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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAGO Geppino - Presidente Dott. DE SANTIS Anna M. - Consigliere Dott. CIANFROCCA Pierluig - Consigliere Dott. DI PISA Fabio - Consigliere Dott. MINUTILLO TURTUR Marzia - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS), nata a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 20/01/2022 della CORTE DI APPELLO DI NAPOLI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Marzia MINUTILLO TURTUR; udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. GARGIULO Raffaele, che ha concluso chiedendo che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili; udite le conclusioni dei difensori Avv. (OMISSIS), per (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS), e Avv. (OMISSIS), per (OMISSIS), che hanno concluso chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata con ogni conseguente statuizione; udite le conclusioni dell'Avv. (OMISSIS), per la parti civili costituite (OMISSIS), (OMISSIS), e (OMISSIS), che ha chiesto che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Napoli, con sentenza del 20/01/2022, decidendo in merito all'appello proposto dagli odierni ricorrenti, ha confermato la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata con la quale (OMISSIS) e (OMISSIS) sono stati condannati alla pena di giustizia (capi 10) 11) 12) per i delitti di cui agli articolo 81, 644 e 56, 629 c.p.), con condanna al pagamento delle spese in favore delle parti civili costituite (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). 2. (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso per cassazione, a mezzo dei propri difensori, deducendo diversi motivi di ricorso che qui si riportano nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 3. Ricorso (OMISSIS). 3.1. Con il primo motivo di ricorso e' stato dedotto vizio della motivazione nella parte in cui non viene affrontata con congrua ed adeguata argomentazione la censura relativa all'inattendibilita' della parte civile (OMISSIS); gia' il Tribunale si era sul punto limitato ad una mera sintesi dei verbali del dibattimento; nonostante la specificita' del motivo proposto sul punto la Corte di appello aveva omesso di motivare, con particolare riferimento alla non costanza del narrato, in presenza di un'evidente incongruenza tra i contenuti della denuncia e le dichiarazioni dibattimentali, anche quanto alle modalita' di corresponsione delle somme da restituire; inoltre non veniva considerata l'evidente illogicita' del racconto quanto alla consegna di una cospicua somma di denaro in mancanza di garanzie, oltre che quanto alle ragioni dell'indebitamento; infine la difesa lamentava la mancata indicazione nella denuncia dei veri responsabili della situazione di indebitamento del (OMISSIS), ovvero (OMISSIS), in relazione al quale la difesa aveva prodotto anche documentazione estremamente significativa; cosi' come non aveva in alcun modo giustificato i rapporti tra il (OMISSIS) e il M.llo (OMISSIS). 3.2. Con il secondo motivo di ricorso rilevava la ricorrenza di un vizio della motivazione perche' omessa e sostanzialmente apparente in ordine alla sorella del (OMISSIS), (OMISSIS), che aveva mentito in diverse circostanze (sia quanto all'incasso di assegni circolari da parte del (OMISSIS), che quanto alle circostanze in cui veniva per la prima volta a contatto con lo stesso al matrimonio del figlio dello stesso). 3.3. Con il terzo motivo di ricorso e' stato dedotto vizio della motivazione in ordine alla richiesta di rinnovazione dibattimentale articolata in primo grado e confermata in appello con nullita' delle ordinanze del 04/06/2020 e 16/07/2020, nonche' violazione di legge ex articolo 430 e 507 c.p.p.; per verificare l'effettiva attendibilita' della parte civile sarebbe stato necessario sentire (OMISSIS), un imprenditore al quale sarebbero stati richiesti lavori di ristrutturazione per importi consistenti che avrebbero rappresentato la causa di indebitamento che portava all'accesso ai prestiti ad usura, nonostante questo soggetto fosse stato identificato dalla difesa il Tribunale aveva rigettato la richiesta in considerazione della difficolta' di identificazione; nello stesso senso veniva apoditticamente rigettata la richiesta di sentire il M.llo (OMISSIS). 3.4. Con il quarto motivo di ricorso veniva dedotta omessa motivazione in relazione alle doglianze difensive che erano state formulate circa l'insussistenza di adeguati riscontri esterni o circa la sussistenza di riscontri negativi alle dichiarazioni accusatorie; il richiamo a messaggi whatsapp non appare sufficiente; ed anzi la Corte di appello ha del tutto omesso di considerare la versione alternativa fornita dall'imputato, secondo la quale era stata consegnata al (OMISSIS) solo una minima somma di denaro pari a 2000 Euro al fine di far assumere suo figlio; solo a causa dell'inadempimento del (OMISSIS) aveva deciso di chiedere la restituzione di tale somma; l'insieme di elementi allegati dalla difesa non e' stato in alcun modo considerato dalla Corte di appello (presenza del (OMISSIS) sul luogo di lavoro del (OMISSIS), matrici degli assegni circolari che smentiscono gli importi indicati dal (OMISSIS); assenza di operazioni bancarie che possano dimostrare un prelievo per circa ventimila Euro da parte del (OMISSIS); mancanza di qualsiasi attivita' di compravendita in capo al (OMISSIS) per poter rimediare la somma indicata di ventimila Euro. 3.5. Con il quinto motivo di ricorso e' stato dedotto vizio della motivazione e conseguente nullita' dell'ordinanza con la quale era stata rigettata la richiesta di perizia tecnico-bancaria per accertare il tasso effettivo, asseritamente, praticato; cio' soprattutto considerata la ritrattazione degli importi indicati dal (OMISSIS), che aveva indicato in dibattimento il profitto in ventitremila Euro anziche' settantaquattromila come inizialmente indicato. 3.6. Con il sesto motivo di ricorso e' stato dedotto vizio della motivazione attesa la mancanza di adeguata motivazione quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche e al trattamento sanzionatorio, ampiamente al di sopra della media edittale, con conseguente violazione di legge sul punto. 4. Ricorso (OMISSIS). 4.1. Con il primo motivo di ricorso e' stata dedotta mancanza ed evidente illogicita' della motivazione nell'affermare la responsabilita' della ricorrente per i delitti alla stessa ascritti; la sentenza non avrebbe fatto buon governo della regola probatoria di cui all'articolo 192 c.p.p., sia quanto alle dichiarazioni delle persone offese, che dei testi, con conseguente travisamento della prova. 4.2. Con il secondo motivo di ricorso e' stato dedotto vizio della motivazione perche' palesemente illogica con conseguente travisamento della prova quanto all'affermata responsabilita' della ricorrente per il delitto di tentata estorsione di cui al capo 12), attesa la assoluta mancanza di qualsiasi consapevolezza da parte della ricorrente della presenza di un bastone nell'auto della madre, tanto da poter ritenere un cosciente concorso della (OMISSIS) nella condotta della madre nonostante si fosse allontanata per andare a prendere la figlia a scuola; 4.3. Con il terzo motivo di ricorso e' stato dedotto vizio della motivazione per palese illogicita' e travisamento della prova con riferimento alla ritenuta sussistenza delle aggravanti di cui al capo 12, con particolare riferimento alle piu' persone riunite e all'uso di un'arma: tali aggravanti sono state ritenute con una deduzione palesemente illogica, collegata alla indimostrata consapevolezza da parte della ricorrente della presenza di un bastone all'interno dell'auto, considerato che nel momento in cui sua madre lo aveva tirato fuori si era allontanata per andare a prendere la figlia a scuola. 4.4. Con il quarto motivo e' stata dedotta assenza totale di motivazione in ordine alla determinazione della pena, avendo omesso il Tribunale di quantificare la riduzione per il tentativo e gli aumenti per le ritenute aggravanti. 4.5. Con il quinto motivo di ricorso e' stata dedotta contraddittorieta' e palese illogicita' della motivazione e travisamento della prova in relazione alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche e al conseguente mancato giudizio di bilanciamento con le aggravanti contestate, in assenza di qualsiasi risposta alle deduzioni difensive sul punto. 5. Il Procuratore generale ha concluso chiedendo che i ricorsi vengano di chiarati inammissibili. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi sono inammissibili perche' propositi con motivi manifestamente infondati, non consentiti e generici. 2. Ricorso (OMISSIS). 2.1. Il primo, secondo e quarto motivo di ricorso possono essere trattati congiuntamente essendo riferibili complessivamente al tema dell'attendibilita' delle prove testimoniali acquisite, con particolare riferimento alla persona offesa, (OMISSIS) ed alla sorella dello stesso, (OMISSIS), anche in considerazione delle allegazioni difensive in senso contrario proposte con l'atto di appello. I motivi, che sono all'evidenza volti a proporre una lettura del merito alternativa a quella realizzata dai giudici di merito, non consentita in questa sede, si caratterizzano inoltre per genericita' ed aspecificita'. La mancanza di specificita' del motivo, infatti, deve essere apprezzata non solo per la sua genericita', come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di mancanza di specificita', conducente, a norma dell'articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c), all'inammissibilita' (cfr. Sez.4, n. 256 del 18/09/1997, Ahmetovic, Rv. 210157-02; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, Scicchitano, Rv. 236945-01; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568-01; Sez. 2, n. 11951 del 20/01/2014, Lavorato, Rv. 259435-01; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Botartour Sami, Rv. 277710 -01). La difesa si e' limitata a proporre una lettura alternativa dell'insieme degli elementi acquisiti in giudizio, sebbene questa Corte abbia ripetutamente affermato che e' preclusa la possibilita' di una nuova valutazione delle risultanze acquisite da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito attraverso una diversa ed alternativa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilita' delle fonti di prova (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217-01, Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, Barraglia, Rv. 275100-01, Sez. 4, 1219 del 14/09/2017, Colomberotto, Rv. 271702-01, Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Ferri, Rv. 277758-01, Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217-01; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482-01; Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, Battaglia, Rv. 275100-01). Sono, dunque, inammissibili nel giudizio di legittimita', tutte quelle censure che attengono a vizi diversi dalla mancanza di motivazione, dalla sua manifesta illogicita', dalla sua contraddittorieta' (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo. Da cio' consegue l'inammissibilita' di tutte le doglianze che criticano la persuasivita', l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualita', la stessa illogicita' quando non manifesta, cosi' come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilita', della credibilita', dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento, rappresentando tutto cio' una non ammissibile interferenza con la valutazione del fatto riservata al giudice del merito (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747-01, Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965-01). Nel caso di specie, la Corte di appello, con pronuncia conforme al giudice di primo grado, ha ampiamente ricostruito il contesto nell'ambito del quale maturavano le condotte contestate al (OMISSIS), oltre alla portata estremamente significativa delle dichiarazioni rese da (OMISSIS) e dalla sorella dello stesso (OMISSIS), proprio in relazione all'identico motivo posto in appello e reiterato in questa sede (pag. 11). Nell'ambito del motivo di ricorso per cassazione la difesa contesta la lettura dei rapporti intercorsi tra la persona offesa e il (OMISSIS) in modo del tutto assertivo e generico, senza tuttavia fornire elementi significativi in senso contrario. Il motivo di ricorso si caratterizza oggettivamente per la sua reiterativita', senza in alcun modo confrontarsi con la motivazione della Corte di appello, che ha persuasivamente condiviso la ricostruzione dei rapporti del (OMISSIS) con il (OMISSIS), ha richiamato la presenza di captazioni tra i due (dal contenuto estremamente significativo anche per la loro collocazione temporale, ovvero il momento in cui la persona offesa non riusciva piu' ad adempiere gli accordi conclusi in precedenza, con rinegoziazione del precedente accordo), il collegamento sussistente tra la vendita dei due appartamenti con il prestito di denaro, il coinvolgimento nell'articolata operazione anche della sorella del (OMISSIS), le caratteristiche del prestito e la portata estremamente significativa del tasso usurario praticato. Anche il tema relativo ad eventuali discrasie nella portata delle dichiarazioni dibattimentali rispetto alle dichiarazioni rese in sede di indagine e' stato affrontato in modo persuasivo dalla Corte di appello (che ha tra l'altro evidenziato il fatto che il (OMISSIS) ha reso dichiarazioni anche favorevoli al (OMISSIS)), con cio' pienamente confermando la decisione del primo giudice, e con tale motivazione il ricorrente non si confronta. Contrariamente a quanto dedotto dalla difesa in questa sede, in modo del tutto assertivo, la Corte di appello ha anche fornito un'adeguata e logica motivazione quanto alla ricostruzione del ruolo di (OMISSIS) con motivazione del tutto conforme al giudice di primo grado ed ha precisato come gli altri elementi dedotti, anche quanto alla posizione del (OMISSIS) e al coinvolgimento dello stesso nei fatti imputati, fossero del tutto estranei al tema dei rapporti complessivamente intrattenuti con il (OMISSIS). Nello stesso senso si deve rilevare la compiuta analisi e considerazione delle dichiarazioni rese dalla (OMISSIS), la loro particolare specificita', il coinvolgimento della stessa nell'insieme di vendite volte ad estinguere il debito usurario contratto dal fratello, la compiuta conoscenza della situazione del fratello con il (OMISSIS) solo in epoca prossima alla presentazione della denuncia. Anche in questo caso il ricorrente non si confronta con la decisione limitandosi ad allegare elementi letti in modo parcellizzato, senza reale considerazione della decisione conforme resa dal giudice di appello rispetto all'amplissima considerazione delle risultanze dibattimentali da parte del giudice di primo grado. In tal senso, si deve ricordare che la sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo, specie quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze gia' esaminate e ampiamente chiarite nella pronuncia di primo grado (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218-01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595-01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, Valerio, Rv. 252615-01; Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, Musumeci, Rv. 191229-01). Pertanto, in presenza di una doppia conforme anche nell'iter motivazionale, il giudice di appello non e' tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente ogni risultanza processuale, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale, egli spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente i fatti decisivi. Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le argomentazioni che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Cammi, Rv. 277593-01; Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, Amaniera, Rv. 260841-01). Neanche la mancata enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie, con riguardo all'accertamento dei fatti e delle circostanze che si riferiscono all'imputazione, determina la nullita' della sentenza d'appello per mancanza di motivazione, se tali prove non risultano decisive e se il vaglio sulla loro attendibilita' possa comunque essere ricavato per relationem dalla lettura della motivazione (Sez. 3, n. 8065 del 21/09/2018, C., Rv. 275853-01): cio' e' all'evidenza riscontrabile nella sentenza impugnata, che ha esaminato ed espressamente confutato le deduzioni difensive negli aspetti fondamentali sollevati con motivazione congrua, articolata logicamente e priva di aporie. 2.2. Il terzo e quinto motivo di ricorso si caratterizzano per essere del tutto reiterativi rispetto agli identici motivi di appello e, in quanto tali, generici e non consentiti. Deve essere, in tal senso, ribadito il principio di diritto affermato da questa Corte secondo il quale e' inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilita' delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericita' delle doglianze che, cosi' prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo, Rv. 260608-01). La giurisprudenza di legittimita' ha, infatti, chiarito che il ricorso di cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l'appello, e motivatamente respinti in secondo grado, non si confronta criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato, ma si limita, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicita' della motivazione (Sez.2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970-01). Il giudice di appello ha, difatti, pienamente condiviso la considerazione del primo giudice sul punto; ha articolato autonome valutazioni, richiamando tra l'altro la possibilita' di un inserimento in lista testimoniale di tali soggetti, espletamento difensivo non realizzato a suo tempo, ha esplicitamente ritenuto non assolutamente necessarie al fine del decidere le richieste di rinnovazione istruttoria, sia quanto all'esame testimoniale che ad una eventuale perizia tecnica. Con tale logica motivazione, che non si presta a censure, il ricorrente non si confronta affatto, limitandosi a reiterare le proprie istanze, compiutamente disattese. 2.3. Il sesto motivo di ricorso e' manifestamente infondato. Anche in questo caso il ricorrente non si confronta con la motivazione della Corte di appello, che, quanto alla dosimetria della pena e alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, non solo ha condiviso la decisione del giudice di primo grado, ma ha speso autonome considerazioni evidenziando e sottolineando la particolare gravita' delle condotte accertate a carico dei ricorrenti, la protrazione delle condotte per un lasso temporale consistente, l'entita' del pregiudizio arrecato e la particolare intensita' del dolo desunta dall'insieme delle circostanze provate ed accertate nel corso del giudizio, anche in considerazione del conclamato stato di difficolta' economica della persona offesa. Ricorre dunque una specifica, logica e persuasiva motivazione, sia quanto al discostamento della pena dal minimo edittale che quanto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. In tal senso, occorre ricordare che il giudice nel realizzare il giudizio di determinazione della pena non e' tenuto ad una analitica enunciazione di tutti gli elementi presi in considerazione, ma puo' limitarsi alla sola enunciazione di quelli determinanti per la soluzione adottata, la quale e' insindacabile in sede di legittimita' qualora sia immune da vizi logici di ragionamento. (Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, S., Rv. 269196-01, Sez. 5, n'intervenuta prescrizi. 5582 del 30/09/2013, Ferrario, Rv. 259142-01, Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007, Cilia, Rv. 238851-01). La Corte di appello ha motivato in modo persuasivo su ogni punto nuovamente dedotto in questa sede, in modo del tutto identico al motivo di appello, connotando in modo estremamente negativo le condotte accertate, considerandone la particolare gravita' e conseguentemente escludendo anche la concessione di benefici. 3. Ricorso (OMISSIS). 3.1. Il primo motivo di ricorso non e' consentito. Anche in questo caso la ricorrente, a fronte di un articolato, logico ed approfondito percorso argomentativo della Corte di appello, omette di confrontarsi con la decisione e si limita, tra l'altro in modo reiterativo, a riproporre le proprie argomentazioni difensive al fine di giungere ad una lettura alternativa del merito non consentita in questa sede (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217-01, Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, Barraglia, Rv. 275100-01, Sez. 4, 1219 del 14/09/2017, Colomberotto, Rv. 271702-01, Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Ferri, Rv. 277758-01, Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 26921701; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482-01; Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, Battaglia, Rv. 275100-01). E', dunque, inammissibile la censura cosi' introdotta, atteso che, nonostante il formale e del tutto generico richiamo all'articolo 192 c.p.p., di fatto si limita, con allegazioni del tutto astratte dal contesto motivazionale, a criticare la persuasivita', l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualita', la stessa illogicita' della sentenza, cosi' sollecitando una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziando ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilita', della credibilita', dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento. Tutto cio' rappresenta, all'evidenza, una non ammissibile interferenza con la valutazione del fatto riservata al giudice del merito (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747-01, Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965-01). Nel caso di specie, la Corte di appello, con pronuncia conforme al giudice di primo grado, ha ampiamente ricostruito il contesto nell'ambito del quale maturavano le condotte imputate alla (OMISSIS), con un esito probatorio consistentissimo e ampiamente riscontrato da una pluralita' di elementi, nonostante le generiche asserzioni articolate dalla difesa. In tal senso deve essere richiamata non solo l'approfondita analisi, tra l'altro in senso del tutto conforme al giudice di primo grado, delle dichiarazioni delle persone offese, ma anche i numerosi elementi di riscontro, tenuto conto delle registrazioni di dialoghi tra presenti effettuati dalla Boriello ed acquisite agli atti (che chiarivano portata e consistenza delle condotte imputate in considerazione delle richieste poste in essere dalla ricorrente e dalla madre della stessa, oltre che i comportamenti a carattere chiaramente intimidatorio, anche in considerazione dei legami familiari e parafamiliari vantati dalla (OMISSIS)). Il giudice di secondo grado ha poi ampiamente motivato, in assenza di aporie, nel richiamare ulteriori elementi di prova a chiaro riscontro della versione fornita dalle persone offesa, tenuto conto delle dichiarazioni della (OMISSIS), e dei colleghi di lavoro del (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS) 3.2. Il secondo e terzo motivo di ricorso non sono consentiti. Come gia' evidenziato dalla Corte di appello il tema relativo alla responsabilita' della (OMISSIS) per il capo 12) non e' stato oggetto di motivo di appello. Deve, conseguentemente, essere riscontrata un'interruzione della catena devolutiva sul punto, che non puo' essere recuperata in questa sede, attesa portata e connotazione del giudizio di legittimita'. Ne' puo' ritenersi in tal senso il carattere devolutivo del mero richiamo alle aggravanti computate, gia' genericamente proposto in appello, riferibile solo ed esclusivamente al tema della complessiva dosimetria della pena. In tal senso occorre ricordare che secondo il diritto vivente, alla luce di quanto disposto dall'articolo 609 c.p.p., comma 2, non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare perche' non devolute alla sua cognizione, ad eccezione di quelle rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio e di quelle che non sarebbe stato possibile proporre in precedenza (Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, Furlan, Rv. 276062-01, in motivazione; Sez. 3, n. 57116 del 29/09/2017, B., Rv. 27186901; Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Galdi, Rv. 270316-01; Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, Bolognese, Rv. 269745-01; Sez. 2, n. 8890 del 31/01/2017, Li Vigni, Rv. 269368-01; Sez. 3, n. 16610 del 24/01/2017, Costa, Rv. 269632-01). 3.3. Deve, infine, essere rilevata la aspecificita' e genericita' del quarto e quinto motivo di ricorso in tema di dosimetria della pena e mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. In via preliminare, occorre osservare come la parte ricorrente introduca in questa sede sia temi non proposti quanto alla riduzione della pena e bilanciamento delle circostanze, che argomenti del tutto reiterativi del motivo di appello, quanto alle circostanze attenuanti generiche, in mancanza di confronto con la decisione di appello. Motivi, dunque, non consentiti sia perche' non devoluti, che perche' del tutto reiterativi. Anche in questo caso la ricorrente non si confronta con la motivazione della Corte di appello, che, quanto alla dosimetria della pena e alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, non solo ha condiviso la decisione del giudice di primo grado, ma ha speso autonome considerazioni evidenziando e sottolineando la particolare gravita' delle condotte accertate a carico dei ricorrenti, la protrazione delle condotte per un lasso temporale consistente, l'entita' del pregiudizio arrecato e la particolare intensita' del dolo desunta dall'insieme delle circostanze provate ed accertate nel corso del giudizio, anche in considerazione del conclamato stato di difficolta' economica della persona offesa. Ricorre, dunque, una specifica, logica e persuasiva motivazione, sia quanto al discostamento della pena dal minimo edittale che quanto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. In tal senso, occorre ricordare che il giudice nel realizzare il giudizio di determinazione della pena non e' tenuto ad una analitica enunciazione di tutti gli elementi presi in considerazione, ma puo' limitarsi alla sola enunciazione di quelli determinanti per la soluzione adottata, la quale e' insindacabile in sede di legittimita' qualora sia immune da vizi logici di ragionamento. (Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, S., Rv. 269196-01, Sez. 5, n'intervenuta prescrizi. 5582 del 30/09/2013, Ferrario, Rv. 259142-01, Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007, Cilia, Rv. 238851-01). La Corte di appello ha motivato in modo persuasivo su ogni punto dedotto in questa sede, connotando in modo estremamente negativo le condotte accertate, considerandone la particolare gravita' e conseguentemente escludendo anche la concessione di benefici, non potendo essere ritenuto risolutivo lo stato di incensuratezza o l'atteggiamento tenuto nel corso del procedimento. 4. All'inammissibilita' dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed alla somma, ritenuta congrua, di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. La sola (OMISSIS) (atteso il richiamo ad una soluzione transattiva risarcitoria raggiunta tra le parti quanto al (OMISSIS)) deve essere inoltre condannata alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che liquida in complessivi Euro 5.247,00 oltre accessori di legge. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende, nonche' la sola (OMISSIS) alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che liquida in complessivi Euro 5.247,00 oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI STEFANO Pierluigi - Presidente Dott. RICCIARELLI Massi - rel. Consigliere Dott. VILLONI Orlando - Consigliere Dott. CALVANESE Ersilia - Consigliere Dott. DI NICOLA TRAV.P. - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); (OMISSIS), nato il (OMISSIS); (OMISSIS), nato il (OMISSIS); (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la sentenza in data 14/06/2022 della Corte di appello di Catanzaro; visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Massimo Ricciarelli; udita la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Giuseppe Riccardi, che ha concluso per l'inammissibilita' dei ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) e per l'inammissibilita' dei ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS); udito l'Avv. (OMISSIS) per la parte civile, che ha depositato le conclusioni e la nota spese; uditi i difensori, Avv. (OMISSIS) e (OMISSIS) per (OMISSIS), Avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), i Avv. (OMISSIS) per (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), che hanno chiesto l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 14/06/2022 la Corte di appello di Catanzaro, in parziale riforma di quella del Tribunale di Vibo Valentia del 27/03/2019, ha prosciolto per intervenuta prescrizione (OMISSIS) dal reato di estorsione di cui al capo C), confermando la condanna dello stesso (OMISSIS) per il reato di usura di cui al capo B), quella di (OMISSIS) per il reato di cui all'articolo 31.9-quater c.p.. cosi' gia' riqualificato il capo D), e per il reato di corruzione di cui al capo quella di (OMISSIS) e di (OMISSIS) per i reati di cui all' articolo 513-bis e articoli 56, 629 c.p. aggravati ai sensi della L. 203 del 1991, articolo 7, contestati ai capi a) e b), del riunito procedimento n 419/14, rideterminando le pene nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e confermando quella irrogata a (OMISSIS). 2. Ha proposto ricorso (OMISSIS), che ha rinunciato alla prescrizione, tramite i suoi difensori, Avv. (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS). 2.1. Dopo un'ampia ricognizione degli elementi valorizzati nelle sentenze di merito e di quelli invocati a discolpa, con il primo motivo deduce mancanza e vizio di motivazione in ordine alla credibilita' intrinseca della persona offesa (OMISSIS) in relazione al capo D). La Corte si era limitata ad una sintetica valutazione di attendibilita' del dichiarante nonostante l'andamento discontinuo e contraddittorio delle sue dichiarazioni in ordine al fatto di aver rimesso la querela a seguito di pressioni di (OMISSIS) o a seguito delle ammissioni fatte da (OMISSIS), al cospetto di (OMISSIS). Nell'omettere una rigorosa valutazione, la Corte aveva anche disatteso l'indicazione di rinvenire riscontri a conferma delle dichiarazioni della persona offesa, costituitasi parte civile. 2.2. Con il secondo motivo denuncia vizio di motivazione in relazione alla credibilita' estrinseca di (OMISSIS) e all'affermazione di penale responsabilita' in presenza di prova contraddittoria e incerta con riguardo al capo D). Contesta la valutazione della Corte incentrata sulla conferma riveniente dalla conversazione intercettata, nella quale Punita avrebbe descritto la vicenda in termini sovrapponibili. La sentenza impugnata non si era confrontata con due elementi difensivamente dedotti, le dichiarazioni di (OMISSIS), che aveva negato la condotta minacciosa e attribuito a (OMISSIS) un ruolo di paciere, e la relazione di servizio di (OMISSIS), redatta il giorno in cui (OMISSIS) lo aveva telefonicamente contattato per dolersi della minaccia di (OMISSIS). Le dichiarazioni di (OMISSIS) erano da sole idonee a smentire le accuse, ma la Corte si era limitata a prenderne atto senza motivare sulla loro valenza e attendibilita', cio' che aveva comportato una condanna resa in presenza di una situazione di ragionevole dubbio. Quanto alla relazione di servizio nella quale si dava conto della minaccia segnalata da (OMISSIS), la Corte aveva ritenuto rilevante la conversazione intercettata nella quale (OMISSIS) aveva affermato di essere stato contattato da (OMISSIS), che nella relazione di servizio aveva invece affermato di aver ricevuto una telefonata da (OMISSIS). Ma si trattava di profilo irrilevante, al fine di stabilire se vi fosse stata o meno da parte di (OMISSIS), una minaccia, in concreto esclusa da (OMISSIS). 2.3. Con il terzo motivo denuncia vizio di motivazione in odine all'elemento materiale del reato di cui all'articolo 319-quater c.p., a fronte delle dichiarazioni spontanee del ricorrente e della documentazione difensiva prodotta. La Corte non aveva dato conto dell'abuso induttivo attribuibile a (OMISSIS) e non si era confrontata con le dichiarazioni spontanee di costui, volte a ricostruire la vicenda e con la documentazione prodotta, da cui risultavano equi controlli nei confronti di (OMISSIS) e di (OMISSIS), anche successivi alla denuncia, circostanza in contrasto con l'asserita pressione sottesa alla prospettazione di "scrivere contro" (OMISSIS), nel caso di mancata remissione della denuncia contro (OMISSIS). In realta' il ricorrente si era adoperato per una bonaria composizione dei dissidi privati, da ritenersi del tutto legittima. 2.4. Con il quarto motivo deduce vizio di motivazione in relazione alla condotta abusiva di (OMISSIS). Per quanto gia' rilevato non avrebbe potuto configurarsi un abuso di poteri o della funzione e tutt'al piu' avrebbe potuto ricondursi la condotta nell'alveo della previsione dell'articolo 323 c.p., prima della recente riforma della fattispecie, dovendosi comunque escludere una condotta contra legem o praeter legem. 2.5. Con il quinto motivo deduce vizio di motivazione con riguardo al capo E), in relazione ai mancati accertamenti bancari per verificare il versamento di somma da parte di (OMISSIS) ed ai contatti telefonici tra (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche' in relazione alla testimonianza di (OMISSIS) e al travisamento della conversazione tra (OMISSIS) e (OMISSIS). La Corte aveva omesso un'adeguata verifica della valenza di conversazioni che non vedevano tra i conversanti il ricorrente. Alla conversazione del (OMISSIS), in cui si parlava della dazione di 16/17 mila Euro, non erano seguiti i necessari accertamenti bancari, mentre non erano stati verificati contatti telefonici attraverso l'acquisizione dei tabulati. Relativamente alla conversazione del (OMISSIS) tra (OMISSIS) e (OMISSIS), la Corte aveva travisato il senso della stessa a fronte di quanto riferito sul punto dal teste (OMISSIS), non in grado di spiegare la responsabilita' del ricorrente per il rapporto corruttivo con (OMISSIS). Relativamente alla conversazione del (OMISSIS) tra (OMISSIS) e (OMISSIS), la Corte aveva dato rilievo ad una parte di essa, senza considerare la parte successiva, nella quale (OMISSIS) aveva riferito il rapporto tra (OMISSIS) e (OMISSIS) ai rapporti di ufficio che si tengono con gli istituti di vigilanza. 2.6. Con il sesto motivo deduce mancanza di motivazione in ordine all'attendibilita' delle conversazioni intercettate di (OMISSIS), in assenza di confronto con le doglianze difensive. Era stata contestata l'attendibilita' delle affermazioni di (OMISSIS) che non solo aveva detto di aver versato somme a (OMISSIS), ma aveva anche prospettato di poter chiamare noti personaggi politici e aveva sostenuto di aver fatto avere a (OMISSIS) dei giorni di malattia: la Corte aveva illogicamente ritenuto che il riferimento ai personaggi politici fosse un dato neutro, mentre con riguardo ai giorni di malattia, circostanza esclusa dal Dott. (OMISSIS), la Corte aveva ritenuto che il predetto non era l'unico medico che poteva effettuare un accertamento, senza peraltro aver dato seguito alla richiesta di approfondire il tema presso l'ufficio personale della Questura. 2.7. Con il settimo motivo denuncia vizio di motivazione in ordine alla vicenda Ecoscark e all'omessa motivazione sulla produzione documentale. La Corte aveva indebitamente collegato la vicenda al capo D), incentrato sulla remissione di querela, senza che quest'ultima sia menzionata nel capo E). In ogni caso la vicenda Ecoscark non era riconducibile ad un rapporto corruttivo. La Corte aveva motivato contraddittoriamente, in quanto dopo aver descritto l'operato di (OMISSIS), conforme alle regole e all'incarico affidatogli, aveva apoditticamente affermato che si era trattato di attivita' istituzionale finalizzata a favorire (OMISSIS), senza peraltro confrontarsi con la documentazione prodotta. 3. Ha proposto ricorso (OMISSIS) con atti separati a firma dei suoi difensori. 3.1. Nel ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS), con il primo motivo si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita' per il delitto di usura. La Corte si era fondata sulle sole dichiarazioni della persona offesa senza averne valutato l'attendibilita' e in assenza di idonei riscontri e di conversazioni intercettate o di conclusioni di tipo peritale. Era stata omessa una verifica dei conti correnti e della concreta partita contabile costituita da assegni ma anche da erogazioni in contanti. Era incerto il rapporto di finanziamento della somma di Euro 10.000,00, protrattosi dal 2003 al 2008. Cio' valeva con riguardo alle tre operazioni nelle quali si era suddivisa la vicenda in base al rinnovo del prestito accompagnato dalla pattuizione di interessi, vicenda risultante solo dalle dichiarazioni generiche e non riscontrate della persona offesa, costituitasi parte civile. 3.2. Con il secondo motivo si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alle circostanze aggravanti contestate. La Corte aveva del tutto omesso di dar conto delle ragioni per cui erano state applicate le aggravanti relative al delitto in danno di esercente attivita' imprenditoriale e in stato di bisogno. 3.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio e al diniego delle attenuanti generiche. La Corte non aveva fornito una idonea e completa motivazione in ordine alla pena irrogata e non aveva adeguatamente giustificato il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, facendo riferimento ad un unico elemento, a fronte del fatto che non erano emerse altre condotte illecite dopo il 2008. 3.4. Nel ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS), con il primo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione con travisamento della prova in ordine alle ipotesi di usura di cui al capo B). Nel trattare congiuntamente anche di ipotesi di minaccia estorsiva, il ricorrente segnala che la condanna si era basata solo sulle dichiarazioni della persona offesa (OMISSIS), a fronte di una riduttiva indagine conoscitiva e di un'imprecisa ricostruzione del contenuto delle prove, in assenza di indagini bancarie e di verifiche peritali. Il motivo si sviluppa poi con riferimento alla tripartizione delle condotte di usura con cadenze e argomenti corrispondenti al primo motivo del ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS). 3.5. Con il secondo motivo si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alle contestate e ritenute aggravanti. La Corte non aveva fornito motivazione a sostegno delle aggravanti del fatto in danno di esercente attivita' imprenditoriale e in stato di bisogno. 3.6. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge e Vizio di motivazione in relazione agli articoli 62-bis, 69 e 133 c.p. Anche in questo caso sono formulati argomenti che riflettono temi e cadenze del terzo motivo del ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS). 4. Ha proposto ricorso (OMISSIS) tramite il difensore, Avv. (OMISSIS). 4.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge e difetto di motivazione in relazione agli articoli 210, 64 e 197-bis c.p.p. e all'inutilizzabilita' delle dichiarazioni di (OMISSIS). Posto che (OMISSIS) aveva segnalato di aver ricevuto dall'Avv. (OMISSIS) e da un poliziotto l'offerta di una grossa cifra, perche' non deponesse, da cio' era nato un procedimento a carico di (OMISSIS) per calunnia, reato che aveva formato oggetto di decreto di rinvio a giudizio. A fronte di cio' la Corte aveva omesso di. motivare sul collegamento probatorio esistente tra il reato di calunnia e quelli oggetto del presente processo, collegamento alla cui stregua avrebbe dovuto applicarsi l'articolo 210 c.p.p., chiedendo al dichiarante se intendesse o meno avvalersi della facolta' di non rispondere: in mancanza di cio' la deposizione deve ritenersi inutilizzabile. 4.2. Con il secondo motivo denuncia violazione di legge in relazione alla configurabilita' dei reati di cui agli articoli 513-bis e 56, 629 c.p.. Era stato segnalato che la minaccia aveva riguardato soggetti estranei alla persona offesa, nei cui confronti avrebbero dovuto collocarsi le bombe, non potendosi dunque ritenere lesa la liberta' della persona offesa. La motivazione sul punto faceva riferimento alla perdita dei contratti che (OMISSIS), avrebbe potuto subire, ma non era stato spiegato perche' i danneggiamenti ad attivita' commerciali potessero determinare l'interruzione dei rapporti contrattuali, fermo restando che si trattava di circostanza non emersa nell'istruttoria dibattimentale. Era semmai ravvisabile in luogo della tentata estorsione, il delitto di tentata violenza privata, trattandosi di condotta minacciosa finalisticamente diretta a privare la persona offesa delle iniziative legali nei confronti di (OMISSIS). Relativamente all'ulteriore delitto contestato, che richiede condotta volta a scoraggiare l'altrui concorrenza con violenza o minaccia ed e' collocato tra i delitti a tutela dell'ordine economico, esso non e' ravvisabile se la limitazione della liberta' di concorrenza e' solo la mira teleologica dell'agente. La Corte aveva dato rilievo al fatto che il ricorrente avrebbe rivolto minacce alle guardie giurate di (OMISSIS), dicendo che (OMISSIS) non doveva lavorare, e si sarebbe recato presso gli esercizi commerciali per conto dei quali (OMISSIS), svolgeva servizio di vigilanza, dicendo di non sottoscrivere il contratto con il predetto. Ma la Corte non aveva indicato gli elementi di prova e aveva fatto riferimento a condotte di (OMISSIS), nei confronti delle guardie giurate, senza alcuna formale contestazione e senza indicazione dei nomi delle guardie giurate. 4.3. Con il terzo motivo denuncia vizio di motivazione in relazione agli articoli 513-bis e 56, 629 e difetto di motivazione in ordine alla responsabilita' concorsuale. La Corte non aveva attribuito al ricorrente alcuna concreta azione che potesse integrare il concorso nei reati, non essendo sufficiente la presenza fisica, fermo restando che nessuna condotta aveva al riguardo descritto la persona offesa, al di la' della mera connivenza. 4.4. Con il quarto motivo denuncia vizio di motivazione in ordine alla valutazione della testimonianza della persona offesa. La Corte non aveva tenuto conto degli elementi che attestavano la litigiosita' tra (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche' la circostanza che la persona offesa era imputato per calunnia in danno dell'Avv. (OMISSIS) e l'ulteriore circostanza che, per quanto riferito dal Pubblico ministero, il predetto era stato sottoposto ad indagini per accesso abusivo allo S.D.I. Le dichiarazioni di (OMISSIS) avrebbero dunque avuto la necessita' di riscontri che la Corte non aveva indicato, non risultando che (OMISSIS) avesse ricevuto da (OMISSIS) confidenze sulle minacce ricevute. 4.5. Con il quinto motivo deduce violazione di legge e travisamento della prova in relazione all'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p.. La minaccia della collocazione di ordigni esplosivi non aveva a che fare con la persona di (OMISSIS) ma semmai con gli esercizi commerciali e non poteva ingenerare timore particolare nella persona offesa. Non ricorreva dunque la contestata aggravante, implicante l'ulteriore condizione di soggezione legata all'evocazione dell'organizzazione mafiosa. 5. Ha presentato ricorso (OMISSIS), tramite i difensori, Avv. (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS). 5.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla valutazione della prova. La Corte non aveva debitamente vagliato l'attendibilita' della persona offesa, costituita parte civile, avendo semplicemente richiamato la valutazione formulata con riguardo all'attendibilita' del dichiarante in ordine ad altri reati commessi in diverso contesto, a fronte di doglianze incentrate non solo sull'importo e la data dell'assegno, ma anche su altri profili, a cominciare dal mancato riconoscimento in aula dell'imputato (OMISSIS), che era dunque dubbio potesse aver ingenerato una condizione di timore. 5.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all'aggravante di cui alla L. 203 del 1991, articolo 7. Erroneamente era stato ritenuto sussistente il metodo mafioso, a fronte del fatto che l'atteggiamento minatorio non era stato avvertito dal teste (OMISSIS), secondo il quale la persona offesa era nervosa perche' non aveva i soldi per pagare le divise, cosicche' sul punto le dichiarazioni cali (OMISSIS), pur reputato attendibile,non valevano a riscontrare la persona offesa, di cui peraltro non era stato valutato il risentimento verso il coimputato (OMISSIS). 5.3. Con il terzo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'articolo 533 c.p.p.. La Corte aveva omesso di conformarsi alla regola di giudizio dell'oltre ogni ragionevole dubbio, non fornendo una motivazione in merito alla capacita' del compendio probatorio di soddisfare lo standard richiesto per eliminare ogni dubbio. 5.4. Con il quarto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli articoli 62-bis, 69 e 133 c.p.. La Corte aveva omesso di motivare in ordine al diniego delle attenuanti generiche, non fornendo spiegazione circa la sussistenza di prevalenti elementi ostativi. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. Il ricorso presentato nell'interesse di (OMISSIS) e' nel suo complesso infondato. 2. E' in particolare infondato il primo motivo, incentrato sull'attendibilita' del dichiarante. La Corte territoriale ha dato conto delle deduzioni difensive, ma ha ritenuto di condividere le valutazioni del primo Giudice in ordine all'attendibilita' di (OMISSIS), di cui e' stata segnalata la peculiare condizione esistenziale e sono stati illustrati i tratti di personalita' nonche' l'uso di toni talvolta polemici e talvolta ironici, al fine di inquadrare la sua deposizione e la sostanziale coerenza del suo racconto. In particolare, la Corte ha inteso suffragare il giudizio del Tribunale fondato su un'attenta valutazione del problematico andamento della deposizione di (OMISSIS), in un primo momento dichiaratosi non disponibile al controesame, ma successivamente sottopostovisi, senza mutare la sostanza della sua narrazione. D'altro canto, sia il Tribunale sia la Corte hanno riportato alcuni passaggi della deposizione, in modo da far comprendere la reale dinamica della testimonianza, a fronte delle domande via via formulate dalle parti, giungendo alla non illogica conclusione della rappresentazione da parte di (OMISSIS) di un quadro coerente e credibile, connotato dal decisivo intervento di (OMISSIS), volto a convincere il predetto a ritirare la denuncia presentata contro (OMISSIS). Ne' possono dirsi idonee a sovvertire tale valutazione le deduzioni difensive incentrate su profili di apparente contraddittorieta', in quanto i giudici di merito hanno valutato il complesso della testimonianza, nel corso della quale (OMISSIS) ha dichiarato di aver ricevuto pressioni da (OMISSIS) e nel contempo ha affermato di aver voluto che (OMISSIS) ribadisse al cospetto del predetto le minacce rivoltegli, fermo restando che egli ha comunque ricondotto l'intero sviluppo della vicenda alle richieste di (OMISSIS) e alle sollecitazioni da lui rivoltegli, evocando la prospettiva di segnalazioni e relazioni sfavorevoli nell'ambito dei compiti di Polizia amministrativa ("scrivere contro"), affinche' si convincesse a rimettere la querela. In tal modo deve escludersi che i Giudici di merito si siano sottratti al compito di scrutinare rigorosamente la credibilita' del dichiarante e l'attendibilita' intrinseca della dichiarazione, in conformita' con il costante orientamento secondo cui "la deposizione della persona offesa puo' essere assunta, anche da sola, come prova della responsabilita' dell'imputato, purche' sia sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilita' e senza la necessita' di applicare le regole probatorie di cui all'articolo 192 c.p.p., commi 3 e 4, che richiedono la presenza di riscontri esterni; tuttavia, qualora la persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, percio', portatrice di pretese economiche, il controllo di attendibilita' deve essere piu' rigoroso rispetto a quello generico cui si sottopongono le dichiarazioni di qualsiasi testimone e puo' rendere opportuno procedere al riscontro di t:ali dichiarazioni con altri elementi" (Sez. 5, n. 12920 del 13/02/2020, Ciotti, Rv. 279070, in linea con Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte, Rv. 253214): deve in tale ottica rilevarsi che l'incidenza dell'istanza economica sottesa alla costituzione di parte civile non puo' essere valutata pregiudizialmente, a prescindere da una specifica contestualizzazione della vicenda, ancorata alla dimensione storica del fatto e al tipo di relazioni intercorrenti tra i soggetti coinvolti, e che comunque la valutazione dell'attendibilita' inerisce al giudizio di merito, ove non implausibile e non viziata da profili di manifesta illogicita' (Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609), cio' nel caso di specie deve escludersi. 3. Altrettanto infondato risulta il secondo motivo. Proprio alla luce della complessiva ricostruzione della vicenda, connotata dall'intento di (OMISSIS) di indurre (OMISSIS) a rimettere la querela, non assumono rilievo ne' la testimonianza di (OMISSIS) ne' la relazione di servizio redatta dal ricorrente. I Giudici di merito hanno in realta' descritto il contesto e scandito le fasi nelle quali si e' sviluppata la condotta induttiva del ricorrente: in tale quadro hanno sottolineato che a detta del teste (OMISSIS) (OMISSIS) aveva inteso fare da paciere, ma tale elemento non risulta idoneo a smentire l'assunto accusatorio, incentrato sull'intendimento del ricorrente di convincere (OMISSIS) a rimettere la querela. Ed invero assume primario rilievo in tale prospettiva il riferimento alla conversazione prog. 455 del 18/03/2011 (richiamata dalla Corte a pag. 20), nel corso della quale (OMISSIS), richiamando l'episodio, aveva riferito che dopo la denuncia di (OMISSIS) (OMISSIS) lo aveva subito chiamato, segnalandogli un'urgenza: si tratta di elemento che, da un lato, smentisce il contenuto della relazione di servizio di (OMISSIS), che aveva segnalato invece di aver ricevuto una chiamata da (OMISSIS), e dall'altro disvela l'inequivoco sbilanciamento di (OMISSIS) in favore di (OMISSIS), soggetto che la condotta induttiva del ricorrente mirava a favorire, propiziando la remissione di querela. Di qui la non illogica valutazione dei Giudici di merito, che hanno ritenuto attendibile e in concreto riscontrata la versione di (OMISSIS), reputando subvalente, in tale quadro, la deposizione di (OMISSIS), giacche' la volonta' di conciliare i contendenti in quello specifico contesto sottendeva pur sempre la volonta' del ricorrente di giungere ad un risultato favorevole a (OMISSIS). 4. In tale prospettiva risultano altresi' infondati il terzo e il quarto motivo di ricorso. La Corte ha infatti tutt'altro che illogicamente ritenuto, avallando la valutazione del primo Giudice, che il ricorrente, abusando dei poteri inerenti alla funzione di addetto alla Divisione di Polizia amministrativa, avesse indotto (OMISSIS) a rimettere la querela sporta contro (OMISSIS), obiettivo costituente per lui una concreta utilita', in quanto maggiormente sensibile agli interessi del predetto, come ampiamente dimostrato anche dal sottostante rapporto corruttivo che forma oggetto del capo E), sul quale si tornera'. Va invero rimarcato che (OMISSIS) svolgeva funzioni cruciali per (OMISSIS) e per (OMISSIS), titolari di agenzie di vigilanza, sottoposti al potere di controllo spettante alla Divisione cui apparteneva (OMISSIS), e che l'evocazione di controlli e verifiche era tale da ingenerare nel (OMISSIS) una condizione di assoggettamento. Inoltre, si e' gia' rilevato come gli elementi acquisiti abbiano attestato il pregiudiziale sbilanciamento di (OMISSIS) in favore di (OMISSIS). Proprio in tale quadro e' stata dunque letta dai Giudici di merito la vicenda che ha condotto alla remissione della querela da parte di (OMISSIS), a seguito delle sollecitazioni rivoltegli da (OMISSIS), il quale, in base a tale ricostruzione, invece di limitarsi a dare corso alla volonta' punitiva manifestata da (OMISSIS), peraltro con riguardo ad un episodio connotato dalla formulazione di una non lieve minaccia, si era direttamente e attivamente ingerito nella vicenda al punto da chiamare immediatamente (OMISSIS) e da propiziare poi la conciliazione, ben oltre il limite della composizione di dissidi privati, dissidi non arrestatisi ad una soglia di mero pericolo per sviluppi illeciti, ma tradottisi nella commissione di un reato per il quale a quel punto avrebbe dovuto seguirsi il percorso ordinario nell'esercizio di funzioni di polizia giudiziaria. Ne' puo' dirsi che fosse semmai ravvisabile il reato di cui all'articolo 323 c.p. sia pur nella formulazione vigente all'epoca dei fatti, giacche' la condotta, cosi' come ricostruita dai Giudici di merito, risulta connotata dall'abuso dei poteri e della funzione del pubblico ufficiale, che, avvalendosi della condizione di assoggettamento del suo interlocutore, l'ha indotto al risultato perseguito, ipotesi riconducibile alla fattispecie delineata originariamente dall'articolo 317 c.p., ma riqualificata dai Giudici di merito ai sensi della L. 190 del 2012, articolo 319-quater, introdotto con cui sono state sottratte alla sfera di operativita' di cui all'articolo 317 c.p. le condotte di tipo induttivo, diverse da quelle connotate da un vero e proprio abuso di tipo costrittivo (secondo la distinzione valorizzata dalla giurisprudenza di legittimita': Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013, dep. 2014, Maldera, Rv. 258470). 5. Il quinto, il sesto e il settimo motivo, valutabili congiuntamente, in quanto riferiti nel loro complesso all'imputazione di corruzione di cui al capo E), risultano in larga misura inammissibili e comunque infondati. 6.1. I tre motivi, nello sforzo di parcellizzare il ragionamento probatorio, finiscono per sfuggire al canone dell'argomentata critica della complessiva motivazione, risolvendosi nella sollecitazione di una lettura alternativa degli elementi di prova. In ogni caso gli stessi risultano inidonei a vulnerare la motivazione della Corte, ancora una volta conforme a quella del primo Giudice. Nel quadro di una valutazione incentrata sullo sbilanciamento di (OMISSIS) in favore di (OMISSIS), e' stato valorizzato un dato probatorio di rilievo indiscutibile, costituito dalla conversazione prog. 431 del 17/03/2011, nel corso della quale (OMISSIS) aveva affermato di aver erogato in favore di (OMISSIS), soggetto inequivocamente menzionato, circa 16/17 mila Euro. A fronte di cio' le deduzioni difensive, riproposte anche in questa sede, hanno riguardato, da un lato, la mancanza di accertamenti bancari e, dall'altro, l'inattendibilita' di (OMISSIS). Ma i Giudici di merito hanno rilevato come la mancata verifica bancaria non assumesse alcun rilievo, a fronte del nitido tenore della conversazione, che evocava plurime dazioni ed era in concreto riscontrata, da un lato, dall'effettiva situazione debitoria di (OMISSIS), dedito al gioco (situazione confermata da una conversazione prog. 86 del 15/04/2011), e, dall'altro, da quanto confidato a (OMISSIS) da (OMISSIS), tema che non ha formato oggetto di alcun rilievo difensivo. Inoltre, la Corte ha sottolineato come, a fronte della conversazione del (OMISSIS), non assumesse alcun rilievo la circostanza che in altra conversazione del (OMISSIS), avente diverso oggetto, (OMISSIS) avesse prospettato la possibilita' di chiamare alcuni personaggi politici del calibro di Berlusconi o Gasparri, circostanza inidonea ad attestare la radicale inattendibilita' di (OMISSIS), quale soggetto dedito a gratuite millanterie. Deve, altresi', aggiungersi che al rammarico palesato nel corso della citata conversazione da (OMISSIS) verso (OMISSIS), cui a suo dire, egli aveva anche fatto avere giorni di malattia, non puo' decisivamente contrapporsi la deposizione dibattimentale del Dott. (OMISSIS), responsabile dell'ufficio sanitario della Questura, giacche', come osservato dalla Corte, costui non era l'unico medico deputato ad emettere certificazioni sanitarie, circostanza che, nel ridimensionare non illogicamente la portata della deduzione difensiva, vale a ribadire la complessiva rilevanza delle conferme del rapporto corruttivo rivenienti dalle conversazioni intercettate. 6.2. Gli assunti accusatori sono stati contestati anche attraverso doglianze concernenti il valore attribuibile ad alcune conversazioni intercettate, intercorse tra (OMISSIS) e (OMISSIS) (prog. 11 del 12/04/2011) e tra (OMISSIS) e (OMISSIS) (prog. 654 del 13/05/2011): in particolare si e' segnalato come (OMISSIS) Onofrio, responsabile della Divisione di Polizia Amministrativa, fosse stato sentito nel corso del dibattimento e avesse attribuito alla conversazione del (OMISSIS) un significato diverso da quello prospettato dai Giudici di merito, facendo leva sul tono scherzoso delle frasi scambiate con (OMISSIS); inoltre si e' cercato di cogliere nell'altra conversazione riferimenti non coerenti con l'ipotesi accusatoria. Ma, in realta', si tratta di tentativi di frammentazione del quadro probatorio, funzionali ad una diversa valutazione di cio' che inerisce al merito, in assenza della effettiva deduzione di vizi della motivazione. Ed invero e' stato sottolineato dalla Corte come nella conversazione del 12/04/2011, successiva all'arresto di (OMISSIS), si fosse fatto subito riferimento a (OMISSIS) e alle "mazzette" e come in quella del 13/05/2011, al di la' di talune precisazioni di (OMISSIS), fosse stato posto l'accento sul fatto che (OMISSIS) "mangiava e beveva" con (OMISSIS) e sul fatto che in concreto i controlli potevano non essere approfonditi. Si tratta di elementi che risultano coerenti con il quadro desumibile dalle altre risultanze e in linea con l'ipotesi accusatoria incentrata sulla sussistenza di un rapporto corruttivo tra (OMISSIS) e (OMISSIS). 6.3. Correttamente su tali basi e' stato ravvisato il delitto di cui all'articolo 319 c.p.. In senso contrario e' stata invocata la correttezza dei =troni eseguiti da (OMISSIS), risultante dalla documentazione prodotta, concernente anche la vicenda Ecoscark, nella quale, dopo una Prima segnalazione dei Carabinieri, (OMISSIS) aveva effettuato un controllo sulla base di quanto dedotto da (OMISSIS) in una memoria, confermando gli assunti difensivi di quest'ultimo in ordine alle ragioni della presenza di un lavoratore rumeno. Sta di fatto che l'ipotesi corruttiva e' stata delineata con riguardo ai favori che (OMISSIS), all'occorrenza, avrebbe potuto rendere nell'esercizio delle funzioni, peraltro nel quadro di un rapporto continuativo che faceva registrare il gia' rilevato sbilanciamento del pubblico ufficiale a vantaggio del privato corruttore: a ben guardare, l'accusa ha avuto ad oggetto una forma di messa a libro paga e di asservimento della funzione, tale da prescindere da singoli specifici atti e dalla loro eventuale rispondenza a canoni normativi, nel presupposto che comunque il ricorrente fosse disponibile, prendendo in carico l'interesse di (OMISSIS). In tale prospettiva e' stata correttamente delineata la continuita' tra l'episodio dell'abuso induttivo descritto da (OMISSIS), pur di per se' non richiamato nel capo E), e la fase successiva, suggellata dalla conversazione nella quale (OMISSIS) aveva ammesso di aver versato somme di denaro al pubblico ufficiale: si inscrive in tale quadro anche la vicenda Ecoscark, comunque connotata da un utile intervento di (OMISSIS), che, a fronte della prima diversa segnalazione dei Carabinieri, aveva sulla base di una propria attivita', in linea con gli assunti esposti in una memoria difensiva, accreditato la tesi di (OMISSIS) in ordine al ruolo del lavoratore rumeno, diversamente inquadrato dai Carabinieri. Deve aggiungersi che alla formulazione dell'ipotesi di controlli non sempre approfonditi, emergente dalla conversazione intercettata a ridosso dell'arresto di (OMISSIS), avrebbero fatto seguito iniziative volte a ritirare la licenza tanto a (OMISSIS) quanto a (OMISSIS). Cio' posto, si osserva che l'ipotesi dell'asservimento della funzione e della messa a libro paga, secondo un costante orientamento interpretativo, anteriore alle modifiche introdotte dalla L. 190 del 2012, era ricondotta al reato di cui all'articolo 319 c.p., a prescindere dall'individuazione di uno specifico atto contrario ai doveri di ufficio (sul punto, ex plurimis, Sez. 6, 2714 del 30/11/1995, dep. 1996, Varvarito, Rv. 204126; Sez. 6, n. 3444 del 19/11/1997, dep. 1998, Cunetto, Rv. 210084; Sez. 6, n. 21943 del 07/04/2006, Carusc, Rv. 234619; Sez. 6, n. 16/05/2012, Di Giorgio, Rv. 253216). Dopo la modifica dell'articolo 318 c.p., si e' invece ritenuto che il mercimonio della funzione debba essere ricondotto a tale fattispecie, salvo che emergano specifici atti contrari ai doveri di ufficio (Sez. 6, n. 49226 del 25/09/2014, Chisso, Rv. 261352; Sez. 6, n. 4486 del 11/12/2018, dep. 2019, Palozzi, Rv. 274984; Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, dep. 2020, Bolla, Rv. 279555). Sta di fatto che, dovendosi aver riguardo alla norma piu' favorevole in relazione a condotte risalenti al 2011, non ha alcuna influenza a favore del ricorrente, che ha comunque rinunciato alla prescrizione, la riconducibilita' del reato sub E) -che non e' quello piu' grave ai fini del calcolo della pena base- alla sopravvenuta fattispecie di cui all'articolo 318 c.p., punito con pena edittale massima piu' elevata di quella all'epoca prevista dall'articolo 319 c.p.. Di qui, in conclusione, il rigetto del ricorso di (OMISSIS). 7. Il ricorso presentato nell'interesse di (OMISSIS) e' parimenti infondato, oltre che, in gran parte, generico. 8. I due atti di ricorso seguono un percorso comune, ma risultano entrambi inidonei a vulnerare le valutazioni della Corte, anche perche' connotati da aspecificita'. Con il primo motivo i difensori del ricorrente contestano il giudizio di penale responsabilita' in ordine al reato di usura" riproponendo questioni in concreto esaminate, riguardanti la necessita' di verifiche bancarie e di riscontri che sarebbero mancati nonche' la genericita' delle dichiarazioni di (OMISSIS). Si tratta di deduzioni che non tengono conto dell'effettivo tenore della motivazione, con cui la Corte, avvalendosi del giudizio formulato in primo grado e muovendo dalla riconosciuta attendibilita' della persona offesa, ha ricostruito il rapporto intercorso tra (OMISSIS) e (OMISSIS) tra il 2003 e il 2008, a partire dall'originario prestito di Euro 10.000,00, con la previsione della dazione di Euro 1.000,00 con cadenza mensile, fino ai due rinnovi, parimenti connotati dalla previsione di esosi interessi nonche' dalla dazione di cambiali, a fronte delle quali il ricorrente, come segnalato dal Tribunale, aveva versato piu' di Euro 19.000,00, peraltro senza ottenere la restituzione dei titoli. I Giudici di merito hanno dato conto anche delle gravi minacce poste in essere dal ricorrente, allorche' (OMISSIS), non riusciva a pagare le somme previste alla scadenza stabilita, minacce coinvolgenti la famiglia e perfino il bimbo che la compagna della persona offesa aveva ancora in grembo. In tale quadro hanno valorizzato anche le conformi dichiarazioni della compagna (OMISSIS), che ha confermato non solo de relato ma anche per scienza diretta sia le minacce, sia, almeno nelle linee essenziali, i termini economici del rapporto, facendo riferimento alla dazione delle cambiali e allo sforzo fatto da (OMISSIS) per far fronte alle scadenze. Le censure difensive si muovono soprattutto su un piano astratto e comunque non vulnerano la ricostruzione operata dalla Corte sulla base degli elementi acquisiti, per giunta omettendo di considerare il valore di riscontro attribuibile alle dichiarazioni di (OMISSIS) e al riferimento alle minacciose pressioni esercitate dal ricorrente. In tal modo, a fronte della ricostruzione della Corte in ordine alla configurabilita' delle contestate ipotesi di usura, correlata alla pattuizione di interessi fuori misura, di gran lunga superiori, sia ab origine sia in occasione dei rinnovi, a qualsivoglia tasso soglia previsto, il motivo contenuto in ciascuno dei due atti si limita a prospettare la necessita' di accertamenti bancari e di riscontri ulteriori, tema che la Corte ha non illogicamente reputato superato dalle risultanze acquisite, sufficienti per la formulazione del giudizio di penale responsabilita'. 9. Il secondo motivo, come formulato in ciascuno dei due atti di ricorso, risulta inammissibile. Lo stesso e' incentrato sulla mancata spiegazione delle ragioni per cui avrebbero potuto ritenersi applicabili le contestate aggravanti: si tratta tuttavia di tema precluso, in quanto su di esso si era idoneamente soffermato il primo giudice, senza che sul punto fossero stati poi proposti specifici motivi di appello. 10. Il terzo motivo, sostanzialmente corrispondente nei due atti di ricorso, riguarda il diniego delle attenuanti generiche e il trattamento sanzionatorio: lo stesso e' parimenti inammissibile, in quanto volto a sollecitare un diverso giudizio di merito, non consentito in questa sede. Va infatti rimarcato che la Corte non si e' sottratta allo scrutinio cui era stata chiamata, ma ha tutt'altro che arbitrariamente escluso la possibilita' di concedere al ricorrente le attenuanti generiche in ragione della gravita' della condotta, protrattasi in un ampio arco di tempo e tale da procurare un rilevante danno alla persona offesa: si tratta di valutazione in linea con il principio per cui "nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non e' necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e' sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione": Cass. Sez. 3, n. 28535 del 19/3/2014, Lule, rv. 259899; Cass. Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, rv. 248244). Tale valutazione risulta peraltro idonea anche a dar conto della concreta entita' della pena e non puo' dirsi vulnerata da censure generiche, con cui si e' cercato di sollecitare un giudizio piu' favorevole, peraltro inerente al merito e non consentito in questa sede. 11. I ricorsi presentati nell'interesse di (OMISSIS) e di (OMISSIS) possono essere esaminati congiuntamente, in quanto concernono i reati di cui ai capi a) e b): gli stessi risultano infondati. 12. E', in primo luogo, manifestamente infondato il primo motivo del ricorso di (OMISSIS), incentrato sull'incompatibilita' a testimoniare di (OMISSIS), in conseguenza dell'emissione di decreto di rinvio a giudizio per il delitto di calunnia in danno dell'Avv. (OMISSIS). Deve al riguardo considerarsi che, nel caso in esame, esclusa qualsivoglia ipotesi di connessione, deve valutarsi l'eventuale configurabilita' di profili di collegamento tra i reati ai sensi dell'articolo 371 c.p.p., comma 2, lettera b). Orbene, non ricorre l'ipotesi di reati commessi gli uni in occasione degli altri e neppure quella di reati commessi da piu' persone in danno reciproco le une delle altre: sono, invero, le ipotesi con riguardo alle quali e' stato posto in evidenza che ai fini della sussistenza di un effettivo collegamento deve ricorrere un profilo strutturale riconducibile all'unita' del contesto spaziale e temporale (sul punto Sez. 6, n. 6938 del 22/01/2019, Ricciardi, Rv. 275081), profilo rilevante al fine di scongiurare il rischio discendente da solo strumentali e rtorsive denunce di calunnia nei confronti della persona offesa del reato oggetto di accertamento. Ma non ricorre neppure un collegamento probatorio. E' stato al riguardo osservato che "in tema di incompatibilita' a testimoniare, il collegamento probatorio di cui all'articolo 371 c.p.p., comma 2, lettera b), che determina l'incompatibilita' con l'ufficio di testimone di cui all'articolo 197 c.p.p., comma 1, lettera b) e la conseguente necessita' di acquisire elementi di riscontro alle dichiarazioni ex articolo 192 c.p.p. - ricorre soltanto quando nei diversi procedimenti sussiste l'identita' del fatto o di uno degli elementi di prova ovvero quando e' ravvisabile la diretta rilevanza di uno degli elementi di prova acquisiti in un procedimento su uno dei reati oggetto dell'altro procedimento" (Sez. 2, n. 24570 del 14/05/2015, Torcasio, Rv. 264397). Si tratta di situazione non configurabile, in quanto la dichiarazione di cui e' stato ipotizzato il contenuto calunnioso, avente ad oggetto un'offerta di denaro proveniente da un legale, perche' (OMISSIS) non rendesse la testimonianza, non ha alcuna correlazione con dati fattuali riguardanti i reati oggetto di contestazione nel presente processo. 13. Sono infondati e in parte inammissibili il quarto motivo del ricorso di (OMISSIS), nonche' il primo e il terzo motivo del ricorso di (OMISSIS), concernenti la valutazione della prova e l'attendibilita' di (OMISSIS), nonche' la configurabilita' di un ragionevole dubbio. I Giudici di merito, come gia' rilevato in relazione all'analisi del capo D), contestato a (OMISSIS), hanno ampiamente valutato l'attendibilita' (OMISSIS) sia in termini generali sia in relazione agli specifici fatti narrati. Secondo la ricostruzione operata dal Tribunale e avvalorata dalla Corte, (OMISSIS) si era messo in viaggio con (OMISSIS) per recarsi a cambiare un assegno, com'era sua abitudine, date le difficolta' finanziarie nelle quali si imbatteva. Nel luogo convenuto si era imbattuto in due individui che lo attendevano, uno dei quali era (OMISSIS). (OMISSIS), sceso dalla macchina, aveva consegnato la busta con l'assegno all'altro individuo. Ma i due avevano chiesto che si presentasse personalmente (OMISSIS). Quest'ultimo, mentre (OMISSIS) era tornato in macchina, aveva dialogato, alla presenza di (OMISSIS), con il predetto individuo, che gli aveva intimato di non contrastare l'attivita' di (OMISSIS), perche' costui gli apparteneva e dava da mangiare alle persone e alle famiglie, minacciando di collocare bombe presso gli esercizi che (OMISSIS) controllava e aggiungendo che egli era stato in prigione ed apparteneva ai (OMISSIS). A fronte di tale racconto, sono state difensivamente riproposte doglianze incentrate sui contrasti esistenti con (OMISSIS) e sulle incertezze palesate da (OMISSIS) in merito all'importo dell'assegno e alla provenienza dello stesso, posto che (OMISSIS) aveva fatto riferimento ad assegno di tale (OMISSIS), il quale aveva negato la circostanza. Inoltre, sono stati formulati rilievi in ordine all'individuazione del soggetto da parte di (OMISSIS) e alla incidenza, sull'attendibilita' del dichiarante, del rinvio a giudizio per calunnia e del procedimento avviato nei confronti di (OMISSIS) per indebito accesso al sistema S.D.I.. Con valutazioni immuni da vizi e non manifestamente illogiche i Giudici di merito hanno debitamente osservato che le deduzioni erano riferite a profili irrilevanti e marginali, inidonei a vulnerare l'attendibilita' del dichiarante con riguardo al nucleo essenziale della deposizione, avente ad oggetto un episodio specificamente definito e suffragato anche dalla deposizione di (OMISSIS), che non aveva indugiato ad esprimere giudizi negativi anche sul conto di (OMISSIS), a dimostrazione dell'assenza di pregiudizi alla base della sua deposizione. Ne' possono nutrirsi dubbi sull'individuazione dei protagonisti, giacche' il teste (OMISSIS), come rilevato dai Giudici di merito, ha riconosciuto in udienza (OMISSIS) come il soggetto che aveva parlato con (OMISSIS), non rilevando per contro che (OMISSIS), risalito in macchina, non avesse direttamente ascoltato le parole pronunciate da (OMISSIS) e di seguito avesse colto il nervosismo di (OMISSIS), che non aveva potuto ottenere il cambio dell'assegno, su cui contava per pagare le divise delle guardie operanti per la sua agenzia. In conseguenza di cio' il giudizio sull'attendibilita' dei dichiaranti implica la legittima attribuzione di valenza probatoria alle loro dichiarazioni, il cui significato e' stato ricostruito in modo coerente e logico, anche alla luce del contesto nel quale l'episodio veniva ad inserirsi, connotato dal conflittuale rapporto tra (OMISSIS) e (OMISSIS). Ne' sono stati specificamente prospettati elementi idonei a vulnerare la concludenza della motivazione, risultando del tutto aspecifico il quarto motivo del ricorso di (OMISSIS) nel quale si prospetta assertivamente il mancato superamento del ragionevole dubbio. 14. E' infondato il terzo motivo del ricorso di (OMISSIS), riguardante la responsabilita' concorsuale di quest'ultimo. Risulta invero del tutto irrilevante che in occasione dell'incontro il ricorrente non avesse parlato. E' stato invece valorizzato il fatto che in quello specifico contesto, riguardante, a rigore, il mero cambio di un assegno, fosse non casualmente comparso anche (OMISSIS), accanto a (OMISSIS), e che il ricorrente, gongolando, come segnalato dal Tribunale, avesse assistito all'intero colloquio, durante il quale veniva minacciato un suo diretto concorrente, al fine di farlo desistere dal continuare ad operare. Tutt'altro che illogica risulta dunque la conclusione che anche (OMISSIS), attraverso la sua presenza, univocamente significativa, avesse concorso, fornendo un contributo efficiente, nei reati commessi nel suo primario interesse, cio' che si pone in linea con il consolidato orientamento secondo cui "ai fini della configurabilita' del concorso di persone nel delitto di estorsione e' sufficiente anche la semplice presenza, purche' non meramente casuale, sul luogo della esecuzione del reato, quando sia servita a fornire all'autore del fatto stimolo all'azione o maggior senso di sicurezza nel proprio agire, palesando chiara adesione alla condotta delittuosa" (Sez. 2, n. 28895 del 13/07/2020, Massaro, Rv. 279807; Sez. 2, n. 50323 del 22/10/2013, Aloia, Rv. 257979). 15. E' altresi' infondato il secondo motivo del ricorso di (OMISSIS), riguardante la configurabilita' dei reati di cui ai capi a) e b). Posto che la vicenda e' stata ricostruita sulla base dei dati orobatori di cui si e' gia' dato conto e che dunque deve aversi riguardo al colloquio intercorso tra (OMISSIS) e (OMISSIS) alla presenza di (OMISSIS), nonche' al contesto nel quale si inseriva l'operativita' delle due agenzie di vigilanza privata, in concorrenza tra loro, risulta immune da vizi il giudizio della Corte, che ha avallato quello del Tribunale, in ordine alla configurabilita' e al concorso dei due reati di tentata estorsione ex articoli 56, 629 c.p. e di illecita concorrenza con minaccia o violenza ex articolo 513-bis c.p.. Deve sul punto richiamarsi l'autorevole insegnamento delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 13178 del 28/11/2019, dep. 2020, Guadagni, Rv. 278735), che hanno sottolineato come il delitto di cui all'articolo 513-bis c.p., inserito tra quelli contro l'economia pubblica, l'industria e il commercio, vada interpretato alla luce di un sistema nazionale ed Europeo fondato sulla liberta' di concorrenza a salvaguardia della liberta' di determinazione di chi svolge un'attivita' economica, sistema che tuttavia non tollera atti che si pongano al di fuori della correttezza professionale e siano connotati da idoneita' offensiva. In tale prospettiva la fattispecie implica una condotta, che puo' risolversi in un unico atto o in una serie coordinata di atti e che si correla allo svolgimento di un'attivita' imprenditoriale, assumendo rilievo non tanto sotto il profilo teleologico, ma sotto il profilo della qualificazione in senso concorrenziale: occorre dunque individuare un rapporto di tale genere, nel quale l'atto illecito deve essere ulteriormente connotato dalla violenza o dalla minaccia, in modo che l'atto risulti idoneo a contrastare o ostacolare la liberta' di determinazione dell'impresa concorrente, potendo assumere rilievo comportamenti competitivi sia in forma attiva sia impeditiva dell'esercizio dell'altrui liberta' di concorrenza, che possano essere realizzati in forme minacciose o violente, cosi' da consentire l'acquisizione di posizioni di vantaggio o di predominio, che prescindano dal puro merito imprenditoriale. Le Sezioni Unite hanno rilevato inoltre che gli elementi costitutivi del reato impediscono di ritenere che la condotta possa dirsi assorbita nel piu' grave delitto di estorsione, che dunque puo' concorrere, incidendo nel secondo caso la condotta sul patrimonio del soggetto passivo con la previsione dell'elemento di fattispecie costituito dall'ottenimento di un ingiusto profitto con altrui danno, senza tradursi di per se' in una manipolazione dei meccanismi di funzionamento del mercato e dell'attivita' economica concorrente. Sulla scorta di tali premesse, deve ritenersi che correttamente i Giudici di merito abbiano ritenuto che nel caso di specie siano configurabili entrambi i reati contestati. E' in primo luogo incontestabile la configurabilita' di una cogente minaccia, avendo (OMISSIS), alla presenza di (OMISSIS), concretamente e attivamente interessato, sollecitato (OMISSIS) ad astenersi dall'arrecare disturbo all'attivita' concorrenziale di (OMISSIS), prospettando la collocazione di ordigni esplosivi presso gli esercizi che avevano rapporti con l'agenzia di (OMISSIS): del tutto infondata risulta sul punto la deduzione difensiva secondo cui, essendo evocato un danno nei confronti di terzi, non avrebbe potuto configurarsi una minaccia in danno di (OMISSIS), giacche' non si trattava di terzi estranei all'operativita' della persona offesa, ma di soggetti legati a (OMISSIS), che a tutela degli stessi curava la vigilanza, cosicche' il male evocato si sarebbe tradotto in un pregiudizio per (OMISSIS), esposto al rischio di perdere la propria clientela e di non poter svolgere utilmente la propria attivita'. Nel contempo e' indiscutibile che tale minaccia fosse da inquadrare nello specifico contesto concorrenziale delle due agenzie di vigilanza e che la minaccia fosse volta a condizionare la liberta' di impresa di (OMISSIS), essendo destinata a costringere quest'ultimo ad astenersi dal proseguire la propria attivita' a scapito di (OMISSIS), in tale quadro dovendo inserirsi anche gli ulteriori profili segnalati dalla Corte e peraltro posti in evidenza anche dal Tribunale, in ordine alle minacce rivolte da (OMISSIS) alle guardie operanti per (OMISSIS) e ai contatti avuti da (OMISSIS) con clienti di (OMISSIS), cui intimava di non rinnovare i contratti con il predetto. Inoltre, deve ritenersi che quel tipo di minaccia fosse orientata ad assicurare al soggetto beneficiario, cioe' (OMISSIS), un ingiusto profitto, derivante dall'ampliamento della sfera di operativita' e dai maggiori guadagni, in danno di (OMISSIS), costretto a subire il pregiudizio riveniente dalla cessazione dell'attivita' e dall'abbandono della clientela. Posto che (OMISSIS) aveva nondimeno continuato a svolgere la propria attivita', prima di riconsegnare la licenza solo nel corso del 2011, deve ritenersi che la condotta descritta si fosse risolta in illecita attivita' concorrenziale connotata da minaccia e incidente sulla altrui liberta' di impresa e che al tempo stesso la stessa fosse idonea e inequivocamente volta ad assicurare un ingiusto profitto con altrui danno, evento peraltro non verificatosi per la resistenza ostinatamente frapposta da (OMISSIS). Di qui la configurabilita' sia del delitto di cui all'articolo 513-bis c.p. sia del delitto di tentata estorsione. Deve solo aggiungersi che le valutazioni della Corte in ordine ai contatti di (OMISSIS) con le guardie operanti per (OMISSIS) e con i titolari degli esercizi per i quali (OMISSIS) svolgeva attivita' di vigilanza hanno in concreto assunto rilievo esplicativo non essenziale, rispetto ad una condotta che, come correttamente segnalato dal Tribunale, era di per se' idonea, alla luce di quanto avvenuto in occasione dell'incontro con (OMISSIS), ad integrare i due reati contestati, fermo restando che, contrariamente a quanto difensivamente prospettato, i Giudici di merito, in particolare il Tribunale, hanno dato conto degli elementi probatori a tal fine valorizzati, facendo riferimento alle dichiarazioni di (OMISSIS), che ha in particolare indicato almeno taluni degli esercizi contattati da (OMISSIS). 