fra compensi e rimborso di esborsi >> . In ogni caso, è utile soggiungere che la liquidazione, trattandosi di causa dal valore indeterminabile, risulta confinato nei limiti della tabella di cui al d.m. n. 55/2014, ratione temporis applicabile. 6. Il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo. 7. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall'art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall'art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma nella camera di consiglio di giorno 12 marzo 2023. Il Consigliere rel. Il Presidente (Giuseppe Grasso) (Lorenzo Orilia)

  • REPUBBLICA ITALIANA In nome del Popolo Italiano LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SECONDA SEZIONE CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Oggetto DISTANZE Dott. Felice MANNA - Presidente Servitù altius non tollendi - violazione Dott. Mario BERTUZZI - Consigliere Dott.ssa Milena FALASCHI - Consigliere Rel. Ud. 10/10/2023 – PU Dott. Luca VARRONE - Consigliere R.G.N. 11134/2018 Dott. Danilo CHIECA - Consigliere Rep. ha pronunciato la seguente S E N T E N Z A sul ricorso 11134-2018 proposto da: PASQUALE DAMIANO e MEDUGNO FRANCESCO, elettivamente domiciliati in Roma, via Ottaviano n. 9, presso lo studio dell'avvocato GIAMPIERO DI LORENZO, che li rappresenta e difende con procura speciale allegata al ricorso; - ricorrenti - contro BERGAMASCO PALMIRA in Spiniello, elettivamente domiciliata in Roma, via della Frezza n. 59, presso lo studio dell'avvocato EMILIO PAOLO SANDULLI, che la rappresenta e difende con procura speciale a margine del controricorso; -controricorrente e ricorrente incidentale - avverso la sentenza n. 514/2018 della Corte di appello di Napoli, pubblicata il 5 febbraio 2018; udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 10 ottobre 2023 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Fulvio Troncone, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo di ricorso principale, assorbito il secondo e il ricorso incidentale, con ciò confermando le conclusioni di cui alla memoria depositata il 30 agosto 2023; uditi gli Avv.ti Vincenzo Di Monte (con delega orale dell’Avv. Giampiero Di Lorenzo), per parte ricorrente, ed Emilio Paolo Sandulli, per parte resistente. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione notificato il 17 ottobre 1994 Palmira Bergamasco, nella qualità di proprietaria di un fabbricato sito in Grottolella (AV), via Roma n. 19, evocava - dinanzi al Tribunale di Avellino - Damiano Pasquale, proprietario del fondo attiguo, deducendo che il convenuto aveva costruito sul confine parte di un fabbricato, con un forno a legna, a distanza non legale dal proprio edificio, dal quale avrebbe dovuto osservare la distanza di mt 10, essendo peraltro uno dei forni realizzati dotato di una canna fumaria generante immissioni in misura superiore alla normale tollerabilità; tanto premesso, chiedeva la condanna alla demolizione di tutte le opere erette a distanza non legale dal proprio fabbricato e/o dal confine, con rimozione dell’indicato forno in ipotesi in cui non rientrasse tra i manufatti da demolire ovvero statuire tutte le misure per evitare le immissioni moleste e nocive nella sua abitazione, oltre al risarcimento dei danni. Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del convenuto, che eccepiva la inammissibilità della domanda essendo stato il fabbricato di proprietà dell’attrice realizzato in epoca successiva al proprio manufatto e in tal senso spiegava anche domanda riconvenzionale di demolizione delle opere realizzate dalla Bergamasco, il giudice adito, espletata una prima c.t.u. ed una successiva, con sentenza n.1011 del 2013, accoglieva ‘per quanto di ragione la domanda attorea’, con conseguente ordine allo stesso convenuto di abbattere tutte le opere realizzate a distanza inferiore a quella di cui all’art. 41 quinquies lett. c) legge n. 1150 del 1942, oltre al risarcimento dei danni quantificati in euro 30.000,00 con accessori, rigettata la domanda riconvenzionale, con attribuzione delle spese di lite e di c.t.u. secondo soccombenza. In virtù di gravame che veniva interposto dal Pasquale, la Corte di appello di Napoli, nella resistenza dell’appellata, che proponeva anche appello incidentale, svolto intervento volontario da Francesco Medugno ex art. 111 c.p.c., adesivo alle difese dell’appellante, per essere subentrato nella titolarità della res litigiosa atteso che con atto notarile del 18.01.2010 le era stata donata dalla madre la porzione di fabbricato riguardante i locali adibiti a panificio ed ospitanti anche i forni, con sentenza n. 514 del 2018, rigettava l’appello principale e accoglieva, per quanto di ragione quello incidentale, disponendo l’arretramento delle fabbriche realizzate dal Pasquale a mt. 10 dallo sporto del balcone dell’edificio di proprietà della Bergamasco e quantificava in via equitativa in euro 75.000,00, oltre accessori, il risarcimento dei danni, spese di lite secondo soccombenza. A sostegno della decisione adottata la Corte territoriale evidenziava che ai fini del dedotto principio di prevenzione della costruzione invocato dall’appellante non poteva essere dato alcun rilievo probatorio alla relazione peritale dell’arch. Giardullo, né all’avvenuto della concessione in sanatoria n. 3498 del 27.08.1998, annullata dal TAR Campania, trattandosi di provvedimento emesso a seguito di un mero atto notorio, proveniente dallo stesso richiedente. Inoltre dagli atti processuali e dalla c.t.u. il Giudice di prime cure aveva correttamente rilevato che la Bergamasco aveva iniziato a costruire, in base alla concessione edilizia n. 2301 del 17.10.1983, allorquando il Pasquale aveva già realizzato alcuni ampliamenti abusivi, come l’ampliamento del piano seminterrato per la porzione compresa tra il fabbricato assentito e il terrapieno stradale (locale indicato in atti come legnaia), ma non aveva realizzato il c.d. ingresso e il forno di servizio, come emergeva dalla sentenza n. 4265/2002 del Tar Napoli, che aveva annullato la concessione in sanatoria proprio perché le opere non potevano essere condonate perché non esistenti alla data del 1°.10.1983, nonché da altri elementi che militavano per la posteriorità di dette opere di ampliamento al maggio 1984, quali l’aerofotogrammetria del territorio comunale rilevata nel 1988, le foto dell’11.07.1988, data di consegna dei lavori di ampliamento della strada comunale S. Giovanni, epoca in cui siffatte opere erano inesistenti e lo stesso c.t.u. aveva collocato la loro edificazione in epoca posteriore al 1989. Né risultava essere stato impugnato dall’appellante principale il rigetto della domanda riconvenzionale. Alla luce della giurisprudenza di legittimità, la Corte distrettuale riteneva immediatamente applicabile il d.m. n. 1444 del 1968, che, in applicazione dell’art. 41-quinquies legge urbanistica, come modificato dall’art. 17 legge n. 765/1967, prevedeva disposizioni tassative ed inderogabili quanto alle distanze. Veniva, inoltre, riconosciuto un maggiore risarcimento dei danni sull’assunto che le fabbriche erette in violazione delle distanze legali sui distacchi avevano maggiore consistenza, riguardando anche i locali destinati all’attività di panificazione, per i quali l’originaria attrice aveva subito per più di un ventennio sgradevoli immissioni di fumi e calore. Rimanevano assorbiti i restanti motivi dell’appello