Sentenze recenti usufrutto

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI BOLOGNA SECONDA SEZIONE CIVILE in composizione monocratica, nella persona del giudice Antonio Costanzo, ha pronunciato, dopo discussione orale ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c., la seguente SENTENZA definitiva nella causa civile n. 7918/2023 R.G. promossa da F_M. ((...)) ((...)); - ATTORE contro GS (..) (..); - CONVENUTA Oggetto: obbligazioni. CONCLUSIONI Per l'attore opponente: "NEL MERITO: - REVOCARE il decreto opposto perché infondato in fatto e diritto per le ragioni esposte in narrativa; - DICHIARARE la non esigibilità del credito ex adverso azionato con il monitorio opposto, in quanto, per i motivi esposti in narrativa, inesistente e pertanto non dovuto; - CONDANNARE la convenuta - opposta al risarcimento del danno ex Art. 96 C.P.C. per il tenuto contegno profondamente lesivo dei principi di buona fede contrattuale che devono animare le parti nonché per l'evidente abuso in mala fede e con colpa grave dello strumento processuale; - Con vittoria di spese e compensi di lite dei quali i difensori si dichiarano distrattari. IN VIA ISTRUTTORIA: Previa remissione della causa in istruttoria, chiede ammettersi prova per testi sui capitoli tutti, nessuno escluso, di cui alla narrativa dell'atto di citazione in opposizione da ritenersi qui integralmente riportati in forma positiva - espunti giudizi e valutazioni -preceduti dalla locuzione "vero che". Chiede, inoltre, chiedersi prova testimoniale sui seguenti capitoli di prova: 1) "vero che la sig.ra G. S. nel periodo 2019-2024 ha trovato e/o ricercato una occupazione lavorativa"; 2) "vero che la sig.ra G. ha richiesto al sig. F. di dichiararsi debitore nei suoi confronti dicendogli che le poteva essere utile far valere dei diritti di credito nei confronti del F. medesimo che era assoggettato all'esecuzione immobiliare Tribunale di Bologna n. 754/2017 Es. Imm."; 3) "vero che a seguito della richiesta di cui al capitolo che precede, la sig.ra G. predispose la scrittura privata datata 8/6/2020 che le viene rammostrata e che riconosce nel documento n.5 di parte opponente"; 4) "vero che la sig.ra G. dal 2019 a tutt'oggi ha continuamente fatto pressioni nei confronti del sig. F. per ottenere da quest'ultimo somme di denaro". Si indicano come testi i signori: - B. F., Bologna; - D. Gherardi, Bologna; - F. M., Bologna" Per la convenuta opposta: "Il patrocinio dell'opposta G., facendo seguito alle deduzioni già all'udienza del l'08.5.24 precisa le conclusioni come in memoria di replica istruttoria ex art. 183 c. 6 n. 3 c.p.c. ed in comparsa di costituzione, segnalando che è emersa in sede istruttoria la percezione da parte G. di Euro 3.925,70 - a seguito della vendita forzata dell'abitazione familiare di proprietà di controparte F. nella procedura r.g.e. Trib. Bo. 754/17- che va decurtata dalla sorte indicata nelle conclusioni della comparsa di costituzione di parte G., sorte pretesa che, pertanto, da Euro 40.000 originari è ora pari ad Euro 36.074,30. Peraltro, si segnala che alcuna attività di esecuzione si è compiuta in ragione del decreto ingiuntivo opposto che è immediatamente esecutivo. Inoltre, si evidenzia che proceduralmente ed ai fini dell'accoglimento delle domande di parte opposta Sig.ra G., si ritiene - e si conclude - che il decreto opposto da controparte vada revocato da sentenza che accolga le richieste di parte opposta Sig.ra G. recante solo l'importo di Euro 36.074,30 - invece che Euro 40.000 -, quale elemento di sorte capitale di condanna a carico dell'opponente controparte F. a cui aggiungere tutte le altre voci richieste in sede di comparsa di costituzione dell'opposta G.". Si richiamano la conclusioni di cui alla comparsa di risposta: "Per l'ingiungente G. (oggi convenuta) si rassegnano, pertanto, le seguenti conclusioni: - rigettare ogni avversa difesa ed istanza, anche con conferma dell'ingiunzione opposta da controparte, subordinatamente con condanna dell'opponente F. (attore nella presente fase di causa) di corrispondere a parte opposta G. (ingiungente nella monizione per cui è il presente giudizio) Euro 40.000 oltre interessi maturati e maturandi ex lege dall'emissione dell'ingiunzione oggi gravata sino al saldo (anche al tasso conseguente alla pendenza di lite giudiziaria); - in ogni caso: con ogni più ampia riserva, vinte le spese di lite e con richiesta di liquidazione dell'attività per gratuito patrocinio nella misura ritenuta di legge dal Giudice in favore dell'Avv. P. M. patrocinatore di parte G., nonché con condanna di controparte per responsabilità aggravata, anche per le affermazioni palesemente contraddittorie e la rilettura degli atti non conforme al contenuto degli stessi con rimessione a giustizia circa la relativa misura". MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Richiamati atti e documenti di causa, noti alle parti; rilevato che l'attore non ha fornito prova scritta a sostegno dell'opposizione; esaminate le conclusioni finali in epigrafe trascritte; si osserva quanto segue. 2. L'opposizione avverso il decreto ingiuntivo 7 aprile 2023 n. 1858 esecutivo ex art. 642 c.p.c. (emesso, su ricorso depositato il 1 dicembre 2022 che non risulta preceduto la richiesta stragiudiziale, per la somma capitale di euro 40.000,00 oltre accessori) proposta da M. F. con citazione notificata via PEC il 30 maggio 2023 all'ex coniuge S. G. (costituitasi il 27 luglio 2023), va respinta per infondatezza dei motivi dedotti dall'opponente, benché il decreto opposto vada revocato come richiesto, da ultimo, dalla stessa convenuta, avendo essa dato atto, esaurita l'istruttoria, che il debito era inferiore a quello oggetto di ricorso (si richiamano in proposito le conclusioni finali della convenuta). 2.1. La domanda monitoria proposta dall'odierna convenuta si fonda sulla scrittura privata 8 giugno 2020, recante riconoscimento di debito da parte dell'odierno attore e nella quale si legge: "(...) PREMESSO IN FATTO - che nell'ambito della separazione consensuale omologata il 7 luglio 2017 tra i coniugi F. e G. gli stessi pattuivano che: - la figlia della coppia, B., sarebbe stata collocata presso la madre nella casa familiare di X, Via ...4; - il sig. F. avrebbe versato un mantenimento per la figlia di Euro 300 mensili; - Nell'ipotesi di trasferimento a Bologna di moglie e figlia il F., alla data del trasferimento dalla casa coniugale si obbliga a trasferire l'usufrutto a S. G. per una durata non inferiore a 5 anni (clausola 11a verb. Sep), con diritto della Signora G. di locare l'appartamento a terzi (clausola 11c verb. Sep) e, a decorrere dal percepimento dei canoni di locazione il F. avrebbe cessato di corrisponderle l'importo di Euro 300,00 mensili, o a versare la differenza tra il canone percepito e l'importo di Euro 300,00 qualora l'importo del canone percepito fosse stato inferiore (clausola 11c verb. Sep); - in esecuzione dei predetti accordi raggiunti in sede di separazione, F. cedeva gratuitamente e trasferiva a S. G. l'usufrutto vitalizio sulla casa familiare per la durata di anni 8 in data 8 agosto 2017; - successivamente il sig. F. subiva il pignoramento immobiliare n. 754/2017 promosso da Intesa San Paolo Group per mancato pagamento delle rate del mutuo contratto per l'acquisto della casa familiare. Nell'ambito della procedura l'immobile è stato venduto mediante asta giudiziaria ed attualmente è fissata udienza, al 26.6.20, per la precisazione del credito e distribuzione delle somme; - a partire dal 2018 il sig. F., assieme alla figlia B. , si trasferiva nella casa locata dalla nonna paterna, in Via ... , provvedendo dunque lo stesso al mantenimento diretto della figlia, presso di lui collocata; - la signora G., nel mese di novembre/dicembre 2019 sporgeva denuncia ai danni del sig. F. per mancato pagamento dell'assegno di mantenimento della figlia B. e notificava al sig. F. atto di precetto per il pagamento, a titolo di mantenimento, della somma di Euro 10.709,38 che non veniva opposto; - successivamente la signora G. interveniva nel pignoramento immobiliare per la predetta somma privilegiata, oltre che alla somma di Euro 80.000 pari al valore forfettario del diritto di usufrutto non goduto. Tutto ciò premesso - il signor F. si impegna a non opporsi alla precisazione del credito della moglie; - il sig. F., con la sottoscrizione della presente, si riconosce debitore nei confronti della moglie della somma di Euro 40.000 a titolo di mancato godimento dell'usufrutto e di risarcimento del danno dalla stessa patito, da versarsi in rate mensili di Euro 200; - il sig. F. si impegna a versare alla moglie, entro il giorno 5 di ogni mese sul di lei conto corrente, a partire dal corrente mese di giugno - qualora egli non l'abbia già fatto - la somma di Euro 300 mensili a titolo di mantenimento in favore della stessa sino a che la moglie non avrà reperito una attività lavorativa che le consenta l'autosufficienza; - la signora G. si impegna a ritirare immediatamente la querela presentata ai danni del sig. F., rinunciando sin da ora a costituirsi parte civile in un eventuale procedimento penale nei confronti del marito per le circostanze denunciate". 2.2. Come pacifico in atti e riscontrato dai documenti acquisiti: a) in attuazione dei patti raggiunti in sede di separazione consensuale (verbale 7 giugno 2017) omologata con decreto 7 luglio 2017, con atto redatto dal notaio P. M. data 3 agosto 2017 denominato "trasferimento in esecuzione di accordi contenuti nel verbale di separazione consensuale" l'attore aveva costituito in favore della convenuta "a titolo gratuito" l'usufrutto per la durata di (almeno) otto anni sull'immobile in X già adibito a casa familiare ("(...) F. M., in esecuzione dei predetti accordi in sede di separazione, cede e trasferisce a titolo gratuito a G. S. che accetta ed acquista l'usufrutto per la durata di anni 8 (otto) da oggi o se successivo a detto termine fino al raggiungimento dell'autosufficienza economica della figlia minore F. B., della porzione di villetta trifamiliare (...)"): l'immobile era gravato da ipoteca iscritta il 17 novembre 2003 a garanzia di mutuo concesso all'attore da un istituto bancario di originari euro 120.000 (come si legge nell'atto notarile 3 agosto 2017, "F. M. dichiara che sull'immobile in oggetto grava l'ipoteca (...) che la parte acquirente dichiara di tollerare, ben sapendo che, ai sensi e alle condizioni di cui agli artt. 2858 c.c. e seguenti, in caso di mancato pagamento del debito garantito la Banca può promuovere esecuzione forzata sul bene acquistato col presente atto"); b) nel novembre 2017 su iniziativa del creditore ipotecario l'immobile in X già adibito a casa familiare, e sul quale era stato costituito l'usufrutto in favore di S. G., è stato colpito da pignoramento (doc. 9 di parte convenuta): come riportato anche nella scrittura privata 8 giugno 2020, nell'esecuzione immobiliare n. 754/2017 R.G. contro M. F. è intervenuta anche l'odierna convenuta sia quale creditrice di somme a titolo di concorso nel mantenimento della figlia (per tale credito al debitore era stato notificato precetto non opposto) sia quale titolare di diritto di usufrutto sull'immobile pignorato (art. 2812 c.c.; v. anche la proposta di piano di riparto 15 giugno 2020 elaborata dall'esperto contabile ausiliario del giudice dell'esecuzione, doc. 6 di parte attrice); c) la prima udienza per l'autorizzazione alla vendita nell'esecuzione immobiliare n. 754/2017 R.G. si è tenuta l'11 marzo 2019; la scrittura privata 8 giugno 2020 è stata sottoscritta dalle parti dopo la vendita forzata dell'immobile pignorato (il decreto di trasferimento era stato il 12 marzo 2020) e prima dell'udienza 26 giugno 2020 fissata per la precisazione dei crediti e la distribuzione del ricavato; con ordinanza 2 luglio 2020 il giudice dell'esecuzione ha dichiarato esaurita l'esecuzione immobiliare e ha ordina il pagamento delle somme come da progetto di distribuzione 15 giugno 2020, progetto che, per quanto qui rileva, prevedeva, una volta soddisfatti i crediti in prededuzione ed il credito assistito da ipoteca, l'attribuzione a S. G. della residua somma di euro 3.925,70 a parziale compensazione della perdita dell'usufrutto il cui valore era stato quantificato nel progetto di distribuzione in euro 72.000,00. Dalla lettura degli atti qui richiamati appare evidente che l'obbligazione assunta dall'attore verso la convenuta con la scrittura privata 8 giugno 2020 era volta a compensare la perdita economica subita da S. F. a seguito dell'estinzione dell'usufrutto costituito in suo favore solo pochi mesi prima del pignoramento (art. 2812, comma 2, c.c.). L'accordo documentato dalla scrittura privata ha natura transattiva in quanto, come si legge nelle premesse del testo, la convenuta era già intervenuta nell'esecuzione immobiliare affermandosi creditrice della "somma di Euro 80.000 pari al valore forfettario del diritto di usufrutto non goduto". Più che eloquente il passaggio in cui si afferma che "il sig. F., con la sottoscrizione della presente, si riconosce debitore nei confronti della moglie della somma di Euro 40.000 a titolo di mancato godimento dell'usufrutto e di risarcimento del danno dalla stessa patito, da versarsi in rate mensili di Euro 200", mentre l'inadempimento dell'attore ha determinato la decadenza dal beneficio del termine (in tal senso v. il ricorso per decreto ingiuntivo). 3. A sostegno dell'opposizione l'attore deduce la simulazione assoluta dell'accordo di cui alla scrittura privata 8 giugno 2020 perché "attesta un debito totalmente inesistente"; solleva eccezione di inadempimento adombrando una risoluzione per inadempimento della conventa: deduce la nullità dell'accordo sotto vari profili (illiceità della causa; frode alla legge; illiceità del motivo). 4. Così come proposta dall'attore, la prova per testi non può essere accolta, considerati le questioni controverse ed il fondamento della domanda monitoria: il capitolo 1 è generico e irrilevante ("vero che la sig.ra G. S. nel periodo 2019-2024 ha trovato e/o ricercato una occupazione lavorativa"); il capitolo 2 è generico e inammissibile nella parte in cui contrasta col tenore dell'accordo 8 giugno 2020 ("vero che la sig.ra G. ha richiesto al sig. F. di dichiararsi debitore nei suoi confronti dicendogli che le poteva essere utile far valere dei diritti di credito nei confronti del F. medesimo che era assoggettato all'esecuzione immobiliare Tribunale di Bologna n. 754/2017 Es. Imm."); il cap. 3 è irrilevante e inammissibile nella parte in cui si pone in collegamento col capitolo precedente ("vero che a seguito della richiesta di cui al capitolo che precede, la sig.ra G. predispose la scrittura privata datata 8/6/2020 che le viene rammostrata e che riconosce nel documento n. 5 di parte opponente"); il cap. 4 è generico e irrilevante ("vero che la sig.ra G. dal 2019 a tutt'oggi ha continuamente fatto pressioni nei confronti del sig. F. per ottenere da quest'ultimo somme di denaro"). 5. Non vi è alcuna prova (l'attore non l'ha fornita, art. 1417 c.c.) dell'accordo simulatorio sottostante alla scrittura privata 8 giugno 2020 posta a base del ricorso per decreto ingiuntivo e che, invero, richiama, ponendosi con essi in relazione, i patti conclusi in sede di separazione consensuale, l'atto attuativo 3 agosto 2017, le vicende relative all'esecuzione forzata sull'immobile già adibito a casa familiare. L'eccezione di simulazione assoluta è infondata. Da un lato, manca la prova dell'accordo simulatorio; dall'altro, sono pacifici i fatti posti a fondamento del credito della convenuta (in sintesi, l'estinzione del diritto di usufrutto per effetto dell'espropriazione immobiliare subita dall'attore, art. 2812 c.c.) il cui ammontare è stato definito dalla parti in via transattiva nella misura di euro 40.000,00. 6. L'opponente non ha provato fatti idonei a giustificare la risoluzione dell'accordo consacrato nella scrittura privata 8 giugno 2020: da un lato, non vi è alcun immediato nesso di corrispettività tra l'obbligazione assunta da M. F., previo riconoscimento del proprio debito nella misura di euro 40.000,00 "a titolo di mancato godimento dell'usufrutto e di risarcimento del danno dalla stessa (G., n.d.r.) patito", e l'impegno di S. G. a ritirare la querela presentata (pare a fine 2019) nei confronti dell'allora marito, essendo oltretutto pacifico che l'inadempimento di M. F. rispetto alle obbligazioni verso l'istituto bancario e la espropriazione immobiliare n. 754/17 R.G.E. hanno determinato l'estinzione del diritto di usufrutto, inopponibile al creditore ipotecario (Cass., sez. I, 27 marzo 1993, n. n. 3722), che era stato costituito in favore di S. G. per la durata di otto anni con l'atto pubblico 3 agosto 2017 a ministero notaio P. M. denominato "trasferimento in esecuzione di accordi contenuti nel verbale di separazione consensuale" (in altri termini, in sede di separazione consensuale, come da verbale 7 giugno 2017 omologato il 7 luglio 2017, M. F. aveva assunto una obbligazione attuata con l'atto pubblico 3 agosto 2017 ma di fatto il suo inadempimento verso l'istituto di credito, poi pignorante in forza di credito garantito da ipoteca iscritta nel 2003, ha precluso all'avente diritto S. G. la possibilità di godere dell'immobile in X già casa familiare); dall'altro, è pacifico che S. G., in conformità all'impegno assunto con la scrittura 8 giugno 2020, non si è costituita parte civile nel processo penale contro M. F., processo (n. 5530/20 R.G.N.R. - n. 1662/22 R.G. dibattimento) definito con sentenza di assoluzione sul presupposto che l'inadempimento di obbligazioni civili non integra di per sé gli estremi del reato di cui all'art. 570-bis c.p. (già art. 12-sex/'es, l. n. 898/1970) in relazione all'art. 570 c.p. (la sentenza Trib. Bologna, 27 febbraio - 28 marzo 2023 n. 965 è irrilevante in questa sede, tanto più che l'oggetto della presente causa non riguarda l'omesso versamento dell'assegno dovuto dal padre a titolo di contributo per il mantenimento della figlia come da accordi di separazione), mentre non vi è ragione di contestare all'odierna convenuta l'omessa rimessione di querela (le premesse della scrittura privata 8 giugno 2020 fanno riferimento ad una denuncia, la sentenza penale n. 965/2023 parla sia di querela presentata l'8 gennaio 2020 che di denuncia querela) perché condotta del tutto ininfluente rispetto all'esercizio dell'azione penale quando, come nel caso di specie, si verta in ipotesi di reato procedibile d'ufficio (cfr. Cass. pen., sez. VI, 30 gennaio - 24 febbraio 2020, n. 7277). 7. La questione relativa al contributo al mantenimento della figlia (nata il 7 maggio 2000, dunque ormai maggiorenne al tempo della scrittura 8 giugno 2020) non ha alcuna attinenza con l'obbligazione dedotta in giudizio, sorretta da una causa del tutto autonoma e meritevole di tutela, inerente al mancato godimento da parte della convenuta del diritto che l'attore le aveva riconosciuto in sede di separazione consensuale e volta appunto alla compensazione di quel mancato godimento mediante il pagamento di una somma di denaro (concordato nella misura di euro 40.000,00) di cui M. F. si è dichiarato debitore (v. supra; v. anche il verbale dell'udienza 2 marzo 2023 nel giudizio divorzile 14033/2022 R.G.). 8. Non vi è alcuna nullità dell'accordo sottostante l'impegno assunto da M. F. con la predetta scrittura 8 giugno 2020, accordo che trae origine dall'avventa estinzione del diritto di usufrutto alla costituzione del quale l'attore si era impegnato già in sede di separazione consensuale. 9. In conclusione, l'opposizione, così come proposta dall'attore, è infondata. 10. In comparsa di costituzione la convenuta ha chiesto la conferma del decreto ingiuntivo opposto o in subordine la condanna dell'attore al pagamento della somma di "Euro 40.000 oltre interessi maturati e maturandi ex lege dall'emissione dell'ingiunzione oggi gravata sino al saldo (anche al tasso conseguente alla pendenza di lite giudiziaria)". Nelle conclusioni finali la convenuta ha chiesto la revoca del decreto ingiuntivo e la condanna dell'attore al pagamento di una somma inferiore a quella oggetto di ingiunzione. Nell'esecuzione immobiliare n. 754/17 R.G.E., a seguito della vendita forzata (il decreto di trasferimento è stato emesso il 12 marzo 2020) e dell'approvazione del piano di riparto con ordinanza 7 luglio 2020 del giudice dell'esecuzione, la convenuta aveva ricevuto una somma di denaro (euro 3.925,70) a parziale soddisfacimento del credito da essa vantato in relazione all'estinzione del diritto di usufrutto. Come si legge nelle conclusioni finali, la convenuta chiede la revoca del decreto ingiuntivo con sentenza che condanni l'attore a pagare "solo l'importo di Euro 36.074,30 -invece che Euro 40.000 -, quale elemento di sorte capitale di condanna a carico dell'opponente controparte F. a cui aggiungere tutte le altre voci richieste in sede di comparsa di costituzione dell'opposta G.". Ne conseguono, da un lato, la revoca del decreto ingiuntivo limitatamente ai capi relativi all'ingiunzione di pagare "la somma di Euro 40.000,00" (capo 1) e "gli interessi come da domanda" (capo 2) (nel ricorso era chiesto il pagamento della "somma complessiva di Euro 40.000 oltre agli interessi maturati e maturandi ex lege dall'emissione dell'ingiunzione sino al saldo effettivo"), e non anche la condanna alle spese pronunciata in favore dell'erario (la ricorrente era stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato), capo rispetto al quale l'odierna convenuta non ha potere dispositivo; dall'altro, attese le conclusioni finali (che quanto agli accessori richiamano le conclusioni di cui alla comparsa di risposta), la condanna dell'attore al pagamento della somma di euro 36.074,30 oltre interessi legali da calcolarsi ai sensi dell'art. 1284, comma 4, c.c. dal 7 aprile 2023 sino al saldo. 11. Non vi sono i presupposti per la condanna dell'attore ex art. 96 c.p.c., come invece richiesto dalla convenuta in comparsa di risposta. 12. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo in favore dell'erario (artt. 133, d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115: "Il provvedimento che pone a carico della parte soccombente non ammessa al patrocinio la rifusione delle spese processuali a favore della parte ammessa dispone che il pagamento sia eseguito a favore dello Stato"), in quanto la convenuta è ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato (v., fra le altre, Cass., sez. II, 19 gennaio 2021, n. 777). P.Q.M. Il Tribunale di Bologna in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle parti, ogni diversa domanda, istanza ed eccezione respinta: - rigetta l'opposizione avverso il decreto ingiuntivo 7 aprile 2023 n. 1858 proposta da F. M. contro G. S.; - revoca il decreto ingiuntivo 7 aprile 2023 n. 1858; - condanna F. M. a pagare a G. S. la somma di euro 36.074,30 oltre interessi legali da calcolarsi ai sensi dell'art. 1284, comma 4, c.c. dal 7 aprile 2023 sino al saldo; - rigetta la domanda di condanna ai sensi dell'art. 96 c.p.c. proposta da G. S. contro F. M.; - liquida le spese processuali a carico di F. M. in euro 3.809,00 per compenso, oltre rimborso forfettario 15%, oltra CPA e IVA come per legge. Bologna, 15 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE GREGORIO Eduardo - Presidente Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere Dott. SESSA Renata - Consigliere Dott. PILLA Egle - Consigliere Dott. BORRELLI Paola - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 04/05/2022 del GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di POTENZA; udita la relazione svolta dal Consigliere PAOLA BORRELLI; lette le conclusioni del Procuratore generale GIULIO ROMANO, che ha chiesto il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La pronunzia di patteggiamento impugnata e' stata deliberata il 4 maggio 2022 dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Potenza, che ha applicato a (OMISSIS) - tratto a giudizio per i reati di cui agli articoli 216 L.F. e 11 Decreto Legislativo n. 74 del 2000 - la pena su cui le parti si sono accordate. Le vicende riguardano la societa' " (OMISSIS) (OMISSIS)" gia' affermatasi nel campo delle energie rinnovabili e poi dichiarata fallita dal Tribunale di Potenza il 15 luglio 2021. Secondo la sentenza impugnata, (OMISSIS), quale legale rappresentante della societa' predetta, in concorso con la (OMISSIS) ed in concomitanza con l'accrescersi del debito fiscale, aveva indebitamente trasferito, senza corrispettivo o a prezzo vile, parte dei beni immobili della societa' ai figli minori ed altri beni aziendali ad una nuova societa', la (OMISSIS) (OMISSIS) s.r.l., rappresentata dalla (OMISSIS) e destinata alla prosecuzione dell'attivita' della fallita. Con tali operazioni, il ricorrente aveva eluso le ragioni dei creditori, ivi compreso il Fisco. Con la sentenza di patteggiamento impugnata e' stata disposta la confisca dei seguenti beni: (confisca in via diretta quali beni-profitto del reato di bancarotta fraudolenta distrattiva) - beni immobili situati nel Comune di (OMISSIS), che la sentenza erroneamente assume intestati alla moglie di (OMISSIS), la coimputata non patteggiante (OMISSIS) (un opificio, un fabbricato e diversi terreni), mentre, nella realta' e come si evince dal corpo della motivazione del provvedimento impugnato, si tratta di beni di cui la (OMISSIS) ha solo l'usufrutto, mentre la nuda proprieta' appartiene ai due figli minori della coppia; - due fabbricati di proprieta' della (OMISSIS) (OMISSIS) s.r.l. situati a (OMISSIS); (confisca per il reato tributario): - quote societarie intestate a (OMISSIS) in alcune societa'; - il 50 % delle somme depositate sui depositi a risparmio e sui conti intestati sia a (OMISSIS) e alla moglie che ai due figli minori della coppia. 2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato (OMISSIS) con il ministero del proprio difensore, ricorso che riguarda il punto della sentenza che concerne la confisca. 2.1. Il primo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e mancanza, manifesta illogicita' e contraddittorieta' della motivazione. In primo luogo, il ricorrente evidenzia l'errore commesso dal Giudice dell'udienza preliminare quando ha affermato che i beni immobili sequestrati appartenevano a (OMISSIS), che ne sarebbe stata nuda proprietaria, mentre nelle realta' tali beni sono di proprieta' dei figli minori (nudi proprietari), mentre la (OMISSIS) ne e' solo usufruttuaria. Cio' posto, il Giudice dell'udienza preliminare avrebbe errato nel sottoporre a confisca beni appartenenti a persone estranee al reato, in violazione del disposto di cui all'articolo 240, comma 3, c.p.. 2.2. Il secondo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e mancanza, manifesta illogicita' e contraddittorieta' della motivazione quanto alla confisca sia dei beni di cui al precedente motivo, sia in ordine ai due fabbricati di proprieta' della " (OMISSIS) (OMISSIS) s.r.l." Il ricorrente rappresenta che la (OMISSIS) non e' un soggetto terzo, ma e' coimputata e conclude, dopo aver riportato alcuni passaggi della sentenza impugnata, che i beni immobili di proprieta' di soggetto terzo rispetto al coimputato patteggiante - come in questo caso - non possono essere confiscati. 2.3. Il terzo motivo di ricorso denunzia violazione di legge e mancanza, manifesta illogicita' e contraddittorieta' della motivazione quanto alla confisca per equivalente del 50 % delle somme giacenti su due depositi a risparmio intestati ai figli minori del ricorrente e su cui quest'ultimo e la moglie avevano la delega ad operare. Il ricorrente contesta che si sia fatto leva sulla predetta delega per ritenere che i beni fossero nella disponibilita' del ricorrente, ancorche', come sancito da una sentenza di questa Corte, cio' avrebbe imposto un obbligo specifico di motivazione. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso e' inammissibile. 1. Il primo motivo di ricorso - concernente i beni immobili situati nel Comune di (OMISSIS) - e' inammissibile perche' il ricorrente non ha rappresentato quale fosse l'interesse all'annullamento del provvedimento impugnato, dal momento che si tratta di cespiti non gia' nella sua disponibilita' ma, appunto, proprio come sostenuto nello stesso ricorso, di proprieta' dei figli minori con usufrutto della moglie. A questo proposito - sia detto per inciso - va altresi' segnalato che il ricorrente ha proposto l'impugnativa in proprio e non gia' quale esercente la potesta' genitoriale sui figli minorenni e che, anche ove il ricorrente avesse speso tale qualita', il ricorso avrebbe dovuto essere anche accompagnato dalla procura speciale ad impugnare conferita al difensore da (OMISSIS) nella qualita' di esercente la potesta' genitoriale sui figli minori, quali terzi interessati. Nell'escludere l'esistenza di un interesse al ricorso, il Collegio si ispira alla giurisprudenza di questa Corte - secondo la quale l'imputato non ha un interesse autoevidente alla proposizione del ricorso che riguardi beni di soggetti terzi, la cui fisiologica destinazione, in caso di accoglimento dell'impugnativa, non e' il patrimonio dell'indagato o del proposto, ma, appunto, quello di soggetti diversi da quest'ultimo. Il principio e' stato persuasivamente affermato e ribadito da questa Corte proprio in tema di confisca, sostenendo che e' inammissibile per difetto di interesse il ricorso proposto avverso la confisca di un bene da parte dell'imputato del reato in riferimento al quale la confisca viene disposta, che non ne sia titolare (Sez. 5, n. 18508 del 16/02/2017, Fulco e altri, Rv. 270209; in termini, Sez. 6, n. 11496 del 21/10/2013, dep. 2014, Castellaccio, Rv. 262612; Sez. 2, n. 4160 del 19/12/2019, dep. 2020, Bevilacqua, Rv. 278592). Speculare a quella formatasi in relazione al giudizio di cognizione e' (‘esegesi che riguarda il procedimento di esecuzione, in relazione al quale si e' affermato (Sez. 6, n. 29124 del 02/07/2012, Carlon e altri, Rv. 253180) che soltanto il terzo e non il condannato puo' rivendicare la legittima appartenenza del bene sottoposto a confisca. La stessa logica ha guidato le decisioni di questa Corte in tema di interesse a proporre riesame da parte dell'indagato, ancorche' testualmente legittimato ai sensi dell'articolo 322, comma 1, c.p.p.; a questo riguardo, si e' sostenuto che l'indagato non titolare del bene oggetto di sequestro preventivo e' legittimato a presentare richiesta di riesame del titolo cautelare solo in quanto vanti un interesse concreto ed attuale alla proposizione del gravame, che va individuato in quello alla restituzione della cosa come effetto del dissequestro (Sez. 3, n. 16352 del 11/01/2021, Di Luca, Rv. 281098; Sez. 5, n. 35015 del 09/10/2020, Astolfi, Rv. 280005; Sez. 5, n. 52060 del 30/10/2019, Angeli, Rv. 277753; Sez. 3, n. 3602 del 16/01/2019, Solinas, Rv. 276545; Sez. 3, n. 35072 del 12/04/2016, Held, Rv. 267672). In questo filone, per l'affinita' con la concreta regiudicanda, si segnala, in particolare, Sez. 3, n. 47313 del 17/05/2017, Ruan e altri Rv. 271231, laddove si e' valorizzato che il ricorso era stato presentato dall'indagato in proprio e non anche quale legale rappresentante della societa' in accomandita semplice che avrebbe avuto diritto alla restituzione dei beni. Sez. 1, n. 6779 del 08/01/2019, Firriolo, Rv. 274992, poi, oltre a ribadire il principio di cui sopra, ha statuito che l'inammissibilita' della richiesta di riesame era legata altresi' al fatto che l'indagato, oltre che presentare richiesta di riesame solo in proprio (e non quale amministratore della s.r.l. intestataria dei beni) non aveva neanche conferito procura speciale al difensore nell'interesse della societa' terza. Si richiama, infine, per dare conto della validita' del principio anche in un ulteriore ambito, Sez. 5, n. 8922 del 26/10/2015, dep. 2016, Poli e altro, Rv. 266141 secondo cui, nel procedimento di prevenzione, e' inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso per cassazione proposto avverso il provvedimento di confisca di beni formalmente intestati a terzi dal soggetto presunto interponente, che assuma l'insussistenza del rapporto fiduciario e, quindi, la titolarita' effettiva ed esclusiva dei beni in capo al terzo intestatario, in quanto la legittimazione all'impugnazione spetta solo a quest'ultimo, quale unico soggetto avente, in ipotesi, diritto alla restituzione del bene (in termini, Sez. 6, n. 48274 del 01/12/2015, Vicario e altro, Rv. 265767). 2. Il secondo motivo di ricorso deve avere la stessa sorte, giacche' investe il punto della decisione che riguarda beni di proprieta' della " (OMISSIS) (OMISSIS) s.r.l.", amministrata dalla moglie dell'imputato, sequestrati, in via diretta, quali oggetto delle condotte distrattive. 3. Analoghe considerazioni valgono quanto al terzo motivo di ricorso, che riguarda la confisca del 50 % delle somme giacenti su due depositi a risparmio intestati ai figli minori del ricorrente e su cui quest'ultimo e la moglie avevano la delega ad operare. Si tratta, infatti, di somme che rientrano nel patrimonio dei due minori e che, in quanto tali, in caso di caducazione della confisca, sarebbero restituite non gia' al prevenuto - ancorche' delegato ad operare sul rapporto bancario - ma ai due bambini. Anche in questo caso va ribadita la riflessione secondo la quale (OMISSIS) non ha proposto il ricorso quale esercente la potesta' genitoriale nei confronti dei figli minori, ne' ha conferito, in tale qualita', procura speciale al difensore firmatario del ricorso. 4. All'inammissibilita' del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p. (come modificato ex L. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, cosi' equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' (Corte Cost. 13/6/2000 n. 186). P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila a favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAGO Geppino - Presidente Dott. VERGA Giovanna - Consigliere Dott. MESSINI Piero - rel. Consigliere Dott. COSCIONI Giuseppe - Consigliere Dott. CERSOSIMO Emanuele - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS) nata a (OMISSIS); avverso la ordinanza del 07/12/2022 del TRIBUNALE DI COSENZA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Piero MESSINI D'AGOSTINI; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Enrico PEDICINI, che ha concluso per l'annullamento dell'ordinanza in ordine al fumus commissi delicti; udito il difensore avv. (OMISSIS), che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Cosenza, in sede di riesame di provvedimenti impositivi di misure cautelari reali, ha confermato il decreto con il quale il G.i.p. dello stesso Tribunale aveva disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca, in via diretta e per equivalente, dell'importo di 867.427,04 Euro, ritenuto il profitto delle truffe aggravate in danno dell'Azienda Sanitaria Provinciale di (OMISSIS), contestate alla ricorrente ai capi 18, 20 e 22 dell'imputazione provvisoria, unitamente ai reati di associazione per delinquere e falso ideologico in autorizzazione amministrativa. 2. Ha proposto ricorso l'indagata, a mezzo del proprio difensore, chiedendo l'annullamento dell'ordinanza per "erronea applicazione della legge penale" e omessa motivazione sotto quattro distinti profili, indicati in altrettanti motivi, riguardanti: - la ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti per le ipotesi di truffa aggravata anche nei confronti della ricorrente; - la quantificazione del profitto dei reati di truffa nella somma di 867.427,04 Euro; - l'affermata impossibilita' da parte del Tribunale di pronunciarsi sulla riduzione del sequestro per eccedenza rispetto all'ammontare del profitto contestato; - l'ablazione delle somme confluite sui conti correnti successivamente alla commissione dell'illecito. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso va rigettato perche' proposto con un motivo non consentito (il primo) e con motivi infondati (gli altri tre). 2. Va premesso che, secondo la costante giurisprudenza di legittimita', "il sindacato della Cassazione in tema di ordinanze del riesame relative a provvedimenti reali e' circoscritto alla possibilita' di rilevare ed apprezzare la sola violazione di legge, cosi' come dispone testualmente l'articolo 325, comma 1, c.p.p.: una violazione che la giurisprudenza ormai costante di questa Corte, uniformandosi al principio enunciato da Sez. U, n. 5876, del 28/01/2004, Bevilacqua, Rv. 226710, riconosce unicamente quando sia constatabile la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlata alla inosservanza di precise norme processuali" (cosi' Sez. U, n. 18954 del 31/03/2016, Capasso, Rv. 266789, non mass. sul punto; successivamente, in senso conforme cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 18951 del 17/03/2017, Napoli, Rv. 269656; Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, Zaharia, Rv. 269119; da ultimo v. Sez. 3, n. 14977 del 25/02/2022, Tilenni, Rv. 283035). Avuto riguardo al primo motivo di ricorso, va ribadito che il giudice del riesame, nella valutazione del fumus commissi delicti, deve tener conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell'effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, indicando, sia pur sommariamente, le ragioni che rendono sostenibile o meno l'impostazione accusatoria, ma non puo' sindacare la fondatezza dell'accusa (Sez. 1, n. 18941 del 30/01/2018, Armeli, Rv. 269311; Sez. 6, n. 18183 del 23/11/2017, dep. 2018, Polifroni, Rv. 272927; Sez. 6, n. 9991 del 25/01/2017, Bulgarella, Rv. 269311; Sez. 6, n. 49478 del 21/10/2015, Macchione, Rv. 265433; Sez. 5, n. 49596 del 16/09/2014, Armento, Rv. 261677). Il Tribunale, in particolare, puo' rilevare anche il difetto dell'elemento soggettivo del reato solo quando emerga ictu oculi (Sez. 6, n. 10446 del 10/01/2018, Aufiero, Rv. 272336; Sez. 2, n. 18331 del 22/04/2016, Iommi, Rv. 266896; Sez. 4, n. 23944 del 21/05/2008, Di Fulvio, Rv. 240521; Sez. 1, n. 21736 del 11/05/2007, Citarella, Rv. 236474). Nel caso di specie, nella ordinanza impugnata non e' ravvisabile alcuna violazione di legge, poiche' la motivazione sul punto e' tutt'altro che mancante o apparente, avendo il Tribunale evidenziato i plurimi elementi a carico della ricorrente (pagg. 11-13), gia' destinataria di una misura interdittiva, chiamata anche in correita' dal medico di base (OMISSIS) in sede di interrogatorio di garanzia. 3. In ordine alla quantificazione del profitto, il Tribunale ha sostenuto che "dal profitto non possono essere detratti i costi sostenuti per l'acquisto dei medicinali presso i fornitori, perche' tale acquisto costituisce un illecito, siccome finalizzato alla realizzazione del pactum sceleris", evidenziando altresi' che dalle conversazioni intercettate e' emerso che numerose scatole di farmaci erano verosimilmente impiegate per scopi non terapeutici e destinate al commercio all'estero (pagg. 14-15). Alla luce della ricostruzione in fatto dei giudici della cautela, non risulta allo stato censurabile la valutazione del Tribunale che ha quantificato il profitto senza tener conto dei costi, facendo riferimento al danno causato all'Azienda Sanitaria Provinciale di (OMISSIS) in forza della fornitura di farmaci a base di ormone della crescita, in regime di "dispensazione per conto" (DPC), viziata dagli artifizi e raggiri posti in essere dagli indagati mediante la compilazione di ricette ideologicamente false che certificavano insussistenti esigenze terapeutiche di ignari pazienti. Risulta condivisibile sul punto l'orientamento espresso in alcune pronunce di questa Corte che, pur richiamando i principi generali in punto di commisurazione del profitto suscettibile di confisca statuiti dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 26654 del 27/03/2008, Fisia Italimpianti s.p.a., Rv. 239924), hanno affermato che "rientrano nel profitto confiscabile anche le somme percepite in relazione a prestazioni eseguite con modalita' non conformi a quanto convenuto, in quanto i costi eventualmente sostenuti dall'agente per l'esecuzione del contratto a prestazioni corrispettive integralmente contaminato da illiceita', risultano non defalcabili dal profitto confiscabile, trattandosi di spese, oltre che difficilmente documentabili e non determinabili in modo preciso, comunque sostenute a fronte di attivita' strettamente funzionali all'agire illegale ed esse stesse illecite, dunque immeritevoli di qualunque tutela da parte dell'ordinamento" (Sez. 2, n. 33092 del 18/04/2018, Trasimeno, Rv. 273432; in precedenza v. Sez. 6, n. 9988 del 27/01/2015, Moioli, Rv. 262794). E' infondato anche il motivo riguardante l'ablazione delle somme confluite sui conti correnti successivamente alla commissione dell'illecito, disatteso dal Tribunale alla luce del principio di recente ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo il quale la confisca del denaro costituente profitto o prezzo del reato, comunque rinvenuto nel patrimonio dell'autore della condotta va sempre qualificata come diretta, e non per equivalente, in considerazione della natura fungibile del bene, con la conseguenza che non e' ostativa alla sua adozione l'allegazione o la prova dell'origine lecita della specifica somma di denaro oggetto di apprensione (Sez. U, n. 42415 del 27/05/2021, C., Rv. 282037; da ultimo v. Sez. 3, n. 12154 del 16/02/2023, Spessot, non mass.). Ne consegue che la confisca delle somme di denaro affluite sul conto corrente anche successivamente alla commissione del reato ha natura di confisca diretta in quanto le stesse costituiscono comunque profitto del reato (Sez. 3, n. 42616 del 20/09/2022, L'Angolana, Rv. 283714). 4. Non e' fondato, infine, neppure il motivo con il quale la ricorrente, non legittimata a proporre questioni sul sequestro asseritamente eseguito su beni di terzi, ha lamentato che il Tribunale, ritenendo la questione proposta attinente alla fase puramente esecutiva del sequestro, non si e' espresso sulla richiesta di riduzione della misura cautelare sui propri beni. La difesa ha richiamato il principio espresso in alcune pronunce di questa Corte, in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, secondo il quale il tribunale del riesame e' tenuto a verificare, sulla base della documentazione trasmessa e delle deduzioni delle parti, il rispetto della proporzione tra il valore dei beni sottoposti a sequestro ed il profitto del reato o del prezzo da confiscare, atteso che, diversamente, si realizzerebbe una non consentita, in quanto sproporzionata, compressione del diritto di proprieta' (Sez. 6, n. 22104 del 17/02/2021, Caliri, Rv. 281307 nonche', piu' di recente, Sez. 2, n. 25036 del 08/04/2022, Pipitone, non mass.). Secondo la prevalente giurisprudenza di legittimita', tuttavia, la determinazione delle modalita' di esecuzione della cautela, che si rendano necessarie per garantire il rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalita', spetta al giudice procedente solo nella fase applicativa della misura stessa, mentre, dopo l'emissione del titolo, compete al predetto giudice la sola valutazione dei presupposti per il mantenimento o la revoca della misura, rientrando nelle prerogative del pubblico ministero ogni questione concernente l'esecuzione del sequestro, salva la possibilita' di sollecitare, con ricorso al giudice dell'esecuzione, il controllo di legittimita' relativo alle modalita' di esecuzione della misura (Sez. 2, n. 17456 del 04/04/2019, Cerea, Rv. 276951; Sez. 3, n. 30405 del 08/04/2016, Murino, Rv. 267587; Sez. 2, n. 44504 del 3/07/2015, Steccato Vattume', Rv. 265103; Sez. 3, n. 43615 del 18/02/2015, Manconi, Rv. 265152; Sez. 6, n. 16170 del 02/04/2014, Stollo, Rv. 259769; Sez. 3, n. 16689 del 26/02/2014, Squillaci, Rv. 259541; nello stesso senso, da ultimo, v. Sez. 2, n. 44642 del 08/07/2022, Di Fenza, non mass.). Analogamente si e' di recente affermato, in tema di confisca per equivalente, che non spetta al giudice di merito, una volta quantificata la somma nei limiti della quale viene disposta la misura ablatoria, determinarne anche le concrete modalita' esecutive, trattandosi di materia che rientra nella competenza esclusiva del pubblico ministero (Sez. 2, n. 5051 del 19/01/2021, Bompard, Rv. 280637). Ritiene il Collegio che debba essere data continuita' all'orientamento prevalente espresso da questa Corte, specie in ragione della mancanza di poteri istruttori in capo al tribunale del riesame, che non puo' compiere accertamenti di natura tecnica, ad esempio disponendo una perizia, diretti a verificare il rispetto del principio di proporzionalita'. Potrebbe farsi eccezione nei casi di manifesta sproporzione tra il valore dei beni oggetto del provvedimento ablatorio ed il quantum del profitto del reato indicato nella richiesta fatta dal pubblico ministero al giudice per le indagini preliminari. Nelle fattispecie esaminate da questa Corte nelle sentenze espressive del minoritario orientamento, non a caso si era in presenza di un sequestro preventivo avente ad oggetto il diritto di usufrutto di un immobile ed alcuni gioielli, a fronte di un profitto da reato quantificato in 15.567,67 Euro, e di un sequestro per un importo doppio rispetto a quello del profitto contestato. Nel caso di specie la situazione e' chiaramente diversa, non risultando evidente e dimostrata la dedotta sproporzione fra il profitto di 867.427,04 Euro e l'asserita quantificazione di denaro e beni sequestrati (rispettivamente 424.815,34 Euro e beni immobili stimati dalla parte in 586.464,90 Euro). 5. Al rigetto della impugnazione proposta segue, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CASA Filippo - Presidente Dott. LIUNI Teresa - Consigliere Dott. ALIFFI Francesco - Consigliere Dott. TOSCANI Eva - Consigliere Dott. RUSSO Carmine - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 23/10/2022 del TRIBUNALE di CUNEO; udita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCO ALIFFI; lette le conclusioni del PG che ha chiesto annullarsi senza rinvio l'ordinanza impugnata. RITENUTO IN FATTO 1. Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di Cuneo, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha revocato il beneficio della sospensione condizionale della pena concesso a (OMISSIS), con le sentenze emesse da: - 1) Tribunale di Mondovi' il 16 aprile 2012, irrevocabile il 16 giugno 2012 - 2) Tribunale di Cuneo del 28 aprile 2017, irrevocabile il 4 luglio 2017 - 3) Tribunale di Cuneo del 10 maggio 2018, irrevocabile in data 1 ottobre 2018 A ragione osserva che il condannato ha usufrutto del beneficio tre volte e che pertanto trova applicazione l'ipotesi di revoca prevista dall'articolo 168, ultimo comma, in relazione all'articolo 164 c.p.. 2. Avverso l'ordinanza ricorre per cassazione (OMISSIS), a mezzo del difensore, articolando due motivi. 2.1. Con il primo deduce violazione di legge in relazione agli articoli 164, 168 c.p. e articolo 444 e c.p.p. seg.. Lamenta che il giudice dell'esecuzione non abbia tenuto conto dell'intervenuta estinzione ai sensi dell'articolo 163 c.p. e articolo 445 c.p.p. dei reati oggetto delle sentenze di applicazione della pena che avevano concesso i benefici revocati. Infatti, dalla data di irrevocabilita' di ciascuna delle tre decisioni e' trascorso un quinquennio senza che il condanrIto abbia commesso delitti o contravvenzioni della stessa indole: - il reato della sentenza sub 2) e' stato unificato ai sensi dell'articolo 81 c.p., comma 2, con quello oggetto della sentenza sub 1); - la contravvenzione accertata con la sentenza sub nirstata commessa il (OMISSIS) (cinque anni dopo il (OMISSIS)); - e' trascorso anche un biennio dalla data di irrevocabilita' della sentenza sub 3), che dunque non puo' costFtiffe causa di revoca della sentenza sub 2). E' irrilevante, alla luce della giurisprudenza di legittimita' richiamata, che l'estinzione non sia stata dichiarata con un provvedimento formale. 