16. Sono manifestamente infondati il quinto motivo del ricorso di (OMISSIS) e il secondo motivo del ricorso di (OMISSIS), riguardanti l'aggravante del metodo mafioso. Secondo la ricostruzione condivisa dalla Corte territoriale, nel corso dell'incontro con (OMISSIS), avvenuto in presenza di (OMISSIS), (OMISSIS), nel formulare la minaccia di cui si e' gia' detto, ebbe a sottolineare che (OMISSIS) portava il pane alle loro famiglie e aggiunse che egli era stato in prigione ed apparteneva ai (OMISSIS). In tal modo la minaccia veniva ad essere accompagnata e rafforzata dall'evocazione di un clan di âEuroËœndrangheta, noto in quella zona, e dunque dalla condizione di assoggettamento derivante dal pericolo di trovarsi a fronteggiare la forza di un sodalizio criminale di quel livello. Si tratta di situazione riconducibile all'utilizzo del metodo mafioso, che vale ad integrare l'aggravante oggi prevista dall'articolo 416-bis.1 c.p. in conformita' con il consolidato orientamento secondo cui "ricorre la circostanza aggravante dell'utilizzo del metodo mafioso, di cui all'articolo 416-bis. 1 c.p., quando l'azione incriminata, posta in essere evocando la contiguita' ad una associazione mafiosa, sia funzionale a creare nella vittima una condizione di assoggettamento, come riflesso del prospettato pericolo di trovarsi a fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale mafioso, piuttosto che di un criminale comune" (Sez. 5, n. 14867 del 26/01/2021, Marciano', Rv. 281027; Sez. 2, n. 39424 del 09/09/2019, Pagnotta, Rv. 277222). A fronte di cio' le deduzioni difensive risultano generiche ed assertive, oltre che del tutto inconsistenti, in quanto incentrate su profili inconferenti, come la riferibilita' della minaccia ai titolari degli esercizi, cioe' a soggetti diversi da (OMISSIS), o il fatto che (OMISSIS) non avesse confermato il colloquio intercorso tra (OMISSIS) e (OMISSIS), cio' che avrebbe dovuto ricondursi al fatto che egli si trovava in macchina dopo l'esordio di quel colloquio. 17. E' infine inammissibile il quarto motivo del ricorso di (OMISSIS). Contrariamente ai generici assunti difensivi, la Corte ha in realta' dato conto delle ragioni in forza delle quali ha negato le attenuanti generiche e determinato la pena, dando conto della gravita' del fatto e dei precedenti del ricorrente. 18. In conclusione, i ricorsi devono essere rigettati con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. I ricorrenti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) devono essere inoltre condannati a rifondere, in solido tra loro, le spese di rappresentanza e difesa sostenute nel grado dalla parte civile (OMISSIS), liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna inoltre (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) al pagamento in solido delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro 3.686., oltre accessori di legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. IMPERIALI Luciano - Presidente Dott. VERGA Giovanna - Consigliere Dott. DI PAOLA Sergio - Consigliere Dott. AIELLI Lucia - rel. Consigliere Dott. NICASTRO Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza della Corte d'appello di Potenza in data 15/5/2019; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; preso atto che il procedimento viene trattato con contraddittorio scritto ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, convertito nella L. 18 dicembre 2020, n. 176 (cosi' come modificato per il termine di vigenza dal Decreto Legge 30 dicembre 2021, n. 228, articolo 16 convertito nella L. 25 febbraio 2022, n. 15); udita la relazione del consigliere Lucia Aielli; letta la requisitoria con la quale il Sostituto procuratore generale Giulio Romano ha chiesto il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza dell'1/10/2021 la Corte d'Appello di Potenza, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Potenza in data 15/5/2019, dichiarava non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) in ordine ad un episodio di usura da lui posto in essere nei confronti di (OMISSIS), perche' estinto per prescrizione e confermava, per il resto, la condanna nei confronti dello stesso (OMISSIS), riducendo la pena. 2. Avverso tale sentenza ricorre per cassazione (OMISSIS) a mezzo del suo difensore il quale deduce il vizio di illogicita' e contraddittorieta' della motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera e) e articolo 556 c.p.p., lettera e), in quanto la Corte d'appello per motivare la condanna, relativamente al reato di usura posto in essere nei confronti di (OMISSIS), avrebbe richiamato in modo acritico le dichiarazioni testimoniali, il contenuto di intercettazioni, la documentazione bancaria, il teste (OMISSIS), senza rispondere alle censure sollevate con l'atto di impugnazione, relative al tenore delle intercettazioni che, secondo il ricorrente, dimostrerebbero che il prestito elargito dal (OMISSIS), al (OMISSIS), era di 5.000,00 Euro da restituire in cinque mesi, in rate mensili di mille Euro e non prevedeva interessi. Inoltre, la Corte d'appello avrebbe omesso di rispondere a specifiche doglianze consistenti nella necessita' di rivalutare le dichiarazioni della p.o., la quale, diversamente da quanto affermato dal giudice di primo grado, non aveva mai dichiarato di avere emesso, a fronte del prestito di Euro 5.000,00, ricevuto dal (OMISSIS), a giugno, un assegno di Euro 6.000 con scadenza agosto 2010. Si tratterebbe, ad avviso della difesa, di una ricostruzione dei fatti da parte del Tribunale, insostenibile in quanto non collimante con le dichiarazioni della p.o. la quale ha riferito di dover restituire, ogni mese, solo quanto poteva. Comunque quand'anche si dovesse ritenere che la p.o. dovesse restituire Euro 700 o 800 Euro mensili, come affermato dal Tribunale, in tre mesi, tali importi con non portavano alla restituzione, della somma di Euro 6.000,00. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. Il ricorrente introduce, sotto forma di censure di legittimita', motivi che sollecitano la Corte ad una rilettura del materiale probatorio, quando in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimita' la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. Si intende qui ribadire che alla Corte di legittimita' non si puo' chiedere la rivalutazione di una prova o di un indizio (o, addirittura, la diretta interpretazione di un elemento del procedimento), ma solo il controllo sulle modalita' con le quali il detto elemento e' stato raccolto, nonche' il controllo sulla coerenza logica della interpretazione che ne e' stata fornita. In sintesi, quel che alla corte deve esser chiesto, se si ipotizza un vizio dell'apparato motivazionale, e' un mero giudizio di congruita' logica sulla interpretazione che del materiale probatorio/indiziario e' stata effettuata dai giudicanti; solo nei limiti - e' il caso di ribadirlo - in cui la riproduzione di detto materiale e' funzionale al vaglio di logicita', ne e' consentita la allegazione al ricorso, ovvero la trascrizione all'interno dello stesso. Conseguentemente, offrire al giudice di legittimita' alcuni frammenti probatori, come nel caso specie, con riferimento ad una intercettazione telefonica e pretendere che su di essa la Corte di cassazione esprima un giudizio comporta un profondo fraintendimento del ruolo e dei poteri della corte stessa. Invero, la motivazione di un provvedimento dovrebbe essere aggredita esclusivamente sotto il triplice profilo della completezza, della logicita' e della aderenza del ragionamento ai dati fattuali. E cio' e' esattamente quel che il ricorrente non fa perche' si limita a trascrivere la conversazione sostenendo che il giudice di appello e il Tribunale non li ha saputi leggere e comprendere. Viceversa, il Tribunale e poi la Corte d'appello non si sono sottratti allo specifico compito di valutare il materiale intercettivo nel suo complesso, unitamente alle dichiarazioni delle persone offese ed alla documentazione bancaria, dati probatori che adeguatamente valorizzati hanno dimostrato la sussistenza di un prestito con tasso usurario del 10% mensile a fronte di un tasso soglia annuo del 11,50%. In altri termini la Corte d'appello, nel ritenere, conformemente al giudice di primo grado, integrato il delitto di usura in danno di (OMISSIS), ha utilizzato una pluralita' di elementi, tra i quali le intercettazioni telefoniche che attestavano l'esistenza di un rapporto debitorio tra le parti, le dichiarazioni confessorie del (OMISSIS) stesso che ha ammesso la indicazione di un 10% in piu' sugli assegni ricevuti dalle pp.00, l'entita' del tasso percentuale riferito dalle vittime pari al 120% annuo con una motivazione "di merito" che ha chiarito per quale ragione e sulla base di quali elementi, e' stata elaborata (o condivisa) una determinata ipotesi ricostruttiva e per qual ragione ne siano state scartate altre. Inoltre, come gia' osservato dal giudice di appello le censure avverso la sentenza di primo grado erano generiche, sostanziandosi in doglianze aspecifiche rispetto al richiamato assunto motivazionale limitandosi alla sterile trascrizione di stralci di intercettazioni. Alla stregua delle considerazioni che precedono deve dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso con conseguente condanna del ricorrente che lo ha proposto al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DIOTALLEVI G. - Presidente Dott. DI PAOLA S. - Consigliere Dott. MESSINI D'AGOASTINI P. rel. Consiglie - N. 556 Dott. PELLEGRINO A. - Consigliere Dott. AIELLI Luc - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la ordinanza del 27/10/2022 del TRIBUNALE DI CAGLIARI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Piero MESSINI D'AGOSTINI; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. PEDICINI Ettore, che ha chiesto l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 27 ottobre 2022 il Tribunale di Cagliari rigettava l'appello proposto nell'interesse di (OMISSIS) avverso l'ordinanza con la quale il G.i.p. dello stesso Tribunale aveva accolto solo in parte la richiesta di revoca del sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, su somme di denaro, titoli e beni del valore per il valore eccedente l'importo di 115.000 Euro. Il Tribunale, disposta la restituzione all'indagato, sottoposto a indagini per il delitto di usura, di otto assegni circolari del complessivo importo di 82.000 Euro, confermava nel resto l'ordinanza del G.i.p., ritenendo che il profitto confiscabile fosse pari alla somma di 365.000 Euro che - alla luce delle dichiarazioni della persona offesa, della documentazione bancaria acquisita e degli accertamenti svolti dal consulente del pubblico ministero - era risultata essere stata corrisposta interamente a titolo di interessi. 2. Ha proposto ricorso (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore di fiducia, chiedendo l'annullamento dell'ordinanza per erronea applicazione della legge penale con riferimento alla nozione di profitto confiscabile. Pur seguendo la impostazione accusatoria, secondo la quale (OMISSIS) avrebbe ricevuto da (OMISSIS) la somma di 365.000 Euro, a fronte di quella mutuata di 250.000 Euro, il vantaggio concretamente conseguito dal primo sarebbe stato di soli 115.000 Euro, pari alla differenza fra quanto erogato e quanto poi restituito dalla persona offesa. Questa tesi trova conforto nella giurisprudenza di legittimita', anche a Sezioni Unite (sentenza n. 26654 del 2008), in tema di profitto nei cosiddetti reati in contratto, quale quello di usura. Anche qualora fosse provata la natura usuraria degli interessi pagati, la nullita' colpirebbe solo la clausola relativa agli stessi e il capitale dovrebbe comunque essere restituito da (OMISSIS) a (OMISSIS). 3. Disposta la trattazione scritta del procedimento in cassazione, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, convertito nella L. 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile in forza di quanto disposto dal Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, articolo 94, comma 2, come modificato dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199, nella quale e' stato convertito il Decreto Legge 31 ottobre 2022, n. 162), in mancanza di alcuna richiesta di discussione orale, nei termini ivi previsti, il Procuratore generale e la difesa hanno depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile perche' proposto con un motivo manifestamente infondato. 2. La difesa ha richiamato la distinzione che nella giurisprudenza di legittimita' e' ormai consolidata, a partire dalla sentenza (OMISSIS) s.p.a.. (Sez. U, n. 26654 del 27/03/2008 Rv. 239924-01), fra l'ipotesi dei delitti commessi nell'attivita' di conclusione di un contratto, cioe' dei c.d. reati in contratto, e l'ipotesi dei reati che consistono nel concludere un determinato contratto, in se' vietato, cioe' dei c.d. reati contratto: in questo secondo caso la norma incriminatrice penale vieta proprio la stipulazione del contratto, in ragione dell'assetto degli interessi che esso mira a realizzare (ad esempio la vendita di sostanze stupefacenti, la ricettazione, il commercio di prodotti con marchi contraffatti); nel primo, invece, la norma penale sanziona la condotta posta in essere da uno dei contraenti in danno dell'altro nella fase della stipulazione (si tratta, per lo piu', delle fattispecie di reato caratterizzate dalla cooperazione artificiosa della vittima come la violenza privata, l'estorsione, la circonvenzione di persona incapace e l'usura). Il principio e' stato ribadito anche di recente dalle sezioni semplici (cfr. Sez. 2, n. 40765 del 21/10/2021, Carotenuto, Rv. 282194 nonche' Sez. 6, n. 6607 del 21/10/2020, dep. 2021, Venuti, Rv. 281046) e anche dalla giurisprudenza civile, che pure ha da ultimo affermato che il contratto effetto di circonvenzione d'incapace deve essere dichiarato nullo ai sensi dell'articolo 1418 c.c. per contrasto con norma imperativa, cosi' come quello di estorsione: "cio' che rileva e' l'evidente connotazione e dimensione pubblicistica della tutela delle vittime dei reati di estorsione, quale indice sicuro della sussistenza di esigenze di interesse collettivo sottese alla tutela penale, trascendenti quelle di mera salvaguardia patrimoniale dei singoli contraenti perseguite dalla disciplina sulla annullabilita' dei contratti" (Sez. 2 civ., n. 17568 del 31/05/2022, Rv. 664893). La medesima conclusione puo' essere tratta per il reato di usura, poiche' la relativa fattispecie penale e' posta pure essa a tutela anche di diritti inviolabili della persona (autonomia contrattuale) e di interessi generali della collettivita' (funzionamento del mercato creditizio e dell'economia nel suo complesso). 3. Alla luce della suddetta distinzione e, a sostegno della propria richiesta, il ricorrente ha affermato che, qualora fosse provata la natura usuraria degli interessi pagati, il capitale mutuato dovrebbe essere comunque restituito all'indagato dalla persona offesa, osservazione condivisa dal Procuratore generale nella propria requisitoria: cosi' opinando, pero', le parti hanno sovrapposto le nozioni di danno civile e di danno criminale, consistente quest'ultimo nelle conseguenze di tipo pubblicistico che ineriscono alla lesione o alla messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla norma penale. In particolare, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di usura, il profitto confiscabile ai sensi dell'articolo 644 c.p., identificandosi nell'effettivo arricchimento patrimoniale gia' conseguito in rapporto di immediata e diretta derivazione causale dalla condotta illecita concretamente contestata, coincide con gli interessi usurari concretamente corrisposti (Sez. 2, n. 23132 del 05/04/2018, Caruso, Rv. 272883; Sez. 2, n. 45642 del 27/10/2015, Unicredit s.p.a., Rv. 265033; Sez. 6, n. 45090 del 02/10/2014, Mimotti, Rv. 260665; da ultimo v. Sez. 2, n. 39789 del 04/07/2022, Franze', non mass.). Nella ricostruzione in fatto del G.i.p. e del Tribunale, non sindacabile ne' sindacata in questa sede dal ricorrente, la somma di 365.000 Euro e' stata incamerata dall'indagato a titolo di interessi maturati, cosicche', quanto al sequestro del profitto funzionale alla confisca, e' irrilevante il profilo relativo alla omessa restituzione del capitale. 4. Alla inammissibilita' dell'impugnazione proposta segue, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonche', ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita', al pagamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro tremila, cosi' equitativamente fissata. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria - Presidente Dott. ORILIA Lorenzo - rel. Consigliere Dott. FORTUNATO Giuseppe - Consigliere Dott. BESSO MARCHEIS Chiara - Consigliere Dott. TRAPUZZANO Cesare - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso R.G. n. 25803/2017 proposto da: (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), E (OMISSIS), rappresentati e difesi dall'avvocato (OMISSIS); - ricorrenti - contro (OMISSIS) SPA, rappresentata e difesa dall'avvocato (OMISSIS); - controricorrente - nonche' (OMISSIS), rappresentata e difesa dall'avvocato (OMISSIS); - controricorrente - avverso la SENTENZA DEL TRIBUNALE DI VARESE n. 1354/2016 depositata il 29.11.2016; Lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale Dott. CORRADO MISTRI che ha chiesto l'accoglimento del primo, secondo quarto motivo del ricorso e per l'inammissibilita' o il rigetto dei restanti; Udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. Lorenzo Orilia. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'Appello di Milano, con sentenza n. 2990/2017 resa pubblica il 28.7.2017, ha dichiarato inammissibile ai sensi dell'articolo 348 bis c.p.c., l'appello proposto da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche' (OMISSIS) contro la sentenza di primo grado (Tribunale di Varese n. 3414/2014), che, a sua volta, aveva respinto la domanda da essi proposta contro (OMISSIS) spa - in contraddittorio con l'interveniente cessionaria del (OMISSIS) srl - per ottenere, in relazione al contratto di mutuo fondiario n. (OMISSIS) stipulato il 22.6.2201, l'accertamento dell'usurarieta' del tasso di interesse di mora e la dichiarazione di nullita' del tasso di interesse corrispettivo ex articolo 117, commi 4 e 7 T.U.B., applicato dalla banca con richiesta di riformulazione del piano di ammortamento al tasso minimo dei BOT. Il Tribunale aveva motivato il rigetto della domanda osservando: - che il tasso soglia e il TEGM vengono determinati mediante rilevazioni statistiche riferite agli interessi corrispettivi e quindi non e' possibile confrontare la pattuizione degli interessi di mora col tasso soglia cosi' determinato, mancando un termine di raffronto coerente col valore da raffrontare; operando diversamente si giungerebbe, ad avviso del Tribunale, ad una rilevazione priva di qualsiasi attendibilita' scientifica e logica, prima ancora che giuridica, in quanto si pretenderebbe di raffrontare fra di loro valori disomogenei; - che vi e' incompatibilita' tra interessi di mora e usura di cui all'articolo 644 c.p., perche' gli interessi di mora sono assimilabili alla clausola penale suscettibile di riduzione ai sensi dell'articolo 1384 c.c., sussistendone i presupposti; - che nel caso in esame non e' stato nemmeno allegato inadempimento nel pagamento delle rate e non era possibile valutare il carattere usurario degli interessi di mora mediante raffronto col tasso soglia; - che il tasso di interesse corrispettivo e' conforme all'articolo 117 TUB in quanto il costo del mutuo e' stato sufficientemente determinato attraverso l'indicazione del tasso mensile, dei criteri di calcolo, conformi alle disposizioni di vigilanza e del relativo parametro di indicizzazione. 2. Contro la sentenza del Tribunale i (OMISSIS) - (OMISSIS) hanno proposto, ai sensi dell'articolo 348 ter c.p.c., comma 3, ricorso per cassazione sulla base di sei motivi contrastati con separati ma analoghi controricorsi dalla (OMISSIS) spa e dalla (OMISSIS) (quest'ultima in qualita' di procuratrice della cessionaria (OMISSIS) srl). Il Sostituto Procuratore Generale Dott. CORRADO MISTRI ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo l'accoglimento del primo, secondo quarto motivo del ricorso e l'inammissibilita' o il rigetto dei restanti motivi. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.1 Col primo di motivo i ricorrenti denunziano la violazione dell'articolo 644 c.p., comma 4, della Legge Antiusura n. 108 del 1996, e della Legge di Interpretazione Autentica n. 24 del 2001. Rilevano che anche l'interesse di mora e la commissione per estinzione anticipata devono ritenersi inerenti alla concessione del credito; rimproverano al Tribunale di non avere considerato che la verifica dell'usura originaria presuppone la verifica delle singole pattuizioni contenute nel contratto, non solo quella degli interessi corrispettivi, ma anche di quelli moratori perche' ogni clausola, che all'interno di un contratto di finanziamento comporti un costo per un mutuatario, deve necessariamente essere verificata rispetto alla soglia di usura. Osservano i ricorrenti che la clausola degli interessi corrispettivi, al pari di quella degli interessi moratori, e di quella di estinzione anticipata, collegata all'erogazione del credito, sono tutte previste nel mutuo oggetto di causa e quindi, ai fini della verifica dell'usura originaria, l'analisi delle singole pattuizioni va verificata quando nessun costo e' stato sostenuto dal mutuatario, ma solo pattuito o convenuto. 1.2 Col secondo motivo, i ricorrenti, denunziando violazione dell'articolo 644 c.p., della Legge Antiusura n. 108 del 1996, e della Legge di Interpretazione Autentica n. 24 del 2001, deducono l'irrilevanza dell'esclusione degli interessi di mora nel TEGM e la rapportabilita' del tasso effettivo di mora alla soglia usura oggettiva, rimproverando al Tribunale di avere utilizzato un percorso logico in contrasto con tutti i principi a cui si informa la normativa antiusura e la giurisprudenza. Ritengono che gli interessi di mora vanno rapportati con la soglia oggettiva di legge che nel caso di specie e' TEGM + 50%. 1.3 Col terzo motivo si denunzia violazione della L. n. 162 del 2014, in materia di tasso di interesse legale di mora, rimproverandosi ancora al Tribunale di avere ritenuto impossibile raffrontare il tasso moratorio con il tasso soglia ai fini della verifica dell'usurarieta'. Dopo avere evidenziato le diverse finalita' della normativa dettata in materia di usura (protezione del contraente piu' debole, cioe' il debitore) e di quella introdotta con il Decreto Legislativo n. 231 del 2002, in attuazione della Direttiva Comunitaria n. 200/35/CE (contrasto alla prassi commerciale del ritardo nei pagamenti), osservano i ricorrenti che la normativa introdotta col Decreto Legge n. 132 del 2014, convertito nella L. n. 162 del 2014, che ha modificato l'articolo 1284 c.c., facendo rinvio ai tassi di mora legali di cui alla legislazione speciale nelle transazioni commerciali di cui al Decreto Legislativo n. 231 del 2000, mira a evitare ricorsi all'autorita' giudiziaria meramente dilatori. Osservano altresi' che il tasso legale di mora rappresenta il livello minimo al quale il legislatore nazionale si e' dovuto attenere per un puntuale adeguamento della normativa vigente alle prescrizioni imposte dagli organismi comunitari in materia di ritardi nei pagamenti e dunque rappresenta l'attuazione di un obbligo imposto da fonti sovranazionali. 1.4 Col quarto motivo, i ricorrenti denunziano violazione degli articoli 1384 e 1815 c.c., invocando la gratuita' del mutuo in caso di tasso di mora superiore alla soglia di usura. Osservano che il Tribunale, contraddittoriamente, dapprima ha riconosciuto la soggezione degli interessi di mora alla normativa antiusura e poi li ha inspiegabilmente paragonati alla clausola penale assoggettandoli alla disciplina dell'articolo 1384 c.c., anziche' a quella dell'articolo 644 c.p., in combinazione con quella dell'articolo 1815 c.c., comma 2. Rilevano che, secondo la giurisprudenza, gli interessi di mora soggiacciono alla normativa antiusura, che il tasso di mora deve essere rapportato con la soglia usura per la categoria di credito a cui appartiene il rapporto verificato e che, in caso di superamento del tasso soglia, la clausola di determinazione del tasso di mora e' nulla e non sono dovuti interessi. 1.5 Col quinto motivo, i ricorrenti denunziano violazione e falsa applicazione dell'articolo 117, commi 4 e 7 TUB. Mancata indicazione del tasso annuo effettivo di interesse praticato - Nullita' con il tasso minimo dei BOT. Nella trattazione del motivo i ricorrenti procedono ad una definizione dei vari tassi e si soffermano sull'applicazione del TAE che, nel contratto in esame, a loro dire, non risulta indicato, precisando che la legge non consente una determinazione dei tassi per relationem. 1.6 Col sesto motivo ed ultimo motivo, i ricorrenti denunziano, infine, il vizio di motivazione della sentenza per omessa ammissione della consulenza tecnica contabile che, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, non aveva natura esplorativa perche' finalizzata a ricostruire l'andamento dei rapporti contabili non controversi nella loro esistenza. 2 Il primo, il secondo e il quarto motivo per la stretta connessione si prestano ad esame unitario. Il primo motivo e' in parte fondato. Fondati sono anche il secondo e il quarto. Il tema dell'inclusione degli interessi moratori nella disciplina antiusura e la conseguente rilevanza dell'avvenuto superamento del tasso-soglia e' stato oggetto di disamina da parte delle Sezioni Unite di questa Corte: decidendo sulla relativa questione di massima di particolare importanza rimessa dalla prima sezione civile con ordinanza interlocutoria n. 26946 del 22.10.2019, le SSUU hanno affermato che la disciplina antiusura, essendo volta a sanzionare la promessa di qualsivoglia somma usuraria dovuta in relazione al contratto, si applica anche agli interessi moratori, la cui mancata ricomprensione nell'ambito del Tasso effettivo globale medio (T.e.g.m.) non preclude l'applicazione dei decreti ministeriali di cui alla L. n. 108 del 1996, articolo 2, comma 1, ove questi contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali; ne consegue che, in quest'ultimo caso, il tasso-soglia sara' dato dal T.e.g.m., incrementato della maggiorazione media degli interessi moratori, moltiplicato per il coefficiente in aumento e con l'aggiunta dei punti percentuali previsti, quale ulteriore margine di tolleranza, dell'articolo 2, comma 4, sopra citato, mentre invece, laddove i decreti ministeriali non rechino l'indicazione della suddetta maggiorazione media, la comparazione andra' effettuata tra il Tasso effettivo globale (T.e.g.) del singolo rapporto, comprensivo degli interessi moratori, e il T.e.g.m. cosi' come rilevato nei suddetti decreti. Dall'accertamento dell'usurarieta' discende l'applicazione dell'articolo 1815 c.c., comma 2, di modo che gli interessi moratori non sono dovuti nella misura (usuraria) pattuita, bensi' in quella dei corrispettivi lecitamente convenuti, in applicazione dell'articolo 1224 c.c., comma 1; nei contratti conclusi con i consumatori e' altresi' applicabile la tutela prevista del Decreto Legislativo n. 206 del 2005, articolo 33, comma 2, lettera f) e articolo 36, comma 1 (codice del consumo), essendo rimessa all'interessato la scelta di far valere l'uno o l'altro rimedio (cfr. Sez. U., Sentenza n. 19597 del 18/09/2020 Rv. 658833). E' stato altresi' affermato che in tema di contratti di finanziamento, l'interesse ad agire per la declaratoria di usurarieta' degli interessi moratori sussiste anche nel corso dello svolgimento del rapporto, e non solo ove i presupposti della mora si siano gia' verificati; tuttavia, mentre nel primo caso si deve avere riguardo al tasso-soglia applicabile al momento dell'accordo, nel secondo la valutazione di usurarieta' riguardera' l'interesse concretamente praticato dopo l'inadempimento (cfr. sentenza SSUU cit.). Nel caso in esame, in cui si discute dell'applicabilita' o meno della normativa antiusura agli interessi moratori ad un contratto di mutuo fondiario e della conseguente rilevanza dell'avvenuto superamento del tasso soglia, il Tribunale ha rigettato la domanda optando per la soluzione negativa fondata sulla disomogeneita' dei valori di riferimento in caso di confronto della pattuizione relativa agli interessi di mora con il tasso soglia. Sotto questo profilo, la questione va riesaminata. Resta, a questo punto, da affrontare il tema del rapporto tra la commissione di estinzione anticipata e l'usura, pure posto dai ricorrenti col primo motivo, ed in proposito va richiamato il principio secondo cui in tema di usura bancaria, ai fini del superamento del "tasso soglia" previsto dalla disciplina antiusura, non e' possibile procedere alla sommatoria degli interessi moratori con la commissione di estinzione anticipata del finanziamento, non costituendo quest'ultima una remunerazione, a favore della banca, dipendente dalla durata dell'effettiva utilizzazione del denaro da parte del cliente, bensi' un corrispettivo previsto per lo scioglimento anticipato degli impegni a quella connessi (cfr. Sez. 3 -, Sentenza n. 7352 del 07/03/2022 Rv. 664250; Sez. 1 -, Ordinanza n. 23866 del 01/08/2022 Rv. 665525). Sulla scorta di tale principio, la specifica censura mossa dai ricorrenti si rivela priva di fondamento. In conclusione, la sentenza impugnata, pronunciata prima dell'intervento chiarificatore delle Sezioni Unite sul problema dell'inclusione degli interessi moratori nella disciplina antiusura, deve pertanto essere cassata per un nuovo esame sulla scorta del citato principio di diritto affermato con la sentenza n. 19597 del 18/09/2020. Resta logicamente assorbito l'esame dei restanti motivi, sui quali si pronuncera' il giudice di rinvio che, ai sensi dell'articolo 383 c.p.c., u.c., si individua nella Corte d'Appello di Milano in diversa composizione, e che provvedera' anche alla regolamentazione delle spese di questo giudizio. P.Q.M. la Corte accoglie per quanto di ragione il primo motivo di ricorso; accoglie altresi' il secondo e il quarto motivo; dichiara inammissibile il quinto e dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d'Appello di Milano in diversa composizione.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. AGOSTINACCHIO Luigi � President - del 20/12/2022 Dott. PELLEGRINO Andrea � Consiglie - SENTENZA Dott. CIANFROCCA P. � rel. Consiglie - N. 2930 Dott. DI PISA Fabio � Consiglie - REGISTRO GENERALE Dott. RECCHIONE Sandra � rel. Consiglie - N. 23765/2022 ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI ROMA; nei confronti di: (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); nonche' da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nata a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); contro la sentenza della Corte di Appello di Roma del 21.12.2020; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dai consiglieri Dott. CIANFROCCA Pierluigi e Dott.ssa RECCHIONE Sandra; udito il Sostituto Procuratore Generale Dott. PEDICINI Ettore, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso del Procuratore Generale e l'inammissibilita' dei ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); per l'annullamento, con rinvio, per (OMISSIS) e (OMISSIS); udito l'Avv. D'AMICO Felicia, in difesa della parte civile (OMISSIS), che ha depositato conclusioni scritte con nota spese, cui si riporta; udito l'Avv. MURRA Rodolfo, in difesa della parte civile Regione Lazio, che ha depositato conclusioni scritte con nota spese, cui si riporta; udito l'Avv. MARRA Fausto Maria, in difesa della parte civile S.O.S. Impresa Lazio, che ha concluso per la conferma della sentenza impugnata e depositato nota spese; udito l'Avv. VENCIA Dora, in difesa della parte civile (OMISSIS), che ha depositato conclusioni scritte con nota spese, cui si e' riportato; udito l'Avv. STANISCIA Angelo, in difesa di (OMISSIS), che ha concluso per il rigetto del ricorso del PG e l'accoglimenti dei motivi di ricorso della difesa, con annullamento con rinvio della sentenza impugnata; udito l'Avv. VENNETIELLO Dario, in difesa di (OMISSIS), che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso del PG e l'accoglimenti dei motivi di ricorso della difesa; udito l'Avv. VINCENTINI Pietro Odoardo, in difesa di (OMISSIS), che ha concluso per l'accoglimento del ricorso del proprio assistito associandosi al codifensore per il rigetto di quello del PG; udito l'Avv. NASO Ippolita, in difesa di (OMISSIS), che ha concluso per il rigetto del ricorso del PG riportandosi ai motivi di ricorso della difesa di cui chiede l'accoglimento; udito l'Avv. SIVIERO Emilio, in difesa di (OMISSIS), che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso del PG riportandosi ai motivi di ricorso della difesa di cui chiede l'accoglimento; udito l'Avv. BENI Giorgio, in difesa di (OMISSIS), che ha depositato breve memoria, chiedendo il rigetto del ricorso del PG e si e' associato alle richieste del codifensore per l'accoglimento dei motivi di ricorso della difesa; udito l'Avv. TENGA Giuseppina, in difesa di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che ha chiesto il rigetto del ricorso del PG e, in subordine, la prescrizione dei reati; udito l'Avv. NASO Giosue', in difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS), che ha chiesto il rigetto del ricorso del PG e l'accoglimento dei motivi di ricorso articolati dalla difesa. RITENUTO IN FATTO 1. In data 13.6.2019 il PM presso il Tribunale di Roma aveva chiesto il rinvio a giudizio di 63 persone chiamate a rispondere, variamente, dei delitti di associazione a delinquere di stampo mafioso, di fatti di usura, estorsione, trasferimento fraudolento di valori ed altri delitti aggravati ai sensi dell'articolo 416-bis.1 c.p.; nel corso dell'udienza preliminare, alcuni degli imputati avevano chiesto ed ottenuto di poter definire la propria posizione concordando la pena con il PM; (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) avevano chiesto, invece, che si procedesse, nei loro confronti, con rito abbreviato; (OMISSIS) e (OMISSIS), a loro volta, avevano chiesto procedersi con rito abbreviato condizionato e, in subordine, con rito abbreviato "secco", richiesta che, respinta la prima, era stata accolta; altri, infine, nei cui confronti si procedeva (anche) per il reato associativo, avevano optato per il rito ordinario ed erano stati rinviati separatamente a giudizio; 2. con sentenza del 20.12.2019 il GUP presso il Tribunale di Roma, decidendo nei confronti di coloro che aveva optato ed erano stati ammessi al rito abbreviato, per quel che interessa in questa sede, aveva dichiarato (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) responsabili dei reati loro rispettivamente ascritti e, con le circostanze attenuanti generiche stimate equivalenti, per (OMISSIS), alla aggravante di cui all'articolo 62 c.p. - articolo 628 c.p., comma 3, n. 1, con la recidiva contestata a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), esclusa invece per (OMISSIS), e la finale riduzione per la scelta del rito, aveva condannato: (OMISSIS) alla pena di anni 5 e mesi 4 di reclusione ed Euro 4.000 di multa; (OMISSIS) alla pena di anni 3 e mesi 4 di reclusione; (OMISSIS) alla pena di anni 3 di reclusione; (OMISSIS) alla pena di anni 9 e mesi 4 di reclusione ed Euro 10.000 di multa; (OMISSIS) alla pena di anni 4 di reclusione; (OMISSIS) alla pena di anni 3 e mesi 4 di reclusione, (OMISSIS) alla pena di anni 3 di reclusione; (OMISSIS) alla pena di anni 3 e mesi 4 di reclusione; (OMISSIS) alla pena di anni 3 e mesi 4 di reclusione; (OMISSIS) alla pena di anni 6 e mesi 8 di reclusione ed Euro 5.000 di multa; aveva inoltre applicato agli imputati le pene accessorie rispettivamente previste in relazione alla entita' della pena principale e disposto, per (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), la misura di sicurezza della liberta' vigilata per anni 2; aveva condannato infine gli imputati al risarcimento dei danni patiti dalle costituite parti civili liquidati in via equitativa unitamente alle spese; 3. la Corte di Appello di Roma, decidendo sugli appelli degli imputati, ha: escluso la aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. sui capi OOO), PPP) e QQQ) ed ha rideterminato al pena nei confronti di (OMISSIS) in anni 4 e mesi 6 di reclusione ed Euro 3.000 di multa revocando di conseguenza la pena accessoria della interdizione legale durante l'esecuzione della pena; ha escluso la medesima aggravante sul capo RR) ed ha, percio', rideterminato la pena nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) in anni 2 di reclusione, nei confronti di (OMISSIS) in anni 1 e mesi 4 di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale per (OMISSIS) ed ha di conseguenza revocato la pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici; ha escluso la aggravante di cui all'articolo 416bis.1 c.p. anche sui capi M), N), GGG), III) e P) come pure quella di cui all'articolo 628 c.p., comma 3, n. 3 in relazione ai capi GGG), III), M) e N) ed ha di conseguenza rideterminato la pena per (OMISSIS) in anni 6 e mesi 5 di reclusione ed Euro 4.200 di multa revocando percio' la pena accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici ed applicando quella della interdizione temporanea; ha ridotto la pena per il capo III) nei confronti di (OMISSIS) ad anni 4 e mesi 8 di reclusione ed Euro 3.000 di multa revocando l'interdizione perpetua dai pubblici uffici e quella legale durante l'espiazione della pena; in relazione ai capi SS) e TT), ha escluso la aggravante di cui all'articolo 416bis.1 c.p. e, con la gia' ritenuta continuazione, ha rideterminato la pena nei confronti di (OMISSIS) in anni 2 e mesi 2 di reclusione revocando la pena accessoria della interdizione temporanea; ha assolto (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) dai reati loro ascritti ai capi LL), MM), NN) perche' il fatto non costituisce reato; 4. ricorrono per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di appallo di Roma, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), e (OMISSIS) lamentando: 4.1 il PG presso la Corte di appello di Roma: 4.1.1 violazione di legge per erronea interpretazione ed applicazione dell'articolo 416bis.1 c.p. con riferimento alla esclusione dell'aggravante di aver commesso il fatto "al fine di agevolare l'attivita' dell'associazione mafiosa denominata clan (OMISSIS)" in relazione ai capi RR, M, N, P, SS e TT: rileva la erroneita' della affermazione della Corte di Appello di Roma quanto al fatto che l'esistenza del sodalizio di stampo mafioso era oggetto specifico di un separato procedimento ancora in corso e non potendo essere valutata in via incidentale, ribadendo come sia pacifico, nella giurisprudenza, che ai fini del riconoscimento della aggravante "mafiosa", sotto il profilo della finalita' agevolativa come, anche, della aggravante di cui all'articolo 628 c.p., comma 3, n. 3, non e' necessario che l'esistenza del sodalizio e la appartenenza dell'agente siano stati oggetto di un previo accertamento intervenuto con sentenza definitiva; aggiunge che l'accertamento dell'esistenza di un sodalizio di stampo mafioso era in ogni caso intervenuto nel giudizio abbreviato, nonostante la separazione delle posizioni disposta per coloro che erano stati invece tratti a giudizio per rispondere del delitto associativo; segnala che, seguendo l'impostazione della Corte di Appello, sarebbe stato possibile ritenere le aggravanti legate alla esistenza del sodalizio soltanto nel caso in cui il processo fosse stato celebrato unitariamente; sottolinea, per altro verso, che la esistenza del sodalizio, come anche delle relative aggravanti, era stata comunque ritenuta in sede cautelare con sentenza 17851 del 2019 di cui riporta ampi passi; 4.1.2 violazione di legge per erronea interpretazione ed applicazione degli articoli 416bis e 416bis.1 c.p. con riferimento alla definizione ed alla connotazione dell'omerta' quale elemento caratterizzante dell'associazione di tipo mafioso ed alla conseguente sussistenza dell'aggravante dell'agevolazione dell'associazione mafiosa denominata "clan (OMISSIS)" in relazione ai capi RR, M, N, P, SS e TT: segnala che la sentenza impugnata ha considerato la situazione di assoluta omerta' quale condizione necessaria per ritenere il carattere mafioso del sodalizio non avendola ravvisata nel caso di specie; sottolinea come siffatta situazione, intesa come assoluto ed incondizionato rifiuto di collaborare con gli inquirenti, non e' richiesta non soltanto per le mafie "atipiche" ma persino per le mafie "storiche"; 4.1.3 violazione di legge per erronea interpretazione ed applicazione dell'articolo 4166/5.1 c.p. e dell'articolo 23819/5 c.p.p. con riferimento alla esclusione dell'aggravante di aver commesso il fatto "al fine di agevolare l'attivita' dell'associazione mafiosa denominata clan (OMISSIS)" in relazione ai capi RR, M, N, P, SS e TT: richiama passi della sentenza impugnata relativi al contenuto delle sentenze del Tribunale di Roma del 30.6.2008 e del GUP di Roma n. 13000 del 2010, che aveva dichiarato non doversi procedere per prescrizione, evidenziando la erroneita', in diritto, delle considerazioni svolte dalla Corte di Appello dal momento che l'articolo 238bis c.p. si riferisce a "sentenze divenute irrevocabili" da intendersi non soltanto quelle di condanna ma anche, come ritenuto dalla giurisprudenza, quelle dichiarative della prescrizione; 4.1.4 violazione di legge per erronea interpretazione ed applicazione degli articoli 416bis e 416bis.1 c.p. con riferimento alla definizione ed alla connotazione dell'organizzazione in senso verticistico quale elemento caratterizzante la associazione di tipo mafioso ed alla conseguente sussistenza dell'aggravante dell'agevolazione della associazione di tipo mafioso denominata "Clan (OMISSIS)" in relazione ai capi RR, M, N, P, SS e TT: richiama vari passaggi della sentenza impugnata in cui la Corte di Appello ha motivato sulla esclusione del carattere "mafioso" del clan (OMISSIS) in considerazione della mancanza di una organizzazione di tipo verticistico anche nella forma federata o collegiale; rileva l'errore di diritto in cui anche in tal caso sarebbe incorsa la Corte territoriale dal momento che l'esistenza di una organizzazione rigorosamente verticistica non e' elemento distintivo caratterizzante nemmeno per alcune delle mafie "storiche" ma solo della mafia siciliana; 4.1.5 violazione di legge e vizio di motivazione - travisamento della prova - ed erronea interpretazione ed applicazione dell'articolo 416bis.1 c.p. con riferimento all'esclusione della aggravante di aver commesso il fatto "con metodo mafioso" quanto ai capi PPP, QQQ, M, N, GGG, III, SS): 4.1.5.1 riporta un passo della sentenza impugnata in cui la Corte di Appello ha escluso l'esistenza del metodo mafioso non avendo le persone offese dei reati sopra indicati fatto riferimento a ritorsioni violente; stigmatizza l'errore di diritto in cui sarebbero incorsi i giudici romani dal momento che il ricorso alla violenza fisica non e' elemento imprendibile ed essenziale della fattispecie in quanto non richiamato dalla norma ne' frutto di elaborazione della giurisprudenza; ribadisce come il metodo mafioso si connota proprio per la capacita' di intimidazione derivante dalla vincolo associativo tanto piu' intensa quanto meno bisognevole del ricorso a metodi violenti per vincere la resistenza delle vittime; aggiunge che gli esempi richiamati nella sentenza fanno riferimento alle vittime che hanno finito per accondiscendere alle richieste estorsive, ragion per cui non sono state fatte oggetto di condotte violente; 4.1.5.2 segnala l'ulteriore travisamento in cui e' incorsa la Corte di Appello laddove, nel trattare della posizione di (OMISSIS), ha richiamato il contenuto delle deposizioni del (OMISSIS) e del (OMISSIS) in merito a quanto loro prospettato dall'imputato escludendo il metodo mafioso per il fatto che questi non avesse espressamente o implicitamente evocato la sua appartenenza al clan (OMISSIS); riporta quanto nel contempo lo stesso giudice di appello aveva evidenziato quanto alle modalita' con cui i debitori venivano sottoposti a pressioni psicologiche sino ad essere convocati nella "sede del clan" ovvero presso il "quartier generale", in tal modo contraddicendo la affermazione secondo cui non sarebbe stata provata la evocazione della esistenza e della loro appartenenza ad un sodalizio noto in tutta Roma; analogo vizio di travisamento deduce con riguardo alla posizione dell'imputato (OMISSIS) ed agli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS); 4.1.6 violazione di legge e vizio di motivazione - travisamento della prova in ordine alla riconducibilita' del Clan (OMISSIS) nella fattispecie di cui all'articolo 416bis c.p. ed alla conseguente configurabilita' della aggravante di cui all'articolo 416bis.1 c.p.: violazione dell'articolo 192 c.p.p. per errato apprezzamento del contributo dichiarativo dei collaboratori di giustizia (OMISSIS) e (OMISSIS) e travisamento omissivo per il mancato apprezzamento delle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), quanti ai capi RR, M, N, P, SS, TT, PPP, QQQ, GGG, III: segnala che la Corte di Appello ha piu' volte ribadito di avere valutato soltanto il materiale probatorio concernente gli specifici delitti contestati ma in tal modo, avendo finito per operare una considerazione delle prova non soltanto atomistica ma anche parziale omettendo di prendere in esame il contesto in cui le singole vicende erano maturate e di cui non avrebbe potuto disinteressarsi; rileva, ancora, il travisamento della prova in cui e' incorsa la Corte di Appello ritenendo non pertinente alla vicenda in esame il decreto di prevenzione del 1996 che ha considerato come riferito esclusivamente ad esponenti della "(OMISSIS)" laddove, invece, proprio in quel provvedimento si era dato conto dei rapporti tra questo gruppo e (OMISSIS); 4.1.6.1 il collaboratore (OMISSIS): il ruolo di (OMISSIS): rileva che la Corte di Appello ha considerato illogico che il (OMISSIS), nonostante la sua caratura criminale e la sua intraneita' al sodalizio, fosse stato egli stesso sottoposto ad usura da parte del gruppo di cui avrebbe fatto parte: rileva come la Corte abbia omesso di considerare che dalle dichiarazioni del (OMISSIS) era possibile ricostruire l'articolarsi del suo rapporto con i (OMISSIS) in tre periodi diversi: il primo, risalente al 2011 e sino al 2014, quando egli aveva avuto contatti soltanto con (OMISSIS) ed al quale risale il prestito erogatogli da quest'ultimo a condizioni, peraltro, di favore (10% piuttosto che 20%); un secondo periodo, a partire dal gennaio del 2014, in cui il (OMISSIS) era entrato in contatto con l'intera famiglia, ed un terzo periodo, successivo al sequestro della (OMISSIS), quando egli aveva ricevuto la proposta di entrare nel clan che la Corte, travisando un dato pacifico, ha ritenuto essere stata accettata; sottolinea, infatti, che dalle stesse dichiarazioni del (OMISSIS) risulta che egli non era affatto entrato nel clan ne' era mai stato intraneo alla ‘ndrangheta; che, inoltre, il fatto di provenire da una famiglia di ‘ndraghetisti aveva maturato la fiducia dei (OMISSIS) ma anche il timore di costoro di essere esposti ad indagini sulla criminalita' calabrese; aggiunge che risulta illogico fondare la scarsa conoscenza delle prassi creditizie del gruppo dalla reticenza del dichiarante il quale, infatti, si occupava della fase successiva a quella delle pattuizioni e della erogazione del credito; la attendibilita' di (OMISSIS): richiama le considerazioni svolte dalla Corte circa la presunta debolezza delle dichiarazioni rese dal (OMISSIS) su circostanze apprese dalla (OMISSIS) evidenziando l'illogica applicazione dei canoni di valutazione riservati alla fase processuale e che sono stati utilizzati, invece, con riguardo a confidenze rese al di fuori del processo; sottolinea, in definitiva, come la Corte abbia operato una valutazione di credibilita' intrinseca e di attendibilita' soggettiva sulla scorta di elementi travisati o ininfluenti, abbia travisato i rapporti tra il dichiarante e gli accusati e, per altro verso, la convergenza delle sue dichiarazioni con quelle rese dalla (OMISSIS); altri travisamenti sulle dichiarazioni del (OMISSIS): rileva, ancora, il travisamento della prova in cui sarebbe incorsa la Corte di Appello nel a proposito del paragone fatto da (OMISSIS) tra (OMISSIS) e (OMISSIS) quale capo della ‘ndrangheta; aggiunge che analogamente la Corte ha ritenuto inaffidabili le dichiarazioni del (OMISSIS) sulle modalita' di erogazione dei prestiti usurari dimenticando che egli stesso era stato vittima di usura e ben conosceva i termini dei rapporti debito/credito praticati agli altri debitori in maniera del tutto simile; segnala, ancora, come la valutazione delle dichiarazioni del (OMISSIS) in ordine alle modalita' violente di recupero dei crediti non potesse essere messa in dubbio dall'esistenza di debitori che non erano stati vittime di violenza solo perche' avevano accettato corrisposto il "dovuto" o comunque cifre altissime; ribadisce come la valutazione operata dalla Corte circa la insussistenza della capacita' del sodalizio di incutere timore sia stato il frutto di una considerazione atomistica delle prove; le ragioni della collaborazione di (OMISSIS): sottolinea, ancora, come la Corte non abbia spiegato in che misura ed in che modo il fatto che il (OMISSIS) fosse stato vittima di usura ovvero la sua origine calabrese possano avere inciso sulla attendibilita' delle sue dichiarazioni; segnala, invece, come il primo giudice avesse correttamente evidenziato che il (OMISSIS) si era autoaccusato di gravi reati e che non aveva in ogni caso fruito di alcun beneficio dalla prestata collaborazione; 4.1.6.2 (OMISSIS): segnala come la Corte sia incorsa in travisamento della prova affermando che la (OMISSIS) non poteva ritenersi pienamente attendibile a causa dei contrasti con i familiari, ovvero gli odierni imputati, finendo per travisare anche il senso delle dichiarazioni rese dalla costei; 4.1.6.3 (OMISSIS): rileva che, sotto il profilo del travisamento per omissione, la Corte ha escluso la aggravante contestata non prendendo in esame le dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) le cui dichiarazioni erano state invece ampiamente richiamate dal giudice di primo grado laddove invece la sentenza impugnata non ne ha tenuto conto nemmeno al fine di svalutarne la valenza; 4.1.7 violazione di legge e vizio di motivazione sotto il profilo del travisamento della prova in ordine alla sussistenza dei delitti di cui ai capi LL), MM) e NN), rispettivamente ascritti a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) assolti dalla Corte di Appello: riporta i capi di imputazione relativi alle tre vicende di interposizione da cui i predetti imputati sono stati assolti dalla Corte di Appello perche' il fatto non costituisce reato; segnala che, nella ricostruzione dei fatti condivisa sul piano oggettivo dalla Corte di Appello, (OMISSIS), figlio di (OMISSIS) e (OMISSIS) e fratello di (OMISSIS) sarebbe il reato proprietario dei beni descritti nei capi LL), MM) e NN) non sussistendo, tuttavia, la prova dell'elemento soggettivo del reato a tale conclusione essendo pervenuta sulla scorta di una motivazione congetturale, errata in diritto e frutto di travisamento della prova; congetturale in quanto la Corte evoca ripetutamente la finalita' perseguita come quella di evitare un pignoramento civile dato che non emerge da alcun elemento acquisito al processo; errata in diritto laddove afferma la inidoneita' della intestazione fittizia ad un prossimo congiunto a scongiurare il rischio paventato, e richiama sul punto il Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 26; frutto, infine, di un travisamento della prova cosi' radicale da essere deducibile in questa sede laddove la Corte ha affermato che tali operazioni erano intervenute in un momento in cui non era prevedibile che, nel 2018, a (OMISSIS) sarebbe stato contestato il delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso; rileva che la corte non ha tenuto conto che, alla stregua del curriculum criminale, lo (OMISSIS) ben poteva essere attinto da una misura di sicurezza legata alla pericolosita' generica essendo egli dedito, sin dal 2002, a usura ed estorsione per taluno dei quali nell'aprile del 2003 aveva chiesto la definizione con sentenza di applicazione concordata della pena ed era imputato in un altro procedimento per il quale sarebbe stato condannato nel 2008 a due anni e sei mesi di reclusione con confisca parziale dei beni; ripercorre inoltre le scansioni della vicenda, dalla cessione del contratto preliminare alla stipula del definitivo da parte di (OMISSIS) che aveva avuto la funzione di evitare l'acquisto diretto da parte della (OMISSIS) s.r.l. poiche' nel frattempo, in data 10.11.2014, (OMISSIS), detto (OMISSIS), era stato attinto da una misura cautelare personale per usura e dal sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, di un compendio immobiliare a lui intestato avendo percio' ritenuto piu' prudente cedere il preliminare e far acquistare il bene dalla sorella (OMISSIS); evidenzia inoltre le anomalie del contratto di cessione del preliminare, del tutto trascurate dalla Corte, e tali da suggerire il carattere fittizio della operazione; aggiunge, inoltre, che il dolo specifico del delitto in esame non corrisponde necessariamente al dolo esclusivo; richiama, ancora, le dichiarazioni rese dalla (OMISSIS) sul punto e; quanto alla intestazione fittizia dell'immobile di via (OMISSIS), segnala che la data dell'acquisto e' di pochi giorni precedete la condanna dello (OMISSIS) a due anni e sei mesi di reclusione per usura ed estorsione pronunciata in data 6.2.2008 dal Tribunale di Roma con confisca parziale dei beni; 4.2 (OMISSIS), con ricorso sottoscritto dagli Avv.ti Colosimo Paolo e Proietti Dario: 4.2.1 violazione di legge (articolo 644 e 629 c.p.) e vizio di motivazione in ordine ai reati di usura ed estorsione consumati ai danni di (OMISSIS): secondo la difesa non sarebbe stata provata ne' l'entita' del prestito, ne' il contenuto degli accordi inter partes; la conferma della responsabilita' sarebbe fondata esclusivamente sulle dichiarazioni dell'offeso, che non sarebbero credibili tenuto conto della incoerenza della progressione dichiarativa (le dichiarazioni dibattimentali non erano conformi a quelle rese durante le indagini); si contesta inoltre la legittimita' dell'inquadramento giuridico della condotta, che avrebbe dovuto essere ricondotta alla fattispecie prevista dall'articolo 393 c.p.; 4.2.2 violazione di legge (articolo 644 e 629 c.p.) e vizio di motivazione in ordine alla conferma di responsabilita' per i reati di usura ed estorsione ai danni di (OMISSIS) e (OMISSIS); secondo la difesa mancherebbe la prova della dazione del prestito usuraio; inoltre non sarebbe stata assegnata a (OMISSIS) la corretta veste processuale, tenuto conto che dalle prove raccolte emergerebbe il suo coinvolgimento nell'usura ai danni di (OMISSIS); infine, mancherebbe la prova delle minacce; 4.2.3 violazione di legge (Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 132) e vizio di motivazione in ordine alla conferma della responsabilita' per il reato di esercizio abusivo di attivita' creditizia: secondo la difesa la motivazione sarebbe carente, tenuto conto della specificita' dell'atto di appello, che avrebbe puntualmente contestato la sentenza di primo grado; 4.3 (OMISSIS) e (OMISSIS), con ricorso a firma dell'Avv. Manca Pier Giorgio: 4.3.1 vizio di motivazione: a detta della difesa sarebbe illogico ritenere che (OMISSIS), gia' sottoposto a misure di prevenzione personale e patrimoniale, per "difendere" i suoi beni da ulteriori vincoli, li avesse affidati a (OMISSIS), familiare che non svolgeva alcuna attivita' lavorativa; si tratterebbe, invece, di una regolare compravendita; mancherebbe inoltre lo scrutinio dell'elemento soggettivo; la motivazione sarebbe carente anche con riguardo alla posizione di (OMISSIS); secondo la difesa, inoltre, la inverosimiglianza dell'azione delittuosa si ricaverebbe dal fatto che la ricorrente, convivente di (OMISSIS), avrebbe ingenuamente dichiarato agli agenti del commissariato di PS che l'auto era di (OMISSIS), ma era utilizzata da lei, dimostrando che era inconsapevole della presunta intestazione fittizia; ne' la consapevolezza della illeceita' della intestazione avrebbe potuto essere ricavata dal fatto che la stessa non avrebbe potuto ignorare le pendenze penali del compagno (OMISSIS); 4.3.2 violazione di legge (articolo 99 c.p.) ed omessa motivazione in ordine alla richiesta, avanzata con l'atto di appello, di escludere la recidiva contestata a (OMISSIS); 4.3.3 violazione di legge (articolo 62-bis c.p.) e vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche: non sarebbe stata considerata l'incensuratezza di (OMISSIS), mentre con riguardo a (OMISSIS) la motivazione sarebbe incentrata - in modo insufficiente - solo sulla intensita' del dolo; 4.4 (OMISSIS), con un secondo ricorso a firma dell'Avv. Naso Ippolita, che deduce violazione di legge (articolo 62-bis c.p.) e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche: la motivazione sarebbe contraddittoria poiche' fondata sulla valorizzazione di precedenti, negati nella parte della motivazione che aveva concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena; 4.5 (OMISSIS), con ricorso a firma dell'Avv. Staniscia Angelo: 4.5.1 violazione di legge (articolo 99 c.p.) e vizio di motivazione in ordine al riconoscimento della recidiva: assume la difesa che la recidiva avrebbe dovuto essere esclusa in quanto ne' la gravita' del reato, ne' l'intensita' del dolo (minima come attestato dalla quantificazione della pena base nel minimo edittale, coerente con il ruolo marginale avuto dal (OMISSIS) nella consumazione del reato contestato), ne' i precedenti vantati (risalenti e non omogenei) indicavano un concreto aggravamento della pericolosita'; a cio' si aggiunge che non sarebbero state valutate le condizioni di vita dell'imputato ed il suo comportamento quando era stato sottoposto alla misura degli arresti domiciliari; 4.5.2 violazione di legge (articolo 99 c.p.): secondo la difesa sarebbe erronea la applicazione della recidiva "reiterata" tenuto conto che la seconda delle condanne che componevano la progressione criminosa riguarderebbe una condotta posta in essere tra l'agosto ed il settembre del 2010, dunque consumata prima del passaggio in giudicato della prima condanna, divenuta irrevocabile il 2 maggio 2015; pertanto il (OMISSIS), quando aveva posto il essere la seconda azione illecita, non avrebbe potuto avere la consapevolezza della sua condizione e delle conseguenze che la stessa avrebbe avuto in caso di consumazione di un nuovo delitto; 4.5.3 violazione di legge (articolo 597 c.p.p.), in quanto la Corte di appello aveva inflitto un aumento di un anno per la recidiva, mentre il primo giudice aveva quantificato l'aumento in soli sei mesi; sarebbe quindi stato violato il divieto di reformatio in peius, operante anche con riferimento ai segmenti di pena riferibili alle aggravanti; 4.5.4 violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo alla condanna alle statuizioni civili: assume che ne' la Regione Lazio, ne' l'associazione " (OMISSIS)", ne' " (OMISSIS)", avrebbero indicato nei rispettivi statuti l'obiettivo di costituirsi parte civile per i reati previsti dall'articolo 512-bis c.p.; aggiunge che, in relazione a (OMISSIS), era stata esclusa l'aggravante agevolativa, sicche' il ricorrente si trovava nelle medesime condizioni del coimputato (OMISSIS), cui ab origine l'aggravante agevolativa non era stata contestata ed era stata proprio questa la ragione per la quale il Tribunale aveva escluso, nei confronti di (OMISSIS), la costituzione della Regione Lazio e di (OMISSIS) (la associazione " (OMISSIS)" non si era mai costituita nei confronti di tale imputato); 4.5.5 con atto in data 30 novembre 2022 l'Avv. Staniscia Angelo ha proposto motivi nuovi, con i quali ribadisce le ragioni del ricorso; 4.6 (OMISSIS), con ricorso a firma dell'Avv. Vennetiello Dario: 4.6.1 violazione di legge (articolo 133, 81, 62-bis c.p.): secondo la difesa la quantificazione della pena sarebbe sorretta da motivazione illogica sia in ordine al bilanciamento delle circostanze, che alla definizione dell'aumento per la continuazione; segnatamente: la prevalenza delle attenuanti generiche sulla circostanza aggravante delle piu' persone riunite sarebbe stata giustificata in modo apodittico con il riferimento alla gravita' del reato; inoltre, non sarebbe stato considerato il comportamento processuale del ricorrente, incensurato, che aveva reso pronta confessione, pur nel difficile ambiente della criminalita' organizzata, coinvolgendo anche la madre; 4.7 (OMISSIS), con ricorso a firma degli Avv.ti Vicentini Pietro Odoardo e Beni Giorgio: 4.7.1 violazione di legge (articoli 521, 522 c.p.p.) e vizio di motivazione: assume la difesa che nel capo di imputazione non era stato indicato che la somma richiesta da (OMISSIS) si riferiva ad un prestito usuraio, non azionabile per via giudiziaria; pertanto, il fatto che la Corte di appello avesse riconosciuto la sussistenza dell'estorsione valorizzando l'illegittimita' della pretesa - mentre il Tribunale aveva fatto leva sull'intensita' della minaccia - costituiva una modifica del fatto contestato ed implicava la nullita' della sentenza per violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza; 4.7.2 violazione di legge (articolo 191 c.p.p.): sarebbero inutilizzabili le dichiarazioni rese da (OMISSIS) nel procedimento principale (n. 13868/2019 R.G. Trib.) in assenza del difensore del ricorrente, ed acquisite senza il consenso della difesa dello (OMISSIS) all'udienza del 26 ottobre 2020; 4.7.3 violazione di legge (articolo 629 c.p.): deduce che il dolo concorsuale sussiste solo se l'agente sia in grado di rappresentarsi la verificazione dell'illecito e contribuisca alla realizzazione del medesimo; la Corte di appello non aveva rilevato alcun elemento idoneo a provare tale profilo soggettivo in capo al ricorrente; 4.7.4 violazione di legge (articolo 603 c.p.p.) e vizio di motivazione: sia il Tribunale che la Corte di appello avevano rigettato la richiesta di assumere la testimonianza della persona con la quale (OMISSIS) avrebbe avviato il rapporto usuraio, ovvero (OMISSIS); il ricorrente, con il terzo motivo di appello, aveva chiesto la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, rilevando la decisivita' della testimonianza del (OMISSIS): cio' nonostante la Corte di appello non la ha disposta, senza fornire alcuna motivazione; 4.7.5 omessa motivazione in relazione alla richiesta di concessione delle attenuanti generiche proposta con il quinto motivo di appello; 4.7.6 omessa motivazione in ordine alle ragioni, esposte con il sesto motivo dell'atto di appello, con le quali erano stati contestati i presupposti del riconoscimento della recidiva reiterata specifica; ribadisce che i precedenti vantati dal ricorrente erano risalenti e di scarso allarme sociale; 4.7.7 con l'ultimo motivo si instava per la correzione dell'errore materiale nel calcolo della pena: la riduzione del terzo per il rito abbreviato sarebbe stata erroneamente calcolata, poiche', partendo dalla pena base di sei anni di reclusione, con la riduzione per la scelta del rito, la Corte di appello aveva inflitto la pena di anni quattro e mesi otto di reclusione, invece che di soli anni quattro di reclusione, risultante dal calcolo aritmetico della riduzione; 5. la difesa di (OMISSIS) ha trasmesso una memoria difensiva per replicare al ricorso proposto dal PG e con riguardo alla richiesta di annullamento della sentenza impugnata relativamente alla esclusione della aggravante di cui all'articolo 416bis.1 c.p. sul capo III) della imputazione: rileva, infatti, che il quinto ed il sesto motivo del ricorso del PG sono inammissibili in quanto manifestamente infondati; segnala, infatti, il rilievo operato dal PG quanto al ritenuto errore in cui sarebbe incorsa la Corte di Appello nel giudicare essenziale, ai fini del riconoscimento della aggravante, il sistematico ricorso alla violenza, e richiama invece la motivazione dei giudici di secondo grado che hanno escluso la aggravante su tutt'altro presupposto; osserva, inoltre, che il PG ha ritenuto di poter sostenere la propria tesi con il ricorso a precedenti giurisprudenziali del tutto inconciliabili tra loro e comunque riferiti a situazioni differenti, il primo ad un sodalizio criminale il cui radicamento renderebbe addirittura superfluo il ricorso a minacce esplicite; il secondo riferito alla configurabilita' del metodo mafioso anche a prescindere dall'esistenza di un sodalizio; rileva, a tal proposito, che la condotta ascritta all'imputato era stata consumata non soltanto essendo lo (OMISSIS) del tutto estraneo a qualsivoglia sodalizio mafioso ma, per altro verso, quando non era stata nemmeno ventilata l'esistenza di una compagine di tipo mafioso denominata "clan (OMISSIS)"; sottolinea, invece, come la sentenza impugnata abbia fatto buon governo dei principi consolidati affermando che la minaccia perpetrata nel caso di specie appartiene al patrimonio tipico della criminalita' comune; segnala, inoltre, la insussistenza del denunziato travisamento sul fatto che il mancato esercizio della violenza fosse conseguente alla acquiescenza prestata dalle vittime, non risultando alcun elemento di prova deponente in tal senso, sicche' la censura del PG tende in realta' a sollecitare una diversa lettura di quelli invece acquisiti; segnala come, in prosieguo, il PG abbia tentato di prospettare come travisamento un profilo di contraddittorieta' della motivazione che, peraltro, non sussiste, come risulta dalla integrale lettura del passo della motivazione riportato nel ricorso; evidenzia come, analogamente, non emerga alcun travisamento nell'esame, operato nella sentenza impugnata, del capo III) e sulla responsabilita' dello (OMISSIS); segnala, ancora, l'inammissibilita' del sesto motivo del ricorso del PG laddove si sollecita la rivisitazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sulle caratteristiche e dinamiche del sodalizio. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso del Procuratore Generale presso al Corte di Appello di Roma e', in gran parte, fondato. Come accennato nel "ritenuto in fatto", con sentenza del 21.12.020, la Corte di appello di Roma ha riformato la sentenza con cui, il 20.12.2019, il GUP presso il Tribunale capitolino, procedendo nelle forme del giudizio abbreviato, aveva dichiarato gli odierni ricorrenti responsabili di una serie di fatti di reato validando, inoltre, la contestazione della aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. vuoi sotto forma del "metodo mafioso" vuoi, anche, della finalita' di agevolazione del "clan (OMISSIS)"; i giudici di secondo grado, accogliendo, sul punto, l'impostazione delle difese, hanno infatti escluso la suindicata aggravante ed hanno di conseguenza rideterminato la pena inflitta agli imputati; sempre in riforma della sentenza di primo grado, inoltre, la Corte di appello ha assolto (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) dai reati loro ascritti ai capi LL), MM) e NN), perche' il fatto non costituisce reato. Siffatte statuizioni sono oggetto di una articolata impugnazione proposta dalla Procura Generale presso la Corte di Appello di Roma che ne denunzia la erroneita' sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione sulla scorta di censura che, come pure appena premesso, sono per la massima parte ammissibili e fondate. 1.1 Con il primo motivo del ricorso, infatti, il PG denunzia violazione di legge per errata interpretazione ed applicazione dell'articolo 416-bis.1 c.p. laddove la Corte di appello, per escludere la aggravante, contestata (e gia' ritenuta dal primo giudice) sotto il profilo della agevolazione, sui capi RR, M, N, P, SS e TT, ha affermato - in piu' parti della motivazione della sentenza impugnata - che, supponendo essa la effettiva esistenza del sodalizio, doveva prendersi atto che, nella fattispecie, il relativo accertamento era oggetto di un separato procedimento, ancora in corso, non potendo invece operarsi, sul punto, un accertamento meramente incidentale; il medesimo vizio di violazione di legge viene dedotto, inoltre, per l'analoga affermazione formulata dalla Corte territoriale quanto ai presupposti della aggravante di cui all'articolo 628 c.p., comma 3, n. 3, del pari esclusa con la medesima - errata - motivazione. Il motivo e' fondato. E' largamente diffusa, ancorche' non del tutto unanime (cfr., per una posizione piu' sfumata, ancorche' relativa ad una fattispecie concreta peculiare, Sez. 2 -, n. 27548 del 17/05/2019, Gallelli, Rv. 276109 - 01), nella giurisprudenza di questa Corte, l'affermazione per cui il Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7, ora articolo 416-bis.1 c.p., configura due ipotesi di circostanze aggravanti: la prima relativa al reato commesso dal soggetto, appartenente o meno all'associazione di cui all'articolo 416-bis c.p., che si avvale del metodo mafioso, ai fini della cui integrazione non e' necessaria la prova l'esistenza della associazione criminosa, essendo sufficiente l'aver ingenerato nella vittima la consapevolezza che l'agente appartenga o sia legato ad un sodalizio con quelle caratteristiche; la seconda che, invece, postulando che il reato sia commesso al fine specifico di agevolare l'attivita' di una associazione mafiosa, ne implica necessariamente l'esistenza reale a non semplicemente supposta e richiede, ai fini della sua integrazione, la prova della oggettiva finalizzazione dell'azione a favorire l'associazione e non un singolo partecipante (cfr., Sez. 2, n. 49090 del 04/12/2015, Maccariello, Rv. 265515 - 01; Sez. 2, n. 41003 del 20/09/2013, Bianco, Rv. 257240 - 01; conf., Sez. 6 -, n. 1738 del 14/11/2018, Mancuso, Rv. 274842 - 01). Le stesse SS.UU. "Chioccini", vagliando la questione della natura oggettiva o soggettiva - della aggravante della agevolazione, hanno d'altra parte fatto presente che "... la forma aggravata in esame esige quindi che l'agente deliberi l'attivita' illecita nella convinzione di apportare un vantaggio alla compagine associativa: e' necessario pero', affinche' il reato non sia privo di offensivita', che tale rappresentazione si fondi su elementi concreti, inerenti, in via principale, all'esistenza di un gruppo associativo avente le caratteristiche di cui all'articolo 416-bis c.p. ed alla effettiva possibilita' che l'azione illecita si inscriva nelle possibili utilita', anche non essenziali al fine del raggiungimento dello scopo di tale compagine, secondo la valutazione del soggetto agente, non necessariamente coordinata con i componenti dell'associazione" (cfr., dalla motivazione di Sez. U -, n. 8545 del 19/12/2019, Chioccini, Rv. 278734 - 01). Tanto premesso, questa Corte, tuttavia, ha piu' volte chiarito che, ai fini del riconoscimento della aggravante di cui alla L. 12 luglio 1991, n. 203, articolo 7 (ora articolo 416-bis.1 c.p., comma 1), il giudice, anche in assenza di formale contestazione, nell'ambito del procedimento, del delitto di cui all'articolo 416-bis c.p., puo' effettuare una valutazione incidentale, allo stato degli atti, di sussistenza di una compagine associativa ancorche', si e' detto, tale accertamento non possa essere compiuto sulla sola base dell'emissione, in un diverso procedimento penale, di una misura cautelare per il predetto reato associativo, necessitando della contestuale acquisizione degli elementi di prova posti a fondamento di tale misura (cfr., Sez. 3, n. 8505 del 14/01/2021, Rinzivillo, Rv. 281163 - 01; Sez. 1, n. 24524 del 18/02/2014, Griner, Rv. 259620 - 01: conf., tra le non massimate, Sez. 2, n. 36016 del 16.4.2019, Favara; Sez. 1, 12288 del 2.7.2017, Abbruzzese; Sez. 2, n. 47062 del 21.9.2017; cfr., anche, Sez. 2, n. 13504 del 28/02/2013, Pelle, Rv. 254909 - 01, in cui la Corte ha affermato che la circostanza aggravante prevista dal Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, articolo 7, convertito nella L. n. 203 del 1991, e' configurabile anche se la condotta sia posta in essere in relazione ad associazione di tipo mafioso la cui esistenza non sia stata accertata con sentenza passata in giudicato e se il dedotto capo di questa, destinatario della condotta agevolativa, sia stato precedentemente assolto da imputazioni relative al reato di cui all'articolo 416-bis c.p., quando l'operativita' del sodalizio ed il ruolo svolto dal soggetto agevolato siano desumibili da risultanze acquisite successivamente alla sentenza di assoluzione). Il giudice chiamato a decidere in merito alla esistenza o meno della aggravante della "agevolazione", non puo' dunque esonerarsi dalla necessita' di svolgere un accertamento incidentale sulla esistenza del sodalizio in funzione e nell'interesse del quale l'agente abbia posto in essere la condotta illecita ascrittagli; risulta percio' evidentemente errata, in diritto, la affermazione dei giudici capitolini laddove (cfr., in particolare, pagg. 25-26 della sentenza impugnata), dopo aver accennato al contenuto delle conversazioni intercettate tra (OMISSIS) e (OMISSIS) (in cui costoro manifestano il timore di denunciare i (OMISSIS)) e dopo aver dato atto della conversazione, pure intercettata, tra (OMISSIS) e (OMISSIS) (da cui pure emerge il timore di costoro nutrito dai nei confronti dei (OMISSIS)), ha tuttavia sostenuto che "... che tali apporti probatori non sono specificatamente rivolti alla prova dei reati per cui si procede in questo giudizio", rifiutando, come si vedra' in seguito, di dar rilievo ad elementi di prova che esulassero dalle singole fattispecie per disegnare il quadro all'interno del quale le condotte illecite erano state consumate. A conclusioni analoghe deve pervenirsi con riguardo alla pure denegata aggravante di cui all'articolo 628 c.p., comma 3, n. 3, contestata (e gia' ritenuta dal primo giudice) sul capo N), atteso che, anche in tal caso, la giurisprudenza di questa Corte e' ferma nel ritenere che, ai fini della sua configurabilita', non e' necessario che l'appartenenza dell'agente a un'associazione di tipo mafioso sia accertata con sentenza definitiva, ma e' sufficiente che tale accertamento sia avvenuto nel contesto del provvedimento di merito in cui si applica la citata aggravante (cfr., in tal senso, Sez. 2, n. 33775 del 04/05/2016, Bianco, Rv. 267850 - 01; Sez. 1, n. 6533 del 01/02/2012, Santapaola, Rv. 252084 - 01; Sez. 5, n. 26542 del 08/04/2009, Vatiero, Rv. 244096 - 01). E' infine opportuno ricordare quanto autorevolmente ribadito dalle SS.UU. in merito al fatto che la circostanza aggravante di cui al Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, articolo 7, convertito nella L. 12 luglio 1991, n. 203 (impiego del metodo mafioso nella commissione dei singoli reati o finalita' di agevolare, con il delitto posto in essere, l'attivita' dell'associazione per delinquere di stampo mafioso) puo' certamente concorrere con quella di cui all'articolo 628 c.p., comma 3, n. 3 e articolo 629 c.p., comma 2, (violenza o minaccia poste in essere dall'appartenente a un'associazione di stampo mafioso) (cfr., Sez. U, n. 10 del 28/03/2001, Cinalli Rv. 218378 - 01); per altro verso, e' pure pacifico che la circostanza aggravante della commissione del fatto ad opera di un partecipe all'associazione di tipo mafioso, non richiede che tutti gli agenti rivestano tale qualita' e si estende anche ai concorrenti nel reato, trattandosi di circostanza che, ancorche' soggettiva, attiene alla qualita' personale del colpevole (cfr., in tal senso, Sez. 5, n. 9429 del 13/10/2016, Mancuso, Rv. 269365 01; Sez. 6, n. 41514 del 25/09/2012, Adamo, Rv. 253807 01; Sez. 1, n. 5639 del 03/11/2005, Calabrese, Rv. 233839 - 01). 