Sentenze recenti usura bancaria

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  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta da: Dott. DI NICOLA Vito - Presidente Dott. FIORDALISI Domenico - Consigliere Dott. POSCIA Giorgio - Consigliere Dott. ALIFFI Francesco - Relatore Dott. TOSCANI Eva - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: (...) Spa avverso l'ordinanza del 15/11/2023 del GIP TRIBUNALE di FOGGIA udita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCO ALIFFI; lette le conclusioni del PG OLGA MIGNOLO che ha chiesto il rigetto. RITENUTO IN FATTO 1. La società (...) Spa, mandataria di (...) Srl - cessionaria (...) Spa di un portafoglio di crediti, tra cui quello nascente da contratto di mutuo ipotecario su un immobile assoggettato a confisca ex art. 12 sexies D.L. n. 306 del 1992 oggi 240-bis cod. pen. con la sentenza di condanna, per il delitto di usura, del proprietario pro quota Ci.Na. - ricorre per cassazione avverso il provvedimento in epigrafe con cui il competente Tribunale di Piacenza ha rigettato la domanda di ammissione dell'indicato credito allo stato passivo. Secondo il Tribunale, il credito del terzo non sarebbe tutelabile, mancando le condizioni della buona fede e dell'inconsapevole affidamento. La società ricorrente ha, infatti, acquistato il credito in data 11 ottobre 2019, quindi, in un periodo successivo al passaggio in giudicato della sentenza di condanna di Ci.Na., divenuta irrevocabile il 7 febbraio 2017. All'epoca dell'acquisto risultava, peraltro, regolarmente trascritto il provvedimento cautelare di sequestro emesso dal GIP relativamente al bene di cui è stata disposta la definitiva confisca. 2. La società ricorrente ha sviluppato due motivi. 2.1. Con il primo deduce vizio di motivazione nonché violazione degli artt. 52 e seg. del D.Lgs. n. 159 del 2011 con riferimento alla strumentalità del credito quale presupposto normativo della confisca. Il Tribunale, secondo (...) Spa, avrebbe dovuto dimostrare la finalizzazione del credito all'esercizio dell'attività criminosa che ha condotto all'applicazione della misura di sicurezza della confisca. Solo laddove sia dimostrata una condizione di pericolosità, percepibile e manifesta, al momento dell'erogazione del finanziamento, il creditore ha necessità di fornire la prova liberatoria della buona fede. 2.2. Con il secondo motivo deduce società violazione degli artt. 52 e seg. del D.Lgs. n. 159 del 2011 con riferimento alla posizione del terzo creditore cessionario. Il provvedimento impugnato ha continuato a ritenere decisiva la circostanza della trascrizione del sequestro del bene confiscato in epoca precedente rispetto alla cessione del credito in favore della ricorrente, nonostante la difesa abbia evidenziato che la successiva confisca non è stata trascritta nei registri immobiliari; che nella qualità di terzo estraneo al procedimento penale non aveva alcun obbligo di acquisire informazioni sull'esito del procedimento giudiziario in cui era stata disposta la misura cautelare reale e che, comunque, poteva non attribuire rilevanza all'esistenza del vincolo reale al momento dell'acquisto del credito perché non ne impediva il soddisfacimento. Non è stata presa in alcuna considerazione la peculiare tipologia di acquisto del credito ossia la "cessione in blocco", la cui disciplina, contenuta negli artt. 58 e seg. del D.Lgs. n. 385 del 1993, prevede l'inesigibilità in capo al cessionario della previa verifica delle condizioni giuridiche di tutti i beni sottoposti ad originaria garanzia ipotecaria correlati ai crediti ceduti. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso, nei suoi due connessi motivi congiuntamente esaminabili, è infondato. 1. Preliminarmente, va ricordato che la disciplina relativa alla tutela dei diritti di credito dei terzi e dei diritti reali di garanzia sui beni oggetto di confisca di prevenzione prevista dagli artt. 52 e ss. del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, si applica, in forza dell'art. 31 legge 17 ottobre 2017, n. 161, anche alle misure del sequestro e della confisca "estesa" di cui all'art. 12-sexies D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, se disposte successivamente all'entrata in vigore dell'art. 1, comma 190, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (in questo senso più di recente Sez. 1, n. 16341 del 01/04/2022 Soc. Affide, già custodia Valore Spa, Rv. 282958-01). 2. La peculiare natura della confisca ex art. 240 bis cod. pen., applicata in esito ad un giudizio di cognizione, impedisce, una volta divenuta irrevocabile la sentenza che ha disposto la misura patrimoniale, di rimettere in discussione i presupposti applicativi già oggetto di accertamento definitivo. Sotto questo profilo è, quindi, manifestamente infondato il primo motivo che sollecita, peraltro in termini non del tutto intellegibili, un nuovo ed alternativo accertamento da parte del giudice, investito dal cessionario della richiesta di ammissione allo stato passivo, in ordine alla strumentalità del credito ipotecario ceduto rispetto all'attività illecita. 3. Il provvedimento impugnato si è attenuto al principio di diritto fissato dalle Sezioni unite di questa Corte di legittimità (Sez. U, n. 29847 del 31/05/2018, (...) Srl, Rv. 272978-01), secondo cui la cessione di un credito ipotecario, precedentemente insorto, successiva alla trascrizione di un provvedimento di sequestro o di confisca del bene sottoposto a garanzia, non preclude di per sé l'ammissibilità della ragione creditoria, né determina automaticamente uno stato di mala fede in capo al terzo cessionario del credito, il quale potrà comunque avvalersi, se esistente, della condizione di buona fede sussistente in capo al creditore originario, nella cui posizione è identicamente subentrato. Il creditore cessionario, quindi, è chiamato a provare, ai fini dell'ammissione del credito, la sussistenza originaria del requisito della buona fede e dell'incolpevole affidamento nei termini indicati dall'art. 52, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 159 del 2011 (oltre alla buona fede propria, sotto il profilo della mancanza di accordi fraudolenti con il soggetto gravato dalla misura di rigore: Sez. 1, n. 57848 del 23/11/2017, Italfondiario Spa, Rv. 271618). Ai fini di tale prova, non può ritenersi decisiva la circostanza per la quale il credito sia stato conferito nell'ambito di un'operazione di acquisto di crediti in blocco, conformemente a quanto previsto dall'art. 58 D.Lgs., 1 settembre 1993, n. 385, recante il Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia. Tale operazione costituisce unicamente una particolare modalità di cessione del credito, che non esime il cessionario dagli oneri di verifica sulla originaria sussistenza dei requisiti cui la legge subordina la tutelabilità dei crediti del terzo nella procedura volta al loro accertamento; l'adempimento di tali oneri dovrà pertanto essere comunque dimostrato, non potendo, in particolare, il cessionario affidare la prova della buona fede al mero richiamo a tale particolare forma di acquisizione del credito. In applicazione di tali principi il Tribunale, preso atto dell'assenza di specifiche allegazioni difensive sulla buona fede del cedente e del cessionario del credito diverse dall'antecedenza dell'iscrizione di ipoteca volontaria sull'immobile rispetto alla trascrizione del vincolo reale, si è correttamente limitato ad evidenziare la mancata acquisizione di elementi idonei a suffragare l'incolpevole affidamento del cessionario che, messo in allarme dalla pacifica trascrizione del sequestro sul bene gravato da ipoteca, aveva comunque concluso l'acquisto sia pure "in blocco" senza adempiere agli obblighi di informazione sulla permanenza del vincolo e quindi accettando il rischio che fosse confiscato in presenza dei requisiti previsti dalla normativa penalistica. 4. Seguono la reiezione del ricorso e la condanna della società ricorrente ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma 13 Marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 21 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DI APPELLO DI ANCONA, prima sezione civile, composta dai seguenti (...) Dott.ssa (...) - Presidente Dott.ssa (...) - Consigliere Dott.ssa (...) - Giudice Ausiliario rel. ha pronunciato la seguente SENTENZA Nel procedimento civile in grado di appello iscritto al n. (...)/2022 R.G.A.C., posto in decisione con ordinanza del 6.02.2024 e riservato a sentenza con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c., a seguito di deposito telematico di note scritte dei procuratori delle parti contenenti le sole istanze e conclusioni, in esecuzione del provvedimento (...) emesso ex art. 127 ter c.p.c., nella formulazione introdotta dall'art. 35 D.Lgs. n. 149/2022, tra (...) (c.f. (...)), nato a (...) il (...) e residente in (...) alla Via (...) n. (...), elettivamente domiciliata (...), presso lo studio dell'Avv. (...) che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce all'atto di appello appellante e (...) (...) soc. coop. a r.l. (c.f. (...)), in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, con sede in (...) alla Via (...) n. (...) ed elettivamente domiciliata (...), presso lo studio dell'Avv. (...) che la rappresenta e difende, giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta in appello appellata (...) contratti bancari in c/c - azione di rideterminazione del saldo - mutuo fondiario, appello avverso l'ordinanza ex art. 702 ter c.p.c. resa dal Tribunale di Macerata in data (...) nel procedimento n. (...)/2018 R.G. CONCLUSIONI Le parti hanno concluso riportandosi ai rispettivi scritti difensivi, chiedendo l'accoglimento delle conclusioni ivi rassegnate e reiterate nelle note telematiche per la trattazione scritta SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con l'ordinanza ex art. 702 ter c.p.c. resa in data (...) nel procedimento n. (...)/2018 R.G. il Tribunale di Macerata, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) nei confronti di (...) di (...) di (...) e (...) società cooperativa, al fine di sentir accertare e dichiarare che il saldo del c/c ordinario di corrispondenza intestato alla ditta, di cui il ricorrente è l'omonimo titolare, deve essere rideterminato depurandolo da interessi oltre soglia usura, interessi oltre (...) commissioni di massimo scoperto e spese non dovute, con accertamento di un saldo creditorio al 31.12.2014 risultato di Euro.62.502,82 in favore dell'attore a seguito dei ricalcoli eseguiti dal (...) nonché al fine di sentir accertare e dichiarare la nullità delle clausole del mutuo fondiario relativamente al calcolo degli interessi -laddove determinano il superamento del tasso soglia per usura sopravvenutae ricalcolare il piano di ammortamento detraendo la somma complessiva di Euro.38.331,65, riscontrata la carenza di documentazione probatoria per entrambi i rapporti ed in assenza anche di una CTU econometrica non richiesta a supporto, né potendo a ciò supplire la (...) ha rigettato la domanda poiché infondata e condannato parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite. Avverso la citata ordinanza ha proposto appello (...) chiedendone l'integrale riforma nella parte in cui il primo giudice ha rigettato la domanda, andando anche oltre le richieste pregiudiziali di parte resistente, anziché dichiarare la nullità del ricorso ovvero fissare con ordinanza non impugnabile l'udienza ex art. 183 c.p.c. per il mutamento del rito; nella parte in cui ritiene generica e confusa la domanda nella esposizione dei suoi fatti costitutivi e poco identificabile la causa petendi e pertanto, qualora tali elementi fossero stati davvero sussistenti, avrebbero dovuto condurre alla declaratoria della nullità della domanda e non al suo rigetto; nella parte in cui ritiene sussistere elementi di confusione ed indeterminatezza, ignorando gli atti di precisazione e di integrazione della domanda prodotti dalla ricorrente; nella parte in cui non ha valorizzato le produzioni degli estratti del c/c e del contratto di mutuo da cui di evince l'indeterminatezza del tasso e il sistema di applicazione dei tassi di interesse (rate mensili costanti di Euro.500 e ma(...)i rata finale), minimizzando altresì la portata della (...) che è attendibile in quanto riporta gli estratti conto per esteso. Si è regolarmente costituita in giudizio (...) di (...) di (...) e (...) società cooperativa, contestando in modo specifico l'avverso gravame di cui ha chiesto preliminarmente dichiararsi l'inammissibilità per tardività della notifica dell'atto di gravame in riferimento alla data di comunicazione dell'ordinanza ex art. 702 ter c.p.c. da parte della cancelleria, nonché l'inammissibilità ex art. 342 c.p.c. per l'omessa indicazione specifica delle parti dell'ordinanza che si assumono erronee, delle modifiche richieste alla ricostruzione del fatto e delle circostanze da cui deriverebbe la violazione della normativa; quanto al merito, l'appellata ha ritenuto la correttezza dell'ordinanza che ha rigettato la domanda per infondatezza ravvisandone le lacune probatorie (la (...) a prescindere dal criticabile contenuto, costituisce mero atto difensivo di parte) e ribadendo la regolarità della propria condotta nella gestione dei rapporti con il cliente, avendo correttamente applicato le condizioni contrattuali senza conteggiare poste e commissioni non pattuite, interessi ultralegali, anatocistici e/o comunque in misura tale da superare i tassi soglia usurari, inoltre, vi è incertezza nel comprendere sia quale sarebbe il rapporto bancario oggetto di doglianza, a volte indicato nel c/c n. 05/01/24941 e in altre nel c/c n. 387, sia quale somma venga pretesa in restituzione, se di Euro.62.502,82 quale credito derivante dalla perizia di parte o di oltre Euro.72.000 come si evince dalle conclusioni del ricorrente, considerando altresì l'erroneità dei criteri utilizzati dal CTP che non sono quelli indicati da (...) d'(...) non può essere accolta la richiesta di dichiarazione di nullità del ricorso ex art. 702 bis c.p.c., spettando tale facoltà ai sensi dell'art. 157 c.p.c. solo al resistente, comunque, il giudice dapprima ha accolto l'eccezione con provvedimento del 18.04.2019 e, dopo aver fissato il termine per l'integrazione, lette le memorie del ricorrente, ha ritenuto superata la pretesa nullità dell'atto introduttivo e ha deciso la causa nel merito: circostanza che si pone anche in contraddizione con le doglianze del motivo successivo in ordine alla mancata considerazione dell'atto integrativo, nonostante il quale perdura la genericità e confusione della domanda. A seguito di ordinanza del 6.02.2024, precisate le conclusioni con note di trattazione scritta come in epigrafe, la Corte ha trattenuto la causa in decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE (...) è infondato e non è meritevole di accoglimento. Occorre procedere, in primo luogo, all'esame della questione processuale, di natura pregiudiziale, sollevata da parte appellante, avente ad oggetto l'infondatezza dell'eccezione d'inammissibilità per tardività dell'appello notificato il (...), qualora si consideri quale dies a quo di riferimento la data di comunicazione dell'ordinanza decisoria (pubblicata il (...)) avvenuta a cura della cancelleria, essendo pacifico il rispetto del termine breve per impugnare in relazione alla notifica dell'ordinanza eseguita da parte resistente in data (...), non risultando in atti la prova del giorno in cui essa sia stata eseguita e non rilevando, comunque, in ragione del rigetto dell'appello nel merito per le argomentazioni di cui infra. Sempre preliminarmente va, altresì, rigettata l'eccezione ex art. 342 c.p.c. di inammissibilità in rito del gravame proposto, che non implica un giudizio avente ad oggetto la sua fondatezza, attenendo unicamente alla redazione delle argomentazioni a sostegno della domanda di riforma dell'ordinanza di primo grado ed imponendo che il gravame non sia meramente devolutivo, ma si esplichi in una richiesta di revisione della decisione in chiave critica delle argomentazioni del giudice a quo. La sollevata eccezione dev'essere disattesa anche alla luce dei principi affermati da Cass. SS.UU. n. 27199/2017 tenuto conto del fatto che l'appellante ha sufficientemente indicato e chiarito i capi dell'ordinanza che intende impugnare e i relativi motivi, idoneamente e comprensibilmente sviluppando la parte volitiva e quella argomentativa. La nuova formulazione dell'art. 342 c.p.c. non pare, infatti, comportare una significativa novità dei principi già in precedenza stabiliti in materia di specificità dei motivi d'appello, né la osservanza di particolari tecniche redazionali, dovendosi sempre tenere presente l'obiettivo della previsione che è quello di porre sia il giudice sia la parte appellata in grado di compiutamente conoscere le critiche svolte rispetto all'ordinanza, per quest'ultima al fine di poter esplicare il suo esercizio di difesa in merito. Che tali requisiti siano nella specie soddisfatti si evince dalla piena estrinsecazione del contraddittorio, essendo risultato che i motivi di appello sono stati inequivocabilmente e pienamente intesi dall'appellata. Passando allo scrutinio dei motivi di gravame, la difesa appellante critica il provvedimento impugnato nella parte in cui rigetta la domanda, peraltro andando oltre le stesse richieste pregiudiziali di parte appellata, anziché dichiarare la nullità del ricorso ovvero fissare con ordinanza non impugnabile l'udienza di cui all'art. 183 c.p.c., previo mutamento del rito da sommario ad ordinario; con i due motivi successivi, si duole dell'ordinanza nella parte in cui ritiene generica e confusa la domanda nella esposizione dei fatti costitutivi e poco identificabile la causa petendi (elementi questi che avrebbero dovuto condurre alla declaratoria della nullità della domanda e non al suo rigetto), nonché nella parte in cui reputa sussistere gli elementi di confusione ed indeterminatezza, ignorando il contenuto della memoria di precisazione e di integrazione della domanda medio tempore prodotta. La censura non coglie nel segno. Posta la manifesta omogeneità tematica di tali motivi, il loro esame può essere effettuato in modo congiunto. Si evince dalla lettura del materiale processuale in atti come il giudice di prime cure, dopo l'iniziale accoglimento dell'eccezione di nullità del ricorso introduttivo proposta dall'odierna parte appellata con ordinanza del 18.04.2019, ha poi superato la predetta eccezione a fronte del deposito, ad opera di parte ricorrente, delle note autorizzate contenenti le precisazioni ed integrazioni della domanda disposte a causa della genericità e lacunosità rilevate nell'esposizione dei fatti costituivi della domanda e, ritenendo di avere a disposizione tutti gli elementi necessari per la decisione del giudizio nel merito, vi ha provveduto senza dover disporre il mutamento del rito. Peraltro, oltre che contraddittoria, si rileva inammissibile l'invocata nullità del ricorso, non essendovi legittimata l'attuale appellante, in quanto "soltanto la parte nel cui interesse è stabilito un requisito può opporre la nullità dell'atto per la mancanza del requisito stesso" ponendo in tal modo il comma 2 dell'art. 157 c.p.c. sia un limite positivo, dovendo la nullità essere proposta dalla parte nel cui interesse è stabilito un requisito, la cui mancanza ha causato il vizio, sia un limite negativo, in quanto l'istanza non può essere proposta da chi ha causato la nullità (come nel caso in esame) o da chi ha rinunciato a farla valere. Va, inoltre, rilevato come il giudice di prima istanza non abbia "misteriosamente ignorato la precisazione e la specificazione che parte attrice ha dedotto negli scritti difensivi versati in atti" in merito al "sistema di rimborso nel mutuo (che lascia per anni inalterato il capitale) e del conto corrente (in cui si applica la commissione ma(...) scoperto e la capitalizzazione trimestrale degli interessi)", in quanto a pag. 2 dell'ordinanza è espressamente affrontata la questione del contratto di finanziamento stipulato in data (...) che, in primis, non risulta depositato nella sua interezza, in quanto si interrompe bruscamente a pag. 6 e, a detta di parte appellata non in contestazione, è costituito da n. 11 pagine in totale, non presenta l'allegazione del piano di ammortamento e neppure ha costituito oggetto di (...) sia pure nella sua limitata valenza probatoria, che invero ha avuto ad oggetto l'indagine del solo rapporto di c/c. Ebbene, le suddette circostanze sono state tutte già rappresentate dal giudice di prime cure che, alla luce del carente materiale probatorio a disposizione, non ha potuto che rigettare la domanda poiché non provata, non essendo tecnicamente possibile l'accertamento di quanto lamentato ("l'indeterminatezza del tasso e il sistema irrazionale, assolutamente penalizzante per la parte mutuataria in termini di applicazione dei tassi di interesse (rate mensili costanti di euro 500 che appaiono di soli interessi a fronte di un residuo all'ultima rata del quasi intero importo per capitale)" in mancanza di allegazione del piano di ammortamento, dal cui esame non può prescindersi per la redazione della CTU econometrica, che peraltro neppure è stata richiesta. Ad ogni buon conto, appare al Collegio la correttezza della tipologia di rimborso del contratto di finanziamento in esame, il cui piano di ammortamento con ma(...)i rata finale va catalogato tra quelli che seguono la modalità c.d. "alla francese", in cui all'inizio del periodo di rimborso l'importo della rata sarà costituita maggiormente dalla quota interessi mentre sarà ridotta la quota capitale e, con il trascorrere del piano, si avrà una decrescita della prima quota a sfavore della seconda, pertanto, quando prevista come nel caso di specie, la ma(...)i rata finale pertanto sarà costituita per lo più dal capitale residuo, mentre la quota di interessi risulterà irrisoria. Reputa il Collegio di poter condividere, al riguardo, l'orientamento giurisprudenziale maggioritario (cfr. Trib. (...) 30 marzo 2022; (...) Frosinone 30 marzo 2021; (...) Roma 8 febbraio 2021; (...) Padova 7 settembre 2021; (...) n. 12533/2020) che considera il piano di ammortamento c.d. "alla francese" non passibile di indeterminatezza del tasso d'interesse e compatibile con la disposizione prevista dall'art. 1283 c.c. in tema di divieto di anatocismo, in quanto strutturato con la previsione che il debitore rientri dalla propria esposizione debitoria mediante la corresponsione periodica di una rata costante (a differenza del piano di ammortamento c.d. alla italiana, che invece è a rata variabile), comprensiva di quota capitale, la cui incidenza rispetto al totale della singola rata aumenta nel tempo, più quota di interessi che, al contrario, si riduce a seguito del rimborso del capitale. Dall'omessa pattuizione del regime di capitalizzazione composta in luogo del regime di capitalizzazione semplice non deriverebbero conseguenze in punto di determinatezza o determinabilità dell'oggetto del contratto, né si porrebbero problemi in termini di violazione della c.d. trasparenza bancaria, poiché il cliente al quale viene consegnato il piano di ammortamento in allegato al contratto di mutuo potrebbe desumere comunque la modalità di ammortamento e, dunque, la composizione delle singole rate in cui viene frazionata nel tempo l'obbligazione restitutoria, costituendo il piano di ammortamento -e la relativa strutturazionela logica e naturale applicazione di quanto contrattualmente pattuito nelle condizioni economiche redatte per iscritto nel corpo del contratto e, dunque, conosciute e conoscibili ex ante dal cliente. Ed infatti, nel piano di ammortamento alla francese gli interessi del periodo sono calcolati sul solo capitale residuo, ossia il debito non ancora restituito, pertanto essi non potranno produrre altri interessi poiché resteranno separati dalla sorte capitale che sola, per sua natura, sarà produttiva di interessi: "la previsione di un piano di rimborso con rata fissa (ammortamento alla francese) non comporta violazione dell'art. 1283 c.c. poiché gli interessi vengono calcolati sul solo capitale residuo e alla scadenza della rata gli interessi maturati non vengono capitalizzati, ma sono pagati come quota di interessi della rata di rimborso. In altre parole, il sistema di calcolo nell'ammortamento a rata fissa non genera un effetto anatocistico, perché gli interessi corrispettivi sono calcolati unicamente sulla quota di capitale ancora dovuta e per il periodo di riferimento della rata, sì che non vi sono interessi "scaduti" che producono ulteriori interessi" (così Corte App. Venezia, sentenza 19 febbraio 2021). Tornando all'analisi dei motivi del presente gravame, l'adozione di una motivazione che presuppone lo scrutinio della domanda nel merito si rende, quindi, incompatibile con l'addebito rivolto al giudicante di non aver letto e di non aver considerato le precisazioni di cui alla memoria integrativa. Quanto, infine, alle doglianze attinenti al rapporto di c/c, l'allegazione dei soli scalari, peraltro prodotti per periodi ad intermittenza, non rende possibile alcuna fedele, né attendibile ricostruzione dell'andamento del conto, anche in considerazione della mancanza in atti dei contratti e degli estratti conto: di conseguenza, risultano inutilizzabili anche gli accertamenti eseguiti dalla CTP che, oltre alle carenze derivanti dal pressoché inesistente materiale probatorio, mostra di aver utilizzato criteri non condivisibili in quanto basati sulla formula della matematica finanziaria che, ai fini del calcolo del TEG e della verifica dell'eventuale sforamento della soglia di usura, non è coerente con la formula specifica utilizzata dalla (...) d'(...) "A riguardo, è opportuno evidenziare che non possono essere prese in considerazione ai fini del calcolo del TEG le (...) emanate dalla (...) d'(...) in quanto tale disposto (si ricorda che non è una normativa), emanata come (...) per la (...) del (...) ((...) praticato dalle banche ai sensi e per gli effetti della (...) 108/96, consta di due sezioni ..." (cfr. CTP pag. 13). Anche a parere di questa Corte territoriale, le rilevazioni compiute dalla (...) d'(...) rappresentano strumenti di basico supporto per i decreti trimestralmente emanati dal Ministero dell'(...) e delle (...) in punto di (...) in tal senso la costante giurisprudenza di legittimità, la quale è tornata ad occuparsi della portata giuridica degli atti e delle circolari della (...) d'(...) affermandone la piena legittimità poiché soggetti al rispetto delle norme di legge, costituzionale e ordinaria (cfr. Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, ordinanza n. 20464 del 28 settembre 2020). In considerazione del riscontrato quadro probatorio, la Corte rigetta l'appello e conferma in toto la sentenza di primo grado. Le spese di lite del grado seguono la soccombenza. In considerazione dell'integrale rigetto dell'appello, ricorrono i presupposti di cui all'art. 13, comma 1-quater DPR n. 115/2002, come modificato dall'art. 1, comma 17, della (...) 24 dicembre 2012, n. 228 (applicabile ratione temporis, essendo stato l'appello proposto dopo il 30 gennaio 2013) per il raddoppio del versamento del contributo unificato a carico dell'appellante (cfr. Cass. civile, sez. II, 5.02.2018, n. 2753). P.Q.M. La Corte, ogni diversa domanda, istanza, deduzione ed eccezione disattesa, definitivamente pronunciando sull'appello proposto da (...) avverso l'ordinanza ex art. 702 ter c.p.c. resa dal (...) di Macerata in data (...) nel procedimento n. (...)/2018 R.G., così provvede: - Rigetta l'appello proposto; - Conferma per l'effetto l'impugnato provvedimento; - Ai sensi dell'art. 13, co. 1-quater, D.P.R. 115/02, come modificato dalla L. 228/12, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell'appellanti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l'appello, a norma del co. 1 bis dello stesso art. 13; - Condanna parte appellante alla refusione delle spese processuali del grado di appello, che liquida in complessivi Euro.9.991 (di cui Euro.2.977 per studio controversia, Euro.1.911 per fase introduttiva ed Euro.5.103 per fase decisionale), oltre (...) CPA e rimborso spese forfettario al 15% sulle voci imponibili di legge ed oltre al rimborso delle spese vive documentate.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI COSENZA II SEZIONE CIVILE Il Tribunale, in persona del giudice monocratico, dott. (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. (...) del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi dell'anno 2020 vertente T R A (...) E C. (...) in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli Avv.ti (...) e (...) attore E (...) S.r.l, e per essa il suo procuratore (...) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. (...) convenuta (...) CONCLUSIONI: (...) Ragioni di fatto e di diritto La società (...) E C. (...) adiva l'intestato Tribunale e, previa sospensione dell'esecutorietà del contratto di mutuo n. (...)/0000, stipulato dal (...) il (...) (rep. (...), racc. (...)), chiedeva: " nel merito in via principale, disattesa e respinta ogni contraria istanza, per le ragioni di cui in narrativa, accogliere la presente domanda e per l'effetto, previa accertamento della mancata erogazione del mutuo, dichiarare l'inesistenza e/o invalidità del credito vantato dalla convenuta; - conseguentemente condannare parte convenuta alla restituzione di tutte le somme medio tempore incassate, in favore della attrice, oltre interessi e rivalutazione monetaria; - condannare, altresì, parte convenuta al risarcimento di tutti i danni cagionati per la illegittima esecuzione intrapresa, per l'illegittima ipoteca iscritta sui beni dei fideiussori terzi datori di ipoteca di gran lunga superiore al credito garantito, per il pignoramento e la violazione del diritto all'immagine della (...) attrice; in via subordinata, nella inverosimile e denegata ipotesi di mancata accoglimento delle precedenti domande, dichiarare l'invalidità e la nullità parziale del contratto di mutuo e conto corrente, particolarmente in relazione alle clausole di pattuizione degli interessi e agli interessi anatocistici ed al tasso ultralegale applicati, e, per l'effetto; a) determinare l'esatto dare avere tra le parti in base ai risultato del ricalcolo che verrà effettuato in sede di CTU tecnico bancaria e sulla base della documentazione in atti; b) condannare la convenuta alla restituzione di tutte le somme illegittimamente addebitate e/o riscosse, oltre interessi legali in favore dell'istante..." Nello specifico, deduceva che la convenuta aveva notificato atto di pignoramento immobiliare nei confronti dei terzi datori di ipoteca volontaria in ragione dell'asserita esposizione debitoria rinveniente dal contratto di mutuo n. (...)/0000, sottoscritto a mezzo atto pubblico per (...) il (...) (rep. (...), racc. (...)), debito tuttavia non esistente, in ragione della nullità del mutuo fondiario per mancata perfezionamento del contratto derivante dalla mancata consegna o accredito della somma mutuata di Lire 400.000.0000, e contratto sul convincimento che tale importo avrebbe azzerato l'esposizione debitoria emergente dal rapporto di conto corrente, poi transitato a sofferenza il (...), oltre a consentire una provvista di liquidità per la società; che, pertanto, a nulla valeva l'atto di erogazione e quietanza sottoscritto il (...), sottoscritto sulla base dell'errata rappresentazione della realtà che inficiava il valore confessorio del su menzionato atto di quietanza; che, in ragione dei versamenti eseguiti a patire dal 1998, emergeva un credito della società, al netto dei pagamenti da imputarsi al solo rapporto di conto corrente che, assunto il numero a sofferenza n. (...), era transitato nella prativa (...) che, tuttavia, inglobava anche il rapporto a sofferenza n. (...) riferito al mutuo suddetto. Eccepivano, altresì, la nullità degli addebiti a titolo di interessi usurari. Quanto al rapporto di conto corrente, eccepivano la nullità degli interessi ultra legali, l'illegittima capitalizzazione, l'usurarietà degli interessi e spese non pattuite, deducendo, ancora, che i versamenti a titolo di rimborso del mutuo andavano a comporre l'esposizione debitoria maturanda sul conto corrente, determinando l'illegittimo addebito anche degli interessi sull'extrafido calcolato sul captale comprensivo di interessi a titolo di muto e generando con ciò una duplicazione di poste passive a titolo di interessi. Si costituiva in giudizio la (...) S.r.l, che eccepiva la carenza di legittimazione con riguardo alle domande di restituzione, risarcimento e in generale per quelle aventi ad oggetto il rapporto, essendo cessionaria del credito; eccepiva la carenza di legittimazione con riguardo alle censure relative ai contratti di conto corrente, in quanto all'epoca della cessione del credito, avvenuta il (...), il debito ad essi riferito, risultava estinto, in particolare anche quello transitato dapprima nella prativa a sofferenza n. (...), con l'ultimo pagamento eseguito il (...); in ogni caso eccepiva la prescrizione della domanda di restituzione, essendo decorso il decennio dall'ultimo pagamento eseguito il (...). Infine, contestava tutte le doglianze sottese alla domanda di nullità del muto in ragione non solo dell'atto di quietanza, ma del successivo riconoscimento del debito del 8.11.1996 che smentivano in radice la tesi della mancata erogazione delle somme mutuate. Rigettate le richiesta di CTU contabile e prova orale all'udienza del 24.02.2023, le parti concludevano come da note scritte e la causa veniva trattenuta in decisione, previa assegnazione dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle relative repliche. Per il principio della ragione più liquida, le domande correlate al conto corrente devono essere respinte sulla base della soluzione di una questione assorbente, pur se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare prima tutte le altre secondo l'ordine previsto dall'art. 276 c.p.c. (Cass. civ., Sez. Un., 8 maggio 2014, n. 9936). Deve ritenersi assorbente, infatti, l'eccepita prescrizione della domanda di restituzione delle somme impiegate per ripianare l'esposizione debitoria rinveniente dai rapporti di conto corrente. Giova precisare che l'azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici ovvero altre nullità contrattuali maturate con riguardo ad un conto corrente, è soggetta all'ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell'ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi ovvero di altra rimessa illegittimamente addebitata, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi o la rimessa non dovuta sono state registrate; ciascun versamento infatti non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacché il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell'esecuzione di una prestazione da parte del solvens con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell'accipiens ((...) U, n. 24418 del 02/12/2010). E' stato chiarito anche che l'onere di allegazione gravante sull'istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l'eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l'azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da apertura di credito, è soddisfatto con l'affermazione dell'inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l'indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte (cfr. Cass. S.U. n. 15895/2019 e Cass. 19812/2022). Nel caso si specie, considerato che è pacifico che il saldo passivo del conto corrente n. 90 52 426 sia confluito nella pratica n. 4581 unitamente al debito derivante dal mutuo fondiario del 15.10.93, dunque chiuso il (...) dopo essere stato girocontato a sofferenza, anche a ritenere che il saldo della pratica a sofferenza n. (...) sia riconducibile in parte a tale posizione debitoria, perché non estinta con il versamento del 16.03.2001, ma esistente all'epoca della cessione del credito e dunque in titolarità della (...) non risultano provati pagamenti successivi al 17.08.2007. Considerato che il termine di interruzione della prescrizione deve individuarsi all'epoca dell'istanza di mediazione del 17.04.2019, la domanda di restituzione delle somme versate a ripianare il debito maturato anche del contratto di conto corrente deve ritenersi prescritto in 17.08.2017. Non si ritiene valevole ai fini dell'interruzione della prescrizione gli atti di opposizione al pignoramento spiegato da parte dei terzi datori di ipoteca volontaria, in quanto circoscritti a contestare i profili di nullità del solo contratto di mutuo (per vizio genetico e sopravvenuto in relazione alla dedotta usuraietà del tasso), senza alcun riferimento al diverso debito generato dal rapporto di conto corrente oggetto della presente controversia, difettando il requisito della pertinenza rispetto all'azione proposta. Ad analogie conclusioni si perviene anche rispetto al contratto di conto corrente n. (...), in quanto è la stessa parte attrice a dedurre che il detto rapporto risulta "chiuso con saldo 0 come risulta dagli atti" (cfr. all. 6) e nonostante la dedotta incertezza della data di chiusura, va osservato che l'ultimo movimento risale al 31.12.91 che riscontra un debito di Lire1.101.328. Perciò, non solo non viene dedotto nell'atto introduttivo che anche tale rapporto sia stato oggetto di cessione, ma anche ad accedere alle allegazioni contenute nella memora n. 1 ex art 183 c.pc., assume rilievo assorbente la circostanza che non risultano dimostrati pagamenti intervenuti nel decennio antecedente l'istanza di mediazione suddetta. Con riguardo, invece, alle censure sollevate dagli attori rispetto al contratto di mutuo stipulato con la (...) in data (...) per l'importo di Lire 400.000.000, parte attrice eccepisce il mancato perfezionamento del contratto, in difetto di consegna della somma mutuata, avuto riguardo alla documentazione prodotta, specie gli estratti conto, da cui non si riscontra alcun accredito della detta somma. Sul punto, va altresì, osservato che viene dedotto anche l'errore e la violenza in cui la parte sarebbe incorsa in sede di atto di erogazione e quietanza di pagamento del 13.12.1993, vizi che privano di efficacia confessoria il detto documento. La quietanza di pagamento e, quindi, anche quella relativa all'erogazione della somma mutuata, in quanto dichiarazione di fatti sfavorevoli alla parte che la rende diretta alla controparte, ha efficacia confessoria ai sensi del combinato disposto degli artt. 2733 comma 2 e 2735 c.c. e, quindi fa piena prova contro colui che l'ha resa, salva la eventuale revoca per errore di fatto o violenza (art. 2732 c.c.). In adesione all'orientamento espresso in proposito dalla S.C. (Cass., n. 5459 del 1998; Cass., n. 9368 del 2000; Cass., n. 15618 del 2004), l'istituto disciplinato dall'art. 2732 c.c. consiste nella invalidazione della confessione, la quale postula la dimostrazione, da parte del confitente, della inveridicità della dichiarazione e che la stessa fu determinata da errore o da violenza. Sul punto, viene dedotto sia l'errore sul fatto che la somma mutuata avrebbe ridotto l'esposizione debitoria nonché la violenza, quale prospettazione di un male ingiusto e notevole che sarebbe derivato dalla revoca di tutti gli affidamenti con ricadute in punto di liquidità. I capitoli di prova formulati non si ritengono utili a comprovare gli assunti di parte attrice, in quanto la circostanza n. 1) (che per comodità di lettura si riporta : (...) è che a fine dell'anno 1993 il direttore della (...) di (...) di (...) e di (...) di (...) della (...) ha chiesto al sig. (...) di rientrare del debito presente sul conto corrente della (...) e C. S.N.C., aperto presso la stessa (...) di (...) della (...) mediante l'erogazione di un mutuo fondiario, altrimenti avrebbe revocato il fido e chiuso i rapporti bancari anche dei familiari del sig. (...)) appare rivolta a dimostrare un vizio del consenso del mutuo e non ad invalidare la confessione. Tra l'altro, la conferma del detto capitolo non fornisce la prova della violenza ex art. 2732 c.c., in quanto la circostanza suddetta non dimostra la minaccia di un male ingiusto, non potendosi ritenere tale la prospettazione dei rimedi negoziali a fronte di una obbiettiva situazione debitoria. Quanto ai capp. 2 - 3 la circostanza è pacifica (quella relativa alla sottoscrizione del mutuo) e si appalesano inammissibili nella parte in cui chiede al teste un giudizio (cap. 2: "temendo la revoca dei fidi") ovvero irrilevante nella parte in cui si chiede di confermare il motivo della stipula (cap. 3. "per evitare che il fido concesso a ..(omissis)... venisse revocato"). Il cap. 4 (cfr. :"(...) che il (...) all'atto della sottoscrizione dell'atto di erogazione e quietanza il sottoscrittore, sulla scorta delle dichiarazioni del direttore, era erroneamente convinto che l'atto avrebbe avuto solo valenza formale essendo finalizzato a compensare il debito con la banca e che non sarebbe seguita una affettiva erogazione, quanto meno parzialmente") è volto a dimostrare un intimo convincimento e non una circostanza deponente nel senso dell'errore; peraltro, la conferma del detto capitolo non fornisce la prova dell'invocato vizio ex art. 2732 c.c., in quanto è indubbio che all'epoca della sottoscrizione del mutuo vi fosse una esposizione debitoria. Quanto al cap. 5) (cfr. "(...) che la somma di (...) 400.000.000 per cui (...) e C. S.N.C. in data (...) ha stipulato mutuo fondiario risulta non accreditata sul conto corrente di questi e mai consegnata dallo sportello dell'(...) per contanti o assegni)", trattasi di una circostanza da provarsi per via documentale ("risulta non accreditata sul conto corrente") che, tuttavia, non risulta, in quanto il primo estratto conto in atti successivo alla detta erogazione e riferito al conto 90 52 426 risale al 31.03.94, sicché non può escludersi che il saldo al 31.12.93 risenta della detta erogazione, in difetto, appunto, di prova contraria ricavabile dall'estratto conto del periodo di interesse. Peraltro, a smentire oltremodo la circostanza della mancata consegna della somma mutuata ("per contanti o assegni"), deve altresì rilevarsi che in data (...) parte attrice riconosceva il debito emergente anche dal contratto di mutuo e i capitoli di prova sopra richiamati non appaiono idonei a superare l'inversione della prova dell'avvenuto consegna del denaro. Il riconoscimento del debito suddetto conferma e rafforza la natura confessoria dell'atto di erogazione e quietanza del sottoscrittore, tanto più che il primo è intervenuto a distanza di quasi tre anni dalla stipula del contratto di mutuo cui esso specificamente si riferisce. Infine, i capitoli 6, 7 e 8 attengono a circostanze da provarsi documentalmente; il capitolo 9 deve ritenersi valutativo; i capitoli 10 e 11 riguardano circostanze riferite ad altri soggetti. Ritenuto, pertanto, di disattendere l'eccepita nullità del mutuo sotto il profilo del mancato perfezionamento del contratto, quanto alla diversa questione del vizio relativo all'usurarietà del tasso deve osservarsi che il contratto di mutuo e l'atto di erogazione e quietanza sono stati sottoscritti rispettivamente in data (...) e 13.12.1993, ovvero in epoca precedente all'entrata in vigore della legge n. 108/1996, non rilevando sul punto la pendenza del rapporto dopo l'entrata in vigore della detta normativa, difatti, ai fini dell'applicazione dell'articolo 644 c.p. e dell'articolo 1815, secondo comma, c.c., si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento, per come chiarito dalla norma di interpretazione autentica contenuta nell'art. 1, comma 1, del d.l. n. 394 del 2000 (conv., con modif., nella l. n. 24 del 2001). Parte attrice deduce l'usurarietà sopravvenuta, in ragione della variazione in aumento del tasso debitorio attraverso una illustrazione di calcoli che raffrontano il capitale residuo al netto dei versamenti intervenuti negli anni (da pag. 7 a pag. 23 dell'atto di citazione). Sul punto, appare assorbente il rilievo che qualora il tasso di interessi concordato tra le parti superi, in corso di rapporto, la soglia dell'usura come determinata ai sensi della l. 108/1996, non si verifica nullità o inefficacia della clausola di determinazione del tasso di interessi stipulata anteriormente all'entrata in vigore della suddetta legge o della clausola stipulata successivamente per tasso non eccedente tale soglia, quale risultante al momento della stipula. Pertanto, alla luce degli ultimi arresti della giurisprudenza di legittimità (S.U. del 19 ottobre 2017, n. 24675), alcuna rilevanza assume l'eventuale superamento dei tassi soglia in fase dinamica del rapporto. Assorbito ogni altro profilo. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M Il Tribunale, definitivamente pronunciando, assorbita e disattesa ogni diversa eccezione, così provvede: 1) Rigetta le domande; 2) condanna parte attrice alla rifusione delle spese di giudizio, in favore della convenuta, che liquida in Euro 5.431,00 per compensi ex DM. 55/2014, oltre rimborso forfettario, spese generali, IVA e (...)