principale assorbiti dall’accoglimento di quello incidentale, al pari dell’ultimo sulle spese processuali. Avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli hanno proposto ricorso per cassazione il Pasquale e il Medugno, sulla base di due motivi, cui ha resistito con controricorso la Bergamasco, contenente anche ricorso incidentale affidato ad un unico motivo. Il ricorso – previa proposta stilata dal nominato consigliere delegato - è stato inizialmente avviato per la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380-bis c.p.c., avanti alla Sesta Sezione civile - 2. All'esito della camera di consiglio, fissata al 16.12.2022, in vista della quale entrambe le parti curavano il deposito di memorie ex art. 380-bis c.p.c., con ordinanza interlocutoria n. 3305 del 2023 depositata il 03.02.2023, il procedimento è stato rimesso alla pubblica udienza dinanzi alla Seconda Sezione per mancanza dell’evidenza decisoria stante la questione dell’applicabilità dell’art. 41 quinquies legge n. 1150/1942 ove accertata l’assenza di uno strumento urbanistico locale. Per la decisione sul ricorso proposto è stata, pertanto, fissata la trattazione in udienza pubblica per il giorno 10.10.2023, in vista della quale il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Fulvio Troncone, ha depositato le conclusioni nel senso dell’accoglimento del primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo e il ricorso incidentale; le parti hanno depositato ulteriori memorie ex art. 378 c.p.c. CONSIDERATO IN DIRITTO Il primo motivo di ricorso principale lamenta la violazione e la falsa applicazione dell'art. 9 D.M. n. 1444/1968 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché dell’art. 132, n. 4 c.p.c. per essere stata l’applicabilità dell’art. 9 cit. espressamente esclusa dalla Corte di cassazione con pronuncia delle Sezioni Unite n. 5889 del 1997, peraltro con motivazione del tutto inadeguata. Del resto, anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato è nel medesimo senso e la stessa Corte di appello pur richiamando una lunga serie di pronunce di legittimità che asseriscono non applicabile l’art. 9 cit. in totale assenza di regolamentazione urbanistica comunale, però poi giunge ad una conclusione diametralmente opposta, senza indicare le motivazioni che conducono a tale decisione. Il mezzo è fondato. Nella impugnata sentenza di appello, la Corte partenopea, nel ricostruire la vicenda, ha precisato che la Bergamasco aveva iniziato a costruire in base a concessione edilizia n. 2301 del 17.10.1983 (v. pag. 6 della sentenza impugnata), presumibilmente nella primavera del 1984 (v. pag. 8 della stessa decisione), allorchè – per stessa ammissione di Damiano Pasquale (v. pag. 25 del controricorso) – il Comune di Grottolella era privo di strumenti urbanistici, per essere stato il P.R.G. adottato con delibera consiliare n. 208 del 30.12.1985. La circostanza era stata acclarata dallo stesso giudice amministrativo (Tar Campania) con la sentenza n. 4265/2002, passata in giudicato dopo che il Consiglio di Stato ha dichiarato la perenzione degli appelli proposti, con la quale era stato accertato anche che la realizzazione di alcune delle opere da parte del ricorrente (la bottega, il forno e il disimpegno) erano stati realizzati in epoca successiva al 1989 (medesima pag. 6 della sentenza impugnata). Nella stessa sentenza di appello la Corte, però, osserva quanto al primo motivo della impugnazione incidentale con cui la Bergamasco lamenta che il primo giudice abbia erroneamente applicato l’art. 41 quinquies lett. c) della L. n. 1150/42, introdotto con l’art. 17 della L. n. 765/67, dovendo ritenersi applicabile, invece, l’art. 9 del D.M. n. 1444/68, disatteso dal primo giudice (pagina 10), che «sarebbe illogico che le prescrizioni di cui all’art. 9 d.m. cit., prevalendo anche sui regolamenti urbanistici in conflitto, ai quali si sostituisce per inserzione automatica (…), traendo la sua forza efficacia precettiva inderogabile dall’art. 41 quinquies della L. n. 1150/42, non trovassero applicazione nei casi di assenza di regolamentazione urbanistica comunale, visto che il divisato difetto di previsioni ne giustifica, a fortiori, e non certo ne esclude, l’applicabilità». Il giudice di secondo grado, cui era stato esplicitamente richiesto di dare risposta al motivo di appello incidentale in ordine alla erronea applicazione nella specie del D.M. n. 1444/68, ha completamente errato la valutazione con riferimento alla individuazione delle distanze legali applicabili nella fattispecie. Risulta dunque per tabulas che la Corte d'appello, nel motivare la decisione impugnata, non abbia doverosamente operato una adeguata, puntuale ed attenta verifica circa la corretta disamina della problematica dedotta in giudizio, individuando correttamente la normativa applicabile. E' opportuno rilevare che, secondo l'indirizzo di questa Corte, «le prescrizioni del d.m. n. 1444 del 1968 necessitano, per la loro applicazione, della previa emanazione degli strumenti urbanistici locali, con i quali i comuni individuano le zone territoriali omogenee. Una volta che i comuni abbiano proceduto alla pianificazione del territorio, effettuando la ripartizione per zone omogenee, le distanze minime sono quelle previste dall'art. 9 del citato d.m. n. 1444 del 1968, sia nel caso in cui lo strumento urbanistico preveda distanze inferiori, sia nel caso di assenza di previsioni sul punto. Nella prima ipotesi, questa Corte ha da tempo affermato che si verifica l'inserimento automatico della norma cogente di cui al d.m. n. 1444 del 1968 in sostituzione della illegittima previsione di distanze inferiori a quella minima (Cass., Sez. Un., 7 luglio 2011 n. 14953). Nella seconda ipotesi, quando cioè lo strumento urbanistico non contenga previsioni al riguardo, ragioni di ordine sistematico e di interpretazione conforme impongono l'analoga conclusione, della inserzione automatica della disciplina dettata dal richiamato decreto. Diversamente, la normativa introdotta dall'art. 17 della legge n. 765 del 1967 (cosiddetta legge-ponte), invocata dai ricorrenti, ha trovato applicazione nel periodo di vigenza - e cioè fino all'abrogazione disposta dall'art. 136 del d.P.R. n. 380 del 2001 (Cass. 25 novembre 2011 n. 24984) - nei comuni sprovvisti di strumento urbanistico, ovvero nei comuni dotati di strumento urbanistico approvato prima dell'entrata in vigore del d.m. n. 1444 del 1968, o ancora nei comuni in cui lo strumento urbanistico, pure se approvato successivamente all'entrata in vigore del citato d.m., non contenesse l'individuazione delle zone territoriali omogenee, che è il presupposto indefettibile dell'inserzione automatica delle prescrizioni sulle distanze previste dall'art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968» (Cass 17 maggio 2018 n. 12119; ma anche Cass. 23 febbraio 2017 n. 4683 conf. a Cass. n. 15458 del 2016). Di conseguenza la statuizione censurata va riformata, non risultando confortata dal divisato insegnamento giurisprudenziale che merita in questa sede ulteriore continuità, senza che possa aver rilievo, ai fini civilistici che qui interessano, la natura abusiva o meno del manufatto e la sua destinazione all’abbattimento per provvedimento dell’autorità amministrativa o giudiziaria penale, trattandosi di profilo non interferente con la presente fattispecie avente carattere meramente