1.2 Con il secondo motivo, il PG denunzia violazione di legge con riferimento alla connotazione dell'omerta' considerata dalla Corte di appello elemento caratterizzante dell'associazione di tipo mafioso e la conseguente erroneita' della esclusione dell'aggravante dell'agevolazione dell'associazione mafiosa denominata "clan (OMISSIS)" in relazione ai capi RR, M, N, P, SS e TT non avendo i giudici romani ravvisato, nel caso di specie, una condizione di assoluta omerta' ritenuta necessaria per ritenere il carattere mafioso del sodalizio. Il rilievo e' fondato. Anche in tal caso, infatti, la giurisprudenza di questa Corte e' concorde nell'affermare che la nozione di "omerta'", che si correla in rapporto di causa a effetto alla forza di intimidazione dell'associazione di tipo mafioso, deve essere sufficientemente diffusa, ancorche', tuttavia, non generale, e puo' derivare non solo dalla paura di danni alla propria persona, ma anche dall'attuazione di minacce che comunque possono realizzare danni rilevanti, di modo che sia diffusa la convinzione che la collaborazione con l'autorita' giudiziaria non impedira' ritorsioni dannose per la persona del denunciante, in considerazione della ramificazione dell'organizzazione, della sua efficienza, della sussistenza di altri soggetti non identificabili forniti del potere di danneggiare chi ha osato contrapporsi (cfr., Sez. F, n. 44315 del 12/09/2013, Cicero, Rv. 258637 - 01). Si e' percio' correttamente ritenuto che, ai fini della configurabilita' dell'associazione per delinquere di tipo mafioso, il requisito della forza intimidatrice promanante dal sodalizio non puo' essere escluso per il sol fatto che la sua percezione all'esterno non e' generalizzata nel territorio di riferimento, o che un singolo non si e' piegato alla volonta' dell'associazione o, addirittura, ne ignori l'esistenza (cfr., Sez. 5 -, n. 26427 del 20/05/2019, Forieri, Rv. 276894 - 01; conf., tra le non massimate: Sez. 2, n. 4919 del 19.1.2021, Osaheni; Sez. 2, n. 4918 del 19.1.2021, Ehiauguinah; Sez. 6, n. 37081 del 19.11.2020, Anslem; Sez. 1, n. 28073 dell'8.7.2020, Cagnazzo). In generale, si e' detto, la forza intimidatrice espressa dal vincolo associativo puo' essere diretta a minacciare tanto la vita o l'incolumita' personale, quanto, anche o soltanto, le essenziali condizioni esistenziali, economiche o lavorative di specifiche categorie di soggetti, e il suo riflesso esterno in termini di assoggettamento puo' anche non tradursi necessariamente nel controllo di una determinata area territoriale. Non e', percio', necessario che l'impiego della forza di intimidazione dell'associazione sia penetrato in modo massiccio nel tessuto economico e sociale del territorio di elezione, bastando la prova di tale impiego con le finalita' criminali indicate dall'articolo 416-bis c.p., comma 3, (cfr., in tal senso, Sez. 2, n. 10255 del 29/11/2019, dep. 2020, Fasciani, Rv. 278745; Sez. 6, n. 45181 del 19/09/2019, C., non mass.; Sez. 2, n. 24851 del 04/04/2017, Garcea, Rv. 270442). E' sufficiente, infatti, che l'organizzazione abbia conseguito fama criminale, utilizzando metodologie proprie di sodalizi di stampo mafioso o adottandone i modelli di organizzazione e i rituali di adesione, e che, soprattutto, abbia manifestato una concreta ed reale capacita' di intimidazione effettivamente percepita come tale, cosi' producendo un assoggettamento omertoso nell'ambito oggettivo e soggettivo, pur eventualmente circoscritto, in cui opera (Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, dep. 2020, Bolla, Rv. 279555 - 16; Sez. 1, n. 51489 del 29/11/2019, Albanese, Rv. 277913; Sez. 5, n. 26427 del 20/05/2019, Forieri, Rv. 276894). In quest'ottica, pertanto, si e' ritenuto che il reato previsto dall'articolo 416-bis c.p. e' configurabile in relazione ad organizzazioni diverse dalle mafie cosiddette "tradizionali" e, in particolare, anche nei confronti di un sodalizio costituito da un ridotto numero di partecipanti, che tuttavia impieghi il metodo mafioso per ingenerare, sia pur in un ambito territoriale circoscritto, una condizione di assoggettamento ed omerta' diffusa (cfr., Sez. 6, n. 57896 del 26/10/2017, Fasciani, Rv. 271724 - 01, resa in una fattispecie in cui la Corte ha accolto il ricorso avverso la sentenza di appello che aveva derubricato il reato di cui all'articolo 416-bis c.p. in quello di cui all'articolo 416 c.p., non considerando adeguatamente che l'associazione criminale, pur operando in un ristretto territorio, si caratterizzava per l'indiscussa forza intimidatrice, generata anche mediante il ricorso abituale a condotte violente ed all'uso di armi, tale da indurre un generale atteggiamento omertoso tenuto dai testimoni in dibattimento e desumibile dall'assenza di denunce e di forme di collaborazione da parte delle persone offese: cfr., anche, Sez. 5, n. 44156 del 13/06/2018, S., Rv. 274120 - 01, in cui la Corte, decidendo su una fattispecie relativa al c.d. "clan (OMISSIS)" operante nel territorio di Ostia, ha spiegato che il reato previsto dall'articolo 416-bis c.p. e' configurabile non solo in relazione alle mafie cosiddette "tradizionali", consistenti in grandi associazioni di mafia ad alto numero di appartenenti, dotate di mezzi finanziari imponenti e in grado di assicurare l'assoggettamento e l'omerta' attraverso il terrore e la continua messa in pericolo della vita delle persone, ma anche con riguardo alle c.d. "mafie atipiche", costituite da piccole organizzazioni con un basso numero di appartenenti, non necessariamente armate, che assoggettano un limitato territorio o un determinato settore di attivita' avvalendosi del metodo "mafioso" da cui derivano assoggettamento ed omerta', senza, peraltro, che sia necessaria la prova che la forza intimidatoria del vincolo associativo sia penetrata in modo massiccio nel tessuto economico e sociale del territorio di riferimento; cfr., ancora, nella stessa direzione, Sez. 2 -, n. 10255 del 29/11/2019, Fasciani, Rv. 278745 - 02). In definitiva, ai fini della qualificazione ai sensi dell'articolo 416-bis c.p. di una nuova ed autonoma formazione criminale con tali caratteristiche, e' necessario accertare se il sodalizio: a) abbia conseguito fama e prestigio criminale, autonomi e distinti da quelli personali dei singoli partecipi, in guisa da esser capace di conservarli anche nel caso in cui questi ultimi fossero resi innocui; b) abbia in concreto manifestato capacita' di intimidazione, ancorche' non necessariamente attraverso atti di violenza o di minaccia, nell'ambito oggettivo e soggettivo, pur eventualmente circoscritto, di sua effettiva operativita'; c) abbia manifestato una capacita' di intimidazione effettivamente percepita come tale ed abbia conseguentemente prodotto un assoggettamento omertoso nel "territorio" in cui l'associazione e' attiva (cfr., Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, Bolla, Rv. 279555 17). 1.3 Con il terzo motivo, la Procura Generale presso la Corte di appello di Roma deduce, ancora, violazione di legge con riferimento alla esclusione della aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. poiche' i giudici di secondo grado hanno ritenuto di non poter valorizzare, a tal fine, le sentenze del 2008 e del 2010, pur acquisite ai sensi dell'articolo 238-bis c.p.p., in quanto dichiarative della prescrizione e non gia' di condanna. Anche in tal caso il motivo e' fondato, non potendosi, in termini assoluti ed astratti, come sembra aver ritenuto la sentenza impugnata, escludere che anche una sentenza che abbia dichiarato la prescrizione del reato possa essere utilizzata quale prova dei "fatti" rilevanti per affermare l'esistenza di un gruppo con le caratteristiche previste dall'articolo 416-bis c.p.. Ed in effetti, gia' dal tenore letterale dell'articolo 238-bis c.p.p., si ricava che le sentenze irrevocabili sono utilizzabili "ai fini della prova di fatto in esse accertato e sono valutate a norma dell'articolo 187 c.p.p. e articolo 192 c.p.p., comma 3", e cio' senza alcuna distinzione tra sentenze di condanna o di proscioglimento, sicche', a tal fine, anche la sentenza di proscioglimento per prescrizione e' acquisibile ai fini di prova (cfr., in tal senso, Sez. 2, n. 1397 dell'11.12.2007, Coletta). L'affermazione della Corte di appello, infatti, e' errata nella sua assolutezza non tenendo conto che la sentenza che dichiari la prescrizione ben puo' contenere un accertamento "pieno" del "fatto" come accade, ad esempio, nell'ipotesi in cui a prendere atto ed a dichiarare la prescrizione (ovvero, anche, ad applicare la amnistia) sia il giudice di appello tenuto, tuttavia, ad una valutazione "pieno jure" per la presenza della parte civile (cfr., articolo 578 c.p.p.); ma, come e' noto, l'accertamento "pieno" del "fatto", pur contenuto in una sentenza dichiarativa della prescrizione, ben puo' fondare la adozione di una misura di prevenzione personale ovvero della misura di prevenzione patrimoniale della confisca (cfr., articolo 578-bis c.p.p.). In altri termini, non e' condivisibile ed e', invero, errata in diritto la affermazione secondo cui la sentenza che dichiari la causa estintiva del reato sia sempre ed in ogni caso inutilizzabile ai fini della prova del fatto costitutivo della fattispecie di reato che interessa e non possa rilevare nel diverso processo in cui essa sia stata prodotta ed acquisita; ben diversamente, l'accertamento del "fatto" ben puo' essere contenuto in una sentenza del genere e "recuperato" a fini diversi quali, come si e' appena detto, la confisca (cfr., d'altra parte, Sez. U, n. 13539 del 30/01/2020, Perrone, Rv. 278870 - 01, in cui si e' affermato che, in tema di lottizzazione abusiva, la confisca di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, articolo 44, comma 2, puo' essere disposta anche in presenza di una causa estintiva del reato determinata dalla prescrizione, purche' la sussistenza del fatto sia stata gia' accertata, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell'ambito di un giudizio che abbia assicurato il pieno contraddittorio e la piu' ampia partecipazione degli interessati, fermo restando che, una volta intervenuta detta causa, il giudizio, in applicazione dell'articolo 129 c.p.p., comma 1, non puo' proseguire al solo fine di compiere il predetto accertamento). 1.4 Con il quarto motivo, il Procuratore Generale denunzia la violazione di legge, con particolare riguardo agli articoli 416-bis c.p. e 416-bis.1 c.p., in cui sarebbe incorsa la Corte di appello nell'escludere il carattere mafioso del sodalizio denominato "clan (OMISSIS)", in difetto di una organizzazione di tipo verticistico quale elementi fattuale ritenuto essenziale e costitutivo della fattispecie in esame. Il rilievo e', anche in tal caso, fondato. Il collegio intende ribadire che l'indole mafiosa o meno di un'associazione delinquenziale presuppone non la sua rispondenza ad uno schema rigido e prefissato del fenomeno criminoso oggetto del procedimento, ma la sua conformita' ad un modello o tipo di organizzazione nella quale siano individuabili le caratteristiche richiamate dall'articolo 416-bis c.p., comma 3; ed in effetti, alla definizione del modello e tipo e' estranea - al di fuori dei caratteri richiamati ogni altra indagine che a questi ultimi non si riferisca e, segnatamente, quella che presupponga una ricostruzione dei fenomeni criminosi, quali la mafia, la camorra e similari, sulla base di elementi diretti a fissarne profili organizzativi ed operativi in modo compiuto e definitivo; cio' in quanto la loro estrema variabilita', il loro adattamento alle piu' diverse contingenze e, oltre tutto, la tipica segretezza di tali organizzazioni esclude, infatti, ogni definizione come tale e rende arbitraria ogni indagine che non abbia quale obiettivo - ai fini che interessano - la verifica del modello o tipo cui si riferiscono le caratteristiche previste dall'articolo 416-bis c.p., comma 3. Ne consegue che e' pertanto arbitrario e francamente errato affermare o negare la responsabilita' penale in ordine al delitto di associazione a delinquere d'indole mafiosa che presupponga necessariamente o l'esistenza di vertici - e, quindi, di una specifica gerarchia - o l'esistenza di gruppi organizzati aventi una loro propria autonomia e in quanto comportanti o il coinvolgimento di tutti gli appartenenti, previa fusione delle diverse unita', ovvero, nel caso di partecipazione di un solo associato, il mero concorso di questi nei singoli episodi delinquenziali in cui sia coinvolta la diversa o piu' ampia organizzazione criminosa (cfr., in tal senso, Sez. 6, n. 1760 del 16/12/1985, Spatola, Rv. 171998 - 01). Come, anche recentemente ed autorevolmente (cfr., Sez. U -, n. 36958 del 27/05/2021, Modaffari), questa Corte ha avuto modo di ribadire, la struttura della fattispecie di cui all'articolo 416-bis c.p. e' stata "costruita" dalla L. n. 646 del 1982 proprio facendo ricorso all'acquisizione di dati cognitivi delle modalita' di funzionamento delle mafie, prima fra tutte quella denominata "(OMISSIS)"; ha spiegato che "... tali paradigmi esperienziali si fondano in gran parte su una matrice giudiziaria, essendo stati i dati di conoscenza circa la struttura ed il funzionamento di tali associazioni ricavati dai processi che ne hanno svelato le dinamiche, spesso anche attraverso il fondamentale contributo proveniente dai collaboratori di giustizia" consentendo, percio', "... di individuare come dato esperienziale quello che descrive le mafie storiche come associazioni stabili, orientate non all'esecuzione di un programma criminoso a termine, bensi' al perseguimento di un piu' ampio e temporalmente indefinito obiettivo antisociale, l'adesione al quale comporta, per l'affiliato, un vincolo di fedelta' tendenzialmente permanente, di regola rescindibile solo attraverso una esplicita dissociazione, ordinariamente conseguente alla scelta di collaborare con l'autorita' giudiziaria" (cfr., dalla motivazione della richiamata sentenza "Modaffari"). In quest'ottica, percio', la prassi giudiziaria ha spesso valorizzato le massime di esperienza impiegate, per esempio, nella valutazione della responsabilita' dei capi mandamento, dei componenti della "cupola" o della "commissione provinciale" di "(OMISSIS)", relativamente ai c.d. omicidi "eccellenti" (cfr., Sez. 5, n. 18845 del 30/05/2002, dep. 2003, Aglieri, Rv. 22642301; Sez. 5, n. 22897 del 27/04/2001, Riina, Rv. 219435-01; Sez. 6, n. 4070 del 19/12/1997, dep. 1998, Greco, Rv. 210209-01; Sez. 6, n. 1758 del 02/05/1995, Madonia, Rv. 201829-01; Sez. 1, n. 3584 del 14/07/1994, Buscemi, Rv. 19930501) ovvero per assegnare rilevanza probatoria, ai fini della affermazione della responsabilita' concernente la condotta di partecipe al sodalizio, all'attribuzione della qualifica di "uomo d'onore" (cfr., Sez. 2, n. 5343/2000, cit.; Sez. 5, n. 4478 del 23/10/1996, Maglie, Rv. 206549-01; Sez. 1, n. 5466 del 18/04/1995, Farinella, Rv. 201649-01; Sez. 1, n. 4148 del 30/09/1994, Di Martino, Rv. 19994301). In passato, la giurisprudenza della Corte si e' dimostrata favorevole al ricorso a dati di conoscenza esperienziali, sul rilievo che la mafia e' dotata di una precisa identita' sociologica (cfr., Sez. 1, n. 80 del 30/01/1992, Abbate, non mass.; Sez. 1, n. 7838 del 25/03/1982, De Stefano, non mass.; Sez. 1, n. 162 del 24/01/1977, Condelli, Rv. 135978-01); a tale apertura si era contrapposto, in epoca altrettanto risalente, un orientamento che considerava invece arbitraria l'enunciazione di criteri generali e di massime di esperienza per la ricostruzione dei fenomeni mafiosi, le cui dinamiche comportamentali in molti casi apparivano ancora come sconosciute (cfr., Sez. 1, n. 10477 del 29/05/1989, 011io, Rv. 181886-01; conf., la gia' citata, Sez. 6, n. 1760 del 16/12/1985, dep. 1986, Spatola, Rv. 171998-01). Ma, come si e' accennato in precedenza, e' proprio la esperienza giudiziaria ormai consolidata con riferimento a fenomeni di criminalita' organizzata di volta in volta denominati o qualificati in termini di mafie "locali" (cfr., la gia' citata, Sez. 2 -, n. 10255 del 29/11/2019, Fasciani, Rv. 278745 - 02), in quanto sorte in ambiti geografici lontani da quelli di risalente e tradizionale operativita' delle mafie "storiche"; ovvero in termini di mafie "nuove" (cfr., cosi', ad esempio, la pure gia' richiamata, Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, Rv. 279555 - 16, secondo cui le "nuove" associazioni possono rientrare nella previsione dell'articolo 416-bis c.p. qualora presentino le caratteristiche tipiche delle "mafie storiche", sia pur dando luogo ad una riproduzione del fenomeno associativo in termini di minore intensita' ed estensione, con riguardo alla complessita' della organizzazione, all'ambito territoriale ed alle attivita' interessate, salva restando la necessaria dimostrazione che la "nuova associazione" abbia manifestato in concreto la propria capacita' di intimidazione, determinando un assoggettamento omertoso); l'esperienza giudiziaria ha portato alla luce, inoltre, il fenomeno delle mafie "straniere" (cfr., Sez. 2 -, n. 14225 del 13/01/2021, Johnson, Rv. 281126 - 01), o delle mafie "delocalizzate"; in tale ultimo caso, e con implicazioni dirette sulla "intensita'" degli oneri probatori in punto di "esteriorizzazione" del metodo mafioso, talvolta consistenti in articolazioni e dirette emanazioni di strutture criminali dislocate nei territori di origine (cfr., Sez. 2 -, n. 12362 del 02/03/2021, Mazzagatti, Rv. 280997 - 01; Sez. 2, n. 31920 del 04/06/2021, Alampi, Rv. 281811 - 01); in altri casi, peraltro, in realta' che, pur con collegamenti tra i suoi esponenti di vertice e il sodalizio di origine, si affermano in realta' geograficamente lontane e che hanno come "oggetto sociale" tipologie di reati funzionali piuttosto al reinvestimento dei proventi illeciti (cfr., per un esempio, Sez. 2 -, n. 45584 del 24/11/2022, Carzo, Rv. 283857 - 01). La casistica, pertanto, e' ormai estremamente ampia consentendo percio' di ritenere, quale dato di comune esperienza, che anche per le mafie "storiche", l'organizzazione di tipo rigidamente verticistico o piramidale, pur in forma piu' o meno federata, sia un elemento tutt'altro che essenziale e che non trova riscontro non soltanto nella struttura della norma ma, invero, nemmeno nella realta' socio-criminale cui il legislatore aveva inteso far riferimento. Ferma restando, naturalmente, la necessita' di una struttura organizzativa rispondente al modello del reato associativo, non par dubbio che, nell'ottica del legislatore del 1982, la peculiarita' della norma e l'elemento differenziale rispetto al delitto di cui all'articolo 416 c.p., gia' presente nel codice, era stato individuato nel metodo utilizzato dagli adepti che, come hanno ricordato le SS.UU. "Modaffari", "... ha obbligato dottrina e giurisprudenza ad una complessa attivita' ermeneutica con forti sollecitazioni evolutive in ragione della sua imperfezione terminologica, influenzata dalla dimensione sociologica del fenomeno e dalla realta' empirico criminologica di volta in volta interessata". Si e' dunque osservato che "... pur esprimendo evidenti attitudini plurioffensive - minaccia alla liberta' morale dei consociati, all'ordine democratico, alla liberta' di mercato e d'iniziativa economica, all'imparzialita' e al buon andamento della pubblica amministrazione - l'aggressione piu' diretta e' quella rivolta all'ordine pubblico in una duplice dimensione: quella oggettiva, quale complesso delle condizioni che garantiscono la sicurezza e la tranquillita' comune, e quella soggettiva, intesa come liberta' morale della popolazione di determinarsi liberamente nelle decisioni e nelle scelte, al riparo dalla costrizione indotta da qualsivoglia organismo stabilmente costituito per infrangere la legge penale e per trarre da cio' profitto" (cfr., dalla motivazione delle SS.UU. "Modaffari"); in definitiva, "... pur se ai fini dell'individuazione di un sodalizio di tipo mafioso devono ritenersi determinanti la ricorrenza dell'elemento personale con la distribuzione gerarchica dei ruoli, l'esistenza di una specifica struttura organizzativa e logistica, l'ambito territoriale di operativita' e la tipologia dei reati-fine, la tipicita' del modello associativo delineato dall'articolo 416-bis c.p. risiede nelle modalita' attraverso cui l'associazione si manifesta e non gia' negli scopi (alternativi) che s'intendono perseguire" (cfr., ivi). Il proprium del delitto di cui all'articolo 416-bis c.p. e', dunque, da individuarsi nel "metodo", descritto al comma 3, piuttosto che nel ricorrere di una rigida e predeterminata forma organizzativa rappresentando, peraltro, un dato di comune conoscenza quello di organizzazioni - pacificamente di stampo mafioso - che, tuttavia, operano in maniera "diffusa" sul territorio attraverso articolazioni locali non di rado in conflitto tra loro, con l'insorgere di "guerre" (di camorra) o "falde" (di ‘ndrangheta) che dimostrano come il modello - restituito dalla letteratura giudiziaria e non - della mafia siciliana, imperniato su una struttura rigidamente piramidale (con al culmine una vera e propria "cupola") sia tutt'altro che generalizzabile e, comunque, sicuramente inessenziale rispetto al modello tipico delineato dalla fattispecie legale. 1.5 Con il quinto motivo, il PG deduce violazione di legge e vizio di motivazione - anche sotto il profilo del travisamento della prova - con riguardo alla esclusione dell'aggravante di aver commesso il fatto "con metodo mafioso", contestata (e gia' ritenuta dal primo giudice), sui capi PPP, QQQ, GGG, III, SS della rubrica. 1.6 Con il sesto motivo, poi, la Procura Generale deduce, del pari, violazione di legge e vizio di motivazione - anche sotto il profilo del travisamento della prova - quanto alla effettiva riconducibilita' del "clan (OMISSIS)" nel paradigma normativo disegnato dall'articolo 416-bis c.p. e, di conseguenza, alla sussistenza dei presupposti per ritenere la aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p. e, in particolare, l'errato apprezzamento delle dichiarazioni rese dai collaboratori (OMISSIS) e (OMISSIS) e l'omessa considerazione di quelle rese da (OMISSIS). Prima di passare all'esame delle censure articolate dal PG ricorrente, e' opportuna una breve premessa: vero che, nel ricorso, si insiste e si ritorna piu' volte sul "travisamento" della prova con riferimento, di volta in volta, all'errata o incompleta valutazione delle dichiarazioni rese dalla (OMISSIS) e dal (OMISSIS) ma, anche, la mancata valutazione di quelle del (OMISSIS). Ed e' noto che, tra i vizi riconducibili al novero di quelli denunziabili ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) vi e' certamente quello del "travisamento" che, come e' noto, e' ravvisabile nel caso di contraddittorieta' della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, ovvero da altri atti del processo indicati nei motivi di gravame, ovvero dall'errore cosiddetto revocatorio, che cadendo sul significante e non sul significato della prova, si traduce nell'utilizzo di una prova inesistente per effetto di una errata percezione di quanto riportato dall'atto istruttorio ovvero nella omessa valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (cfr., Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, Carone, Rv. 250168; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017, Grancini, Rv. 272406; Sez. 2, n. 27929 del 12/06/2019, Borriello, Rv. 276567). In altri termini, il vizio di "travisamento" deve riguardare una prova che non sia stata affatto valutata ovvero che sia stata considerata dal giudice di merito in termini incontrovertibilmente difformi (non gia' dal suo "significato" ma) dal suo "significante" e che sia idonea a disarticolare il ragionamento su cui si fonda la decisione impugnata. Nel caso che ci occupa, invero, i rilievi che il PG qualifica in termini di "travisamento" sono, in effetti, dei vizi di motivazione riconducibili alla violazione al principio, pure ormai consolidato, secondo cui, qualora il giudice di appello riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado, se non e' obbligato a rinnovare la istruttoria dibattimentale quanto alle prove dichiarative decisive, e' tuttavia tenuto ad offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata, anche riassumendo, se necessario, la prova dichiarativa decisiva (cfr., Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, Troise, Rv. 272430 - 01). Si e' soliti parlare, in tal caso, dell'obbligo, per il giudice che riformi in senso assolutorio, di predisporre una motivazione "rafforzata" che si sostanzia nella necessita' di una compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonche' nel confezionare un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore (cfr., in tal senso, Sez. 6 -, n. 51898 del 11/07/2019, Rv. 278056 - 01; Sez. 4 -, n. 24439 del 16/06/2021, Frigerio, Rv. 281404 - 01; Sez. 4 -, n. 2474 del 15/10/2021, Masturzo, Rv. 282612 - 01). In definitiva, pur essendo stato anche normativamente puntualizzato, in caso di riforma della sentenza di assoluzione, con la introduzione all'articolo 603 c.p.p., del comma 3bis, il principio da molti anni affermato e' quello secondo cui la decisione del giudice di appello, che comporti la totale riforma della sentenza di primo grado, impone la dimostrazione dell'incompletezza o della non correttezza ovvero dell'incoerenza delle relative argomentazioni con rigorosa e penetrante analisi critica seguita da completa e convincente dimostrazione che, sovrapponendosi in toto a quella del primo giudice, dia ragione delle scelte operate e del privilegio accordato ad elementi di prova diversi o diversamente valutati; con la conseguenza per cui il giudice di appello, allorche' prospetti ipotesi ricostruttive del fatto alternative a quelle ritenute dal giudice di prima istanza, non puo' limitarsi a formulare una mera possibilita', come esercitazione astratta del ragionamento disancorata dalla realta' processuale, ma riferirsi a concreti elementi processualmente acquisiti, posti a fondamento di un "iter" logico che conduca, senza affermazioni apodittiche, a soluzioni divergenti da quelle prospettate da altro giudice di merito. Rileva il collegio che l'obbligo, per il giudice di appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di primo grado, sussiste anche quando la riforma riguardi un elemento circostanziale del reato; tanto piu', come nel caso che ci occupa, laddove la circostanza in questione sia particolarmente impattante non soltanto sul piano dell'aggravamento della pena ma, prima ancora, su quello cautelare (cfr., articolo 275 c.p.p., comma 3) e dell'esecuzione della pena: e' d'altra parte pacifico che i fatti che integrano circostanze aggravanti, pur accedendo al fatto-reato al cui titolo vengono riferiti, non si sottraggono alla regola dell'articolo 187 c.p.p., come fatti secondari che direttamente incidono sulla pena, e quindi alle regole di valutazione stabilite nell'articolo 192 c.p.p. (cfr., Sez. 5, n. 41332 del 24/10/2006, Lupo, Rv. 235299 - 01; tra le non massimate, Sez. 1, n. 45965 del 10.6.2022, Rizzi). Allo stesso modo, percio', per escludere in appello le circostanze aggravanti gia' ritenute in primo grado, il giudice dell'impugnazione dovra' confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata e procedere ad una confutazione degli elementi di prova su cui era stata fondata la originaria diagnosi positiva, che sara' tanto piu' specifico quanto piu' analitica era stata, sul punto, la motivazione della sentenza di prime cure. E' dunque in quest'ottica che va letto il ricorso del PG e che, a parere del collegio, la sentenza impugnata presta il fianco ai rilievi in punto di deficit motivazionale puntualmente segnalati nel ricorso. 1.5.1 Partendo, allora, dai rilievi del PG sui capi PPP e QQQ, va premesso si tratta, in tal caso, della vicenda che vede come imputato (OMISSIS) per fatti di estorsione in danno di tali (OMISSIS) e (OMISSIS), in relazione ai quali il PG censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di appello ha escluso la aggravante del "metodo mafioso". Il rilievo e' fondato. La Corte di appello ha infatti escluso la aggravante del "metodo", contestato e ritenuto dal primo giudice sul capo PPP (relativo alla estorsione in danno di (OMISSIS)), sostenendo che "... il mero prospettare la conoscenza del luogo di dimora del debitore e dei suoi familiari senza l'evocazione del capitale criminale accumulato negli anni dall'associazione criminale di appartenenza dell'estortore, non puo' integrare l'aggravante del metodo mafioso, difettando il riferimento certo ed univoco all'appartenenza ad un'associazione criminale di caratura e di potenziale criminale tale, la cui evocazione avrebbe prodotto uno straordinario effetto intimidatorio sulla vittima, non risultando, dalla deposizione del (OMISSIS), che il (OMISSIS) abbia evocato il nominativo della cosca di presunta appartenenza" (cfr. pag. 43 della sentenza impugnata). Si e' gia' ribadito come sia assolutamente consolidato, nella giurisprudenza di questa Corte, il principio per cui la circostanza aggravante dell'utilizzo del metodo mafioso non presuppone necessariamente l'esistenza di un'associazione con le caratteristiche di cui all'articolo 416-bis c.p., essendo sufficiente, ai fini della sua applicazione, il ricorso a modalita' della condotta che evochino la forza intimidatrice "tipica" dell'agire mafioso essendo percio' l'aggravante configurabile tanto con riferimento ai reati-fine commessi nell'ambito di un'associazione criminale comune, che nel caso di reati posti in essere da soggetti estranei al reato associativo (cfr., Sez. 6, n. 41772 del 13.6.2017, Vicidomini; Sez. 5, n. 21530 dell'8.2.2018, Spada). La circostanza aggravante del metodo mafioso e', pertanto, configurabile anche a carico di soggetto che non faccia parte di un'associazione di tipo mafioso, ma ponga in essere, nella commissione del fatto a lui addebitato, un comportamento minaccioso tale da richiamare alla mente ed alla sensibilita' del soggetto passivo quello comunemente ritenuto proprio di chi appartenga ad un sodalizio del genere anzidetto (cfr., Sez. 2, n. 38094 del 5.6.2013, De Paola; Sez. 2, n. 16053 del 25.23.2015, Campanella; Sez. 1, n. 5881 del 4.11.2011, Giampa'; Sez. 2, n. 322 del 2.10.2013, Ferrise). In altri termini, quel che rileva non e' la effettiva e reale esistenza di un sodalizio riconducibile a quelli connotati dalle caratteristiche proprie di cui all'articolo 416-bis c.p., ovvero che il reo (o anche i suoi accoliti) ne faccia effettivamente parte, ma il fare ricorso a metodi propri e simili a quelli utilizzati nell'ambito di quelle consorterie criminali, connotate per l'appunto dalla forza intimidatrice promanante per l'appunto dalla consapevolezza, da parte delle vittime, che la condotta criminosa di cui sono destinatarie non e' riconducibile esclusivamente all'autore materiale della condotta in quel momento da essi subita ma, ben diversamente, che costui possa contare sull'apporto di terzi in grado di sostenerne l'azione, di vendicarlo se occorre, comunque di intervenire in suo aiuto anche con metodi violenti; con l'effetto, cosi', di ridurre, per cio' solo, i margini di "resistenza" della persona offesa in tal modo indotta ad accondiscendere "spontaneamente" ed a non reagire rispetto alle illegittime pretese avanzate nei suoi confronti. Come e' stato chiarito, e' sufficiente, cioe', che l'esistenza di un sodalizio appaia sullo sfondo, perche' evocato dall'agente, inducendo percio' la vittima sia spinta ad adeguarsi al volere dell'aggressore - o ad abbandonare ogni velleita' di difesa - per timore di piu' gravi conseguenze; cio' in quanto "la ratio della disposizione di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 non e' soltanto quella di punire con pena piu' grave coloro che commettono reati utilizzando metodi mafiosi o con il fine di agevolare le associazioni mafiose, ma essenzialmente quella di contrastare in maniera piu' decisa, stante la loro maggiore pericolosita' e determinazione criminosa, l'atteggiamento di coloro che, siano essi partecipi o meno in reati associativi, si comportino da mafiosi, oppure ostentino in maniera evidente e provocatoria una condotta idonea ad esercitare sui soggetti passivi quella particolare coartazione o quella conseguente intimidazione, propria delle organizzazioni della specie considerata" (cfr., cosi', Sez. 6, n. 582 del 19.2.1998, Primasso). Nel caso di specie, e' stata la stessa Corte di appello (cfr., pagg. 40-41 della sentenza impugnata) a far presente che "... l'imputato... si era presentato ai quattro appuntamenti per l'esazione della rata mensile, tutte le volte accompagnato da persone sempre diverse, al fine di fare intendere alla controparte che a fianco a se' vi era una pluralita' di soggetti coinvolti alla tutela del rapporto di credito e che altri in sua assenza avrebbero potuto riscuoterlo" per poi incongruamente aggiungere che, essendo costoro rimasti ignoti, "... non puo' dirsi provato che i sopra detti accompagnatori... fossero appartenenti alla stessa famiglia ne' tampoco che fossero a conoscenza del motivo dell'incontro e delle ragioni della riscossione della somma di denaro" (cfr., ivi). La Corte di appello, inoltre, pur avendo puntualmente riportato la deposizione del (OMISSIS), il quale aveva riferito che il (OMISSIS) lo aveva minacciato, in caso di denuncia, di ritorsioni avvisandolo di essere a conoscenza di dove abitavano i suoi figli ed i suoi nipoti e che, in ogni caso, lo aveva avvertito che "... se fosse stato arresto lui, ci sarebbero stati altri cento..." (cfr., ivi, pag. 41), ne ha tuttavia incongruamente svilito la portata - potenzialmente rilevante sotto il profilo del "metodo mafioso" - confrontandola con il contenuto di una intercettazione in cui la vittima, colloquiando con la figlia, aveva riferito a costei che il (OMISSIS) gli aveva fatto presente che, quand'anche lo avessero arrestato, ne sarebbe rimasto "uno fuori" (cfr., ivi). I giudici di secondo grado hanno dunque concluso nel senso della inattendibilita' del (OMISSIS) - limitatamente alla aggravante del "metodo" operando tuttavia una lettura parcellizzata ed atomistica degli elementi a loro disposizione imponendosi percio' l'annullamento, sul punto, della sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma che terra' conto del complesso delle dichiarazioni del (OMISSIS) di cui dovra' fornire una lettura che tenga conto del principio di diritto sopra richiamato quanto ai presupposti fattuali della aggravante contestata. 1.5.2 Rilievi analoghi, peraltro merita la considerazione della Corte di appello quanto alla estorsione perpetrata in danno di (OMISSIS), persona offesa nel capo QQQ, in cui la Corte di appello ha escluso il "metodo mafioso" poiche', a suo avviso, "... difetta... il riferimento, certo ed univoco, all'appartenenza dell'agente ad un'associazione criminale di caratura e di capitale criminale tale per cui la sua evocazione avrebbe prodotto uno straordinario effetto intimidatorio sulla vittima, non risultando dalla deposizione del (OMISSIS) che questi abbia udito evocare da parte della controparte, almeno implicitamente, il nominativo di una cosca o l'intervento di un'associazione di stampo mafioso..." (cfr., pag. 43 della sentenza in verifica). E' stata tuttavia la stessa Corte territoriale a segnalare che il (OMISSIS) era stato minacciato dal (OMISSIS) con l'espressione "ti spezzo un braccio" ovvero in minacce larvate "... consistite in insistenti richieste di pagamento con toni aggressivi o nella convocazione presso il domicilio del creditore" (cfr., ivi, ancora, pag. 43). Anche in tal caso, infatti, la sentenza di appello sconta una lettura parziale degli elementi acquisiti omettendo di rilevare come la stesse "convocazione" presso il creditore avrebbe dovuto indurre a ritenere che si trattasse di persona diversa da (OMISSIS) e che, per altro verso, l'incontro di costui con il (OMISSIS) era avvenuto a casa del (OMISSIS) "... in cui gli imputati, forti dell'appartenenza ad una temibile famiglia nota a Roma e fuori dai confini regionali per operare con metodo mafioso... avevano ingiustificatamente raddoppiato l'entita' del debito vantato, senza che le vittime, in una condizione di totale succubanza, fossero in grado di resistere e meno ancora di reagire" (cfr., pag. 68 della sentenza di primo grado). La sentenza va, allora, annullata sul punto con rinvio ad altra Sezione della Corte capitolina che dovra' rivalutare il ricorrere degli estremi della aggravante del "metodo mafioso" operando anche in tal caso una lettura "sintetica" e "complessiva" degli elementi acquisiti. 1.5.3 Nel contesto del quinto motivo, il PG censura la sentenza impugnata quanto alla esclusione della aggravante del "metodo" sui capi GGG) e III), relativi ai fatti di usura ed estorsione perpetrati in danno di (OMISSIS) da (OMISSIS) e (OMISSIS). Ebbene, la Corte di appello, andando anche in questo caso di diverso avviso rispetto alle conclusioni cui era pervenuto il GUP, ha escluso il "metodo mafioso" sul capo III) sul rilievo secondo cui il debito che il (OMISSIS) sarebbe stato (secondo il GUP ingiustificatamente) indotto ad assumersi un debito che era stato in realta' contratto dal (OMISSIS), ma anche nell'interesse del socio, il quale, per questa ragione, ne doveva di conseguenza rispondere (cfr., pag. 120 della sentenza impugnata); quanto al capo GGG), la aggravante e' stata esclusa per il fatto che, nelle varie occasioni in cui il (OMISSIS) e lo (OMISSIS) si erano portati presso il (OMISSIS), mai era stata evocata l'esistenza di un sodalizio di stampo mafioso (cfr., ivi, pag. 122). Anche in tal caso, tuttavia, la sentenza di appello sconta una lettura atomistica e parziale degli elementi acquisiti e disponibili per effetto della scelta del rito abbreviato omettendo, inoltre, di confrontarsi con quelli che erano stati puntualmente valorizzati dal GUP il quale, a con riguardo al capo III); aveva richiamato le dichiarazioni della segretaria del (OMISSIS), (OMISSIS), di cui il primo (per evitare di essere raggiunto presso la nuova sede della officina) si era servito per recapitare le rate del debito allo (OMISSIS), indicato da costei come "... il cugino di (OMISSIS)... " (cfr., pag. 101 della sentenza di primo grado). Il primo giudice, infatti, aveva sottolineato che "... lo (OMISSIS) e' conosciuto dal (OMISSIS) per essere cugino di (OMISSIS) e membro della stessa famiglia" e che il (OMISSIS) "... riferisce di essere stati intimidito dai due (OMISSIS), i quali pretendevano il pagamento di 75.000 Euro minacciandolo, in caso contrario, di fare visita alla moglie e al figlio" (cfr., pag. 104 della sentenza di primo grado) ed operando con le modalita' tipiche di un contesto mafioso, ovvero "... convocando il debitore presso la propria abitazione sita in prossimita' di quella di (OMISSIS) e nel contesto di operativita' del clan (OMISSIS) (cfr., ivi); nella sentenza di primo grado era stato anche evocato il contenuto di una conversazione, intercettata dagli investigatori, tra la (OMISSIS) ed il fratello (OMISSIS), a sua volta "... debitore, in relazione ad altra vicenda estorsiva, di (OMISSIS), che aveva provveduto al pagamento della rata del debito il giorno prima dell'arresto di quest'ultimo..." laddove la donna aveva replicato che "... se anche (OMISSIS) fosse stato tratto in arresto prima, sarebbero intervenuti i suoi parenti a riscuotere il denaro (vabbe' tanto chiamava la moglie, i cugini...)... facendo evidente riferimento al predetto (OMISSIS) conosciuto come il cugino di (OMISSIS)" (cfr., ivi). Quanto al capo GGG), era stato ancora una volta il GUP a spiegare che sia il (OMISSIS) che la (OMISSIS) erano perfettamente consapevoli che le somme pretese dai due coimputati erano destinate a soggetti "... quantomeno contigui ad una organizzazione mafiosa nota come clan (OMISSIS) ed erano terrorizzati al pensiero delle conseguenze del mancato pagamento del debito contratto..." (cfr., ancora, pag. 107 della sentenza di primo grado); il GUP aveva inoltre riportato il testo di una conversazione, intercettata tra il (OMISSIS) e la (OMISSIS), che commentavano, a loro volta, l'arresto di (OMISSIS) osservando che, certamente, l'arresto non li avrebbe liberati dal debito contratto (cfr., ivi: "... mica li hanno presi tutti. Anche su questo punto, percio', la sentenza va annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma che dovra' nuovamente vagliare il ricorso degli estremi della aggravante del "metodo mafioso" tenendo conto dei principi sopra richiamati ed operando un effettivo e completo confronto con gli elementi valorizzati dal giudice di primo grado. 1.6 Con il sesto motivo di ricorso il PG deduce violazione di legge, anche in relazione all'articolo 192 c.p.p., e vizio di motivazione, anche sotto il profilo del travisamento della prova, in ordine alla riconducibilita' del Clan (OMISSIS) nella fattispecie di cui all'articolo 416-bis c.p. ed alla conseguente configurabilita' della aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p.; segnala, in particolare, l'errato apprezzamento delle dichiarazioni di (OMISSIS) e di (OMISSIS) e l'omessa considerazione di quelle rese da (OMISSIS). La censura articolata dal PG nel sesto motivo integra e si aggiunge ai rilievi operati nei primi tre motivi del ricorso in cui, come accennato, evidenziano l'erroneita', in diritto, delle considerazioni svolte dalla Corte di appello sulla tematica della verifica incidentale e della esistenza dei presupposti per qualificare, in questa sede, il clan (OMISSIS) come associazione a delinquere di stampo mafioso. Nel sesto motivo, il PG deduce, invece, il "travisamento" della prova dichiarativa acquisita su questo tema e, in particolare, delle dichiarazioni di (OMISSIS), di (OMISSIS) e di (OMISSIS). Ribadendo, allora, quanto gia' chiarito in precedenza, piu' che di "travisamento", e' corretto parlare di mancato reale e doveroso confronto critico, da parte della Corte di appello, con gli elementi puntualmente valorizzati dal giudice di primo grado. 1.6.1 In effetti, il GUP aveva motivato in maniera particolarmente analitica ed esaustiva sul ruolo di (OMISSIS) di cui (cfr., pagg. 17-25), in assoluta aderenza ai principi posti dalle SS.UU. "Aquilina", partendo dalla verifica della credibilita' soggettiva del dichiarante, passando quindi a vagliare la attendibilita' oggettiva delle sue dichiarazioni e, infine, l'esistenza di riscontri esterni, tenendo conto che tale percorso valutativo non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilita' soggettiva del dichiarante e l'attendibilita' oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando l'articolo 192 c.p.p., comma 3, alcuna specifica tassativa sequenza logico-temporale (cfr., per l'appunto, Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, Aquilina, Rv. 255145 - 01). La sentenza di primo grado aveva infatti esaminato la credibilita' soggettiva del collaboratore (cfr., pagg. 22-23 della sentenza del GUP) osservando che il (OMISSIS) non appariva animato da spirito ritorsivo o intenti calunniatori essendosi peraltro autoaccusato di gravi delitti in materia di stupefacenti e di aver concorso nell'attivita' attivita' usuraria, ovvero di fatti che erano mai emersi nel corso delle indagini e che sarebbero rimasti presumibilmente ignoti se non fossero stati da lui spontaneamente rivelati. Ha inoltre vagliato la attendibilita' oggettiva delle sue dichiarazioni che ha ritenuto costanti e precise nel loro contenuto oltre che, da ultimo, riscontrate dalle parole della (OMISSIS) (quanto, ad esempio, alla disponibilita' di armi da parte del sodalizio) e dalle intercettazioni telefoniche che, peraltro, avevano riguardato conversazioni tra gli imputati che erano molto spesso in "sinti" e, pertanto, non facilmente intellegibili. Cosi', ad esempio, il (OMISSIS) era stato in grado di riferire in merito alle modalita' con cui i (OMISSIS) prestavano denaro a tassi usurari attraverso il sistema della erogazione "a capitale fermo", ovvero - come peraltro sarebbe stato accertato nelle varie vicende - attraverso la pattuizione di una somma da corrispondere mensilmente a titolo di interessi (determinata in proporzione alla entita' di quella erogata), senza fissazione di alcun termine finale ma dovuta sino alla restituzione completa del capitale che avrebbe dovuto avvenire in unica soluzione; la sentenza di primo grado ha infatti valorizzato la circostanza che, in una fase iniziale dei rapporti tra il (OMISSIS) ed i (OMISSIS), egli stesso aveva dovuto ricorrere ad un prestito da parte di (OMISSIS), conosciuto tramite la compagna, amica della (OMISSIS). La Corte di appello, anche in questa occasione, si e' in realta' limitata ad esprimersi in termini di mero dissenso rispetto al giudice di primo grado quanto alla complessiva attendibilita' del (OMISSIS) omettendo di confrontarsi adeguatamente con le argomentazioni sviluppate nella sentenza di primo grado e, al contrario, ritenendolo inattendibile perche' gia' vittima di usura da parte dei (OMISSIS), ovvero in forza di una considerazione del tutto soggettiva a fronte degli elementi di giudizio vagliati in termini positivi dal GUP che, peraltro, aveva evidenziato come il (OMISSIS) non avesse ricavato, dalla sua collaborazione, alcun reale e tangibile beneficio. Quanto al rilievo dei giudici di appello, secondo cui il (OMISSIS) non sarebbe attendibile in merito a quanto riferito sulle modalita' violente del recupero dei crediti, e' appena il caso di ribadire quanto gia' in precedenza segnalato, ovvero che la Corte si e' illogicamente riferita proprio ai casi in cui, come quelli oggetto del processo, i debitori si erano risolti a pagare senza che fosse stato necessario ricorrere alla violenza, in tal modo, peraltro, manifestandosi vieppiu' la forza di intimidazione dei "creditori". 1.6.2 La sentenza di primo grado (cfr., ivi, pagg. 25-28) aveva, inoltre, proceduto ad una disamina accurata ed approfondita della attendibilita' di (OMISSIS), gia' moglie di (OMISSIS), con cui era stata spostata, con rito ROM, dal 2002 al 2014 e dal quale aveva avuto tre figli ma che, ad un certo punto, aveva deciso dissociarsi dalle condotte e dallo stesso stile di vita del clan laddove la Corte di appello ha affermato, in termini apodittici, che la donna non poteva ritenersi pienamente attendibile a causa dei contrasti con i familiari, odierni imputati. In particolare, il GUP aveva fatto presente che la (OMISSIS), diversamente dal (OMISSIS), in questo processo e' teste (rectius, persona informata dei fatti) "pura", avendo costei reso dichiarazioni precise, analitiche e fondate sulla conoscenza personale e diretta delle vicende narrate, stante per l'appunto gli anni di convivenza con (OMISSIS) e di frequentazione della famiglia di quest'ultimo; non da ultimo, aveva chiarito che si trattava di dichiarazioni comunque abbondantemente riscontrate da plurime ed eterogenee fonti investigative. A fronte delle considerazioni svolte dal GUP, che aveva riassunto il contributo, particolarmente dettagliato ed articolato, fornito dalla (OMISSIS), sia in merito alla organizzazione del clan, che al suo "organigramma" ed alle sue attivita' (cfr., pagg. 27-28), la Corte di appello, onerata, come detto, di sorreggere il suo difforme convincimento con una motivazione "rafforzata", non poteva limitarsi ad invocare l'esistenza del procedimento in cui la (OMISSIS) era persona offesa del delitto di lesioni e per il quale erano imputati, assolti in primo grado, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); avrebbe invece dovuto confutare gli argomenti con i quali il GUP, nella consapevolezza della esistenza di questo parallelo contenzioso, aveva tuttavia concluso per la assoluta affidabilita' della teste, non compromessa dalla vicenda appena citata. 1.6.3 Fondato e', inoltre, il rilievo formulato dal PG ricorrente quanto alla omessa considerazione, da parte dei giudici della Corte di appello di Roma, delle dichiarazioni rese da (OMISSIS), ampiamente invece riportate nella sentenza del GUP e con cui, percio', la sentenza di appello, intendendo pervenire a conclusioni differenti rispetto alla questione della aggravante della agevolazione del clan (OMISSIS), da qualificarsi in termini di sodalizio di stampo mafioso, avrebbe invece dovuto confrontarsi. Fatto si e' che, proprio in forza delle dichiarazioni dei predetti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), il GUP aveva potuto concludere nel senso di ritenere - come detto in via incidentale - che il clan (OMISSIS) potesse essere qualificato in termini di associazione a delinquere di stampo mafioso, in quanto riconducibile allo schema disegnato dall'articolo 416-bis c.p. perche' operante con modalita' tipicamente "mafiose", ovvero con le modalita' di cui al comma 3. E, cosi', il GUP aveva potuto evidenziare come il clan fosse caratterizzato da una operativita' "territoriale" coincidente con il luogo di residenza dei componenti e delle vittime (cfr., pag. 34 della sentenza impugnata); dalla esistenza di una struttura organizzativa, quale quella riferita dalla (OMISSIS) (cfr., ivi, pag. 35); dall'uso sistematico della forza quale forma di assoggettamento delle vittime e fonte di omerta' di queste ultime (cfr., ivi, pagg. 35-43); quanto a quest'ultimo aspetto, erano state evocate, oltre a quelle del (OMISSIS), anche le dichiarazioni (e le intercettazioni telefoniche delle relative conversazioni) di (OMISSIS) e (OMISSIS) (cfr., ivi, pag. 37); quelle di (OMISSIS) (cfr., ivi, pag. 38); quelle di (OMISSIS) e (OMISSIS) (cfr., ivi, ancora, pagg. 38-39); le parole di (OMISSIS) (cfr., ivi, pag. 39); di (OMISSIS) (cfr., ivi); quelle di (OMISSIS) (cfr., ivi, pagg. 39-40); le dichiarazioni di (OMISSIS) (cfr., ivi, pag. 40) e di (OMISSIS) (cfr., ivi, pagg. 40-41); tutte persone che avevano inizialmente riferito il falso o che avevano finito con l'ammettere i fatti commessi in loro danno soltanto dopo che erano stati loro contestati i contenuti delle intercettazioni; la sentenza di primo grado aveva inoltre puntualmente evidenziato come il gruppo disponesse di armi (cfr., pag. 43 della sentenza di primo grado), come il vincolo familiare facesse da "collante" tra i vari componenti (cfr., ivi, pagg. 44-46); era stata poi sottolineata l'esistenza di un vero e proprio "quartier generale" nel (OMISSIS) (cfr., ivi, pagg. 44-45) dove venivano "convocati" i debitori recalcitranti ed in cui, peraltro, secondo quanto riferito dalla (OMISSIS), vi era un appartamento in cui venivano occultati denaro, gioielli e valori riferibili e di competenza di tutto il clan e che era costantemente presidiato (cfr., ancora, pag. 45). Il giudice di primo grado aveva ancora motivato sulla interscambiabilita' dei ruoli e sulla circostanza, che aveva giudicato altamente emblematica dell'esistenza di un vero e proprio sodalizio e non gia' della operativita' di singoli, della prosecuzione delle condotte pressanti e minatorie anche in caso di arresto di taluno dei suoi componenti (cfr., ivi, pagg. 45-46, con gli esempi riferiti alle dichiarazioni di (OMISSIS) e (OMISSIS)); e, inoltre, il GUP aveva dato rilievo alla riferita esistenza di una cassa comune (cfr., pagg. 46-47) da cui, secondo la (OMISSIS), si attingeva per i prestiti (cfr., ivi, pag. 47). Per altro verso, erano state delineate le singole posizioni ed i ruoli di ciascuno, a partire da (OMISSIS) (cfr., pagg. 49-57), a (OMISSIS) (detta (OMISSIS)) (cfr., ivi, pag. 52), (OMISSIS) (cfr., ivi), (OMISSIS) (cfr., ivi, pagg. 52-53), (OMISSIS) (detto (OMISSIS)) (cfr., ivi, pag. 53), (OMISSIS) (detto (OMISSIS)) (cfr., ivi, pag. 53), (OMISSIS), (OMISSIS) (cfr., ivi, pagg. 53-54), (OMISSIS) (detto (OMISSIS)) (cfr. ivi, pag. 54), (OMISSIS) "(OMISSIS)" (OMISSIS) (cfr., ivi, 54), (OMISSIS) (cfr., ivi, pagg. 55-56), (OMISSIS) (detto (OMISSIS)) (cfr., ivi, pag. 56), (OMISSIS) (cfr., ivi, pagg. 56-57), (OMISSIS) (detto "(OMISSIS)") (cfr., ivi, 57). Come gia' accennato, la Corte di appello ha sbrigativamente liquidato queste considerazioni affermando di non doverle prendere in esame proprio in quanto relative ad aspetti estranei alle specifiche contestazioni elevate nei confronti degli imputati ma con i quali, come pure gia' chiarito, avrebbe invece dovuto necessariamente confrontarsi al fine di verificare, in via incidentale, la questione della qualificazione del clan (OMISSIS) in termini di associazione di stampo mafioso. 1.6.4 L'errore metodologico in cui e' incorsa la Corte di appello ha avuto un suo riflesso sulle singole imputazioni, a partire da quelle descritte ai capi M), N) e P) della rubrica. Anche in tal caso, infatti, la Corte di appello, pur confermando la responsabilita' (di (OMISSIS), imputato al capo M per il delitto di usura aggravata e, al capo N, per il delitto di estorsione aggravata), ha tuttavia escluso la aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p., contestata sia sotto il profilo del "metodo" che della "agevolazione" del sodalizio di stampo mafioso denominato clan (OMISSIS) e, sotto entrambi gli aspetti, gia' ritenuta dal giudice di primo grado. I giudici di secondo grado hanno infatti sostenuto che, nella vicenda e, in particolare, sulla erogazione dei prestiti, non era mai stata evocata la esistenza e la presenza di un sodalizio caratterizzato ai sensi dell'articolo 416-bis c.p. e che in tal senso non poteva essere valorizzato il riferimento alla "gente" (che non intendeva attendere oltre la restituzione del denaro), accennato da (OMISSIS) (cfr., progr. 3578 del 9.12.2015, richiamata alla nota n. 16 di pag. 125 della sentenza impugnata); per altro verso, hanno fatto presente che anche il riferimento alle modalita' "mafiose" di riscossione dei prestiti, cui aveva fatto riferimento e che aveva descritto la (OMISSIS), aveva riguardato altri episodi e comunque, nel caso di specie, si era trattato di richieste telefoniche che mal si conciliavano con le modalita' operative cui fa riferimento la aggravante in questione. Da ultimo, secondo la Corte territoriale, "... per le stesse ragioni va esclusa la circostanza aggravante dell'agevolazione mafiosa, non potendosi ritenere, con certezza, che le persone evocate nelle telefonate come interessate al recupero del credito fossero appartenenti ad una associazione mafiosa ne', tantomeno, che detta associazione fosse quella ipotizzata dei (OMISSIS), soltanto perche' l'interlocutore era un membro della famiglia" (cfr., ivi, pagg. 125-126). E, tuttavia, anche in tal caso si deve rilevare come la Corte di appello non si sia confrontata con i rilievi operati dal giudice di primo grado sia con riguardo al "metodo" (cfr., in particolare, pag. 122 della sentenza di primo grado) sia, anche, con riguardo alla finalita' agevolativa in relazione alla quale era stato congruamente valorizzato, nel contesto della complessiva ricostruzione operata dal primo giudice, l'intervento di (OMISSIS) quale interessato al recupero del credito, circostanza di cui lo stesso (OMISSIS) era ben consapevole (cfr., pagg. 122-123, ove il GUP aveva richiamato l'intercettazione del 29.9.2016 in cui il predetto faceva presente che "... solo con quello posso parlare" e l'incontro tra i due che ci sarebbe stato il giorno 13.10.2016). In tal modo, peraltro, la Corte avrebbe dovuto contestualizzare il riferimento ai finanziatori (ovvero alla "gente") senza cedere ad una lettura atomistica degli elementi disponibili. 1.6.5 Considerazioni in parte analoghe merita la sentenza della Corte di appello quanto alla esclusione della aggravante della agevolazione, contestata e ritenuta invece in primo grado sul capo RR) che vede coinvolti, in questo giudizio, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Anche in tal caso, infatti, pur confermando la penale responsabilita' del ricorrente, i giudici romani hanno escluso la aggravante di aver agito al fine di agevolare la attivita' di un'associazione mafiosa "... dovendo la sussistenza di quest'ultima essere accertata con una sentenza che si occupi ex professo del delitto associativo, all'esito del giudizio in cui il delitto associativo risulta contestato" (cfr., pag. 54 della sentenza in verifica); per altro verso, la Corte ha tuttavia ribadito che, nel caso di specie, il clan (OMISSIS) non avrebbe quelle caratteristiche (con particolare riferimento al carattere verticistico e presenza di un "capo dei capi") giudicate imprescindibilmente proprie di un sodalizio di stampo mafioso dovendosi sul punto rinviare alle considerazioni svolte al punto 1.4 esaminando il quarto motivo del ricorso del PG. Quanto al pure affermato (cfr., ivi, pagg. 54-55) difetto di prova della volonta' dei ricorrenti di agevolare il sodalizio, la Corte, per giungere a conclusioni difformi rispetto alla sentenza impugnata, ha tuttavia ed ancora una volta omesso di confrontarsi con la motivazione del giudice di primo grado e, in particolare, con le considerazioni puntualmente articolate con riguardo alla posizione di (OMISSIS) (cfr., in particolare, pag. 78 della sentenza di primo grado), e da cui il primo giudice aveva ricavato la consapevolezza del fatto che la intestazione fittizia dell'autovettura era una operazione cui si era prestato nell'interesse del clan e da cui poteva derivargli una imputazione di associazione a delinquere di stampo mafioso. 1.6.6 Il ricorso del PG e' invece generico e non puo' essere accolto quanto alla esclusione della aggravante della finalita' agevolativa cui la Corte di appello e' pervenuta sui capi SS) e TT) che riguarda intestazione fittizia di un immobile sito in (OMISSIS), in capo a (OMISSIS) ed in realta' riconducibile a (OMISSIS). I giudici di secondo grado hanno, infatti, escluso la aggravante sulla scorta di due argomenti, ciascuno autonomamente in grado di sorreggere la decisione: il primo, sulla cui erroneita' in diritto si e' piu' volte tornati, secondo cui mancherebbe la prova della esistenza di un sodalizio di stampo mafioso, non acquisita in quanto non oggetto del presente giudizio; il secondo (cfr., pag. 102 della sentenza impugnata, la cui autonomia e' plasticamente evidenziata dall'incipit del terzo capoverso, laddove si dice che "e' comunque avviso di questa Corte di Appello..."), secondo cui "... l'intestazione fittizia messa in atto per l'interposta persona del (OMISSIS) a favore di (OMISSIS), non possa dirsi affatto rivolta a favorire l'ipotizzata associazione per delinquere di stampo mafioso (OMISSIS) e nemmeno a favore di alcuni dei suoi componenti, essendo risultato favorito dal contratto soltanto il pregiudicato (OMISSIS) e la sua famiglia" (cfr., ivi). La Corte di appello, in sostanza, ha accolto il gravame della difesa di (OMISSIS) che aveva sottolineato come l'immobile di cui si discute era in realta' una villetta in (OMISSIS) destinata prettamente alla famiglia di (OMISSIS) per le vacanze per cui la sua intestazione fittizia in capo al (OMISSIS), pur integrando la fattispecie di cui all'articolo 512-bis c.p., non era finalizzata a favorire il clan. Il ricorso del PG, tuttavia, pur evidenziando l'errore in cui la Corte era incorsa nell'escludere la possibilita' di operare un accertamento incidentale sulla esistenza di un sodalizio di stampo mafioso, si e' disinteressato di questa seconda motivazione che, come detto, e' in grado di giustificare autonomamente la decisione adottata. Ed e' stato piu' volte ribadito che deve ritenersi inammissibile, per difetto di specificita', il ricorso per cassazione che si limiti alla critica di una sola delle diverse rationes decidendi poste a fondamento della decisione, ove queste siano autonome ed autosufficienti (cfr., Sez. 3, n. 2754 del 06/12/2017, Bimonte, Rv. 272448 - 01; Sez. 3, n. 30021 del 14/07/2011, F., Rv. 250972 - 01; conf., tra le non massimate, le piu' recenti, Sez. 3, n. 4588 del 20.12.2022, Gallone, Sez. 2, 2. 3497 del 2.11.2022, Esposito; Sez. 5, n. 4536 del 10.11.2022, Castellini; Sez. Sez. 2, n. 47086 del 7.10.2022, Esposito; Sez. 2, n. 26027 del 23.6.2022, Monaco). 1.7 Con il settimo motivo, invece, il PG denunzia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla assoluzione, di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) dai reati loro ascritti ai capi LL), MM) e NN) con la formula terminativa secondo cui "il fatto non costituisce reato" stante la ritenuta insussistenza dell'elemento soggettivo del delitto di cui all'articolo 512-bis c.p. relativamente alla vicenda concernente la intestazione fittizia, a (OMISSIS) e ad (OMISSIS), delle quote della (OMISSIS) srl, la intestazione fittizia a (OMISSIS), dell'immobile di (OMISSIS) e, infine, alla intestazione fittizia, alla stessa (OMISSIS), dell'immobile sito in (OMISSIS), beni tutti di fatto riconducibili a (OMISSIS). La Corte di appello, non senza aver ribadito l'impossibilita' di ritenere la aggravante della agevolazione di un sodalizio di stampo mafioso in difetto di un accertamento pieno della sua effettiva esistenza nell'ambito del medesimo processo, ha tuttavia escluso l'elemento soggettivo del reato sul rilievo secondo cui i fatti di cui ai capi LL) e MM) risalgono al 2013 laddove soltanto nel 2018 sarebbe stata elevata, nei confronti di (OMISSIS), una imputazione per il delitto di cui all'articolo 416-bis c.p. avendo egli in precedenza subito solo una condanna per usura a 2 anni e 6 mesi di reclusione; ha aggiunto che la intestazione fittizia era stata motivata dalla necessita' di eludere aggressioni da parte dei creditori e che, ad ogni modo, la finalita' di sottrarre i beni a misure di prevenzione era radicalmente esclusa per le stesse modalita' di realizzazione dell'operazione che era stata effettuata in favore di prossimi congiunti e, per altro verso, mantenendo la denominazione della palestra chiaramente evocativa del soprannome di (OMISSIS). Anche in tal caso, tuttavia, la Corte di appello, per giungere a conclusioni difformi, in senso assolutorio, rispetto a quelle cui era pervenuto il giudice di primo grado, ha omesso di confrontarsi criticamente con le considerazioni con cui quest'ultimo aveva invece sorretto la propria decisione. Il GUP, infatti, nel ritenere la penale responsabilita' degli imputati in ordine a quelle vicende di (pacificamente) fittizie intestazioni, aveva evidenziato proprio i precedenti dello (OMISSIS) per usura, estorsione ed esercizio abusivo del credito, in grado, in tesi, di giustificare una misura di prevenzione patrimoniale legata alla ritenuta pericolosita' "generica" del predetto, ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 1, comma 1, lettera b). L'operazione tesa a "schermare" l'immobile e la palestra, secondo il GUP, era stata inoltre collegata alla intestazione, del pari fittizia, dell'immobile di via (OMISSIS), intestato a (OMISSIS) nel 2008, anno in cui (OMISSIS) era stato condannato per usura, ed il cui controvalore avrebbe dovuto coprire parte del prezzo di quello di (OMISSIS) (cfr., pag. 84 della sentenza di primo grado). Anche sulla finalita' agevolativa, la Corte omette di considerare la motivazione del primo giudice che, oltre ad evidenziare come gli investimenti del clan finissero per implementare la forza criminale del gruppo e la sua presenza ed influenza sul territorio e sulle attivita' commerciali, aveva fatto presente che la "... la palestra... era utilizzata dal clan per evitare la detenzione, come risulta dal tentativo di (OMISSIS) di farsi assumere alle dipendenze del cugino (OMISSIS)... rappresentando dunque uno strumento messo a disposizione dei consociati per sfuggire elle restrizioni scaturenti dalle misura intramurarie, in modo da garantire il massimo controllo del territorio" (cfr., ivi, pag. 86). In diritto, poi, e' opportuno ribadire che il dolo specifico - costituito dal fine di eludere l'applicazione di misure di prevenzione patrimoniali - non e' escluso dall'esistenza di finalita' concorrenti, non necessariamente ed esclusivamente collegate alla necessita' di "liberarsi" dei beni in vista di una loro possibile ablazione (cfr., Sez. 2 -, n. 46704 del 09/10/2019, Fotia, Rv. 277598 - 01, in cui la Corte ha annullato la sentenza di assoluzione che aveva escluso la configurabilita' del dolo specifico, con riferimento al trasferimento della titolarita' di quote di una societa', finalizzato anche a consentire alla societa' medesima di partecipare a gare d'appalto, senza essere colpita da misura interdittiva antimafia; conf., tra le non massimate, Sez. 1, n. 2514 del 13.9.2022, Pecorino; Sez. 5, n. 25239 dell'8.4.2022, Loretta; Sez. 6, n. 24025 del 2.3.2022, Pergolizzi; Sez. 2, n. 23233 del 27.4.2022, D'Alterio). Per altro verso, e' pacifico che, ai fini della configurabilita' del reato previsto dalla L. n. 356 del 1992, articolo 12-quinquies, ora articolo 512-bis c.p., e' sufficiente l'attribuzione fittizia ad altri della titolarita' o della disponibilita' di denaro, beni o altre utilita', anche nel caso in cui i beni siano stati intestati ad un familiare di un soggetto sottoposto o sottoponibile ad una misura di prevenzione patrimoniale, dovendosi escludere che la presunzione di interposizione fittizia prevista dal Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, articolo 26, in materia di prevenzione impedisca di configurare tale fattispecie di reato o renda necessario l'ulteriore accertamento, estraneo alla fattispecie, della concreta capacita' elusiva dell'operazione patrimoniale (cfr., Sez. 6, n. 22568 del 11/04/2017, Francaviglia, Rv. 270035 - 01; Sez. 2, n. 7999 del 01/02/2017, Galliano, Rv. 269545 - 01; Sez. 2, n. 13915 del 09/12/2015, Scriva, Rv. 266386 - 01). La sentenza va dunque annullata anche su questo punto con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma per nuovo giudizio. 2. Il ricorso di (OMISSIS). Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' inammissibile, fermo restando che la sua posizione rimane sub iudice in ragione dell'accoglimento del ricorso del Pubblico ministero in ordine alla sussistenza dell'aggravante agevolativa prevista dall'articolo 416-bis.1 c.p.. 2.1 Il primo motivo, che contesta la legittimita' della conferma della responsabilita' in ordine ai reati di usura ed estorsione consumati in danno di (OMISSIS) (capi GGG ed III) non e' consentito in quanto si risolve nella richiesta di rivalutazione della capacita' dimostrativa delle prove, attivita' esclusa dal perimetro che circoscrive la competenza del giudice di legittimita'. In materia di estensione dei poteri della Cassazione in ordine alla valutazione della legittimita' della motivazione si riafferma che la Corte di legittimita' non puo' effettuare alcuna valutazione di "merito" in ordine alla capacita' dimostrativa delle prove, o degli indizi raccolti, dato che il suo compito e' limitato alla valutazione della tenuta logica del percorso argomentativo e della sua aderenza alle fonti di prova che, ove si ritenessero travisate devono essere allegate - o indicate - in ossequio al principio di autosufficienza (cfr., tra le altre: Sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965). Nel dettaglio: il ricorrente contesta la veridicita' delle dichiarazioni del (OMISSIS) in quanto la sua progressione dichiarativa sarebbe incoerente. Il collegio ritiene non fondate le doglianze dirette avverso la non completa sovrapponibilita' delle dichiarazioni dell'offeso utilizzate nella definizione del rito abbreviato. La non perfetta coincidenza delle informazioni rese nel corso dello sviluppo della progressione dichiarativa emersa nel corso delle indagini (ed integralmente utilizzabile nei riti a prova contratta) non e' in se' indice di inattendibilita', data la fisiologica diversita' dei contenuti testimoniali raccolti nel corso del procedimento: e' infatti ragionevole che nel corso delle varie audizioni si tenda all'approfondimento di aree tematiche non esplorate nel corso delle originali dichiarazioni, con un fisiologico arricchimento della testimonianza. La valutazione di inattendibilita' richiede, piuttosto, la emersione di irrisolvibili incompatibilita' in relazione a contenuti dichiarativi decisivi per l'accertamento di responsabilita'; di contro, le divergenze derivanti dalla aggiunta, piuttosto che dalla omissione, di particolari "di contorno" rispetto al nucleo accusatorio centrale, non possono essere automaticamente, ed univocamente, interpretate come indicatori di inattendibilita' del dichiarato. Nel caso in esame, gia' il giudice di primo grado aveva rilevato che (OMISSIS) aveva reso dichiarazioni conformi a quelle di (OMISSIS), dichiarando di essere stata presente sia al momento della consegna del prestito, sia al momento della restituzione di alcune rate; inoltre, dall'esame dei tabulati era emerso un primo contatto telefonico tra (OMISSIS) e (OMISSIS), avvenuto il 31 gennaio 2017, in prossimita' della scadenza mensile della prima rata; nel maggio e nel luglio 2018, erano state invece intercettate alcune conversazioni in cui gli interlocutori parlavano della necessita' di incontrarsi per gli adempimenti dei quali (OMISSIS) sollecitava l'esecuzione, puntualizzando che la contabilita' era tenuta dalla moglie (OMISSIS) (cfr., cosi', in particolare, pag. 121 della sentenza impugnata). La Corte di appello ha rilevato, altresi', che (OMISSIS) aveva tentato di minimizzare il contenuto intimidatorio dei rapporti intercorsi tra lui e (OMISSIS), ma ha ritenuto che le dichiarazioni dibattimentali (rese nel procedimento "parallelo" ed acquisite nel corso del giudizio di appello) lasciavano trasparire un condizionamento significativo, dato che lo stesso era caduto piu' volte in contraddizione, negando anche di avere ricevuto minacce. Piu' attendibili sono state ritenute, invece, le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari, quando il (OMISSIS) aveva riferito che (OMISSIS), nell'esigere le rate di duemilacinquecento Euro per la durata di dieci mesi, aveva minacciato sia la compagna che la figlia. Dunque, contrariamente a quanto dedotto, la Corte d'appello ha confermato la l'affermazione di responsabilita', valutando in modo accurato la credibilita' dei contenuti accusatori provenienti dalla persona offesa: i giudici di merito hanno rilevato come le dichiarazioni di (OMISSIS), valutate con accuratezza anche con riguardo al profilo della attendibilita' intrinseca, avevano trovato riscontro in quelle, convergenti, rese dalla sua segretaria, (OMISSIS), oltre che negli esiti dei tabulati telefonici e nella documentazione acquisita: la valutazione della credibilita' del dichiarato involge, dunque, l'intero compendio probatorio, che e' stato ritenuto, con motivazione priva di vizi rilevanti in questa sede, univocamente convergente nell'indicare la responsabilita' del ricorrente per i reati contestati. 2.2. Anche il secondo motivo proposto nell'interesse di (OMISSIS) non e' consentito. Il ricorrente insiste, infatti, nella richiesta di rivalutazione del compendio probatorio, invero oggetto di accurata ed esaustiva valutazione e fondato, in maniera determinante, sui contenuti delle intercettazioni telefoniche, posti alla base dell'affermazione di responsabilita' da parte dei giudici di entrambi i gradi di merito. 2.2.1. Una attenzione particolare merita la censura relativa all'inquadramento di (OMISSIS), non dichiarante "semplice", ma persona "coinvolta nei fatti" in giudizio, il che, secondo la difesa, avrebbe dovuto comportare l'applicazione dello statuto processuale della persona indagata per reato connesso, con conseguente inutilizzabilita' della testimonianza assunta in assenza di garanzie. Quanto all'inquadramento del dichiarante come indagato/imputato di reato connesso la Corte di legittimita' si e' piu' volte pronunciata nel senso, condiviso dal collegio, secondo cui le dichiarazioni della persona, che fin dall'inizio avrebbe dovuto essere sentita nella qualita' di indagata, sono inutilizzabili erga omnes e la verifica della sussistenza di tale qualita' va condotta non secondo un criterio formale (esistenza di notizia criminis, iscrizione nel registro degli indagati), ma secondo il criterio sostanziale, che tenga conto della qualita' oggettivamente attribuibile al soggetto in base alla situazione esistente, e rilevabile dal giudice procedente, nel momento in cui le dichiarazioni sono state rese (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243417; Sez. 6, 20/05/1998, n. 7181; Sez. 4, 10/12/2004, n. 4867). Tale approdo interpretativo valorizza la funzione di controllo dell'organo giudicante sulla discrezionalita' che il pubblico ministero esercita attraverso l'iscrizione nel registro delle notizie di reato, evidenziando la necessita' che lo statuto della prova dichiarativa corrisponda alla qualifica sostanziale del dichiarante, riconoscibile anche in carenza del requisito formale della iscrizione nel registro. La Corte di cassazione ha chiarito che "quanto al tipo e alla consistenza degli elementi apprezzabili dal giudice al fine di verificare l'effettivo status del dichiarante, devono ritenersi rilevanti i soli indizi non equivoci di reita', sussistenti gia' prima dell'escussione del soggetto e conosciuti dall'autorita' procedente" (cfr., in tal senso, oltre a Sez. U, 23/042009, n. 23868, Fruci, vedi anche Sez. 5, 15/05/2009, n. 24953, Costa; Sez. U, 22/02/2007, n. 21832, Morea, Rv 236370; Sez. 2, 2/10/2008, n. 39380, Galletta, Rv 24186). In assenza di indici formali, come l'iscrizione, per identificare lo statuto della prova dichiarativa assume percio' un ruolo centrale la valutazione delle emergenze processuali eventualmente indicative del coinvolgimento del dichiarante nella vicenda per cui si procede. Il collegio condivide, sul punto, quanto affermato dalle Sezioni unite, secondo cui spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali, e quindi al di la' del riscontro di indici formali, l'attribuibilita' al dichiarante della qualita' di indagato, con la precisazione secondo cui "il relativo accertamento si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimita'" (Sez. U. 15208 del 25/02/2010, Mills, Rv. 246584). La valutazione della qualifica di indagato si inquadra, percio', nell'area delle valutazioni di merito, e "costituisce accertamento in punto di fatto che, in caso di congrua motivazione da parte del giudice di merito, e' sottratto al sindacato di legittimita'" (Sez. U. 15208 del 25/02/2010, Mills Rv. 246584). Puo' dunque ribadirsi il principio di diritto secondo cui, in assenza di iscrizione nel registro delle notizie di reato la valutazione della posizione processuale del dichiarante, e l'attribuzione del relativo statuto, rappresentano una valutazione di merito, che se offerta con motivazione logica ed aderente alle emergenze processuali, si sottrae al sindacato di legittimita'. Nel caso in esame la Corte d'appello ha rilevato che il fatto che (OMISSIS) avesse presentato (OMISSIS) a (OMISSIS), consentiva di inquadrare lo stesso non solo come vittima di usura, ma anche come mediatore (cfr., pag. 124 della sentenza impugnata), comunque escludendo che lo stesso fosse indagabile per concorso in usura. La Corte d'appello ha considerato che la valutazione complessiva delle prove, con particolare riguardo al contenuto delle intercettazioni telefoniche, consentiva di superare le divergenze tra le dichiarazioni rese dai soggetti passivi, restituendo un quadro complessivo dei rapporti tra (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), sicuramente indicativi della responsabilita' del ricorrente. Si riteneva cioe' che dalle intercettazioni telefoniche, come anche dalle dichiarazioni degli offesi, fosse emerso con nettezza e precisione: (a) che (OMISSIS) e (OMISSIS) si erano trovati in gravi difficolta' economiche; (b) che (OMISSIS) si era rivolto per primo a (OMISSIS) nel 2009; (c) che (OMISSIS) si era rivolto a (OMISSIS) tra il 2011 e il 2012 per ottenere un prestito dai (OMISSIS); (d) che di fronte all'insolvenza di (OMISSIS), (OMISSIS) si era rivolto a (OMISSIS), ritenuto "garante" del (OMISSIS). Dalle conformi valutazioni dei giudici dei due gradi di merito si ricava, dunque, che le prove raccolte non avevano fornito indicazioni sufficienti per ritenere (OMISSIS) concorrente nell'usura, essendo lo stesso al piu' inquadrabile come mediatore e garante - dunque vittima dei (OMISSIS), e di (OMISSIS), in particolare. A cio' si aggiunge che il compendio probatorio posto a fondamento dell'affermazione di responsabilita' e' polivalente, dato che si compone non solo delle dichiarazioni degli offesi, ma - anche e soprattutto - dei contenuti delle intercettazioni, che assumono un ruolo decisivo nel percorso argomentativo tracciato dai giudici di merito per giungere all'affermazione di responsabilita'. La motivazione contestata non si presta, pertanto, ad alcuna censura in questa sede. 2.2.2. Anche le censure relative all'inquadramento giuridico della condotta, che, nella prospettiva del ricorrente, avrebbe dovuto essere riportata alla fattispecie dell'esercizio arbitrario delle proprie ragioni, sono manifestamente infondate. Il collegio riafferma che il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone e quello di estorsione si differenziano tra loro in relazione all'elemento psicologico, da accertarsi secondo le ordinarie regole probatorie (cfr., sul punto, Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027 - 02). Nel caso in esame, come legittimamente rilevato dalla Corte territoriale, manca la base fattuale che legittima lo scrutinio del profilo soggettivo, ovvero la sussistenza di un credito azionabile in giudizio: il rapporto di credito sul quale si innesta l'attivita' minatoria contestata ha, infatti, una matrice illecita, essendo generato da un rapporto usuraio (cfr., in tal senso, pag. 125 della sentenza impugnata). 