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta da Dott. GIORDANO Emilia Anna - Presidente Dott. COSTANTINI Antonio - Consigliere Dott. ROSATI Martino - Relatore Dott. PATERNÒ RADDUSA Benedetto - Consigliere Dott. DI GERONIMO Paolo - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da Li.Lu., nato a B il (Omissis) avverso la sentenza del 15/06/2023 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bergamo; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Martino Rosati; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Antonietta Picardi, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 3 dicembre 2019, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bergamo ha applicato a Li.Lu. la pena da lui concordata con il Pubblico ministero a norma dell'art. 444, cod. proc. pen., in relazione ai delitti di usura ed estorsione, commessi tra febbraio 2018 e luglio 2019, altresì disponendo la confisca, ai sensi dell'art. 240-bis, cod. pen., della somma di 130.635 Euro, rinvenuta in contanti nella sua disponibilità. 1.1. La sentenza, da lui impugnata, è stata annullata con rinvio dalla Corte di cassazione (sentenza n. 23369 del 20 luglio 2020), poiché ritenuta priva di effettiva motivazione giustificativa della confisca. 1.2. Con sentenza del 15 giugno 2023, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bergamo, quale giudice del rinvio, ha confermato la relativa statuizione, ritenendo sproporzionata quella disponibilità liquida rispetto ai modesti redditi dichiarati dal condannato ed insufficiente la documentazione da lui allegata a giustificazione della legittima provenienza della stessa. 2. Impugna tale decisione l'interessato, con atto del proprio difensore, lamentandone la contrarietà al disposto dell'art. 240-bis, cod. pen., ed il vizio della motivazione. Ribadisce, infatti, la provenienza lecita di detta somma, documentata dalle contabili bancarie prodotte in giudizio ed attestanti prelievi di contanti in misura anche superiore a quella; nonché la proporzione della stessa rispetto ai redditi familiari, considerando che l'utile dichiarato delle aziende di famiglia, negli anni dal 2015 al 2022, è stato pari a 2.225.088 Euro. Contesta, inoltre, la contraddittorietà tra le predette allegazioni difensive (documentazione bancaria e dichiarazioni dei redditi), che invece parrebbe evidenziare la sentenza impugnata, deducendo che tali produzioni sono coerenti nel dimostrare la riferibilità di dette somme al nucleo familiare e la provenienza di esse dalle attività economiche dello stesso. 3. Ha depositato requisitoria scritta il Procuratore generale, concludendo per l'inammissibilità del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il motivo di ricorso è inammissibile, perché generico e volto essenzialmente ad ottenere una rivalutazione del materiale probatorio, non consentita al giudice di legittimità. 2. Il ricorso, infatti, si risolve nella riproposizione degli argomenti già rassegnati al primo giudice, essenzialmente, cioè, nella valorizzazione delle produzioni difensive (contabili bancarie, dichiarazioni dei redditi ed informazioni rese dai genitori del Li.Lu. in sede di investigazioni difensive), senza alcun rilievo critico alle argomentazioni con le quali la sentenza impugnata le ha svalutate. La motivazione della decisione, peraltro, si presenta lineare e persuasiva sul piano logico, avendo evidenziato come la documentazione bancaria si riferisse a prelievi di contanti effettuati dalla madre dell'imputato dodici anni prima del rinvenimento della somma, risultando perciò inconferente; come l'ammontare, le modalità di occultamento e la composizione di detta somma (oltre 130.000 Euro, stipati all'interno di un garage dell'officina meccanica di famiglia, ripartiti tra varie buste e composti anche da banconote di medio e piccolo taglio) non fossero congruenti con una provenienza lecita ed una destinazione alle ordinarie esigenze di vita; come le dichiarazioni testimoniali dei genitori del Li.Lu. non fossero decisive, provenendo da soggetti comunque interessati all'esito del giudizio; e come, infine, l'imputato, nel periodo dal 2015 al 2019, epoca di commissione dei reati, avesse dichiarato al Fisco reddito zero. 3. A tali considerazioni va aggiunto che, ove mai si volesse sostenere la titolarità altrui di quella somma, il ricorso del Li.Lu. risulterebbe comunque inammissibile, per un chiaro difetto di legittimazione - e quindi d'interesse - all'impugnazione. 4. All'inammissibilità dell'impugnazione consegue obbligatoriamente - ai sensi dell'art. 616, cod. proc. pen. - la condanna del proponente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d'inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in tremila Euro. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 4 aprile 2024. Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI NAPOLI SEZIONE IIIA CIVILE in composizione collegiale, nelle persone di: Dott.ssa Maria Di Lorenzo Presidente Dott.ssa Regina Marina Elefante Consigliere Dott. Fernando Amoroso Giudice Ausiliario Rel./Est. ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al numero (...) del ruolo generale, promossa da (...) rappresentati e difesi dall'Avv. (...) presso cui studio, in (...) sono elettivamente domiciliati; APPELLANTI contro (...) S.p.A. (C.F.: (...) in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. (...) presso (...) studio, elettivamente domiciliata; e nei confronti di (...) S.r.l. (C.F.: (...) in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. (...) (C.F.: (...) presso studio, in (...) è elettivamente domiciliata; APPELLATE Avverso la sentenza n. (...) del G.U. del Tribunale di (...) pubblicata in (...) e non notificata. RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. È impugnata, con atto di citazione notificato il (...) la sentenza evidenziata in epigrafe, con la quale il G.U. del Tribunale di (...) adito dagli odierni appellanti, in parziale accoglimento della domanda attorea, ha condannato la convenuta (...) S.p.A. (ora (...) S.p.A.) alla ripetizione della complessiva somma (...) a titolo di illegittime poste passive addebitate in C/C, ritenendo così assorbito il rigetto della domanda riconvenzionale spiegata dall'Istituto di credito e diretta alla condanna degli attori al pagamento del saldo banca, pari a complessivi euro (...). Dichiarata l'inammissibilità dell'intervento spiegato da (...) S.r.l., quale cessionaria del credito rinveniente da rapporto di finanziamento, pur dedotto in lite dagli attori, il Tribunale ha rigettato la domanda di questi ultimi, diretta alla declaratoria di nullità per usura e anatocismo, integrato dall'ammortamento alla francese. In ultimo, ha integralmente compensato tra le parti le spese di lite. 2. Con il gravame, affidato a cinque ordini di motivi, gli appellanti lamentano erronea quantificazione delle somme dovute a titolo di ripetizione, dal momento che al saldo a credito del correntista accertato dal CTU e pari alla somma oggetto di condanna della Banca convenuta, dovrebbe sommarsi l'importo di Euro (...) a titolo di ripetizione delle somme rinvenienti dalla illegittima escussione dei titoli concessi in pegno dalla (...) a garanzia della esposizione in testa a (...) (primo motivo); omesso azzeramento del saldo iniziale del rapporto di C/C, dal momento che la Banca si era resa inadempiente all'ordine di esibizione di tutti gli estratti conto (secondo motivo); erroneo rigetto della domanda inerente al rapporto di finanziamento (terzo motivo); omessa pronuncia in ordine alla domanda di risarcimento del danno conseguente alla illegittima segnalazione in CR dei debitori (quarto motivo); omessa pronuncia in ordine alla domanda di nullità ed inesistenza del rapporto fideiussorio con la (...) (quinto motivo). Con ulteriore profilo di censura, gli appellanti lamentano erronea compensazione integrale delle spese di lite. 2.1. Hanno resistito le appellate. Vinte le spese del grado. 2.2. All'udienza del (...) sulle conclusioni rassegnate dai procuratori delle parti, la causa veniva introitata a sentenza, con assegnazione di termini di cui all'art. 190 per il deposito di conclusionali e repliche. 3. Il primo motivo è inammissibile. 3.1. Il Tribunale, ritenuta l'illegittimità dell'anatocismo e della c.m.s. applicati al C/C dedotto in lite, ha dichiaratamente aderito alla terza ipotesi di calcolo operata dal CTU (senza capitalizzazione interessi e c.m.s., ma con saldo di partenza pari a quello esposto dalla Banca al (...) condannando l'Istituto di credito convenuto alla ripetizione della complessiva somma di euro (...) 3.2. Assumono gli appellanti che a siffatto importo il Tribunale avrebbe dovuto aggiungere la sommatoria del controvalore dei titoli concessi in pegno dalla (...) escussi dalla Banca, indicata dallo stesso CTU in un importo complessivo di Euro (...). 3.3. Trascura, tuttavia, parte appellante che lo stesso Tribunale ha bollato di tardività la domanda di ripetizione conseguente l'escussione del pegno, "trattandosi di una pretesa restitutoria diversa da quella di rideterminazione del saldo del conto corrente e che non può farsi rientrare in quella tempestivamente azionata nel presente giudizio" (V. pagg. 9 e 10 della sentenza impugnata). 4. Più complessa è la disamina della tematica oggetto del secondo motivo di gravame, con il quale gli appellanti lamentano, in estrema sintesi, omesso azzeramento del saldo iniziale del C/C, dal quale, invece, ha preso le mosse il CTU nella articolazione della terza ipotesi di calcolo, poi recepito dal Tribunale. 4.1. Il motivo è fondato, sebbene per le differenti (rispetto alla censura veicolata con il motivo di gravame) ragioni che qui di seguito si precisano. 4.2. Parte appellante, infatti, fa carico al Tribunale di aver omesso di valutare fatto decisivo, rappresentato dalla inottemperanza della Banca convenuta all'ordine di esibizione, ex art. 210 c.p.c., di tutti gli estratti di C/C, a far data dalla sua accensione (...) avendo gli attori prodotto il primo estratto conto risalente (...) La conseguenza di simile comportamento processuale, assunto dalla Banca convenuta, avrebbe comportato - secondo la tesi attorea -l'azzeramento del primo saldo di C/C prodotto dagli stessi attori. 4.3. Mette conto, anzitutto, evidenziare che la controversia è sorta con la domanda di (...) e del suo garante, (...) diretta ad ottenere, previa declaratoria di nullità di alcune clausole negoziali contenute nel contratto di C/C intrattenuto dal primo con (...) S.p.A. - oggi (...) S.p.A. (concernenti la determinazione dell'interesse ultralegale mediante rinvio ad "uso piazza", l'applicazione delle commissioni di massimo scoperto, la capitalizzazione trimestrale degli interessi, le modalità di tenuta del conto in riferimento ai giorni di valuta, la determinazione del tasso annuo effettivo globale con riferimento alle legge sull'usura), l'esatta quantificazione del rapporto di dare-avere in base ai risultati del ricalcolo da eseguire a mezzo consulenza tecnico-contabile e, per l'effetto, la condanna della Banca alla restituzione delle somme illegittimamente addebitate e/o riscosse. Costituendosi in giudizio, (...) S.p.A., oltre a resistere alle avverse pretese, propose domanda riconvenzionale volta ad ottenere la condanna di controparte al pagamento, in suo favore, della somma di Euro (...) portata dall'estratto conto certificato ex art. 50 del D.L.vo n. 385 del 1993 (Testo Unico in materia bancaria). 4.4. Il Tribunale, con la sentenza della cui impugnativa trattasi, ha ritenuto, in relazione alla determinazione del riparto degli oneri probatori concernenti la produzione integrale degli estratti conto, che, secondo i principi ormai consolidati in giurisprudenza, se ad agire per la ripetizione dell'indebito sia il correntista, previa la rideterminazione del saldo, sulla scorta dell'invocata nullità di talune clausole contrattuali che avevano condotto a quel saldo, l'onere probatorio -consistente nella produzione degli estratti conto - non può che gravare, in ossequio ai principi dettati dall'art. 2697 c.c., sullo stesso correntista, con la conseguenza che, qualora gli estratti siano prodotti a far data da un certo momento del rapporto, in cui vi siano appostazioni negative, in mancanza di diversa prova, occorre prendere a riferimento, ai fini dell'effettuazione della c.t.u., proprio quel saldo. 4.5. Il principio richiamato dal Tribunale è stato ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità (ex multis e tra le più recenti, Cass. n. 30789/2023); con la conseguenza che, in mancanza di taluni estratti di conto corrente, il correntista perde la possibilità di dimostrare il fondamento della domanda di restituzione di danaro da lui dato alla banca (per effetto di addebiti da questa operati) nel solo periodo di tempo compreso fra l'inizio del rapporto e quello cui si riferiscono gli estratti di conto corrente depositati. Ed invero, Cass. n. 10025/2023 ha significativamente puntualizzato che "L'onere - ed. dovere libero, che risponde alla figura logica dell'imperativo ipotetico, se vuoi a), devi b) - è l'imposizione di una condotta per la realizzazione di un interesse proprio di colui che, essendone titolare, lo fa valere in giudizio. La prova dell'indebito, pertanto, può darsi anche producendo solo una parte degli estratti conto ed utilizzando altri mezzi come la c.t.u., secondo l'insindacabile accertamento in fatto del giudice di merito. Ma è evidente che, in tal caso, la somma dovuta dalla banca sarà di importo corrispondente a quello provato"; ben potendo il giudice accertare, di regola mediante consulenza tecnica d'ufficio, se vi siano addebiti alla banca non dovuti, secondo la prospettazione dell'attore, in quanto risultanti dagli estratti di conto da questi depositati. 4.5.1. La Corte di legittimità, dunque, è costante nell'affermare che il mancato adempimento, da parte dell'attore correntista, all'onere di dare prova, mediante deposito degli estratti periodici di conto, tanto dei pagamenti che dell'assenza di valida causa debendi in riferimento ad un determinato periodo di durata del rapporto, non comporta punto che, per il periodo successivo, in cui i pagamenti risultano invece documentati da tali estratti il primo dei quali evidenziante un saldo a debito del cliente in riferimento al periodo precedente di svolgimento del rapporto (non documentato), si debba partire da un saldo pari a zero (sul semplice rilievo dell'artificiosa amputazione, priva di base normativa, dell'andamento di rapporto nel tempo effettivamente svoltosi); dovendo, invece, il sollecitato accertamento del dare e dell'avere fra le parti del cessato rapporto essere effettuato dal giudice di merito partendo dal primo saldo a debito del cliente documentalmente riscontrato dall'attore ovvero dall'adempimento della banca a ordine di esibizione a lei impartito dal giudice di merito (Cass. n. 30789/2023, cit.). 4.5.2. E' la stessa Corte di legittimità ad aver puntualizzato, tuttavia, che, nel giudizio che vede contrapposti una banca ed il suo cliente quanto al pregresso loro rapporto di conto corrente bancario, la ripartizione fra le parti dell'onere della prova (art. 2697 c.c.) impone, quando la banca vanta un credito derivato dal saldo finale di segno negativo di tale rapporto, la rideterminazione di tale saldo finale mediante la ricostruzione dell'intero andamento del rapporto, sulla base degli estratti conto a partire dalla sua apertura, non potendo ritenersi provato il credito in conseguenza della mera circostanza che il correntista non abbia formulato rilievi in ordine alla documentazione, incompleta, in giudizio depositata dalla banca (Cass. n. 35979/2022). In particolare, si è precisato che, nei rapporti bancari di conto corrente, ove alla domanda principale diretta al pagamento del saldo del rapporto, proposta dalla banca, si contrapponga la domanda riconvenzionale del correntista di accertamento del saldo e di ripetizione dell'indebito, ciascuna delle parti è onerata della prova delle operazioni da cui si origina il saldo, con la conseguenza che la mancata documentazione di una parte delle movimentazioni del conto, il cui saldo sia a debito del correntista, non esclude una definizione del rapporto di dare e avere fondata sugli estratti conto prodotti da una certa data in poi: la mancata produzione degli estratti conto assume, infatti, una colorazione neutra sul piano della ricostruzione del rapporto di dare e avere e giustifica, come tale, un accertamento del saldo di conto corrente che non è influenzato dalle movimentazioni del periodo non documentato. Invero, proprio in quanto ognuna delle parti assume la veste di attore all'interno del giudizio, è inconcepibile che l'una e l'altra possano giovarsi delle conseguenze del mancato adempimento dell'onere probatorio della controparte, sicché, ove manchi la prova delle movimentazioni del conto occorse nel periodo iniziale del rapporto, il correntista non potrà aspirare al rigetto della domanda di pagamento della banca, ma, nel contempo, quest'ultima non potrà invocare, in proprio favore, l'addebito della posta iniziale del primo degli estratti conto prodotti (Cass. n. 22276/2023). Ed invero, "il criterio del ed. saldo zero, che consente, nel caso in cui la mancata produzione di parte degli estratti conto impedisca di ricostruire l'intero andamento del rapporto, di determinare il saldo finale considerando pari a zero il saldo iniziale del primo degli estratti conto prodotti, è utilizzabile, in quanto più sfavorevole alla banca, soltanto nel caso in cui il giudizio sia stato promosso dalla stessa, e non possa provvedersi all'accertamento del dare e dello avere sulla base di altri mezzi di prova idonei a fornire indicazioni certe e complete in ordine al saldo maturato all'inizio del periodo documentato, ovvero sulla base di ammissioni compiute dal correntista, idonee ad escludere quanto meno che, con riferimento al periodo non documentato, egli abbia maturato un credito d'imprecisato ammontare" (Cass. n. 25417/2023). 4.6. Sotto altro profilo, in presenza di contrapposte domande (di ripetizione dell'indebito e di pagamento del saldo banca), l'Istituto di credito ed il correntista sono onerati della dimostrazione dei fatti rispettivamente posti a fondamento delle loro domande e/o eccezioni, tanto costituendo evidente applicazione del principio sancito dall'art. 2697 c.c. È innegabile, infatti, che, ove alla domanda della banca diretta al pagamento del saldo del conto si contrappongano le pretese del correntista di rideterminazione di quel saldo, depurato dagli importi asseritamente non dovuti (per capitalizzazione indebita, interessi ultralegali e/o usurari, commissione di massimo scoperto etc.), e di ripetizione di indebito, il reciproco onere probatorio deve trovare concreta attuazione in modo tale da scongiurare, ove possibile, il risultato di ritenere che, nell'ambito della medesima causa, il saldo da prendere in considerazione (la cui determinazione costituisce, come appare intuitivo, il sostrato comune delle contrapposte istanze) possa essere diverso a seconda che si valuti la domanda di una o dell'altra parte; parimenti, occorre evitare di gravare una delle parti dell'onere di dimostrare l'eventuale insussistenza di un credito o di un minor debito dell'altra. 4.6.1. Nei rapporti di C/C, una volta esclusa la validità della pattuizione di interessi ultralegali o anatocistici a carico del correntista (oppure la non debenza di commissioni di massimo scoperto o, ancora, il non corretto calcolo dei giorni valuta) e riscontrata la mancanza di una parte degli estratti conto, l'accertamento del dare ed avere può attuarsi con l'impiego anche di ulteriori mezzi di prova idonei a fornire indicazioni certe e complete che diano giustificazione del saldo maturato all'inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto stessi (Cass. n. 22290/2023). Questi ultimi, infatti, non costituiscono l'unico mezzo di prova attraverso cui ricostruire le movimentazioni del rapporto. Gli estratti conto consentono di avere un appropriato riscontro dell'identità e della consistenza delle singole operazioni poste in atto; tuttavia, in assenza di un indice normativo che autorizzi una diversa conclusione, non può escludersi che l'andamento del conto possa accertarsi avvalendosi di altri strumenti rappresentativi delle intercorse movimentazioni. In tal senso, allora, a fronte della mancata acquisizione di una parte dei citati estratti, si potrà valorizzare altra e diversa documentazione, quale le contabili bancarie riferite alle singole operazioni, oppure, giusta gli artt. 2709 e 2710 c.c., le risultanze delle scritture contabili o, ancora, gli estratti conto scalari (Cass. n. 35921/2023), ove il CTU eventualmente nominato per la rideterminazione del saldo del conto ne disponga nel corso delle operazioni peritali. Parimenti, si può attribuire rilevanza alla condotta processuale delle parti e ad ogni altro elemento idoneo a costituire argomento di prova, ai sensi dell'art. 116 c.p.c. 4.6.2. In quest'ottica, dunque, potrà certamente trovare applicazione anche il criterio dell'azzeramento del saldo o del ed. saldo zero, il quale, pertanto, altro non rappresenta che uno dei possibili strumenti attraverso il quale può esplicitarsi il meccanismo della ripartizione dell'onere probatorio tra le parti sancito dall'art. 2697 c.c. "Ne consegue che se la banca agisca in giudizio per il pagamento dell'importo risultante a saldo passivo ed il correntista chieda, a sua volta, la rideterminazione del saldo, concludendo o per la condanna dell'istituto di credito a pagare in proprio favore o per l'accoglimento della domanda di quest'ultimo in misura inferiore rispetto a quella originariamente formulata, l'eventuale carenza di alcuni estratti conto o, comunque di altra documentazione che consenta l'integrale ricostruzione dell'andamento del rapporto, comporta che: I) per quanto riguarda la banca, il calcolo del dovuto potrà farsi: l-a) nell'ipotesi in cui non ci sia in atti documentazione che risalga all'inizio del rapporto (ricordandosi, in proposito, che la banca non può sottrarsi all'assolvimento di un tale onere invocando l'insussistenza dell'obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni, perché non si può confondere l'onere di conservazione della documentazione contabile con quello di prova del proprio credito), azzerando il saldo di partenza del primo estratto conto disponibile (ove quest'ultimo non coincida, appunto, con il primo estratto del rapporto) e procedendo, poi, alla rideterminazione del saldo finale utilizzando la completa documentazione relativa al periodo successivo fino alla chiusura del conto (o alla data della domanda); l-b) laddove manchi documentazione riguardante uno o più periodi intermedi, azzerando i soli saldi intermedi: intendendosi, con tale espressione, che non si dovrà tenere conto di quanto eventualmente accumulatosi nel periodo non coperto da documentazione, sicché si dovrà ripartire, nella prosecuzione del ricalcolo, dalla somma che risultava a chiusura dell'ultimo estratto conto disponibile (la banca, cioè, perde solo quello che si sarebbe accumulato nel periodo non coperto dagli estratti conto mancanti, sicché il dato finale risulterà abbattuto di quella somma); II) per quanto riguarda, invece, il correntista che lamenti l'illegittimo addebito di importi non dovuti (per anatocismo, usura, pagamento di interessi ultralegali non pattuiti per iscritto, commissioni di massimo scoperto etc.) e ne chieda la restituzione, egli si trova, in realtà, in posizione praticamente analoga a quella della banca, atteso che il calcolo del dovuto potrà farsi tenendo conto che: ll-a) nell'ipotesi in cui non ci sia in atti documentazione che risalga all'inizio del rapporto, egli o dimostra l'eventuale vantata esistenza di un saldo positivo in suo favore, o di un minore saldo negativo a suo carico (ma, in tal caso, la corrispondente documentazione vale per entrambe le parti, per il congegno di acquisizione processuale), o beneficia comunque dell'azzeramento del saldo di partenza del primo estratto conto disponibile (ove quest'ultimo non coincida, appunto, con il primo estratto del rapporto) e della successiva rideterminazione del saldo finale avvenuta utilizzando la completa documentazione relativa al periodo successivo fino alla chiusura (o alla data della domanda); ll-b) laddove manchi documentazione riguardante uno o più periodi intermedi, anche in tal caso, egli, se sostiene che in quei periodi si è accumulata una somma a suo credito o un minore importo a suo debito per effetto, ad esempio di anatocismo e/o usura e/o pagamento di interessi ultralegali non pattuiti e/o commissioni di massimo scoperto non concordate, lo deve provare, producendo la corrispondente documentazione che, in tal caso, però, nuovamente sarà utilizzabile anche per la controparte, sempre per il congegno di acquisizione processuale. Altrimenti, beneficerà del meccanismo di azzeramento del/i saldo/i intermedio/i nel significato in precedenza chiarito, con l'evidente risultato che la Banca, per quel/quei periodo/i, non ottiene niente ed il correntista, per lo stesso o gli stessi periodi, nulla recupera. Questi, cioè, è come se non ci fossero, posto che nessuno ha provato che cosa sia successo. Con la conseguenza che l'estratto conto immediatamente successivo, e tutti i successivi ancora, devono essere corretti ricollegando l'ultimo saldo disponibile al primo saldo in cui ricominciano ad essere presenti gli estratti conto. In questo modo, dunque, il problema del rischio di due saldi difformi viene meno e, in buona sostanza, il meccanismo dell'azzeramento (anche di quello, prima definito intermedio, per eventuali intervalli temporali in cui mancano gli estratti conto) funziona allo stesso modo sia perla banca che perii correntista" (Cass. n. 1763/2024). 4.7. In applicazione dei richiamati principi di legittimità, la sentenza impugnata non è conforme a diritto nella parte in cui non ha inteso privilegiare la quarta ipotesi di calcolo, con la quale il CTU, muovendo dal saldo zero iniziale, ha quantificato l'importo a credito in complessivi Euro (...) cui devono aggiungersi ulteriori per interessi a credito, e così complessivamente (...) al quale importo va condannata la Banca appellata in favore dell'appellante. 5. Infondato è il terzo motivo, con il quale l'appellante si duole del rigetto della domanda attorea relativamente al finanziamento, diretto - si assume - all'estinzione della pregressa debitoria risultante, alla data di accensione, sul C/C, il cui saldo, invece, all'esito dell'indagine peritale, è risultato essere a credito per il correntista. La censura investe la vexata quaestio inerente alla legittimità o meno della causa del c.d. mutuo solutorio. La Sezione ha avuto plurime occasioni per richiamare l'orientamento di legittimità (V., da ultimo, Cass. n. 23149/2022), secondo il quale il mutuo stipulato per ripianare un debito pregresso del mutuatario verso il mutuante non è nullo. Esso, infatti, non è contrario né a norme di legge né all'ordine pubblico, posto che il pagare i propri debiti è - esso sì - principio di ordine pubblico. La Suprema Corte, nel recente arresto, prendendo espressamente le distanze da Cass. n. 1517/2021, ha richiamato il consolidato orientamento di legittimità, per ribadire che: "-) il mutuo solutorio non è nullo, perché "il ripianamento della passività costituisce in definitiva una possibile modalità di impiego dell'importo mutuato" (Sez. 3 -Ordinanza n. 37654 del 30/11/2021, Rv. 663324 -01); -) deve ritenersi "superato ii precedente indirizzo" secondo cui il mutuo solutorio è un contratto simulato oppure illecito; "il ricorso al credito come mezzo di ristrutturazione del debito è previsto dalla stessa normativa vigente, che a mezzo degli artt. 182-bis e 182-quater della legge fall." (Sez. 1 -, Ordinanza n. 4694 del 22/02/2021, Rv. 660570 - 01); -) il negozio lesivo dei diritti o delle aspettative dei creditori non può considerarsi di per sé illecito dal momento che, a tutela di chi risulti danneggiato da tale atto negoziale, l'ordinamento appresta rimedi speciali e la sanzione dell'inefficacia (cfr. Cass., Sez. Ili, 31/10/2014, n. 23158; Cass., Sez. Il, 11/10/2013, n. 23158; Cass., Sez. I, 4/10/2010, n. 20576); -) la violazione di una norma imperativa non dà luogo necessariamente alla nullità del contratto (Sez. 1 - Ordinanza n. 4694 del 22/02/2021, Rv. 660570 - 01); -) il perfezionamento del contratto di mutuo, con la consequenziale nascita dell'obbligo di restituzione a carico del mutuatario, si verifica nel momento in cui la somma mutuata, ancorché non consegnata materialmente, sia posta nella disponibilità del mutuatario medesimo, non rilevando, a detto fine, che il contratto abbia le caratteristiche del mutuo ed. di scopo, nel quale sia previsto l'obbligo di utilizzare quella somma ad estinzione di altra posizione debitoria verso il mutuante. (Sez. 1, Sentenza n. 1945 del 08/03/1999, Rv. 523924 - 01)" (Cass. n. 23149/2022, cit.). 6. Infondato, quando non inammissibile, è, pure, il quarto motivo di gravame, con il quale gli appellanti denunciano omessa pronuncia in ordine alla illegittima segnalazione a sofferenza, attesa la sussistenza di un credito in favore (...). Il Tribunale, contrariamente a quanto opposto dagli appellanti, non ha affatto omesso pronuncia in ordine alla domanda attorea, ma ha rilevato che "Le pretese risarcitone avanzate dall'attore in relazione al danno patrimoniale e non patrimoniale subito in conseguenza all'indebita percezione di interessi e competenze non dovute da parte della banca e per l'illegittima segnalazione alla centrale rischi, non sono meritevoli di accoglimento non essendo puntualmente allegati e neppure provati i danni asseritamente subiti. Invero, sia il danno patrimoniale che non patrimoniale, costituendo pur sempre danni -conseguenza, devono essere specificamente allegati e provati ai fini risarcitori, non potendo mai considerarsi in re ipsa. Neppure si potrebbe procedere ad una complessiva liquidazione in via equitativa, dovendo aggiungersi, ai principi fin qui delineati, quello secondo cui, pur se l'art. 1226 c.c. conferisce al giudice l'esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa; tuttavia, tale esercizio presuppone che sia provata l'esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile, per la parte interessata, provare il suo preciso ammontare (Cass. Civ., Sez. Il, 15 ottobre, n. 23346), condizioni anche in tale caso carentr (V. pag. 12 della sentenza impugnata). 7. Il quinto motivo, con il quale l'appellante (...) denuncia omessa pronuncia in ordine all'eccezione di nullità e/o inesistenza del dedotto rapporto di garanzia fideiussoria, è inammissibile, per carenza di interesse (quanto al rapporto di C/C), e manifestamente infondato, con riferimento al rapporto di finanziamento. In particolare, assume l'appellante che, in realtà, le obbligazioni principali (...) erano garantite dai titoli concessi in pegno e non già da fideiussione, il cui contratto non era stato prodotto dalla Banca convenuta ed odierna appellata. Osserva tuttavia, il Collegio che, quanto alla garanzia prestata a copertura del rapporto di C/C, l'accertato credito in favore del debitore principale, ha fatto venir meno l'interesse del garante a qualsivoglia pronuncia con riferimento alla natura del rapporto tra la (...) e la Banca garantita. Con riferimento, invece, al finanziamento, risulta prestata dall'appellante una garanzia specifica, per come è dato desumere dal rilievo contenuto in sentenza: "in data (...) il (...) erogava finanziamento n. (...) l'importo di (...) con ammortamento alla francese e a garanzia veniva rilasciata fideiussione da (...) (V. pag. 2 della sentenza impugnata). 8. Quanto alle spese, la reciproca soccombenza, posta alla base della integrale compensazione inter partes nella impugnata pronuncia, deve ritenersi sostanzialmente paritaria, anche per il presente grado di giudizio, così giustificandosi, in ultimo, il rigetto anche dell'ulteriore profilo di censura, con il quale gli appellanti reclamano la condanna della Banca appellata al pagamento di quota parte di dette spese. Stessa sorte con riferimento all'appellata (...) S.r.l., evocata nel presente grado ai soli fini della integrazione del litisconsorzio necessario processuale e tenuto conto, altresì, dell'assenza di gravame incidentale diretto a porre in discussione la declaratoria di inammissibilità dell'originario intervento spiegato dalla odierna appellata nel giudizio a quo. P.Q.M. La Corte d'Appello di Napoli, terza sezione civile, definitivamente pronunciando sull'appello proposto, con atto notificato il da (...) e (...) nei (...) di (...) S.p.A. e di (...) S.r.l., avverso la sentenza n. (...) del G.U. del Tribunale (...) così provvede: - in accoglimento del secondo motivo di gravame ed in parziale riforma della sentenza impugnata, condanna (...) S.p.A. al pagamento, in favore dell'appellante (...) della complessiva somma di oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo; - conferma nel resto l'impugnata sentenza e compensa integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio. Così deciso, in Napoli, nella Camera di Consiglio

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di PESCARA OBBLIGAZIONI E CONTRATTI CIVILE in composizione monocratica in persona del Giudice dott. Federico Ria ha pronunciato la seguente SENTENZA nella controversia civile in primo grado, iscritta al nr. 4012/21 R.A.C.C., vertente TRA (...) in persona dell'A.U. (...), con sede legale in (...) alla (...) difesa e rappresentata, congiuntamente e disgiuntamente, dall'Avv. (...), ed elett.te dom.ta presso e nei loro indirizzi di pec, giusta procura special in atti OPPONENTE CONTRO (...), con sede in (...), iscritta nel registro delle Imprese di (...), stesso numero di codice fiscale, iscritta all'Albo delle Banche e Capogruppo del (...), iscritta all'Albo dei Gruppi Bancari, Codice Banca 1030.6, Codice Gruppo 1030.6, in persona del Dott. (...) nella sua qualità di Deliberante con funzione "(...)" (livello di procura E5) e come tale rappresentante della (...) medesima, ai sensi della delibera del C.d.A. della (...), giusta procura per Notar (...) di (...) in data 15.06.2021, Rep. 40124, Racc. 20466 (All. A), rappresentato e difeso, dall'Avv. (...) presso lo Studio della quale in (...), (...), è elettivamente Domiciliato, giusta procura speciale in atti; OPPOSTA NONCHÉ (...) società a responsabilità limitata con unico socio, codice fiscale e numero di iscrizione presso il Registro delle Imprese di Treviso - Belluno n. (...), in persona dell'Amministratore Unico e legale rappresentante (...) società con sede in (...) (...), codice fiscale, partita IVA e numero di iscrizione presso il Registro delle Imprese di Treviso - Belluno (...), in persona del dottor (...), nato a (...), n.q. di Amministratore e persona fisica designata dalla (...) all'esercizio della suddetta funzione di Amministratore Unico di (...) e per essa - giusta procura per atto Notaio (...), Repertorio 302725, raccolta 34552 del 09.09.2019 (doc. 1), registrata presso l'Ufficio di (...) il 10.09.2019 al n. 12455 serie 1T - (...) quale mandataria, iscritta al Registro delle Imprese di Milano, Codice Fiscale e Partita Iva (...), a mezzo del procuratore Dott. (...), autorizzato alla sottoscrizione giusta procura del 08.03.2022 con atto autenticato dal Notaio (...), (Rep. n. 8698 - Racc. n. 5041: doc. 2, rappresentata e difesa dall'Avv. (...) ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in (...), giusta procura speciale in atti INTERVENUTA oggetto: opposizione a d.i. nr 1157/2021 in materia di rapporti bancari; conclusioni: come da relativo verbale d'udienza, da ritenersi materialmente allegato alla presente sentenza MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato in data 08.10.21, (...) proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo n. 1157/2021, R.G. n. 2837/2021, emesso in data 12.07.2021 dal Tribunale Ordinario di Pescara, e notificato in data 30 luglio 2021, con il quale era stato ingiunto alla Parte di pagare, in favore della (...) (...) la somma di Euro 264.162,24 oltre interessi come da domanda e spese. La suddetta somma veniva richiesta in pagamento dalla ricorrente a titolo di saldo debitore del rapporto di c/c n. 2745.55 acceso presso la filiale di (...) (poi fusa con la (...) con contratto del 25.03.2009, quale saldo debitore del rapporto anticipi n. (...) acceso con contratto del 4.03.2010 e quale saldo debitore del rapporto anticipi n. (...) acceso con contratto del 27.4.2015. Con la spiegata opposizione veniva richiesto l'accoglimento delle seguenti conclusioni: "Nel merito: a) Accertare e dichiarare l'inesistenza, l'indeterminatezza e l'indeterminabilità delle avverse ragioni creditorie portate dal decreto ingiuntivo opposto e, per l'effetto, annullare, revocare, ovvero dichiarare nullo e/o inefficace l'opposto decreto ingiuntivo, per tutte le ragioni esposte nella narrativa del presente atto; b) Accertare e dichiarare l'illegittima segnalazione a sofferenza in danno della Società opponente, per l'effetto condannando la (...) opposta al ristoro del danno al merito creditizio ed al danno commerciale ed economico, per l'importo di Euro 250.000,00, ovvero alla diversa maggiore o minore somma, da determinarsi in corso del giudizio. Il tutto con integrale vittoria di spese di lite". Si costituiva (...), con sede in (...), iscritta nel registro delle Imprese di Siena al n. (...), stesso numero di codice fiscale, concludendo per il rigetto della proposta opposizione siccome nulla, inammissibile, improcedibile e comunque infondata in fatto ed in diritto, e, per l'effetto, per la conferma integrale del decreto ingiuntivo n. 1157/2021 del Tribunale di Pescara, dichiarandolo definitivamente esecutivo; c) in via subordinata, in caso di revoca, anche parziale, del decreto ingiuntivo, per la condanna della opponente a pagare la diversa somma che il Giudice riterrà a credito della opposta. Acquisita la documentazione, e disposta CTU contabile, con atto di intervento depositato in data 6.04.23, si costituiva in giudizio la soc. (...) e per essa la (...) quale mandataria, dichiarando di intervenire nel presente procedimento, quale successore a titolo particolare della (...) a seguito della cessione in suo favore da parte della Banca creditrice di tutti i crediti pecuniari di quest'ultima. Espletata la CTU, sulle conclusioni precisate dalle parti ed in atti trascritte, la causa è stata trattenuta in decisione. Preliminarmente si evidenzia come entrambe le parti abbiano proceduto a depositare, oltre le conclusionali e le note sostitutive di replica, anche conclusionali di replica, il cui deposito tuttavia non era stato autorizzato dallo scrivente, in quanto non previsto nel modulo decisorio adottato. Del contenuto delle stesse pertanto non si terrà conto. Eccepisce in prima battuta l'opponente l'asserita improcedibilità della domanda per mancato avveramento della condizione di procedibilità ex art. 5 comma 2 bis, D.Lgs. n. 28/10 Assume parte opponente come (...) opposto in occasione del primo incontro di mediazione tenutosi in data 23.02.2022 dinnanzi il mediatore designato Avv (...) abbia dichiarato di non manifestare il consenso all'espletamento del tentativo di mediazione e sotto tale profilo assume come la condizione di procedibilità non si sia verificata per causa impotabile alla ingiungente. L'assunto non è condivisibile. Ai sensi dell'art. 5 comma 1 d.lg. n. 28 del 2010, in caso di mediazione obbligatoria, l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. La condizione che rende procedibile la domanda si realizza, quindi, quando il procedimento di mediazione è stato esperito. A norma poi dell'art. 5 2 bis "quando l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo". E' quindi l'esito negativo dell'incontro (inteso come momento, solo potenzialmente di incontro effettivo, successivo alla convocazione) a costituire condizione di procedibilità e, a giudizio dello scrivente, tale esito negativo, ai fini de quibus, non può che essere costituito, oltre che da un mancato accordo su una proposta tra parti comparse, anche addirittura dal c.d. verbale negativo per mancata comparizione di una o di entrambe le parti, ivi inclusa la parte c.d. litigante. "Esito negativo", ai fini della procedibilità, è pertanto tutto ciò che "non è esito positivo", vale a dire tutto ciò che non è conciliazione tra le parti, non distinguendo evidentemente, e non a caso, la norma de qua, ed ai fini della procedibilità, tra "causali" connesse a quell'esito negativo. In tale ottica, ai sensi dell'art. 11 comma 4 d.lg. n. 28 del 2010, poi: "nello stesso verbale, il mediatore dà atto della mancata partecipazione di una delle parti al procedimento di mediazione". Infine, ai sensi dell'art. 8 comma 4 bis d.lg. n. 28 del 2010: "dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell'art. 116 comma 2 c.p.c. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall'articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio. A ben vedere, come evidenziato dagli interpreti più sensibili alla riaffermazione forte del diritto ad adire l'AG, l'articolato normativo sin qui richiamato, anche nelle modifiche subite a seguito dell'intervento del 2013, non vieta affatto (ma neppure espressamente abilita) l'ipotesi della mancata partecipazione di entrambi i litiganti al procedimento di mediazione e ciò significa che anche il c.d. verbale negativo (per mancata comparizione delle parti) integra la condizione di procedibilità de qua. Come anticipato infatti, la legge espressamente prevede quali conseguenze discendano dall'inottemperanza anche del litigante all'"obbligo di cooperazione" con i mediatori: valutazione, in sede processuale, del comportamento ex art. 116 comma 2 c.p.c. e condanna al pagamento di quella somma. La esplicita sanzione della rilevanza in sede decisoria della mancata comparizione nell'ambito del procedimento di mediazione conferma ulteriormente che, pur in presenza di quella condotta "evasiva", la domanda è comunque divenuta procedibile con la presentazione dell'istanza, non avendo altrimenti logica possibilità applicativa quella sanzione, che presuppone invece il proseguimento del giudizio. Assumere, come da parte di alcuni si fa, che tale sanzione (e per dare un senso "residuale" a tale disposizione) sia applicabile esclusivamente alla mancata comparizione al procedimento di mediazione, inteso questo come solo quello che si apre successivamente al primo incontro (in cui allora si avrebbe l'obbligo di comparire personalmente a pena invece di improcedibilità), appare in verità impostazione che sembra introdurre in via interpretativa una distinzione tra fattispecie (tra incontro preliminare e procedimento vero e proprio) che a dire il vero le disposizioni in commento non sembrano affatto prevedere. Il primo incontro non costituisce affatto infatti un passaggio esterno e preliminare della procedura di mediazione, ma ne è invece parte integrante alla stregua del chiaro tenore testuale dell'art. 8 del D.Lgs. nr. 28/2010 (in termini Consiglio di Stato, sez. IV 17/11/2015 n. 5230) e pertanto la sanzione prevista dall'art. 8 non può che riferirsi alla mancata partecipazione al procedimento tout court e quindi anche alla fase iniziale. In secondo luogo, "esperire il tentativo di mediazione significa semplicemente e solo presentare la domanda di mediazione" e di ciò ve ne è conferma nell'art. 5 d.lg. n. 28 del 2010 in cui si prevede che "il giudice assegna un termine per "la presentazione della domanda di mediazione" (quando questa non è stata esperita), non per la comparizione davanti al mediatore. La Corte costituzionale infine ha ripetutamente affermato che le norme ordinarie che prevedono una giurisdizione cd. Condizionata sono di stretta interpretazione (v. ex multis, C. cost., sentenza n. 403 del 2007); sono, cioè, norme eccezionali che, in quanto di deroga al principio del libero accesso al giudice, non possono essere interpretate in senso estensivo e non possono beneficiare del procedimento analogico. Ciò vuol dire che, nel silenzio legislativo (nessuna disposizione infatti prescrive che la parte compia anche solo al primo incontro a pena di improcedibilità della domanda), la previsione che preclude l'accesso diretto al giudice va interpretata nel suo significato minore, quello, cioè, che utilmente (e sufficientemente) realizza il fine preso di mira dalla norma. La sufficienza del verbale negativo quale condizione di procedibilità, inteso il "verbale negativo" come inclusivo di ogni esito diverso da quello positivo, cioè dalla conciliazione e dunque ricomprendente anche l'ipotesi dell'esito negativo per mancata comparizione di una o di entrambe le parti, è anche l'interpretazione della normativa più conforme al diritto comunitario. Considerando 8 della direttiva 2008/52: "Le disposizioni della presente direttiva dovrebbero applicarsi soltanto alla mediazione nelle controversie transfrontaliere, ma nulla dovrebbe vietare agli Stati membri di applicare tali disposizioni anche ai procedimenti di mediazione interni. (...)" Considerando 10 della direttiva 2008/52 "La presente direttiva dovrebbe applicarsi ai procedimenti in cui due o più parti di una controversia transfrontaliera tentino esse stesse di raggiungere volontariamente una composizione amichevole della loro controversia con l'assistenza di un mediatore. Essa dovrebbe applicarsi in materia civile e commerciale (...)". Art. 1, par. 1, della direttiva 2008/52: "La presente direttiva ha l'obiettivo di facilitare l'accesso alla risoluzione alternativa delle controversie e di promuovere la composizione amichevole delle medesime incoraggiando il ricorso alla mediazione e garantendo un'equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario". Art. 3, lettera a), della direttiva 2008/52: "(...) si applicano le seguenti definizioni: a) per "mediazione" si intende un procedimento strutturato, indipendentemente dalla denominazione, dove due o più parti di una controversia tentano esse stesse, su base volontaria, di raggiungere un accordo sulla risoluzione della medesima con l'assistenza di un mediatore. Tale procedimento può essere avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto dal diritto di uno Stato membro. Il considerando n. 13 prevede che la mediazione sia "un procedimento di volontaria giurisdizione nel senso che le parti gestiscono esse stesse il procedimento e possono organizzarlo come desiderano e porvi fine in qualsiasi momento". Art. 5, par. 2, della direttiva 2008/52 "La presente direttiva lascia impregiudicata la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio oppure soggetto a incentivi o sanzioni, sia prima che dopo l'inizio del procedimento giudiziario, purché tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il diritto di accesso al sistema giudiziario". Quanto alla raccomandazione 98/257/CE, il capo V prevede espressamente il "principio di libertà", quale condicio sine qua non del tentativo stragiudiziale. In particolare la disposizione della direttiva 2008/52 (art. 5 par. 2) che consente ai singoli stati membri di prevedere la mediazione come condizione di procedibilità della domanda, come è stato notato da alcuni commentatori, non ha carattere precettivo ma puramente ricognitivo della sfera di competenza degli stati membri. In altri termini essa autorizza gli stati membri ad adottare un sistema obbligatorio a livello nazionale ma mantiene fermo nell'ordinamento comunitario un modello di adr volontario, basato sulla libertà delle parti di entrare ed uscire dal procedimento. Da una esame sistematico degli atti comunitari in tema di strumenti di risoluzione alternativa delle controversie pare allora potersi desumere la preferenza della Unione per la forma volontaria delle procedure di risoluzione alternativa delle controversie. È opportuno richiamare al riguardo la risoluzione del Parlamento europeo del 25 ottobre 2011 (2011/2117-INI), ancorché priva di efficacia vincolante, poiché essa considera, tra l'altro, che una soluzione alternativa delle controversie, che consenta alle parti di evitare le tradizionali procedure arbitrali, può costituire un'alternativa rapida ed economica ai contenziosi. Al paragrafo 10 poi afferma che "al fine di non pregiudicare l'accesso alla giustizia, si oppone a qualsiasi imposizione generalizzata di un sistema obbligatorio di ADR a livello di UE" pur ritenendo che si potrebbe valutare un meccanismo obbligatorio per la presentazione dei reclami delle parti al fine di esaminare le possibilità di ADR". Al paragrafo 31, sesto capoverso, aggiunge (tra l'altro) che l'ADR deve avere un carattere facoltativo, fondato sul rispetto della libera scelta delle parti durante l'intero arco del processo, che lasci loro la possibilità di risolvere in qualsiasi istante la controversia dinanzi ad un tribunale, e che esso non deve essere in alcun caso una prima tappa obbligatoria preliminare all'azione in giudizio. Merita poi di essere ricordata anche la risoluzione del Parlamento europeo del 13 settembre 2011 (2011/2026-INI), relativa all'attuazione della direttiva sulla mediazione negli Stati membri, all'impatto della stessa sulla mediazione e alla sua adozione da parte degli uffici giudiziari. Tale risoluzione, nel passare in rassegna le modalità con cui alcuni degli Stati membri hanno attuato la direttiva citata, osserva nel paragrafo 10 che "nel sistema giuridico italiano la mediazione obbligatoria sembra raggiungere l'obiettivo di diminuire la congestione nei tribunali"; ciononostante sottolinea che: "la mediazione dovrebbe essere promossa come una forma di giustizia alternativa praticabile, a basso costo e più rapida, piuttosto che come un elemento obbligatorio della procedura giudiziaria". Un sintetico articolato normativo che costruisce, però, una chiara direttrice ermeneutica: nel dubbio, le norme interne vanno interpretate nel senso in cui maggiormente garantiscono libertà di scelta in capo al litigante. Far derivare allora dalla mancata partecipazione delle parti, anche personale, al primo incontro ovvero, ancor di più, ai successivi, ovvero ancora, come pretende l'opponente dalla mancata adesione a proseguire il percorso, l'improcedibilità della domanda, in ragione dell'affermato principio della necessaria "effettività" della mediazione, appare affermazione che la norma nazionale, peraltro "contenuta" anche nella sua genesi da quei principi europei, non sembra imporre affatto. Al contrario, come visto, quella sanzione sembra proprio restare esclusa dalla esplicita predisposizione di una specifica sanzione per tale ipotesi, senza alcuna plausibile distinzione, ai fini che qui interessano, tra incontro iniziale e successivo procedimento. Sostenere che dalla mancata partecipazione "effettiva" derivi la declaratoria di improcedibilità si porrebbe poi in evidente contrasto altresì non solo con quei desiderata europei (in tal senso, parte della dottrina su cui infra), ma anche con la logica, prima ancora che con la logica-giuridica, laddove si consideri a quali conseguenze aberranti potrebbe condurre l'affermare che per integrare la condizione di procedibilità il tentativo debba essere "effettivo" e che in tale prospettiva occorrerebbe allora partecipare personalmente alla mediazione e (se "effettivo" deve essere) parteciparvi non passivamente (in silenzio o distratto ad esempio da un cellulare) ma fattivamente ovvero lucidamente ovvero in buona fede ovvero con l'animo predisposto diligentemente ad ascoltare il mediatore e ad interloquire con lo stesso. Le pronunce che invocano il requisito del " tentativo effettivo ", si fa notare da parte della dottrina più acuta, non chiariscono cioè quale sia il livello di effettività sufficiente a ritenere soddisfatta la condizione di procedibilità: in altre parole, non è chiaro quale sia il minimo di " coinvolgimento " nel tentativo che il giudice possa pretendere in sede di verifica ex post, visto che pretendere la sola, mera presenza fisica, nell'ottica di una valutazione di verifica della effettività della mediazione, è un vero e proprio nonsense. Verifica oltretutto resa ancora più difficile (se non impossibile) alla luce della riservatezza del procedimento di mediazione, dal quale, in caso di esito negativo del tentativo, non può uscire altro se non la mera constatazione di tale fallimento. In effetti, alcuni provvedimenti richiedono al mediatore di dare conto del comportamento delle parti in seno al procedimento svoltosi avanti a lui, ma si tratta di richieste, anche ad avviso dello scrivente (e non solo), non ricevibili, considerato, appunto, la natura confidenziale di tutto ciò che viene detto e fatto nel corso della mediazione, in caso di insuccesso della stessa (salve le eccezioni previste dalla legge e che richiedono il consenso di tutte le parti interessate alla divulgazione processuale del materiale acquisito alla mediazione) e la chiarezza invece delle disposizioni normative al vaglio in punto di disciplina della condotta del mediatore. Non convincono pertanto, si prosegue in questa prospettiva interpretativa, le critiche alla possibilità di configurare un diritto potestativo alla chiusura del procedimento in capo ad ogni parte: al contrario, anche in un regime in cui il tentativo di mediazione è stato configurato come condizione di procedibilità, la partecipazione effettiva della parte a tale tentativo non può che restare incoercibile e non sanzionabile, se non sul piano delle spese legali, della condanna al pagamento di quella ulteriore somma e della valutazione ex art. 116 cpc nei termini previsti dall'art. 8 cit. (sanzioni che, a giudizio di chi scrive, già si pongono al limite di compatibilità minima con i principi comunitari). È, anzi, uno dei corollari della mediazione che ogni parte interessata, in qualsiasi momento del procedimento, se ne possa " chiamare fuori ", pagandone, in caso, le conseguenze in sede processuale, ma non in termini di una declaratoria di improcedibilità, difficilmente conciliabile con il disposto dell'art. 24 cost.. La migliore dottrina allora mette in guardia dall'eccesso di "coercitività" del modello italiano di mediazione, così soprattutto come interpretato da una parte della giurisprudenza, rispetto ai desiderata europei. Desiderata - si noti bene - che in realtà non sono neanche più solo tali, posto che da ultimo in data 14.6.2017 la stessa Corte di Giustizia UE nella cusa C-75/16 ha esplicitamente affermato il diritto del consumatore al ritiro dalla procedura in qualsiasi momento anche senza giustificato motivo e senza conseguenze sfavorevoli sul decorso della procedura. Dalla lettura della suddetta decisione sembrerebbe evincersi addirittura che la Corte abbia affermato come impregiudicabile il diritto della parte di ritirarsi in qualsiasi momento dalla procedura, anche senza giustificato motivo, ferma la legittimità di sanzioni, comunque non incidenti sul diritto alla prosecuzione della stessa, in ipotesi di mancata comparizione non giustificata al solo primo incontro. Sottolinea in tale prospettiva anche quella impostazione interpretativa che l'ordinamento, come riconosce il diritto a non partecipare al processo, restando contumace, in modo analogo non possa non riconoscere il diritto a non aderire al procedimento di mediazione; conclude infine affermando che, per quanto si possa cercare di valorizzare il risultato utile della mediazione come strumento di smaltimento del contenzioso, non si possa ignorare la ratio delle nuove disposizioni nella loro interpretazione, né considerare il mediatore come un ausiliario del giudice. In effetti, anche se la mediazione è prevista come condizione di procedibilità, in un sistema retto dal principio dispositivo e dal diritto costituzionale all'azione in giudizio, non si può imporre alle parti una partecipazione " effettiva " in una mediazione in cui, in ipotesi, non si creda. In questo senso - si afferma da parte di quei numerosi autori - appare condivisibile la giurisprudenza, cui si ascrive convintamente quella redatta dallo scrivente, per la quale l'effettività dell'obbligo non può spingersi sino al punto da sanzionare con l'improcedibilità della domanda l'attore che si rifiuti senza giustificato motivo di partecipare al procedimento di mediazione nel c.d. primo incontro davanti al mediatore (Tribunale di Taranto IIA 16.4.2015). Se pertanto anche il verbale negativo (pure per assenza del litigante) costituisce condizione di procedibilità, se cioè, salvo le conseguenze sanzionatorie di cui all'art. 8, 5 comma (ed a parte le questioni relative al compenso del mediatore che qui non vengono in rilievo), ogni parte resta libera di comparire o meno davanti al mediatore, davvero resta incomprensibile l'eccezione di improcedibilità sollevata dall'opposta. Solo per completezza espositiva si fa notare come con recente ordinanza, sostanzialmente in applicazione diretta dei principi di diritto europeo sin qui esposti, il Tribunale di Verona abbia completamente disapplicato l'Istituto de quo (ord. 24.11.2023). Eccepisce ancora la parte opponente il preteso difetto di legittimazione attiva della cessionaria (...) e per essa (...) quale mandataria L'eccezione è infondata. La parte che agisca affermandosi successore a titolo particolare della parte creditrice originaria, in virtù di un'operazione di cessione in blocco D.Lgs. n. 385 del 1998 ex art. 58, ha l'onere di dimostrare l'inclusione del credito oggetto di causa nell'operazione di cessione in blocco, in tal modo fornendo la prova della propria legittimazione sostanziale, a meno che il resistente non l'abbia esplicitamente o implicitamente riconosciuta. La cessione del credito è negozio consensuale a forma non vincolata (Trib Verona 29.11.2021) e la relativa prova può essere resa anche tramite ricorso a mere presunzioni (da ultimo Cass. nrr. 21821/23, 17944/23 e nr. 5478/24); mentre la notifica al debitore ceduto ha solo la funzione di assicurare l'efficacia liberatoria del pagamento e regolare il conflitto tra cessionari (cfr., di recente, Cass., 19/02/2019, n. 4713). La stessa Cass. nr. 3405/24 2024 è vero che inizialmente afferma che "la cessione dei crediti bancari in blocco deve essere provata attraverso la produzione del contratto di cessione, non essendo da solo sufficiente l'estratto ex art. 58 TUB" e tuttavia subito dopo si affetta a precisare ulteriormente che "In tema di cessione di crediti in blocco ex art. 58 del D.Lgs. n. 385 del 1993, ove il debitore ceduto contesti l'esistenza dei contratti, ai fini della relativa prova non è sufficiente quella della notificazione della detta cessione, neppure se avvenuta mediante avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale ai sensi dell'art. 58 del citato D.Lgs., dovendo il giudice procedere ad un accertamento complessivo delle risultanze di fatto, nell'ambito del quale la citata notificazione può rivestire, peraltro, un valore indiziario, specialmente allorquando avvenuta su iniziativa della partecedente (Cass., 22/06/2023, n. 17944; Cass., 13/06/2019, n. 15884; Cass., 16/04/2021, n. 10200; Cass., 05/11/2020, n. 24798; Cass., 02/03/2016, n. 4116)"; la stessa decisione in commento conferma pertanto come la "produzione del contratto" o meglio la prova del contratto di cessione possa essere data con ogni mezzo, dovendo il Giudice desumerla dall' "accertamento complessivo delle risultanze di fatto". Nella fattispecie al vaglio allora, valore dirimente ha la circostanza che ad agire inizialmente sia stata la cedente e sia poi intervenuta la cessionaria, costituita a mezzo dello stesso procuratore, allegando la sopravvenuta cessione. L'effettività di tale allegazione, afferente la vicenda successoria de qua, è stata quindi sostanzialmente confermata dalla stessa cedente. Non occorre acquisire pertanto alcun altro elemento probatorio a sostegno di quella allegazione. Sull'eccezione di insussistenza dei requisiti ex artt. 633 e ss cpc. In tema di verifica delle condizioni di concedibilità dell'opposto decreto, va evidenziato come, pur condividendosi l'affermazione in forza della quale, successivamente all'entrata in vigore del D.Lgs. nr. 385/93 è illegittimo il decreto emesso sulla base soltanto dell'estratto di saldaconto di cui all'art. 102 r.d.l. nr. 375/36 e dunque in difetto dei requisiti richiesti ex art. 50 D.Lgs. cit. (Trib. Terni 30.12.1999 Vitali/MPS), la contestuale produzione di ulteriore documentazione (contratti e documentazione afferente gli anticipi in atti) consente di ritenere superata ogni questione in ordine all'ammissibilità della richiesta ex art. 633 cpc (in tema (...) 11.7.2007). L'opposta ha assolto ad ogni onere probatorio impostole secondo i principi espressi dalla recente Cassazione civile sez. I, 02/05/2019, (ud. 06/12/2018, dep. 02/05/2019), n.11543, salvo quanto infra in relazione alla lettera b Come riscontrato dal nominato ausiliario, in particolare: a) In riferimento al c/c ordinario n. 27345.55 risultano presenti: tutti gli estratti conto trimestrali comprensivi dei dettagli di liquidazione competenze dall'inizio del rapporto sino alla sua chiusura, il contratto di apertura con la convenzione delle condizioni economiche e le concessioni di affidamento. b) in riferimento alle anticipazioni n. (...) e n. (...) risultano presenti: i contratti di apertura, le concessioni di affidamento, per ogni singola anticipazione oggetto del presente contenzioso, la relativa fattura commerciale e la lettera di richiesta di anticipo ed infine, due prospetti di conteggio interessi datati 24.5.2021, una per ogni c/anticipazione, che si riferiscono al periodo 01.01.2021 al 04.02.2021. E' da rilevare per i periodi precedenti (dal IV trim. 2019 al IV trim. 2020) la mancanza dei dettagli di liquidazione degli interessi passivi trimestrali afferenti le suddette anticipazioni. Trattandosi poi di cd conti tecnici, ha chiarito il perito, come non siano configurabili estratti in c/capitale e scalari trimestrali Riguardo la commissione di affidamento è stata rilevata la corretta pattuizione ed è stata verifica la conformità con quella applicata dalla banca opposta durante tutto il rapporto bancario. Pur non essendo poi stata inizialmente sollevata alcuna questione sul punto, il CTU, su successiva sollecitazione della difesa degli opponenti, ha anche accertato l'assenza di usura pattizia, facendo corretta applicazione del principio di (...) necessaria simmetricità tra e CP_10 (ex veda Cass. SS.UU. nr. 19597/2020) ed escludendo ogni rilevanza pertanto, ai fini de quibus, al TAEG, come preteso dalla parte opponente. Ha esclusivamente rilevato invece il perito d'ufficio: in riferimento al c/c ordinario n. 27345.55 la non corrispondenza delle condizioni applicate dalla banca opposta, in particolare nell'applicazione dei tassi di interesse debitore poiché non conformi a quanto pattuito ed ha pertanto riportato il tasso al convenuto; in riferimento alle anticipazioni n. (...) e n. (...) per il periodo dal IV trim. 2019 al IV trim. 2020, la mancanza dei dettagli di liquidazione degli interessi passivi trimestrali afferenti le suddette anticipazioni. Pertanto, l'ammontare degli interessi trimestrali delle anticipazioni che la banca opposta ha addebitato trimestralmente sul c/c ordinario nel periodo (IV trim. 2019 - IV trim. 2020) risulta essere indeterminato. Pertanto, si è proceduto al ricalcolo degli interessi passivi da anticipazioni applicando il tasso sostitutivo disposto dall'art. 117 TUB. Il terzo comma dell'art. 1284 c.c. stabilisce che "Gli interessi superiori alla misura legale devono essere determinati per iscritto; altrimenti sono dovuti nella misura legale". La copiosa giurisprudenza formatasi in tale ambito ha precisato i seguenti principi che ormai possono ritenersi consolidati. È stato infatti detto che in tema di obbligazioni pecuniarie, sé è vero che il requisito della necessaria determinazione scritta degli interessi ultralegali, prescritto dall'art. 1284 cod. civ., può essere soddisfatto anche "per relationem", è anche vero che questo deve avvenire attraverso il richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci obbiettivamente individuabili (cfr. Cass. 25-6-1994 n. 6113; Cass. 1-9-1995 n. 9227; Cass. 18-5-1996 n. 4605; Cass. 02-10-2003 n. 14684). La Corte di Cassazione in tema di richiamo "alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza", ha ritenuto che tale relatio sia insufficiente a tale scopo, poiché, data l'esistenza di diverse tipologie di interessi, essa non consente, per la sua genericità, di stabilire a quale previsione le parti abbiano inteso concretamente riferirsi (cfr. Cass. sez. I, civ., 10-11-1997 n. 11042; Cass. sez. I civ. 8-5-1998 n. 4696; Cass. 23-6-1998 n. 6247; Cass. sez. I, 28-3-2002 n. 4490). Sempre sul tema generale della determinatezza o determinabilità dell'oggetto della pattuizione, è stato affermato che l'esigenza della forma scritta, "ad substantiam", del patto di pagamento di interessi in misura ultralegale posta dall'art. 1284 co.3 c.c. richiede o la indicazione in cifre, sul documento negoziale, del tasso di interesse ovvero, secondo i principi generali sulla determinatezza o determinabilità dell'oggetto del contratto (art. 1346 cod. civ.), la specificazione di criteri di determinazione di questo tasso che, ancorché estrinseci, siano ancorati ad elementi di fatto esistenti o sicuramente accertabili, tali da richiedere, per la loro applicazione, una mera operazione aritmetica. Al riguardo la clausola che consente all'istituto bancario di modificare unilateralmente il tasso di interessi dandone comunicazione scritta alla altra parte, senza indicare i presupposti per l'esercizio di questo potere né i criteri di determinazione del nuovo tasso, non rispetta tali principi imperativi (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7547 del 18/06/1992). In particolare è stato detto che una clausola contenente un generico riferimento "alle condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza" potrebbe ritenersi valida ed univoca solo se fosse coordinata alla esistenza di vincolanti discipline fissate su larga scala nazionale con accordi interbancari (nel rispetto delle regole di concorrenza), mentre è del tutto insufficiente a predeterminare obiettivamente l'obbligazione del tasso di interesse se tali accordi contengano diverse tipologie di tassi o, addirittura, siano venuti meno come parametro centralizzato e vincolante; in tal caso, occorrerà accertare, con riferimento al singolo rapporto dedotto in giudizio, sulla base degli elementi probatori forniti, il grado di univocità della fonte richiamata, al fine della verifica della idoneità di essa alla individuazione della previsione alla quale le parti abbiano potuto effettivamente riferirsi e, quindi, ad una oggettiva determinazione del tasso di interesse o, quanto meno, ad una sicura determinabilità controllabile pur nella variabilità dei tassi nel tempo, tale da resistere ad eventuali modificazioni unilaterali da parte della banca (cfr. Cass. 12-1-2000 n. 2206; Cass. sez. I civ, 19-7-2000 n. 9465; Cass. sez. III civ, 18-4-2001 n. 5675; Cass. sez. I civ, 28-3-2002 n. 4490; Cass. sez. I civ, 1-2-2002 n. 1287; Cass. sez. I civ, 23-9-2002 n. 13823). È infatti del tutto insufficiente a predeterminare obiettivamente l'obbligazione del tasso di interesse l'accordo che contenga diverse tipologie di tassi; in tal caso, occorrerà accertare, con riferimento al singolo rapporto dedotto in giudizio, sulla base degli elementi probatori forniti, il grado di univocità della fonte richiamata, al fine della verifica della idoneità di essa alla individuazione della previsione alla quale le parti abbiano potuto effettivamente riferirsi e, quindi, ad una oggettiva determinazione del tasso di interesse o, quanto meno, ad una sicura determinabilità controllabile pur nella variabilità dei tassi nel tempo, tale da resistere ad eventuali modificazioni unilaterali da parte della banca (cfr. Cass. 12-1-2000 n. 2206; Cass. sez. I civ, 19-7-2000 n. 9465; Cass. sez. III civ, 18-4-2001 n. 5675; Cass. sez. I civ, 28-3-2002 n. 4490; Cass. sez. I civ, 1-2-2002 n. 1287; Cass. sez. I civ, 23-9-2002 n. 13823). È stato altresì affermato dai Giudici di legittimità che l'eventuale richiamo alla clausola contenente la pattuizione di interessi in misura ultralegale in altro documento successivo equivale ad un riconoscimento di debito, e come tale è inidoneo a porre tale obbligo a carico del debitore, in quanto l'atto scritto concernente la pattuizione degli interessi ha natura costitutiva e non dichiarativa (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 266 del 11/01/2006). È peraltro da rilevare che l'art. 4 della legge n. 154/1992 sulla trasparenza bancaria ha stabilito che i contratti "devono indicare il tasso d'interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora" (prevedendo peraltro che le clausole di rinvio agli usi sono nulle e si considerano non apposte, principio, poi, recepito dall'art. 117 del D.Lgs. n.385/1993, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia). Pertanto, nella specifica materia dei contratti bancari la "imprescindibilità" della determinazione/determinatezza convenzionale dei tassi di interesse discende, oltre che dalla richiamata disciplina generale dei contratti (artt.1346/1418/1284 c.c.), anche dalla specifica prescrizione "di settore" che impone la "indicazione del tasso di interesse" ex art. 117, comma 4°, D.Lgs. n. 385/93, a pena di eterointegrazione normativa imperativa del tasso ai sensi del successivo 7° comma del Decreto citato (Trib. Teramo nr. 84/10). Correttamente pertanto il CTU ha proceduto, in relazione al contratto di cc a ricondurre il tasso al convenuto e, con riferimento ai conti anticipi, ad applicare il tasso sostitutivo ex art. 117 cit. Quanto infine alle osservazioni tecniche contenute alle pgg. nrr. 6,7 e 8 della conclusionale e relative ai conti correnti finalizzati all'anticipazione dei crediti commerciali portati allo sconto, non può lo scrivente non rilevare come in sede di osservazioni alla CTU, tali questioni non siano state affatto sollevate (si vedano le osservazioni di quella difesa tecnica incentrate esclusivamente su un presunta usurarietà dei tassi) e ciò comporta come le stesse non possano essere prese in considerazione in questa sede decisoria. Pertanto, all'esito dei disposti conteggi, il saldo rideterminato del conto corrente n. 27345.55 è di Euro 48.181,33 a debito della (...) parte attrice opposta; per i conti di anticipazione n. (...) e n. (...) alla data del 08.02.2021 si conferma la somma a debito della (...) per l'importo complessivo di Euro 199.644,88, oltre le competenze rideterminate per il periodo I trim. 2021 a credito della (...) pari a Euro 95,34. Alla luce di quanto sopra il debito della (...) nei confronti della (...) alla data del 08.02.2021 ammonta complessivamente a Euro 247.730,87. Nessuno prova viene fornita che tale diversa ma sempre consistente situazione debitoria avrebbe inciso sulla segnalazione di cui alla domanda risarcitoria. All'atto della costituzione, la cessionaria aveva concluso "facendo proprie le istanze, le deduzioni e le conclusioni già formulate nell'interesse di essa (...) (...); nella conclusionale così precisa le proprie richieste: "a) in via principale, rigettare la proposta opposizione siccome nulla, inammissibile, improcedibile e comunque infondata in fatto ed in diritto, e, per l'effetto, confermare integralmente il decreto ingiuntivo n. 1157/2021 del Tribunale di Pescara, dichiarandolo definitivamente esecutivo; b) in via subordinata, in caso di revoca, anche parziale, del decreto ingiuntivo, condannare la opponente a pagare la diversa somma che il Giudice riterrà a credito della (...)". In difetto di specifica adesione da parte della cedente a tale ultima conclusione ed in assenza di una richiesta congiunta di estromissione della stessa, non resta che revocare il decreto ingiuntivo opposto e condannare l'opponente al pagamento dell'importo qui ricalcolato in favore in solido di cedente e cessionaria. Il parziale accoglimento della iniziale richiesta induce a ritenere parzialmente compensate in questa sede le spese di litre che per il residuo seguono tuttavia la soccombenza a carico di parte opponente. Analogamente le spese di CTU restano definitivamente a carico di entrambe le parti come da parte dispositiva. P.Q.M. accoglie in parte l'opposizione e per l'effetto revoca in ogni sua parte il decreto ingiuntivo nr. 1157/2021; in parziale accoglimento della iniziale richiesta, accertata l'illegittimità di prassi e clausole relativamente ai rapporti de quibus intercorsi tra le odierne parti, come da parte motiva, accerta che il debito della (...) nei confronti della (...) alla data del 08.02.2021 ammonta complessivamente a Euro 247.730,87; per l'effetto condanna (...) in persona dell'A.U. (...), con sede legale in(...) alla (...) al pagamento in solido in favore di (...), e (...) n. (...) e per essa (...) quale mandataria Codice Fiscale e Partita Iva (...) del predetto importo di Euro 247.730,87, oltre interessi come da CTU, dalla maturazione al soddisfo; dichiara compensate per 1/10 le spese di lite e condanna per il residuo (...) (C.F. /P.I. (...)) al pagamento in solido in favore di (...) e (...) e per essa (...) quale mandataria, Codice Fiscale e Partita Iva (...) di euro 406,50 per esborsi ed euro 14.103,00 oltre 15% per spese generali iva e cassa come per legge, per compensi professionali, qui liquidate per l'intero; pone l'onere del rimborso spese CTU a carico: per il 90% di parte opponente e per il residuo 10% a carico di opposta ed intervenuta in solido tra loro ed in parti uguali nei rapporti interni. Pescara, 26 marzo 2024.