privatistico. Per giurisprudenza consolidata di questa Corte, infatti, è ammissibile l'acquisto per usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore a quella fissata dal codice civile o dai regolamenti e dagli strumenti urbanistici, anche nel caso in cui la costruzione sia abusiva, in quanto il difetto di concessione edilizia della costruzione esula dal giudizio concernente il rispetto della disciplina delle distanze le cui disposizioni attengono alla tutela del diritto soggettivo del privato. Tale diritto, d’altra parte, non subisce alcuna compressione per il rilascio della concessione stessa che esaurisce la sua rilevanza nell'ambito del rapporto pubblicistico tra l'amministrazione ed il privato che ha realizzato la costruzione. La mancanza di provvedimento autorizzativo non può dunque incidere sui requisiti del possesso ad usucapionem, come si ricava dalla sentenza di questa Corte n. 594 del 1990, laddove si afferma che l'esecuzione di una costruzione in violazione delle norme edilizie dà luogo ad un illecito permanente e la cessazione della permanenza è determinata, fra le altre cause, dal decorso del termine ventennale utile per l'usucapione del diritto di mantenere la costruzione nelle condizioni in cui si trova. Peraltro, la possibilità giuridica di usucapire tutela l'interesse del privato a non sottostare alla possibilità che il vicino possa agire in ogni tempo per il rispetto delle distanze legali e non interferisce con i poteri riservati in materia alla P.A. che, in quanto autorità deputata al controllo del territorio, può incidere esclusivamente sul rapporto pubblicistico con il proprietario e responsabile dell'abuso e in ogni caso può reprimere l'illecito edilizio anche attraverso l'ordine di demolizione della costruzione eseguita in assenza o totale difformità o variazione essenziale della concessione edilizia (Cass. n. 3979 del 2013; Cass. n. 1395 del 2017). L’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento del secondo motivo del ricorso principale, dovendo rideterminarsi alla luce del dato normativo effettivamente applicabile, ed erroneamente individuato dalla Corte napoletana nell’art. 9 d.m. n. 1444 del 1968, la quota parte dell’edificio da abbattere e, di conseguenza, fonte del danno risarcibile, anche in punto di riferibilità della violazione delle distanze a Pasquale Damiano, accertamento in fatto che va rimesso al giudice del rinvio e da effettuarsi a mente dell’esatto inquadramento normativo della fattispecie. Resta assorbito anche il ricorso incidentale relativo al governo delle spese di lite. In conclusione, il primo motivo del ricorso principale va accolto, assorbito il secondo ed il ricorso incidentale, e cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, che riesaminerà la vicenda alla luce delle considerazioni sopra svolte. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo e il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte di Cassazione, il 10 ottobre 2023. Il Consigliere estensore Il Presidente Dott.ssa Milena FALASCHI Dott. Felice MANNA

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE PRIMA SEZIONE CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: MAGDA CRISTIANOPresidente MAURO DI MARZIOConsigliere PAOLA VELLAConsigliere-Rel. COSMO CROLLAConsigliere EDUARDO CAMPESEConsigliere Oggetto: FALLIMENTO Ud.25/10/2023 PU ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 30731/2019 R.G. proposto da: FALLIMENTO BETON SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FILIPPO CORRIDONI 14, presso lo studio dell’avvocato CARLONI SILVIO (CRLSLV72A27H501Y) che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato RAVINALE MARIO (RVNMRA55S29L219E) -ricorrente e controricorrente al ricorso successivo- contro INERTI VARAITA SRL, rappresentato e difeso dall'avvocato SCOLA MICHELE (SCLMHL73D10L219V), indirizzo PEC: [email protected] -controricorrente e ricorrente successivo- nonchè contro MEDIOCREDITO ITALIANO SPA -intimato- avverso il DECRETO del TRIBUNALE di CUNEO n. 1452/2019 depositato il 06/09/2019; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/10/2023 dal Consigliere PAOLA VELLA. FATTI DI CAUSA 1. – Oggetto del giudizio è l’acquisto per accessione, rivendicato da Inerti Varaita s.r.l. (di seguito Inerti), della proprietà̀ dell’impianto di lavorazione materiali inerti e produzione di calcestruzzo (di seguito Impianto) installato da Beton s.p.a. (di seguito Beton) su terreni destinati all’estrazione di materiali inerti di proprietà̀ della prima e concessi in comodato registrato alla seconda – dietro suo impegno all’acquisto della materia prima estratta in loco – dei quali Inerti ha richiesto la restituzione in sede di accertamento del passivo del Fallimento Beton s.p.a. (di seguito Fallimento), in forza di domanda tardiva di rivendica, respinta dal Giudice delegato. 1.1. – In particolare, in data 4 marzo 2016 Inerti depositava istanza ai sensi dell’art. 101 l.fall. chiedendo al Fallimento Beton, tra l’altro, di disporre in suo favore, previo accertamento del suo diritto di proprietà, la riconsegna di taluni terreni siti nel comune di Ruffia (CN) e distinti al Catasto, Foglio 2, mappali 115 – 181 – 112 – 170 – 107 e 108, “liberi e sgomberi da rifiuti, fanghi, limi ed ogni altro materiale inerte risultante dall’attività di lavorazione inerti e produzione sabbie e ghiaie condotta dalla Beton in bonis”. 1.2. – Il Curatore fallimentare proponeva il rigetto integrale della domanda, osservando tra l’altro che i Terreni 115 e 181, sui quali insisteva l’impianto industriale di lavorazione e selezione inerti «di proprietà del Fallimento», erano stati «concessi in godimento a Beton con contratto di comodato registrato in data 10 ottobre 2006» e contestando «l’applicabilità al contratto dell’art. 1810 c.c., posto che il contratto prevede la possibilità di disdetta a mezzo raccomandata a.r. con preavviso di 18 mesi; ad oggi tale circostanza non si è verificata e conseguentemente il contratto in oggetto è tuttora valido ed efficace. Contestata l’interpretazione degli artt. 1804 e 1811 c.c. offerta da Inerti Varaita che ha considerato valido ed efficace il contratto di comodato quantomeno sino al febbraio 2016». 1.3. – Le predette argomentazioni venivano recepite dal Giudice Delegato, che conseguentemente rigettava la domanda di rivendica e ammissione al passivo di Inerti. 1.4. – Inerti proponeva opposizione ai sensi dell’art. 98 l.fall. innanzi al Tribunale di Cuneo, insistendo per l’accoglimento delle domande di rivendica dei terreni, ed il Fallimento eccepiva, per quanto qui rileva: i) l’inammissibilità della domanda di rivendica dell’Impianto ai sensi degli artt. 98 e 99 l.fall.; ii) l’infondatezza della domanda di rivendica dei Terreni 181 e 115, su cui insiste l’Impianto, a fronte della perdurante efficacia del contratto di comodato; iii) l’infondatezza nel merito della rivendica dell’Impianto, a fronte della mancata realizzazione dell’accessione, tanto dal punto di vista materiale che – sulla scorta del contratto di comodato – sotto il profilo giuridico. 1.5. – In data 3 novembre 2016 interveniva volontariamente nel giudizio Mediocredito «ad adiuvandum delle ragioni e conclusioni fatte valere da Inerti Varaita relativamente soltanto alla domanda di rivendica di questa con relativa richiesta di riconoscimento dell’acquisto per accessione dell’impianto industriale realizzato da Beton sui terreni di Inerti costituiti in garanzia ipotecaria di Mediocredito Italiano». 