2.2 Con il secondo deduce violazione degli articoli 164 e 168 c.p.. Lamenta che l'ordinanza impugnata abbia disposto la revoca in ragione della concessione del beneficio per un numero di volte superiore a quello consentito senza verificare, mediante il controllo del fascicolo del giudizio definito con la sentenza sub 3), come imposto dalla giurisprudenza di legittimita' anche a sezioni unite, se i precedenti ostativi risultassero documentalmente al giudice della cognizione che ha concesso la sospensione condizionale. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo, relativo all'intervenuta estinzione dei reati per i quali e' stata applicata la pena sospesa revocata con il provvedimento impugnato, e' fondato. 1.1. A mente dell'articolo 445 c.p.p., comma 2, il reato oggetto della sentenza di applicazione della pena si estingue "ove sia stata irrogata una pena detentiva non superiore a due anni soli o congiunti a pena pecuniaria, se nel termine di cinque anni, quando la sentenza concerne un delitto, ovvero di due anni, quando la sentenza concerne una contravvenzione, l'imputato non commette un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole. In questo caso si estingue ogni effetto penale, e se e' stata applicata una pena pecuniaria o una sanzione sostitutiva, l'applicazione non e' comunque di ostacolo alla concessione di una successiva sospensione condizionale della pena". Agli effetti dell'operativita' della causa impeditiva dell'estinzione del reato, per il quale era stata applicata sull'accordo delle parti una pena detentiva e' sufficiente, quindi, che nel termine di cinque o due anni, che decorre dal passaggio in giudicato della sentenza di patteggiamento, sia stato commesso il nuovo reato che pregiudica la produzione dell'effetto estintivo, senza che nel medesimo termine debba essere anche divenuta irrevocabile la sentenza di condanna pronunciata per il reato stesso (Sez. 1, n. 28616 del 27/05/2021, Di Chio, Rv. 281642 - 01). Pur operando la estinzione ope legis, in presenza dei presupposti di legge (Sez. 3, n. 19954 del 21/09/2016, dep. 2017, Dessi, Rv. 269765; Sez. 6, n. 6673 del 29/01/2016, Mandri, Rv. 266120; Sez. 5, n. 20068 del 22/12/2014, dep. 2015, Valente, Rv. 263503; da ultimo v. Sez. 2, n. 26809 del 10/06/2021, Diana, non mass.), spetta al giudice dell'esecuzione, ove investito della questione a norma dell'articolo 676 c.p.p., accertare la estinzione del reato dopo la condanna a pena patteggiata, all'uopo attivando tutti gli accertamenti occorrenti nell'ambito dei poteri previsti dall'articolo 666 c.p.p., comma 5, (Sez. 1, n. 49987 del 24/11/2009, Diamanti, Rv. 245968 - 01). Una pronuncia giudiziale di accertamento delle estinzione e' infatti necessaria, per la certezza dei rapporti giuridici e per i vantaggi che derivano al condannato dalla declaratoria di estinzione del reato ai sensi dell'articolo 167 c.p., anche ai fini della estinzione di tutti gli effetti penali della condanna. E la Corte Costituzionale ha interpretato la suddetta norma nel senso che l'effetto preclusivo alla estinzione del reato non consegue al mero fatto di avere commesso un delitto, bensi' all'accertamento di responsabilita' contenuto in una sentenza irrevocabile di condanna, per cui spetta al giudice dell'esecuzione la decisione in proposito, all'uopo attivando il potere di chiedere tutti gli accertamenti ed i documenti di cui ha bisogno (v. sentenza Corte Costituzionale 4.6.1998 n. 107). 1.2. Nel precisare i rapporti tra estinzione del reato per il quale sia stata applicata, a richiesta delle parti, la pena ai sensi dell'articolo 444 c.p.p., condizionalmente sospesa e la revoca di quest'ultimo beneficio per una delle ipotesi previste dall'articolo 168 c.p., la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che e' ostativo all'operativita' della revoca del beneficio l'eventuale dichiarazione di estinzione del reato ai sensi dell'articolo 445 c.p.p., comma 2, anche nel caso in cui si accerti che il soggetto nei cui confronti e' stata applicata la pena sospesa nel quinquennio decorrente dalla data di irrevocabilita' della sentenza di patteggiamento abbia commesso un ulteriore delitto (Sez. 1, n. 26685 del 10/04/2019, Lacchini, Rv. 276201 - 01; Sez. 1, n. 5501 del 29/09/2016 dep. 2017, Cazzaniga Rv. 268994 - 01). E', comunque, preclusa la dichiarazione di estinzione del reato oggetto di una sentenza di patteggiamento se nel termine di cinque anni l'autore di quel reato commette un nuovo delitto, pur se questo e' stato oggetto di altra sentenza di patteggiamento ed e' stato dichiarato estinto per non aver l'interessato commesso altro reato nei successivi cinque anni. (Sez. 1, n. 32869 del 20/06/2014, Marini, Rv. 261413 - 01 Sez. 1, n. 40938 del 30/09/2009 Maronese Rv. 245565 - 01 Sez. 1, n. 34651 del 09/07/2008 Revelant, Rv. 240684 - 01). Con riferimento alla specifica questione della reiterabilita' della sospensione condizionale, si e' ulteriormente chiarito che l'estinzione degli effetti penali conseguente, ai sensi dell'articolo 445 c.p.p., comma 2, all'utile decorso del termine di due o cinque anni deve intendersi limitata, ai soli casi in cui sia stata applicata una pena pecuniaria o una sanzione sostitutiva; qualora, invece, sia stata applicata una sanzione detentiva, di questa occorre comunque tenere conto ai fini della valutazione, imposta dall' articolo 164, u.c., e articolo 163 c.p. circa la concedibilita' di un secondo beneficio (da ultimo Sez. 6, n. 27589 del 22/03/2019. P., Rv. 276076 - 01). 1.3. Il Tribunale, nonostante le risultanze del certificato del Casellario giudiziale evidenziate dalla difesa, si e' limitato ad accertate la sussistenza dei presupposti della revoca della sospensione condizionale della pena senza previamente accerte se i reati oggetto delle tre sentenze fossero o meno estinti ai sensi dell'articolo 445 c.p.p., comma 2, o dell'articolo 167 c.p. in ragione dell'epoca di consumazione, dell'entita' delle pene applicate e dell'osservanza delle le condizioni previste dagli articoli 164, u.c., e articolo 163 c.p.. 2. Il secondo motivo, relativo alla violazione degli articoli 164 e 168 c.p., e' parimenti fondato. E' pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che il giudice dell'esecuzione possa revocare il beneficio della sospensione condizionale della pena concesso in violazione dell'articolo 164 c.p., comma 4, in presenza di cause ostative, a meno che tali cause non fossero documentalmente note al giudice della cognizione. A tal fine il giudice dell'esecuzione acquisisce, per la doverosa verifica, il fascicolo del giudizio di cognizione (fra le altre, Sez. U., n. 37345 del 23/04/2015, Longo, Rv. 264381; Sez. 1, n. 19457 del 16/01/2018, Signoretto, Rv, 272832). Nel caso di specie non risulta che il Tribunale abbia acquisito il fascicolo del giudizio al cui esito era stato concesso il beneficio per la terza volta, al fine di verificare se le condizioni ostative fossero o meno documentalmente note al giudice procedente. 3. Il provvedimento impugnato va per tali ragioni annullato con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Cuneo che dovra' esaminare la richiesta di revoca dei benefici della sospensione condizionale della pena concessi a (OMISSIS), nelle tre sentenze indicate in premessa, attenendosi ai rammentati principi e colmando le lacune istruttorie e motivazionali. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Cuneo.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BONI Minica - Presidente Dott. BIANCHI Michele - Consigliere Dott. LIUNI Teresa - Consigliere Dott. POSCIA Giorgio - Consigliere Dott. RUSSO Carmine - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso il decreto del 15/09/2022 della CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLI udita la relazione svolta dal Consigliere CARMINE RUSSO; lette le conclusioni del PG, Stefano Tocci, che ha chiesto l'inammissibilita' del ricorso; letta la memoria del difensore delle ricorrenti, avv. (OMISSIS), che ha insistito per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 17 maggio 2022 la Corte di assise di appello di Napoli, quale giudice dell'esecuzione, ha respinto l'istanza presentata da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), proprietarie e terze interessate al procedimento, di revoca della confisca disposta a carico di (OMISSIS), con la sentenza del (OMISSIS), divenuta irrevocabile il (OMISSIS). In particolare, la sentenza citata ha disposto la confisca ex articolo 240-bis c.p. del fabbricato sito in (OMISSIS), di due ville site in (OMISSIS), delle quote delle societa' (OMISSIS) srl e (OMISSIS) & C., in quanto ritenute nella disponibilita' di (OMISSIS), che con la stessa sentenza e' stato condannato per il reato dell'articolo 416-bis c.p. per la sua appartenenza al clan dei casalesi. (OMISSIS) e (OMISSIS), sono nude proprietarie del fabbricato sito in (OMISSIS), di cui e' usufruttuaria la madre (OMISSIS)a; (OMISSIS) e' proprietaria di una villa in (OMISSIS); (OMISSIS) e' anche titolare di una quota delle societa' (OMISSIS) srl e (OMISSIS) & C.; (OMISSIS), e' padre delle prime due ricorrenti e marito della terza. Le ricorrenti hanno presentato ricorso in opposizione allo stesso giudice. Con ordinanza del 17 settembre 2022 la Corte di assise di appello di Napoli, decidendo quale giudice dell'opposizione, l'ha respinta. Nella ordinanza di rigetto la Corte di assise di appello rileva che, con riferimento all'immobile di viale Kennedy, il costo di costruzione pari ad almeno 309.000.000 lire riferito dallo stesso consulente tecnico delle ricorrenti, ed a cui andrebbero aggiunti ulteriori 50.000.000 lire per l'acquisto dalle sorelle della quota del terreno di proprieta' non e' stato coperto dalle due operazioni di mutuo e dall'apertura di credito documentate in atti, perche' le due operazioni presentano diversi indici di anomalia sia sul contratto che sul pagamento dello stesso; che, con riferimento all'acquisto delle ville di strada (OMISSIS), la circostanza che sia avvenuta una permuta non e' documentata in modo adeguato, e che comunque non si giustifica, se non con l'intervento di capitali del marito, che la (OMISSIS) abbia ricevuto una villa in piu' rispetto alle sorelle; che, con riferimento alla (OMISSIS) srl, la stessa non e' mai stata realmente operativa, ha ricevuto finanziamenti ingenti da soggetti rimasti ignoti e che non hanno mai preteso restituzione, e con riferimento alla (OMISSIS) & C. la stessa aveva i beni (i gioielli che commercializzava) nella cassaforte dell'abitazione di famiglia, il che deponeva nel senso della reale titolarita' della stessa in capo a (OMISSIS). 2. Avverso il predetto provvedimento hanno proposto ricorso (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), per il tramite del difensore, con due motivi. Nel primo motivo deducono violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto l'ordinanza ha addossato alle ricorrenti degli oneri della prova della esistenza di disponibilita' economiche lecite che in realta' sono meri oneri di allegazione, che la costruzione del fabbricato di viale (OMISSIS) e' stata effettuata con la provvista proveniente dalle due operazioni di mutuo e dall'apertura di credito documentate in atti che a loro volta sono state saldate in ritardo mediante i redditi provenienti dagli affitti dell'immobile costruito, talora non dichiarati ai fini fiscali; che l'acquisto delle due ville in strada (OMISSIS) e' stato finanziato con la vendita del terreno su cui le stesse erano costruite, perche' in realta' l'operazione di vendita del terreno e di acquisto delle ville nascondeva Scomalta' una permuta, e la intestazione di una delle ville alla (OMISSIS) srl, di cui era proprietario anche il condannato (ma non alla data in cui avvenne l'acquisito della vi letta, che risale al (OMISSIS) acquisto' il 50% delle quote solo il (OMISSIS)), non puo' far trasferire i profili di sospetto anche sulla villa acquistata invece da (OMISSIS), in proprio; che, quanto alle due societa', l'esistenza in esse di capitali illeciti di (OMISSIS) nop e' stata giustificata. Nel irtmo motivo deducono violazione di legge e mancata assunzione di prova decisiva, perche' l'espletamento di una C.Testo Unico avrebbe consentito di avere un vaglio piu' approfondito dei documenti prodotti e della ricostruzione delle provviste del nucleo familiare. 3. Con requisitoria scritta il Procuratore generale, Dott. Stefano Tocci, ha chiesto l'inammissibilita' del ricorso. Con memoria di controdeduzioni il difensore delle ricorrenti, avv. (OMISSIS), ha replicato agli argomenti della Procura generale ed insistito per l'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso, i cui motivi possono essere affrontati congiuntamente, e' fondato.La giurisprudenza di legittimita' ha affermato che "in tema di confisca allargata di cui al Decreto Legge 8 giugno 1992, n. 306, articolo 12-sexies, convertito nella L. 7 agosto 1992, n. 356 (oggi articolo 240-bis c.p.), ai fini della sussistenza del requisito della disponibilita' di un bene formalmente intestato a terzi in capo al responsabile del reato presupposto, e' necessario che il bene sia riconducibile all'iniziativa economica di tale soggetto; pertanto, qualora il medesimo abbia contribuito solo in parte all'acquisto del bene, questo non puo' essere considerato nella sua integrale disponibilita' e, conseguentemente, non puo' esserne disposta la confisca per l'intero, ma soltanto per la quota corrispondente all'entita' del contributo dal predetto fornito" (Sez. 1, Sentenza n. 35762 del 04/06/2019, Bisaglia, Rv. 276811). Nella pronuncia si legge che la questione interpretativa verte intorno alla nozione di "disponibilita'", di cui all'attuale articolo 240-bis c.p. del bene formalmente intestato ad un soggetto diverso dal destinatario della decisione penale sul reato-presupposto della confisca estesa, e che la necessaria osservanza del canone di ragionevolezza porta a ritenere che alla base della nozione di disponibilita' del bene in capo al condannato debba esservi la prova della "riconducibilita'" del bene in questione ad una iniziativa economica di tale soggetto, posto che la confisca c.d. estesa e' uno strumento giuridico teso al recupero (con finalita' e profili funzionali non dissimili rispetto alla confisca di prevenzione) di beni - in senso ampio - derivanti dalla attivita' illecita posta in essere dal reo, pur se nella indiscussa presenza di una forte attenuazione del classico nesso pertinenziale tra specifico reato e suo profitto. La pronuncia Bisaglia prosegue sostenendo che, posto che il fattore di legittimazione della confisca estesa sta nella presunzione di illecita accumulazione patrimoniale basata sulla condanna per uno dei reati c.d. spia, la posizione del soggetto terzo deve essere tutelata anche nella ipotesi ir cui la iniziativa economica proveniente dal soggetto autore del reato abbia inciso "pro quota" nell'acquisto del bene, non potendosi in simili ipotesi disporre la confisca per l'intero. Il principio di diritto che impone - li' dove non vi sia prova della provenienza totale delle risorse dal soggetto portatore di pericolosita' - la confisca parziale e' stato da tempo elaborato in sede di confisca di prevenzione e va ritenuto, per quanto sinora detto, applicabile - a tutela del soggetto terzo anche in sede di confisca estesa. Il collegio ritiene di dare continuita' a questo orientamento giurisprudenziale, e ritiene che la ordinanza impugnata non ne abbia fatto corretta applicazione. La ordinanza della Corte di assise di appello supera, infatti, la questione introdotta dalle ricorrenti della provenienza lecita dei capitali attraverso cui sono state sostenute le due iniziative edilizie di viale (OMISSIS), nonche' del denaro immesse/ nelle societa' (OMISSIS) e (OMISSIS) & C., con il mero riferimento all'evidente ruolo di regista e dominus delle operazioni in capo a (OMISSIS). Con riferimento alla operazione immobiliare di viale Kennedy, infatti, la motivazione della ordinanza afferma che: "il coinvolgimento di (OMISSIS) quale reale artefice dell'operazione di investimento immobiliare si coglie a piene mani dalla circostanza che nel 2012, nell'ambito dell'operazione che ha indotto (OMISSIS) a cedere la nuda proprieta' delle unita' immobiliari alle figlie, il predetto ha beneficiato dell'usufrutto generale vitalizio in caso premorienza della moglie (...) il che conferma l'operata ricostruzione dei fatti, per i quali il vero dominus e finanziatore dell'operazione era (OMISSIS)". Con riferimento alla realizzazione delle ville in strada S. Michele la stessa segue un percorso logico piuttosto simile, perche' sostiene che "la giustificazione si rinviene soltanto considerando (OMISSIS), il vero regista dell'operazione, condotta in porto grazie ai suoi contatti nel mondo imprenditoriale". Il ruolo di regista di queste operazioni di accumulazione del patrimonio immobiliare della moglie e delle figlie non e', pero', come detto sufficiente per sostenere che il bene sia nella "disponibilita'" del condannato nel significato di cui all'articolo 240-bis c.p., e quindi che i beni derivino - nel senso piu' ampio che puo' avere questo termine, e senza che vi sia bisogno di alcuna prova di nesso di derivazione diretta, altrimenti si applicherebbero direttamente le norme ordinarie sulla confisca del profitto diretto del reato di cui agli articolo 321 c.p.p., comma 2, e articolo 240 c.p., comma 2, - dalla attivita' illecita posta in essere dal reo, perche' occorre sostenere che in essi siano confluiti capitali illeciti dell'interessato. E, se e' vero che dalla lettura dell'ordinanza impugnata, e dalla stessa consulenza tecnica delle ricorrenti, emergono concreti elementi per ritenere che in questi beni siano effettivamente confluiti capitali illeciti (perche' la signora (OMISSIS), sostiene degli esborsi economici - 202.000 Euro per la transazione con una delle banche mutuanti nel 2004, 220.000 Euro per la transazione con l'altra banca mutuante nel 2005, 230.000 Euro per finanziamento soci alla (OMISSIS) nel 2007, 200.000 Euro per finanziamento soci alla (OMISSIS) nel 2011 - che non sono compatibili con i redditi, piuttosto contenuti anche tenendo conto dei canoni di affitto, e con i disinvestimenti delle proprieta' di famiglia, anch'essi del tutto insufficienti per giustificare disponibilita' finanziarie cosi' consistenti, come si comprende leggendo la stessa tabella di pag. 19 della consulenza delle ricorrenti), e' anche vero, pero', che la motivazione della ordinanza impugnata non si fa carico di stabilire quanta parte dei capitali confluiti nelle due operazioni immobiliari e nelle due societa' oggetto del provvedimento siano di provenienza della famiglia della (OMISSIS) e quanta, invece, derivi dalla attivita' illecita posta in essere dal reo, e non ne trae le relative conseguenze in punto di corretta determinazione dei beni cui e' applicabile la confisca. L'ordinanza impugnata deve, pertanto, essere annullata con rinvio per nuovo esame dell'istanza. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di assise di appello di Napoli.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DOVERE Salvatore - Presidente Dott. CAPPELLO Gabriel - rel. Consigliere Dott. MICCICHE' Loredana - Consigliere Dott. ANTEZZA Fabio - Consigliere Dott. SESSA Renata - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 29/11/2022 del TRIB. LIBERTA' di CATANZARO; svolta la relazione dal Consigliere GABRIELLA CAPPELLO; udito il Procuratore generale, in persona del sostituto SILVIA SALVADORI, la quale si e' riportata alla memoria in atti, concludendo per l'inammissibilita' del ricorso; udito l'avv. (OMISSIS) del foro di Roma, per (OMISSIS), in sostituzione dell'avvocato (OMISSIS), per (OMISSIS), il quale ha depositato nomina ex articolo 102 c.p.p., illustrato i motivi di ricorso e ne ha chiesto l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza pronunciata a norma dell'articolo 324, c.p.p., a seguito di annullamento da parte della Corte di cassazione di precedente provvedimento di rigetto dell'appello proposto da (OMISSIS), quale titolare della ditta individuale Sherwood, avverso l'ordinanza di rigetto della richiesta di revoca del sequestro preventivo finalizzato alla confisca del patrimonio della citata ditta individuale, in parziale accoglimento dell'appello, ha disposto il dissequestro e la restituzione dell'immobile ubicato in Polia di proprieta' di (OMISSIS), ma con diritto di usufrutto in capo a (OMISSIS), nonche' dei terreni ubicati in (OMISSIS) acquistati dal (OMISSIS) con atto del (OMISSIS) e rigettato nel resto l'appello. In particolare, il giudice rimettente, nel recepire le conclusioni del Procuratore generale, ha dato rilievo alla circostanza, dedotta dal ricorrente, che i beni sequestrati ai sensi dell'articolo 240 bis c.p. erano stati acquistati molti anni prima dell'epoca in cui risulta commesso il reato presupposto della misura (2016). Per tale ragione, ha ritenuto insussistente un ambito di ragionevolezza temporale tra il reato presupposto e l'acquisto del bene, rilevando come, su questo profilo, il provvedimento del tribunale del riesame non presentasse alcuna motivazione, con conseguente sussistenza del vizio di legittimita' dedotto (mancato confronto della motivazione con i rilievi svolti dalla difesa e assenza della motivazione sul punto, vizio che si sarebbe tradotto in una violazione di legge, unico deducibile con il ricorso avverso i provvedimenti di natura cautelare reale). Sul punto, peraltro, ha rilevato che, pur essendo vero che, in sede di riesame, avverso il decreto di sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, e fatti salvi i casi di manifesta sproporzione tra il valore dei beni oggetto del provvedimento ablatorio ed il quantum del profitto del reato indicato nella richiesta al Giudice per le indagini preliminari della pubblica accusa, il tribunale non ha il potere di compiere accertamenti diretti a verificare il rispetto del principio di proporzionalita', lo stesso e' pero' tenuto a valutare il contenuto dell'eventuale consulenza tecnica presentata dalla parte ricorrente. Pertanto, ha disposto il rinvio per nuovo giudizio in relazione all'evidenziato, necessario confronto e alle eventuali successive determinazioni. 2. La difesa del (OMISSIS), ha proposto ricorso, formulando una censura unica, con la quale ha dedotto violazione e erronea applicazione dell'articolo 240 bis, c.p., in relazione all'articolo 512 stesso codice e del TU sui redditi per omessa motivazione su alcuni punti ritenuti decisivi per la valutazione del requisito della sproporzione, vale a dire la perimetrazione temporale della confisca, in base al principio di ragionevolezza, avuto riguardo all'epoca di costituzione dell'azienda Sherwood (2010) e alla capacita' reddituale del (OMISSIS); all'utilizzo dei dati ISTAT e/o dell'indice di poverta' assoluta; infine sulla omessa valutazione delle allegazioni difensive per erroneita' dei calcoli effettuati dalla PG. In particolare, quanto al primo profilo, la difesa ha rilevato che, pur avendo il Tribunale ritenuto che l'azienda non fosse sottoponibile a confisca ai sensi dell'articolo 416 bis c.p., comma 7, ha pero' ritenuto che lo fosse ai sensi dell'articolo 240 bis, stesso codice, con motivazione del tutto apparente, poiche' non avrebbe considerato che la stessa ha ad oggetto sociale la coltivazione di terreni e va inquadrata come azienda agricola, sottoposta a regime fiscale agevolato, per la quale non e' necessario versare capitale sociale, dovendosi considerare anche i contributi AGEA e ARCEA e tutti i redditi esenti. La difesa da' poi atto che la PG, a fronte dei rilievi del proprio consulente (le cui conclusioni sorreggono le doglianze veicolate con il ricorso, stanti i ripetuti rinvii), aveva rimodulato le tabelle sperequative, riducendo la originaria sproporzione per Euro 700.00,00 a una pari a Euro 24.000,00. Quanto, invece, all'utilizzo dei parametri ISTAT, la difesa ne contesta la legittimita', atteso che il suo impiego e' stato giustificato con una clausola di stile, a fronte di giustificazioni da parte dell'interessato basate su dati reddituali. Il dato ISTAT, secondo la difesa, non e' riconducibile direttamente al destinatario della confisca o a una sua condotta e neppure e' conseguenza di una sua azione o omissione. Esso rappresenta solo un dato statistico non riferibile soggettivamente al destinatario dell'atto ablativo, finendo per attribuire al soggetto una spesa che pero' non e' conseguenza di un suo comportamento. Infine, con specifico riferimento alle allegazioni difensive, la difesa rileva che la disamina degli elementi contabili ricostruiti nella consulenza allegata farebbe emergere l'assenza di numerose voci di reddito, la PG avendo omesso di riportare il dato sperequativo dell'anno precedente all'anno successivo, errore che finirebbe con il riverberarsi sul calcolo finale. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. 2. Deve premettersi che dalla valutazione della sussistenza di un ragionamento esplicativo da parte dei giudici territoriali devono escludersi i beni immobili oggetto di dissequestro, disposto in accoglimento del gravame, avuto riguardo al criterio indicato dal giudice rimettente (quello cioe' della ragionevolezza temporale tra gli acquisti e il fatto di reato). Oggetto della disamina pertanto e' la verifica della dedotta violazione di legge, sub specie assenza di motivazione, con riferimento ai residui beni per i quali l'appello e' stato rigettato ritenuta la sproporzione tra guadagni (come ricavati dai redditi dichiarati ai fini delle imposte) e patrimonio, in virtu' del maccanismo presuntivo, in base al quale l'illecita accumulazione puo' essere superata dall'interessato a mezzo di specifiche e verificate allegazioni che attestino la legittima provenienza dei beni e un loro acquisto con provviste proporzionate alla capacita' reddituale lecita, anche attingendo al patrimonio legittimamente accumulato. Nel dettaglio, i giudici territoriali hanno valutato i singoli cespiti, per ognuno dando conto della prossimita' temporale degli acquisti rispetto al reato per il quale si procede a carico del (OMISSIS) (articolo 512 bis, c.p., aggravato dalla agevolazione mafiosa), precisando che, poiche' si tratta di beni di un'azienda intestata a soggetto diverso da quello gia' condannato in primo grado per il reato di associazione per delinquere di tipo mafioso (il figlio, cioe', del ricorrente), ai fini della confisca di cui all'articolo 416 bis c.p., comma 7, sarebbe stato necessario dimostrare gli elementi indiziari dai quali inferire che il (OMISSIS) padre, odierno ricorrente, fosse solo un prestanome del figlio e l'azienda agricola una articolazione aziendale della cosca (neppure nel procedimento a carico del figlio essendo stata disposta la confisca del compendio aziendale di che trattasi). Il Tribunale, premesso che non erano stati allegati a difesa elementi atti a disarticolare il fumus commissi delicti ormai consacrato nel rinvio a giudizio dell'imputato, punto sul quale peraltro non consta motivo di ricorso, ha ritenuto che i beni dell'azienda fossero confiscabili in relazione al reato di trasferimento di valori (in concorso con (OMISSIS) e con il figlio (OMISSIS), questi ultimi gia' condannati in abbreviato nel primo grado di giudizio anche per tale fattispecie criminosa), per il quale si procede in dibattimento nei confronti dell'odierno ricorrente, rilevando intanto la confusione dei patrimoni dell'imprenditore e della ditta individuale. Ha, poi, precisato che i beni di cui alla lettera b) del decreto di sequestro erano stati appresi obbligatoriamente siccome mezzo e profitto del reato, pertanto, in base al disposto di cui all'articolo 240, c.p., procedendo, poi, all'analisi della sproporzione ai sensi dell'articolo 240 bis, c.p., quanto ai restanti beni, alla stregua del principio di diritto posto dal giudice rimettente (ragionevolezza temporale degli acquisti rispetto al reato), ritenendo fondato l'appello solo per quei beni che erano entrati nel patrimonio familiare in epoca non sospetta e di cui sopra si e' detto. Nel compiere detta valutazione, ha ritenuto non congruenti i redditi dichiarati e le provviste legittime allegate rispetto al loro valore (terreni in (OMISSIS) con pagamenti anticipati negli anni immediatamente precedenti e un'autovettura Panda rispetto alla quale ha rilevato il difetto di allegazioni difensive atte a vincere la presunzione di sproporzione; lo stesso, quanto ai beni formalmente intestati al figlio (OMISSIS) e al libretto di risparmio intestato a (OMISSIS), rispetto ai primi risolutivamente rilevando il difetto di interesse da parte dell'odierno ricorrente). Quanto, poi, al requisito della sproporzione, il Tribunale ha ritenuto i rilievi difensivi insufficienti a disarticolare la relativa presunzione, anche considerati i proventi dei contributi ARCEA/AGEA per i finanziamenti alle imprese, indicati nella pag. 11 della consulenza di parte, ritenendo il persistere di una consistente sproporzione per gli anni 2014-2015-2016, quanto ai risparmi accumulati nel 2013 ritenendoli irrisori e insufficienti a giustificare gli acquisti effettuati in quel triennio. Quanto, poi, ai criteri adottati dalla Guardia di Finanza ai fini del calcolo di spesa, ha ritenuto corretto l'utilizzo dei dati ISTAT, relativi al valore della spesa media annua per nucleo familiare, in quanto criteri forfettari da rapportare al concreto mediante un confronto diretto con il tenore di vita del soggetto e della sua famiglia. Alla stregua di quei dati, ha dunque ritenuto che le operazioni economiche complessive, riconducibili a quel nucleo familiare (acquisto terreni e autovetture, costituzione di una ditta individuale con relativo compendio aziendale, titoli ordinari e rapporti bancari) fossero indicative di un tenore di vita incongruo, rivelatore piuttosto di una capacita' di effettuare investimenti e sostenere spese oltre il fabbisogno personale. 3. Le doglianze sono manifestamente infondate, risolvendosi in censure all'impianto motivazionale, certamente esistente e non apparente, rilevanti ai fini del vizio di cui all'articolo 606 c.p.p., lettera e), e, come tali, non deducibili in questa sede, stante la natura della misura cautelare di cui si tratta. Nella stessa sentenza di annullamento, peraltro, si era evidenziata l'assenza di un confronto con i rilievi difensivi e un vero e proprio silenzio motivazionale sugli stessi. Cio' che nella ordinanza impugnata non e' dato invece riscontrare. Parte ricorrente ha si' enunciato il vizio di violazione di legge, ma ha sostanzialmente censurato la motivazione del provvedimento impugnato e i criteri adottati per valutare la sproporzione degli acquisti. Il che rende il ricorso inammissibile gia' sotto tale, assorbente aspetto, dovendo ribadirsi in questa sede, come del resto gia' ricordato nella sentenza di annullamento, che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio e' ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli "errores in iudicando" o âEuro˜âEuroËœin procedendo", sia quei vizi della motivazione cosi' radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692). Inoltre, va ribadita la non deducibilita' in cassazione dei vizi attinenti alla verifica in concreto dei presupposti di fatto del sequestro preventivo finalizzato alla confisca di cui al Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12 sexies, conv. in L. n. 356 del 1992 (sez. 3 n. 20432 del 04/03/2009, Rv. 244074), principio che conserva validita' anche all'indomani della introduzione dell'articolo 240 bis. c.p.. Tale tipo di confisca, infatti, ha struttura e presupposti diversi da quella ordinaria, in quanto, mentre per quest'ultima assume rilievo la correlazione tra un determinato bene e un certo reato, nella prima viene in considerazione il diverso nesso che si stabilisce tra un patrimonio ingiustificato e una persona nei cui confronti sia stata pronunciata condanna o applicata la pena patteggiata per uno dei reati indicati nell'articolo citato. Ne consegue che, ai fini del sequestro preventivo di beni confiscabili ai sensi di tale articolo, e' necessario accertare, quanto al fumus commissi delicti, l'astratta configurabilita', nel fatto attribuito all'indagato, di uno dei reati in esso indicati e, quanto al periculum in mora, la presenza di seri indizi di esistenza delle medesime condizioni che legittimano la confisca, sia per cio' che riguarda la sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito o alle attivita' economiche del soggetto, sia per cio' che attiene alla mancata giustificazione della lecita provenienza dei beni stessi (sez. 6 n. 26832 del 24/3/2015, Simeoli, Rv. 263931; sez. 1 n. 19516 del 1/4/2010, Bari/ari, Rv. 247205). Inoltre, stante la non totale coincidenza tra la titolarita' formale dei beni sequestrati e la disponibilita' di essi in capo all'indagato, deve pure precisarsi che, in tema di confisca ai sensi dell'articolo 240 bis c.p., la presunzione relativa di illecita accumulazione patrimoniale opera, oltre che in relazione ai beni del condannato, anche per quelli intestati al coniuge e ai figli, qualora la sproporzione tra il patrimonio nella titolarita' di tali soggetti e l'attivita' lavorativa dagli stessi svolta, rapportata alle ulteriori circostanze del fatto concreto, appaia dimostrativa della natura simulata dell'intestazione (sez. 2, n. 23937 del 20/5/2022, Mancini, Rv. 283177; sez. 5, n. 26041 del 26/5/2011, Papa, Rv. 250922, in tema di sequestro preventivo propedeutico alla confisca di cui al Decreto Legge n. 306 del 192, articolo 12 sexies, conv. in L. n. 356 del 1992 con riferimento al fratello e altri componenti della famiglia dell'indagato, in cui la Corte ha ritenuto sussistente una presunzione di illecita accumulazione patrimoniale in forza della quale e' sufficiente dimostrare che il titolare apparente non svolge un'attivita' tale da procurargli il bene per invertire l'onere della prova ed imporre alla parte di dimostrare da quale reddito legittimo proviene l'acquisto e la veritiera appartenenza del bene medesimo). Dall'accertata sproporzione tra guadagni e patrimonio, che spetta alla pubblica accusa provare, scatta dunque una presunzione "iuris tantum" d'illecita accumulazione patrimoniale, che puo' essere superata dall'interessato, specialmente nel caso di confusione tra risorse di provenienza lecita e illecita, sulla base di specifiche e verificate allegazioni, dalle quali si possa desumere la legittima provenienza del bene confiscato attingendo al patrimonio legittimamente accumulato (sez. 2, n. 43387 del 8/10/2019, Novizio, Rv. 277997, in cui, in motivazione, la Corte ha sottolineato che l'imputato, in considerazione del principio della cd. "vicinanza della prova", puo' acquisire o quantomeno fornire, tramite l'allegazione, tutti gli elementi per provare il fondamento della tesi difensiva). A cio' si aggiunga che, ai fini della confisca cd. "allargata" prevista dall'articolo 240 bis c.p., a nulla rileva il quantum ricavato dalla commissione dei cd. "reati spia", dovendosi unicamente avere riguardo al duplice presupposto che i beni da acquisire si trovino nella disponibilita' diretta o indiretta dell'interessato, purche' dichiarato responsabile di uno di tali reati, e che il loro valore sia sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o all'attivita' economica esercitata (sez. 2, n. 3854 del 30/11/2021, Aprovitola, Rv. 282687). 4. Fatta tale premessa in diritto, deve rilevarsi, quanto alle doglianze specificamente articolate, che le stesse si sono incentrate sostanzialmente su alcuni aspetti della valutazione condotta dalla Guardia di Finanza, inerenti alla natura dell'impresa, a regime fiscale agevolato, per la quale non e' necessario versare il capitale sociale, nonche' ai contributi esenti, senza pero' considerare il dato valutato dal Tribunale, vale a dire il compendio aziendale e la risposta data dai giudici del merito anche al rilievo sui contributi ARCEA/AGEA. Altro profilo, poi, ha riguardato l'impiego dei dati ISTAT, giustificato dal Tribunale alla stregua della sua natura del tutto forfettaria, da raffrontarsi con il caso concreto. Infine, ha rilevato un errore nella valutazione delle voci reddituali, in relazione al calcolo del dato sperequativo dell'anno precedente all'anno successivo. Trattasi, a ben vedere, di censure che attengono al ragionamento giustificativo dei giudici del merito, i quali hanno utilizzato i dati ISTAT quali come gli indicatori statistici che essi rappresentano e il cui valore indiziario e' stato gia' riconosciuto dlala giurisprudenza di legittimita' (sez. 2, n. 36833 del 28/9/2021, Caroppo, Rv. 282361; n. 25042 del 28/4/2022, Amandonico, rv. 283559), la stessa difesa avendo peraltro affermato in ricorso che la Guardia di Finanza aveva preso in carico i rilievi del perito di parte, addivenendo a un ricalcolo in melius delle tabelle di sperequazione. Peraltro, deve ritenersi priva di pregio la censura con al quale si e' dedotta l'omessa valutazione delle allegazioni difensive, con riferimento alla consulenza successiva alla rielaborazione dei dati da parte della Guardia di Finanza: la difesa, invero, si e' limitata ad asserire un mancato confronto rispetto ai dati elaborati a difesa con riguardo alla ricostruzione dei redditi, senza spiegarne la natura decisiva alla luce della limitata cognizione del giudice del riesame (sez. 3, n. 38850 del 4/12/2017, dep. 2018, Castiglia, Rv. 273812), a fronte di una risposta del Tribunale che ha affrontato apertamente il tema, con una motivazione rispetto alla quale sono indifferenti in questa sede eventuali incongruenze o criticita' che non si traducano in una apparenza della stessa. 5. Alla declaratoria d'inammissibilita' segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, a norma dell'articolo 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilita' (Corte Cost. n. 186/2000). P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI STEFANO Pierluigi - Presidente Dott. CRISCUOLO Anna - Consigliere Dott. SILVESTRI Pietro - rel. Consigliere Dott. D'ARCANGELO Fabrizio - Consigliere Dott. DI GIOVINE Ombretta - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: 1. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 2. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso il decreto emesso dalla Corte di appello di Perugia il 04/05/2022; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere, Pietro Silvestri; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Piergiorgio Morosini, che ha chiesto l'annullamento con rinvio del decreto impugnato; lette le conclusioni dell'avv. (OMISSIS), difensore dei ricorrenti, che ha insistito per l'accoglimento dei motivi di ricorso. CONSIDERATO IN FATTO 1.La Corte di appello di Perugia ha rigettato l'istanza con cui era chiesta la revocazione della confisca, disposta all'esito di un procedimento di prevenzione, della nuda proprieta' di un immobile sito in Roma intestato per il 50% a (OMISSIS) - il proposto- e per il 50% alla di lui sorella (OMISSIS), oltre che delle quote della societa' St. Peter Hotel limited. 2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS) e (OMISSIS) articolando tre motivi. 1. La premessa e' che con la richiesta di revocazione i ricorrenti intendessero dimostrare, attraverso l'acquisizione di prove non valutate nel giudizio principale - e dettagliatamente indicate - la legittima provenienza della provvista, derivante dal patrimonio personale dei genitori dei ricorrenti, accumulata peraltro in epoca precedente ai fatti di peculato per i quali a (OMISSIS) e' stata applicata la pena di. due anni di reclusione. In tal senso era stata chiesta l'integrazione dell'attivita' istruttoria attraverso l'ascolto di (OMISSIS), dipendente della Banca Sella, che aveva curato negli anni gli interessi patrimoniali di (OMISSIS) e della moglie (OMISSIS) - i genitori dei ricorrenti - e che avrebbe dovuto chiarire le effettive causali che determinarono l'acquisto della nuda proprieta' dell'immobile e della provenienza della somma giunta nella disponibilita' dei fratelli (OMISSIS) prima del compimento da parte di (OMISSIS) dei fatti di peculato. Era stato chiesto inoltre l'ascolto di (OMISSIS), usufruttuaria dell'immobile. Dette prove, in particolare, avrebbero dovuto confermare l'assunto secondo cui l'acquisto dell'immobile era avvenuto per scongiurare una crisi finanziaria di (OMISSIS), cugino di (OMISSIS) e originario proprietario dell'immobile, che ne aveva mantenuto l'usufrutto; l'acquisto della nuda proprieta' aveva comportato il solo esborso della somma di 50.000 Euro a mezzo assegno bancario proveniente dal conto intrattenuto presso la Banca Sella, intestato in via fiduciaria al mandatario Fidar MF 188 di (OMISSIS) e (OMISSIS); la stessa Corte di appello, si assume, avrebbe ritenuto di origine lecita le somme oggetto di detto mandato fiduciario restituendo a (OMISSIS) la quota ereditaria di sua spettanza. La Corte di appello, nel rigettare la richiesta di revocazione, ha ritenuto, da una parte, che le prove indicate non fossero nuove perche' deducibili nel giudizio principale di prevenzione, e, dall'altra, che l'assegno con il quale era stato saldato il prezzo dell'immobile avesse origine illecita perche' cio' era stato affermato dalla Corte di appello in sede di cognizione. 2.1. Sulla base di tale premessa con il primo motivo si deduce violazione di legge per omessa motivazione ed erronea applicazione del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 28, quanto alla insussistenza dei presupposti della confisca in ragione della sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019 con cui e' stata dichiarata la illegittimita' costituzionale delle norme che consentivano di applicare la misura patrimoniale ai soggetti "abitualmente dediti a traffici delittuosi" (cosi' il ricorso). Si fa inoltre riferimento alla sentenza delle Sezioni unite n. 3153 del 2022, secondo cui i principi affermati dalla Corte costituzionale con la su indicata sentenza si applicano anche ai provvedimenti emessi anteriormente a quest'ultima e che il rimedio esperibile deve individuarsi appunto nella revocazione. Nel caso di specie, si aggiunge, la illegittimita' della confisca, per effetto della sentenza della Corte costituzionale, sarebbe stata fatta valere con una memoria all'interno di un giudizio di revocazione gia' avviato, senza peraltro avanzare nuove richieste istruttorie e limitandosi a proporre in via subordinata, rispetto all'accoglirnento immediato della domanda, un accertamento peritale che peraltro la Corte avrebbe potuto disporre d'ufficio. Con la memoria sarebbe stato evidenziato come, nella specie, non vi fossero gli elementi per ritenere sussistenti i presupposti previsti del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, lettera b), cioe' della norma divenuta di riferimento, e si era spiegato come nel giudizio di cognizione non fosse stata affatto accertata la c.d. pericolosita' generica, requisito oggi indispensabile dopo la sentenza della Corte costituzionale e delle Sezioni unite. Detta memoria del 28.4.2022 sarebbe stata ignorata dalla Corte. 2.2. Con il secondo motivo si lamenta l'erronea applicazione del del Decreto Legislativo n. 159 del 2021 articolo 28, quanto alla omessa valutazione della idoneita' delle nuove prove a ribaltare l'esito del giudizio di prevenzione. La Corte avrebbe fatto riferimento ad una nozione di nuova prova restrittiva rispetto a quella riconosciuta in tema di revisione, affermando che la richiesta di revoca potesse essere fondata solo su prove sopravvenute o che non avrebbero potuto essere dedotte nel giudizio principale. Si tratta di un tema sul quale vi sarebbe contrasto interpretativo e si evidenzia come gli argomenti valorizzati dalla Corte sarebbero non decisivi. Si assume che il dato letterale dell'articolo 28 cit., secondo cui la revocazione puo' essere chiesta per "prove nuove decisive sopravvenute al procedimento", non assumerebbe decisiva valenza perche' la locuzione sarebbe sostanzialmente sovrapponibile a quella contenuta nell'articolo 630 c.p.p. " se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quella gia' valutate dimostrano che il condannato deve essere prosciolto". Anche il secondo argomento utilizzato dalla Corte, e cioe' che mentre la misura di prevenzione personale sarebbe oggetto di un giudicato debole quella patrimoniale tenderebbe invece alla definitivita', non sarebbe decisivo: si tratterebbe anche in questo caso di una affermazione non decisiva rispetto alla peculiare natura del procedimento di prevenzione rispetto a quello penale. Non sarebbe fondato neppure il terzo argomento valorizzato dalla Corte e cioe' il minor rilievo costituzionale dei diritti individuali compromessi dalla sentenza penale di condanna rispetto al provvedimento che dispone la confisca di prevenzione. 2.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione del Decreto Legislativo n. 159 del 2021, articolo 28, per omessa motivazione quanto al carattere di novita' delle prove dedotte limitatamente alla escussione del (OMISSIS) e (OMISSIS), quest'ultimo comproprietario della banca Sella. Era stato dedotto che entrambi avessero intrattenuto con la madre dei ricorrenti una corrispondenza successiva al provvedimento di confisca; dunque, la Corte, anche accedendo alla tesi restrittiva di cui si e' detto quanto alla nozione di prova nuova, avrebbe dovuto confrontarsi con le argomentazioni volte a sostenere la novita' di dette prove. Sul punto la motivazione sarebbe stata omessa e la Corte avrebbe valorizzato la preesistenza di rapporti tra le due persone indicate e la famiglia (OMISSIS). 3. E' stata depositata una memoria nell'interesse dei ricorrenti con cui, da una parte, si riprendono gli argomenti posti a fondamento del ricorso e, dall'altra, si approfondisce il tema ella pericolosita' sociale generica di (OMISSIS) e della validita' della confisca rospetto al terzo, (OMISSIS). CONSIDERATO IN DIRITTO 1.II ricorso e' inammissibile. 