  • Sez. I – RG 10890/2019 udienza pubblica 8.1.2024 1 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE PRIMA SEZIONE CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: MAURO DI MARZIOPresidente LOREDANA NAZZICONEConsigliere ROSARIO CAIAZZOConsigliere MASSIMO FALABELLAConsigliere-Rel. EDUARDO CAMPESEConsigliere Oggetto: Banca - Contratti bancari - Usura bancaria - Superamento del tasso soglia e capitalizzazione trimestrale degli interessi Ud.08/01/2024 PU ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 10890 R.G. anno 2019 proposto da: Mangimificio Canali di Canali Claudio e C. s.n.c., Canali Claudio, Canali Roberto e Furlani Elvia, rappresentati e difesi dall’avvocato Francesco Catarci, domiciliati presso l’avvocato Mario Tagliareni; ricorrente contro Intesa Sanpaolo s.p.a., rappresentata e difesa dall’avvocato Nicoletta Boccanera e dall’avvocato Pamela Schimperna, presso la quale è domiciliata; controricorrente avverso la sentenza n. 28/2019 depositata il 4 gennaio 2019 della Corte di appello di Bologna. Udita la relazione svolta nella pubblica udienza dell’8 gennaio 2024 dal Consigliere Relatore dott. Massimo Falabella; Sez. I – RG 10890/2019 udienza pubblica 8.1.2024 2 udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Giovanni Battista Nardecchia che ha concluso per l’accoglimento dei primi due motivi del ricorso; uditi l’avvocato Marco Tagliareni per parte ricorrente e l’avvocato Pamela Schimperna per parte controricorrente. FATTI DI CAUSA 1. ― Con citazione notificata il 30 giugno 2009 Mangimificio Canali di Canali Claudio e C. s.n.c., correntista, unitamente ai fideiussori Claudio Canali, Roberto Canali, Ugo Furlani ed Elvia Furlani hanno convenuto in giudizio Cassa di Risparmio di Forlì e della Romagna s.p.a. per ottenere l’accertamento del saldo di alcuni conti correnti sui quali sarebbe stato operato l’addebito di interessi anatocistici ed usurari, oltre che di commissioni non dovute. La banca si è costituita in giudizio contestando la pretesa azionata e proponendo domanda riconvenzionale con riguardo al saldo negativo portato da due dei conti oggetto del giudizio: l’esposizione debitoria lamentata con riferimento ai due rapporti in questione era pari, rispettivamente, a euro 93.892,69 e a euro 15.744,51. Con sentenza non definitiva il Tribunale di Forlì ha respinto alcune delle domande degli attori. In seguito all’esperimento di consulenza tecnica d’ufficio il detto Tribunale ha pronunciato sentenza definitiva con cui, operata la compensazione tra i saldi dei conti correnti, ha condannato la società correntista e i fideiussori al pagamento della somma di euro 93.347,98, oltre interessi. 2. ― Gli attori soccombenti hanno proposto gravame che la Corte di appello di Bologna, nella resistenza dell’istituto di credito, ha respinto. 3. ― Avverso la sentenza della Corte emiliana, pronunciata il 4 gennaio 2019, ricorrono per cassazione, con sei motivi, Mangimificio Canali, Claudio Canali, Roberto Canali ed Elvia Furlani, quest’ultima Sez. I – RG 10890/2019 udienza pubblica 8.1.2024 3 anche nella qualità di erede testamentaria di Ugo Furlani. Resiste con controricorso Intesa Sanpaolo s.p.a., società incorporante Cassa di Risparmio di Forlì e della Romagna. La causa, avviata alla trattazione camerale, è stata rimessa in pubblica udienza con ordinanza interlocutoria n. 18754 del 2023. Sono state depositate memorie. Il Pubblico Ministero ha concluso per l’accoglimento dei primi due motivi di ricorso. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. ― Ha eccepito la controricorrente che la procura ad litem dei ricorrenti non sarebbe stata apposta, spillata o trascritta in calce alla copia notificata del ricorso per cassazione. 1.1. ― La deduzione va disattesa. Non rileva, ai fini della verifica della sussistenza della procura, la sua mancata riproduzione o segnalazione nella copia notificata, essendo sufficiente, per l'ammissibilità del ricorso per cassazione, la presenza della stessa nell'originale (Cass. Sez. U. 19 novembre 2021, n. 35466). 2. ― La banca ha altresì opposto che Elvia Furlani non avrebbe documentato la qualità di erede del deceduto Ugo Furlani. 2.1. ― Il soggetto che proponga ricorso per cassazione in qualità di successore, a titolo universale o particolare, di colui che era stato parte nel precedente grado del giudizio, deve non soltanto allegare la propria legitimatio ad causam, per essere subentrato nella medesima posizione del dante causa, ma deve altresì fornirne la prova, la cui mancanza, attenendo alla regolare costituzione del contraddittorio nella fase d'impugnazione, è rilevabile anche d'ufficio, ed ha come conseguenza la dichiarazione di inammissibilità del ricorso (Cass. 26 settembre 2019, n. 24050; Cass. 27 gennaio 2011, n. 1943). Nel caso in esame la mancata documentazione della qualità di erede non può tuttavia implicare l’inammissibilità del ricorso della predetta Furlani, che era comunque autonomamente legittimata a Sez. I – RG 10890/2019 udienza pubblica 8.1.2024 4 proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza resa in esito a un giudizio (quello di appello) di cui era parte. Deve piuttosto escludersi che la stessa sia legittimata a stare in giudizio anche nella prospettata qualità di successore di Ugo Forlani. 3.― Il primo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 2946 c.c.. Il secondo oppone un error in procedendo. I due mezzi di censura sono svolti cumulativamente dagli odierni ricorrenti. La sentenza impugnata è attaccata nella parte in cui nega che gli attori avessero contestato la decorrenza del termine prescrizionale relativo al diritto di ripetizione (indicato dalla banca nel giugno 1999). Si osserva che, venendo in questione rimesse ripristinatorie, il termine prescrizionale non poteva che decorrere dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto. Si aggiunge, con riferimento al vizio processuale lamentato col secondo motivo, che gli attori non avevano operato alcuna ammissione quanto alla fondatezza dell’eccezione di prescrizione della banca. 3.1. ― I due motivi meritano accoglimento. Si legge nel provvedimento impugnato (pag. 6) che tutte le rimesse erano state ritenute ripristinatorie dal Tribunale: affermazione, questa, che la Corte di merito non smentisce. Tali rimesse non possono considerarsi pagamenti suscettibili di ripetizione e quindi è escluso che con riferimento ad esse maturi alcuna prescrizione prima della cessazione del rapporto di apertura di credito: di pagamento, nella descritta situazione, può difatti parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia esatto dal correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del quale risultino compresi interessi non dovuti e, perciò, da restituire se corrisposti dal cliente all'atto della chiusura del conto (così, in motivazione, Cass. Sez. U. 2 dicembre 2010, n. 24418). E’ errato dunque assumere che si sia prescritto il diritto alla ripetizione delle Sez. I – RG 10890/2019 udienza pubblica 8.1.2024 5 rimesse ripristinatorie eseguite più di dieci anni prima della proposizione della domanda del correntista. Né la Corte di appello era esonerata dalla verifica del dies a quo del termine prescrizionale per il sol fatto che gli attori non ne avessero dibattuto: il tema, incentrato su una questione di puro diritto, da raccordare a una precisa acquisizione processuale (quella relativa alla natura ripristinatoria delle rimesse effettuate) costituiva infatti oggetto di un’eccezione rilevabile d’ufficio (può citarsi, al riguardo, Cass. 21 maggio 2007, n. 11774 che, sulla base del principio per cui le eccezioni vietate in appello sono soltanto quelle in senso proprio, ha confermato la sentenza di merito che aveva ravvisato una mera argomentazione difensiva volta a contrastare la formulata eccezione di prescrizione nell'allegazione addotta in appello circa l'individuazione della diversa data di decorrenza del termine di prescrizione rispetto a quella indicata in primo grado). 4. ― Il terzo motivo censura la sentenza per la violazione o falsa applicazione di norme di diritto e per la violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione alla domanda di determinazione del TEG (tasso effettivo globale) con riferimento ad alcuni rapporti (quelli in precedenza intrattenuti dalla società con la banca Carisbo). Col quarto motivo è denunciato un error in procedendo. Ci si duole che la Corte di Bologna abbia ritenuto che gli appellanti non avessero impugnato la sentenza parziale di primo grado con riguardo alla statuizione di rigetto della domanda di determinazione del TEG per i rapporti bancari che facevano capo a Carisbo. Viene rilevato che gli attori avevano formulato tempestiva riserva di appello e che in sede di gravame avevano impugnato le due sentenze (quella non definitiva e quella definitiva) per omessa pronuncia sulla determinazione del tasso globale usurario dei predetti rapporti. E’ dedotto che la sentenza parziale del Tribunale era rimasta silente sulla domanda in questione, mentre quella definitiva l’aveva respinta con statuizione che era stata appellata proprio sulla premessa che la prima Sez. I – RG 10890/2019 udienza pubblica 8.1.2024 6 decisione non si fosse pronunciata sul punto. 4.1. ― Anche tali motivi appaiono fondati. Con la citazione introduttiva del giudizio si era domandato l’accertamento della nullità degli addebiti di interessi usurari effettuati sui conti facenti capo al Mangimificio Canali, avendo riguardo anche ai rapporti ex Carisbo (cfr. sentenza di appello, pag. 3). Con riferimento a tali rapporti la sentenza non definitiva non reca una pronuncia vertente sull’asserita eccedenza dei tassi convenuti rispetto ai tassi soglia applicabili (cfr., infatti, la trascrizione della pronuncia, per la parte che qui interessa, contenuta nel controricorso: pagg. 13 s.). Come poi rammenta la Corte di appello (pag. 5 della pronuncia impugnata), la sentenza definitiva si occupò di altro conto, già intrattenuto dalla società correntista con Banca Intesa. Ora, deducono i ricorrenti che ebbero a formulare riserva di appello in relazione alla sentenza parziale, e il punto non è controverso. Poiché, poi, il Tribunale aveva respinto, con la detta sentenza parziale, le domande aventi ad oggetto i rapporti ex Carisbo (cfr. infatti sentenza di appello, pag. 4), era necessario che gli odierni ricorrenti impugnassero, insieme alla definitiva, anche detta pronuncia con riguardo a tali rapporti: e ciò è in concreto accaduto, come emerge dall’atto di appello di Mangimificio Canali (pagg. 21 e 22), che la Corte può esaminare direttamente, stante la natura processuale del vizio denunciato. 5. ― Il quinto motivo prospetta la violazione o falsa applicazione degli artt. 644 c.p. e 1815, comma 2, c.c.. Sostiene, in sintesi, la ricorrente che avrebbe errato la Corte di appello nel ritenere che il metodo di determinazione del tasso effettivo globale fosse quello previsto dalla Banca d’Italia. Sul presupposto che l’anatocismo, nel rapporto di conto corrente, integra una forma di compenso addizionale rispetto agli interessi compensativi, si contesta l’affermazione del Giudice del gravame secondo cui gli interessi capitalizzati dovevano essere inclusi nei numeri debitori (e cioè nel Sez. I – RG 10890/2019 udienza pubblica 8.1.2024 7 denominatore della frazione che, nella formula elaborata dalla Banca d’Italia, ha come numeratore gli interessi moltiplicati per il numero dei giorni che compongono un anno civile, moltiplicati per 100). Si assume, in proposito, che il fenomeno della capitalizzazione degli interessi non muta la natura di questi ultimi: gli interessi capitalizzati non si trasformano in capitale, ma si sommano ad esso, onde non sarebbe corretto operare il calcolo del TEG (tasso effettivo globale) seguendo la formula seguita dalla Corte di merito. 5.1. ― Questa Corte si è recentemente espressa nel senso che nei rapporti di credito regolati in conto corrente bancario, la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, legittimamente concordata secondo quanto previsto dalla delibera CICR del 9 febbraio 2000, deve essere inserita nel conto delle voci rilevanti ai fini della verifica del superamento del tasso soglia, poiché, anche se lecita, costituisce un costo del credito concesso (Cass. 17 novembre 2022, n. 33964). Nella circostanza è stato osservato che la disciplina circa il divieto dei rapporti usurari, ricavata dall'art. 644 c.p., nella versione introdotta dall’art. 1 l. n. 108 del 1996, considera rilevanti tutte le voci del carico economico che si trovino applicate nel contesto dei rapporti di credito; in particolare, a norma dell'art. 644, comma 5, c.p. «per la determinazione del tasso di interesse si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese escluse quelle per imposte e tasse, collegate all'erogazione del credito». Nell’arresto qui richiamato, la Corte, dopo aver precisato che la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi costituisce un costo del credito che, in quanto tale, deve essere inserito nel conto delle voci rilevanti per la verifica della natura usuraria dell'operazione di erogazione del denaro, ha evidenziato come non si possa ritenere che le istruzioni della Banca d'Italia sulla rilevazione del TEGM (tasso effettivo globale medio) escludano gli effetti della capitalizzazione: «Dette istruzioni infatti stabiliscono, del resto parafrasando il testo dell’art. 2, comma 1, l. n. Sez. I – RG 10890/2019 udienza pubblica 8.1.2024 8 108/1996, che ai fini del calcolo dei tassi per ciascuna categoria di operazione occorre che venga comunicato il ‘tasso effettivo globale, espresso su base annua, praticato in media dall'intermediario’, il quale ‘è calcolato come media aritmetica semplice dei tassi effettivi globali applicati ad ogni singolo rapporto (TEG)’. Il riferimento al carattere effettivo e globale dei tassi rilevati, unitamente alla necessità che gli stessi siano espressi su base annua ─ quale che sia, dunque, la periodizzazione, anche inferiore all'anno, applicata in concreto ─ rendono evidente che dalla eventuale capitalizzazione degli interessi il legislatore non ha affatto inteso prescindere». Inoltre, «la formula di calcolo contenuta in dette istruzioni non offre alcuna sponda al ragionamento seguito dalla decisione impugnata e non esclude affatto dal computo la capitalizzazione degli interessi passivi ai fini del TEG». 5.2. ― Nella presente sede la ricorrente assume che detta formula non sarebbe idonea a dar ragione dell’usurarietà dell’interesse in presenza della maggiorazione anatocistica. La formula in questione è contenuta nelle istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura: sono da prendere qui in considerazione quelle vigenti nel periodo oggetto di controversia (2002 – 2009). In base alle dette istruzioni, dirette a ciascuna banca iscritta nell’albo previsto dall’art. 13 del testo unico bancario (d.lgs. n. 385/1993) e ad ogni intermediario finanziario iscritto nell’elenco speciale previsto dall’art. 107 del medesimo testo unico, la metodologia di calcolo del TEG varia a seconda delle diverse categorie di operazioni individuate. La metodologia indicata nelle richiamate istruzioni per le aperture di credito in conto corrente, e riprodotta anche nel ricorso, è: interessi X 36.500 + oneri x 100 numeri debitori accordato dove, considerando il primo addendo della formula ― che qui rileva ― gli interessi sono dati dalle competenze di pertinenza del Sez. I – RG 10890/2019 udienza pubblica 8.1.2024 9 trimestre di riferimento, ivi incluse quelle derivanti da maggiorazioni di tasso applicate in occasione di sconfinamenti rispetto al fido accordato, in funzione del tasso di interesse annuo applicato, mentre i numeri debitori sono dati dal prodotto tra i «capitali» ed i «giorni» (così le istruzioni della Banca d’Italia per la rilevazione del tasso effettivo globale medio, nelle versioni di aggiornamento redatte nel periodo 2002-2009, al par. C3). La ricorrente contesta, in sintesi, che al denominatore del primo addendo della formula vada inserito il montante, come ritenuto dalla Corte di merito, piuttosto che il capitale «puro»: fa propri alcuni arresti della giurisprudenza di merito i quali pongono in evidenza come, in realtà, i numeri debitori, ricavati dall’estratto scalare, contengano la capitalizzazione di precedenti interessi, onde occorrerebbe separare il capitale iniziale del trimestre dagli eventuali interessi maturati nei singoli trimestri, successivamente capitalizzati. Sostiene che il denominatore della formula di calcolo indicata non corrisponda al capitale effettivamente erogato, bensì al capitale come venutosi man mano determinando in forza delle «aggiunte» consistenti nelle capitalizzazioni degli interessi effettuate alle cadenze previste e rileva che la soluzione consistente nell’includere nei numeri debitori gli interessi via via capitalizzati si porrebbe in contrasto con l’art. 1 l. n. 108 del 1996, secondo cui per la determinazione del tasso di interesse si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all'erogazione del credito. Nella prospettiva indicata, si deduce, dunque, che la capitalizzazione degli interessi vada esclusa dalla formula di calcolo del TEG: ai fini dell’usura andrebbe presa così in considerazione l’esposizione debitoria per capitale, senza tener conto degli interessi via via maturati e contabilizzati trimestralmente. 5.3. ― La conclusione non sembra tuttavia coerente con la Sez. I – RG 10890/2019 udienza pubblica 8.1.2024 10 dinamica funzionale del rapporto di conto corrente bancario, in cui refluiscono le passività dell’apertura di credito: perlomeno se si considera l’ipotesi, che qui ricorre, della pacifica legittimità dell’anatocismo e della capitalizzazione degli interessi debitori. 5.4. ― E’ appena il caso di premettere che anatocismo e capitalizzazione sono termini non perfettamente sovrapponibili, in quanto il primo designa, sul piano giuridico, la produzione degli interessi da parte degli interessi scaduti, secondo la previsione dell’art. 1283 c.c., mentre per capitalizzazione si intende, sul piano della matematica finanziaria, la trasformazione degli interessi in capitale. Una differenziazione concettuale non è tuttavia utile ai fini che qui interessano: il fatto che gli interessi divengano capitale non esclude che, sul piano del diritto, gli interessi capitalizzati siano una componente del costo del credito erogato dalla banca. Resta fermo, in altri termini, il principio, enunciato dalla cit. Cass. 17 novembre 2022, n. 33964, per cui la capitalizzazione degli interessi passivi rientra a pieno titolo nelle voci di cui si deve tener conto ai fini della verifica del superamento del tasso soglia. 5.5. ― Ciò detto, nel conto corrente ordinario è prescritto che sulle rimesse decorrano gli interessi sui crediti iscritti nel conto (art. 1825 c.c.); tali interessi, che hanno natura compensativa, divengono una componente del saldo finale. Si è spiegato, in dottrina che, poiché nel saldo finale sono compresi gli interessi maturati sulle singole rimesse, nel rapporto di conto corrente ordinario si produce, in deroga, all’art. 1283 c.c., l’anatocismo: in sostanza, quegli interessi divengono a loro volta produttivi di interessi, dal momento che sul saldo del conto corrente, comprensivo di essi, maturano altri interessi. Lo stesso fenomeno si determina, di regola, nel conto corrente bancario, o di corrispondenza, anche se con una differenza di rilievo. Uno dei tratti distintivi del conto corrente bancario consiste in ciò: esso assicura al cliente la disponibilità del saldo in ogni momento del Sez. I – RG 10890/2019 udienza pubblica 8.1.2024 11 rapporto; diversamente che nel conto corrente ordinario il correntista ha sempre il diritto di esigere quanto maturato a suo credito dalla banca, salva l’osservanza del termine di preavviso eventualmente pattuito (art. 1852 c.c.). Tale effetto è reso possibile dalla graduale compensazione delle partite di debito e di credito: o meglio, come è stato detto, «dell’effetto puramente contabile dell'esercizio del diritto che spetta al correntista di variare continuamente la disponibilità con versamenti e prelievi». Questa differente modalità operativa dei due contratti è il riflesso della diversa finalità cui i medesimi sono preordinati. Il conto corrente ordinario è infatti volto ad assicurare, attraverso la temporanea inesigibilità dei crediti, quello che la dottrina ha definito l’«assoggettamento di essi a una liquidazione per differenza, attraverso la compensazione», che potrà attuarsi solo in un momento prefissato. Col conto corrente bancario, invece, le parti mirano ad assicurare lo svolgimento di un servizio di cassa: servizio per l’appunto affidato all’istituto di credito (in giurisprudenza si veda: Cass. 20 gennaio 2017, n. 1584; Cass. 5 dicembre 2011, n. 25943). Nel conto corrente bancario l’addebito e l’accredito di interessi si colloca in tale scenario, segnato, dunque, dalle ripetute movimentazioni del conto e dalla costante esigibilità del saldo attivo per il cliente. 5.6. ― In assenza di disposizioni che regolassero la contabilizzazione degli interessi maturati nel corso del rapporto di conto corrente bancario, lo strumento per addivenire alla liquidazione periodica degli interessi stessi è stato individuato nella chiusura del conto (art. 1831 c.c.): chiusura che non si traduce nello scioglimento del conto corrente bancario, giacché questo si protrae alle condizioni pattuite dopo la data di chiusura, con riporto «a nuovo» del saldo del periodo. Nel corso del tempo, per la verità, la disciplina normativa (primaria e regolamentare, quest’ultima affidata al CICR) è venuta a mutare, interessandosi della periodicità del conteggio degli interessi in conto corrente: così, da ultimo, l’art. 120 t.u.b., comma 2 (nel testo, Sez. I – RG 10890/2019 udienza pubblica 8.1.2024 12 non applicabile alla fattispecie per cui è causa, già modificato dall'art. 1, comma 629, della l. n. 147 del 2013 e successivamente emendato dall’art. 17-bis del d.l. n. 18 del 2016, convertito con modificazioni dalla l. n. 49/2016) ha stabilito che il CICR fissasse modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni bancarie, «prevedendo in ogni caso» che gli interessi debitori e creditori, oltre a dover essere liquidati con la stessa periodicità, non potessero essere conteggiati con cadenza inferiore all’anno. Tornando al passato, la correlazione tra chiusura del conto e liquidazione degli interessi risultava di plastica evidenza nella previsione dell’art. 7 delle norme bancarie uniformi (consistenti in condizioni contrattuali suggerite dall’ABI e comunemente recepite dagli istituti di credito). Il cit. art. 7 prevedeva, da un lato, che i rapporti di dare e avere venissero regolati, in via normale, a fine dicembre di ogni anno, portando in conto gli interessi, le commissioni e le spese, con valuta della data di regolamento e, dall’altro, che i conti che fossero risultati anche saltuariamente debitori venissero di regola chiusi contabilmente ogni trimestre, applicando agli interessi e competenze di chiusura la valuta della data di regolamento del conto. In tal modo, la contabilizzazione degli interessi a credito del cliente avveniva con cadenza annuale, mentre la liquidazione di quelli a debito era operata con cadenza trimestrale. Nella pratica, in base al cit. art. 7, gli interessi si capitalizzavano e si determinava la produzione degli interessi anatocistici: in particolare, i saldi trimestrali debitori erano via via implementati degli interessi maturati per il protrarsi della posizione debitoria e tali interessi, divenuti capitale, erano quindi idonei a generare, nel futuro, ulteriori interessi (quelli che avrebbero dovuto tempo per tempo contabilizzarsi, sulla pregressa passività, fino all’estinzione di essa). 5.7. ― Tale effetto ha continuato legittimamente a prodursi anche dopo che la giurisprudenza di legittimità ebbe a riconoscere la nullità Sez. I – RG 10890/2019 udienza pubblica 8.1.2024 13 delle pattuizioni, contenute nei contratti di conto corrente bancario, che si conformavano al cit. art. 7 delle norme bancarie uniformi. e avevano per l’appunto ad oggetto la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente: giurisprudenza che, come è ben noto, venne inaugurata da Cass. 15 marzo 1999, n. 2374 e ricevette in seguito l’avallo dalle Sezioni Unite di questa S.C. (con Cass. Sez. U. 4 novembre 2004, n. 21095). Infatti ― è anche questa cosa risaputa ―, il legislatore intervenne per regolamentare la sorte dei contratti contenenti le invalide clausole anatocistiche disponendone non solo la sanatoria, per il passato, con disposizione (l’art. 25, comma 3, d.lgs. n. 342/1999) che fu poi dichiarata incostituzionale (Corte cost. 17 ottobre 2000, n. 425), ma anche prescrivendo, per il futuro, che il CICR stabilisse «modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori» (art. 120, comma 2, aggiunto dal secondo comma del cit. art. 25 d.lgs. n. 342/1999); a tale disciplina il CICR diede attuazione con la delibera del 9 febbraio 2000, la quale, in sintesi, consentì ai contratti in essere di continuare a produrre interessi anatocistici purché nel conto corrente operasse la stessa periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori. In ragione di tale regolamentazione anche nei contratti conclusi prima dell’entrata in vigore della delibera, come quelli oggetto del presente ricorso, gli interessi poterono dunque continuare a capitalizzarsi ove fosse stata assicurata questa pari periodicità: periodicità che di fatto venne individuata, dalle banche proponenti la modifica, in quella trimestrale, già operante per gli interessi debitori. 5.8. ― Ora, la soluzione perorata da parte ricorrente, consistente nell’adozione di una formula matematica del calcolo del TEG in cui il Sez. I – RG 10890/2019 udienza pubblica 8.1.2024 14 saldo trimestrale è depurato degli interessi capitalizzati (in cui, in definitiva, ai numeri debitori è sostituito il debito per solo capitale) porta ad apprezzare l’usurarietà del rapporto distorcendo la realtà di quest’ultimo: una tale operazione è infatti coerente con un contratto in cui gli interessi sono commisurati al solo capitale e non al montante, vale a dire al capitale puro incrementato dagli interessi capitalizzati. In altri termini, una metodologia di calcolo basata su di una variante della formula della Banca d’Italia che riporti al denominatore del primo addendo il capitale puro è idonea a dar conto dell’interesse dovuto in esecuzione di contratti in cui non è stata pattuita alcuna capitalizzazione, e non a quello dovuto in esecuzione di contratti, come quelli che qui vengono in esame, in cui, invece, quella capitalizzazione è stata legittimamente convenuta. 5.9. ― Può dunque enunciarsi il seguente principio di diritto. In tema di usurarietà dei tassi applicati ai rapporti bancari, la metodologia di calcolo del TEG basata, nell’apertura di credito in conto corrente, sul raffronto tra gli interessi maturati nel periodo e il capitale depurato degli interessi capitalizzati non è idoneo a rappresentare l’andamento di un rapporto in cui la capitalizzazione è legittimamente operata a norma dell’art. 120, comma 2, t.u.b. ― nel testo anteriore alla modifica apportata dall'art. 1, comma 629, della l. n. 147 del 2013 ― e della delib. CICR del 9 febbraio 2000. 5.10. ― Con ciò non si intende escludere la possibilità di individuare ulteriori formule matematiche capaci di definire l’incidenza dell’anatocismo nel rapporto di apertura di credito in conto corrente che sia caratterizzato dalla convenuta capitalizzazione degli interessi passivi, né si vuole affermare che l’adozione del criterio di calcolo contenuto nelle richiamate istruzioni sia giuridicamente necessitato. E’ certamente da escludere che le istruzioni della Banca d’Italia possano vincolare il giudice (cfr., in tema, Cass. 28 settembre 2020, n. 20464, non massimata in CED). E del resto, anche con riguardo ai Sez. I – RG 10890/2019 udienza pubblica 8.1.2024 15 decreti ministeriali di rilevazione del TEGM le Sezioni Unite hanno evidenziato come, in linea teorica, essi ben possano essere disapplicati nel caso di mancata inclusione di taluna delle voci che la legge impone di considerare (Cass. Sez. U. 20 giugno 2018, n. 16303, in relazione alla commissione di massimo scoperto: nella pronuncia è peraltro osservato che di tale commissione i decreti ministeriali davano atto). Il compito del Giudice di legittimità non è però quello di procedere all’astratta individuazione di formule matematiche che si mostrino più precise rispetto a quelle enucleate dalla Banca d’Italia ai fini della rivelazione dell’usura: a questa Corte compete semmai di verificare, in concreto, se una diversa metodologia di calcolo, che il ricorrente indichi, sia in grado di dare evidenza a un superamento del tasso soglia che la pertinente formula della Banca d’Italia non è invece capace di far emergere. In tal senso, chi ricorre per cassazione è onerato di conferire specificità al motivo di impugnazione indicando non solo il criterio di calcolo per la rilevazione del tasso, ma rappresentando, inoltre, le precise conseguenze che l’adozione di tale criterio determini, nell’accertamento dell’usura, rispetto al diverso criterio, dettato dalle istruzioni della Banca d’Italia, che sia stato impiegato nel giudizio di merito. Il percorso che il ricorrente deve quindi seguire, nella formulazione del suo mezzo di censura, non è molto diverso da quello che questa Corte ha individuato allorquando ha affermato che, ai fini della specificità del motivo di ricorso in tema di usura e commissione di massimo scoperto, non è sufficiente che la censura sollevata avverso la sentenza di merito denunci solamente e astrattamente la mancata considerazione dell'incidenza della detta commissione sul superamento del tasso soglia, occorrendo, piuttosto, che la censura medesima sia accompagnata da specifiche deduzioni ed argomentazioni volte a dimostrare che tale incidenza avrebbe in concreto determinato il superamento della soglia (Cass. 6 settembre 2021, n. 24013). 5.11. ― Il quinto motivo va in conclusione respinto. Sez. I – RG 10890/2019 udienza pubblica 8.1.2024 16 6. ― Il sesto mezzo contiene una censura di violazione o falsa applicazione di norme di diritto e di violazione delle preclusioni istruttorie ex art. 183, comma 6, c.p.c.. Si deduce che la banca ha prodotto alcuni documenti contrattuali con la terza memoria di cui alla norma citata e si censura la sentenza impugnata che ha ritenuto tempestiva detta produzione in considerazione del fatto che gli attori avevano in precedenza richiesto l’esibizione dei medesimi scritti. 6.1. ― Il motivo è fondato. L’istanza di esibizione degli attori (il cui accoglimento non poteva, oltretutto, dirsi scontato, visto che l’esibizione costituisce uno strumento istruttorio residuale, espressione di una facoltà discrezionale rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito: Cass. 3 novembre 2021, n. 31251) non costituisce motivo per giustificare la tardiva produzione di documenti da parte della banca, che era onerata di provare il fatto costitutivo della propria pretesa attraverso produzioni documentali eseguite nel rispetto del termine di cui all’art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c.. Attribuire all’istanza di esibizione degli attori il significato di un tacito consenso quanto alla tardività della produzione documentale della convenuta significa sconfessare il principio per cui le norme che prevedono preclusioni assertive ed istruttorie nel processo civile sono preordinate a tutelare interessi generali e la loro violazione è sempre rilevabile d'ufficio, anche in presenza di acquiescenza della parte legittimata a dolersene (per tutte: Cass. 26 giugno 2018, n. 16800; Cass. 18 marzo 2008, n. 7270). 7. ― Vanno dunque accolti i primi quattro motivi e il sesto. La sentenza è cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di Bologna che deciderà in diversa composizione. Essa deciderà pure sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte Sez. I – RG 10890/2019 udienza pubblica 8.1.2024 17 accoglie il primo, il secondo, il terzo, il quarto e il sesto motivo; rigetta il quinto; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Bologna, che giudicherà in diversa composizione. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione Civile, in data 8 gennaio 2024. Il Consigliere estensore Il Presidente Massimo FalabellaMauro Di Marzio

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Ordinario di Bari, 4 sezione civile, in composizione monocratica, nella persona del giudice designato, dott. Giuseppe Marseglia, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado, iscritta al n. 16039 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2018 e vertente TRA Sa. S.P.A. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Al.De. e An.De., giusta procura in atti opponente E Fi. S.R.L. e, per essa, quale mandataria Do. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. An.Pu., giusta procura in atti opposta Oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo - Contratti bancari RAGIONI di FATTO e di DIRITTO della DECISIONE Con decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo n. 3446/2018 emesso in data 11/09/2018, è stato ingiunto alla Sa. S.p.A. il pagamento in favore della Fi. S.r.l. della somma di Euro 224.481,48, quale saldo debitore di un rapporto di conto corrente con aperture di credito, oltre interessi come da domanda e spese della procedura monitoria. Avverso il predetto decreto ingiuntivo, ha proposto opposizione la società ingiunta, con atto di citazione ritualmente notificato, con cui ha contestato la titolarità del credito e la documentazione prodotta, nonché, con riguardo al conto corrente, l'illegittima applicazione di interessi e commissioni non validamente pattuiti, il carattere usurario dei tassi applicati, la violazione dell'art. 118 TUB e l'illegittima capitalizzazione degli interessi. L'opponente ha concluso chiedendo, in via cautelare, la sospensione della provvisoria esecutività del Decreto e, nel merito, la revoca dello stesso, ovvero, la rideterminazione del saldo di conto corrente, con richiesta di risarcimento danni ex artt. 185 c.p. 2056 e 2059 c.c., in caso di accertata usura. Si è costituita l'opposta, con comparsa di costituzione e risposta del 11/02/2019, chiedendo il rigetto dell'opposizione e diffusamente argomentando a sostegno dell'infondatezza della stessa. Rigettata l'istanza ex art. 649 c.p.c. con ordinanza del 20/03/2019 ed esperito infruttuosamente il tentativo di media-conciliazione, la causa è stata istruita documentalmente ed a mezzo CTU contabile, affidata al dott. Luca Veneziani che in data 2/03/2022 ha depositato il proprio elaborato peritale. All'udienza indicata in epigrafe, le parti hanno precisato le conclusioni e la causa è stata trattenuta in decisione con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. La spiegata opposizione è fondata solo in parte, per le ragioni di seguito esposte. Innanzitutto, va disattesa l'eccezione, sollevata dall'opponente, di difetto di titolarità del credito in capo all'opposta. Questo Tribunale aderisce al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui "In tema di cessione in blocco dei crediti da parte di una banca, ai sensi dell'art. 58 del D.Lgs. n. 385 del 1993, è sufficiente a dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario la produzione dell'avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale recante l'indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno di essi, allorché gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie consentano di individuare senza incertezze i rapporti oggetto della cessione" (cfr. Cass. 2017/n. 31118; Cass. n. 15884/2019; Cass. n. 5617/2020). Orbene, l'opposta ha prodotto l'estratto di GU Parte seconda n. 93 del 08/08/2017, da cui risulta la cessione in suo favore da parte di U. S.p.A., di crediti derivanti da contratti di mutuo, di apertura di credito o da finanziamenti erogati in altre forme tecniche concessi a persone fisiche e persone giuridiche nel periodo compreso tra il 1975 e il 2016 e qualificati come attività finanziarie deteriorate. Tra i predetti crediti senz'altro rientra il credito de quo, atteso che sul conto corrente dedotto in giudizio, come correttamente rilevato dal CTU, risulta un'apertura di credito sin dalla sua accensione, di seguito disciplinata con lettera di apertura di credito per elasticità di cassa del 23/12/2009 (all. 6 fascicolo monitorio). Considerato che gli affidamenti sono stati revocati con lettera del 20/05/2011 (all. 7 del fascicolo monitorio), il credito può certamente inquadrarsi tra le attività finanziarie deteriorate, caratterizzate, cioè dall'incertezza della riscossione. Giova anche precisare che la cartolarizzazione rientra nella species della cessione di credito e non della cessione del contratto. La cessione di credito, a differenza della cessione di contratto, che comporta il trasferimento dell'intera posizione contrattuale dal cedente al cessionario, è limitata al solo diritto di credito derivato al cedente da un precedente contratto. Non vi è dubbio, quindi, che il credito de quo rientri tra quelli ceduti: infatti, non è stato ceduto il contratto di conto corrente, bensì il credito derivante dalle aperture di credito concesse sullo stesso. Pertanto, l'opposta ha provato la titolarità del credito azionato. Privo di pregio è anche il disconoscimento del contratto di conto corrente e degli estratti conto, in quanto prodotti in fotocopia. Il disconoscimento delle copie fotostatiche, ai sensi dell'art. 2719 c.c., impone che la contestazione della conformità delle stesse all'originale venga compiuta, a pena di inefficacia, mediante una dichiarazione che evidenzi in modo chiaro ed univoco sia il documento che si intende contestare, sia le differenze rispetto all'originale, non essendo sufficienti né il ricorso a clausole di stile, né generiche asserzioni. Ciò posto, con riguardo al conto corrente, attesa la scarsa qualità grafica della scansione prodotta, l'opposta, in uno alla comparsa di costituzione e risposta, ha depositato l'originale (all. 5). Detto documento, perfettamente leggibile e integro in ogni sua parte, reca la data del 17/11/2000. Quanto agli estratti conto, va chiarito che essi non sono inquadrabili, ai fini probatori, come copie fotografiche o fotostatiche di originali esistenti, ma sono riproduzioni meccaniche di supporti magnetici, ossia la stampa di un'elaborazione computerizzata effettuata dal sistema contabile della banca. La disciplina del disconoscimento, dunque, non va rinvenuta nell'art. 2719 c.c., bensì nell'art. 2712 c.c., con la conseguenza che sul cliente grava l'onere di contestare le singole operazioni registrate (cfr. Cass. civ. n. 14686/2018; Cass. civ. n. 11269/2004). Orbene, nel caso che ci occupa, l'opposta ha prodotto l'intera sequenza di estratti conto, con ciò adempiendo al proprio onere probatorio. L'opponente, dal canto suo, ha contestato genericamente la non autenticità di tali documenti contabili, ma non, nello specifico e in modo circostanziato, la non veridicità delle singole operazioni. Non è fondata anche la doglianza relativa all'indeterminatezza dei tassi di interesse. Il conto corrente contiene le seguenti clausole: 1. previsione del tasso creditore nella misura del 2,5%; 2. previsione del tasso debitore nella misura del 8%; 3. previsione della c.m.s. nella misura dello 0,125%. Il relativo foglio informativo analitico reca le seguenti disposizioni: 1. capitalizzazione interessi debitori trimestrale; 2. capitalizzazione interessi creditori annuale; 3. previsione della c.m.s. nella misura massima dello 0,925%; 4. previsione del tasso debitore nella misura massima del 13,75%. Come correttamente evidenziato dal CTU nella sua relazione, con riferimento alla previsione del tasso creditore/debitore e della c.m.s., il foglio informativo non appare in contrasto con le previsioni del contratto in quanto i valori ivi riportati sono valori "soglia" mentre quelli del contratto sono valori puntuali. I tassi di interesse risultano, quindi, determinati. Va disattesa anche l'eccezione relativa all'illegittima capitalizzazione degli interessi. Come è noto, l'art. 120 TUB, nella sua versione iniziale, in vigore dal 1994 al 1999, non disciplinava il fenomeno anatocistico. Con riferimento a quella fase, è intervenuta la giurisprudenza di legittimità che, ritenendo la natura di "usi negoziali" e non normativi delle "norme bancarie uniformi predisposte dall'ABI", in cui era prevista l'applicazione della capitalizzazione trimestrale (cfr. Cass SSUU n. 24418/2010), ha chiarito che le clausole contrattuali con cui era pattuito l'anatocismo, sono nulle ex art. 1283 c.c. L'art. 25 co. 2 del D.Lgs. 4 agosto 1999 ha modificato l'art. 120 TUB, sancendo la legittimità dell'anatocismo, sebbene a determinate condizioni: la norma de qua prevede che il CICR stabilisca modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nei rapporti di conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità dei pagamenti. All'art. 2 della Del.CICR 9 febbraio 2020, si legge che l'accredito e l'addebito degli interessi debba avvenire sulla base di tassi e con le periodicità contrattualmente stabiliti e che il saldo periodico produca interessi secondo le medesime modalità. Nel caso che ci occupa, sebbene nel foglio informativo del contratto di conto corrente sia prevista la capitalizzazione annuale, nel contratto è stata specificamente pattuita la capitalizzazione trimestrale a condizione di reciprocità. Tale pattuizione, conforme alla normativa innanzi richiamata, come correttamente evidenziato dal CTU, ha trovato concreta applicazione al momento dell'esecuzione del rapporto contrattuale, come documentato dagli estratti conto in atti. Perciò, la banca ha applicato la capitalizzazione degli interessi in modo legittimo, in aderenza al dettato normativo. È invece fondata e va accolta la doglianza relativa all'illegittima applicazione delle commissioni. La commissione di massimo scoperto è il corrispettivo cui è tenuto il correntista per la semplice messa a disposizione da parte della banca di una somma e, per essere valida, deve rivestire i requisiti della determinatezza o determinabilità dell'onere aggiuntivo che viene ad imporsi al cliente, e ciò accade quando sono previsti sia il tasso della commissione, sia i criteri di calcolo, sia la sua periodicità (tra le tante, Trib. Modena n. 361/2018). Nel caso di specie, la clausola che prevede la cms prevede solo il tasso, ma non i criteri di calcolo, risultando, dunque, indeterminata. Inoltre, per quanto riguarda la CIV - Commissione di istruttoria veloce, l'art. 117 bis, comma 2 del TUB la prevede per le ipotesi di sconfinamenti in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido concesso. L'applicazione di tale commissione non può essere un automatismo procedurale, ma richiede la prova di ciascuno degli sconfinamenti concessi. Tale prova, nel caso di specie, è posta a carico dell'istituto di credito, sia in quanto attrice in senso sostanziale, sia per il principio di vicinanza della prova. Tuttavia, come rilevato correttamente dal CTU, nella documentazione acquisita agli atti non è stato rinvenuto alcun elemento di prova in tal senso. Inoltre, visto il principio di onnicomprensività della commissione di cui al co. 1 dell'art. 117 bis TUB, si deve rilevare che è illegittima l'applicazione, da parte della banca di una indennità di sconfinamento in concomitanza con una commissione di disponibilità fondi, atteso l'evidente sdoppiamento di un costo che è, nella sostanza, unico. Va, invece, disattesa la contestazione relativa alla violazione dell'art. 118 TUB. La cessionaria del credito, come detto, ha prodotto tutti gli estratti conto ed anche le proposte di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali. La correntista non ha contestato la ricezione di tali comunicazioni, limitandosi a dedurre che tali proposte di modifica unilaterale, non recano l'indicazione del giustificato motivo richiesto dall'art. 118 TUB. La nota del Ministero dello Sviluppo Economico del 21 febbraio 2007 prot. (...) ha chiarito che "in relazione al contenuto minimo della nozione di giustificato motivo, questa deve intendersi nel senso di ricomprendere gli eventi di comprovabile effetto sul rapporto bancario. Tali eventi possono essere quelli che afferiscono alla sfera del cliente (...) sia quelli che consistono in variazioni di condizioni economiche generali che possono riflettersi in un aumento dei costi operativi degli intermediari". Nel caso che ci occupa, i motivi indicati dall'istituto di credito a giustificazione delle proposte di modifica sono per lo più ancorati a modifiche organizzative e strutturali, dovute all'ingresso di B.U.R. nel Gruppo U.. Pur nell'innegabile elasticità del concetto di "giustificato motivo", può ritenersi che le motivazioni addotte dalla banca siano tali da poter incidere sul rapporto bancario e siano, pertanto, idonee ad integrare, per l'appunto il "giustificato motivo". E', infine, priva di pregio l'eccezione relativa al carattere usurario dei tassi pattuiti. Va, innanzitutto, chiarito che il contrasto giurisprudenziale relativo alla rilevanza della c.d. "usura sopravvenuta" è stato da tempo superato dalle SSUU della Corte di Cassazione, che, con sentenza n. 24675/2017, hanno evidenziato come, ai fini dell'applicazione dell'art. 1815 c.c., abbia rilevanza la sola usura originaria. L'usura sopravvenuta è, in effetti, un fenomeno riconducibile all'alea normale, ossia al rischio naturale che caratterizza l'esecuzione dei rapporti contrattuali di durata. Pertanto, l'accertamento effettuato dal CTU relativo all'eventuale carattere usurario del rapporto per tutta la durata dello stesso è superfluo, se non con riguardo ai soli momenti rilevanti, ossia quello della pattuizione iniziale e quello delle successive modifiche contrattuali (usura originaria). Ai fini del calcolo del TEG, onde verificarne la conformità alla L. n. 108 del 1990, è necessario applicare le Istruzioni della B.I. diramate in materia di calcolo del TEGM, in virtù del principio di simmetria/omogeneità. Tale principio è stato fissato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, che ha evidenziato come il giudizio di usurarietà si basi sul raffronto tra un dato concreto (il TEG applicato nell'ambito del contratto oggetto di causa) e un dato astratto (il TEGM rilevato con riguardo alla tipologia di contratto), sicché se detto raffronto non viene effettuato utilizzando la medesima metodologia di calcolo, il dato che se ne ricava non può che essere viziato (Cass. SSUU n. 16303/2018). Ciò comporta che il raffronto tra un TEG ricavato sulla base di criteri diversi da quelli elaborati dalla B.I. ed un TEGM rilevato sulla base di tali principi non avrebbe senso, trattandosi di grandezze disomogenee e non paragonabili. È chiaro, quindi, che il TEG vada calcolato sulla base delle medesime Istruzioni della B.I. tempo per tempo dettate ai fini della rilevazione del TEGM. Orbene, nel caso che ci occupa, il CTU, al fine di verificare l'usura al momento dell'accensione del conto, ha effettuato il raffronto non già tra TEG e Tasso soglia (come avrebbe dovuto), bensì tra il TAEG ed il relativo tasso soglia, evidenziando il mancato superamento del secondo da parte del primo. Il TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale) viene impiegato come tasso di riferimento per le operazioni di credito al consumo, mentre il TEG (Tasso Effettivo Globale) viene impiegato per le verifiche di usurarietà delle operazioni di credito praticate da banche ed altri intermediari finanziari. Mentre il TAEG assolve una funzione di indicazione di costo globale, informazione da portare ex ante a conoscenza dell'utilizzatore del credito, il TEG è segnalato ex post dagli intermediari finanziari alla B.I., ai fini della determinazione delle soglie d'usura previste dalla L. n. 108 del 1996. Sia le formule di riferimento che le spese incluse/escluse dal calcolo, pur essendo molto simili, non risultano esattamente coincidenti. La diversa finalità e il diverso momento temporale di rilevazione, che caratterizzano i due indicatori, non consentono una piena sovrapponibilità delle formule di calcolo. Tuttavia, quanto al caso che ci occupa, la discrasia rilevata dal CTU tra il TAEG ed il tasso soglia è talmente significativa, che l'ipotetica differenza, certamente minima, tra le due grandezze TAEG e TEG, non può certamente incidere sulle corrette conclusioni del consulente tecnico, ossia sull'insussistenza di usura originaria. La definitiva certezza circa la correttezza della detta conclusione è data dal fatto che il TEG (correttamente calcolato dal CTU nella verifica relativa all'usura sopravvenuta) dei trimestri immediatamente successivi è inferiore al tasso soglia. Dalla tabella redatta dal CTU, con verifica dell'eventuale usurarietà nei trimestri successivi all'apertura del conto, si rileva che al momento delle successive modifiche contrattuali non vi è superamento del tasso soglia. L'usura rilevata in alcuni trimestri è mera usura sopravvenuta che, come detto, è irrilevante. Sempre in tema di usura, va precisato che, per i rapporti svoltisi, in tutto o in parte, nel periodo anteriore all'entrata in vigore delle disposizioni di cui all'art. 2 bis D.L. n. 185 del 2008, inserito dalla legge di conversione n. 2 del 2009, va effettuata la separata comparazione del tasso effettivo globale d'interesse praticato in concreto e della commissione di massimo scoperto (CMS) eventualmente applicata, rispettivamente con il tasso soglia e con la "CMS soglia", calcolata aumentando della metà la percentuale della CMS media indicata nei decreti ministeriali emanati ai sensi dell'art. 2, comma 1, della predetta legge n. 108, compensandosi, poi, l'importo della eventuale eccedenza della CMS in concreto praticata, rispetto a quello della CMS rientrante nella soglia, con il "margine" degli interessi eventualmente residuo, pari alla differenza tra l'importo degli stessi rientrante nella soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticati (Cassazione Civile - Sez. Unite - n. 16303 del 20/06/2018). Dunque, in aderenza al detto principio, il CTU ha correttamente verificato che la cms è inferiore al tasso soglia. Ciò posto, tra le diverse ipotesi di calcolo dei rapporti di dare - avere elaborate dal CTU, si può utilizzare l'ipotesi D, nella quale il consulente ha applicato tassi e spese come praticate dall'istituto con espunzione di sole C.M.S. e altre commissioni rilevanti ai fini del TAEG (CIV, DIF, etc.). Nell'ambito di tale rielaborazione, il CTU ha tuttavia erroneamente ridotto il tasso applicato al tasso soglia dei trimestri in usura sopravvenuta. Nell'utilizzare detto saldo, dunque, non si tiene conto di tale riduzione, pari ad Euro 2.525,59, secondo la tabella a pagina 15 della relazione peritale. Il saldo corretto, di conseguenza, alla luce dei principi esposti e della predetta rettifica all'ipotesi D, è pari ad Euro 178.554,91 (ipotesi D pari ad Euro 176.029,32 + somma in detta ipotesi sottratta per usura sopravvenuta pari ad Euro 2.525,59). La domanda di risarcimento danni ex artt. 185 c.p., 2056 e 2059 c.c., accertata l'insussistenza dell'an debeatur (l'usura), va infine rigettata. Quanto alle spese di lite, atteso l'accoglimento solo parziale dell'opposizione ed il rigetto di numerose eccezioni sollevate da parte opponente, ricorrono i presupposti per la compensazione parziale delle spese nella misura di 1/3, restando i rimanenti 2/3 a carico dell'opponente, liquidate come da dispositivo sulla base del D.M. n. 55 del 2014 tab 2 e dello scaglione corrispondente al quantum riconosciuto, ai medi di tariffa. Le spese di CTU, come liquidate in corso di causa, vanno poste definitivamente a carico di entrambe le parti, nella misura di 2/3 a carico di parte opponente e 1/3 a carico di parte opposta. P.Q.M. il Tribunale di Bari, definitivamente pronunciando nel giudizio portante n. 16039/2018 R.G., ogni ulteriore istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: 1. in parziale accoglimento della spiegata opposizione, revoca il decreto ingiuntivo n. 3446/2018 opposto e condanna l'opponente Sa. S.p.a. al pagamento in favore dell'opposta della somma di Euro 178.554,91, oltre interessi come da domanda; 2. compensa per 1/3 le spese del giudizio di opposizione e condanna l'opponente a rimborsare all'opposta i restanti 2/3, che si liquidano in Euro 9.402,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfettario, IVA e cap come per legge; 3. pone le spese di CTU, nella misura liquidata con separato decreto in corso di causa, definitivamente a carico dell'opponente per 2/3 e dell'opposta per 1/3. Così deciso in Bari il 19 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 19 febbraio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di ROMA SEDICESIMA SEZIONE CIVILE Il Tribunale di Roma - Sedicesima Sezione Civile (ex Terza Sezione Civile), in persona del dott. Paolo Goggi, in funzione di giudice unico, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado, iscritta al n. 27051 Ruolo Generale dell'anno 2018, presa in carico da questo giudice in data 16.02.2021 e trattenuta in decisione all'udienza cartolare del 18.07.2023, vertente TRA (...) rappresentato e difeso, giusta delega in calce all'atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, dall'Avv. (...) ed elettivamente domiciliato presso il suo studio, sito in Roma, via (...); opponente E (...), ed in sua vece la procuratrice (...) legittimata in virtù di procura rilasciata dall'originaria mandataria (...), in persona del proprio Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore, (...), rappresentata e difesa, giusta procura allegata alla comparsa di costituzione e risposta, dall'Avv. (...) ed elettivamente domiciliata presso lo Studio dell'Avv. (...) sito in Roma, Lungotevere (...); opposta E (...) in persona del legale rappresentante pro tempore, e per essa quale mandataria la (...) in persona del Responsabile di Direzione General Counsel, Dott.ssa rappresentata e difesa, giusta procura allegata all'atto di intervento ex art.111 c.p.c., dall'Avv. (...) ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, sito in Roma, Via (...) intervenuta OGGETTO: opposizione a decreto ingiuntivo PREMESSO IN FATTO CHE: Con atto di citazione in opposizione al decreto ingiuntivo n. 2182/2018, ritualmente notificato, (...) conveniva in giudizio la (...) esponendo che con ricorso al Tribunale di Roma quest'ultima aveva chiesto ed ottenuto l'emissione dell'ingiunzione di pagamento di cui sopra, per l'importo di Euro 9.005,27, oltre interessi come da domanda, le spese della procedura di ingiunzione, liquidate in Euro 730,00 per compensi, in Euro 145,50 per esborsi, i.v.a. e c.p.a. ed oltre alle successive occorrende, quale importo dovuto per una esposizione debitoria, al 28.02.2014, in relazione al contratto per concessione di carta di credito n. 82379352, sottoscritto dall'opponente con (...) e successivamente ceduto pro soluto all'odierna opposta. L'opponente chiedeva la revoca del decreto ingiuntivo opposto contestando il diritto di credito fatto valere dall'odierna opposta, in quanto infondato e non provato eccependo: - l'inidoneità della documentazione depositata nel giudizio monitorio a dimostrare il proprio credito nei confronti del (...) poiché lo stesso non era mai stato titolare della carta di credito fornita dalla (...) e indicata con il n. 82379352 e detto numero, inoltre, non risultava presente in nessuna parte del contratto allegato dalla ricorrente; - la prescrizione della somma ingiunta dall'opposta in quanto derivante, quasi totalmente, dalla somma dei soli interessi applicati - illecitamente - sulla carta di credito e in particolare: 1) L'operazione del 06.08.2012 di Euro 5.470,62, descritta come "ACC. AUT. RAPP. OCS CAPITALE" era generica, illecita, infondata e non riconducibile all'utilizzo della carta da parte dell'opponente; 2) Le operazioni del 06.08.2012 di Euro 2.791,17 descritta come "INT. ANTE SOFF. OCS ANNI PREC" e di Euro 542,94, descritta come "INT. ANTE SOFF. OCS ANNI CORR" e quelle del 31.12.2012 di Euro 54,93 e di Euro 13677, descritte come "CONINTERESSI CAPITALE' si riferivano ad interessi indebitamente applicati e ampiamente prescritti; 3) L'addebito del 28.02.2014 di Euro 8,84 descritto come "CIE CESSIONE (...)", facente riferimento alla cessione del credito, non poteva essere addebitato sulla carta di credito; - la mancanza di prova della diffida datata 28.01.2016, mai ricevuta dal (...) Sulla scorta di quanto sopra evidenziato, l'opponente rassegnava le seguenti conclusioni, come precisate nell'atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo "Piaccia all'Ill.mo Giudice di Pace adito, disattesa e respinta ogni avversa contraria istanza, eccezione e difesa, accogliere la presente opposizione per i motivi esposti e, per l'effetto, revocare e/o annullare il Decreto Ingiuntivo n. 2182/2018 R.G.N. 2532/2018 emesso, in data 24/01/2018 e notificato in data 7/03/2018 siccome errato, ingiusto ed illegittimo. Con conseguente vittoria delle spese di lite, oltre i.va. e c.p.a. come per legge.". Instaurato il contraddittorio, si costituiva in giudizio la (...) rilevando che l'opponente, nell'atto di citazione, non aveva contestato né la propria sottoscrizione del contratto di concessione della carta di credito di cui era causa, né di essersi reso inadempiente e che, quindi, tali assunti dovevano ritenersi pacifici e non oggetto di giudizio. Contestava, inoltre, quanto ex adverso dedotto ed eccepito, perché infondato in fatto ed in diritto, per le seguenti motivazioni: - infondatezza dell'eccezione di difetto di titolarità della carta di credito oggetto del contratto, poiché l'opponente aveva sottoscritto la richiesta di concessione della carta di credito in data 24.12.2003, in data 12.05.2004 veniva emessa la carta di credito in questione e l'opponente l'aveva utilizzata dall'aprile 2006 fino al 2008, provvedendo a rimborsare l'importo concordato, a seconda del debito in estratto conto, mediante addebito sul conto corrente n. 0004790783 allo stesso intestato e acceso presso la Banca Unicredit; - il numero indicato sull'estratto conto certificato ex art. 50 TUB (n. 82379352) si riferiva esclusivamente al rapporto, posto che il numero della carta di credito veniva modificato ogni cinque anni a seguito della generazione di una nuova carta ma sull'estratto conto era specificatamente indicato il nominavo del debitore, con il relativo codice fiscale e il tasso di interesse applicato, corrisponde a quello indicato anche nel contratto in atti; - stante l'insolvenza del (...) la carta de qua, nell'anno 2008, veniva revocata con conseguente applicazione degli interessi di mora dettagliatamente indicati nell'estratto conto in atti; - l'opponente aveva sollevato una serie di eccezioni generiche e comunque infondate, omettendo del tutto di prendere posizione sul credito vantato dalla società opposta; - la diffida di pagamento del 29.01.2016 risultava regolarmente ricevuta; - l'opponente non aveva mai contestato, prima della notifica del decreto ingiuntivo opposto, le risultanze contabili degli estratti conto, riconoscendo, così, le ragioni di credito dichiarate dalla società ai sensi dell'art. 119 comma 3 della legge bancaria, con conseguente preclusione di successive contestazioni sulla legittimità sostanziale delle risultanze contabili; - l'infondatezza dell'eccezione di prescrizione dei crediti vantati poiché a detti versamenti, ed ai relativi interessi, non poteva trovare applicazione la prescrizione quinquennale degli adempimenti periodici di singole obbligazioni autonome ed indipendenti. Parte opposta, pertanto, chiedendo preliminarmente concedersi la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, concludeva come da comparsa di costituzione e risposta "Voglia l'On.le Giudice adito, contrariis reiectis, così provvedere: -in via preliminare, atteso che l'opposizione per cui si procede non è fondata su prova scritta, né di pronta soluzione, appalesandosene viceversa l'intento dilatorio e defatigatorio, concedere la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto; - nel merito, per tutte le motivazioni in fatto e in diritto meglio dedotte in narrativa, rigettare l'opposizione per cui si procede, confermando il decreto ingiuntivo n. 2182/2018; - In via subordinata, nel merito accertare e dichiarare che il sig. (...), è debitore nei confronti della (...) in forza del contratto n. (...), della somma di Euro9.005,27 oltre agli interessi e spese indicate in decreto ingiuntivo e per l'effetto condannare l'opponente al pagamento, in favore di (...) della predetta somma o di quella ritenuta di giustizia all'esito del giudizio; - in ogni caso con vittoria di spese e compenso professionale determinato ai sensi del D.M. 55/2014, oltre al rimborso spese forfettarie nella misura del 15%, C.P.A. al 4%, I.V.A. al 22% e spese successive occorrende.". Autorizzata la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, l'opponente nella prima memoria ex art. 183 sesto comma n. 1 c.p.c. disconosceva l'autenticità della sottoscrizione apposta sul modulo di richiesta della carta di credito. In data 21.06.2023 interveniva in giudizio, ex art. 111 c.p.c., (...) cessionaria del credito pro soluto della (...) in virtù di contratto del 01.11.2021, la quale precisava le conclusioni come da atto di intervento, in conformità alle note scritte sopra riportate. La causa, istruita attraverso la sola acquisizione della documentazione prodotta dalle parti, era quindi trattenuta in decisione all'udienza cartolare di precisazione delle conclusioni indicata in epigrafe, con assegnazione alle parti dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle repliche. OSSERVA IN DIRITTO In via preliminare occorre osservare che l'opposizione al decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario ed autonomo giudizio di cognizione che sovrapponendosi allo speciale e sommario procedimento monitorio (artt. 633 e segg. c.p.c. ) si svolge nel contraddittorio delle parti e secondo le norme del procedimento ordinario (art. 645 cpv c.p.c.). Ne consegue che il giudice dell'opposizione è investito del potere - dovere di pronunziare sulla pretesa fatta valere con la domanda d'ingiunzione e sulle eccezioni proposte ex adverso. Nella specie, (...) ha agito in sede monitoria per ottenere da (...) il pagamento dell'importo di Euro 9.005,27 (oltre interessi e spese della fase monitoria) a titolo di saldo debitorio complessivo maturato in ragione del rapporto n. (...) per la concessione di carta di credito, in origine stipulato e sottoscritto dall'opponente con (...) credito poi pervenuto, quanto a titolarità, dopo talune cessioni, dapprima alla (...) quindi, a (...) (oggi (...)) (v. documentazione prodotta a corredo della domanda d'ingiunzione). Ciò premesso, va innanzitutto osservato come la produzione in sede monitoria del contratto di finanziamento, dell'estratto conto ex art. 50 TUB e, nel giudizio di opposizione, dei relativi estratti conto da aprile 2006 al dicembre 2008 - dai quali si evince che l'opponente ha utilizzato tale carta di credito in più occasioni provvedendo a rimborsare mensilmente l'importo concordato mediante addebito sul conto corrente n. (...) allo stesso intestato - risulti sufficiente ad integrare gli estremi della prova del credito azionato in via monitoria. I predetti estratti conto non sono stati mai oggetto di contestazione nella sede stragiudiziale da parte dell'opponente ed hanno piena efficacia probatoria nel giudizio di opposizione, con la conseguenza che le relative risultanze possono essere disattese solo in presenza di circostanziate contestazioni specifiche dirette contro determinate annotazioni (cfr. ad es.: Cass. n. 5675/2001; Cass. n. 14849/2000; Cass. n. 12169/2000; Cass. n. 9579/2000). Risulta poi per tabulas che l'opponente ha sottoscritto la richiesta di concessione della carta di credito, corredata dal suo documento di identità, in data 24/12/2003 (doc. 2 fasc. monitorio), senza che l'autenticità della sottoscrizione sia stata disconosciuta dallo stesso nel primo atto difensivo utile successivo alla sua produzione, costituito dall'atto di citazione in opposizione, non essendo sufficiente a tal fine la contestazione relativa alla mancata titolarità della carta di credito (cfr. Cass. n. 1537 del 22/01/2018: "il disconoscimento di una scrittura privata ai sensi dell'art. 214 c.p.c., pur non richiedendo formule sacramentali o vincolate, deve comunque rivestire i caratteri della specificità e della determinatezza e non risolversi in espressioni di stile; pertanto, la parte che intenda negare l'autenticità della propria sottoscrizione è tenuta a specificare, ove più siano i documenti prodotti e a quali di questi si riferisca (...)"). Dovendosi ritenere per l'effetto tardivo il disconoscimento dell'autenticità di firma effettuato espressamente dall'opponente solo con la memoria ex art. 183 sesto comma n. 1 c.p.c., con conseguente superfluità della procedura di verificazione del documento, attesa la piena utilizzabilità dello stesso ai fini del decidere. Dall'estratto conto ex art. 50 TUB risulta poi che in data 12/05/2004 è stata emessa la carta di credito in questione (doc. 4 fasc. monitorio), mentre non può ritenersi indicativa la circostanza che il numero del rapporto indicato sull'estratto conto (n. 82379352) non sia inserito nel modulo di richiesta compilato dal cliente, essendo notorio che tale numero è quello identificativo del rapporto di emissione della carta di credito, successiva alla compilazione del modulo. Peraltro, a dimostrazione della conformità, va rilevato che sull'estratto conto è specificatamente indicato il nominavo del debitore con il relativo codice fiscale e il tasso di interesse applicato (14,496%), corrispondente a quello indicato anche nel contratto. Con riguardo alla eccepita usurarietà del tasso applicato al contratto di finanziamento, mette conto evidenziare come sia stata offerta a sostegno del superiore assunto una prospettazione, ancorché estesa, talmente generica da risultare inidonea ad attivare un serio percorso valutativo, di guisa che disporre la C.T.U. contabile richiesta dall'odierno opponente avrebbe semplicemente comportato un'elusione dell'onere probatorio incombente sulla parte per la dimostrazione dei fatti posti a base delle proprie difese, non potendo l'accertamento peritale supplire all'insufficienza delle sue allegazioni mediante compimento di un'indagine avente finalità meramente o prevalentemente esplorative. Si intende, tuttavia, precisare in ordine alla vexata quaestio del cumulo tra interessi corrispettivi e interessi moratori come, sebbene la giurisprudenza della Cassazione sia ferma nel ritenere che la disciplina dell'usura concerna anche tali interessi (cfr. Cass. 6 marzo 2017, n. 5598; cfr. pure Cass. 9 gennaio 2013, n. 350, Cass. 11 gennaio 2013, n. 602, oltre che le pronunce citate dalla parte opponente), in ogni caso, deve escludersi che il rispetto del tasso soglia vada verificato sommando gli interessi moratori a quelli corrispettivi. Ed invero, tale principio non si trova espresso nella nota pronuncia della Suprema Corte n. 350/2013, laddove i giudici di legittimità si sono limitati a ribadire il principio secondo cui - ai fini dell'applicazione dell'art. 1815 c.c. e dell'art. 644 c.p. - si considerano usurari gli interessi che superano il limite stabilito nella legge al momento in cui sono promessi o comunque convenuti a qualunque titolo, e quindi anche a titolo di interessi moratori. Tuttavia, a tale affermazione non consegue affatto che gli interessi corrispettivi e quelli moratori vadano cumulati mediante la sommatoria dei tassi corrispondenti. Infatti, l'interesse moratorio è un accessorio del credito che viene ad esistenza solo ipoteticamente, laddove il mutuatario si renda inadempiente, onde sarebbe erroneo applicarlo all'intero capitale da restituire. Tale interesse incide, piuttosto, sulle singole rate di ammortamento che non siano corrisposte o siano tardivamente corrisposte: se anche volesse credersi, dunque, che i due interessi si cumulano, l'interesse moratorio andrebbe calcolato prendendo in considerazione non già l'intero montante, quanto la frazione o le frazioni del debito che sono oggetto di inadempimento. In altri termini, se è vero che il superamento del tasso soglia debba essere accertato con riferimento al momento in cui gli interessi stessi siano promessi o convenuti, non è altrettanto vero che ai fini della verifica dell'usurarietà possano semplicisticamente sommarsi i tassi degli interessi corrispettivi e di quelli moratori, giacché gli uni in quel frangente sono sicuramente dovuti nella misura pattuita (e quindi sull'intero capitale, se pure il rimborso risulta essere frazionato), mentre gli altri verranno ad esistenza se vi sarà inadempimento e saranno da corrispondere nella misura che potrà determinarsi solo a posteriori, sulla base dell'entità dell'inadempimento stesso. Sicché, una eventuale verifica del superamento del tasso soglia andrebbe effettuata parallelamente e separatamente con riferimento ai due tassi, che assolvono a due funzioni diverse. Nel caso di specie, peraltro, l'opponente ha contestato l'usurarietà del tasso applicato, risultante dal cumulo degli interessi corrispettivi e moratori (15,99%), senza tuttavia fornire la prova, per la categoria di appartenenza dell'operazione economica oggetto di causa (apertura di credito in conto corrente per l'importo di Euro 5.470,62), della fonte dei TAEGM allegati (rilevazioni ministeriali periodiche) e dei relativi tassi soglia. Senza considerare, infine, quanto all'usura sopravvenuta, che da ultimo - come è ben noto - il tema è stato oggetto di esame da parte delle Sezioni Unite, le quali si sono pronunciate nel senso della non configurabilità, nel nostro ordinamento, dell'usura sopravvenuta (Cass. S.U. 19 ottobre 2017, n. 24675). Deve essere rigettata altresì l'eccezione sollevata dall'opponente di prescrizione degli interessi maturati. Invero, la rateizzazione in più versamenti periodici dell'unico debito nascente da un finanziamento bancario, come nel caso di specie, non ne determina il frazionamento in distinti rapporti obbligatori, neanche con riferimento agli interessi previsti nel piano di ammortamento, che del finanziamento costituiscono il corrispettivo, od a quelli moratori, fondati sul presupposto dell'inadempimento e privi di cadenza periodica imperativa, sicché deve escludersi, per tali tipologie di interessi, l'applicabilità dell'art. 2948, n. 4, cod. civ. sulla prescrizione quinquennale degli adempimenti periodici di singole obbligazioni autonome ed indipendenti (cfr., al riguardo, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 18951 del 08/08/2013). Pertanto, dalla conclusione del rapporto, avvenuta con la revoca dell'utilizzo della carta di credito nel dicembre del 2008 alla notifica del decreto ingiuntivo in data 7/03/2018 non risulta decorso il termine prescrizionale ordinario di dieci anni. Senza considerare che la prescrizione è stata, in ogni caso, interrotta attraverso la comunicazione di intervenuta cessione del credito e contestuale diffida di pagamento inviata all'opponente dalla (...), su mandato della (...) (doc. 6 parte opposta), in data 4.2.2016 e dallo stesso regolarmente ricevuta come da cartolina A/R sottoscritta dal destinatario (doc. 7 parte opposta), senza che la generica contestazione sulla provenienza della sottoscrizione, in difetto di querela di falso, valga a privare il documento di efficacia probatoria (Cass. sentenza n. 8434/2018). Da ultimo non può ritenersi fondata nemmeno la contestazione, mossa dall'opponente solo in comparsa conclusionale, relativa all'applicazione dei principi in materia di controlli officiosi del giudice sulla natura vessatoria delle clausole contrattuali, di cui alla sentenza n. 9479 resa dalle Sezioni Unite della Cassazione in data 6/04/2023. E ciò tenuto conto che tali principi si riferiscono al procedimento monitorio a contraddittorio eventuale e differito, mentre nel caso di specie a seguito dell'opposizione il giudizio è proseguito con il pieno contraddittorio tra le parti senza che l'opponente, nei termini previsti per le preclusioni assertive, abbia sollevato alcuna specifica eccezione in ordine alla natura vessatoria delle clausole contrattuali, limitandosi a sollevare la relativa questione solo in comparsa conclusionale, senza peraltro indicare le clausole contrattuali che sarebbero affette da tale presunto vizio e senza specificare i profili di vessatorietà che si assumono sussistenti. Alla luce delle argomentazioni suesposte e rilevato come nessuna specifica censura sia stata mossa dall'opponente sia in ordine alla avvenuta messa a disposizione delle somme oggetto del contratto di apertura di credito revolving da questi sottoscritto sia con riguardo all'inadempimento ex adverso dedotto, dovrà rigettarsi l'opposizione proposta e per l'effetto andrà confermato il decreto ingiuntivo emesso, con accertamento della sua definitiva esecutività. Per il principio della soccombenza, l'opponente dovrà rifondere alla parte opposta le spese della presente fase di opposizione, nella misura indicata in dispositivo in applicazione dei parametri di cui al DM. 147/2022. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione respinta, definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle parti, così provvede: - rigetta l'opposizione proposta da (...) avverso il decreto ingiuntivo n. 2182/2018, con conseguente conferma dello stesso ed accertamento della sua definitiva esecutività; - condanna parte opponente alla rifusione in favore della società opposta e della terza intervenuta, in solido, delle spese della presente fase di opposizione, quantificate in Euro 4.237,00 per compensi, oltre oneri accessori come per legge. Così deciso in Roma il 2 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 13 febbraio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI LIVORNO SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Azzurra Fodra ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. (...) promossa da: (...) (C.F. p.iva (...), con il patrocinio dell'avv. (...) e dell'avv.(...) (c.f. (...); elettivamente domiciliato in Indirizzo Telematico presso il difensore avv. (...) (...) Avvocato (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) e dell'avv. (...) (c.f. (...)) Indirizzo Telematico; elettivamente domiciliato in Indirizzo Telematico presso il difensore avv. (...) ATTORE/I contro (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) elettivamente domiciliato in (...) 50127 (...) presso il difensore avv. (...) CONVENUTO/I CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione notificata il (...) la (...) ha convenuto il (...) davanti al Tribunale di Livorno perché fosse dichiarata la nullità del contratto di mutuo del (...) e delle clausole determinative degli interessi o per vizi contrattuali o per violazione della normativa sull'usura e quindi fosse condannata alla restituzione di quanto percepito dalla mutuataria. In particolare, ha rassegnato le seguenti conclusioni di merito, insistendo anche per l'ammissione dei mezzi istruttori non ammessi: "A) Difformità tassi e pattuizioni ACCERTARE E DICHIARARE la difformità tra (...) letteralmente ed espressamente pattuito in contratto e (...) effettivamente applicato nel concreto sviluppo del piano di ammortamento in violazione degli artt. 1284c.c. e 1283 c.c., nonché degli artt. 120, comma 2 TUb, e dell'art. 6 della delibera CICR del 9 febbraio 2000, e per l'effetto DICHIARARE la nullità della clausola relativa agli interessi e per l'effetto DICHIARARE la nullità strutturale del negozio ai sensi dell'art. 1418 2 c.c. derivante dalla originaria mancanza di volontà a contrarre da parte del cliente al maggior (...) effettivamente accertato e, pertanto, rideterminare il piano di ammortamento con la conseguente perdita di tutti gli interessi e competente e, dunque, CONDANNARE la (...) alla restituzione degli interessi e competente percepiti oltre interessi legali e svalutazione economica da ogni singolo pagamento al saldo; IN VTA SUBORDINATA, nella denegata ipotesi di rigetto della domanda principale, ACCERTARE E DICHIARARE la difformità tra (...) letteralmente ed espressamente pattuito in contratto e (...) effettivamente applicato nel concreto sviluppo del piano di ammortamento, in violazione degli artt. 1284 3 c.c. e 1283 c.c., , nonché degli artt. 120, comma 2 TUb, e dell'art. 6 della delibera CICR del (...), e per l'effetto DICHIARARE la nullità della clausola relativa agli interessi ai sensi dell'art. 1419 2 c.c. e, per l'effetto del disposto di cui all'art. 117 comma 6 e 7 t.u.b., l'applicatone del solo tasso di interesse legale e/o sostitutivo minimo BOT 1 applicabile in sostituitone dell'interesse contrattuale pattuito, previa compensatone delle maggiori somme non dovute accertate in corso di causa, corrisposte da parte attrice per rate di ammortamento scadute, ricostruire il piano di frazionamento del rimborso attualizzando, in regime semplice, i rimborsi rateali elaborati con quote di capitale costanti, ACCERTANDO l'effettivo dare avere, CONDANNANDO la (...) alla restituzione delle eventuali somme corrisposte in esubero. IN VIA ULTERIORMENTE SUBORDINATA, nella denegata ipotesi di rigetto della domanda subordinata, ACCERTARE E DICHIARARE la difformità tra (...) letteralmente ed espressamente pattuito in contratto e (...) effettivamente applicato nel concreto sviluppo del piano di ammortamento, in violatone del combinato disposto ex art. 1346, 1418, 1419 2, 1284 3, 1283 c.c., , nonché degli artt. 120, comma 2 TUb, e dell'art. 6 della delibera CICR del 9 febbraio 2000, e per l'effetto DICHIARARE la nullità della clausola relativa agli interessi ai sensi dell'art. 14192 c.c. e, per l'effetto del disposto di cui all'art. 12843 c.c., individuato il saggio di interesse legale ex art 12842 c.c. in sostituzione dell'interesse contrattuale pattuito, previa compensatone delle maggiori somme non dovute accertate in corso di causa, corrisposte da parte attrice per rate di ammortamento scadute, ricostruire il piano di frazionamento del rimborso attualizzando, in regime semplice, i rimborsi rateali elaborati con quote di capitale costanti, ACCERTANDO l'effettivo dareavere, CONDANNANDO la (...) alla restituzione delle eventuali somme corrisposte in esubero. IN VIA GRADATAMENTE SUBORDINATA, nella denegata ipotesi di rigetto della domanda ulteriormente subordinata, ACCERTARE E DICHIARARE, previo accertamento dell'effettivo interesse applicato in contratto per effetto dell'applicazione del regime composto degli interessi in violazione dell'art. 1283 c.c. come richiesto sopra, il superamento del tasso soglia usura in relazione all'interesse a qualsiasi titolo convenuto e/ o applicato dall'istituto di credito, e, dunque, dichiarare la nullità parziale del contratto bancario e del relativo piano di rimborso rateale, agli atti del presente giudizio, e di ogni altro atto successivo, relativamente alle clausole determinative degli interessi superiori al tasso soglia usura. Per l'effetto DICHIARARE, ex art. 1815 c.c., in favore dell'attore la non debenza degli interessi. Dichiarare il diritto dell'attore alla restituzione alla banca delle somme ricevute in prestito mediante un piano rateale con rideterminazione del saldo debitore e con esclusione degli interessi corrisposti e/ o calcolati in eccesso. B) Invalidità parametro riferimento ACCERTARE e DICHIARARE, la nullità originaria del contratto per la violazione dell'art. 1418, comma 1, c.c. in quanto la manipolatone del tasso di riferimento (Euribor) per la determinazione del tasso corrispettivo determina una grave violazione dell'ordine pubblico economico (cfr. art. 185 del TUF), con la conseguente perdita di tutti gli interessi e competente e, per l'effetto, CONDANNARE la (...) alla restituzione degli interessi e competenze percepiti e per l'effetto DICHIARARE la debenza, per le rate ancora a scadere, della sola sorte capitale da versarsi di volta in volta secondo l'originario piano di ammortamento; in via ancora subordinata, ACCERTARE e DICHIARARE la violazione della normativa ANTITRUST e la nullità del parametro di riferimento Euribor, con la conseguente perdita di tutti gli interessi e competenze e, per l'effetto, CONDANNARE la (...) alla restituzione degli interessi e competenze percepiti e per l'effetto DICHIARARE la debenza, per le rate ancora a scadere, della sola sorte capitale da versarsi di volta in volta secondo l'originario piano di ammortamento. C) Usura contrattuale ACCERTARE E DICHIARARE la parziale nullità, ai sensi e per gli effetti degli artt. 18152 c.c. (cfr. art. 644, comma 3, c.p.) e 1419 c.c., del contratto di mutuo derivante dall'usurarietà delle competenze bancarie, con la conseguente perdita di tutti gli interessi e competenze e, per l'effetto, CONDANNARE la banca alla restituzione degli interessi e competenze percepiti oltre interessi legali e svalutazione economica da ogni singolo pagamento al saldo; in via subordinata, ACCERTARE E DICHIARARE la difformità tra tasso contrattuale e tasso effettivamente applicato nel piano di ammortamento, DICHIARARE, ai sensi dell'art. 1284 c.c., 1283 c.c. 1419 c.c., la nullità della clausola dell'interesse ultralegale e DISPORRE il ricalcalo dell'intero rimborso al tasso legale di volta in volta in vigore, con eliminatone dell'anatocismo in ogni sua applicazione; ACCERTARE, altresì, che il TAEG, calcolato dal perito di parte, comprensivo della sola penale di estinzione anticipata supera il tasso soglia nell'ipotesi dell'estinzione in corrispondenza della prima rata pagata supera il tasso soglia di riferimento relativo ai mutui ipotecari a tasso variabile stipulati nel secondo trimestre 2016; nonché che il TAEG, sempre calcolato dal perito di parte, comprensivo delle spese previste in contratto e della maggiorazione per la mora supera il tasso soglia di riferimento relativo ai mutui ipotecari a tasso variabile stipulati nel secondo trimestre 2016 E, PER L'EFFETTO DICHIARARE la parlale nullità, ai sensi e per gli effetti degli artt. 18152 c.c. (cfr. art. 644, comma 3, c.p.) e 1419 c.c., del contratto di mutuo derivante dall'usurarietà delle competenze bancarie, con la conseguente perdita di tutti gli interessi e competenze e, per l'effetto, CONDANNARE la banca alla restituzione degli interessi e competenze percepiti oltre interessi legali e svalutazione economica da ogni singolo pagamento al saldo; in via subordinata, ACCERTARE E DICHIARARE la difformità tra tasso contrattuale e tasso effettivamente applicato nel piano di ammortamento, DICHIARARE, ai sensi dell'art. 1284 c.c., 1283 c.c. 1419 c.c., la nullità della clausola dell'interesse ultralegale e DISPORRE il ricalcalo dell'intero rimborso al tasso legale di volta in volta in vigore, con eliminazione dell'anatocismo in ogni sua applicazione; D) In ogni caso: ACCERTARE e DICHIARARE, per l'effetto, l'esatto dare -avere tra le parti in base ai risultati del ricalcolo che potrà essere effettuato in sede di c.t.u. contabile sul rapporto di finanziamento e successivi frazionamenti e sulla base dell'intera documentazione ad esso relativa; DICHIARARE l'invalidità di eventuali ed arbitrarie decadenze dal beneficio del termine, invalido in base all'effettivo dare alla data della notifica dell'atto di citazione; ACCERTARE e DICHIARARE, con quantificazione rimessa al prudente apprezzamento del Giudice, il risarcimento del danno subito dagli odierni opponenti e condannare la (...) al suo pagamento in loro favore, oltre interessi e svalutazione monetaria al soddisfo". Il (...) si è costituita in giudizio, eccependo in via preliminare la prescrizione delle domande attore e nel merito la loro infondatezza. 2. Ai fini della decisione, va in primo luogo rilevato che le parti hanno stipulato il contratto di mutuo, per un importo pari ad Euro 750.000,00, il (...); venne pattuito un tasso variabile, ancorato al tasso Euribor con maggiorazione del medesimo del 2%, un ISC al 4,95%, un tasso di mora pari al tasso corrispettivo maggiorato del 1,45%; il contratto di mutuo prodotto risulta corredato del relativo piano di ammortamento, che segue il ed. regime dell'ammortamento alla francese. Il contratto, infine, venne rinegoziato e sospesa la sua esecuzione per dodici mesi per tre volte, nel 2010, nel 2014 e nel 2017, finché nel 2019 l'adempimento restitutorio venne interrotto. 3. Ciò posto, deve rilevarsi che le domande attoree verranno esaminate non seguendo l'ordine di esposizione contenuto nelle conclusioni atto-reo, ma l'ordine logico delle questioni giuridiche sottese alle medesime domande. 3.1 Pertanto, la prima questione da esaminare è quella relativa alla lamentata usura contrattuale relativa al contratto di mutuo stipulato tra le parti, atteso che se essa fosse fondata, determinerebbe la gratuità del mutuo e l'assorbimento delle altre domande. Come è noto, la Corte di Cassazione con la pronuncia a SS.UU. n. 19597/2020 ha precisato che: "L'onere probatorio nelle controversie sulla de-ben%a e sulla misura degli interessi moratori, ai sensi dell'art. 2697 c.c., si atteggia nel senso che, da un lato, il debitore, il quale intenda provare l'entità usurarla degli stessi, ha l'onere di dedurre il tipo contrattuale, la clausola negoziale, il tasso moratoria in concreto applicato, l'eventuale qualità di consumatore, la misura del T.e.g.m. nel periodo considerato, con gli altri elementi contenuti nel Decreto ministeriale di riferimento; dall'altro lato, è onere della controparte allegare e provare i fatti modificativi o estintivi dell'altrui diritto". Nel caso di specie, tale onere probatorio non è stato affatto assolto da parte dell'attore, il quale si è limitato a affermare nell'atto introduttivo del giudizio che nel contratto de quo sarebbero stati pattuiti interessi oggettivamente usurari e che il superamento del tasso soglia deriverebbe dalla sommatoria del tasso corrispettivo previsto al momento della pattuizione nel 2006 con quello moratorio previsto nel medesimo contratto. Ed infatti, la Suprema Corte ha da tempo chiarito con la sentenza a Sezioni unite sopra citata che il tasso di mora, se pur rilevante ai fini della verifica della sussistenza di un tasso moratorio usurano, non deve essere sommato a quello corrispettivo: "In tema di usura bancaria, ai fini della determinazione del tasso soglia, non è possibile procedere al cumulo materiale delle somme dovute alla banca a titolo di interessi corrispettivi e di interessi moratori, stante la diversa funzione che gli stessi perseguono in relazione alla natura corrispettiva dei primi e di penale per l'inadempimento dei secondi, sicché è necessario procedere al calcolo separato della loro relativa incidenza, per i primi ricorrendo alle previsioni dell'art. 2, comma 4, della legge n. 108 del 1996 e per i secondi, ove non citati nella rilevazione dei decreti ministeriali attuativi della citata previsione legislativa, comparando il tasso effettivo globale, aumentato della percentuale di mora, con il tasso effettivo globale medio del periodo di riferimento, (cfr. anche Cass. ord. n. 31615 del 2021). Nel caso in esame, peraltro, il TEGM del periodo di riferimento (maggio 2006) era il 4,16% per gli interessi corrispettivi e quindi il tasso soglia era pari al 6,24%; per i moratori era al 6,26% e il tasso soglia per questi interessi era al 9,39; nel contratto di mutuo agli atti è previsto un tasso corrispettivo pari al 4,829% - dato dal tasso Euribor del 2,829 più la maggiorazione del 2% ( cfr. pag. 5 del contratto di mutuo doc.4 parte convenuta) - e un tasso moratorio, quindi, del 6,279%, che risultano di gran lunga inferiori al tasso soglia. 3.2 La seconda domanda da esaminare è quella relativa alla nullità delle condizioni contrattuali relative ai tassi di interesse perché pattuite, secondo la tesi attorea, in violazione dell'art. 1283 c.c. in tema di anatoci-smo bancario e, comunque, nulle per indeterminatezza dell'oggetto ai sensi degli artt. 1346, 1418 e 1419 c.c.. Questo giudice, pur consapevole che la questione della natura semplice o composta degli interessi corrispettivi nell'ambito dei mutui con ammortamento alla francese, come quello che ci occupa, e della possibile violazione degli artt. 1346 e 1418 c.c., è stata rimessa in via pregiudiziale ai sensi dell'art. 363 bis c.p.c. alle Sezioni Unite, intende ad oggi seguire ai fini della decisione l'orientamento che esclude la nullità della clausola per indeterminatezza dell'oggetto. Ed infatti, francamente, dall'esame del contratto di mutuo e della documentazione contrattuale relativa ai piani di ammortamento, anche successivi alle rinegoziazioni del contratto, nel 2010, 2014, 2017, non si comprende come si possa sostenere che, nel caso in esame, le condizioni contrattuali relative al costo del mutuo fossero indeterminate. Nel contratto e nell'allegato documento di sintesi sono indicate le condizioni contrattuali in modo chiaro e nei piani di ammortamento è indicato l'importo relativo alla singola rata, con tanto di specificazione della parte da imputare a interessi e della parte da imputare a capitale. Parimenti, va escluso che il piano di ammortamento alla francese di per sé determini un fenomeno anatocistico occulto, come sostiene parte attrice. Ed infatti, la prevalente giurisprudenza di merito in materia, a cui questo giudice intende aderire, ha da tempo chiarito, che il piano di ammortamento c.d. "alla francese", che prevede il pagamento di rate periodiche composte da una quota di capitale ed una quota di interessi (calcolata sul capitale residuo), di guisa che, nel progredire dell'ammortamento la quota capitale cresce progressivamente, mentre quella per interessi è via via di entità sempre inferiore, non determina, di per sé, alcun fenomeno anatocistico, in quanto il mutuatario paga interessi solo sulla porzione di rata scaduta relativa al capitale e non anche sugli interessi scaduti, con ciò non generandosi alcun fenomeno anatocistico. 3.3 Va respinta anche la domanda proposta da parte attrice avente ad oggetto la lamentata violazione da parte della banca convenuta della disciplina relativa alla trasparenza bancaria. L'attore ha sostenuto che, nel caso concreto, l'entità del costo complessivo effettivo della erogazione del credito, dato dall'indicatore sintetico di costo, 1SC, sarebbe stato diverso da quello pattuito e pari a 4,95% e, pertanto, la clausola relativa agli interessi sarebbe nulla per violazione della normativa sulla trasparenza bancaria. Questa tesi non convince. Ed infatti, non solo la doglianza di parte attrice e la relativa perizia contabile, allegata all'atto introduttivo, fanno riferimento al contratto del 2006 e contestuale ammortamento, e non alle successive tre rinegoziazioni del mutuo, ma non tiene di conto dell'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità in materia. Secondo tale orientamento, infatti, anche in caso di indicazione in contratto di un ISC non conforme a quello effettivo globale, poiché tale indicazione non attiene ad una condizione economica del contratto, ma è solo uno strumento di trasparenza e informazione contrattuale, che indica il valore del costo complessivo della operazione, non si ha alcuna nullità delle clausole economiche sottese all'indicatore e dalla cui sommatoria si può evincere il costo complessivo della erogazione del credito, ma solo una ipotesi di responsabilità precontrattuale della banca. Unica eccezione si ha nei contratti di credito al consumo, ipotesi che nel caso in esame non ricorre, in cui l'art. 125 bis del TUB, prevede la sanzione della nullità in caso di non rispondenza del TAEG indicato con quello effettivo ( cfr. Cass. N.39169 del 2021 e Cass. N. 14000 del 2023 e Cass. N. 4597 del 2023). Pertanto, il mancato adempimento dell'obbligo di inserimento di un corretto ISC nel contratto può generare esclusivamente una responsabilità risarcitoria dell'istituto bancario, con conseguente diritto del mutuatario di ottenere il ristoro del pregiudizio subito, nella circostanza in cui sia dimostrata la perduta possibilità di stipulazione di un negozio economicamente più vantaggioso; infatti, il potenziale nocumento patrimoniale subito dall'interessato consiste proprio nella differenza tra il costo del negozio stipulato e quello che avrebbe concluso nella circostanza in cui avesse avuto reale contezza del valore economico dell'operazione finanziaria. Tale pregiudizio va concretamente allegato e provato dalla parte che lo invochi. Nel caso in esame, anche ove si volesse ritenere fondata la doglianza attorea sulla scorretta indicazione dell'ISC, tale pregiudizio non è stato né puntualmente allegato, né tantomeno provato, e per tale ragione non si è neppure proceduto ad una verifica tecnica della fondatezza della tesi attorea. 3.4 Da ultimo, va esaminata la doglianza relativa alla nullità della clausola relativa agli interessi corrispettivi perché pattuita per relationem al tasso Euribor, frutto dal 2005 al 2008 di una intesa manipolativa del mercato. Ed infatti, se deve darsi atto del fatto che una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affermato che "le intese vietate ai sensi dell'art. 2 della l. n. 287 del 1990 (c.d. "legge antitrust") non sono soltanto quelle trasfuse in contratti o negozi giuridici in senso tecnico, ma anche quelle veicolate da comportamenti o condotte "non negoziali" che, con la consapevole partecipazione di almeno due imprese, restringano o falsino, in qualsiasi forma e in modo consistente, la concorrenza all'interno del mercato; ne conseguono, da un lato, la riconducibilità alla citata nozione normativa dell'accordo manipolativo del tasso Euribor accertato dalla Commissione Europea con decisione del (...) e, dall'altro, la nullità dei contratti "a valle" che si richiamino per relationem al tasso manipolato, assurgendo la predetta decisione a prova privilegiata di un'intesa illecita, alla quale è irrilevante che non abbia preso parte l'istituto bancario contraente" ( cfr. Cass. N.34889 del 2023), questo giudice non intende aderire al principio di diritto espresso dalla Corte. Ed infatti, appare preferibile continuare a seguire la giurisprudenza di merito maggioritaria, secondo cui la nullità della clausola può essere dichiarata solo ove vi sia la prova che la banca erogatrice del credito e che ha deciso di determinare il tasso corrispettivo per relationem al tasso Euribor, abbia partecipato alla intesa manipolativa del mercato avvenuta tra il (...) e il (...) e accertata in sede di Commissione UE il (...). Solo in tale caso, infatti, può dirsi che, sia sul piano oggettivo che soggettivo, che il contratto a valle sia l'attuazione dell'intesa illecita a monte, presupposto necessario per applicare l'art. 2 delle legge n. 287 del 1990. Non si comprende, invero, come sia possibile individuare un collegamento negoziale, tale da determinare la illiceità del contratto di mutuo nella parte relativa agli interessi in ragione della illiceità della intesa manipolativa, se tra i due negozi giuridici sul piano soggettivo non può ravvisarsi alcun collegamento e se l'istituto di credito nella determinazione del tasso da applicare ha riposto legittimo affidamento in un tasso come quello Euribor, normalmente applicato nella pratica bancaria per la pattuizione dei tassi variabili. Peraltro, su tale specifico aspetto, la Corte di Cassazione nella sentenza prima richiamata, non motiva affatto e si limita ad affermare la irrilevanza della partecipazione della banca creditrice alla intesa manipolativa. La domanda anche in parte de qua va respinta. 4. Le spese processuali seguono la soccombenza e devono essere liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale di Livorno, definitivamente pronunciando, così provvede: 1) rigetta le domande attoree; 2) condanna parte attrice a rimborsare a parte convenuta le spese processuali, che liquida in Euro (...), oltre accessori come per legge. Così deciso in Livorno il 29 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 29 gennaio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE PRIMA SEZIONE CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati Oggetto FIDEJUSSIONE E CONTO CORRENTE Dott. Mauro Di Marzio Presidente Dott.ssa Loredana Nazzicone Consigliere Dott. Rosario Caiazzo Consigliere Dott. Massimo Falabella Consigliere Ud. 08/01/2024 PU Cron. R.G.N. 14776/2019 Dott. Eduardo Campese Consigliere - rel. ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso n. 14776/2019 r.g. proposto da: MORINI BARBARA, ARTIOLI MARGHERITA e MORINI LORENZO, tutti rappresentati e difesi, giusta procura speciale allegata al ricorso, dall’Avvocato Bruno Guaraldi, con cui elettivamente domiciliano in Roma, alla via G. Avezzana n. 6, presso lo studio dell’Avvocato Matteo Acciari. -ricorrenti - contro BANCO BPM S.P.A., con sede in Milano, alla Piazza F. Meda n. 4, in persona della procuratrice speciale dott.ssa Maura Arcaini, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, dall’Avvocato Alberto Neri, presso il cui studio elettivamente domicilia in Reggio Emilia, alla via Ernesto “Che” Guevara n. 2. - controricorrente - avverso l’ordinanza ex artt. 348-bis e 348-ter cod. proc. civ. della CORTE DI APPELLO DI BOLOGNA datata 19/02/2019 e la sentenza, n. cron. 358/2018, del TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA pubblicata il giorno 13/03/2018; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 08/01/2024 dal Consigliere dott. Eduardo Campese; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Giovanni Battista Nardecchia, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del sesto motivo di ricorso, con assorbimento del settimo, ottavo e tredicesimo, e con rigetto e/o declaratoria di inammissibilità degli altri; sentito, per i ricorrenti, l’Avv. B. Guaraldi, che ha chiesto accogliersi il ricorso; sentito, per la controricorrente, l’Avv. A. Neri, che ha chiesto rigettarsi l’avverso ricorso; lette le memorie ex art. 378 cod. proc. civ. di entrambe le parti. FATTI DI CAUSA 1. Il 28 agosto 2013 fu notificato a Barbara Morini, Lorenzo Morini e Margherita Artioli il decreto n. 3180/13, emesso dal Tribunale di Reggio Emilia su ricorso del Banco Popolare soc. coop. (poi divenuto Banco Popolare BPM s.p.a., d’ora in avanti, breviter, Banco), con il quale era stato ingiunto, a loro ed a Massimo Miselli, il pagamento, in via solidale, in favore del Banco, di € 389.826,11, oltre interessi e spese della procedura monitoria. Tanto in virtù delle fideiussioni prestate dagli stessi per garantire le somme erogate dal menzionato creditore, giusta due contratti di mutuo, alla Calcestruzzi Val d’Enza s.r.l., all’epoca ammessa alla procedura di concordato preventivo avanti al medesimo tribunale. 1.1. Barbara Morini, Lorenzo Morini e Margherita Artioli proposero opposizione ex art. 645 cod. proc. civ., eccependo, tra l’altro, che: i) la Calcestruzzi Val d’Enza s.r.l., al contrario di quanto affermato nel ricorso per ingiunzione, non fosse debitrice del Banco, bensì sua creditrice per circa € 271.953,65, per abusivi addebiti, a titolo di interessi, commissioni e tassi oltre-soglia, nell’andamento del conto corrente n. 1229, acceso presso la sua filiale di Montecchio Emilia; ii) pochi giorni prima della notificazione del decreto suddetto, il co-fideiussore ingiunto Massimo Miselli aveva concluso una transazione con il Banco per il credito portato dall’ingiunzione, transazione di cui gli opponenti, invocando l’art. 1304 cod. civ., dichiararono di volersi avvalere; iii) era stato superato il termine legale per agire contro i fideiussori rispetto alla scadenza dell’obbligazione garantita; iv) l’ingiunzione avrebbe dovuto essere revocata quanto meno per la parte di debito pagato dal Miselli. 1.1. Si costituì l’opposto, contestando le avverse argomentazioni ed affermando che la transazione conclusa con il Miselli era da intendersi “pro quota”, con conseguente infondatezza dell’eccezione di controparte di cui all’art. 1304 cod. civ.. 1.2. Esaurita l’istruttoria, nel corso della quale fu espletata una c.t.u. (al fine di verificare, “…sulla base della documentazione prodotta in atti, se vi sia stato il superamento dei tassi soglia rilevanti per l’usura sopravvenuta” e, in caso positivo, ricalcolare, “per ogni singolo periodo in cui sia rilevato il superamento del tasso soglia, il saldo depurato dagli interessi convenzionali” ed “i soli interessi legali relativamente al periodo in cui tale superamento si è verificato”), poi seguita da un supplemento di indagine affidato alla medesima consulente, l’adito tribunale, con sentenza del 13 marzo 2018, n. 358, accolse parzialmente l’opposizione, revocò l’ingiunzione opposta e condannò gli opponenti al pagamento della residua somma di € 249.826,11 (ottenuta detraendo da quella originariamente ingiunta l’importo di € 140.000,00 corrisposto dal condebitore Massimo Miselli), oltre interessi legali dal 25 luglio 2013 al saldo. Compensò, inoltre, i 2/5 delle spese di lite, ponendone la residua frazione a carico di Barbara Morini, Lorenzo Morini e Margherita Artioli, unitamente a quelle della espletata c.t.u.. 1.2.1. Ritenne quel giudice: i) quanto all’eccezione di compensazione relativa al rapporto di conto corrente n. 1229, che, «A prescindere dalle argomentazioni svolte dall’opposto, è assorbente il rilievo in ordine alla mancata produzione, da parte degli opponenti, di qualsivoglia estratto conto». Riferì, in proposito, che, «All’inizio delle operazioni peritali, il c.t. di parte opponente ha proposto che si tenesse conto dei dati inseriti nella perizia di parte da lui stesso elaborata […], i quali sarebbero stati ottenuti “scaricando i files elettronici di Banco popolare dall’home banking in dotazione alla Calcestruzzi Val d’Enza”. Il c.t. della Banca si è opposto rilevando che il quesito richiedeva una soluzione basata sulla documentazione in atti, non potendosi ritenere una perizia di parte equipollente agli estratti conto. Non avendo, poi, il c.t. di parte opposta prestato consenso all’acquisizione degli estratti conto ai sensi dell’art. 198 c.p.c., il c.t.u. ha ritenuto di interpellare il giudicante: “informato dell’assenza agli atti della documentazione bancaria relativa al rapporto di conto corrente, il G.I. ha confermato che il quesito prevedeva la sola indagine sui documenti prodotti in causa” […]. Il c.t.u. ha, quindi, concluso di non essere in grado di svolgere l’indagine circa un eventuale superamento dei tassi soglia nel rapporto di conto corrente n. 1129. Ora, a prescindere da quanto sarebbe stato riferito informalmente dal giudice al c.t.u., si ritiene del tutto condivisibile la posizione assunta dal perito». Considerò, inoltre, «capziosa […] l’argomentazione in ordine alla natura documentale dei movimenti allegati alla perizia di parte. Invero, non rileva che questi siano ontologicamente documenti o meno, quanto, invece, il peso probatorio degli stessi. Una mera stampata dei movimenti bancari, asseritamente estratti dal sistema di home banking, rappresenta sì un documento, ma liberamente elaborato dalla parte che lo produce, non avendo una chiara provenienza dall’istituto bancario ed essendo comunque modificabile. Specialmente a fronte di espressa contestazione, quindi, non si può sostenere che esso supplisca alla mancata produzione degli estratti conto. Peraltro, avendo chiesto il c.t. di parte attrice di esibire al c.t.u. gli estratti conto, che quindi sarebbero nella disponibilità degli opponenti, non si comprende proprio per quale motivo parte opponente non li abbia tempestivamente depositati al fine di corroborare le proprie domande. Né, da ultimo, tale (opinabile) scelta può giustificare un’elusione dell’onere probatorio»; ii) quanto alla pretesa duplicazione degli interessi di mora, che era «pacifico che i mutui erano regolati sul conto corrente n. 1229» e che «Non merita accoglimento la tesi di parte opponente secondo cui sarebbe illegittimo l’addebito di interessi di mora sul saldo passivo del conto corrente, costituito anche dalle rate insolute dei mutui e dai relativi interessi passivi»; iii) quanto alla pretesa usura nei contratti di mutuo, ne escluse la configurabilità al momento della loro conclusione, altresì precisando che, «anche qualora ciò fosse stato accertato nel corso dei rapporti contrattuali (e così non è), il rilievo non comporterebbe alcuna conseguenza in termini di nullità o inefficacia della clausola determinativa degli interessi, né cagionerebbe il venir meno del diritto della Banca a richiedere (o a trattenere, nel caso concreto) le somme addebitate a titolo di interessi passivi», come sancito da Cass., SU, n. 24675 del 2017; iv) quanto alla transazione conclusa da Massimo Miselli ed il Banco, della quale gli opponenti avevano dichiarato di volersi avvalere ex art. 1304 cod. civ., che la stessa, diversamente da quanto preteso da questi ultimi, doveva intendersi aver riguardato soltanto la quota del menzionato condebitore, sicché «il debito residuo dei condebitori non transigenti deve essere ridotto in misura corrispondente all'ammontare di quanto pagato da colui che ha transatto»; v) quanto, infine, all’eccezione degli opponenti ex art. 1957 cod. civ. (asserita tardività dell’azione del creditore), rimarcò che le parti avevano espressamente derogato alla norma di legge e che Calcestruzzi Val d’Enza s.r.l. era sottoposta a procedura di concordato preventivo, radicata con ricorso depositato il 15.6.11 ed omologato il 18.2.2012. Puntualizzò, quindi, che «La comunicazione di decadenza dal beneficio del termine relativa ai mutui è stata inviata il 2.2.11 e ricevuta da Calcestruzzi Val d’Enza il 7.2.11 […]. Considerato che non può essere instaurata o proseguita esecuzione individuale una volta proposta domanda di ammissione a concordato preventivo ai sensi dell’art. 168 L.fall., si evince che non è mai spirato il termine previsto dell’art. 1957/1 c.c.». 2. Il gravame promosso da Barbara Morini, Lorenzo Morini e Margherita Artioli contro tale decisione fu dichiarato inammissibile, ex art. 348-bis cod. proc. civ. (nel testo anteriore alla sua modificazione disposta dal d.lgs. n. 149 del 2022), dall’adita Corte di appello di Bologna, con ordinanza del 19 febbraio 2019, n. 1033 rep., resa nel contraddittorio con il Banco BPM s.p.a.. 2.1. Per quanto qui di residuo interesse, ed in estrema sintesi, quella corte osservò, innanzitutto, che «l'appellante contesta con i motivi di appello: l'erronea valutazione del tribunale in ordine agli effetti della transazione raggiunta con Massimo Miselli, quarto condebitore solidale, per l'importo di € 140.000, riferita unicamente alla quota di quest'ultimo; il mancato accoglimento dell'eccezione di compensazione rispetto al credito vantato dalla società Calcestruzzi Val d’Enza verso il Banco; la decisione (sfavorevole) sulla produzione degli estratti conto con la seconda memoria, nonostante la non contestazione del Banco; in generale, l'interpretazione dell'onere della prova effettuata dal tribunale; il rigetto dell'istanza di ricusazione del c.t.u. nonostante l'esistenza di una causa pendente tra le parti; la questione della regolazione sul conto corrente anche dei mutui; la violazione e/o errata applicazione dell'articolo 1957 c.c. alla luce della eccepita inefficacia e/o nullità della clausola di deroga; l'errata pronuncia sulle spese di lite con erronea individuazione dello scaglione di riferimento». 2.1.1. Opinò, poi, che «l’impugnazione in oggetto non ha una ragionevole probabilità di essere accolta in base a quanto di seguito osservato: [i] deve essere ribadita la correttezza della sentenza laddove ha applicato al caso di specie la dominante interpretazione dell'articolo 1304, 1° comma, c.c. (per cui la norma si riferisce unicamente alla transazione che abbia ad oggetto l'intero credito e non la sola quota del debitore con cui si è stipulata), che l'ha portata a ritenere che il Miselli, con la transazione, avesse versato un importo superiore alla sua quota ideale di debito (25% di euro 394.314,83, corrispondente ad euro 98.578,70) con la conseguenza della revoca del decreto ingiuntivo e della rideterminazione dell'importo a credito per la banca; senza considerare le deduzioni del Banco che, sul punto, rileva che il Miselli aveva anche una sua propria esclusiva obbligazione di garanzia; [ii] circa l'eccezione di compensazione con le somme a cui la società avrebbe, in tesi, diritto per l'illegittimo addebito di interessi anatocistici ed usurari, pare a questa corte assorbente il rilievo effettuato dal primo giudice sulla mancata produzione, da parte degli opponenti, onerati della prova in quanto divenuti - su tale questione - attori sostanziali, di qualsiasi estratto conto, a nulla rilevando la produzione documentale effettuata mediante documenti di non sicura provenienza e concretamente contestati dalla Banca; in ogni caso, il tribunale ha valutato il mancato superamento del tasso soglia sia con riferimento al finanziamento del 22 febbraio 2005, sia con riferimento a quello stipulato il 13 ottobre 2006; [iii] il tribunale ha poi correttamente motivato sul rigetto dell'asserito illegittimo addebito di interessi di mora sul saldo passivo del conto corrente costituito anche dalle rate insolute dei mutui e dei relativi interessi passivi, per il fatto che si trattava di contratti distinti aventi differente natura e disciplina e che la parte mutuataria era ben a conoscenza delle condizioni contrattuali che regolavano il conto corrente e l'eventuale scoperto; [iv] l'ordinanza di rigetto della ricusazione del c.t.u. non è stata contestata e appare inverosimile sostenere che il c.t.u. che sia costretto ad agire giudizialmente per ottenere il proprio compenso, non corrisposto, si trovi in una situazione di grave inimicizia con la parte che sarebbe tenuta al pagamento; [v] il rigetto dell'eccezione di decadenza del creditore dal diritto di aggredire i fideiussori appare fondato non solo dalla pendenza del concordato preventivo per la società garantita, che precludeva al creditore di aggredire il patrimonio del proprio debitore, lasciandogli unicamente la facoltà di far accertare il proprio credito al fine di partecipare al concorso, ma anche per il fatto che le parti avevano derogato consensualmente al termine previsto dall'articolo 1957 c.c., trattandosi di norma non di interesse pubblico e quindi derogabile ed essendo la relativa clausola ritenuta dalla giurisprudenza non particolarmente onerosa e perciò non bisognevole di espressa approvazione per iscritto (derivandone la infondatezza degli argomenti contrari degli opponenti); [vi] con riferimento alle spese, il tribunale ha indubbiamente tenuto conto delle somme controverse e non di quelle oggetto di effettiva condanna, considerando sia la fondatezza delle pretese della banca opposta che l'intervenuto pagamento a titolo transattivo solo a seguito della notifica del decreto ingiuntivo; d'altro canto, il primo giudice avrebbe potuto non provvedere ad alcuna compensazione considerata la sostanziale integrale soccombenza dei fideiussori». 