1.6. – Con il decreto indicato in epigrafe, il Tribunale di Cuneo ha accolto la domanda di rivendica dei terreni di cui ai mappali 107, 112 e 170, dei quali ha disposto l’immediata restituzione, ed ha dichiarato «acquistato per accessione» in favore di Inerti, ai sensi dell’art. 935 c.c., l’Impianto esistente sui terreni di cui ai mappali 115 e 181, condannando Inerti a corrispondere immediatamente al Fallimento la somma di euro 2.790.000,00 (erroneamente indicata nella parte dispositiva del decreto in euro 2.790,00), pari al valore dell’impianto come quantificato in sede peritale; ha invece respinto «tutte le altre domande di Inerti (…) oggetto anche di domanda di Mediocredito (…) che ha svolto intervento adesivo». 1.7. – Detta decisione è stata impugnata sia dal Fallimento che da Inerti, con separati ricorsi affidati ciascuno a quattro motivi, ai quali le stesse parti hanno replicato con controricorso, mentre l’intimato Mediocredito Italiano s.p.a. non ha svolto difese. In vista della pubblica udienza il Fallimento ha prodotto memoria illustrativa, mentre Inerti ha prodotto una mera nota di richiamo integrale a quanto già osservato in controricorso . 2. – Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto l’accoglimento del ricorso di Inerti ed il rigetto del ricorso del Fallimento. RAGIONI DELLA DECISIONE 3. – Questi i motivi del ricorso del Fallimento. 3.1. – Con il primo motivo si deduce violazione degli artt. 93, 94, 98 e 99 l.fall. nonché dell’art. 112 c.p.c. per avere il tribunale ritenuto ammissibile la domanda di rivendica dell’Impianto formulata da Inerti per la prima volta con il ricorso ex art. 99 l.fall. 3.2. – Con il secondo mezzo si censura l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, e cioè le clausole del contratto di comodato con cui le parti avevano convenuto l’installazione dell’Impianto sui terreni di Inerti, con conseguente violazione dell’art. 934 c.c. nella parte in cui prevede che il principio generale dell’accessione possa essere derogato mediante idoneo titolo. 3.3. – Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 935 c.c., laddove il tribunale ha ritenuto applicabile al caso in esame tale norma di legge, però dettata per fattispecie radicalmente differente, nonché violazione dell’art. 934 c.c., per avere il tribunale ritenuto che l’accessione possa dirsi realizzata sulla base di un criterio di valorizzazione funzionale ed economica della costruzione, e non già sul criterio dell’incorporazione stabile previsto dalla norma. 3.4. – Il quarto mezzo lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per non avere il tribunale tenuto in considerazione la perizia definitiva del CTU, limitandosi a far riferimento – per ciò che concerne la quantificazione della somma dovuta al Fallimento – alla bozza depositata dallo stesso. 4. – Vengono ora indicati i motivi del ricorso di Inerti. 4.1. – Con il primo motivo ci si duole della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 934, 1350 n. 2, 1376 e 2729 comma 2 c.c. con riferimento all’errata pronuncia dichiarativa dapprima della proprietà dell’Impianto in capo a Beton, e solo successivamente, della proprietà dello stesso, per accessione, in favore di Inerti. 4.2. – Il secondo mezzo denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 934 e 935 c.c. con riferimento all’errata pronuncia dichiarativa di accessione della proprietà dell’impianto in favore di Inerti ai sensi dell’art. 935 c.c. 4.3. – Il terzo lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, con riguardo al contratto di comodato d’uso del terreno stipulato dalle parti in data 1.10.2006. 4.4. – Con il quarto motivo si deduce violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., per aver il tribunale condannato Inerti al pagamento del valore dell’Impianto in favore del Fallimento in assenza di una specifica domanda da parte di quest’ultimo, la quale sarebbe stata peraltro inammissibile in sede di accertamento del passivo. 5. – Il primo motivo del ricorso del Fallimento è infondato. 5.1. – E’ pacifico che con la domanda tardiva di rivendica si chiedeva la restituzione dei soli Terreni «liberi e sgomberi da rifiuti, fanghi, limi ed ogni altro materiale inerte risultante dall’attività di lavorazione inerti e produzione sabbie e ghiaie condotta dalla Beton in bonis», senza alcun riferimento all’Impianto o all’istituto delle accessioni. E’ altrettanto pacifico che solo con il ricorso in opposizione allo stato passivo Inerti ha chiesto di dichiararsi intervenuto l’acquisto per accessione dell’Impianto, con richiesta di restituzione dei terreni «e di ogni relativa accessione». Al riguardo il Fallimento sottolinea che fino ad allora l’Impianto era stato inequivocabilmente riconosciuto bene di proprietà della massa dalla stessa Inerti, la quale nell’estate del 2015 aveva financo proposto al Curatore di prenderlo in affitto dal Fallimento. 5.2. – Tuttavia, l’apparente mutamento di petitum (che è passato a comprendere anche l’Impianto) e causa petendi (estesa all’accertamento della pretesa accessione), in base a presupposti di fatto e di diritto non considerati in sede di verifica – non rileva nel caso di specie, in cui si discute di un diritto c.d. autodeterminato, quale è il diritto di proprietà. Al riguardo questa Corte ha autorevolmente chiarito (Cass. Sez. U, 3873/2018) che il diritto di proprietà e gli altri diritti reali di godimento sono individuati solo in base al loro contenuto (ossia con riferimento al bene che ne costituisce l'oggetto), cosicché la causa petendi della domanda con la quale è chiesto l'accertamento di tali diritti si identifica con il diritto stesso (c.d. "diritti autodeterminati") e non, come nel caso dei diritti di credito, con il titolo che ne costituisce la fonte (contratto, successione, usucapione etc.). Pertanto, nei "diritti autodeterminati" la deduzione del titolo è bensì necessaria ai fini della prova del diritto, ma non ha alcuna funzione di specificazione della domanda (Cass. 11293/2007, 40/2015), per cui non ricorre alcuna violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato ove il giudice accolga la domanda, accertando la sussistenza di un diritto c.d. "autodeterminato", sulla scorta di un titolo diverso da quello invocato dalla parte (Cass. 24702/2006, 24141/2007, 23851/2010). Allo stesso modo in cui va escluso la configurabilità del vizio di extrapetizione, deve essere escluso anche il dedotto vizio di novità della domanda, fermo restando che, con riguardo ai "diritti eterodeterminati" (Cass. 1857/2015), il giudizio di opposizione allo stato passivo, in quanto giudizio di natura impugnatoria retto dal principio dell’immutabilità della domanda (Cass. 5167/2012, 26225/2017, 27930/2018), non tollera non solo la mutatio libelli (Cass. 6279/2022), ma nemmeno l’emendatio libelli (Cass. 32750/2022), a differenza del giudizio ordinario (Cass. Sez. U, 12310/2015 e 22404/2018; da ultimo, Cass. 5631/2023). Nell’ottica del vizio contestato ciò significa, per un verso, che la domanda di rivendicazione di un terreno non deve necessariamente includere la specifica richiesta di restituzione di ciò che vi insista, e, per altro verso, che nel caso in cui il convenuto in rivendicazione non contesti il diritto di proprietà sul terreno ma deduca un dominio utile, il thema decidendum verte sull’accertamento di quest’ultimo, e, in caso di esclusione dell’esistenza del diritto di godimento sulla cosa altrui così dedotto, si determina la riespansione del diritto di proprietà (Cass. 6592/1986 con riferimento al diritto di enfiteusi). 