2.3. Sono, infine, manifestamente infondate anche le doglianze, proposte con il terzo motivo di ricorso, rivolte nei confronti della conferma della responsabilita' del ricorrente in relazione al reato di esercizio abusivo di un'attivita' creditizia. La Corte di appello ha ritenuto che la consumazione del reato fosse dimostrata dal medesimo compendio probatorio che aveva fondato la condanna per i reati di usura ed estorsione, con i quali concorreva in ragione del diverso interesse giuridico protetto: nel primo caso, il patrimonio e, nel secondo, la trasparenza e la vigilanza dell'attivita' finanziario bancaria (pag. 126 della sentenza impugnata). La Corte territoriale ha dunque compiutamente risposto alle doglianze proposte con la prima impugnazione, sicche' la sentenza non si presta, sul punto, ad alcuna censura in questa sede. 3. I ricorsi di (OMISSIS). I ricorsi proposti nell'interesse di (OMISSIS) (dall'Avv. Manca Giorgio e dall'Avv. Naso Ippolita, limitatamente alla pena) sono fondati. Con l'atto di appello il difensore di (OMISSIS) avrebbe messo in evidenza la posizione "del tutto marginale" della ricorrente e l'assenza di prove circa il fatto che la stessa fosse a conoscenza della azione dissimulatoria sottesa alla compravendita e consapevole del rischio che (OMISSIS) potesse essere sottoposto a misure di prevenzione; l'appellante aveva inoltre allegato che la convivenza con (OMISSIS) era un elemento insufficiente per provare sia il contributo causale, seppure solo morale, causale all'intestazione fittizia, che l'elemento soggettivo del reato in contestazione. Rispetto alle puntuali doglianze proposte con la prima impugnazione, la Corte territoriale si e' limitata a ritenere provato che l'autovettura Mercedes, nell'intenzione di (OMISSIS) e degli effettivi utilizzatori della vettura ovvero (OMISSIS) e (OMISSIS) - andasse "schermata", in modo da eludere il rischio di provvedimenti di prevenzione (pagg. 59 e 60 della sentenza impugnata). Mentre non e' stato trattato in modo adeguato, ne' il profilo relativo al contributo causale, ne' quello relativo all'elemento psicologico specificamente riferibili alla ricorrente. Sul punto la sentenza deve essere annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Roma per nuovo giudizio, ferme le considerazioni svolte dal collegio sul ricorso del Procuratore Generale in merito alla esclusione della aggravante "mafiosa". 4. Il ricorso di (OMISSIS). Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' inammissibile, fermo restando che la sua posizione resta, comunque, sub iudice in relazione all'annullamento disposto in relazione all'accoglimento delle censure proposte dal Pubblico ministero in ordine alla sussistenza dell'aggravante agevolativa prevista dall'articolo 416-bis.1 c.p.. 4.1. Il primo motivo, infatti, non e' consentito, in quanto si risolve nella richiesta di accogliere una tesi alternativa, ovvero di svalutare integralmente il compendio probatorio raccolto, e posto a sostegno della conferma di responsabilita', ritenendo inverosimile che l'intestazione fittizia potesse essere stata effettuata nei confronti di (OMISSIS), pregiudicato ed appartenente alla famiglia cui era riferibile l'interesse alla dissimulazione. La questione e' stata affrontata e risolta dalla Corte territoriale, con motivazione che non si presta ad alcuna censura: la Corte d'appello ha rilevato, infatti, come l'argomento secondo cui l'intestazione del bene a (OMISSIS) non avrebbe offerto uno schermo adeguato, non era idoneo a demolire l'impianto accusatorio, tenuto conto che l'intestazione fittizia non vedeva come prestanome un familiare, ma una societa' con personalita' giuridica - l'Autolux - gestita da (OMISSIS), estraneo alla famiglia dei (OMISSIS) (cfr., pag. 60 della sentenza impugnata); condotta, questa, sicuramente funzionale a raggiungere l'obiettivo di preservare i beni della famiglia dalle azioni ablative dei procedimenti di prevenzione. 4.2. Le doglianze relative al riconoscimento della sussistenza della recidiva sono manifestamente infondate. Contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, la Corte d'appello ha offerto una sintetica, ma sufficiente, motivazione in ordine al concreto accrescimento della pericolosita' sociale derivante dalla consumazione dei reati per cui si procede, rilevando come la gravita' del reato e l'intensita' del dolo (ravvisabile nella pervicace volonta' di sottrarre beni acquistati con proventi illeciti e procedure ablative, attraverso l'investitura di terzi), unitamente alla biografia criminale vantata, militassero per la legittimita' del riconoscimento della circostanza soggettiva che si contesta (cfr., pag. 60 della sentenza impugnata). La motivazione, sul punto, non si presta ad alcuna censura. 4.3. La motivazione posta alla base del riconoscimento della recidiva giustifica anche il diniego delle circostanze attenuanti generiche, sicche' anche l'ultimo motivo di ricorso risulta manifestamente infondato. Si riafferma infatti che il giudice puo' negare la concessione delle attenuanti generiche e, contemporaneamente, ritenere la recidiva, valorizzando per entrambe le valutazioni il riferimento ai precedenti penali dell'imputato, in quanto il principio del "ne bis in idem" sostanziale non preclude la possibilita' di utilizzare piu' volte lo stesso fattore per giustificare scelte relative ad istituti giuridici diversi (Sez. 6, n. 57565 del 15/11/2018, Giallombardo, Rv. 274783 - 01; Sez. 6, n. 47537 del 14/11/2013, Quagliara, Rv. 257281). 5. Il ricorso di (OMISSIS). Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' fondato nei termini di seguito esposti. 5.1. Il primo motivo, che contesta il riconoscimento della recidiva sotto il profilo del difetto di motivazione in ordine al concreto accrescimento di pericolosita', non supera il vaglio di ammissibilita' in quanto la doglianza proposta sul punto con la prima impugnazione non e' connotata dalla specificita' necessaria per attivare il capo al giudice d'appello alcun onere motivazionale. Il collegio ribadisce, infatti, che il difetto di motivazione della sentenza di appello in ordine a motivi generici, proposti in concorso con altri motivi specifici, non puo' formare oggetto di ricorso per Cassazione, poiche' i motivi generici restano viziati da inammissibilita' originaria anche quando la decisione del giudice dell'impugnazione non pronuncia in concreto tale sanzione (cfr., Sez. 3, n. 10709 del 25/11/2014, dep. 2015, Botta, Rv. 262700). Nel caso in esame l'atto di appello (cfr., le pagg. 19 e 20) si limitava a richiamare alcuni principi giurisprudenziali, senza indicare alcun elemento specificamente riferibile a (OMISSIS) che ostasse al riconoscimento dell'aggravante contestata. 5.2. Il secondo motivo, che contesta la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della recidiva deducendo che la seconda condanna non era passata in giudicato prima della consumazione del reato per cui si procede, deduce una violazione di legge, non rilevabile d'ufficio, che e' stata avanzata per la prima volta in sede di legittimita', con insanabile frattura della catena devolutiva. Si registra, cioe', una violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 3, che genera l'inammissibilita' del motivo. 5.3. Anche il terzo motivo e' inammissibile in quanto eccepisce l'accrescimento dell'aumento per la recidiva - superiore di sei mesi rispetto a quello inflitto in primo grado - senza confrontarsi con la giurisprudenza, qui condivisa, secondo cui non viola il divieto di reformatio in pejus il giudice d'appello che, accogliendo il gravame limitatamente al riconoscimento di una circostanza "ad effetto speciale", applichi - senza peraltro irrogare una pena complessiva maggiore di quella stabilita dal primo giudice - un aumento per la recidiva reiterata nella misura "piena" di cui all'articolo 99 c.p., comma 4, superiore a quella fissata in primo grado in base al meccanismo di contenimento previsto dall'articolo 63 c.p., comma 4, non essendo tale meccanismo piu' applicabile dopo l'esclusione dell'aggravante ad effetto speciale (Sez. 2, n. 18089 del 12/04/2016, Prisco, Rv. 266837 - 01). Va rilevato, comunque, che l'annullamento disposto anche in relazione alla posizione di (OMISSIS) in ordine alla sussistenza dell'aggravante prevista dall'articolo 416-bis.1 c.p. rimette sub iudice la definizione del trattamento sanzionatorio che, ove tale aggravante sara' riconosciuta, dovra' essere evidentemente determinato nel rispetto del criterio moderatore previsto dall'articolo 63 c.p.p., comma 4. 5.4. Il quarto motivo relativo alle statuizioni civili e' fondato e, sul punto, la sentenza, limitatamente alla posizione di (OMISSIS), deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma. L'ordinanza del Giudice che aveva ammesso le parti civili (OMISSIS), Regione Lazio ed (OMISSIS), aveva considerato dirimente, ai fini della legittimazione alla costituzione, il fatto che il processo riguardasse condotte riconducibili alla criminalita' organizzata, come plasticamente evidenziato dalla contestazione dell'aggravante agevolativa prevista dall'articolo 416-bis c.p. (pag. 3 dell'ordinanza del Giudice per l'udienza preliminare del 2 luglio 2019). Il fatto che la legittimazione alla costituzione e, dunque, le relative statuizioni, fossero legittimate dalla contestazione dell'aggravante agevolativa, e di quella dell'uso del metodo mafioso, e' confermato anche dalla sentenza impugnata (cfr., pag. 141). Ebbene: la Corte di appello, pur essendosi determinata ad escludere l'aggravante agevolativa, ha cio' non di meno confermato sia la costituzione di parte civile della associazione (OMISSIS), della Regione Lazio, che della (OMISSIS), e le relative statuizioni civili, assumendo una decisione intrinsecamente contraddittoria. Sul punto la sentenza deve essere annullata con rinvio a una diversa sezione della Corte di appello di Roma, che rivalutera' sia la sussistenza delle aggravanti, che la legittimita' delle costituzioni di parte civile e delle relative statuizioni. Va opportunamente precisato che tale pronuncia non si estende a favore dei ricorrenti che non hanno impugnato il capo della sentenza relativo alle statuizioni civili: si riafferma infatti che l'accoglimento dell'impugnazione proposta da uno dei coimputati con riguardo alla sola condanna al risarcimento dei danni non giova ai coobbligati in solido, atteso che l'effetto estensivo dell'impugnazione concerne i soli casi in cui questa investa, sia pure con eventuali ricadute civilistiche, il profilo della responsabilita' penale e non anche quelli in cui attenga ad aspetti esclusivamente risarcitori (cfr., in tal senso, tra le tante, Sez. 5, n. 34116 del 06/05/2019,Ferri, Rv. 277300 - 01; Sez. 6, n. 13844 del 02/12/2016, dep. 2017, Aracu, Rv. 270369; Sez. 5, n. 32352 del 07/03/2014, Tanzi, Rv. 261939). 6. Il ricorso di (OMISSIS). Il ricorso di (OMISSIS) e' inammissibile, fermo restando che la sua posizione resta sub iudice in relazione all'annullamento disposto in relazione all'accoglimento delle censure proposte dal Pubblico ministero in ordine alla sussistenza dell'aggravante prevista dall'articolo 416-bis.1 c.p.. Il ricorso, infatti, contesta il giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee, invocando una valutazione di merito non consentita in sede di legittimita', tenuto conto che la sentenza impugnata - allo stato degli atti in quanto la pena definitiva dipendera' dalle valutazioni in ordine alla sussistenza dell'aggravante prevista dall'articolo 416-bis.1 c.p. - non presenta alcuna frattura logica ed argomenta in modo puntuale, dato che giustifica il bilanciamento, con motivazione logica e coerente con le emergenze processuali, valorizzando la gravita' delle condotte e la parzialita' della confessione (pagg. 43 e 44 della sentenza impugnata). 7. Il ricorso di (OMISSIS). Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' inammissibile, fermo restando che anche la posizione del predetto ricorrente resta sub iudice in relazione all'annullamento disposto in relazione all'accoglimento delle censure proposte dal Pubblico ministero in ordine alla sussistenza dell'aggravante prevista dall'articolo 416-bis.1 c.p.. 7.1. Il primo motivo contesta il difetto di correlazione tra accusa e sentenza in relazione al fatto che, per giustificare la legittimita' dell'inquadramento della condotta nella fattispecie prevista dall'articolo 629 c.p., la Corte d'appello aveva valorizzato la "natura usuraia del credito" e non la "particolare violenza delle minacce". La doglianza e' manifestamente infondata. 7.1.1. Il collegio ribadisce che in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perche', vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione e' del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'"iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (cfr., Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051; Sez. U, Sentenza n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205619 - 01). 7.1.2. Nel caso in esame, effettivamente, il capo di imputazione non contiene alcun riferimento alla natura usuraia del credito; tuttavia, nel corso di tutta la progressione processuale tale natura era emersa con chiarezza, essendo l'attivita' estorsiva direttamente collegata al rapporto usuraio intercorso tra (OMISSIS) e (OMISSIS): dunque non si rileva alcuna lesione del diritto di difesa, tenuto in considerazione che il ricorrente ha avuto - tempestivamente - la possibilita' di potersi confrontare con un elemento decisivo per la definizione della condotta contestata. Il collegio riafferma che quando il credito, come nel caso in esame, ha natura usuraia e, dunque, e' connotato da una causa illecita, l'azione giudiziale e' impedita, sicche' la condotta deve essere necessariamente qualificata come estorsione e non come esercizio arbitrario delle proprie ragioni. 7.2. Anche il secondo motivo, con il quale si contesta l'illegittima acquisizione del verbale di dichiarazioni dibattimentali di (OMISSIS), e' manifestamente infondato. Il ricorrente allega l'assenza di consenso all'acquisizione, in forma cartolare, delle dichiarazioni testimoniali riversate nel procedimento parallelo celebrato con il rito ordinario. Sul punto il collegio riafferma che il consenso all'acquisizione di atti di indagine contenuti nel fascicolo del pubblico ministero puo' essere espresso tacitamente attraverso l'assenza di opposizione, se il complessivo comportamento processuale della parte interessata e' incompatibile con una volonta' contraria (Sez. 6, n. 13752 del 25/02/2021, Tagliente, Rv. 281088 - 01; Sez. 4, n. 4635 del 15/01/2020, Guarnieri, Rv. 278292; Sez. 3, n. 1727 del 11/11/2014, dep. 2015, Pistis, Rv. 261927). Nel caso in esame, dalla lettura del verbale di udienza si ricava che la difesa del ricorrente non ha proposto alcuna opposizione alla acquisizione del verbale contestato, cosi' manifestando una tacita acquiescenza al suo ingresso nel fascicolo del dibattimento. 7.3. Il terzo motivo, che contesta la legittimita' della conferma della responsabilita', censurando la motivazione relativa alla sussistenza dell'elemento soggettivo, non e' consentito ma in quanto si risolve nella richiesta di rivalutare la capacita' di dimostrativa delle prove, attivita' esclusa dal perimetro che circoscrive la competenza del giudice di legittimita'. Nel caso in esame, contrariamente a quanto dedotto, la Corte di appello ha effettuato un accurato scrutinio delle emergenze oggettive della condotta, le uniche dalle quali poteva dedursi l'atteggiamento psicologico necessario per ritenere integrato il reato per cui si procede. La Corte di merito ha rilevato, infatti, come lo (OMISSIS) fosse costantemente presente quando (OMISSIS) avanzava le richieste estorsive e come, durante gli incontri con (OMISSIS), tenesse un atteggiamento minaccioso, ritenuto idoneo a rafforzare l'efficacia intimidatoria della pretesa: la mimica facciale - definita da (OMISSIS) come "sguardo cattivo" - ed il contesto di altissima tensione nel quale si svolgevano gli incontri, secondo la Corte territoriale aveva reso evidente che lo (OMISSIS) fosse pienamente consapevole dell'azione estorsiva, cui aveva prestato la propria attiva partecipazione (cfr., pag. 121 della sentenza impugnata). Si tratta di una motivazione priva di fratture logiche e coerente con emergenze processuali che, per questa ragione, si sottrae ad ogni censura in questa sede. 7.4. Il motivo che contesta l'assenza di motivazione in ordine alla richiesta di rinnovazione dibattimentale e' manifestamente infondato. Il collegio riafferma che il rigetto dell'istanza di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello si sottrae al sindacato di legittimita' quando la struttura argomentativa della motivazione della decisione di secondo grado si fonda su elementi sufficienti per una compiuta valutazione in ordine alla responsabilita' (Sez. 6, Sentenza n. 2972 del 04/12/2020, dep. 2021, G, Rv. 280589 - 01). Nel caso in esame, l'apparato argomentativo posto a sostegno dell'affermazione di responsabilita' risulta completo ed esaustivo, sicche' l'irrilevanza della rinnovazione emerge con chiarezza dall'intera struttura motivazionale che si presenta completa ed autosufficiente (cfr., pagg. 116- 122 della sentenza impugnata). 7.5. Il quinto motivo, che contesta la motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche, e' manifestamente infondato in quanto, contrariamente a quanto dedotto, la Corte territoriale ha messo in evidenza come la pena venisse definita in ragione della gravita' dei fatti e della personalita' degli imputati, che risultavano gravati da precedenti indicativi di una spiccata capacita' delinquere, il che giustificava la mancata concessione del beneficio sanzionatorio (cfr., pag. 126 della sentenza impugnata). 7.6. Le stesse ragioni poste a sostegno del diniego delle attenuanti generiche esplicitano i motivi per i quali la Corte territoriale ha ritenuto di confermare la sussistenza della recidiva: la gravita' delle condotte accertate ed i significativi precedenti vantati, secondo la ineccepibile valutazione dei giudici di merito, erano elementi idonei a dimostrare l'accrescimento specifico di pericolosita', correlato alla consumazione delle condotte in giudizio. 7.7. Il settimo motivo di ricorso con il quale si insta per la correzione della pena deve essere accolto. La Corte di appello, nell'effettuare la riduzione per il rito non ha diminuito di un terzo la pena, che, da sei anni, ha ridotto ad anni quattro e mesi sei, invece che ad anni quattro. L'emenda che si effettua riguarda, peraltro, la sentenza-documento afflitta dall'errore, fermo restando che il collegio, in relazione alla posizione dello (OMISSIS), ha annullato la decisione, con rinvio alla Corte di appello, per effettuare un nuovo giudizio in ordine alla sussistenza dell'aggravante prevista dall'articolo 416-bis.1 c.p., valutazione che potra' influire sulla quantificazione della pena. L'annullamento non elimina, d'altra parte, la rilevanza della correzione, in quanto, nel caso in cui la Corte di appello, in sede di giudizio di rinvio, non ritenesse di riconoscere l'aggravante agevolativa, il limite di pena per valutare il rispetto del divieto di reformatio in peius dovra' essere individuato in anni quattro di reclusione e non in anni quattro e mesi otto. Pertanto: si annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente al trattamento sanzionatorio, che deve essere rideterminato in anni quattro di reclusione invece che in anni quattro e mesi otto di reclusione. 8. Alla dichiarata inammissibilita' dei ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) consegue, per il disposto dell'articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonche' al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in Euro 3000,00. Le spese relative alle parti civili andranno liquidate all'esito della fase di rinvio. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), con riferimento all'esclusione dell'aggravante dell'articolo 416-bis.1 c.p., (capi M. N. GGG, III, P, RR, PPP, QQQ) e dell'aggravane dell'articolo 628 c.p., comma 3, n. 3, (capo N). Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma, per nuovo giudizio. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), limitatamente alle statuizioni civili, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma; dichiara inammissibile nel resto il ricorso del (OMISSIS). Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), limitatamente al trattamento sanzionatorio, che ridetermina in quattro anni di reclusione. Dichiara inammissibile il ricorso del Procuratore Generale nei confronti di (OMISSIS). Dichiara inammissibili i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende. Spese delle parti civili al definitivo.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BELTRANI Sergio - Presidente Dott. CIANFROCCA Pierlui - rel. Consigliere Dott. PERROTTI Massimo - Consigliere Dott. RECCHIONE Sandra - Consigliere Dott. MONACO Marco Maria - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: sui ricorsi proposti nell'interesse di: (OMISSIS), nato (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); contro la sentenza della Corte di appello di Caltanissetta del 29.6.2021; Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere Pierluigi Cianfrocca; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Pietro Molino, che ha concluso per l'inammissibilita' dei ricorsi; udito l'Avv. Fabrizio Ferrara, in sostituzione dell'Avv. Davide Carmelo Linnoncello; in difesa della parte civile (OMISSIS), il quale si e' associato alle richieste del Sostituto Procuratore generale ed ha depositato conclusioni scritte con nota spese, alle quali si e' riportato; udito l'Avv. Giovanna Zappulla, in difesa delle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che ha depositato conclusioni scritte e nota spese, alle quali si e' riportata; udito l'Avv. Maurizio Giannone, in sostituzione dell'Avv. Alfredo Gaito, in difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS), che ha concluso per l'accoglimento dei rispettivi ricorsi; udito l'Avv. Flavio Giacomo Salvo Sinatra, in difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS), che ha concluso per l'accoglimento dei rispettivi ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Caltanissetta ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Gela, in data 27.6.2019, aveva riconosciuto (OMISSIS) responsabile dei fatti di usura aggravata di cui ai capi 1), 2) e 3) e, ritenuto tra gli stessi il vincolo della continuazione, con le circostanze attenuanti generiche stimate equivalenti alle aggravanti concorrenti, lo aveva condannato alla pena complessiva e finale di anni 2 e mesi 6 di reclusione ed Euro 6.000 di multa oltre al pagamento delle spese processuali e di custodia cautelare in carcere; aveva inoltre riconosciuto (OMISSIS) responsabile, in concorso con il germano, del fatto di usura di cui al capo 3) e, con le attenuanti generiche stimate equivalenti alle aggravanti concorrenti, lo aveva condannato alla pena di anni 2 di reclusione ed Euro 5.000 di multa; il primo giudice, con statuizione anche sul punto confermata in appello, aveva, inoltre, condannato (OMISSIS) al risarcimento dei danni patiti dalla costituita parte civile (OMISSIS) e, con (OMISSIS), al risarcimento dei danni patiti dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); aveva, infine, disposto la confisca dei beni, denaro ed altre utilita' di cui (OMISSIS) avesse la disponibilita' sino a concorrenza degli importi oggetto di usura di cui ai capi 1) e 2) e la confisca dei beni di cui lo stesso (OMISSIS) e (OMISSIS) avessero la disponibilita' sino alla concorrenza degli importi di usura di cui ai capo 3) della rubrica. 2. Ricorrono per cassazione sia (OMISSIS) che (OMISSIS). 2.1 (OMISSIS), con un primo ricorso a firma degli Avv.ti Flavio Sinatra e Alfredo Gaito e (OMISSIS), limitatamente al capo per il quale era intervenuta la condanna, con ricorso pure a firma degli Avv.ti Flavio Sinatra e Alfredo Gaito, lamentano: 2.1.1 violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli articoli 192 e 125 c.p.p. La sentenza di appello non avrebbe fatto che riportarsi a quanto gia' affermato dal Tribunale, sostenendo fossero impercorribili ricostruzioni alternative rispetto a quella ivi accolta ma, in tal modo, incorrendo nel medesimo errore percettivo che aveva caratterizzato la sentenza di primo grado, con conseguente incoerenza tra la motivazione ed il compendio probatorio acquisito. Secondo i giudici di merito, le dichiarazioni delle persone offese sarebbero state riscontrate da plurime fonti probatorie, della cui indicazione non si e' tuttavia avvertita l'esigenza, sia per quanto concerne la vicenda (OMISSIS) che per quanto concerne la vicenda (OMISSIS), in relazione alla quale, peraltro, i giudici di merito hanno ritenuto fosse stata confermata la natura usuraria del rapporto a fronte di prestiti di cifre diverse e senza tener conto della analiticita' dei rapporti intercorrenti tra le parti; proprio tale frammentarieta' avrebbe reso necessario il ricorso ad una perizia inutilmente sollecitata anche in appello. I ricorrenti richiamano, in particolare, con riguardo alla vicenda (OMISSIS), le considerazioni difensive e lo stesso tenore della testimonianza della persona offesa circa la genesi del rapporto relativo all'acquisto di pietra ricomposta che lo stesso (OMISSIS) aveva poi ricollocato in altro immobile; sottolineano, in ogni caso, la sommarieta' della motivazione, che ha ritenuto acquisita la prova della usurarieta' del rapporto in considerazione di altri importi tuttavia non precisati ed indicati in maniera adeguata. Analogamente sottolineano, con riferimento ai fatti che avrebbero visto come vittime (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che la sentenza ha sottovalutato le deposizioni dei direttori di banca (OMISSIS) e (OMISSIS), il cui contenuto era stato nettamente difforme rispetto alla versione delle persone offese con riguardo alla condizione delle societa' (OMISSIS) ed (OMISSIS), in ordine alle quali, peraltro, avevano anche riferito i testi della Guardia di Finanza, evidenziando l'esistenza di un giro di false fatturazioni ma anche di prelievi in contanti per quasi tre milioni di Euro tra il 2004 ed il 2007 e di oltre trecentomila Euro tra il 2006 ed il 2008; aggiungono che era percio' ragionevole ritenere che le stesse persone offese avessero fatto lievitare gli importi corrisposti a titolo di prestito proprio al fine di coprire altre operazioni illecite; rilevano che la sentenza di secondo grado ha colto l'esistenza di rapporti anche amicali caratterizzati da piccoli prestiti ed ha percio' modificato l'oggetto dell'accertamento sulla mancata autorizzazione dell'imputato ad esercitare il credito laddove l'imputazione avrebbe reso necessario l'accertamento del superamento del tasso soglia alla luce del tempo di erogazione del denaro e della sua restituzione considerando anche i pagamenti parziali intervenuti medio tempore; 2.1.2 violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli articoli 133 e 69 c.p., articolo 125 c.p.p. La sentenza impugnata sarebbe rimasta del tutto silente in ordine alla richiesta difensiva di revisione del giudizio di comparazione tra circostanze di opposto segno in favore di un esito finale di prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti. 2.2 (OMISSIS) e (OMISSIS) con ulteriore ricorso a firma dell'Avv. Alfredo Gaito lamentano: 2.2.1 erronea applicazione della legge penale, violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla disposta confisca. Richiamata la sentenza di primo grado quanto alla confisca operata per equivalente ex articolo 644 c.p., comma 6, e per sproporzione Decreto Legge n. 306 del 1992, ex articolo 12-sexies convertito dalla L. n. 356 del 1992 (ora articolo 240-bis c.p.), rilevano che la difesa, con l'atto di appello, aveva sollevato una serie di questioni e di richieste anche istruttorie, segnalando come la Corte di appello abbia confermato la misura ablatoria anche con riferimento alla confisca "allargata" senza fare alcun riferimento ai suoi presupposti fattuali e normativi; evidenziano la contraddittorieta' della sentenza impugnata laddove, per un verso, sostiene che l'ammontare della confisca non e' contestato e, per altro verso, rileva invece che e' contestato l'ammontare degli interessi percepiti; ribadisce come la sentenza di appello si sia limitata a richiamare quella di primo grado senza nemmeno far riferimento alla confisca "allargata" ed alle censure difensive che erano state articolate con riguardo alla prova della legittima provenienza dei beni immobili attinti dal sequestro; ricordano, infine, quali siano i presupposti da verificare per poter procedere alla confisca "per sproporzione". 3. La difesa degli imputati, nelle more, ha trasmesso delle note integrative rispetto al ricorso articolato in punto di confisca, segnalando come, con l'atto di appello, fosse stata censurata la decisione del primo giudice che aveva disposto la misura patrimoniale per ipotesi ulteriori, rispetto a quella di cui all'articolo 644 c.p., comma 6, senza dar conto dei relativi e differenti presupposti; osserva, in particolare, che l'unico riferimento alla confisca "allargata" e' rinvenibile nel provvedimento di sequestro dove, tuttavia, le due ipotesi di confisca (quella ex articolo 644 c.p., comma 6, e quella di cui al Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12-sexies), erano state "confuse" in un provvedimento ibrido; aggiunge che l'unica quantificazione operata nel provvedimento di sequestro riguarda la somma di Euro 298.950,00 che si assume corrispondente agli interessi illecitamente incamerati a seguito dei rapporti usurari sostenendosi, tuttavia, nel provvedimento di sequestro, la "primarieta'" del sequestro funzionale alla confisca "allargata" di cui all'articolo 240-bis c.p.; segnala che la sentenza di primo grado aveva ricondotto la misura ablativa all'ipotesi di cui all'articolo 644 c.p., comma 6, che aveva avuto riguardo all'entita' del profitto sopra indicata ma, nel contempo, aveva individuato, quale oggetto della misura, l'immobile sub 1) di valore non inferiore ad Euro 500.000; richiama, percio', l'atto di appello, che aveva invitato la Corte territoriale ad effettuare un accertamento sull'effettiva entita' del profitto anche, semmai, mediante l'espletamento di una perizia contabile, richiesta elusa sul rilievo del carattere obbligatorio della confisca ex articolo 644 c.p., ed in base ad una motivazione sostanzialmente inesistente in ordine al "quantum" della confisca usuraria ma, nel contempo, graficamente inesistente quanto alla confisca "allargata", di cui sottolinea i tratti distintivi rispetto alla prima, con i correlativi oneri motivazionali rispetto alle allegazioni difensive che erano state puntualmente formulate con l'atto di appello ma sulle quali nulla aveva argomentato la sentenza impugnata. 4. L Sostituto Procuratore generale ha trasmesso la requisitoria scritta ai sensi del DL n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, concludendo per l'inammissibilita' dei ricorsi: quanto ai ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) a firma dell'Avv. Sinatra, si rileva che il primo motivo, formulato in termini di vizio di motivazione e travisamento della prova, si risolve, in realta', in considerazioni circa la necessita' di un approfondimento dei rapporti tra l'imputato e le persone offese al fine di ricostruire i termini delle pattuizioni economiche e verificarne la effettiva natura usuraria, tema su cui la Corte di appello ha, tuttavia, fornito una risposta a suo avviso congrua ed immune da profili di illogicita'; rileva quindi l'inammissibilita' del motivo in punto di trattamento sanzionatorio; quanto, poi, al ricorso a firma dell'Avv. Alfredo Gaito, si segnala che trattasi, nel caso di specie, di confisca per equivalente avente ad oggetto il profitto del reato di usura, la cui esatta quantificazione attiene al merito della vicenda, valendo percio' le considerazioni relative all'altro atto di impugnazione; 4.1. la difesa degli imputati ha trasmesso una ulteriore memoria a firma dell'Avv. Alfredo Gaito che, prendendo atto delle conclusioni del Sostituto Procuratore generale, ha richiamato, invece, le note illustrative depositate in data successiva alla loro redazione, nelle quali si era ribadito come la sentenza impugnata avesse disposto la confisca in termini autoreferenziali ed in forza di norme diverse da quelle che avevano portato al sequestro cui pure ha fatto riferimento "per relationem"; in particolare, si ribadisce che la confisca e' stata disposta ai sensi dell' articolo 644, comma 6, e articolo 648-quater c.p., senza una specifica quantificazione dell'importo e con riguardo a beni anche appartenenti a terzi rispetto, ai quali non sarebbe stato assolto l'onere di giustificarne la legittima provenienza; evidenzia che il Sostituto Procuratore generale non ha tenuto conto del carattere "ancipite" della confisca in tal modo disposta, ed aggiunge che nessuna delle due sentenze di merito ha potuto quantificare il profitto del reato; sottolinea, a tal proposito, che non era nemmeno praticabile un generico riferimento alla misura cautelare che, peraltro, era stata disposta in forza di capi di imputazione diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali e' intervenuta la condanna, con conseguente violazione non soltanto del principio di proporzionalita' ma anche di quello di legalita' della pena. CONSIDERATO IN DIRITTO I ricorsi sono fondati in ordine al trattamento sanzionatorio ed alla confisca; sono inammissibili nel resto, in quanto proposti per motivi in parte non consentiti, in parte manifestamente infondati. 1. (OMISSIS) e (OMISSIS) erano stati tratti a giudizio e riconosciuti responsabii, nei due gradi di merito, ed all'esito di un conforme apprezzamento delle medesime emergenze istruttorie, dei fatti di usura rispettivamente loro ascritti e, in particolare: - (OMISSIS), in primo luogo, dei fatti di cui al capo 1), ovvero dei prestiti erogati a (OMISSIS), amministratore unico della (OMISSIS), per complessivi Euro 26.800 con il ricorso al sistema dello "sconto assegni" e la applicazione di interessi pari o superiori al 10% mensile; inoltre, dei fatti di cui al capo 2), ovvero dei prestiti del pari erogati per complessivi 197.000,00 a (OMISSIS), socio accomandatario della (OMISSIS) s.a.s., anche in tal caso in parte con il sistema del "cambio assegni" ovvero con finanziamenti ad interessi del 5% o del 10% mensili; - entrambi, (OMISSIS) e (OMISSIS), dei fatti di cui al capo 3), pure analiticamente ivi descritti, con la erogazione di prestiti sempre superiori al "tasso soglia". 1.1. Le vicende erano state ricostruite dal primo giudice essenzialmente valorizzano() le deposizioni delle persone offese oltre che degli operanti e degli stessi testi addotti dalla difesa. 1.2. Con gli atti di appello, le difese avevano evidenziato una serie di elementi a loro avviso non valorizzati dal primo giudice e tali da incidere sulla ricostruzione delle singole vicende. 1.2.1. Cosi', per quanto riguarda la posizione di (OMISSIS) ed in relazione al capo 1), avevano lamentato la mancata considerazione delle dichiarazioni reese dall'imputato circa l'acquisto di pietra ricomposta, poi non utilizzata, ma per cui aveva anticipato al (OMISSIS) la somma di Euro 8.600. 1.2.2. Quanto alla vicenda " (OMISSIS)", avevano lamentato la "progressione accusatoria" della persona offesa che, partendo dalla esposizione di prestiti per somme contenute, aveva poi, nelle dichiarazioni via via rese, fornito delle versioni diverse con la indicazione di transazioni finanziarie sempre piu' consistenti. 1.2.3. Da ultimo, per quanto riguarda la vicenda di cui al capo 3), avevano lamentato le incongruenze a loro dire ravvisabili nelle dichiarazioni di (OMISSIS). 1.2.4. Le difese avevano, inoltre, sottolineato come le persone offese avessero avuto negli anni, ed avevano effettivamente attinto dalle casse sociali, delle cospicue disponibilita' di denaro, risultando percio' illogico il ricorso a prestiti di natura usuraria che, invero, ben potevano rappresentare una "copertura" ai reati in materia finanziaria e tributaria loro ascritti. 2. Cio' premesso, ritiene il collegio che la Corte di appello abbia fornito una risposta complessivamente congrua ed esaustiva alle censure articolate in punto di responsabilita' dalle difese che, nei ricorsi, hanno in parte insistito nelle doglianze gia' proposte con gli atti di appello e, comunque, hanno finito per sollecitare una nuova valutazione delle emergenze istruttorie certamente non consentita in questa sede. 2.1 Non e' inutile, infatti, ribadire che il sindacato di legittimita' sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere mirato a verificare che quest'ultima (Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, P.M. in proc. Longo, Rv. 251516; Sez. 6, n. 10951 del 15/03/2006, Casula, Rv. 233708; Sez. 2, n. 36119 del 04/07/2017, Agati, Rv. 270801): a) sia "effettiva", ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia "manifestamente illogica", perche' sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente "contraddittoria", ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilita' logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico. Non sono percio' deducibili, in sede di legittimita', censure relative alla motivazione diverse da quelle che abbiano ad oggetto la sua mancanza, la sua manifesta illogicita', la sua contraddittorieta' (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; sono dunque inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasivita', l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualita', la stessa illogicita' quando non manifesta, cosi' come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilita', della credibilita', dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (cfr., in tal senso, Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747). Da ultimo, e per completezza, va anche considerato che l'emersione di una criticita' su una delle molteplici valutazioni contenute nella sentenza impugnata, laddove le restanti offrano ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo, non puo' comportare l'annullamento della decisione per vizio di motivazione, potendo lo stesso essere rilevante solo quando, per effetto di tale critica, all'esito di una verifica sulla completezza e sulla globalita' del giudizio operato in sede di merito, risulti disarticolato uno degli essenziali nuclei di fatto che sorreggono l'impianto della decisione (cfr. Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M. ed altri. Rv. 271227). 2.2 Nel pieno rispetto di tali principi, la Corte di appello ha spiegato che le difese non erano riuscite a prospettare una convincente ricostruzione alternativa rispetto a quella operata dal giudice di primo grado sulla scorta, peraltro, di una pluralita' di fonti di prova solo in parte rappresentate dalle dichiarazioni delle persone offese che, tuttavia, ha vagliato con particolare attenzione alla emergenza di riscontri obiettivi e di diversa origine. Cos'i, in particolare, la Corte nissena ha ritenuto la complessiva attendibilita' delle dichiarazioni del (OMISSIS), sia per la loro precisione sia, anche, per essere state riscontrate dall'attivita' investigativa che si era sviluppata, vuoi in intercettazioni telefoniche, vuoi in appostamenti e pedinamenti ed, infine, nell'acquisizione di documentazione: esse avevano consentito di verificare e confermare la veridicita' del racconto della persona offesa con riguardo agli incontri ed agli scambi di assegni e denaro contante. I giudici di merito hanno spiegato che le indagini sui conti correnti avevano permesso di riscontrare il narrato del (OMISSIS). mentre lo stesso linguaggio criptico utilizzato da (OMISSIS) nelle conversazioni intercettate era stato giudicato incompatibile con rapporti finanziari del tutto "regolari"; hanno aggiunto che l'imputato era stato trovato in possesso di una serie di assegni e denaro contante ed aveva reso dichiarazioni parzialmente confessorie sulla natura dei rapporti intrattenuti per circa un anno e mezzo con il (OMISSIS). La Corte di appello non ha nemmeno trascurato il rilievo difensivo circa l'avvenuto acquisto di pietra ricomposta in (OMISSIS), sottolineando come di tale vicenda non vi sia traccia alcuna o prova alcuna in atti, ed ha giudicato affidabili le dichiarazioni di (OMISSIS), in quanto riscontrate dal contenuto delle conversazioni intercettate dagli investigatori, tali da integrare una fonte di prova diretta soprattutto in mancanza di spiegazioni alternative. Ed anche in tal caso i giudici di merito hanno preso in esame le considerazioni difensive concernenti le diverse e non omogenee versioni della persona offesa sostenendo che "poco conta il fatto che nel corso delle varie escussione di (OMISSIS) questi abbia via via indicato cifre in parte diverse per computare l'ammontare dei prestiti, rimanendo comunque dimostrato dalla documentazione bancaria la sussistenza del denunciato rapporto usurario" (cfr., pag. 12 deda sentenza in verifica). Analogamente, per quanto concerne la vicenda di cui al capo 3), in rifermento alla quale la Corte di appello ha evocato il contenuto delle intercettazioni telefoniche quale prova diretta e riscontro della ricostruzione fornita dalle persone offese, si e' evidenziato che tali conversazioni finiscono non soltanto per dimostrare i rapporti intercorsi tra costoro e l'imputato ma, anche, per alludere all'intermediazione fornita dal (OMISSIS), che si rapportava direttamente con (OMISSIS) e che, per tale ragione, aveva fornito una versione che non poteva essere giudicata del tutto "neutrale", risultando, al contrario, unitamente a quella dei (OMISSIS), decisamente vaga nel descrivere l'esposizione debitoria della (OMISSIS) e della (OMISSIS). I giudici nisseni non hanno omesso di vagliare le deduzioni difensive circa il cospicuo "circuito" di fatture che era stato accertato dalla Guardia di Finanza a carico della (OMISSIS) con riferimento al 2007, i rapporti tra questa societa' e la (OMISSIS) ed, in generale, il disordine contabile che caratterizzava la gestione delle due societa', collegate tra loro ed entrambe riconducibili a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed ai loro familiari, con particolare riferimento agli ingenti prelievi di denaro contante intervenuti tra il 2004 ed il 2007, tali da scontrarsi con la versione fornita dalle medesime persone offese. La Corte di appello ha valutato la tesi difensiva secondo cui, in definitiva, le denunce erano in realta' finalizzate a nascondere una gestione "allegra" delle due societa'; in proposito, ha, tuttavia, fatto presente, in primo luogo, l'irrilevanza della "origine" o della "causa" dello stato di bisogno delle persone offese (cfr., in tal senso, Sez. 2, n. 23880 del 06/07/2020, D'Aquino Michele, Rv. 279548 - 01, per la quale lo stato di bisogno in cui deve trovarsi la vittima affinche' sia integrata la circostanza aggravante di cui all'articolo 644 c.p., comma 5, n. 3, puo' essere di qualsiasi natura, specie e grado e puo' quindi derivare anche dall'aver contratto debiti per il vizio del gioco d'azzardo, non essendo richiesto dalla norma incriminatrice che il predetto stato presenti connotazioni che lo rendano socialmente meritevole; conf., Sez. 2, n. 709 del 01/10/2013, Mazzotta, Rv. 258072 - 01). Per altro verso, ha correttamente ricordato che la circostanza aggravante di cui all'articolo 644 c.p., comma 5, n. 4, e' configurabile per il solo fatto che la persona offesa eserciti una delle attivita' protette, evenienza sicuramente ricorrente nel caso che ci occupa, a nulla rilevando che il finanziamento corrisposto dietro la promessa o la dazione di interessi usurari non abbia alcuna attinenza con le suddette attivita' (cfr., Sez. 2, n. 31803 del 04/07/2018, Cannata' ed altri, Rv. 273242 - 01; Sez. 2, n. 25328 del 22/03/2011, Del Sordo, Rv. 250759 - 01). In punto di fatto, poi, la Corte di appello ha sottolineato che era stato in ogni caso;o stesso imputato ad aver riferito di essere intervenuto con prestiti erogati alle persone offese: ed ha aggiunto che egli, non essendo evidentemente autorizzato all'esercizio del credito, non poteva vantare rapporti di natura personale con costoro tali da giustificare la concessione di prestiti gratuiti o comunque erogati per mero spirito di liberalita'. Ha, infine, motivato sulla richiesta di perizia avanzata dalla difesa ai sensi dell'articolo 603 c.p.p. e, infine, sulla posizione di (OMISSIS) che aveva ricevuto danaro per conto del fratello nella consapevolezza del carattere illecito dei rapporti sottostanti, avendo valorizzato, a tal fine, le dichiarazioni rese sul punto da (OMISSIS) e dal (OMISSIS) e, quindi, la rilevanza concorsuale della condotta tenuta anche nella sola fase dell'incasso del denaro (cfr., sul punto, Sez. 2, n. 17157 del 09/03/2011, Rv. 250312 - 01). In definitiva, la Corte di appello ha motivato, in punto di responsabilita' degli odierni ricorrenti, dando rilievo e seguito alle deduzioni difensive che ha affrontato e respinto con motivazione ampia, congrua ed esaustiva e che non presta il fianco a rilievi suscettibili di essere spesi in sede di legittimita' in quanto fondata su considerazioni corrette in diritto ed immuni da profili di manifesta illogicita' o contraddittorieta'. 3. Con l'atto di appello (cfr., pag. 9), la difesa di (OMISSIS) aveva sollecitato un diverso giudizio di valenza tra le gia' riconosciute circostanze attenuanti generiche e le circostanze aggravanti concorrenti ed, in particolare, una valutazione di prevalenza delle prime sulle seconde in considerazione degli elementi ritenuti comunque significativi dalla stessa sentenza di primo grado. A sua volta la difesa di (OMISSIS) aveva sollecitato un giudizio di prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti concorrenti, anche in tal caso richiamando le considerazioni svolte dallo stesso Tribunale di Gela. Senonche', la Corte di appello, nel riepilogare i motivi di appello articolati nell'interesse degli imputati, ha fatto presente che la difesa di (OMISSIS) aveva affermato che "... il Tribunale avrebbe dovuto concedere le circostanze attenuanti generiche ex articolo 62bis c.p." (cfr., pag. 9 della sentenza impugnata) ed allo stesso modo (cfr., ivi, pag. 10) ha sintetizzato il motivo di appello che era stato articolato nell'interesse di (OMISSIS). E' evidente, percio', che la Corte di appello ha inteso i motivi di appello in termini del tutto errati rispetto a quanto era stato effettivamente devoluto ed, al contempo, non li ha comunque affrontati, omettendo qualsiasi motivazione sulla complessiva adeguatezza del trattamento sanzionatorio e limitandosi a ribadire la applicabilita', sotto tale profilo, ed a tutte le condotte per cui era intervenuta la condanna, della disciplina introdotta dalla L. n. 251 del 2005. La sentenza impugnata va, percio', annullata sul punto con rinvio ad altra Sezione della medesima Corte di appello di Caltanissetta per nuovo esame. 4. Sono inoltre fondati i motivi inerenti alla confisca, dedotti nell'interesse di (OMISSIS). 4.1 II Tribunale di Gela aveva trattato della confisca nel punto 4. della sentenza (pagg. 37-39) intitolato "la confisca ex articolo 644 c.p., comma 6 ": in quella sede i giudici di primo grado avevano richiamato le caratteristiche della "... confisca c.d. per equivalente prevista dall'articolo 644 c.p., ultimo comma,..." cui far ricorso nel caso sia impossibile attingere direttamente i beni che rappresentano il profitto o il prezzo del reato; con riferimento al "quantum", avevano percio' correttamente ricordato che "... esso e' specificamente commisurato ad un importo pari al valere degli interessi o degli altri vantaggi o compensi usurari e, quindi, al solo incremento netto patrimoniale ricavato dal soggetto attivo del reato..." (cfr., ivi, pag. 39). Del pari il Tribunale aveva precisato che "... per determinare l'incremento netto patrimoniale che configura lo specifico profitto della confisca per equivalente ex articolo 644 c.p., u.c., deve... aversi riguardo all'effettivo arricchimento patrimoniale acquisito, e non alla semplice esistenza di un credito per cosi' dire virtuale, in quanto non riscosso... con la conseguenza che lo specifico profitto in questione non puo' essere fatto coincidere con quanto soltanto pattuito per interessi, a prescindere dalla loro concreta corresponsione, ma va quantificato prendendo in considerazione la somma in contanti e gli importi recati nei titoli, se riscossi, oltre che la somma ricevuta in prestito, ove dagli atti non risulti altro" (cfr., ivi). Senonche', dopo aver posto queste corrette premesse ed aver sostenuto che nel caso di specie "... non si possono espungere tutte le somme ricevute in prestito, ne' quelle restituite a titolo di interessi e per sorte capitale...", si e' concluso che "... va disposta la confisca di quanto in sequestro - immobile oggetto di sequestro preventivo - e di ulteriori beni, denaro o altre utilita' di cui (OMISSIS) abbia la disponibilita', sino alla concorrenza degli importi oggetto di usura di cui ai capi 1) e 2); nonche' la confisca di beni, denaro o altre utilita', dei quali (OMISSIS) e (OMISSIS) abbiano la disponibilita', sino alla concorrenza degli importi oggetto di usura di cui al capo 3)" (cfr., ancora, ivi, pag. 39). 4.2 (OMISSIS) non aveva articolato motivi di appello sulla confisca. 4.3. Dal canto suo, invece, la difesa di (OMISSIS) aveva contestato la decisione resa sul punto dal Tribunale rilevando che, proprio per la natura della confisca, occorreva dimostrare che gli immobili attinti dal sequestro rappresentassero il profitto o il prezzo del reato di usura, ed aveva altresi' fatto presente di aver documentato, in primo grado, che essi erano stati invece acquistati con risorse del tutto lecite (cfr, pag. 10 dell'atto di appello nell'interesse di (OMISSIS)); aveva dunque osservato come non potesse ritenersi legittima "... l'apprensione dell'intero compendio immobiliare (anche quello dei genitori) senza l'esatta e concreta individuazione del prodotto, profitto o prezzo del reato trattandosi di una confisca che, comunque, presuppone la qualificazione o del particolare nesso di strumentalita' tra res e reato o della effettiva natura di provento/profitto" (cfr., ivi). 4.4 La Corte di appello ha affrontato la censura e l'ha respinta con motivazione incongrua e disallineata rispetto non soltanto alla censura difensiva ma, a ben guardare, alla stessa pronuncia impugnata; ha infatti sostenuto che "... la difesa non censura l'ammontare dei valori da confiscare ma il fatto che non sia stato individuato il nesso di strumentalita' tra i beni da confiscare ed il reato commesso o la loro effettiva natura di provento o profitto di quei reati" (cfr., pag. 16). In definitiva, secondo i giudici nisseni, la natura della confisca per equivalente non imporrebbe una indagine sul nesso di pertinenzialita' o di derivazione dal reato dei beni che siano stati attinti dalla misura di sicurezza patrinrioniaie. Si tratta di una affermazione condivisibile in quanto in linea con la giurisprudenza di questa Corte (cfr., in tal senso, Sez. 3, n. 46709 del 28/03/2018, Carriero Martino, Rv. 274561 - 01; Sez. 1, n. 28999 del 01/04/2010, Giordano, Rv. 248474 - 01). E, tuttavia, non v'e' dubbio che la difesa avesse contestato anche la "misura" della confisca laddove, come si e' visto, aveva ritenuto illegittima e non consentita "... l'apprensione dell'intero compendio immobiliare (anche quello dei genitori) senza l'esatta e concreta individuazione del prodotto, profitto o prezzo del reato..." (cfr., pag. 10 dell'atto di appello). 4.5 La Corte di appello ha respinto la censura difensiva ed ha confermato la decisione del Tribunale che, tuttavia, aveva disposto la "confisca di quanto in sequestro e di ulteriori beni, denaro o altre utilita'... sino alla concorrenza degli importi oggetto di usura..." (cfr., dal dispositivo, a pag. 43); in sostanza, quindi, la confisca disposta all'esito del giudizio di merito e' stata oggettivamente delineata con riferimento al contenuto del provvedimento di sequestro preventivo adottato dal GIP (unitamente alla misura personale nei confronti di (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)1Ingegnoso Roberto (OMISSIS)2Ingegnoso Salvatore (OMISSIS) (OMISSIS)12Ingegnoso (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)1Ingegnoso Roberto (OMISSIS)2Ingegnoso Salvatore (OMISSIS)1Ingegnoso Roberto (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)1Ingegnoso Roberto (OMISSIS)2Ingegnoso Salvatore (OMISSIS)1Ingegnoso Roberto (OMISSIS) (OMISSIS)1Ingegnoso Roberto (OMISSIS)2Ingegnoso Salvatore (OMISSIS) (OMISSIS)1Ingegnoso Roberto(OMISSIS)2Ingegnoso Salvatore (OMISSIS)3Caci Gaetano Massimiliano (OMISSIS)4Riggio Francesco (OMISSIS)5Mondello Gianluca (OMISSIS)6Salerno Giacomo(OMISSIS)7Salerno Nunzio (OMISSIS)

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MESSINI D'AGOSTINI Piero - Presidente Dott. BORSELLINO Maria D. - Consigliere Dott. PELLEGRINO A. - rel. Consigliere Dott. CIANFROCCA Pierluig - Consigliere Dott. COSCIONI Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti rispettivamente da: 1. (OMISSIS), nato a (OMISSIS) rappresentato ed assistito dall'avv. Bianco Angelo, di fiducia; 2. (OMISSIS), nato a (OMISSIS), rappresentato ed assistito dall'avv. Ricciulli Giuseppe, di fiducia; 3. (OMISSIS), nato a (OMISSIS), rappresentato ed assistito dall'avv. Sorbilli Antonio, di fiducia; avverso la sentenza n. 8261/20 in data 14/07/2021 della Corte di appello di Napoli, terza sezione penale; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; preso atto che i ricorrenti sono stati ammessi alla richiesta trattazione orale in presenza; udita la relazione svolta dal Consigliere PELLEGRINO Andrea; udita la requisitoria con la quale il Sostituto procuratore generale, SENATORE Vincenzo, riportandosi alla memoria con conclusioni del 06/12/2022, ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso del (OMISSIS) e la declaratoria di inammissibilita' dei ricorsi di (OMISSIS) ed (OMISSIS); udita la discussione della difesa dei ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS), avv.ti Bianco Angelo e Ricciulli Giuseppe, che si sono riportati ai rispettivi motivi di ricorso chiedendone l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza in data 14/07/2021, la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della pronuncia resa in primo grado dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli in data 18/06/2019, appellata da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), rideterminava la pena da infliggersi a quest'ultimo, riconosciuta l'attenuante di cui all'articolo 648-bis c.p., comma 3, in anni due, mesi cinque, giorni dieci di reclusione ed Euro 5.800 di multa, con revoca dell'interdizione dai pubblici uffici irrogata all' (OMISSIS) e all' (OMISSIS) e conferma nel resto della pronuncia di primo grado. 2. Avverso la predetta sentenza, nell'interesse di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), sono stati proposti distinti ricorsi per cassazione, per i motivi che di seguito vengono enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p.. 3. Ricorso di (OMISSIS). L'imputato e' stato condannato per il delitto di riciclaggio (capo 24) consistito nell'aver concorso, nell'espletamento delle funzioni di cassiere presso la (OMISSIS), filiale di Nola, alla sostituzione delle utilita' provenienti dalla commissione di falsi sinistri, attraverso operazioni inerenti al versamento degli assegni di indennizzo, intestati ai soggetti asseritamente danneggiati, direttamente sul conto del coimputato avv. (OMISSIS) o il versamento sul medesimo conto di somme provenienti da libretti di deposito all'uopo irregolarmente accesi. Il ricorrente lamenta quanto segue. Primo motivo: violazione di legge in relazione all'articolo 11 c.p.p., commi 1 e 3 e articolo 12 c.p.p., lettera a) e c). Il presente procedimento andava trasmesso al pubblico ministero presso il tribunale di Roma, attesa l'esistenza di un legame finalistico tra il reato di riciclaggio contestato e il delitto associativo di competenza dell'autorita' giudiziaria romana. La riconosciuta impossibilita' di ravvisare un unitario disegno criminoso tra l'associazione ed i reati fine, appare del tutto non condivisibile, atteso che lo stesso capo d'imputazione contesta all' (OMISSIS) proprio l'unitario disegno criminoso con il delitto associativo, cosi' come non si condivide la richiamata condizione che il giudice verifichi puntualmente che i reati fine siano stati programmati al momento in cui il partecipe si e' determinato a fare ingresso nel sodalizio, che rappresenta un tema mai posto in discussione perche' obliterato, sin dalla sua genesi, come "condotta perdurante" nei capi di imputazione addebitati al prevenuto. Secondo motivo: mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione in relazione alle precise richieste difensive di cui all'atto di gravame, e segnatamente: -sull'assenza dell'elemento psicologico del dolo; - sull'assenza del reato presupposto, quantomeno sulla impossibile previsione della provenienza delittuosa degli assegni circolari; - sull'errato addebito al prevenuto di due operazioni bancarie, quantomeno sotto l'aspetto dell'esistenza di una prassi bancaria che consentiva le operazioni bancarie contestate; - sulla riscontrata riconducibilita' ad altri impiegati bancari di alcuni segmenti della condotta circa l'apertura dei libretti di deposito a risparmio, nonche' sull'esistenza di una prassi in tal senso consentita ed incentivata dall'istituto bancario; -sulla mancata acquisizione o addirittura inesistenza del libretto di deposito a risparmio intestato a tale (OMISSIS); - sul versamento degli assegni non trasferibili su conto corrente dell'avv. (OMISSIS), previa autorizzazione dell'intestatario dell'assegno, quantomeno sotto l'aspetto dell'esistenza di una prassi consentita in tal senso dall'istituto bancario. Terzo motivo: mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione in ordine alla misura eccessiva del trattamento sanzionatorio ed al conseguente diniego di riconoscimento della sospensione condizionale della pena. Si e' in tal senso omesso di considerare l'assenza di vantaggio economico per l'imputato, la sua incensuratezza, il suo ottimo comportamento processuale, la prognosi favorevole tenuto conto delle sue dimissioni dall'istituto bancario sin dal 14/06/2011. 4. Ricorso di (OMISSIS). L'imputato e' stato condannato alla pena di anni tre, mesi sei di reclusione ed Euro 16.000 di multa per i delitti di usura continuata di cui ai capi 19) e 21). Il ricorrente lamenta quanto segue. Primo motivo: mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione. Si e' in presenza di motivazione di fatto apparente o comunque per relationem, ammissibile solo ove non si esaurisca in una condivisione passiva del percorso logico ed argomentativo tracciato da altro giudice attraverso il ricorso a generiche formule di stile. Secondo motivo: vizio di motivazione per aver omesso l'esame dei motivi di impugnazione inerenti alle doglianze mosse circa la valutazione dell'esame del maresciallo (OMISSIS), arricchita da valutazioni soggettive e circostanze che sarebbero dovute rimanere neutre, come ad esempio il calcolo dei potenziali interessi. Terzo motivo: erronea applicazione della legge penale e relativo vizio di motivazione in relazione all'articolo 192 c.p.p. e articolo 644 c.p. (capi 21 e 24). La sentenza di secondo grado ha omesso di rispondere ai dubbi posti con i motivi di appello in ordine alla riconosciuta sostanziale dichiarazione di inattendibilita' delle persone offese, (OMISSIS) e (OMISSIS): ci si duole, in pratica, del giudizio effettuato da entrambe le sentenze di merito che hanno fatto propria l'ipotesi, senza indicare pero' la sussistenza di specifici e riconoscibili elementi, che i testi abbiano reso scientemente il falso, ponendo detta circostanza come base del proprio convincimento. Quarto motivo: erronea applicazione dell'articolo 62-bis c.p. con riferimento all'articolo 133 c.p.. I giudici di merito non hanno offerto le ragioni del corretto esercizio del loro potere discrezionale, essendo stata omessa adeguata motivazione sull'esistenza di circostanze atte a giustificare una sensibile riduzione della sanzione penale, avuto riguardo al comportamento tenuto dall'imputato. 5. Ricorso di (OMISSIS). L'imputato e' stato ritenuto responsabile del reato di cui al capo 10 (articoli 81 cpv., 453 e 459 c.p.) e condannato alla pena di anni due, mesi cinque, giorni dieci di reclusione ed Euro 1.400 di multa. Il ricorrente lamenta quanto segue. Primo motivo: violazione di legge e vizio di motivazione anche per travisamento delle emergenze processuali avuto riguardo agli elementi di prova ed al contenuto delle intercettazioni telefoniche e alla mancata risposta alle doglianze difensive. L'approccio argomentativo dell'opzione decisoria confermativa si e' tradotto in una sostanziale "rinunzia alla motivazione". Secondo motivo: violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio ed alla denegata concessione delle circostanze attenuanti generiche. In relazione al primo, si e' in presenza di motivazione meramente apparente; in relazione alla seconda, si censura un evidente travisamento delle emergenze processuali in fatto di responsabilita' penale e carattere della condotta, ove evocata solo genericamente e senza alcun riferimento alle ragioni per le quali la specifica condotta in concreto rivesta tale carattere. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi sono tutti inammissibili. 2. Ricorso di (OMISSIS). 2.1. Aspecifico e comunque manifestamente infondato e' il primo motivo. Il ricorrente rileva la violazione di norme processuali con riferimento alla mancata declaratoria di incompetenza territoriale ex articolo 11 c.p.p. in conseguenza della ritenuta connessione fra il delitto di riciclaggio contestato ed il reato associativo per il quale - in altro procedimento - lo spostamento era stato disposto per il coinvolgimento di giudici di pace in servizio nel distretto di Napoli. La sentenza impugnata da' atto del fatto che, pur emergendo contatti con alcuni degli associati, le condotte dell' (OMISSIS) lo pongono in relazione unicamente all'avv. (OMISSIS), uno dei legali coinvolti nell'attivita' truffaldina, nell'interesse del quale convergono le operazioni realizzate. In particolare, pur se viene riconosciuto che l' (OMISSIS) "sia consapevolmente coinvolto in plurime operazioni bancarie irregolari per favorire la definitiva apprensione delle liquidazioni erogate dalle compagnie assicuratrici", non emergono elementi per ritenere che sussista la connessione finalistica di cui all'articolo 12 c.p.p., lettera c) tra i reati commessi dal prevenuto ed il delitto associativo, in quanto le attivita' criminose dell' (OMISSIS) "non sono commesse per attuare il delitto associativo, in quanto lo stesso deriva dall'accordo degli associati ed e' gia' di per se' perfetto ed operante, con o senza la consumazione dei delitti in parola". Ed ancora: "... non potendosi attribuire al predetto una iniziale adesione volitiva alla realizzazione dell'articolato programma criminoso, che si snodava in plurime condotte delittuose... certamente il suo apporto prescinde dalla realizzazione se non dalla conoscenza del complessivo e risalente programma, in cui, a tutto voler concedere, si sarebbe inserito in un momento di gran lunga successivo...". Del resto, come riconosciuto dalla giurisprudenza indicata dagli stessi giudici della sentenza impugnata, tale rapporto di connessione non puo' ravvisarsi in linea di principio tra i reati riconducibili al programma di azione criminale di un'associazione per delinquere ed il delitto associativo. Ed invero, da un lato sarebbe errato sostenere che i singoli episodi in cui il programma si manifesta sono stati commessi per eseguire il reato associativo, perche' questo, a seguito dell'accordo degli associati, e' gia' di per se' perfetto ed operante, con o senza la consumazione dei delitti in parola; e, dall'altro, il reato associativo sorge per attuare un programma criminoso aperto e globale e non un singolo o singoli reati, sicche' l'accordo trascende i suoi momenti esecutivi e non puo' dirsi immediatamente diretto ad eseguire proprio quel reato o quei reati nella loro storicita' (Sez. 6, n. 2526 del 01/07/1999, Novella, Rv. 214928). E detta conclusione e' ancora piu' auto-evidente nel comportamento dell' (OMISSIS), le cui condotte riciclatorie si sono concentrate in pochi mesi del 2010. Infine e' - ancora una volta - la stessa sentenza impugnata che ricorda che, in tema di competenza determinata dall'ipotesi di connessione oggettiva fondata sull'astratta configurabilita' del vincolo della continuazione fra le analoghe, ma distinte fattispecie di reato ascritte ai diversi imputati, l'identita' del disegno criminoso perseguito e' idonea a determinare lo spostamento della competenza per connessione, sia per materia, sia per territorio, solo se l'episodio o gli episodi in continuazione riguardino lo stesso o - se sono piu' di uno - gli stessi imputati, giacche' l'interesse di un imputato alla trattazione unitaria dei fatti in continuazione non puo' pregiudicare quello del coimputato in uno di quei fatti a non essere sottratto al giudice naturale secondo le regole ordinarie della competenza (Sez. 2, n. 57927 del 20/11/2018, Bianco, Rv. 275519; nello stesso senso, Sez. 2, 3889 del 22/12/2022, dep. 2023, Lanzara, non mass.). 2.2. Manifestamente infondato e' il secondo motivo. Il ricorrente lamenta il vizio di motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza del delitto di riciclaggio ed alla omessa valutazione di argomenti esposti nell'atto di appello. Va premesso come non rientri nei poteri del giudice di legittimita' quello di effettuare una rilettura degli elementi storico-fattuali posti a fondamento del motivato apprezzamento al riguardo svolto nell'impugnata decisione di merito, essendo il relativo sindacato circoscritto alla verifica dell'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari aspetti o segmenti del percorso motivazionale ivi tracciato: verifica il cui esito non puo' che dirsi positivamente raggiunto nel caso in esame. Fermo quanto precede, le sopra esposte doglianze difensive non sono idonee ad infirmare la ragionevolezza del complessivo risultato probatorio tratto dalla ricostruzione della vicenda operata nell'ultima decisione di merito, per la semplice ragione che esse tendono a (nuovamente) prospettare un'alternativa, e come tale non consentita nella presente sede, rivisitazione del fatto oggetto del correlativo tema d'accusa, ovvero ad invalidarne elementi di dettaglio o di contorno, lasciando inalterata la consistenza delle ragioni giustificative a sostegno della pronuncia di responsabilita'. In particolare, la Corte territoriale ha evidenziato come il ricorrente avesse reiteratamente posto in essere le operazioni in contestazione rispetto alle quali (v. pagg. 28-31 della sentenza impugnata) viene descritta la natura del tutto anomala ed in alcun modo giustificata, dandosi altresi' atto come dalle captate intercettazioni sia emerso un diretto e confidenziale contratto tra l' (OMISSIS) e vari esponenti dell'attivita' truffaldina e sia stata manifestata da parte del primo una disponibilita' che trascende in maniera significativa il rapporto lavorativo, cosi' profilandosi in termini del tutto ragionevole la sua consapevolezza rispetto alla provenienza delittuosa del denaro. 2.3.=", Manifestamente infondato e' il terzo motivo. Si censura il vizio di motivazione con riguardo al trattamento sanzionatorio (assenza di vantaggio personale, incensuratezza, ottimo comportamento processuale) la cui ingiustificata eccessivita' ha impedito l'accesso al beneficio della sospensione condizionale della pena. La Corte territoriale, nel rideterminare la pena, e' partita dal minimo edittale detentivo e da una misura prossima al minimo edittale per quella pecuniaria (il cui range e' compreso tra 1.032 e 15.493 Euro), valorizzando tutti i criteri di cui all'articolo 133 c.p. (nel dettaglio, la pena base e' stata determinata in anni quattro di reclusione ed Euro 2.250 di multa, si e' quindi proceduto ad una prima riduzione ad anni due, mesi otto di reclusione ed Euro 1.500 di multa ex articolo 62-bis c.p., ad una seconda riduzione ad anni uno, mesi dieci di reclusione ed Euro 1.200 di multa ex articolo 648-bis c.p., comma 3 e ad un aumento finale ex articolo 81 c.p. di complessivi mesi sette, giorni dieci di reclusione ed Euro 4.600 di multa per i ventisei episodi in continuazione, con determinazione finale pari, come si e' visto, ad anni due, mesi cinque, giorni dieci di reclusione ed Euro 5.800 di multa). La determinazione della pena e' del tutto congrua e la sua valutazione incensurabile in sede di legittimita'. Va, infine, rilevato come l'entita' complessiva della pena impedisce il riconoscimento della sospensione condizionale (Sez. 1, n. 39217 del 12/02/2014, Sforza, Rv. 260502, secondo cui, in tema di sospensione condizionale della pena, la misura massima della pena cui fa riferimento l'articolo 163 c.p. deve essere stabilita, nel caso di concorso di reati, con riguardo alla entita' complessiva della pena risultante dalla sentenza di condanna e non in relazione alla pena applicata per ciascun reato, dovendo le pene concorrenti essere considerate come pena unica per ogni effetto giuridico, salvo che la legge disponga altrimenti). 3. Ricorso di (OMISSIS). 3.1. Del tutto generico e' il primo motivo. Si censura il vizio di motivazione per aver la Corte territoriale operato un acritico rinvio alla sentenza di primo grado. Invero, tra i requisiti del ricorso per cassazione vi e' anche quello, sancito a pena di inammissibilita', della specificita' dei motivi: il ricorrente ha non soltanto l'onere di dedurre le censure su uno o piu' punti determinati della decisione impugnata, ma anche quello di indicare gli elementi che sono alla base delle sue lagnanze. Nel caso di specie, il motivo e' manifestamente infondato perche' privo dei requisiti prescritti dall'articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera c), in quanto, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata ampia e logicamente corretta, non indica gli elementi che sono alla base della censura formulata, non consentendo al giudice dell'impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato. Va, peraltro, evidenziato come la Corte territoriale abbia operato un legittimo riferimento alla sentenza di primo grado, rispetto alla quale, tuttavia, non ha prestato passiva adesione, avendo, al contrario, ampiamente motivato circa la validita' del ragionamento svolto in primo grado (Sez. 3, n. 37352 del 12/03/2019, Marano, Rv. 277161, secondo cui e' inammissibile il ricorso per cassazione con il quale si deduca l'illegittimita' della sentenza d'appello solo perche' motivata "per relationem " alla decisione di primo grado, senza indicare i punti dell'atto di appello non valutati dalla decisione impugnata). 3.2. Manifestamente infondato e' il secondo motivo. Si censura l'omessa valutazione di un'eccezione difensiva avente ad oggetto alcune valutazioni contenute nella deposizione resa dal maresciallo (OMISSIS). Rileva il Collegio come, con riguardo alla prova dichiarativa, non possa dirsi "specifica" la censura che contesti parti della testimonianza non rilevanti ne' rispetto al nucleo fondamentale dell'accusa, ne' con riguardo alla valutazione dell'attendibilita' intrinseca del dichiarante, ovvero della sua capacita' di reagire in modo coerente ed affidabile alle sollecitazioni dell'intervista giudiziale (Sez. 2, n. 19534 del 25/02/2020, Carrino, Rv. 279416). In ogni caso, il ricorrente non ha in alcun modo dimostrato di aver fatto tempestiva opposizione alle eventuali domande comportanti delle valutazioni soggettive (ovvero alla verbalizzazione di risposte aventi contenuti valutativi) ne' ha dimostrato la decisivita' del portato di quelle dichiarazioni (di cui, nemmeno e' stata fornita la prova della loro utilizzazione nella pretesa parte valutativa) rispetto al contenuto complessivo della deposizione. 3.3. Aspecifico e comunque manifestamente infondato e' il terzo motivo. Si censura il vizio della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dei contestati delitti di usura con riguardo alla ritenuta inattendibilita' delle persone offese che nel corso della deposizione avevano smentito di aver corrisposto interessi usurari. La Corte territoriale ha chiarito come la ricostruzione operata in ordine alle somme erogate ed agli interessi pattuiti risulti avallata da obiettiva ed indiscutibile documentazione acquisita, non essendo emersi elementi di qualsivoglia consistenza idonei ad inficiare la ricostruzione del rapporto economico intercorso tra le persone offese e l' (OMISSIS). Con riferimento alle dichiarazioni delle prime, la Corte territoriale, ne ha evidenziato la scarsa rilevanza riconoscendo come le persone offese fossero apparse "... chiaramente intenzionate anche in sede di indagini a dissimulare la reale natura della loro obbligazione, cio' che giustifica la scarsita' (ma non assenza) di contestazioni nel corso del loro esame. Ed infatti, il procedimento non nasce da denunzie sporte dai predetti (ndr., le persone offese) bensi' da quella di un diverso soggetto, (OMISSIS), relativa ad altro credito vantato dall' (OMISSIS). Il comportamento processuale dei predetti e' percio' espressione di una totale sottomissione al creditore vuoi per motivi di timore personale (in epoca corrispondente alla denuncia del predetto (OMISSIS) ed ai fatti in esame, il prevenuto ha riportato condanna per detenzione di armi illegali da sparo e minaccia nonche' successivamente per il reato di cui alla L. n. 110 del 1975, articolo 4) vuoi per esigenze di natura economica, non potendo rinunciare a quella fonte di finanziamento. Certo e' che i due ammettono il rapporto debitorio per poi fornire descrizione delle modalita' del tutto in contrasto come pure si sottolinea nella sentenza di primo grado, con i titoli emessi per importi cadenzati, di gran lunga superiori al capitale desumibile, anche consegnati da parenti e parzialmente compilati, senza indicazione del beneficiario e/o della scadenza, chiaramente funzionali alla successiva dispersione sui vari titoli delle plurime attivita' lecite e soprattutto illecite dell' (OMISSIS)..." (v. pagg. 9 e 10 della sentenza impugnata). 3.4. Manifestamente infondato e' il quarto motivo. Si censura la violazione di legge in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche ed all'operato trattamento sanzionatorio. La Corte territoriale, in termini ampiamente consentiti dalla giurisprudenza (cfr., Sez. 6, n. 45623 del 23/10/2013, Testa, Rv. 257425; Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015, Rechichi, Rv. 264378; Sez. 3, n. 17054 del 13/12/2018, dep. 2019, M., Rv. 275904) ha reso motivazione unitaria, basata sui medesimi indici negativi di valutazione, per respingere la richiesta di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e confermare il trattamento sanzionatorio. In tal senso, si legge in sentenza: "... quanto al comportamento processuale, l' (OMISSIS) si e' difeso esponendo argomenti che, alla luce di quanto evidenziato, appaiono falsi ed addirittura imprudenti nella loro illogicita' e nell'evidente finalita' di tacere e minimizzare l'entita' delle proprie attivita'... fornendo sommaria quanto inverosimile giustificazione in ordine al possesso di numerosi assegni e titolarita' di rapporti creditizi. Non sembra dunque che tale atteggiamento costituisca una peculiare connotazione positiva in grado di incidere sull'entita' della sanzione. La pena e' stata determinata nel minimo ed aumentata per la continuazione in misura certamente contenuta, in relazione ai fatti ed alla personalita' dell'imputato, quale emerge dagli elementi sin qui esaminati e dalla condotta antecedente e successiva ai fatti, non essendo percio' suscettibile di riduzione". 