3. Per la cassazione di questa ordinanza, nonché, ex art. 348-ter, comma 3, cod. proc. civ. (nel testo, qui applicabile ratione temporis, anteriore alla sua abrogazione disposta dal d.lgs. n. 149 del 2022), della sentenza di primo grado, hanno proposto ricorso Barbara Morini, Lorenzo Morini e Margherita Artioli, affidandosi a tredici motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380- bis.1 cod. proc. civ.. Ha resistito, con controricorso il Banco BPM s.p.a. (già Banco Popolare soc. coop.). 3.1. La Prima Sezione civile di questa Corte, originariamente investita della decisione della controversia, con ordinanza interlocutoria del 19 giugno/17 luglio 2023, n. 20459, ha ritenuto «meritevole di approfondimento il tema riguardante il regime giuridico ed il valore probatorio di estratti conti ricavati (e stampati) direttamente dal correntista avvalendosi del servizio di home banking cui sia stato abilitato dall’istituto di credito. Invero: i) non si rinvengono precedenti specifici di questa Corte sulla valenza probatoria degli estratti non cartacei, soggetti alla disciplina della trasmissione ed approvazione di cui all’art. 1832 cod. civ., ma stampati dallo stesso archivio della banca, tramite, appunto, il servizio di home banking; ii) la relativa questione, come appare assolutamente ragionevole stante la sempre maggiore diffusione di tale servizio telematico, potrà ragionevolmente riproporsi in altre controversie; iii) occorre verificare l’utilizzabilità, anche per la copia telematica dell’estratto conto, del principio della presunzione di veridicità delle scritturazioni del conto, quando il cliente, ricevuto l'estratto o documento equipollente, non sollevi specifiche contestazioni in proposito (cfr. Cass. 29415/2020): alteris verbis, va meditata la valenza, o meno, di tale principio nelle ipotesi in cui l’estratto non sia comunicato, ma direttamente visionato e stampato dal cliente della banca e, successivamente, prodotto in giudizio; iv) deve indagarsi, inoltre: iv-a) la possibilità di attribuire autenticità alla videata in sé oppure soltanto se mediante ulteriori accorgimenti, individuandone, eventualmente, le tipologie; iv-b) la forma e la portata delle contestazioni che la banca è tenuta a muovere nei confronti di un siffatto documento di origine telematica». Pertanto, ha rinviato la causa a nuovo ruolo, disponendone, appunto, la trattazione in pubblica udienza, in occasione della quale entrambe le parti costituite hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.. RAGIONI DELLA DECISIONE 1.Va ribadito, pregiudizialmente, che, come già chiarito nella citata ordinanza interlocutoria n. 20459 del 2023, il ricorso per cassazione, con il quale siano impugnate congiuntamente la sentenza di primo grado e l'ordinanza di inammissibilità dell'appello ex art. 348-bis cod. proc. civ., deve contenere la trattazione separata delle censure indirizzate a ciascuno dei due provvedimenti e, ove sia ritenuta l'esistenza di un identico errore, deve individuare ed illustrare tale identità, così da consentire di distinguere quale sia la critica da riferire all'uno e quale all'altro di essi, essendo in mancanza il ricorso inidoneo a raggiungere il suo scopo, che è quello della critica al provvedimento impugnato (cfr. Cass. n. 25297 del 2022; Cass. n. 12440 del 2017). 1.1. Una siffatta modalità di redazione del ricorso è stata puntualmente osservata, nella specie, posto che i primi quattro motivi di quest’ultimo si rivolgono contro l’ordinanza ex art. 348-bis cod. proc. civ. del 19 febbraio 2019, n. 1033 rep., mentre gli altri sono diretti tutti contro la sentenza di primo grado resa dal Tribunale di Reggio Emilia il 13 marzo 2018, n. 358. 2.Orbene i suddetti primi quattro motivi denunciano, rispettivamente, in sintesi: I) «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 348-bis e dell’art. 348-ter c.p.c. e dell’art. 101 c.p.c., in relazione all'art. 111, comma 7, Cost. - Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.», contestandosi alla corte felsinea di avere consentito la trattazione della causa prima di pronunciare la decisione di inammissibilità dell’appello; II) «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 348-bis, dell’art. 348-ter c.p.c. e degli artt. 345 e 183 c.p.c. - Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.». Si assume che, in un passaggio motivazionale dell’ordinanza suddetta, la corte d’appello ha integrato la decisione del Tribunale di Reggio Emilia circa il carattere pro quota della transazione conclusa dal Banco con il Miselli, aggiungendo un’argomentazione estranea ed ulteriore (“[…]; senza considerare le deduzioni del Banco che sul punto rileva che il Miselli aveva anche una sua propria esclusiva obbligazione di garanzia”) rispetto al contenuto della sentenza ivi gravata, così facendo diventare autonomamente impugnabile anche la menzionata ordinanza giusta quanto sancito da Cass. n. 4236 del 2019. Si sostiene, inoltre, che, così operando, la corte distrettuale aveva consentito alla banca di aggirare le preclusioni di cui agli artt. 183 e 345 cod. proc. civ., allargando il thema decidendum a circostanze mai allegate dall’odierna parte controricorrente prima della comparsa di appello. La stessa corte, peraltro, aveva «argomentato in modo insanabilmente contraddittorio il rigetto/inammissibilità del motivo di appello, assumendo, da un lato, che Miselli ha “versato una quota un importo superiore alla sua quota ideale di debito (25% di euro 394.314,83, corrispondente ad euro 98.578,70)”, come aveva scritto la sentenza del Tribunale; dall’altro, che ci fossero fideiussioni ulteriori, tali per cui Miselli - come scrive la banca in comparsa d’appello, alla pagina n. 7 - avrebbe pagato transattivamente una somma inferiore rispetto al proprio debito complessivo (così pervenendo alla “concessioni” di cui l’appello dei Morini ed Artioli lamentava la mancanza)»; III) «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 348-bis e dell’art. 348-ter c.p.c. e degli artt. 112 e 352 c.p.c. - Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.», per avere la corte territoriale omesso di pronunciarsi sul motivo di appello relativo alle conseguenze della rinuncia, avanti al tribunale, da parte del Banco, a somme da esso richieste in primo grado; IV) «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 4 del d.m. Giustizia n. 55/2014 e della tabella n. 12 allegata al citato decreto - Art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.». Si sostiene che la liquidazione dei compensi rinvenibile nell’ordinanza de qua eccede il quantum previsto dal d.m. n. 55/2014, tenuto conto dell’attività svolta dalla parte vittoriosa e dei parametri indicati nella motivazione dell’ordinanza stessa. 2.1. Allo scrutinio di queste doglianze giova premettere che: i) l'impugnazione per cassazione, ex art. 111, comma 7, Cost., dell'ordinanza ex art. 348-bis cod. proc. civ. (nella formulazione, qui applicabile ratione temporis, previgente alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 149 del 2022) è consentita solo quando questa sia inficiata da "vizi suoi propri", vale a dire quando sia stata pronunciata al di fuori dei casi in cui la legge la consenta, oppure quando presenti vizi processuali (cfr. Cass. n. 30759 del 2023; Cass. n. 35279 del 2022; Cass, SU, n. 1914 del 2016), – quali, per mero esempio, l'inosservanza delle specifiche previsioni di cui all'art. 348-bis comma 2, cod. proc. civ., ed all’art. 348-ter comma 1, primo periodo, e comma 2, primo periodo, cod. proc. civ. (nel testo, qui applicabile ratione temporis, anteriore alla sua abrogazione disposta dal d.lgs. n. 149 del 2022), – purché compatibili con la logica e la struttura del giudizio ad essa sotteso. Pertanto, l'ordinanza di ammissibilità ex art. 348-bis cod. proc. civ. può essere impugnata in Cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., per tutti gli errores in procedendo relativi al mancato rispetto delle specifiche previsioni di cui all'art. 348-bis cod. proc. civ., quindi, nel caso in cui non siano state ascoltate le parti prima dell'adozione del provvedimento, o quando l'inammissibilità venga dichiarata oltre l'udienza di cui all'art. 350 cod. proc. civ. (cfr. Cass. n. 25297 del 2022); ii) non sono deducibili, invece, errores in iudicando, ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., né vizi di motivazione, salvo il caso della motivazione mancante sotto l'aspetto materiale e grafico, della motivazione apparente, del contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili ovvero di motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile (cfr. Cass. n. 20861 del 2018, ribadita, in motivazione, dalle più recenti Cass. n. 25297 del 2022 e Cass. n. 30759 del 2023); iii) la statuizione sulle spese contenuta nell'ordinanza di cui all'art. 348-bis cod. proc. civ. può essere rimessa in discussione soltanto se, una volta ammessa l'impugnabilità dell'ordinanza medesima, l'impugnazione venga accolta oppure se vi sia stata impugnazione con espresso riguardo a detta statuizione, per esempio da parte del vincitore che lamenti una compensazione ovvero una liquidazione inferiore al minimo previsto o anche da parte del soccombente che lamenti la liquidazione eccessiva (cfr. Cass. n. 25297 del 2022). 3. Alla stregua, quindi, dei riportati principi, che il Collegio condivide ed intende ribadire, il descritto primo motivo di ricorso è infondato, posto che – come emerge dal tenore letterale del verbale di udienza del 19 febbraio 2019 riprodotto in ricorso dagli stessi ricorrenti (“Oggi all’udienza del 19/2/19 è comparso l’Avv. Alberto Neri, per l’appellata Banco BPM s.p.a., il quale deposita fascicolo cartaceo del processo di primo grado, si riporta alla comparsa depositata ed insiste come in essa dedotto. È comparso, altresì, l’Avv. Basili Francesco, in sostituzione dell’Avv. Guaraldi Bruno, per gli appellanti, il quale insiste per l’accoglimento dell’istanza di sospensione della sentenza impugnata e chiede fissarsi udienza di precisazione delle conclusioni. L’Avv. Alberto Neri si oppone all’istanza e insiste per l’inammissibilità dell’appello ex 348-bis.”) – la corte felsinea ha pronunciato l’ordinanza oggi impugnata proprio all’udienza di cui all’art. 350 cod. proc. civ., fissata nella citazione in appello, e dopo aver sentito le parti, come, appunto, prevede l’art. 348-ter cod. proc. civ. (nel già richiamato testo qui applicabile ratione temporis). Del resto, l’assoluta genericità di quanto scritto nel riportato verbale di udienza consente di escludere, affatto ragionevolmente, che si sia svolta, in quella sede, un’effettiva “trattazione” della causa. Non merita seguito, infine, l’assunto dei ricorrenti, – peraltro esposto, per la prima volta, solo nella memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ. del 9 giugno 2023, benché quest’ultima, come ripetutamente chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, non possa contenere nuove censure, ma solo illustrare quelle già proposte (cfr., ex multis, Cass. n. 30878 del 2023; Cass. n. 17893 del 2020; Cass. n. 24007 del 2017; Cass. n. 26332 del 2016; Cass., SU, n. 11097 del 2006) – circa un’asserita nullità dell’ordinanza in esame per non essere gli stessi stati sentiti «sulla sussistenza dei presupposti per la declaratoria di inammissibilità dell’appello». Invero, come emerge dalla motivazione della stessa Cass. n. 16060 del 2020, da loro invocata, «ciò che ha rilievo ai fini del disposto ex art. 348-bis cod. proc. civ. è, non già, che, in concreto, le parti discutano avanti la Corte la questione de qua, bensì che siano state poste in grado di farlo. Difatti, non a caso la norma testualmente recita "sentite le parti", ossia utilizza locuzione che non impone l'espletamento di apposita e strutturata fase processuale nel quale svolgere il contraddittorio fra le parti al riguardo, bensì lumeggia la sola necessità di assumere il loro parere sul punto, quando ritengano di esporlo. Dunque, ciò che assume dirimente rilievo è che la questione sia stata sottoposta tempestivamente alle parti per stimolare il loro apporto al riguardo, non anche che si svolga formale interpello delle stesse con necessaria espressa loro presa di posizione al riguardo. L'unico obbligo - sanzionato con la nullità dell'ordinanza ex Cass., sez. 3, 20758/17 - per il Giudice d'appello è sentire le parti dopo che la questione sia stata sottoposta al loro contraddittorio o ex officio dal Giudice ovvero come invito al Giudice di avvalersi dell'istituto sotto forma di istanza proposta dalla parte appellata nella comparsa di risposta tempestivamente depositata». Nella specie, come chiaramente si desume dal riportato tenore letterale del verbale di udienza del 19 febbraio 2019, il difensore del Banco appellato, ivi presente, chiese specificamente la declaratoria di “inammissibilità dell’appelloex 348-bis”, sicché la corrispondente questione doveva intendersi essere stata ritualmente sottoposta al contraddittorio tra le parti. Tanto è sufficiente, quindi, per ritenere che anch’essa costituisse oggetto d'esame e potesse dalle stesse, e dalla corte di appello, essere trattata. 3.1. Parimenti infondato, poi, è il secondo motivo di ricorso, posto che, da un lato, il chiaro tenore letterale dell’affermazione della corte distrettuale – «[…]; senza considerare le deduzioni del Banco che sul punto rileva che il Miselli aveva anche una sua propria esclusiva» – cui i ricorrenti attribuiscono valore di motivazione aggiuntiva (rispetto a quella della sentenza di primo grado sulla medesima questione) dell’ordinanza oggi impugnata, lascia intendere, invece, che la corte non abbia integrato alcunché; dall’altro, ed in via assolutamente dirimente, che costituisce principio giurisprudenziale consolidato di legittimità, qui condiviso, quello per cui l'ordinanza di inammissibilità dell'appello ex art. 348-bis cod. proc. civ. non è impugnabile con ricorso per cassazione quando confermi le statuizioni di primo grado, pur se attraverso un percorso argomentativo "parzialmente diverso" da quello seguito nella pronuncia impugnata, non configurandosi, in tale ipotesi, una decisione fondata su una ratio decidendi autonoma e diversa, né sostanziale, né processuale (cfr. Cass. n. 13835 del 2019 e Cass. n. 23334 del 2019, entrambe ribadite, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 25297 del 2022). A tanto va solo aggiunto che: i) Cass. n. 26277 del 2023 ha opportunamente puntualizzato che «L'ordinanza che dichiara l'inammissibilità dell'appello ai sensi dell'art. 348-bis c.p.c. (nella formulazione previgente alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 149 del 2022) per la mancanza di una ragionevole probabilità di essere accolto, fondata su argomentazioni estranee alla pronuncia di primo grado, non è impugnabile per cassazione né con regolamento di competenza, perché la possibilità che la pronuncia di secondo grado possa basare il giudizio pronostico su ragioni diverse da quelle prese in considerazione dal giudice di primo grado è presupposta dall'art. 348-ter c.p.c., che regolamenta diversamente i casi in cui, con riferimento al giudizio di fatto, tali ragioni siano o meno identiche»; ii) non costituisce vizio proprio dell'ordinanza pronunciata ai sensi dell'art. 348-bis cod. proc. civ., deducibile come motivo di ricorso per cassazione, la circostanza che il giudice di appello abbia motivato diffusamente le ragioni per le quali l'appello non aveva ragionevole probabilità di accoglimento, posto che l'eccesso motivazionale non può essere causa di nullità di un provvedimento giudiziario, e tanto meno dell'ordinanza ex art. 348-bis cod. proc. civ., sia perché non nuoce al soccombente, sia perché non impedisce il raggiungimento dello scopo (cfr. Cass. n. 4870 del 2019) 3.1.1. Né può condividersi l’assunto per cui la corte di appello avrebbe accolto una censura non formulata in primo grado, atteso che la domanda svolta dal Banco contro i garanti esplicitava, già in ricorso monitorio, il proprio fondamento su varie fideiussioni [cfr. pag. 13 dell’odierno ricorso, in cui è riportata la relativa parte del ricorso monitorio in cu si legge: “a garanzia delle obbligazioni tutte della Società sono state rilasciate fideiussioni fino alla concorrenza della somma di euro 600.000,00, in ordine al rapporto di cui sopra sub a1, e fino alla concorrenza della somma di euro 160.000,00 in ordine al rapporto di cui sopra di cui sub a2, da parte di Morini Barbara …, Artioli Margherita, …, Morini Lorenzo, …, Miselli Massimo, … (all. doc. nr. 6)”]. 3.1.2. Si è già detto, infine, che, contro l’ordinanza ex art. 348-bis cod. proc. civ., non sono deducibili, vizi di motivazione, salvo le ipotesi (assolutamente inconfigurabili nel passaggio motivazionale della corte distrettuale qui censurato) della motivazione mancante sotto l'aspetto materiale e grafico, della motivazione apparente, del contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili ovvero di motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile (cfr. Cass. n. 20861 del 2018, ribadita, in motivazione, ribadita, in motivazione, dalle più recenti Cass. n. 25297 del 2022 e Cass. n. 30759 del 2023). 3.2. Il terzo motivo di ricorso, invece, è insuscettibile di accoglimento nel suo complesso, atteso che, per un verso, come condivisibilmente puntualizzato da Cass., SU, n. 1914 del 2016, «L'ordinanza di inammissibilità dell'appello resa ex art. 348-ter c.p.c. non è ricorribile per cassazione, nemmeno ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost., ove si denunci l'omessa pronuncia su un motivo di gravame, attesa la natura complessiva del giudizio "prognostico" che la caratterizza, necessariamente esteso a tutte le impugnazioni relative alla medesima sentenza ed a tutti i motivi di ciascuna di queste, ponendosi, eventualmente, in tale ipotesi, solo un problema di motivazione»; per altro verso, poi, va rimarcato che quanto dedotto dal Banco nella sua terza memoria ex art. 183 comma 6, cod. proc. civ. (come riportato dai ricorrenti alla pagina 20 del proprio odierno ricorso: «Ma, anche ammettendo che quanto sostenuto nei documenti prodotti ex adverso valga qualcosa e che la Banca debba avere meno euro 4.796,66 per il mutuo 492004 e meno euro 2.839,33 per il mutuo 492005, ed, ad essere generosi, meno euro 388,01 per interessi e meno euro 737,90 per interessi di mora fino al 30.06.2011 (ciò senza alcuna ammissione), se il Giudicante vorrà spedire la causa in decisione si rinuncia espressamente a dette somme»), altro non era che una rinuncia condizionata al fatto che si verificasse l’ipotesi per cui la causa fosse andata immediatamente in decisione. Condizione, invece, non avveratasi, attesa l’istruttoria disposta, mediante l’espletamento di una c.t.u. contabile e successiva richiesta di suo supplemento, da parte del tribunale. 3.3. Inammissibile, infine, è il quarto motivo di ricorso. 3.3.1. Invero, secondo i parametri indicati dalla stessa parte ricorrente (d.m. n. 55 del 2014; controversie di valore ricompreso tra € 52.001,00 ed € 260.000,00) - e conteggiandosi le sole voci “Fase di studio della controversia”, “Fase introduttiva del giudizio” e “Fase decisionale”, non anche la “Fase istruttoria e/o di trattazione”, perché incompatibile con il modello decisionale ex artt. 348-bis e 348-ter cod. proc. civ. (nei richiamati, rispettivi testi, qui applicabili ratione temporis), - il compenso massimo sarebbe stato pari ad € 14.988,00, quello minimo a 4.997,00. La corte di appello ha liquidato, invece, € 10.000,00, sostanzialmente giungendo ad una quantificazione secondo valori medi (pari ad € 9.991,00), dovendo qui solo ricordarsi che, come già sancito da questa Corte, «In tema di liquidazione delle spese processuali ai sensi del d.m. n. 55 del 2014, l'esercizio del potere discrezionale del giudice, contenuto tra il minimo e il massimo dei parametri previsti, non è soggetto al controllo di legittimità, attenendo pur sempre a parametri indicati tabellarmente» (cfr. Cass. n. 14198 del 2022). 3.3.2. La censura lamenta un’asserita violazione dei parametri in forza dell’inciso - rinvenibile nell’ordinanza qui impugnata - «pur dovendosi tenere conto della più sollecita definizione del processo». Così facendo, tuttavia, mira, in realtà, ad una inammissibile rivisitazione della liquidazione posta in essere dal giudice di merito, in quanto il liquidato è, come si è visto, perfettamente rientrante nei parametri applicabili. 4. Passando, dunque, all’esame dei residui motivi di ricorso, tutti rivolti contro la sentenza di primo grado resa dal Tribunale di Reggio Emilia il 13 marzo 2018, n. 358, il quinto di essi, rubricato «Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1304, 1292, 1298, 1367, 1419, 1965 e 1299 c.c. - Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.», lamenta la violazione dell’art. 1304 cod. civ. e di altre regole legali di interpretazione dei negozi, per avere il Tribunale di Reggio Emilia erroneamente rigettato l’eccezione di estinzione del credito per effetto della intervenuta transazione del condebitore solidale Massimo Miselli con il Banco. In particolare, i ricorrenti, dopo aver riportato le argomentazioni poste da quel giudice a fondamento del proprio convincimento secondo cui, nella specie, in applicazione dei princìpi desumibili da Cass., SU, n. 30174 del 2011, detta transazione, diversamente da quanto ivi preteso dagli opponenti, doveva intendersi aver riguardato soltanto la quota del menzionato condebitore, sicché, «il debito residuo dei condebitori non transigenti deve essere ridotto in misura corrispondente all'ammontare di quanto pagato da colui che ha transatto», hanno insistito sull’assunto per cui «La transazione conclusa dal Banco con Massimo Miselli era - certamente - sull’intero debito: da ciò, per norma e per giurisprudenza delle Sezioni Unite, avrebbe dovuto discendere l’estinzione del debito degli attori in opposizione». Hanno aggiunto, poi, che, «Se così non fosse, la transazione tra Miselli e la banca sarebbe nulla per assenza delle concessioni in capo al Banco, da cui, la violazione dell’art. 1367 c.c. (e dell’art. 1419 c.c.). Se Miselli ed il Banco - ciascuno assistito da difensori tecnici, peraltro, come dà conto lo stesso negozio - avessero stipulato una transazione sulla sola quota ideale del debitore, come sostiene la sentenza, di tutta evidenza, saremmo stati davanti ad una transazione nulla, in quanto, ex latere banca, sarebbero completamente assenti le “concessioni” di cui all’art. 1965, comma 1, c.c. in quanto essa libera un debitore ricevendo un pagamento superiore a quella che sarebbe stata la sua quota di debito». 4.1. Tale doglianza si rivela complessivamente inammissibile alla stregua delle dirimenti considerazioni di cui appresso. 4.2. Il tribunale emiliano ha fornito una giustificazione certamente in linea con il minimo costituzionale imposto da Cass., SU, n. 8053 del 2014 quanto al proprio espresso convincimento circa il fatto che la transazione suddetta doveva intendersi aver riguardato soltanto la quota del condebitore Miselli. È noto, peraltro, che: i) spetta solo al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova; mentre alla Corte di cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l'apprezzamento dei fatti; ii) giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, per la conformità della sentenza al modello di cui all'art. 132, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., non è indispensabile che la motivazione prenda in esame tutte le argomentazioni svolte dalle parti al fine di condividerle o confutarle, essendo necessario e sufficiente, invece, che il giudice abbia comunque indicato le ragioni del proprio convincimento in modo tale da rendere evidente che tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse siano state implicitamente rigettate (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 13408 del 2023; Cass. n. 9021 del 2023; Cass. n. 6073 del 2023; Cass. n. 4784 del 2023; Cass. n. 956 del 2023; Cass. n. 33961 del 2022; Cass. n. 29860 del 2022; Cass. n. 3126 del 2021; Cass. n. 25509 del 2014; Cass. n. 5586 del 2011; Cass. n. 17145 del 2006; Cass. n. 12121 del 2004; Cass. n. 1374 del 2002; Cass. n. 13359 del 1999). 4.3. Va ricordato, poi, che, come ancora recentemente ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 30878 del 2023; Cass. n. 13408 del 2023; Cass. n. 13005 del 2023; Cass. n. 7978 del 2023; Cass. n. 35787 del 2022; Cass. n. 35041 del 2022; Cass. n. 29860 del 2022; Cass. n. 19146 del 2022; Cass. n. 15240 del 2022; Cass. n. 25909 del 2021; Cass. n. 25470 del 2019; Cass. n. 14938 del 2018; Cass. n. 25470 del 2019), il sindacato di legittimità sull'interpretazione degli atti privati, governata da criteri giuridici cogenti e tendente alla ricostruzione del loro significato in conformità alla comune volontà dei contraenti, costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, censurabile, in sede di legittimità, solo per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale (essendo, a questo scopo, imprescindibile la specificazione dei canoni e delle norme ermeneutiche che in concreto sarebbero state violate, puntualizzandosi - al di là della indicazione degli articoli di legge in materia - in quale modo e con quali considerazioni il giudice di merito se ne sarebbe discostato) e nel caso di riscontro di una motivazione contraria a logica ed incongrua, e cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione in sé (occorrendo, altresì, riportare, nell'osservanza del principio dell'autosufficienza, il testo dell'atto nella parte in questione). Inoltre, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice non deve essere l'unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, per cui, quando siano possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito, alla parte che aveva proposto l'interpretazione poi disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l'altra (su tali principi, cfr., ex plurimis, Cass. n. 24539 del 2009, Cass. n. 2465 del 2015, Cass. n. 10891 del 2016; Cass. n. 7963 del 2018, in motivazione; Cass. n. 9461 del 2021; Cass. nn. 30878, 13408 e 7978 del 2023, in motivazione). 4.3.1. In altri termini, il sindacato suddetto non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all'ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ed afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà privata operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (cfr., ex aliis, Cass., SU, n. 2061 del 2021; Cass. n. 2465 del 2015; Cass. n. 10891 del 2016). 4.3.2. La censura, poi, neppure può essere formulata mediante l'astratto riferimento a dette regole, essendo imprescindibile, come si è già anticipato, la specificazione dei canoni in concreto violati e del punto, e del modo, in cui il giudice di merito si sia, eventualmente, discostato dagli stessi, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l'interpretazione del ricorrente e quella accolta nella decisione impugnata, poiché quest'ultima non deve essere l'unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni (cfr. Cass. n. 13408 del 2023; Cass. n. 7978 del 2023; Cass., SU, n. 2061 del 2021; Cass. n. 28319 del 2017; Cass. n. 25728 del 2013). 4.3.3. Nel quadro dei riportati princìpi, risulta chiaro che il motivo in esame si risolve in una sostanziale, inammissibile, rivisitazione del merito, attraverso la proposizione di una interpretazione di clausole contrattuali, in senso favorevole agli istanti, diversa da quella, da essi contestata, preferita dal tribunale, e mediante la riproduzione nel ricorso - onde sottoporle al riesame della Corte, parimenti inammissibile in questa sede - di contratti, scritti difensivi e stralci della decisione di primo grado. 4.4. Resta solo da dire, infine, con riguardo alla parte finale della censura in esame (cfr. pag. 29 e ss. del ricorso), che il profilo, ivi invocato, concernente l’asserita nullità della transazione di cui si discute, non risulta essere stato oggetto del processo di primo grado, né di quello di impugnazione. 4.4.1. Orbene, per giurisprudenza pacifica di questa Corte (cfr. ex aliis, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 25909 del 2021, Cass. nn. 5131 e 9434 del 2023), qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorso deve, a pena di inammissibilità, non solo allegare l'avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto in virtù del principio di autosufficienza del ricorso. I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d'inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d'ufficio (cfr. Cass. n. 32804 del 2019; Cass. n. 2038 del 2019; Cass. Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 15430 del 2018; Cass. n. 23675 del 2013; 7981/07; Cass. 16632/2010). In quest'ottica, la parte ricorrente ha l'onere - nella specie rimasto assolutamente inadempiuto - di riportare, a pena d'inammissibilità, dettagliatamente in ricorso gli esatti termini della questione posta in primo e secondo grado (cfr. Cass. n. 9765 del 2005; Cass. n. 12025 del 2000). Nel giudizio di cassazione, infatti, è preclusa alle parti la prospettazione di nuovi questioni di diritto o nuovi temi di contestazione che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito (cfr. Cass. n. 19164 del 2007; Cass. n. 17041 del 2013; Cass. n. 25319 del 2017; Cass. n. 20712 del 2018). 4.5. È doveroso ricordare, da ultimo, che le Sezioni Unite di questa Corte si sono occupate ampiamente del problema della rilevabilità d’ufficio delle nullità contrattuali (sentenza 12 dicembre 2014, n. 26242, i cui principi sono stati successivamente ribaditi, tra le altre, da Cass. n. 19251 del 2018, Cass. n. 26495 del 2019, Cass. n. 20170 del 2022 e Cass. n. 28377 del 2022). 4.5.1. In quella sentenza è stato affermato, tra l’altro, che nel giudizio di appello ed in quello di cassazione, il giudice, in caso di mancata rilevazione officiosa in primo grado di una nullità contrattuale, ha sempre facoltà di procedere ad un siffatto rilievo. 4.5.2. Questo principio, però, deve essere applicato tenendo presenti le regole generali del processo civile e la relativa tempistica, onde evitare che l’esercizio di un potere officioso consenta alle parti di rimettersi in pista – per così dire – quando i fatti costitutivi del lamentato vizio negoziale da esaminare ex officio avrebbero potuto e dovuto essere tempestivamente allegati, onde consentire al giudice la necessaria valutazione in diritto. Qualora i fatti costitutivi della dedotta nullità negoziale non risultino già allegati in toto dalla parte che la invoca successivamente, difatti, non è consentito al giudice, in qualsiasi stato e grado del processo, procedere d’ufficio a tali accertamenti, la rilevabilità officiosa della nullità essendo circoscritta alla sola valutazione in iure dei fatti già allegati (cfr., nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 20713 del 2023 e Cass. n. 35782 del 2023). 4.5.3. Nel caso in esame, l’accertamento sulla fondatezza, o non, dell’eccezione di nullità di cui qui si discute poggia su circostanze di fatto (quelle configuranti la pretesa assenza di concessioni ex art. 1965 cod. civ.) che gli odierni ricorrenti avrebbero dovuto introdurre già in primo grado. Essi, in altri termini, avrebbero dovuto tempestivamente allegare, già innanzi al tribunale, i fatti costitutivi funzionali a fondare la legittimità di una successiva rilevazione officiosa della nullità della transazione oggi invocata pur in assenza di una tempestiva domanda formulata in tal senso. Dalla decisione impugnata, tuttavia, tanto non risulta, né i ricorrenti, in questa sede, hanno specificamente dedotto di averlo fatto, indicando il corrispondente atto processuale in cui ciò sarebbe accaduto. 5. Il sesto motivo di ricorso, rubricato «Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 183, comma 6, c.p.c. e degli artt. 1241, 1247 e 2712 c.c. - Art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.», ascrive al tribunale di aver erroneamente rigettato l’eccezione di compensazione formulata dagli odierni ricorrenti, opponenti in primo grado, sulla base dell’esistenza, non efficacemente contestata dal Banco, di un controcredito superiore alla domanda di quest’ultimo. Viene censurata l’omessa valutazione delle risultanze di prove ammissibili ed il cui contenuto era stato oggetto di tempestiva allegazione da parte dei medesimi opponenti, non specificamente contestata dal Banco. In particolare, vengono criticate le affermazioni del tribunale secondo cui: i) «A prescindere dalle argomentazioni svolte dall’opposta, è assorbente il rilievo in ordine alla mancata produzione, da parte degli opponenti, di qualsivoglia estratto conto» (cfr. pag. 6 della sentenza di primo grado); ii) «Parte opposta ha, quindi, espressamente e chiaramente contestato la valenza probatoria della perizia di parte, mettendo poi in forte evidenza la mancata produzione, da parte degli opponenti, degli estratti conto, unici documenti che – s’intuisce chiaramente – la Banca ritiene probatoriamente efficaci quanto alle vicende del rapporto di conto corrente. Non si può, quindi, affermare che “la contestazione della Banca si è limitata ad una semplice negazione della valenza processuale degli stessi”, né, per altro verso, ragionevolmente richiedere alla Banca - a fronte di precisa contestazione - di obiettare anche sulla “fonte” di tali dati. Capziosa, infine, l’argomentazione in ordine alla natura documentale dei movimenti allegati alla perizia di parte. Invero, non rileva che questi siano ontologicamente documenti o meno, quanto invece il peso probatorio degli stessi. Una mera stampata dei movimenti bancari, asseritamente estratti dal sistema di home banking, rappresenta sì un documento, ma liberamente elaborato dalla parte che lo produce, non avendo una chiara provenienza dall’istituto bancario ed essendo comunque modificabile. Specialmente a fronte di espressa contestazione, quindi, non si può sostenere che esso supplisca alla mancata produzione degli estratti conto. Peraltro, avendo chiesto il c.t. di parte attrice di esibire al c.t.u. gli estratti conto, che quindi sarebbero nella disponibilità degli opponenti, non si comprende proprio per quale motivo parte opponente non li abbia tempestivamente depositati al fine di corroborare le proprie domande. Né da ultimo tale (opinabile) scelta può giustificare un’elusione dell’onere probatorio». 5.1. Questa doglianza – in relazione alla quale l’ordinanza interlocutoria n. 20459 del 2023 ha ritenuto opportuna la trattazione in pubblica udienza sulle questioni, ivi specificamente indicate, già ricordate nel § 3.1. dei “Fatti di causa” (da intendersi qui riprodotto) – si rivela meritevole di accoglimento nei sensi di cui appresso. 5.2.È opportuno, innanzitutto, chiarire in cosa consisteva la documentazione sul cui mancato esame, da parte del tribunale, si concentra oggi la critica dei ricorrenti. 5.2.1. Orbene, la natura anche di error in procedendo del vizio complessivamente denunciato da questi ultimi, – in particolare sub specie di error in iudicando de modo procedendi, cioè l’errore di applicazione della norma processuale (il riferimento è agli artt. 115, 116 e 183, comma 6, cod. proc civ.) che sfocia in un corrispondente vizio di attività – consente a questa Corte l’esame diretto del fascicolo di ufficio (cfr., ex aliis, Cass. n. 1669 del 2023; Cass. n. 3612 del 2022; Cass. n. 29495 del 2020), dal quale agevolmente si ricava che Barbara Morini, Margherita Artioli e Lorenzo Morini, unitamente alla propria seconda memoria ex art. 183, comma 6, cod. proc. civ., avevano tempestivamente depositato una perizia di parte, avente ad oggetto il conto corrente n. 1229, intrattenuto dalla Calcestruzzi Val d’Enza s.r.l. (di cui i primi, giova ricordarlo, erano fideiussori) presso la filiale di Montecchio Emilia del Banco, in cui si era proceduto alla rideterminazione del relativo saldo depurato da quanto ivi contabilizzato per interessi anatocistici, commissioni e spese asseritamente non dovuti, altresì utilizzandosi, quanto al computo degli interessi, il corrispondente tasso contrattualmente pattuito. In allegato a tale perizia, e facenti corpo con essa (cfr. pag. da 14 a 174 complessive di quest’ultima), era stata depositata una “Stampa Movimenti” del conto corrente predetto concernenti il periodo 1.10.1999 – 24.2.2011 (numerata come pagine da 1 a 160), che gli opponenti avevano affermato di avere ricavato attraverso il servizio di home banking nella disponibilità della società correntista. Si trattava, dunque, non già di estratti conto veri e propri scaricati da quest’ultima accedendo al servizio cd. Internet Banking, bensì della mera stampa dei movimenti contabili risultanti a video dal data base della banca opposta (e non di un soggetto terzo), cioè dai suoi archivi informatici. Pertanto, è in relazione a questa tipologia di “documentazione”, così ottenuta dalla parte che intenderebbe avvalersene in giudizio, che occorre interrogarsi al fine di stabilire se, ed eventualmente in quali limiti, ad essa possa attribuirsi valore probatorio. 5.2.2. Muovendo, allora, dal rilievo che la predetta stampa di movimenti contabili altro non può ragionevolmente considerarsi che una riproduzione di quanto rinvenibile in una pagina web (appunto il data base della banca), il tema oggetto della riflessione deve essere, specificamente, quello della natura giuridica e dell'efficacia probatoria della pagina web stessa e/o della sua stampa cartacea. 5.3. È indubbio che l'inferenza del mondo delle nuove tecnologie nella sfera del diritto processuale civile riguarda soprattutto l'analisi dei singoli mezzi di prova. Nello specifico, la questione assume i suoi connotati più interessanti in relazione alle cosiddette prove precostituite, ossia quelle che, pur formate al di fuori del processo, possono entrarvi per effetto della loro produzione ad opera delle parti. 5.3.1. Seguendo stricto sensu l'impostazione codicistica, le principali prove precostituite sono: l'atto pubblico, disciplinato dalla norma di cui all'art. 2699 cod. civ., che è il documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da un pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l'atto è formato e che fa piena prova, sino a querela di falso, sia della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che l'ha formato, sia delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti alla sua presenza; la scrittura privata – prevista dalla norma di cui all'art. 2702 cod. civ. – che è il documento munito di sottoscrizione autografa che fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta; le riproduzioni meccaniche, che, in base al vigente testo dell’art. 2712 cod. civ. (come risultante dalle modifiche apportategli dall’art. 23-quater d.lgs. n. 82 del 2005, così come aggiunto dall’art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 235 del 2010) sono tutte le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose, che formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime. 5.3.2. Ricordata questa distinzione fondamentale, è necessario comprendere, allora, in quale, tra le tre classificazioni citate (atto pubblico, scrittura privata, riproduzione meccanica), debba rientrare la pagina web e, per l’effetto, quale valore probatorio possa attribuirsi ad un documento, come quello di cui oggi si discute, costituito dalla mera stampa dei movimenti contabili risultanti a video dal data base della banca opposta (e non di un soggetto terzo), cioè dai suoi archivi informatici. 5.4. Il tema della natura giuridica e dell'efficacia probatoria della pagina web o della sua stampa cartacea – come condivisibilmente rimarcato dal sostituto procuratore generale nella sua requisitoria scritta – non ha ricevuto significativa attenzione in dottrina e giurisprudenza, a differenza di quel che è accaduto con riferimento ad altri documenti informatici o riproduzioni di documenti informatici possibili "contenenti" atti e fatti giuridicamente rilevanti: si pensi a quanto già sancito, circa il contenuto, l’efficacia probatoria ed i relativi limiti dello short message service, da Cass. n. 5141 del 2019, secondo cui «lo short message service (sms) contiene la rappresentazione di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti ed è riconducibile nell'ambito dell'art. 2712 c.c., con la conseguenza che forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne contesti la conformità ai fatti o alle cose medesime. Tuttavia, l'eventuale disconoscimento di tale conformità non ha gli stessi effetti di quello della scrittura privata previsto dall'art. 215, comma 2, c.p.c. poiché, mentre, nel secondo caso, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo della stessa, la scrittura non può essere utilizzata, nel primo non può escludersi che il giudice possa accertare la rispondenza all'originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni»; oppure a quanto affermato, con riferimento al messaggio di posta elettronica certificata, da Cass. n. 11606 del 2018, a tenore della quale «il messaggio di posta elettronica (cd. e-mail) costituisce un documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che, seppure privo di firma, rientra tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all'art. 2712 c.c. e, pertanto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime». 5.5. Tanto premesso, ritiene il Collegio che la pagina web può essere senza dubbio ricompresa nella definizione di documento informatico quale “rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti”, contenuta nell’art. 1, lett. p), del d.lgs. n. 82/2005 - Codice dell’Amministrazione Digitale (in sigla CAD). 5.5.1. Al fine di individuare l’efficacia probatoria del documento informatico è necessario partire, poi, da quello che era il disposto dell’art. 21, comma 1, del CAD dedicato, appunto, al valore probatorio, il quale si preoccupava, in realtà, di definire tale aspetto in relazione ai documenti informatici sottoscritti, ma ometteva di considerare quelli privi di firme elettroniche. Esso, infatti, – successivamente abrogato dall’art. 21, comma 1, lett. b), del d.lgs. 13 dicembre 2017, n. 217, entrato in vigore il 27 gennaio 2018 – si limitava a riconoscere validità giuridica a tutti i documenti in formato elettronico cui era apposta una firma disponendo: “1. Il documento informatico, cui è apposta una firma elettronica, soddisfa il requisito della forma scritta e sul piano probatorio è liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità sicurezza, integrità e immodificabilità…(omissis)”. 5.5.2. Il previgente art. 10 del d.P.R. n. 445 del 2000, come modificato dall’art. 6 del d.lgs. n. 10 del 2002, riproduceva, invece, la originaria formulazione contenuta nell’art. 5 del d.P.R. n. 513 del 1997 e si riferiva espressamente all’art. 2712 cod. civ. affermando: “1. Il documento informatico ha l'efficacia probatoria prevista dall'articolo 2712 del codice civile, riguardo ai fatti ed alle cose rappresentate…(omissis)”. Si trattava, peraltro, di un’apparente omissione poiché la riconduzione del documento informatico alle riproduzioni meccaniche è stata effettuata, in via diretta, proprio dal CAD, che, infatti, modificando l’art. 2712 cod. civ., vi aveva inserito l’espresso riferimento alle riproduzioni informatiche. 5.5.3. In tale contesto normativo, dunque, nella specie da ritenersi utilizzabile ratione temporis (come meglio si preciserà nel prosieguo di questa motivazione), al documento informatico non sottoscritto, e, di conseguenza, alla pagina web, doveva attribuirsi l’efficacia probatoria delle riproduzioni meccaniche; esso formava, pertanto, piena prova delle cose e dei fatti rappresentati qualora il soggetto contro il quale veniva prodotto non avesse provveduto a disconoscerlo. La mancanza di sottoscrizione elettronica, infatti, rendeva instabile sia la validazione dei dati, che potrebbero essere modificati in ogni tempo, che la provenienza del documento che li contiene, caratteristiche entrambe che, con diversi gradi di certezza, vengono attestate, invece, dalla apposizione di una firma elettronica, semplice o qualificata. 5.6. L’art. 2712 cod. civ., peraltro, è stato oggetto di contrapposte interpretazioni soprattutto per quanto attiene al significato da attribuire al concetto di “piena prova” in esso contenuto nonché all’individuazione delle modalità da attuare al fine di disconoscere la riproduzione. 5.6.1. Quanto al primo aspetto, parte della dottrina, riferendosi alla prova legale di cui all’art. 2702 cod. civ., ha assimilato il valore probatorio della riproduzione meccanica a quello riconosciuto alla scrittura privata. Altri autori, invece, hanno ristretto la portata dell’inciso, ritenendo trattarsi di prove non idonee a formare il libero convincimento del giudice, ma liberamente valutabili dal medesimo. Secondo un’ulteriore impostazione, poi, le riproduzioni meccaniche sono dotate di efficacia probatoria di prova legale esclusivamente nel processo nel quale il documento è prodotto e nei confronti del soggetto che non lo ha disconosciuto. 5.6.2. Circa il disconoscimento, inoltre, ci si è chiesti se siano applicabili, in relazione a quello previsto dalla norma in esame e con riferimento a documentazione come quella oggi in esame, le modalità ed i termini fissati dal codice di procedura civile agli articoli 214 e 215. La dottrina prevalente risponde in senso negativo, rilevando che le regole citate sono disposte espressamente per le sole scritture private; il disconoscimento potrà essere effettuato, quindi, nel corso dell’intero giudizio, alla stregua di quanto avviene in ordine alla contestazione dei fatti allegati in causa. Il documento disconosciuto perde l’efficacia di piena prova, ma non potrà essere ovviamente oggetto di verificazione secondo il procedimento disposto per gli atti pubblici e per le scritture private; la riproduzione potrà essere comunque utilizzata quale principio di prova, come espressamente affermato dalla giurisprudenza. Tale decisione è rimessa alla valutazione del giudice che apprezzerà gli elementi oggettivi che consentono di affermare la conformità dei fatti rappresentati a quelli accaduti. 5.6.3. Significative, con riguardo a quest’ultimo profilo, appaiono alcune pronunce di questa Corte. Si vedano, ad esempio: i) Cass. n. 12794 del 2021 (e, conforme ad essa, Cass. n. 17526 del 2016), secondo cui, «In tema di efficacia probatoria delle riproduzioni informatiche di cui all'art. 2712 c.c., il disconoscimento idoneo a farne perdere la qualità di prova, degradandole a presunzioni semplici, deve essere non solo tempestivo, soggiacendo a precise preclusioni processuali, ma anche chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendosi concretizzare nell'allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta»; ii) Cass. n. 17810 del 2020, per la quale «La riproduzione cartacea delle risultanze del sito internet può certamente essere oggetto di contestazione, in relazione alla sua effettiva conformità alle risultanze stesse, ai sensi dell'art. 2712 c.c. […], ma, in presenza di tale contestazione, è sempre consentito al giudice di accertare detta conformità con qualunque altro mezzo di prova (cfr., ex multis: Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 5141 del 21/02/2019; Sez. 5, Ordinanza n. 12737 del 23/05/2018; Sez. L, Sentenza n. 3122 del 17/02/2015; Sez. L, Sentenza n. 2117 del 28/01/2011; Sez. 3, Sentenza n. 4395 del 04/03/2004)»; iii) Cass. n. 3122 del 2015, per cui, «In tema di efficacia probatoria delle riproduzioni informatiche di cui all'art. 2712 cod. civ., il "disconoscimento" che fa perdere ad esse la qualità di prova, pur non soggetto ai limiti e alle modalità di cui all'art. 214 cod. proc. civ., deve tuttavia essere chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendosi concretizzare nell'allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta, ma non ha gli stessi effetti del disconoscimento previsto dall'art. 215, secondo comma, cod. proc. civ., perché mentre questo, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo di questa, preclude l'utilizzazione della scrittura, il primo non impedisce che il giudice possa accertare la conformità all'originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni». 5.7. È doveroso ricordare, infine, che l’art. 20 del già menzionato d.lgs. n. 217 del 2017, entrato in vigore, giova ribadirlo, solo il 27 gennaio 2018, ha modificato l’art. 20, comma 1-bis, del CAD, che oggi sancisce che “Il documento informatico soddisfa il requisito della forma scritta e ha l'efficacia prevista dall'articolo 2702 del Codice civile quando vi è apposta una firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata o, comunque, è formato, previa identificazione informatica del suo autore, attraverso un processo avente i requisiti fissati dall'AgID ai sensi dell'articolo 71 con modalità tali da garantire la sicurezza, integrità e immodificabilità del documento e, in maniera manifesta e inequivoca, la sua riconducibilità all'autore. In tutti gli altri casi, l'idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, in relazione alle caratteristiche di sicurezza, integrità e immodificabilità. La data e l'ora di formazione del documento informatico sono opponibili ai terzi se apposte in conformità alle Linee guida». 5.8. Fermo tutto quanto precede, osserva il Collegio che, al momento della instaurazione, in primo grado, della odierna controversia, certamente risalente all’anno 2013 (sia che si voglia considerare la data – 28 agosto 2103 – di notificazione del decreto ingiuntivo agli odierni ricorrenti, giusta l’art. 643, ultimo comma, cod. proc. civ., sia ove si intenda tenere conto della data di notificazione, ad opera di questi ultimi, nell’ottobre del medesimo anno, della loro opposizione ex art. 645 cod. proc. civ.), come desumibile anche dal numero (7952/2013) di iscrizione a ruolo attribuito al giudizio innanzi al Tribunale di Reggio Emilia (cfr. epigrafe della sentenza di cui oggi si discute), sicuramente non era ancora entrata in vigore la descritta modifica apportata all’art. 20, comma 1-bis, del CAD dall’art. 20 del d.lgs. n. 217 del 2017 (tanto risalendo, come si è detto, solo al successivo 27 gennaio 2018). È innegabile, inoltre, che stante il carattere chiaramente sostanziale di tale modificazione (che attribuisce uno specifico valore probatorio al documento informatico, diverso a seconda che quest’ultimo rechi, o non, una firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata o, comunque, sia formato, previa identificazione informatica del suo autore, attraverso un processo avente i requisiti fissati dall'AgID ai sensi dell'articolo 71 con modalità tali da garantire la sicurezza, integrità e immodificabilità del documento e, in maniera manifesta e inequivoca, la sua riconducibilità all'autore), la stessa non può trovare applicazione per i giudizi, come quello in esame, già pendenti alla data di sua entrata in vigore, atteso che un generale principio di "affidamento" legislativo, desumibile dall'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale (emblematica, in proposito, appare l’affermazione della recentissima sentenza della Corte Costituzionale dell’11 gennaio 2024, n. 4, secondo cui il principio di non retroattività della legge va ««inteso quale fondamentale valore di civiltà giuridica, non solo nella materia penale [art. 25 Cost.], ma anche in altri settori dell’ordinamento [sentenze n. 174 del 2019, n. 73 del 2017, n. 260 del 2015 e n. 170 del 2013]»), preclude la possibilità di ritenere che l’efficacia probatoria di un documento già formato al momento dell'entrata in vigore della nuova disposizione sia da quest'ultima regolato, quantomeno nei casi in cui la retroattività della disciplina verrebbe a comprimere la tutela della parte che di quel documento intenda avvalersi in giudizio. 5.9. Ne deriva, quindi, da un lato, che alla stampa di movimenti contabili come quella di cui oggi si discute può ragionevolmente attribuirsi, come si è già riferito, la natura di una riproduzione di quanto rinvenibile in una pagina web (appunto il data base della banca) benché non sottoscritta; dall’altro, che la pagina web può essere senza dubbio ricompresa nella definizione di documento informatico quale “rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti”, contenuta nell’art. 1, lett. p), del CAD, il cui valore probatorio, stante la già individuata disciplina qui applicabile ratione temporis, è quello di cui all’art. 2712 cod. civ., sicché forma piena prova di quanto in essa riportato ove non disconosciuto dalla parte contro la quale essa sia prodotta in giudizio. 5.9.1. Conclusione, questa, che si rivela in linea, peraltro, con gli esiti del dibattito giurisprudenziale sviluppatosi, quanto al valore di una e-mail, intorno al quesito, se essa sia qualificabile in termini di "riproduzione informatica" ai sensi dell'art. 2712 cod. civ., oppure di "documento informatico". Invero, la giurisprudenza di legittimità è univocamente schierata per la prima soluzione interpretativa, avendo sancito che, «in materia di efficacia probatoria dei documenti informatici, il messaggio di posta elettronica (cosiddetta e-mail) costituisce un documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che, seppure privo di firma, rientra tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all'articolo 2712 c.c. e, pertanto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime» (cfr. Cass. n. 30186 del 2021, in motivazione, pag. 4, e la già citata Cass. n. 11606 del 2018. Nello stesso senso vedasi anche Cass. n. 19155 del 2019, in motivazione, pag. 4). 