6. – Il primo motivo del ricorso di Inerti è invece fondato. E’ infatti illogico e contraddittorio dapprima affermare, a pag. 1 del decreto impugnato, che l’Impianto per cui è causa «è di proprietà di Beton» (sulla scorta del contenuto di un precedente ricorso per concordato preventivo di Beton che includeva l’Impianto nell’attivo, della proposta di locazione dell’impianto formulata a luglio 2015 dalla stessa Inerti e dell’inventario fallimentare che lo comprende) e poi dichiarare, alla successiva pag. 4, che Inerti lo ha acquistato «per accessione ai sensi dell’art. 935 cc». Difatti, al netto dell’erroneo riferimento all’art. 935 c.c. (di cui si dirà), il principio dell’accessione posto dall’articolo 934 c.c. configura una fattispecie di acquisto a titolo originario della proprietà, conseguente alla incorporazione di una cosa nel fondo altrui, che opera ipso iure al momento in cui la piantagione, costruzione od opera si incorpora al suolo, tanto che la pronuncia dell’accessione da parte del giudice ha natura meramente dichiarativa (ex multis Cass. 21683/2015). 6.1. – Solo a margine di tali rilievi mette conto di rilevare che è la stessa Inerti a dare atto, a pag. 22 del ricorso, che Beton «intendeva rilocalizzare i propri impianti sui terreni di Inerti» e che l’accordo trovato tra le parti «era proprio quello di concedere alla Beton la dislocazione di tali impianti sui terreni della ricorrente». 7. – Sono fondati e vanno accolti anche il secondo motivo del ricorso di Inerti ed il terzo motivo di ricorso del Fallimento, da esaminare congiuntamente. 7.1. – Entrambi censurano giustamente l’errore commesso dal tribunale nell’evocare il disposto dell’art. 935 c.c., che disciplina la diversa fattispecie di costruzione sul fondo proprio con materiali altrui, essendo invece pacifico che nel caso di specie Beton abbia installato sul terreno di Inerti l’Impianto, realizzato con materiali propri, con conseguente applicabilità, in tesi, dell’art. 934 c.c., che prevede il principio generale di accessione in uno alla possibilità di derogarvi mediante idoneo titolo, che nel caso in esame il Fallimento ravvisa nel contratto di comodato del 10 ottobre 2006. 8. – Parimenti fondati e connessi sono il secondo motivo del ricorso del Fallimento ed il terzo motivo del ricorso di Inerti. 8.1. – Entrambi lamentano, sia pure in direzioni opposte, l’omessa valutazione da parte del tribunale delle clausole contenute nel contratto di comodato d’uso del 10 ottobre 2006. Secondo il Procuratore generale, la regola dell’accessione di cui all’art 934 c.c. non ha carattere di assolutezza, ma è limitata alle sole ipotesi in cui non risulti, dal titolo o dalla legge, che l’opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene ad un soggetto diverso dal proprietario di questo. In altri termini, si tratta di una norma la cui operatività ben può essere derogata, seppure solo da una specifica disposizione di legge ovvero da un altrettanto specifica pattuizione tra le parti (e quindi non anche, ad esempio, da un negozio unilaterale come ad esempio il testamento: così Cass. 6078/2002). In presenza di un accordo con cui le parti regolino la proprietà delle costruzioni in deroga al principio dell’accessione ex art. 934 c.c., l’eventuale costituzione di un diritto di superficie è soggetto al requisito della forma scritta ad substantiam ex art. 1350 n. 2, in relazione all’art. 952 c.c. (Cass. 1811/1984). Peraltro, il diverso titolo cui fa riferimento l’art. 934 c.c., può avere non solo “efficacia reale” (ad es., titolo costituivo del diritto di superficie o di trasferimento della proprietà superficiaria), ma anche “efficacia obbligatoria”. Le Sezioni unite di questa Corte hanno infatti chiarito che la rinuncia all’accessione può scaturire non solo da un diritto reale di superficie, ma anche da un «contratto atipico di concessione "ad aedificandum" di natura personale, con rinuncia del concedente agli effetti dell'accessione, con il quale il proprietario di un'area concede ad altri il diritto personale di edificare sulla stessa, di godere e disporre dell'opera edificata per l'intera durata del rapporto e di asportare tale opera al termine del rapporto. Tale contratto è soggetto alla disciplina dettata, oltre che dai patti negoziali, dalle norme generali contenute nel titolo II del libro IV del codice civile (art. 1323 c.c.), nonché, per quanto non previsto dal titolo, dalle norme sulla locazione, tra cui quelle dettate dagli artt. 1599 c.c. e 2643, n. 8, c.c.» (Cass. Sez. U, 8434/2020). E’ allora evidente che il tribunale avrebbe dovuto esaminare ed interpretare le clausole contenute nel ridetto contratto di comodato del terreno, per verificare – secondo le diverse prospettazioni delle parti – se esse integrassero o meno una rinuncia all’accessione o comunque un impedimento dei suoi effetti. In questa prospettiva, ad esempio, il Fallimento ha segnalato che secondo gli accordi tra le parti Beton avrebbe potuto rilocalizzare a proprie cure e spese “i propri impianti” sui terreni de quibus e, una volta cessato il contratto, avrebbe dovuto restituire a Inerti quegli stessi terreni “liberi da impianti”, salvo diverso accordo tra le parti. 8.2. – Ma soprattutto non deve trascurarsi che in realtà l’art. 936 c.c. contempla il rapporto tra il proprietario di un immobile e il terzo che vi ha compiuto opere con materiali propri, determinandone l’acquisto a titolo originario in capo al primo, secondo il principio dell’accessione ex art. 934 c.c., fin dal momento in cui esse vengono eseguite e incorporate nel suolo. A ben vedere, la norma si preoccupa di regolare le conseguenze economiche derivanti dalla acquisizione in proprietà delle opere eseguite dal terzo con propri materiali, per il vantaggio che ne deriva automaticamente al proprietario. Sennonché, ai fini dell’art. 936 c.c. è terzo chi non abbia con il proprietario del fondo alcun rapporto giuridico di natura reale o personale che gli attribuisca la facoltà di costruire sul suolo (Cass. 5086/2022, 481/2019, 27900/2017, 25499/2015, 11835/2003, 10699/1994, 970/1983). Pertanto, l'istituto dell'accessione ex art. 936 c.c. presuppone che i soggetti coinvolti non siano legati da un vincolo contrattuale. Ne consegue, ad esempio, che deve escludersi l'applicabilità della relativa disciplina allorché l'attività costruttiva costituisca non già l'esercizio di un diritto, ma l'adempimento di un'obbligazione; in tal caso, infatti, l'obbligo restitutorio ex art. 1458 c.c., nascente dalla risoluzione del contratto, è incompatibile con il diritto potestativo del proprietario di ritenere la costruzione avvalendosi dell'accessione (Cass. 27088/2021 e Cass. 27900/2017). La decisione della causa non può allora trascurare l’insegnamento nomofilattico (Cass. Sez. U, 3873/2018) in base al quale, ove sussista un diritto reale o personale che assegni al terzo la facoltà di edificare su suolo altrui, viene meno la stessa ragione di applicare la disciplina dell'accessione – intesa come ipotesi di soluzione del conflitto tra contrapposti interessi – perché il conflitto risulta assoggettato ad una disciplina specifica (ad es. gli artt. 1592 e 1593 c.c. in tema di miglioramenti e addizioni nel rapporto di locazione, o gli artt. 983, 985 e 986 in tema di usufrutto). E nel caso di specie la disciplina specifica dei rapporti inter partes va appunto individuata nel contratto di comodato concluso. 