3.4.1. La mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, nella fattispecie, e' giustificata da motivazione esente da manifesta illogicita', circostanza che rende la statuizione in parola insindacabile in sede di legittimita' (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Caridi, Rv. 242419), anche considerato il principio affermato da questa Suprema Corte secondo cui non e' necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e' sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (cfr., Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244). In tal senso, la Corte territoriale ha sostanzialmente valorizzato, come elemento decisivo e, di per se', ampiamente sufficiente a sostegno del proprio decisum, l'assenza di ragioni giustificatrici per il riconoscimento dell'ulteriore beneficio (da ultimo, Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, Guarnieri, Rv. 283489, secondo cui il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche puo' essere legittimamente motivato dal giudice con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell'articolo 62-bis, disposta con il Decreto Legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 luglio 2008, n. 125). 3.4.2. Infine, la medesima giurisprudenza di legittimita' riconosce come la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientri nella discrezionalita' del giudice di merito, che la esercita, cosi' come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 c.p.; ne discende che e' inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita' della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142), cio' che - nel caso di specie - non ricorre. 4. Ricorso di (OMISSIS). 4.1. Aspecifico e comunque manifestamente infondato e' il primo motivo. Si censura l'assenza di motivazione ed il travisamento delle emergenze processuali in ordine alla ritenuta sussistenza della commissione da parte del ricorrente del contestato delitto di contraffazione dei bolli. Al cospetto di una doppia conforme motivazione dei giudici del merito del tutto congrua e priva di vizi di manifesta illogicita', come tale, insuscettibile di essere sottoposta al controllo di legittimita', i profili di doglianza articolati nel motivo, oltre a ripetere i vizi di manifesta infondatezza rilevati nel corso del giudizio di appello, si segnalano per la loro a-specificita', in quanto solo apparentemente si prestano a criticare la sentenza di secondo grado limitandosi invece a riproporre le stesse censure sollevate in precedenza e motivatamente disattese, e soprattutto tracimano nel merito, perche' sottopongono al giudice di legittimita' rilievi tipicamente fattuali risolti con adeguata e logica motivazione dai giudici del merito. 4.2. Manifestamente infondato e' il secondo motivo. Si censura il difetto di motivazione e la violazione di legge in relazione al trattamento sanzionatorio e la violazione di legge rispetto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. Ampiamente giustificato e' il decisum della Corte territoriale che ha riconosciuto come "del tutto generici appaiono i motivi relativi al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. L'appellante, pur richiamando alcuni dei parametri indicati dall'articolo 133 c.p., non allega alcun elemento specifico afferente le condizioni di vita del soggetto, che invero non risultano in alcun modo emerse nel corso del processo. Centrale deve dirsi altresi' il ruolo rivestito, essendo lo (OMISSIS) unitamente al (OMISSIS) il materiale esecutore delle alterazioni dei valori bollati o comunque il fornitore degli stessi ai legali, secondo modalita' abituali cio' che conferma il carattere ricorrente della condotta. La sanzione e' stata determinata nel minimo ed aumentata in misura davvero esigua (dieci giorni di reclusione) per ciascuna delle alterazioni riscontrate, pur emergendo ulteriori attivita' in cui era coinvolto il prevenuto". Pertanto, non possono che ribadirsi, anche nei confronti dello (OMISSIS), le valutazioni operate in via generale ai paragrafi 3.4.1. e 3.4.2. che precedono. 5. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell'articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI MILANO PRIMA SEZIONE CIVILE composta dai magistrati: - dr. Domenico Bonaretti - presidente est. - dr.ssa Serena Baccolini - consigliere - dr.ssa Rossella Milone - consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. r.g. 2291/2020, promossa in grado d'appello con atto di citazione notificato il 7.10.2020 e posta in deliberazione sulle conclusioni precisate dalle parti all'udienza dell'8.06.2022, TRA (...) S.R.L. (C.F. (...)), (...) (C.F. CF (...)), (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), tutti rappresentati e difesi dall'Avv. Em.Ca. (C.F. (...)), come da procura speciale alle liti in atti ed elettivamente domiciliati presso il di lei studio, in Milano, Via (...); APPELLANTI E (...) S.P.A. (già (...) S.p.A.) (C.F. (...)), rappresentata e difesa dall'Avv. Ma.Pe. (C.F. (...)), come da procura speciale alle liti in atti ed elettivamente domiciliata presso il di lui studio, in Milano, Via (...); (...) S.r.l. (C.F. (...)), quale cessionaria del credito azionato, e, per essa, (...) S.p.A. (C.F. (...)); pure rappresentata e difesa dall'Avv. Ma.Pe. (C.F. (...)), come da procura speciale alle liti in atti ed elettivamente domiciliata presso il di lui studio, in Milano, Via (...); APPELLATE OGGETTO: rapporti bancari, fideiussioni e mutuo SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con sentenza n. 5018 del 21.05.2020 (pubblicata il 12.08.2020), il Tribunale di Milano ha rigettato l'opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 21288/2016 emesso in data 11.8.2016, con il quale era stato intimato agli odierni appellanti il pagamento di Euro 30.049,87, oltre interessi e spese, in favore di (...) S.p.A. (successivamente incorporata in (...) S.p.A., a sua volta fusa per incorporazione in (...) S.p.A.), a titolo di: (a) quanto a Euro 15.219,75, saldo debitore del contratto di conto corrente n. (...) stipulato in data 21.02.2002 tra (...) e la Banca e garantito con apposite fideiussioni dai Sig.ri (...), (...) e (...) (quali soci della (...)) e (b) quanto a Euro 14.830,12, debito residuo del contratto di finanziamento n. (...), concluso tra le stesse parti e anch'esso corredato da apposite fideiussioni rilasciate dai medesimi garanti. L'opposizione era stata fondata dagli odierni appellanti su diversi motivi, tra i quali figuravano, tra l'altro: - l'inesistenza delle fideiussioni riferibili ai garanti, delle quali i sig.ri (...), (...) e (...) hanno allegato la mancata sottoscrizione e contestato la conformità delle copie prodotte in giudizio rispetto agli originali. Con riferimento alle fideiussioni, i soci ne hanno altresì eccepito la nullità ex art. 1939 c.c., per invalidità del rapporto sottostante, nonché l'estinzione ai sensi dell'art. 1957, per non essere stata proposta alcuna istanza entro i sei mesi dall'estinzione del contratto di affidamento; - la mancata prova del credito, per la produzione di un solo saldaconto, in luogo dell'estratto conto certificato ex art. 50 TUB; - l'indebita annotazione di interessi anatocistici dopo l'1.1.2014 e, in ogni caso, l'indebita annotazione di interessi anatocistici alla luce della sproporzione tra il tasso debitore e creditore convenzionale e per la mancata indicazione della capitalizzazione del tasso creditore, oltre che per la mancata specifica approvazione della clausola anatocistica; - la mancata pattuizione del tasso debitore intrafido nell'originario contratto di conto corrente e nel contratto di affidamento e l'annotazione di tassi diversi da quelli pattuiti; - l'annotazione di una c.m.s. mai pattuita e l'applicazione di interessi usurari. Con l'impugnata sentenza, il Tribunale ha integralmente rigettato l'opposizione e dichiarato definitivamente esecutivo il decreto ingiuntivo. Con specifico riferimento alle fideiussioni, il Tribunale, accertata tramite consulenza tecnica grafologica la certa riferibilità delle sottoscrizioni agli autori delle stesse, ha ritenuto manifestamente infondata l'eccezione di contraffazione. Anche l'eccezione di estinzione delle fideiussioni ex art. 1957 c.c. è stata valutata come manifestamente infondata, visto l'art. 6 del contratto di garanzia del 6.9.2002 (poi richiamato o riprodotto in tutte le successive fideiussioni in atti), con cui i garanti hanno espressamente dispensato il creditore dall'onere di agire nel termine semestrale di cui all'art. 1957 c.c.. Il Tribunale ha poi rigettato tutti gli ulteriori motivi di opposizione per le seguenti ragioni: - l'eccezione di mancata prova del credito in violazione dell'art. 50 TUB doveva ritenersi superata dall'intervenuta produzione da parte della Banca della serie continua degli estratti conto per tutta la durata del rapporto contrattuale; - l'eccezione di indebita annotazione di interessi anatocistici doveva ritenersi genericamente dedotta e non teneva conto del fatto che gli interessi anatocistici successivamente all'1.1.2014 erano già stati scomputati dalla banca in sede monitoria, senza che le opponenti avessero contestato la correttezza del calcolo. Quanto inoltre alla censura di mancata approvazione della clausola anatocistica nel contratto di conto corrente, essa è risultata smentita dalla specifica approvazione di tale clausola nell'art. 7 del contratto di conto corrente, con previsione di identica periodicità nella capitalizzazione degli interessi (essendo invece irrilevante la diversa misura dell'interesse debitore e creditore); - anche la censura di mancata pattuizione del tasso debitore è risultata smentita dalla specifica pattuizione della misura dello stesso nel contratto di conto corrente, così come la censura di annotazione di tassi diversi da quelli pattuiti non ha trovato riscontro negli estratti conto, che non hanno evidenziato alcuna annotazione di interessi maggiori rispetto a quelli convenuti; - le eccezioni relative alla mancata pattuizione della c.m.s., alla mancata contrattualizzazione di ogni interesse e spesa attinente al rapporto e all'invalidità della commissione di messa a disposizione fondi sono state ritenute del tutto generiche e quindi rigettate. Generica è stata giudicata altresì la doglianza relativa all'applicazione di interessi usurari, dei quali non sono stati in alcun modo dettagliati i termini ed essendo stata l'eccezione riferita a un conto anticipi non oggetto delle domande della Banca. Avverso la descritta sentenza hanno proposto impugnazione la (...) e i suoi soci, sig.ri (...), (...) e (...), per sei diversi motivi di appello, e cioè per: - manifesta erroneità del provvedimento in merito all'eccezione di decadenza dalla garanzia, non valutata dal Tribunale per come interamente proposta; - manifesta erroneità e lacunosità della decisione, nella parte in cui omette di provvedere sull'inammissibilità dell'azione monitoria, sulla conseguente invalidità del decreto, sul mancato assolvimento dell'onere probatorio in capo alla banca e sulle conseguenze nel giudizio di opposizione; - erroneità e contraddittorietà della sentenza, nella parte in cui ammette la capitalizzazione trimestrale dal 9.02.2000 e sino al 31.12.2013 e respinge l'eccezione di indebita capitalizzazione in conto di interessi anatocistici post 1.1.2014; - manifesta erroneità e contraddittorietà della decisione, riguardo alle contestazioni nel merito relativamente a: (a) tassi applicati al rapporto; (b) usura; e (c) spese e commissioni applicate al rapporto in mancanza di pattuizione; - mancata ammissione dell'invocato adempimento istruttorio (ctu); - omessa pronuncia di condanna in accoglimento della domanda riconvenzionale e in punto di spese processuali. Inoltre, gli appellanti hanno proposto istanza di sospensione ai sensi dell'art. 295 c.p.c., prospettando l'instaurazione di un nuovo giudizio volto alla declaratoria di nullità degli impegni fideiussori, demandando alla Corte "la valutazione dell'opportunità di sospendere il ... giudizio in attesa delle statuizioni della Sezione Specializzata Imprese Tribunale di Milano". Tuttavia, dell'avvio di un tale procedimento non è stata fornita alcuna evidenza da parte degli appellanti che, anzi, in occasione della prima udienza hanno espressamente dichiarato che tale giudizio non fosse ancora pendente (v. verbale ud. 21.04.21). Con due distinte comparse in data 15 e 16 aprile 2021 si sono costituiti (...) S.p.A. (ora (...)) e (...) S.r.l. (e per essa (...) S.p.A.), contestando la fondatezza del gravame e chiedendone il rigetto. La legittimazione passiva di (...) è stata poi contestata dagli appellanti. A seguito dell'udienza di precisazione delle conclusioni del 24.11.2021 e depositati gli scritti conclusionali, la Corte ha trattenuto la causa in decisione. Successivamente, con ordinanza in data 7 marzo 2022, la Corte - ritenuto che fosse necessario ai fini del decidere "acquisire uno specifico e separato conteggio relativo agli addebiti annotati a carico di (...) a titolo di "commissione di massimo scoperto" dalla data di apertura del conto corrente (21.02.2002) sino al 31.12.2009, così da consentire l'eventuale espunzione degli addebiti eseguiti per le commissioni di massimo scoperto e di ogni loro effetto in termini di capitalizzazione" - ha rimesso la causa in istruttoria e invitato la Banca a fornire il conteggio di tali importi, allo stesso tempo assegnando agli appellanti un termine per depositare eventuali rilievi o contestazioni. Nei termini assegnati, (...) ha depositato una relazione avente a oggetto la "Rideterminazione del saldo del C/C n. (...)", che ha evidenziato, all'esito delle rettifiche, un credito di (...) pari a Euro 9.758,84, secondo il seguente schema: Tabella 6 - Rideterminazione credito (...) SRL da c/c n. (...) Descrizione Importi (in Euro) CREDITO (...) SRL da c/c (...) (passaggio a sofferenza) 15.389,97 Rettifiche da eliminazione anatocismo dal 01/01/2014 - 170,22 CREDITO (...) SRL da c/c (...) da D.I 15.219,75 Rettifiche da eliminazione CMS c/c (...) -5.460,91 CREDITO RIDETERMINATO (...) SRL da c/c (...) 9.758,84 A tale conteggio si è opposta parte appellante, la quale ha insistito nell'ammissione della domandata ctu. Quindi, nuovamente precisate le conclusioni come in epigrafe (ud. 8.6.2022) e assegnati dalla Corte i termini per il deposito degli scritti difensivi finali, la causa è stata trattenuta e giunge ora in decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE L'appello appare parzialmente fondato e dovrà essere accolto nei limiti di cui si darà ragione. Preliminarmente dev'essere affrontata la questione del difetto di legittimazione passiva di (...), atteso che gli appellanti hanno sostenuto il difetto di prova circa l'effettiva verificazione della cessione e circa la riferibilità della detta cessione ai crediti sub iudice. Tale eccezione è inammissibile in quanto formulata dagli appellanti soltanto in sede di comparsa conclusionale in appello, dunque tardivamente, e comunque deve ritenersi infondata. Invero, la Banca ha prodotto, sub doc. 4, l'avviso di pubblicazione della cessione sulla Gazzetta Ufficiale recante l'indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco e corredato da apposito collegamento link all'elenco contenente i dati identificativi dei rapporti debitori e delle linee ceduti. Ciò soltanto vale a smentire la doglianza degli appellanti secondo cui "non è prodotta in atti la lista dei CDG o identificativi dei crediti, oggetto di cessione né altro documento utile a dimostrare l'inclusione di quello per cui si procede" (p. 3 della prima comparsa conclusionale). Inoltre, parte appellata ha specificato, senza valide contestazioni avversarie, quali siano i codici per individuare inequivocabilmente nell'elenco di cui al menzionato link i rapporti relativi agli odierni appellanti, di tal ché si deve ritenere sufficientemente provata la titolarità del credito azionato in capo al cessionario (...). Superata, quindi, la svolta eccezione preliminare, possono essere analizzati i singoli motivi di impugnazione. Con il primo motivo, parte appellante ripropone le censure di nullità delle fideiussioni. Il punto, per il vero nell'atto d'appello presentato in maniera generica e limitato a una mera riproposizione delle censure svolte in primo grado, già correttamente rigettate dal Tribunale, è stato dagli appellanti sviluppato e ulteriormente approfondito in sede di comparsa conclusionale sotto il profilo della nullità per violazione dell'art. 2 della L. n. 287 del 1990. Affermano infatti i Sig.ri (...), (...) e (...) che le fideiussioni sottoscritte dagli stessi siano conformi allo schema (...) del 2003 e come tali affette da nullità rilevabile d'ufficio ex art. 1421 c.c. Osserva la Corte che in effetti le clausole nn. 2, 6 ed 8 dei contratti di fideiussione sottoscritti dagli odierni appellanti (v. docc. 15-17 parte appellante) debbono ritenersi affette da nullità in quanto riproduttive dello schema predisposto dall'(...) e risultato contrario alla normativa antitrust, a seguito del Provv. n. 55 del 2005 della (...), al tempo autorità competente in materia. Come è noto, con tale provvedimento, la (...) ha ritenuto che le condizioni generali di contratto di cui al sopracitato schema (...) rientrassero nella nozione di "deliberazioni di un'associazione di imprese" ai fini di cui all'art. 2 della L. n. 287 del 1990 (che disciplina le intese restrittive della libertà di concorrenza) e ha reputato le clausole 2, 6 e 8, nella misura in cui vengano applicate in modo uniforme, in contrasto con l'art. 2, co. 2, lett. a), della L. n. 287 del 1990. In altri termini, con il citato provvedimento la (...), ritenendo le clausole n. 2, 6 e 8 non necessarie alla funzione della garanzia bancaria, ha evidenziato che "la ... diffusione generalizzata potrebbe produrre effetti anticoncorrenziali nella misura in cui inducesse una completa uniformità dei comportamenti delle banche in senso ingiustificatamente sfavorevole alla clientela". E ha ritenuto che le suindicate clausole, di cui è stata accertata nel corso dell'istruttoria l'utilizzazione "standardizzata" nell'ambito di una prassi bancaria, "hanno lo scopo precipuo di addossare al fideiussore le conseguenze negative derivanti dall'inosservanza degli obblighi di diligenza della banca ovvero dall'invalidità o dall'inefficacia dell'obbligazione principale e degli atti estintivi della stessa". A sua volta, la Suprema Corte, con sentenza n. 13846/19 che anche questa Corte territoriale condivide, ha ritenuto che il citato provvedimento della (...) possieda un'elevata attitudine a provare la condotta anticoncorrenziale e che il giudice di merito non possa attribuire rilievo decisivo all'attuazione o non attuazione della prescrizione impartita da (...) ad (...) (di estromettere le clausole vietate dallo schema diffuso presso il sistema bancario), essendo, invece, tenuto a verificare se le disposizioni contrattualmente pattuite coincidano con le condizioni vietate dell'intesa restrittiva. Tale verifica, nel caso di specie, ha esito positivo, essendo il contenuto delle citate clausole n. 2, 6 ed 8 trasfuso nelle fideiussioni de quibus. E però, come recentemente affermato dalla Cassazione (S.U. sentenza n. 41994/2021), la conseguenza di tale accertamento è il rilievo della nullità delle sole clausole che si pongono in contrasto con il divieto di intese anticoncorrenziali, non già dell'intera fideiussione. Pertanto, nel caso di specie - ove viene in rilievo la nullità dell'art. 6 delle fideiussioni - la nullità si presenta come priva di effetti in concreto, in quanto la Banca ha agito nei confronti dei fideiussori nei termini di cui all'art. 1957. Come infatti riconosciuto dagli stessi appellanti (cfr prima comparsa conclusionale, p. 12), la domanda sarebbe dovuta intervenire entro il 19 giugno 2015. Ebbene, la domanda (stragiudiziale) di pagamento degli importi garantiti è intervenuta in concomitanza alla comunicazione di revoca degli affidamenti e risoluzione del contratto di finanziamento occorsa in data 19.01.2015 (v. doc. 10 fasc. monitorio) e, dunque, nel rispetto dei termini di decadenza. Al riguardo, dev'essere considerato che, secondo l'orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte, la presenza di una clausola c.d. a prima richiesta, in concorrenza con la previsione di cui all'art. 1957 c.c. (la cui reviviscenza è la naturale conseguenza della nullità del patto di deroga), determinerebbe non già l'elusione del termine semestrale per agire nei confronti del debitore, ma soltanto il venir meno dell'obbligo di esperire, in quello stesso termine, un'azione giudiziale (come richiesto da tradizionale esegesi della norma), essendo sufficiente, per evitare la decadenza, anche una mera iniziativa stragiudiziale. L'argomento è stato, poi, ulteriormente sviluppato in una recente sentenza (Cass. n. 5598/2020) che ha statuito come, ferma restando la "compatibilità" delle due previsioni sopra citate (i.e.: clausola "a prima richiesta" e art. 1957 c.c.) "spetta al giudice di merito accertare la volontà in concreto manifestata dalle parti con la sua stipulazione". Come visto, la volontà in concreto manifestata dalle parti deve essere interpretata tenendo conto che le stesse hanno inteso derogare, ancorché con una clausola nulla, alla previsione di cui all'art. 1957 c.c. e che tale clausola, ancorché nulla, appare significativa per la ricostruzione della volontà dei contraenti (Cass. civ. n. 21873/2019). Poiché dunque i contraenti hanno inserito la clausola a prima richiesta e tale previsione non risulta incisa dal provvedimento dell'Autorità garante, ritiene questa Corte che, nel caso di specie, non si possa ravvisare alcuna inerzia del creditore, né quanto alla proposizione delle istanze verso il debitore (avendo la Banca tempestivamente reclamato il pagamento del proprio credito), né quanto alla loro diligente continuazione. Di qui il rigetto, seppure con diversa motivazione rispetto alla sentenza di primo grado, del motivo di appello. Con il secondo motivo di gravame, parte appellante lamenta, in particolare, il mancato assolvimento dell'onere della prova da parte della Banca, per avere quest'ultima prodotto, in sede monitoria, un documento privo dei requisiti di cui all'art. 50 TUB. Il giudice di prime cure, sul punto, ha rilevato che "l'eccezione di mancata prova scritta in sede monitoria del credito vantato dall'opposta nei confronti della debitrice principale per produzione di saldaconto certificato non avente i requisiti prescritti dall'art. 50 TUB per formare prova scritta legale in sede monitoria, sono superate dall'intervenuta produzione dall'opposta in sede di costituzione di serie continua degli estratti conto per tutta la durata del rapporto contrattuale". In questa sede, parte appellante sostiene che l'argomentare del Tribunale sia viziato in quanto la Banca non avrebbe prodotto tutti gli estratti conto dall'apertura del conto (21.02.2002) ma solamente a far data dal 28.06.2002, dal che conseguirebbe il difetto di prova del credito vantato. Le censure appaiono tuttavia smentite dalla documentazione prodotta in atti dalla Banca che ha depositato, in sede monitoria, un estratto di conto corrente relativo all'anno 2015 certificato ai sensi dell'art. 50 TUB (doc. 4 fasc. monitorio) e, in sede di costituzione nel giudizio di opposizione, serie continua degli estratti conto dal saldo zero alla chiusura del conto (doc. 5 fasc. primo grado della Banca). Peraltro, appare non conforme alla documentazione prodotta l'affermazione secondo cui l'estratto conto sia stato fornito solamente a far data dal 28.06.2002, risultando invece in atti un primo estratto del 29.03.2002, a saldo zero, che appare riferibile proprio alla prima mensilità del conto corrente. Il gravame, sul punto, non può quindi essere accolto. Il terzo motivo di appello è volto a censurare la sentenza di primo grado nella parte in cui si è pronunciata in merito alla capitalizzazione degli interessi. Con riferimento alla capitalizzazione relativa al periodo antecedente il 31.12.2013, parte appellante lamenta la violazione della Delibera CICR del 2000 per la mancata indicazione del tasso effettivo annuo per i tassi creditore e per la previsione di un tasso a favore del correntista pari soltanto allo 0,050%, tale quindi da rendere inoperante in concreto il criterio di reciprocità. A questo riguardo, pare però corretto quanto affermato dal Tribunale, che ha ritenuto: - da un lato, smentita dalla documentazione contrattuale la mancata specifica approvazione della clausola anatocistica di conto corrente alla luce dell'approvazione dell'art. 7 del contratto di conto corrente - considerazione alla quale va anche aggiunto che il prospetto delle spese applicate al conto corrente individua espressamente la percentuale del TAE per il tasso creditore - e - dall'altro lato, che, ai sensi dell'art. 120, comma 2, TUB e art. 6 della Delibera CICR del 2000 pro tempore vigenti, requisito di validità della clausola era l'identica periodicità della capitalizzazione, senza che assumesse rilievo la diversa misura tra l'interesse debitore e creditore. I rilievi svolti dal Tribunale paiono a questa Corte condivisibili e, sul punto, deve essere affermata la correttezza della sentenza. Per quanto riguarda, invece, la capitalizzazione per il periodo successivo all'1.1.2014, deve preliminarmente darsi atto del fatto che, in sede monitoria, la Banca aveva ridotto la propria domanda scomputando, su rilievo del giudice del monitorio, gli interessi anatocistici annotati in conto corrente successivamente all'1.1.2014. Con riferimento a tale conteggio, il giudice di prime cure ha rilevato che "parte attrice opponente non ha in alcun modo contestato la correttezza del calcolo compiuto dall'opposta in sede monitoria, di tal che l'eccezione proposta deve essere rigettata, non avendo contribuito a formare il credito vantato dall'opposta gli interessi anatocistici annotati in conto dall'1.1.2014 e sino all'estinzione del rapporto" (punto 16 della sentenza). In questa sede, parte appellante critica il conteggio svolto dalla Banca, affermando altresì che la Banca, dopo aver stornato gli importi per capitalizzazione, li avrebbe in realtà "ricalcolati applicando tout court il tasso extrafido del 5.750% in luogo di quello applicato in costanza di rapporto, il che altera ovviamente il risultato finale in sfavore del correntista e rende inaffidabile la ricostruzione". Ora, la spiegata doglianza è stata svolta in primo grado dagli odierni appellanti solamente in sede di comparsa conclusionale e risulta dunque tardiva, circostanza che pare assorbente. Inoltre, è del tutto generica la censura relativa all'applicazione del tasso extrafido in luogo di quello applicato in costanza di rapporto con conseguente ricalcolo degli interessi stornati, non essendo indicate con precisione le voci nelle quali si sarebbe verificato tale ricalcolo. Ritiene quindi la Corte che l'appello, sul punto, debba essere rigettato. Con il quarto e più articolato motivo di impugnazione, vengono fatti valere da parte appellante diversi profili di irregolarità nella gestione del rapporto contrattuale, tra cui l'applicazione di tassi di interesse diversi e ulteriori rispetto a quelli contrattualizzati, di interessi usurari, oltre che di spese e commissioni applicate al rapporto in mancanza di pattuizione. I dedotti profili meritano di essere esaminati congiuntamente. La prima doglianza viene fondata sulla circostanza che gli estratti conto scalari evidenzierebbero l'applicazione di tassi diversi da quelli pattuiti. Anche sul punto, tuttavia, dev'essere confermata la sentenza di primo grado, che ha ritenuto infondata l'eccezione in quanto i tassi applicati (del 5% e del 7,5%) non erano superiori rispetto ai tassi intra ed extra fido pattuiti (del 7,75% e del 13,375%). Non si può, inoltre, non dare conto del fatto che i tassi applicati, ove diversi, risultano comunque preventivamente comunicati ai correntisti con una "comunicazione periodica alla clientela in applicazione della L. 17 febbraio 1992, n. 154 (trasparenza bancaria)" (v. doc. 5 della Banca) e in presenza di apposita clausola contrattuale, debitamente approvata, che consente tali modifiche, alle condizioni di legge (v. art. 16 del contratto di conto corrente). Anche sotto il profilo dell'usura, la sentenza di primo grado dev'essere confermata. Infatti, il Tribunale ha sottolineato, da un lato, che non erano stati specificamente allegati i termini di usurarietà del conto corrente e, dall'altro lato, che l'usurarietà era stata riferita dagli odierni appellanti solamente al conto anticipi, il cui saldo non era oggetto delle domande svolte dalla Banca in sede monitoria. Anche nell'atto di appello l'eccezione viene fatta valere esclusivamente con riguardo al conto anticipi: viene, infatti, evidenziato che, considerato il tasso dell'11.050% (tae 11,516%) "si è constatato il superamento del tasso soglia rispetto ai conti anticipi per i quali la soglia usura era fissata nel periodo all'8.925%" (v. p. 21 dell'atto di appello). Essendo, quindi, la censura formulata negli stessi termini di cui al primo grado ed essendo il conto anticipi estraneo all'ambito del giudizio, la conclusione della Corte sul punto non può che essere analoga a quella assunta dal giudice di primo grado, con conseguente rigetto della doglianza. Diverso dev'essere però l'esito delle valutazioni di questa Corte per quanto riguarda l'ulteriore profilo di censura relativo all'applicazione, nel corso del rapporto, di commissioni non pattuite. Ciò vale, in particolare, per la commissione di massimo scoperto (c.m.s.) che, secondo la prospettazione di parte impugnante, sarebbe stata applicata in assenza di alcuna pattuizione, nel contratto di conto corrente, ovvero, per quanto riguarda il rapporto di affidamento, in presenza di una clausola nulla in quanto "tratta della CMS ma ... solo con riferimento al tasso e non alla periodicità di applicazione né alla base di calcolo". Sul punto, la Corte precisa che la c.m.s., per poter essere valida, deve essere determinata contrattualmente o comunque determinabile, non solo nel suo ammontare (misura percentuale), ma anche nelle modalità di computo. In altri termini, è necessario che la clausola che la prevede contenga la puntuale indicazione di tutti gli elementi che concorrono a determinarla (percentuale, base di calcolo, criteri e periodicità di addebito) e la specificazione se per massimo scoperto debba intendersi il debito massimo raggiunto anche in un solo giorno o quello che si prolunga per un certo periodo di tempo. Ne segue che, in difetto di univoci criteri di determinazione del suo importo, la relativa pattuizione va ritenuta nulla, con espunzione del relativo addebito. Le disposizioni contenute nei contratti non soddisfano il requisito di determinatezza richiesto dal legislatore e per tale ragione i relativi addebiti debbono essere espunti. A questo punto, come si è visto, la Corte ha richiesto alla Banca di fornire un conteggio degli addebiti eseguiti a titolo di c.m.s. così da consentirne l'eventuale espunzione. Il conteggio ha evidenziato una rettifica per eliminazione della c.m.s. pari a Euro 5.460,91 (oltre a una rettifica di Euro 170,22 per eliminazione dell'anatocismo dal 1.1.2014), rideterminando il credito di (...) in Euro 9.758,84, in luogo dell'originario importo di Euro 15.389,97. Gli appellanti hanno genericamente contestato il conteggio, limitandosi a insistere per la richiesta di ctu. La Corte ritiene però che il prospetto fornito da (...) rispetti i criteri previsti nell'ordinanza del 7 marzo 2022 e quindi possa essere utilizzato in questa sede per l'espunzione degli addebiti illegittimamente operati. Per tale ragione, al saldo del conto corrente n. (...) (pari a Euro 15.219,75, già operata l'espunzione delle rettifiche da eliminazione dell'anatocismo per Euro 170,22) deve essere sottratto l'importo addebitato a titolo di c.m.s., come indicato nel conteggio fornito da parte appellata, rideterminando l'importo del saldo in Euro 9.758,84. Quanto agli ulteriori motivi di appello (il quinto, relativo alla mancata ammissione della ctu, il sesto, volto a lamentare il mancato accoglimento della domanda riconvenzionale), deve ritenersi che le considerazioni tutte sopra svolte risultino assorbenti rispetto a ogni altra domanda e questione, compresa quella di natura istruttoria, atteso che, da un lato, l'apertura di una nuova fase di istruzione risulterebbe superflua e meramente dilatoria, e, dall'altro, la domanda riconvenzionale appare infondata alla luce dell'esito complessivo dell'impugnazione. Conclusivamente, la Corte, in parziale accoglimento dello spiegato gravame, revoca il decreto ingiuntivo n. 21288/2016 e condanna gli appellanti in solido al pagamento, in favore della parte appellata, della somma di Euro 9.758,84 a titolo di saldo debitore del contratto di conto corrente n. (...). A tale somma va aggiunto comunque l'importo di Euro 14.830,12, quale debito residuo del contratto di finanziamento n. (...), come già determinato dal primo giudice, non essendovi stata alcuna impugnazione sul punto. Agli importi così quantificati accedono, inoltre, gli interessi convenzionali, come da richiesta (anche sul punto, del resto, non essendo stata proposta alcuna impugnazione). L'esito della lite giustifica la condanna degli appellanti alla rifusione delle spese processuali del grado, previa compensazione nella misura di 1/3, in favore delle parti appellate, rappresentate e difese da un unico legale. L'identità delle posizioni e della difesa giustifica il riconoscimento di un unico importo, onnicomprensivo e valido per entrambe le appellate. Tale importo, tenuto conto dei criteri previsti dal D.M. n. 55 del 2014 (aggiornati con D.M. n. 33 del 2018) e in particolare del valore della controversia, della quantità e qualità delle questioni trattate, può essere congruamente liquidato - con riferimento al parametro medio e già operata la compensazione - in Euro 2.518,00, oltre al rimborso forfetario del 15% per spese generali e agli accessori fiscali e previdenziali, come per legge. P.Q.M. La Corte d'appello di Milano, disattesa o assorbita ogni contraria o ulteriore domanda, istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle parti sull'appello proposto da (...) S.r.l., (...), (...), (...) avverso la sentenza n. 5018/2020 resa dal Tribunale di Milano il 21.05.2020 e pubblicata il 12.08.2020, così provvede: - in parziale accoglimento dell'appello e in parziale riforma della sentenza impugnata, revoca il decreto ingiuntivo n. 21288/2016 e condanna in solido (...) S.r.l., (...), (...) e (...) al pagamento, in favore di (...) S.r.l. - e per essa a (...) S.p.A. - al pagamento di Euro 9.758,84, nonché della somma di Euro 14.830,12, già oggetto di condanna monitoria, come confermata dalla sentenza gravata e non fatta più oggetto di impugnazione, oltre interessi come da richiesta; - condanna in solido (...) S.r.l., (...), (...) e (...) a rifondere a (...) S.r.l. (e per essa a (...) S.p.A.) e (...) S.p.A. le spese processuali, che, già operata la compensazione, liquida nella unica somma, a beneficio di entrambe le appellate, di Euro 2.518,00, oltre al rimborso forfetario del 15% per spese generali e agli accessori fiscali e previdenziali, come per legge. Così deciso in Milano il 14 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 3 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI MILANO SEZIONE PRIMA CIVILE nelle persone dei seguenti magistrati: dr. Massimo Meroni - Presidente rel. dr.ssa Rossella Milone - Consigliere dr.ssa Silvia Giani - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. r.g. 973/2021 promossa in grado d'appello DA (...) (...)L. (C.F. (...)), elettivamente domiciliato in VIA (...) 20129 MILANO presso lo studio dell'avv. RO.ST., che lo rappresenta e difende come da delega in atti. APPELLANTE CONTRO (...) S.P.A. (C.F. (...)), contumace (...) S.N.C. (C.F. (...)), contumace APPELLATE (...) S.P.A. (C.F. n. (...)), rappresentata e difesa dell'avv. Massimiliano Bina (C.F. (...) ), elettivamente domiciliata in Milano via (...) presso lo studio dell'avv. Ja.Ga.. INTERVENUTA Oggetto: Contratti bancari (deposito bancario, etc) CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO 1) Decisione oggetto dell'impugnazione Sentenza n. 215 del Tribunale di Varese pubblicata il 23.2.2021. 2) Il fatto Vengono di seguito esposti i fatti rilevanti per la decisione che sono pacifici tra le parti (in quanto allegati da una parte e non contestati dalle altre) o che sono indubitabilmente provati dalla documentazione prodotta nel giudizio di primo grado: - il 28.1.1985 tra (...) s.p.a. (poi (...) - (...) s.p.a., poi (...) s.p.a.) e la ditta (...) (poi (...) s.n.c. di (...)) è stato concluso il contratto di conto corrente n. (...)/79 (doc. n. 3 appellante); - il 16.2.1995 tra (...) - (...) e (...) s.n.c. di (...) è stato concluso un contratto di apertura di credito per l'importo di Lire 100.000.000 al tasso di interesse annuo del 9,75% con scadenza al 31.9.1996 e per l'ulteriore importo di Lire 60.000.000 al tasso di interesse annuo del 14% "a revoca" (cioè a tempo indeterminato) (doc. 6 intervenuta); - il 1.2.1996 tra (...) - (...) e (...) s.n.c. di (...) è stato concluso un contratto di apertura di credito per l'importo di Lire 40.000.000 e per l'ulteriore importo di Lire 60.000.000 al tasso di interesse annuo del 12% nonché per l'importo di Lire 90.000.000 con commissione di massimo scoperto dello 0,25% "a revoca" (cioè a tempo indeterminato) (doc. 19 intervenuta); - con l'estratto al 30.6.2000 (...) - (...) ha comunicato a (...) s.n.c. di (...) che, in conformità della Del.CICR del 9 febraio 2000, dal 30.6.2000 sia gli interessi debitori che gli interessi creditori sarebbero stati capitalizzati con l'identica periodicità trimestrale (doc. 15 intervenuta); - il 24.3.2003 tra (...) - (...) e (...) s.n.c. di (...) è stato concluso un contratto di apertura di credito con anticipo effetti per l'importo di Euro 28.000 al tasso di interesse annuo nominale del 8,250% ed effettivo del 8,509% e con tasso di interesse annuo oltre il fido nominale del 13,50% ed effettivo del 14,199% e commissione di massimo scoperto dello 0,250% "a revoca" (cioè a tempo indeterminato) (doc. 7 intervenuta); - il 7.11.2006 tra (...) e (...) s.n.c. di (...) è stato concluso un contratto di apertura di credito garantito da pegno su titoli per l'importo di Euro 45.000 al tasso di interesse annuo nominale del 6,750% ed effettivo del 6,923% e con tasso di interesse annuo oltre il fido nominale del 13,50% ed effettivo del 14,199% e commissione di massimo scoperto dello 0,250% "a revoca" (cioè a tempo indeterminato) (doc. 8 intervenuta); - il 26.1.2007 tra (...) e (...) s.n.c. di (...) è stato concluso un contratto di apertura di credito garantito da pegno su titoli per l'importo di Euro 30.000 al tasso di interesse annuo nominale del 7% ed effettivo del 7,186% e con tasso di interesse annuo oltre il fido nominale del 13,950% ed effettivo del 14,697% e commissione di massimo scoperto dello 0,250% "a revoca" (cioè a tempo indeterminato) (doc. 9 intervenuta); - il 19.10.2007 tra (...) e (...) s.n.c. di (...) è stato pattuito che a decorrere dal 22.10.2007 nel contratto di apertura di credito in corso il tasso di interesse annuo nominale sarebbe stato del 10,300% e quello effettivo del 10,705% e il tasso di interesse annuo per fido di c/c garantito da pegno su titolo nominale sarebbe stato del 7,800% ed effettivo del 8,031% (cioè a tempo indeterminato) (doc. 10 intervenuta); - il 15.10.2009 il conto corrente in questione è stato chiuso con saldo zero (doc. 4 intervenuta). - il 22 - 26.4.2016 (...) s.r.l. ha richiesto a (...) la restituzione dei pagamenti indebiti annotati sul conto in questione (doc. 5 appellante). 3) Lo svolgimento del processo di primo grado. Con atto di citazione, ritualmente notificato, (...) s.n.c. di (...) ha convenuto in giudizio davanti al Tribunale di Varese (...) ((...)) s.p.a., chiedendo la restituzione della somma di Euro 54.673,53 a titolo di ripetizione di indebito per illegittima annotazioni di poste debitorie (per tasso di interesse non pattuito per iscritto, per applicazione di interessi anatocistici, per il carattere usurario degli interessi applicati, per illegittimo esercizio dello ius variandi da parte della banca, per commissione di massimo scoperto, per spese e valute) sul c/c (...), aperto il 28.1.1985 ed estinto 15.10.2009 con saldo zero. (...) s.p.a., ritualmente costituitasi in giudizio, ha eccepito, in via preliminare, il difetto di titolarità in capo all'attrice della pretesa dedotta in giudizio, in quanto questa, il 9.2.2009, aveva conferito l'azienda a (...) S.r.l., e, nel merito, ha chiesto il rigetto delle domande proposte. Il 30.10.2017 (...) s.r.l. è intervenuta in giudizio, nella sua qualità di successore di (...) s.n.c. (in quanto conferitaria dell'azienda di quest'ultima) e, in via subordinata, ha fatto proprie le domande già da quest'ultima formulate. Senza svolgere alcuna attività istruttoria, il Tribunale ha fissato l'udienza di discussione ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.a. ed ha pronunciato la sentenza, di cui ha dato lettura in udienza, oggetto della presente impugnazione. 4) La decisione del Tribunale di Varese. Il Tribunale di Varese ha così deciso: "Rigetta la domanda di ripetizione di indebito proposta da (...) di (...) S.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, (...), nei confronti di (...) S.p.A.; rigetta la domanda di ripetizione di indebito proposta da (...) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, (...), nei confronti di (...) S.p.A.; condanna parte attrice (...) di (...) S.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, (...), a rifondere a (...) S.p.A. le spese di lite, liquidate in complessivi Euro 5.635,00 per compensi, oltre spese generali, iva e cpa, se dovute, come per legge; condanna parte intervenuta (...) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, (...), a rifondere a (...) S.p.A. le spese di lite, liquidate in complessivi Euro 5.635,00 per compensi, oltre spese generali, iva e cpa, se dovute, come per legge." A sostegno della propria decisione il Tribunale ha esposto i motivi di seguito riassuntivamente riportati per la parte che interessa il presente giudizio. A) L'eccezione in ordine al dedotto difetto di titolarità attiva in capo all'attrice (...) s.n.c. è fondata. Non è contestato dalle parti convenuta e intervenuta che l'odierna attrice, in data 9.2.2009, avesse conferito l'azienda nella costituenda (...) S.r.l. (nell'atto costitutivo della nuova Società si legge che "l'azienda conferita s'intende apportata nello stato di fatto e diritto in cui attualmente si trova con tutti i diritti, ragioni e dazioni attinenti ed inerenti"). In particolare, la relazione di stima ex art. 2465 c.c., nell'indicare il passivo riguardante il complesso aziendale oggetto di conferimento, fa espresso riferimento allo scoperto bancario relativo al contratto di conto corrente per cui è causa. Pertanto, l'attrice, alla data dell'instaurazione del presente giudizio, aveva conferito / ceduto (anche) il rapporto di conto corrente per cui è causa alla Società intervenuta, ivi compresa l'azione promossa nell'ambito del presente giudizio. B) L'intervento in giudizio di (...) s.r.l. può essere qualificato quale intervento principale, laddove, sebbene solo in via subordinata, parte intervenuta dichiara di essere titolare del diritto di credito derivante dal rapporto di conto corrente acceso da (...) S.n.c., la cui titolarità è successivamente passata all'interveniente proprio in ragione del conferimento di azienda del febbraio 2009. C) Nel giudizio promosso dal correntista o ex correntista, come nel caso di specie, diretto a far valere la nullità di clausole contrattuali o l'illegittimità degli addebiti in conto corrente, in vista della ripetizione di somme richieste dalla Banca in applicazione delle clausole nulle o, comunque, in forza di prassi illegittime, grava sul medesimo correntista l'onere di allegare in maniera specifica i fatti posti a base della domanda e di fornire la relativa prova, in primo luogo con la produzione del contratto costituente titolo del rapporto dedotto in lite, unitamente a eventuali successive convenzioni stipulate e, in secondo luogo, con la produzione degli estratti conto completi dalla data di avvio del rapporto e sino alla conclusione (sul punto cfr. Cass. civ. n. 30713/2018, Cass. civ. n. 30822/2018; Cass. civ. 24948/2017), con la conseguenza che non può essere accolta la domanda di restituzione se siano incompleti gli estratti conto attestanti le singole rimesse suscettibili di ripetizione. Nel caso specifico l'onere della prova gravante sull'ex correntista non è stato assolto. Con l'atto introduttivo del giudizio parte attrice si è limitata a produrre il contratto di conto corrente datato 28.1.1985 e i (soli) estratti conto relativi agli anni 2007 (escluso l'estratto conto relativo al mese di febbraio 2007), 2008 e 2009 (esclusi il periodo agosto-settembre 2009) e l'estratto conto al 15.10.2009 (data di chiusura del rapporto di conto corrente). Con la memoria istruttoria ex art. 183 c. 6 n. 2 c.p.c. parte attrice ha prodotto gli estratti conto del periodo anni 1997 - 2006 (esclusi gli estratti conto relativi a gennaio/febbraio/marzo 2006, periodo per il quale vengono prodotte mere "schede movimenti" e non gli estratti conto) e gli estratti conto mancanti del 2009 (periodo agosto/settembre). Non risultano, quindi, prodotti i contratti accessori e secondari stipulati successivamente al contratto di conto corrente ordinario n. (...) e le relative condizioni contrattuali, né gli estratti conto dalla data di accensione del conto (28.1.1985) e sino al 1997, oltre agli estratti relativi ai mesi di gennaio, febbraio, marzo 2006 e febbraio 2007. Le affermazioni (invero generiche e contraddittorie) di parte attrice e di parte intervenuta, in ordine all'assenza di contratti stipulati successivamente al contratto di conto corrente ordinario del 28.1.1985, sono contraddette, non solo dalla documentazione prodotta dalla convenuta (cfr. doc. nn. 6 - 10 fascicolo convenuta), ma dalle stesse produzioni documentali di parte attrice / intervenuta, in particolare la richiesta ex art. 119 TUB del 22.4.2016 con cui l'odierna attrice ha chiesto espressamente alla convenuta copia di "tutti i contratti di affidamento, linee di credito e conti accessori e secondari e collegati, con relativi foliarii condizioni contrattuali e scalari", così riconoscendo l'esistenza dei documenti contrattuali di cui avrebbe dovuto fornire prova nel presente giudizio. Lo stesso elaborato peritale, prodotto dall'attrice, afferma, in relazione al tasso di interesse, che "dall'analisi dei contratti risulta che la prima pattuizione risale al 1995", così confermando la sussistenza di ulteriori contratti sottoscritti dalle parti e ciò sebbene parte attrice (e intervenuta) abbiano prodotto il solo contratto originario datato 28.1.1985. Con riguardo alla dedotta invalidità del contratto bancario sottoscritto dal solo cliente, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 898/2018 ha statuito che "il requisito della forma scritta del contratto quadro relativo ai servizi di investimento, disposto dall'art. 23 del D.Lgs. n. 57 del 1998, è rispettato ove sia redatto il contratto per iscritto e ne venga consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente la sola sottoscrizione dell'investitore, non necessitando quella dell'intermediario, il cui consenso ben si può desumere alla stregua di comportamenti concludenti da lui tenuti"; il principio suddetto, sebbene riferito al caso di un contratto di intermediazione finanziaria, è applicabile anche ai contratti bancari, attesa la sostanziale identità di disciplina e di ratio di protezione del cliente degli artt. 23 T.U.F. e 117 T.(...) secondo il quale "i contratti sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti". La mancata produzione di tutti gli estratti conto quantomeno dal 1997 e sino alla chiusura non è, infatti, idonea - a prescindere dall'azione proposta - a dare compiuta rappresentazione delle movimentazioni operate e a consentire una ricostruzione attendibile dell'andamento del rapporto sino alla chiusura, salvo ricorrere a elaborazioni di natura contabile e raccordi tra i periodi documentati che rappresentano mere ipotesi di rideterminazione del saldo, dal risultato variabile e incerto. Tale conclusione appare confortata dalle stesse affermazioni contenute nella consulenza tecnica di parte, laddove il CTP incaricato precisa che "i risultati cui ora si è giunti si basano sull'analisi della documentazione contrattuale fornita allo scrivente studio dal cliente. Si ritiene pertanto che, all'esito di eventuali ulteriori produzioni documentale successive, siano esse poste in essere dal cliente o dalla banca, le risultanze peritali tratte in questa sede potrebbero anche sensibilmente modificarsi". Il giudice non può integrare la prova carente, con altri mezzi di cognizione disposti d'ufficio e, in particolare, disponendo una consulenza contabile, pena la violazione della regola in base alla quale la CTU non può costituire strumento per supplire al mancato assolvimento dell'onere probatorio che grava sulla parte che agisce in giudizio. Né ancora può legittimamente ritenersi che la Banca convenuta in giudizio abbia l'onere di produrre la completa documentazione del rapporto di conto corrente e sia tenuta a produrre in giudizio tutti gli estratti conto a partire dall'apertura del conto corrente oggetto di analisi. Nè, peraltro, parte intervenuta (così come pure parte attrice) ha formulato alcuna istanza ai sensi dell'art. 210 c.p.c.. La domanda proposta da parte intervenuta (...) S.r.l. non può trovare accoglimento ed ogni altra questione risulta assorbita, tenuto conto che la rideterminazione del saldo, epurato dagli effetti dell'applicazione di condizioni nulle, presuppone la continuità degli estratti conto, sia pure per una parte del rapporto fino alla chiusura del conto, assumendo come punto di partenza il primo degli estratti disponibili, non essendo possibile semplicemente scomputare le somme corrispondenti ai singoli addebiti di volta in volta praticati dalla banca. D) Con riguardo alla capitalizzazione degli interessi scaduti, sino al 2006, la questione è irrilevante perché assorbita dalla maturata prescrizione. Secondo l'ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in punto di onere della prova e eccezione di prescrizione nelle cause di natura bancaria, l'onere di allegazione gravante sull'istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l'eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l'azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da una apertura di credito, è soddisfatto con l'affermazione dell'inerzia del titolare del diritto e la dichiarazione di volerne profittare senza che sia anche necessaria l'indicazione di specifiche rimesse solutorie (in questi termini Cass. civ., Sez. Un., 13 giugno 2019, n. 15895). Una volta eccepita la prescrizione, è onere del correntista, in una prospettiva di contro-eccezione, opporre l'esistenza di affidamenti e, quindi, evidenziare come nel caso di specie le rimesse effettuate avessero una valenza meramente ripristinatoria della quota utilizzabile dell'affidamento in conto corrente, onere che, nel caso di specie, parte opponente non ha assolto, non essendo a tal fine, all'evidenza, idonea la tabella di formazione unilaterale prodotta sub doc. IX fascicolo attrice. È onere del correntista documentare e allegare i contratti di fido, altrimenti tutte le rimesse devono essere considerate solutorie con conseguente prescrizione di tutte le pretese anteriori di 10 anni dall'atto interruttivo della prescrizione. Pertanto, l'eccezione di prescrizione proposta da parte convenuta appare fondata in relazione alle rimesse, annotate in epoca antecedente al 26.4.2006, risultando la diffida prodotta sub doc. V ricevuta dalla Banca in data 27.4.2016. Per quel che concerne il periodo successivo (e in ogni caso a partire dal 2000) le doglianze di parte intervenuta non sono fondate, risultando, dagli estratti conto e dalla documentazione allegata da parte attrice la pari periodicità nella capitalizzazione degli interessi attivi e passivi; condizione che rende la pratica legittima, secondo unanime giurisprudenza sia di merito che di legittimità. Fino al 30 giugno 2000 è, infatti, certa la non spettanza della capitalizzazione trimestrale o annuale degli interessi a favore della banca, stante il divieto posto dall'art. 1283 c.c., come interpretato dalla ormai stabile giurisprudenza; successivamente, l'art. 120 TUB, introdotto dall'art. 25 c. 2 D.Lgs. n. 342 del 1999 e vigente sino al 31dicembre 2013, ha previsto che il CICR stabilisse modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo, in ogni caso, che nelle operazioni di conto corrente fosse assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori che creditori. In tal modo è stata introdotta nell'ordinamento una norma di rango primario, che consente l'anatocismo nei limiti e secondo le modalità previste dalla fonte secondaria autorizzata (deliberazione CICR). L'art. 7 della Del.CICR 9 febbraio 2000 ha previsto, in via transitoria, per i contratti anteriori tuttora pendenti, che "qualora le nuove condizioni contrattuali non comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, le banche e gli intermediari finanziari, entro il medesimo termine del 30.06.2000, possono provvedere all'adeguamento mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Nel caso in cui le nuove condizioni contrattuali comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, esse devono essere approvate dalla clientela". E) Le spese di lite sono poste a carico di parte attrice e di parte intervenuta in base al principio della soccombenza. Con riguardo, in particolare, alla posizione di (...) S.r.l., si evidenzia che il soggetto che interviene in un giudizio tra altre parti, facendo propria la posizione di uno dei contendenti e assumendo posizione attiva di contrasto verso l'altro, ai fini della regolamentazione delle spese, resta anch'esso soggetto al principio di soccombenza. Le spese sono liquidate in dispositivo in conformità al D.M. n. 55 del 2014, dimidiando i valori medi in ragione delle comuni difese e dell'identica attività processuale svolta dalla Banca convenuta nei confronti delle altre parti del giudizio e riducendo ulteriormente il compenso previsto per la fase istruttoria in ragione della mancata ammissione della consulenza tecnica contabile. 5) Le difese delle parti nel giudizio di appello A) Nell'appello e nella prima comparsa conclusionale (...) s.r.l. ha chiesto la riforma dell'impugnata sentenza del Tribunale di Varese per i motivi di seguito esposti. 1) Il Tribunale ha errato, in quanto non ha assunto alcuna decisione in ordine all'accertamento di nullità delle clausole applicate nel rapporto di conto corrente, richiesto dall'odierna appellante. 2) Il Tribunale ha errato, in quanto non ha ritenuto di valutare la sussistenza del diritto dell'appellante alla ripetizione delle somme indebitamente annotate con decorrenza dal 1.1.1997 (data dalla quale risultano prodotti gli estratti conto) alla chiusura del conto. 3) Il Tribunale ha errato nel ritenere che con la CTU contabile non potesse essere ricostruito il rapporto dal 1.1.1997 in poi, pur in mancanza di alcuni degli estratti conto e quindi sussiste la necessità di disporre una consulenza tecnica contabile nel giudizio d'appello. 4) Il Tribunale ha errato nel ritenere che in mancanza di alcuni estratti conto non potessero comunque essere eliminate le appostazioni indebite per commissione di massimo scoperto e per spese. 5) Il Tribunale ha errato nel ritenere in ogni caso prescritte le appostazioni fino al 26.4.2006 (in considerazione del fatto che la messa in mora era stata comunicata il 27.4.2016), dato che tutte le rimesse annotate sul conto avevano natura ripristinatoria. 6) Il Tribunale ha errato nel ritenere che per legittimare la capitalizzazione degli interessi scaduti dal 1.7.2000 (in forza della Del.CICR del 2000) non fosse necessario il consenso scritto del correntista. 7) Il Tribunale ha errato nel condannare la correntista al pagamento delle spese di lite. 8) Tutte le eccezioni formulate in primo grado, esplicitamente riproposte, devono ritenersi fondate, e cioè: - indeterminatezza dei tassi debitori e creditori e per conseguenza rideterminazione degli stessi sulla base del tasso ex art. 117 TUB; - illegittimità della capitalizzazione degli interessi scaduti anche per il periodo successivo al 1.7.2000; - indeterminatezza e, per conseguenza, nullità della clausola che prevede la commissione di massimo scoperto; - mancata pattuizione di spese, competenze varie e valute, addebitate nel rapporto di conto corrente; - carattere usurario originario dei tassi di interesse applicati (in quanto anche la commissione di massimo scoperto doveva essere inclusa nella determinazione del (...) - T.E.G.M., al fine di valutare il carattere usurario o meno del Tasso di interesse effettivo pattuito). Nella seconda comparsa conclusionale, successiva all'espletamento della consulenza tecnica contabile disposta dalla Corte d'appello (...) s.r.l. ha chiesto la riforma della sentenza impugnata del Tribunale di Varese e quindi la condanna di (...) alla restituzione della somma di Euro. 7.148,87, in accoglimento della determinazione del saldo, come effettuata dal CTU per i seguenti motivi. Nel caso di azione di ripetizione da parte del cliente ex correntista, che non produce tutti gli estratti conto dall'inizio del rapporto, una volta che sia stata esclusa la validità, per mancanza dei requisiti di legge, della pattuizione degli interessi ultralegali a carico del correntista, per la rideterminazione del saldo può essere assunto quale saldo iniziale quello risultante dall'estratto di più antica data. Nel caso in esame il periodo 1997-2009 del conto corrente (...), oggetto di causa, è completamente documentato e pacifico nelle sue movimentazioni e negli addebiti degli oneri impugnati; per i mesi gennaio/febbraio/marzo 2006 vi sono, infatti, "schede movimenti del conto", rilasciate e stampate da (...) su sua carta e con sua intestazione, che riportano le diverse operazioni del conto intercorse nel 1 trimestre 2006, con relative singole descrizioni, addebiti/accrediti, oneri passivi e saldi periodici in dare e, per il mese di febbraio 2007, vi sono gli estratti conto allegati ed inerenti il primo trimestre 2007, che riportano movimenti/operazioni con valuta febbraio 2007, il saldo di - Euro 136.393,57 al 28.02.2007 e l'estratto scalare di gennaio/febbraio/marzo 2007 con relativi computi e calcoli degli oneri passivi. Dalla suddetta documentazione, come confermato dalla CTU espletata, risulta accertato: 1) l'addebito di interessi passivi, anche conseguenti alla capitalizzazione degli interessi scaduti, addebito illegittimo in quanto la previsione contenuta nell'art. 7 c. 2 del contratto costituisce palese violazione dell'art. 1283 c. c., per assenza di un uso normativo, tenuto, altresì, conto che per il periodo successivo al 30.6.2002, a seguito della Del.CICR 9 febbraio 2000, per la legittimità dell'anatocismo sul conto corrente non è sufficiente la sola pubblicazione dell'avviso in G. (...) da parte della Banca poiché l'introduzione della capitalizzazione trimestrale reciproca è di carattere peggiorativo, con conseguente obbligo ex art. 7 della menzionata Delibera di accettazione scritta da parte del correntista; 2) l'addebito della commissione di massimo scoperto, addebito illegittimo per l'indeterminatezza della relativa clausola nel contratto di apertura conto del 1985 e nei successivi contratti di concessione di linee di credito, clausole che non riportano alcuna determinazione della sua misura e di sua precisa modalità di applicazione/calcolo/periodicità/entro o fuori fido; 3) l'addebito di spese, commissioni, competenze e valute, addebito illegittimo in quanto non previste nè nel contratto di conto corrente nè nel corso del rapporto. B) Nella comparsa di risposta e nella prima comparsa conclusionale (...) s.p.a., intervenuta nel giudizio d'appello, in qualità di cessionaria del ramo d'azienda bancario, acquistato con atto pubblico n. 16046/8617 del 19.2.2021, nel quale è compresa la filiale di (...) di (...) presso cui era incardinato il rapporto, oggetto del presente giudizio, ha chiesto il rigetto dell'appello per i motivi di seguito esposti. 1) In ordine al primo motivo d'appello, una domanda di mero accertamento avente ad oggetto questioni pregiudiziali relative ad un conto corrente chiuso o è strumentale ad una domanda di ripetizione dell'indebito oppure è inammissibile, perché non sarebbe idonea ad eliminare alcun pregiudizio subito dal cliente, o un'incertezza attuale su uno status o rapporto giuridico. 2) In ordine al secondo motivo d'appello, posto che l'appellante ha proposto una domanda di ripetizione di somme, indebitamente annotate a suo carico sul conto corrente per l'intero periodo dal 1985 al 2009, il Tribunale ha ritenuto correttamente non provata la domanda proposta a causa della mancata produzione da parte dell'appellante di tutti gli estratti conto relativi al suddetto periodo e, comunque gli estratti conto per il periodo dal 1997 al 2007 sono stati prodotti dall'appellante con la memoria di cui all'art. 183 c. 6 n. 2 c.p.c., quando cioè erano precluse le produzioni istruttorie. 3) In ordine al terzo e quarto motivo d'appello, in ogni caso l'appellante non ha prodotto gli estratti conto analitici relativi al primo trimestre del 2006, al febbraio 2007 e all'agosto e settembre 2009 e tale mancanza non può essere sanata con altra documentazione, in particolare dagli estratti conto scalari, né con l'espletamento di una consulenza tecnica. 4) In ordine al quinto motivo d'appello, il Tribunale ha ritenuto correttamente prescritto l'asserito diritto di ripetizione azionato dall'appellante delle rimesse da lui effettuate sul conto fino al 26.4.2006, dato che tali rimesse devono essere tutte ritenute solutorie, in quanto l'appellante non ha prodotto in giudizio i contratti di apertura di credito, che potrebbero giustificare la qualificazione delle rimesse come ripristinatoria. 5) In ordine al sesto motivo d'appello, la Banca si è attenuta a quanto previsto con la Del.CICR del 9 febbraio 2000, in quanto ha comunicato alla correntista, con l'estratto conti al 30.6.2000, la modificazione del contratto prevedendo la medesima periodicità trimestrale di capitalizzazione degli interessi scaduti sia debitori che creditori e tale modificazione è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale. 6) In ordine al settimo motivo d'appello, il Tribunale correttamente non ha accolto la domanda dell'appellante alla rifusione delle spese di lite da lui sostenute, in quanto la sua domanda sostanziale non è stata accolta. 7) In ordine alle questioni rimaste assorbite nel giudizio di primo grado e riproposte dall'appellante: - l'appellante non ha in ogni caso diritto alla ripetizione delle rimesse effettuate fino al 26.4.2006, in quanto, attesa la natura solutoria di tali rimesse, tale diritto è prescritto; - la banca si è adeguata alla Del.CICR del 9 febbraio 2000 con riguardo alla disciplina della capitalizzazione degli interessi scaduti; - gli interessi ultralegali sono stati esplicitamente pattuiti come risulta dai documenti n. 8, 9, 10, 19, 20 e 21 prodotti dalla banca; - la commissione di massimo scoperto è stata esplicitamente pattuita come risulta dai suddetti documenti; - lo stesso consulente di parte dell'appellante ha escluso il superamento del limite dell'usura; e comunque la commissione di massimo scoperto non deve essere inclusa nel tasso globale effettivo, il tasso di mora pattuito è inferiore al limite dell'usura e l'usura sopravvenuta è irrilevante. Nella seconda comparsa conclusionale, successiva all'espletamento della consulenza tecnica contabile disposta dalla Corte d'appello, (...) ha chiesto il rigetto dell'appello per i motivi di seguito esposti. 1) Tardività della produzione da parte dell'appellante degli estratti conto del conto corrente per il periodo precedente al gennaio 2007, in quanto effettuata in primo grado solo con la memoria ex art. 183 c. 6 n. 2. 2) Legittimità degli addebiti per commissione di massimo scoperto, in quanto l'obbligazione stabilita nella relativa clausola era correttamente determinata e quindi è erronea la sua eliminazione dal saldo finale del conto, come determinato nella consulenza tecnica. 3) Erronea individuazione delle rimesse prescritte sulla base dei saldi ricalcolati, come determinato nella consulenza tecnica, anziché sulla base dei saldi originariamente annotati negli estratti conto. C) (...) s.p.a. non si è costituita nel giudizio d'appello e quindi è stata dichiarata contumace. D) (...) s.n.c. di (...). non si è costituita nel giudizio d'appello e quindi è stata dichiarata contumace. 6) La decisione della Corte d'Appello sui punti controversi. Preliminarmente, rilevato che nei verbali delle udienze del 7.7.2021, del 26.1.2022, del 4.5.2022 e del 26.10.2022 è stato indicato, per errore materiale, l'avv. Stefano Rossetti (o per esso il suo sostituto processuale) come presente per (...) s.n.c. di (...) ed è stato indicato come contumace (...) s.r.l., dispone la correzione del suddetto errore nel senso che, alle suddette udienze, l'avv. (...) (o per esso il suo sostituto processuale) è presente per (...) s.r.l., soggetto che ha proposto l'appello con procura alle liti rilasciata in favore dell'avv. (...), e (...) s.n.c. di (...) è, invece, contumace. La Corte d'appello ritiene di riformare parzialmente l'impugnata sentenza n. 215/2021 del Tribunale di Varese. Innanzi tutto, si evidenzia che non sono stati impugnati il primo e il terzo capo della sentenza del Tribunale di Varese, che hanno rigettato la domanda formulata da (...) s.n.c. di (...) nei confronti di (...) (U.) s.p.a. e l'hanno condannata a rifondere le spese di lite del giudizio di primo grado in favore di (...) s.p.a., capi, quindi, che sono diventati definitivi. La Corte, ritenendo parzialmente fondati i motivi d'appello n. 2, 3, 4 e 5 e, per conseguenza il motivo d'appello n. 1, ha disposto una consulenza tecnica contabile. Benché, dopo l'espletamento della consulenza tecnica, l'intervenuta, con la comparsa conclusionale depositata, non ha più proposto alcuna contestazione nei confronti dei suddetti motivi d'appello, appare opportuno, per completezza, dar conto brevemente delle ragioni della loro parziale fondatezza. In primo luogo, è principio pacifico che il soggetto che agisce in giudizio, per ottenere la restituzione di quanto asseritamente pagato indebitamente (quindi nella fattispecie in esame l'appellante (...) s.r.l.), sia tenuto a fornire la prova: - della sussistenza del pagamento in favore dell'accipiens, di cui è chiesta la restituzione; - del titolo posto a giustificazione del pagamento (essendo, invece, onere dell'accipiens allegare quale sia il titolo, qualora il solvens alleghi e provi che, né al momento del pagamento né successivamente, venne indicato alcun titolo); - dell'insussistenza o dell'estinzione o dell'invalidità o dell'inefficacia del titolo di pagamento. In secondo luogo, nel caso in cui i pagamenti, di cui è chiesta la ripetizione, siano stati effettuati nell'esecuzione di un rapporto di conto corrente bancario (come nella fattispecie in esame), gli estratti periodici analitici del conto, redatti dalla banca e comunicati al correntista e da questo non tempestivamente contestati, costituiscono prova dell'effettiva sussistenza degli addebiti e degli accrediti annotati per gli importi indicati nel conto nonché del titolo posto a giustificazione degli stessi. In terzo luogo, il correntista può fornire la prova della sussistenza dell'addebito e del suo titolo giustificativo anche con mezzi di prova differenti dall'estratto conto analitico; nella fattispecie in esame, l'appellante con riguardo al primo trimestre del 2006 (per il quale non ha prodotto gli estratti conto analitici) ha prodotto dei documenti denominati "Schede movimenti per conto", redatti su carta intestata di (...), asseritamente provenienti da quest'ultima (circostanza non contestata dalla banca), in cui sono riportati tutti i movimenti verificatisi nel conto nel periodo in questione in modo del tutto simile alle modalità con cui viene redatto l'estratto conto analitico; pertanto tali documenti costituiscono prova, così come gli estratti conto, degli addebiti e degli accrediti sul conto e dei rispettivi titoli giustificativi. In quarto luogo la totale mancanza, nel presente giudizio, degli estratti conto (e di qualunque altro documento sostituivo) per il periodo dall'apertura del conto fino al 31.12.1996 non impedisce di valutare la fondatezza o meno dell'azione di ripetizione proposta dall'appellante per il periodo dal 1.1.1997 alla chiusura del conto, atteso che per tale periodo (ad eccezione del mese di febbraio 2007, sul quale si ritornerà nel prosieguo) risultano accertati tutti gli addebiti e gli accrediti effettuati ed il loro titolo, fermo restando che la determinazione del saldo finale del conto deve essere effettuata ritenendo corretto il saldo iniziale al 1.1.1997, così come riportato nel primo estratto conto disponibile in giudizio, atteso che l'appellante, sulla quale incombeva il relativo onere, non avendo prodotto gli estratti conto precedenti (né eventuali documenti sostituivi), non ha fornito la prova dell'eventuale carattere illegittimo delle annotazioni sul conto a suo debito operate dalla banca, che hanno determinato il saldo riportato nell'estratto al 1.1.1997. In quinto luogo, a prescindere dalla sussistenza o meno di una specifica domanda (comunque nella fattispecie in esame sostanzialmente sussistente), a fronte di una domanda con cui il solvens richiede la restituzione di una serie di pagamenti, ritenuti indebiti, effettuati dal 1985 al 15.10.2009, il giudice ben può limitare la condanna alla restituzione di somme che risultano effettivamente pagate solo successivamente al 1.1.1997, qualora accerti che per tale periodo sussista il carattere indebito dei pagamenti effettuati, rigettando, invece, la domanda con riguardo al periodo precedente per totale carenza di prova. In sesto luogo, la mancanza dell'estratto conto per il solo mese di febbraio 2007 può essere neutralizzata semplicemente determinando il saldo corretto (ricalcolato, cioè, con l'eliminazione degli addebiti illegittimi) alla data del 31.1.2007 e sommando algebricamente tale saldo con l'importo di Euro - 25.711,05 (pari alla differenza tra il saldo negativo per la correntista al 28.2.2007 di Euro 136.963,57 e il saldo negativo per la correntista al precedente 31.1.2007 di Euro 111.252,52), posto che questo incremento del saldo negativo per la correntista risulta essere stato determinato da annotazioni a suo debito, avvenute nel suddetto periodo di febbraio 2007, la cui sussistenza e il cui titolo, in assenza del relativo estratto conto (che sarebbe stato onere dell'appellante produrre), non risulta accertata. In settimo luogo, nella fattispecie in esame, a prescindere da quale sia stata la parte ad effettuare la produzione documentale relativa, risulta accertato che nel corso del rapporto, quanto meno dal 1995 in poi, tra le parti sono stati conclusi ripetuti contratti scritti di apertura di credito; pertanto, fermo restando che, a fronte dell'eccezione di prescrizione sollevata dalla banca, è onere del correntista fornire la prova del carattere ripristinatorio anziché solutorio delle rimesse da lui eseguite, accreditate sul conto, non può presumersi, come ritenuto dal Tribunale, che, nella fattispecie in esame, tutte le rimesse annotate abbiano carattere solutorio, ma occorre valutare per ciascuna rimessa l'eventuale natura solutoria o meno in relazione al limite dell'apertura di credito concessa e al saldo (attivo o passivo) del conto al momento dell'annotazione della rimessa. La Corte, quindi, ritenendo altresì fondate, per le ragioni che verranno in seguito brevemente esposte solo per la parte in cui risultino ancora contestate dall'intervenuta, le eccezioni di merito sollevate dall'appellante, con riguardo all'asserita illegittimità degli addebiti per commissione di massimo scoperto, per spese non pattuite esplicitamente nel contratto e per interessi prodotti dagli interessi scaduti e capitalizzati fino al 30.6.2000, ha disposto consulenza contabile, formulando il seguente quesito. "Determini il CTU il saldo finale alla data del 15.10.2009 del conto corrente n. (...), intercorso tra le parti, con decorrenza dal 1.1.1997, tenendo in considerazione l'eventuale prescrizione di tutte le rimesse annotate in conto fino al 26.4.2006, ad eccezione di quelle di cui risulti accertata la natura ripristinatoria sulla base dei contratti di apertura di credito prodotti in giudizio, secondo le seguenti modalità: - come saldo iniziale deve essere assunto quello riportato nel primo estratto conto disponibile alla data del 1.1.1997; - per il trimestre gennaio, febbraio, marzo 2006 possono essere utilizzate le "schede movimenti" prodotte in giudizio come doc. 7 appellante; - attesa la mancanza dell'estratto conto di febbraio 2007, il saldo rideterminato al 31.1.2007 deve essere riportato al 1.3.2007, algebricamente addizionato dell'importo di Euro - 25.711,05 (pari alla differenza tra il saldo negativo al 28.2.2007 di Euro 136.963,57 e il saldo negativo al 31.1.2007 di Euro 111.252,52); - devono essere eliminati gli addebiti eventualmente annotati a tiolo di commissione di massimo scoperto; - devono essere eliminati gli interessi eventualmente calcolati sugli interessi scaduti e capitalizzati fino al 30.6.2000; - devono essere eliminate le spese eventualmente annotate e non esplicitamente pattuite nei contratti (di conto corrente e di apertura di credito) intercorsi tra le parti". Il Consulente tecnico, per la determinazione del saldo finale al 15/10/2009 del conto corrente di corrispondenza n. (...) intercorso tra le parti, come richiestogli nel quesito: 1) ha assunto come saldo iniziale del conto quello riportato nel primo estratto conto disponibile in giudizio alla data del 1/1/1997; 2) ha eliminato gli addebiti annotati a titolo di commissione di massimo scoperto; 3) ha eliminato gli addebiti annotati a titolo di spese, non esplicitamente pattuite nei contratti di conto corrente e di apertura di credito; 4) ha eliminato gli addebiti annotati a titolo di interessi prodotti dagli interessi scaduti e capitalizzati fino al 30/6/2000. Il consulente ha quindi concluso che, considerando come "rimesse" "tutti i movimenti in accredito (dunque anche i giroconti da conto evidenza per maturazione valuta)", "sono risultati prescritti e dunque non più ripetibili tutti gli addebiti della banca avvenuti fino al 31/3/2006 incluso; di conseguenza tali addebiti sono stati ripristinati dalla scrivente risultando, per l'effetto, espunti e poi ricalcolati solo gli addebiti successivi al 31/3/2006"; pertanto: "il saldo finale al 15/10/2009 del conto corrente di corrispondenza n. (...), intercorso tra le parti, risulta pari ad Euro 7.148,87 a credito del correntista (a fronte di un saldo banca alla medesima data di Euro zero, essendo il conto estinto). A fronte della richiesta del consulente tecnico di parte appellante, il consulente d'ufficio ha altresì rideterminato il saldo del conto, anche non considerando "rimesse" "i movimenti in accredito costituiti da giroconti da conto evidenza per maturazione valuta"; secondo tale metodo "sono risultati prescritti e dunque non più ripetibili tutti gli addebiti della banca avvenuti fino al 31/12/2005 incluso; di conseguenza tali addebiti sono stati ripristinati dalla scrivente, risultando, per l'effetto, espunti e poi ricalcolati solo gli addebiti successivi al 31/12/2005"; pertanto: "il saldo finale al 15/10/2009 del conto corrente di corrispondenza n. (...) intercorso tra le parti risulta pari ad Euro 7.113,35 a credito del correntista (a fronte di un saldo banca alla medesima data di Euro zero, essendo il conto estinto)." Dopo il deposito della consulenza tecnica le parti hanno parzialmente modificato le proprie difese come sopra riportato nella parte relativa. A) L'appellante, pur con una comparsa parzialmente contraddittoria, in sede di precisazione delle conclusioni ha chiesto esplicitamente la condanna di (...) alla restituzione della somma di Euro 7.148,87 (pari cioè al saldo del conto accertato dal CTU), quindi: - in primo luogo, deve ritenersi che condivida la correttezza del metodo seguito dal CTU per l'individuazione delle rimesse da considerare ai fini della prescrizione, rinunciando così al metodo (peraltro risultato per lei più svantaggioso) proposto dal proprio consulente di parte; - in secondo luogo, deve ritenersi che abbia rinunciato a tutte le eccezioni di illegittimità degli addebiti, sollevate con l'atto d'appello, diverse da quelli esplicitamente considerati dal CTU nel rispondere al quesito formulato dalla Corte e che hanno portato alla determinazione del saldo suddetto, ritenuto corretto dall'appellante. Al riguardo si rileva solamente che, contraddittoriamente rispetto alle conclusioni da ultimo precisate all'udienza del 26.10.2022, nella comparsa conclusionale l'appellante ha ancora sostenuto l'illegittimità degli addebiti degli interessi prodotti dagli interessi scaduti e capitalizzati anche per il periodo successivo al 30.6.2000 (addebiti che la Corte ha, invece, chiesto, con il quesito sottoposto al CTU, che fossero computati nel conto), per il fatto che, a suo dire, a seguito della Del.CICR 9 febbraio 2000, per la legittimità dell'anatocismo sul conto corrente non è sufficiente la sola pubblicazione dell'avviso in G.U. da parte della Banca, in quanto l'introduzione della capitalizzazione trimestrale reciproca sarebbe di carattere peggiorativo, con conseguente obbligo ex art. 7 della menzionata Delibera dell'accettazione scritta da parte del correntista, che nella fattispecie in esame non c'è stata. Come già detto, l'appellante ha, però, chiesto la condanna dell'appellata a restituire proprio la somma, determinata dal CTU come saldo del conto anche sulla base della ritenuta legittimità degli addebiti per interessi prodotti dagli interessi scaduti e capitalizzati successivamente al 30.6.2000, e ciò comporta la rinuncia a far valere l'eccezione in questione, che, peraltro, questa Corte d'Appello ritiene infondata per propria uniforme giurisprudenza (cf. per tutte sentenza n. 2784/2020 della Corte d'appello di Milano). B) L'intervenuta (...) ha, invece, contestato la correttezza del saldo determinato nella consulenza tecnica per i motivi, sopra riportati nella parte relativa alle "Difese delle parti", che la Corte ritiene, però, infondati. Il motivo n. 1 è infondato, in quanto gli estratti conto per il periodo dal 1.1.1997 al 31.12.1996 sono stati, pacificamente, prodotti dall'appellante con la memoria ex art. 183 c. 6 n. 2 c.p.c., quando, cioè, ancora non era preclusa la facoltà per la parte di produrre documenti a sostegno della propria domanda. Il motivo n. 2 è infondato, in quanto la clausola che prevede la commissione di massimo scoperto è così formulata: "commissione sul massimo scoperto 0,250%", senza alcuna indicazione esplicita né della periodicità dell'addebito (solo implicitamente desumibile, forse, dalla prevista chiusura trimestrale del conto) né, soprattutto, della somma sul cui importo calcolare la commissione in questione (posto che il termine "massimo scoperto" è generico e può, quindi, riferirsi a basi di calcolo differenti); pertanto l'oggetto della clausola in questione risulta indeterminato e indeterminabile e, quindi, la clausola è nulla. Il motivo n. 3 è infondato, in quanto, per valutare, al fine di accertare il dies a quo per la prescrizione, se le rimesse accreditate sul conto (rimesse di cui viene chiesta la restituzione) hanno natura solutoria oppure ripristinatoria (accertamento che dipende dal saldo del conto sussistente nel momento in cui la rimessa viene accreditata, saldo, quindi, che è influenzato anche dagli addebiti che sono annotati nel conto), è corretto prendere in considerazione le annotazioni a debito del correntista che sono legittime (eliminando quindi quelle illegittime). Nella fattispecie in esame, comunque, il CTU ha accertato che "per quanto riguarda il ricalcolo svolto in base al "primo metodo", si è pervenuti a quantificare in ogni caso ?.. rimesse solutorie tali per cui tutti gli addebiti del periodo ante 26/4/2006 (NdR termine finale da prendere in considerazione per accertare la sussistenza della prescrizione) sono risultati comunque prescritti", anche utilizzando il metodo cd. del ricalcolo dei saldi corretti, contestato dalla banca. L'intervenuta non ha invece contestato né l'eliminazione degli addebiti per interessi prodotti dagli interessi scaduti e capitalizzati fino al 30.6.2000 né l'eliminazione degli addebiti per le spese, che il CTU ha accertato non essere state esplicitamente pattuite nei contratti scritti stipulati tra le parti, addebiti, la cui eliminazione era stata richiesta nel quesito sottoposto al CTU; pertanto, deve ritenersi rinunciata da parte sua qualunque eccezione al riguardo. In conclusione, (...) s.r.l. ha diritto ad ottenere la restituzione della somma di Euro 7.148,87 (così determinato dal consulente tecnico contabile), come saldo del conto corrente n. (...), indebitamente trattenuto da (...) s.p.a., con interessi al saggio di cui all'art. 1284 c. 1 c.c. dalla data della costituzione in mora del 26.4.2016 al saldo. Posto che, ai sensi dell'art. 2560 c.c., dei debiti, inerenti l'esercizio dell'azienda ceduta (nella fattispecie in esame da (...) a (...)) anteriori al trasferimento (quale è quello nei confronti di (...) s.r.l.), rispondono sia il cedente, a meno che il creditore non lo abbia liberato (circostanza neppure allegata da (...)), sia il cessionario, quando il debito risulti dai libri contabili obbligatori (circostanza mai contestata da (...)), sia (...) che (...) sono obbligati, in solido tra loro a pagare la somma suddetta a (...) s.r.l. Regolamento delle spese di lite Tenuto conto che l'appellante risulta vittoriosa solo per una parte significativamente inferiore all'importo della domanda formulata in primo grado, (...) e (...) sono obbligate, in solido tra loro, a rifondere 1/5 delle spese di lite sostenute in entrambi i gradi del giudizio da (...) s.r.l., spese di lite che sono liquidate secondo i parametri tra i minimi e i medi (tenuto che il valore della causa è di pochissimo superiore al limite minimo dello scaglione) dello scaglione da Euro 52.000 a Euro 260.000; mentre i restanti 4/5 sono compensati tra le parti. (...) s.r.l. ha altresì diritto alla restituzione delle somme eventualmente già corrisposte ad (...) in esecuzione della sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale di Varese (restituzione per la quale non può essere qui pronunciata sentenza di condanna, in assenza dell'allegazione dell'importo della somma corrisposta e della prova dell'avvenuta corresponsione). Per le medesime ragioni le spese per la consulenza tecnica disposta nel giudizio d'appello devono essere poste per metà a carico di (...) e di (...), in solido tra loro e per l'altra metà a carico di (...) s.r.l., mentre le spese per i consulenti tecnici di parte devono essere sopportate da ciascuna parte per il proprio consulente. P.Q.M. La Corte d'Appello di Milano, definitivamente pronunciando, in riforma del secondo e del quarto capo della sentenza n. 215/2021 del Tribunale di Varese, così dispone: 1) Condanna (...) s.p.a. e (...) s.p.a. a restituire a (...) s.r.l. la somma di Euro 7.148,87, con interessi al saggio di cui all'art. 1284 c. 1 c.c. dalla data del 26.4.2016 al saldo. 