5.9.2. In altri termini, come pure condivisibilmente sottolineato dal sostituto procuratore generale nella sua requisitoria scritta, è pacifico in dottrina che le pagine web possano essere ricomprese – così come le e-mail, gli s.m.s., etc. – nella definizione di "documento informatico" (in senso lato) di cui all'art. 1, comma 1, lett. p), del CAD, ovvero di "documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti". Altrettanto pacifico è che le pagine web siano da considerarsi documenti informatici non sottoscritti. Ne consegue, dunque, che anche a queste ultime, coerentemente con quanto sostenuto dalla maggioranza della giurisprudenza per le ipotesi concernenti le e-mail e gli s.m.s., deve attribuirsi l’efficacia probatoria di cui all’art. 2712 cod. civ.. 5.9.3. La stampa di una pagina web, poi (quale, appunto, si rivela essere la stampa dei movimenti contabili di cui oggi si discute), può ragionevolmente ricondursi all'ipotesi della copia (o estratto) analogica di documento informatico, disciplinata dall'art. 23 del CAD, che, nel testo vigente tra il 25 gennaio 2011 ed il 13 settembre 2016, qui applicabile ratione temporis, risalendo, come si à già spiegato, l’instaurazione del giudizio di primo grado al 2013, stabiliva, tra l’altro, che “le copie e gli estratti su supporto analogico del documento informatico, conformi alle vigenti regole tecniche, hanno la stessa efficacia probatoria dell'originale se la loro conformità non è espressamente disconosciuta. Resta fermo, ove previsto l'obbligo di conservazione dell'originale informatico” (del tutto identico, peraltro, è anche l’attuale testo della menzionata disposizione). Ne deriva che, in mancanza di contestazioni chiare, circostanziate ed esplicite, in relazione alla loro conformità a quelli conservati nell’archivio (cartaceo o digitale che sia) della banca, va affermata l’applicabilità alla stampa della pagina web contenente le movimentazioni del conto corrente de quo, del principio della presunzione di veridicità delle scritturazioni del conto, quando il cliente, ricevuto l'estratto o documento equipollente, non sollevi specifiche contestazioni in proposito (cfr. Cass. n. 29415 del 2020). Del resto, come è ben noto, anche gli estratti conto veri e propri, generalmente prodotti in giudizio dalla banca o dal correntista, non sono copie fotografiche o fotostatiche di scritture originali esistenti, ma costituiscono riproduzioni meccaniche di supporti magnetici, vale a dire della stampa di un'elaborazione computerizzata effettuata dal sistema contabile della banca. 5.10. Nella specie, il tribunale ha rigettato la domanda ritenendo che gli attori non avessero depositato gli estratti conto (come dedotto dal Banco), motivando, erroneamente, che l’inutilizzabilità probatoria dei documenti da essi prodotti (la “stampata dei movimenti bancari asseritamente estratti dal sistema di home banking”) derivava dalla semplice negazione della valenza processuale sollevata dalla difesa della convenuta. Ha affermato, altresì, che «Una mera stampata dei movimenti bancari, asseritamente estratti dal sistema di home banking, rappresenta sì un documento, ma liberamente elaborato dalla parte che lo produce, non avendo una chiara provenienza dall’istituto bancario ed essendo comunque modificabile. Specialmente a fronte di espressa contestazione, quindi, non si può sostenere che esso supplisca alla mancata produzione degli estratti conto» (cfr. pag. 7-8 della sentenza del Tribunale di Reggio Emilia n. 358 del 2018). 5.10.1. Al contrario, deve ritenersi, circa l’assunto della “non chiara provenienza” dalla banca riferita alla stampa degli estratti conto a video, che, come si è detto, debba farsi applicazione di quanto stabilito dall’art. 2712 cod. civ.: a quella stampa, quindi, va attribuito valore probatorio nei termini e nei limiti sanciti da quest’ultima disposizione, dunque se non contestata. Una tale contestazione, tuttavia, doveva essere chiara, circostanziata ed esplicita, oltre che specificamente riferita alla non conformità di quanto in essa riportato rispetto a quanto rinvenibile negli estratti conto conservati nell’archivio della banca. Eccezione, quest’ultima, che, in questi precisi sensi, non risulta essere stata sollevata dalla banca medesima. Né, per la verità, sul punto, la riportata motivazione del tribunale soddisfa il minimo costituzionale (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014), limitandosi essa ad evocare una generica modificabilità di detta documentazione senza, però, minimamente chiarire se, quando e come tanto sia concretamente avvenuto nel caso di specie. 5.11. In definitiva, quindi, la doglianza in esame deve essere accolta, enunciandosi il seguente principio di diritto: «In tema di conto corrente bancario, la stampa dei movimenti contabili risultanti a video dal data base della banca, ottenuta dal correntista avvalendosi del servizio di home banking, rappresenta una copia (o estratto) analogica del documento informatico, non sottoscritto, costituito dalla corrispondente pagina web. Essa, pertanto, giusta l’art. 23 del d.lgs. n. 82 del 2005 (Codice dell’amministrazione digitale), si presume conforme, quanto ai dati ed alle operazioni in essa riportati, alle scritturazioni del conto stesso in mancanza di contestazioni chiare, circostanziate ed esplicite formulate dalla banca e riguardanti, specificamente, la loro non conformità a quelle conservate nel proprio archivio (cartaceo o digitale)». 6.Il settimo e l’ottavo motivo di ricorso denunciano, rispettivamente, in sintesi: VII) «Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 51 e 63 c.p.c. e dell’art. 112 c.p.c. - Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 51 e 63 c.p.c. e dell’art. 112 c.p.c. - Nullità della sentenza - Art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.». La sentenza impugnata viene ritenuta viziata perché basata sugli esiti di una consulenza tecnica redata da un ausiliario tempestivamente ricusato dagli opponenti, con istanza erroneamente non accolta dal tribunale; VIII)«Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1243 e 1418 c.c. - Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.». Si contesta l’omesso accertamento della nullità dell’addebito di interessi della rata del mutuo all’interno di un conto corrente bancario “in rosso” e del correlato e vietato effetto anatocistico. 6.1. Entrambe tali doglianze devono considerarsi assorbite per effetto dell’accoglimento del sesto motivo e dei conseguenti nuovi accertamenti che dovrà compiere il giudice di rinvio. 7.Il nono, il decimo e l’undicesimo motivo denunciano, rispettivamente, in sintesi: IX) «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1957 c.c. e dell’art. 2, comma 2, della L. 287/1990 e dell’art.112 c.p.c. in relazione all’art. 1418 c.c. - Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.». Viene censurato il rigetto dell’eccezione di decadenza dal diritto di aggredire i fideiussori fondato sull’utilizzo di una clausola contrattuale nulla per violazione della legge n. 287 del 1990; X) «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1957 e dell’art. 2964 e ss. c.c. - Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.». Si contesta nuovamente il rigetto dell’eccezione di decadenza dal diritto di aggredire i fideiussori, questa volta perché fondato sull’utilizzo di una clausola contrattuale indeterminata in quanto non prevedente un diverso termine rispetto a quello previsto nell’art. 1957 c.c.; XI) «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1957 e dell’art. 2964 e ss. c.c. - Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.». Si lamenta ancora il rigetto dell’eccezione di decadenza dal diritto di aggredire i fideiussori, qui perché basato sull’irrilevante affermazione dell’esistenza di una procedura concorsuale a carico del debitore principale. 8. Queste doglianze sono scrutinabili congiuntamente perché chiaramente connesse. Esse, infatti, si rivolgono contro le due, autonome rationes decidendi (derogabilità della previsione di cui all’art. 1957 cod. civ.; esistenza di procedura di concordato preventivo già intrapresa dalla debitrice principale, con conseguente impossibilità, ex art. 168 l.fall., di intraprendere azioni esecutive individuali nei suoi confronti) utilizzate dal tribunale per respingere l’eccezione di tardività dell’azione del creditore sollevata dagli opponenti in primo grado (e qualificata dal tribunale come riconducibile all’art. 1957 cod. civ.). 8.1. Quanto alla prima di esse, e, dunque, con specifico riferimento alle censure di cui al nono ed al decimo motivo, l’infondatezza di queste ultime si desume agevolmente dai principi, già affermati da questa Corte e che il Collegio, condividendoli, intende ribadire, secondo cui: i) «La decadenza del creditore dal diritto di pretendere l'adempimento dell'obbligazione fideiussoria, sancita dall'art. 1957 c.c. per effetto della mancata tempestiva proposizione delle azioni contro il debitore principale, può essere preventivamente rinunciata dal fideiussore, trattandosi di pattuizione rimessa alla disponibilità delle parti che non urta contro alcun principio di ordine pubblico, comportando soltanto l'assunzione, per il garante, del maggior rischio inerente al mutamento delle condizioni patrimoniali del debitore» (cfr., in termini, Cass. n. 28943 del 2017. In senso sostanzialmente conforme si vedano anche Cass. 24 settembre 2013, n. 21867 del 2013 e Cass. n. 9245 del 2007); ii) «Nell'ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza dell'obbligazione principale ma al suo integrale adempimento, l'azione del creditore nei confronti del fideiussore non è soggetta al termine di decadenza previsto dall'art. 1957 c.c.» (cfr. Cass. n. 16836 del 2015). 8.2. A tanto deve aggiungersi che la questione della pretesa nullità della clausola di deroga all’art. 1957 cod. civ. risulta pacificamente essere stata sollevata dagli opponenti, in primo grado, solo nella loro memoria di replica ex art. 190 cod. proc. civ., sicché nessuna censura potrebbe comunque muoversi all’operato del tribunale, posto che il mancato rilievo d’ufficio di una questione - dedotta, come nella specie, tardivamente nella memoria di replica, benché, asseritamente rilevabile d’ufficio ‒ in presenza di un’eccezione tamquam non esset della parte (poiché tardiva), non può dare luogo ad omessa pronuncia, ma è denunciabile in cassazione ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per violazione delle norme che prevedono la rilevabilità d'ufficio della questione, giacché il vizio di omessa pronuncia postula che la questione, ancorché, per ipotesi, rilevabile d'ufficio, abbia formato oggetto di una specifica domanda od eccezione e che il giudice non abbia statuito sulla stessa (cfr. Cass. n. 12259 del 2019; Cass. n. 25298 del 2020). Una puntuale censura in tal senso non è stata, tuttavia, formulata dagli odierni ricorrenti. 8.3. Quanto fin qui esposto, allora, già consente di mantenere ferma una delle due rationes decidendi suddette (quella relativa alla derogabilità della previsione di cui all’art. 1957 cod. civ.), con conseguente inammissibilità della censura che investe l’altra (esistenza di procedura di concordato preventivo già intrapresa dalla debitrice principale, con conseguente impossibilità, ex art. 168 l.fall., di cominciare azioni esecutive individuali nei suoi confronti) stante il principio secondo cui, ove la corrispondente motivazione della sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata sul punto, l'omessa - o inefficace o infondata - impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l'autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in alcun caso l'annullamento, in parte qua, della sentenza (cfr., ex multis, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 4355 del 2023; Cass. n. 4738 del 2022; Cass. n. 22697 del 2021; Cass., SU, n. 10012 del 2021; Cass. n. 3194 del 2021; Cass. n. 15075 del 2018; Cass. n. 18641 del 2017; Cass. n. 15350 del 2017). 8.3.1. Esclusivamente per ragioni di completezza, dunque, si rimarca, quanto alla censura di cui all’undicesimo motivo, che, come affermato da Cass. n. 2532 del 2005, «La decadenza del creditore dalla fideiussione, per non aver proposto tempestivamente, ai sensi dell'articolo 1957 del c.c., contro il debitore le sue “istanze” (da intendersi come i vari mezzi di tutela giurisdizionale del diritto di credito, in via di cognizione o di esecuzione), non opera in presenza di un impedimento giuridico ostativo alla realizzazione della pretesa verso il debitore principale, come la circostanza che il debitore abbia presentato domanda di concordato preventivo o sia dichiarato fallito, poiché l'impossibilità di esperire qualsiasi azione nei confronti di quest'ultimo, quando risulti evidente e giuridicamente inseparabile, non può in alcun modo integrare gli estremi della negligenza del creditore e, per l'effetto, considerarsi causa efficiente dell'estinzione della garanzia. In particolare, al creditore né in sede di concordato preventivo, né in quella della successiva procedura fallimentare è concessa altra possibilità se non quella dell'agire per il mero riconoscimento del credito in sede concordataria e di instare per l'ammissione al passivo». 9. Il dodicesimo motivo di ricorso, recante «Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 352 c.p.c. - Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.», contesta al tribunale di aver omesso di pronunciarsi sulle conseguenze della rinuncia, da parte del Banco, a somme dallo stesso richieste in primo grado. 9.1. Il motivo è infondato perché (come si è già rimarcato disattendendosi l’analoga doglianza rivolta anche contro l’ordinanza ex art. 348-bis cod. proc. civ. resa dalla corte di appello bolognese il 19 febbraio 2022, quanto dedotto dal Banco nella sua terza memoria ex art. 183 comma 6, cod. proc. civ. (come riportato dai ricorrenti anche alla pagina 56 del proprio odierno ricorso: «Ma, anche ammettendo che quanto sostenuto nei documenti prodotti ex adverso valga qualcosa e che la Banca debba avere meno euro 4.796,66 per il mutuo 492004 e meno euro 2.839,33 per il mutuo 492005, ed, ad essere generosi, meno euro 388,01 per interessi e meno euro 737,90 per interessi di mora sino al 30.06.2011 [ciò senza alcuna ammissione], se il Giudicante vorrà spedire la causa in decisione si rinuncia espressamente a dette somme»), altro non era che una rinuncia condizionata al fatto che si verificasse l’ipotesi per cui la causa fosse andata immediatamente in decisione. Condizione, invece, non avveratasi, attesa l’istruttoria disposta, mediante l’espletamento di una c.t.u. contabile e successiva richiesta di suo supplemento, da parte del tribunale. 10. Il tredicesimo motivo di ricorso, infine, rubricato «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 4 del d.m. Giustizia n. 55/2014 e della tabella n. 2 allegata al citato decreto - Art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.», sostiene che la liquidazione dei compensi rinvenibile nella sentenza del tribunale emiliano eccede il quantum previsto dal d.m. n. 55/2014, tenuto conto dell’attività svolta dalla parte vittoriosa e dello scaglione delle controversie di valore pari ad € 249.826,11, vale a dire all’importo della condanna degli opponenti quantificato dal medesimo tribunale. 10.1. Questa doglianza deve considerarsi assorbita dall’avvenuto accoglimento del sesto motivo, posto che al giudice di rinvio spetterà il nuovo esame del gravame degli odierni ricorrenti, sebbene nei limiti di quanto oggi accolto della loro impugnazione, con le conseguenti ripercussioni sulla statuizione delle spese di lite. 11. In definitiva, quindi, il ricorso di Barbara Morini, Lorenzo Morini e Margherita Artioli deve essere accolto limitatamente al suo sesto motivo, dichiarandosene assorbiti il settimo, l’ottavo ed il tredicesimo, ed insuscettibili di accoglimento, perché inammissibili o infondati, gli altri. La impugnata sentenza del Tribunale di Reggio Emilia n. 358 del 13 marzo 2018, pertanto, deve essere cassata, in relazione al motivo accolto, e la causa va rinviata, giusta l’art. 383, comma 4, cod. proc. civ. (nel testo, qui applicabile ratione temporis, anteriore alla sua abrogazione disposta dal d.lgs. n. 149 del 2022), alla Corte di appello di Bologna per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità. PER QUESTI MOTIVI La Corte accoglie il ricorso di Barbara Morini, Lorenzo Morini e Margherita Artioli limitatamente al suo sesto motivo, dichiarandone assorbiti il settimo, l’ottavo ed il tredicesimo, ed insuscettibili di accoglimento, perché inammissibili o infondati, gli altri. Cassa la impugnata sentenza del Tribunale di Reggio Emilia n. 358 del 13 marzo 2018, in relazione al motivo accolto, e rinvia la causa, giusta l’art. 383, comma 4, cod. proc. civ. (nel testo, qui applicabile ratione temporis, anteriore alla sua abrogazione disposta dal d.lgs. n. 149 del 2022), alla Corte di appello di Bologna per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, l’8 gennaio 2024. Il Consigliere estensore Il Presidente Eduardo Campese Mauro Di Marzio

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE DI APPELLO DI ANCONA I SEZIONE PER LE CONTROVERSIE CIVILI Composta dai seguenti magistrati: dr. Annalisa Gianfelice - Presidente dr. Paola De Nisco - Consigliere rel. dr. Vito Savino - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa in grado di appello iscritta al n. 306/2021 del ruolo generale e promossa DA Si. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore (p.i. (...)) rappresentata e difesa dall'avv. Al.Si. come da mandato in calce all'atto di citazione in appello; - appellante- CONTRO Ca.Ri. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore (c.f. (...)), elettivamente domiciliata in Fermo, Corso (...) presso lo studio legale Em.As., rappresentata e difesa dall'avv. Fa.Em. , come da procura generale alle liti rep. n. (...) per notaio Lo.Ci. di F. del (...); - appellato- OGGETTO Appello avverso la sentenza n. 35 del 20-22/1/2021 pronunciata dal Tribunale di Fermo RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Fermo in parziale accoglimento della domanda avanzata dalla s.r.l. Si. contro la Ca.Ri. s.p.a. ha condannato quest'ultima al pagamento in favore della società attrice della complessiva somma di Euro 8.315,32, oltre interessi legali dal 29/4/2010 al saldo. Per quanto qui interessa, il primo giudice in relazione al contratto di conto corrente n. (...), acceso in data 6/7/1995 e chiuso in data 29/4/2010: ha rigettato l'eccezione di applicazione di interessi ultralegali in assenza di espressa pattuizione contrattuale, rilevando, sulla scorta della disposta CTU, che il contratto originario conteneva una espressa e valida previsione contrattuale degli interessi passivi ultralegali, modificati nel corso del rapporto in termini migliorativi per la correntista, con conseguente irrilevanza dello ius variandi; sempre sulla base delle risultante della CTU (che non ha temuto conto nella determinazione del TEG della CMS) ha rigettato l'eccezione di usurarietà dei tassi applicati, rilevando che nella specie era stata accertata una mera ipotesi di usura sopravvenuta, da ritenersi irrilevante alla luce dei principi di diritto affermati dalla Suprema Corte con sentenza n. 24675/207; ha accolto l'eccezione di nullità della clausola di previsione della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, escludendo gli addebiti effettuati a tale titolo fino al 13/1/2009 (data di sottoscrizione della modifica contrattuale) per complessivi Euro 8.315,32; ha rigettato l'eccezione di nullità della clausola di previsione della CMS sulla base del rilievo svolto dal nominato CTU per cui "i criteri di calcolo della CMS sono chiaramente individuabili e/o desumibili così come la misura", rilevando altresì non poter scrutinare l'eventuale corretto esercizio dello ius variandi da parte della Banca in assenza di una tempestiva domanda in tal senso della società attrice; ha rigettato la domanda relativa alla asserita applicazione di spese non dovute, trattandosi di domanda generica che non consentiva neanche di comprendere se la correntista intendesse censurare una originaria mancata pattuizione ovvero il non corretto esercizio dello ius variandi. In relazione al contratto di mutuo fondiario n. (...) del 14/6/2005: ha rigettato, sulla scorta della seconda relazione di CTU, l'eccezione di usurarietà sia degli interessi corrispettivi che di quelli moratori, anche a voler ricomprendere nel calcolo le spese di incasso della rata, il costo dell'assicurazione e la commissione di estinzione anticipata; ha rigettato l'eccezione di erroneità del calcolo delle spese di precetto in relazione all'IVA a fronte dell'adesione della Banca al regime di cui all'art. 36 bis D.P.R. n. 633 del 1972 e della conseguente rinuncia al diritto di detrazione dell'IVA. La società attrice ha proposto appello, articolando i seguenti motivi: 1) erroneità del capo di sentenza che ha rigettato l'eccezione di usurarietà dei tassi di interesse applicati in relazione al c/c (...), avendo il nominato CTU verificato il superamento del tasso soglia in relazione al secondo e al terzo trimestre 2006 e dovendosi ritenere integrata la pattuizione di un tasso usurario per in relazione a detto periodo; 2) erroneità del capo di sentenza che a fronte della accertata nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale non ha epurato il saldo del conto corrente anche della capitalizzazione effettuata sulla CMS, ma ha aderito ai conteggi effettuati dal CTU sub X) e 5); 3) erroneità del capo di sentenza che ha rigettato l'eccezione di nullità della CMS pur a fronte dei convergenti rilievi svolti dai CTP di entrambe le parti circa l'indeterminatezza della clausola in esame; 4) erroneità del capo di sentenza che ha rigettato la domanda di restituzione delle somme addebitate a titolo di spese non espressamente convenute, risultando le stesse indicate nel quantum nella consulenza di parte allegata all'atto di citazione; 5) erroneità del capo di sentenza che ha rigettato l'eccezione di usurarietà del tasso di interesse moratorio pattuito nel contratto di mutuo n. (...) a fronte delle conclusioni rassegnate dal CTU nella seconda relazione depositata in atti; 6) erroneità del capo di sentenza che ha rigettato la domanda risarcitoria da illegittima segnalazione in C.. Ha quindi concluso come in epigrafe. L'appellata Banca ha resistito al gravame, chiedendone il rigetto. Il primo motivo di appello, con il quale la società correntista lamenta la non corretta valutazione delle risultanze istruttorie in relazione alla eccepita usurarietà del tasso di interesse passivo applicato al contratto di conto corrente, è infondato. La Si. s.r.l. assume in particolare l'errata qualificazione in termini di usura sopravvenuta del superamento del tasso soglia rilevato dal CTU per il secondo ed il terzo trimestre 2006, dovendo al contrario la stessa essere ricondotta nel novero dell'usura "pattizia". Il motivo di appalesa generico e comunque infondato. A riguardo occorre innanzitutto rilevare che non è stato oggetto di impugnazione ad opera di alcuna delle parti il capo di sentenza che, nel rigettare l'eccezione di mancata pattuizione scritta degli interessi, ha accertato che le modificazioni al tasso di interesse originariamente pattuito applicate dalla Banca non sono mai state peggiorative rispetto all'originaria pattuizione, con conseguente irrilevanza di ogni questione circa l'esercizio dello ius variandi, questione non dedotta in giudizio dalla società correntista. Tale capo della sentenza risulta quindi passato in giudicato. Tale circostanza unita al rilievo che l'appellante neanche in questa sede ha precisato quando si sarebbe avuta, in applicazione del meccanismo dello ius variandi, una modifica del tasso di interesse tale da integrare una ipotesi di usura pattizia, rende assolutamente generico ed indeterminato il motivo di impugnazione. Né la circostanza risulta esposta nella relazione tecnica di parte allegata all'atto introduttivo di primo grado (che in radice non ipotizza l'usura in relazione al contratto di c/c) né è desumibile dalle relazioni di CTU né infine la circostanza medesima è desumibile dalle osservazioni svolte dal CTP della società appellante alle relazioni di CTU acquisite in primo grado. Meritevole di accoglimento è invece il secondo motivo di impugnazione, con il quale la società appellante lamenta la mancata integrale espunzione del fenomeno anatocistico, avendo il primo giudice fatto proprie le ipotesi di ricalcolo sub (...)) e 5) svolte dal CTU, che hanno mantenuto l'anatocismo anche sulla CMS. Sul punto nessun rilievo è stato in questa sede svolto dalla appellata Banca. Questa Corte ritiene che l'affermata nullità della clausola contrattuale dall'inizio del rapporto fino alla sottoscrizione del contratto in data 13/1/2009 imponeva l'esclusione degli effetti della capitalizzazione anche in relazione agli addebiti per CMS e quindi l'accoglimento delle conclusioni rassegnate dal nominato CTU con i prospetti di calcolo sub X) e 6). Deve quindi essere accertato il diritto della società appellante alla restituzione della complessiva somma di Euro 22.182,47 (2.239,90 in relazione al primo periodo + 19.942,57 in relazione al secondo). Parimenti meritevole di accoglimento è anche il terzo motivo di impugnazione, con il quale si reitera l'eccezione di nullità della CMS. Pur condividendo, la ricostruzione del quadro normativo relativo alla commissione in esame questa Corte non può non rilevare che con la generica dizione di commissione di massimo scoperto, le banche, prima delle modifiche normative del 2009 (art. 2 bis D.L. n. 185 del 2008 conv. in L. n. 2 del 2009 e D.L. n. 78 del 2009 conv. in L. n. 102 del 2009) e del 2012 (D.L. n. 201 del 2011 conv. in L. n. 214 del 2011, D.L. n. 1 del 2012 conv. in L. n. 27 del 2012, D.L. n. 29 del 2012 conv. in L. n. 62 del 2012) hanno per molti anni utilizzato diversi modelli che spaziavano dal pagamento di una somma percentuale calcolata sul fido accordato e non utilizzato (commissione mancato utilizzo), al pagamento di una somma percentuale sull'ammontare massimo del fido utilizzato (commissione massimo scoperto), alla combinazione di entrambi i modelli, parametrando l'utilizzo o il mancato utilizzo talvolta ad una durata minima e talvolta no, e ciò con riferimento talvolta anche ai fidi di fatto, cd. scoperture o sconfinamenti di conto corrente. In altre parole la CMS non era riconducibile ad un'unica fattispecie giuridica, e trattandosi di un autonomo elemento retributivo non regolato da specifiche norme di legge, era pertanto necessaria non solo una espressa pattuizione scritta, ma ai sensi dell'art. 1346 c.c. come ogni obbligazione contrattuale era necessario che la stessa fosse determinata o quantomeno determinabile. In tal senso di è espressamente pronunciata la Suprema Corte anche in passato con le sentenze n. 870 del 18/1/2006 e n. 11772 del 6/8/2002. Per il periodo successivo all'entrata in vigore dell'art. 2 bis della L. 28 gennaio 2009, n. 2, la commissione di massimo scoperto va riconosciuta soltanto in presenza delle condizioni indicate dalla norma, dovendo altrimenti essere considerata nulla e disapplicata (art. 2 bis: 1. Sono nulle le clausole contrattuali aventi ad oggetto la commissione di massimo scoperto se il saldo del cliente risulti a debito per un periodo continuativo inferiore a trenta giorni ovvero a fronte di utilizzi in assenza di fido). Inoltre, il quarto comma dell'art. 117 TUB impone la forma scritta ad substantiam per ogni prezzo, condizione od onere richiesto dalla banca, disposizione questa sicuramente riferibile anche alla CMS. Nel caso di specie, come riconosciuto da entrambi i CTP nominati in relazione alla disposta consulenza tecnica d'ufficio (la quale dà espressamente atto della circostanza) le condizioni pattuite si limitano a prevedere la percentuale della commissione da applicare (1,000%) e la sua periodicità (trimestrale), ma nulla invece dicono sul criterio di calcolo da applicare in concreto e cioè se essa vada calcolata sul picco massimo di utilizzo del fido nell'arco del trimestre (c.d. criterio assoluto) ovvero sull'importo massimo di utilizzo del fido di almeno dieci giorni, anche non consecutivi (c.d. criterio relativo) ovvero ancora sull'utilizzato nel trimestre per un periodo continuativo di almeno 10 giorni (c.d. criterio misto). Non è precisato neppure se la base di calcolo tenga conto dello sconfinamento calcolato sul complesso dei prelievi effettuati dal correntista oppure no. E' evidente come ciascuno dei diversi criteri comporta la quantificazione della commissione in misura diversa in contrasto con il principio di determinatezza e specificità che sola consente al correntista di conoscere quando e come sorgerà l'obbligo di dover corrispondere la suddetta commissione alla banca. Né il criterio di calcolo può ex post essere dedotto della concreta applicazione effettuata dalla Banca, dovendo ex ante essere predeterminato. Le conclusioni raggiunte trovano ampia conferma nella ormai pacifica giurisprudenza di legittimità che ha espressamente affermato che "In tema di conto correntebancario, è nulla per indeterminatezza dell'oggetto la clausola negoziale che prevede la commissione di massimo scoperto indicandone semplicemente la misura percentuale, senza contenere alcun riferimento al valore sul quale tale percentuale deve essere calcolata" (cfr. da ultimo Cass. ord. n. 19825 del 20/06/2022). Deve pertanto essere accertato il diritto della società appellante alla restituzione della complessiva somma di Euro 11.337,00 addebitata a tale titolo sul c/c in esame. Non meritevole di accoglimento è invece il quarto motivo di impugnazione, con il quale si impugna il capo di sentenza che ha rigettato la domanda di restituzione delle somme addebitate a titolo di spese non convenute. In punto di fatto occorre rilevare che il CTU nominato in primo grado ha rilevato che i contratti di c/c prodotti in giudizio prevedono espressamente le spese che quindi sono chiaramente individuabili nel titolo e nella misura. A fronte di tale circostanza questa Corte non può che ribadire le conclusioni già raggiunte dal primo giudice in punto di genericità della contestazione in esame (che non permette neanche di comprendere se riguardi l'originaria mancata pattuizione ovvero il non corretto esercizio dello ius variandi, censura che non è stata tempestivamente articolata in primo grado, come in più parti è stato affermato dal Tribunale). Né il rilievo può essere superato dalla mera circostanza che l'ammontare complessivo delle spese addebitate sia stato indicato nella relazione tecnica di parte allegata all'atto introduttivo in quanto l'espunzione è stata in detto elaborato motivata dalla "mancanza di causa, in quanto tale addebito si sostanzia in un ulteriore aggravio di spese nei confronti del correntista", locuzione che non consente di chiarire la natura della asserita illegittimità. Non meritevole di accoglimento è il quinto motivo di appello, con il quale la società correntista lamenta l'erroneità del capo di sentenza che ha rigettato l'eccezione di usurarietà del tasso di interesse moratorio. Rileva in particolare l'appellante che il CTU, dopo aver affermato la necessità di ricomprendere nel calcolo del TEG anche le spese di incasso il costo di assicurazione e la commissione di estinzione anticipata, ha concluso affermando che "E' evidente anche senza conteggi che il tasso complessivo di mora pattuito contrattualmente supera il tasso soglia senza bisogno di alcun calcolo. A fronte di una pattuizione inziale dell'interesse di mora (semplice e non complessivo) del 7,42% si ha supero del tasso soglia che è del 5,805 %. Diviene inutile esercitazione il procedere a calcoli ulteriori". Le conclusioni raggiunte dal consulente d'ufficio non appaiono condivisibili. Innanzitutto in punto di fatto occorre rilevare che non è stata acquisita alcuna prova in ordine all'aggravio del mutuo per cui è causa di spese di assicurazione. Il contratto di mutuo prodotto in giudizio non contiene infatti alcuna previsione, neppure eventuale, in relazione alla stipulazione di un contratto di assicurazione e parimenti nulla è previsto nell'allegato D), da cui pure il CTU ha tratto l'indicazione degli ulteriori costi gravanti sul finanziamento. L'unica traccia (presa in considerazione dal CTU) di tale preteso esborso è contenuta nella relazione tecnica di parte prodotta unitamente all'atto introduttivo di primo grado, priva tuttavia di qualsivoglia allegazione documentale idonea a fornire prova della sua esistenza e della sua entità. La somma di Euro 408,54 prevista nel prospetto del consulente di parte appellante non può pertanto essere ricompresa nel calcolo del TEG. In secondo luogo in punto di diritto deve escludersi che nel predetto conteggio possa tenersi conto anche della commissione di estinzione anticipata. A riguardo questa Corte si limita a rilevare come la Suprema Corte, superando il contrasto creatosi nella giurisprudenza di merito sul punto, ha affermato "In tema di usura bancaria, ai fini del superamento del "tasso soglia" previsto dalla disciplina antiusura, non è possibile procedere alla sommatoria degli interessi moratori con la commissione di estinzione anticipata del finanziamento, non costituendo quest'ultima una remunerazione, a favore della banca, dipendente dalla durata dell'effettiva utilizzazione del denaro da parte del cliente, bensì un corrispettivo previsto per lo scioglimento anticipato degli impegni a quella connessi" (cfr. Cass. n. 7352 del 07/03/2022). La Cassazione infatti, dopo aver ribadito "la rilevanza della differenziazione delle componenti del costo del credito" ai fini "ai fini della determinazione del tasso soglia", non essendo "accomunabili, nella comparazione necessaria alla verifica delle soglie usuraie, voci del costo del credito corrispondenti a distinte funzioni", ha ritenuto di non poter sommare la commissione di estinzione anticipata agli interessi moratori. "La prima costituisce infatti una clausola penale di recesso, che viene richiesta dal creditore e pattuita in contratto per consentire al mutuatario di liberarsi anticipatamente dagli impegni di durata, per i liberi motivi di ritenuta convenienza più diversi, e per compensare, viceversa, il venir meno dei vantaggi finanziari che il mutuante aveva previsto, accordando il prestito, di avere dal negozio; i secondi, come noto, costituiscono una clausola penale risarcitoria volta a compensare il ritardo nella restituzione del denaro, così da sostituire, incrementati, gli interessi corrispettivi; ma, a ben vedere, proprio la natura di penale per recesso, propria della commissione di estinzione anticipata, comporta che si tratta di voce non computabile ai fini della verifica di non usurarietà; la commissione in parola non è collegata se non indirettamente all'erogazione del credito, non rientrando tra i flussi di rimborso, maggiorato del correlativo corrispettivo o del costo di mora per il ritardo nella corresponsione di quello; non si è di fronte, cioè, a "una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall'effettiva durata dell'utilizzazione dei fondi da parte del cliente" (arg. ex art. 2-bis, D.L. n. 185 del 2008, quale convertito), posto che, al contrario, si tratta del corrispettivo previsto per sciogliere gli impegni connessi a quella". Ciò posto, questa Corte ritiene non condivisibili le conclusioni raggiunte dal consulente d'ufficio in primo grado in quanto lo stesso utilizza quale parametro di riferimento il tasso soglia previsto per gli interessi corrispettivi come indicato dai DDMM (5,805%). Il consulente d'ufficio erroneamente non ha, invero, fatto applicazione dei chiarimenti operati dalla B.D. in data 3/7/2013, che suggeriscono "in assenza di una previsione legislativa che determini una specifica soglia in presenza di interessi moratori" di individuare il tasso soglia degli stessi partendo dal TEG medio pubblicato aumentato di 2,1 punti (fino al dicembre 2017, data in cui è inserita l'indicazione separata anche dei tassi soglia moratori). Sul punto sono infatti di recente intervenute le Sezioni Unite della Suprema Corte con sentenza n. 19597 del 18/9/2020, che, dopo aver affermato che il mancato rilievo degli interessi moratori nelle rilevazioni del tasso soglia dei DDMM non ha rilevanza ermeneutica, perché la normativa secondaria non può costituire un vincolo per il giudice all'esercizio del suo potere-dovere ermeneutico, e che "la disciplina antiusura, essendo volta a sanzionare la promessa di qualsivoglia somma usuraria dovuta in relazione al contratto, si applica anche agli interessi moratori", hanno statuito il principio di diritto per cui "la cui mancata ricomprensione nell'ambito del Tasso effettivo globale medio (T.e.g.m.) non preclude l'applicazione dei decreti ministeriali di cui all'art. 2, comma 1, della L. n. 108 del 1996, ove questi contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali; ne consegue che, in quest'ultimo caso, il tasso-soglia sarà dato dal T.e.g.m., incrementato della maggiorazione media degli interessi moratori, moltiplicato per il coefficiente in aumento e con l'aggiunta dei punti percentuali previsti, quale ulteriore margine di tolleranza, dal quarto comma dell'art. 2 sopra citato, mentre invece, laddove i decreti ministeriali non rechino l'indicazione della suddetta maggiorazione media, la comparazione andrà effettuata tra il Tasso effettivo globale (T.e.g.) del singolo rapporto, comprensivo degli interessi moratori, e il T.e.g.m. così come rilevato nei suddetti decreti. Dall'accertamento dell'usurarietà discende l'applicazione dell'art. 1815, comma 2, c.c., di modo che gli interessi moratori non sono dovuti nella misura (usuraria) pattuita, bensì in quella dei corrispettivi lecitamente convenuti, in applicazione dell'art. 1224, comma 1, c.c.". Quindi nell'ipotesi in cui il D.M. di riferimento contenga anche l'indicazione del tasso di mora medio applicato dagli operatori "deve ritenersi che la valutazione di usurarietà vada compiuta anche con riferimento agli interessi di mora, ma che non possa essere parametrata al T. individuato per gli interessi corrispettivi, bensì ad una "soglia" costituita dal T.e.g.m., incrementato della maggiorazione media degli interessi moratori (come rilevata dai decreti ministeriali di cui all'art. 2, comma 1, della L. n. 108 del 1996), moltiplicato per il coefficiente in aumento e con l'aggiunta dei punti percentuali previsti, quale ulteriore margine di tolleranza, dal quarto comma dell'art. 2 della L. n. 108 del 1996" (cfr. anche Cass. ord. n. 15505 del 16/5/2022). Se invece, al contrario, il D.M. di riferimento non rechi l'indicazione della maggiorazione media dei moratori (circostanza questa relativa a tutti i DDMM emessi dalla data di entrata in vigore della L. n. 108 del 1996 fino al 25/3/2003), "la comparazione andrà effettuata tra il Tasso effettivo globale (T.e.g.) del singolo rapporto, comprensivo degli interessi moratori, e il T.e.g.m. così come rilevato nei suddetti decreti" (cfr. anche sentenza da ultimo citata). Nel caso di specie ricorre la prima ipotesi in quanto risulta pacifico e comunque documentato in atti che il contratto di mutuo è stato stipulato in data 14/6/2005, sicché il tasso soglia per gli interessi moratori deve essere accertato inserendo la maggiorazione in esame. Alla luce delle conclusioni raggiunte il tasso soglia per gli interessi moratori, relativi ad un mutuo a tasso variabile con garanzia reale concluso nell'aprile 2005, deve essere individuato nell'8,955% e non come indicato dal CTU nel 5,805%. Appare pertanto evidente il mancato superamento nella specie del tasso di mora pattuito in contratto nella misura del 7,42%. Infine, non meritevole di accoglimento è l'ultimo motivo di impugnazione, con il quale la società appellante lamenta il mancato accoglimento della domanda di risarcimento dei danni contrattuali ed extracontrattuali ad essa conseguiti dall'illegittima segnalazione alla C.R. della B.D.. Anche a voler tenere conto degli ulteriori importi ritenuti come illegittimamente addebitati sul c/c della società appellante in questa sede (per un totale, comprensivo di quanto già accertato dal primo giudice, di Euro 33.519,47), non ritiene questa Corte che la Banca abbia violato le regole di correttezza e buona fede contrattuale ed extra contrattuale nel procedere alla segnalazione de qua. Risulta infatti pacifico e comunque documentato in atti che al momento del giro a sofferenza della posizione della società appellante e della conseguente segnalazione alla C.R. il saldo passivo del c/c era pari ad Euro 1.280,18, mentre l'esposizione del mutuo corrispondeva ad Euro 284.227,48. Quindi la segnalazione (effettuata per Euro 285.555) è sostanzialmente relativa al mancato pagamento delle rate di mutuo. Risulta inoltre non contestato e comunque provato documentalmente che alla data del 27/10/2011 la società appellante non aveva proceduto al pagamento di 28 rate mensili (a decorrere dal marzo 2009) per complessivi Euro 52.840,85, oltre interessi competenze ed accessori e che in data 08/07/2013 la banca ha concesso alla Si. s.r.l. per il pagamento delle rate insolute una ulteriore moratoria di 6 mesi, anche questa rimasta inadempiuta. Tali circostanze hanno obiettiva incidenza sulla valutazione di solvibilità dell'appellante al momento della operata comunicazione (13/2/2014), tenuto conto anche della intervenuta scadenza dell'ulteriore moratoria concessa dalla Banca (8/2/2014). La condotta della Banca non appare quindi connotata in concreto da caratteri imprevisti ed arbitrari, sì da poter ravvisare una ipotesi di violazione della buona fede esecutiva ex art. 1375 c.c. ovvero di generale correttezza e buona fede ex art. 1175 c.c., atteso che l'intermediario è obbligato (art. 1 e 8 Circolare della B.D. n. 139 dell'11/2/1991 e successivi aggiornamenti) alla segnalazione allorché ricorra almeno una delle condizioni previste dall'art. 5 sezione I. Nella specie l'intera esposizione debitoria connessa al contratto di mutuo fondiario (qui interamente confermata) al momento della segnalazione era, come già detto, pari ad Euro 284.227,48), sicché ricorrevano tutti i presupposti per procedere alla contestata segnalazione. In conclusione, in parziale accoglimento dell'appello e in parziale modifica della sentenza impugnata, che per il resto conferma, condanna la Ca.Ri. al pagamento in favore della società appellante della complessiva somma di Euro 33.519,47, oltre interessi legali dal 29/4/2010 al saldo. Tenuto conto del complessivo esito del giudizio e del rigetto di gran parte delle domande svolte dall'appellante anche le spese di lite del presente grado di giudizio devono essere interamente compensate tra le parti. P.Q.M. La Corte d'Appello di Ancona, definitivamente pronunciando sull'appello proposto avverso la sentenza n. 35 del 20-22/1/2021 pronunciata dal Tribunale di Fermo, così decide nel contraddittorio delle parti: in parziale accoglimento dell'appello e in parziale modifica della sentenza impugnata, che per il resto conferma, condanna la Ca.Ri. al pagamento in favore della società appellante della complessiva somma di Euro 33.519,47, oltre interessi legali dal 29/4/2010 al saldo; dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio. Così deciso in Ancona il 10 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 15 gennaio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI NAPOLI Sez. III civile, composta dai magistrati Dott.ssa Maria Casaregola - Presidente Dott.ssa Maria Di Lorenzo - Consigliere rel. est. Dott.ssa Rosaria Morrone - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 3649/2020 R.G.A.C. e promossa da Di. S.r.l. (partita IVA (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Ni.Ra., come da mandato allegato all'atto di appello, con studio in Cercola (NA), alla via (...) APPELLANTE nei confronti di Ba.Re. S.p.A. (c.f.: (...)), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'Avv. Gi.Di. (C.F. (...)), con studio in Nola, alla via (...), come da procura allegata alla comparsa di costituzione e risposta, e con lo stesso elettivamente domiciliato presso l'avv. An.Ma., studio in Napoli, alla via (...) APPELLATA OGGETTO: Appello avverso la sentenza n. 5286/2020 del Tribunale di Napoli. RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione notificato l'11 giugno 2015, Di. S.r.l. conveniva in giudizio la Ba.Po. s.c.p.a.. L'attrice esponeva quanto segue. A) In data 25.09.2003, aveva stipulato con la convenuta un contratto di deposito in custodia e amministrazione, acquistando da quest'ultima 270 azioni non quotate in borsa, titoli aventi valore nominale di Euro 500,00 cadauno, per l'importo complessivo di Euro 135.000,00. La stipula era avvenuta presso la sede di Nola della Banca convenuta, senza nessuna chiara spiegazione circa la reale natura dell'acquisto e senza che le fosse consegnata alcuna copia del contratto stesso, rappresentato come "mero investimento necessario ad assicurare alla società Di. srl una solida affidabilità presso la Banca creditrice al fine della concessione di un affidamento bancario". Il detto contratto era affetto da nullità ex art. 1418 c.c. o, in via subordinata, doveva ritenersi annullabile ai sensi degli artt. 1394 e 1395 c.c. per i comportamenti posti in essere dalla controparte contraente. In particolare, risultava violato il primo comma dell'art. 21 del D.Lgs. n. 58 del 1998, a norma del quale, nella prestazione dei servizi di investimento e accessori, i soggetti abilitati avevano l'obbligo, "nell'interesse dei clienti e per l'integrità dei mercati", di "comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza". Tale norma fondamentale, la cui violazione doveva ritenersi sanzionata da nullità ex art. 1418, comma 1, c.c., era stata certamente negletta dai responsabili della Banca in occasione della stipula del contratto di deposito in custodia e amministrazione, in forza del quale essa aveva acquistato le azioni della Ba.Po.. Il suo consenso per l'acquisto delle azioni in oggetto era stato, peraltro, carpito dalla Ba.Po. con dolo, avendo quest'ultima rappresentato, attraverso artifici e raggiri, un contenuto contrattuale diverso da quello reale e, comunque, il consenso era viziato da un errore essenziale, in quanto essa lo aveva prestato ritenendo di concludere "un semplice investimento", da cui poter recedere in ogni momento con la vendita delle azioni. La società Ba.Po. avrebbe dovuto informarla specificamente che stava per acquistare dei titoli con riguardo ai quali lo stesso istituto di credito vantava un interesse economico alla collocazione, e che tali azioni, non quotate in borsa, non avrebbero potuto essere rivendute se non alla Banca o ad altri potenziali azionisti della stessa. Era così accaduto che, pur avendo fatto più volte richiesta di vendita delle azioni fin dal dicembre 2012, la Ba.Po., non vi aveva mai dato riscontro. B) Essa era già titolare, sempre presso la Ba.Po., del conto corrente n. (...), aperto in data 05.11.2001; tale conto prevedeva le seguenti condizioni economiche: tasso debitore annuo nominale 7%, tasso effettivo annuo 7,1859%, tasso di mora 9,00%, commissione di massimo scoperto 0,125%, tasso creditore annuo 1%, 1,25%, 1,50% se, rispettivamente, fino a 50 fino a 100 oltre 100 milioni di L., capitalizzazione trimestrale, oltre altre spese e valute. Era altresì titolare del conto n. (...), aperto in data 24.01.2002. Le condizioni economiche ivi indicate erano: tasso debitore annuo nominale 6%, tasso effettivo annuo 6,13636%, tasso di mora 6,00%, tasso creditore annuo 0,125%, capitalizzazione trimestrale. In data 25/01/2002, con un contratto di apertura di credito, la Ba.Po. le aveva concesso affidamento per i seguenti importi: 1) Euro 100.000,00 per apertura di credito in conto corrente; 2) Euro 50.000,00 per libera disponibilità assegni versati; 3) Euro 100.000,00 per anticipi fatture; 4) Euro 200.000,00 per finanziamento all'importazione e lettere di credito. Tutti gli importi sopra indicati avevano "durata a revoca". Nel contratto di apertura di credito erano previste le seguenti condizioni economiche per l'affido bancario: prime rate aziendali (PR) attualmente 7% nominale annuo pari ad un tasso effettivo del 7,1859% + commissione di massimo scoperto 1/8 entro il limite di fido; tasso oltre i limiti di fido PR+2 attualmente 7+2 oltre a commissione di massimo scoperto 12; tasso di mora 9,0% annuale nominale pari al 9,30833 % effettivo annuo; capitalizzazione trimestrale. Per quanto riguardava le condizioni contrattuali relative agli importi previsti ai punti 3 e 4 si stabiliva che esse sarebbero state concordate di volta in volta. Nel corso degli oltre dodici anni in cui erano rimasti accesi tali conti, la Banca aveva effettuato una illegittima capitalizzazione degli interessi, veicolando gli interessi dei conti di solo debito n. (...), n. (...) e n. (...) sul conto corrente n. (...), "producendo in tal modo anatocismo ovvero applicazione di interessi (quelli previsti del conto (...)) su interessi (quelli dei conti n. (...), il n. (...) e il n. (...))". Tale capitalizzazione trimestrale era illegittima non solo perché in violazione dell'art. 1283 c.c., ma anche perché violava la condizione di reciprocità prevista dalla Del.CICR del 9 febbraio 2000, e soprattutto perché ciò aveva prodotto, per tutti i conti correnti, tassi di interesse eccedenti la soglia di usura. Essa aveva, quindi, conferito incarico alla RDC STUDIO R.D.C., specializzato in analisi bancarie, di redigere perizia tecnico-contabile, al fine di stabilire la corretta tenuta dei conti correnti in relazione alle pattuizioni scritte, di determinare il T.E.G. secondo la normativa della L. n. 108 del 1996 ed il saldo dei conti correnti intrattenuti con la Ba.Po.. L'indagine aveva posto in luce l'esistenza di un suo credito di Euro 353.420,10 alla data del 31/03/2015. Ed invero, di contro a uno scoperto di Euro 144.768,74, l'esperto aveva accertato anche un credito nei confronti della banca di Euro 498.188,84 in virtù dell'eliminazione degli interessi usurari e illegittimi applicati ai conti correnti. In ogni caso, ad aggravare l'illegittima condotta usuraia della banca doveva evidenziarsi che i tassi di interessi applicati ai contratti bancari di credito, erano nulli per mancanza di espressa previsione scritta. Per questi motivi l'attrice formulava le seguenti conclusioni: "DICHIARARE la nullità ex art. 1418 o in via subordinata l'annullabilità ex art. 1394 e ex art. 1395 c.c del contratto di deposito in custodia e amministrazione con cui la società Di. srl ha acquistato le azioni della Ba.Po. SCPA, e per l'effetto ordinare alla banca convenuta l'immediata restituzione della somma di Euro 135.000,00 versata per l'acquisto delle azioni, maggiorata degli interessi legali e rivalutazione monetaria dal 2003 alla data del soddisfo; DICHIARARE che i rapporti di credito intrattenuti dalla Banca con la società Di. srl sono stati trattati con tassi usurari sia in promessa che in concreto e ai sensi del secondo comma dell'art. 1815 c.c., dichiarare non dovuti gli interessi sulle somme concesse in affidamento bancario, e per effetto procedere ad una rettifica del saldo a credito in favore della Banca dichiarando inesistente il debito di Euro 144.768,10 per affido bancario nei confronti della società Di. e in virtù dell'abbattimento dei tassi usurai dichiarare la società Di. srl titolare di un saldo a credito presso la banca convenuta al 31/03/2015 pari ad Euro 353.420,10 (trecentocinquantatremila quattrocentoventi/10) quale differenza tra la somma di cui al saldo degli estratti conto come tenuti dalla banca e la somma di Euro 498.188,84 quale somma illegittimamente addebitata dalla banca per interessi usurai, recupero di interessi a credito e recupero dell'indebito monetario; CONDANNARE le parti convenute alle spese, diritti ed onorari di causa, con IVA e CPA, spese forfetarie ex art. 51 t.f., da attribuirsi all'avvocato Ranieri anticipatario, e con sentenza esecutiva come per legge". La Ba.Re. S.p.A. (già Ba.Po. s.c.p.a.) si costituiva tardivamente in data 21/6/2016, contestando la fondatezza dell'avversa domanda. Disposta ed espletata CTU contabile e rigettato il ricorso per sequestro conservativo proposto dall'attrice, la causa, all'udienza di precisazione delle conclusioni del 28/2/2020, veniva riservava per la decisione. - 2. Con sentenza n. 5286 del 23.7.2000, il Tribunale di Napoli rigettava le domande proposte dalla Di. S.r.l. e la condannava al pagamento delle spese di giudizio. Nel motivare, premetteva che l'attrice, ritirata la sua produzione, non l'aveva più depositata, sicché essa restava non conoscibile e non utilizzabile da parte del giudice, purtuttavia tenuto a definire la controversia. Rilevava, quindi, quanto segue: A) Il contratto di deposito titoli in custodia ed amministrazione stipulato dalle parti in data 25/9/2003 in base al quale il cliente autorizza la banca a custodire e amministrare, per suo conto, gli strumenti finanziari di cui è titolare, non può identificarsi con il contratto di acquisto delle n. 270 azioni della Ba.Po. (B.), di cui la società attrice aveva chiesto dichiararsi la nullità o pronunciarsi l'annullamento. La banca convenuta, sin dalla comparsa di costituzione, aveva chiarito che la società Di. non aveva acquistato le azioni B. nel 2003, ma aveva sottoscritto n. 181 azioni in sede di costituzione della banca, nel 2001, e ulteriori 90 azioni nel 2004, in occasione del primo aumento di capitale; né tale assunto era stato smentito dall'attrice. Se ne doveva concludere che, non avendo la società Di. acquistato le azioni B. sul mercato ove le stesse erano state negoziate, ma avendole sottoscritte direttamente in sede di costituzione e di aumento di capitale, la convenuta non aveva prestato alcuna attività di consulenza e/o intermediazione nel loro acquisto e, pertanto, la normativa invocata dall'attrice non risultava applicabile al caso di specie. Già con il provvedimento che aveva definito il procedimento cautelare, incidentalmente proposto dall'attrice, il Tribunale aveva rilevato che "circa la violazione degli obblighi informativi e di forma del contratto quadro, imposti dagli artt. 21 e 23 t.u.f. agli intermediari finanziari, non si può non considerare che la stessa ricorrente, talora, sostiene di avere acquistato dalla banca le azioni oggetto di causa, talaltro, di averle, invece, sottoscritte, ciò che costituisce asserzione di fatti diversi ed alternativi; c) questa duplice, contrastante allegazione, unitamente alla difesa della banca, che ha sostenuto, senza essere specificamente smentita, che la controparte non acquistò presso di lei le azioni ma le sottoscrisse all'atto della sua costituzione e di un successivo aumento del capitale sociale, ed anche alla carenza documentale, imputabile all'attrice, non consentono di affermare che sia stato sufficientemente dimostrato l'affidamento alla banca, e dello svolgimento da parte sua, di un'attività di negoziazione, ricezione e trasmissione di ordini (art. 1, comma 5, t.u.f.), che imponga il rispetto degli obblighi informativi previsti dall'art. 21 t.u.f. e la conclusione di un contratto quadro ex art.23 t.u.f. (cfr. cass. 18039/2012; 3625/2016; 8733/2016, tutte sul rapporto tra l'art. 21 e gli artt. 94 e 95 t.u.f. in caso di sollecitazione all'investimento)". Doveva, dunque, ritenersi che, in difetto di prova dell'effettiva prestazione da parte della banca convenuta di servizi di investimento - prova che, in omaggio ai principi generali, ricadeva senza dubbio sulla società attrice - non poteva ritenersi sussistente alcuna violazione di obblighi informativi. Occorreva, peraltro, aggiungere che, per giurisprudenza costante e condivisibile, in materia di contratti di intermediazione finanziaria, la violazione dei doveri di informazione e di corretta esecuzione delle operazioni poste dalla legge a carico degli intermediari, non produceva nullità, ma dava luogo a responsabilità, precontrattuale in ordine al contratto quadro, ovvero a responsabilità contrattuale per i successivi ordini di acquisto, con eventuale risoluzione e/o risarcimento del danno. Neppure sussisteva alcuna prova, in atti, del dolo o della presunta coartazione della