9. – Il quarto motivo del ricorso di Inerti è fondato. 9.1. – Il tribunale, nel condannare Inerti a corrispondere un’indennità al Fallimento, non solo è incorso in vizio di ultrapetizione, stante la pacifica assenza di una domanda della curatela fallimentare in tal senso, ma non ha nemmeno considerato che una simile domanda, se proposta, avrebbe dovuto dichiararsi radicalmente inammissibile, poiché il giudizio di opposizione allo stato passivo non contempla e non ammette l'introduzione di domande riconvenzionali da parte della curatela fallimentare (Cass. 27902/2020, 21490/2020, 19003/2017, 8929/2012). 9.2. – Ne resta assorbito il quarto motivo del ricorso del Fallimento, circa i criteri di quantificazione della stessa indennità. 10. – Segue la cassazione del decreto impugnato, con rinvio al Tribunale di Cuneo in diversa composizione, anche per la statuizione sulle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo del ricorso del Fallimento, rigetta il primo e dichiara assorbito l’ultimo. Accoglie il ricorso di Inerti. Cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e rinvia al tribunale di Cuneo, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 25/10/2023. IL CONSIGLIERE ESTENSORE LA PRESIDENTE Paola Vella Magda Cristiano

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SECONDA SEZIONE CIVILE composta dai magistrati: Oggetto MAURO MOCCI - Presidente - PROPRIETÀ GIUSEPPE GRASSO - Consigliere - PATRIZIA PAPA - Consigliere - Ud. 12/10/2023 - PU ANTONIO SCARPA - Consigliere - R.G.N. 14273/2019 DANILO CHIECA - Consigliere - ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso 14273 – 2019 proposto da: OCEAN SURF BEACH s.a.s. di Gallo Massimo, in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliato in Roma, via Alcamo n.10, presso lo studio dell'avv. Olga Diamanti, rappresentato e difeso dall'avv. Enzo Cassanelli, giusta procura in calce al ricorso, con indicazione degli indirizzi pec; - ricorrente - contro ZANZIBAR s.r.l.in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Cesare Ferrero di Cambiano 82, Ric. 2019 n. 14273 sez. S2 - ud. 12-10-2023 -2- presso lo studio dell'avv. Fabio D’Amato, dal quale è rappresentata e difesa giusta procura, con indicazione dell’indirizzo pec; - ricorrente incidentale - e contro OSTILIA s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Barletta n.29, presso lo studio dell'avv. Alfredo Del Vecchio, dal quale è rappresentata e difesa giusta procura, con indicazione dell’indirizzo pec; - controricorrente e controricorrente incidentale- ASSOCIAZIONE NAUTICA CAMPO DI MARE a.s.d., in persona del legale rappresentante pro tempore -intimata– avverso la sentenza n.7125/2018 della CORTE D’APPELLO DI ROMA, pubblicata in data 13/11/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/10/2023 dal consigliere PATRIZIA PAPA; lette le conclusioni del P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale TOMMASO BASILE che ha chiesto l’accoglimento del ricorso; lette le memorie delle parti. FATTI DI CAUSA 1. Con citazione del 25 maggio 1997, Ostilia s.p.a. convenne dinanzi al Tribunale di Civitavecchia Maurizio Gallo, l’Associazione nautica Campo di Mare, Anna Lena Renzi e Elmo Chirieletti (cui nel corso del giudizio subentrò quale avente causa Zanzibar s.r.l.), per sentir dichiarare il suo esclusivo diritto di proprietà su una fascia di terreno in località Campo di Mare, compresa tra la zona di demanio Ric. 2019 n. 14273 sez. S2 - ud. 12-10-2023 -3- marittimo corrispondente alla spiaggia e l’adiacente lungomare denominato Dei Navigatori Etruschi, distinta in catasto al foglio 53 particella 10 e al foglio 61 particella 6, con conseguente ordine, nei confronti di ciascun convenuto, di rilascio, di sgombero di cose e persone e condanna al risarcimento del danno. Costituendosi, l’Associazione nautica Campo di Mare eccepì di aver iniziato ad occupare una superficie demaniale nel 1970 a seguito di regolare concessione della Capitaneria di Porto di Civitavecchia, installandovi alcune strutture necessarie all’esercizio dell’attività oggetto di concessione; Elmo Chirieletti eccepì di aver iniziato ad occupare una superficie demaniale a seguito di regolare concessione della Capitaneria di Porto di Civitavecchia; nelle memorie autorizzate ex art. 183 cod. proc. civ. nella formulazione applicabile ratione temporis, chiesero al Giudice di valutare l'opportunità dell’estensione del contraddittorio alla pubblica amministrazione per l’accertamento della demanialità del bene. Maurizio Gallo, premesso che tra il 1974 e il 1975 il Comune aveva realizzato un muretto di mattoni per frenare la dispersione della sabbia verso l’entroterra, eccepì di aver progressivamente esteso l’occupazione dell’area oggetto della sua concessione fino al muretto, cioè fino alla porzione rivendicata da Ostilia s.r.l.; chiese, pertanto, in riconvenzionale, di accertare l’usucapione dell’area non demaniale, chiedendo l’estensione del contraddittorio al Ministero dei Trasporti e al Comune di Cerveteri per essere il primo subentrato nelle competenze del Ministero della Marina e, il secondo, l’ente concedente. 2. Con sentenza n. 1122/2009, il Tribunale di Civitavecchia, estromesso Chirieletti, ritenne che la domanda riconvenzionale di usucapione dovesse ritenersi implicitamente rinunciata, perché i convenuti non l’avevano reiterata nella memoria ex art. 183 comma V cod. proc. civ. (nella formulazione applicabile ratione temporis, Ric. 2019 n. 14273 sez. S2 - ud. 12-10-2023 -4- precedente quella introdotta dall'art. 23 lett. c-ter del d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv., con modif., in l. 14 maggio 2005, n. 80, come modificato dall'art. 11 lett. a della l. 28 dicembre 2005, n. 263, in vigore dal 1° marzo 2006); ritenne pure che la domanda di accertamento della natura demaniale della fascia di terreno rivendicata fosse inammissibile perché nuova e proposta nei confronti di terzi estranei al giudizio; rigettò altresì la domanda di pagamento di un indennizzo per le opere inamovibili perché realizzate abusivamente e la domanda di costituzione di una servitù di passaggio per consentire l’accesso alla spiaggia in quanto «il passaggio e l’accesso alla spiaggia erano regolate da apposita normativa locale»; ordinò perciò all’Associazione Nautica Campo di Mare, a Maurizio Gallo, a Zanzibar s.r.l. e ad Anna Lena Renzi il rilascio delle aree occupate come individuate dal c.t.u., con onere delle spese. 3. Avverso questa sentenza l’Associazione Nautica Campo di Mare, Zanzibar s.r.l. e Ocean Surf Beach di Gallo Massimo s.a.s. – avente causa di Massimo Gallo – proposero appello lamentando, per quanto ancora qui rileva, la carenza di prova in ordine alla titolarità dell’area, la mancata valutazione del fenomeno dell’erosione marittima che avrebbe dovuto comportare l’acquisizione ipso iure al demaniodel territorio retrostante, l’omessa integrazione del contraddittorio nei confronti del Comune di Cerveteri e del Ministero dei Trasporti, l’erroneità della c.t.u. nella delimitazione dell’area demaniale e la debenza dell’indennità per le opere inamovibili realizzate, di cui non era stata tenuta in considerazione l’utilità sociale e la possibilità di sanatoria. 