2. Il primo motivo e' strutturato su un assunto costitutivo e cioe' che la Corte di appello, pur investita della questione con una memoria, non avrebbe motivato in ordine alla insussistenza dei presupposti per la confisca di prevenzione di cui Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, lettera b), dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019 che aveva dichiarato: -l'illegittimita' costituzionale della L. 27 dicembre 1956, n. 1423, articolo 1, (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralita'), nel testo vigente sino all'entrata in vigore del Decreto Legge 6 settembre 2011, n. 159, (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonche' nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma della L. 13 agosto 2010, n. 136, articoli 1 e 2), nella parte in cui consente l'applic:azione della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, con o senza obbligo o divieto di soggiorno, anche ai soggetti indicati nel numero 1); - l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 19 della L. 22 maggio 1975, n. 152 (Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico), nel testo vigente sino all'entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, nella parte in cui stabilisce che il sequestro e la confisca previsti della L. 31 maggio 1965, n. 575, articolo 2-ter, (Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere) si applicano anche alle persone indicate della L. n. 1423 del 1956, articolo 1, n. 1; - l'illegittimita' costituzionale del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 4, comma 1, lettera c), nella parte in cui stabilisce che i provvedimenti previsti dal capo II si applichino anche ai soggetti indicati nell'articolo 1, lettera a); - l'illegittimita' costituzionale del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 16, nella parte in cui stabilisce che le misure di prevenzione del sequestro e della confisca, disciplinate dagli, articoli 20 e 24, si applichino anche ai soggetti indicati nell'articolo 1, comma 1, lettera a). E' noto come la Corte costituzionale nell'occasione fece espresso riferimento alla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti deil'uomo " (OMISSIS)" e conclus2alla luce dell'evoluzione giurisprudenziale successiva alla sentenza in questione, che fosse possibile assicurare in via interpretativa contorni sufficientemente precisi alla fattispecie descritta dell'articolo 1, numero 2), della L. n. 1423 del 1956, poi confluita nel Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, lettera b), si' da consentire ai consociati di prevedere ragionevolmente in anticipo in quali "casi" - oltre che in quali "modi" - essi potranno essere sottoposti alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, nonche' alle misure di prevenzione patrimoniali del sequestro e della confisca., La locuzione "coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attivita' delittuose", sarebbe, secondo la Corte, oggi suscettibile di essere interpretata come espressiva della necessita' di predeterminazione non tanto di singoli "titoli" di reato, quanto di specifiche "categorie" di reato". In tale contesto le Sezioni unite (Sez. U, n. 43668 del 26/5/2022, Lo Duca) hanno testualmente chiarito: "Un esame specifico deve poi essere dedicato all'ipotesi, frequente nella prassi, in cui la confisca risulti disposta sulla base di un "doppio titolo'", ossia sulla base dell'inscrizione del proposto sia nella categoria soggettiva di cui alla lettera a), del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, comma, 1 sia in quella di cui alla lettera b). In tali ipotesi, l'ovvia fondatezza della richiesta di revocazione con riguardo alla lettera a) cit. deve accompagnarsi alla verifica se il "titolo" di cui alla lettera b) cit. sia, rispetto allo specifico provvedimento di confisca che viene in rilievo, autonomo e autosufficiente, ossia svincolato dal sostegno giustificativo correlato alla figura di pericolosita' sociale dichiarata incostituzionale e idoneo - nella prospettazione del giudice di merito - a offrire integrale fondamento al provvedimento ablatorio, in tutte le componenti patrimoniali che ha preso ad oggetto. Qualora tale verifica dia esito positivo, la confisca non puo' essere revocata, basandosi su un titolo non colpito dalla declaratoria di illegittimita', ne', come sostengono alcune pronunce espressive, in particolare, del primo orientamento, il giudice della revocazione deve accertare che ili provvedimento di applicazione di una misura fondata sul giudizio di cd. pericolosita' generica - anche - ai sensi dell'articolo 1, comma 1, lettera b), cit. sia fornito di adeguata motivazione circa la sussistenza del triplice requisito (delitti commessi abitualmente dal proposto che abbiano effettivamente generato profitti per il predetto, costituenti l'unico suo reddito o, quantomeno, una componente significativa dello stesso) necessario, alla luce della richiamata sentenza del giudice delle leggi, affinche' le condotte sintomatiche di pericolosita' possano rientrare in via esclusiva nella lettera b) del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1; invero, sostenere che il giudice della revocazione o' debba rivalutare gli elementi posti a o' sostegno dell'affermazione dell'ascrivibilita' del soggetto alla luce dei canoni interpretativi avallati dalla sentenza n. 24 del 2019 significherebbe, in buona sostanza, attribuire alla pronuncia di rigetto quell'attitudine a incidere erga omnes sul provvedimento di confisca divenuto irrevocabile di cui, come si e' visto, essa e' priva. Puo' dunque convenirsi con il principio di diritto secondo cui la Corte di cassazione, qualora sia investita del ricorso avverso un provvedimento applicativo di misura che, prima della dichiarazione di illegittimita' costituzionale del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, comma 1, lettera a), ad opera della sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, abbia inquadrato la pericolosita' sociale del proposto nelle fattispecie di cui alle lettera a) e b) del citato articolo 1, non e' tenuta a disporre l'annullamento con rinvio di tale provvedimento per una nuova valutazione del materiale probatorio, in quanto lo stesso e' gia' stato delibato nel contraddittorio delle parti e ritenuto sufficiente a ricavarne la ricorrenza dei presupposti delle misure di prevenzione, per essere il proposto annoverabile anche nella categoria criminologica di cui alla citata lettera b) dell'articolo 1 cit. (Sez. 6, n. 38077 del 2019, Falasca, cit.); fermo restando che il fondamento giustificativo della confisca basato sulla categoria criminologica non investita dalla declaratoria di illegittimita' costituzionale deve connotarsi nei termini di autonomia e autosufficienza sopra indicati". Dunque, una verifica da parte del giudice della revocazione dell'autonomia e della sufficienza del titolo di cui alla lettera b) del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, oltre che, ovviamente, delle condizioni di ammissibilita' della domanda. Nel caso di specie, la domanda di revocazione e' stata presentata il 4.6.2020 e solo nel corso del procedimento e' stata depositata il 28.4.2022 una memoria con cui e' stata dedotta la questione relativa alla insussistenza degli elementi di fatto che legittimassero il provvedimento ablativo ai sensi dell'articolo 1 lettera b) cit. Una domanda di revocazione strutturalmente nuova, fondata su una ulteriore causa, proposta nell'ambito di un procedimento in corso, ma oltre il termine di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 28 e dunque tardiva e inammissibile. La domanda non avrebbe potuto essere proposta autonomamente perche' tardiva, ma detta condizione di inammissibilita' non puo' essere svuotata solo in ragione del fatto che la domanda fu proposta in un procedimento di revocazione in corso rispetto al quale la valutazione di tempestivita' e' compiuta rispetto ad una diversa causa di revocazione. 3. Inammissibili sono anche il secondo e il terzo motivo di ricorso, che possono essere valutati congiuntamente. Le Sezioni unite della Corte hanno chiarito che in tema di confisca di prevenzione, la prova nuova, rilevante ai fini della revocazione della misura ai sensi del Decreto Legislativo n. 6 settembre 2001, n. 159, articolo 28, e' sia quella sopravvenuta alla conclusione del procedimento di prevenzione, essendosi formata dopo di essa, sia quella preesistente ma incolpevolmente scoperta dopo che la misura e' divenuta definitiva, mentre non lo e' quella deducibile e non dedotta nell'ambito del suddetto procedimento, salvo che l'interessato dimostri l'impossibilita' di tempestiva deduzione per forza maggiore. (Sez. U, n. 43668 del 26/05/2022, Lo Duca, Rv. 283:707). Rispetto a tale principio i motivi rivelano la loro inammissibilita' strutturale perche', da una parte, manifestamente infondati in quanto basati su prove deducibili e non dedotte, e, dall'altra, perche' generici, non essendo stato nemmeno adeguatamente spiegato quali sarebbero le specifiche circostanze di prova sopravvenute,alla irrevocabilita' della confisca, e quale la loro obiettiva decisivita'. 4. All'inammissibilita' dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 3000. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RICCIARELLI Massimo - Presidente Dott. COSTANZO Angelo - Consigliere Dott. CAPOZZI Angelo - Consigliere Dott. CALVANESE Ersili - rel. Consigliere Dott. GALLUCCI Enrico - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: 1. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 2. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 3. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 4. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 5. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 6. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 7. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 8. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 9. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 10. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 11. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 12. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 13. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 14. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 15. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 16. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 17. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 18. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 19. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 20. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 21. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 22. (OMISSIS), nata (OMISSIS); 23. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 24. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 25. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 26. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 27. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 28. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 29. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); 30. (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso il decreto del 28/09/2021 della Corte di appello di Napoli; visti gli atti, il provvedimento denunziato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere Dr. Ersilia Calvanese; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Morosini Piergiorgio, che ha concluso chiedendo che siano dichiarati inammissibili i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) per rinuncia; che sia annullato il decreto impugnato con rinvio relativamente alla misura patrimoniale della confisca delle quote (pari al 50 %) della (OMISSIS) s.r.l. di cui era titolare (OMISSIS) e dell'immobile sito in (OMISSIS) nella titolarita' di (OMISSIS); che siano rigettati i ricorsi degli altri ricorrenti. RITENUTO IN FATTO 1. Con il decreto in epigrafe indicato, la Corte di appello di Napoli ha parzialmente riformato il provvedimento emesso dal Tribunale della stessa citta' del 7 novembre 2016 e in particolare ha revocato la misura personale di prevenzione emessa nei confronti del proposto (OMISSIS), confermando nel resto. Le statuizioni confermate dalla Corte di appello hanno ad oggetto la misura personale di prevenzione disposta nei confronti del proposto (OMISSIS), la confisca disposta nei confronti dei proposti (OMISSIS) e (OMISSIS) e di vari terzi interessati. 1.1. In particolare, con riferimento alle misure personali, la Corte di appello ha confermato che entrambi i fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS) erano soggetti portatori di pericolosita' sociale qualificata ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 4, lettera a) in quanto gravemente indiziati di appartenenza al clan camorristico (OMISSIS). Tale giudizio per la posizione di (OMISSIS) era corroborato dalla irrevocabilita', nel frattempo intervenuta, della sentenza che lo aveva condannato, sulla base di un materiale probatorio sostanzialmente identico a quello utilizzato in sede di prevenzione, per la partecipazione con ruolo di organizzatore al suddetto clan con condotta accertata sino al 2010 (capo 1), per la partecipazione con il medesimo ruolo a tre associazioni per delinquere finalizzate alla commissione di reati di intestazione fittizia di beni in settori economici relativi alla gestione di impianti di distribuzione di carburante in aree di ristoro (capo 97) e di bar e pubblici esercizi di somministrazione di cibi e bevande (capo 99), alla ricettazione e smercio di preziosi e orologi di provenienza illecita (capo 101), nonche' per il reato di intestazione fittizia di varie imprese operanti nei suddetti settori (capo 106), tutti reati questi ultimi aggravati ai sensi del Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7, in quanto commessi per agevolare le attivita' criminali del clan (OMISSIS). Inoltre, la Corte di appello ha dato atto che nel giudizio penale in fase di appello erano stati dichiarati estinti per prescrizione nei confronti del predetto altri reati di intestazione fittizia (capi 98, 100, 104, 105) e di ricettazione (102). La figura di (OMISSIS), come illustrata anche nella decisione irrevocabile, era quella di esponente apicale del clan (OMISSIS) con ruolo di alter ego dei capi nei periodi di latitanza o di detenzione degli stessi e con il costante compito di gestire il patrimonio ed investire i capitali di tutto il clan: era l'abile e "invisibile" gestore di proventi illeciti, fungendo da raccordo tra chi ai vertici del clan (OMISSIS) aveva la disponibilita' dell'immenso patrimonio derivante dalle attivita' illecite della cosca, e i formali intestatari delle attivita' produttive, numerosi fedeli individui, familiari e non, che in tal modo avevano il compito di non dare adito a investigazioni. La Corte di appello ha ritenuto la pericolosita' di (OMISSIS), che copriva un arco temporale molto esteso, sin dagli anni âEuroËœ80, ancora attuale sulla base dei fatti accertati in sede penale commessi in epoca prossima all'adozione del decreto da parte del Tribunale. 1.2. Quanto alla posizione di (OMISSIS), la Corte di appello ha dato atto che nel medesimo giudizio in sede penale nei suoi confronti vi era stato l'annullamento con rinvio in sede di legittimita' della statuizione di condanna per il reato associativo mafioso di cui al capo 1), mentre era divenuta definitiva la condanna per l'associazione aggravata di cui al capo 97) ed era stato dichiarato non doversi procedere per prescrizione per i reati di intestazione fittizia (capi 98 e 105). La Corte di appello ha ritenuto che il processo penale avesse acclarato irrevocabilmente la sua partecipazione ad una associazione dedita all'investimento dei proventi illeciti del clan (OMISSIS) nel settore economico dei distributori di carburanti, gestendo le societa' sotto le direttive del fratello (OMISSIS), eseguendo i suoi ordini e intestando a se' ed altri immobili e attivita' economiche indicate da questi, cosi' agevolando obiettivamente il clan stesso. Quindi, pur ritenendo sussistente la pericolosita' qualificata di (OMISSIS) ancora attuale al momento dell'adozione del decreto di primo grado, la Corte di appello ha ritenuto che la misura personale andasse revocata alla luce delle emergenze del processo di merito ( (OMISSIS) ripeteva il proprio ruolo criminale da quello di ben altra caratura del germano (OMISSIS), non essendo emerse relazioni con il clan di camorra), in quanto risultavano cessate le esigenze di prevenzione proprie del presidio disposto. 2. Avverso il suddetto decreto hanno proposto ricorso per cassazione le persone indicate in epigrafe, denunciando, a mezzo dei rispettivi difensori, i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. Ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)). 2.1.1. Violazione di legge. Si deduce la carente motivazione rispetto alle questioni avanzate dalla difesa e travisamento della prova. 2.2. Ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) (avv. (OMISSIS) e avv. (OMISSIS)). 2.2.1. Violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 20 e 24, quanto ai presupposti per la confisca. La Corte di appello da un lato ha richiamato come dirimente l'accertamento penale compiuto nei confronti di (OMISSIS), e dall'altro ha ritenuto consentite valutazioni autonome da parte del giudice della prevenzione rispetto a quello ordinario. Le societa' confiscate (la (OMISSIS) sas e (OMISSIS) srl) non sono state mai raggiunte da sequestro penale e non hanno mai formato oggetto di valutazione da parte del giudice di merito, come anche le due ricorrenti (ritenute estranee ad ipotesi di reato di intermediazione illecita e riciclaggio, per mancanza dell'elemento oggettivo del reato di cui all'articolo 648-bis c.p.). La Corte di appello ha eluso le questioni sollevate con l'appello (la capacita' patrimoniale delle ricorrenti; la congruita' degli acquisti con le loro disponibilita' finanziarie all'epoca; la assenza di prove della immissione di capitali illeciti per l'avvio delle due imprese commerciali; la assenza di disponibilita' da parte del proposto dei beni confiscati in esame), sulla base del solo giudicato formatosi in sede penale. Restano non affrontate pertanto le questioni: sproporzione reddituale e patrimoniale del terzo; riconducibilita' della impresa al terzo; valore della prova fornita dal terzo sull'utilizzo di risorse finanziarie lecite. E' sufficiente rilevare che i soggetti richiamati dalla sentenza penale - (OMISSIS) e (OMISSIS) - non sono stati mai raggiunti da un'imputazione di promotori e direttori di un'associazione per delinquere, ma solo di meri partecipi con il compito di curare la gestione di imprese di (OMISSIS) e non di favorire la intestazione delle stessa a terzi familiari. In Cassazione sono state state annullate la aggravante mafiosa e la confisca. In ogni caso il giudizio penale non ha riguardato l'intestazione fittizia della (OMISSIS), non ha accertato se le societa' in esame fossero state acquistate con provviste illecite e con intestazioni fittizie a terzi; nonche' il ruolo di prestanomi delle ricorrenti. Quindi l'accertamento penale non era sufficiente a provare i presupposti della confisca e la Corte di appello ha travisato il dictum delle sentenze di merito, facendo trasmodare il vizio in violazione di legge. Vi sono state specifiche censure rimaste prive di risposta (la difesa attraverso consulenze tecniche di parte e prove documentali aveva contrastato la disponibilita' delle due societa' da parte del (OMISSIS)). 2.3. Ricorso di (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)). 2.3.1. Violazione di legge in relazione all'articolo 192 c.p.p. e Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24. La prova posta alla base della confisca disposta nei confronti del ricorrente e' priva dei requisiti richiesta dal citato articolo 24: questi ha dato prova della lecita provenienza della provvista per l'acquisto del bene, con elementi non contrastati (in quanto insufficienti) da quelli raccolti in senso contrario. Il ricorrente ha assolto l'onere giustificativo della legittima provenienza dei beni: la difesa aveva contestato la presunzione relativa con una perizia che aveva ricostruito i flussi economici del ricorrente e la sua capacita' reddituale. 2.2.2. Violazione di legge rispetto alla valutazione degli elementi prodotti dalla difesa. La Corte di appello non ha affrontato - limitandosi a ricorrere a formule di stile e motivazione apparente - la produzione probatoria sulla capacita' reddituale. 2.3.3. Violazione di legge in ordine al dato temporale per l'applicazione della misura della confisca. La Corte di appello non ha applicato la necessaria perimetrazione temporale della misura ablativa rispetto alla pericolosita' qualificata del proposto (OMISSIS), collocando con un artificio la sua pericolosita' all'interno del clan (OMISSIS), mentre gli elementi emersi si collocano in epoca successiva (dal 2006). 2.3.4. Violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24 e all'articolo 1803 c.c.. La Corte di appello non ha considerato che l'impianto di erogazione di carburante era stato consegnato al ricorrente in comodato d'uso e quindi non era confiscabile a costui, essendo di proprieta' della societa' petrolifera (dato emergente dal provvedimento impugnato). 2.4. Ricorso di (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)). 2.4.1. Violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24, articoli 603 e 125 c.p.p.. Il decreto impugnato e' nullo per difetto di motivazione rispetto al devoluto e alla richiesta di rinnovazione dell'istruttoria per l'acquisizione della prova documentale decisiva in ordine alla provenienza della provvista per l'avvio e il finanziamento del bar tabacchi, oggetto di confisca. Si tratta della dichiarazione autentica in Comune resa dal ricorrente il 10 agosto 2008 dalla quale risulta che la proprieta' del bar tabacchi era in realta' della nonna di costui, mentre quest'ultimo ne era l'intestatario fiduciario. Tale documento rafforzava la prova della genesi della provvista, in sintonia con le dichiarazioni rese da informatori, ai sensi dell'articolo 327-bis c.p.p.. Quanto alla ammissibilita' della richiesta, il termine ex articolo 127 c.p.p., comma 2 e Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 7, comma 3, e' ordinatorio e comunque era stato rispettato il contraddittorio. Va inoltre considerato che il giudizio penale e quello di prevenzione sono autonomi e che in sede penale quanto accertato per il bar tabacchi era contenuto in una sentenza di prescrizione e che la posizione del ricorrente per reati di ricettazione e interposizione fittizia era stata archiviata. La Corte di appello non ha affrontato le specifiche doglianze di appello, come riassunte dallo stesso decreto impugnato in narrativa (il dichiarato degli informatori, la consulenza tecnica di parte) e ai quali si rinvia per relationem. 2.4.2. Violazione di legge in relazione agli Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24, articoli 192 e 125 c.p.p., articolo 24, articolo 111 Cost., articolo 13 CEDU. La Corte di appello ha ritenuto decisivo l'accertamento compiuto in sede penale, al quale il ricorrente non ha partecipato. La mancata valutazione delle doglianze di appello viene a violare inoltre il diritto ad un ricorso effettivo. La motivazione risulta comunque apparente e in violazione dei presupposti di cui all'articolo 24 cit.. In particolare, non poteva l'onere probatorio della capacita' reddituale essere posto a carico del ricorrente. La Corte di appello ha valorizzato elementi di prova logica del tutto inidonei a dimostrare l'esistenza di una relazione di appartenenza tra il bene e il proposto, mentre non ha tenuto conto di elementi logici di segno opposto (l'archiviazione, la assenza di contatti e rapporti tra i due soggetti). 2.5. Ricorso di (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)). 2.5.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli articoli 191 e 238-bis c.p.p., articolo 104-bis disp. att. c.p.p., articolo 111 Cost. 47 Carta dei diritti fondamentali Unione Europea, 8 direttiva Unione Europea n. 42 del 2014. La Corte di appello ha ritenuto quale dato assorbente ed insuperabile per la confisca delle quote intestate al ricorrente delle due societa' (la (OMISSIS) srl e La (OMISSIS) srl) la condanna nel processo penale di (OMISSIS) in relazione al reato di interposizione fittizia (capo 106). Processo nel quale la posizione del ricorrente era stata gia' stralciata per archiviazione in relazione alla medesima accusa. Si deve ritenere che le due societa' siano state sequestrate e confiscate in sede penale. Va rilevato peraltro che entrambe le sentenze penali di merito erano prive di motivazione con riferimento alla vicenda, alle societa' e al ricorrente; e che il Giudice per le indagini preliminari aveva ritenuto non sussistente il fumus del reato di interposizione fittizia, rigettando la richiesta di misure reali nei confronti delle quote e del complesso aziendale. In ogni caso, l'accertamento penale non ha visto la partecipazione del ricorrente, quanto al diritto al contraddittorio, e la misura ablativa e' stata estesa in sede di prevenzione al 25% di quote della (OMISSIS) srl, non oggetto del procedimento penale. La utilizzazione della sentenza penale nei confronti del ricorrente che non ha partecipato a quel processo ha comportato la violazione sia dell'articolo 238-bis c.p.p. sia della normativa comunitaria in epigrafe indicata. La confisca penale e' da considerare illegittima nei confronti del ricorrente che non ha partecipato al processo. 2.5.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 20 e 24. La Corte di appello ha erroneamente considerato, al fine di dimostrare la sproporzione della capacita' reddituale del ricorrente, gli esborsi eseguiti dalle societa', che erano riconducibili all'attivita' delle imprese e non al singolo. Inoltre, ha considerato l'esistenza della sproporzione anche per gli anni 20152016, la' dove la perizia si arrestava all'anno 2014. La Corte di appello ha omesso qualsiasi accertamento in merito alle capacita' patrimoniali e all'operativita' delle sue societa'; sui rapporti tra il ricorrente e il proposto. Il ragionamento operato dalla Corte di appello e' frutto della pacifica violazione dei principi enucleati in sede di legittimita' sulle modalita' di accertare l'esistenza di sufficienti indizi in tema di confisca di prevenzione, nonche' si presenta del tutto illogico e disancorato dagli elementi di prova. Non vi e' alcun elemento che provi la "disponibilita'" delle quote delle societa' da parte del proposto e la consapevolezza del ricorrente, soggetto incensurato, di tale disponibilita'. Il ricorrente ha dimostrato come l'investimento eseguito fosse in linea con l'attivita' imprenditoriale della famiglia e, appena saputo del coinvolgimento del marito della sua socia nel processo penale, ebbe a estromettere la stessa dalla societa' - scelta che dimostra l'estraneita' dall'ipotesi accusatoria. Il ricorrente ha dimostrato la capacita' di acquisire le societa' in questione con danaro proprio (operazioni tutte tracciabili). 2.6. Ricorso di (OMISSIS) cl. (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)). 2.6.1. Violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 7 e 24, articolo 111 Cost., articolo 125 c.p.p. in ordine alla disponibilita' da parte del proposto (OMISSIS) dell'immobile confiscato di (OMISSIS), alla sproporzione del valore delle quote delle due societa' (OMISSIS) sas e (OMISSIS) sas in relazione al valore dell'attivita' economica svolta; difetto di motivazione su punti essenziali e sulla prova della provenienza lecita dei beni. La Corte di appello ha totalmente disatteso senza motivazione le puntuali osservazioni della difesa in ordine ai punti sopra indicati, replicando le argomentazioni del primo giudice e anche gli errori. Quanto alla fonte della capacita' reddituale per l'acquisto delle quote societarie (la madre del ricorrente, (OMISSIS)), la Corte di appello ha ritenuto illecita la provvista fornita dalla madre, perche' nel 2006 risultava priva di disponibilita', senza considerare che la consulenza di parte aveva spiegato come risultasse non provata la conclusione del perito su tale punto e che le attivita' della stazione di rifornimento, oggetto di una delle due societa', non richiedesse investimenti iniziali e quindi rilevanti esborsi per essere avviata. Quest'ultima argomentazione rende illogica anche la motivazione relativa alla provvista per l'acquisto dell'immobile, che si basa anch'essa sulla incapienza di redditi da impegnare negli investimenti iniziali delle attivita'. 2.7. Ricorso di (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)). 2.7.1. Violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 7 e 24, articolo 111 Cost., articolo 125 c.p.p. e in ordine alla disponibilita' da parte del proposto (OMISSIS) dell'immobile confiscato di (OMISSIS), alla sproporzione dei beni nella disponibilita' della famiglia della ricorrente e all'attivita' economica svolta; difetto di motivazione su punti essenziali e sulla prova della provenienza lecita dei beni. La Corte di appello omette la motivazione, mentre, trattandosi di confisca del solo usufrutto dell'immobile, doveva essere rigoroso l'accertamento del presupposto della disponibilita' di esso da parte del proposto. - La difesa aveva contestato con il gravame la sproporzione dei beni e la Corte di appello si e' limitata ad una motivazione apparente, non considerando che l'accensione del mutuo spostava in epoca successiva gli esborsi per onorarlo (al fine anche della perimetrazione cronologica della confisca). La Corte di appello non ha fatto buon governo dei principi in tema di riparto dell'onere probatorio. 2.8. Ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) cl. (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)). 2.8.1. Violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 7 e 24, articolo 111 Cost., articolo 125 c.p.p. e in ordine alla sproporzione dei beni intestati ai ricorrenti con l'attivita' economica svolta; difetto di motivazione su punti essenziali e sulla prova della provenienza lecita dei beni. A fronte di articolate doglianze per ogni cespite confiscato, anche in ordine alle violazioni di diritto in ordine ai presupposti del provvedimento ablatorio nei confronti dei terzi, la Corte di appello si e' limitata a scarne osservazioni solo in ordine alle posizioni di (OMISSIS) e (OMISSIS) cl. (OMISSIS). In tal modo vi e' stata la violazione del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24 in quanto la Corte di appello ha totalmente omesso di argomentare sulla disponibilita' in capo al proposto (OMISSIS) dei beni confiscati, intestati ai ricorrenti. Parimenti la Corte di appello non ha applicato i principi sulle regole di valutazione in ordine alla sproporzione, alla ragionevolezza temporale della prognosi di illecita derivazione, con la violazione anche dell'articolo 111 Cost. e articolo 125 c.p.p. per carenza assoluta di motivazione su tali punti. La difesa aveva viepiu' dimostrato come la famiglia dei ricorrenti avesse goduto dei proventi delle attivita' commerciali e vissuto sin dal (OMISSIS) negli immobili. Alcuna motivazione si rinviene per la posizione di (OMISSIS). Per il figlio dei ricorrenti, (OMISSIS), la motivazione si esaurisce nella sola illeceita' originaria dei redditi familiari, nonostante si sia trattato di investimenti di poche migliaia di Euro. La Corte di appello non ha applicato i principi da ultimo affermati dalla giurisprudenza che consente al terzo di contestare i presupposti applicativi della misura ablativa in capo al proposto. La Corte di appello non ha tenuto conto della consulenza di parte quanto alla societa' DICAR (mancanza di investimenti o garanzie iniziali, versamento delle quote solo ad avvio della attivita', utilizzando a tal fine le entrate, il notevole volume di affari della societa'), facendo leva sulla mancanza di risorse per l'avvio degli investimenti iniziali per l'attivita'. Inoltre, la Corte di appello ha fatto apoditticamente leva sull'esistenza di "garanzie esterne reali" per le garanzie delle fideiussioni, mentre era stato dimostrato che (OMISSIS) potesse far fronte ad esse con proprie lecite disponibilita'. La Corte di appello non ha fornito risposta sulla ritenuta irragionevolezza temporale dell'ablazione rispetto al periodo di pericolosita' dei proposti (i reati erano stato commessi nel 2006 e 2007 mentre gli acquisti risalivano al periodo 1980-1990). Non poteva in ogni caso assurgere a giudicato parziale la sentenza emessa in sede penale, posto che la Cassazione aveva escluso che i beni fossero nella disponibilita' di (OMISSIS) e acquistati con danaro del clan (OMISSIS), annullando con rinvio la confisca per (OMISSIS) e (OMISSIS) e senza rinvio per (OMISSIS). Resta indimostrato all'esito di quel giudizio (che ha soltanto definito l'appartenenza dei tre fratelli (OMISSIS) ad una associazione semplice dedita al reimpiego di capitali) che il clan (OMISSIS) avesse attraverso (OMISSIS) investito capitali nelle attivita' economiche. 2.11. Ricorso di (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)). 2.11.1. Violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 7 e 24, articolo 111 Cost., articolo 125 c.p.p. e in ordine alla sproporzione delle quote della (OMISSIS), difetto di motivazione su punti essenziali e sulla prova della provenienza lecita dei beni. La Corte di appello nel disattendere le doglianze difensive, ha di fatto invertito l'onere della prova, avendo la ricorrente dimostrato che la provvista per costituire la societa' e avviare l'attivita' di ristorazione provenisse dal padre. 2.12. Ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)). 2.12.1. Violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 7 e 24, articolo 111 Cost., articolo 125 c.p.p. e in ordine alla disponibilita' da parte del proposto (OMISSIS) dell'immobile confiscato di via (OMISSIS) e dei beni e delle quote intestate a (OMISSIS) e alla sproporzione dei beni nella disponibilita' della famiglia (OMISSIS); difetto di motivazione su punti essenziali e sulla prova della provenienza lecita dei beni. Con riferimento alla posizione di (OMISSIS) la mancanza di motivazione e' evidente (neppure e' menzionata tra gli appellanti), con riferimento alle numerose questioni poste con l'appello. In particolare, la perizia aveva concluso senza dati oggettivi che la (OMISSIS) fosse incapiente tra il 1988 e il 1996 tanto da non dichiarare redditi mentre appariva piu' logico ritenere che il perito non avesse reperito - stante il tempo trascorso - la documentazione tributaria. La conclusione del perito veniva giustificata dal Tribunale sul fuorviante assioma della illeceita' genetica dei successivi redditi documentati nel 1997, inoltre il Tribunale non aveva considerato il condono tombale al quale le due societa' avevano aderito nel 2003, nonche' il volume di affari delle due societa', che giustificava gli acquisti effettuati da queste ultime. La consulenza di parte aveva documentato che non vi era stata immissione di capitali al momento della costituzione delle societa'; e la difesa aveva evidenziato come fosse irrilevante la prestazione di fideiussione rilasciata dalla societa' ICP nel 2004, che risultava garantita dall'immobile di proprieta' della societa' e dal volume di affari solido. Analoghe considerazioni si avanzano per la posizione di (OMISSIS). La Corte di appello ha imposto alla ricorrente un onere probatorio specifico sulla propria capacita' produttiva di reddito in tempi molto remoti. 2.13. Ricorso (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)). 2.13.1. Violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 4, articolo 111 Cost., articolo 125 c.p.p. e in ordine al mancato esame della sentenza depositata dalla difesa. La misura della confisca si basava sulla ritenuta pericolosita' qualificata del ricorrente, desunta essenzialmente dalla sentenza di condanna emessa nei suoi confronti per partecipazione al clan camorristico. La difesa aveva prodotto in appello l'intervenuto annullamento di tale sentenza e la Corte di appello ha soltanto revocato la misura personale, ritenendo esistente ma non attuale la pericolosita' qualificata del ricorrente. L'annullamento doveva riflettersi anche sulla confisca, posto che era stata riferita al ricorrente "in proprio" e non come terzo. La Corte di appello ha valorizzato una sorta di connivenza con il fratello (OMISSIS), omettendo di verificare la "resistenza" dell'accertamento di prevenzione, una volta sopraggiunto il novum costituito dall'annullamento della Corte di cassazione. L'intero giudizio di secondo grado e' stato incentrato su un'ipotesi di pericolosita' qualificata e la Corte di appello ha ridisegnato il ruolo del ricorrente che non puo' corrispondere ad un indiziato di appartenenza, secondo gli insegnamenti di legittimita'. 2.13.2. Violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 4, alla efficacia destrutturante della misura di prevenzione con l'annullamento della condanna per il reato ex articolo 416-bis c.p. e alla nozione di indiziato di appartenenza ad associazione camorristica in tema di prevenzione. La Corte di appello assimila con errato automatismo la condanna per il reato associativo semplice a quella per il reato ex articolo 416-bis c.p.. Sebbene vi sia un'autonoma valutazione del giudice della prevenzione del materiale dimostrativo, questa non puo' sfociare in arbitrio, dovendo individuare condotte che consentono di ritenere integrata la nozione di indiziato di appartenenza a sodalizio mafioso e non potendosi del tutto affrancare dal dare conto della interferenza cognitiva tra i due procedimenti (nella specie i comportamenti materiali attribuiti al ricorrente erano i medesimi in entrambi i procedimenti). 2.13.3. Questione di costituzionalita' degli articoli 4, 24, 29 Decreto Legislativo n. 159 del 2011 per contrasto agli articoli 3, 24, 25, 42, 111 e 117 Cost., 6 e 13 CEDU, 1 Protocollo aggiuntivo n. 11 CEDU, 2 Protocollo aggiuntivo n. 4 CEDU. La misura di prevenzione e' basata su una sorta di contiguita' del ricorrente al clan (OMISSIS). Questa esegesi che trova spazio anche nella giurisprudenza di legittimita' che ha dato rilievo, se pur limitato, ad un'area di contiguita' mafiosa, non appare rispettoso della necessaria tassativita' e prevedibilita' della nozione di pericolosita' qualificata, che lascia margini di incertezza nella ritenuta distinzione con la nozione di appartenente ad associazione mafiosa recepita nell'articolo 416-bis c.p. (pur a fronte di termini che hanno lo stesso significato), consentendo standard probatori diversi. 2.13.4. Violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 7 e 24, articolo 111 Cost., articolo 125 c.p.p. e in ordine alla sproporzione dei beni nella disponibilita' del ricorrente rispetto all'attivita' economica svolta e difetto di motivazione sulla prova della provenienza lecita dei beni. La Corte di appello si e' adagiata sul giudicato parziale della sentenza penale (quanto alla parte in cui aveva reso definitiva la condanna di (OMISSIS) per i reati di intestazione fittizia e dei tre (OMISSIS) per l'associazione semplice) senza considerare l'annullamento disposto dalla Corte di cassazione sulle disposte confische. Nulla la Corte di appello ha dimostrato sulla provenienza dal clan (OMISSIS) dei presunti investimenti nelle attivita' di distribuzione dei carburanti. Ne' poteva essere sufficiente l'appartenenza del fratello (OMISSIS) al clan per riferire ogni attivita' e investimento di costui al sodalizio mafioso. La Corte di appello ha eluso il tema devoluto della sproporzione dei beni rispetto ai redditi e alle attivita' economiche lecite del ricorrente. La difesa aveva dimostrato la fallacia della tesi della provenienza della provvista dal clan (OMISSIS) e la Corte di appello ha omesso ogni considerazione, tralasciando anche la questione della irragionevolezza temporale delle acquisizioni patrimoniali ritenute illecite. Quanto all'immobile di Ischia la difesa aveva dimostrato la provenienza lecita della provvista e la Corte di appello ha preteso un onere probatorio a carico del ricorrente nella specie eccessivamente gravoso. Tra l'altro la difesa aveva chiesto la rinnovazione dell'istruttoria proprio per dimostrare le garanzie prestate (e escusse) alla banca a fronte del mutuo ricevuto. 2.14. Ricorso di (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)). 2.14.1. Violazione di legge in relazione agli articoli 125 c.p.p. e 111 Cost. e alla portata preclusiva delle valutazioni espresso nelle sentenze di condanna del processo di merito e al difetto di motivazione alla esistenza dei presupposti legittimanti la confisca. La difesa con l'appello aveva contestato il quadro indiziario che aveva portato a ritenere come fittizia l'intestazione dell'attivita' economica svolta dal ricorrente per oltre trenta anni: venivano esaminate le generiche propalazioni dei collaboratori, che descrivevano i rapporti con il (OMISSIS), ma che non avevano mai ipotizzato che questi fosse il reale dominus della sua attivita' commerciale; fatte salve quelle di (OMISSIS) - de relato e incerte - smentite dalla sua fonte, il padre (OMISSIS); erano contestate le due captazioni che non riguardavano la gestione della gioielleria; si evidenziavano i rapporti con il resto del clan ed in particolare con (OMISSIS) e le vessazioni patite - culminate con l'incendio della gioielleria con la complicita' del (OMISSIS). La difesa aveva inoltre evidenziato la proporzionalita' tra i redditi del ricorrente e i beni, rilevando le lacune e omissioni della perizia. La Corte di appello ha trascurato ogni argomentazione difensiva ritenendo assorbente la sentenza definitiva di condanna. 2.14.2. Violazione di legge in relazione agli articoli 125 c.p.p. e 111 Cost. per assenza di motivazione sulla confisca dei gioielli e dei preziosi rinvenuti nella abitazione. La difesa aveva eccepito con l'appello che la confisca riguardava l'attivita' di oreficeria e non i preziosi personali, ma la Corte di appello nulla ha motivato sul punto. 2.15. Ricorso di (OMISSIS). (avv. (OMISSIS)). 2.15.1. Violazione di legge e carenza assoluta di motivazione in relazione all'articolo 649 c.p.p.. La Corte di appello ha escluso la portata preclusiva della vicenda cautelare del processo di merito (era stato disposto il sequestro di un distributore del ricorrente ritenuto oggetto di reinvestimento e/o impiego di risorse del clan (OMISSIS) e, a seguito di impugnazione, il bene veniva restituito al ricorrente per esclusione del fumus della fittizia intestazione) con motivazione inesistente e frutto di travisamento la' dove richiama le decisioni di merito (il ricorrente non e' stato attinto dal processo di merito se non per il sequestro, ne' formalmente ne' nelle motivazioni dei provvedimenti di merito; la captazione del 2007 era equivoca e riferita ad un distributore in Abruzzo e non rileva la presenza di altri distributori in Molise, quali quello di (OMISSIS)). Gli elementi citati dalla Corte di appello sono "piovuti" addosso al ricorrente senza che avesse potuto contestarli. La difesa aveva in primo grado, con una memoria, specificato le modalita' di acquisizione del distributore (che non richiedeva investimenti perche' l'impianto e l'area erano concessi in comodato gratuito). Il Tribunale con una pseudo motivazione aveva valorizzato una conversazione del 2007 che faceva riferimento ad un distributore in Abruzzo e non in Molise (dove era quello del ricorrente), senza spiegare perche' la ditta di Venafro fosse riconducibile al clan (OMISSIS). Con l'appello si deduceva l'improcedibilita' della proposta di prevenzione e la mancanza di elementi del fumus. In ogni caso la Corte di appello ha richiamato passaggi della sentenza di merito relativi alla figura di (OMISSIS), senza spiegare come tali argomentazioni potessero riguardare anche il ricorrente. Quanto alla vicenda evocata della (OMISSIS), la Corte di appello non ha considerato quegli elementi fattuali (l'ingresso del ricorrente solo un anno e cinque mesi prima della cancellazione) che erano stati valutati in sede di riesame, per escludere il fumus. Altro travisamento si riscontra nell'aver attribuito al ricorrente una partecipazione nella (OMISSIS) dal 1993, anziche' dal 2003. La societa' in ogni caso e' stata cancellata nel 2005. 2.15.2. Violazione di legge e assenza di motivazione in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24 e ss.. La Corte di appello non ha motivato affatto sui rapporti tra il ricorrente e i (OMISSIS), se non per il fatto di essere fratello di (OMISSIS). Parimenti alcuna argomentazione e' spesa in ordine ai rapporti tra la (OMISSIS) e il distributore del ricorrente (del tutto slegato dalla prima). 2.16. (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)). 2.16.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli articoli 125, 185, 191, 192 e 238-bis c.p.p., in relazione agli articoli 125 e 192 c.p.p., Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 20 e 24; omessa motivazione sulla sussistenza ei presupposti oggettivi previsti dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24 per la confisca. Con i motivi di appello, la difesa aveva eccepito il difetto di motivazione del provvedimento di sequestro di prevenzione in ordine all'ipotizzata intestazione fittizia e, ex articolo 185 c.p.p., della disposta confisca. La Corte di appello ha ritenuta la prima questione preclusa in quanto il sequestro non era stato impugnato con l'opposizione nella forma dell'incidente di esecuzione. Peraltro, si richiama la giurisprudenza che ha affermato come tale rimedio fosse previsto solo a favore del terzo che non aveva potuto partecipare al procedimento di cognizione. La carenza di motivazione del sequestro comportava anche la lesione del diritto di difesa del terzo interessato. Il Tribunale aveva cercato di colmare questa lacuna ponendo a base della confisca una mail del 2007 e stringate dichiarazioni di un collaboratore. Quanto alla prima, i giudici di merito ne hanno tratto un significato con evidente salto logico. Quanto alle seconde, la difesa non ha partecipato al giudizio di merito e le stesse sono state acquisite nel giudizio di prevenzione di primo grado dopo la requisitoria del PM senza chiedere il consenso delle parti. La Corte di appello ha respinto l'eccezione sollevata dalla difesa al riguardo, non rendendosi conto del momento in cui erano state acquisite. In ogni caso la difesa aveva eccepito che era comunque necessaria la valutazione delle dichiarazioni del collaboratore ai sensi dell'articolo 192 c.p.p.. Risultava comunque smentita la immissione di capitali dal clan (OMISSIS) con la contrazione degli affari della (OMISSIS) che la porto' nel 2011 allo scioglimento; il collaboratore neppure ha citato la societa' oggetto di confisca, dimostrando di non conoscerla neppure. La difesa aveva con l'appello fornito elementi che venivano a contrastare l'ipotesi di intestazione fittizia e la Corte di appello non ha chiarito quale siano gli indizi dimostrativi, trincerandosi dietro l'accertamento irrevocabile intervenuto sui fatti storici e sulla identita' del supporto probatorio ricostruttivo. La sentenza andava tuttavia valutata alla stregua dei criteri di cui all'articolo 238-bis c.p.p., tenuto conto che a quel giudizio il ricorrente non aveva partecipato. Quanto ai fatti, oggetto di giudicato, l'imputazione del processo penale aveva ad oggetto l'attribuzione fittizia della titolarita' della (OMISSIS) a (OMISSIS) e comunque la sentenza di primo grado non spendeva alcuna parola e non accertava alcun fatto storico sulla ipotizzata intestazione fittizia, mentre quella di appello dedicava alla vicenda una stringata motivazione. Va evidenziato che, relativamente alla incapienza della socia (OMISSIS), la Corte di appello non ha valutato che la difesa aveva versato in atti documentazione che dimostrava la compatibilita' dei redditi con l'acquisto. 2.17. Ricorso di (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)). 2.17.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli articoli 125, 191, 192 e 238-bis c.p.p., in relazione agli articoli 125 e 192 c.p.p., Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 20 e 24; omessa motivazione sulla sussistenza ei presupposti oggettivi previsti dall'articolo 24 Decreto Legislativo cit. per la confisca. La Corte di appello, a fronte dei motivi di appello, che contestavano la motivazione del primo decreto, ha ritenuto di superare ogni censura richiamando il giudicato formatosi in sede penale che non consentiva di rimettere in discussione il medesimo supporto probatorio ricostruttivo. La Corte di appello non si e' attenuta alle regole probatorie dettate dall'articolo 238-bis c.p.p. viepiu' considerando che la ricorrente non ha partecipato al processo penale e quindi non ha potuto difendersi provando. Inoltre, l'oggetto dell'accertamento penale riguardava la intestazione fittizia delle sole quote della (OMISSIS) della societa' confiscata; la sentenza penale di primo grado non spendeva alcuna parola e non accertava alcun fatto storico sulla ipotizzata intestazione fittizia, mentre quella di appello dedicava alla vicenda una stringata motivazione. Occorreva invece una rigorosa dimostrazione che il proposto fosse l'effettivo dominus del bene, tema che i giudici della prevenzione non affrontano. All'epoca dell'acquisto solo gli inquirenti conoscevano i collegamenti tra il marito della (OMISSIS) e i (OMISSIS). Va evidenziato che, relativamente alla incapienza della ricorrente, la Corte di appello non ha valutato che la difesa aveva versato in atti documentazione che dimostrava la compatibilita' dei redditi con l'acquisto. 2.18. Ricorsi di (OMISSIS), in proprio e quale erede di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)). 2.18.