volontà della società Di. da parte della banca al fine di indurre l'attrice a sottoscrivere le azioni B., né ricorrevano i presupposti per l'applicabilità degli artt. 1394 e 1395 c.c., mancando, nel caso di specie, attività di intermediazione e di negoziazione da parta della Banca. B) Quanto alle domande concernenti i contratti di conto corrente ed apertura di credito, non era possibile esaminare la documentazione allegata all'atto di citazione e valutare compiutamente le contestazioni relative alla capitalizzazione trimestrale degli interessi, all'usura ed al difetto di forma scritta degli interessi. Il CTU, peraltro, aveva affermato che, per i conti correnti n. (...) e n. (...), esistevano in atti le comunicazioni della Banca al cliente, relative alle aperture degli stessi con le condizioni applicate durante il rapporto bancario e che vi erano, inoltre, gli affidamenti bancari comunicati con missiva postale del 25/1/2002. Ora, poiché nelle azioni di ripetizione di indebito, l'onere di produrre i documenti contrattuali relativi ai rapporti di conto corrente in contestazione, al fine di verificare la dedotta mancanza o nullità di talune clausole, gravava sulla parte che tali domande avesse proposto, era proprio la società Di. gravata dell'onere di produrre copia di tutti contratti indicati nell'atto di citazione. L'attrice, invece, alla luce di quanto risultava dalla CTU, si era limitata a depositare le comunicazioni inviate dalla banca relative ai contratti di conto corrente n. (...) e n. (...) e neppure aveva chiesto, ai sensi dell'art. 210 c.p.c., l'emissione di un ordine di esibizione dei contratti, limitandosi a richiedere "l'acquisizione degli estratti conto bancari in oggetto, con specifica di tutti i movimenti in entrata ed in uscita e dei riepiloghi trimestrali, nonché l'acquisizione di tutta la modulistica ed il contratto di acquisto delle 270 azioni della Ba.Po.". Quanto all'anatocismo - premesso che l'art. 120 TUB (D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385), come modificato dall'art. 25 D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342, e la delibera attuativa del Del.CICR del 9 febbraio 2000, avevano sancito la legittimità della capitalizzazione degli interessi nell'ambito dei rapporti bancari, alla sola condizione che la periodicità della capitalizzazione fosse reciproca e che essa risultasse da espressa pattuizione specificamente approvata per iscritto - nel caso in esame, come anche rilevato dal CTU, la capitalizzazione trimestrale degli interessi era stata espressamente convenuta dalle parti ed era legittima in quanto rispondente ai requisiti della "pari periodicità". In merito al dedotto carattere usurario degli interessi applicati dalla banca convenuta, lo stesso CTU, utilizzando il metodo di calcolo di cui alle Istruzioni della B.I., l'unico condivisibile, aveva escluso il superamento del tasso soglia, non ravvisando né usura originaria né usura sopravvenuta. - 3. Avverso la sentenza di primo grado la società Di. s.r.l. ha proposto appello, cui ha resistito, costituendosi, la Ba.Re. S.p.A. (già Ba.Po. s.c.p.a.). Le parti, all'udienza del 4 ottobre 2023, hanno precisato le conclusioni riportate in epigrafe e la Corte ha riservato la causa in decisione, con la concessione di termini di giorni 40 per gli scritti conclusionali e di ulteriori giorni 20 per eventuali repliche. - 3.1. Le ampie considerazioni premesse dall'appellante in merito alle ragioni del mancato deposito del fascicolo di primo grado e dell'istanza di remissione in termini da lui presentata al Tribunale dopo il deposito della sentenza, non hanno rilevanza ai fini di questo giudizio d'impugnazione. L'unica circostanza che rileva è l'incontestabile diritto della Di. S.r.l. di depositare in grado di appello il fascicolo di parte del giudizio dinanzi al Tribunale, contenente documenti ritualmente prodotti in primo grado (tra le altre basti citare, Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 21571 del 07/10/2020). Ciò posto, l'appellante non indica quali siano i documenti ritualmente depositati nel giudizio di primo grado e ridepositati in questa sede di gravame di cui occorra tener conto ai fini della decisione. - 3.2. Con il primo motivo di impugnazione l'appellante testualmente deduce che "il contratto con cui la società Di. ha acquistato le azioni della Ba.Po. è affetto da nullità ex art. 1418 o in via subordinata è annullabile ex art. 1394 e ex art. 1395 c.c." A sostegno di questo motivo - riportato il passo motivazionale della impugnata sentenza, secondo cui non era ravvisabile violazione degli obblighi informativi da parte della Banca, atteso che le azioni risultavano essere state sottoscritte al momento della costituzione della Banca e in quello del successivo aumento di capitale - l'appellante deduce che "tali affermazioni sono assolutamente prive di fondamento e frutto di una errata valutazione da parte del primo giudice", atteso che essa non aveva mai sottoscritto le azioni in sede di costituzione, ovvero non aveva "mai avuto coscienza" di averlo fatto, e ciò proprio per il difetto della dovuta informazione da parte della Banca, come aveva sempre fatto valere nel corso del giudizio di primo grado, in specie nei verbali seguiti alla tardiva costituzione della convenuta, nonchè nel corso delle operazioni peritali e in sede di comparsa conclusionale. A dimostrazione del suo assunto, l'appellante argomenta che sarebbe "ridicolo" il solo pensare che il suo legale rappresentante, senza alcuna conoscenza specifica circa la materia bancaria, avesse deciso improvvisamente, in mancanza di alcuna indicazione o intermediazione, di sottoscrivere ben 270 azioni per l'importo di Euro 135.000,00, divenendo così socio della Ba.Po.. Ha aggiunto che "tale prassi comportamentale" sarebbe tipica delle cooperative bancarie le quali sostengono l'assunto per cui il socio, che non è cliente, possa essere oggetto di un diverso trattamento, e che era stato indotto alla sottoscrizione nella prospettiva di potere beneficiare di un trattamento favorevole. Nel caso de quo l'acquisto delle n. 270 azioni, per un importo complessivo di Euro 135.000,00, era avvenuto presso la sede della Ba.Po. di N., senza nessuna chiara spiegazione circa la reale natura del contratto, prospettato come "mero investimento necessario ad assicurare alla società Di. srl una solida affidabilità presso la Banca creditrice al fine della concessione di un affidamento bancario". Tale condotta appariva dunque palesemente illegittima per palese conflitto di interesse e mancata informazione nei confronti del cliente. Nel modulo di adesione, depositato dalla Banca, mancava del tutto, in contrasto con la disciplina di legge, l'evidenziamento grafico del conflitto di interessi, per cui, ai sensi dell'artt. 1394 e 1395 c.c., il contratto era in ogni caso annullabile su sua istanza. In conseguenza, in relazione ai dedotti profili, certamente vi era stata responsabilità della Banca e i danni procurateli erano dimostrati dalle successive vicende, vale a dire che - con verbale assembleare del 30 novembre 2015, rep. n. (...) - era stata deliberata la trasformazione del tipo sociale da Società Cooperativa per Azioni in Società per Azioni, con la modifica della denominazione in "Società R.S. S.p.A.", fermo restando il diritto di recesso dei soci che non avessero consentito alla trasformazione ex artt. 2437 e segg. c.c.. Orbene, pur non essendole stata inviata alcuna informazione circa l'avvenuta trasformazione in S.p.A. e il suo diritto di recesso, essa aveva ricevuto un documento di sintesi attestante la situazione portafogli titoli dal 30.06.2015 al 31.12.2015, da cui era dato evincere che, rimanendo invariato il numero delle azioni pari a 270 unità di cui è essa era titolare, il controvalore di tali titoli era sceso da Euro 132.300,00, alla data del 30.06.2015, ad Euro 78.111,00, alla data del 31.12.2015. Sulla base di tali considerazioni, l'appellante chiede che la Corte voglia "riformare integralmente la sentenza impugnata e per l'effetto DICHIARARE la nullità ex art. 1418 o in via subordinata l'annullabilità ex art. 1394 e ex art. 1395 c.c del contratto con cui la società Di. srl ha acquistato le azioni della Ba.Po. SCPA oggi Ba.Re. SpA, e per l'effetto ordinare alla banca convenuta l'immediata restituzione della somma di Euro 135.000,00 versata per l'acquisto delle azioni, maggiorata degli interessi legali e rivalutazione monetaria dal 2003 alla data del soddisfo". Il motivo non può trovare accoglimento perché preliminarmente inammissibile. L'appellate - senza alcuna specifica critica alla motivazione del primo giudice - insiste sull'applicabilità di norme relative alla disciplina delle informative dovute con riguardo ad una intervenuta sottoscrizione di titoli, che il suo legale rappresentante, in epoca neppure precisata, avrebbe effettuato in stato di inconsapevolezza su suggerimenti di personale della Banca, circostanze delle quali non ha fornito alcuna prova. E invero l'appellante non censura la motivazione del Tribunale nella parte in cui statuisce che, in difetto di prova dell'effettiva prestazione da parte della Banca convenuta di servizi di investimento - prova che in virtù dei principi generali ricadeva senza dubbio sulla società attrice - non poteva ritenersi sussistente alcuna violazione degli obblighi informativi, e che, comunque, non sarebbe stato applicabile l'istituto della nullità ai contratti posti in essere dall'intermediario finanziario in violazione degli obblighi di informazione, alla luce della richiamata la giurisprudenza della Suprema Corte, costante nell'affermare che la violazione di tali obblighi non determina invalidità del contratto, ma "può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguenze risarcitorie, ove dette violazioni avvengano nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti (cd. "contratto quadro", il quale, per taluni aspetti, può essere accostato alla figura del mandato); può dar luogo, invece, a responsabilità contrattuale, ed eventualmente condurre alla risoluzione del contratto suddetto, ovesi tratti di violazioni riguardanti le operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del "contratto quadro"", in ogni caso, dovendo "escludersi che, mancando una esplicita previsione normativa, la violazione dei menzionati doveri di comportamento possa determinare, a norma dell'art. 1418, primo comma, cod. civ., la nullità del cosiddetto "contratto quadro" o dei singoli atti negoziali posti in essere in base ad esso" (si veda, la giurisprudenza, a partire da Cass. S.U. Sentenza n. 26724 del 19/12/2007, fino alla recentissima Sez. 1, Ordinanza n. 24648 del 16/08/2023). Analogamente non censura la decisione del primo giudice nella parte in cui statuisce che non sussiste alcuna prova in atti della dedotta coartazione della volontà della società Di., al fine di indurre quest'ultima a sottoscrivere le azioni della Ba.Po., né sussistono i presupposti per l'applicabilità degli artt. 1394 e 1394 c.c. - relativi, rispettivamente, al contratto concluso dal rappresentate in conflitto di interessi con il rappresentato e al contratto che il rappresentante conclude con se stesso - non essendovi nel caso di specie, attività di intermediazione e di negoziazione da parte della Banca. Quanto alla dedotta responsabilità della Banca per i danni patiti a causa della diminuzione del controvalore delle azioni sottoscritte, si evidenzia che si tratta di doglianza sollevata dalla società Di. per la prima volta in grado di appello e, pertanto, inammissibile. - 3.3. Con il secondo motivo di gravame l'appellante lamenta che " i rapporti di credito intrattenuti dalla banca con il cliente sono stati trattati con tassi usurari sia in promessa che in concreto e pertanto si applica, in sede civile, il secondo comma dell'art. 1815 del codice c.c. "se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi".", precisando che nella consulenza tecnica d'ufficio, recepita dalla sentenza impugnata, non era stato tenuto conto dell'incidenza dell'anatocismo nel calcolo del taeg. Censura la sentenza del primo giudice nella parte in cui ha affermato di essere nell'impossibilità di valutare la documentazione allegata all'atto di citazione, perché, al ritiro della produzione, non era seguito il nuovo deposito, sicché non era possibile valutare compiutamente le contestazioni relative alla capitalizzazione trimestrale degli interessi, all'usura ed al difetto di forma scritta degli interessi; nonché nella parte in cui ha statuito che la parte attrice non ha richiesto l'esibizione dei contratti ai sensi dell'art. 210 c.p.c., sostenendo che tale ultima affermazione era stata fatta senza considerare che la Banca convenuta, dichiarata contumace, si era costituita in giudizio solo al termine della fase istruttoria, non prendendo neanche parte alle operazioni peritali, per cui nessuna richiesta poteva essere proposta nei suoi confronti ex art. 210 c.p.c.. Evidenzia che la giurisprudenza della Suprema Corte era sì consolidata nell'affermare che il correntista attore doveva produrre in giudizio il contratto, le cui pattuizioni intendeva contestare, ma, non nell'ipotesi, come quella in esame, in cui fosse stata dedotta la mancata stipulazione di un contratto scritto. In tal caso, infatti, secondo l'appellante, l'onere di produzione dei contratti non poteva che gravare sulla Banca, che avesse percepito interessi ultralegali, commissioni, spese e simili; in altri termini, in tal caso, il correntista assumeva l'inadempimento della Banca (mancanza del contratto in forma scritta), che era dunque onerata dell'obbligo di provare il proprio adempimento producendo copia dei contratti. In particolare l'appellante fa riferimento ai contratti relativi al c/c n. (...) del 5/11/2001 ed al c/c n. (...) del 24/1/2002, deducendo che gli stessi non risultavano stipulati in forma scritta. Le doglianze dell'appellante sono infondate. Soltanto in grado di appello la difesa della Di. lamenta che i contratti di conto corrente n. (...) del 5/11/2001 /c n. (...) del 24/1/2002 non sono mai stati stipulati per iscritto, circostanza che, ove fosse fondata, escluderebbe eventuali "pattuizioni" usurarie ab origine, stante la nullità dei contratti in questione, nullità che, per pacifica giurisprudenza di legittimità, può essere fatta valere anche per la prima volta in appello. La Corte osserva, però, che la dedotta mancanza di forma scritta dei contratti oggetto di causa contrasta con quanto prospettato in primo grado dalla stessa società Di.. E invero la società Di., in primo grado, ha formulato le proprie doglianze sul presupposto implicito che i contratti erano stati stipulati in forma scritta, facendo valere soltanto che in essi erano pattuiti interessi usurai e che, per talune clausole dei contratti di credito, non vi era valida previsione scritta della misura degli interessi. Significativa, peraltro, sul punto è la circostanza che nell'atto di citazione la società di B. elenca analiticamente le condizioni previste dai contratti di cui è causa, evidenziando i tassi di interesse ivi previsti (cfr. parg. 1 lett. B nel quale è riportato quanto esposto dalla società attrice nell'atto di citazione). In conseguenza all'attrice spettava, come ritenuto dal Tribunale, l'onere di produzione dei contratti, a sostegno della mancanza di una valida pattuizione scritta degli interessi, in base al principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità in forza del quale "nei rapporti di conto corrente bancario, il cliente che agisca per ottenere la restituzione delle somme indebitamente versate in presenza di clausole nulle ha l'onere di provare l'inesistenza della causa giustificativa dei pagamenti effettuati mediante la produzione del contratto che contiene siffatte clausole, senza poter invocare il principio di vicinanza della prova al fine di spostare detto onere in capo alla banca, tenuto conto che tale principio non trova applicazione quando ciascuna delle parti, almeno di regola, acquisisce la disponibilità del documento" (cfr. Cass. n. 33009/19). Inoltre, non vi sono ragioni per ritenere che la contumacia iniziale del convenuto impedisse alla parte attrice di richiedere al giudice l'emissione di un ordine di esibizione dei contratti, ove non più in suo possesso, ex art. 210 c.p.c.. Ciò posto, se, diversamente, si dovesse tener conto della doglianza, sollevata solo in grado di appello dalla Di., in ordine alla mancanza di forma scritta dei contratti di cui al c/c n. (...) del 5/11/2001 ed al c/c n. (...) del 24/1/2002, non potrebbe prescindersi dall'esame di tali contratti prodotti dalla Banca in sede di gravame, da cui risulta la sottoscrizione da parte del legale rappresentante della Di. e le date certe del 5.11.2001 e del 24.1.2002, come da timbri postali apposti, con espressa indicazione degli interessi passivi e attivi e della capitalizzazione trimestrale degli stessi, a condizione di reciprocità. Quanto alla doglianza relativa alla pattuizione di interessi usurari, il primo giudice ha disposto consulenza tecnica anche al fine di verificare se fossero stati applicati interessi usurari. La suddetta consulenza tecnica, le cui risultanze - essendo essa coerente e priva di vizi logici - vanno pienamente condivise, ha escluso l'usurarietà degli interessi applicati ai rapporti di conto oggetto di causa, sia ab origine che in corso di rapporto, come già evidenziato dal primo giudice. Essa, inoltre, nel considerare il costo effettivo del credito ai fini della verifica dell'eventuale superamento del tasso soglia, ha tenuto conto di tutti gli interessi, anche di quelli frutto di capitalizzazione trimestrale, come si evince dagli allegati alla ctu a pag. 18 per il conto (...), a pag. 24 per il conto (...), a pag. 56 per il conto (...) e a pag. 124 per il conto (...). - 3.4. L'appellante lamenta, infine, che gli interessi maturati sui conti di credito producevano a loro volta interessi, essendo stati girocontati sul conto corrente (...), in violazione del divieto di anatocismo. La doglianza è in parte inammissibile e in parte infondata. E invero l'appellante non censura preliminarmente la statuizione del primo giudice che ha ritenuto conforme alla Del.CICR del 9 febbraio 2000, e, quindi, validamente pattuita, la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi con riguardo a tutti i rapporti di conto, sul presupposto che vi era una espressa pattuizione degli stessi, a condizione di reciprocità. Inoltre non allega che non vi fosse nessun accordo contrattuale in ordine al fatto che gli interessi passivi maturati sui conti nn. (...), (...) e (...) dovessero essere regolati sul conto corrente n. (...) e che, quindi, il giroconto dei suddetti interessi passivi fosse stato effettuato in forza di un'iniziativa unilaterale della banca. - 4. Nella formulazione delle conclusioni dell'atto di appello la società Di. ha chiesto, in via subordinata, di compensare le spese di lite del giudizio di primo e secondo grado e del giudizio cautelare in corso di causa, considerata la difficoltà della materia e l'evolversi legislativo della materia del contendere. Ravvisando in tale richiesta subordinata un motivo di appello avverso il capo della gravata sentenza che ha provveduto sulle spese di giudizio, se ne deve rilevare l'infondatezza, atteso che né l'una né l'altra circostanza, genericamente indicate, valgono ad integrare le gravi ed eccezionali ragioni di cui all'art. 92, 2 comma, c.p.c., idonee a derogare al principio che impone di regolare le spese secondo soccombenza. L'inammissibilità e l'infondatezza dei motivi di gravame ne comportano il rigetto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Sussistono i presupposti di cui all'art.13, co. 1 quater del D.P.R. 30 maggio 2012, n. 115, per il versamento, con riferimento alla parte appellante, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. La Corte d'Appello di Napoli, definitivamente pronunciando, così provvede: - rigetta l'appello; - condanna Di. S.r.l. al pagamento delle spese processuali del presente grado di giudizio a favore della Ba.Re. S.p.A., spese che si liquidano in Euro 11.000,00 per compensi, oltre rimborso spese generali al 15%, iva e cpa; - dà atto che sussistono i presupposti di cui all'art.13, comma 1 quater del D.P.R. 30 maggio 2012, n. 115, per il versamento, con riferimento alla parte appellante, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. Così deciso in Napoli il 13 dicembre 2023. Depositata in Cancelleria il 12 gennaio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE DI APPELLO DI ANCONA I SEZIONE PER LE CONTROVERSIE CIVILI Composta dai seguenti magistrati: dr. Annalisa Gianfelice - Presidente dr. Paola De Nisco - Consigliere rel. dr. Vito Savino - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa in grado di appello iscritta al n. 179/2021 del ruolo generale e promossa DA Ti.Ro., nato a M. il (...) (c.f. (...)), Ti.Lu., nato a M. il (...) (c.f. (...)), e s.r.l. Ti., in persona del legale rappresentante pro tempore (c.f./p.i. (...)), elettivamente domiciliati in Ancona via (...), presso lo studio dell'avv. Fr.Ma., che li rappresenta e difende come da mandato a margine allegato alla comparsa di costituzione di nuovo difensore; - appellante- CONTRO Ba.Na. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore (c.f./p.i. (...)), elettivamente domiciliata in Perugia, Piazza (...) presso lo studio dell'avv. An.Co., che la rappresenta e difende per scrittura privata autenticata dal Notaio Dott. Ma.Li. di R. in data (...) - rep. n. (...) allegato alla comparsa di costituzione e risposta; - appellato- OGGETTO Appello avverso la sentenza n. 763 del 18-19/9/2020 pronunciata dal Tribunale di Macerata RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Macerata in parziale accoglimento delle domande avanzate dalla s.r.l. Ti., quale debitrice principale, e da Ti.Ro. e Lu., quali garanti, ha dichiarato la nullità della clausola anatocistica di cui all'art. 7 del contratto di conto corrente di corrispondenza n. (...) del 1989, con conseguente accertamento di non debenza delle somme addebitate a tale titolo fino al 30/6/2000, rigettando per il resto. Gli attori hanno proposto appello, articolando i seguenti motivi: 1) erroneità della decisione di rigetto delle domande relative ai conti anticipi SBF (...), (...), (...) e (...) e dei contratti di mutuo collegati al contratto Interest Rate Swap per la violazione dell'art. 2697 c.c. e per la non corretta valutazione delle risultanze della CTU disposta in primo grado; 2) omessa pronuncia in relazione alla richiesta di emissione di ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c.; 3) erroneità del capo di sentenza di rigettato dell'eccezione di usurarietà dei tassi di interesse, a fronte degli accertamenti compiuti dal nominato CTU in particolare con riferimento alla terza ipotesi di ricalcolo; 4) erroneità della decisione nella parte in cui ha accertato da debenza di interessi anatocistici per il periodo successivo al 30/6/2000 pur in assenza di specifica pattuizione scritta e non ha comunque quantificato l'importo illegittimamente addebitato a tale titolo; 5) erroneità della decisione per avere il primo giudice pronunciato sentenza di mero accertamento e non di condanna alla restituzione delle somme illegittimamente addebitate; 6) erroneità della decisione nella parte in cui ha rigettato l'eccezione di nullità delle CMS illegittimamente addebitate; 7) erroneità del capo di sentenza che ha rigettato l'eccezione di nullità/annullabilità del contratto Interest Rate Swap; 8) omessa pronuncia o comunque erroneità del rigetto implicito della domanda di liberazione dal vincolo dei fideiussori e di condanna della Banca al risarcimento dei danni contrattuali ed extracontrattuali subiti dalla società correntista. Hanno quindi concluso come in epigrafe. La B. s.p.a. ha resistito al gravame, chiedendone il rigetto e concludendo come in epigrafe. I primi due motivi di impugnazione, da esaminare congiuntamente stante la loro intima connessione, non appaiono fondati. Innanzitutto gli appellanti, sul presupposto di avere fornito prova della esistenza dei rapporti contrattuali dedotti in giudizio mediante la produzione dei relativi estratti conto, affermano che era onere della Banca fornire la prova scritta della valida statuizione delle condizioni contrattuali applicate in forza del principio della vicinanza della prova. A riguardo occorre precisare che la società correntista ed i suoi garanti non hanno mai allegato, neanche in questa sede, la mancata pattuizione per iscritto delle clausole oggetto di contestazione, sicché non appare applicabile al caso di specie la precisazione in punto di distribuzione dell'onere probatorio operata dalla Suprema Corte con sentenza n. 6480 del 9/3/2021, allorché afferma che il criterio generale di distribuzione dell'onere probatorio "si presta ad essere diversamente modulato con riferimento a due particolari ipotesi, entrambe collegate a un'allegazione attorea circa laconclusione del contratto verbis tantum o per fatti concludenti. E' possibile che quest'ultima allegazione sia incontroversa tra le parti, e allora il giudice deve dare senz'altro atto dell'integrale nullità del negozio e, quindi, anche dell'assenza di clausole che giustifichino l'applicazione degli interessi ultralegali e della commissione di massimo scoperto. Ma è possibile, pure, che la domanda basata sul mancato perfezionamento del contratto nella forma scritta sia contrastata dalla banca (che quindi sostenga la valida conclusione, in quella forma, del negozio): e in tale seconda ipotesi non può gravarsi il correntista, attore in giudizio, della prova negativa della documentazione dell'accordo, incombendo semmai alla banca convenuta di darne positivo riscontro". Deve quindi ribadirsi anche in questa sede il principio di diritto già affermato dal primo giudice con conseguente affermazione dell'onere per il correntista "che agisca per ottenere la restituzione delle somme indebitamente versate in presenza di clausole nulle, ... di provare l'inesistenza della causa giustificativa dei pagamenti effettuati mediante la produzione del contratto che contiene siffatte clausole, senza poter invocare il principio di vicinanza della prova al fine di spostare detto onere in capo alla banca, tenuto conto che tale principio non trova applicazione quando ciascuna delle parti, almeno di regola, acquisisce la disponibilità del documento al momento della sua sottoscrizione" (cfr. Cass. n. 33009 del 13/12/2019; n. 6480 del 9/3/2021). Inoltre costituisce giurisprudenza pacifica quella per cui "l'onere della prova gravante, a norma dell'art. 2697 c.c. su chi intende far valere in giudizio un diritto, ovvero su chi eccepisce la modifica o l'estinzione del diritto da altri vantato, non subisce deroga neanche quando abbia ad oggetto fatti negativi, in quanto la negatività dei fatti oggetto della prova non esclude né inverte il relativo onere, gravando esso pur sempre sulla parte che fa valere il diritto di cui il fatto, pur se negativo, ha carattere costitutivo; tuttavia, in tal caso, la relativa prova può essere data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario, od anche mediante presunzione dalle quali possa desumersi il fatto negativo" (cfr. per tutte Cass. ord. n. 9201 del 7/5/2015). Né l'onere probatorio può ritenersi assolto attraverso la produzione dei soli estratti conto, attesa la necessità, in relazione alla domanda, dell'esame delle condizioni contrattuali indispensabili per accertare l'eccepita nullità delle clausole. La Suprema Corte ha infatti ha espressamente affermato che "con particolare riferimento alla situazione in cui l'illiceità della annotazione è fatta discendere dall'applicazione di clausole contrattuali ritenute nulle, il correntista è tenuto a produrre in giudizio il relativo contratto, onde consentire l'apprezzamento della dedotta causa di invalidità, nonché i relativi estratti conto - o altri strumenti rappresentativi delle contestate movimentazioni - atteso che solo attraverso tali documenti è possibile accertare il carattere indebito dell'annotazione" (cfr. Cass. ord. n. 36585 del 14/12/2022). Ancora il mancato assolvimento dell'onere probatorio non può ritenersi assolto in relazione ai capi di domanda rigettati in primo grado neanche facendo richiamo alle risultanze della CTU disposta in primo grado, atteso che solo la produzione in giudizio dei documenti contrattuali consente di accertare la validità delle clausole denunciate in questa sede. La Suprema Corte infatti ha precisato che nell'ipotesi di mancata produzione del testo contrattuale non possono essere espunti gli addebiti effettuati a titolo di interessi ultralegali e commissione di massimo scoperto, "giacché gli uni e gli altri non sono vietati in senso assoluto, potendo essere convenuti contrattualmente, ma devono esserlo per iscritto, a pena di nullità, a mente degli artt. 3 e 4 L. n. 154 del 1992 e 117 t.u.b., oltre che in base alla disposizione di cui all'art. 1284, comma 3, c.c., applicabile agli interessi ultralegali nel periodo anteriore alla vigenza della disciplina introdotta dalle citate norme della legge sulla trasparenza bancaria e del testo unico bancario" (cfr. Cass. ord. 6480/2021 cit). Il mancato assolvimento dell'onere probatorio posto a carico degli appellanti non può infine essere superato neanche con la richiesta di esibizione ex art. 210 c.p.c. reiterata in questa sede. Anche a voler prescindere dal pur fondato rilievo dell'appellata Banca che gli appellanti risultano decaduti dalla richiesta probatoria, non avendola reiterata in sede di precisazione delle conclusioni di primo grado a fronte dell'espletamento della disposta CTU contabile (la condotta degli appellanti, i quali hanno aderito alla ricostruzione contabile svolta dal consulente d'ufficio conforme alla propria prospettazione in punto di diritto -qui invocata anche a sostegno dell'appello-, consente di ritenere che nella specie la mancata reiterazione dell'istanza di esibizione integri una ipotesi di rinuncia alla stessa in conformità ai principi di diritto affermati dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 10767 del 04/04/2022), occorre infatti rilevare che costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello per cui "L'ordine di esibizione, subordinato alle molteplici condizioni di ammissibilità di cui agli artt. 118, 119 c.p.c. e 94 disp. att. c.p.c., costituisce uno strumento istruttorio residuale, che può essere utilizzato soltanto in caso di impossibilità di acquisire la prova dei fatti con altri mezzi e non per supplire al mancato assolvimento dell'onere probatorio a carico dell'istante e che è espressione di una facoltà discrezionale rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, il cui mancato esercizio non può, quindi, formare oggetto di ricorso per cassazione, per violazione di norma di diritto" (cfr. Cass. ord. 31251 del 3/11/2021) ed ancora che "In tema di poteri istruttori del giudice, l'emanazione di ordine di esibizione è discrezionale e la valutazione di indispensabilità non deve essere neppure esplicitata; ne consegue che il relativo esercizio è svincolato da ogni onere di motivazione e il provvedimento di rigetto dell'istanza non è sindacabile in sede di legittimità, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione, trattandosi di strumento istruttorio residuale, utilizzabile soltanto quando la prova dei fatti non possa in alcun modo essere acquisita con altri mezzi e l'iniziativa della parte istante non abbia finalità esplorativa" (cfr. per tutte Cass. ord. 27412 del 8/10/2021). La natura residuale dello strumento istruttorio di cui all'art. 210 c.p.c., affermata in via univoca e consolidata nella giurisprudenza nomofilattica, porta questa Corte a condividere l'orientamento di recente espresso dalla Suprema Corte per cui "Il diritto spettante al cliente, a colui che gli succede a qualunque titolo o che subentra nell'amministrazione dei suoi beni, ad ottenere, a proprie spese, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni, ivi compresi gli estratti conto, sancito dall'articolo 119, comma 4, D.Lgs. n. 385 del 1993, può essere esercitato in sede giudiziale attraverso l'istanza di cui all'articolo 210 c.p.c., in concorso deipresupposti previsti da tale disposizione, a condizione che detta documentazione sia stata precedentemente richiesta alla banca e quest'ultima, senza giustificazione, non abbia ottemperato" (cfr. Cass. sent. 24641 del 13/9/2021; idem ord. n. 23861 del 01/08/2022 n. 9082 del 31/03/2023) Orbene, nel caso di specie non è stata fornita alcuna prova dagli appellanti di avere proceduto a fare richiesta dei contratti qui non prodotti. Non meritevole di accoglimento è anche il terzo motivo di impugnazione, con il quale gli appellanti lamentano il mancato accoglimento dell'eccezione di usurarietà degli interessi applicati. In particolare gli stessi invocano le conclusioni rassegnate dal nominato consulente d'ufficio nella terza ipotesi di calcolo (T.) in quanto (diversamente dalle altre due ipotesi) inserisce nella formula di calcolo la CMS. L'assunto non è condivisibile. Le Sezioni Unite della Suprema Corte (cfr. sent. n. 16303 del 20/06/2018), nel superare il contrasto intervenuto tra le Sezioni penali (che ai fini dell'accertamento del reato di usura inserivano la CMS nel calcolo del TEG "in quanto costo indiscutibilmente collegato all'erogazione del credito" -cfr. per tutte Cass. Pen. Sent. n. 46669 del 23/11/2011) e civili (le quali invece ritenevano che "In tema di contratti bancari, l'art. 2-bis, comma 2, del D.L. n. 185 del 2008 (convertito dalla L. n. 2 del 2009), che attribuisce rilevanza, ai fini dell'applicazione dell'art. 1815 c.c., dell'art. 644 c.p. e degli artt. 2 e 3 della L. n. 108 del 1996, agli interessi, alle commissioni e alle provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall'effettiva durata dell'uso dei fondi da parte del cliente, non ha carattere interpretativo ma innovativo, e non trova pertanto applicazione ai rapporti esauritisi in data anteriore all'entrata in vigore della legge di conversione, con la conseguenza che, in riferimento a tali rapporti, la determinazione del tasso effettivo globale, ai fini della valutazione del carattere usurario degli interessi applicati, deve aver luogo senza tener conto della commissione di massimo scoperto" -cfr. per tutte Cass. n. 22270 del 03/11/2016), hanno infatti aderito alla posizione di queste ultime, escludendo il carattere interpretativo (e quindi retroattivo) della disposizione di cui all'art. 2 D.L. n. 185 del 2008, ed hanno affermato il principio di diritto per cui "In tema di contratti bancari, l'art. 2 bis del D.L. n. 185 del 2008, inserito dalla L. di conversione n. 2 del 2009, in forza del quale, a partire dal 1 gennaio 2010, la commissione di massimo scoperto (CMS) entra nel calcolo del tasso effettivo globale medio (TEGM) rilevato dai decreti ministeriali emanati ai sensi dell'art. 2, comma 1, della L. n. 108 del 1996, ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell'usura presunta, non è norma di interpretazione autentica dell'art. 644, comma 4, c.p., ma disposizione con portata innovativa dell'ordinamento, intervenuta a modificare - per il futuro - la complessa normativa, anche regolamentare, tesa a stabilire il limite oltre il quale gli interessi sono presuntivamente sempre usurari, come si evince sia dall'espressa previsione, al comma 2 del detto art. 2 bis, di una disciplina transitoria da emanarsi in sede amministrativa (in attesa della quale i criteri di determinazione del tasso soglia restano regolati dalla disciplina vigente alla data di entrata in vigore della ridetta disposizione), sia dalla norma contenuta nel comma 3 del ridetto art. 2 bis (poi abrogato dall'art. 27 del D.L. n. 1 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 27 del 2012), a tenore della quale "i contratti in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto sono adeguati alle disposizioni del presente articolo entro centocinquanta giorni dalla medesima data". Le Sezioni Unite hanno anche precisato che non è censurabile l'esclusione della CMS dai DDMM emanati in data anteriore all'entrata in vigore del citato art. 2 bis, in quanto tali decreti prevedevano comunque un rilievo della CMS, sebbene escludendola dal calcolo del TEG. Tale rilievo infatti consentirebbe una comparazione precisa, sebbene più complessa, ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell'usura, richiedendo da un lato la comparazione del valore assoluto delle competenze previste dai DDMM e valore assoluto corrispondente al tasso soglia calcolato sul TEGM, con individuazione del margine (differenza negativa o positiva dei due dati), e comparazione tra la CMS concretamente applicata e quella corrispondente alla soglia vigente nel trimestre. All'esito di dette comparazioni occorre compensare l'importo dell'eventuale eccedenza rispetto alla soglia della CMS con il margine degli interessi eventualmente residuato. Sussisterebbe una ipotesi di usura solo laddove, a seguito della compensazione delle due poste, dovesse sussistere un importo residuale. Detti principi sono stati da ultimo ribaditi dalla Suprema Corte con ordinanza n. 35190 del 16/11/2022. Pertanto, poiché gli appellanti si sono limitati ad affermare la necessità di includere la CMS nel calcolo del TEG senza svolgere altra ragionata osservazione alle risultanze della CTU, la censura in esame (non accompagnata da specifiche deduzioni ed argomentazioni volte a dimostrare l'incapienza, nel caso concreto, del margine di compensazione fra interessi e commissione di massimo scoperto riconosciuto dalla giurisprudenza, da cui dipende il superamento della soglia in conformità ai principi di diritto sopra richiamati) è non solo infondata, ma anche inammissibile per difetto di specificità. Meritevole di accoglimento è invece il quarto motivo di appello, teso a censurare il capo di sentenza con il quale il primo giudice ha dichiarato la legittimità dell'anatocismo bancario degli interessi passivi operata dalla Banca per il periodo successivo al 30/6/2000, pur in assenza di specifiche pattuizioni a riguardo, per essersi la stessa conformata alle prescrizioni imposte dalla CICR 9/2/2000. Solo succintamente appare opportuno ripercorrere brevemente la disciplina dell'istituto dell'anatocismo nel nostro ordinamento. L'art. 1283 c.c. prevede espressamente che "In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi". Fino alla pronuncia sentenza n. 2374/99 della Cassazione a Sezioni Unite in relazione alle condizioni contrattuali praticate dagli istituti bancari alla loro clientela si è sempre ritenuto che le norme bancarie uniformi integrassero il rango di uso contrario evocato dall'art. 1283 c.c., sicché i medesimi istituti bancari sono sempre stati considerati legittimati a praticare la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, anche in deroga all'art. 1283 c.c. attesa la periodicità inferiore ai sei mesi previsti quale termine minimo. La citata sentenza ha sancito che la normativa interna bancaria, disciplinante le condizioni contrattuali aventi ad oggetto anche gli interessi anatocistici trimestrali, sia da considerarsi esclusivamente alla stregua di uso meramente negoziale, in quanto carenti dei requisiti propri degli usi normativi. Il che ha comportato l'inevitabile declaratoria di nullità delle clausole aventi ad oggetto gli interessi anatocistici trimestrali siccome contrarie al precetto di cui all'art. 1283 c.c.. Principio questo ormai ritenuto pacifico ed univocamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità e di merito. A seguito di tale pronuncia il legislatore ha delegato al C.I.C.R. (Comitato Interministeriale Credito e Risparmio) il compito di stabilire le regole per la produzione degli interessi anatocistici trimestrali nell'esercizio dell'attività bancaria e tale organo vi ha provveduto con Delib. del 9 febbraio 2000. Per quanto qui interessa, all'art. 7 la suddetta delibera ha regolamentato la procedura prevista, per ogni istituto bancario, per adeguare le condizioni contrattuali aventi ad oggetto gli interessi anatocistici trimestrali stipulate anteriormente all'entrata in vigore della delibera medesima. Il secondo comma dell'art. 118 TUB a sua volta ha previsto che "Qualunque modifica unilaterale delle condizioni contrattuali deve essere comunicata espressamente al cliente secondo modalità contenenti in modo evidenziato la formula: "Proposta di modifica unilaterale del contratto", con preavviso minimo di due mesi, in forma scritta o mediante altro supporto durevole preventivamente accettato dal cliente. Nei rapporti al portatore la comunicazione è effettuata secondo le modalità stabilite dal CICR. La modifica si intende approvata ove il cliente non receda, senza spese, dal contratto entro la data prevista per la sua applicazione. In tale caso, in sede di liquidazione del rapporto, il cliente ha diritto all'applicazione delle condizioni precedentemente praticate". E' quindi sorta la questione se la clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi a condizione di reciprocità avesse o meno valenza peggiorativa e quindi se, avendo essa banca provveduto a darne pubblicità nelle forme previste dalla Del.CICR 2 settembre 2000, detta clausola avrebbe potuto essere applicata non essendo necessaria la forma scritta imposta dal terzo comma dell'art. 118 TUB. La Suprema Corte sul punto (cfr. Cass. ord. n. 7105 del 12/3/2020) ha ritenuto che "la sostituzione della reciproca capitalizzazione trimestrale degli interessi attivi e passivi all'assenza di capitalizzazione per effetto della declaratoria di nullità della clausola contrattuale anatocistica, rende evidente che vi sia stato un peggioramento delle condizioni contrattuali precedentemente applicate al conto corrente per cui è causa, sicché, proprio in applicazione dell'art. 7, comma 3 della delibera CICR (per cui "nel caso in cui le nuove condizioni contrattuali comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, esse devono essere approvate dalla clientela") sarebbe stato necessario nella fattispecie in esame un nuovo accordo espresso tra le parti, non essendo ammissibile un adeguamento unilaterale." Ed ancora sempre la Corte di Cassazione con la pronuncia n. 267779/2019, ha affermato "che è inappropriato spacciare per miglioramento il passaggio al regime della trimestralizzazione per tutti gli interessi, giacché il raffronto deve essere effettuato tra l'assenza di capitalizzazione degli interessi debitori, quale conseguenza della nullità della clausola e la loro capitalizzazione trimestrale a seguito dell'intervento del CICR 2000" Sul punto specifico, anche codesta Corte, con orientamento consolidato formulato per la prima volta con sentenza 420/16, ha affermato che: "?l'art. 7 della Del.CICR 9 febbraio 2000, che ha dettato una regolamentazione dei rapporti bancari precedentemente costituiti, così dispone: 1) Le condizioni applicate sulla base dei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della presente delibera devono essere adeguate alle disposizioni in questa contenute entro il 30.6.00 e i relativi effetti si producono a decorrere dal successivo 1 luglio. 2) Qualora le nuove condizioni contrattuali non comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, le banche e gli intermediari finanziari, entro il medesimo termine del 30.6.00, possono provvedere all'adeguamento, in via generale, mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Di tali nuove condizioni deve essere fornita opportuna notizia per iscritto alla clientela alla prima occasione utile, e, comunque, entro il 30.12.00. 3) Nel caso in cui le nuove condizioni contrattuali comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, esse devono essere approvate dalla clientela. Orbene, escluso che per stabilire la natura migliorativa o meno delle condizioni del contratto sipossa far riferimento alla pregressa situazione fattuale (il calcolo dell'anatocismo trimestrale), è evidente che il termine di raffronto è il regolamento contrattuale nei limiti della rispondenza alla legge, vale a dire il difetto di ogni anatocismo. Ne consegue che la "nuova" previsione di un anatocismo (anche se con la condizione della reciprocità) costituisce un peggioramento delle condizioni contrattuali (stante la mancata previsione di un siffatto sistema di calcolo ed il rapporto negativo tra gli interessi passivi e quelli attivi) e dunque richiede l'intervento di un accordo tra le parti. che, nel caso, non risulta". A riguardo occorre inoltre rilevare che da ultimo è espressamente intervenuta anche la Corte di Cassazione con sentenza n. 17634 del 21/6/2021, statuendo che "nei contratti di conto corrente bancario stipulati in data anteriore all'entrata in vigore della Del.CICR 9 febbraio 2000 -come nel caso di specie, ndr-, la dichiarazione d'illegittimità costituzionale dell'art. 25 del D.Lgs. n. 342 del 1999, pronunciata dalla Corte costituzionale con sentenza n. 425 del 2000, pur non avendo interessato il secondo comma di tale disposizione, che costituisce il fondamento del potere esercitato dal CICR mediante l'adozione della predetta delibera, ha inciso indirettamente sulla disciplina transitoria dettata dall'art. 7 di tale provvedimento, in quanto, avendo fatto venir meno, per il passato, la sanatoria delle clausole che prevedevano la capitalizzazione degl'interessi, ha impedito di assumerle come termine di comparazione ai fini della valutazione dell'eventuale peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, in tal modo escludendo la possibilità di provvedere all'adeguamento delle predette clausole mediante la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, come consentito dal comma secondo dell'art. 7, e rendendo invece necessaria una nuova pattuizione (cfr. Cass., Sez. I, 19/05/2020, n. 9140; 21/10/2019, nn. 26769 e 26779). A sostegno di tali conclusioni, si è osservato che a) la pronuncia di incostituzionalità ha investito il solo tema della validazione delle clausole anatocistiche fino al momento in cui è divenuta operante la Delib. 9 febbraio 2000, ma non ha direttamente inciso sull'attribuzione al CICR del potere di regolamentare il transito dei vecchi contratti nel nuovo regime, b) la portata retroattiva della pronuncia d'incostituzionalità impone tuttavia di considerare nulle le clausole anatocistiche inserite in contratti conclusi prima dell'entrata in vigore della delibera CICR, c) la circostanza che la delibera sia stata adottata anteriormente alla pronuncia d'incostituzionalità non comporta che, ai fini del giudizio di comparazione previsto dal comma secondo dell'art. 7 della delibera, possa conferirsi rilievo all'applicazione di fatto delle predette clausole, prescindendo dall'invalidità delle stesse, d) la comparazione non deve avere ad oggetto le condizioni contrattuali nel loro complesso, ma solo la clausola anatocistica, da valutarsi in relazione al principio della pari periodicità nel conteggio degl'interessi, stabilito dall'art. 2, comma secondo, della delibera, e) in mancanza di una clausola valida che preveda, per almeno una delle due tipologie di interesse (attivo o passivo) una capitalizzazione da attuarsi con una data frequenza, è impossibile stabilire se il predetto criterio sia favorevole o sfavorevole per il correntista. Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto che l'invio al correntista degli estratti conto recanti l'indicazione dello adeguamento alla delibera CICR, pubblicato anche sulla Gazzetta Ufficiale, non risultasse sufficiente ad assicurare, neppure per il periodo successivo alla entrata in vigore del provvedimento, la validità della clausola che prevedeva la capitalizzazione degl'interessi, a tal fine occorrendo invece un'apposita convenzione scritta, al pari di quella richiesta per la stipulazione dei contratti soggetti alla nuova disciplina. In assenza di tale convenzione, deve escludersi l'applicabilità dell'art. 120 del D.Lgs. n. 385 del 1993, come modificato dall'art. 25 del D.Lgs. n. 342 del 1999, il quale non recava una compiuta regolamentazione delle clausole anatocistiche, ma ne demandava la fissazione al CICR, limitandosi a stabilire, quale principio ispiratore della disciplina da adottare, quello della pari periodicità nel conteggio degl'interessi debitori e creditori. Non può quindi operare, in riferimento a tale disposizione, il meccanismo di sostituzione automatica previsto dall'art. 1339 cod. civ., il quale non può trovare applicazione neppure in relazione alla disciplina introdotta dalla delibera CICR: l'impossibilità di procedere al giudizio comparativo richiesto dall'art. 7, comma secondo, di quest'ultima, se per un verso impediva il ricorso alle modalità semplificate contemplate da tale disposizione, per altro verso non esonerava la banca dall'obbligo, imposto dal comma primo, di provvedere all'adeguamento delle condizioni contrattuali nelle formepreviste dall'art. 6 della medesima delibera, la cui inosservanza comportava l'inefficacia della clausola anatocistica". Deve quindi essere dichiarata la non debenza degli addebiti effettuati a titolo di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi anche per il periodo successivo al 30/6/2000, quantificati dal CTU nominato in primo grado (cfr. pag. 5 e 21 della relazione) in complessivi Euro 27.338,52. Per ragioni di carattere sistematico deve a questo punto essere esaminato il sesto motivo di appello, con il quale si censura il capo di sentenza che ha rigettato l'eccezione di nullità della CMS. In punto di diritto questa Corte rileva che la CMS, intesa come remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione dei fondi a favore del correntista indipendentemente dall'effettivo prelevamento della somma, applicata fino all'entrata in vigore dell'art. 2 bis del D.L. n. 185 del 2008 (introdotto con la L. di conversione n. 2 del 2009) è in thesi legittima almeno fino al termine del periodo transitorio, fissato al 31/12/2009, posto che i DDMM che hanno rilevato il tasso effettivo globale medio (TEGM) -dal 1997 al dicembre 2009- sulla base delle istruzioni diramate dalla B.D. non ne hanno tenuto conto al fine di determinare il tasso soglia usurario. Con il citato intervento legislativo del 2009 si è dunque stabilito che : 1) è legittima la CMS sub specie sia di commissione di massimo scoperto che di messa a disposizione fondi; 2) devono essere inserite in contratto limitazioni ad entrambi gli oneri a tutela della clientela (sussistenza di un saldo a debito -su un conto affidato- per un periodo continuativo pari o superiore a trenta giorni); sono nulle le sole clausole contrattuali stipulate in violazione delle predette limitazioni; 4) la CMS (ovvero "commissioni comunque denominate che prevedono una remunerazione per la banca dipendente dall'effettiva durata di utilizzazione dei fondi da parte dei clienti") è rilevante dalla data di entrata in vigore della legge di conversione ai fini tanto dell'art. 1815 c.c. che dell'art. 644 c.p.. Può pertanto dirsi che la norma, pur omettendo ogni definizione più puntuale della CMS, abbia effettuato una ricognizione dell'esistente con l'effetto sostanziale di sancire definitivamente la legittimità dell'onere in esame e, per tale via, di sottrarla alle censure di legittimità sotto il profilo della mancanza di causa. I rilevi svolti hanno trovato conferma nella giurisprudenza sia di legittimità che di merito laddove si è sostenuto che detta commissione costituisce la remunerazione dell'istituto di credito per il costo sostenuto per la messa a disposizione di una certa somma in favore del correntista a prescindere dalla concreta utilizzazione, con conseguente indisponibilità per la banca della somma concessa (cfr. Cass. sent. n. 870 del 18/1/2006;n. 12997 del 15/05/2019). Successivamente, l'art. 6-bis del D.L. n. 201 del 2011 (disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici, convertito con modificazioni in L. n. 214 del 2011) ha introdotto nel TUB l'art. 117 bis rubricato "remunerazione degli affidamenti e degli sconfinamenti", l'art. 27 comma 4 del D.L. n. 1 del 2012 (disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, convertito con modificazioni in L. n. 27 del 2012) ha abrogato il primo ed il terzo comma dell'art. 2-bis del D.L. n. 185 del 2009 e, a seguire, l'art. 1 comma 1 del D.L. n. 29 del 2012 (disposizioni urgenti recanti integrazioni al D.L. n. 1 del 2012, convertito con modificazioni dalla L. 27, al D.Lgs. n. 385 del 1993 e alla L. n. 249 del 1997, convertito con modificazioni in L. n. 62 del 2012) ha novellato il testo del 117 bis TUB. Infine, in attuazione di quanto disposto dal quarto comma di tale ultima disposizione, è stato approvato il D.M. 30 giugno 2012, n. 644 (disciplina della remunerazione degli affidamenti e degli sconfinamenti in attuazione dell'art. 117 bis TUB), entrato in vigore l'1/7/2012. Nella formulazione dell'art. 117 bis TUB, attualmente vigente (a decorrere dal maggio 2012) al primo comma vengono tipizzate le commissioni di affidamento per l'apertura di credito in conto corrente, al secondo sono disciplinate le commissioni applicabili in caso di sconfinamento, mentre il terzo comma statuisce la nullità delle clausole che prevedono oneri diversi e non conformi a quelli previsti dai primi due commi. Il quarto comma, infine, attribuisce al CICR la competenza ad adottare disposizioni, anche di trasparenza, applicative dell'articolo e ad estendere il raggio di azione della norma a contratti ulteriori rispetto alle aperture di credito e conti correnti "per i quali si pongano esigenze di tutela del cliente". Conseguentemente, nel vigore della nuova disciplina, i contratti di apertura di credito possono prevedere, quali unici oneri per il cliente, da un lato, da un lato una commissione omnicomprensiva (inferiore allo 0,5% per trimestre) "calcolata in maniera proporzionale rispetto alla somma messa a disposizione del cliente e alla durata dell'affidamento, e (dall'altro ndr) un tasso di interesse debitore sulle somme prelevate". Secondo quanto previsto dall'art. 3, comma 2, lett. Il del D.M. 30 giugno 2012, n. 644 la commissione di affidamento si applica "sull'intera somma messa a disposizione del cliente in base al contratto" e, per il periodo in cui la stessa somma è messa a disposizione del cliente. In forza delle richiamate disposizioni, pertanto, oltre alla commissione di massimo affidamento non possono essere previsti ulteriori oneri in relazione alla messa a disposizione dei fondi né all'utilizzo dei medesimi, ivi inclusi per la commissione per l'istruttoria, le spese relative al conteggio degli interessi e ogni altro corrispettivo per attività che sono ad esclusivo servizio dell'affidamento; per gli sconfinamenti è ammessa invece soltanto la commissione istruttoria veloce, non eccedente i costi mediamente sostenuti dall'intermediario e definita sulla base di procedure interne adeguatamente formalizzate, che ne individuano i casi di applicazione. Tale disciplina applicabile dal 1/7/2012 è accompagnata dall'espressa comminatoria della nullità delle clausole che prevedano oneri diversi o non conformi rispetto a quanto stabilito (art. 117 bis comma 3 TUB), nonché dalla previsione dell'obbligo dell'adeguamento dei contratti in corso alla data della sua entrata in vigore ai sensi dell'art. 118 D.Lgs. n. 385 del 1993 (cfr. Cass. sent. 14689 del 6/6/2018). Nel caso di specie, nella stessa prospettazione degli appellanti tutti i conti dedotti in giudizio erano chiusi alla data del 31/12/2011 e quindi prima della entrata in vigore delle modifiche legislative qui appena richiamate ed in ogni caso il periodo dedotto in giudizio coincide con tale ultima data, con conseguente non applicabilità della normativa sopravvenuta. Ciò posto occorre rilevare che le clausole di previsione della CMS inserite nei contratti di conto corrente di corrispondenza n. (...) e nell'apertura di credito SBF n. (...) prodotte in giudizio si limitano a prevedere la percentuale della commissione da applicare e la sua periodicità, ma nulla invece dicono sul criterio di calcolo da applicare in concreto e cioè se essa vada calcolata sul picco massimo di utilizzo del fido nell'arco del trimestre (c.d. criterio assoluto) ovvero sull'importo massimo di utilizzo del fido di almeno dieci giorni, anche non consecutivi (c.d. criterio relativo) ovvero ancora sull'utilizzato nel trimestre per un periodo continuativo di almeno 10 giorni (c.d. criterio misto). Non è precisato neppure se la base di calcolo tenga conto dello sconfinamento calcolato sul complesso dei prelievi effettuati dal correntista oppure no. E' evidente come ciascuno dei diversi criteri comporta la quantificazione della commissione in misura diversa in contrasto con il principio di determinatezza e specificità che sola consente al correntista di conoscere quando e come sorgerà l'obbligo di dover corrispondere la suddetta commissione alla banca. Le conclusioni raggiunte trovano ampia conferma nella giurisprudenza di legittimità che ha espressamente affermato che "In tema di conto corrente bancario, è nulla per indeterminatezza dell'oggetto la clausola negoziale che prevede la commissione di massimo scoperto indicandone semplicemente la misura percentuale, senza contenere alcun riferimento al valore sul quale tale percentuale deve essere calcolata" (cfr. Cass. ord. n. 19825 del 20/06/2022). Deve quindi essere dichiarata la non debenza degli addebiti effettuati a titolo di CMS sui predetti conti (in mancanza della necessaria documentazione contrattuale la domanda deve essere invece rigettata con riferimento agli ulteriori conti dedotti in giudizio) per complessivi Euro 4.653,02. Con il quinto motivo di impugnazione gli appellanti lamentano che il primo giudice, accogliendo l'eccezione di inammissibilità della domanda di condanna alla restituzione delle somme illegittimamente addebitate sui conti dedotti in giudizio, ha emesso una sentenza di mero accertamento senza nemmeno precisare la misura delle somme non dovute. Il motivo è infondato. In punto di diritto costituisce principio consolidato nella giurisprudenza della Suprema Corte quello per cui per le "rimesse che confluiscono su un conto semplicemente passivo non si ravvisa alcun pagamento e quindi il versamento che va a ridurre l'esposizione del cliente non è idoneo a legittimare un'azione di ripetizione di indebito oggettivo. L'azione sarà allora possibile solo una volta venutomeno il rapporto (o per iniziativa del cliente o per iniziativa della banca) e solo dopo che il cliente abbia provveduto a pagare il saldo del conto corrente" (cfr. da ultimo Cass. ord. n. 11646 del 4/5/2023). Era pertanto onere della società correntista dedurre specificamente e fornire prova della data di chiusura del conto. Gli appellanti assumono che alla data in cui l'atto di citazione è stato presentato per la notifica (31/12/2011) e prima della ricezione della notifica da parte della Banca appellata (10/1/2012) il rapporti dedotti in giudizio risultavano tutti chiusi. Della circostanza tuttavia non è stata fornita alcuna prova. Con il settimo motivo di appello gli appellanti hanno censurato il capo di sentenza che ha rigettato l'eccezione di nullità/annullabilità del contratto Interest Rate Swap concluso con l'appellata Banca in data 12/3/2004. In particolare gli appellanti reiterano in particolare il rilievo che il contratto è stato sottoscritto dal legale rappresentante della società appellante (L.T.), il quale possedeva la sola licenza elementare, senza "alcuna dichiarazione di possesso di competenza in materia di operazioni di strumenti finanziari" e senza la "doverosa informazione al cliente da parte dell'istituto di credito". Precisato che i contratti derivati dedotti in giudizio, pur riconducibili alla finanza derivata, devono essere qualificati come currenty option e non di interest rate swap, occorre rilevare che il primo giudice ha rigettato le eccezioni in parola da un lato rilevando che "l'eventuale sproporzione tra le reciproche prestazioni contrattualmente assunte dalle parti assume, di regola, rilevanza giuridica" in fattispecie (specificamente elencate nella sentenza impugnata) non evocate in giudizio, dall'altro evidenziando che la relazione di CTU non aveva evidenziato lo scenario mark to market, dall'altro ancora rilevando che gli attori si erano limitati ad una generica eccezione di nullità. Ciò posto questa Corte ritiene non condivisibili le conclusioni raggiunte dal primo giudice in punto di genericità e di mancata specifica allegazione delle circostanze di fatto su cui si fondava l'eccepita nullità dei contratti derivati dedotti in giudizio. Ed invero, sia pur sinteticamente enunciate nei termini sopra riportati, appare evidente come la società correntista abbia inteso contestare la nullità di contratti il cui regolamento non era stato oggetto (implicante conoscenze tecniche di cui era sprovvisto il legale rappresentante sottoscrittore) di alcuna precisazione in termini di effettivo contenuto da parte della Banca. Del resto è lo stesso Tribunale, che pur rilevando la necessità di valutare, ai fini della validità dei contratti derivati di cui si discute, il "mark to marked", giunge irragionevolmente a rigettare l'eccezione di nullità sul rilievo che il CTU non aveva proceduto a ricavarlo. Ed invero, la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. Sez.Un. sent n. 8770 del 12/5/2020; ord n. 21830 del 29/7/2021; ord. n. 22014 del 24/7/2023) e di merito ha infatti ormai chiarito che la mancata indicazione dei c.d. scenari probabilistici non integra una "semplice violazione di obblighi informativi (come tale idonea a determinare solo eventuali responsabilità risarcitorie. Cfr. Cass., SU, n. 26724 del 2007; Cass. n. 8462 del 2014)", ma determina "una carenza che ? investe proprio l'essenza (di una parte) dell'accordo, vale a dire del contratto medesimo (quest'ultimo consistendo, appunto, in un "accordo". Cfr. artt. 1321 e 1325, n. 1, cod. civ.), così da cagionarne la nullità (il dovere di informazione, invece, è fuori del contratto ed è oggetto di mera obbligazione di una delle parti, sanzionata, come si è già detto, con la responsabilità per i danni, e non con la nullità). Si è infatti precisato che "l'indicazione del mark to market, che individua il valore del contratto ad una certa data, nonché l'esplicitazione dei costi impliciti e dei cd. "scenari probabilistici", finiscono con il rappresentare il contenuto di un'obbligazione che sorge con la stipula del contratto meritevole di tutela" in quanto "l'alea che comunque lo (il contratto ndr) caratterizza debba essere misurabile "secondo criteri scientificamente riconosciuti e oggettivamente condivisi": ciò impone che siano esplicitati - e condivisi con l'investitore - i costi impliciti, che determinano uno squilibrio iniziale dell'alea, il mark to market e, soprattutto, i cd. "scenari probabilistici". In altri termini, l'omessa esplicitazione di tali elementi si traduce, sostanzialmente, nella mancata formazione di un consensoin ordine agli stessi, e, dunque, nella inconfigurabilità di una precisa misurabilità/determinazione dell'oggetto contrattuale, allo scopo di ridurre al minimo e di rendere consapevole l'investitore di ogni aspetto di aleatorietà del rapporto". Quindi la Suprema Corte riconosce la meritevolezza e dunque la validità dei contratti derivati solo se l'alea è "razionale", ossia assunta da entrambe le parti in modo consapevole; razionalità ravvisabile in concreto solo laddove siano esplicitati - e condivisi in accordo con l'investitore - gli elementi che consentono di conoscere la "misura dell'alea, calcolata secondo criteri scientificamente riconosciuti e oggettivamente condivisi", ossia gli eventuali costi impliciti che possono determinare uno squilibrio iniziale dell'alea, il mark to market e i criteri per calcolarlo, nonché gli "scenari probabilistici". Nella specie mancando detti elementi e in particolare il mark to market e i criteri per calcolarlo i contratti di cui si discute devono essere dichiarati nulli per indeterminabilità dell'oggetto. Tenuto conto dei flussi finanziari registrati a favore della società come riportati nella seconda relazione depositata dal consulente d'ufficio, deve pertanto essere accertato il diritto restituzione in favore della società appellante della complessiva somma di Euro 308.534,37 addebitata in conto corrente per i titoli in esame, oltre interessi dalle singole sottoscrizioni (come specificate nelle relazioni di CTU) al saldo. Infine, non meritevole di accoglimento è l'ultimo motivo di impugnazione, con il quale gli appellanti hanno censurato il rigetto implicito e quindi privo di motivazione della domanda di liberazione dalle obbligazioni assunte dai garanti e quella di risarcimento del danno contrattuale ed extracontrattuale avanzata dalla s.r.l. T.. Quanto alla posizione degli asseriti fideiussori, occorre innanzitutto evidenziare che a fronte della specifica contestazione svolta dalla Banca circa l'esistenza di dette garanzie, gli appellanti non hanno fornito alcuna prova della esistenza dei relativi contratti o atti unilaterali di assunzione della garanzia. La domanda risulta pertanto priva di qualsivoglia riscontro probatorio. Pacifica è invece la concessione da parte dell'appellante Ti.Ro. di pegno a garanzia della sottoscrizione con la B. dei contratti derivati di cui sopra. A riguardo occorre innanzitutto rilevare che nessuna domanda ed eccezione è stata svolta dagli appellanti. Inoltre, nessuna deduzione è stata da questi ultimi svolta neanche in relazione alla clausola inserita nel relativo contratto per cui "qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide il pegno si intende fin d'ora pienamente valido ed efficace a garanzia dell'obbligo di restituzione delle somme comunque dalla Banca erogate" pur a fronte dei flussi finanziari evidenziati dal CTU a favore della società appellante. La domanda non merita pertanto accoglimento. Quanto invece alla domanda risarcitoria proposta dalla Ti. s.r.l. la stessa non appare meritevole di accoglimento non risultando acquisita in giudizio alcuna prova dell'asserito danno sofferto dalla correntista e non potendo ritenersi che "il danno richiesto è in re ipsa". La Suprema Corte è infatti pacifica nell'affermare che "Il potere di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., costituisce espressione del più generale potere di cui all'art. 115 c.p.c. ed il suo esercizio rientra nella discrezionalità del giudice di merito, senza necessità della richiesta di parte, dando luogo ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, con l'unico limite di non potere surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza, dovendosi, peraltro, intendere l'impossibilità di provare l'ammontare preciso del danno in senso relativo e ritenendosi sufficiente anche una difficoltà solo di un certo rilievo" (cfr. Cass. ord. n. 13515 del 29/04/2022). Quindi in materia di responsabilità civile il danno deve essere "allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento" (cfr. anche Cass. ord. n. 7594 del 28/3/2018; n. 3133 del 10/02/2020), anche mediante ricorso a presunzioni, le quali tuttavia richiedono specifiche allegazioni fattuali nella specie del tutto mancanti. La società si è infatti limitata ad affermare la circostanza di aver dovuto fronteggiare uno "stato di difficoltà economica finanziaria" senza collocare la stessa nel tempo e senza neppure produrre in giudizio i bilanci d'esercizio utili per svolgere le necessarie verifiche. Tenuto conto dell'esito del giudizio, che ha visto l'accoglimento delle domande attoree solo in misura residuale rispetto a quelle azionate, le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio devono essere integralmente compensate tra le parti. P.Q.M. La Corte d'Appello di Ancona, definitivamente pronunciando sull'appello proposto avverso la sentenza n. 763 del 18-19/9/2020 pronunciata dal Tribunale di Macerata, così decide nel contraddittorio delle parti: in parziale accoglimento dell'appello e in parziale modifica della sentenza impugnata, dichiara l'illegittimità degli addebiti effettuati dalla appellata Banca sul c/c di corrispondenza n. (...) a titolo di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi dall'apertura al 31/12/2011 e a titolo di CMS sul predetto conto e sul contratto di apertura di credito n. (...), per complessivi Euro 31.991,54; dichiara la nullità dei contratti currenty option dedotti in giudizio e accerta il diritto della società appellante alla restituzione della complessiva somma di Euro 308.534,37 addebitata in conto corrente per i titoli in esame, oltre interessi dalle singole sottoscrizioni al saldo; rigetta ogni altra domanda; dichiara interamente compensate tra le parti le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio. Così deciso in Ancona il 10 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 12 gennaio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE DI APPELLO DI ANCONA I SEZIONE PER LE CONTROVERSIE CIVILI Composta dai seguenti magistrati: dr. Annalisa Gianfelice - Presidente dr. Paola De Nisco - Consigliere rel. dr. Vito Savino - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa in grado di appello iscritta al n. 139/2018 del ruolo generale e promossa DA Co.Ro., nato a S. B. del T. il (...) (c.f. (...)), Co.En., nato a S. B. del T. il (...) (c.f. (...)), e Co.Le., nato a S. B. del T. il (...) (c.f. (...)), elettivamente domiciliati in Ancona via (...), presso lo studio dell'avv. Vi.Ra., rappresentati e difesi, unitamente e disgiuntamente, dagli avv. Em.Za. e Lu.Di., come da mandato in calce all'atto di citazione in appello; - appellante- CONTRO In.Sa. s.p.a. (quale società incorporante per fusione di Ba.Ad. s.p.a.), in persona del legale rappresentante pro tempore (c.f./p.i. (...)), a mezzo della procuratrice It. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore (c.f./p.i. (...)), elettivamente domiciliata in Ancona via (...) presso l'avv. Ma.Pu. che la rappresenta e difende come da mandato allegato alla comparsa di costituzione; - appellato- Ga. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore (c.f. (...)), a mezzo della procuratrice speciale Gu. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore (c.f./p.i. (...)), rappresentata e difesa dall'avv. Re.Sa., come da mandato in calce alla comparsa di costituzione; - intervenuto- OGGETTO Appello avverso la sentenza n.1018 del 13/11/2017 pronunciata dal Tribunale di Ascoli Piceno RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Ascoli Piceno ha rigettato l'opposizione proposta da Ro., En. e Le.Co. al DI n. 392/2013 emesso nei loro confronti in qualità di garanti ed in favore della Ba.Ad. s.p.a. per il pagamento della complessiva somma di e 113.863,93, oltre interessi successivi con le decorrenze ivi previsti. In particolare il primo giudice, dopo aver astrattamente accertato l'esistenza del credito azionato in via monitoria sulla base dei documenti prodotti dalla opposta Banca, ha rigettato l'eccezione di inesistenza della garanzia per la mancata sottoscrizione della stessa da parte degli opponenti e, qualificata la stessa come un contratto autonomo di garanzia, ha rigettato l'opposizione ritenendo non riconducibile all'exceptio doli generalis l'illegittima applicazione di interessi anatocistici e non tempestivamente e comunque specificamente eccepita l'usurarietà dei tassi convenuti. Gli opponenti hanno proposto appello articolando i seguenti motivi. 1) erroneità del capo di sentenza che ha accertato l'idoneità della documentazione prodotta dalla opposta Banca a fornire prova del credito azionato in via monitoria, in relazione al conto anticipi fatture n. (...); 2) erroneità del capo di sentenza che ha qualificato la garanzia dedotta in giudizio come contratto autonomo di garanzia, non essendo prevista alcuna deroga al disposto di cui all'art. 1945 c.c. e alla proponibilità di eccezioni attinenti al rapporto fondamentale; 3) erroneità del capo di sentenza che ha rigettato l'eccezione di usurarietà del tasso di interesse, riscontrata dal nominato CTU in relazione al conto anticipi (...) appoggiato sul conto corrente ordinario n. (...); 4) omesso pronuncia in relazione alla domanda di riduzione ex art. 2874 c.c. dei gravami ipotecari iscritti su tutti i beni immobili di loro proprietà aventi un valore complessivo di gran lunga superiore a quello del credito azionato. Hanno quindi concluso come in epigrafe. La s.p.a. In.Sa., quale società incorporante per fusione Ba.Ad. s.p.a., ha resistito al gravame, eccependone in via preliminare l'inammissibilità per violazione dell'art. 348 bis c.p.c. e riproponendo espressamente tutte le domande e le eccezioni già svolte in primo grado. E' intervenuta in giudizio la Ga. s.r.l., quale cessionaria del credito dedotto in giudizio, la quale ha chiesto il rigetto dell'appello, concludendo come in epigrafe. Con la seconda comparsa conclusionale depositata in data 30/10/2023 gli appellanti hanno contestato "la legittimità dell'intervento spiegato da Gu. Spa". Va disattesa in via preliminare l'eccezione di inammissibilità dell'appello ex art. 348 bis c.p.c. (come inserito dall'art. 54 D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv., con modif., in L. 7 agosto 2012, n. 134), dal momento che l'atto contiene argomentazioni difensive che introducono in giudizio questioni giuridiche di obiettiva controvertibilità, in riferimento alla quali, a prescindere da ogni valutazione in ordine alla fondatezza in concreto del gravame, non sembra potersi parlare aprioristicamente di "non ragionevole probabilità" di accoglimento dell'appello. Sempre in via preliminare deve poi essere rigettata l'eccezione di difetto di legittimazione ad agire della intervenuta Ga. s.r.l. (così rimodulata l'eccezione essendo la Gu. s.p.a. mera procuratrice) sollevata dagli appellanti nella seconda comparsa conclusionale. Ed invero, a prescindere dalla circostanza che la contestazione è avvenuta solo dopo la rimessione della causa sul ruolo in conseguenza delle dimissioni rassegnate dal Giudice ausiliario nominato quale relatore (sì da far ritenere la circostanza di fatto della intervenuta cessione in favore dell'intervenuta pacifica in quanto non contestata), occorre rilevare che la società intervenuta ha prodotto in giudizio sia il contratto di cessione pro soluto in data 22.11.2021 (cfr. doc. 2), con il quale la s.p.a. If. s.p.a. ha acquistato da In.Sa. un portafoglio di crediti classificati in sofferenza comprendente quello dedotto in giudizio, sia il coevo contratto (cfr. doc. 4 da ritenersi ammissibile in conformità a Cass. sent. n. 17062 del 26/6/2019), con il quale If. ha ceduto alla Ga. s.r.l. il medesimo portafoglio comprendente il credito per cui è causa, nonché l'avviso di cessione pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 148 del 14/12/2021 (cfr. doc. 3). In tale ultimo avviso sono indicati i crediti oggetto di cessione mediante il richiamo a specifici criteri di individuazione idonei ad accertare l'inserimento tra gli stessi del credito azionato in conformità ai principi di diritto ribaditi anche di recente dalla Suprema Corte con ordinanza n. 21921 del 20/7/2023. Con il primo motivo di impugnazione gli opponenti deducono l'erroneità della decisione per violazione dell'art. 2697 c.c. in relazione all'accertato credito di Euro 67.233,70 derivante dal saldo passivo del conto anticipi fatture n. (...). In particolare rilevano che l'unico rapporto di anticipazione fatture intercorso tra le debitrice principale e l'allora Co. s.p.a., recante il numero 8845 era stato acceso nel 1995 ed estinto nel 2010 e cioè prima della presunta anticipazione delle fatture per cui è causa. Rilevano inoltre che, contrariamente a quanto affermato dal primo giudice, la prova di detto contratto non poteva trarsi né dall'estratto conto certificato ex art. 50 D.Lgs. n. 385 del 1993, la cui efficacia è circoscritta alla fase monitoria, né dalla generica previsione di concessione di linee di credito contenuta nel contratto di conto corrente stipulato nel 1988, tenuto conto sia della risalenza nel tempo della previsione sia del suo tenore letterale, né infine dal fatto che le operazioni di anticipazione risultavano registrate in conto, potendo le distinte di presentazione dimostrare anche il conferimento alla Banca di un mandato all'incasso. I rilievi svolti dagli appellanti sono fondati nei limiti che seguono. E' pacifico tra le parti per averlo ammesso la Banca appellata a pagg. 28-29 della memoria di costituzione in primo grado (laddove si afferma che gli unici due conti correnti, degli anticipi fatture e documenti, sono esclusivamente il (...) e il 43) che tra le parti non è stato mai sottoscritto un conto anticipi fatture recante il numero (...) e l'appellata non indica neanche l'inizio di detto rapporto, che in ogni caso, tenuto conto della ricostruzione dei rapporti compiuta dalla stessa Banca deve essere collocato in epoca successiva all'entrata in vigore della L. n. 154 del 1992 e del D.Lgs. n. 385 del 1993. L'eventuale contratto deve pertanto essere dichiarato nullo per mancanza della forma scritta ad substantiam. Il giudice di primo grado nel richiamare il contratto di c/c n. (...), acceso il 1/12/1988, depositato agli atti evidentemente ha inteso richiamare i principi di diritto ribaditi in più occasioni dalla Corte di Cassazione (cfr. da ultimo Cass. sent. 27836 del 22/11/2017; ord. n. 926 del 13/01/2022) per cui "in materia di disciplina della forma dei contratti bancari, l'art. 3, comma 3, della L. n. 154 del 1992 e, successivamente, l'art. 117, comma 2, del t.u.l.b., nella parte in cui dispongono che il C.I.C.R. può prevedere che particolari contratti, per motivate ragioni tecniche, possono essere stipulati in forma diversa da quella scritta, attribuiscono a detto Comitato interministeriale il potere -da questo conferito alla Ba.Ad. - di emanare disposizioni che integrano la legge e, nei limiti dalla stessa consentiti, possono derogarvi e che, perciò, costituiscono norme di rango secondario, la cui legittimità non è esclusa dalla mancata indicazione delle motivate ragioni tecniche della deroga, dovendo l'onere della motivazione ritenersi adempiuto mediante l'indicazione del tipo di contratto e la precisazione che esso deve riferirsi ad operazioni e servizi già individuati e disciplinati in contratti stipulati per iscritto. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto legittime le disposizioni (....) in forza delle quali il contratto di apertura di credito, qualora risulti già previsto e disciplinato da un contratto di conto corrente stipulato per iscritto, non deve, a sua volta, essere stipulato per iscritto, a pena di nullità) (Cass. Sez. 1 -, Sentenza n. 14470 del 2005)". Ha, tuttavia, precisato che "tale principio deve essere correttamente inteso perché, com'è stato precisato, anche successivamente da questa stessa sezione, "l'intento di agevolare "particolari modalità della contrattazione" non (può) comportare - in una equilibrata visione degli interessi in campo (...) - una "radicale" soppressione della forma scritta, ma solo una relativa attenuazione della stessa che, in particolare, salvaguardi (..) la necessaria indicazione delle condizioni economiche del contratto ospitato" (Cass. Sez. 1, sent. n. 9068 del 2017; e si veda altresì Cass. Sez. 1 -, Sentenza n. 7763 del 2017 ...)". Detta giurisprudenza, tuttavia, non è nella specie applicabile in quanto la possibile attenuazione della necessaria forma scritta richiede necessariamente che il contratto di conto corrente già preveda esplicitamente e disciplini analiticamente il successivo contratto di apertura di credito (cfr. anche Cass. sent. n. 7763 del 27/03/2017). Nel caso di specie, infatti, la clausola 6 contenuta nel contratto di conto corrente n. (...) non contiene alcuna regolamentazione economica del rapporto e neppure "l'indicazione di condizioni quadro, generali ed astratte, che la Banca s'impegnava a seguire (ed il cliente a osservare) in caso di stipula di un'apertura di credito successiva con lo stesso sottoscrittore del conto corrente bancario" (cfr. Cass. sent. 27836/17 cit), ma solo la disciplina normativa eventualmente applicabile. Ciò posto occorre tuttavia evidenziare che la Banca ha agito in giudizio per ottenere la restituzione delle somme anticipate a fronte delle fatture oggetto di cessione, che sono state tutte prodotte in giudizio unitamente alle distinte di presentazione per complessivi Euro 65.852,04 oltre ad Euro10,33 per commissioni di estinzione anticipi fatture ed Euro 1.371,33 per interessi. Orbene, l'accertata nullità del contratto in esame comporta l'insussistenza del credito per interessi e commissioni. Quanto invece al credito restitutorio occorre rilevare come nella specie possa ritenersi provata anche l'erogazione delle somme a titolo di anticipazione, avendone il nominato Ctu rinvenuto traccia negli estratti conto prodotti in giudizio, così come ha dato atto che sulla base della documentazione sottoposta al suo esame "alla data del 16.03.2012 non risultano essere state accreditate dai debitori ceduti le somme oggetto di anticipazione". Non risultando pertanto né allegato né provato dagli appellanti, che ne erano onerati, l'esistenza di pagamenti da parte dei debitori ceduti successivi alla risoluzione di tutti i rapporti intercorsi con la debitrice principale, deve ritenersi accertato il diritto della Banca appellata alla restituzione della complessiva somma di Euro 65.852,04. Con il secondo motivo di impugnazione gli appellanti lamentano l'erroneità della qualificazione della garanzia da loro prestata in favore della debitrice principale operata dal primo giudice in termini di contratto autonomo di garanzia invece che di fideiussione. Evidenziano in particolare che l'art. 7 della fideiussione n. (...) del 23/4/1999, contrariamente a quanto affermato dal primo giudice, non contiene la clausola "a prima richiesta e senza eccezioni", ma la sola previsione che il pagamento deve avvenire "a semplice richiesta scritta, anche in caso di opposizione del debitore, e che a diverse conclusioni non può giungersi neppure sulla base della clausola n. 9 che si limita ed escludere qualsivoglia eccezione in ordine al momento in cui la banca ritiene di esercitare la facoltà di recesso dai rapporti con il debitore principale. Hanno quindi ribadito la nullità delle clausole del contratto di conto corrente ordinario n. (...) e dei conti accessori in punto di capitalizzazione trimestrale, commissioni e spese. Il motivo appare fondato. In punto di diritto può ritenersi ormai consolidato il principio di diritto per cui "Il contratto autonomo di garanzia si caratterizza, rispetto alla fideiussione, per l'assenza dell'accessorietà della garanzia,derivante dall'esclusione della facoltà del garante di opporre al creditore le eccezioni spettanti al debitore principale, in deroga all'art. 1945 c.c., e dalla conseguente preclusione del debitore a chiedere che il garante opponga al creditore garantito le eccezioni nascenti dal rapporto principale, nonché dalla proponibilità di tali eccezioni al garante successivamente al pagamento effettuato da quest'ultimo" (cfr. da ultimo Cass. ord. 19693 del 17/6/2022). La stessa corte di legittimità da tempo ormai individua gli elementi caratterizzanti il contratto autonomo di garanzia nella presenza delle clausole "a prima richiesta e senza eccezioni", affermando che detto inserimento "vale di per sé a qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia (cd. Garantievertrag), in quanto incompatibile con il principio di accessorietà che caratterizza il contratto di fideiussione, salvo quando vi sia un'evidente discrasia rispetto all'intero contenuto della convenzione negoziale" (cfr. Cass. Sez. U. sent. n. 3947 del 18/02/2010; n. 22233 del 20/10/2014; n. 18572 del 13/07/2018). E' pur vero che la stessa giurisprudenza della Suprema Corte afferma che l'assenza dell'accessorietà della garanzia può derivarsi, in mancanza delle predette clausole, anche dal tenore dell'accordo ed in particolare dalla presenza di una clausola che fissa al garante un ristretto termine per provvedere al pagamento dietro richiesta del creditore, tuttavia precisa che detta previsione contrattuale deve essere accompagnata "dalla esclusione, al contempo, della possibilità per il debitore principale di eccepire alcunché al garante in merito al pagamento stesso" (cfr. da ultimo Cass. n. 15091 del 31/05/2021). Il Tribunale ha ritenuto di fare proprio il ricordato orientamento dei giudici di legittimità per cui la fattispecie negoziale atipica della garanzia autonoma ricorre ogni qual volta, mediante l'inserimento della clausola "a semplice richiesta" e "senza eccezioni", sia espressamente derogato l'art. 1945 c.c. e venga pertanto meno l'accessorietà propria della fideiussione. Le conclusioni raggiunte dal Tribunale non appaiono condivisibili. Ed invero, a prescindere dalla qualificazione della garanzia contenuta nella dichiarazione n. 609404, occorre rilevare come nella specie la clausola 7 ivi contenuta contenga una semplice clausola "a semplice richiesta scritta, anche nel caso di opposizione del debitore", ma non prevede una esplicita ed inequivoca rinuncia del garante alla formulazione di eccezioni inerenti il rapporto garantito. La clausola in esame costituisce quindi solo una deroga alla previsione di cui all'art. 1957 c.c., che "può essere pattiziamente esclusa nei contratti di fideiussione tipici" (cfr Cass. sent. n. 13078 del 21/05/2008). Né detta rinuncia può essere individuata nella clausola n. 9 che si riferisce al solo momento in cui la banca esercita la sua facoltà di recedere dai rapporti con il debitore principale, ma nulla prevede in relazione al rapporto garantito. Anche la clausola "solve et repete" non appare idonea ad intaccare l'accessorietà dell'obbligazione dei fideiussori rispetto al debito principale, dal momento che la stessa "non altera i connotati tipici della fideiussione e non comprende il divieto di sollevare eccezioni attinenti alla validità dello stesso contratto di garanzia" (cfr. Cass. sent. n. 4446 del 21/02/2008), la clausola infatti si limita ad imporre ai garanti l'obbligo del pagamento immediato della somma richiesta dal beneficiario, ma con riserva della loro facoltà di sollevare eccezioni nei confronti del creditore dopo il pagamento. Infine, inidonea ad escludere il carattere di accessorietà della garanzia in esame è anche la clausola n. 8 c.d. "di sopravvivenza", dovendo la stessa essere intesa nel senso che, ove l'obbligazione principale sia dichiarata invalida, la fideiussione resta comunque efficace, al fine di garantire la restituzione delle somme comunque già erogate da parte della banca in esecuzione del contratto invalido. Anche in questo caso permane l'accessorietà dell'obbligazione del fideiussore rispetto al debito principale, dal momento che per effetto di tale clausola la fideiussione viene a garantire pur sempre l'adempimento dell'obbligazione di restituzione di quanto indebitamente ricevuto in esecuzione di un contratto nullo. In definitiva, l'obbligo dei fideiussori di garantire la restituzione delle somme comunque erogate, anche se le obbligazioni garantite fossero dichiarate invalide, non comporta che il fideiussore non possa eccepire la validità dell'obbligazione garantita, ma soltanto che l'eventuale dichiarazione di nullità non può influire sull'obbligo di restituzione della sorte capitale effettivamente erogata. Le considerazioni svolte portano a qualificare le garanzie prestate dagli appellanti come fideiussioni, con conseguente diritto degli stessi a sollevare tutte le eccezioni relative ai rapporti intercorsi con la debitrice principale. In particolare, gli appellanti, dopo aver ribadito anche in questa sede l'unitarietà dei conti anticipi su fatture o documenti intercorsi tra le parti rispetto al conto corrente di corrispondenza n. (...), hanno reiterato le eccezioni di nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, della clausola di previsione di interessi passivi ultralegali per la loro usurarietà, della CMS e della applicazione di spese non convenute. L'appellata Banca ha di contro eccepito l'estraneità del conto corrente n. (...) alle richieste azionate in via monitoria, rilevando come alcuna richiesta era stata avanzata in via riconvenzionale dagli odierni appellanti, sui quali comunque gravava l'onere probatorio. In punto di diritto occorre rilevare come costituiscono principi di diritto ormai consolidati nella giurisprudenza di legittimità (cfr. da ultimo Cass. sent. n. 21321 del 5/5/2022) quelli per cui: "Nella prassi bancaria possono costituirsi, in capo al medesimo cliente, sia un ordinario conto corrente di corrispondenza, sia un diverso conto transitorio ad esso collegato, denominato frequentemente come conto anticipi su effetti salvo buon fine, od altre espressioni analoghe, in esecuzione di un'operazione di anticipazione di effetti. I diversi conti possono presentarsi, dunque, come avvinti da nessi funzionali reciproci, oppure come del tutto indipendenti. ? Nel primo caso, il saldo passivo del c.d. conto per anticipo fatture non esprime una posizione debitoria autonoma e separabile, rispetto al saldo del conto corrente di corrispondenza, onde non si giustifica la pretesa creditoria di nessuna delle parti del rapporto, ove fondata su di uno solo di detti conti: ciò, in particolare, quanto alla pretesa della banca di esigere il saldo passivo concernente il predetto conto anticipi, indipendentemente dal conto corrente ordinario cui accede. Al contrario, la ricostruzione del saldo dare-avere tra le parti necessariamente attiene al complessivo rapporto. ...infatti, sovente i conti in questione non sono normalmente operativi, ma rappresentano una mera "evidenza contabile" dei finanziamenti per anticipazioni su crediti concessi dalla banca al cliente. ? in sostanza, l'istituto annota in "dare" al correntista l'importo di dette anticipazioni, di volta in volta erogate in occasione della presentazione di effetti, o della c.d. carta commerciale, importo che riannota in "avere", una volta che abbia provveduto a riscuotere il credito sottostante in virtù del mandato all'incasso usualmente conferitogli; onde, poi, dopo l'annotazione del rientro delle somme anticipate, il cliente può dunque tornare ad usufruire di nuove anticipazioni, sino al limite dell'affidamento concessogli. In tale situazione, il rapporto di debito-credito fra la banca e il correntista è rappresentato, in ogni momento, dal saldo del conto corrente ordinario, sul quale le anticipazioni affluiscono mediante "giroconto" (così Cass. 20 giugno 2011, n. 13449). Si parla anche di linea di credito c.d. autoliquidante, che consta di un contratto-quadro a disciplina le singole operazioni di anticipazione in conto corrente contro cessione di credito pro solvendo, oppure con mandato all'incasso con annesso patto di compensazione (cfr. Cass. 15 giugno 2020, n. 11524). In tali evenienze, in definitiva, il c.d. conto anticipi costituisce soltanto uno strumento accessorio e funzionale ai conti correnti ordinari, senza autonomia e con mera evidenza contabile, ai fini dei finanziamenti eseguiti per anticipazioni su crediti concessi dalla banca al cliente, annotandosi in esso in "dare" le anticipazioni erogate al correntista ed in "avere" l'esito positivo della riscossione del credito sottostante agli effetti commerciali presentati dal cliente. Ne deriva che, in presenza di un simile atteggiarsi dei rapporti, il saldo debitore del c.d. conto anticipi diviene giuridicamente inscindibile dal saldo del (o dei più) conti correnti cui esso è collegato, onde l'accertamento del credito derivante dalle anticipazioni implica la necessaria ricostruzione dei rapporti dare-avere pertinenti al conto corrente di corrispondenza, cui il primo è connesso. Si deve, in tali casi, parlare dunque di inscindibilità del saldo finale". Nel caso di specie è la stessa banca appellata che, riferendosi al conto anticipi 2353 afferma non trattarsi di "un vero e proprio conto" in quanto "essendo un conto anticipi si appoggia sul conto corrente (...) come risulta chiaramente dal doc. 22 del decreto ingiuntivo. Tutte le altre numerazioniindicate da controparte sono delle mere partite contabili: i due conti correnti, degli anticipi fatture e documenti, sono esclusivamente il (...) e il 43" (cfr. pagg. 28 e 29 comparsa di costituzione di primo grado). E' quindi la stessa Banca appellata ad affermare che il conto corrente di corrispondenza e gli ulteriori rapporti intercorsi tra le parti (con esclusione del conto n. (...)) sono avvinti da nessi funzionali reciproci da comportare l'unicità del conto, con conseguente inscindibilità del saldo finale. Dalle considerazioni svolte ne deriva, da un lato, che correttamente l'indagine tecnica disposta in primo grado è stata estesa anche al conto corrente di corrispondenza n. (...), alla linea di credito anticipi fatture n. (...) e al conto anticipi su contratti n. (...), dall'altro che era onere della Banca fornire prova della sussistenza e della entità del credito da essa vantato mediante la produzione di tutti i contratti intercorsi con la debitrice principale e di tutti gli estratti conto. Alla luce delle premesse svolte questa Corte non può che condividere pienamente le conclusioni rese dal nominato CTU in relazione ad entrambi i conteggi separatamente svolti in forza del quesito postogli, con le precisazioni che seguono. La Banca appellata reitera in questa sede le osservazioni svolte in sede di CTU. La prima, tesa a contestare la mancata considerazione della prescrizione decennale, è inammissibile risultando la Banca decaduta dalla relativa eccezione non avendola proposta in sede di costituzione nel giudizio di primo grado. La seconda, con la quale si denuncia la violazione dell'art. 2697 c.c., è infondata in considerazione della riconosciuta unitarietà dei rapporti sopra ricordati, che imponevano alla Banca, attore in senso sostanziale l'onere della prova della esistenza e dell'entità del credito vantato. Parimenti infondata è la terza osservazione, con la quale la Banca lamenta l'esclusione della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi dal 1/7/2000 al 6/6/2006, essendosi uniformata alle prescrizioni previste dalla Del.CICR del 9 febbraio 2000. Solo succintamente appare opportuno ripercorrere brevemente la disciplina dell'istituto dell'anatocismo nel nostro ordinamento. L'art. 1283 c.c. prevede espressamente che "In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi". Fino alla pronuncia della sentenza n. 2374/99 della Cassazione a Sezioni Unite in relazione alle condizioni contrattuali praticate dagli istituti bancari alla loro clientela si è sempre ritenuto che le norme bancarie uniformi integrassero il rango di uso contrario evocato dall'art. 1283 c.c., sicché i medesimi istituti bancari sono sempre stati considerati legittimati a praticare la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, anche in deroga all'art. 1283 c.c. attesa la periodicità inferiore ai sei mesi previsti quale termine minimo. La citata sentenza ha sancito che la normativa interna bancaria, disciplinante le condizioni contrattuali aventi ad oggetto anche gli interessi anatocistici trimestrali, sia da considerarsi esclusivamente alla stregua di uso meramente negoziale, in quanto carenti dei requisiti propri degli usi normativi. Il che ha comportato l'inevitabile declaratoria di nullità delle clausole aventi ad oggetto gli interessi anatocistici trimestrali siccome contrarie al precetto di cui all'art. 1283 c.c.. Principio questo ormai ritenuto pacifico ed univocamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità e di merito. A seguito di tale pronuncia il legislatore ha delegato al C.I.C.R. (Comitato Interministeriale Credito e Risparmio) il compito di stabilire le regole per la produzione degli interessi anatocistici trimestrali nell'esercizio dell'attività bancaria e tale organo vi ha provveduto con Delib. del 9 febbraio 2000. Per quanto qui interessa, all'art. 7 la suddetta delibera ha regolamentato la procedura prevista, per ogni istituto bancario, per adeguare le condizioni contrattuali aventi ad oggetto gli interessi anatocistici trimestrali stipulate anteriormente all'entrata in vigore della delibera medesima. Il secondo comma dell'art. 118 TUB a sua volta ha previsto che "Qualunque modifica unilaterale delle condizioni contrattuali deve essere comunicata espressamente al cliente secondo modalità contenentiin modo evidenziato la formula: "Proposta di modifica unilaterale del contratto", con preavviso minimo di due mesi, in forma scritta o mediante altro supporto durevole preventivamente accettato dal cliente. Nei rapporti al portatore la comunicazione è effettuata secondo le modalità stabilite dal CICR. La modifica si intende approvata ove il cliente non receda, senza spese, dal contratto entro la data prevista per la sua applicazione. In tale caso, in sede di liquidazione del rapporto, il cliente ha diritto all'applicazione delle condizioni precedentemente praticate". E' quindi sorta la questione se la clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi a condizione di reciprocità avesse o meno valenza peggiorativa e quindi se, avendo essa banca provveduto a darne pubblicità nelle forme previste dalla Del.CICR 2 settembre 2000, detta clausola avrebbe potuto essere applicata non essendo necessaria la forma scritta imposta dal terzo comma dell'art. 118 TUB. La Suprema Corte sul punto (cfr. Cass. ord. n. 7105 del 12/3/2020) ha ritenuto che "la sostituzione della reciproca capitalizzazione trimestrale degli interessi attivi e passivi all'assenza di capitalizzazione per effetto della declaratoria di nullità della clausola contrattuale anatocistica, rende evidente che vi sia stato un peggioramento delle condizioni contrattuali precedentemente applicate al conto corrente per cui è causa, sicché, proprio in applicazione dell'art. 7, comma 3 della delibera CICR (per cui "nel caso in cui le nuove condizioni contrattuali comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, esse devono essere approvate dalla clientela") sarebbe stato necessario nella fattispecie in esame un nuovo accordo espresso tra le parti, non essendo ammissibile un adeguamento unilaterale." Ed ancora sempre la Corte di Cassazione con la pronuncia n. 267779/2019, ha affermato "che è inappropriato spacciare per miglioramento il passaggio al regime della trimestralizzazione per tutti gli interessi, giacché il raffronto deve essere effettuato tra l'assenza di capitalizzazione degli interessi debitori, quale conseguenza della nullità della clausola e la loro capitalizzazione trimestrale a seguito dell'intervento del CICR 2000" Sul punto specifico, anche codesta Corte, con orientamento consolidato formulato per la prima volta con sentenza 420/16, ha affermato che: "?l'art. 7 della Del.CICR 9 febbraio 2000,che ha dettato una regolamentazione dei rapporti bancari precedentemente costituiti, così dispone: 1) Le condizioni applicate sulla base dei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della presente delibera devono essere adeguate alle disposizioni in questa contenute entro il 30.6.00 e i relativi effetti si producono a decorrere dal successivo 1 luglio. 2) Qualora le nuove condizioni contrattuali non comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, le banche e gli intermediari finanziari, entro il medesimo termine del 30.6.00, possono provvedere all'adeguamento, in via generale, mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Di tali nuove condizioni deve essere fornita opportuna notizia per iscritto alla clientela alla prima occasione utile, e, comunque, entro il 30.12.00. 3) Nel caso in cui le nuove condizioni contrattuali comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, esse devono essere approvate dalla clientela. Orbene, escluso che per stabilire la natura migliorativa o meno delle condizioni del contratto si possa far riferimento alla pregressa situazione fattuale (il calcolo dell'anatocismo trimestrale), è evidente che il termine di raffronto è il regolamento contrattuale nei limiti della rispondenza alla legge, vale a dire il difetto di ogni anatocismo. Ne consegue che la "nuova" previsione di un anatocismo (anche se con la condizione della reciprocità) costituisce un peggioramento delle condizioni contrattuali (stante la mancata previsione di un siffatto sistema di calcolo ed il rapporto negativo tra gli interessi passivi e quelli attivi) e dunque richiede l'intervento di un accordo tra le parti. che, nel caso, non risulta". A riguardo occorre inoltre rilevare che da ultimo è espressamente intervenuta anche la Corte di Cassazione con sentenza n. 17634 del 21/6/2021, statuendo che "nei contratti di conto corrente bancario stipulati in data anteriore all'entrata in vigore della Del.CICR 9 febbraio 2000 -come nel caso di specie, ndr-, la dichiarazione d'illegittimità costituzionale dell'art. 25 del D.Lgs. n. 342 del 1999, pronunciata dalla Corte costituzionale con sentenza n. 425 del 2000, pur non avendo interessato il secondo comma di tale disposizione, che costituisce il fondamento del potere esercitato dal CICR mediante l'adozione della predetta delibera, ha inciso indirettamente sulla disciplina transitoria dettata dall'art. 7 di tale provvedimento, in quanto, avendo fatto venir meno, per il passato, la sanatoria delle clausole che prevedevano la capitalizzazione degl'interessi, ha impedito di assumerle come termine di comparazione ai fini della valutazione dell'eventuale peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, in tal modo escludendo la possibilità di provvedere all'adeguamento delle predette clausole mediante la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, come consentito dal comma secondo dell'art. 7, e rendendo invece necessaria una nuova pattuizione (cfr. Cass., Sez. I, 19/05/2020, n. 9140; 21/10/2019, nn. 26769 e 26779). A sostegno di tali conclusioni, si è osservato che a) la pronuncia di incostituzionalità ha investito il solo tema della validazione delle clausole anatocistiche fino al momento in cui è divenuta operante la Delib. 9 febbraio 2000, ma non ha direttamente inciso sull'attribuzione al CICR del potere di regolamentare il transito dei vecchi contratti nel nuovo regime, b) la portata retroattiva della pronuncia d'incostituzionalità impone tuttavia di considerare nulle le clausole anatocistiche inserite in contratti conclusi prima dell'entrata in vigore della delibera CICR, c) la circostanza che la delibera sia stata adottata anteriormente alla pronuncia d'incostituzionalità non comporta che, ai fini del giudizio di comparazione previsto dal comma secondo dell'art. 7 della delibera, possa conferirsi rilievo all'applicazione di fatto delle predette clausole, prescindendo dall'invalidità delle stesse, d) la comparazione non deve avere ad oggetto le condizioni contrattuali nel loro complesso, ma solo la clausola anatocistica, da valutarsi in relazione al principio della pari periodicità nel conteggio degl'interessi, stabilito dall'art. 2, comma secondo, della delibera, e) in mancanza di una clausola valida che preveda, per almeno una delle due tipologie di interesse (attivo o passivo) una capitalizzazione da attuarsi con una data frequenza, è impossibile stabilire se il predetto criterio sia favorevole o sfavorevole per il correntista. Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto che l'invio al correntista degli estratti conto recanti l'indicazione dello adeguamento alla delibera CICR, pubblicato anche sulla Gazzetta Ufficiale, non risultasse sufficiente ad assicurare, neppure per il periodo successivo alla entrata in vigore del provvedimento, la validità della clausola che prevedeva la capitalizzazione degl'interessi, a tal fine occorrendo invece un'apposita convenzione scritta, al pari di quella richiesta per la stipulazione dei contratti soggetti alla nuova disciplina. In assenza di tale convenzione, deve escludersi l'applicabilità dell'art. 120 del D.Lgs. n. 385 del 1993, come modificato dall'art. 25 del D.Lgs. n. 342 del 1999, il quale non recava una compiuta regolamentazione delle clausole anatocistiche, ma ne demandava la fissazione al CICR, limitandosi a stabilire, quale principio ispiratore della disciplina da adottare, quello della pari periodicità nel conteggio degl'interessi debitori e creditori. Non può quindi operare, in riferimento a tale disposizione, il meccanismo di sostituzione automatica previsto dall'art. 1339 cod. civ., il quale non può trovare applicazione neppure in relazione alla disciplina introdotta dalla delibera CICR: l'impossibilità di procedere al giudizio comparativo richiesto dall'art. 7, comma secondo, di quest'ultima, se per un verso impediva il ricorso alle modalità semplificate contemplate da tale disposizione, per altro verso non esonerava la banca dall'obbligo, imposto dal comma primo, di provvedere all'adeguamento delle condizioni contrattuali nelle forme previste dall'art. 6 della medesima delibera, la cui inosservanza comportava l'inefficacia della clausola anatocistica". Nessuna capitalizzazione può pertanto essere riconosciuta in relazione al periodo in considerazione. L'ultima osservazione, con la quale si contesta l'effettuato calcolo del TEG ai fini dell'usura, dovendo lo stesso essere svolto sulla base della normativa pro tempore vigente in tema di usura, deve essere esaminata unitamente al terzo motivo di appello, con il quale i garanti hanno ribadito l'eccezione di usurarietà. A riguardo occorre rilevare che, seppure è vero che il Ctu (in ossequio al quesito postogli) ha incluso la CMS nel calcolo del TEG (in difformità ai principi espressi dalle Sezioni Unite della Suprema Corte con sent. n. 16303 del 20/06/2018), è anche vero che l'applicazione della utilizzata formula ha comunque escluso ogni forma di usura sia con riferimento al c/c ordinario n. (...), sia al conto corrente anticipi n. (...), sia al conto corrente anticipi n. (...)che al contratto di prestito chirografario n. (...). Solo con riferimento al conto corrente anticipi n. (...) si è verificato il superamento delle soglie di usura, ma nella specie, riguardando questa solo il II e il III trimestre 2009 e non risultando correlata all'esercizio dello ius variandi da parte della Banca (nessuna deduzione allegazione o prova è stata offerta dagli appellanti o rilevata dal CTU), si tratta di usura sopravvenuta ed in quanto tale irrilevante in applicazione del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte con sentenza n. 24675 del 19/10/2017. In conclusione, il credito della Banca deve essere rideterminato in complessivi Euro 49.013,62, come riconosciuto in via subordinata dagli stessi appellanti (cfr. pag. 15 atto di appello), con conseguente revoca del DI n. 392/2013. Con l'ultimo motivo di gravame gli appellanti lamentano l'omessa pronuncia in relazione alla domanda di riduzione ex artt. 2874 e 2875 c.c. delle garanzie ipotecarie iscritte da It. s.p.a. su tutti i loro beni immobili, aventi un valore notevolmente superiore a quello azionato con l'opposto DI. Sul punto la Banca appellata ha rilevato (cfr pagg. 31-32 della comparsa di costituzione di primo grado) che, a prescindere dall'andamento del mercato per cui i beni immobili vengono venduti ad un valore inferiore a quello intrinseco, su numerosi degli immobili ipotecati risultano iscritte ipoteche volontarie di rilevante valore, sicché quella iscritta in forza del DI per cui è causa è solo di terzo grado, ed ancora che alcuni dei beni immobili ipotecari risultano di proprietà degli appellanti solo in quota. Orbene, risulta provato dagli stessi appellanti (cfr. docc 15 e 16) tutti gli immobili compresi nelle unità 2 e 3 risultano essere di loro proprietà per la complessiva quota rispettivamente di 3/9 e di 6/9, risultando le residue quote di proprietà di un terzo (C.M.). Dai certificati catastali e dalle visure dell'Agenzia delle Entrate allegati alla comparsa di costituzione in primo grado della Banca risulta altresì che tutti i beni immobili oggetto di ipoteca risultavano già gravati da numerose iscrizioni ipotecarie sia volontarie che giudiziali (in particolare quella in data 13/12/11 sui beni di proprietà di Co.Ro.) per un importo complessivo di oltre un milione di Euro, in ordine al quale nessuna osservazione o allegazione è stata svolta dagli appellanti. Tali circostanze non consentono di affermare l'eccessività del valore dei beni rispetto alle somme, anche come rideterminate in questa sede, tenuto conto del grado (almeno quarto, risultando inscritte le ipoteche volontarie in data 26/11/2010 e 10/6/2011 e quella giudiziale del 30/1/2012 sui beni immobili di tutti gi appellanti ed inoltre quella giudiziale del 13/12/2011 sui beni di Co.Ro.) della iscrizione ipotecaria della Banca e della proprietà solo pro quota di parte dei beni ipotecati. Tenuto conto dell'esito della lite che ha visto il parziale accoglimento dell'opposizione le spese di entrambi i gradi di giudizio devono essere compensate nella misura di 1/2 e per la restante parte essere poste a carico degli appellanti, nonché liquidate come in dispositivo in base ai valori medi indicati nelle tabelle allegate al D.M. n. 55 del 2014 per le cause del relativo scaglione di valore. P.Q.M. La Corte d'Appello di Ancona, definitivamente pronunciando sull'appello proposto avverso la sentenza n. 1018 del 13/11/2017 pronunciata dal Tribunale di Ascoli Pieno, così decide nel contraddittorio delle parti: in parziale accoglimento dell'appello e in modifica della sentenza impugnata revoca il DI n. 392/2013 emesso dal Tribunale di Ascoli Piceno e condanna gli appellanti al pagamento in favore della s.r.l. Ga., in persona della sua mandataria, della complessiva somma di Euro 49.013,62, oltre interessi convenzionali successivi dal 1/4/2012 sull'importo di Euro 39.323,81 e dal 17/5/2012 su quello di Euro 9.689,81; dichiara compensate nella misura di 1/2 le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio e condanna gli appellanti al rimborso delle spese di lite, liquidate nella misura di Euro 7.000,00 per il primo grado in favore della s.p.a. In.Sa., oltre spese forfettarie nella misura del 15% IVA e CPA, e di Euro 5.000,00 ciascuna per il presente grado di giudizio in favore dell'appellata e della intervenuta, oltre spese forfettarie nella misura del 15% IVA e CPA. Così deciso in Ancona il 10 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 12 gennaio 2024.

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