3.1. Con la sentenza n. 7125/2018, la Corte d’appello di Roma, dichiarata cessata la materia del contendere fra l’Associazione Nautica Campo di Mare e la Ostilia s.r.l. per essere intervenuto accordo Ric. 2019 n. 14273 sez. S2 - ud. 12-10-2023 -5- transattivo, rigettò l’appello proposto da Zanzibar s.r.l. e Ocean Surf beach di Gallo Massimo s.a.s., condannando le società alle spese. Ritenne, infatti, che la documentazione prodotta fosse idonea a provare la proprietà dell’area in capo alla società Ostilia, anche in quanto risultava attenuato l’onere probatorio del rivendicante in caso di eccezione o domanda di usucapione opposte in difesa; dichiarò pure che, in mancanza di un apposito provvedimento amministrativo, l’area non poteva divenire automaticamente parte del demanio marittimo e che di conseguenza non ricorreva un’ipotesi di litisconsorzio necessario; ribadì l’esattezza delle risultanze della c.t.u. e la non debenza di alcun indennizzo per le opere inamovibili in quanto abusive. 4. Avverso questa sentenza Ocean Surf Beach ha proposto ricorso in Cassazione, affidato a otto motivi. Con successivo atto notificato in data 27/6/2019, anche Zanzibar s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi. Ostilia s.r.l. si è difesa con controricorso nei confronti di entrambe le società. Ocean Surf Beach ha depositato memorie; l’Associazione Nautica Campo di Mare non ha svolto difese. Il P.G. ha concluso per l’accoglimento di entrambi i ricorsi, in particolare delle censure aventi ad oggetto la mancata estensione del contraddittorio. RAGIONI DELLA DECISIONE Preliminarmente deve rilevarsi che il controricorso di Ostilia s.r.l. nei confronti di Ocean è inammissibile perché proposto oltre il termine di cui all’art. 370 cod. proc. civ. nella formulazione applicabile ratione temporis, precedente l’art. 3, comma 27, lett. f) num. 1) d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149: il ricorso è stato, infatti, notificato il 3/5/2019 all’avv. Del Vecchio e la notifica del controricorso è stata effettuata in data 14/06/2019. Ric. 2019 n. 14273 sez. S2 - ud. 12-10-2023 -6- 1. Deve pure rilevarsi che, nel ricorso principale, Ocean Surf Beach non ha indicato numericamente alcuna delle cinque ragioni di impugnazione previste dal comma I dell’art. 360 cod. proc. civ.; ciononostante, il ricorso risulta ammissibile in quanto comunque articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ipotesi dell’articolo suddetto. 1.1 Con il primo motivo del suo ricorso, dunque, Ocean Surf Beach ha prospettato la violazione e falsa applicazione degli artt. 948 e 2697 cod. civ., per avere la Corte d’appello affermato che la prova della proprietà del terreno è affievolita in presenza di avversa istanza di usucapione che, nella specie, è stata comunque rinunciata e modificata in istanza di demanialità del bene. I giudici di primo e secondo grado avrebbero errato a fondare la prova della rivendicata proprietà sulla convenzione intercorsa fra Ostilia e Comune di Cerveteri, che, al contrario, sarebbe in contraddizione con l’affermata sussistenza di un diritto di proprietà in capo alla società. 1.2. Con il secondo motivo, la ricorrente ha prospettato la violazione degli artt. 948 e 2697 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ., in quanto la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto formatasi la prova della proprietà sulle conclusioni della c.t.u. che sarebbe, invece, erronea e non precisa, perché avrebbe considerato la part.lla 9 e non 10 del foglio 51 e non avrebbe approfondito la demanialità del bene; la sentenza sarebbe perciò viziata per «ultrapetizione e assenza di motivazione». 1.3. Con il terzo motivo di ricorso, Ocean Surf Beach ha lamentato la violazione e falsa applicazione degli artt. 102 e 354 cod. proc. civ., per non avere la Corte d'Appello di Roma disposto l'integrazione del contraddittorio nei confronti del Comune di Cerveteri e del Ministero dei Trasporti, dell'Economia e delle Finanze, dell’Agenzia del Demanio «e comunque delle competenti autorità», non considerando che la Ric. 2019 n. 14273 sez. S2 - ud. 12-10-2023 -7- questione della demanialità dell’area costituiva un antecedente logico- giuridico rispetto ad ogni statuizione sulla titolarità del bene rivendicato. 1.4. Con il quarto motivo, la società ha prospettato la violazione e falsa applicazione dell'art. 41 Cost., degli artt. 32 e 36 cod. nav. e del d.lgs. 112/98, per non avere la Corte d'appello considerato l’«intrinseca demanialità» del bene rivendicato e come l’uso pubblico costituisca la normale fruizione dei beni demaniali, avendo invece l’uso privato natura eccezionale». 1.5. Con il quinto motivo, la società ha lamentato la violazione e falsa applicazione degli artt. 822 e 824 cod. civ. ed art. 942 cod. civ. per avere la Corte d'appello ritenuto che non sussistessero idonei indici in ordine alla natura di bene pubblico dell’area, trascurando che, ai fini del riconoscimento della natura demaniale di un bene, è sufficiente la sua concreta funzione e destinazione. 1.6. Con il sesto motivo, Ocean Surf Beach ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 823 e 2697 cod. civ. e dell'art. 28 cod. nav., per non avere la Corte d’appello considerato che il lido e la spiaggia appartengono al demanio marittimo, a prescindere dalla funzione concreta loro attribuita. 1.7. Con il settimo motivo, la ricorrente ha lamentato la violazione e falsa applicazione degli artt. 30 e 32 cod. nav. per non avere la Corte territoriale considerato il fenomeno della erosione marina per dichiarare la demanialità dell’area e disporre l’integrazione del contraddittorio in favore delle pubbliche amministrazioni competenti. 1.8. Con l’ottavo motivo, infine, Ocean Surf Beach ha quindi prospettato la violazione e falsa applicazione dell'art. 825 cod. civ. e della l. 217/211 in riferimento al principio di accesso alla battigia: la Corte d'appello non si sarebbe pronunciata in merito alla intervenuta richiesta del diritto di passaggio sui terreni a monte dell'arenile e alla Ric. 2019 n. 14273 sez. S2 - ud. 12-10-2023 -8- viabilità e non avrebbe affermato la servitù di uso continuativo da parte della collettività per il pubblico accesso al mare. 2.1. A sua volta, con il primo motivo del ricorso incidentale, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell'art.360 cod. proc. civ., Zanzibar s.r.l. ha denunciato la violazione dell'articolo 112 e 116 cod. proc. civ., 2697 e 948 cod. civ.: la Corte avrebbe immotivatamente ritenuta sussistente la prova, invece in alcun modo raggiunta, della proprietà in capo alla Ostilia s.r.l.. 2.2. Con il secondo motivo, articolato in riferimento al n. 4 del comma I dell'art.360 cod. proc. civ., la società ricorrente incidentale ha lamentato la violazione degli art. 132 n. 4 e 118 disp. att. cod. proc. civ. per avere la Corte d’appello reso una motivazione perplessa e, perciò, meramente apparente sulla sussistenza della prova del primo acquisto del diritto di proprietà a titolo originario da parte della rivendicante. 2.3. Con il terzo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell'art.360 cod. proc. civ., Zanzibar s.r.l. ha sostenuto la violazione degli art. 2697 e 948 cod. civ., per avere la Corte d’appello rinvenuto la prova del diritto sull’area rivendicata nella c.t.u., con ciò evidentemente utilizzando quale fonte di prova uno strumento di mero ausilio tecnico, oltre i limiti della funzione attribuita dal codice di procedura civile. 