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 18, 20 e 24, articolo 125 c.p.p.. La Corte di appello ha valutato in modo apparente e viziato le censure difensive che intendevano far valere la assenza dei presupposti per la disposta confisca, attribuendo efficacia dirimente in ordine alla fittizieta' delle intestazioni dei beni oggetto di confisca alla sentenza emessa in sede penale. Andava considerato che tale sentenza aveva dichiarato la prescrizione per il reato di intestazione fittizia contestato a (OMISSIS) ed era quindi priva di efficacia accertativa; che la posizione dei ricorrenti, quali concorrenti in tale reato, era stata stralciata con provvedimento di archiviazione; che la sentenza penale era stata emessa in assenza del contraddittorio con i ricorrenti; che nel giudizio di prevenzione i ricorrenti avevano sottoposto nuovi elementi per dimostrare l'assenza dei presupposti applicativi; che dalla stessa sentenza impugnata e' facile rilevare come tutte le questioni poste dalla difesa non siano state considerate. Con formula di stile la Corte di appello ritiene acquisita la prova della sproporzione reddituale del "gruppo (OMISSIS)" senza affrontare le plurime questioni dedotte (come sintetizzate in calce al ricorso). 2.19. Ricorso di (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)). 2.19.1. Violazione di legge per motivazione apparente. La Corte di appello ha ritenuto il ricorrente intestatario fittizio di una quota della societa' (OMISSIS) per conto di (OMISSIS). Peraltro, di tale giudicato penale non vi e' traccia nel casellario penale del ricorrente. Quindi la sentenza impugnata si e' basata su un dato inesistente. Risulta erroneo, inoltre, il passaggio della sentenza impugnata la' dove ha rigettato il motivo di appello in ordine alla vicenda cautelare di merito, avendo la Corte di appello travisato la motivazione del provvedimento di restituzione degli impianti (nella specie per insussistenza dei presupposti legittimanti il vincolo reale). Tale errore e' stato centrale nella motivazione della Corte di appello. 2.19.2. Violazione di legge per estraneita' dell'oggetto confiscato al patrimonio del ricorrente. Il provvedimento ablativo, come dedotto, non ha considerato che l'impianto confiscato era di proprieta' dell'Eni mentre il ricorrente era soltanto titolare del comodato. 2.20. Ricorso di (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)). 2.20.1. Violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 7 e 24, articolo 111 Cost., articolo 125 c.p.p. e in ordine alla disponibilita' dell'immobile confiscato di (OMISSIS) in capo al proposto (OMISSIS) e alla sproporzione dei beni nella disponibilita' della famiglia della ricorrente rispetto all'attivita' economica svolta dal padre e alla sproporzione del valore della quota della societa' della ricorrente in relazione all'attivita' svolta; difetto di motivazione su punti essenziali e sulla prova della provenienza lecita dei beni. A fronte della dimostrazione della insussistenza dei presupposti per farsi luogo alla confisca in capo alla ricorrente (moglie di (OMISSIS)), la Corte di appello ha effettuato due erronee e apodittiche affermazioni: che la difesa non avesse contestato la concreta disponibilita' dell'immobile da parte di (OMISSIS); che il giudicato penale formatosi nel processo penale fosse sufficiente a giustificare la confisca. Quanto al primo punto si allega la documentazione a sostegno. In ordine al giudicato, la Corte di appello non ha considerato che la Corte di cassazione aveva annullato la sentenza di appello per le confische, con rinvio per (OMISSIS) e (OMISSIS) e senza rinvio per la ricorrente e (OMISSIS) cl. (OMISSIS). Relativamente alla quota sociale, la Corte di appello non ha motivato affatto. Ne' poteva essere assunta come scappatoia del giudicato favorevole in sede penale la autonomia del giudizio di prevenzione rispetto alla tipicita' della fattispecie penale, in difetto della prova del reimpiego o del riciclaggio di danaro del clan (OMISSIS) nella attivita' dei distributori di carburanti. Difetta anche la motivazione sulla correlazione temporale degli acquisti con la pericolosita' del proposto. 2.21. Ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) (avv. (OMISSIS)) 2.21.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli articoli 191 e 238-bis c.p.p., articolo 104-bis disp. att. c.p.p., articolo 111 Cost., articolo 47 Carta dei diritti fondamentali Unione Europea, articolo 8 Direttiva Unione Europea n. 2 del 2014 e alla tutela processuale del terzo interessato. La Corte di appello ha confermato la confisca nei confronti delle ricorrenti sulla ragione fondamentale dell'accertamento definitivo e della confisca definitiva risultante dalle sentenze di merito relative al procedimento contro (OMISSIS) per il reato di interposizione fittizia con riferimento alla societa' (OMISSIS), le cui quote erano riferibili alle ricorrenti. In primo luogo, va rilevato che l'accertamento penale riguardava la sola costituzione della (OMISSIS) (2012) e l'acquisto del 25% delle quote da parte di (OMISSIS) e non il successivo acquisto da parte delle ricorrenti (2014) delle quote (10% e 15%). Gia' in sede penale il Giudice per le indagini preliminari ebbe a rigettare la richiesta di sequestro della societa' per mancanza di prova indiziaria della riconducibilita' di essa a (OMISSIS). Il processo penale portato avanti anche per tale societa' non ha visto le ricorrenti avervi preso parte e la sentenza di primo grado non contiene alcun cenno in motivazione alla vicenda della societa', mentre in appello dedica poche affermazioni alla vicenda, per lo piu' relative al socio (OMISSIS) e alla riconducibilita' della disponibilita' al (OMISSIS) per la presenza quale socia della moglie del (OMISSIS). Si tratta in ogni caso di assunti del tutto apodittici la' dove afferma che (OMISSIS) e la (OMISSIS) erano prestanomi del (OMISSIS). Quindi nel mero richiamo al giudicato penale si e' verificata da un lato la violazione del contraddittorio (non avendo le ricorrenti partecipato a quel giudizio) e dall'altro la carenza di motivazione, in ordine ai presupposti legittimanti la confisca di prevenzione (stanti le lacune motivazionali delle sentenze richiamate). In ordine alla posizione delle ricorrenti, inoltre, non vi e' alcun elemento che le stesse (acquirenti in epoca successiva) fossero consapevoli delle vicende che mesi prima avevano riguardato la (OMISSIS) (loro dante causa) e del ruolo rivestito dal (OMISSIS) (posizione questa tra l'altro archiviata). Il ragionamento della Corte di appello e' frutto della violazione dei principi in tema di prova a carico del terzo per giustificare la misura ablativa (disponibilita' indiretta da parte del proposto dei beni in esame; consapevolezza del terzo intestatario dell'essere un mero intestatario fittizio; sufficienti indizi della fittizia intestazione, derivanti dall'incapienza del terzo o dalla illecita provenienza della provvista). 2.21.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 20 e 24. La Corte di appello ha valorizzato inoltre la circostanza delle ridotte capacita' reddituali delle ricorrenti, peraltro sufficienti agli acquisti, senza fornire elementi circa la ipotizzata disponibilita' delle quote da parte del proposto. 3. Hanno presentato memorie i seguenti ricorrenti. 3.1. (OMISSIS), tramite il suo difensore, ha replicato alla requisitoria del Procuratore generale, evidenziando come risulti travisato il dato della riferibilita' della (OMISSIS) al ricorrente (si allegano visura camerale e sequestro preventivo); che la vicenda della (OMISSIS) e' ininfluente stante la distanza temporale e la assenza di interferenze illecite con la ditta confiscata; che la captazione e' stata apoditticamente interpretata con riferimento ai distributori molisani. 3.2. (OMISSIS), a mezzo del suo difensore, ha presentato una memoria di replica, ribadendo la assoluta decisivita' della prova documentale di cui al primo motivo di ricorso ed evidenziando la autonoma e non sospetta dichiarazione sulla riferibilita' alla nonna del bar oggetto di confisca. 4. L'avv. (OMISSIS) per la posizione di (OMISSIS) ha richiesto la trattazione orale del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Va in primo luogo disattesa la istanza di trattazione orale del procedimento presentata dalla difesa del ricorrente (OMISSIS), in quanto la trattazione dei ricorsi per cassazione aventi ad oggetto la materia delle misure di prevenzione e' soggetta al rito camerale non partecipato previsto dall'articolo 611 c.p.p.. E' appena il caso di aggiungere che questa Corte ha anche precisato che il principio di pubblicita' dell'udienza in materia di misure di prevenzione, affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 93 del 2010 e dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo con la sentenza del 13 novembre 2007, nella causa Bocellari e Rizza c. Italia, qualora l'interessato ne abbia fatto richiesta, si riferisce esclusivamente alla fase di merito (Sez. 6, n. 50437 del 28/09/2017, Rv. 271500; in senso conforme, Sez. 5, n. 20489 del 22/01/2018, Rv. 273034). 2. Onde evitare inutili ripetizioni nella trattazione delle singole posizioni, il Collegio intende affrontare preliminarmente alcune tematiche e questioni comuni alla gran parte dei ricorsi. 3. In linea generale va rammentato quale sia l'ambito del controllo affidato alla Corte di cassazione in materia di misure di prevenzione. Nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione e' ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto della L. 27 dicembre 1956, n. 1423, articolo 4, richiamato dalla L. 31 maggio 1965, n. 575, articolo 3-ter, comma 2, attualmente disciplinato dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 10 e 27. I principi che regolano pacificamente la materia sono i seguenti. In sede di legittimita' e' possibile svolgere il controllo inerente all'esatta applicazione della legge, sui provvedimenti applicativi della misura di prevenzione, ove si profila la totale esclusione di argomentazione su un elemento costitutivo della fattispecie che legittima l'applicazione della misura, configurandosi, in caso di radicale mancanza di argomentazione su punto essenziale, la nullita' del provvedimento ai sensi delle disposizioni di cui all'articolo 111 Cost., comma 6, articolo 125 c.p.p., comma 3, Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 7, comma 1, poiche' l'apparato giustificativo costituisce l'essenza indefettibile del provvedimento giurisdizionale (Sez. U, n. 111 del 30/11/2017, dep. 2018, Gattuso, Rv. 271512). Il sindacato sulla motivazione in questa materia e' invece escluso dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimita' nell'ipotesi dell'illogicita' manifesta di cui all'articolo 606 c.p.p., lettera e), potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiche' qualificabile come violazione dell'obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d'appello, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014 Repaci, Rv. 260246) In tale arresto la Suprema Corte ha ribadito che non puo' essere proposta, come vizio di motivazione mancante o apparente, la deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realta', siano stati presi in considerazione dal giudice o comunque risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato. Invero, il giudice dell'impugnazione non e' tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento, dimostrando che ogni fatto decisivo e' stato tenuto presente, si' da potersi considerare implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata. Sicche', ove il provvedimento indichi con adeguatezza e logicita' quali circostanze ed emergenze processuali si sono rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice, si' da consentire l'individuazione dell'iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata, non vi e' luogo per la prospettabilita' del denunciato vizio di preterizione (ex multis, Sez. 2, n. 29434 del 19/05/2004, Rv. 229220; Sez. 4, n. 26660 del 13/05/2011, Rv. 250900; Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, Rv. 254107). Va infine ribadito che, nel procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione non e' ammesso per il vizio di travisamento della prova per omissione ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera e), c.p.p. che e' estraneo al procedimento di legittimita', a meno che il travisamento non abbia investito plurime circostanze decisive totalmente ignorate ovvero ricostruite dai giudici di merito in modo talmente erroneo da trasfondersi in una motivazione apparente o inesistente, riconducibile alla violazione di legge (Sez. 2, n. 20968 del 06/07/2020, Rv. 279435). 4. Tema comune a molti dei ricorsi presentati, in particolare dai terzi intestatari dei beni, oggetto della misura della confisca, riguarda l'utilizzazione nei loro confronti del giudicato formatosi nel procedimento penale c.d. Aieta Anna ed altri, piu' volte richiamato dalla Corte di appello nell'esame delle loro impugnazioni. 4.1. La maggior parte di costoro, originariamente attinti in sede penale dalla misura cautelare reale in quanto indagati, ai sensi della L. n. 356 del 1992, articolo 12-quinquies, quali intestatari fittizi dei beni ritenuti nella disponibilita' di (OMISSIS), "braccio economico" del clan (OMISSIS), avevano visto la propria posizione archiviata e avevano ancor prima ottenuto la revoca delle stesse misure reali. Il P.M. aveva scelto di proseguire l'azione penale nei confronti dei presunti effettivi titolari, contestando in particolare a (OMISSIS) la suddetta imputazione ai capi 98), 100), 104), 105), e 106), anche aggravata dalla finalita' di agevolazione mafiosa. Secondo l'ipotesi accusatoria, costui, associato al clan (OMISSIS), aveva intestato a terzi prestanome una serie di beni, costituiti in larga parte da imprese operanti in determinati settori economici (gestione di impianti per la distribuzione di carburante con annessi anche servizi di bar, bar e caffe', ristorazione, oreficeria, torrefazione del caffe'), oltre che da immobili, per schermare gli investimenti illeciti di capitali mafiosi. Queste intestazioni si inserivano nell'ambito di un sistematico programma criminoso perseguito da (OMISSIS) attraverso sodalizi illeciti deputati ad investire denaro di provenienza delittuosa nei suddetti settori (reati associativi contestati ai capi 97, 99 e 101). Nel procedimento di prevenzione avviato anche nei confronti dei terzi intestatari erano stati riversati dal P.M. sia con la proposta che nel corso del procedimento di primo grado gli atti del parallelo processo penale (da ultimo gli atti del dibattimento che si stava celebrando davanti al Tribunale). Parimenti nel procedimento penale erano transitati, con le garanzie del contraddittorio, atti del procedimento di prevenzione (cosi' in particolare la perizia contabile, acquisita tramite l'audizione in dibattimento del perito (OMISSIS)). Questa "osmosi probatoria" tra i due procedimenti aveva fatto si' che il decreto di primo grado venisse sostanzialmente a basarsi in larga parte sul medesimo compendio probatorio utilizzato in sede penale. All'epoca del giudizio di appello di prevenzione, lo scenario che si era presentato ai giudici era quello della intervenuta conclusione del procedimento penale per la quasi totalita' delle posizioni coinvolte anche nella procedura prevenzionale: la sentenza di primo grado, successiva al decreto del 7 novembre 2016, era stata emessa il 28 dicembre 2017, quella di appello il 27 novembre 2019, quella della Corte di cassazione il 1 aprile 2021. Tali provvedimenti erano stati acquisiti dai giudici dell'appello, anche su richiesta delle parti che intendevano far valere statuizioni a loro favorevoli. Il giudizio penale in particolare si era concluso nei confronti di (OMISSIS), oltre che con la sua condanna per il reato associativo mafioso, con le seguenti statuizioni definitive: quanto alle fittizie intestazioni con la sua condanna per il capo 106) e con il proscioglimento per prescrizione (per la maggior parte dei casi gia' maturata in primo grado) per i capi 98), 100), 104) e 105); quanto ai reati associativi semplici con la sua condanna per i capi 97), 99) e 101). La Corte di appello, come si e' anticipato, ha fatto riferimento a tali statuizioni e al contenuto dei suddetti provvedimenti per dimostrare il carattere fittizio delle intestazioni in capo ai titolari formali dei beni confiscati ad opera di (OMISSIS), quale reimpiego di capitali illeciti, ritenendolo "un fatto" definitivamente accertato in sede penale e dal quale non era possibile discostarsi in sede di prevenzione, in virtu' del principio di non contraddizione del sistema. Occorre pertanto chiarire la correttezza o meno di tale approccio valutativo da parte del giudice dell'appello, contestato in larga parte dai terzi intestatari ricorrenti. 4.2. Il processo di prevenzione, come piu' volte affermato dalla giurisprudenza di legittimita', e' autonomo rispetto a quello penale: autonomia, che risulta oramai consacrata anche dall'articolo 29 Decreto Legislativo n. 159 del 2011 e che si dipana nelle differenze rispetto a quest'ultimo quanto all'oggetto, ai criteri di valutazione e alle finalita'. "Le profonde differenze", di "procedimento e di sostanza" che e' possibile intravedere tra le due sedi, penale e di prevenzione e' giustificata dal rilievo che la prima e' ricollegata a un determinato fatto-reato oggetto di verifica nel processo, a seguito dell'esercizio della azione penale; la seconda e' riferita a una complessiva notazione di pericolosita', espressa mediante condotte che non necessariamente costituiscono reato (v. Corte Cost., sentenza n. 275 del 1996). Come hanno osservato le Sezioni Unite, il vero tratto distintivo, che qualifica l'autonomia del procedimento di prevenzione dal processo penale, va intravisto nella diversa "grammatica probatoria" che deve sostenere i rispettivi giudizi (Sez. U, n. 13426 del 25/03/2010, Cagnazzo, Rv. 246271), quanto al "modo d'essere" degli elementi di apprezzamento del "merito". Lo statuto probatorio del giudizio di prevenzione e' affidato anche nel testo unico del 2011 a poche norme, che delineano un sistema di prova atipica, limitandosi il decreto legislativo a richiamare le "prove rilevanti" ammesse dal giudice, purche' non vietate dalla legge o superflue (articolo 7, comma 4-bis) e a prevedere la possibilita' di assumere le dichiarazioni del proposto o di terzi informati sui fatti (articolo 7, commi 6 e 7), nonche' rinviando significativamente "per quanto non espressamente previsto" alle "disposizioni contenute nell'articolo 666 del codice di procedura penale", in quanto "compatibili" (articolo 4, comma 9). Ricorrente e' l'affermazione nella giurisprudenza di legittimita', secondo cui proprio il riferimento all'articolo 666 c.p.p. delinea un procedimento camerale scarsamente formale, nel quale non e' prevista una scansione di fasi o di udienze ne' un diritto alla controprova come regolato nel procedimento penale e nel quale il giudicante acquisisce informazioni e prove, anche di ufficio, senza l'osservanza dei principi sull'ammissione della prova di cui all'articolo 190 c.p.p., essendo essenziale l'accertamento dei fatti, che deve tuttavia avvenire nel rispetto della liberta' morale delle persone e con le garanzie del contraddittorio (tra tante, (Sez. 2, n. 3954 del 18/01/2017, Rv. 269250). Quanto alle garanzie del contraddittorio, si e' evidenziato che le richiamate disposizioni del procedimento di esecuzione garantiscono l'esercizio del diritto di difesa non soltanto con la presenza necessaria del difensore nell'udienza di trattazione, ma altresi' con il riconoscimento della facolta' di dedurre o richiedere elementi a discarico - eventualmente anche a mezzo dell'audizione personale di cui al comma 4 dell'articolo 666 c.p.p. - salvo il vaglio di pertinenza o di inerenza probatoria comunque rimesso al giudice (in tema di misure reali, Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, Spinelli, Rv. 262606). Pur nell'autonomia genetica (il testo unico prevede che il P.M. conduca indagini in vista del giudizio di prevenzione) e nella liberta' di forme nella raccolta di dati informativi, il sistema prevede anche l'opportuno coordinamento, per esigenze di economia processuale, con il procedimento penale (Corte Cost., 22 luglio 1996, n. 275), cosi' da prevedere la trasmigrazione delle prove da questo procedimento a quello di prevenzione (L. n. 646 del 1982, articolo 23-bis, comma 2, richiamato dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 115). La prassi giudiziaria dimostra infatti il frequente ricorso da parte del P.M. nel procedimento di prevenzione alle emergenze probatorie gia' formate e ai giudizi emessi in un procedimento penale pendente o gia' concluso (atti di indagine, verbali dibattimentali, sentenze, ordinanze cautelari, ecc.), assumendo la istruttoria nel giudizio di prevenzione una connotazione in larga parte cartolare. Quanto alla valenza di questo materiale, la giurisprudenza ha costantemente affermato che, in ragione della citata reciproca autonomia tra i due procedimenti in ordine all'oggetto dell'accertamento (in quello di prevenzione costituito dalla pericolosita' del soggetto), il giudice della prevenzione non sia vincolato alle conclusioni di irrilevanza penale di fatti emersi durante le indagini preliminari, essendo consentita in termini generali la valutazione del "fatto" - comunque accertato o desumibile da decisioni di assoluzione emesse in sede penale - quale eventuale sintomo di pericolosita' (da ultimo, Sez. 2, n. 4191 del 11/01/2022, Rv. 282655). Costituisce affermazione ricorrente - a far data dalla pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte n. 18 del 03/07/1996, Simonelli, Rv. 205261 - che l'assoluta autonomia dei due procedimenti - penale e di prevenzione - comporta la possibilita' di applicazione dei provvedimenti, personali e/o patrimoniali, anche in contrasto con le conclusioni cui possa pervenire il giudizio penale: e cio', sia per diversita' dei presupposti, sia per la valenza diversa che la legge assegna agli elementi sulla cui base le singole procedure vengono definite. In tale arresto la Suprema Corte ebbe ad affermare che alla mancanza anche assoluta di prove o di gravi indizi di colpevolezza richiesti in sede penale non corrisponde affatto un'analoga valenza in tema di "procedimento di prevenzione", nel quale gli indizi di pericolosita' e la indimostrata liceita' dell'appartenenza dei beni possono essere desunti anche dagli stessi fatti storici in ordine ai quali e' stata esclusa la configurabilita' di illiceita' penale ovvero da altri acquisiti o autonomamente desunti nel giudizio di prevenzione. Tale arresto continua a trovare in varia guisa applicazione (si rinvia a Sez. 2, n. 33533 del 25/06/2021, Avorio, Rv. 28186), pur con taluni temperamenti (sul punto Sez. 5, n. 182 del 30/11/2020, dep. 2021, Zangrillo, Rv. 280145). Sempre in virtu' dell'autonomia tra i due procedimenti si e' anche posta in rilievo la peculiarita' dello statuto probatorio del giudizio di prevenzione quanto alle regole di utilizzabilita' delle emergenze transitate dal processo penale, se pur con il limite delle prove illegali (in tema di intercettazioni, Sez. U, n. 13426 del 25/03/2010, Cagnazzo, Rv. 246271). Cio' che rileva e' che il giudizio di pericolosita' sia fondato su elementi certi, dai quali possa legittimamente farsi discendere l'affermazione dell'esistenza della pericolosita', fermo restando che gli indizi sulla cui base formulare il giudizio di pericolosita' non devono necessariamente avere i caratteri di gravita', precisione e concordanza richiesti dall'articolo 192 c.p.p. (Sez. U, n. 13426 del 25/03/2010, cit.), cosi' come le chiamate in correita' o in reita' non devono essere necessariamente sorrette da riscontri esterni individualizzanti - necessari per giustificare la condanna - ai fini dell'accertamento della pericolosita' (Sez. 5, n. 50202 del 08/10/2019, Rv. 278049). Le ipotesi che la prassi ha evidenziato sono due: a) materiale probatorio prodotto nell'ambito del giudizio di prevenzione, derivante da processi penali gia' conclusisi; b) materiale probatorio acquisito dal Pubblico Ministero a seguito di indagini: bi) non sottoposto al vaglio del giudice penale o b2) sottoposto al vaglio di un giudizio penale in corso. A tal riguardo si e' affermato che gli indizi possono essere desunti direttamente anche dai provvedimenti giudiziari emessi in sede penale, non essendo necessaria l'acquisizione dei verbali, delle trascrizioni e dei provvedimenti autorizzativi esistenti nel diverso procedimento (tra tante, Sez. 2, n. 25919 del 28/05/2008, Rv. 240629). La' dove si tratti di giudicato di condanna si e' affermato che il giudice della misura di prevenzione puo' fare riferimento nella motivazione a provvedimenti emessi in sede penale che abbiano affermato (anche in via provvisoria) la ricorrenza di condotte delittuose commesse dal proposto, esprimendo argomentata condivisione e confrontandosi con gli argomenti contrari introdotti dalla difesa. Tali fatti storici, se accertati con sentenza irrevocabile, possono di certo costituire la base logico-giuridica della valutazione del giudice della prevenzione (Sez. 1, n. 43826 del 19/04/2018). In tal caso l'accertamento definitivo in sede penale costituisce un "fatto" di per se' in grado di legittimare l'adozione delle misure di prevenzione, non essendo esigibili dal giudice della prevenzione ulteriori oneri motivazionali sul punto e men che meno la rivisitazione dell'effettiva valenza probatoria degli elementi posti a fondamento della decisione assunta nella sede penale (Sez. 5, n. 1831 del 17/12/2015, dep. 2016, Rv. 265862; Sez. 5, n. 25288 del 06/06/2022, Libreri, non mass.). 4.3. Tali principi sono stati affermati in larga parte con riferimento alla figura del proposto e all'accertamento penale condotto nei suoi confronti. Nel caso in cui il giudicato di condanna sia utilizzato nei confronti di soggetti terzi a quel procedimento e' evidente che i suddetti principi debbano coniugarsi in ogni caso con il diritto di difesa: la circolazione e l'utilizzazione di sentenze definitive nel procedimento di prevenzione - ancorche' non assistite dalla regola probatoria di cui all'articolo 238-bis c.p.p. (che e' strutturata in funzione delle regole del contraddittorio penale) - esige che sia consentita a costoro la possibilita' di confutarne il valore indiziante. Come ha affermato la Corte costituzionale, la ormai acquisita configurazione giurisdizionale del procedimento di prevenzione impone in via di principio l'osservanza delle regole (come quelle del contraddittorio) coessenziali al giudizio in senso proprio, pur presentando il procedimento di prevenzione e il processo penale proprie peculiarita', sia sul terreno processuale che nei presupposti sostanziali, sicche' le forme di esercizio del diritto di difesa possono essere diversamente modulate in relazione alle caratteristiche di ciascun procedimento, allorche' di tale diritto siano comunque assicurati lo scopo e la funzione (sent. n. 21 del 2012). 4.4. Sulla base di quanto premesso, puo' affermarsi con riferimento al caso in esame che l'acquisizione agli atti del procedimento di prevenzione della sentenza penale irrevocabile non comportava alcun automatismo probatorio in ordine ai fatti in essa accertati rispetto a coloro che non erano stati parte del processo penale, in quanto il giudice della prevenzione non poteva esaurire il proprio compito col richiamare sic et simpliciter le statuizioni penali definitive, senza confrontarsi con le produzioni e le censure difensive volte a contestarne il valore indiziante. In altri termini le parti, una volta acquisita al procedimento la sentenza definitiva che aveva accertato, senza la loro partecipazione, il "fatto", presupposto fondante della confisca nei loro confronti (nella specie, la titolarita' effettiva del bene in capo al proposto e quindi la loro veste di prestanomi, nonche' l'impiego per l'acquisto del bene di capitali mafiosi), avevano diritto alla controprova e a introdurre temi difensivi in grado di disarticolare quel giudizio. Tale principio si ricava dal sistema. E' costante il principio in tema di confisca penale (da ultimo Sez. 3, n. 17399 del 20/03/2019 Rv. 278763), che il terzo che non ha preso parte al processo penale puo' tutelare la sua situazione in ordine al bene confiscato, facendo valere, a fronte della sentenza penale coperta da giudicato, le piu' ampie deduzioni per contestare la sussistenza delle condizioni legittimanti la confisca nel procedimento instaurato a seguito di incidente di esecuzione, nel quale il giudice puo' assumere i necessari mezzi di prova, ai sensi dell'articolo 666 c.p.p., comma 5, ivi compresi l'esame di testimoni e il conferimento di perizia, come si desume dall'articolo 185 disp. att. c.p.p., cosi' assicurando il diritto alla prova e il rispetto del principio del contraddittorio (cfr. Sez. 3, n. 1503 del 22/06/2017, dep. 2018, Rv. 273535). Attraverso tale confronto, il terzo e' messo in condizione di far valere tutte le questioni, di fatto e di diritto, che avrebbe potuto dedurre nel giudizio di merito, a cui e' rimasto estraneo, cosi' assicurando il sistema il rispetto dell'articolo 7 CEDU. 4.5. Sotto altro verso, va considerato il dato peculiare, esposto in premessa e posto piu' volte in luce dalla Corte di appello nel decreto impugnato, che il presente procedimento di prevenzione si e' basato sostanzialmente sulla medesima piattaforma probatoria del processo penale: la proposta del P.M. si fondava sull'ampio materiale investigativo che aveva portato il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ad emettere l'ordinanza cautelare del 12 ottobre 2013 in quel procedimento penale; nel corso del giudizio di primo grado il Tribunale aveva acquisito, su richiesta del P.M., gli ulteriori atti di indagine nel frattempo raccolti nel corso delle investigazioni penali e i verbali delle udienze del procedimento penale che si stava celebrando davanti al Tribunale di Napoli. I giudici della prevenzione avevano dato atto nel decreto di primo grado della possibilita' offerta alle parti di controdedurre su tali produzioni. Quindi sin dal primo grado alle parti (anche per quelle estranee al processo penale) era stato garantito il contraddittorio su tutto il materiale probatorio transitato dal processo penale e sul quale - come ha rilevato la Corte di appello si erano in definitiva basati entrambi i giudizi. Il giudicato formatosi in sede penale veniva a costituire quindi un potente dato di riscontro della tenuta del ragionamento giustificativo e segnatamente della valutazione indiziante compiuta in primo grado su una piattaforma pressoche' omogenea. In tale prospettiva puo' ritenersi corretta la valutazione della Corte di appello la' dove ha definito l'accertamento penale un "punto fermo", "in assenza di da ulteriori rispetto alla sede di merito" offerti dalle difese (cfr. pag. 42 della sentenza impugnata). 4.6. Quanto, infine, alle statuizioni di estinzione per prescrizione dei reati di cui alla L. n. 356 del 1992, articolo 12-quinquies, la Corte di appello ha evidenziato che, sebbene alcune fossero state pronunciate gia' nel primo grado del processo penale, non avevano impedito al giudice penale di procedere ad un incidentale accertamento in ordine alla sussistenza dei fatti, funzionale sia alla prova dei reati associativi nel cui programma si inserivano le fraudolente intestazioni sia alla confisca. Il giudice penale, infatti, non si era limitato al mero rilevamento della causa di estinzione e alla constatazione dell'assenza di elementi per un piu' ampia assoluzione nel merito, ma aveva condotto una verifica molto puntuale sulla sussistenza dei reati fine delle associazioni (benche' prescritti) dai quali aveva tratto la prova sintomatica del reato associativo. 4.7. In definitiva, quanto alla posizione degli estranei al processo penale e destinatari delle statuizioni di confisca di prevenzione, in quanto ritenuti fittizi intestatari dei beni, a fronte dell'accertamento irrevocabile in relazione alla esistenza delle associazioni dirette da (OMISSIS) finalizzate alla realizzazione di una pluralita' indefinita di delitti di intestazione fittizia e ricettazioni e in relazione alla commissione di singoli delitti di cui alla L. n. 356 del 1992, articolo 12-quinquies che avevano ad oggetto i beni confiscati, la Corte di appello doveva necessariamente confrontarsi con la confutazione di tale accertamento sostenuta dalle difese. Confutazione che doveva, peraltro, offrire elementi in grado di disarticolare la valutazione compiuta in sede penale. Fatta questa precisazione di fondo, va rilevato, come si avra' modo di precisare scrutinando i singoli ricorsi, che le difese hanno fatto leva in sede di appello su argomenti o irrilevanti rispetto a quanto accertato in sede penale o comunque superati dalla valutazione della Corte di appello. Come precisato a pag. 41 del decreto impugnato, nella quasi totalita' delle censure avanzate in appello, le difese avevano replicato questioni gia' sottoposte e risolte dal primo giudice, vertenti essenzialmente sulla capacita' reddituale degli intestatari formali dei beni. Tema che si presentava di per se' non dirimente rispetto all'accertamento penale o che in ogni caso risultava affrontato anche dalla Corte di appello. 5. Altro tema comune a molti ricorsi, che si collega a quanto gia' illustrato, riguarda la definizione favorevole delle indagini preliminari condotte nei confronti dei terzi intestatari, sia con l'annullamento in sede cautelare dei sequestri dei beni poi confiscati dal giudice della prevenzione sia con l'archiviazione del procedimento per il reato di cui alla L. n. 356 del 1992, articolo 12-quinquies. Come si e' osservato, l'autonomia del processo di prevenzione comporta che lo stesso possa essere promosso anche ove, a carico del proposto, non sia mai stato proposto un giudizio penale: ad es. perche' la notitia criminis, e' stata archiviata; perche' l'indagato e' deceduto; perche' le prove raccolte non furono ritenute sufficienti a sostenere un'accusa penale. Muovendo dal rilievo che solo l'accertamento negativo di un fatto contenuto in una sentenza irrevocabile di assoluzione impedisce di assumerlo come elemento indiziante ai fini del giudizio di prevenzione, si e' sostenuto che il giudice in tale sede puo' valutare autonomamente anche i fatti oggetto di un procedimento archiviato (Sez. 6, n. 49750 del 04/07/2019, Rv. 277438). La regola di giudizio che governa l'archiviazione, invero, rende ragione dell'irriducibile diversita' del "contenuto cognitivo" associabile ad una sentenza assolutoria. E' appena il caso di aggiungere che lo stesso giudice penale, come ha sottolineato il decreto impugnato, ha ritenuto non incompatibili alla ricostruzione delle fittizie intestazioni in capo a (OMISSIS) e agli altri concorrenti nel reato le disposte archiviazioni nei confronti dei terzi formali intestatari dei beni, anche in considerazione del rilevante arricchimento del quadro probatorio in sede dibattimentale (in tal senso cfr. sentenza penale di primo grado, pag. 1243). 6. Altra questione comune e' quella della prova della disponibilita' indiretta dei beni in capo al soggetto proposto. Tema che si ricollega anch'esso a quanto esaminato al paragrafo 4 del considerato in diritto. Come hanno chiarito le Sezioni Unite (da Sez. U, n. 12621 del 22/12/2016, dep. 2017, De Angelis), fuori dei casi di operativita' delle presunzioni di fittizieta' previste dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 26, comma 2, "occorre provare l'esistenza di situazioni che avallino concretamente l'ipotesi del carattere puramente formale dell'intestazione e, corrispondentemente, del permanere della disponibilita' dei beni nella effettiva ed autonoma disponibilita' di fatto del proposto". Tale disponibilita' in capo al soggetto indiziato di pericolosita' non e' riconducibile, secondo una pacifica linea interpretativa (ex plurimis, Sez. 2, n. 35628 del 23/06/2004, Rv. 229726; Sez. 2, n. 6977 del 09/02/2011, Rv. 249364), esclusivamente alla presenza di una relazione materiale o naturalistica, ma "va rigorosamente accertata con riferimento a tutte le situazioni nelle quali l'utilizzo dei beni, pur formalmente schermato attraverso l'interposizione di un terzo, ricade nella sfera degli interessi economici o comunque nella signoria di fatto del proposto, che ne risulti essere l'effettivo dominus, potendone determinare la destinazione o l'impiego". In tal senso, come hanno rammentato le Sezioni Unite, nel novero delle situazioni concretamente rilevanti ai fini dell'individuazione del carattere puramente formale dell'intestazione possono farsi rientrare le circostanze e gli elementi indiziari piu' diversi: le relazioni familiari e di convivenza, rapporti di tipo affettivo, lavorativo e di collaborazione, la intromissione del proposto nella gestione del bene, la incapacita' del terzo, sotto il profilo economico, di acquisirne la titolarita', specie nell'ipotesi in cui il terzo intestatario non alleghi circostanze idonee a prospettare una diversa configurazione del rapporto, o una diversa provenienza delle risorse necessarie all'acquisto del bene. Si tratta di indizi pregnanti, la cui valorizzazione all'interno del procedimento di prevenzione patrimoniale e' ritenuta particolarmente opportuna poiche' essi, specie se esaminati unitariamente, contribuiscono a formare la prova necessaria per la individuazione del reale dominus dell'operazione e la conseguente adozione del provvedimento ablativo. Siffatto modus procedendi, hanno precisato le Sezioni Unite nella sentenza (OMISSIS), e' perfettamente compatibile, del resto, con i principi che regolano la distribuzione dell'onere della prova, giacche' non si tratta di addossare al terzo, sia esso estraneo ovvero legato da un rapporto di parentela, l'onere di provare la corrispondenza fra titolarita' formale ed effettiva, ma di valorizzare gli elementi indiziari legittimamente acquisiti per risolvere le problematiche connesse all'accertamento della disponibilita' indiretta. Quindi la prova indiziaria - che deve essere connotata dai requisiti della gravita', della precisione e della concordanza - dell'assunto del superamento della coincidenza tra titolarita' apparente e disponibilita' effettiva dei beni stessi, puo' fondarsi su una serie variegata di fatti dimostrativi, che non sempre sono superabili da parte del terzo con la sola allegazione della piena capacita' patrimoniale per sostenere gli acquisti patrimoniali corrispondenti ai beni confiscati. Nel caso in esame, la peculiarita' della prova indiziaria posta a fondamento della confisca nei confronti dei terzi rispetto ai piu' frequenti procedimenti di prevenzione stava nel fatto che essa e' stata tratta dai giudici della prevenzione non a mezzo di dati sintomatici, semmai in taluni casi di valore confermativo, ma dal materiale probatorio derivante dal processo penale e utilizzato in quella sede proprio per la dimostrazione delle intestazioni fittizie di una serie di beni ad opera di (OMISSIS). Elementi costituiti da dichiarazioni di collaboratori di giustizia, intercettazioni di conversazioni, indagini di polizia giudiziaria e produzioni documentali. Va in particolare evidenziato - con riferimento ai ricorsi che hanno in questa sede sollevato il tema della prova della disponibilita' dei beni confiscati da parte di (OMISSIS) - che la Corte di appello a pag. 42 del decreto impugnato ha rilevato che solo alcuni appellanti, estranei alla cerchia degli "stretti familiari", avevano affrontato nei gravami tale questione (per quel che qui interessa, il solo (OMISSIS)). Deve aggiungersi -per delineare i principi che presiedono alla valutazione di legittimita'- che nel caso dei terzi intestatari la sfera di legittimazione e di interesse e' correlata non all'intera gamma dei presupposti della confisca di prevenzione, rispetto ai quali solo il proposto puo' funditus interloquire, ma all'elemento dal quale discende il loro coinvolgimento, cioe' la configurabilita' della disponibilita' indiretta in capo al proposto (Sez. 5, n. 333 del 20/11/2020, dep. 2021, Rv. 280249; Sez. 6, n. 7469 del 04/06/2019, Rv. 278454; Sez. 2, n. 31549 del 06/06/2019, Rv. 277225). Nel contempo, va rimarcato come con riguardo ai terzi la sproporzione reddituale assuma non tanto il significato di presupposto della misura ablativa, bensi' di indice sintomatico della disponibilita' indiretta in capo al proposto, la stessa assumendo peraltro un valore neutro, allorche' tale disponibilita' sia altrimenti desumibile e si correli alla provenienza illecita dei beni, alla luce della ricognizione degli elementi di fatto, spettante al giudice di merito. 7. Sulla base di quanto premesso, possono essere affrontati i singoli ricorsi. Come sara' precisato nella trattazione delle impugnazioni, nessuno dei ricorsi proposti merita accoglimento, risultando alcuni di essi privi di fondamento, mentre i restanti non superano la soglia della ammissibilita'. 8. Inammissibili sono i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS), in quanto entrambi hanno fatto pervenire atto di rinuncia all'impugnazione. Attesa la regolarita' formale della rinuncia, in quanto sottoscritta dai ricorrenti con firma autenticata dal difensore, i ricorsi devono dichiararsi inammissibili ex articolo 591, comma 1, lettera d) c.p.p., con conseguente condanna di ciascuno al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro tremila. 9. Inammissibile e' anche il ricorso di (OMISSIS), in quanto propone censure manifestamente infondate e aspecifiche. La ricorrente e' destinataria della statuizione di confisca di quote di partecipazione in societa' ritenute nella disponibilita' di (OMISSIS) e non e' stata parte del procedimento penale. 9.1. Va osservato preliminarmente che la Corte di appello ha correttamente valutato la rilevanza non ostativa dell'archiviazione della posizione della ricorrente. Secondo quanto esposto dalla Corte di appello, il decreto di archiviazione, pur riconoscendo che lei non aveva acquistato personalmente i beni a lei intestati, aveva ritenuto carente la prova del necessario dolo specifico del reato. Le diverse argomentazioni sul punto svolte dalla difesa appaiono generiche, atteso viepiu' che anche in sede penale (in tal senso riporta il decreto impugnato ao' pag. 69) per affermare la fittizieta' di quelle intestazioni era stato rilevato che non esisteva "alcuna incompatibilita' tra il decreto di archiviazione emesso nei confronti di... (OMISSIS)..e la sentenza impugnata, considerato che il quadro probatorio a carico degli imputati risulta notevolmente arricchito a seguito dell'istruttoria dibattimentale svolta nel corso del giudizio di primo grado". 9.2. In ordine al rilievo dato dalla Corte territoriale a quanto risultava accertato in via definitiva in sede penale con riferimento ai beni alla stessa intestati, le critiche difensive sono aspecifiche. In primo luogo, la ricorrente non si confronta con il ragionamento giustificativo che aveva portato in primo grado il Tribunale a decretare la confisca in relazione ai beni alla stessa intestati: per dimostrare la fittizia intestazione erano stati valorizzati sia la figura del marito della ricorrente, (OMISSIS), soggetto fiduciario di (OMISSIS) e (OMISSIS) e impegnato nella gestione degli investimenti del "gruppo" nei settori della ristorazione e della torrefazione del caffe', che costituivano due dei tre settori di maggiore interesse dei proposti; sia la circostanza che i (OMISSIS) si avvalessero di altro fiduciario, (OMISSIS), in analoghe operazioni nei vari settori di interesse dei proposti, ricorrendo anche in tal caso ad una stretta commistione dei loro piu' stretti familiari nella gestione delle aziende (cosi' per le mogli del (OMISSIS) e del (OMISSIS), cosi' per la sorella del (OMISSIS)); sia le ammissioni fatte da (OMISSIS) quanto ai rapporti con i (OMISSIS) e agli acquisti fatti "personalmente" insieme al (OMISSIS) di aziende (come (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), peraltro intestate formalmente ad altri soggetti, quali la moglie del (OMISSIS), parenti del (OMISSIS) e la stessa moglie di quest'ultimo, in alcuni casi figurante come amministratore unico) e talvolta cedute (come (OMISSIS)) a (OMISSIS) "con l'impegno morale" di seguirne la gestione; i profondi legami tra le aziende e societa', di cui la ricorrente era titolare o partecipe, con i proposti (il Tribunale aveva ricostruito i collegamenti delle societa' costituite e partecipate dalla ricorrente con la societa' (OMISSIS), della quale (OMISSIS) era certamente il dominus, che si riflettevano sulle societa' che da questa erano derivate, dimostrando come tutte queste aziende fossero tra loro collegate, formando una sorta di "scatola cinese"). Proprio questi legami venivano a costituire per il Tribunale la principale prova della effettiva titolarita' dei beni confiscati, ancor prima della sproporzione tra i redditi dei coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS) e i loro investimenti effettuati. Questa lettura delle emergenze indiziarie in sede di prevenzione aveva ricevuto conferma dall'esito dell'accertamento penale in via definitiva: da un lato era stato accertato il ruolo strategico rivestito dal (OMISSIS) (quest'ultimo era stato condannato con (OMISSIS) per la partecipazione all'associazione finalizzata al reimpiego di capitali illeciti nel settore della ristorazione) e dall'altro le societa' oggetto di confisca erano state ritenute fittiziamente intestate da (OMISSIS) nell'ambito del programma associativo portato avanti con il (OMISSIS) e acquistate con provvista di provenienza illecita. Quanto alla estensione di tale accertamento alla ricorrente, il ricorso non considera in primo luogo che il coniuge (OMISSIS) in sede penale ha presentato istanza di revoca della confisca anche dei beni intestati alla ricorrente (sostanzialmente in tal modo rivendicandone la titolarita'). Sotto altro verso la ricorrente ancora in questa sede reitera argomenti difensivi gia' esaminati in sede penale (la capacita' patrimoniale, la congruita' degli acquisti rispetto alle capacita' finanziarie all'epoca, la mancanza di prova dell'immissione di capitali illeciti) e in quella sede ritenuti non dirimenti rispetto alle acquisizioni probatorie e che in ogni caso non si correlano con il percorso giustificativo che aveva portato il primo giudice - sulla base delle stesse evidenze utilizzate dal giudice penale - a ravvisare la fittizia intestazione. In tale prospettiva, appare aspecifica la censura difensiva quanto all'elusione da parte della Corte di appello delle questioni sollevate con l'appello (a pag. 69 la Corte di appello le definisce invero irrilevanti rispetto alla ricostruzione fattuale accertata in sede penale). Quanto all'oggetto dell'accertamento penale, i Giudici in quella sede non avevano limitato il ruolo del (OMISSIS) a quello di gestore di societa' riconducibili al (OMISSIS), ma avevano anche evidenziato come lo stesso si fosse prestato per conto di quest'ultimo a intestarle fittiziamente e farle amministrare dalla moglie (quella che la Corte di appello in sede penale, a pag. 562 della sentenza di secondo grado, definisce "la gestione (OMISSIS)- (OMISSIS)", con rifermento a molteplici societa' riferibili al (OMISSIS), ovvero un "sistema" collaudato e rodato nel quale le singole intestazioni divenivano seriali e continuative, come aveva accertato gia' il Tribunale a pag. 1546 della sentenza di primo grado). Tant'e' che le societa' confiscate alla ricorrente sono annoverate quale oggetto dei reati-fine ex L. n. 356 del 1992, articolo 12-quinques dell'associazione costituita da (OMISSIS) e dal (OMISSIS). Il fatto che in sede penale non siano state direttamente esaminate le vicende della (OMISSIS) e della (OMISSIS) (le societa' oggetto della presente confisca) non elide la rilevanza del giudicato penale. Invero la questione appare in primo luogo aspecifica, posto che i giudici penali con riferimento a "tutte le societa' di cui al capo 100)" (e quindi anche alla (OMISSIS)) avevano accertato il ruolo attivo in esse svolto dall'alter ego di (OMISSIS), (OMISSIS), e segnatamente anche in quelle gestite per il tramite del (OMISSIS), mentre per la (OMISSIS) la fittizieta' della intestazione era stata accertata proprio per la presenza nella compagine sociale della ricorrente, moglie del fiduciario (OMISSIS). In secondo luogo, la questione non risulta neppure dirimente alla luce dell'accertato "sistema" di fittizie intestazioni: i giudici penali avevamo infatti valorizzato le modalita' con le quali la serie indeterminata di intestazioni fittizie era stata realizzata, il coinvolgimento in ognuna di esse delle stesse persone, le modalita' operative di intervento uniformi, gli anni di realizzazione delle condotte delle condotte, quali prove di una strategia ben precisa seguita da (OMISSIS). Non possono trovare infine ingresso in questa sede i rilievi concernenti la tenuta logica del ragionamento giustificativo che non siano di portata tale da rendere la motivazione apparente o inesistente (Sez. 2, n. 20968 del 06/07/2020, Rv. 279435). Cosi' la esatta portata dell'imputazione penale riferita al (OMISSIS) (evidentemente quel che era dirimente nella valutazione del giudice della prevenzione era il suo ruolo di stabile fiduciario di (OMISSIS)). 