2) Condanna (...) s.p.a. e (...) s.p.a. a rifondere 1/5 delle spese di lite, da distrarsi in favore dell'avv. (...), dichiaratosi antistatario, sostenute da (...) s.r.l. in entrambi i gradi del giudizio, che liquida, nell'intero, per il giudizio di primo grado in complessivi Euro 10.000 e, per il presente giudizio, in complessivi Euro 10.000, oltre spese generali del 15% e accessori di legge per entrambi i gradi di giudizio, e dichiara compensati tra le parti i residui 4/5. 3) Pone le spese per la consulenza tecnica disposta in grado d'appello, nella misura liquidata con separato decreto, per metà a carico di (...) s.p.a. e di (...) s.p.a, in solido tra loro e per metà a carico di (...) s.r.l. Così deciso in Milano il 25 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 27 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI ROMA SECONDA SEZIONE CIVILE Specializzata in materia d'impresa Composta da: Dott.ssa Gianna Maria Zannella - Presidente Relatore Dott. Camillo Romandini - Consigliere Dott. Mario Montanaro - Consigliere Riunita in camera di consiglio, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile di secondo grado, iscritta al n.r.g. 4891/2020, riservata in decisione all'udienza del 24 gennaio 2023, tenuta con modalità cartolari, come da decreto di questa Corte depositato il 6.12.2022, con termini anticipati alle parti per depositare memorie conclusionali al fine di rendere la sentenza ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c. vertente TRA (...) CF (...) B.M. CF (...) Elett.te dom.ti in Roma via Piemonte n. 32 presso lo studio dell'Avv. Gi.Sp. che li rappresenta e lo difende come da procura in calce all'opposizione a decreto ingiuntivo in primo grado APPELLANTI E (...) s.r.l. unipersonale CF (...) in persona del suo legale rapp.te in persona della mandataria (...) s.p.a. Elett. te dom.ta presso l'indirizzo p.e.c. (...) e (...) e rapp.ta e difesa dagli Avv. Ca.Ca. e Ma.Va. per procura allegata alla comparsa di costituzione e risposta in appello INTERVENUTA E (...) s.p.s. quale mandataria di (...) s.p.a. (...) s.p.a. ora (...) s.p.a. in persona del rispettivo legale rapp.te APPELLATE CONTUMACI Oggetto: appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 11493/2020, pubblicata l'8.8.2020. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE 1.Con la sentenza impugnata nel presente giudizio il Tribunale di Roma, premesso che: i sig.ri (...) e (...) avevano proposto opposizione al decreto ingiuntivo n. 5203/2018, pronunciato nei loro confronti dal Tribunale di Roma su ricorso della (...) s.p.a. non personalmente ma quale mandataria di (...) s.p.a. a sua volta mandataria della (...) s.p.a., con il quale era stato loro ingiunto, nelle rispettive qualità di debitore principale e di fideiussore, il pagamento della somma di Euro 168.939,75 oltre interessi e spese, a titolo di rate scadute e non pagate del mutuo ipotecario concluso il 27.4.2011 tra il sig. (...) e la (...) soc.coop. a r.l., nel quale la sig.ra (...) si era resa fideiussore; essi avevano pertanto convenuto in giudizio (...) s.p.a. nella predetta qualità; si era costituita in giudizio (...) s.p.a. quale mandataria dell'originaria creditrice; l'opposizione era infondata; ha pertanto respinto l'opposizione, regolando le spese secondo il principio della soccombenza. Ha osservato il Tribunale, per quanto rileva ai fini dell'appello che: era infondata la doglianza degli opponenti, secondo la quale (...) s.p.a. era carente di legittimazione attiva, perché il mutuo era stato concluso con il diverso soggetto (...) soc. coop. a r.l.; quest'ultima, invero, con l'atto pubblico del 13.12.2016 aveva ceduto a (...) s.p.a. il ramo di azienda bancaria composto dalle attività - compresi crediti in sofferenza - di 635 filiali, tra cui quella dell'agenzia ove era stato concluso il mutuo; la banca aveva provato la fonte del proprio credito, costituita dal mutuo ipotecario stipulato il 27.4.2011, nel quale il G. era individuato quale datore di ipoteca e la (...) quale garante; gli opponenti, nel lamentare l'applicazione al contratto di mutuo di interessi usurari e capitalizzazioni illegittime, avevano errato, in quanto le pattuizioni erano del tutto legittime e gli interessi erano computati entro la soglia usuraria, non potendosi sommare ai fini dell'usura gli interessi corrispettivi e quelli moratori. Con l'appello che ci occupa, gli appellanti in epigrafe indicati, hanno convenuto in giudizio (...) s.p.a. " e per essa" (...) s.p.a., nonché (...) s.p.a. ( già (...) s.p.a.) con la citazione notificata a tutte le appellate il 30.9.2020, chiedendo accogliersi le conclusioni riassunte in epigrafe e censurando la sentenza di primo grado per i seguenti motivi: errata motivazione del Giudice di primo grado laddove aveva respinto l'eccezione di carenza di legittimazione attiva della banca opposta; omessa pronuncia in ordine alla lamentata presenza di tassi usurari anche in relazione ai " contratti collegati al mutuo" e violazione da parte della banca degli artt. 1362, 1175 e 1375 c.c.; errata invocazione della decadenza dal beneficio del termine, in quanto la banca aveva genericamente fatto riferimento alla revoca delle facilitazione concesse, ma non alla revoca del mutuo; "presenza di tassi usurari" anche in relazione ai contratti collegati al mutuo, tra cui il conto corrente, rispetto ai quali la banca era venuta meno al proprio dovere di correttezza e buona fede; violazione dell'art. 115 sgg. t.u.b. in relazione al conto corrente, del quale essi non avevano ricevuto alcuna documentazione, non potendo quindi prendere visione dell'interesse applicato "a debito". Le appellate sono rimaste contumaci. Si è costituita con comparsa di risposta depositata il 15.10.2021, (...) s.r.l. in persona della mandataria in epigrafe indicata, premettendo che: con atto pubblico in data 13.12.2016 (...) Soc. Coop. a r.l. aveva conferito a (...) S.p.A. (la quale col medesimo atto aveva variato la propria denominazione in (...) S.p.A.) il ramo d'azienda bancario composto dalle attività e passività connesse ai rapporti e all'operatività con la clientela relativi alle 635 filiali come descritte nel citato atto (tra cui l'Agenzia n. 0251 - SEDE DI R. P.le F., 1, presso la quale era intrattenuto il rapporto oggetto di causa); con atto pubblico in data 13 dicembre 2016, rep. n. (...) e racc. n. (...), (...) Soc. Coop. a r.l., e (...) Soc. Coop., si erano fuse mediante costituzione di (...) S.P.A. Questa, con decorrenza dal giorno 01.01.2017, era subentrato di pieno diritto e senza soluzione di continuità, ai sensi dell'art. 2504 bis, primo comma, c.c., alle Società partecipanti alla fusione in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi in essere od in fieri; in forza del contratto di cessione di crediti, concluso in data 28.12.2018 e con efficacia economica 30/06/2018 ed efficacia giuridica 28/12/2018, (...) s.r.l. aveva acquistato pro-soluto da (...) s.p.a., un portafoglio di crediti pecuniari individuabili in blocco , con ogni accessorio e garanzia agli stessi connessi, come da relativo avviso di cessione di crediti pro-soluto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana - Parte Seconda n. 2 del 05.01.2019; tra i crediti vi era quello di causa; i crediti ceduti in blocco risultavano da apposita lista (depositata presso il Notaio (...), con atto di deposito rep. n. (...) e racc. n. (...), e pubblicata, ai sensi dell'articolo 7.1 della L. 30 aprile 1999, n. 130, sul sito internet (...) fino alla lo ro estinzione) in cui era indicato, con riferimento a ciascun debitore ceduto, il codice identificativo del rapporto da cui aveva avuto origine uno o più dei crediti vantati dai cedenti nei confronti del relativo debitore ceduto; tra i crediti di cui alla sopra citata cessione, era compreso, con ogni accessorio e garanzia allo stesso connessi, quello oggetto di causa. Ha di seguito ripercorso le principali clausole del mutuo, contestando l'impugnazione in rito e nel merito. In seguito è stata fissata l'odierna udienza, tenuta con modalità cartolari, al fine di precisare le conclusioni e provvedere con sentenza ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c. concedendo alle parti i termini anticipati per depositare memorie conclusionali. Entrambe le parti costituite hanno depositato memorie conclusionali Al termine dell'udienza odierna, tenuta con modalità cartolari, la causa è stata riservata in decisione. 2. L'appello, ad avviso della Corte, è infondato e va respinto. 2.1. Il primo motivo è infondato. Dagli atti pubblici prodotti e riassunti in narrativa emerge che: il 13.12.2016 la banca mutuante, originaria creditrice ha conferito il ramo d'azienda costituito dalle attività e passività connesse ai rapporti negoziali in essere in 635 filiali, compresa quella ove era stato concluso il mutuo litigioso in favore di (...) s.p.a. Questa, all'atto del conferimento, ha mutato denominazione in (...) s.p.a. e, in seguito alla fusione su descritta, ha dato luogo a (...) s.p.a., divenuta in tal modo titolare dei crediti della prima; l'odierna intervenuta è divenuta cessionaria pro soluto da (...) s.p.a. di crediti in blocco, ai sensi dell'art. 58 T.U.B. individuabili come esposto in narrativa, tramite la consultazione del sito internet della banca, atta a consentire l'individuazione di ciascun rapporto oggetto di cessione. Gli appellanti, a seguito della costituzione di (...) s.r.l. non hanno lamentato di non aver avuto accesso ai sito internet o che, acceduti, non hanno rinvenuto il titolo che li vede debitori. Ai sensi dell'art. 58 t.u.b. nei confronti dei debitori ceduti gli adempimenti pubblicitari previsti nel medesimo articolo al secondo comma producono l'effetto di cui all'art. 1264 c.c. Tutto ciò riassunto, è del tutto irrilevante la censura degli appellanti alla sentenza impugnata circa il preteso difetto di legittimazione attiva della banca ricorrente; invero, al tempo del ricorso monitorio la banca originaria mutuante si era già fusa nella banca ricorrente, con le operazioni di fusione sin qui richiamate. 2.2.Il secondo motivo è infondato. Il mutuo è stato revocato, in quanto nella lettera raccomandata prodotta in atti, del 6.7.2016, si è fatto chiaro riferimento al finanziamento n. (...) ed al residuo debito di Euro 162.483,43, che peraltro è stato chiaramente individuato dai debitori: essi, nell'atto di opposizione a decreto ingiuntivo, si sono espressamente qualificati "disponibili sin d'ora a corrispondere le rate scadute". 2.3.La Corte osserva che non vi è alcuna allegazione, né alcun elemento di prova da cui inferire che il contratto di mutuo in esame preveda tassi usurari. Gli appellanti nulla hanno illustrato circa l'ipotetica applicazione di interessi usurari al contratto di mutuo litigioso, limitandosi a fornire una generica motivazione a sostegno della propria tesi; nessuna specifica contestazione e/o argomentazione inerente alla disciplina di cui alla L. n. 108 del 1996 al contratto di mutuo è stata posta a fondamento del motivo di appello. Il tasso d'interesse convenuto nel mutuo era pari all'euribor a tre mesi maggiorato del 2%; esso, alla data di stipula del mutuo, era pari a 3,20%; il taeg era pari al 3.322% ed il tasso di mora era pari al TAN maggiorato dell'1%. Ai sensi dell'art. 117 IV comma t.u.b. "i contratti indicano il tasso di interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora". Esso è nella specie rispettato. I tassi rispettivamente corrispettivi e moratori assurgono a funzioni diverse. Sul punto la giurisprudenza di legittimità ha osservato: in tema di usura bancaria, ai fini della determinazione del tasso soglia, non è possibile procedere al cumulo materiale delle somme dovute alla banca a titolo di interessi corrispettivi e di interessi moratori, stante la diversa funzione che gli stessi perseguono in relazione alla natura corrispettiva dei primi e di penale per l'inadempimento dei secondi, sicché è necessario procedere al calcolo separato della loro relativa incidenza, per i primi ricorrendo alle previsioni dell'art. 2, comma 4, della L. n. 108 del 1996 e per i secondi, ove non citati nella rilevazione dei decreti ministeriali attuativi della citataprevisione legislativa, comparando il tasso effettivo globale, aumentato della percentuale di mora, con il tasso effettivo globale medio del periodo di riferimento: Cass. del 2021 n. 31615. È conforme anche Cass. del 2019 n. 26286. La giurisprudenza di legittimità ( Cass. n. 19597/2020) ha ritenuto l'applicabilità della normativa antiusura anche agli interessi moratori, individuando anche le modalità di calcolo del tasso - soglia che sono differenti a seconda che i decreti ministeriali di cui all'art. 2 primo comma L. n. 108 del 1996 contengano o meno la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori finanziari. La S.C. ha ritenuto che al fine di tale rilevazione possa soccorrere anche la rilevazione di B.I. sulla maggiorazione media prevista nei contratti del mercato a titolo di interesse moratorio, in quanto " può costituire l'utile indicazione oggettiva idonea a determinare la soglia rilevante". Ove i decreti ministeriali contengano la maggiorazione media dei tassi moratori il tasso soglia usurario sarà dato dal t.e.g.m. incrementato della maggiorazione media degli interessi moratori, moltiplicato per il coefficiente in aumento e con l'aggiunta degli ulteriori punti percentuali previsti dal IV comma del citato art. 2; ove i decreti ministeriali non contengano tale maggiorazione, la predetta formula non si applicherà, ma si eseguirà comparazione tra il t.e.g. del singolo rapporto comprensivo degli interessi moratori e il t.e.g.m. rilevato nei suddetti decreti. I t.e.g.m. non sono comprensivi degli interessi moratori ma l'indagine statistica condotta a fini conoscitivi da (...) e dall'Ufficio italiano dei cambi aveva rilevato la maggiorazione stabilita contrattualmente per la mora è mediamente pari a 2.1 punti percentuali. Dall'esame congiunto dell'opposizione e delle memorie ex art. 183 c.p.c. degli opponenti non vi è alcun raffronto tra il tasso pattuito ed il tasso soglia, né alcuna deduzione pertinente sul punto. Manca quindi persino l'allegazione del superamento del tasso, pur possibile raffrontando le pattuizioni negoziali con i d.m. E' nel resto inconferente la difesa degli appellanti circa la pretesa violazione degli artt.116 ss. t.u.b. per carenze informative, mancate comunicazioni delle variazioni contrattuali ed analoghe pretese violazioni di legge da parte della banca per anatocismo ed interessi usurari. In primo luogo, nella misura in cui si riferiscano al mutuo, la sua disciplina si rinviene integralmente nel contratto e nel piano di ammortamento, onde non è conferente il richiamo al conto corrente. Nella misura in cui l'appello abbia inteso riferirsi al conto corrente richiamato nelle difese degli opponenti ed appellanti, le difese degli appellanti sono irrilevanti poiché la banca ha azionato unicamente il mutuo, mentre gli opponenti non hanno proposto alcuna domanda riconvenzionale avente ad oggetto il conto corrente. "L'opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il giudice deve accertare la fondatezza della pretesa fatta valere dall'opposto, che assume la posizione sostanziale di attore, mentre l'opponente, il quale assume la posizione sostanziale di convenuto, ha l'onere di contestare il diritto azionato con il ricorso, facendo valere l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda o l'esistenza di fatti estintivi o modificativi di tale diritto, e può proporre domanda riconvenzionale, a fondamento della quale può anche dedurre un titolo non strettamente dipendente da quello posto a fondamento della ingiunzione, quando non si determini in tal modo spostamento di competenza e sia pur sempre ravvisabile un collegamento obiettivo tra il titolo fatto valere con l'ingiunzione e la domanda riconvenzionale, tale da rendere opportuna la celebrazione del "simultaneus processus". (Cass. n.6091/2020). 3.La sentenza impugnata deve pertanto confermarsi. Ne segue la condanna solidale degli appellanti al pagamento delle spese processuali del presente grado di giudizio in favore dell'intervenuta, che si liquidano come in dispositivo. Deve darsi atto della sussistenza dell'obbligo del pagamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato a carico degli appellanti, se dovuto: art. 13 comma 1 quater t.u. spese di giustizia e Cass. n. 4315 del 2020. P.Q.M. La Corte d'Appello di Roma, definitivamente pronunciando sull'appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 11493/2020, pubblicata l'8.8.2020, proposto tra le parti di cui in epigrafe: respinge l'appello; conferma la sentenza appellata; condanna in solido gli appellanti al pagamento delle spese processuali in favore della società intervenuta, liquidate in Euro 12.000 per onorari, oltre spese generali; dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte degli appellanti dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto. Così deciso in Roma il 24 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 24 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La CORTE DI APPELLO DI FIRENZE SEZIONE SECONDA CIVILE Così composta: dott. Edoardo Monti - Presidente dott. Ludovico Delle Vergini - Consigliere dott.ssa Annamaria Loprete - Consigliere rel. Ha pronunciato la presente SENTENZA Nella causa civile iscritta in grado di appello al n. 2409 del ruolo generale della Corte dell'anno 2019 promossa Da (...) rappresentato e difeso, anche disgiuntamente, dagli avv.ti Al.Ca. e Mi.Ma., entrambi del foro di Firenze, come da mandato allegato all'atto di citazione in appello. Appellante Contro (...) s.p.a., in qualità di incorporante per fusione (...) s.p.a. ((...) s.p.a.), rappresentata e difesa dall'avv. Ma.Pa. del foro di Milano come da comparsa di costituzione di nuovo difensore. Convenuta in appello (...) s.r.l. e per essa, quale mandataria, (...) s.p.a. a socio unico rappresentata e difesa dall'avv. Ce.De. del foro di Firenze come da mandato in calce all'atto di intervento ex art. 105 c.p.c. Intervenuta in appello Oggetto: contratti bancari (usura, anatocismo). FATTO E DIRITTO Il Tribunale di Prato, con sentenza ex art. 281-sexies c.p.c. n. 498 del 16.7.2019, previo espletamento di una Ctu contabile, ha disatteso le domande proposte da (...), in veste di fideiussore di (...) s.r.l., società titolare di un conto corrente ordinario n. (...) e due conti anticipi nn. (...) e (...), nei confronti di (...) (già (...) soc. coop.) protese ad ottenere 1- l'accertamento della illegittima applicazione di interessi usurari, della pratica anatocistica, delle commissioni di massimo scoperto, in quanto non pattuite, dell'illegittimo esercizio dello ius variandi previo ricalcolo delle valute per illegittima antergazione di valuta passiva e postergazione di valuta attiva con conseguente rideterminazione del saldo contabile dei singoli conti correnti e la conseguente condanna della banca alla ripetizione della somma di Euro 14.000,00 versata dal (...), nella sua veste di garante, per far fronte all'esposizione debitoria della società correntista; 2- l'accertamento della illegittima segnalazione alla (...) con conseguente condanna della banca al risarcimento del danno patito. In particolare, il Giudice di primo grado, dato atto della legittimazione attiva del (...) poiché le domande svolte erano finalizzate ad ottenere la ripetizione delle somme dal medesimo indebitamente versate in favore della banca, ha rilevato invece la legittimità del suddetto pagamento finalizzato al ripianamento dei debiti maturati dalla (...), non essendo emerse dalla perizia svolta poste creditorie della società correntista nei confronti della banca. Nonostante infatti il perito avesse accertato l'illegittima applicazione della capitalizzazione degli interessi e delle commissioni di massimo scoperto, dalla rideterminazione dei saldi dei singoli conti, tenuto conto della prescrizione delle rimesse effettuate dalla correntista nel decennio anteriore al momento della notifica dell'atto di citazione, avvenuta il 9.3.2015, emergeva comunque un saldo negativo ben superiore rispetto a quanto versato dal fideiussore all'istituto di credito in adempimento alla garanzia prestata. Segnatamente, con riferimento al conto corrente n. (...).52, ancorché il perito in forza della accertata illegittimità della pratica anatocistica nonché della applicazione delle CMS avesse rideterminato il saldo positivo del conto in + Euro 28.914,00 a credito della (...), il Giudice lo ha a sua volta ricalcolato in - Euro 38.407,73 considerando il giroconto di - Euro 67.321,73, "per estinzione del rapporto per giro esposizione a sofferenza" non avendo il (...) dimostrato che la somma di Euro 67.321,73 annotata in riaccredito dalla banca solo per chiudere ilrapporto di c/c e spostata in posizione a sofferenza fosse stata poi effettivamente versata dalla correntista alla banca (trattandosi l'accredito non di versamento reale ma un'annotazione necessaria ad azzerare per poter estinguere il conto). Per quanto attiene invece al contratto di conto anticipi n. (...), accertata l'inesistenza della capitalizzazione degli interessi e l'irrilevanza dell'usura, perché da considerarsi sopravvenuta, il Giudice ha rideterminato il saldo contabile in + Euro 626,56 a favore della società correntista riaccreditando esclusivamente le somme versate per l'illegittimo addebito della CMS. Infine, quanto al conto anticipi n. (...), a fronte di due diversi calcoli svolti dal perito per la mancata produzione del relativo contratto e quindi considerando, in un caso, l'illegittimità di ogni competenza attribuita e, nell'altro, la presunta esistenza di un accordo fra le parti con conseguente validità delle commissioni addebitate, il Giudice, aderendo alla seconda ipotesi, ha confermato la correttezza del saldo determinato dalla banca pari ad - Euro 44.936,00 non risultando né usura né indebita capitalizzazione degli interessi. In forza di ciò, il Tribunale ha poi ritenuto infondata la domanda di risarcimento del danno per illegittima segnalazione alla (...) sia della società garantita che del medesimo (...), sussistendo comunque una consistente esposizione debitoria della società correntista anche sulla base dei riaccrediti operati. Ha infine condannato parte attrice alla rifusione delle spese in favore della banca nonché al pagamento delle spese per l'espletata Ctu; ha inoltre condannato (...) al versamento di Euro 518,00, a titolo di sanzione in favore dello Stato attesa l'ingiustificata mancata comparizione alla mediazione. Avverso questa pronuncia (...) ha interposto appello, facendo valere le seguenti censure: 1) Falsa ed erronea applicazione dell'art. 2697 c.c. Afferma l'appellante che il Giudice avrebbe dovuto ordinare ex art. 210 c.p.c. all'istituto di credito l'esibizione della documentazione bancaria già richiesta dal (...) prima dell'introduzione del giudizio ai sensi dell'art. 119 TUB, poiché necessaria ai fini della prova della pretesa creditoria dell'attore ancorché, come correttamente rilevato dal Giudice, spettasse in prima battuta al (...) provare i fatti posti alla base delle domande avanzate. In mancanza di tale ordine, non avendo la banca prodotto con riferimento al conto anticipi n. (...) né il contratto né i relativi estratti conto l'attore non ha potuto dimostrare l'illegittimità delle competenze addebitate sul conto n. (...). Inoltre, l'appellante rileva che, nonostante la contestazione relativa all'illegittimo esercizio dello ius variandi ex art. 118 TUB, la banca non aveva dato prova di aver comunicato le modifiche unilaterali alla società correntista né che esistesse di volta in volta una valida giustificazione per l'esercizio di tali variazioni unilaterali. In forza di ciò il Giudice avrebbe dovuto dichiarare la nullità delle modifiche apportate con restituzione dei maggiori oneri da esse derivati. 2) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1422 e 2934 c.c. Il Giudice di prime cure si è pronunciato sulla domanda di ripetizione dell'indebito svolta dal (...) tenendo conto della prescrizione decennale dell'azione. Rileva tuttavia l'appellante che in realtà il Giudice avrebbe dovuto considerare l'illegittimità delle poste addebitate a prescindere dall'intervenuta prescrizione in modo tale da verificare, in prima battuta, l'illegittimità degli addebiti operati sul conto della (...) e la conseguenziale non debenza di quanto versato dal (...) per estinguere la relativa scopertura. 3) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1815 c.c.; 117 TUB e 117-bis TUB. L'appellante sostiene l'erroneità dei calcoli svolti dal Ctu fatti propri dal Giudice non avendo provveduto a rideterminare il saldo ex art. 117 TUB nonostante l'accertamento della indeterminatezza delle CMS e l'inesistenza di clausole di capitalizzazione degli interessi. Afferma che i contratti bancari "non sono indeterminati solo nella pattuizione delle CMS, ma sono integralmente indeterminati senza alcuna specifica sulle spese e oneri addebitati, facenti riferimento a un fido misto per portafoglio, a limiti di fido e scoperti, sovrapponendo il contratto base di servizi con contratti di credito plurimi e diversi, con oneri vari e valute non correttamente pattuiti, questo in violazione della trasparenza dovuta al proprio correntista". Oltre a ciò, il perito, pur avendolo accertato, non ha scomputato dal saldo i maggiori oneri derivanti dall'illegittima variazione unilaterale delle condizioni economiche; non ha detratto dal saldo del conto n. (...) la somma di Euro 37.027,41 a titolo di illegittimi addebiti confluiti dal conto anticipi n. 2554 né ricalcolato tutti gli interessi ex art. 117 TUB sul conto n. (...) attesa la nullità del contratto per mancata produzione del documento stesso e non ha neanche ricostruito il saldo dei singoli conti tenendo conto del giorno in cui le rimesse sono state effettuate e non del giorno di valuta considerato dalla banca. 4) Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 644 c.p., della L. n. 108 del 1996 nonché dell'art. 1815 c.c. L'appellante sostiene che il perito avrebbe dovuto calcolare il TEG tenendo conto sia della CMS che degli ulteriori oneri applicati in maniera occulta dalla banca ancorché non pattuiti. Rileva che ai fini della verifica del debordamento dal tasso soglia il perito avrebbe dovuto considerare anche le CMS seppur invalide applicando la seguente formula TEG = (interessi + oneri + c.m.s.) 36.500: numeri debitori, formula questa diversa rispetto a quella indicata dalla (...) in quanto quella predisposta da (...) in tema di usura non consente di conoscere il reale costo del credito e così argomenta: "introducendo una discriminazione fra interessi da un lato e commissioni, oneri e spese dall'altro: ai primi si applica rigidamente il disposto normativo, riferendoli al credito erogato, mentre ai secondi si applica un diverso e più edulcorato vincolo, riferendoli al credito accordato o, al più, al massimo credito concesso nel trimestre". Con riferimento poi all'usura sopravvenuta, il (...), richiamando alcune pronunce della giurisprudenza di merito, contesta l'estensione del principio elaborato sul tema da parte delle Sezioni Unite al contratto di conto corrente posto che, diversamente da quello di mutuo, la banca nel corso del rapporto può modificare le condizioni economiche originariamente pattuite. 5) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1936 e ss c.c. nonché della L. n. 287 del 1990. L'appellante deduce l'omessa pronuncia da parte del Tribunale in ordine: 1- alla qualifica della garanzia prestata - se in termini di fideiussione ovvero di contratto autonomo di garanzia -; 2-alla nullità delle clausole vessatorie pattuite, avendo il (...) pattuito la fideiussione in qualità di consumatore; 3- alla domanda di nullità della fideiussione prestata poiché predisposta sul modello A. e pertanto contraria alla normativa antitrust. 6) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. con riferimento al rigetto della domanda di risarcimento del danno per illegittima segnalazione alla (...) nonostante il Giudice avesse dato atto della illegittima applicazione della pratica anatocistica nonché della CMS. In data 19.2.2011 si è costituita (...) s.p.a. ((...) s.p.a.), che nelle more della definizione del presente giudizio è stata incorporata per fusione in (...) s.p.a., avvenuta il 12 aprile 2022, con efficacia a far data dal 24 aprile 2022, chiedendo, in rito, dichiararsi l'inammissibilità dell'appello ex art. 342 c.p.c. e, nel merito, il rigetto attesa l'infondatezza nel merito delle censure. Segnatamente l'appellata rilevava la tardività della eccezione di nullità della fideiussione per contrasto con la normativa antitrust poiché dedotta per la prima volta soltanto all'udienza di precisazione delle conclusioni del 18.9.2018. Per quanto attiene alla produzione dei documenti bancari, l'istituto di credito ha chiarito che l'omessa consegna della documentazione bancaria al (...) era dovuta al mancato pagamento dei costi di produzione richiesti dalla banca nella lettera di risposta del 20.5.2014. È intervenuta in giudizio il 19.2.2021 (...) s.r.l., in qualità di successore a titolo particolare di (...) avendo acquistato pro soluto il credito inerente alla posizione della società (...) s.r.l., e per essa, quale mandataria, (...) s.p.a. a socio unico, riportandosi a tutte le difese svolte dalla banca cedente. La causa è stata trattenuta in decisione a seguito di trattazione scritta con ordinanza collegiale del 24.5.2022 con concessione dei termini per il deposito delle conclusionali e delle repliche. Preliminarmente deve respingersi l'eccezione processuale di inammissibilità del gravame ex art. 342 c.p.c. avanzata dalla convenuta, posto che l'appellante nell'atto di citazione in appello ha correttamente indicato le parti della sentenza di primo grado da riformarsi e ha esposto le ragioni a sostegno delle doglianze mosse. Risultano pertanto chiari i motivi di gravame enucleati dall'appellante tali da far comprendere alla Corte quali siano gli errori in cui, a suo avviso, è incorso il Giudice di primo grado (si veda in tal senso Cass. SSUU 27199/2017). Sempre in via preliminare occorre poi pronunciarsi sulla questione della qualifica da attribuire alla garanzia prestata dal (...) posto che l'istituto di credito, contestando la natura di fideiussione, ha eccepito che il garante non potesse sollevare eccezioni con riferimento al rapporto principale, trattandosi di contratto autonomo di garanzia. Ora, premesso che il contratto autonomo di garanzia si distingue dalla fideiussione per la mancanza del vincolo dell'accessorietà o interdipendenza dal rapporto principale garantito, individuandosi la sua causa in una garanzia rafforzata integrata dalla costituzione in favore del creditore di un obbligo di indennizzo, ove comunque questi sia rimasto insoddisfatto, l'elemento che contraddistingue la garanzia autonoma dalla fideiussione non si rinviene solo nella previsione della clausola "a prima richiesta" quanto piuttosto nell'impossibilità per il garante di opporre al creditore tutte le eccezioni esperibili dal debitore principale (ex multis Cass. 4717/2019; Cass. 15091/2021; Corte App. Firenze 1512/2022). In assenza di una clausola che neghi al garante di opporre le eccezioni che il debitore principale può opporre al creditore, è rimessa al Giudice l'indagine circa la natura del negozio stipulato tenuto conto del complessivo regolamento contrattuale (cfr. SSUU 3947/2010; Cass. 4717/2019). Nel caso di specie si osserva come il contratto stipulato inter partes contenga la sola clausola "a prima richiesta scritta": difatti la previsione di cui all'art. 9, in forza del quale si dispone che "nessuna eccezione può essere opposta dal fideiussore riguardo al momento in cui la banca esercita la sua facoltà di recedere dai rapporti con il debitore" non è sufficiente a qualificare la garanzia come autonoma posto che non preclude al garante in generale di sollevare le ulteriori eccezioni che lo stesso debitore principale potrebbe opporre. Si osserva inoltre che vi sono ulteriori previsioni negoziali che si pongono in netto contrasto con una qualificazione del contratto come garanzia autonoma poiché sottintendono la sussistenza di un vincolo accessorio con il rapporto principale garantito. In particolare, si prevede all'art. 7 che "In caso di suo ritardo nel pagamento, il fideiussore è tenuto a corrispondere alla (...) gli interessi moratori nella stessa misura ed alle stesse condizioni previste a carico del debitore. L'eventuale decadenza del debitore del beneficio del termine si intenderà automaticamente estesa al fideiussore. Il fideiussore riconosce alla banca il diritto di stabilire a quali delle obbligazioni del debitore debbono imputarsi i pagamenti da lui fatti". Alla luce di ciò, pertanto, dovendo inquadrare il contratto di garanzia nella fideiussione omnibus e non, come sostenuto dalla banca, nella garanzia autonoma, si rileva come il (...) potesse sollevare qualsiasi eccezione inerente al rapporto garantito non sussistendo alcuna preclusione in tal senso. Andando ad esaminare il gravame nell'articolazione di tutti i suoi motivi, è opportuno dare una immediata risposta di carattere generale e di sintesi esegetica, salvo nel dettaglio approfondire le singole censure: l'appello proposto è infondato, perché pur tenendo conto delle correzioni apportate dalla Corte ai calcoli effettuati dal CTU circa la sussistenza dell'usura (alla luce di quanto meglio si dirà con riferimento al quarto motivo di gravame), prendendo a riferimento i saldi ricalcolati sui tre distinti rapporti per effetto della elisione degli addebiti illegittimi operati dalla banca, la complessiva posizione della società garantita (...) s.r.l. non si trasforma comunque da debitoria in creditoria verso la banca, né la posizione debitoria si riduce al di sotto della somma Euro 14.000,00 che è la somma richiesta in ripetizione dal (...), cosicché, in definitiva, non può ritenersi indebito il pagamento effettuato dal fideiussore alla banca medesima, in esecuzione della garanzia prestata. Premessa questa considerazione di sintesi che rappresenta il vertice della motivazione, e scandagliando gli specifici motivi di censura, si osserva quanto segue. Con il primo motivo l'appellante contesta, innanzitutto, l'omessa pronuncia da parte del Giudice di primo grado rispetto alla richiesta di esibizione ex art. 210 c.p.c. della documentazione bancaria già richiesta dal (...) in via stragiudiziale ai sensi dell'art. 119 TUB volta principalmente ad ottenere la produzione del contratto nonché degli estratti conto relativi al conto anticipin. (...). La richiesta, riproposta a questa Corte, non può trovare accoglimento. La giurisprudenza maggioritaria adotta una sorta di lettura combinata dell'art. 210 c.p.c. con l'art. 119 TUB nel senso che viene riconosciuto al correntista ovvero ai soggetti terzi cui ne sia stato riconosciuto il diritto - fra i quali è ricompreso anche il fideiussore - di precostituirsi la prova necessaria ai fini della dimostrazione della sua pretesa tramite l'invio della richiesta di consegna della documentazione contabile all'istituto di credito, con lo scopo secondario anche di valutare l'eventuale opportunità di agire in giudizio ed evitare l'incardinazione di azioni temerarie; il tutto senza tuttavia arrivare a scardinare il generale riparto dell'onere della prova di cui all'art. 2697 c.c. che, nel caso di azione promossa dal correntista (e quindi anche dal fideiussore), impone a quest'ultimo di dimostrare i fatti posti alla base di quanto domandato. Solo laddove l'istanza resti inevasa da parte della banca, soltanto in tal caso il cliente o il terzo che ne ha diritto potrà in giudizio chiedere al Giudice di ordinarne l'esibizione ai sensi dell'art. 210 c.p.c.. Pertanto, l'art. 210 c.p.c. in tali particolari rapporti soccorre al mancato adempimento da parte dell'istituto di credito di un obbligo espressamente imposto dal Legislatore. In una tale ottica si osserva che affinché possa essere accolta l'istanza ai sensi dell'art. 210 c.p.c. è necessario che preventivamente l'attore abbia inoltrato la richiesta in conformità del dettato normativo del TUB posto che in caso contrario si arriverebbe ad eludere essenzialmente l'onere della prova posta a carico di chi agisce. A conferma di ciò, si richiama il principio di diritto sancito dalla Suprema Corte nella pronuncia n. 24641 del 2021 - con la quale fra l'altro la Corte prende le distanze dalla precedente sentenza n. 11554/2017 richiamata dall'appellante a sostegno della sua prospettazione ed afferma quanto segue: "Il diritto spettante al cliente, a colui che gli succede a qualunque titolo o che subentra nell'amministrazione dei suoi beni, ad ottenere, a proprie spese, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni, ivi compresi gli estratti conto, sancito dall'articolo 119, quarto comma, del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, può essere esercitato in sede giudiziale attraverso l'istanza di cui all'articolo 210 c.p.c., in concorso dei presupposti previsti da tale disposizione, acondizione che detta documentazione sia stata precedentemente richiesta alla banca,che senza giustificazione non vi abbia ottemperato; la stessa documentazione non può essere acquisita in sede di consulenza tecnica d'ufficio contabile, ove essa abbia ad oggetto fatti e situazioni che, essendo posti direttamente a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti, debbano necessariamente essere provati dalle stesse". Orbene, nel caso in esame il (...) con lettera del 5.5.2014 ha inoltrato alla banca la richiesta di copia "degli estratti conto dall'inizio del rapporto fino alla chiusura" con riferimento al "conto corrente (...) n.(...)", richiesta che pertanto era limitata ai soli estratti conto del conto corrente n. (...), che sono stati prodotti in giudizio dallo stesso (...). Sicché essendo stata l'istanza circoscritta soltanto al conto corrente ordinario, rispetto al quale risulta esser stata prodotta la maggior parte della documentazione contabile, non può disporsi l'ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. con riferimento agli altri due conti e in particolare al conto anticipi n.2554 non avendo il (...) in sede stragiudiziale formulato una esplicita richiesta in tal senso. Sempre con riferimento al primo motivo di appello, il (...) censura l'omessa pronuncia da parte del Tribunale in ordine alla domanda di accertamento dell'illegittima variazione unilaterale ai sensi dell'art. 118 TUB: sul punto rileva la Corte l'assoluta genericità della domanda avanzata, posto che l'appellante/attore si è limitato a riportare gli obblighi imposti alla banca in forza della predetta norma e ad affermare che non è stato comunicato alcunché alla (...) da parte dell'istituto bancario. Alla luce di ciò non può che prendersi atto della mancata prova di quanto asserito posto che il normale riparto dell'onus probandi impone in questo caso al correntista di provare non soltanto che vi è stata variazione unilaterale delle condizioni ma che ciò sia avvenuto nel mancato rispetto delle prescrizioni normative. Si osserva comunque che all'art. 17 di entrambi i contratti versati in atti, cioè quelli relativi al conto corrente (...) e al conto anticipi (...), le parti hanno espressamente pattuito e sottoscritto la clausola che consente alla banca di modificare in via unilaterale le condizioni economiche nel rispetto del dettato normativo di cui all'art. 118 TUB. Passando al secondo motivo di appello, secondo la prospettazione dell'appellante il Giudice di primo grado avrebbe errato nell'applicazione dell'istituto della prescrizione in quanto rilevante nel solo caso in cui la società avesse agito al fine di ottenere in ripetizione le somme indebitamente versate all'istituto di credito; contrariamente il (...) ha agito al solo fine di vedersi restituire la complessiva somma di Euro 14.000,00 corrisposta alla banca tra il 2013 e il 2014 attesa l'illegittimità degli oneri imposti alla (...) La doglianza così posta è infondata: il Tribunale ha rideterminato il saldo dei tre diversi conti correnti tenuto conto dell'intervenuta prescrizione delle poste anteriori al decennio decorrente dalla notifica dell'atto di citazione, al fine di verificare la persistenza di una esposizione debitoria della (...) nei confronti della banca e pertanto la debenza e legittimità dei versamenti posti in essere dal (...) in veste di fideiussore. Dalla sentenza emerge che la complessiva somma dovuta dalla società (...) alla banca, previa espunzione delle accertate poste illegittime, è pari Euro 82.744,17, che consiste nella differenza fra i saldi negativi dei due conti nn. (...) e (...), e quindi a debito della correntista, e quello n. 1314.53 a credito della correntista (Euro 38.407,73 + Euro 44.936,00 - 626,56). Atteso l'ingente importo ancora dovuto dalla (...) è evidente come il (...), quale fideiussore della società, non abbia diritto alla ripetizione della minor somma versata di Euro 14.000,00 posto che l'esposizione debitoria è ben superiore a quanto corrisposto e pertanto il pagamento non può considerarsi indebito. È inoltre opportuno precisare che il Giudice correttamente ha rideterminato il saldo del conto corrente ordinario n. (...) in - Euro 38.407,73, discostandosi in tal modo dalle risultanze peritali dalle quali invece emergeva un saldo positivo di + Euro 28.914,00, posto che il perito nel ricalcolare il saldo al netto delle poste illegittimamente addebitate è partito dalla considerazione per cui il saldo finale del conto fosse pari a zero posto che l'esposizione debitoria di - Euro 67.321,73 risultava essere estinta in forza dell'annotazione di una entrata di pari importo: in realtà tale annotazione contabile è servita alla banca al solo fine di chiudere il conto per realizzare il passaggio a sofferenza dello stesso. Sì che l'esposizione debitoria doveva ritenersi, come il Tribunale ha fatto, ancora esistente: si sottolinea infatti che sul punto l'appellante non ha avanzato alcuna censura, confermando così la fondatezza del ragionamento e del ricalcolo effettuato dal Giudice. Con il terzo motivo di appello, il (...) ha censurato i calcoli svolti dal perito e a cui si era riportato il Giudice di prime cure con riguardo ad altri aspetti: segnatamente sostiene che il perito 1- non ha provveduto a ricalcolare il saldo contabile applicando i criteri di cui all'art. 117 TUB nonostante l'indebita applicazione da parte della banca delle CMS e della pratica anatocistica; 2- non ha scomputato gli ulteriori oneri pattuiti che risultano esser totalmente indeterminati né gli addebiti relativi alle variazioni ex art. 118 TUB; 3- non ha ricostruito le singole competenze per data invece che per valuta; 4- non ha detratto dal saldo del conto corrente n. (....).52 gli addebiti di Euro 37.027,41 relativi al conto anticipi n. (...) che devono considerarsi illegittimi attesa la nullità del contratto; 5- non ha ricalcolato il saldo del conto anticipi n. (...) ex art. 117 TUB tenuto conto della nullità del contratto attesa la mancata produzione sia del contratto originario che degli estratti conto. Tutte le censure sono infondate in quanto, con riguardo agli aspetti recriminati, i calcoli svolti dal Ctu sono corretti: si osserva quanto al punto n.1 che a fronte dell'accertata illegittimità della CMS addebitata nonché dell'applicazione della pratica anatocistica, il perito ha detratto le somme addebitate a tale titolo, ma senza tuttavia operare alcun ricalcolo ai sensi dell'art. 117 TUB, che invece sarebbe stato necessario solo in caso di mancata pattuizione per iscritto degli interessi ultra legali. Con riferimento al punto n.2, si rileva la genericità della contestazione avendo l'appellante fatto richiamo alla indeterminatezza di ulteriori "spese e oneri addebitati, facenti riferimento a un fido misto per portafoglio, a limiti di fido e scoperti, sovrapponendo il contratto base di servizi con contratti di credito plurimi e diversi, con oneri vari e valute non correttamente pattuiti", senza adempiere all'onere sullo stesso gravante di specifica indicazione delle singole voci di costo oggetto di contestazione. Parimenti alcuno scomputo deve essere operato con riferimento allo ius variandi presuntivamente disposto dalla banca atteso quanto già esposto precedentemente sulla questione. Per quanto attiene alla illegittima antergazione di valuta passiva e postergazione di valuta attiva, la contestazione è priva di pregio posto che innanzitutto era onere dell'attore riportare specificatamente le operazioni la cui data questi ritiene esser stata erroneamente retrodatata o antidatata; in secondo luogo con riferimento ai due contratti prodotti di apertura dei conti, risultano esser stati espressamente pattuiti i giorni di valuta a seconda del tipo di operazione, mentre per quanto riguarda il conto anticipi n. (...) la mancata produzione del documento alla luce di quanto sin qui detto determina l'inadempimento dell'attore circa l'onere della prova dei fatti posti alla base di tale contestazione. Quanto, infine, ai rilievi relativi al conto anticipi n. (...) (punti 4 e 5), l'omesso versamento in atti del contratto va, come già chiarito, a discapito dell'appellante, il quale non ha ha dato prova dei fatti contestati, sì che gli addebiti annotati dalla banca, che sono anche confluiti nel conto corrente ordinario, non possono che considerarsi legittimi non sussistendo prova del contrario. Con il quarto motivo di appello, il (...) contesta le operazioni peritali inerenti al calcolo dell'usura, ritenendo, da un lato, erronea la formula impiegata dal consulente d'ufficio poiché incapace di rendere il reale costo del credito e, dall'altro, non estensibile la pronuncia delle Sezioni Unite sull'usura sopravvenuta ai casi inerenti i rapporti di conto corrente. Quanto al primo aspetto, non può essere condivisa da questa Corte la prospettazione dell'appellante che ravvisa la necessità di impiegare una diversa formula rispetto a quella elaborata dalla (...): infatti si osserva che le due formule di (...) - quella applicabile al periodo anteriore al 2010 e quella invece rilevante per il periodo successivo - che si sono fra di loro succedute, sono le uniche formule che consentono di rispettare il principio di simmetria, posto che solo ricorrendo a tali metodologie è possibile confrontare in tema di usura grandezze omogenee (TEG e (...)), determinate tramite la considerazione delle medesime voci di costo e nella stessa misura nel rispetto del predetto principio. Il ricorso alla formula proposta dall'appellante, invece, poiché basato su una diversa modalità di calcolo del TEG non permetterebbe di confrontare medesime entità discostandosi dal modo con cui viene trimestralmente rilevato il TEG. Occorre poi disattendere la contestazione dell'appellante circa la mancata considerazione da parte del perito degli ulteriori oneri occulti applicati dalla banca ai fini del calcolo del TEG: infatti, l'assunto si ritiene privo di pregio poiché totalmente generico attesa la mancata specificazione di tali presunte voci di costo occulte applicate ancorché, ad avviso dell'appellante, non pattuite. Andando oltre ed entrando nel merito della censura, si rileva la parziale erroneità delle risultanze peritali inerenti ai soli conti nn. (...) e (...)quanto all'usura (non essendo stato possibile verificare, come riferito dal perito, l'usurarietà dei tassi per mancata allegazione da parte dell'attore della necessaria documentazione contabile relativa al conto anticipi n. (...)), consequenziale all'erroneità dei calcoli. Infatti a ben guardare nella verifica del superamento del tasso soglia il consulente d'ufficio si è limitato a calcolare il TEG con riferimento ai soli interessi senza tener conto né degli ulteriori oneri applicati dalla banca né della CMS: contrariamente il perito avrebbe dovuto in primo luogo calcolare il TEG considerando anche gli ulteriori oneri che egli stesso aveva riportato negli allegati 3 e 7, quali ad esempio spese di liquidazione o di produzione dell'e/c; oltre a ciò, avrebbe dovuto estendere le verifiche anche alla CMS, ancorché invalidamente pattuita, nel rispetto delle prescrizioni dettate dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 16303 del 2018. Pertanto il perito avrebbe dovuto per il periodo anteriore al 2010 svolgere due distinti calcoli confrontando, da un lato, il TEG con il tasso soglia usurario e, dall'altro, la CMS applicata con la CMS soglia; e nel caso di accertamento del debordamento della CMS rispetto a quella soglia avrebbe dovuto svolgere un ulteriore accertamento consistente nel confrontare l'eccedenza della CMS applicata "con l'ammontare degli interessi (ulteriori rispetto a quelli in concreto praticati) che la banca avrebbe potuto richiedere fino ad arrivare alle soglie di volta in volta vigenti ("margine")". Mentre per il periodo successivo, essendo la CMS ricompresa nella determinazione del TEG così come disposto dall'art. 2-bis D.L. n. 185 del 2008, si sarebbe dovuto includere tale onere nel calcolo del TEG per poi confrontarlo con il TSU. Essendo stati riportate dal Ctu tutte le voci sopra menzionate, è stato possibile svolgere i predetti calcoli secondo le modalità precedentemente esposte: Omissis Dalle tabelle riportate emerge che per quanto attiene al conto corrente ordinario n. (...) non risulta esser mai stato superato il tasso soglia usura tranne che nell'ultimo trimestre, mentre con riferimento al conto anticipi n. (...) risulta che in alcuni trimestri (III e IV del 2000, dal II del 2001 al I del 2003, II e III del 2004 e I e II del 2005) i tassi praticati ovvero la CMS applicata superano la relativa soglia usura: tuttavia si osserva che non essendo stata ravvisata una usura genetica sin dalla conclusione del contratto, gli unici eventuali interessi che la società ha diritto a vedersi ripetere sono quelli corrisposti in quei trimestri, successivi al 9.3.2005 (giorno oltre il quale le rimesse risultano essere prescritte poiché anteriori al decennio decorrente dalla data di notifica dell'atto di citazione avvenuto il 9.3.20015), nei quali è emerso il debordamento dal tasso soglia al netto della CMS essendo stata già detratta in quanto invalidamente pattuita. Sì che la società avrebbe diritto alla restituzione della somma di Euro 2.719,34 con riferimento al conto corrente ordinario, somma alla quale va aggiunto il complessivo importo di Euro 1.122,09 pari alle competenze dei due trimestri del 2005 relativi al conto anticipi n. (...) dove sono stati rinvenuti interessi usurari. Ora è ben evidente, specificando ulteriormente quanto già a monte della presente motivazione si è era detto, che, anche a voler riaccreditare le predette somme, l'esposizione debitoria della (...) pari a Euro 82.744,17 resterebbe pressoché invariata ragion per cui il (...) non ha diritto alla restituzione dei 14 mila Euro versati alla banca, vantando comunque quest'ultima un considerevole credito nei confronti della società garantita che lo stesso (...) si è impegnato ad estinguere. Infine con riferimento al conto anticipi n. (...), è opportuno svolgere una precisazione: il Ctu ha affermato di non poter accertare con riferimento a tale rapporto l'eventuale debordamento dal tasso soglia a causa della mancanza degli scalari e, in risposta alle osservazione del perito di parte attrice, ha sostenuto che "mancando i dettagli delle competenze, non possono essere operati i conteggi con le formule di (...) ai fini del supero del tasso soglia, quindi i conteggi del CTP (con documenti evidentemente non facenti parte del fascicolo di causa) non possono trovare riscontro nell'elaborato peritale del CTU; quindi si confermano i calcoli eseguiti". A fronte di ciò, il Ctp di parte attrice nelle copiose osservazioni depositate ha svolto i calcoli riportando tutte le voci di costo rilevanti ed ha accertato il superamento del tasso soglia con riferimento a tutti i trimestri applicando una formula diversa da quella impiegata da (...) (in particolare afferma il Ctp che "Per ottenere il TEG reale si è poi provveduto a riportare quanto rilevato su base trimestrale a livello annuo, attraverso la formula della equivalenza del tasso, e cioè: TEG ANNUO/T.I.R (TASSO INTERESSE REALE - TASSO INTERNO DI RIFERIMENTO) = ((1+TEG TRIMESTRALE:400) 4-1) 100"), formula tuttavia che per i motivi già esposti, rende di per sé inattendibile i risultati ottenuti. Nonostante ciò, anche per questo conto si è proceduto al ricalcolo del corretto TEG con l'impiego della formula di BI partendo dai dati riportati dal Ctp a pag. 13 per poi verificare il rispetto o meno della normativa antiusura. Di seguito si riporta la relativa tabella: Omissis Dalle analisi svolte deve concludersi affermando che non vi è stato alcun superamento del tasso soglia. Infatti, come si può osservare, mentre il TEG non deborda mai dal (...), la CMS applicata invece in tre trimestri deborda dalla relativa soglia. Tuttavia, secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite con la sentenza n. 16303/2018 "l'applicazione di commissioni che superano l'entità della "CMS soglia" non determina, di per sè, l'usurarietà del rapporto, che va invece desunta da una valutazione complessiva delle condizioni applicate. A tal fine, per ciascun trimestre, l'importo della CMS percepita in eccesso va confrontato con l'ammontare degli interessi (ulteriori rispetto a quelli in concreto praticati) che la banca avrebbe potuto richiedere fino ad arrivare alle soglie di volta in volta vigenti ("margine"). Qualora l'eccedenza della commissione rispetto alla "CMS soglia" sia inferiore a tale "margine" è da ritenere che non si determini un supero delle soglie di legge". Sicché nei trimestri in cui è stato rilevato un superamento della CMS soglia è necessario svolgere un ulteriore calcolo (i cui risultati sono stati riportati nella tabella) consistente nel raffronto fra la CMS applicata eccedente la CMS soglia e il c.d. "margine", la cui formula di calcolo è stata indicata dalla (...) nel Bollettino di Vigilanza del dicembre 2005 a pag. 5 nota 4, consistente nella differenza fra gli interessi massimi (nella tabella riportati come INTERESSI MAX) che la banca avrebbe potuto richiedere (calcolato con la seguente formula: INTERESSI = (TASSO SOGLIA - (ONERI X 100/ACCORDATO)) X NUMERI DEBITORI/36500) e quelli effettivamente richiesti. Da tale complessa verifica risulta che la CMS in eccedenza applicata è comunque sempre inferiore agli interessi massimi che la banca avrebbe potuto legittimamente richiedere alla società di talché può affermarsi che rispetto al conto n. (...) non è ravvisabile alcuna usurarietà degli interessi praticati con conseguente validità degli oneri applicati. A fronte di quanto sin qui esposto in tema di usura, ancorché gli esiti peritali e le prospettazioni del ctp di parte attrice risultavano essere di per sé non perfettamente rispondenti ai criteri elettivamente prescelti dalla giurisprudenza maggioritaria, i dati comunque forniti dai medesimi consulenti hanno consentito di accertare in concreto se rispetto a tutti e tre i rapporti vi fosse stata o meno violazione della normativa antiusura: dagli esiti è emerso il superamento del tasso soglia nell'ultimo trimestre per quanto riguarda il conto corrente ordinario e in alcuni trimestri del rapporto di conto n. (...). Tale rilievo, tuttavia, non va ad incidere sulla decisione del Giudice di primo grado atteso che le somme che eventualmente si dovrebbero riaccreditare in favore della (...) sono talmente esigue da non aver alcun impatto sul complessivo debito che la società ha maturato nei confronti della banca confermando così la legittimità del pagamento dei 14 mila Euro effettuato dal (...) in favore dell'istituto di credito al fine di estinguere parte del debito della società garantita. Difatti ricalcolando i saldi dei conti nei quali è stata ravvisata l'usurarietà dei tassi tramite riaccredito degli oneri relativi ai trimestri dove è stato rilevato il debordamento dal tasso soglia risulta che il conto corrente n. (...).52 avrebbe uno scoperto di - Euro 35.688,39 (=38.407,73 - 2.719,34) mentre il conto anticipi n. (...) avrebbe un saldo positivo a favore della società correntista pari a + Euro 1.748,65 (= 626,56 + 1.122,09). Considerando questi nuovi valori persisterebbe comunque un debito della (...) nei confronti della banca pari a Euro 78.875,74 (= 35.688,39 + 44.936,00 - 1.748,65) ad ogni modo superiore rispetto a quanto versato dal (...). Passando al quinto motivo di appello, l'appellante per un verso afferma di aver stipulato la garanzia in qualità di consumatore, con conseguente nullità delle clausole vessatorie limitative della facoltà di opporre le eccezioni e, per altro, sostiene la nullità del contratto per violazione della normativa antitrust. Con riferimento alla prima questione, si osserva che in conformità con l'orientamento adottato dalla Corte di Giustizia UE ai fini della valutazione circa la sussistenza dei requisiti di applicabilità della disciplina consumeristica al fideiussore, è necessario tener conto esclusivamente del rapporto di garanzia e non anche del rapporto principale in quanto "il contratto di garanzia o fideiussione, sebbene possa essere descritto, in relazione al suo oggetto, come un contratto accessorio rispetto al contratto principale da cui deriva il debito che esso garantisce ... si presenta, dal punto di vista delle parti contraenti, come un contratto distinto in quanto è stipulato tra soggetti diversi dalle parti del contratto principale. È dunque in capo alle parti del contratto di garanzia o di fideiussione che deve essere valutata la qualità in cui queste hanno agito" (cfr. Corte di Giustizia EU, ord., 14.09.2016, in causa C-534/15). In virtù di ciò, pertanto, al fine di comprendere se il (...) possa essere qualificato come consumatore si rende necessario indagare le ragioni che lo hanno spinto ad assumersi una tale garanzia. Ora nel caso di specie, lo stesso (...) ha affermato nell'atto di citazione di primo grado di aver in data 18.7.1997 aperto "una società a responsabilità limitata (...) s.r.l." e di aver "in qualità di legale rappresentato della (...)" acceso presso il (...) nell'ottobre del 1999 un conto corrente ordinario e un conto anticipi. Oltre a ciò, dalla visura camerale della società prodotta dall'attore, risulta che detentore dell'intero capitale sociale sia il (...), il quale inoltre è stato nominato liquidatore della società. Da tali elementi appare inverosimile che la garanzia sia stata contratta dal (...) per scopi meramente personali e non invece da esigenze di natura imprenditoriale legate alla qualità di socio nonché di legale rappresentante della (...). Cosicché, non essendo state addotte ulteriori circostanze dalle quali poter trarre una diversa conclusione, deve escludersi l'applicazione della disciplina consumeristica al caso di specie con conseguente infondatezza delle censure mosse sul punto. Con riferimento invece alla violazione della normativa antitrust, si osserva che i fatti posti alla base di tale causa excipiendi sono stati allegati tardivamente soltanto all'udienza di precisazione delle conclusioni del primo grado di giudizio ed è pacifico l'orientamento della S.C. (Cass., 23.11.21, n. 36353) secondo cui "il rilievo d'ufficio di una nullità sostanziale è ammissibile esclusivamente se basato su fatti ritualmente introdotti, o comunque acquisiti in causa, secondo le regole che disciplinano, anche dal punto di vista temporale, il loro ingresso nel processo, non potendosi fondare su fatti di cui il giudice (o la parte, tardivamente rispetto ai propri oneri) possa ipotizzare solo in astratto la verificazione e la cui introduzione presupponga l'esercizio di un potere di allegazione ormai precluso in rito". In ogni caso, l'eccezione così sollevata non escluderebbe in astratto l'obbligo di garanzia prestato dal fideiussore, in quanto la denunciata nullità investirebbe solo quelle clausole (2-6-8) che sono state ritenute violative della normativa antitrust dalla (...) con Decreto n.55 del 2.5.2005, avendo la Corte di Cassazione a Sez. Unite n. 41994 del 2021 ritenuto che si tratterebbe di nullità che non intacca l'intera validità della fideiussione prestata e quindi non varrebbe a liberare il garante dall'obbligo assunto. E anche a far valere la nullità d'ufficio e parziale delle specifiche clausole menzionate, in difetto della allegazione di come inciderebbero tali nullità sul rapporto (ad esempio se la banca abbia diligentemente o meno coltivato la sua pretesa verso il debitore principale nei sei mesi dalla scadenza dell'obbligazione o meno, tale da derivare da tale omissione l' inefficacia della fideiussione prestata ex art. 1957 c.c.) questa Corte non potrebbe comunque trarre alcuna conseguenza dalla dedotta, generica nullità lamentata, la cui pronuncia è stata sollecitata solo in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado. Il sesto motivo di appello si incentra invece sulla presunta erronea segnalazione alla (...) dalla quale, secondo la prospettazione del (...) ne sarebbe derivato un grave danno "provocando una serie di conseguenze fortemente negative, quali: l'impossibilità di accedere al credito, la revoca degli affidamenti concessi da altri Istituti, e ancor più grave la con-causazione della crisi dell'azienda (...) S.r.l., ora in concordato". Fermo restando che con riferimento alla segnalazione in (...) della (...) difettando il requisito della legittimazione attiva in capo al (...) poiché ha agito in giudizio in proprio soltanto in qualità di fideiussore, la domanda di risarcimento del danno causato alla società è inammissibile. Per quanto attiene invece alla posizione del (...) si osserva che dai report della (...) prodotta in giudizio non risulta alcuna segnalazione posta in essere dall'istituto di credito nei suoi confronti. Difatti emerge soltanto che il (...) ha concesso una garanzia in favore dell'istituto di credito per la posizione della (...) Contrariamente le posizioni a sofferenza segnalate che emergono dai documenti risultano esser state effettuate da altri istituti di credito, estranei al presente giudizio. Oltre a ciò, si osserva che costituiva comunque onere del (...) dimostrare le conseguenze pregiudizievoli derivate dalla presunta segnalazione: non è sufficiente ai fini dell'accoglimento della domanda la mera allegazione dell'appellante relativa all'impossibilità di ottenere la concessione di finanziamenti ovvero la revoca delle altre banche circa gli affidamenti concessi. Tali elementi andavano contestualizzati e specificati essendo stati genericamente indicati senza alcuna effettiva prova di quanto asserito. Per quanto sin qui esposto, l'appello deve essere disatteso con condanna di parte appellante alla rifusione delle spese del presente grado di giudizio in favore della convenuta in appello nonché dell'intervenuta, spese che si liquidano unitariamente in favore di entrambe, attesa la sostanziale unicità della difesa svolta a tutela della medesima posizione sostanziale. La Corte dà atto della ricorrenza dei presupposti di cui all'art. 13 comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002, per il raddoppio del contributo unificato a carico di parte appellante. P.Q.M. La Corte di Appello di Firenze, definitivamente pronunciando, sull'appello proposto da (...) avverso la sentenza del Tribunale di Prato n. 498 del 16.7.2019 nei confronti di (...) s.p.a., in qualità di incorporante per fusione (...) s.p.a. ((...) s.p.a.) con l'intervento di (...) s.r.l. e per essa, quale mandataria, (...) s.p.a. a socio unico, ogni avversa domanda ed eccezione disattesa: - Rigetta l'appello e per l'effetto conferma la sentenza impugnata. - Condanna l'appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio in favore di (...) s.p.a. e (...) s.r.l., spese che liquida unitariamente in favore di entrambe le parti in Euro 10.000,00 per compensi, oltre rimborso forfettario e accessori di legge. - La Corte dà atto della ricorrenza dei presupposti di cui all'art. 13 comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002, per il raddoppio del contributo unificato. Così deciso in Firenze il 13 dicembre 2022. Depositata in Cancelleria il 24 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte di Appello di Bari Seconda Sezione Civile composta dai seguenti Magistrati: dott. Filippo LABELLARTE Presidente dott. Matteo Antonio SANSONE Consigliere dott. Alberto BINETTI Consigliere rel. ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile in grado di appello avente ad oggetto "Mutuo", iscritta nel Ruolo Generale degli affari contenziosi civili, sotto il numero d'ordine (...) dell'anno 2016 TRA (...) e (...) entrambi rappresentati e difesi da dall'avv. (...) giusta mandato alle liti in calce all'atto di appello, ed elettivamente domiciliati in (...) alla p.zza (...) avv. (...) APPELLANTE E (...) in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata dalla (...) e, per essa, dal procuratore speciale. dott. (...) giusta procura in atti, assistita e difesa dall'avv. (...) come domiciliato in atti; APPELLATA NONCHÉ (...) rappresentata dalla sua procuratrice speciale (...) in (...) legale rappresentante pro tempore, giusta procura in atti, assistita e difesa dall'avv. (...) come domiciliato in atti; INTERVENUTA VOLONTARIA All'udienza collegiale tenutasi in videoconferenza I'8 luglio 2022 la causa è stata riservata per la decisione, sulle conclusioni rassegnate dai procuratori delle parti nelle note autorizzate in atti, da intendersi qui per richiamate e trascritte, con la concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. RAGIONI DELLA DECISIONE Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., depositato in data 2 ottobre 2015, i sigg.ri (...) convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Foggia la (...) formulando le conclusioni: "1. accertare e per l'effetto dichiarare la nullità del contratto di mutuo di cui è causa nella parte in cui prevede la determinazione degli interessi debitori perché presenta elementi di indeterminatezza per violazione del principio dell'equivalenza tra il tasso di interesse convenuto ed il tasso di interesse applicato nel piano di ammortamento e nel corso del rapporto, per tutti i motivi indicati al punto sub A) e per l'effetto, ritenuti violati gli arti. 1283 e 1284 c.c., applicare il tasso di interesse legale semplice e non quello ultralegale indeterminato e/o incerto, ovvero in caso di accoglimento del successivo punto sub 2 nessun tasso di interesse; 2. accertare e dichiarare il superamento del tasso soglia di cui alla L. 108/96 e la usurarietà dei tassi di interesse applicati in ordine al contratto di mutuo per tutti i motivi indicati e per l'effetto, dichiarare nulla la relativa clausola e non dovuti gli interessi ai sensi dell'art. 1815 co. 2 c.c.; 3. solo in via subordinata, in caso di rigetto del precedente capo di domanda, accertare e dichiarare che nel corso del rapporto di mutuo la banca ha applicato interessi di mora superiori al lasso soglia per tutti i motivi indicati e per l'effetto eliminare il tasso pattuito che risulti pro tempore sopra il limite dell'usura e sostituirlo con il tasso soglia. 4. in subordine, accertare e dichiarare che la banca opposta ha violato il principio della correttezza e buonafede in sede di esecuzione del contratto per tutti i motivi indicati in ricorso e per l'effetto dichiarare non dovute le somme richieste a titolo di interessi di mora che superano il tasso usura, e comunque non dovute le somme addebitate a titolo di spese per non essere mai state pattuite; 5. previo accertamento delle somme corrisposte dall'attore a titolo di interessi, imputare le stesse a capitale, accertare e dichiarare quanto effettivamente ancora dovuto in considerazione dei pagamenti effettuati dai ricorrenti alla banca opposta a titolo dì capitale. Il tutto a mezzo di CTU tecnico bancaria. 6. con vittoria di spese, competenze ed onorari di causa". A sostegno della richiesta assumeva che, in relazione al mutuo sottoscritto dai ricorrenti con la (...) in data per l'importo di Euro. 110.000,00 da restituirsi mediante il versamento di n. 360 rate mensili posticipate di Euro. 712,00, comprensivi di capitale ed interessi, era stato applicato un tasso di interesse diverso e superiore a quanto risultante dal contratto. Infatti, secondo la prospettazione dei ricorrenti, adottando la formula di matematica finanziaria per l'ammortamento alla francese alla rata mensile di Euro. 712,00, il tasso realmente applicato sarebbe del 6,942% e non quello convenuto in contratto di Euro. 6.73%; analogamente, applicando il tasso convenuto di Euro. 6,73% la rata risultante avrebbe dovuto essere quella di Euro. 697,52 e non di Euro. 712,00. Da tale accertamento discenderebbe, quindi, la nullità della clausola relativa agli interessi, per indeterminatezza della stessa e l'applicazione dell'interesse sostitutivo pari al tasso legale. Sotto diverso profilo, i ricorrenti avevano lamentato il superamento del tasso soglia da parte dell'interesse di mora, con la conseguenza di una non debenza degli stessi ovvero di una imputazione a restituzione del capitale degli interessi non dovuti e già versati. Infine, i ricorrenti avevano lamentato il verificarsi del fenomeno dell'usura sopravvenuta, per effetto della variazione dei tassi ovvero per violazione della clausola di salvaguardia. Nel costituirsi in giudizio, la (...) rappresentata in giudizio dalla (...) ha contestato assunti, a) richiamando la costante giurisprudenza di legittimità che esclude la sussistenza dell'anatocismo nel c.d. ammortamento alla francese; b) escludendo che vi sia stato superamento del tasso soglia da parte degli interessi moratori, una volta che lo stesso sia stato determinato con la maggiorazione del 2,1%, come da più recente giurisprudenza; c) escludendo, altresì, la concreta applicazione della clausola di salvaguardia, non essendo in alcun caso superato il tasso soglia da parte degli interessi moratori. La causa, senza alcun approfondimento istruttorio tecnico contabile, veniva decisa dal Tribunale di Foggia con l'ordinanza ex art. 702 ter c.p.c. del 30 gennaio 2016, con la quale veniva rigettata la domanda dei ricorrenti, i quali venivano anche condannati alla rifusione delle spese legali in favore della resistente, spese quantificate in complessivi Euro. 6.783,00, oltre accessori di legge. In particolare, il primo giudice, ha rigettato la richiesta di consulenza tecnica d'ufficio, ritenendo la domanda di ricalcolo genericamente formulata e non corredata dai decreti ministeriali di determinazione del tasso soglia, ed ha ritenuto infondata la domanda con riferimento al tasso usurario, in quanto il tasso soglia per i moratori doveva considerarsi maggiore di quello per gli interessi corrispettivi. Sotto altro profilo, il Tribunale di Foggia ha escluso che nell'adozione del c.d. ammortamento alla francese del mutuo potesse essere occultato un fenomeno anatocistico. Avverso tale sentenza hanno proposto appello innanzi a questa Corte, i sigg.ri (...) chiedendo, per i motivi di seguito indicati ed in riforma dell'impugnata decisione, l'accoglimento delle seguenti conclusioni: "1. accertare e per l'effetto dichiarare la nullità del contratto di mutuo di cui è causa nella parte in cui prevede la determinazione degli interessi debitori perché presenta elementi di indeterminatezza per violazione del principio dell'equivalenza tra il tasso di interesse convenuto ed il tasso di interesse applicato nel piano di ammortamento e nel corso del rapporto, per tutti i motivi indicati al punto sub A) e per l'effetto, ritenuti violati gli arti. 1283 e 1284 c.c., applicare il tasso di interesse legale semplice e non quello ultralegale indeterminato e/o incerto, ovvero in caso di accoglimento del successivo punto sub 2 nessun tasso di interesse; 2. accertare e dichiarare il superamento del tasso soglia di cui alla L. 108/96 e la usurarietà dei tassi di interesse applicati in ordine al contratto di mutuo per tutti i motivi indicali e per l'effetto, dichiarare nulla la relativa clausola e non dovuti gli interessi ai sensi dell'art. 1815 co. 2 c.c.; 3. solo in via subordinata, in caso di rigetto del precedente capo di domanda, accertare e dichiarare che nel corso del rapporto di mutuo la banca ha applicato interessi di mora superiori al tasso soglia per tutti i motivi indicati e per l'effetto eliminare il tasso pattuito che risulti pro tempore sopra il limite dell'usura e sostituirlo con il tasso soglia. 