2.4. Con il quarto motivo, articolato in riferimento al n. 5 del comma I dell'art.360 cod. proc. civ., la ricorrente incidentale ha prospettato l’omesso esame di un fatto decisivo, individuandolo nella lettera dell’8/11/1990 con cui Ostilia s.r.l. ha dichiarato quale fosse il confine della sua proprietà verso il mare, nonché la scrittura privata del 2/10/1992, in cui la stessa società ha affermato che Maurizio Gallo era titolare di attività di balneazione insistente sul tratto demaniale a confine con la sua proprietà, indicando questo confine nel muretto Ric. 2019 n. 14273 sez. S2 - ud. 12-10-2023 -9- riportato nella planimetria, così come pure evidenziato nella dichiarazione dell’8/3/1990 e, infine, l’atto n. 2020 del 1994 in cui il Ministero dei Trasporti e della Navigazione hanno concesso all'Associazione nautica Campo di Mare di occupare la zona demaniale compresa tra i termini lapidei 5 e 6 allo scopo di mantenere un arenile per la posa degli ombrelloni. 2.5. Con il quinto motivo, articolato in riferimento al n. 4 del comma I dell'art.360 cod. proc. civ., la società ha poi denunciato la violazione dell'art. 115 cod. proc. civ.: la Corte d’appello non avrebbe in ogni caso valutato il valore confessorio dei documenti indicati nell’argomentazione del precedente motivo. 2.6. Con il sesto motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell'art.360 cod. proc. civ., infine, Zanzibar s.r.l. ha ribadito la violazione degli art. 102 cod. proc. civ. e dell’art. 32 del Codice della Navigazione per non avere la Corte disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti del Ministero e del Comune di Cerveteri. 3. Il terzo motivo di ricorso principale e il sesto motivo di ricorso incidentale, che devono essere esaminati preliminarmente per ragioni logiche, sono fondati. Ostilia s.r.l. aveva rivendicato, nei confronti di ciascun convenuto, la proprietà di una fascia di terreno in località Campo di Mare, compresa tra la zona di demanio marittimo corrispondente alla spiaggia e l’adiacente lungomare nominato Dei Navigatori Etruschi, distinta in catasto al foglio 53 particella 10 e al foglio 61 particella 6, con conseguente ordine di rilascio delle aree libere da cose e persone. La fascia rivendicata dalla società Ostilia era stata interessata dall'azione erosiva del mare e degli agenti atmosferici: i soggetti convenuti in rivendica erano, infatti, tutti titolari di concessioni amministrative aventi ad oggetto l’occupazione della spiaggia per l’esercizio di attività di balneazione. Ric. 2019 n. 14273 sez. S2 - ud. 12-10-2023 -10- Tra i convenuti, Maurizio Gallo aveva proprio chiesto l’estensione del contraddittorio nei confronti del Ministero dei Trasporti e del Comune di Cerveteri per essersi la sua occupazione estesa, nel tempo di durata della concessione in suo favore, fino al «muretto» costruito per frenare la dispersione della sabbia verso l’entroterra. In diritto, deve premettersi che, per giurisprudenza ormai consolidata, «mentre il lido del mare è quella porzione di riva a contatto diretto con le acque del mare da cui resta normalmente coperta per le ordinarie mareggiate, sicché ne riesce impossibile ogni altro uso che non sia quello marittimo, la spiaggia comprende non soltanto quei tratti di terra prossimi al mare, che siano sottoposti alle mareggiate straordinarie, ma anche l'arenile, cioè quel tratto di terraferma che risulti relitto dal naturale ritirarsi delle acque, restando idoneo ai pubblici usi del mare, anche se in via soltanto potenziale e non attuale» (Cass., Sez. 1, 30 luglio 2009, n. 17737, Sez. 3, 28 maggio 2004, n. 10304, m. 573255). In conseguenza, il lido e la spiaggia sono naturalmente e necessariamente inclusi nel demanio marittimo (Cass., Sez. 2, 11 maggio 2009, n. 10817), a differenza dell'arenile, che presuppone «l'attitudine potenziale a realizzare i pubblici usi del mare» (Cass., Sez. 1, 5 novembre 1981, n. 5817). Qualora, perciò, venga in discussione l'appartenenza di un determinato bene, nella sua attuale consistenza, al demanio naturale, il giudice ha il potere-dovere di controllare ed accertare con quali caratteri obiettivi esso si presenti al momento della decisione giudiziale, sicché, nel caso in cui un bene acquisisca la connotazione di lido del mare, inteso quale porzione di riva a contatto diretto con le acque del mare da cui resta normalmente coperta per le ordinarie mareggiate, ovvero di spiaggia (ivi compreso l'arenile), che comprende quei tratti di terra prossimi al mare, che siano sottoposti alle mareggiate straordinarie, esso assume i connotati naturali di bene Ric. 2019 n. 14273 sez. S2 - ud. 12-10-2023 -11- appartenente al demanio marittimo necessario, indipendentemente da un atto costitutivo della P.A. o da opere pubbliche sullo stesso realizzate, mentre il preesistente diritto di proprietà privata subisce una corrispondente contrazione, fino, se necessario, alla totale eliminazione, sussistendo, ormai, quei caratteri che, secondo l'ordinamento giuridico vigente, precludono che il bene possa formare oggetto di proprietà privata (Sez. 1, Sentenza n. 6619 del 01/04/2015; Sez. Unite, Sentenza n. 848 del 02/05/1962). Ciò precisato, l’integrazione del contraddittorio – come peraltro tempestivamente chiesta da Maurizio Gallo con la proposizione della sua domanda riconvenzionale - era perciò necessaria, atteso che la corretta identificazione dell’area oggetto di rivendica era destinata, quale questione pregiudiziale in senso logico (o punto pregiudiziale), ad essere coperta dall’efficacia del giudicato e implicava ancor prima la previa individuazione dell’area demaniale finitima. L’accertamento, pertanto, non poteva che essere svolto nel contraddittorio con il Comune di Cerveteri, ente territoriale che aveva stipulato le concessioni e con il Ministero delle Finanze a cui era stata attribuita dal regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440 l'amministrazione dei beni immobili dello Stato; i medesimi poteri gestori del Ministero sono oggi di competenza dell'Agenzia del demanio ai sensi degli art. 57 e 65 del decreto legislativo n. 300 del 1999. La non integrità del contraddittorio per pretermissione di un litisconsorte necessario importa, secondo l'art. 383 cod. proc. civ., comma III e l’art. 354 cod. proc. civ., l'annullamento della pronuncia emessa e la cassazione con rinvio al giudice di primo grado per procedere alla nuova trattazione della controversia a contraddittorio pieno ed integro. Ric. 2019 n. 14273 sez. S2 - ud. 12-10-2023 -12- 4. Dall’accoglimento di entrambi i motivi, deriva, in logica conseguenza, l’assorbimento dei restanti motivi del ricorso principale e del ricorso incidentale. 5. La sentenza impugnata deve perciò essere dichiarata nulla, con rinvio al Tribunale di Civitavecchia, anche per le spese di legittimità. P.Q.M. La Corte, decidendo sul ricorso, dichiara la nullità della sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Civitavecchia anche per le spese di legittimità. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di Cassazione del 12 ottobre 2023. Il Consigliere rel. est. Il Presidente Patrizia Papa Mauro Mocci

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