9.3. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro tremila. 10. Da rigettare, in quanto complessivamente infondato, e' il ricorso di (OMISSIS). Anche la ricorrente e' stata attinta dalla confisca di quote societarie e non ha partecipato al giudizio penale. A differenza della socia (OMISSIS), risultava tuttavia intestataria di quote di un'unica societa', la (OMISSIS), ritenuta uno degli investimenti della holding dei (OMISSIS). Contesta nei medesimi termini della (OMISSIS) (si tratta di atto comune di ricorso) la rilevanza assegnata dalla Corte di appello al giudicato penale e la elusione delle censure avanzate in appello. 10.1. Il ricorso, alla luce delle precisazioni fatte in premessa in ordine a tale comune questione, non puo' essere accolto. La Corte di appello anche per la ricorrente ha ritenuto dirimente l'accertamento definitivo compiuto in sede penale sulla base della medesima piattaforma probatoria in ordine alla intestazione fittizia delle quote della societa' (OMISSIS), rispetto al quale gli argomenti difensivi - basati sulla sola capacita' reddituale a sostenere l'acquisto - si presentavano irrilevanti, in quanto inidonei a confutare quell'accertamento. Il decreto di primo grado aveva fondato la confisca della sua quota della (OMISSIS) anche in tal caso sulle figure dei fiduciari (OMISSIS)- (OMISSIS), impegnati a gestire societa' e imprese per conto di (OMISSIS) (in tal senso si ponevano le captazioni; le stesse ammissioni del (OMISSIS) in sede di interrogatorio - aveva dichiarato che erano "sue" le aziende formalmente intestate alla moglie, come la (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), e che effettivamente "poteva sembrare" che lui dovesse dar conto a (OMISSIS) della gestione delle imprese); sul modus operandi della holding dei (OMISSIS) di intestare le aziende a parenti dei fiduciari (come le varie aziende intestate alla moglie del (OMISSIS), tra le quali significativamente la (OMISSIS), per la quale era certamente provata la riferibilita' al (OMISSIS)) o da ultimo, per meglio schermare gli investimenti, a dipendenti di altre ditte legate ai fiduciari o a parenti meno stretti di questi ultimi (la (OMISSIS) era all'epoca infatti dipendente di (OMISSIS) - nipote del (OMISSIS) e anch'egli impegnato nella holding mafiosa - e parente della moglie del (OMISSIS)); sulle circostanze che la compagine sociale vedeva come socia la moglie del (OMISSIS), che la ricorrente, pur essendo socia di minoranza, era stata investita del ruolo di amministratore (per salvaguardare evidentemente proprio la piu' esposta (OMISSIS)), che dipendente della (OMISSIS) era la moglie del (OMISSIS). A tali elementi, convergenti nella dimostrazione della attribuzione fittizia della titolarita' della societa', il Tribunale aggiungeva, a chiusura, anche la mancanza della provvista necessaria per sostenere non solo l'acquisto delle quote della societa' (alla quale la ricorrente partecipava sin dalla costituzione), ma soprattutto di li' a poco il rilevante esborso per l'acquisto da parte di quest'ultima di un'altra azienda operante nel settore del caffe'. Questi elementi risultavano corroborati in sede di appello dall'accertamento definito condotto in sede penale sulla fittizieta' della intestazione ad opera di (OMISSIS) e sulla partecipazione del (OMISSIS) alla associazione da loro promossa per il reimpiego di capitali illeciti. A fronte di tale quadro probatorio, le censure avanzate dalla difesa per contrastare la valutazione del carattere puramente formale di detta intestazione (basate sulla capacita' reddituale della ricorrente per sostenere l'acquisto) non appaiono dirimenti per scardinare il ragionamento giustificativo posto alla base della disposta confisca, che riposa su elementi fattuali connotati dai requisiti della gravita', precisione e concordanza. Valgono anche per la ricorrente le osservazioni fatte per la posizione di (OMISSIS) in ordine alla (OMISSIS) e al ruolo dei fiduciari. 10.2. Pertanto, il ricorso va rigettato con le conseguenze di legge in tema di spese. 11. Da rigettare e' anche il ricorso di (OMISSIS). Al ricorrente risulta confiscata un'impresa individuale per la gestione di un impianto di distribuzione di carburante con sede in Napoli, anch'essa ritenuta in sede penale (giudizio al quale non ha partecipato) far parte della holding dei (OMISSIS). 11.1. Il primo motivo e' ai limiti dell'inammissibilita' in quanto contesta in termini generici e meramente oppositivi la prova della fittizieta' della intestazione, richiamando come dirimenti le allegazioni difensive. Va rilevato che in primo grado era stata ricostruita la posizione dei tre fratelli (OMISSIS), legati tramite la madre (OMISSIS) da rapporti di parentela con la famiglia (OMISSIS) (la nonna dei (OMISSIS) era sorella del nonno dei (OMISSIS)) e titolari di imprese nel campo della distribuzione del carburante. Il legame con i (OMISSIS) era rivelato da una captazione tra (OMISSIS) e il fratello (OMISSIS), nella quale costoro facevano riferimento a loro impianti di distribuzione di carburanti in zone dove esistevano impianti gestiti dalla famiglia (OMISSIS)- (OMISSIS), nonche' dalla costituzione da parte dei tre fratelli nel 1993 di una societa', la (OMISSIS), che gestiva un impianto di distribuzione successivamente passato nelle mani dei (OMISSIS). Inoltre, la situazione reddituale del (OMISSIS) era tale da non giustificare i costi sostenuti per l'impianto. Questi elementi in sede di appello risultavano corroborati da quanto era stato accertato in sede penale: (OMISSIS), che aveva preso in gestione l'area di servizio della (OMISSIS), era stato ritenuto un mero prestanome degli zii (OMISSIS) e (OMISSIS) e di suo padre (OMISSIS) e utilizzato dagli stessi per la realizzazione dei loro fini illeciti; (OMISSIS) era stato definitivamente condannato per aver promosso una associazione per delinquere finalizzata al reimpiego di capitali illeciti nel settore delle aree di servizio e di distribuzione di carburante (capo 97); era stata incidentalmente accertata, ai fini della prova del reato associativo, la fittizieta' della intestazione della ditta del ricorrente, oggetto di confisca in sede di prevenzione (capo 98); (OMISSIS) era stato in primo grado condannato per la fittizia intestazione al fratello (OMISSIS) della quota della societa' (OMISSIS), operante sempre nel medesimo settore (capo 98), reato dichiarato prescritto in appello. A fronte di tali evidenze che dimostravano sinergicamente la collaborazione nel tempo della famiglia (OMISSIS) con i (OMISSIS), agevolata dal rapporto di parentela, nelle fittizie intestazioni in uno dei settori deputato dai (OMISSIS) al reimpiego di capitali di provenienza illecita, risultavano, secondo la Corte di appello, inidonee le censure volte a sostenere la capacita' reddituale per l'inizio dell'attivita', in quanto non consideravano la spesa necessaria per le fideiussioni, mentre non apparivano convincenti le osservazioni contabili sui flussi di cassa. 11.2. Quanto ora osservato esclude che la Corte di appello abbia offerto una motivazione "apparente" sugli elementi allegati dalla difesa. La Corte di appello ha infatti adeguatamente spiegato perche' l'analisi dei flussi economici condotta dal consulente di parte fosse ininfluente sul piano dimostrativo a giustificare gli esborsi. La censura finisce pertanto per rivelarsi aspecifica. 11.3. In ordine alla perimetrazione della pericolosita' del (OMISSIS), va rilevato che difetta un motivo di appello sul punto. In ogni caso, la perimetrazione della pericolosita' e' ampiamente affrontata dalla Corte di appello con riferimento al ricorso di (OMISSIS) e trovava fondamento nella ricostruzione del suo percorso criminale nel giudicato penale (la' dove venivano fatti risalire agli anni âEuroËœ80 i rapporti di questi con il clan (OMISSIS)). 11.4. Priva di rilevanza e' l'ultima censura sull'oggetto della confisca, in quanto la misura ablativa ha riguardato la ditta individuale e non l'impianto di distribuzione carburanti. 11.5. In conclusione, il ricorso va rigettato con le conseguenze di legge in tema di spese. 12. Inammissibile e' il ricorso di (OMISSIS), in quanto avanza censure generiche e non correlate alla trama argomentativa del decreto impugnato. Il ricorrente e' stato interessato dalla confisca della sua ditta individuale, esercente l'attivita' di bar-tabacchi in (OMISSIS) e non ha partecipato al giudizio penale. 12.1. In merito alla censura concernente la mancata acquisizione in appello della prova nuova, va osservato che la decisivita' della stessa risulta solo labialmente sostenuta dal ricorrente, trattandosi di atto di parte ben compatibile con la ritenuta predisposizione da parte della holding dei (OMISSIS) di un sistema "schermante". In tale prospettiva sono irrilevanti le argomentazioni spese con la memoria presentata in questa sede. 12.2. In ordine all'estensione al ricorrente dell'accertamento penale, va evidenziato che la Corte di appello ha richiamato quanto incidentalmente accertato in via definitiva in sede penale nei confronti di (OMISSIS) per il reato di cui alla L. n. 356 del 1992, articolo 12-quinquies - dichiarato prescritto - avente ad oggetto la fittizia intestazione della ditta del ricorrente (capo 100). La riconducibilita' di tale impresa a (OMISSIS) si basava sui seguenti elementi: l'esercizio commerciale dello (OMISSIS) aveva la stessa insegna della societa' (OMISSIS), riferita in modo certo al (OMISSIS); le captazioni tra il (OMISSIS) e la moglie del (OMISSIS) (il fiduciario di (OMISSIS)) dimostravano che fosse quest'ultimo ad occuparsi della ditta; in altra captazione (OMISSIS), stretto fiduciario del (OMISSIS), si informava della presenza in (OMISSIS) di suoi inviati; lo (OMISSIS) non aveva la capacita' finanziaria e la forza economica, a soli 20 anni, di rilevare e gestire l'attivita' commerciale, dovendosi quindi considerare un mero prestanome, a cui veniva intestata la stessa per mezzo dell'intervento del (OMISSIS), stabile collaboratore di (OMISSIS). A tali considerazioni e' appena il caso di aggiungere le argomentazioni sviluppate dal decreto impugnato in ordine all'accertamento penale sulla figura di (OMISSIS) e al suo ruolo nella holding (OMISSIS) (di cui si e' detto in precedenza). Quanto accertato in sede penale veniva a saldarsi con le emergenze fattuali valorizzate in primo grado dal giudice della prevenzione per la dimostrazione della fittizieta' della intestazione: il Tribunale aveva richiamato le captazioni che rivelavano il coinvolgimento del (OMISSIS) nella ditta, la dichiarazione resa dal (OMISSIS), in sede di separazione dalla moglie, di collaborare con la madre e il nipote nel bar "di loro proprieta'", la circostanza che il (OMISSIS) utilizzasse l'auto e il cellulare intestati al nipote. Risultava inoltre, secondo il Tribunale, inidonea a contrastare la prova indiziaria l'allegazione difensiva del sovvenzionamento del giovane da parte del marito della nonna: gli assegni asseritamente forniti per pagare una parte del prezzo di acquisto risultavano incassati da soggetti diversi dalla titolare della ditta. In ogni caso la sua situazione reddituale gli impediva anche di sostenere i ratei del prezzo rimanente. A cio' deve aggiungersi che la difesa del ricorrente aveva presentato istanza di revoca della confisca in sede penale (pag, 563 della sentenza penale di appello), che, respinta in grado di appello, veniva coltivata in cassazione dalla difesa di (OMISSIS) (pag. 86 della sentenza di cassazione), cosi' confermando una sua cointeressenza nella gestione. A fronte di tali complessivi elementi, che venivano a comporre la prova indiziaria della fittizieta' della intestazione, la difesa si e' limitata a richiamare in questa sede i motivi di gravame, senza confrontarsi con le acquisizioni di appello, che rendevano evidentemente non piu' pertinenti o rilevanti quelle censure. 12.3. Il ricorrente contesta infine la tenuta logica del ragionamento probatorio del decreto impugnato. Si tratta di motivo non consentito in sede di prevenzione. Sulla rilevanza della archiviazione della sua posizione in sede penale, si e' gia' in detto in premessa. Non puo' inoltre sostenersi che sia stata violata la regola probatoria sulla confisca nei confronti del terzo, non avendo i giudici della prevenzione invertito l'onere della prova, per quanto sopra osservato. 12.4. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro tremila. 13. Da rigettare e' il ricorso di (OMISSIS). Nei suoi confronti, rimasto terzo rispetto al processo penale, e' stata disposta la confisca di quote di societa' ritenute far parte della holding illecita di (OMISSIS). 13.1. Non puo' essere accolto il motivo sulla utilizzazione da parte della Corte di appello della sentenza definitiva emessa in sede penale, per le ragioni esposte in premessa. Anche relativamente alle societa' le cui quote risultavano formalmente intestate al ricorrente (la (OMISSIS) e la (OMISSIS)), la Corte di appello ha evidenziato come la difesa non avesse introdotto "elementi ulteriori e di segno opposto" a quanto accertato in sede penale. In quella sede in particolare era stato condannato definitivamente (OMISSIS) per il reato di cui all'articolo 12-quinquies L. n. 356 del 1992 (capo 106) riguardante la intestazione fittizia delle suddette societa'. La Corte di appello ha riportato i passaggi della sentenza penale di appello di interesse riguardante l'analisi specifica della riferibilita' delle societa' in questione alla persona di (OMISSIS) (pag. 450 e 451). In particolare, in sede penale era stata valorizzata non solo l'incapienza dei soci, ma significativamente la presenza nella compagine sociale di entrambe le societa' della (OMISSIS), moglie di (OMISSIS), il cui ruolo di longa manus del (OMISSIS) risultava definitivamente accertato in sede penale (capo 99). Su tale accertamento si e' gia' detto nell'esaminare il ricorso della (OMISSIS). Questi elementi si saldavano in definitiva con gli elementi indiziari gia' esposti in primo grado, rafforzandone la tenuta indiziaria: il Tribunale, oltre all'analisi della capienza reddituale del ricorrente e degli altri soci, aveva richiamato per entrambe le societa' la ricostruzione operata nei confronti della (OMISSIS) sia in merito alle figure dei fiduciari (OMISSIS) e (OMISSIS) sia sui rapporti di stretto collegamento tra le societa' dalla stessa partecipate e quelle sicuramente riferibili a (OMISSIS). In particolare, anche per le societa' relative al ricorrente, il Tribunale aveva evidenziato il collegamento (definito un sistema di "scatole cinesi") tra le societa' (OMISSIS) e (OMISSIS) (il cui ramo di azienda della torrefazione era stato acquistato dalla prima qualche mese dopo l'ingresso nella compagine sociale del ricorrente) con la societa' (OMISSIS), il cui vero dominus era (OMISSIS) (tutti i beni della (OMISSIS) erano stati trasferiti alla (OMISSIS), a dimostrazione della continuita' tra le due aziende) come anche la circostanza che la (OMISSIS) avesse la sua sede presso i locali della (OMISSIS). Rispetto a queste complessive emergenze che convergevano nella dimostrazione della fittizieta' delle intestazioni societarie, la difesa, secondo la Corte di appello, non aveva introdotto elementi idonei a confutare quanto emerso in sede penale. Pertanto, anche per il ricorrente non vi e' stata violazione del contraddittorio, per quanto si e' argomentato in premessa, vieppiu' considerando anche la circostanza che le sue societa' sono state confiscate in sede penale (epilogo che il ricorrente sembra non escludere e che gli consentiva gia' una piena tutela della sua posizione attraverso il rimedio dell'incidente di esecuzione). Neppure l'utilizzazione della sentenza penale doveva sottostare alle regole probatorie articolo 238-bis c.p.p., in ragione del diverso statuto probatorio applicabile alla circolazione delle sentenze nel giudizio di prevenzione. Quanto poi all'estensione della confisca rispetto all'accertamento penale, si tratta di questione che risulta assorbita dalla ricostruzione della fittizieta' della intestazione societaria nei termini sopra indicati. Ne' potevano rilevare, per le ragioni in via generale gia' illustrate, i provvedimenti favorevoli assunti nei confronti del ricorrente nel corso delle indagini preliminari. 13.2. In ordine alla rilevanza delle censure ruotanti sulla dimostrazione della sua incapienza ad affrontare gli acquisti delle quote societarie - che la Corte di appello ha definito ultronee rispetto al ragionamento giustificativo che sorregge la confisca - la difesa non ne dimostra la portata disarticolante. Neppure possono trovare ingresso le critiche sulla tenuta logica della motivazione quanto alla prova indiziaria della fittizieta' delle intestazioni, non ricorrendo ictu oculi vizi tali da far apparire il percorso giustificativo seguito dai giudici di merito affetto da illogicita' tanto radicali da farlo risultare apparente. 13.3. Il ricorso va pertanto rigettato con le conseguenze di legge in tema di spese. 14. Inammissibile e' il ricorso di (OMISSIS) cl. (OMISSIS). Il ricorrente, figlio del proposto (OMISSIS), e' stato interessato dalla confisca di quote di due societa', che gestivano servizi bar e di distribuzione carburante in un'area di servizio in comune di (OMISSIS) sull'autostrada A1, della ditta individuale, operante nel medesimo settore sempre in (OMISSIS) sull'autostrada A1, nonche' di immobili siti in (OMISSIS). Non e' stato parte del procedimento penale. 14.1. Quanto alle censure con cui contesta la elusione da parte della Corte di appello delle censure difensive, il ricorrente non si confronta con i motivi di appello sollevati, limitati, come si evince sia dalla sintesi a pag. 5 del decreto impugnato sia dalle pagg. 32-34 dell'atto comune presentato dal "gruppo (OMISSIS)", a due soli profili: la provenienza lecita della provvista utilizzata per l'acquisto dei beni confiscati; la idoneita' delle prove fornite in ordine alla vincita al gioco. La difesa non aveva contestato la disponibilita' dei beni confiscati in capo al padre proposto. Quanto alla censura volta a contestare il ricorso da parte della Corte di appello ad una motivazione che replicava le argomentazioni del primo giudice, il ricorrente non si correla con la premessa fatta dalla Corte di appello a pag. 41 del decreto impugnato in ordine alla ripetitivita' delle questioni sollevate dalle difese, che giustificava il ricorso alla motivazione per relationem (tra tante, Sez. 2, n. 19619 del 13/02/2014, Rv. 259929). Inoltre, il ricorso appare del tutto silente sul nucleo centrale del percorso argomentativo seguito dalla Corte di appello in ordine alla dimostrazione della fittizieta' della intestazione dei beni del ricorrente e dell'impiego di provviste illecite per il loro acquisto, sulla base di quanto accertato in sede penale nei confronti di (OMISSIS). In particolare, a riscontro della captazione in cui il ricorrente aveva confessato nei 2006 la sua incapacita' economica ed imprenditoriale, la Corte di appello ha richiamato l'incidentale accertamento definitivo in ordine alla fittizia intestazione delle due societa' ad opera del (OMISSIS) (capo 98), nell'ambito del reato associativo per il quale era stato condannato, avente ad oggetto proprio l'attivita' di reimpiego di capitali di provenienza illecita nel settore del rifornimento di carburanti. La Corte di appello ha in ogni caso esaminato la versione difensiva nei termini indicati dall'appello. In particolare, per quel che rileva rispetto ai motivi di ricorso, la Corte di appello, in ordine all'impiego della lecita provvista proveniente dalla madre, (OMISSIS), ha evidenziato come tale tesi avesse trovato anch'essa smentita negli accertamenti condotti in sede penale (che vedeva la (OMISSIS) imputata per il reato di cui alla L. n. 356 del 1992, articolo 12-quinquies per l'intestazione fittizia di altra societa' operante nel medesimo settore, con prescrizione dichiarata in appello): la (OMISSIS) era stata ritenuta l'ennesimo prestanome utilizzato dal marito (OMISSIS) per schermare la sua persona e gli interessi del clan (OMISSIS), sin dall'acquisto della ICP alla fine degli anni âEuroËœ90 (epoca nella quale i coniugi risultavano avere redditi modestissimi). Quindi in ragione della origine illecita delle eventuali disponibilita' in capo alla (OMISSIS) nel 2006 (epoca dell'acquisto da parte del figlio), la Corte di appello ha ritenuto non liberatoria la versione fornita dal ricorrente. La stessa sorte era stata assegnata dalla Corte di appello alla tesi sulla liceita' della provvista impiegata per l'acquisto degli immobili nel 2011. Anche le somme impiegate per far fronte al mutuo bancario alla luce delle emergenze processuali avevano una origine illecita, anche considerando le attivita' economiche avviate dal (OMISSIS) in quell'anno, anch'esse non giustificate da leciti investimenti iniziali. Rispetto a tali argomentazioni, il ricorrente introduce aspetti di merito (entita' dell'investimento per l'acquisto e avvio delle due societa') neppure sollevati con l'appello e comunque non correlati con il ragionamento giustificativo seguito dalla Corte di appello. 14.2. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro tremila. 15. Inammissibile e' anche il ricorso di (OMISSIS). La ricorrente, sorella dei proposti (OMISSIS) e (OMISSIS), ha subito la confisca di un immobile sito in Napoli, (OMISSIS), del quale lei e il marito (OMISSIS) risultavano usufruttuari dal 2010, dopo averne acquistato la proprieta' nel 2003. Non ha partecipato al procedimento penale. 15.1. Va premesso che la Corte di appello ha rilevato come la ricorrente avesse soltanto contestato il ragionamento del Tribunale in ordine alla valutazione dell'accensione del mutuo bancario per l'acquisto dell'immobile, sostenendo nell'appello trattarsi di una spesa da posticipare al momento del pagamento dei ratei del mutuo (pag. 56 del decreto impugnato). Sintesi dei motivi di appello che la ricorrente non ha contestato in questa sede. Rispetto a tali censure, i motivi di ricorso si rivelano non consentiti (in quanto relativi a questioni non dedotte con il gravame, come i punti della disponibilita' del bene confiscato in capo al proposto, della perimetrazione cronologica della confisca e della ricostruzione della sua capacita' reddituale) o manifestamente infondati. In particolare, quanto ai motivi non consentiti, perche' non dedotti con il gravame, va osservato che la stessa Corte di appello aveva rilevato come il tema della disponibilita' fosse stato sollevato soltanto da alcuni appellanti (tra i quali non figurava la ricorrente). Quindi la censura e' vieppiu' anche aspecifica. Anche il tema della perimetrazione cronologica della confisca, oltre che non dedotto in appello, e' sollevato in ogni caso in termini generici rispetto all'epoca degli esborsi per il mutuo, collocati dal primo giudice tra il 2004 e il 2010, epoca in cui la Corte di appello ha dimostrato la pericolosita' qualificata di (OMISSIS) (pag. 36 del decreto impugnato). In ordine alle modalita' della valutazione di incapienza della ricorrente, la Corte di appello ha richiamato l'orientamento di legittimita' in tema di misure di prevenzione patrimoniali, secondo cui l'allegazione difensiva in ordine alla legittima provenienza dei beni non puo' limitarsi alla mera indicazione della esistenza di una provvista sufficiente per concludere il negozio di acquisto degli stessi, dovendo invece indicarsi gli elementi fattuali dai quali il giudice possa dedurre che il bene non sia stato acquistato con i proventi di attivita' illecita, ovvero ricorrendo ad esborsi non incompatibili con la capacita' reddituale, in tale prospettiva essendosi ritenuto che l'acquisto di un immobile mediante l'accensione di un mutuo non costituisca dimostrazione della legittima provenienza della provvista, dovendosi fornire la prova della disponibilita' di risorse lecite e sufficienti a sostenere il pagamento delle rate mensili (Sez. 6, n. 21347 del 10/04/2018, Rv. 273388). Va invero rimarcato che il primo giudice aveva evidenziato l'incapienza patrimoniale anche in relazione al pagamento dei ratei di mutuo e sul punto nulla aveva dedotto in senso contrario la ricorrente con l'appello. 15.2. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro tremila. 16. Inammissibili sono i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) cl. (OMISSIS). I ricorrenti sono rispettivamente il fratello dei proposti (OMISSIS) e (OMISSIS), la moglie di (OMISSIS) e il figlio di costoro. 16.1. Quanto al ricorso di (OMISSIS), va rilevato che l'atto di appello, pur indicando la ricorrente tra i soggetti impugnanti (cfr. pag. 1), di fatto non ha declinato alcuna censura specifica relativamente alla sua posizione (sulla nozione di specificita' dei motivi di appello, cfr. Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822). Quindi l'appello era inammissibile e pertanto resta preclusa in questa sede la facolta' di impugnazione per censurare il contenuto del decreto in esame. 16.2. Relativamente ad (OMISSIS) va premesso che il ricorrente e' stato giudicato nel procedimento penale piu' volte citato, nel quale e' stato condannato in via definitiva per la partecipazione, aggravata dall'agevolazione mafiosa, all'associazione promossa e diretta da (OMISSIS) al fine del rimpiego di capitali di illecita provenienza nel settore della gestione di impianti stradali di distribuzione di carburante e annesse aree di ristoro e di attribuzione fittizia di valori (capo 97), e' stato prosciolto per prescrizione per i reati di intestazione fittizia di beni, nella fase di merito per i capi 98) e 105) e nel giudizio di cassazione per il capo 106). La difesa sostiene che la Corte di appello non abbia dato risposta ad una serie di questioni sollevate con l'appello e con le memorie, con le quali erano state segnalate una serie di incongruenze e violazioni del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24. La difesa non ha peraltro contestato la sintesi dei motivi di appello come esposta dalla Corte di appello a pagg. 7-8 e a pag. 54 del decreto impugnato. I motivi di impugnazione avevano ad oggetto soltanto gli acquisti dell'appartamento di (OMISSIS) (peraltro divenuto di proprieta' del fratello (OMISSIS) nel 1984), e del terreno in Volla (quanto alla valenza del mutuo bancario), nonche' le garanzie delle fideiussioni (non risultando dimostrato cosa sia stato posto in garanzia). Ebbene, a fronte di queste specifiche censure (per il resto l'atto di appello, relativo a 17 posizioni, declinava, oltre a specifiche critiche per i vari appellanti, generiche censure per nulla correlate alle argomentazioni del decreto di primo grado in ordine alle posizioni dei singoli appellanti), non era consentito al ricorrente di ampliare l'ambito del devoluto attraverso il deposito di memorie, riferibili a temi rientranti nell'esame compiuto dal Tribunale. Va rammentato che, in virtu' del combinato disposto dell'articolo 10, comma 4, Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 27, comma 2, e articolo 680 c.p.p., comma 3, la disciplina delle impugnazioni che trova applicazione in materia di confisca di prevenzione e' quella, di regola, delle disposizioni generali sulle impugnazioni (cfr. Sez. 1, n. 8644 del 10/02/2009, Rv. 242889), tra le quali, appunto, l'articolo 597 c.p.p., comma 1, che limita la cognizione del giudice di secondo grado ai soli punti devoluti con il gravame (Sez. 6, n. 51366 del 17/05/2018, in motivazione) e l'articolo 581 c.p.p. che impone il requisito di specificita' dei motivi. Ma anche a voler considerare le memorie quali motivi nuovi di cui all'articolo 585 c.p.p., comma 4, in ogni caso sussisteva l'obbligo per il giudice di appello di procedere alla loro valutazione solo se ed in quanto il contenuto delle stesse fosse in relazione con le questioni devolute con l'impugnazione (Sez. 2, n. 36118 del 26/06/2019, Rv. 277076; Sez. 2, n. 15940 del 19/02/2016, Rv. 266668). I motivi nuovi devono infatti avere ad oggetto, a pena di inammissibilita', i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell'originario atto di gravame. Nella specie le questioni introdotte con le memorie, come esposte dal ricorrente, riguardavano punti non attinti dall'appello principale (la omessa motivazione sulla disponibilita' in capo al proposto (OMISSIS) dei beni confiscati; la valutazione in ordine alla sproporzione e alla ragionevolezza temporale della prognosi di illecita derivazione dei beni acquistati). Punti che l'appello principale avrebbe dovuto sviluppare con specifici motivi (sulla nozione di specificita' dell'appello, cfr. Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822; sulla non sanabilita' dell'appello generico con motivi aggiunti, tra tante, Sez. 2, n. 34216 del 29/04/2014, Rv. 260851). Esaminato pertanto il ricorso nei limiti dei punti devoluti con l'appello, le censure del ricorrente si limitano a generiche argomentazioni che non superano la soglia dell'ammissibilita', avendo la Corte di appello fornito una risposta adeguata e priva di vizi sussumibili nella violazione di legge. Quanto all'immobile di (OMISSIS), la Corte di appello ha ritenuto l'appello privo di interesse, in quanto il ricorrente aveva ceduto la sua quota al fratello (OMISSIS). In ogni caso, la questione di fondo (la capacita' reddituale dei genitori a sostenere l'acquisto) non risulta omessa dalla Corte di appello, in quanto affrontata per il fratello (OMISSIS) a pag. 45 del decreto impugnato (la Corte di appello infatti fa espresso rinvio a tale parte). Per il terreno di (OMISSIS), la Corte di appello ha affrontato il tema proposto dal comune difensore per la posizione di (OMISSIS) (quanto alla rilevanza del mutuo), al quale si rinvia per evitare inutili ripetizioni. Relativamente al tema delle fideiussioni, la Corte di appello ha ritenuto generica e irrilevante la questione sollevata dalla difesa, posto che il dato significativo era costituito dal ricorso reiterato alla garanzia per importi elevati sin dal 1997, anno nel quale il ricorrente non percepiva redditi, e per attivita' rientranti nel settore della gestione di impianti stradali di distribuzione di carburante indicati nel capo 98) e costituenti l'oggetto dell'associazione di cui al capo 97) per la quale era stato irrevocabilmente condannato. Quindi la solidita' che giustificava l'erogazione delle fideiussioni doveva ritenersi riferita al colosso economico costituito dal fratello (OMISSIS), che gestiva il patrimonio dei (OMISSIS). E' evidente che tale risposta non abbia invertito l'onere della prova, quanto alla natura delle garanzie: la Corte di appello ha soltanto rilevato che tale nodo poteva era sciolto dal ricorrente ma che la questione risultava in ogni caso superata dalle osservazioni sopra riportate. Sul valore del giudicato penale si e' gia' detto in premessa, tenuto conto che il ricorrente e' stato parte di quel procedimento. Quanto all'annullamento delle confische in sede penale, e' appena il caso di rilevare che la Corte di cassazione ha censurato il vuoto motivazionale della sentenza di merito, la' dove non era stato chiarito in primo luogo il titolo della misura ablativa e quindi il regime normativo applicabile, che veniva a differire a seconda della tipologia di confisca applicata. Considerazioni, che in ragione del diverso quadro normativo operante in sede di prevenzione reale, non possono essere ritenute ostative all'applicazione della confisca nei confronti del ricorrente. La ragionevolezza temporale degli acquisti dei cespiti oggetto di ablazione rispetto alle condotte illecite, richiesta dall'articolo 12-sexies L. 356 del 1992, oggi articolo 240-bis c.p., richiamata dal ricorrente evidentemente non ha nulla a che fare con la perimetrazione cronologica degli acquisti richiesta dalla normativa di prevenzione, che va riferita al diverso indice della pericolosita' del proposto. 16.3. Stessa sorte va assegnata al ricorso di (OMISSIS), cl. (OMISSIS). Il ricorrente e' stato giudicato nel procedimento penale, nel quale, dopo la condanna di primo grado per il reato di intestazione fittizia di beni di cui al capo 106), veniva assolto in appello per difetto di dolo. Anche per la sua posizione, la comune difesa sostiene che la Corte di appello non abbia dato risposta ad una serie di questioni sollevate con l'appello e con le memorie, con le quali erano state segnalate una serie di incongruenze e violazioni del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24. Valgono anche per il presente ricorrente le osservazioni fatte per il padre (OMISSIS), posto che il suo atto di appello principale, facente parte di quello cumulativo presentato dal gruppo dei (OMISSIS), si limitava a contestare in forma specifica soltanto un tema (cfr. la sintesi alle pag. 9 e 55 del decreto impugnato, non contestata dalla difesa), ovvero la mancata considerazione, ai fini della provvista utilizzata per i suoi investimenti, dei redditi dei genitori che tra il 2010 e 2011 erano ampiamente sufficienti a finanziarli. La difesa critica la risposta data dalla Corte di appello a tale questione, sostenendo anche in tal caso la elusione di una serie di profili sollevati con le memorie, profili che, peraltro, parimenti riguardano punti non attinti in modo specifico dal gravame principale. Cosi' delimitato l'ambito del ricorso, va rilevato che la motivazione offerta dalla Corte di appello alla tesi difensiva circa la provenienza dei redditi impiegati negli acquisti del ricorrente non presenta alcun vizio rilevabile in questa sede. La Corte di appello ha infatti osservato come il Tribunale avesse ricostruito la genesi illecita dei redditi dei genitori del ricorrente. Dal decreto di primo grado si evince infatti che costoro sin dagli anni âEuroËœ80 (nei quali avevano redditi minimi) avevano dato inizio ad una serie di investimenti immobiliari e societari, tra i quali la costituzione della Dicar nel 1997, a compagine familiare (soci erano i fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS) con la moglie del fratello (OMISSIS)), operante nel settore della distribuzione di carburanti, e di seguito di altre societa' sempre operanti nel medesimo settore, nella cui compagine sociale figurava sempre la moglie del fratello (OMISSIS). Ebbene, la Corte di appello ha rilevato come questa ricostruzione non fosse stata contestata da entrambi i genitori (come, d'altra parte, si e' avuto modo di osservare nei paragrafi precedenti) e che pertanto venisse in definitiva in esame soltanto il ragionamento in ordine alla natura dell'investimento fatto con proventi illeciti. Si tratta di conclusione che la comune difesa in questa sede ha cercato di attaccare, da un lato "recuperando" quanto allegato dai genitori ricorrenti con le memorie in sede di appello, dall'altro sostenendo che il terzo possa attaccare tutti i presupposti di applicabilita' della confisca in capo al proposto. Si tratta di argomenti inammissibili sotto entrambi gli aspetti. Sul primo si e' gia' detto. Quanto al secondo, ferma restando l'infondatezza della tesi giuridica sostenuta dalla difesa alla luce del costante orientamento di legittimita' in materia di prevenzione (vedi retro al punto 6), l'appello del presente ricorrente non conteneva alcuna specifica contestazione circa la genesi lecita della provvista a lui fornita dai genitori per gli acquisti societari (acquisti che riguardavano tra l'altro una quota di una delle societa' di cui si e' detto in precedenza, che vedeva come soci il padre e la moglie dello zio (OMISSIS), e la costituzione insieme ai figli degli zii (OMISSIS) e (OMISSIS) di una societa' operante nel settore della somministrazione di bevande e alimentari). 16.4. Alla luce di quanto premesso, i ricorsi devono dichiararsi inammissibili, con conseguente condanna di ciascuno al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro tremila. 17. Inammissibile e' anche il ricorso di (OMISSIS). La ricorrente e' destinataria di confisca ed e' parte della famiglia dei (OMISSIS) (e' la moglie di (OMISSIS) cl. (OMISSIS), figlio del proposto (OMISSIS)). Non e' stata parte al procedimento penale. In questa sede contesta il ragionamento probatorio della Corte di appello, posto che quale terza interessata aveva fornito la indicazione della fonte (il padre) della provvista impiegata per l'acquisto della quota societaria della (OMISSIS). 17.1. Il ricorso e' aspecifico. Come si e' detto in premessa, la prova della fittizia intestazione in capo ad un terzo, non facente parte degli stretti parenti del proposto, di beni nella disponibilita' del proposto puo' essere fornita attraverso le piu' variegate circostanze, purche' si tratti di indizi dotati dei caratteri di serieta', gravita' e concordanza di cui all'articolo 192 c.p.p.. Nel caso in esame, la ricorrente non si confronta con la prova indiziaria sulla quale sin dal primo grado era stata ravvisata la sua interposizione fittizia. Era stata evidenziata la vicinanza della ricorrente agli affari di (OMISSIS) sin dal 2006, epoca in cui entrava a far parte, pur senza reddito, di una societa' con (OMISSIS), ritenuto fiduciario di (OMISSIS) e (OMISSIS) in vari investimenti della holding (OMISSIS). Dato rilevante di questa partecipazione era l'acquisto da parte di questa societa' nel 2007 della (OMISSIS), facente capo ai (OMISSIS) (come, tra l'altro, dimostravano le intercettazioni). Tale societa' non era sottoposta a confisca sol perche' inattiva dal 2013. E' in questo contesto che nel 2011 la ricorrente costituisce con la quota del 40% la (OMISSIS), esercente attivita' di ristorazione in un'area di servizio, in precedenza gestita da (OMISSIS), che vedeva come altri soci (OMISSIS) (figlio di (OMISSIS), sorella di (OMISSIS)) e (OMISSIS), cl. (OMISSIS) (figlio di (OMISSIS), fratello di (OMISSIS)). Il Tribunale aveva ricostruito la situazione reddituale anche di questi ultimi, constatando la mancanza di redditi sufficienti ( (OMISSIS)) o leciti ( (OMISSIS)). Rispetto a tale ricostruzione, il Tribunale aveva rilevato come la ricorrente si fosse limitata a sostenere di aver impiegato nell'acquisto la somma ricevuta nel 2009 dal padre. La Corte di appello ha rilevato non tanto la assenza di tracce documentali di tale utilizzazione, quanto, piuttosto, che il dato probatorio dirimente era costituito dall'accertamento definitivo in sede penale in ordine alla fittizieta' della intestazione della (OMISSIS) (capo 98) ad opera di (OMISSIS), essendo stata ritenuta l'operazione in questione una vera e propria fotocopia del modus operandi di quest'ultimo nel reperire tra familiari gli intestatari per schermare le attivita' realizzate con i soldi del clan (OMISSIS), circostanza non vulnerata dal tipo di deduzione difensiva formulata. 17.2. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro tremila. 18. Inammissibili sono anche i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS). 18.1. (OMISSIS), pur figurando tra coloro che avevano proposto appello con l'unico atto comune ad altri membri della famiglia dei (OMISSIS), non presentava specifici motivi di gravame. Pertanto, il ricorso va ritenuto inammissibile, al pari di quanto gia' osservato per il ricorso di (OMISSIS). 18.2. (OMISSIS) invece non risulta soggetto appellante. La dichiarazione dei difensori di impugnazione a pag. 1 dell'atto di appello, presentato dal gruppo dei familiari dei (OMISSIS), non vede infatti indicato il suo nominativo tra i terzi intestatari per i quali l'appello era stato proposto. In difetto di tale enunciazione, irrilevante e' la presentazione a pag. 35 dell'appello di un punto 5) relativo all'analisi dei redditi di (OMISSIS). In ogni caso, anche a voler tacere di tale profilo di genetica inammissibilita', il ricorso e' inammissibile in quanto declina censure aspecifiche rispetto al ragionamento giustificativo che sorregge la confisca. Nella specie, la confisca aveva riguardato un immobile acquistato nel 1995 dalla ricorrente (sorella della moglie di (OMISSIS)). In sede di appello, la Corte territoriale aveva ritenuto che le indagini patrimoniali condotte per dimostrare la sua incapienza avessero ricevuto un riscontro specifico da quanto accertato in sede penale (l'immobile in questione risultava tra le intestazioni fittizie contestate a (OMISSIS) al capo 105, per le quale vi era stata declaratoria di prescrizione, fermi restando gli accertamenti di merito). Rispetto a tale accertamento gli argomenti spesi nel ricorso (volti a contestare soltanto la sua capacita' reddituale) sono all'evidenza non correlati alla motivazione del decreto impugnato. 18.3. Alla luce di quanto premesso, i ricorsi devono dichiararsi inammissibili, con conseguente condanna di ciascuno al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro tremila. 19. Va complessivamente rigettato il ricorso di (OMISSIS). 19.1. I primi due motivi sono infondati. Il ricorrente, quale proposto, era stato raggiunto in primo grado sia dalla misura di prevenzione personale sia da quella reale, in quanto ritenuto al pari del fratello (OMISSIS) raggiunto da indizi di pericolosita' qualificata, non solo quale partecipe al clan (OMISSIS), ma anche come riciclatore insieme al fratello (OMISSIS) per conto del sodalizio mafioso. Nel disegnare il ruolo del ricorrente e la sua "appartenenza" al clan (OMISSIS) il Tribunale aveva infatti valorizzato i molteplici investimenti, con movimenti di decine di migliaia di Euro, realizzati in attivita' economiche nei settori delle pompe di rifornimento di carburante, della ristorazione e della vendita di preziosi, dai fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS), a fronte di una loro capacita' economica sproporzionata. Il Tribunale aveva richiamato a tal riguardo la figura dell'imprenditore colluso con il clan mafioso. Nel giudizio di prevenzione, il Tribunale aveva assegnato largo spazio alla rete di attivita' illegali, frutto di reimpiego di illeciti capitali, costituita da (OMISSIS) e (OMISSIS), che avevano portato a contestare in sede cautelare penale numerosi reati di intestazione fittizia e reati associativi il cui programma criminoso era costituito dal reimpiego di proventi illeciti del clan (OMISSIS). In sede di appello, la difesa aveva fatto valere l'esito del procedimento penale celebrato nel frattempo e che aveva registrato a favore del ricorrente in sede di giudizio di cassazione l'annullamento con rinvio della condanna per il capo associativo mafioso. La Corte di appello, prendendo atto di quanto era stato accertato in sede penale, ha, coerentemente ai principi di autonoma valutazione del giudice della prevenzione, rilevato che tale statuizione non venisse a travolgere (se non in punto di attualita') la ritenuta pericolosita' sociale qualificata del proposto. La Corte di appello ha infatti evidenziato come fosse stato confermato in sede penale l'impianto accusatorio in ordine al suo ruolo di riciclatore che aveva fondato la misura di prevenzione: era infatti divenuta definitiva la condanna del ricorrente per il capo 97), relativo all'associazione per delinquere dedita al reimpiego di denaro di provenienza delittuosa in attivita' economiche inerenti il settore della gestione di impianti stradali di distribuzione di carburante con annesse aree di ristoro e di attribuzione fittizia di valori; risultavano definitivamente accertate, ancorche' prescritti i relativi reati, le intestazione fittizie di cui ai capi 98) e 105). La Corte di cassazione, se aveva annullato la sentenza di appello per il capo associativo mafioso (per difetto di motivazione), aveva ribadito come nella holding creata da (OMISSIS) (e nella quale si sostanziava la sua intraneita' al clan (OMISSIS)) per riciclare denaro del sodalizio mafioso, questi si fosse servito anche del fratello (OMISSIS), consapevolmente partecipe a tale programma criminoso (in tal senso era confermata anche l'aggravante mafiosa). Peraltro, il quadro accusatorio riguardo al capo 97) non era stato ritenuto sufficiente a fondare "con certezza" una condotta per il reato associativo mafioso che non corresse il rischio di essere sovrapponibile alla condotta illecita del ricorrente gia' individuata nell'ambito della associazione a delinquere "semplice" (cosi' pag. 211 della sentenza della Suprema Corte). Ebbene, l'analisi condotta dalla Corte di appello si rivela in linea con lâEuroËœesegesi pacifica di questa Corte in tema di "appartenenza" ad una associazione mafiosa, rilevante per l'applicazione delle misure di prevenzione, che come precisato dalle Sezioni Unite comprende la condotta che, sebbene non riconducibile alla "partecipazione", si sostanzia in un'azione, anche isolata, funzionale agli scopi associativi, con esclusione delle situazioni di mera contiguita' o di vicinanza al gruppo criminale (Sez. U, n. 111 del 30/11/2017, dep. 2018, Gattuso, Rv. 271512). E gia' questa Corte ha ritenuto che rientri in tale nozione la condotta del proposto consistita nel contributo continuativo in favore degli associati, curando, in particolare, gli investimenti di fondi di provenienza illecita in operazioni immobiliari di riciclaggio (Sez. 6, n. 49750 del 04/07/2019, Rv. 277438). Non puo' ritenersi neppure la dedotta violazione del contraddittorio, posto che gia' il decreto di primo grado basava la nozione di appartenenza al clan (OMISSIS) sulle medesime condotte rivelatrici e la valutazione del nuovo materiale probatorio in sede di appello era stata condotta su materiale acquisito nel contraddittorio delle parti. 19.2. Alcun pregio ha la dedotta questione di costituzionalita' con riferimento alla fattispecie di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 4, comma 1, lettera a). La ipotizzata "contiguita' mafiosa", quale forma di appartenenza rilevante ai fini di tale forma di pericolosita', non trova infatti alcuno spazio ne' nella sentenza delle Sezioni Unite, Gattuso, sopra indicata, costituente diritto vivente (articolo 618 c.p.p.) (infatti la Suprema Corte, proprio aderendo ai parametri costituzionali e convenzionali, di cui si era gia' fatta carico la sentenza a Sezioni Unite n. 40076 del 27/04/2017, Paterno', in funzione della necessita' di una "lettura tassativizzante e tipizzante della fattispecie", ha chiaramente escluso la possibilita' di qualificare come appartenenza la condotta che, nella consapevolezza dell'illecito, si muova in una indefinita area di contiguita' o vicinanza al gruppo, che non sia riconducibile ad "un'azione", ancorche' isolata, che si caratterizzi per essere funzionale agli scopi associativi), ne' nel decreto impugnato che ha ricostruito la pericolosita' del ricorrente in termini del tutto conformi alle indicazioni delle Sezioni Unite, individuando specifiche "condotte" funzionali agli scopi del clan (OMISSIS). 