4. in subordine, accertare e dichiarare che la banca opposta ha violato il principio della correttezza e buona fede in sede di esecuzione del contratto per tutti i motivi indicati in ricorso e per l'effetto dichiarare non dovute le somme richieste a titolo di interessi di mora che superano il tasso usura, e comunque non dovute le somme addebitate a titolo di spese per non essere mai state pattuite; 5. previo accertamento delle somme corrisposte dall'attore a titolo di interessi, imputare le stesse a capitale, accertare e dichiarare quanto effettivamente ancora dovuto in considerazione dei pagamenti effettuati dai ricorrenti alla banca opposta a titolo di capitale ". Si è costituita in giudizio la (...) chiedendo il rigetto dell'appello, perché infondato in fatto ed in diritto, con vittoria di spese del doppio grado di giudizio. Con ordinanza del 2 marzo 2020, questa Sezione della Corte d'Appello disponeva una prima consulenza tecnica d'ufficio al fine di verificare il superamento della soglia anti-usura da parte degli interessi moratori previsti in contratto. Il consulente nominato dott. (...) depositava la propria relazione in data 11 maggio 2021. Riservata la causa per la decisione, con ordinanza del 17-22 novembre 2021, questa Sezione della Corte d'Appello disponeva la rinnovazione della consulenza tecnica d'ufficio, nominando il dott. (...) affinché rispondesse ai seguenti quesiti: "- quanto agli interessi corrispettivi, I) per stabilire se il regime di capitalizzazione applicato al piano di ammortamento sia stato semplice o composto, e, in questo secondo caso, a) per stabilire se la capitalizzazione composta fosse chiaramente individuabile in contratto e se il lasso nominale convenuto fosse chiaramente determinato; b) in caso di risposta negativa al quesito sub la), per stabilire se l'ammontare degli interessi calcolati nel piano di ammortamento sia superiore a quello degli interessi risultanti dall'applicazione del tasso pattuito in contratto in regime di capitalizzazione semplice (verifica dell'equivalenza tra TAN e TAE); 2) in caso di mancata equivalenza tra TAN e TAE, per rimodulare il piano di ammortamento secondo due diverse ipotesi: a) in regime di capitalizzazione semplice e sostituendo il tasso convenzionale con quello ex art. 117 TUB; b) sostituendo il tasso convenzionale con quello ex art. 117 TUB; 3) in conseguenza della positiva risposta al quesito sub 1, per determinare le eventuali somme versate in eccesso rispetto a quanto risultante come dovuto secondo le due diverse ipotesi ricostruite in risposta ai quesiti 2a) e 2b); - quanto agli interessi moratori, 4) per verificare l'usurarietà del tasso moratorio, a) accertando se il tasso di mora convenuto alla lett. J) dell'art. 3 nella misura pari al lasso di interesse convenzionale (6,73%) aumentato di quattro punti, risulti originariamente usurarlo, avuto riguardo ai tassi soglia del momento dell'accordo; b) accertando se la banca abbia mai applicato la clausola di salvaguardia come prevista in contratto nella determinazione del lasso di mora e, in particolare, se nei 9 pagamenti tardivi su 35, come indicati dal ctp nella sua relazione, risulti usurarlo il tasso di interesse concretamente praticato dopo ciascun inadempimento e in riferimento ai tassi soglia di tale tempo, considerati pure gli oneri e spese aggiuntivi (con indicazione specifica se pattuiti o non)". Con comparsa del 14 dicembre 2021, interveniva volontariamente la (...) e, per essa la procuratrice (...) assumendo di essersi resa cessionaria del credito controverso ed insistendo nelle conclusioni già rassegnate dalla cedente. Depositata la relazione dal ctu in data 16 maggio 2022. all'udienza dell'8 luglio 2022 la causa è stata trattenuta in decisione. Con primo motivo di gravame gli appellanti lamentavano il fatto che il primo giudice avesse rigettato la richiesta di disporre una consulenza tecnica d'ufficio, in quanto esplorativa, sulla base di allegazioni generiche e sull'erroneo convincimento che fosse onere del richiedente produrre i decreti ministeriali recanti l'indicazione del tasso soglia anti-usura. Tale censura appare superata dalla circostanza che la Corte ha ritenuto indispensabile disporre la chiesta ctu, procedendo ad un primo accertamento peritale e ad una rinnovazione dello stesso. Con il secondo motivo, gli appellanti censurano la sentenza di prime cure nella parte in cui il primo giudice non ha esaminato la doglianza relativa all'applicazione di interessi usurari ovvero dell'usura sopravvenuta per averla ritenuta generica, nonostante fossero stati specificati tutti gli aspetti di nullità ed inefficacia delle clausole contrattuali, sia con riferimento alla differenza tra il tasso convenuto e quello applicato al piano di ammortamento, sia con riguardo al superamento del tasso soglia da parte degli interessi moratori. Il motivo è parzialmente fondato e va accolto per quanto di ragione. Premesso che, con riferimento agli interessi corrispettivi (peraltro da rideterminare sulla scorta di quanto si dirà a proposito del terzo motivo di appello) la soglia anti-usura non appare superata ictu oculi, dal momento che il TAEGM indicato nel D.M. di riferimento per i mutui con garanzia ipotecaria nel 5,99% c maggiorato del 50% è pari all'8,985%, certamente superiore a TAEG di cui al contratto di mutuo, con riferimento agli interessi moratori, non ignora, invero, la Corte le oscillazioni del giudice di legittimità in subiecta materia, essendosi gli Ermellini pronunciati negli ultimi anni in modo, a volte, diametralmente opposto. In proposito, tuttavia, non vi sono ragioni per discostarsi dal principio affermato, da ultimo, da Cass. Civ. SS.UU. n. 19597/2020. Infatti, la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, proprio al fine di dirimere il contrasto insorto tra le sezioni semplici, ha compiutamente ricostruito la fattispecie, dando conto di tutti gli orientamenti (sia quello più restrittivo che quello più favorevole al debitore). Le Sezioni Unite, dunque, ritengono che, alla luce delle rationes legis sottese alla disciplina antiusura (quali la tutela del fruitore del finanziamento, la repressione della criminalità economica, la direzione del mercato creditizio e la stabilità del sistema bancario) ed in particolare dell'esigenza di piena tutela del soggetto debitore, il concetto di interesse usurario e la relativa disciplina repressiva non possano dirsi estranei all'interesse moratorio, cosi mostrando di abbracciare la tesi estensiva che vuole anche il tasso di mora assoggettato alla normativa antiusura. Tutela che, ad avviso del Collegio, non sarebbe adeguata se fosse solo consentito il ricorso allo strumento di cui all'art. 1384 cod. civ. (riduzione della penale ad equità) come sostenuto dai fautori delle tesi restrittiva: questa soluzione infatti non solo potrebbe dare adito ad applicazioni differenti sul piano nazionale, ma anche, verosimilmente, condurre al mero abbattimento dell'interesse pattuito al tasso soglia. Per le Sezioni Unite sussiste, invece, l'esigenza primaria di non lasciare il debitore alla mercé del finanziatore: il quale ultimo, se è subordinato al rispetto del limite della soglia usuraria quando pattuisce i costi complessivi del credito, non può dirsi immune dal controllo quando, scaduta la rata o decorso il termine pattuito per la restituzione della somma, il denaro non venga restituito e siano applicati gli interessi di mora, alla cui misura l'ordinamento (cfr. art. 41 Cost.) e la disciplina ad hoc dettata dal legislatore ordinario non restano indifferenti. Sin qui, i principi appaiono consolidati, giacché da tempo i giudici di legittimità e di merito si sono espressi nel senso che anche l'interesse di mora (pur non potendosi affatto sommare a quello corrispettivo) debba essere -individualmente considerato - sottoposto alla verifica di usurarietà. La disciplina antiusura - affermano pertanto le Sezioni Unite - intende sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi, convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, inclusi gli interessi moratori che sono comunque convenuti e costituiscono un possibile debito per il finanziato: se i primi considerano il presupposto della puntualità dei pagamenti dovuti, i secondi incorporano l'incertus an e l'incertus quando del pagamento - trasformandosi il meccanismo tecnico-giuridico da quello del termine a quello della condizione e anche tale costo deve soggiacere ai limiti antiusura. Ciò posto, il punctum dolcns è rappresentato dal termine di paragone al fine di valutare la misura usurarla degli interessi, giacché se per quelli corrispettivi la soglia è legislativamente prevista, manca una analoga previsione per quelli moratori. Premesso, dunque, che nell'individuazione dei tassi soglia debba farsi riferimento ai DD.MM. cui è dalla legge (art. 644 epe e L. n. 108/1996) demandata l'individuazione dei tassi soglia, vigenti al momento del contratto, le Sezioni Unite affermano che, qualora il D.M. di riferimento contenga anche la segnalazione del tasso di mora medio applicato dagli operatori, sebbene indicato separatamente dal T.E.G.M., e solo a fini statistici, in aderenza al principio di simmetria già espresso nella precedente sentenza n. 16303 del 2018 con riferimento alle CMS, di questo tasso medio di mora debba pure tenersi conto nell'individuazione della soglia limite per gli interessi moratori. Se, al contrario, il D.M. di riferimento non rechi neppure l'indicazione della maggiorazione media dei moratori (come avveniva in passato), allora le Sezioni Unite affermano che ai fini dell'individuazione del tasso soglia resta il termine di confronto del T.e.g.m. così come rilevato. Ritengono, infatti, che in ragione della esigenza primaria di tutela del finanziato, sia giocoforza comparare il T.E.G. del singolo rapporto, comprensivo degli interessi moratori in concreto applicati, con il T.E.G.M cosi come in questi rilevato; onde poi sarà il previsto margine di tolleranza, sino alla soglia usurarla, che dovrà offrire uno spazio di operatività all'interesse moratorio lecitamente applicato. Segue che l'accoglimento dell'appello passa attraverso la verifica, nel caso di specie, della esistenza, al momento della stipula del contratto di mutuo di una indicazione specifica del tasso medio di mora all'interno del D.M. di riferimento. Orbene, tenuto conto che il contratto è stato concluso il 15 luglio 2008, il D.M. applicabile al caso di specie riporta, all'art. 3, co. 4. esattamente la seguente dicitura "I tassi effettivi globali medi di cui all'articolo 1, comma I, del presente decreto non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento. L'indagine statistica condotta a fini conoscitivi dalla Banca d'Italia e dall'Ufficio italiano dei cambi ha rilevato che, con riferimento al complesso delle operazioni facenti capo al campione di intermediari considerato, la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali". Il consulente tecnico d'ufficio dott. (...), applicando i criteri testé enunciati, ha verificato che "il tasso di mora convenuto in contratto è inferiore alla soglia di usura all'epoca vigente", sicché, sul punto, l'appello va rigettato. Al contrario, con riferimento al prospettato pagamento, nel corso dell'ammortamento, di interessi moratori, in ragione del ritardo con il quale alcune rate sono state versate, in misura superiore alla soglia anti-usura, il consulente ha individuato n. 9 pagamenti in ritardo ed un addebito complessivo di Euro. 143,64, di cui solo Euro. 93.57 sarebbero legittimi in quanto contenuti nella soglia anti usura (v. par. 5.5 della relazione del ctu e pag. 46 nelle conclusioni) In conclusione, in accoglimento dell'appello e riforma della sentenza di primo grado, la differenza, pari ad Euro. 50,07, va dichiarata come illegittimamente riscossa e va imputata al residuo da versare nel piano di ammortamento, non essendo stata espressamente formulata alcuna domanda di ripetizione dell'indebito. Con terzo motivo di appello, sigg. (...) censurato la sentenza di prime cure, nella parte in cui il giudice ha erroneamente ritenuto che la doglianza dei ricorrenti fosse riferita all'illegittima applicazione dell'anatocismo agli interessi sul capitale mutuato, da restituirsi secondo un piano di ammortamento c.d. alla francese. Al contrario, gli odierni appellanti avevano lamentato la circostanza che "a seguito dell'inesatta ed impropria formula di conversione del tasso da annuale in mensile" fossero stati applicati di fatto interessi pari ad 6,92% annuo, lasso che appare chiaramente superiore a quello indicato nel contratto di mutuo del 6.73%. In conseguenza dell'accertata difformità tra il tasso applicato e quello pattuito, il primo giudice, nella prospettazione degli appellanti, non avrebbe dovuto occuparsi della capitalizzazione degli interessi (fenomeno pacificamente estraneo all'ammortamento alla francese) bensì della assenza di trasparenza nel calcolo dell'interesse applicato, con l'inevitabile conseguenza - ai sensi degli artt. 1346, 1418 e 1284 cod. civ. - della sostituzione del tasso ultralegale convenzionale, con quello legale. La questione posta dagli appellanti in primo e secondo grado merita alcune precisazioni. Infatti, data per acquisita la definizione di anatocismo (che incorre nel divieto di cui all'art. 1283 cod. civ.) come il fenomeno per il quale gli interessi non sono produttivi, a loro volta, di interessi, se non "dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi " e considerato che il c.d. ammortamento alla francese può essere sintetizzato nel sistema di restituzione del capitale mutuato e degli interessi sullo stesso, in base al quale la rata di rimborso prevista contrattualmente è sempre uguale e ciò che muta nel tempo sono solo le due componenti all'interno di essa: la quota capitale, che è minima nelle prime rate e cresce man mano che il capitale viene rimborsato, e la quota interessi, che è massima nelle prime rate e decresce, sino ad azzerarsi con l'ultima rata di rimborso, la giurisprudenza di legittimità e di merito, praticamente uniforme, ha costantemente affermato che "nel sistema progressivo ciascuna rata comporta la liquidazione ed il pagamento di tutti ed unicamente degli interessi dovuti per il periodo cui la rata stessa si riferisce. Tale importo viene quindi integralmente pagato con la rata, laddove la residua quota di essa va giù ad estinguere il capitale. Ciò non comporta capitalizzazione degli interessi, atteso che gli interessi conglobati nella rata successiva sono a loro volta calcolati unicamente sulla residua quota di capitale, ovverosia sul capitale originario detratto l'importo già pagato con la rata o le rate precedenti, e unicamente per il periodo successivo al pagamento della rata immediatamente precedente. Il mutuatario, con il pagamento di ogni singola rata, azzera gli interessi maturali a suo carico fino a quel momento, coerentemente con il dettato dell'art. 1193 c.c., quindi inizia ad abbattere il capitale dovuto in misura pari alla differenza tra interessi maturati e importo della rata da lui stesso pattuito nel contratto" (cfr. Trib. Trapani, 24 gennaio 2022, n. 82; Corte appello Perugia sez. 1, 15/01/2021, n.33). Condivide la Corte la ricostruzione operata dalla citata giurisprudenza di merito e fatta propria dal Tribunale di Foggia dell'impugnato provvedimento, nel senso che gli interessi applicati su ciascuna rata di ammortamento non sono effettivamente produttivi di interessi, essendo essi riferiti alla sola quota di capitale della singola rata. Così inteso il fenomeno, l'ammortamento alla francese, sulla base della sola modalità di restituzione del capitale e degli interessi, non può essere generatore di interessi anatocistici nel senso classico del termine, né andare incontro al divieto di cui all'art. 1283 cod. civ. Tuttavia, il rilievo sollevato dai ricorrenti in primo grado ed appellanti in secondo, attiene ad un profilo affatto differente, che è quello della indeterminatezza del tasso applicato al mutuo. Invero, negli ultimi anni, si sono levate alcune voci di segno contrario, o meglio, di opportuna specificazione, rispetto alla tralaticia affermazione cui si è dianzi fatto cenno (cfr. sul punto Trib. Velletri, n. 1098 del 30 maggio 2022; App. Napoli, n. 1724 del 26 aprile 2022; Trib. Taranto, n. 796 del 29 marzo 2022: Trib. Campobasso, n. 156 del 18 marzo 2022; Trib. Vicenza, 1° febbraio 2022; Trib. La Spezia, 20 dicembre 2021; Trib. Nola, 9 dicembre 2021; Trib. Lecce, 15 novembre 2021; Ord. Trib. Udine, 4 gennaio 2021; Ord. Trib. Terni, 8 agosto 2021; Trib. Pesaro, n. 739/2021; Trib. Roma n. 2188/21, Trib. Viterbo n. 733/2021, Trib. Brindisi n. 709/21 del 21 maggio 21, App. Bari n. 1890/20 del 3 novembre 2020, App. Genova n. 410/20). In particolare, è stata posta l'attenzione sul criterio di calcolo dell'interesse, dovendosi opportunamente distinguere tra capitalizzazione semplice e capitalizzazione composta : laddove, per la quantificazione dell'interesse complessivo - da suddividere poi in quote decrescenti per ciascun rateo mensile - si adotta la formula di matematica finanziaria della capitalizzazione semplice, si ottiene una determinata quota interessi per rata, e, quindi, una corrispondente rata mensile fissa, mentre, applicando la formula di matematica finanziaria della capitalizzazione composta, il risultato è affatto differente e la quota di interessi per rata (e, conseguentemente, la rata fissa) aumentano significativamente. Poiché il tasso di interesse indicato in contratto (e, quindi, oggetto di convenzione) ed inserito nelle diverse formule matematiche non cambia, ciò che altera il risultato (la rata da pagare mensilmente) è la diversa formula di matematica finanziaria applicata. La conseguenza giuridica è che "poiché deve ritenersi che la capitalizzazione composta degli interessi, in quanto costituisce una specifica forma di calcolo degli interessi stessi e dunque una condizione economica del rapporto, ed in quanto tale avrebbe dovuto essere prevista per iscritto, e non lo è stata, e poiché neppure risulta che fosse una condizione pubblicizzata quando venne stipulato il contratto, se ne deve concludere che nulla è dovuto a tale titolo e il rapporto va ricalcolato in regime di capitalizzazione semplice" (Tribunale di Napoli, 15 novembre 2022). Ciò significa che non è sufficiente affermare che l'adozione del c.d. ammortamento alla francese non comporti, per le modalità di restituzione, l'applicazione di interessi anatocistici, ma occorre indagare quale sia stata la formula matematica per quantificare l'interesse e, soprattutto, se tale formula sia stata esplicitata nel contratto. E' questo il motivo per il quale questa Sezione della Corte d'Appello ha ritenuto di rinnovare la ctu. già disposta in secondo grado, onde ottenere risposta ai quesiti come sopra richiamati ed orientati esattamente ad individuare: a) il criterio di calcolo degli interessi, se con la formula semplice o composta; b) la chiara individuabilità nel contralto della capitalizzazione composta. Ebbene, il consulente d'ufficio dott. (...) con chiarezza degna di nota, ha risposto ai quesiti postigli, spiegando che "nel caso di specie, quindi con espresso riferimento al mutuo di cui è causa, la legge finanziaria (algoritmo) posta alla base del calcolo dell'ammortamento alla francese, come da consolidata "prassi" bancaria, è incontrovertibilmente quella della capitalizzazione composta: ciascuna rata è infatti numericamente pari al montante, formato dalla quota capitale maggiorata dai correlativi interessi sino alla scadenza finale del mutuo". Precisa ancora il dott. (...) che "un piano di ammortamento "alla francese" stilalo secondo le leggi del regime finanziario della capitalizzazione composta (CC), con rate di ammortamento calcolate quindi secondo tale regime, comporta conseguentemente e necessariamente che le quote interessi sono calcolate in base allo stesso regime finanziario (CC/CC). Di contro, un piano di ammortamento "alla francese" stilato secondo le leggi del regime finanziario della capitalizzazione semplice (CS), richiede necessariamente l'applicazione delle leggi del regime finanziario medesimo (CS/CS), con particolare riguardo alla definizione della rata e al calcolo delle quote interesse in forma attualizzala. Ciò in quanto le leggi finanziarie di "scindibilità" e di "additivitù", che rispettivamente caratterizzano il regime della capitalizzazione composta e di quella semplice, sono tra loro assolutamente incompatibili. Di conseguenza, un piano di ammortamento alla francese effettuato nel regime finanziario della capitalizzazione composta non può contenere quote di interessi calcolale in capitalizzazione semplice, e viceversa: algebricamente e finanziariamente sarebbe infatti paradossale ed erronea una qualunque altra ipotesi contraria ai suddetti principi. In definitiva, non è in re ipsa la "metodologia" di ammortamento alla "francese" che è all'origine dell'anatocismo. quanto, piuttosto, il regime finanziario applicato allo stesso nello sviluppo dei calcoli (e delle rate)". Ed, infatti, rispetto all'osservazione dell'appellata secondo cui la giurisprudenza pressoché totalitaria esclude che l'ammortamento alla francese possa giuridicamente configurare l'applicazione di interessi anatocistici nella determinazione della quota interessi della rata (giurisprudenza ampiamente richiamata anche nella presente pronuncia), il consulente ribadisce che "non è il sistema di ammortamento c.d. alla francese che implica necessariamente l 'applicazione di interessi anatocistici, bensì il regime finanziario sottostante". Conferma della correttezza dell'affermazione è la circostanza che il piano di ammortamento è stato rideterminato dal ctu con capitalizzazione semplice, ma sempre "alla francese". Particolarmente illuminante appare il passaggio della relazione peritale nella quale, partendo dalla rata mensile fissa di Euro. 712,00 ed applicando la formula inversa dell'interesse composto si verifica che il tasso mensile effettivamente applicato dalla banca è pari allo 0,560833%, in luogo di quello dello 0,5442431 (pari a 1/12 di 6,73%, tasso annuo indicato in contratto); segue che il tasso effettivamente applicato, per effetto della capitalizzazione composta, è del 6,942%, superiore a quello contrattualmente previsto. Tenuto conto della previsione normativa dell'art. 117, co. 4 TUB, secondo cui "i contratti indicano il tasso d'interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora", la mancata esplicitazione del criterio di capitalizzazione composta di interessi superiori al tasso legale, comporta la applicazione del criterio sostitutivo di cui al comma 7 del medesimo art. 117 TUB. Sul punto, questa stessa sezione della Corte d'Appello ha affermato che "è evidente che se viene indicato nel contratto di mutuo (o di finanziamento) il tasso, la scadenza, l'importo del finanziamento iniziale e della rata costante, ma il tasso effettivamente applicato è superiore a quello indicato in conseguenza del meccanismo descritto nell' ammortamento a rate costanti (alla francese), si verifica una fattispecie di maggiorazione del tasso d'interesse rispetto a quello nominale pattuito; maggiorazione celata al mutuatario, che solitamente non è in grado di desumere il tasso d' interesse effettivamente applicato dal piano di ammortamento, atteso che non è esperto di matematica finanziaria. In tale modo viene dichiarata nella parte comprensibile del contratto un tasso minore di quello successivamente esplicitato numericamente nel piano di ammortamento. Pertanto tale maggiorazione è illegittima, perché non concordala. Inoltre, il fatto che coesistano due differenti tassi, determina un'assoluta incertezza su quale dei due tassi convenuti sia effettivamente quello convenuto ed applicabile. Ne consegue che in tale ipotesi si debba procedere all' applicazione del tasso legale sostitutivo in sostituzione di quello convenuto". (Corte appello Bari sez. II, 7 maggio 2021, n.866). In risposta a specifici quesiti di questa Corte, dunque, il ctu ha rimodulato il piano di ammortamento, formulando due distinte ipotesi: a) in regime di capitalizzazione semplice e sostituendo il tasso convenzionale con quello ex art. 1 17 TUB, il che porterebbe a determinare una rata (Issa di rimborso mensile di Euro. 409,38, ovvero b) sostituendo il tasso convenzionale con quello ex art. I 17 TUB, il che porterebbe ad una rata fissa di Euro. 485,39. Le osservazioni della banca appellata alla ctu non hanno riguardato il tasso sostitutivo, ma esclusivamente la circostanza che il criterio di capitalizzazione composta fosse sufficientemente esplicitato, in quanto ricavabile dall'ammontare della rata fissa. Correttamente, con argomentazione che questa Corte condivide e fa propria, il consulente ha ribadito che certamente il criterio non era esplicitato in contratto e, quanto alla possibilità per il mutuatario di poterne apprezzare la portata attraverso gli altri elementi indicati in contratto (capitale erogato, rata, periodo di ammortamento, tasso di interesse), afferma che il "fallo che, ancorché non esplicitato, sarebbe stato altrimenti desumibile in via indiretta attraverso i dati numerici contenuti nel piano di ammortamento, peraltro, sull'astratto presupposto del possesso (da parte dei mutuatari) di conoscenze e competenze di rilievo in materia di matematica finanziaria" è motivo sufficiente per affermare che il regime non era "chiaramente" individuabile in contratto. In altri termini, la circostanza che il consulente sia riuscito a ricostruire il tasso effettivamente applicato e difforme da quello indicato in contratto sulla scorta di altri elementi espliciti nel contratto stesso, non significa certo che tale indicazione fosse alla portata di un contraente medio, anzi è prova del contrario. Né rileva la circostanza che, nel caso di specie, nel contratto di mutuo sia stato enunciato l'Indicatore Sintetico di Costo (ISC), nella misura del 7,02%, difforme dall'interesse effettivamente applicato sulla base della formula di matematica finanziaria della capitalizzazione composta dell'interesse, indicato dal ctu nel 6,942%, al netto dei costi per l'accesso al finanziamento; e ciò per il fatto che, poiché "l'Indice Sintetico di Costo (ISC), denominato anche Tasso Annuo Effettivo Globale (TAEG), rappresenta soltanto un indicatore sintetico del costo complessivo dell'operazione di finanziamento, comprensivo altresì degli oneri amministrativi di gestione", la cui assenza non determina, per massima ormai tralaticia, la nullità della clausola sugli interessi (v. da ultimo Corte appello Torino sez. I, 24 agosto 2022, n.93I), la sua mera enunciazione non consente al mutuatario di apprezzare, mediante un calcolo a ritroso, che esso sia il risultato della sommatoria dei costi di accesso al finanziamento, in aggiunta al tasso effettivo applicato per effetto della capitalizzazione composta degli interessi, e non in aggiunta al tasso nominale indicato in contratto. Permane, pertanto, a parere della Corte la condizione di incertezza che giustifica l'applicazione del tasso sostitutivo ex art. 117 TUB. Adottando, dunque, la soluzione proposta dal ctu di applicazione della capitalizzazione semplice (in quanto non espressamente concordata quella composta) e del tasso sostitutivo ex art. 117 TUB, la rata di ammortamento va rideterminata in Euro. 409,38. Conseguentemente, le somme versate dai mutuatari in eccesso rispetto a tale importo devono imputarsi al residuo da restituirsi. Non è stata formulata in primo grado alcuna domanda di ripetizione dell'indebito, sicché, accolto il motivo di appello ed in riforma della impugnata sentenza va esclusivamente rideterminato il piano di ammortamento. L'accoglimento dell'appello, in parte qua, comporta la rideterminazione delle spese del doppio grado di giudizio, che vanno poste a carico della banca appellata e liquidate in dispositivo. P.Q.M. La Corte d'Appello di Bari, Seconda Sezione Civile, definitivamente pronunciando sull'appello proposto da (...) avverso l'ordinanza del 30 gennaio 2016 emessa dal Tribunale di Foggia, in composizione monocratica, nel giudizio n. (...) 1) Accoglie l'appello per quanto di ragione e, per l'effetto, in riforma dell'impugnata ordinanza, a) Ridetermina il piano di ammortamento del mutuo fondiario sottoscritto in data 15 luglio 2008, indicando la rata mensile nell'importo di Euro. 409,38, come da ctu, ed imputando le somme versate in eccesso a deconto della restituzione del residuo; b) Dichiara l'illegittimità dei versamenti di interessi moratori nei limiti di Euro. 50.07, imputando la somma medesima a deconto del residuo. c) Condanna l'appellata alla rifusione delle spese del doppio grado di giudizio, che liquida, per il primo grado, in complessivi Euro. 6.096,00, di cui Euro. 5.810,00 per compensi ed Euro. 286,00 per esborsi, oltre IVA, CAP e rimborso forfetario (15%) come per legge, e, per il secondo grado, in complessivi 6. 10.795,00, di cui Euro. 9.991,00 per compensi ed Euro. 804,00 per esborsi, oltre IVA, CAP e rimborso forfetario (15%) come per legge, oltre alle spese delle consulente tecniche espletate; Così decisa il 9 dicembre 2022 nella camera di consiglio in videoconferenza della Seconda Sezione Civile.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DI APPELLO DI NAPOLI SEZIONE CIVILE SETTIMA composta dai magistrati: dott. Michele Magliulo - Presidente dott.ssa Lucia Minauro - Consigliere dott. Marco Marinaro - Giudice aus. rel. ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile n. 4176/2013 R.G., di appello contro la sentenza n. 1785/2012 depositata dal Tribunale di Avellino - I Sezione civile - il 24 ottobre 2012, che ha definito il giudizio rubricato al n. 3826/2005 R.G., tra (...) (c.f. (...) ), nato il (...) ad Ospedaletto d'Alpinolo (AV) e ivi residente alla via (...), rappresentato e difeso dall'avv. Fi.Fa. (c.f. (...) ), elettivamente domiciliato in Napoli alla Via (...) presso lo studio dell'avv. Ma.Ca., fax n. (...), p.e.c.: (...); appellante e (...) S.p.A. (c.f. (...)), già (...) soc. coop., con sede legale in M. alla via (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, legittimata in virtù di fusione per incorporazione della (...) S.p.A. perfezionata con atto per notar (...) del (...), rep. (...) racc. (...), rappresentata e difesa dall'avv. Ed.Vo. (c.f. (...)), con domicilio eletto presso il suo studio in Avellino alla via (...), fax n. (...), p.e.c.: (...); appellata SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione notificato il 22-26 settembre 2005, (...) premetteva di avere intrattenuto con la (...) Soc. Coop. a r.l. poi (...) S.p.A., Filiale di A. di via M., il rapporto bancario n. (...) dall'anno 1984 e trasformato in quello n. (...) dal 15.12.1992, estinto il 13.09.2004 e definitivamente chiuso con l'estratto conto al 30.09.2004, esponeva quanto segue: a) l'illegittimità della convenzione anatocistica applicata dalla banca al detto rapporto in quanto contraria sia al disposto dell'art. 1283 c.c. che vieta la convenzione preventiva dell'interesse composto, sia alla giurisprudenza della Cassazione formatasi in materia a partire dalla sentenza n. 2374 del 18.03.1999 che per prima ha sancito il principio dell'illegittimità delle clausole anatocistiche bancarie per contrasto con l'art. 1283 c.c., reiteratamente confermato dalle successive pronunce n. 3096/1999, n. 12507/1999, n. 6263/2001, n. 1281/2002, n. 4490/2002, n. 4498/2002, n. 8442/2002, n. 14091/2002, n. 2593/2003, n. 12222/2003, e definitivamente sancito dalla sentenza n. 21095 del 04.11.2004 con la quale le Sezioni Unite Civili, componendo il contrasto giurisprudenziale, hanno affermato la nullità delle clausole di capitalizzazione trimestrale, sui saldi di conto corrente bancario, degli interessi passivi per il cliente in quanto riconducibili ad un semplice uso negoziale e non già ad un uso normativo in senso tecnico; b) la nullità della clausola di previsione e applicazione degli interessi ad un tasso superiore a quello legale, la nullità della capitalizzazione trimestrale di tali interessi a debito e delle commissioni di massimo scoperto, versati alla banca fino alla data del 14.09.2004, con il conseguente diritto di esso attore alla restituzione integrale degli interessi ultra legali e anatocistici corrisposti e di ogni altra commissione versata alla banca nel corso del detto rapporto, già richiesta alla convenuta con raccomandate a.r. del 14.01.2005; c) la illegittimità ed erroneità dell'ammontare del presunto credito della banca risultante dagli estratti conto del conto corrente poiché, nel corso del rapporto, sono stati da essa applicati interessi, competenze, remunerazioni e costi non espressamente e preventivamente concordati con esso attore-correntista né formalmente pattuiti nel corso del rapporto fino alla data di estinzione del 13.09.2004 e, quindi, non dovuti e in ogni caso superiori a quelli nominali. Il (...) pertanto conveniva la (...) S.p.A. dinanzi al Tribunale di Avellino per sentire accogliere le seguenti conclusioni: 1) dichiarare la nullità dei contratti di conto corrente oggetto del rapporto tra l'attore (...) e la convenuta (...) S.p.A., con specifico riferimento alle clausole relative all'applicazione dell'interesse anatocistico trimestrale e delle commissioni di massimo scoperto e, di conseguenza, determinare l'esatto dare-avere tra le parti in base ai risultati del ricalcolo che verrà effettuato in sede di C.T.U. tecnico-contabile, sulla base della documentazione relativa al rapporto di apertura di credito dall'inizio dei rispettivi rapporti bancari fino alla estinzione di essi; 2) condannare la convenuta (...) S.p.A., in persona del legale rapp.te p.t., alla restituzione all'attore (...) delle somme indebitamente addebitate e riscosse, oltre interessi legali creditori; 3) condannare la convenuta al pagamento delle spese e competenze del giudizio con gli accessori di legge. Il S., in via istruttoria, depositava le copie degli estratti conto del c/c n. (...) e n. (...) per il periodo al 30.09.1984 al 13.09.2004 data di estinzione del rapporto bancario, compreso l'ultimo estratto conto al 30.09.2004 (data di chiusura del rapporto bancario); chiedeva la C.T.U. tecnico-contabile per calcolare: a) la durata dell'intero rapporto bancario intercorso tra le parti in causa; b) la scopertura media in linea capitale; c) l'ammontare complessivo degli interessi anatocistici e delle competenze addebitati nei vari periodi; d) il tasso di interesse effettivo globe le medio annuo adottando il regime degli interessi ai tasso legale e tenendo presente le operazioni di accredito delle valute, dal giorno in cui la banca ha acquisito la disponibilità dei correlativi importi fino alla data di estinzione del rapporto. Con comparsa del 7 novembre 2005 si costituiva la convenuta (...) S.p.A. la quale eccepiva la nullità della citazione, la prescrizione del diritto alla ripetizione degli indebiti per decorrenza dei termini di legge, la legittimità della clausola anatocistica trimestrale anche tenuto conto di quanto stabilito con Del.CICR del 9 febbraio 2000 e della commissione di massimo scoperto operando su un piano diverso rispetto agli interessi, la liceità del tasso di interesse convenzionale rispetto alle prescrizioni della L. n. 108 del 1996, e concludeva chiedendo al Tribunale di Avellino: A) in via preliminare, accertare e dichiarare la nullità della citazione ai sensi del combinato disposto degli artt. 163 n. 3 e 164 c.p.c. e, comunque, dichiarate la prescrizione del diritto alla ripetizione di quanto corrisposto dall'attore, a titolo di capitalizzazione trimestrale e ad ogni altro titolo, per decorrenza dei termini previsti dalla legge; B) nel merito, rigettare la domanda perché infondata e temeraria sia in fatto che in diritto. Con la memoria ex art.183, comma 5, c.p.c. depositata il 04.05.2006, l'attore (...), ad integrazione e precisazione delle domande proposte con l'atto di citazione in conseguenza delle eccezioni della convenuta banca formalizzate nella detta comparsa di costituzione, reiterava l'eccezione della mancanza di convenzione scritta per l'applicazione degli interessi ultralegali e di tutti gli altri costi per il periodo antecedente, relativo al c/c n. (...), alla data di sottoscrizione del contratto relativo al c/c n. (...) in conformità alle premesse di cui alle lettere B) e C) dell' atto di citazione. In via istruttoria insisteva per l'ammissione della C.T.U. contabile. Con la memoria ex art. 184 c.p.c. depositata il 09.01.2007 l'attore produceva le raccomandate a.r. del 14.01.2005 richiamate nell'atto di citazione e la raccomandata a.r. del 04.02.2005 di riscontro della banca convenuta, e precisava le proprie istanze istruttorie. All'esito delle istanze istruttore il primo giudice disponeva la consulenza tecnico-contabile ponendo al C.T.U. dott. (...) il seguente quesito: "Proceda all'espletamento dell'incarico avendo considerazione dei quesiti, rilievi e difese formulati dalle parti in causa quali emergenti dagli atti, documenti e verbali di causa". Dopo il deposito della relazione tecnica datata 26 novembre 2007, la causa veniva ritenuta matura per la decisione ed il tribunale - concessi i termini per gli atti conclusionali - depositava la sentenza con la quale statuiva quanto segue: "1. condanna la (...) S.p.A. al pagamento in favore di (...) della somma di Euro 60.742,92 oltre interessi al tasso legale dal 31.12.2003 e fino all'integrale soddisfo" (facendo propria l'ipotesi di calcolo A - tassi convenzionali fino al 31.12.2003 elaborata dal C.T.U.); "2. condanna la (...) S.p.A. al pagamento in favore dell'attore delle spese di giudizio che liquida in Euro 480,00 per spese, Euro 6.000,00 per compenso professionale, oltre IVA e CPA se dovuti come per legge, oltre le spese della espletata consulenza". In data successiva al 30.10.2012 di pubblicazione della sentenza n. 1785/2012 del Tribunale di Avellino, in esecuzione della statuizione di condanna, la banca convenuta pagava all'attore la somma di Euro 60.742,92 con gli interessi legali dal 31.12.2003 e le somme per spese e compensi legali liquidati nel dispositivo. Con raccomandata a.r. del 09.02.2013 (rimasta senza riscontro), (...) rilevata la omissione da parte del tribunale della valutazione delle acquisizioni probatorie documentali (estratti conto fino al 30.09.2004) e di quelle istruttorie peritali d'ufficio e ritenuta quindi ingiusta la sentenza di primo grado per omessa condanna della banca anche al pagamento anche della somma di Euro 31.407,18 risultando il pagamento indebito anche di tale somma da parte dell'attore-correntista dagli estratti conto da gennaio a settembre 2004 depositati in giudizio, nonché il difetto di motivazione della citata sentenza inerente la mancata condanna al pagamento della somma di Euro 210.661,50 di cui alla "Ipotesi di calcolo B - tasso legale fino al 31.12.2003" parimenti elaborata dal C.T.U. nella relazione datata 26.11.2007, vizi della sentenza ed erroneità delle quantificazioni e statuizioni di condanna in questa contenute legittimanti e fondanti l'ammissibilità dell'appello, chiedeva alla (...) S.p.A., al fine di evitare il giudizio di impugnazione, di addivenire ad una soluzione stragiudiziale mediante il pagamento delle somme effettivamente dovute in restituzione ad esso attore da essa convenuta, in quanto indebitamente da quest'ultima da esso incassate fino alla data del 14.09.2004 di chiusura del rapporto bancario posto a fondamento dell'atto di citazione del giudizio di primo grado deciso con la citata sentenza. Con atto di appello, notificato il 14 ottobre 2013, (...) impugnava la sentenza di prime cure chiedendo l'accoglimento delle seguenti conclusioni: 1) confermare la dichiarazione di nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori inserita nel contratto di conto corrente n. (...) sottoscritto dall'appellante il 02.03.1995, e dichiarare la nullità e/o comunque la illegittimità della clausola relativa all'applicazione dei tassi di interesse debitori e delle percentuali di commissioni di massimo scoperto e competenze non preventivamente né concordati né pattuiti per iscritto dalla Banca appellata con il correntista appellante; 2) per l'effetto, dichiarare la nullità ed illegittimità della capitalizzazione trimestrale, cumulativa, degli interessi debitori e delle commissioni di massimo scoperto, competenze e spese applicati dalla banca appellata dall'anno 1984 di apertura del rapporto bancario intercorso tra le parti in causa posto a fondamento dell'atto di citazione, fino alla data del 13.09.2004 di estinzione di tale rapporto; 3) per l'effetto, assumendo come parametro di riferimento la consulenza tecnico-contabile del C.T.U. dott. (...) espletata nel giudizio di primo grado, ovvero disponendo ex officio una consulenza tecnico-contabile nel presente secondo grado del giudizio, determinare la somma effettivamente dovuta in restituzione all'appellante (...) in quanto indebitamente incassata e trattenuta dall'appellata (...) S.p.A., dall'anno 1984 di apertura del rapporto bancario dedotto in giudizio fino alla data del 14.09.2004 di estinzione di questo; 4) per l'effetto, condannare l'appellata (...) S.p.A. in persona del legale rappr.te p.t. al pagamento, in favore dell'appellante (...), della somma che sarà giudiziariamente determinata dalla Ecc.ma Corte di Appello adita senza alcuna capitalizzazione degli interessi a debito del correntista, oltre interessi legali dal 14.09.2004 fino all'effettivo e totale soddisfo; 5) in via gradata, assumendo come parametro di riferimento la "Ipotesi di calcolo B -tasso legale fino al 31.12.2003" elaborata dal C.T.U. dr. (...) nella relazione espletata nel giudizio di primo grado, condannare l'appellata (...) S.p.A. in persona del legale rappr.te p. t. al pagamento, in favore dell'appellante (...), della somma capitale di Euro 149.918,58 (Euro 179.254,32 saldo a credito dell'attore appellante rideterminato dal C.T.U. al 31.12.2003 -Euro 60.742,92 pagati dalla convenuta appellata all'attore appellante dopo il 30.10.2012 di pubblicazione della sentenza impugnata = Euro 118.511,40 differenza a credito dell'appellante + Euro 31.407,18 saldo originario al 31.12.2003 interamente versato dall'attore appellante fino al 14.09.2004 = Euro 149.918,58 differenza a credito dell'appellante alla data del 14.09.2004), oltre interessi legali dal 14.09.2004 fino all'effettivo e totale soddisfo; 6) in via subordinata, assumendo come parametro di riferimento la "Ipotesi di calcolo A - tassi convenzionali fino al 31.12.2003" elaborata dal C.T.U. dr. (...) nella relazione espletata nel giudizio di primo grado, condannare l'appellata (...) S.p.A. in persona del legale rappr.te p.t. al pagamento, in favore dell'appellante (...), della somma capitale di Euro 31.407,18 (Euro 92.150,10; saldo a credito dell'attore appellante rideterminato dal C.T.U. al 31.12.2003 - Euro 60.742,92 pagati dalla convenuta appellata all'attore appellante dopo il 30.10.2012 di pubblicazione della sentenza impugnata = Euro 31.407,18 saldo originario al 31.12.2003 interamente versato dall'attore appellante fino al 14.09.2004), oltre interessi legali dai 14.09.2004 fino all'effettivo e totale soddisfo; 7) in ogni caso e comunque, condannare la (...) S.p.A., in persona del legale rappr.te p.t., al pagamento in favore dell'appellante (...) delle spese e compensi professionali del presente grado di giudizio, con gli accessori di legge C.P.A. ed I.V.A. e spese forfetarie, e delle spese della consulenza tecnica d'ufficio se ed in quanto sarà disposta ex officio e espletata nel presente grado di giudizio. La (...) S.p.A., a ministero dell'avv. (...), il 6 febbraio 2014, si costituiva chiedendo che l'appello fosse dichiarato inammissibile, improponibile, improcedibile, nullo ed infondato in fatto e diritto, e chiedendone in ogni caso il rigetto. Con ordinanza resa all'esito dell'udienza del 28 novembre 2019, la Corte disponeva la mediazione ai sensi dell'art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 28 del 2010 contestualmente rinviando all'udienza del 28 maggio 2020. Nel frattempo, con comparsa del 16 dicembre 2019, si costituiva la (...) S.p.A., esponendo la sua legittimazione in virtù di fusione per incorporazione della (...) S.p.A. perfezionata con atto per notar (...) del 17.11.2014, a ministero dell'avv. (...), "anche in sostituzione del precedente procuratore e difensore, riportandosi integralmente alle deduzioni formulate ed impugnando ogni avverso dedotto". Con nota di deposito dell'8 aprile 2020, la parte appellante depositava il verbale del primo incontro di mediazione svoltosi il 30 dicembre 2019 e conclusosi con esito negativo. D'altro canto, con note depositate il 15 aprile 2020, la banca appellata eccepiva l'improcedibilità dell'appello sulla base del fatto che la procedura di mediazione sarebbe stata esperita presso un organismo territorialmente non competente. Con ordinanza del 28 giugno 2021 (depositata il 19 luglio 2021), riservata ogni ulteriore valutazione e decisione, la Corte premetteva che: "a) l'appello è incentrato sulla determinazione della somma dovuta dalla banca in restituzione che si ritiene essere stata erroneamente liquidata nella sentenza impugnata; b) secondo le deduzioni della parte appellante, il giudice di prime cure avrebbe erroneamente omesso di condannare la banca alla restituzione di un ulteriore importo di Euro 31.407,17 risultante quale saldo negativo alla data del 31 dicembre 2003 posto che alla data di estinzione del conto il saldo risultante sarebbe pari a zero; c) dall'esame della produzione della parte attrice in prime cure (oggi appellante) si evince la produzione dell'estratto conto alla data dell'estinzione (13 settembre 2004) oltre che l'estratto finale con saldo zero alla data del 30 settembre 2004; c) sempre secondo le motivazioni della impugnazione, né il C.T.U. (la cui relazione tecnica è datata 26 novembre 2007) né il tribunale avrebbero tenuto conto dell'arresto delle Sezioni Unite secondo cui qualora, nell'ambito del contratto di conto corrente bancario, venga dichiarata la nullità della previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale degli interessi, per contrasto con il divieto di anatocismo stabilito dall'articolo 1283 c.c. (il quale atterrebbe anche ad un'eventuale previsione negoziale di capitalizzazione annuale), gli interessi a debito del correntista debbono essere calcolati senza operare capitalizzazione alcuna (Cass. civ. Sez. Unite, 02/12/2010, n. 24418); d) dalla lettura della relazione tecnica del C.T.U. dott. (...) datata 26 novembre 2007 emerge che le quattro ipotesi di conteggi effettuati prevedono sempre la capitalizzazione annuale (a fronte di quella trimestrale applicata dalla banca) e individua quale termine finale per l'indagine la data del 31 dicembre 2003 in quanto la carenza agli atti di tutti i prospetti di liquidazione delle competenze operate dalla banca per il 2004 avrebbe reso impossibile l'esatta individuazione dei tassi applicati durante quel periodo e tutti gli ulteriori conteggi richiesti (pag. 9); e) è perciò necessario che il C.T.U. riesamini i movimenti del rapporto di conto corrente oggetto di causa al fine formulare nuove ipotesi di conteggio con epurazione completa di ogni forma di anatocismo individuando quale termine finale la data di estinzione del conto (tenendo presente che risultano prodotti dalla parte attrice gli estratti conto sia pur incompleti relativi al 2004: 31 gennaio, 29 febbraio, 31 luglio, 31 agosto, 30 settembre); f) peraltro, nei giudizi finalizzati all'accertamento e alla rettifica del saldo, il giudice può disporre l'espletamento della consulenza tecnica contabile per la rideterminazione del saldo del conto corrente in base ai documenti contabili prodotti dalle parti quando la produzione degli estratti di conto corrente sia incompleta, purché si ricorra a procedimenti matematici di rielaborazione dei dati presenti nelle scritture contabili depositate, risultando dunque possibile rideterminare il saldo sulla base di criteri matematici che consentano l'analisi di dati effettivi risultanti dai documenti depositati (cfr. Cass. n. 14074/18, ord.; Cass. n. 9140/20, secondo la quale "a fronte di una produzione non integrale degli estratti conto è sempre possibile, per il giudice del merito, ricostruire i saldi attraverso altri elementi di prova; Cass. n. 11543/2019; Cass., n. 9526/2019; si vedano anche Cass. n. 14074/2018 e Cass. n. 31187/2018, secondo cui per far fronte alla necessità di elaborazione di dati incompleti, il giudice ben può avvalersi di un consulente d'ufficio, essendo sicuramente consentito svolgere un accertamento tecnico contabile al fine di rideterminare il saldo del conto in base a quanto, comunque, emergente dai documenti prodotti in giudizio) tenendo ferma per il caso di specie l'estinzione del rapporto con il saldo zero; g) qualora il C.T.U. dovesse rilevare l'incompletezza degli estratti per l'anno 2004 effettuerà le necessarie operazioni di raccordo che tengano conto del saldo di ripartenza come emergente dagli estratti conto (saldo già comprensivo degli interessi e delle competenze) indicando sempre il metodo matematico adottato, specificando che gli elementi per il conteggio delle competenze consentono di determinare un saldo medio per un intervallo di giorni e che, quindi, pur non consentendo di determinare l'esatto ammontare del saldo di conto corrente a quella precisa data di valuta, consentono però la corretta determinazione degli interessi nell'intervallo di giorni considerato che è l'unica cosa che conta alla fine dell'incarico assegnato (ad esempio, l'assenza degli estratti conto analitici può comportare la necessità di ricostruire i saldi del conto e i singoli movimenti per valuta mediante un calcolo a ritroso, consistente nel dividere il totale dei numeri per i giorni e moltiplicando il risultato per cento)". Sulla base di queste premesse la Corte disponeva con l'ordinanza indicata l'integrazione della consulenza tecnica d'ufficio svolta in primo grado affinché il consulente tecnico già a suo tempo incaricato (dott. (...)) fornisse risposta ai seguenti quesiti: "1) in relazione al rapporto contrattuale intercorso tra le parti ed oggetto del giudizio (rapporto identificato dapprima con il n. (...) e poi con il n. (...)), accerti (con decorrenza dalla data di apertura) il saldo alla chiusura del rapporto, specificando se sia presente la documentazione contrattuale ed i relativi estratti conto e quali ulteriori documenti utili ai fini della ricostruzione del rapporto, riformulando i diversi conteggi effettuati nella prima relazione con epurazione di ogni forma di anatocismo, accertando così il rapporto di dare/avere tra le parti; 2) in ogni caso, ricalcoli l'esatto ammontare del rapporto dare/avere tra le parti, senza tenere conto di alcun interesse a qualsiasi titolo applicato, qualora risulti che il tasso di interesse effettivo globale (TEG) pattuito o successivamente modificato ai sensi dell'art. 118 TUB nei contratti oggetto di causa risulti superiore al tasso soglia, rilevato dal Ministero del Tesoro con D.M. corrispondente al trimestre in cui vi è stata l'applicazione. A tal fine, computi nella base di calcolo ogni onere con funzione di remunerazione del credito (commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, tenendo conto di quanto statuito da Cass. SS.UU. n. 16303/2018; v. anche Cass. ord. n. 1464/2019), utilizzando le istruzioni della (...) vigenti trimestre per trimestre; nel caso in cui dalla prima verifica risulti che non vi è stata usura verifichi l'usurarietà delle condizioni economiche pattuite o applicate, utilizzando le istruzioni della (...) contenute nella circolare della (...) 2 dicembre 2005, n. (...). Nel rispondere al quesito il C.T.U. dovrà tener conto di quanto segue: I) in caso di calcolo TEG con formula (...) si dovranno seguire le istruzioni della (...), con applicazione della formula corrispondente alla categoria di operazioni individuata nel caso da decidere e vigenti trimestre per trimestre; II) il quesito relativo alla verifica dell'usura dovrà essere predisposto come sopra anche in ipotesi di c.m.s. invalida; III) per fido accordato deve intendersi l'ammontare del fido utilizzabile dal cliente in quanto riveniente da un contratto perfetto ed efficace (c.d. accordato operativo); tale fido potrà essere ricavato attraverso il conteggio indiretto dall'estratto conto; IV) nel caso di passaggi a debito di conti non affidati o comunque se si verificano utilizzi di finanziamento senza che sia stato precedentemente predeterminato l'ammontare del fido accordato, l'attribuzione alla classe di importo va effettuata prendendo in considerazione l'utilizzo effettivo nel corso del trimestre di riferimento (inteso come massimo utilizzo nel trimestre, secondo le istruzioni della (...), e non come utilizzo medio nel trimestre di riferimento) (ad es. nel caso di passaggi a debito di conti correnti non affidati deve essere considerato il saldo liquido massimo di segno negativo; nel caso di operazioni di factoring su crediti acquistati a titolo definitivo e di sconto di effetti deve essere considerato l'importo erogato; in caso di presentazione di effetti allo sconto da parte di un cliente occasionale la classe d'importo è determinata in base all'importo erogato per ogni singola presentazione sul complesso degli effetti ceduti nell'arco di una giornata lavorativa, ancorché gli stessi siano emessi da soggetti diversi e per differenti scadenze. 4) Dica altresì il C.T.U. quant'altro necessario ed utile ai fini delle valutazioni da parte del Collegio; 5) in ogni caso, proceda il C.T.U. nel tentare la conciliazione tra le parti e, in caso di esito negativo, esponga i risultati delle indagini compiute ed il suo parere in una relazione scritta, da depositare nei termini che saranno assegnati, invitando in ogni caso sin d'ora le parti a tentare la conciliazione sulla base delle risultanze peritali". La relazione tecnica integrativa veniva depositata dal C.T.U. dott. (...) il 20 aprile 2022. All'esito della trattazione scritta dell'udienza del 9 giugno 2022, la Corte si riservava la decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE 1.- La parte appellante affida la sua impugnazione ad un unico articolato motivo di gravame censurando (parzialmente) la sentenza di primo grado. 2.- In via preliminare, occorre esaminare le due eccezioni proposte dalla difesa della banca appellata ((...) S.p.A.) con la comparsa di costituzione volte ad ottenere una pronuncia in rito sull'impugnazione per violazione dell'art. 342 c.p.c. oltre che dell'art. 348-bis c.p.c. 2.1. - In base all'art. 348-bis c.p.c. "Fuori dei casi in cui deve essere dichiarata con sentenza l'inammissibilità o l'improcedibilità dell'appello, l'impugnazione è dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta". La Corte ha ritenuto di procedere alla trattazione dell'impugnazione proposta contro la sentenza ed in questa sede l'eccezione sollevata dall'appellata resta inevitabilmente assorbita. 2.2. - Quanto alla eccepita mancanza di specificità dei motivi, la stessa non è destinata a miglior esito. Sulla questione interpretativa della norma richiamata la S.C. ha espresso il principio in base al quale gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, devono essere interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Resta tuttavia escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l'atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado (Cass. civ. Sez. Unite, 16/11/2017, n. 27199). La Corte ritiene pertanto che l'atto di appello in esame assolva a quanto prescritto dall'art. 342 c.p.c. nella formulazione attualmente in vigore e già vigente alla data di notifica dello stesso (la riforma attuata con il D.L. n. 83 del 2012 si applica infatti agli appelli proposti successivamente alla data dell'11 settembre 2012). Infatti, l'appello appare senza dubbio ammissibile contenendo sia il profilo volitivo (indicazione delle parti che si intendono impugnare), sia quello argomentativo (con indicazione delle modifiche che dovrebbero essere apportate al provvedimento con riguardo alla ricostruzione del fatto), ma anche il profilo censorio (vi è l'indicazione del perché assume sia stata violata la legge) ed infine del profilo di causalità (con la giustificazione del rapporto causa ed effetto fra la violazione dedotta e l'esito della lite. La censura proposta dalla parte appellata circa l'inammissibilità dell'atto di gravame ex art. 342 c.p.c. è dunque infondata e deve essere disattesa. 3. - Quanto alla posizione della parte appellata, sempre in via preliminare, occorre rilevare che inizialmente si è costituita la (...) S.p.A. a ministero dell'avv. (...) (il quale non risulta aver rinunciato al mandato e tantomeno risulta essere stato revocato). 3.1. - Tuttavia, con comparsa del 16 dicembre 2019 (e connessa procura alle liti), si è costituita la (...) S.p.A., esponendo la sua legittimazione in virtù di fusione per incorporazione della (...) S.p.A. perfezionata con atto per notar (...) del 17.11.2014, a ministero dell'avv. (...), "anche in sostituzione del precedente procuratore e difensore, riportandosi integralmente alle deduzioni formulate ed impugnando ogni avverso dedotto". 3.2.- Dalla data di costituzione della (...) S.p.A. le attività difensive sono state svolte esclusivamente dall'avv. (...) (pur non risultando cessato il mandato conferito originariamente all'avv. (...)). Nessuna documentazione è stata prodotta a supporto della esposta legittimazione in virtù di successione della (...) S.p.A. alla (...) S.p.A. (derivante da fusione per incorporazione). 3.3. - Invero, la carenza di titolarità, attiva o passiva, del rapporto controverso è rilevabile di ufficio (anche in appello) dal giudice se risultante dagli atti di causa; ciò in quanto si tratta di un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicché spetta all'attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione, da parte del convenuto (Cass. civ. Sez. Unite Sent., 16/02/2016, n. 2951; Cass. civ. Sez. III Ord., 15/05/2018, n. 11744) 3.4. - Nel caso di specie, posto che la costituzione dell'appellata (...) S.p.A. è stata rituale occorre soltanto valutare la successiva costituzione del soggetto che si è dichiarato incorporante ((...) S.p.A.) al fine di valutare la ritualità delle difese depositate dal nuovo difensore (che è stato aggiunto a quello precedentemente nominato dal soggetto incorporato). Sul punto, considerato che la parte appellante nulla ha eccepito al riguardo ed ha quindi riconosciuto tacitamente la titolarità passiva in capo alla (...) S.p.A. in sostituzione della (...) S.p.A., devono ritenersi ritualmente svolte le attività difensive compiute in sede processuale dall'avv. (...) dal 16 dicembre 2019. 4. - Sempre in via preliminare, occorre esaminare l'eccezione sollevata dalla difesa della banca appellata con le note del 15 aprile 2020 e poi reiterata nelle successive difese relativa alla procedibilità dell'appello in esito alla disposta mediazione ex art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 28 del 2010. 4.1. - Con ordinanza resa all'esito dell'udienza del 28 novembre 2019, la Corte ha disposto la mediazione ai sensi dell'art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 28 del 2010 contestualmente rinviando all'udienza del 28 maggio 2020 per la verifica degli esiti. Con nota dell'8 aprile 2020, la parte appellante ha depositato il verbale del primo incontro di mediazione svoltosi il 30 dicembre 2019 e conclusosi con esito negativo. D'altro canto, con note depositate il 15 aprile 2020, la banca appellata ha eccepito l'improcedibilità dell'appello sulla base del fatto che la procedura di mediazione sarebbe stata esperita presso un organismo territorialmente non competente. 4.2.- Sulla base della documentazione depositata dalla parte appellante e non contestata dalla parte appellata, con riguardo alla procedura di mediazione emerge il corretto svolgimento della stessa ai fini della verifica dell'esperimento della condizione di procedibilità. Più precisamente, il 2 dicembre 2019, l'appellante (...) ha depositato presso l'Organismo di Mediazione della Camera di Commercio di Avellino (iscritto al n. 345 del Registro ministeriale) la domanda di mediazione, con allegata l'ordinanza del 28 novembre 2019 e le copie dei documenti relativi al giudizio. In pari data (2 dicembre 2019) il citato Organismo ha assegnato alla procedura il n. 45/19 R.G.AA.Med., erroneamente indicato "n. 01/18" nella comunicazione p.e.c. del 02.12.2019 e rettificato con la p.e.c. del 06.12.2019, ha designato il mediatore (dr.ssa (...), commercialista "competente nella materia" bancaria) ed ha fissato il primo incontro per il giorno 30 dicembre 2019. 4.3.- Al primo incontro del 30 dicembre 2019, presso l'Organismo prescelto e dinanzi al mediatore designato, hanno personalmente partecipato la parte istante (appellante) (...) assistito dall'avv. (...) e per l'appellata ((...) S.p.A., già (...) S.p.A.) l'avv. (...) "in qualità di legale e procuratore della (...) S.p.A., giusta procura speciale del Presidente nonché legale rappresentante p.t. Dr. (...) del (...) Rep. n. (...) autenticata nella firma dal notaio dr. (...), agli atti" (come risulta dal verbale di mediazione del 30 dicembre 2019). Per cui se da un canto risulta presente personalmente la parte appellante dall'altra è presente l'avv. (...) munito di procura speciale rilasciata ad hoc per la procedura di mediazione in questione con il conferimento del "più ampio potere di rappresentanza". In particolare, come si legge nella procura "il Procuratore Speciale - edotto dei fatti di causa- agirà, senza necessita di alcun rendimento del conto, con ogni potere e facoltà di decisione, di valutazione e con potere di conciliare e transigere. Il procuratore potrà porre in essere tutto quanto necessario ai fini dell'espletamento del mandato, senza che gli si possa eccepire mancanza, insufficienza e/o indeterminatezza di poteri. Ogni spesa e onere saranno ad esclusivo carico della società B.: (...) spa che non potrà mai opporre difetto di rappresentanza e/o poteri. La procura speciale avrà durata per tutta la pendenza del suindicato procedimento per il quale è stata conferita e cesserà automaticamente e di diritto con il cessare del procedimento stesso senza che all'uopo sia necessario alcunché". Come risulta dal verbale di mediazione, "(...) apre ... l'odierno incontro e ... invita le parti e i loro avvocati ad esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione (ex art. 8 comma 1 D.Lgs. n. 28 del 2010 e successive modifiche), anche alla luce delle indicazioni della Corte di Appello di Napoli contenute nell'ordinanza del 28/11/2019, cui fa espresso rinvio. L'Avv. (...) al riguardo rappresenta che, in conformità a quanto statuito dalla sentenza della Suprema Corte n. 8473 del 2019 la (...) non è interessata alla mediazione atteso che, peraltro, la sentenza di I grado deve ritenersi addirittura fin troppo favorevole al Sig. (...) e non sussistendo pertanto i presupposti e le condizioni di cui agli artt. 4 e ss. del D.Lgs. n. 28 del 2010. Il Sig. (...) prende atto e si rimette al Mediatore confermando i motivi dell'atto di appello, le conclusioni e la rinnovazione della consulenza tecnica d'ufficio. (...) prende atto dell'impossibilità di proseguire nella mediazione per inconciliabilità delle rispettive posizioni e conclude la procedura con un mancato accordo, anche alla luce della circostanza che le parti non hanno concordemente inteso chiedere al Mediatore di formulare una proposta conciliativa. PQM il Mediatore Dr.ssa (...), vista l'impossibilità di comporre la lite; ... dichiara l'esito negativo del procedimento di mediazione per mancato raggiungimento dell'accordo". 4.4.- Con le note del 15 aprile 2020, la banca appellata eccepisce la violazione dell'art. 4 D.Lgs. n. 28 del 2010 che prevede che la domanda di mediazione debba essere presentata presso un Organismo che abbia sede nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia. Secondo la tesi esposta nelle richiamate note, "l'esperimento della mediazione presso la sede di un organismo in luogo diverso (Avellino) da quello del Giudice competente per la controversia (Napoli) non produce effetti e non è idoneo a soddisfare la condizione di procedibilità della domanda (di appello). La condizione di procedibilità della domanda non si è pertanto verificata ed il giudizio non può proseguire". 4.5.- In base all'art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 28 del 2010 "La domanda di mediazione relativa alle controversie di cui all'articolo 2 è presentata mediante deposito di un'istanza presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia". Nel caso di specie, la mediazione è stata disposta dalla Corte di Appello di Napoli ai sensi dell'art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 28 del 2010 e devono ritenersi astrattamente competenti per territorio tutti gli Organismi aventi sede nel distretto nel quale la detta Corte esercita le sue funzioni. Questo significa che la procedura in questione è stata correttamente incardinata presso un organismo di mediazione che ha sede in Avellino che rientra nel distretto della Corte di Appello di Napoli (considerato che il Comune di Avellino è sede del Tribunale il cui circondario e parte del distretto territoriale per cui è competente questa Corte). Non vi è dubbio quindi che sussista la competenza territoriale dell'Organismo presso il quale si è svolta la procedura di mediazione e l'eccezione appare pretestuosa posto che la banca appellata ha partecipato all'incontro di mediazione senza sollevare alcuna eccezione rispetto al corretto svolgimento della stessa. Peraltro, una diversa interpretazione della norma apparirebbe del tutto irragionevole posto che il legislatore ha inteso chiaramente ancorare il criterio di territorialità degli organismi di mediazione a quello del giudice competente per territorio dovendosi quindi tener conto dello specifico e diverso ambito di competenza territoriale dei diversi uffici giudiziari (giudice di pace, tribunale, corte di appello). 4.6.- Al riguardo la Cassazione - sentenza pur evocata dalla banca appellata - ha chiarito che "il meccanismo legislativo postula che sia dapprima individuato il foro giudiziale, secondo le regole sottese a tale determinazione, e solo di riflesso sia individuato l'organismo cui accedere in fase conciliativa" (Cass. civ., Sez. VI - 3, Ord., 02/09/2015, n. 17480). Per cui quando la mediazione è demandata dal giudice non sussistono dubbi circa l'individuazione dell'ambito territoriale entro il quale deve essere presente la sede dell'organismo presso il quale svolgere la procedura di mediazione. Infatti, nel corso del giudizio (e, quindi, anche nei casi di mediazioni che si svolgono ex art. 5, comma 1-bis, D.Lgs. n. 28 del 2010 dopo l'avvio del processo) è indubbio che vi sia una attrazione del luogo di svolgimento del procedimento di mediazione davanti ad un organismo che abbia la propria sede nell'ambito di competenza territoriale nel quale controversia risulta pendente (in tal senso, Trib. Verona, ord. 12 agosto 2014), salva la facoltà delle parti di scegliere un organismo avente sede in luogo diverso. D'altronde, la ratio della norma in questione è indiscutibilmente (soltanto) quella di favorire l'incontro tra le parti al fine di consentire l'effettivo svolgimento della mediazione evitando condotte elusive e, comunque, finalizzate ad ostacolare l'incontro, in tal modo vanificando sin dall'origine lo scopo della mediazione, sostanzialmente privando di utilità e riducendo ad una vuota formalità il procedimento così introdotto. 4.7.- Ad ulteriore conforto della lettura interpretativa sopra indicata, possono leggersi i chiarimenti forniti dal Consiglio Nazionale Forense il 22 novembre 2013 (all'indomani della riforma del 2013 con la quale è stato introdotto il criterio di territorialità per gli organismi ex art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 28 del 2010) secondo cui "per determinare la competenza dell'organismo di mediazione, una volta individuato il giudice competente secondo le norme del c., occorrerà fare riferimento all'ambito di competenza territoriale previsto per gli uffici giudiziari, rispettivamente: distretto per la Corte d'Appello, circondario per il Tribunale, mandamento per il giudice di pace ed ambito territoriale regionale per il c.d. tribunale delle imprese. ... Premessa la tendenziale derogabilità della competenza territoriale degli ODM ... modalità attraverso le quali può essere esercitata l'autonomia privata in ordine alla competenza territoriale dell'ODM ... ipotesi, probabilmente più frequente, sarà quella in cui dalla mancata contestazione della parte invitata, deriverà l'implicito accordo in deroga. Qui manca l'accordo preventivo, ma l'accettazione dell'invito a presentarsi davanti ad un ODM in un luogo diverso da quello di competenza del giudice, provoca, come avviene nel processo, la tacita accettazione della deroga. ... Nel caso di effettivo svolgimento della mediazione dinnanzi ad un organismo territorialmente incompetente ... se ... non si è raggiunto l'accordo, la presenza della controparte ha garantito la tacita deroga alla competenza e quindi la condizione di procedibilità si considererà rispettata. ... La mediazione inizia con il deposito della domanda di mediazione, perciò, il primo incontro è già parte integrante della procedura. ... Il primo incontro si conclude quando il mediatore ritiene evidente la volontà delle parti di proseguire o meno con la procedura ... Nel caso di mancato accordo tra le stesse per proseguire la mediazione, il mediatore dovrà redigere l'apposito verbale che costituirà titolo per dimostrare l'assolvimento della condizione di procedibilità (art. 5 comma 2 bis del D.Lgs. n. 28 del 2010)". Quanto alla derogabilità del criterio legale di territorialità resta infine da osservare che il legislatore con la recente riforma adottata con il D.Lgs. n. 149 del 2022 ha integrato il comma 1 dell'art. 4 D.Lgs. n. 28 del 2010 (con entrata in vigore dal 28 febbraio 2023, ex L. n. 197 del 2022) proprio al fine di chiarire che "La competenza dell'organismo è derogabile su accordo delle parti". Ciò significa che anche qualora (e non è così) l'organismo presso il quale si è svolta la mediazione non avesse avuto sede nel distretto territoriale della Corte di Appello di Napoli, in ogni caso l'eccezione sarebbe risultata priva di pregio in considerazione dell'accordo tacito intervenuto tra le parti in deroga al criterio previsto dalla norma di riferimento. 4.8.- Peraltro, la giurisprudenza di merito si espressa nel senso sopra indicato e cioè collegando l'ambito territoriale del giudice a quello della sede dell'organismo di mediazione. Infatti, anche le pronunce richiamate dalla difesa della banca appellata per sostenere la improcedibilità della domanda e, quindi, dell'appello (sia nelle note e sia nella comparsa conclusionale) si pongono nel medesimo solco interpretativo adottato da questa Corte. E come puntualmente rilevato dalla difesa dell'appellante, quanto alla sentenza del Tribunale di Milano Sez. I Civ. del 26 febbraio 2016 occorre precisare che ivi viene dichiarata la improcedibilità in quanto l'organismo presso il quale si è svolta la mediazione ha sede a Roma, quindi, in un Comune fuori (dal distretto e) dal circondario di Milano, giudice territorialmente competente; per la sentenza del Tribunale di Napoli Nord del 14 marzo 2016 si deve precisare che l'organismo ha sede a Napoli e, perciò, in un Comune compreso nello stesso distretto di Napoli ma fuori dal circondario di Napoli Nord, giudice territorialmente competente; ed ancora, per la sentenza del Tribunale di Torino n. 2577 del 10 giugno 2022 occorre precisare che l'organismo ha sede a Milano e, dunque, in un Comune fuori (dal distretto e) dal circondario di Torino giudice territorialmente competente; infine, quanto alla sentenza del Tribunale di Foggia Sez. II Civ. n. 1831 del 19 luglio 2021 si deve precisare che l'organismo ha sede a (...) e, quindi, in un Comune compreso nello stesso distretto di Bari, ma fuori dal circondario di Foggia, giudice territorialmente competente. Più di recente, ma sempre nello stesso senso, si può segnalare anche un'altra sentenza del Tribunale di Torino Sez. I Civ. del 10 giugno 2022 che ha dichiarato l'improcedibilità in quanto la mediazione è stata svolta presso un organismo avente sede a Milano (e perciò fuori dal distretto e dal circondario di Torino). 4.9.- In conclusione, l'organismo presso il quale è stata svolta la mediazione avviata dalla parte onerata (appellante) deve ritenersi competente ai sensi dell'art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 28 del 2010, e la condizione di procedibilità posta con l'ordinanza ex art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 28 del 2010 deve ritenersi essere stata ritualmente esperita. 5.- Passando ad esaminare il merito della controversia, con il primo motivo di gravame l'appellante censura la sentenza di primo grado lamentando la violazione dei principi della domanda e della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (art. 99 e 112 c.p.c.). 5.1.- Le parti della sentenza oggetto dell'impugnazione sono specificamente le seguenti: " ... avendo l'attore, in citazione, denunciato solo la nullità della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi e della commissione di massimo scoperto, ogni ulteriore denuncia di nullità ed illegittimità è tardiva e, quindi, inammissibile ..." (pag. 2); " ... dalla documentazione in atti non emerge che l'attore abbia corrisposto alla banca il saldo negativo di Euro 31.407,18 risultante dagli estratti conto alla data del 31.12.2003, per cui non può ottenere la restituzione di somme non versate. Va, quindi, dichiarato che l'attore alla data del 31.12.2003 era creditore della somma di Euro 60.742,92. Conclusivamente, spettano all'attore complessivi Euro 60.742,92 oltre interessi al tasso legale dal 31.12.2003 e fino all'integrale soddisfo, somma al pagamento della quale va condannato il convenuto ..." (pag. 6); "1. condanna la (...) S.p.A. al pagamento in favore di (...) della somma di Euro 60.742,92 oltre interessi al tasso legale dal 31.12.2003 e fino all'integrale soddisfo; ..." (pag. 6). 5.2.- Con l'impugnazione la parte appellante espone che, con riferimento al rapporto bancario dedotto in giudizio posto a fondamento dell'atto di citazione, iniziato nell'anno 1984 e concluso il 14.09.2004 con la estinzione del conto corrente n. (...), che nell'estratto conto al 30.09.2004 depositato in giudizio dall'attore presentava un saldo finale di Euro 0,00, e che nella citazione del 20.09.2005 ha denunciato la mancanza di convenzione scritta preventiva relativa sia ai tassi degli interessi debitori applicati ed alle percentuali delle commissioni di massimo scoperto applicate, sia alla capitalizzazione trimestrale di questi (premessa pag. 1 lett. B citazione), ed ha altresì denunciato l'applicazione di tassi di interesse debitori non concordati e superiori a quelli nominali ultralegali e l'applicazione di percentuali per competenze, remunerazioni e costi non concordate e superiori a quelle nominali (premessa pag. 1 lett. C citazione); ha quindi chiesto la dichiarazione di nullità dei contratti di conto corrente oggetto del rapporto bancario intercorso tra esso attore e la convenuta con specifico riferimento alle clausole relative all'applicazione dell'interesse anatocistico e delle commissioni di massimo scoperto trimestralmente capitalizzati e, di conseguenza, la determinazione dell'esatto dare-avere tra le parti in base ai risultati del ricalcolo effettuato in sede di C.T.U. tecnico-contabile, sulla base dell'intera documentazione relativa al rapporto di apertura di credito dall'inizio del rapporto bancario fino alla estinzione di questo (conclusioni pag. 11 n. 1 citazione), ed ha inoltre chiesto la condanna della convenuta banca alla restituzione all'attore delle somme illegittimamente addebitate e riscosse, oltre interessi legali creditori (conclusioni pag. 11 n. 2 citazione). 