19.3. Il quarto motivo e' manifestamente infondato. Sulla estensione del giudicato penale al proposto, che a quel giudizio ha partecipato, si e' gia' detto nella premessa generale. Rispetto alla condanna penale non era pertanto necessaria alcun'altra valutazione da parte del giudice della prevenzione; mentre era senz'altro utilizzabile nell'ambito del giudizio di prevenzione l'accertamento condotto in sede penale in ordine al reato prescritto. In ordine alle statuizioni di confisca, va rilevato in primo luogo che la Corte di cassazione, al pari del ricorrente (OMISSIS) (cfr. sopra), aveva annullato con rinvio sul punto soltanto per la incertezza sui presupposti applicativi, non emergendo a quale titolo fossero state disposte. Quindi si trattava di pronuncia che non era ostativa alla confisca di prevenzione, stante anche il diverso statuto giuridico. Confisca che, in conseguenza della pericolosita' qualificata del proposto, poteva essere disposta sulla base della presunzione relativa della illiceita' degli acquisti o degli investimenti, conseguente alla loro sproporzione con il reddito dichiarato ovvero ad indizi idonei alla loro caratterizzazione quale frutto o reimpiego di proventi di attivita' illecite. Naturalmente nel rispetto della delimitazione temporale della pericolosita' operata dalla Corte di appello. Come hanno da tempo chiarito le Sezioni Unite (Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, Spinelli), l'assunto della provenienza illecita del patrimonio del proposto deve pur sempre essere la risultante di un processo dimostrativo, che si avvalga anche di presunzioni, affidate ad elementi indiziari purche' connotati dei necessari coefficienti di gravita', precisione e concordanza. I parametri probatori indicati dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24 sono a) la mancata giustificazione della provenienza dei beni da parte del soggetto nei cui confronti e' instaurato il procedimento di prevenzione; b) la titolarita' o disponibilita', a qualsiasi titolo, degli stessi beni, da parte dello stesso soggetto, sia direttamente che indirettamente, in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, od alla propria attivita' economica; c) la provenienza dei beni, che risultino essere frutto di attivita' illecite o ne costituiscano il reimpiego. Ai fini di questo processo dimostrativo, ben poteva pertanto la Corte di appello utilizzare gli esiti degli accertamenti definitivi in sede penale per la confisca dei beni del proposto, quale idonea base indiziaria per dimostrare la provenienza illecita dei beni. In particolare, con l'appello il ricorrente aveva soltanto contestato in modo specifico la confisca dell'immobile sito in (OMISSIS) e acquistato nel 2007, sostenendo che il prezzo era stato in gran parte pagato con un mutuo bancario, garantito da ipoteca, e non, come ritenuto, con provvista sproporzionata ai suoi redditi (il prezzo era di 957.000 Euro). La Corte di appello ha rilevato al riguardo come le perplessita' insite nell'operazione di acquisto (la stessa difesa aveva ammesso che il saldo del conto corrente del ricorrente all'epoca dell'acquisto fosse pari a zero e che il mutuo per Euro 797.500 Euro, corrisposto dopo l'acquisto, andasse a compensare uno scoperto di 422.650 Euro, il prestito della sorella e un'anticipazione della banca; andava considerato inoltre che il prestito erogato dalla banca andava comunque onorato con una spesa fissa di rilevante importo che il proposto non poteva sostenere) venivano ad assumere un diverso rilievo indiziario alla luce di quanto accertato in sede penale. L'acquisto dell'immobile veniva infatti a ricadere nell'arco temporale della ritenuta partecipazione del ricorrente, dei fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS) e dei cognati, all'associazione di cui al capo 97) dedita al reimpiego di capitali illeciti del clan (OMISSIS), anche tramite fittizie intestazioni, e lo stesso immobile era incluso tra i beni oggetto di intestazione fittizia di cui al capo 105). La Corte di appello, nel richiamare questo accertamento (che per l'immobile risultava puntualmente svolto nella sentenza del processo penale di appello), aveva anche valorizzato a sostegno di questo quadro indiziario una captazione coeva all'acquisto gia' riportata nel decreto di primo grado, in cui i fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS) commentavano l'alto stile di vita del ricorrente ("molto piu' alto" del loro tanto da chiedergli di versare ai fratelli la differenza). 19.4. Il ricorso va pertanto rigettato con le conseguenze di legge in tema di spese. 20. Inammissibile e' il ricorso di (OMISSIS). Il ricorrente ha subito la confisca della ditta individuale. E' stato coinvolto nel procedimento penale con le seguenti statuizioni definitive: condannato per il reato di partecipazione ad associazione per delinquere, aggravato dal Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 di cui al capo 101), inerente alla commissione di reati di ricettazione di preziosi e orologi di provenienza delittuosa per il successivo smercio, il cui promotore era (OMISSIS); e' stato prosciolto per prescrizione dal reato di intestazione fittizia di beni di cui al capo 104). La Corte di cassazione ha annullato con rinvio la confisca dei beni, in ragione della incertezza di fondo sul titolo della confisca e sul ruolo del ricorrente rispetto ad essa (se di titolare o di prestanome dei beni oggetto del provvedimento ablativo, tra i quali e' stata indicata anche l'attivita' della gioielleria a lui formalmente riconducibile). 20.1. Con il primo motivo contesta, in modo aspecifico e manifestamente infondato, la portata dimostrativa dell'accertamento penale ai fini della confisca della ditta. Correttamente la Corte di appello ha fatto riferimento ai provvedimenti definitivi emessi in sede penale, nei termini gia' chiariti in premessa. Quanto alla condanna penale non vi era quindi alcuno spazio per la rivalutazione del materiale probatorio, mentre l'accertamento incidentale della sussistenza del reato di intestazione fittizia, dichiarato prescritto, poteva essere utilizzato nel processo dimostrativo ai fini di confisca. La Corte di appello ha in particolare riportato i passaggi piu' significativi della sentenza della Corte di cassazione con riferimento al capo 101), la' dove erano descritti i rapporti tra il ricorrente e (OMISSIS), "azzerando ogni contraria obiezione volta a sostenerne la liceita' e l'autonomia del ricorrente nella gestione della sua attivita' commerciale con la compagine intitolata "Ditta individuale (OMISSIS) di (OMISSIS)", cosi' indicata nel capo di imputazione 104), inerente al reato di intestazione fittizia di beni contestato al ricorrente e dichiarato prescritto (ma non insussistente) fin dal primo grado". In particolare, la Suprema Corte aveva richiamato tanto il contenuto delle captazioni (che rimandavano all'esistenza di una societa' occulta tra il proposto e il ricorrente), che le dichiarazioni dei collaboratori (che lo indicavano come socio occulto di (OMISSIS)), che convergevano nel dimostrare il rapporto occulto di affari nel settore dei gioielli tra il ricorrente e (OMISSIS). Tutte le questioni sollevate con l'appello in sede di prevenzione sulla idoneita' e significativita' del compendio indiziario risultavano pertanto gia' risolte in sede penale. Quanto alla censura che si assume elusa volta a dimostrare la proporzionalita' dei suoi redditi rispetto ai beni confiscati, il ricorrente non si confronta con la motivazione del decreto impugnato, nella parte in cui ha valorizzato l'accertamento in fatto definitivo sul reato di intestazione fittizia riguardante la sua ditta di oreficeria di cui al capo 104). 20.2. Manifestamente infondato e' il secondo motivo. Con l'appello, la difesa aveva soltanto criticato il decreto del Tribunale la' dove in modo generico e fuorviante aveva fatto riferimento a gioielli ritrovati nella abitazione-ufficio, ma non in quanto confiscati (come, tra l'altro, dimostra il dispositivo), bensi' solo in funzione dell'accertamento sui redditi del ricorrente. 20.3. Alla luce di quanto premesso, il ricorso va dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro tremila. 21. Va complessivamente rigettato il ricorso di (OMISSIS). Il ricorrente e' destinatario della confisca della sua ditta individuale, esercente la vendita al dettaglio di carburante, con sede a Venafro. Non ha partecipato al procedimento penale. 21.1. Quanto al primo motivo, con cui si deduce la portata preclusiva della vicenda cautelare penale e si contesta l'utilizzazione del giudicato penale, va osservato quanto segue. Inammissibile e' la censura sulla vicenda cautelare penale per le ragioni gia' evidenziate in premessa. Quanto all'utilizzazione del giudicato penale nei confronti del soggetto terzo a quel giudizio, parimenti si rinvia alle osservazioni generali sul tema. Va esclusa la violazione del contraddittorio in ordine alla utilizzazione della sentenza penale (secondo la difesa, gli elementi sarebbero "piovuti" addosso al ricorrente senza possibilita' di difesa): in primo luogo il materiale probatorio posto a fondamento del giudizio penale era stato reso disponibile alle parti sin dal primo grado, che erano state poste in condizione di controdedurre; inoltre, i provvedimenti del giudizio penale erano stati acquisiti nel corso del giudizio di appello, cosi' da consentire anche in tal caso il contraddittorio delle parti. Va rammentato che nel giudizio d'appello di prevenzione possono essere utilizzati nuovi elementi probatori, preesistenti o sopravvenuti, introdotti anche dal pubblico ministero, purche' nell'ambito del "devolutum" e nel rispetto del principio del contraddittorio. (Sez. 5, n. 5749 del 23/11/2021, dep. 2022, Rv. 28278, in motivazione, la Corte ha precisato che la parte pubblica deve portare a conoscenza delle altre parti, mediante deposito nella segreteria del procuratore generale, gli ulteriori atti e che questi devono formare oggetto, nel corso dell'udienza camerale, di una specifica richiesta di acquisizione, sulla quale il giudice, all'esito dell'interlocuzione di tutte le parti, provvede valutando la legittimita', la rilevanza e la non superfluita' delle nuove prove). In ordine alle contestazioni specifiche mosse dal ricorrente all'utilizzazione dell'accertamento penale, va in primo luogo evidenziato che gia' il Tribunale in primo grado aveva fatto riferimento alla vicenda della (OMISSIS) per dimostrare il collegamento tra i tre fratelli (OMISSIS) e i (OMISSIS) e che su tale questione la Corte di appello ha rilevato che alcuna contestazione era stata mossa dal ricorrente con l'appello (quindi non possono essere recuperati in questa dalla difesa i dedotti travisamenti o errori nella ricostruzione della vicenda). In sede penale era venuta la conferma di tale collegamento, essendo stato ritenuto (OMISSIS), titolare di quote della societa' che era subentrata nella gestione dell'area di servizio, "un mero prestanome degli zii (OMISSIS) e (OMISSIS) nonche' di suo padre (OMISSIS) e che era utilizzato dagli stessi per la realizzazione dei loro fini illeciti". Altra circostanza valorizzata, gia' nel decreto di primo grado, era la vicenda della (OMISSIS), relativa al fratello (OMISSIS), confermativa della storica collaborazione dei fratelli (OMISSIS) con i (OMISSIS) (anche in tal caso nessun errore ricostruttivo era stato sollevato dalla difesa). Vicenda anch'essa esaminata in sede penale: (OMISSIS) era stato ritenuto, con riferimento a tale societa' "un mero prestanome dell'imputato (OMISSIS)) e.. la sua presenza nella societa'..finalizzata a schermare la reale titolarita' posta in capo a (OMISSIS)". I giudici penali avevano utilizzato a tal fine quali elementi probatori gli stessi indizi dimostrativi esposti nel decreto di prevenzione: i rapporti familiari con i (OMISSIS), la captazione in cui (OMISSIS) e (OMISSIS), nel fare l'elenco dei distributori di loro titolarita' e degli intestatari fittizi, avevano ammesso anche la titolarita' di detta societa', l'incapienza dei redditi del titolare. Quanto alla suddetta captazione, che figurava sin dal primo grado del giudizio di prevenzione tra gli elementi dimostrativi della interposizione soggettiva dei (OMISSIS) e della quale la difesa aveva contestato la lettura, la Corte di appello ha confermato che il riferimento dei conversanti ai distributori in "Abruzzo" fosse un mero errore nella individuazione geografica dei distributori situati invece in Molise (dove vi erano gli impianti della famiglia (OMISSIS)- (OMISSIS)), tenuto conto che alle stesse conclusioni era giunto anche il giudice penale. Sul punto non puo' ritenersi la motivazione del tutto apodittica (come tale censurabile in questa sede): gia' in primo grado il Tribunale aveva richiamato (pag. 221) quelle captazioni in cui i (OMISSIS) avevano fatto riferimento ad impianti gestiti dai proposti nel Venafrano (dove aveva sede proprio la ditta del ricorrente); il rinvio al provvedimento penale consentiva inoltre di rilevare che tale lettura era stata confermata in dibattimento dal teste di polizia giudiziaria, che aveva riferito che dalle indagini espletate non erano risultati distributori riconducibili alla famiglia di (OMISSIS) in quella regione, mentre gli stessi risultavano in Molise, in particolare a (OMISSIS), dove vi erano distributori intestati alla famiglia (OMISSIS)- (OMISSIS). Il richiamo all'accertamento in sede penale consentiva alla Corte di appello di dimostrare non solo la fittizia intestazione della ditta, ma anche la riferibilita' dei proventi impiegati al clan (OMISSIS), del quale (OMISSIS) era il braccio economico. Rispetto a tale provvedimento definitivo, come si e' detto, il ricorrente era stato posto in grado di difendersi, contestando - come ha fatto in definitiva con l'appello - la valenza indiziante degli elementi posti a fondamento. Quanto agli altri travisamenti, sono vizi non deducibili in questa sede, riguardando aspetti della ricostruzione nel merito (gia' presenti nel decreto di primo grado), non sollevati con l'appello. 21.2. Infondato e' anche il secondo motivo, in quanto il ricorrente parcellizza il discorso giustificativo dei giudici di merito, basato sinergicamente su convergenti elementi indiziari: i rapporti di storica collaborazione imprenditoriale dei tre fratelli (OMISSIS) con i (OMISSIS); i collegamenti familiari che costituivano la base del "sistema" di gestione della holding da parte di (OMISSIS) per schermare gli investimenti illeciti; il riferimento dei (OMISSIS) al distributore situato proprio dove insisteva quello del ricorrente; non da ultimo l'accertamento definitivo svolto in sede penale. 21.3. Le argomentazioni spese nella memoria sono o inammissibili (nella misura in cui introducono vizi non oggetto del ricorso principale e comunque neppure dedotti con l'appello) o comunque superate dalle osservazioni che precedono. 21.4. Pertanto, il ricorso va rigettato con le conseguenze di legge in tema di spese. 22. Inammissibile e' il ricorso di (OMISSIS). Il ricorrente propone l'impugnazione "quale amministratore unico e legale rappresentante pro tempore de La (OMISSIS) s.r.l.", societa' le cui quote risultano totalmente confiscate (cfr. pag. 662 del decreto di primo grado). Va rammentato al riguardo che la legittimazione ad impugnare in capo alla societa' (e, per essa, al suo legale rappresentante), sussiste soltanto in funzione della tutela del patrimonio sociale e dei beni che lo compongono. Pertanto, nel caso di confisca dell'intero capitale sociale di una societa' e quindi dei beni formalmente intestati alla stessa, legittimati a costituirsi in giudizio, ai sensi del Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, articolo 23, comma 2, e a proporre impugnazione sono solo le persone fisiche titolari dei diritti nascenti dalle quote sociali e non, invece, la persona giuridica in quanto tale (Sez. 1, n. 35793 del 15/02/2019 Rv. 276939; Sez. 1, n. 42238 del 18/05/2017, Rv. 270973; conf. Sez. 5, n. 8984 del 19/01/2022). Alla luce di quanto premesso, il ricorso va dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro tremila. 23. Va rigettato il ricorso di (OMISSIS). La ricorrente ha subito la confisca delle quote della societa' La (OMISSIS). Non ha partecipato al giudizio penale. 23.1. In ordine alla utilizzazione dei provvedimenti penali si e' gia' detto in premessa. Va ribadita la non applicazione in sede di prevenzione dello statuto probatorio del processo penale. Si e' anche chiarito quale sia il limite della valenza di giudicati penali emessi all'esito di procedimenti ai quali il terzo destinatario della confisca di prevenzione sia rimasto estraneo: il diritto al contraddittorio esige che il terzo sia posto in condizione di difendersi rispetto agli elementi probatori utilizzati in sede penale. In altri termini il terzo deve avere la possibilita' di contestare la forza dimostrativa di tali elementi, cosi' da disarticolare l'intero ragionamento giustificativo volto a provare quel "fatto" incidente sulla posizione del terzo. Gli elementi introdotti dalla difesa della ricorrente in sede di appello - attesa, come piu' volte detto, la uniformita' della piattaforma probatoria tra i due procedimenti - risultavano non avere questa idoneita'. La Corte di appello ha a tal riguardo rilevato che i verbali delle prove utilizzati in sede penale erano gia' presenti in atti e nessuna richiesta istruttoria era stata fatta al riguardo dalla difesa. Gli argomenti spesi dalla ricorrente in appello si incentravano essenzialmente nella dimostrazione della capienza reddituale per affrontare l'acquisto da fonti lecite e nella confutazione della valenza indiziaria degli elementi valorizzati in primo grado. Si contestava in particolare l'ipotizzato collegamento tra le societa' amministrate dal padre della ricorrente, (OMISSIS), e (OMISSIS) (il contenuto delle e-mail inviate nel 2007 tra (OMISSIS) e il faccendiere (OMISSIS) riferite alla (OMISSIS), quale societa' del primo; la distanza temporale tra tale corrispondenza e la costituzione della societa' (OMISSIS) nel 2011), la mancanza di contatti tra l'amministratore (OMISSIS) e i (OMISSIS), il rapporto all'epoca sommerso tra il (OMISSIS) e i (OMISSIS), il silenzio del proposto e dei suoi fiduciari nelle captazioni sulla societa' della ricorrente; l'irrilevanza delle dichiarazioni di (OMISSIS) quanto alla suddetta societa'. Nessun elemento era stato introdotto invece per confutare il "fatto" - come accertato in sede penale - della fittizieta' della intestazione ed in particolare della riferibilita' della societa' alla holding creata da (OMISSIS) per investire i capitali del clan (OMISSIS): la sentenza penale di appello aveva respinto la richiesta di assoluzione di (OMISSIS) per il capo 106) (relativo all'intestazione fittizia della (OMISSIS)), basandosi non tanto sulla incapienza dei soci, come accertata anche in quella sede, quanto soprattutto sul ruolo strategico svolto da (OMISSIS), marito dell'altra socia (OMISSIS) (considerato l'anello di congiunzione nei vari investimenti nel settore ad opera di (OMISSIS)), sul quale si e' gia' detto in precedenza. Evidentemente a fronte di tale accertamento, che deponeva per la fittizieta' dell'intera intestazione delle quote, non erano temi dirimenti ne' la conoscenza della ricorrente dei rapporti tra la (OMISSIS) e i (OMISSIS), ne' la sua capacita' patrimoniale. La portata del giudicato penale veniva viepiu' a dissolvere quelle incertezze ricostruttive dedotte dalla ricorrente avverso il decreto di primo grado, nel quale si era dato tra l'altro ampio spazio ai rapporti delle societa' facenti capo alla (OMISSIS) e alla societa' (OMISSIS), di sicura riferibilita' al (OMISSIS) (come accertato anche in sede penale) e alla ubicazione della sede della (OMISSIS), altra societa' strettamente connessa alla (OMISSIS), presso i locali della (OMISSIS). In definitiva la dimostrazione della intestazione fittizia a favore del proposto risulta affidato ad un quadro indiziario che non appare censurabile. 23.2. Pertanto, il ricorso va rigettato con le conseguenze di legge in tema di spese. 24. Infondati sono i ricorsi di (OMISSIS), di (OMISSIS), di (OMISSIS) e di (OMISSIS), mentre sono inammissibili i ricorsi di (OMISSIS) e di (OMISSIS). 24.1. Va premesso che l'appello comune proposto da tutti i sopraindicati ricorrenti contestava la confisca di una serie di societa' ed era stato presentato "anche in favore dei terzi non formalmente intestatari del provvedimento di confisca", quali risultavano essere (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in proprio. Le societa' per le quali e' stato proposto appello sono infatti: (OMISSIS), ditta individuale (OMISSIS) (deceduto), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), imprese nelle quali, secondo il decreto di primo grado, non figuravano le suddette ricorrenti come intestatarie di quote o proprieta' alla data del provvedimento ablativo di primo grado. Pertanto, i loro ricorsi devono essere dichiarati inammissibili (con esclusione di quello di (OMISSIS), che quanto alla sua legittimazione come erede va dichiarato infondato), posto che l'impugnazione (come la stessa partecipazione al procedimento) e' riservata ai terzi "proprietari o comproprietari dei beni" oggetto della misura di prevenzione. L'interesse ravvisabile nella contestazione della ricostruzione del patrimonio familiare, operata in sede di prevenzione, non puo' legittimare evidentemente l'impugnazione e il ricorso in questa sede presentato. E' appena il caso di rilevare, tra l'altro, che la procura speciale per proporre tanto l'appello quanto il ricorso per cassazione e' stata conferita dalle ricorrenti nella qualita' di "terze intestatarie di beni" oggetto di confisca. Alla luce di quanto premesso, i ricorsi di (OMISSIS) e di (OMISSIS) devono dichiararsi inammissibili, con conseguente condanna di ciascuna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro tremila. 24.2. Quanto alle restanti posizioni, va evidenziato che i ricorrenti sono terzi che hanno subito la confisca di quote di societa' o imprese individuali, operanti nel settore della distribuzione di carburante e annessa ristorazione. Non risultano aver partecipato al processo penale. Va premesso che, come per altri gruppi familiari, la posizione di costoro e' stata ricostruita in modo unitario (la famiglia (OMISSIS)). Secondo i giudici di merito, i componenti di tale famiglia si sarebbero prestati - anche per loro tornaconto - a fungere da prestanomi per gli investimenti illeciti dei (OMISSIS) nel suddetto settore imprenditoriale, a cominciare dalla capostipite (OMISSIS) e di seguito i figli di quest'ultima, (OMISSIS) (nel frattempo deceduto), (OMISSIS) e (OMISSIS), affiancati dai rispettivi coniugi ( (OMISSIS) e' la moglie di (OMISSIS), (OMISSIS) e' la moglie di (OMISSIS), (OMISSIS) e' il marito di (OMISSIS)). In questa sede i ricorrenti hanno sollevato il tema comune ad altri ricorsi della rilevanza sia dell'esito favorevole delle indagini preliminari nei loro confronti (con la disposta archiviazione delle loro posizioni per i reati di intestazione fittizia) sia del giudicato penale. Con riferimento a quest'ultimo sono dedotti i profili della violazione del contraddittorio, della valenza dell'accertamento compiuto in sede penale (sentenza di prescrizione) con riferimento ai reati di fittizia intestazione e della elusione delle censure difensive. Sulle suddette questioni si rinvia a quanto gia' osservato in linea generale. Nello specifico, va rilevato che la Corte di appello, quanto al profilo contestato dai ricorrenti della ritenuta disponibilita' delle societa' e imprese della famiglia (OMISSIS) in capo al proposto (OMISSIS), ha precisato come sul punto fosse intervenuto l'accertamento definitivo in sede penale sia sul capo 97), con la condanna di (OMISSIS) e (OMISSIS) per il reato associativo finalizzato a commettere reati di intestazione fittizia di beni nei settori economici relativi alla gestione di impianti stradali di distribuzione di carburante con annesse aree di ristoro, sia sul capo 98), con la declaratoria di prescrizione del reato di intestazione fittizia nei confronti, tra gli altri, dei suddetti proposti con riferimento alle suddette societa' ed imprese. La Corte di appello ha riportato i passaggi significativi dei provvedimenti emessi in sede penale ed in particolare quelli relativi al compendio probatorio, costituito dalle captazioni, alcune delle quali oggetto dei motivi di appello in sede di prevenzione. La difesa aveva infatti contestato la lettura di tre captazioni sulle quali si basava l'assunto della interposizione fittizia, evidenziando che nessun altro elemento indiziante era stato offerto dal decreto appellato (tale non potendosi considerare la partecipazione nelle compagini sociali di componenti della famiglia (OMISSIS); proprio la presenza di costoro escludeva la ipotesi della schermatura). La Corte di appello ha rilevato come le captazioni fossero alla base anche dell'accertamento penale, cosi' confermando la lettura di quelle utilizzate in primo grado anche attraverso la valorizzazione di altre (come quella riportata a pag. 65 del decreto impugnato che confermava come (OMISSIS) fosse coinvolto dai (OMISSIS) in relazione ad altra societa', facente parte della loro holding illecita). Ha anche risposto all'altro rilievo sollevato dalla difesa in ordine alla presenza nelle societa' loro confiscate anche di soggetti della famiglia (OMISSIS), che costituiva un dato distonico alla ipotizzata schermatura: la Corte di appello ha rilevato come fosse stato acclarato in sede penale il ricorso da parte di (OMISSIS), nell'ambito del programma criminoso e secondo un seriale modus operandi, sia a membri della sua famiglia sia a soggetti estranei ma di fiducia. Quanto alla valenza della sentenza penale per il reato dichiarato prescritto, come si e' gia' avuto modo di osservare per altre posizioni, anche la' dove la prescrizione era stata dichiarata per alcuni reati di intestazione fittizia in primo grado (come per il capo 98), i giudici penali hanno effettuato un accertamento incidentale di queste condotte al fine di provare i reati associativi, dei quali i primi costituivano i reati-fine. Inoltre, la Corte di appello a pag. 66 del decreto impugnato ha affrontato le altre questioni sollevate dalla difesa con specifico riferimento alla ricostruzione economica operata dal perito e al tema rilevante delle fideiussioni. A fronte di tale complessiva motivazione, la difesa ha dedotto che la Corte di appello non avrebbe risposto alle molteplici questioni sollevate con l'appello. A parte la genericita' della censura con cui si ritiene insoddisfacente la risposta del decreto impugnato sulla sproporzione reddituale del gruppo (OMISSIS) rispetto alle "plurime questioni dedotte dalla difesa", i ricorrenti non chiariscono come le questioni, che si assumono prive di considerazione, vengano a disarticolare il ragionamento portante della Corte di appello. Invero la circostanza che i ricorrenti gestissero da epoca remota distributori di carburanti risulta assorbita dal processo dimostrativo fatto proprio dal decreto impugnato (cfr. in tal senso, Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246) ed e' anche del tutto compatibile con il "sistema" di schermatura di (OMISSIS) e con la ricostruzione delle vicende economiche del gruppo (OMISSIS) fin dal suo nascere (da pag. 566 del decreto di primo grado). Nello stesso senso si pone la circostanza della partecipazione degli esponenti del nucleo (OMISSIS) alle procedure per l'affidamento del servizio da parte delle societa' petrolifere (le captazioni sopra indicate dimostravano come i prestanomi portassero "lo stipendio" ai (OMISSIS), quindi operando nelle imprese confiscate). Quindi in definitiva deve concludersi che nessuna violazione del contraddittorio si e' verificata, essendosi la Corte di appello confrontata con le deduzioni difensive. In conclusione, i ricorsi di (OMISSIS), di (OMISSIS), di (OMISSIS) e di (OMISSIS) vanno rigettati con le conseguenze di legge in tema di spese. 25. Infondato e' complessivamente il ricorso di (OMISSIS). Il ricorrente ha subito la confisca della ditta individuale, esercente la vendita al dettaglio di carburante. Non partecipato al processo penale. 25.1. Anche in tal caso la difesa ha contestato l'utilizzazione della sentenza penale, peraltro ritenendola il frutto di un "errore" della Corte di appello, posto che il ricorrente non risulta condannato in quel giudizio per il reato di intestazione fittizia. Come si e' ampiamente gia' spiegato, non era questo il senso del richiamo da parte del decreto impugnato del giudicato penale, risultando ben chiaro che il ricorrente, al pari di altri ritenuti intestatari fittizi, non aveva partecipato a quel giudizio. Quanto alla questione della valenza del giudicato, si rinvia a quanto gia' esposto in premessa, essendosi la difesa limitata soltanto a contestare in termini generici il richiamo da parte della Corte di appello alle risultanze di un processo penale "di cui non vi e' traccia alcuna negli atti della procedura". La difesa inoltre attacca la risposta della Corte di appello in ordine alla vicenda cautelare penale (sarebbe stata travisata, con portata decisiva, la motivazione del provvedimento di restituzione degli impianti). Come si e' detto in premessa, l'archiviazione al pari dei provvedimenti cautelari penali favorevoli alla parte non vincolavano il giudice della prevenzione. La decisione, pertanto, di restituzione degli impianti, quale che ne fosse la ragione, spiegava la sua efficacia nell'ambito del procedimento incidentale (Sez. U, n. 20 del 12/10/1993, Durante, Rv. 195352). 25.2. Il secondo motivo declina un motivo inammissibile, posto che la difesa sostiene che l'oggetto della confisca sia estraneo al patrimonio del ricorrente. Si tratta di assunto che, in realta', disvelerebbe la mancanza di legittimazione (per difetto di interesse). Peraltro, oggetto della confisca, come per altre aziende similari, non sono gli impianti di distribuzione del carburante (che gia' in primo grado per alcune di esse risultavano restituiti alle societa' petrolifere) ma l'impresa individuale. 25.3. Pertanto, il ricorso va rigettato con le conseguenze di legge in tema di spese. 26. Inammissibile e' il ricorso di (OMISSIS). La ricorrente, moglie del proposto (OMISSIS), e' stata destinataria di confisca delle quote della societa' (OMISSIS), che gestiva un distributore di carburanti, e di un immobile in (OMISSIS). Ha subito anche il procedimento penale: e' stata prosciolta in primo grado per prescrizione dal reato di intestazione fittizia con riferimento alle quote della societa' (capo 98), mentre e' stata assolta in appello "perche' il fatto non costituisce reato" per analoga imputazione relativa all'immobile (capo 105). 26.1. Con il ricorso la difesa contesta in primo luogo quanto affermato dalla Corte di appello in merito al contenuto delle censure dell'appello, a suo avviso non limitate a quelle esaminate nel decreto impugnato. In particolare, sarebbe stato contestato il punto della concreta disponibilita' dell'immobile da parte di (OMISSIS). Inoltre, la ricorrente lamenta la mancanza di motivazione sulla confisca delle quote sociali e sulla correlazione temporale degli acquisti con la pericolosita' del proposto. Valgono anche per la ricorrente le medesime osservazioni fatte per gli altri ricorrenti del gruppo (OMISSIS) che hanno presentato atto di appello comune. Effettivamente dall'esame della suddetta impugnazione non risulta che la ricorrente abbia in modo specifico sottoposto alla Corte di appello tali punti del decreto appellato (l'appello si limitava all'immobile di Napoli e la censura riguardava soltanto la capienza reddituale per affrontare l'acquisto e l'impossibilita' dopo 30 anni di documentare il passaggio di danaro). Quanto al valore delle memorie, si e' gia' detto per le altre analoghe posizioni alle quale si rinvia per evitare ripetizioni. 26.2. Altra questione sottoposta nel ricorso riguarda la valenza del giudicato penale. Quanto all'annullamento senza rinvio disposto dalla Corte di cassazione delle disposte confische in sede penale dei beni, oggetto delle imputazioni di fittizia intestazione, la Corte di appello ha rilevato come la ricorrente fosse stata assolta per il capo 105) sul rilievo che, pur "pacifica... la sussistenza dell'elemento oggettivo del reato di intestazione fittizia" - invero, nemmeno contestato dalla difesa-" non erano emersi "elementi sufficienti a ritenere provato anche l'elemento soggettivo del delitto e cioe' la consapevolezza, in capo all'imputato della finalita' elusiva dell'intestazione fittizia". In tale prospettiva, ne era derivato l'annullamento delle disposizioni di confisca nei suoi confronti. Pertanto, l'esito del processo penale, in ragione del "fatto" accertato (mancanza di dolo), non era ostativo alla dimostrazione della interposizione del (OMISSIS) in sede di prevenzione. Ben poteva inoltre la' Corte di appello utilizzare, a conferma di tale interposizione quanto accertato in sede penale, con cui le deduzioni difensive non si misuravano specificamente. 26.3. Il ricorso per le ragioni sopra indicate va dichiarato inammissibile con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro tremila. 27. Infondati sono infine i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS). Le ricorrenti hanno subito la confisca delle quote della societa' (OMISSIS) (gia' (OMISSIS)) e non hanno partecipato al processo penale. 27.1. La loro comune difesa contesta l'utilizzazione nei loro confronti del giudicato penale, sotto due profili: per la violazione del contraddittorio, non avendo partecipato al relativo giudizio, e per la carenza di motivazione sui presupposti legittimanti la confisca, risultando i provvedimenti emessi in sede penale lacunosi con riferimento alle posizioni delle ricorrenti. In ordine al primo profilo, si rinvia a quanto gia' si osservato in premessa. Relativamente all'accertamento condotto in sede penale, la Corte di appello non ha fondato la confisca relativa alle ricorrenti soltanto su di esso. Ne' puo' definirsi il ragionamento seguito dalla Corte di appello per confermare la misura ablativa errato (quanto alla dimostrazione dei presupposti, nei termini gia' precisati in premessa) o apparente. Il decreto impugnato ha infatti illustrato ampiamente e con un percorso lineare gli elementi dimostrativi della riferibilita' della societa' in esame (e delle sue quote) a (OMISSIS) gia' risultanti dal decreto di primo grado, ovvero: la circostanza che la societa', che vendeva caffe', operava nei locali di proprieta' della s.a.s. (OMISSIS) (dove fino alla cessione dei locali vendeva anch'essa caffe'), pacificamente gestita indirettamente da (OMISSIS), attraverso l'intestazione fittizia delle quote alla (OMISSIS), moglie del (OMISSIS); che le due ricorrenti avevano acquistato nel settembre 2014 le quote dalla (OMISSIS) (che era la socia al 50% con (OMISSIS)); che la (OMISSIS), che aveva il minore reddito, aveva acquistato la quota piu' elevata tra le due; che prima della cessione sia (OMISSIS) sia la (OMISSIS) non avevano esercitato alcun ruolo effettivo nella societa', risultando la societa' nella disponibilita' di (OMISSIS); entrambe le ricorrenti erano del tutto estranee all'imprenditoria e men che meno al settore commerciale della societa' (non era pertanto sostenibile che all'uscita della (OMISSIS) il proposto avesse consentito l'ingresso nella societa' a soggetti estranei privi di esperienza, pur mantenendone il controllo attraverso la quota di maggioranza del (OMISSIS)). A tali elementi la Corte di appello ha aggiunto quanto accertato in sede penale, ovvero che (OMISSIS) aveva fatto largo e funzionale ricorso a prestanomi per realizzare i suoi investimenti di capitali illeciti nel settore della vendita del caffe' (la (OMISSIS) era infatti tra le societa' ritenute far parte della holding del (OMISSIS)), giungendo alla conclusione che l'uscita della (OMISSIS) dalla compagine sociale fosse stata una decisione assunta dal proposto funzionale alla necessita' di sostituire una persona oramai all'epoca compromessa dalle indagini penali avviate nei confronti del marito (OMISSIS) (l'ordinanza cautelare era emessa nell'ottobre 2013). Come si evince da tale motivazione, la Corte di appello ha valorizzato principalmente la figura della (OMISSIS) e quindi il complessivo ragionamento dimostrativo, di cui si e' gia' detto, incentrato sul ruolo di quest'ultima quale prestanome stabile (per il tramite del marito (OMISSIS)) del (OMISSIS) nelle societa' operanti nel settore della distribuzione del caffe' (quel collegamento definito dai giudici della prevenzione un sistema di "scatole cinesi", cfr. pag. 455 del decreto genetico dove si afferma che la (OMISSIS), societa' anch'essa riferita al proposto aveva ceduto un ramo di azienda nel giugno 2013 alla (OMISSIS)). A fronte di tale quadro, la Corte di appello ha ritenuto ininfluente la tesi difensiva della capacita' reddituale all'acquisto (basandosi il costrutto indiziario non su tale indice). Anche le obiezioni mosse in questa sede della mancanza di elementi dimostrativi della consapevolezza delle vicende della (OMISSIS) e del ruolo rivestito dal (OMISSIS) si rivelano aspecifiche rispetto al processo dimostrativo seguito dalla Corte di appello. P.Q.M. Dichiara inammissibili per rinuncia i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS). Dichiara inoltre inammissibili i ricorsi il (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), Classe (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), Classe (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS). Condanna tutti i predetti ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Rigetta i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), anche quale erede di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS), ricorrenti che condanna al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. ACETO Aldo - Consigliere Dott. LIBERATI Giovanni - rel. Consigliere Dott. NOVIELLO Giuseppe - Consigliere Dott. MENGONI Enrico - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso la sentenza del 23/5/2022 della Corte d'appello di Lecce; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. LIBERATI Giovanni; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa COSTANTINI Francesca, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi; udito per il ricorrente (OMISSIS) l'avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso; udito per la ricorrente (OMISSIS) l'avv. (OMISSIS), in sostituzione dell'avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 23 maggio 2022 la Corte d'appello di Lecce ha riformato la sentenza del Tribunale di Lecce del 21 febbraio 2019 dichiarando non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) per essere i reati ascrittigli estinti per morte dell'imputato, confermando nel resto la sentenza impugnata, con la quale il Tribunale di Lecce aveva dichiarato (OMISSIS) e (OMISSIS) responsabili dei reati di cui all'articolo 110 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, comma 1, lettera b) e c), e Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181 (per avere realizzato, in area sottoposta a vincolo paesaggistico e idrogeologico e in assenza di permesso di costruire e di autorizzazione paesaggistica, un fabbricato della superficie di mq. 77,48 e mc. 209,20 a uso residenziale, suddiviso da tramezzature che formavano tre ambienti composti ciascuno da una camera da letto e servizio igienico, oltre un ingresso e un corridoio, completamente rifinito, con annessa una struttura ombreggiante in legno della superficie di mq. 8,65 costituita da pilastrini in legno e fissati al balcone del primo piano; accertato in (OMISSIS)), e li aveva condannati alla pena di mesi cinque di arresto ed Euro 25.000,00 di ammenda ciascuno, disponendo per entrambi la sospensione condizionale della pena subordinatamente alla eliminazione, ad opera dei due imputati, delle conseguenze dannose dei reati, tramite demolizione delle opere abusive e rimessione in pristino dello stato dei luoghi, da eseguirsi nel termine di tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza. 2. Avverso tale sentenza gli imputati hanno presentato due distinti ricorsi per cassazione. 3. Il ricorso presentato, mediante l'Avvocato (OMISSIS), da (OMISSIS) consta di tre motivi. 3.1. Con il primo motivo ha lamentato l'inosservanza ed erronea applicazione di disposizioni di legge penale con riferimento al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articoli 29 e 44 e la manifesta illogicita' della motivazione, nella parte in cui la Corte territoriale ha affermato la penale responsabilita' dell'imputato con riferimento alle fattispecie di reato lui contestate, quale utilizzatore dell'immobile ritenuto abusivo e figlio dei proprietari dell'immobile medesimo, in assenza di prova certa della effettiva committenza da parte del ricorrente delle opere abusive; e cio' tenuto conto della circostanza che il Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 29 indica quali soggetti responsabili ai fini e per gli effetti delle disposizioni contenute nel medesimo Testo Unico soltanto il titolare del permesso di costruire, il committente, il costruttore e il direttore dei lavori. 3.2. Con il secondo motivo ha lamentato l'inosservanza ed erronea applicazione della legge penale con riferimento all'articolo 131 bis c.p. e la manifesta illogicita' della motivazione sul punto, avendo la Corte territoriale escluso l'applicabilita' della causa di non punibilita' per particolare tenuita' del fatto nonostante la condotta oggetto della imputazione avesse avuto carattere episodico e nonostante l'opera edilizia abusiva si inserisse su un fabbricato gia' regolarmente assentito e inserito a sua volta nel contesto di un centro urbanizzato densamente abitato, in conformita' allo strumento urbanistico generale. 3.3. Con il terzo motivo ha lamentato la violazione di disposizioni di legge penale in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articoli 34 e 44 e all'articolo 165 c.p. e la manifesta illogicita' della motivazione, nella parte in cui la Corte territoriale ha subordinato la sospensione condizionale della pena alla demolizione delle opere abusive entro tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza impugnata, nonostante la demolizione delle opere in oggetto, poste al primo piano, fosse pregiudizievole per la stabilita' del piano terra, la cui costruzione era avvenuta in base a legittimo permesso di costruire; e cio', in particolare, tenendo conto della circostanza che il Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 34, comma 2, prevede, nei casi in cui non si possa procedere alla demolizione se non a rischio di pregiudicare la parte regolarmente assentita, la possibilita' di applicare una sanzione pari al doppio del costo di produzione in luogo della sanzione della demolizione. 4. Il ricorso presentato, mediante l'Avvocato (OMISSIS), da (OMISSIS) consta anch'esso di tre motivi. 4.1. Con il primo motivo la ricorrente ha lamentato la violazione e falsa applicazione degli articoli 192, 533 e 535 c.p.p. e la manifesta illogicita' e contraddittorieta' della motivazione, avendo la Corte territoriale pronunciato sentenza di condanna sulla base dell'erroneo presupposto che l'imputata fosse proprietaria dell'immobile di cui si discute, e cio' nonostante dalle produzioni documentali si evincesse chiaramente che la medesima ne era in realta' solamente usufruttuaria, peraltro solo formalmente; dichiarando l'imputata penalmente responsabile dei reati alla medesima ascritti, la Corte territoriale aveva, inoltre, del tutto obliterato le dichiarazioni dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS), alla luce delle quali era stato il figlio, (OMISSIS), a interessarsi in prima persona delle opere e ad abitare l'immobile nel periodo in cui i lavori abusivi erano iniziati. La responsabilita' della ricorrente non potrebbe neppure emergere dalla circostanza che la stessa fosse a conoscenza della attivita' svolta dal figlio, configurandosi in questo caso una condotta di connivenza non punibile, tale da non assurgere neppure al livello del concorso morale. 4.2. Con il secondo motivo ha lamentato l'erronea applicazione di disposizioni di legge penale e la manifesta illogicita' della motivazione, con riferimento all'articolo 131 bis c.p.. La Corte territoriale avrebbe dedotto l'inapplicabilita' della causa di non punibilita' dalla mera ricorrenza di quei presupposti che la legge richiede perche' siano integrate le fattispecie di reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44 e di cui al Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181, e cioe', rispettivamente, l'assenza del permesso di costruire e l'assenza di autorizzazione paesaggistica, e ha sottolineato la avvenuta violazione nel caso di specie di norme giuridiche poste a tutela di due beni giuridici diversi, senza tenere conto della circostanza che la causa di non punibilita' di cui all'articolo 131 bis c.p. e' applicabile indipendentemente dalla natura del bene giuridico tutelato dalle norme violate. Neppure l'inapplicabilita' della causa di non punibilita' potrebbe desumersi dalla sussistenza nel caso di specie del concorso formale di reati, poiche' la giurisprudenza di legittimita' ha chiarito che la dichiarazione di non punibilita' per particolare tenuita' del fatto non e' preclusa dalla presenza di piu' reati legati dal vincolo del concorso formale o della continuazione, dal momento che l'istituto della continuazione non implica l'abitualita' del comportamento. La causa di non punibilita' avrebbe dovuto, quindi, trovare applicazione nel caso di specie, avendo la condotta tenuta dalla ricorrente assunto i caratteri della non gravita' e della occasionalita', ed essendo l'imputata medesima incensurata. 4.3. Con il terzo motivo ha lamentato la violazione di disposizioni di legge penale con riferimento agli articoli 132 e 133 c.p. e il vizio della motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio, oltre che l'erronea applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 31, comma 9, e degli articoli 163 e 165 c.p.. La Corte territoriale avrebbe motivato il rigetto del motivo di appello relativo alla riduzione del trattamento sanzionatorio senza tener conto degli elementi dedotti in appello, in particolare: la precarieta' dell'opera realizzata, l'assenza di pregiudizi arrecati a terzi e la personalita' della ricorrente. Quanto, invece, alla subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione del manufatto abusivo, la Corte territoriale ha confermato la pronuncia di primo grado senza tener conto della circostanza che la demolizione non potra' avvenire per iniziativa della ricorrente, priva com'e' la medesima di qualsivoglia diritto sull'immobile realizzato: tale situazione renderebbe la pronuncia della Corte d'appello sul punto del tutto illegittima e ingiusta. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso presentato da (OMISSIS) e' manifestamente infondato, mentre quello presentato da (OMISSIS) e' fondato quanto al terzo motivo. 2. Il primo motivo del ricorso proposto da (OMISSIS), avente a oggetto la violazione di disposizioni di legge penale e il vizio di motivazione, in relazione alla ritenuta responsabilita' penale dell'imputato quale utilizzatore dell'immobile, e' manifestamente infondato. La Corte d'appello ha motivato adeguatamente circa gli elementi probatori posti a fondamento della dichiarazione di penale responsabilita' del ricorrente (OMISSIS), elementi tali da escludere che il medesimo potesse essere considerato mero "utilizzatore" dell'immobile. In particolare, la Corte territoriale ha richiamato le dichiarazioni rese dai testi (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali durante l'esame testimoniale hanno riferito che l'imputato abitava nell'immobile gia' nell'ottobre 2016, in concomitanza con l'inizio dei lavori, e che il medesimo si interessava in prima persona della realizzazione dell'opera abusiva. Pertanto, poiche' in base a quanto affermato dai testi risultava provata l'attiva partecipazione dell'imputato ai fatti, la Corte territoriale ha in modo logico ritenuto di dover escludere la estraneita' ai fatti del ricorrente e, con motivazione congrua e immune da vizi logici, ha dato conto delle ragioni poste a fondamento della decisione di confermare la sentenza di condanna emessa in primo grado. A fronte di tale motivazione, con il primo motivo di ricorso l'imputato, pur denunciando formalmente la violazione di legge e il vizio di motivazione, solleva in realta' delle censure in fatto relative alla propria partecipazione alla realizzazione delle opere, proponendo una ricostruzione dei fatti alternativa a quella fatta propria dai giudici di primo e secondo grado; si tratta di profili di merito non censurabili in sede di legittimita' e su cui peraltro la Corte territoriale si e' adeguatamente pronunciata. Pertanto, il primo motivo di ricorso risulta inammissibile perche' relativo alla ricostruzione degli aspetti fattuali della vicenda, oltre che manifestamente infondato, alla luce di quanto accertato circa la partecipazione del ricorrente alla realizzazione delle opere abusive. 3. Il secondo motivo del ricorso (OMISSIS), avente ad oggetto la erronea applicazione della legge penale e la manifesta illogicita' della motivazione in relazione alla mancata applicazione all'imputato della causa di non punibilita' per particolare tenuita' del fatto di cui all'articolo 131 bis c.p., e' manifestamente infondato. Il ricorrente riproduce con il presente motivo censure gia' sollevate in sede di appello e adeguatamente disattese dalla Corte territoriale. Quest'ultima, in particolare, con motivazione congrua ed immune da vizi logici, ha motivato la decisione di escludere l'applicabilita' della causa di non punibilita' ponendo l'accento sulla oggettiva consistenza dell'intervento abusivo, nonche' sulla circostanza che gli imputati con la propria condotta illecita hanno violato norme di legge poste a tutela di due differenti beni giuridici, quali il territorio e il paesaggio. Il ricorrente mostra di non confrontarsi con il contenuto della motivazione e richiama elementi di fatto in parte gia' valutati dalla Corte d'appello ed in parte del tutto irrilevanti nell'ottica di escludere la ritenuta gravita' dell'illecito, quale la circostanza che il manufatto abusivo accede a un'opera legittimamente costruita. Per queste ragioni, il secondo motivo di ricorso risulta privo della necessaria specificita', ossia del prescritto confronto critico con le ragioni poste a fondamento della decisione censurata, di contenuto non consentito nel giudizio di legittimita' e, comunque, manifestamente infondato. 4. Il terzo motivo del ricorso (OMISSIS), avente a oggetto la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla subordinazione della sospensione condizionale della pena alla eliminazione delle opere abusive, e' manifestamente infondato perche' generico. Come affermato dalla Corte territoriale, la circostanza che la stabilita' del piano terra dell'immobile sarebbe pregiudicata dalla demolizione del piano superiore abusivamente realizzato non e' stata provata dalla difesa in sede di merito, e alcuna indicazione aggiuntiva sul punto risulta dal ricorso per cassazione. Peraltro, in base a un consolidato orientamento di legittimita', la disciplina prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 34, comma 2, avente a oggetto la procedura di cosiddetta "fiscalizzazione dell'illecito edilizio" trova applicazione, in via esclusiva, per gli interventi eseguiti in parziale difformita' dal permesso di costruire, nel caso in cui la demolizione non possa avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformita' al titolo abilitativo (Sez. 3, n. 28747 del 11/05/2018, Pellegrino Rv. 273291; Sez. 3, n. 24661 del 15/04/2009, Ostuni, Rv. 244021). Si tratta di una situazione di fatto differente rispetto a quella che viene in rilievo nel caso di specie, in cui l'opera abusiva al primo piano e' stata realizzata in totale assenza del permesso di costruire e della autorizzazione paesaggistica, con la conseguente manifesta infondatezza dei rilievi sollevati sul punto con il terzo motivo di ricorso. 5. Il primo motivo del ricorso proposto da (OMISSIS), avente a oggetto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla affermata responsabilita' penale dell'imputata nonostante la medesima fosse usufruttuaria, e non proprietaria, dell'immobile oggetto dell'intervento abusivo e' manifestamente infondato. La difesa fonda il motivo di ricorso sull'erroneo presupposto che la ricorrente, in quanto usufruttuaria dell'immobile, debba essere ritenuta estranea ai fatti di reato alla medesima ascritti in concorso con il figlio o, al piu', mera connivente non punibile. Tuttavia, se e' vero che, in tema di reati edilizi, la mera qualifica di usufruttuario dell'immobile abusivamente realizzato non e' sufficiente ai fini dell'affermazione della responsabilita' penale per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44 (cfr. Sez. 3, n. 45072 del 24/10/2008, Lavanco, Rv. 241789; Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, dep. 2019, Carillo, Rv. 275509; Sez. 3, n. 25546 del 14/03/2019, Pinto, Rv. 275564), e' anche vero che nel caso di specie ricorrono diversi elementi concreti tali da integrare quel "quid pluris" richiesto dalla medesima giurisprudenza di legittimita' richiamata perche' all'usufruttuario possa essere attribuita la qualifica di compartecipe nella commissione del reato. Sul punto, in particolare, la Corte d'appello ha richiamato la sussistenza del rapporto di parentela con (OMISSIS), l'avere la ricorrente messo a disposizione del figlio il terreno per l'esecuzione delle opere, oltre che la ritenuta consapevolezza in capo alla donna del carattere abusivo dell'immobile realizzato, consapevolezza desumibile dal comportamento tenuto dalla (OMISSIS) dopo che i lavori erano stati completati e consistito nel donare al figlio l'usufrutto dell'immobile. Peraltro, in quanto usufruttuaria dell'immobile al momento dei lavori, la (OMISSIS) aveva a quel tempo la piena disponibilita' giuridica del medesimo. Pertanto, poiche' la Corte territoriale ha compiutamente motivato circa gli elementi dai quali desumere il coinvolgimento dell'imputata nella realizzazione delle opere, e non essendosi la ricorrente confrontata sul punto con la motivazione resa dalla Corte d'appello, il primo motivo di ricorso risulta inammissibile, a causa della sua genericita' e della sua manifesta infondatezza. 6. Il secondo motivo del ricorso (OMISSIS), avente a oggetto la erronea applicazione della legge penale e la manifesta illogicita' della motivazione in relazione alla mancata applicazione all'imputata della causa di non punibilita' per particolare tenuita' del fatto di cui all'articolo 131 bis c.p., e' manifestamente infondato. La Corte territoriale ha motivato il rigetto del motivo di appello relativo alla mancata applicazione di detta causa di non punibilita' sulla base della circostanza che il fatto oggetto di imputazione non e' da ritenersi tenue, e cio' alla luce della oggettiva consistenza dell'intervento abusivo e della sua gravita' - desumibile dalla applicazione di pena superiore al minimo edittale -. Peraltro, con sindacato avente ad oggetto una valutazione di merito - e, dunque, non censurabile in questa sede -, la Corte territoriale ha sottolineato la circostanza che, con la loro attivita' illecita, gli imputati hanno concorso a violare norme di legge poste a tutela di due differenti beni giuridici - il territorio e il paesaggio -, edificando in area sottoposta a vincolo idrogeologico. Si tratta di valutazione di merito che, in quanto non manifestamente illogica e fondata sulle risultanze probatorie richiamate dalla Corte d'appello, non e' censurabile in sede di legittimita'. 7. Il terzo motivo del ricorso (OMISSIS), avente ad oggetto la violazione di legge e il vizio di motivazione in punto di quantificazione del trattamento sanzionatorio, e' parzialmente fondato nella parte relativa alla illegittimita' della subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione del manufatto abusivo. Quanto alla mancata riduzione della sanzione inflitta in primo grado e confermata in sede di appello, il motivo e' manifestamente fondato. Sul punto la ricorrente richiama elementi di giudizio gia' indicati in appello e adeguatamente vagliati dalla Corte territoriale, la quale ha sottolineato la circostanza che l'intervento abusivo ha avuto non modesta consistenza, che dalla condotta cui la imputata ha preso parte e' scaturita la violazione di norme giuridiche poste a tutela di due beni giuridici diversi, e che il manufatto e' stato realizzato in assenza del permesso di costruire e in zona sottoposta a vincolo paesaggistico-ambientale; circostanze queste che hanno ragionevolmente indotto il giudice di appello a escludere la invocata riduzione della pena inflitta alla imputata. Il terzo motivo di ricorso e', invece, fondato quanto alla subordinazione della sospensione condizionale della pena alla eliminazione dell'opera abusiva e alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi. Preliminarmente, va in questa sede ricordato che la giurisprudenza di legittimita' riconosce ormai pacificamente, in tema di disciplina urbanistica, la legittimita' della subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione delle opere abusive, alla luce della circostanza che tale ordine ha la funzione di eliminare le conseguenze dannose del reato, rappresentate dalla presenza sul territorio di un manufatto abusivo (Sez. 3, n. 3685 del 11/12/2013, Rv. 258517; Sez. 3, n. 28356 del 21/05/2013, Rv. 255466; Sez. 3, n. 38071 del 19/09/2007, Rv. 237825; Sez. 3, n. 4086 del 17/12/1999, Rv. 216444). Analoghi principi sono stati affermati quanto alla subordinazione della sospensione condizionale della pena alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi, atteso che la non autorizzata immutazione dello stato dei luoghi, in zona sottoposta a vincolo, puo' comportare conseguenze dannose o pericolose e che la sanzione specifica della rimessione in pristino ha una funzione direttamente ripristinatoria del bene offeso (Sez. 3, n. 48984 del 21/10/2014, Rv. 261164; Sez. 3, n. 38739 del 28/05/2004, Rv. 229612). Tali principi, tuttavia, riguardano il proprietario o comunque colui che materialmente dispone ha eseguito le opere e ne dispone e che per queste ragioni puo' provvedere all'adempimento della condizione apposta al beneficio; per gli altri soggetti, pur se coinvolti nella realizzazione dell'opera abusiva, la possibilita' di adempiere sarebbe subordinata alla volonta' del proprietario. La Corte di cassazione ha in piu' occasioni rilevato che la subordinazione della sospensione condizionale della pena all'ordine di demolizione, sebbene in se' legittima, richiede tuttavia la condizione che l'eliminazione delle opere abusive sia esigibile da parte del condannato, ovvero che questi abbia la disponibilita' giuridica del bene da demolire (Sez. 3, n. 41051 del 15/09/2015, Fantaccini, Rv. 264976; Sez. 3, n. 42566 del 07/06/2019, Mirabassi, non mass.). La giurisprudenza di legittimita' ha, infatti, precisato in altra occasione che, in tema di reati edilizi, il giudice, nel disporre la condanna dell'esecutore dei lavori e/o del direttore dei lavori per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, non puo' subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena alla effettiva eliminazione delle opere abusive, in quanto solo il proprietario, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 31, puo' ritenersi soggetto passivamente legittimato rispetto all'ordine di demolizione (Sez. 3, n. 17991 de 21/01/2014, Ciccone, Rv. 261497; Sez. 3, n. 41051 del 15/09/2015, Fantaccini, Rv. 264976, cit.). Nel caso di specie, pertanto, se la decisione di subordinare la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione dell'opera abusiva e alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi risulta corretta nei confronti di (OMISSIS), in quanto soggetto avente la disponibilita' giuridica e di fatto dell'immobile realizzato, lo stesso non puo' dirsi per la ricorrente (OMISSIS), che risulta a oggi priva di qualsiasi diritto sull'immobile e pertanto impossibilitata a intervenire per la sua demolizione, oltre che per la rimessione in pristino dello stato dei luoghi. Per queste ragioni, la doglianza sollevata sul punto risulta fondata. 8. La parziale fondatezza dell'ultimo motivo del ricorso (OMISSIS) impone di rilevare che e' frattanto decorso il termine massimo di prescrizione di entrambi i reati alla medesima ascritti - di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, comma 1, lettera b) e c), e Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181 -, essendo decorso detto termine (pari a cinque anni), tenendo conto delle sospensioni dello stesso intervenute nel corso del processo, alla data del 12 ottobre 2022. Ne consegue che, quanto alla posizione della (OMISSIS), la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perche' i reati ascrittile sono estinti per prescrizione. Da cio' consegue la revoca dell'ordine di demolizione e di rimessione in pristino disposto nei suoi confronti, fermo restando detto ordine nei confronti del coimputato (OMISSIS), il cui ricorso deve, invece, essere dichiarato inammissibile, stante la manifesta infondatezza di tutti i motivi ai quali lo stesso e' stato affidato. L'inammissibilita' originaria del ricorso (OMISSIS) esclude il rilievo della eventuale prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza di secondo grado, giacche' detta inammissibilita' impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale di impugnazione innanzi al giudice di legittimita', e preclude l'apprezzamento di una eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266; conformi, Sez. un., 2/3/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164, e Sez. un., 28/2/2008, n. 19601, Niccoli, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del 20/11/2014, Rasizzi Scalora, Rv. 261616; nonche' Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 14/02/2017, Aiello, Rv. 268966). Alla declaratoria di inammissibilita' del ricorso (OMISSIS) consegue, ex articolo 616 c.p.p., l'onere per lo stesso delle spese del procedimento, nonche' del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 3.000,00. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) perche' i reati sono estinti per prescrizione. Revoca l'ordine di demolizione e rimessione in pristino nei confronti di (OMISSIS). Dichiara inammissibile il ricorso di (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VERGA Giovanna - Presidente Dott. BORSELLINO Maria Daniela - Consigliere Dott. COSCIONI Giuseppe - rel. Consigliere Dott. DI PISA Fabio - Consigliere Dott. RECCHIONE Sandra - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 26/04/2022 della CORTE APPELLO di MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE COSCIONI; udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale BALDI FULVIO, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso; udito il difensore del ricorrente, Avv. (OMISSIS), il quale ha insistito per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Milano con sentenza, del 26 Aprile 2022, rideterminava la pena alla quale (OMISSIS) era stato condannato per il reato di circonvenzione di incapace: secondo il capo di imputazione, (OMISSIS), abusando dello stato di infermita' e deficienza psichica di (OMISSIS), la induceva a compiere un atto avente un effetto giuridico per lei dannoso, facendole firmare, in data 19 settembre 2015 presso la RSA ove la stessa era ricoverata, un atto pubblico di donazione con la quale la (OMISSIS) donava a (OMISSIS) la nuda proprieta' di un immobile sito a (OMISSIS) riservando l'usufrutto. 1.1 Avverso la sentenza propone ricorso il difensore di (OMISSIS), eccependo l'erronea applicazione della legge penale ex articolo 606 c.p.p., lettera b) riguardo all'articolo 192 c.p.p., articolo 546 c.p.p., comma 1), lettera e), il travisamento della prova e delle dichiarazioni rese dal perito nel corso dell'incidente probatorio e la conseguente manifesta contraddittorieta' della motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera e) in relazione alla sussistenza dello stato di deficienza psichica, nonche' omessa motivazione in relazione al deficit mnemonico della persona offesa (OMISSIS) e alla sovrascrittura del ricordo tutti in relazione all'articolo 606 c.p.p., lettera e); osserva che nell'atto di appello era stato contestato che il giudice di primo grado aveva omesso di considerare la perizia e le dichiarazioni del perito rese durante l'incidente probatorio, nonche' le dichiarazioni del consulente tecnico della difesa (OMISSIS) nell'accertamento dello stato di deficienza psichica della (OMISSIS); in particolare, si era evidenziato che il Tribunale si era discostato dal parere tecnico del perito senza ascoltare il perito in udienza e senza nominare un altro perito con cio' violando l'articolo 192 c.p.p., e articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e); analoga violazione era stata posta dal giudice di secondo grado. Il difensore rileva inoltre che i testi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano dichiarato che (OMISSIS), amico di lunga data della (OMISSIS) ed esecutore testamentario, dopo aver scoperto della avvenuta donazione, aveva rappresentato alla (OMISSIS) e ai parenti della medesima la vicenda come un raggiro posto in essere dall'imputato: proprio la reiterazione della narrazione dell'evento nei termini di frode perpetrata dal (OMISSIS) era, secondo il parere scientifico del dottor (OMISSIS), la causa della creazione di un falso ricordo in capo alla (OMISSIS); la Corte di appello aveva inoltre travisato il contenuto della documentazione medica e del diario clinico della RSA sulle condizioni di salute della (OMISSIS), formulando un giudizio in manifesta contraddizione con le conclusioni del perito. 1.2 Il difensore lamenta la violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) in relazione all'aggravante di cui all'articolo 61 c.p., n. 5, nonche' manifesta contraddittorieta' della motivazione in relazione all'articolo 606 c.p.p., lettera e) con riferimento alle circostanze di luogo della donazione, manifesta contraddittorieta' della ricostruzione della stipula per travisamento delle dichiarazioni dei testi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e del certificato medico del Dott. (OMISSIS). 1.3 Il difensore eccepisce la mancanza, contraddittorieta' ed illogicita' della motivazione e omessa motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera e) in relazione al momento della consumazione del reato contestato: poiche' le formalita' proprie di un atto di donazione e il tempo necessario per redigere l'atto rendono inverosimile che la circonvenzione fosse avvenuta il (OMISSIS); attesa la necessita' di una lunga partecipazione consapevole della donante, (OMISSIS) avrebbe quindi dovuto agire prima, ma le sue visite prima dell'atto erano state tre o al massimo quattro, tutte di breve durata, per cui appariva illogico ritenere che eventuali pressioni avessero indotto la (OMISSIS), persona dal carattere forte e autoritaria, a decidere di donare l'immobile di (OMISSIS). 1.4 Il difensore lamenta l'erronea applicazione dell'aggravante ex articolo 61 c.p., n. 11 in relazione all'articolo 606 c.p.p., lettera b), nonche' omessa motivazione e manifesta contraddittorieta' della motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera e) in relazione ai rapporti personali tra (OMISSIS) e la (OMISSIS): la disposizione testamentaria secondo la quale (OMISSIS) avrebbe avuto un diritto di prelazione sulla vendita della casa di (OMISSIS) era la prova del desiderio della (OMISSIS) che l'immobile venisse in possesso di (OMISSIS). CONSIDERATO IN DIRITTO 1.Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. 1.1 Il primo motivo di ricorso non considera che i giudici di merito hanno esaminato le conclusioni del perito, ricavando lo stato di circonvenibilita' della persona offesa (OMISSIS) sia da quanto dallo stesso affermato, ma soprattutto da numerosi altri elementi: "nel corso delle diverse ospedalizzazioni e ricoveri della persona offesa, tra il 3 maggio 2015 e il 9 Marzo 2016, e' stata attestata una sindrome ansioso depressiva con terapia farmacologica ed un profilo cognitivo deficitario, caratterizzato da gravi e patologiche funzioni mnesiche e disorientamento spazio temporale, nonche' un labile compenso psichico con frequenti attacchi di ansia con somatizzazione (relazione clinica di dimissione del 15 maggio 2015)....la (OMISSIS) e' anche definita come una paziente agitata poco collaborante a tratti delirante, non orientata spazio temporalmente (Relazione del Policlinico reparto Pneumologia tra il 7.6.2015 e il 15.6.2015); nella Cartella psicologica del 18.6.2015 e' annotato che la paziente affetta da decadimento cognitivo su base vascolare cronica che la porta ad essere disorientata...il 30.1.2016 la Dott.ssa (OMISSIS)...dichiara nella sua relazione che la paziente e' affetta da un decadimento cognitivo in cerebrovasculopatia cronica, sindrome ansioso-depressiva con attacchi di panico, confusione mentale e disorientamento spazio-temporale..." (pag. 12 sentenza impugnata); coerentemente con le risultanze processuali, la Corte di appello ha quindi concluso che gia' da tempo precedente l'atto di donazione la persona offesa (OMISSIS) fosse affetta da un deficit cognitivo, valutando anche le affermazioni del perito (OMISSIS) a pag.13 della sentenza; in sostanza, pertanto, il motivo di ricorso chiede una mera rivalutazione del compendio probatorio, non consentita in questa sede, stante la preclusione, per il giudice di legittimita', di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimita', quale e' quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Cass., sez. VI, 22/01/2014, n. 10289). Inoltre, si ricorda come secondo l'orientamento di questa Corte allorche' con il ricorso per cassazione si lamenti l'inutilizzabilita' di un elemento a carico, il motivo di ricorso deve illustrare, a pena di inammissibilita', l'incidenza dell'eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta "prova di resistenza", essendo in ogni caso necessario valutare se le residue risultanze, nonostante l'espunzione di quella inutilizzabile, risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento (Sez. 6, n. 18764 del 05/02/2014, Rv. 259452); l'applicazione del suddetto principio al caso in esame comporta proprio l'inammissibilita' del primo motivo di ricorso posto che la prova di cui il ricorrente lamenta l'inutilizzabilita' non ha avuto incidenza determinante nel giudizio di colpevolezza affermato concordemente dai giudici di merito sulla base di quanto sopra riportato. 1.2 Relativamente alla contestazione dell'aggravante di cui all'articolo 61 c.p., n. 5, e' noto che le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che ai fini dell'integrazione della circostanza aggravante della minorata difesa, prevista dall'articolo 61 c.p., comma 1, n. 5, le circostanze di tempo, di luogo o di persona, di cui l'agente abbia profittato, devono tradursi, in concreto, in una particolare situazione di vulnerabilita' del soggetto passivo del reato (Sez.U., 40275 del 15/07/2021, Cardellini, Rv. 282095 - 02): nel caso in esame la Corte di appello ha ritenuto sussistenti tali circostanze nel fatto che il delitto e' stato commesso presso la RSA dove la persona offesa era ricoverata, di sabato mattina e quindi con presenza di personale ridotto ed in assenza di controllo del personale sanitario e prima dell'arrivo della badante, per cui la persona offesa era stata del tutto isolata da qualsiasi interferenza esterna o aiuto da parte del personale: su tutti questi aspetti il motivo di ricorso propone inammissibili valutazioni di merito, pretendendo di sovrapporle a quelle della Corte di appello. 1.3 Analogamente, con riferimento alle censure del terzo motivo di ricorso, se ne deve rilevare la natura meramente fattuale, in quanto con esse il ricorrente propone una mera rivalutazione del compendio probatorio, non consentita in questa sede, stante la preclusione, per il giudice di legittimita', di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimita', quale e' quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Cass., sez. VI, 22/01/2014, n. 10289). 1.4 Quanto, infine, alla sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 61 c.p., n. 11, vi e' congrua motivazione nelle pagine 14 e 15 della sentenza impugnata; si deve comunque rilevare che "e' inammissibile, per carenza di interesse, l'impugnazione dell'imputato preordinata ad ottenere l'esclusione di una circostanza aggravante quando la stessa sia stata gia' ritenuta subvalente rispetto alle riconosciute attenuanti" (Sez.5, n.. 28848 del 21/09/2020, D'Alessandro, Rv. 279599); poiche' nel caso in esame, le aggravanti sono state ritenute subvalenti rispetto alle attenuanti generiche, il ricorrente non ha interesse all'impugnazione sul punto. 2. Ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonche' - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' - al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 3.000,00 cosi' equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BONI Monica - Presidente Dott. FIORDALISI Domenico - Consigliere Dott. DI GIURO Gaetano - rel. Consigliere Dott. MAGI Raffaello - Consigliere Dott. ALIFFI Francesco - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso il decreto del 15/03/2022 della CORTE APPELLO di BOLOGNA; udita la relazione svolta dal Consigliere DI GIURO GAETANO; lette le conclusioni del PG. Letta la requisitoria del Dott. Giorgio Lidia, Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, con cui e' stata chiesta la declaratoria di inammissibilita' dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Bologna, nel procedimento di prevenzione a carico di (OMISSIS), confermava il decreto del Tribunale di Bologna, Sezione Misure di Prevenzione, col quale era stata disposta, per quanto di interesse in questa sede, la confisca, ai sensi del Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, di beni immobili - di cui due unita' immobiliari site nel comune di Lodi e intestate per meta' a (OMISSIS) e per meta' a (OMISSIS), e tre unita' intestate a (OMISSIS) (con usufrutto su due a favore di (OMISSIS)) -, conti correnti, depositi postali e cassetta di sicurezza, quali beni di proprieta' (e/o comproprieta') del suddetto o, comunque, ritenuti riconducibili al medesimo e alla sua dedizione a delitti produttivi di profitti illeciti, in ragione della sproporzione tra il valore di tali beni nella disponibilita' del medesimo, anche tramite terzi, e i proventi delle attivita' lecite svolte. Rigettava, quindi, sempre per quanto di interesse, gli appelli di (OMISSIS) e (OMISSIS) (gia' (OMISSIS)). 2. Avverso il decreto della suddetta Corte di appello ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, (OMISSIS), deducendo vizio di motivazione. Si duole la difesa che i Giudici della prevenzione abbiano trascurato le disponibilita' economiche della donna, moglie di (OMISSIS) ma gia' sposata con un cittadino italiano abbiente prima di intraprendere nel 2014 la relazione col proposto, proprietaria di un bene immobile nella sua patria nati/a (Russia) in relazione al quale risulta avere percepito canoni locatizi e, infine, vincitrice di somme di denaro pari a 70.000 Euro tramite scommesse lecite; e, quindi, la totale riconducibilita' alla stessa di quanto confiscato in suo danno. Insiste, pertanto, per l'annullamento del decreto oggetto di impugnazione. 3. Ha proposto, altresi', ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, (OMISSIS). 3.1. Col primo motivo deduce violazione dell'articolo 24 del summenzionato decreto legislativo per mancanza del requisito della disponibilita' del bene in capo al proposto. Lamenta la difesa che i Giudici della prevenzione nel caso della (OMISSIS) non esplicitano le ragioni della ritenuta interposizione fittizia e/o disponibilita' in capo al proposto. E cio' a fronte di una pronuncia passata in giudicato, prodotta dalla ricorrente, del Tribunale civile di Lodi, che, chiamato a pronunciarsi sullo scioglimento della comunione legale degli unici 13:13 beni intestati per la meta' a (OMISSIS) e per la meta' a (OMISSIS), risulta averli assegnati alla prima, giustificando la sua decisione sul presupposto, incontestato, che (OMISSIS) "non ha mai vissuto stabilmente nell'immobile oggetto di divisione avendo mantenuto il proprio domicilio a (OMISSIS), luogo in cui avrebbe scontato gli arresti domiciliari a partire dal 2009" e che "pertanto la signora (OMISSIS) e' l'unica ad avere goduto dell'immobile e ad essersi occupata dalla gestione dello stesso". Rileva la difesa che l'azione civile risale al 2013 e quindi a molto tempo prima dell'avvio della misura di prevenzione (che risale al 2019) e che tale pronuncia attesta con efficacia di giudicato la disponibilita' delle unita' immobiliari, costituite da un appartamento e un box, in capo alla ricorrente, in relazione alla quale non opera altresi' alcuna presunzione legale, non essendo familiare diretto o convivente del proposto. 3.2. Con il secondo motivo di impugnazione viene denunciata violazione dell'articolo 52 del summenzionato decreto legislativo con specifico riferimento al requisito della buona fede del terzo. Si rileva che nel caso in esame sicuramente la titolarita' del bene ha data certa anteriore all'insorgere della misura (l'acquisto e' del 2007 mentre la proposta di misura preventiva e' del 2019) e che la motivazione della Corte di appello(secondo cui la donna, ricevendo in prestito la somma per l'acquisto della sua parte delle unita' immobiliari da (OMISSIS)(); non sarebbe in buona fede, non potendo ignorare che il proposto fosse dedito alla commissione di delitti produttivi di illeciti profitti, non approfondisce il rapporto tra i due, limitandosi a definirlo, in modo estremamente vago e generico, "non superficiale", e a parlare di non meglio precisati controlli a cui la donna sarebbe stata sottoposta unitamente a (OMISSIS), nel 2007, nel 2009 e nel 2010, quando invero l'acquisto si sarebbe concretizzato nel 2007. 3.3. Col terzo motivo di ricorso si rileva violazione dell'articolo 42 Cost., con specifico riguardo all'ablazione dell'intero bene. La Corte di appello, secondo la difesa, erra nel confermare la confisca dell'intero compendio patrimoniale cointestato tra il proposto e la ricorrente anziche' della sola quota di pertinenza formale del primo, che non ha mai messo in discussione di avere ricevuto da (OMISSIS) la meta' dell'importo utilizzato per il pagamento dell'immobile di Lodi (profilo per il quale si e' formato il giudicato civile). Rileva, invero, il difensore che la confisca di un bene non puo' pregiudicare il diritto del terzo che sia estraneo alle vicende relative alla pericolosita' del cointestatario e che, pertanto, la titolarita' formale del 50% in capo alla ricorrente andava salvaguardata attraverso l'apprensione della sola quota formalmente intestata a (OMISSIS). Il difensore insiste, pertanto, per l'annullamento del decreto impugnato. 4. La difesa di (OMISSIS) ha presentato memoria con la quale insiste per l'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Va premesso che l'assetto normativo in tema di sindacabilita' della motivazione dei provvedimenti emessi in materia di misure di prevenzione - personali e patrimoniali - e' rimasto ancorato al profilo della "assenza" di motivazione, posto che il Giudice delle leggi ha dichiarato la infondatezza (sentenza numero 106 del 15 aprile 2015) della questione di legittimita' costituzionale che era stata sollevata - sul tema - dalla V Sezione Penale di questa Corte di legittimita' in data 22 luglio 2014. Resta fermo, pertanto, il criterio regolatore secondo cui il ricorso per cassazione in tema di decisioni emesse in sede di prevenzione non ricomprende - in modo specifico - il vizio di motivazione (nel senso della illogicita' manifesta e della contraddittorieta'), ma la sola violazione di legge (L. n. 1423 del 1956, articolo 4, comma 11, Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 10, comma 3). Da cio', per costante orientamento di questa Corte, deriva che e' sindacabile la sola "mancanza" del percorso giustificativo della decisione, nel senso di redazione di un testo del tutto privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicita' (motivazione apparente) o di un testo del tutto inidoneo a far comprendere l'itinerario logico seguito dal giudice (tra le altre, Sez. I, 26.2.2009, Rv. 242887). 2. Nel caso in esame puo' parlarsi di apparenza motivazionale, nel senso appena specificato, solo con riguardo alla confisca in danno di (OMISSIS) (gia' (OMISSIS)). Il decreto impugnato, invero, in relazione a tale posizione sottolinea come: - faccia difetto alcuna evidenza tracciabile circa l'esistenza di flussi di reddito apprezzabili e leciti; - costituisca circostanza non controversa il fatto che la donna abbia accettato l'aiuto economico di (OMISSIS) per fare luogo all'acquisto immobiliare sopra indicato; - la donna abbia avuto un rapporto di frequentazione protratto nel tempo e quantomeno non superficiale, per essere stata sottoposta a controlli di P.g. col medesimo nel 2007, 2009 e 2010 e per essere stata dall'1 dicembre 2008 al 29 settembre 2011 contitolare con (OMISSIS) di un conto corrente presso le Poste di Lodi; - la circostanza che il proposto abbia richiesto la restituzione del denaro mutuato alla donna per l'acquisto della di lei quota di immobile riscontri la provenienza del denaro; - la frequentazione tra i due nel periodo in cui (OMISSIS) era sistematicamente dedito allo spaccio di stupefacenti e certamente privo di qualsivoglia lecita e continuativa fonte di reddito osti a ritenere la di lei buona fede circa la provenienza del denaro, non avendo la suddetta neppure negato che il denaro provenisse da (OMISSIS), contro il quale pendeva un contenzioso civile presso il Tribunale di Lodi. Tali argomentazioni, invero, incorrono nell'assenza o apparenza motivazionale. Laddove fanno leva su un rapporto definito "non superficiale", senza alcuna ulteriore specificazione, a far tempo dal 2007 in poi e trascurano che l'acquisto delle due unita' immobiliari cointestate con (OMISSIS) avvenne il 30 gennaio 2007, prima della protratta frequentazione quale documentata dai summenzionati controlli e ben prima della proposta dell'applicazione della misura preventiva (per cui neppure operano le presunzioni relative di interposizione fittizia di cui all'articolo 26, comma 2, del summenzionato decreto). Ovvero laddove nondimeno escludono la buona fede della (OMISSIS) nel ricevere la somma in prestito per l'acquisto della sua quota dal proposto. Ovvero laddove, inoltre, non spiegano per quale motivo non limitano la confisca alla sola quota del proposto e danno per pendente un contenzioso civile dinanzi al Tribunale di Lodi. A fronte, invece, di una sentenza esecutiva, quale quella allegata dal difensore al ricorso (nel rispetto del principio di autosufficienza'), che decidendo a seguito di azione esperita da (OMISSIS), sullo scioglimento della comunione ordinaria avente ad oggetto le suddette unita' immobiliari, le assegna in proprieta' esclusiva alla ricorrente, sulla base della loro esclusiva disponibilita' da parte della stessa sin dall'acquisto, imponendole di pagare a (OMISSIS) a titolo di conguaglio una somma pari a 44.000 Euro (e non invece all'intero importo). Il decreto impugnato va, conseguentemente, annullato in relazione a tale confisca con rinvio alla Corte di appello di Bologna per nuovo giudizio, da svolgersi in diversa composizione. 3. E', invece, inammissibile il ricorso di (OMISSIS). Il decreto, invero, osservai quanto all'allegazione da parte della ricorrente del conseguimento di lecita provvista sotto la specie a) di corrispettivo per le attivita' di accompagnamento di turisti Russi in Italia, b) di retribuzione percepita quale impiegata presso (OMISSIS), c) di gestione del negozio di abbigliamento (OMISSIS), come tali voci siano meramente allegate, rimanendo assolutamente indimostrate nel loro ammontare, che peraltro non equivarrebbe al rilevante valore del compendio colpito. Aggiunge, invece, con riguardo all'allegazione sotto la specie di vincite al gioco e scommesse, come la produzione documentale riscontri vincite al gioco e alle scommesse senza indicazione alcuna dell'identita' del soggetto vincitore e come costituisca nozione di comune esperienza che l'alea insita nel gioco e nelle scommesse comporti una perdita di denaro per un importo superiore alla vincita, di talche' tale allegazione appare irragionevole. Conclude nel senso che tali flussi di denaro evidenziano una chiara insufficienza patrimoniale, sotto la specie dei mezzi propri, in capo alla (OMISSIS), la quale beneficiava di erogazioni di denaro da parte del marito (OMISSIS); e che neppure viene giustificata la provenienza dei gioielli custoditi nella cassetta di sicurezza. Orbene, in tema di misure di prevenzione patrimoniali l'onere di allegazione difensiva in ordine alla legittima provenienza dei beni non puo' essere soddisfatto con la mera indicazione della esistenza di una provvista sufficiente per concludere il negozio di acquisto degli stessi, dovendo, invece, essere indicati gli elementi fattuali dai quali il giudice possa dedurre che il bene non sia stato acquistato con i proventi di attivita' illecita, ovvero ricorrendo ad esborsi non sproporzionati rispetto alla capacita' reddituale del proposto (Sez. 6, Sentenza n. 31751 del 09/06/2015, PG in proc. Catalano, Rv. 264461). Per i terzi intestatari operano, inoltre, presunzioni di interposizione fondate, per quanto attiene ai familiari ed al coniuge, sulla massima di comune esperienza della comunanza di interessi patrimoniali e di redditi nell'ambito dell'unita' familiare entro cui si colloca la persona socialmente pericolosa, -e, per quanto attiene al terzo estraneo all'ambito familiare, sull'accertamento di cui al Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, articolo 26 (Sez. 1, n. 12629 del 16/01/2019, PG in proc. Macri', Rv. 274988). Nel caso in esame, in cui la terza intestataria e' la moglie del proposto, corrette giuridicamente, anzi conformi a detta giurisprudenza di legittimita', risultano le argomentazioni della Corte di appello, che non evidenziano alcuna apparenza/assenza motivazionale. Di contro il difensore, si limita a contestare l'iter argomentativo del decreto impugnato, del tutto conforme ai parametri fissati dalla costante giurisprudenza di questa Corte nella materia in esame, e ad insistere sulle proprie allegazioni, relative anche ad un appartamento di proprieta' in Russia, incorrendo in relazione a quest'ultimo profilo nella genericita' e non autosufficienza del motivo. 4. Alla declaratoria di inammissibilita' del ricorso di (OMISSIS) segue la condanna della suddetta al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro tremila, alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000. P.Q.M. Annulla il decreto impugnato nei confronti di (OMISSIS) con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Bologna. Dichiara inammissibile il ricorso di (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VERGA Giovanna - Presidente Dott. AGOSTINACCHIO Luigi - Consigliere Dott. NICASTRO Giusep - rel. Consigliere Dott. RECCHIONE Sandra - Consigliere Dott. CERSOSIMO Emanuele - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 14/06/2022 del Tribunale di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NICASTRO GIUSEPPE; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale COSTANTINI FRANCESCA, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile; udito l'avv. Maiello Vincenzo, in difesa di (OMISSIS), il quale, dopo dibattimento, ha insistito per l'accoglimento dei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 14/06/2022, il Tribunale di Napoli rigettava la richiesta di riesame proposta, quale terzo interessato, da (OMISSIS) contro il decreto di sequestro preventivo - emesso, ai sensi dell'articolo 321 c.p.p. e articolo 240-bis c.p., il 30/04/2022 dal G.i.p. del Tribunale di Napoli - del 50% della nuda proprieta' di due appartamenti e di un box auto in Napoli a lei intestata nonche' delle somme presenti su un conto corrente pure a lei intestato, confermando l'impugnato decreto di sequestro. Il sequestro preventivo era stato disposto dal G.i.p. nell'ambito di un procedimento penale a carico, tra gli altri, di (OMISSIS), padre della ricorrente (OMISSIS), per i reati di impiego di denaro di provenienza illecita e di autoriciclaggio continuati e aggravati ai sensi dell'articolo 461-bis.1 c.p., di cui ai capi 46 e 48 dell'imputazione provvisoria e, in particolare per avere: a) impiegato e trasferito nel Raggruppamento temporaneo di imprese (RTI) composto da (OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) s.r.l., somme di denaro provenienti dalla commissione del delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso, con riferimento al clan "(OMISSIS)", "e da quelli ad esso connessi", in modo tale da ostacolarne concretamente l'identificazione della provenienza delittuosa (capo 46); b) impiegato e trasferito nel circuito economico-finanziario della predetta (OMISSIS) s.r.l. somme di denaro provenienti dal delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso, in modo tale da ostacolarne concretamente l'identificazione della provenienza delittuosa, con la dazione, da parte di (OMISSIS), ai soggetti di vertice del clan "(OMISSIS)", di somme di denaro a titolo di parziale restituzione e di guadagno delle somme di cui al precedente capo 46 (capo 48). 2. Avverso l'indicata ordinanza del Tribunale di Napoli, ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), per il tramite dei propri difensori, affidato a quattro motivi. 2.1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce, in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), l'inosservanza delle norme, stabilite a pena di nullita', di cui all'articolo 324 c.p.p., comma 7, in relazione all'articolo 309 medesimo codice, comma 9, ultimo periodo. La ricorrente lamenta che l'ordinanza impugnata, reiterando il vizio del decreto di sequestro denunciato con la richiesta di riesame, non avrebbe motivato, o avrebbe motivato in modo solo apparente, con riguardo alla fittizieta' dell'intestazione a se' dei beni sequestrati e alla propria autonoma capacita' reddituale, elementi che, invece, venendo in rilievo il sequestro di beni di un terzo, dovevano essere necessariamente valutati. 2.2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce, in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e c), la violazione e/o l'erronea applicazione dell'articolo 240-bis c.p. e dell'articolo 125 c.p.p., comma 3, "con riferimento alla totale assenza di motivazione (sub specie di motivazione apparente) in ordine alla sussistenza dei presupposti per l'applicazione della confisca allargata nonche' per omessa valutazione del contenuto della consulenza tecnica" del commercialista (OMISSIS). Dopo avere rammentato che presupposto della confisca cosiddetta allargata prevista dall'articolo 240-bis c.p. e' la disponibilita', in capo al condannato, di beni di "valore sproporzionato al proprio reddito", la ricorrente lamenta che il Tribunale di Napoli, non operando alcuna distinzione tra l'attivita' lecita e l'attivita' illecita di (OMISSIS) s.r.l., si sarebbe di fatto sottratto all'obbligo di valutare il contenuto della menzionata consulenza tecnica, dalla quale risultava, quale dato principale, come (OMISSIS) s.r.l., solo nell'ultimo decennio, si fosse aggiudicata appalti e avesse effettuato opere per conto di (OMISSIS) s.p.a. (RFI) per un valore di oltre 400 milioni di Euro, di cui soltanto il 2,03% eseguite attraverso la collaborazione (sotto forma di raggruppamento temporaneo di imprese o di subappalto) di (OMISSIS) s.r.l., "asserito volto imprenditoriale del sodalizio criminoso", con la conseguenza che risultava dimostrata la composizione in larghissima parte lecita e giustificata del patrimonio del proprio padre (OMISSIS), cio' che faceva venire meno il rammentato presupposto della confisca allargata e, quindi, del sequestro a essa preordinato. 2.3. Con il terzo motivo, la ricorrente deduce, con riferimento all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e c), l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'articolo 240-bis c.p. e dell'articolo 125 c.p.p., comma 3, "in relazione all'insussistenza del requisito della intestazione fittizia dei beni ed alla sussistenza di autonoma capacita' reddituale". La ricorrente lamenta che l'ordinanza impugnata avrebbe omesso di motivare in ordine all'intestazione fittizia a se' dei beni sequestrati e alla sua capacita' reddituale con riferimento sia alla nuda proprieta' del 50% dei tre immobili sia alle somme presenti sul conto corrente a lei intestato, rappresentando: a) quanto agli immobili, che essi erano stati acquistati con provviste lecite del padre (che se ne era riservato l'usufrutto) e ceduti alla figlia con atto di donazione, con la conseguenza che "nessun elemento consent(iva) di desumere ne' la fittizieta' dell'intestazione (...) ne' la finalita' della ricorrente di prestarsi all'intestazione del bene al fine di salvaguardarlo dal pericolo della confisca", elementi della cui esistenza non vi sarebbe traccia nell'ordinanza impugnata; b) quanto alle somme presenti sul conto corrente, che, come era stato documentato dalla propria difesa, lo stesso risultava alimentato dagli emolumenti da lei percepiti quale dipendente dell'impresa del padre ( (OMISSIS) s.r.l.) ed era "perfettamente congruo e proporzionato rispetto ai redditi percepiti", con le conseguenze della natura giustificata e lecita delle provviste e dell'effettiva riferibilita' a se' delle stesse. 2.4. Con il quarto motivo, la ricorrente deduce, con riferimento all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e c), l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'articolo 240-bis c.p. e dell'articolo 125 c.p.p., comma 3, "con specifico riferimento all'omessa valutazione ed alla conseguente assoluta assenza della motivazione in ordine al quantum da sottoporre a vincolo ablativo". Nel lamentare tale mancanza di motivazione dell'ordinanza impugnata in ordine al quantum dei beni ritenuti frutto di accumulazione illecita, la ricorrente sottolinea come siano stati sottratti "tutti i beni a una persona che lavora da anni, che percepisce redditi e che ha ricevuto una legittima donazione dal padre". CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I quattro motivi di ricorso - i quali, per lo loro stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente - non sono fondati. 2. Preliminarmente, occorre rammentare che il ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio e' ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione cosi' radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656-01, relativa a una fattispecie, in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca il Decreto Legge 8 giugno 1992, n. 306, ex articolo 12-sexies, conv. con modif. dalla L. 7 agosto 1992, n. 356 - ora articolo 240-bis c.p. - in cui la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso che, a fronte di un'approfondita valutazione, da parte del tribunale del riesame, degli elementi reddituali del nucleo familiare interessato dal sequestro, aveva riproposto, sotto il profilo dell'omessa o carente motivazione, questioni riguardanti l'accertamento della sproporzione. Nello stesso senso, tra le molte: Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, Bosi, Rv. 245093-01). 3. Si deve ancora rammentare che la Corte di cassazione ha avuto modo di chiarire che la presunzione relativa di illecita accumulazione patrimoniale, prevista nella speciale ipotesi di confisca di cui al Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12-sexies non opera nel caso in cui il cespite sequestrato sia formalmente intestato a un terzo ma si assume si trovi nella effettiva titolarita' della persona condannata per uno dei reati indicati nella disposizione menzionata. In tale caso, incombe sull'accusa l'onere di dimostrare l'esistenza di situazioni che avallino concretamente l'ipotesi di una discrasia tra intestazione formale e disponibilita' effettiva del bene, in modo che si possa affermare con certezza che il terzo intestatario si sia prestato alla titolarita' apparente al solo fine di favorire la permanenza dell'acquisizione del bene in capo al condannato e di salvaguardarlo dal pericolo della confisca. Il giudice ha, a sua volta, l'obbligo di spiegare le ragioni della ritenuta interposizione fittizia, adducendo non solo circostanze sintomatiche di spessore indiziario ma anche elementi fattuali che si connotino della gravita', precisione e concordanza, tali da costituire prova indiretta del superamento della coincidenza fra titolarita' apparente e disponibilita' effettiva del bene (Sez. 5, n. 13084 del 07/03/2017, Carlucci, Rv. 269711-01; Sez. 6, n. 49876 del 28/11/2012, Scognamiglio, Rv. 253957-01; Sez. 1, n. 27556 del 27/05/2010, Buompane, Rv. 247722-01; Sez. 2, n. 3990 del 10/01/2008, Catania, Rv. 239269-01). La Corte di cassazione ha anche precisato che il Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12-sexies, nel prevedere la confisca dei beni o delle altre utilita' di cui il condannato risulta avere, anche per interposta persona, a qualsiasi titolo, la disponibilita', intende designare la relazione effettuale del condannato con il bene, connotata dall'esercizio di poteri di fatto corrispondenti al diritto di proprieta'. La disponibilita' coincide, pertanto, con la signoria di fatto sulla res, indipendentemente dalle categorie delineate dal diritto privato, riguardo al quale il richiamo piu' appropriato appare essere quello riferito al possesso nella definizione che ne da' l'articolo 1140 c.c. (Sez. 1, n. 11732 del 09/03/2005, De Masi, Rv. 231390-01; in senso analogo, Sez. 3, n. 4887 del 13/12/2018, dep. 2019, De Nisi, Rv. 274852-01). La prova della titolarita' apparente del terzo intestatario - la quale, come si e' detto, incombe sulla pubblica accusa - non puo' essere basata sulla sola mera sproporzione tra il reddito o l'attivita' economica del terzo e il valore dei beni a lui intestati, atteso che tale raffronto di proporzionalita' e' previsto dall'articolo 240-bis c.p. con riguardo alla sola posizione dell'indagato o imputato e non alla posizione dei terzi. Con riguardo a quest'ultima posizione, la dimostrazione della discrasia tra la formale titolarita' e la reale disponibilita' dei beni deve seguire gli ordinari canoni probatori, pretesi per l'accertamento di qualsiasi fatto di rilevanza giuridica, i quali sono sganciati dalla presunzione relativa prevista, con riguardo alla sola posizione dell'indagato o imputato, dall'articolo 240-bis c.p.. In tale prospettiva, la sperequazione tra le disponibilita' del terzo e le sue accumulazioni patrimoniali, lungi dal sancire presunzioni di legge quanto all'illiceita' delle stesse accumulazioni, puo' costituire uno dei possibili elementi logici a sostegno dell'asserto accusatorio della natura fittizia dell'intestazione e della sostanziale disponibilita' del bene in capo all'indagato o imputato, o, in contrapposizione a tale asserto, un argomento difensivo di segno opposto per superare lo stesso, specie in presenza di collegamenti tra gli interessati, di parentela, affinita' o convivenza, che possono favorire, a monte, la dimostrazione della prospettazione accusatoria della natura fittizia dell'intestazione del bene (Sez. 6, n. 49876 del 28/11/2012, cit.; Sez. 1, n. 44534 del 24/10/2012, Ascone, Rv. 254699-01). E' stato ancora affermato che la presunzione relativa di illecita accumulazione patrimoniale, prevista nella speciale ipotesi di confisca di cui al Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12-sexies non opera nel caso in cui il cespite sequestrato sia formalmente intestato a un terzo che si assume fittizio interposto della persona condannata per uno dei reati indicati nella disposizione menzionata, incombendo, in tal caso, sull'accusa l'onere di dimostrare la sproporzione dei beni intestati al terzo rispetto al reddito dichiarato o all'attivita' economica esercitata dallo stesso, da valutare con riferimento al momento dei singoli acquisti e al valore dei beni di volta in volta acquisiti, non gia' a quello dell'applicazione della misura (Sez. 5, n. 53449 del 16/10/2018, Huang Xiaoping, Rv. 275406-01). Nell'affermare che la presunzione di fittizieta' degli atti di trasferimento compiuti, a titolo oneroso o gratuito, dal proposto in favore di determinate categorie di persone, prevista in tema di misure di prevenzione patrimoniali dal Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, articolo 26, non si applica al sequestro penale finalizzato alla confisca il Decreto Legge n. 306 del 1992, ex articolo 12-sexies, la Corte di cassazione ha peraltro ritenuto che costituiscono indizi gravi, precisi e concordanti dell'interposizione fittizia di beni dell'indagato a un terzo la natura giuridica e le modalita' dell'atto dispositivo (nella specie, donazione), il rapporto di stretta parentela tra le parti dell'atto dispositivo (nella specie, padre e figlio), la vicinanza temporale tra l'atto di disposizione e la commissione da parte del dante causa di un reato per il quale e' prevista la confisca dei beni, la destinazione del bene, le qualita' personali dell'avente causa (nella specie, la giovane eta'), l'oggetto dell'atto dispositivo (nella specie, un'ingente somma di denaro) (Sez. 2, n. 15829 del 25/02/2014, Podesta', Rv. 259538-01). La Corte di cassazione ha altresi' statuito che, in tema di impugnazione di misure cautelari reali, il tribunale del riesame e' tenuto a valutare il contenuto della consulenza tecnica prodotta dalla parte, e, sia pure sommariamente, la pertinenza o meno della stessa rispetto all'oggetto dell'indagine e, ove sussista un contrasto con altri elaborati tecnici su punti decisivi del tema cautelare, e' tenuto a dar conto sinteticamente delle ragioni della prevalenza dei rilievi difensivi su quelli posti a fondamento del provvedimento cautelare o viceversa, onde non incorrere nel vizio di violazione di legge per assoluta mancanza di motivazione, essendo insufficiente il generico richiamo alla consulenza tecnica dell'una o dell'altra parte (Sez. 3, n. 30296 del 25/05/2021, PMT, Rv. 281721-01). 4. Il Tribunale di Napoli ha rispettato tali principi. Lo stesso Tribunale ha fornito una motivazione coerente (e non meramente apparente) della fittizieta' dell'intestazione della nuda proprieta' dei due appartamenti e del box auto in Napoli e della disponibilita' degli stessi immobili, nonche' delle somme presenti sul conto corrente, in capo al padre della ricorrente (OMISSIS), avendo reputato, evidentemente, quali elementi fattuali indiziari gravi precisi e concordanti dell'interposizione fittizia di beni dello stesso (OMISSIS) alla figlia (OMISSIS): la provenienza delle somme necessarie per l'acquisto degli immobili e per la formazione della provvista del conto corrente dall'attivita' illecita di (OMISSIS), segnatamente, dai proventi da questi ottenuti, in quegli stessi anni, grazie ai rapporti con il clan (OMISSIS), risorse che, dopo avere dato anche conto del contenuto della consulenza tecnica prodotta dalla difesa e avere valutato lo stesso, il Tribunale di Napoli ha ritenuto, alla luce delle indagini svolte dal Gruppo d'investigazione sulla criminalita' organizzata (GICO), come prive di giustificazione nell'ordinaria attivita' della societa' dell'indagato (OMISSIS) ( (OMISSIS) s.r.l.); il rapporto di stretta parentela tra lo stesso indagato (OMISSIS) e la figlia (OMISSIS) intestataria dei beni; la natura giuridica degli atti dispositivi (donazione della nuda proprieta' dei due appartamenti e del box auto in Napoli); le condizioni personali della ricorrente. 5. Le censure avanzate con i motivi di ricorso devono, percio', essere disattese, atteso che l'ordinanza impugnata non presenta violazioni di legge secondo la nozione di tale vizio che si e' chiarita al punto 2. Pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., comma 1, al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VERGA Giovanna - Presidente Dott. AGOSTINACCHIO Luigi - Consigliere Dott. NICASTRO Giuseppe - Consigliere Dott. RECCHIONE Sandra - Consigliere Dott. CERSOSIMO Emanue - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto dal terzo interessato: (OMISSIS) avverso l'ordinanza del 20/06/2022 del Tribunale di Napoli; Udita la relazione svolta dal Consigliere CERSOSIMO Emanuele; udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale COSTANTINI Francesca che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso; udite le conclusioni del ricorrente, Avv. Maiello Vincenzo che ha insistito nei motivi di ricorso ed ha chiesto l'annullamento dell'ordinanza. RITENUTO IN FATTO 1. In data 30 aprile 2022 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli ha disposto il sequestro preventivo di beni intestati a (OMISSIS) (50% della nuda proprieta' di due immobili siti in Napoli, 50% della nuda proprieta' di un garage sito in Napoli, conto corrente n. (OMISSIS)) nell'ambito di un procedimento penale a carico, tra gli altri, di (OMISSIS), padre del ricorrente, per i reati di impiego di denaro di provenienza illecita e di autoriciclaggio continuati e aggravati ai sensi dell'articolo 461-bis.1 c.p., di cui ai capi 46 e 48 dell'imputazione provvisoria e, in particolare per avere: a) impiegato e trasferito nel Raggruppamento temporaneo di imprese (RTI) composto da (OMISSIS) s.r.l., (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) s.r.l., somme di denaro provenienti dalla commissione del delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso, con riferimento al clan " (OMISSIS)", "e da quelli ad esso connessi", in modo tale da ostacolarne concretamente l'identificazione della provenienza delittuosa (capo 46); b) impiegato e trasferito nel circuito economico-finanziario della predetta (OMISSIS) s.r.l. somme di denaro provenienti dal delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso, in modo tale da ostacolarne concretamente l'identificazione della provenienza delittuosa, con la dazione, da parte di (OMISSIS), ai soggetti di vertice del clan " (OMISSIS)", di somme di denaro a titolo di parziale restituzione e di guadagno delle somme di cui al precedente capo 46 (capo 48). 2. Il terzo interessato (OMISSIS), a mezzo del suo difensore, propone ricorso per Cassazione avverso l'ordinanza pronunciata in data 20 giugno 2022 con la quale il Tribunale del Riesame di Napoli ha rigettato l'istanza di riesame avverso il predetto decreto di sequestro preventivo. 3. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo di impugnazione, l'inosservanza dell'articolo 324 c.p.p., comma 7 e articolo 309 c.p.p., comma 9. La difesa eccepisce che l'ordinanza impugnata, reiterando il vizio del decreto di sequestro denunciato con la richiesta di riesame, non avrebbe motivato, o avrebbe motivato in modo solo apparente, con riguardo alla fittizieta' dell'intestazione dei beni sequestrati e all'autonoma capacita' reddituale del ricorrente, elementi che, invece, venendo in rilievo il sequestro di beni di un terzo, dovevano essere necessariamente valutati. I giudici di appello si sono limitati, infatti, a ribadire quanto affermato nell'ordinanza genetica in ordine al fatto che il padre del ricorrente avrebbe "messo a disposizione" del sodalizio la societa' (OMISSIS) s.r.l., per farvi confluire risorse non giustificabili con l'attivita' di impresa, senza indicare alcun elemento da cui desumere una discrasia tra intestazione fittizia del bene ed effettiva disponibilita' dello stesso ovvero una situazione di incapacita' reddituale del ricorrente. 4. Il ricorrente eccepisce, con il secondo motivo di impugnazione, l'inosservanza e violazione dell'articolo 240-bis c.p. e articolo 125 c.p.p., comma 3, "con riferimento alla totale assenza di motivazione (sub specie di motivazione apparente) in ordine alla sussistenza dei presupposti per l'applicazione della confisca allargata nonche' per omessa valutazione del contenuto della consulenza tecnica" del commercialista (OMISSIS). I giudici del riesame, non operando alcuna distinzione tra l'attivita' lecita e l'attivita' illecita della societa' (OMISSIS) s.r.l., si sarebbero sottratti all'obbligo di valutare il contenuto della menzionata consulenza tecnica, dalla quale risultava, quale dato principale, come (OMISSIS) s.r.l., solo nell'ultimo decennio, si fosse aggiudicata appalti e avesse effettuato opere per conto di (OMISSIS) s.p.a. (RFI) per un valore di oltre 400 milioni di Euro, di cui soltanto il 2,03% eseguite attraverso la collaborazione (sotto forma di raggruppamento temporaneo di imprese o di subappalto) di (OMISSIS) s.r.l., "asserito volto imprenditoriale del sodalizio criminoso", con la conseguenza che risultava dimostrata la composizione in larghissima parte lecita e giustificata del patrimonio del proprio padre (OMISSIS), cio' che faceva venire meno il rammentato presupposto della confisca allargata e, quindi, del sequestro a essa preordinato. I giudici del riesame hanno affermato in modo apodittico che l'impresa facente capo a (OMISSIS) era in possesso di illecite accumulazioni di ricchezza che non trovano giustificazione nell'attivita' societaria senza tenere in alcun conto quanto dimostrato dalla consulenza tecnica prodotta dalla difesa con conseguente vizio di violazione di legge. 5. Il ricorrente lamenta, con il terzo motivo di impugnazione, l'inosservanza e violazione dell'articolo 240 bis c.p. e articolo 125 c.p.p., comma 3, in relazione "in relazione all'insussistenza del requisito della intestazione fittizia dei beni ed alla sussistenza di autonoma capacita' reddituale". L'ordinanza impugnata avrebbe omesso di motivare in ordine alla capacita' reddituale del ricorrente con riferimento sia alla nuda proprieta' del 50% dei tre immobili sia alle somme presenti sul conto corrente n. (OMISSIS) intestato a (OMISSIS), rappresentando: a) quanto agli immobili, che essi erano stati acquistati con provviste lecite del padre (che se ne era riservato l'usufrutto) e ceduti al figlio con atto di donazione, con la conseguenza che "nessun elemento consent(iva) di desumere ne' la fittizieta' dell'intestazione (...) ne' la finalita' della ricorrente di prestarsi all'intestazione del bene al fine di salvaguardarlo dal pericolo della confisca", elementi della cui esistenza non vi sarebbe traccia nell'ordinanza impugnata; b) quanto alle somme presenti sul conto corrente, che, come e' stato documentato dalla propria difesa, lo stesso risultava alimentato dagli emolumenti che il (OMISSIS) percepisce nella sua qualita' di dipendente della ditta (OMISSIS) s.r.l., ed era, "perfettamente congruo e proporzionato rispetto ai redditi percepiti e dichiarati", con le conseguenza della natura giustificata e lecita delle provviste e dell'effettiva riferibilita' al ricorrente di tali somme di denaro. Il Tribunale ha ritenuto che i beni sequestrati al ricorrente sarebbero frutto di accumulo illecito di ricchezza in quanto diretta derivazione dell'attivita' illecita della societa' gestita dal padre del (OMISSIS) con motivazione del tutto eccentrica rispetto ai presupposti necessari per l'ablazione di beni intestati ad un terzo. 6. Il ricorrente lamenta, con il quarto motivo di impugnazione, l'inosservanza e violazione dell'articolo 240-bis c.p. e articolo 125 c.p.p., comma 3, "con specifico riferimento all'omessa valutazione ed alla conseguente assoluta assenza della motivazione in ordine al quantum da sottoporre a vincolo ablativo". Nel lamentare la mancanza di motivazione in ordine al quantum dei beni ritenuti frutto di accumulazione illecita, il ricorrente sottolinea come siano "stati ingiustificatamente sottratti tutti i beni a una persona che lavora da anni, che percepisce redditi e che ha ricevuto una legittima donazione dal padre". Il Tribunale avrebbe violato il principio di proporzionalita' della misura cautelare reale sottoponendo a sequestro tutti i beni intestati al ricorrente, senza alcuna "preventiva individuazione ne' dei conti correnti da sequestrare ne' dei relativi saldi" con conseguente violazione di legge. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I quattro motivi di ricorso - i quali, per lo loro stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente - non sono fondati. 2. Preliminarmente, occorre rammentare che il ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio e' ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione cosi' radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656-01, relativa a una fattispecie, in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca il Decreto Legge 8 giugno 1992, n. 306, ex articolo 12-sexies, conv. con modif. dalla L. 7 agosto 1992, n. 356 - ora articolo 240-bis c.p., - in cui la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso che, a fronte di un'approfondita valutazione, da parte del tribunale del riesame, degli elementi reddituali del nucleo familiare interessato dal sequestro, aveva riproposto, sotto il profilo dell'omessa o carente motivazione, questioni riguardanti l'accertamento della sproporzione. Nello stesso senso, tra le molte: Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016, dep. 2017, Faiella, Rv. 269296 - 01; Sez. 2, n. 35178 del 19/05/2022, Dornyoh, non massimata). Si deve ancora ricordare che la Corte di cassazione ha avuto modo di chiarire che la presunzione relativa di illecita accumulazione patrimoniale, prevista nella speciale ipotesi di confisca di cui al Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12-sexies, non opera nel caso in cui il cespite sequestrato sia formalmente intestato a un terzo ma si assume si trovi nella effettiva titolarita' della persona condannata per uno dei reati indicati nella disposizione menzionata. In tale caso, incombe sull'accusa l'onere di dimostrare l'esistenza di situazioni che avallino concretamente l'ipotesi di una discrasia tra intestazione formale e disponibilita' effettiva del bene, in modo che si possa affermare con certezza che il terzo intestatario si sia prestato alla titolarita' apparente al solo fine di favorire la permanenza dell'acquisizione del bene in capo al condannato e di salvaguardarlo dal pericolo della confisca. Il giudice ha, a sua volta, l'obbligo di spiegare le ragioni della ritenuta interposizione fittizia, adducendo non solo circostanze sintomatiche di spessore indiziario ma anche elementi fattuali che si connotino della gravita', precisione e concordanza, tali da costituire prova indiretta del superamento della coincidenza fra titolarita' apparente e disponibilita' effettiva del bene (Sez. 5, n. 13084 del 07/03/2017, Carlucci, Rv. 269711-01; Sez. 5, n. 53449 del 16/10/2018, Huang, Rv. 275406 - 01). La Corte di cassazione ha anche precisato che il Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12-sexies, nel prevedere la confisca dei beni o delle altre utilita' di cui il condannato risulta avere, anche per interposta persona, a qualsiasi titolo, la disponibilita', intende designare la relazione effettuale del condannato con il bene, connotata dall'esercizio di poteri di fatto corrispondenti al diritto di proprieta'. La disponibilita' coincide, pertanto, con la signoria di fatto sulla res, indipendentemente dalle categorie delineate dal diritto privato, riguardo al quale il richiamo piu' appropriato appare essere quello riferito al possesso nella definizione che ne da' l'articolo 1140 c.c. (Sez. 3, n. 4887 del 13/12/2018, dep. 2019, De Nisi, Rv. 274852-01; Sez. 3, n. 34602 del 31/03/2021, Roveta, Rv. 282366 - 01). La prova della titolarita' apparente del terzo intestatario - la quale, come si e' detto, incombe sulla pubblica accusa - non puo' essere basata sulla sola mera sproporzione tra il reddito o l'attivita' economica del terzo e il valore dei beni a lui intestati, atteso che tale raffronto di proporzionalita' e' previsto dall'articolo 240-bis c.p., con riguardo alla sola posizione dell'indagato o imputato e non alla posizione dei terzi. Con riguardo a quest'ultima posizione, la dimostrazione della discrasia tra la formale titolarita' e la reale disponibilita' dei beni deve seguire gli ordinari canoni probatori, pretesi per l'accertamento di qualsiasi fatto di rilevanza giuridica, i quali sono sganciati dalla presunzione relativa prevista, con riguardo alla sola posizione dell'indagato o imputato, dall'articolo 240-bis c.p.. In tale prospettiva, la sperequazione tra le disponibilita' del terzo e le sue accumulazioni patrimoniali, lungi dal sancire presunzioni di legge quanto all'illiceita' delle stesse accumulazioni, puo' costituire uno dei possibili elementi logici a sostegno dell'asserto accusatorio della natura fittizia dell'intestazione e della sostanziale disponibilita' del bene in capo all'indagato o imputato, o, in contrapposizione a tale asserto, un argomento difensivo di segno opposto per superare lo stesso, specie in presenza di collegamenti tra gli interessati, di parentela, affinita' o convivenza, che possono favorire, a monte, la dimostrazione della prospettazione accusatoria della natura fittizia dell'intestazione del bene (Sez. 1, n. 44534 del 24/10/2012, Ascone, Rv. 254699-01; Sez. 5, n. 44224 del 04/10/2022, Ruggiero, non massimata). E' stato ancora affermato che la presunzione relativa di illecita accumulazione patrimoniale, prevista nella speciale ipotesi di confisca di cui al Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12-sexies non opera nel caso in cui il cespite sequestrato sia formalmente intestato a un terzo che si assume fittizio interposto della persona condannata per uno dei reati indicati nella disposizione menzionata, incombendo, in tal caso, sull'accusa l'onere di dimostrare la sproporzione dei beni intestati al terzo rispetto al reddito dichiarato o all'attivita' economica esercitata dallo stesso, da valutare con riferimento al momento dei singoli acquisti e al valore dei beni di volta in volta acquisiti, non gia' a quello dell'applicazione della misura (Sez. 5, n. 53449 del 16/10/2018, Huang Xiaoping, Rv. 275406-01). Nell'affermare che la presunzione di fittizieta' degli atti di trasferimento compiuti, a titolo oneroso o gratuito, dal proposto in favore di determinate categorie di persone, prevista in tema di misure di prevenzione patrimoniali dal Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, articolo 26, non si applica al sequestro penale finalizzato alla confisca il Decreto Legge n. 306 del 1992, ex articolo 12-sexies, la Corte di cassazione ha peraltro ritenuto che costituiscono indizi gravi, precisi e concordanti dell'interposizione fittizia di beni dell'indagato a un terzo la natura giuridica e le modalita' dell'atto dispositivo (nella specie, donazione), il rapporto di stretta parentela tra le parti dell'atto dispositivo (nella specie, padre e figlio), la vicinanza temporale tra l'atto di disposizione e la commissione da parte del dante causa di un reato per il quale e' prevista la confisca dei beni, la destinazione del bene, le qualita' personali dell'avente causa (nella specie, la giovane eta'), l'oggetto dell'atto dispositivo (nella specie, un'ingente somma di denaro) (Sez. 2, n. 15829 del 25/02/2014, Podesta', Rv. 259538-01). La Corte di cassazione ha altresi' statuito che, in tema di impugnazione di misure cautelari reali, il tribunale del riesame e' tenuto a valutare il contenuto della consulenza tecnica prodotta dalla parte, e, sia pure sommariamente, la pertinenza o meno della stessa rispetto all'oggetto dell'indagine e, ove sussista un contrasto con altri elaborati tecnici su punti decisivi del tema cautelare, e' tenuto a dar conto sinteticamente delle ragioni della prevalenza dei rilievi difensivi su quelli posti a fondamento del provvedimento cautelare o viceversa, onde non incorrere nel vizio di violazione di legge per assoluta mancanza di motivazione, essendo insufficiente il generico richiamo alla consulenza tecnica dell'una o dell'altra parte (Sez. 3, n. 30296 del 25/05/2021, PMT, Rv. 281721-01). 3. Il provvedimento impugnato e' improntato al rispetto di tali principi giurisprudenziali. I giudici del riesame hanno fornito una motivazione coerente (e non meramente apparente) della fittizieta' dell'intestazione della nuda proprieta' dei due appartamenti e del box auto in Napoli e della disponibilita' degli stessi immobili, nonche' delle somme presenti sul conto corrente, in capo al padre del ricorrente (OMISSIS), avendo reputato, con motivazione ineccepibile in punto di logica, quali elementi fattuali indiziari gravi precisi e concordanti dell'interposizione fittizia di beni: il rapporto di stretta parentela tra lo stesso indagato (OMISSIS) e il figlio (OMISSIS) formale intestatario dei beni; la natura giuridica degli atti dispositivi (donazione della nuda proprieta' dei due appartamenti e del box auto in Napoli), le condizioni patrimoniali del ricorrente, la vicinanza temporale tra l'atto di disposizione e la commissione da parte del dante causa di un reato per il quale e' prevista la confisca dei beni nonche' la provenienza delle somme necessarie per l'acquisto degli immobili e per la formazione della provvista del conto corrente dall'attivita' illecita di (OMISSIS), segnatamente, dai proventi da questi ottenuti, in quegli stessi anni, grazie ai rapporti con il clan (OMISSIS). In particolare, i giudici del riesame, dopo avere valutato il contenuto della consulenza tecnica prodotta dalla difesa, hanno ritenuto, alla luce delle indagini svolte dal Gruppo d'investigazione sulla criminalita' organizzata (GICO), come tali risorse siano prive di giustificazione nell'ordinaria attivita' della societa' (OMISSIS) s.r.l.. Il Tribunale ha, inoltre, rimarcato, con motivazione logica e coerente alle risultanze processuali, che le affermazioni del consulente in ordine all'assenza della sproporzione dedotta dalla Pubblica Accusa risultano totalmente smentite "dagli esiti investigativi (...) che hanno dato prova delle modalita' operative e delle strategie adottate dal sodalizio" (vedi pag. 10 del provvedimento impugnato) oltre che "dalle numerose conversazioni ambientali anche dalla documentazione acquisita (vedi pag. 16 dell'ordinanza oggetto di ricorso). I giudici del riesame hanno rilevato che l'improvviso incremento patrimoniale, constatato dagli inquirenti in epoca concomitante con i rapporti di contiguita' con i (OMISSIS), risulta collegato all'attivita' d'impresa, gravemente inquinata dalle emissioni di capitali illeciti, e poteva ritenersi frutto di illecita accumulazione di ricchezza: veniva pertanto confermata la ricostruzione effettuata dal decreto emesso dal pubblico ministero secondo cui la ricostruzione degli assetti economici e patrimoniali effettuata dal GICO consentiva di ritenere che le risorse economiche impiegate non trovassero giustificazione nella ordinaria attivita' della societa' (che invece risultava intestataria di 50 fabbricati, 14 terreni e 45 veicoli). Veniva, dunque, implicitamente smentita la tesi difensiva fondata sulla consulenza tecnica risultando provato che il capitale impiegato negli acquisti dei beni confiscati - secondo le emergenze allo stato raccolte - non era proporzionato alle risorse lecite a disposizione della societa' (OMISSIS) s.r.l.. Il percorso argomentativo dei giudici del riesame non e' validamente contrastato dalle critiche contenute nel ricorso, le quali mirano in realta' ad una lettura alternativa delle risultanze indiziarie e non si confrontano compiutamente con le argomentazioni spese nell'ordinanza impugnata, limitandosi a reiterare le medesime doglianze gia' espresse in sede di riesame ed affrontate in termini precisi e concludenti dal Tribunale. 4. L'ordinanza impugnata si presenta, in conclusione, coerente sia con le indicazioni ermeneutiche offerte dalla Corte di legittimita' che con le emergenze processuali, sottraendosi, di conseguenza, ad ogni censura in questa sede. Le censure avanzate con i motivi di ricorso devono, percio', essere disattese, atteso che l'ordinanza impugnata non presenta violazioni di legge secondo la nozione di tale vizio che si e' chiarita al punto 2. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAGO Geppino - Presidente Dott. AGOSTINACCHIO Luigi - Consigliere Dott. PARDO Ignaz - rel. Consigliere Dott. COSCIONI Giuseppe - Consigliere Dott. NICASTRO Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso il decreto del 03/05/2022 della CORTE APPELLO di NAPOLI; udita la relazione svolta dal Consigliere IGNAZIO PARDO; lette le conclusioni del PG Dott. Andrea Venegoni che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilita' o il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.1 La corte di appello di Napoli sezione misure di prevenzione, con decreto 3 maggio 2022, confermava il provvedimento del tribunale di Napoli del 28 aprile 2021 che aveva applicato a (OMISSIS) la misura della sorveglianza speciale per anni 3 e mesi 6 nonche' disposto la confisca dell'immobile sito in (OMISSIS) intestato in nuda proprieta' ai figli (OMISSIS) e (OMISSIS) ed il cui usufrutto spettava allo stesso proposto ed alla moglie (OMISSIS). 1.2 Avverso detto provvedimento proponeva ricorso per cassazione il difensore del proposto e dei terzi interessati, avv.to Rizzo, deducendo con distinti motivi qui riassunti ex articolo 173 disp. att. c.p.p.: - violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) e del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 10 in relazione alla ritenuta attualita' della pericolosita' del proposto; - violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) per violazione di legge essendo meramente apparente la motivazione del provvedimento impugnato in relazione alla ritenuta attualita' della pericolosita' del proposto; - violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) e del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 10 quanto alla ritenuta sussistenza dei presupposti per la confisca dell'immobile in capo ai ricorrenti; - violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) per violazione di legge essendo meramente apparente la motivazione del provvedimento impugnato in relazione alla ritenuta sussistenza dei presupposti legittimanti la confisca dell'immobile. CONSIDERATO IN DIRITTO 2.1 Il ricorso e' manifestamente infondato oltre che puramente reiterativo di questioni gia' devolute all'analisi della corte di appello e deve pertanto essere dichiarato inammissibile. Ed invero, quanto ai primi due motivi avanzati in relazione alla misura personale, premesso che in tema di misure di prevenzione il ricorso per cassazione puo' essere avanzato soltanto per violazione di legge deve escludersi che nel caso in esame nel motivare la conferma del provvedimento di primo grado la corte di appello di Napoli sia incorsa in qualsiasi vizio richiamabile a tale parametro ovvero abbia reso una motivazione meramente apparente da apparire inesistente. Ed invero, il giudice di appello, con le specifiche argomentazioni esposte alle pagine da 3 a 8 del provvedimento gravato dal ricorso, ha elencato tutti gli specifici elementi dai quali desumere la pericolosita' del (OMISSIS) ricavati da accertamenti definitivi di responsabilita' dello stesso per gravi fatti di criminalita' ovvero per reati consumati in contesti di delinquenza organizzata, dai quali concretamente si desumeva la riconducibilita' del proposto al parametro di cui al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 4, lettera a). Anche in relazione al requisito della attualita' di tale pericolosita' al momento dell'adozione della misura, il provvedimento appare del tutto esente da vizi posto che il giudice di appello, nell'esercizio del proprio potere discrezionale di accertamento dei fatti, ha proprio motivato come tale particolare requisito possa desumersi dalla recente condanna dello stesso proposto per un reato contro la persona aggravato ex articolo 416bis1 c.p. cosi' che la valutazione appare essere fatta sulla base di specifici elementi desunti da altri provvedimenti giurisdizionali di cui si contesta la valenza attribuendovi significato alternativo non deducibile nella presente sede di legittimita' tanto piu' nei procedimenti ove il ricorso e' ammesso solo per violazione di legge. 2.2 In relazione alle doglianze avanzate con riferimento alla disposta confisca, le stesse si traducono nella proposizione di motivi non ammissibili nei procedimenti di legittimita' aventi ad oggetto misure di prevenzione patrimoniali; ed invero, quanto al terzo motivo, correttamente la corte di appello ha ritenuto operante la riferibilita' al proposto del bene intestato ai figli rivalutando le circostanze di fatto che portavano ad escludere che l'acquisto effettuato nel 2001 potesse essere operato con redditi dei due soggetti minorenni. Al proposito deve essere ricordato come secondo l'orientamento del giudice di legittimita' in materia di misure di prevenzione patrimoniali, il sequestro e la confisca possono avere ad oggetto i beni del coniuge, dei figli e degli altri conviventi, dovendosi ritenere che il prevenuto. ne abbia la disponibilita' facendoli apparire formalmente come beni nella titolarita' delle persone di maggior fiducia, sui quali pertanto grava l'onere di dimostrare l'esclusiva disponibilita' del bene per sottrarlo alla confisca (Sez. 6, n. 49878 del 06/12/2013, Rv. 258140). Deve pertanto ritenersi che nel caso in esame la confisca nei confronti dei prossimi congiunti sia stata disposta non in forza della presunzione di riconducibilita' al genitore introdotta con il Decreto Legislativo n. 159 del 2011 bensi' quale conseguenza di uno specifico accertamento circa l'impossibilita' di ritenere che i due minori avessero acquistato il bene con redditi propri. E con ulteriori argomenti in fatto non contestabili sotto il profilo della violazione di legge la corte di appello ha infatti ritenuto che gli appellanti non avessero fornito prova adeguata della origine lecita della provvista utilizzata per l'acquisto dell'immobile; invero il provvedimento impugnato reca alle pagine 10-11 specifica motivazione sul punto ed il ricorso, al quarto motivo, propone doglianze assolutamente estranee al giudizio di legittimita' in materia di misure di prevenzione. Va infatti ricordato nel procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione e' ammesso soltanto per violazione di legge, sicche' il vizio di travisamento della prova per omissione ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), e' estraneo al procedimento di legittimita', a meno che il travisamento non abbia investito plurime circostanze decisive totalmente ignorate ovvero ricostruite dai giudici di merito in modo talmente erroneo da trasfondersi in una motivazione apparente o inesistente, riconducibile alla violazione di legge (Sez. 2, n. 20968 del 06/07/2020, Rv. 279435 - 01); circostanza che deve essere certamente esclusa alla luce delle specifiche argomentazioni esposte dalla corte di merito. In conclusione, le impugnazioni devono ritenersi infondate; alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell'articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. AGOSTINACCHIO Luigi - Presidente Dott. DE SANTIS Anna Maria - Consigliere Dott. PACILLI Giuseppina - Consigliere Dott. NICASTRO Giusep - rel. Consigliere Dott. MONACO Marco - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 22/12/2020 della Corte d'appello di Venezia; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. PEDICINI ETTORE, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. GIUSEPPE NICASTRO. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 22/12/2020, la Corte d'appello di Venezia confermava la sentenza del 04/02/2020 del Tribunale di Rovigo di condanna di (OMISSIS) alla pena di tre anni di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa per il reato di circonvenzione di persone incapaci ai danni di (OMISSIS). Secondo il capo d'imputazione, tale reato era stato contestato all' (OMISSIS) "perche', per procurarsi un ingiusto profitto, abusando dello stato di infermita' e/o deficienza psichica di (OMISSIS) - affetto da "minorazione riconnessa ad un disturbo depressivo cronicizzato secondario ad un grave sinistro della strada", in grado di configurare una deficienza psichica atta a ridurre la capacita' di autodeterminazione, riconoscibile anche in capo a persone prive di conoscenze specialistiche (secondo le conclusioni rassegnate dal C.T.) -, induceva lo stesso, attraverso un meccanismo di condizionamento psicologico, a compiere i seguenti atti pregiudizievoli del proprio patrimonio: 1) si faceva consegnare denaro per una somma complessiva di 118.000,00 Euro; 2) si faceva assumere come collaboratore domestico dal mese di febbraio 2013 al mese di settembre 2014, facendosi retribuire con la somma complessiva di 80.657,22 Euro (circa 5.000 Euro al mese); 3) induceva l'acquisto di due immobili nella Repubblica Dominicana, il primo per la somma di Euro 120.000,00 di cui si faceva nominare usufruttuario in data 30.5.2014, ed il secondo per la somma di Euro 200.000,00, che si faceva cointestare; 4) si faceva nominare, con atto del 23.6.2014, quale unico erede testamentario. In (OMISSIS)". 2. Avverso l'indicata sentenza della Corte d'appello di Venezia, ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), per il tramite del proprio difensore, affidato a due motivi. 2.1. Con il primo motivo - relativo all'affermazione di responsabilita' - il ricorrente lamenta, in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d) ed e), che la Corte d'appello di Venezia, nel rigettare il proprio motivo di appello sul punto, abbia ribadito la legittimita' dell'ordinanza del Tribunale di Rovigo di revoca dell'ammissione dell'esame del consulente tecnico psichiatrico del pubblico ministero Dott.ssa (OMISSIS), da ritenersi prova decisiva riguardo allo stato di deficienza psichica della persona offesa (OMISSIS). Il ricorrente rappresenta che la decisivita' di detta prova - in assenza della quale non potrebbe ritenersi raggiunta l'evidenza dello stato di deficienza psichica della persona offesa - discende dalle circostanze: che la Dott.ssa (OMISSIS) era la psichiatra che visito' il (OMISSIS) all'epoca dei fatti in contestazione e che aveva redatto, insieme con la Dott.ssa (OMISSIS) - che, pero', era un medico legale e non una psichiatra - la perizia, per conto dell'assicurazione, diretta a ottenere il risarcimento del danno per il grave incidente stradale che aveva subito il (OMISSIS); non sarebbe ammissibile un richiamo de relato a quanto accertato dalla Dott.ssa (OMISSIS); la Dott.ssa (OMISSIS) aveva riscontrato una mera "minorata capacita' psichica"; la somma percepita dal (OMISSIS) quale risarcimento per il subito incidente stradale era stata liquidata "nella mani" del (OMISSIS) proprio sulla scorta della perizia della Dott.ssa (OMISSIS), cio' che porterebbe a escludere qualsiasi anche parziale compromissione della capacita' di intendere e di volere del (OMISSIS) all'epoca dei fatti. 2.2. Con il secondo motivo - relativo al trattamento sanzionatorio - il ricorrente lamenta, in relazione all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), che la Corte d'appello di Venezia, nel rigettare il proprio motivo di appello sul punto, abbia confermato l'irrogazione della pena di tre anni di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa e la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, senza attribuire adeguato rilievo, nella prospettiva della riduzione di detta pena e della concessione delle menzionate circostanze attenuanti, alla sia pur parziale riparazione del danno, operata mediante la rinuncia abdicativa sia all'usufrutto sul primo dei due immobili acquistati nella Repubblica Dominicana sia alla quota del secondo di tali immobili. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo e' manifestamente infondato. Come e' stato affermato, in modo condivisibile, dalla giurisprudenza di legittimita', il diritto dell'imputato all'ammissione delle prove a discarico, di cui all'articolo 495 c.p.p., comma 2, va coordinato con il potere attribuito al giudice dal comma 4 dello stesso articolo di revocare l'ammissione di prove che risultino "superflue". Tale potere, che viene esercitato dal giudice sulla base delle risultanze dell'istruttoria dibattimentale, e' assai piu' ampio di quello che al medesimo giudice e' riconosciuto all'inizio del dibattimento, fase processuale che e' caratterizzata dalla normale "verginita' conoscitiva" dell'organo giudicante rispetto alla regiudicanda ed e' pertanto regolata dal piu' restrittivo canone di cui all'articolo 190 c.p.p., comma 1, richiamato dall'articolo 495, comma 1, in base al quale, atteso il diritto delle parti alla prova, il giudice puo' non ammettere le sole prove vietate dalla legge o quelle che "manifestamente" risultino superflue o irrilevanti. Ne consegue che la censura di mancata ammissione di una prova decisiva si risolve, una volta che il giudice abbia indicato in sentenza le ragioni della revoca della prova gia' ammessa, in una verifica della logicita' e congruenza della relativa motivazione, raffrontata al materiale probatorio gia' raccolto e valutato (Sez. 3, n. 13095 del 17/01/2017, S., Rv. 26331-01; Sez. 2, n. 9056 del 21/01/2009, Zerabib, Rv. 243306-01; Sez. 6, n. 5562 del 13/04/2000, Ventre, Rv. 220547; Sez. 6, n. 13792 del 06/10/1999, Malorgio, Rv. 215281). Nel caso di specie, come risulta dalla sentenza di primo grado, il Tribunale di Rovigo aveva esaminato: il consulente tecnico del pubblico ministero, lo psichiatra (OMISSIS), il quale aveva descritto la condizione della persona offesa come di deficienza psichica, di forte deficit cognitivo e di possibile influenza di soggetti esterni e aveva affermato come tale condizione fosse facilmente riconoscibile da chiunque e come fosse altresi' riscontrabile una dipendenza, sia fisica sia psicologica, della persona offesa dall'imputato; la testimone della parte civile Dott.ssa (OMISSIS), medico legale - che, nell'aprile del 2012, cioe' in epoca prossima ai fatti in contestazione, aveva visitato il (OMISSIS) - la quale aveva riferito anche delle condizioni psicologiche, oltre che fisiche, della stessa persona offesa, nel senso di una sua minorata capacita' di autodeterminazione, facilmente riconoscibile da chiunque. Alla luce di tale gia' raccolto e valutato materiale probatorio, nessun addebito puo' essere mosso al Tribunale di Rovigo - come correttamente reputato dalla Corte d'appello di Venezia - per avere revocato l'ammissione dell'esame dell'altro consulente tecnico del pubblico ministero Dott.ssa (OMISSIS), essendo del tutto logico e congruo ritenere la superfluita' di tale ulteriore attivita' istruttoria sulle stesse gia' scandagliate e adeguatamente chiarite circostanze della minorata capacita' psichica del (OMISSIS), della riconoscibilita' di essa e del rapporto squilibrato tra lo stesso (OMISSIS) e l'imputato. 2. Il secondo motivo e' manifestamente infondato sotto entrambi i profili in cui e' articolato, relativi, rispettivamente, alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e alla determinazione della pena. 2.1. In materia di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e' insindacabile in sede di legittimita', purche' sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269-01; nella specie, la Corte di cassazione ha ritenuto sufficiente, ai fini dell'esclusione delle attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti penali dell'imputato). Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non e' necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e' sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244-01). Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice puo' limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'articolo 133 c.p., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o no il riconoscimento del beneficio, sicche' anche un solo elemento attinente alla personalita' del colpevole o all'entita' del reato e alle modalita' di esecuzione di esso puo' risultare all'uopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549-01; Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163-01). Nel caso di specie, la Corte d'appello di Venezia ha negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche ritenendo decisivi e prevalenti, a tale fine, gli elementi, attinenti alla gravita' del danno e alla condotta susseguente al reato, del totale disinteresse dimostrato dall'imputato nei confronti della vittima, essendo l' (OMISSIS), dopo il settembre 2014, "spari(to) nel nulla", e del fatto che la persona offesa era riuscita a vendere il primo dei due immobili che era stata indotta ad acquistare solo per una somma pari a circa la meta' di quella che era servita per l'acquisto e, per cercare di recuperare la somma di Euro 200.000,00 che aveva investito nel secondo degli immobili che era stata indotta ad acquistare, era stata costretta a intentare una causa civile. Alla luce dei consolidati principi della giurisprudenza di legittimita' sopra esposti, tale motivazione si deve ritenere sufficiente e, in quanto espressiva di un giudizio di fatto, non sindacabile in questa sede di legittimita'. 2.2. Quanto alla pena, la giurisprudenza di legittimita' e' costante nell'affermare che la determinazione di essa tra il minimo e il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed e' insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor piu', se prossima al minimo, anche nel caso in cui il giudicante si' sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equita' e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all'articolo 133 c.p. (tra le tante, Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283-01). Anche successivamente, e' stato ribadito che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti e attenuanti, rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, e' sufficiente che dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'articolo 133 c.p. con espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure con il richiamo alla gravita' del reato o alla capacita' a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243-01). Nel caso di specie, la pena irrogata di tre anni di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa e' significativamente al di sotto della media edittale della pena per il delitto di cui all'articolo 643 c.p. (che e' pari a quattro anni di reclusione ed Euro 1.135,50 di multa). La Corte d'appello di Venezia ha peraltro diffusamente motivato le ragioni dell'irrogazione di una pena superiore al minimo edittale, sottolineando la gravita' del reato commesso dall' (OMISSIS), sia sotto il profilo oggettivo (attesa la protrazione nel tempo della condotta delittuosa, l'induzione a compiere una pluralita' di atti pregiudizievoli, il rilevantissimo danno subito dal (OMISSIS)), sia sotto il profilo soggettivo (attesa l'intensita' del dolo dell'imputato, che aveva, in modo preordinato, riallacciato i contatti con il (OMISSIS) dopo avere saputo dell'incidente da lui subito e della grossa somma da lui percepita a titolo di risarcimento, aveva fatto credere alla persona offesa di volersi occupare di lui prosciugandolo, invece, di tutte le sue risorse economiche, per poi fare perdere le proprie tracce, lasciando il (OMISSIS) nella disperazione, tanto da tentare anche il suicidio). Si tratta di una motivazione del tutto adeguata la quale, in quanto espressiva, anch'essa, di un giudizio di fatto, non e' sindacabile in questa sede di legittimita'. 3. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., comma 1, al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

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