5.3.- Alla luce di quanto esposto, secondo l'appellante sussisterebbe una violazione dei principi della domanda e della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (art. 99 e 112 c.p.c.) in quanto il primo giudice avrebbe omesso di pronunciarsi su tutte le domande proposte dal (...). Il tribunale avrebbe dunque omesso di dichiarare la nullità, per mancanza di preventiva pattuizione scritta, anche delle clausole contrattuali relative all'applicazione di tassi di interesse debitori extralegali non concordati né pattuiti per iscritto con il cliente-correntista e superiori a quelli nominali in violazione della norma dell'art. 1284, commi 2 e 3, c.c., ed all'applicazione di percentuali per commissioni di massimo scoperto, competenze, remunerazioni e costi non concordate e superiori a quelle nominali. 5.4.- Sul punto, la banca nella comparsa di costituzione precisa che la convenzione intervenuta tra le parti esiste, diversamente da quanto ancora oggi sostiene l'appellante, e che dal modulo contrattuale, in atti, si evince che controparte ne era in possesso. Infatti, con raccomandata del 11.12.1985 (primo contratto) e con raccomandata del 02.03.1995 (secondo contratto) era proprio (...) che, dopo aver sottoscritto le convenzioni, le spediva alla allora (...). 6.- Con il secondo motivo di impugnazione, la parte appellante si duole della violazione del principi della disponibilità e valutazione delle prove ex artt. 115 e 116 c.p.c.) in quanto il giudice di primo grado avrebbe omesso di valutare e porre a base della decisione tutte le prove documentali acquisite tempestivamente e ritualmente agli atti del giudizio relative all'unico, ancorché complesso, rapporto bancario posto a fondamento dell'atto di citazione, iniziato nell'anno 1984 ed estinto in data 13.09.2004 ed in particolare gli estratti conto al 31.01.2004 fino a quello ultimo al 30.09.2004. 6.1.- Gli estratti conto depositati in giudizio dal (...) e dalla banca hanno consentito al tribunale di accertare che quest'ultima ha praticato anatocismo contra legem dall'inizio del rapporto fino alla data del 31.12.2003 e proverebbero anche il fatto, rilevante per la decisione e del quale il giudice di primo grado non avrebbe tenuto conto, che tale anatocismo è stato praticato dalla banca anche dalla detta data del 31.12.2003 fino al 13.09.2004, data di estinzione definitiva con pagamento totale del preteso saldo debitorio e chiusura del detto rapporto bancario. Ciò in quanto la banca avrebbe proceduto per l'intera durata di tale rapporto alla capitalizzazione trimestrale cumulativa sia degli interessi debitori sia delle commissioni di massimo scoperto, competenze e costi oltre i limiti consentiti dalla norma di cui all'art. 1283 c.c. ed in violazione di questa, nonché in violazione della norma di cui all'art. 1284, commi 2 e 3, c.c., applicando un uso negoziale e non un uso normativo, onde la nullità della detta clausola di capitalizzazione trimestrale inidonea a derogare al precetto di cui all'art. 1283 c.c. ancorché dichiarata conforme alle "norme bancarie uniformi", giacché anche queste costituiscono usi negoziali secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità. 6.2.- Peraltro, avendo il primo giudice affermato che il consulente tecnico d'ufficio ha fatto corretta applicazione dei principi sopra indicati, procedendo al ricalcolo del credito per il saldo attivo del conto corrente con operazioni immuni da errori e da vizi logici quanto al computo del credito alla data del 31.12.2003 (pag. 6 sentenza), esso giudice avrebbe dovuto quantificare l'ammontare del credito dell'attore, non fino alla detta data del 31.12.2003, bensì fino alla effettiva data del 13.09.2004 di estinzione del rapporto bancario documentato dall'estratto conto di chiusura al 30.09.2004 depositato in giudizio dall'attore ed esaminato dal C.T.U. dott. (...) il quale ha accertato, e dato atto nella relazione tecnico-contabile d'ufficio, non solo del deposito tra la documentazione prodotta dalle parti costituite degli "estratti conto e riassunti scalari riferiti a tutto il periodo compreso fra il 3.12.1984 e il 13.9.2004" (pag. 3 relazione), ma altresì del fatto che "gli e/c e riassunti scalari ... riportavano le movimentazioni contabili succedutesi nel periodo ... e il 13.9.2004, data di estinzione del conto" (pag. 4 relazione) "e il 14.9.2004 data di estinzione e di chiusura del c/c n. (...)" (pag. 9 relazione). 6.3.- Inoltre e soprattutto, il medesimo giudice, avendo esaminato tali estratti conto, erroneamente avrebbe affermato in sentenza che " ... dalla documentazione in atti non emerge che l'attore abbia corrisposto alla banca il saldo negativo di Euro 31.407,18 risultante dagli estratti conto alla data del 31.12.2003, per cui non può ottenere la restituzione di somme non versate ..." (pag. 6 sentenza), avendo l'attore depositato in giudizio anche gli estratti conto al 31.01.2004, nel quale risulta il citato saldo iniziale " ... negativo di Euro 31.407,18 alla data del 31.12.2003 ..." (pag. 6 sentenza), e quelli successivi compreso l'ultimo estratto conto al 30.09.2004 nel quale risulta il saldo finale di e 0.00 che ha determinato l'estinzione e la chiusura del rapporto. Di qui la prova documentale del fatto che il preteso "saldo negativo di Euro 31.407,18" (pag. 6 sentenza) sarebbe stato, in data antecedente al 26.09.2005 di notifica dell'atto di citazione, integralmente ed indebitamente pagato dall'attore correntista alla banca, con i versamenti eseguiti sul conto corrente n. (...) fino al 14.09.2004, tant'è che tale conto corrente sarebbe stato definitivamente chiuso il 14.09.2004 per estinzione della pretesa debitoria -saldo passivo-, come risulta dai suindicati estratti del conto corrente alla data del 30.09.2004 depositati in giudizio dall'attore già in allegato all'atto di citazione introduttivo e la conseguente erroneità della statuizione giudiziale inerente il mancato riconoscimento giudiziale dei diritto dell'attore ad ottenere in restituzione dalla banca anche la detta somma di Euro 31.407,18 indebitamente versata dall'attore ad essa convenuta fino alla detta data dei 14.09.2004. 7.- Con il terzo motivo di gravame, la parte appellante lamenta la violazione dell'obbligo di motivazione della sentenza (art. 111, comma 6, Cost., art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., art. 118, commi 1 e 2, disp. att. c.p.c.) perché il tribunale avrebbe del tutto omesso di precisare sia i motivi che l'hanno determinato a porre a base della decisione del giudizio la modalità di calcolo di cui alla "Ipotesi A - tassi convenzionali fino al 31.12.2003" anziché la modalità di calcolo di cui alla "Ipotesi B - tasso legale fino al 31.12.2003" elaborate dal C.T.U. nella relazione tecnico-contabile d'ufficio, sia i motivi che l'hanno determinato a ritenere applicabili i detti tassi convenzionali ("Ipotesi A") anziché i tassi legali ("Ipotesi B"), sia i motivi che l'hanno determinato ad ignorare e non applicare il principio di diritto fissato dalle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione con la sentenza n. 24418 del 02.12.2010, sopravvenuto rispetto alla data di deposito della consulenza tecnica d'ufficio, ed espressamente invocato dall'attore nella comparsa conclusionale depositata il 24.09.2012 con richiesta di determinazione dell'ammontare dei credito dell'attore senza operare alcuna capitalizzazione degli interessi a debito del correntista. 8.- Invero, all'esito dell'attività peritale svolta in questa sede (relazione tecnica del 20 aprile 2022 a firma del dott. (...)) è emerso che "la documentazione di natura contabile rinvenuta nel fascicolo di parte appellante consiste negli estratti conto e nei prospetti di liquidazione delle competenze, c.d. riassunti scalari, relativi ai rapporti oggetto di indagine" (pag. 4 rel. C.T.U.). 8.1.- Più precisamente "gli estratti di conto corrente nr. (...) riportano le movimentazioni contabili a debito e a credito del correntista succedutesi nel periodo dal 3/12/1984 al 31/12/1992, mentre gli estratti di conto corrente n. (...) riportano le movimentazioni contabili a debito e a credito del correntista intercorse nel periodo dal 15/12/1992 al 13/9/2004, data di estinzione del conto" (pag. 5 rel. C.T.U.). 8.2.- Inoltre, "tutte le movimentazioni contabili rilevate sui predetti conti si succedono senza interruzioni e/o salti temporali" (pag. 5 rel. C.T.U.). 8.3.- Ed ancora, "nel fascicolo digitale di parte appellata si rinviene copia del contratto di apertura di conto corrente di corrispondenza nr. (...) sottoscritto dal correntista in data 11/12/1985 le cui condizioni economiche sono precisate all'art. 7 delle norme regolamentari ivi riportate, e cioè: tasso di interesse a debito del 23% annuo oltre maggiorazione di due punti percentuali sugli utilizzi eccedenti la linea di credito accordata e c.m.s. trimestrale pari a 0,5% oltre maggiorazione di 0,125% sugli utilizzi eccedenti la linea di credito accordata. Si rinviene altresì copia del contratto di conto corrente di corrispondenza n. (...) sottoscritto il 2/3/1995 le cui condizioni economiche sono precisate all'art. 7 delle norme regolamentari ivi riportate, e cioè: tasso di interesse a debito pari a 17% annuo, tasso di interesse a debito per utilizzi eccedenti l'apertura di credito pari a 21%, c.m.s. trimestrale pari al 1% e tasso di interesse a credito pari a 0,5%" (pag. 5 rel. C.T.U.). 9. - In conformità a quanto disposto dal Collegio, il C.T.U. ha espletato anche la verifica sulla eventuale usurarietà dei tassi effettivi applicati dalla banca ai rapporti oggetto di giudizio per il periodo a decorrere dall'entrata in vigore della L. n. 108 del 1996 e, quindi, con riferimento al solo conto corrente nr. (...). 9.1. - La verifica è stata svolta tenendo conto del principio di diritto enunciato in Cass. SS.UU. n. 16303/2018, secondo cui "ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell'usura presunta come determinato in base alle disposizioni della L. n. 108 del 1996 va effettuata la separata comparazione del tasso effettivo globale di interesse praticato in concreto e della commissione di massimo scoperto (CMS) eventualmente applicata -intesa quale commissione calcolata in misura percentuale sullo scoperto massimo verificatosi nel periodo di riferimento -rispettivamente con il tasso soglia e la CMS soglia, calcolata aumentando della metà la percentuale della CMS media indicati nei decreti ministeriali emanati ai sensi dell'art. 2, comma 1, della predetta L. n. 108 del 1996, compensandosi poi l'importo della eventuale eccedenza della CMS in concreto praticata, rispetto a quello della CMS rientrante nella soglia, con il margine degli interessi eventualmente residuo, pari alla differenza fra l'importo degli stessi rientrante nella soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticati". 9.2.- Dai calcoli effettuati sulla base dei riassunti scalari versati in atti è emerso che il tasso effettivo globale, TEG, applicato al conto nr. (...) vigente al momento della entrata in vigore della L. n. 108 del 1996 non è mai superiore al tasso soglia, TEGM, rilevato in ciascun trimestre in riferimento alla categoria di operazioni aperture di credito in conto corrente per importi superiori a Lit. 10.000000 (Euro 5.164,57) mentre il tasso della cms effettivamente applicato è risultato superiore al tasso soglia della cms per tutti i trimestri dell'anno 2003. Allo stesso tempo, tuttavia, il C.T.U. ha potuto verificare che nei periodi interessati dal superamento della cms soglia, l'importo della cms applicata eccedente il limite consentito dalla L. n. 108 del 1996 risulta ricompreso nel c.d. margine di cui alla citata Cass. SS.UU. n. 16303/2018, dal che consegue che in nessun caso si è determinato un superamento delle soglie usura ex L. n. 108 del 1996 (pag. 8 rel. C.T.U.). 9.3.- Per cui, questa Corte, esaminata la relazione tecnica redatta dal C.T.U. dott. (...) nel corso del giudizio di appello, ritiene di condividerla e di attenersi alle risultanze della stessa in quanto fondata su una corretta metodologia tecnica ed è immune da vizi logici e giuridici giungendo a ritenere che sui conti dedotti in lite non si rileva alcun superamento delle soglie usura ex L. n. 108 del 1996 (pag. 16 rel. C.T.U.). 10.- In conclusione, di là dal profilo della usurarietà, emerge con evidenza la fondatezza dell'appello nei limiti di cui si dirà in prosieguo. 10.1.- Nel fascicolo digitale della parte appellata si rinviene copia del contratto di apertura di conto corrente di corrispondenza n. (...) sottoscritto dal correntista in data 11/12/1985 e copia del contratto di conto corrente di corrispondenza nr. (...) sottoscritto il 2/3/1995, ma non un contratto successivo all'intervento della Corte Costituzionale (che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 25, comma 3, D.Lgs. n. 342 del 1999 nella parte in cui riconosceva validità ed efficacia alle clausole anatocistiche contenute in contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della deliberazione del CICR) (Corte Cost., sent. 17.10.2000, n. 425). 10.2.- Inoltre, occorre precisare che sia nel giudizio di primo grado sia nel presente il (...) ha depositato tutti gli estratti conto dall'anno (...) al 30.09.2004 avendo così assolto all'onere della prova posto a suo carico. 10.3.- Quanto ai conteggi questa Corte esaminata la relazione tecnica redatta dal C.T.U. dott. (...) nel corso del giudizio di appello, ritiene di condividerla e di attenersi alle risultanze della stessa in quanto fondata su una corretta metodologia tecnica ed è immune da vizi logici e giuridici. 10.4.- In particolare, i nuovi calcoli sono stati effettuati tenendo presente che nell'ambito del contratto di conto corrente bancario, qualora venga dichiarata la nullità della previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale degli interessi, per contrasto con il divieto di anatocismo stabilito dall'articolo 1283 c.c., (il quale atterrebbe anche ad un'eventuale previsione negoziale di capitalizzazione annuale), gli interessi a debito del correntista debbono essere calcolati senza operare capitalizzazione alcuna (Cass. civ., Sez. Unite, 02/12/2010, n. 24418). 10.5.- Il C.T.U. infatti evidenzia "che in conformità ai quesiti posti lo scrivente ha riformulato i conteggi precedentemente esposti nella relazione espletata nel corso del giudizio di primo grado, con esclusione delle ipotesi di calcolo che prevedono la capitalizzazione trimestrale degli interessi per tutto il periodo successivo alla data di entrata in vigore della Del.CICR del 9 febbraio 2000 (ex ipotesi A1 e B1) in quanto contrastanti con il principio di calcolo alla base dell'incarico di consulenza conferito, che esclude ogni forma di capitalizza-zione periodica dalla rideterminazione del rapporto dare avere intercorso fra le parti" (pag. 12 rel. C.T.U.). 10.6.- Pertanto, alla luce di quanto esposto nell'esame dei motivi di gravame tra i conteggi eseguiti dal C.T.U. e descritti nella relazione peritale deve ritenersi corretto quello indicato sub B): "nella ipotesi in cui ai saldi di conto rideterminati vengano applicati i medesimi tassi applicati dalla banca risulta che il rapporto dare avere intercorso tra le parti ed oggetto del giudizio (rapporto identificato dapprima con il n. (...) e poi con il n. (...)) si chiude con un credito in favore del correntista odierno appellante pari a Euro 192.384,93" (pag. 16 rel. C.T.U.). 10.7.- Dall'importo sopra calcolato, come espressamente indicato dall'appellante, deve essere detratta la somma già versata dalla banca in esecuzione della sentenza di primo grado pari ad Euro 60.742,92. Per cui l'importo residuo dovuto dalla banca in favore dell'odierno appellante è pari ad Euro 131.642,01. 10.8. - Quanto agli interessi, che parte appellante richiede con decorrenza dal momento della estinzione dei rapporti di conto corrente, occorre osservare nell'ipotesi di nullità di un contratto la disciplina degli eventuali obblighi restitutori deve essere mutuata da quella dell'indebito oggettivo, con la conseguenza che qualora l'accipiens sia in mala fede nel momento in cui percepisce la somma da restituire è tenuto al pagamento degli interessi dal giorno in cui l'ha ricevuta (Cass. civ. Sez. I, 8 aprile 2009, n. 8564). Peraltro, la distinzione prevista dall'art. 2033 c.c. tra accipiens in mala fede, tenuto a corrispondere i frutti e gli interessi dal giorno del pagamento, ed accipiens in buona fede, tenuto agli interessi ed ai frutti dal giorno della domanda, va interpretata alla stregua del principio stabilito dall'art. 1147, comma 2, c.c., secondo cui la buona fede non giova se l'ignoranza dipende da colpa grave (Cass. civ. Sez. lavoro, 6 dicembre 1995, n. 12541). Nel caso di specie, deve rilevarsi che il rapporto è stato acceso nel 1984 epoca in cui la giurisprudenza riteneva legittima la pattuizione degli interessi passivi, delle commissioni di massimo scoperto e della capitalizzazione trimestrale con riferimenti agli usi. Per questo motivo la domanda relativa agli interessi deve essere accolta con decorrenza dalla ricezione della costituzione in mora effettuata con raccomandata a.r. del 14 gennaio 2005 (spedita il 17 gennaio 2005 e ricevuta dalla banca il 18 gennaio 2005). 11.- La parte appellante chiede oltre alla condanna della banca al pagamento delle spese processuali (incluse quelle relative alla C.T.U.), anche al rimborso delle spese relative alla procedura di mediazione demandata con l'ordinanza collegiale del 28 novembre 2019. 11.1.- Sul punto occorre rilevare che le spese di assistenza legale stragiudiziale, diversamente da quelle giudiziali vere e proprie, hanno natura di danno emergente e la loro liquidazione, pur dovendo avvenire nel rispetto delle tariffe forensi, è soggetta agli oneri di domanda, allegazione e prova secondo le ordinarie scansioni processuali (Cass. civ., Sez. Unite, Sent., 10/07/2017, n. 16990; Cass. civ., Sez. VI - 3, Ord., 02/02/2018, n. 2644; Cass. civ., Sez. III, Ordinanza, 04/11/2020, n. 24481; Cass. civ., Sez. III, 07/09/2022, n. 26368), sempre che le stesse possano considerarsi non superflue ai fini di una pronta definizione della vertenza, secondo una valutazione ex ante (Cass. civ., Sez. VI - 3, Ord., 13/03/2017, n. 6422; Cass. civ., Sez. III, 22/12/2022, n. 37477). 11.2.- Nella specie, la parte appellante non ha dimostrato e, invero, neppure compiutamente allegato, di aver pagato le spese per l'assistenza legale stragiudiziale di cui chiede la rifusione. La domanda non può dunque essere accolta. 11.3.- Invero, occorre rilevare che l'appellante produce (soltanto) la fattura (saldata) della Camera di Commercio di Avellino per il costo sostenuto per le spese di avvio della mediazione pari a complessivi Euro 48,80. 11.4.- Al riguardo occorre osservare che tale somma non si può ritenere allo stato ripetibile, in quanto costituente credito di imposta ai sensi dell'art. 20, comma 1, D.Lgs. n. 28 del 2010 secondo cui "Alle parti che corrispondono l'indennità ai soggetti abilitati a svolgere il procedimento di mediazione presso gli organismi è riconosciuto, in caso di successo della mediazione, un credito d' imposta commisurato all'indennità stessa, fino a concorrenza di Euro cinquecento, determinato secondo quanto disposto dai commi 2 e 3. In caso di insuccesso della mediazione, il credito d'imposta è ridotto della metà". È pur vero che tale credito di imposta non risulta essere stato mai finanziato e reso operativo, ma ciò non esclude ipso facto il diritto del (...) di esigere sulla base della norma primaria sopra indicata il riconoscimento del credito nei confronti dell'Erario. 12.- Pertanto, all'esito dell'esame dei motivi proposti con il gravame, la domanda proposta da (...) merita di essere accolta nei limiti di cui in motivazione. 12.1. - Con la parziale riforma della sentenza impugnata la Corte è tenuta a procedere (d'ufficio), quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l'esito complessivo della lite poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale, sicché violerebbe il principio di cui all'art. 91 c.p.c., il giudice di merito che ritenesse la parte soccombente in un grado di giudizio e, invece, vincitrice in un altro grado (Cass. 28 settembre 2015, n. 19122; Cass. n. 6259/2014; in senso conforme: Cass. n. 23226/2013, Cass. n. 18837/2010, Cass. n. 15483/2008). 12.2. - Le spese seguono la soccombenza ex art. 91, comma 1, c.p.c. 12.3. - Sulla base dei princìpi sopra enunciati, la liquidazione delle spese di entrambi i gradi del giudizio è dovuta secondo i parametri previsti dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55 come modificati dal D.M. 13 agosto 2022, n. 147 (in vigore dal 23 ottobre 2022) secondo quanto chiarito di recente dalle Sezioni Unite (Cass. civ., Sez. Unite, ord., 14/11/2022, n. 33482) in base allo scaglione di valore individuato secondo il criterio del decisum (Cass. civ. Sez. Unite Sent., 11/09/2007, n. 19014); liquidazione che deve tenere conto in particolare dei criteri di cui all'art. 4, comma 1, del decreto citato e specialmente delle caratteristiche e del pregio dell'attività prestata, oltre che dei risultati conseguiti, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate (valore della causa Euro 192.384,93: scaglione da Euro 52.101 a Euro 260.000). 12.4.- Invero, i parametri introdotti dal D.M. n. 55 del 2014, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti, trovano applicazione ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto, ancorché la prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta nella vigenza della pregressa regolamentazione, purché a tale data la prestazione professionale non sia stata ancora completata. Ne consegue che, qualora il giudizio di primo grado si sia concluso con sentenza prima della entrata in vigore del detto D.M., non operano i nuovi parametri di liquidazione, dovendo le prestazioni professionali ritenersi esaurite con la sentenza, sia pure limitatamente a quel grado; nondimeno, in caso di riforma della decisione, il giudice dell'impugnazione, investito ai sensi dell'art. 336 c.p.c. anche della liquidazione delle spese del grado precedente, deve applicare la disciplina vigente al momento della sentenza d'appello, atteso che l'accezione omnicomprensiva di "compenso" evoca la nozione di un corrispettivo unitario per l'opera prestata nella sua interezza (Cass. 13/07/2021, n. 19989). 12.5. - Si prende atto della dichiarazione ex art. 93, comma 1, c.p.c. resa per il grado di appello dall'avv. Filomena Maria Farese, procuratore e difensore di (...). P.Q.M. La Corte di Appello di Napoli, definitivamente pronunciando sull'appello proposto da (...) (iscritto al n. 4176/2013 R.G.) avverso la sentenza n. 1785/2012 depositata dal Tribunale di Avellino - I Sezione civile - nei confronti della (...) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, con atto notificato in data 14 ottobre 2013, così provvede: a) accoglie l'appello e per l'effetto - in riforma della sentenza impugnata - condanna la (...) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore di (...) dell'importo di Euro 131.642,01, oltre agli interessi al tasso legale con decorrenza dal 18 gennaio 2005 e fino al completo soddisfo; b) condanna la (...) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento delle spese del giudizio di primo grado in favore di (...) che liquida in Euro 17.730 (di cui Euro 480,00 per spese esenti, Euro 15.000,00 per compenso ed Euro 2.250,00 per spese generali al 15%), oltre agli accessori fiscali e previdenziali come per legge; c) condanna la (...) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento delle spese del giudizio di secondo grado in favore di (...), con attribuzione all'avv. (...), che liquida in Euro 20.555,06 (di cui Euro 1.005,06 per spese esenti, Euro 17.000,00 per compenso ed Euro 2.550,00 per spese generali al 15%), oltre agli accessori fiscali e previdenziali come per legge; d) le spese liquidate per la consulenza tecnica di ufficio di primo e di secondo grado restano definitivamente a carico della (...) S.p.A. Così deciso in Napoli il 17 novembre 2022. Depositata in Cancelleria il 9 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D'APPELLO DI MILANO SEZIONE PRIMA CIVILE nelle persone dei seguenti magistrati: dr. Massimo Meroni - Presidente rel. dr.ssa Serena Baccolini - Consigliere dr.ssa Alessandra Aragno - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. r.g. 634/2021 promossa in grado d'appello DA (...) (C.F. (...) ), elettivamente domiciliato in Via (...), 1 in MILANO presso lo studio dell'avv. MA.RO., e rappresentato e difeso dall'avv. AU.AN. come da delega in atti; APPELLANTE CONTRO (...) S.P.A. (C.F. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in VIA (...) MILANO presso lo studio dell'avv. LA.GI. che la rappresenta e difende come da delega in atti. APPELLATA (...) S.R.L. e, per essa, (...) S.P.A. (C. F. (...)) in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in VIA (...) presso lo studio dell'avv. PE.MA., che la rappresenta e difende come da delega in atti. APPELLATA Oggetto: Altri contratti bancari e controversie tra banche CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO 1) Decisione oggetto dell'impugnazione Sentenza n. 18/2021 del Tribunale di Como pubblicata il 13.1.2021. 2) Fatti all'origine del contenzioso I fatti rilevanti per la decisione, risultanti dagli atti di causa e non contestati dalle parti, sono così individuati: - (...) s.r.l., in data 25.3.2005, ha aperto presso (...) S.p.A. (d'ora in poi anche solo "(...)") il rapporto di conto corrente di corrispondenza n. (...) nonchè il rapporto di conto corrente di corrispondenza n. (...). - in data 27.4.2005, (...) ha concluso con (...) s.r.l. un contratto di apertura di credito fondiario, garantito da ipoteca, da regolare sul c/c n. (...) per l'importo originario di Euro 3.000.000. - In data 26.11.2013, (...) s.r.l. si è scissa, con costituzione della società (...) s.r.l., la quale è divenuta titolare dei suddetti rapporti di conto corrente e di apertura di credito. - A garanzia delle obbligazioni assunte da (...) s.r.l. nei confronti di (...), (...) ed (...), quest'ultimo amministratore unico della società, hanno rilasciato plurime fideiussioni omnibus; in particolare: a. due fideiussioni omnibus rilasciate a garanzia dei debiti di (...) s.r.l. da (...) e da (...) in data 30.5.2012, fino a concorrenza l'una dell'importo di Euro 3.200.000 e l'altra dell'importo di Euro 1.000.000; b. una fideiussione omnibus rilasciata a garanzia dei debiti di (...) s.r.l. dal solo (...) per Euro 300.000 in data 27.9.2012; c. due fideiussioni omnibus rilasciate in data 14.2.2014 a garanzia dei debiti di (...) s.r.l. da (...) e da (...), fino a concorrenza l'una dell'importo di Euro 3.200.000 e l'altra dell'importo di Euro 1.000.000; d. una fideiussione omnibus rilasciata nella medesima data del 14.2.2014 a garanzia dei debiti di (...) s.r.l. dal solo (...) fino a concorrenza di Euro 300.000. - Con decreto ingiuntivo n. 85/2017, emesso in seguito a ricorso di (...), il Tribunale di Sondrio ha ingiunto a (...) s.r.l. ed ai due fideiussori il pagamento in solido di Euro 8.567.622,30 (fino a concorrenza di Euro 4.500.000 per (...) e fino a concorrenza di Euro 4.200.000 per (...)), oltre interessi e spese della procedura. Nella prospettazione di parte ricorrente, tale importo era dovuto quale saldo debitore dei suddetti conti correnti (rispettivamente Euro 5.419.265,43 e Euro 3.148.356,87), già al netto dell'effetto anatocistico (come attestato da apposita dichiarazione della banca certificata ex art. 120 TUB e prodotta sub docc. 8-9) dall'1.1.2014 sino al passaggio a sofferenza. - Nel corso del giudizio di opposizione, instaurato dalla società e dai fideiussori (sub n. RG 529/2017), il Tribunale, con ordinanza del 25.10.2017, ha disposto la separazione dell'opposizione proposta da (...), in quanto, con specifico riferimento alla posizione di questo fideiussore, stante la qualifica di consumatore a lui attribuibile, era stata sollevata eccezione di incompetenza del Tribunale di Sondrio in favore del Tribunale di Como, nel cui circondario (...) risiedeva. - Con sentenza n. 526/2017, il Tribunale di Sondrio ha accolto l'eccezione di incompetenza territoriale, dichiarando la competenza del Tribunale di Como, sulla ritenuta qualità di consumatore di (...), in mancanza di cariche e partecipazioni nella società debitrice principale e della mancata prova - da parte della banca - del necessario collegamento funzionale con la società; per l'effetto, il giudice ha revocato nei suoi confronti il decreto ingiuntivo opposto. - (...), quindi, ha proposto davanti al Tribunale di Como nuovo ricorso per decreto ingiuntivo, che è stato emesso al n. 279/2018, con il quale è stato ingiunto a (...) il pagamento della somma di Euro 4.200.000, oltre interessi e spese della procedura. 3) Lo svolgimento del processo di primo grado (...) ha proposto opposizione ex art. 645 c.p.c. al suddetto decreto n. 279/2018 e, per quel che ancora rileva, ha prospettato: - la nullità delle fideiussioni dal medesimo sottoscritte per violazione dell'art. 2 L. n. 287 del 1990, in quanto riproduttive delle clausole del modello (...) riconosciute illegittime dal provvedimento di (...) n. 55/2005; - la nullità ex art. 36 c 2 lett. a) D.Lgs. n. 206 del 2005 (codice del consumo) della clausola n. 6 dei contratti di fideiussione, che contiene una deroga all'art. 1957 c.c., ritenuta norma inderogabile; - in subordine, l'inesistenza, in capo a Residenza Parco del Salice s.r.l., del debito per il quale era stato ingiunto il pagamento per le seguenti ragioni: a) inesistenza del contratto di conto corrente e, conseguentemente, di ogni pattuizione attinente agli interessi ultralegali, alla capitalizzazione degli interessi scaduti, alle date di valuta, alle spese e alle commissioni, in quanto il contratto, prodotto dalla banca in fotocopia in fase monitoria, non era conforme all'originale (eccezione poi rinunciata all'udienza del 12.2.2019, a fronte dell'esibizione da parte della banca dell'originale del contratto) e per il fatto che sul contratto mancava la firma dell'istituto di credito; b) la clausola n. 7 del contratto, che stabiliva la capitalizzazione trimestrale degli interessi attivi e passivi, era nulla perché illegittima, perché prevedeva un'evidente sproporzione tra interessi debitori e creditori; sul punto, parte attrice/opponente ha contestato altresì la dichiarazione dello scorporo degli effetti anatocistici prodotta da controparte in sede monitoria, in quanto mera dichiarazione unilaterale, priva di un prospetto di calcolo che ne consentisse una verifica e, comunque, incompleta, posto che lo scorporo avrebbe dovuto riguardare, in realtà, anche tutti gli interessi capitalizzati dall'inizio del rapporto sino al 1.1.2014; c) illegittimità degli addebiti sul conto n. (...) di competenze "provenienti" dal rapporto dal rapporto di apertura di credito ipotecario; d) illegittimo addebito della Commissione di Massimo Scoperto (CMS) per mancata pattuizione e, in ogni caso, per indeterminatezza, stante la mancata specificazione della base di calcolo; e) illegittima applicazione della Commissione di Fido Accordato (CFA) e della Commissione di Istruttoria Veloce (CIV), in quanto mai pattuite per iscritto; f) illegittimo esercizio dello ius variandi da parte della banca; g) illegittimo addebito di spese non pattuite; h) illegittima applicazione delle valute; i) mancata pattuizione dei tassi di interesse applicati, illegittima applicazione di CFA e anatocismo anche con riferimento al contratto all'apertura di credito ipotecario, con la precisazione che l'effetto anatocistico subiva un notevole incremento, in virtù della prassi della banca di girare unilateralmente gli interessi passivi sul c/c ordinario; - in ogni caso, l'opponente, tutt'al più, era obbligato solo a garantire il pagamento dell'importo di Euro 1.000.000, in quanto, essendo state rilasciate più fideiussioni identiche tra loro, non era corretto sommare gli importi massimi garantiti, dovendosi, invece, individuare la fideiussione, che, essendo stata rilasciata per ultima, sostituiva le precedente; infatti, qualora le parti "avessero voluto sommare gli importi garantiti ... avrebbero sottoscritto un unico documento nel quale, richiamando la prima fidejussione, avrebbero dichiarato solo di incrementare l'importo massimo garantito" (cf. atto di citazione in opposizione, p. 37). (...) ha concluso, dunque, previe le declaratorie del caso, chiedendo la revoca del decreto ingiuntivo opposto e l'accertamento del saldo effettivo dei rapporti di cui è causa, nonché l'ordine di cancellazione dell'ipoteca giudiziale, iscritta presso l'Agenzia dell'Entrate - Territorio - Ufficio Provinciale di Como e di quella, eventualmente iscritta presso il corrispondente Ufficio Provinciale di Sondrio. Cerval si è costituita, contestando la fondatezza in fatto e in diritto delle pretese avversarie e chiedendo, in via principale, il rigetto dell'opposizione e, in via subordinata, la condanna di (...) al pagamento in proprio favore della somma di Euro 4.200.000, oltre interessi di mora così come liquidati in decreto, o della diversa somma accertata in corso di causa. Sospesa la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, concessi e decorsi i termini ex art. 183 c. 6 c.p.c., con atto di intervento ex art. 111 c.p.c., depositato il 19.2.2019, si è costituita in giudizio (...) s.r.l., allegando di aver acquistato, pro soluto, da (...) e da (...) S.p.A. tutti i crediti derivanti da finanziamenti ipotecari e/o chirografari, passati a sofferenza, stipulati tra l'1.1.1970 e il 31.12.2017, insieme a tutte le garanzie e privilegi che li assistevano e garantivano, e chiedendo l'accoglimento in proprio favore delle domande proposte da (...). Il Tribunale, senza svolgere alcuna attività istruttoria, ha deciso la causa, pronunciando la sentenza, oggetto della presente impugnazione. 4) La decisione del Tribunale di Como All'esito del giudizio, il Tribunale di Como ha così deciso: "Rigetta l'opposizione e le domande attoree e conferma il decreto ingiuntivo opposto. Compensa le spese di lite". A sostegno della propria decisione, il Tribunale ha esposto le argomentazioni di seguito riportate. - In ordine alla nullità della clausola di deroga all'art. 1957 c.c. per contrarietà alla disciplina consumeristica, il Tribunale, pur osservando che la banca "prudenzialmente" aveva applicato la disciplina di cui all'art. 1341 c.c., ha ritenuto che, in realtà, la vessatorietà o meno della pattuizione non fosse una questione dirimente, in quanto l'istituto di credito non era incorso in alcuna decadenza, avendo il medesimo agito in via giudiziaria nei confronti del debitore principale entro i sei mesi dalla scadenza dell'obbligazione. - In ordine alla nullità della fideiussione per violazione dell'art. 2 L. n. 287 del 1990, sul preliminare assunto che i contratti di cui era causa riproducessero le clausole n. 2, 6 e 8 del modello A., il giudice di primo grado, aderendo alla tesi della nullità parziale, ha rilevato che: - parte attrice - opponente non aveva introdotto in giudizio prove sufficienti a dimostrare che l'intesa anticoncorrenziale vietata fosse proseguita anche successivamente all'accertamento dell'illegittimità del formulario (...) da parte della (...) sino alla rinnovazione delle fideiussioni (avvenuta nel 2014); - anche qualora si dovesse ritenere raggiunta la prova sul punto, non risultava dimostrata la concreta operatività e rilevanza delle clausole sanzionate, né il fatto che la banca se ne fosse in concreto giovata; - mancava la prova del fatto che il contratto non sarebbe stato concluso senza le clausole colpite dalla nullità, il che consentiva - ad avviso del Tribunale - di disattendere altresì la domanda di nullità della fideiussione nel suo complesso. - In ordine all'entità del debito a carico della debitrice principale, il Tribunale: - innanzitutto, ha disatteso l'eccezione di nullità del contratto per difetto di forma scritta derivante dalla mancata sottoscrizione della banca, aderendo all'orientamento della Corte di Cassazione in punto di validità del contratto monofirma; conseguentemente, ha rilevato l'infondatezza delle doglianze attinenti all'inesistenza di pattuizioni relative agli interessi ultralegali, anatocismo, valute, spese e commissioni; - ha escluso l'illegittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi scaduti che sarebbe causata dall'esiguità della misura pattuita del tasso creditore, posto che il principio di reciprocità attiene solo alla medesima periodicità della capitalizzazione e non alla proporzionalità dei tassi debitore e creditore; - ha ritenuto che la contestazione di parte attrice/opponente relativa alle operazioni di scorporo dell'effetto anatocistico, effettuate dalla banca già in sede di ricorso per decreto ingiuntivo, fosse priva di fondamento, posto che l'adeguamento al nuovo testo dell'art. 120 TUB ha comportato semplicemente l'assenza di capitalizzazione a partire dal 1.1.2014 e non l'espunzione di tutti gli interessi già capitalizzati nel periodo precedente; in assenza di altra specifica contestazione sui conteggi eseguiti dall'opposta, i medesimi dovevano, dunque, ritenersi corretti; - ha rilevato l'infondatezza delle doglianze relative sia alla CMS (risultante non più addebitata dopo l'entrata in vigore della L. n. 2 del 2009, mentre per il periodo precedente era stata legittimamente pattuita con previsione della periodicità, della misura e della base di calcolo), sia alla CIV che alla CFA, posto che risultava che la banca, in conformità all'art. 117 bis TUB, aveva "sempre dato tempestiva comunicazione al cliente dell'applicazione delle nuove commissioni, così come di ogni variazione contrattuale, unitamente all'invio degli estratti conto (circostanza questa allegata dalla (...) in comparsa di risposta e non specificamente contestata)" (ibidem, p. 7); - ha ritenuto infondate, in quanto generiche, sia le doglianze in ordine allo ius variandi (non avendo parte attrice/opponente allegato e individuato specificamente le presunte modifiche sfavorevoli delle condizioni applicate al rapporto) sia le contestazioni in ordine alle valute e all'applicazione di interessi usurari; - rispetto alle censure mosse relativamente al conto corrente n. (...), posto che erano del medesimo tenore rispetto a quelle sollevate con riferimento al primo conto corrente, il Tribunale si è riportato alle considerazioni svolte riguardanti la legittimità delle pattuizioni previste nel contratto di conto corrente di corrispondenza, delle variazioni e degli addebiti operati in corso di rapporto. - In ordine all'eccepita inesistenza dell'obbligo fideiussorio, il Tribunale ha rilevato che la tesi di (...), secondo cui la garanzia, da lui prestata, era limitata ad Euro 1.000.000, era priva di supporto probatorio; al contrario, vi era, anzi, riscontro documentale del fatto che l'attore/opponente aveva rilasciato due fideiussioni in favore di (...) s.r.l. e che altrettante erano state rilasciate in sostituzione e continuazione in favore di (...) s.r.l., tutte per analoghi importi e inidonee ad escludersi vicendevolmente. - Infine, il Tribunale ha dato atto che l'avvenuta cessione del credito ad (...) era stata adeguatamente documentata, ritenendo a tal fine sufficiente la produzione in giudizio dell'estratto della Gazzetta Ufficiale ove era stato pubblicato l'avviso di cessione. 5) Le difese delle parti nel giudizio di appello T. ha proposto appello, chiedendo in via preliminare la sospensione del giudizio ai sensi dell'art. 337 c. 2 c.p.c., ovvero ai sensi dell'art. 295 c.p.c. fino al passaggio in giudicato della sentenza che avesse deciso la causa pendente dinanzi alla Corte d'Appello di Milano sub n. RG 1534/2019, avente ad oggetto l'appello avverso la sentenza del Tribunale di Sondrio, che aveva definito l'opposizione al decreto ingiuntivo - proposta inizialmente da tutti i coobbligati, ma poi proseguita solo dalla debitrice principale, (...) s.r.l. - e avente ad oggetto l'accertamento del credito preteso dalla banca nei confronti di quella. In via principale, ha insistito, in riforma della sentenza impugnata, nell'accoglimento delle conclusioni rassegnate nel precedente grado di giudizio e delle istanze istruttorie ivi formulate. Sono stati articolati plurimi motivi di appello, di seguito esposti, tenendo conto dell'ordine di trattazione da parte della difesa dell'appellante unitamente all'oggetto delle questioni ivi affrontate. 1) Col primo motivo di appello, il (...) ha censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui ha accertato la titolarità attiva, nel rapporto controverso, di (...) s.r.l., posto che la copia della G. U. - peraltro prodotta tardivamente solo con la memoria di replica - non è da sola idonea a provare la successione nel rapporto controverso. Motivi di appello attinenti alle fideiussioni (motivi n. 2, 3, 4, 5, 6 e 13). 2) Con il secondo motivo di appello, parte appellante ha formulato diverse doglianze, con specifico riguardo alla clausola n. 6 inserita nelle fideiussioni, con cui è stato derogata la disciplina di cui all'art. 1957 c.c.: a) Il Tribunale ha errato nel ritenere che la decadenza non si fosse verificata per il fatto che il termine semestrale avrebbe dovuto computarsi a partire dall'intimazione di pagamento del 26.9.2016, in quanto: . con riguardo al c/c n. (...), doveva ritenersi che l'apertura di credito era scaduta il 26.4.2007 (come previsto da contratto), non risultando che la medesima fosse stata prorogata; non poteva nemmeno ritenersi rilevante in senso contrario il comportamento concludente della banca "che ha tollerato per ben 9 anni la permanenza del debito in capo alla debitrice principale" (atto di appello, p. 24); pertanto, per non incorrere nella decadenza, la banca avrebbe dovuto promuovere l'azione giudiziaria contro la debitrice principale entro il 26.10.2007, il che non è avvenuto; . con riguardo al c/c n. (...), "l'obbligazione principale, cioè quella di pagare il saldo passivo man mano che si modificava nel tempo, era esigibile nel momento stesso in cui il conto ha iniziato a presentare quel saldo negativo (cosa che nel nostro caso è avvenuta a partire dal maggio 2005)" (atto d'appello p. 25). b) Il Tribunale ha errato con riguardo all'eccepito carattere vessatorio della clausola n. 6 delle fideiussioni, in quanto la vessatorietà di cui all'art. 1341 c.c. non ha nulla a che vedere con quella sanzionata dal codice del consumo, poiché trattasi di due discipline che "viaggiano su due binari paralleli totalmente distinti l'uno dall'altro"; pertanto, la clausola della fideiussione è nulla ai sensi dell'art. 33 lett. t) e dell'art. 36 c. 2 lett. a) del codice del consumo, disposizioni che prevedono un concetto di vessatorietà "diverso da quello "classico" di cui agli artt. 1341 e 1342 c.c." (atto d'appello p. 27). c) Con riguardo alla nullità della fideiussione per violazione della normativa antitrust, il Tribunale ha errato, in quanto: . ha ritenuto fosse onere di (...) (e non della banca) provare il protrarsi dell'intesa anticoncorrenziale tra il 2005 ed il 2014, senza peraltro considerare la natura di prova privilegiata del provvedimento della (...) n. 55/2005; . non ha ritenuto rilevanti ai suddetti fini le fideiussioni in favore di altri 7 istituti di credito prodotte dall'odierno appellante, coeve a quelle di cui è causa, contenenti le medesime clausole contrattuali; in particolare, la motivazione del Tribunale sul punto era carente, posto che il giudice non ha dato conto del perché le produzioni documentali di (...) non sarebbero state sufficienti a provare la permanenza dell'intesa anticoncorrenziale. 3) Con il terzo motivo d'appello, parte appellante ha prospettato l'assenza di decisione sulle istanze istruttorie articolate nella seconda memoria ex art. 183 c. 6 c.p.c. "idonee a dimostrare che tutti gli istituti di credito nella zona in cui ha sede la debitrice principale utilizzavano nel 2012 e nel 2014 (cioè gli anni a cui corrispondono le date apposte alle fidejussioni per cui è causa) gli stessi identici moduli utilizzati dalla banca appellata" (ibidem, p. 40); il riferimento è all'istanza di prova per testi e a quella di ordine di esibizione ex artt. 210 e 213 c.p.c. dei dati della raccolta del credito, operata dagli istituti operanti nella zona contigua alla sede della debitrice principale e dei moduli di fideiussioni adottati dalle banche della zona nello stesso periodo. 4) Con il quarto motivo d'appello, parte appellante ha censurato la sentenza di primo grado con riguardo al profilo della nullità delle fideiussioni rispetto alla normativa antitrust, in quanto il Tribunale non si era concretamente pronunciato sulla domanda, limitandosi a disattenderla sull'assunto per cui non vi sarebbe stata la prova della concreta operatività e rilevanza delle clausole; a prescindere da ciò, (...) conserva, comunque, un interesse ad ottenere la pronuncia sulla nullità della fideiussione, che si concretizza nella possibilità di farla valere contro la banca per ogni ulteriore e diversa ragione di credito che la medesima eventualmente farà valere nei confronti della debitrice principale. 5) Con il quinto motivo d'appello, parte appellante ha censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto che la violazione della normativa antitrust determinerebbe la nullità parziale delle fideiussioni, in quanto tale tesi è "poco convincente" rispetto a quella che sostiene una nullità totale delle stesse, posto che, essendo illecita l'intesa a monte nella sua totalità, non potrebbe che essere illecito anche "l'intero contratto" a valle; 6) Con il sesto motivo d'appello, parte appellante ha censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui, nel rilevare che non era stato provato che il contratto di fideiussione non si sarebbe concluso senza le clausole nulle, ha sollevato d'ufficio l'eccezione di nullità parziale di cui all'art. 1419 c. 1 c.c., non essendo tale domanda stata proposta da alcuna delle parti in causa. 7) Con il tredicesimo motivo d'appello, parte appellante ha censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto che la somma massima garantita da (...) era pari a Euro 4.200.000, cioè alla somma degli importi massimi delle due fideiussioni, in quanto, se le parti avessero voluto prevedere una garanzia per tale importo nello stesso giorno, avrebbero firmato un unico modulo con tale importo massimo garantito, a nulla rilevando il fatto che nel 2014 erano state firmate altre fideiussioni identiche, poiché le medesime costituiscono la semplice sostituzione di quelle sottoscritte nel 2012; in ogni caso sarebbe onere della banca dimostrare quale delle due fideiussioni sostituiva la prima e, mancando tale prova, "non resta che concludere per la soluzione meno favorevole a chi aveva l'onere di provare il proprio diritto e non lo ha fatto" (ibidem, p. 69); conseguentemente, l'unica fideiussione vincolante per l'appellante è quella che indica l'importo massimo garantito di Euro 1.000.000. Motivi di appello relativi al debito principale (motivi n. 7, 8, 9, 10, 11 e 12). Con i residui motivi d'appello (n. 7, 8, 9, 10, 11 e 12), parte appellante ha reiterato le censure relative al debito principale derivante dai due contratti di conto corrente. 8) Con il settimo motivo d'appello, parte appellante, con riguardo al conto corrente n. (...), ha sostenuto che la clausola n. 7, nella parte in cui prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi sia debitori che creditori, è nulla, in quanto formulata in modo da aggirare il divieto di capitalizzazione unilaterale, posto che è prevista una enorme sproporzione tra il tasso di interesse debitore (pari al 12,551%) e il tasso di interesse creditore (pari allo 0,05%) , quindi, integra una frode alla legge vietata dall'art. 1344 c.c. 9) Con l'ottavo motivo d'appello, parte appellante, con riguardo al conto corrente n. (...), utilizzato per la regolazione dell'apertura di credito fondiaria anatocismo, ha sostenuto che il contratto non prevede la clausola di reciprocità della capitalizzazione degli interessi scaduti né la facoltà di addebitare sul conto ordinario (...) gli interessi passivi maturati sul conto (...); pertanto, gli interessi passivi maturati sul conto (...) non potevano essere capitalizzati e così produrre a loro volta interessi in favore della banca. 10) Con il nono motivo d'appello. parte appellante ha sostenuto che: a) la clausola che prevede la commissione di massimo scoperto, applicata in entrambi i conti, è nulla in quanto indeterminata e indeterminabile, dato che è previsto solo la misura della commissione ma non la base di calcolo alla quale la predetta misura debba essere applicata; b) le variazioni delle condizioni peggiorative per il correntista sono state unilateralmente applicate dalla banca in assenza delle comunicazioni previste dall'art. 118 TUB; pertanto, la clausola che prevede la commissione di massimo scoperto è nulla anche nel caso in cui la si ritenga introdotta in forza dell'esercizio dello ius variandi; c) la commissione istruttoria veloce e la commissione fido accordato sono illegittime, in quanto non sono previste da alcuna clausola contrattuale né possono ritenersi validamente introdotte nell'esercizio dello ius variandi, sia perché non hanno modificato alcuna precedente valida commissione sia perché la loro introduzione non risulta comunicata ai sensi dell'art. 118 TUB. 11) Con il decimo motivo d'appello, parte appellante ha sostenuto che l'eccezione relativa all'illegittimo esercizio da parte della banca dello ius variandi era stata formulata in termini specifici, in quanto le variazioni delle condizioni peggiorative per il correntista potevano essere constatate dagli estratti conto prodotti dalla banca, e l'appellante nell'atto di citazione aveva anche indicato alcuni esempi specifici. 12) Con l'undicesimo motivo d'appello, parte appellante ha sostenuto che la dichiarazione, con cui la banca ha autocertificato lo scorporo da entrambi i conti degli effetti anatocistici a decorrere dall'1.1.2014, era una dichiarazione unilaterale ed era stata specificamente contestata da (...) sin dall'atto introduttivo del precedente grado di giudizio e, in ogni caso, a decorrere dal 1.1.2014, non potevano più produrre interessi neppure gli interessi già capitalizzati fino a quella data. 13) Con il dodicesimo motivo d'appello, parte appellante ha sostenuto che in entrambi i conti risultano addebitate spese non pattuite nei contratti ed applicate date di valuta diverse da quelle previste nei contratti. Si sono costituite con atti separati (...) s.r.l. e, per essa, il suo procuratore (...) S.p.A. e (...), chiedendo, in via preliminare, la dichiarazione di inammissibilità dell'appello ex art. 348 bis c.p.c. e, nel merito, il suo rigetto, in quanto infondato in fatto e in diritto, con conferma della sentenza appellata. In particolare, con riguardo alla titolarità attiva di (...), quest'ultima ha sostenuto l'efficacia probatoria della produzione della sola pubblicazione dell'avviso in G.U. e, quanto all'eccepita tardività della produzione, ha dedotto che, costituendo la G.U. una fonte di cognizione accessibile a tutti, in quanto "documento pubblico e dunque ricavabile in qualsiasi momento da qualunque interessato", il suo deposito deve comunque ritenersi adempimento ulteriore e non necessario (cfr. comparsa di costituzione e risposta, p. 8). Inoltre, il deposito era stato accolto dalla cancelleria del Tribunale, senza che venisse formulata alcuna richiesta di integrazione da parte del giudice. Quanto al merito, oltre a prospettare la tardività della contro eccezione di controparte relativa alla scadenza delle obbligazioni scaturenti dai due contratti di conto corrente, entrambe le appellate hanno riproposto le difese svolte nel primo grado e manifestato condivisione all'iter argomentativo e motivazionale svolto dal Tribunale. 1) La decisione della Corte d'Appello sui punti controversi Preliminarmente, l'eccezione di inammissibilità dell'appello ex art. 348 bis c.p.c., reiterata da entrambe le appellate all'udienza di precisazione delle conclusioni, è superata già dal momento in cui la Corte, fissando il rinvio per l'espletamento del suddetto incombente, ha inteso dare corso ordinario al presente giudizio. Prima questione: validità ed efficacia delle fideiussioni. Per ragioni di opportunità logico-giuridica la Corte ritiene di esaminare in primo luogo i motivi di appello attinenti alle fideiussioni. I motivi d'appello sub n. (...), (...), (...), (...) e (...) (sopra riportati ai punti da 2 a 6) sono infondati. Innanzi tutto, si evidenzia l'irrilevanza al riguardo delle istanze istruttorie, formulate dall'appellante in primo grado ed in questa sede reiterate e sulla cui decisività parte appellante ha insistito nel terzo motivo di appello con argomentazioni, peraltro, generiche. Parte appellante ha chiesto: . l'ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. "dell'elenco degli istituti di credito con sportello o agenzia o filiale situata nel comune di Como negli anni dal 2009 al 2014", "dei dati della raccolta ed erogazione del credito relativi ai predetti istituti di credito" e "dei modelli standard utilizzati per le fideiussioni omnibus richieste a privati a garanzia di esposizioni debitorie di società commerciali negli anni dal 2009 al 2014"; - la prova per testi, anche ai sensi dell'art. 257 bis c.p.c., in ordine ad un'unica circostanza, cioè che: "nel 2014 il modulo utilizzato dalla banca rappresentata dal teste per l'acquisizione di fideiussioni omnibus rilasciate da privati a garanzia di obbligazioni contratte da imprese commerciali conteneva le clausole" n. 2, 6 e 8 del modulo (...), che (...) aveva dichiarato illegittimo con il Provv. n. 55 del 2005. Per i motivi che saranno di seguito esposti, le circostanze suddette, oltre che essere semplicemente confermative del contenuto dei documenti già prodotti in giudizio, sono, comunque, del tutto irrilevanti per la decisione della controversia. Con riguardo alla validità dei negozi fideiussori di cui è causa, la Corte condivide la valutazione che il Tribunale ha compiuto sul punto, aderendo all'orientamento confermato da Cass. SU n. 41994/2021, che ha risolto il contrasto in tema di nullità delle fideiussioni, il cui contenuto riproduce le clausole del modello (...) ritenute illegittime con Provv. n. 55 del 2005 della (...). Con la suddetta sentenza è stato affermato il seguente principio di diritto: "i contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall'Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della L. n. 287 del 1990 e 101 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge succitata e dell'art. 1419 cod. civ., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l'intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti". Pertanto, l'estensione della nullità all'intero contratto si verifica soltanto, in via eccezionale, nel caso in cui l'interessato - nella fattispecie, il fideiussore odierno appellante - dimostri che la parte del contratto colpita da nullità sia inscindibilmente correlata con la porzione residua e che, per conseguenza, il negozio fideiussorio non sarebbe stato dalle parti concluso in sua assenza. Nel caso di specie, (...) non ha adempiuto tale onere probatorio, essendosi limitato a sostenere - peraltro genericamente - la scarsa plausibilità della tesi della nullità parziale del negozio fideiussorio rispetto a quella della nullità totale, senza offrire alcun riscontro probatorio dell'impatto concreto di tale affermazione sui negozi fideiussori di cui è causa, risultando, a contrario, che, a fronte del pacifico interesse del debitore principale ((...) s.r.l.) ad ottenere dalla banca la concessione del credito e di quest'ultima ad ottenere, a fronte della concessione del credito, delle garanzie di terzi per l'adempimento dell'obbligo di restituzione del credito concesso, tanto la banca quanto il fideiussore avrebbero, comunque, concluso la fideiussione anche in assenza della clausole colpite da nullità, essendo entrambe le parti interessate alla conclusione di tale contratto, posto che, se nessuna fideiussione avesse potuto essere rilasciata senza le clausole in questione, la banca non avrebbe concesso il credito al debitore principale, che invece il fideiussore aveva chiaramente interesse (così come il debitore principale) che fosse concesso così come aveva interesse la banca, atteso che l'utile dell'attività bancaria proviene proprio dai finanziamenti dalla stessa concessi ai clienti. Il Tribunale ha evidenziato tale circostanza, senza che ciò abbia comportato la violazione del principio dispositivo, prospettata dall'appellante; la nullità, infatti, è rilevabile dal giudice d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento a prescindere dall'eccezione di parte, anche nel caso in cui - come quello di cui è causa - la domanda proposta abbia ad oggetto l'invalidità integrale e l'oggetto della rilevazione officiosa sia, invece, la nullità parziale. Accertata, quindi, l'infondatezza dell'eccezione di nullità totale delle fideiussioni rilasciate dall'appellante, occorre verificare se, nel caso concreto, le singole clausole affette da nullità (cioè le clausole n. 2, 6 e 8) trovino applicazione nella fattispecie in esame e, quindi, se l'istituto di credito, beneficiario della garanzia, ne abbia tratto vantaggio; solo in questo caso, infatti, sussiste per il fideiussore un interesse concreto a promuovere un giudizio per ottenere la dichiarazione dell'invalidità delle clausole in questione. I negozi fideiussori, oggetto della controversia, riproducono pedissequamente tutte e tre le clausole n. 2, 6 e 8 del modello A., ritenuto illegittimo dal Provv. n. 55 del 2005 di (...), ma l'odierno appellante nulla ha eccepito con riferimento all'applicabilità nella fattispecie in esame delle clausole n. 2 e n. 8, avendo soltanto lamentato l'applicazione della clausola n. 6, che prevede la deroga alla disciplina di cui all'art. 1957 c.c.. Pertanto, ai fini della verifica di cui sopra, è necessario accertare se la pretesa fatta valere dalla banca nel presente giudizio trova la sua fondatezza in virtù dell'applicazione della deroga alla disciplina di cui all'art. 1957 c.c., di cui alla clausola n. 6 delle fideiussioni. Innanzitutto, si evidenzia che, pur avendo (...) eccepito l'intervenuta decadenza della banca sin dal primo grado di giudizio, solo nel giudizio d'appello ha articolato le argomentazioni sul dies a quo del termine semestrale di decadenza, le quali, pertanto, non possono che ritenersi inammissibili ai sensi dell'art. 345 c.p.c., in quanto tardive. In ogni caso dai documenti prodotti in giudizio risulta che: - l'istituto di credito in data 26.9.2016 ha comunicato alla debitrice principale (...) il recesso con effetto immediato dal contratto di conto corrente ipotecario n. (...) e di apertura di credito regolata su tale conto nonché dal contratto di conto corrente n. (...), con missiva ricevuta dalla debitrice principale in data 3.10.2016; - del suddetto recesso è stata data contestuale comunicazione anche al fideiussore odierno appellante; - in data 13.12.2016 è stato disposto il passaggio a sofferenza per entrambi i conti correnti. - il ricorso per decreto ingiuntivo, con cui la banca ha proposto l'azione giudiziaria nei confronti del debitore principale, è stato notificato a mezzo posta il 13.3.2017 La causa contrattuale del contratto di conto corrente è costituita dall'esigenza delle parti, tra le quali sussistono rapporti che determinano il sorgere ripetuto di plurime obbligazioni tra di loro, di non effettuare ogni volta i pagamenti delle suddette obbligazioni, prevedendosi, invece, la loro progressiva annotazione sul conto e l'effettivo pagamento solamente del saldo al momento della chiusura del conto, una volta effettuata la compensazione tra le singole poste annotate; pertanto, a prescindere dalla facoltà attribuita dall'art. 1852 c.c. (per le operazioni bancarie in conto corrente) al correntista di disporre in qualsiasi momento delle somme risultanti a suo credito annotate nel conto, nonché dalla facoltà attribuita dall'art. 7 c. 4 dei contratti stipulati tra le parti (n. (...) e n. (...)) ad entrambe le parti di richiedere in qualsiasi momento l'immediato pagamento di quanto risulti dovuto sulla base delle annotazioni apposte sul conto, qualora le parti, e per quanto interessa la banca, non esercitino tali facoltà, l'obbligazione di pagare la somma, risultante dal saldo, diviene definitivamente esigibile solo al momento della chiusura del conto, in seguito al recesso di una delle due parti. Nella fattispecie in esame il recesso da entrambi i conti correnti è stato comunicato dalla banca il 26.9 - 3.10.2016, quindi in tale data deve ritenersi definitivamente scaduta l'obbligazione di pagamento dei saldi a carico di (...) s.r.l. Per quanto riguarda, in particolare, il conto corrente n. (...), utilizzato, per disposizione contrattuale per regolare l'apertura di credito concessa con il contratto del 27.4.2005, all'art. 3 di questo contratto, da un lato, è prevista la durata di due anni, ma, dall'altro lato, è prevista la proroga della durata di anno in anno salvo quanto previsto dall'art. 6 comma c) delle 'norme che regolano i conti correnti di corrispondenza con garanzia ipotecaria e servizi connessi', che, ai sensi dell'art. 4 del contratto disciplinano anche il rapporto in questione. Secondo le suddette "norme che regolano i conti correnti di corrispondenza con garanzia ipotecaria e servizi connessi", in particolare gli art. 6 e 7, il soggetto che usufruisce di un'apertura di credito a tempo determinato è obbligato ad eseguire i pagamenti a suo carico alla scadenza del termine dell'apertura di credito, salva la facoltà per la banca di risolvere il contratto e quindi di chiedere l'immediato rimborso nel caso di determinati inadempimenti. Nella fattispecie in esame il contratto di apertura di credito si è tacitamente rinnovato per fatti concludenti di anno in anno, fino a quando la banca non ha comunicato il recesso (rectius la risoluzione) da tale contratto; pertanto, l'obbligazione a carico della debitrice principale è, comunque, divenuta esigibile il 3.10.2016, cioè alla data in cui ha ricevuto la comunicazione di recesso della banca. Dato che il ricorso per decreto ingiuntivo proposto da (...) nei confronti del debitore principale è stato a questo notificato il 13.3.2017, data in cui il termine di sei mesi per la proposizione della domanda giudiziale nei suoi confronti non era ancora scaduto, nella fattispecie in esame, pur in presenza di una clausola nei contratti di fideiussione che ne prevedeva la deroga, risulta pienamente rispettata la disciplina di cui all'art. 1957 c.c.. L'accertamento che nella fattispecie in esame il creditore non si è avvalso della deroga alla disciplina prevista dall'art. 1957 c.c. (che prevede la decadenza del creditore dal diritto ad escutere la garanzia nei confronti del fideiussore per mancata proposizione da parte di quello della sua azione nei confronti del debitore principale entro il termine di sei mesi dalla scadenza dell'obbligazione garantita), priva il fideiussore dell'interesse ad agire per ottenere la dichiarazione della nullità della clausola n. 6 delle fideiussioni (che prevedeva per l'appunto la deroga alla disciplina di cui all'art. 1957 c.c.) sia con riguardo all'asserita violazione dell'art. 2 L. n. 287 del 1990 sia con riguardo all'asserita violazione dell'art. 33 lett. t) e dell'art. 36 c. 2 lett. a) del codice del consumo. Priva di fondamento è altresì il motivo d'appello n. 13 (sopra riportato al punto n. 7). Come rilevato anche dal Tribunale, non v'è alcun elemento di prova da cui desumere la fondatezza dell'argomentazione sostenuta dall'appellante, secondo cui l'unica fideiussione effettivamente efficace sarebbe quella rilasciata per l'importo massimo di Euro 1.000.000. Al contrario, dai documenti prodotti in giudizio, emergono tre elementi indiziari gravi, precisi e concordanti, da cui si può desumere chiaramente che la volontà delle parti fosse quella di concludere due distinti negozi fideiussori, l'uno per l'importo massimo di Euro 3.200.000 e l'altro per l'ulteriore importo di Euro 1.000.000, in quanto: - entrambi i contratti sono stati conclusi contestualmente nella stessa data (il 30.5.2012); circostanza da cui non può che desumersi che le parti abbiano voluto che entrambi producessero effetto; - i due contratti sono distinti e, dunque, dotati di autonoma esistenza, non sono tra loro incompatibili e in nessuno dei due si prevede che l'uno sia concluso in sostituzione dell'altro; - quando, due anni dopo (il 14.2.2014) la titolarità passiva del rapporto principale è stata trasferita da (...) s.r.l. a (...) s.r.l. in seguito alla scissione societaria, i garanti hanno rilasciato nuovamente due distinte ma contestuali fideiussioni, con l'espressa precisazione che ciascuna fosse la "prosecuzione ad ogni effetto e senza soluzione di continuità di quella ... rilasciata a codesta (...) in data 30/5/2012 e successive modifiche" a garanzia dei debiti di (...) s.r.l.; è del tutto evidente che con tale comportamento i garanti hanno chiaramente manifestato l'esplicita volontà di ritenere contemporaneamente efficaci entrambe le fideiussioni precedentemente rilasciate il 30.5.2012, per l'importo massimo in ciascuna previsto. In conclusione, quindi, è di tutta evidenza che le due distinte fideiussioni sono entrambe efficaci e quindi cumulativamente vincolanti per (...), che, quindi, è obbligato a garantire i debiti di (...) s.r.l. nei confronti di (...) fino al limite massimo di Euro 4.200.000. In definitiva, la Corte ritiene che, da un lato, il fideiussore era obbligato a garantire in favore di (...) il debito di (...) fino alla concorrenza della somma di Euro 4.200.000 e, dall'altro lato, (...) non è decaduta dalla garanzia, in quanto ha proposto la sua azione nei confronti del debitore principale entro il termine di sei mesi dalla scadenza delle obbligazioni garantite. Seconda questione: entità del debito principale a carico di (...) s.r.l. Per quanto attiene ai motivi d'appello concernenti la determinazione dell'entità del debito posto a carico del debitore principale, (...) s.r.l., si rileva, innanzitutto, che tale determinazione è stato oggetto di altro giudizio dinanzi a questa Corte, n. 1534/2019 RG C.App., conclusosi con sentenza n. 2055/2022, pubblicata in data 10.6.2022 (prodotta sub doc. n. 02 da parte appellante) e avverso la quale pende ricorso per Cassazione. Con tale sentenza, è stato definito l'appello avverso la sentenza del Tribunale di Sondrio, che aveva rigettato l'opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal medesimo Tribunale, inizialmente proposta da tutti i coobbligati e poi proseguita dalla sola debitrice principale, (...). L'appellante ha, preliminarmente, richiesto la sospensione del presente giudizio ex art. 337 c.p.c. ovvero ex art. 295 c.p.c., fino alla definitiva decisione del suddetto giudizio, concluso, come detto, con la sentenza n. 2055/2022 della Corte d'Appello, stante l'impugnazione dalla stessa proposta dinanzi alla Corte di Cassazione. La Corte ritiene che non vi siano i presupposti per disporre la sospensione necessaria prevista dall'art. 295 c.p.c., non sussistendo tra i due procedimenti un rapporto di pregiudizialità. I due rapporti processuali, infatti, interessano parti differenti (nel presente giudizio la banca asseritamente creditrice ed il fideiussore, (...), nell'altro giudizio la banca asseritamente creditrice e il debitore principale, (...) s.r.l.) ed hanno ad oggetto due rapporti giuridici che, seppur correlati, sono comunque distinti (nel presente giudizio il rapporto di garanzia originato dalle fideiussioni di cui è causa, nell'altro giudizio il debito principale originato dal contratto di conto corrente di corrispondenza e dal contratto di apertura di credito fondiario). La Corte ritiene, altresì, di non disporre neppure la sospensione del giudizio rimessa alla facoltà del giudice dall'art. 337 c. 2 c.p.c., in quanto ritiene integralmente condivisibile la decisione con cui, con la suddetta sentenza n. 2055/2022, la Corte d'Appello di Milano, previo espletamento di apposita consulenza tecnica contabile, ha accertato che il debito di (...) s.r.l., garantito dalle fideiussioni prestate dall'odierno appellante, era pari all'importo complessivo di Euro 7.400.076,55, quindi di entità ampiamente superiore all'importo previsto dalle fideiussioni rilasciate da (...), pari, come sopra esposto, ad Euro 4.200.000. In primo luogo si evidenzia che l'odierno appellante, sin dal giudizio dinanzi al Tribunale, si è limitato a contestare astrattamente i singoli addebiti sui conti per paralizzare il fondamento della pretesa azionata dalla banca in sede monitoria, senza evidenziare quali fossero le ripercussioni concrete delle illegittimità lamentate; in altri termini non ha dato alcun riscontro, attraverso un prospetto di calcolo che offrisse ipotesi alternative rispetto a quelle offerte dalla banca, del fatto che le poste asseritamente illegittime avessero inciso, da un lato, sulle singole annotazioni nei conti correnti e, quindi, sul saldo finale dei conti, e, dall'altro lato, sull'entità dell'obbligazione di garanzia a carico del fideiussore. Pertanto le argomentazioni assertive e disancorate da ogni tipo di riscontro, quindi, inevitabilmente, generiche, impediscono di accertare se le illegittimità lamentate determinino una riduzione del debito di (...) s.r.l. (come sopra visto risultante, secondo i saldi dei conti allegati da (...), pari all'importo complessivo di Euro 8.567.622,30) in misura talmente consistente da renderlo inferiore al limite delle fideiussioni, poste a carico dell'appellante nella ben minore somma di Euro 4.200.000. In secondo luogo, nel presente giudizio potranno essere prese in considerazione solamente le doglianze proposte almeno nell'atto d'appello (sopra elencate ai punti da n. 8 a n. 13) e quindi non saranno esaminate, in quanto palesemente tardive, le doglianze contenute nella comparsa conclusionale alla pag. 26 (In relazione all'apertura di credito n. (...) La erronea attestazione della continuità degli estratti conto E l'azzeramento del saldo passivo al 1.8.13), alla pag. 31 (La nullità della perizia per l'utilizzo di documenti non prodotti dalle parti), alla pag. 35 (L'erronea validazione dei tassi extra-fido superiori a quelli pattuiti ed in variazione sfavorevole illegittima ex art. 118 T.U.B.), alla pag. 39 (In relazione al conto corrente (...) La validazione delle modifiche delle condizioni sfavorevoli al correntista) e alla pag. 45 (Il tasso extra fido del conto n. (...)), mai in precedenza proposte. Per quanto riguarda, invece, le doglianze proposte nell'atto d'appello si evidenzia quanto segue. a) La doglianza di cui al punto 8 (settimo motivo d'appello) è infondata, come ritenuto anche nella sentenza n. 2055/22 di questa Corte, in quanto la Del.CICR 9 febbraio 2000 prevede all'art. 2 unicamente come condizione per la liceità della capitalizzazione degli interessi scaduti nel contratto di conto corrente ordinario la pattuizione della medesima periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori; pertanto è del tutto irrilevante quale sia il tasso di interesse debitore e creditore effettivamente pattuito dalle parti, posto che la disposizione in questione non si propone affatto di parificare sul piano economico la posizione delle parti contrattuali, le quali sono quindi libere nell'esercizio dell'autonomia privata di fissare qualunque tasso di interesse per i rispettivi debiti e crediti, ferma restando solo il rispetto della normativa anti usura. b) Con riguardo alla doglianza di cui al punto 9 (ottavo motivo d'appello): - in primo luogo, le annotazioni sul conto (...) di operazioni a debito per "competenze giro da rapporto (...)" per importi rilevanti non sono state in alcun modo giustificate dalla banca; pertanto, nel procedimento n. 1534/2019 RG C.App, la Corte ha correttamente disposto l'eliminazione dal conto (...) delle annotazioni a debito dei giroconti dal conto (...) e il consulente tecnico ha, quindi, ritrasferito su questo conto il complessivo debito di Euro 398.851,50, che era stato girocontato sul conto (...); - in secondo luogo, come esposto nella suddetta sentenza n. 2055/2022, "non risulta fondato il rilievo che il contratto di apertura di credito non prevedeva interessi attivi e non conteneva una clausola di capitalizzazione: il contratto n. (...) è un contratto di "conto corrente di corrispondenza con garanzia ipotecaria" che prevede sia un interesse attivo (al tasso dello 0,050%) che la capitalizzazione degli interessi sia attivi che passivi con pari periodicità (clausola 7 specificamente approvata)."; pertanto gli interessi passivi originati sul conto (...) potevano, in ogni caso, essere legittimamente capitalizzati alla loro scadenza, essendo del tutto irrilevante che tale conto non abbia mai prodotto interessi creditori in capo alla correntista, circostanza che è dipesa unicamente dal fatto che quest'ultima non abbia eseguito rimesse su tale conto. c) Le doglianze di cui al punto 10 a), b) e c) (nono motivo d'appello) sono state accolte, con motivazione condivisibile, nella sentenza n. 2055/2022 e quindi dai saldi dei due conti devono essere eliminati gli addebiti annotati i a titolo di commissione di massimo scoperto, di commissione fido accordato e di commissione istruttoria veloce nonché a titolo di spese non pattuite nel contratto o con valute non concordate, come effettuato nella consulenza tecnica espletata nel suddetto procedimento n. 1534/2019 RG C. App.. d) Con riguardo alla doglianza di cui al punto 11 (decimo motivo d'appello), non vi è dubbio che nel presente giudizio, anche in questo giudizio d'appello, l'eccezione relativa all'illegittimo esercizio da parte della banca dello ius variandi sia stata formulata in modo generico, in quanto l'appellante si è limitato ad allegare che la banca non aveva mai comunicato con le modalità previste dall'art. 118 TUB le modificazioni delle condizioni contrattuali, che modificazioni contrattuali vi erano state e che potevano essere desunte dagli estratti conto prodotti dalla banca, senza però mai indicare quali erano state le modificazioni contrattuali intervenute nel corso del rapporto ritenute peggiorative per la correntista. È del tutto evidente che un'eccezione così formulata non può trovare alcun accoglimento, essendo impedito non solo alla controparte ma anche al giudice di verificarne la fondatezza. Solo con la comparsa conclusionale, quindi tardivamente e perciò inammissibilmente, l'appellante ha ritenuto di specificare la propria eccezione, proponendo in realtà una critica alla sentenza n. 2055/2022 della Corte d'appello, ed ha sostenuto che la variazione delle condizioni non correttamente comunicata avrebbe avuto ad oggetto la modificazione peggiorativa del tasso di interesse di fatto applicato. Così intesa, l'eccezione, ferma restando comunque la sua inammissibilità, è infondata, in quanto, come esposto nella suddetta sentenza n. 2055/2022 "I calcoli del CTU risultano poi condivisibili anche con riferimento all'applicazione dell'art. 118 TUB, poiché i tassi applicati nel corso del rapporto sono comunque risultati inferiori a quello inizialmente pattuito. Non risulta, infatti, condivisibile la deduzione dell'appellante, secondo cui la variazione sfavorevole sarebbe non solo quella peggiorativa rispetto al tasso pattuito ma anche quella che innalza un tasso, inferiore al pattuito ma di fatto applicato. La variazione peggiorativa ai fini di cui all'art. 118 TUB è la variazione in peius rispetto alla pattuizione concordata fra le parti, mentre una eventuale applicazione di fatto di un tasso inferiore a quello pattuito non può tradursi nell'obbligo di osservare la disciplina dello ius variandi ove la (...) intenda riapplicare un tasso più alto di quello applicato di fatto ma inferiore o pari a quello pattuito". In ogni caso il consulente tecnico nella suddetta causa n. 1534/2019 RG C. App. ha rideterminato gli interessi passivi su entrambi i conti sulla base del tasso di interesse effettivamente applicato dalla banca, qualora inferiore al tasso pattuito nei contratti, altrimenti sulla base del tasso di interesse previsto nei contratti. e) Con riguardo alla doglianza di cui al punto 12 (undicesimo motivo d'appello) (come rilevato anche nella sentenza n. 2055/2022): - da un lato si evidenzia che il contenuto concreto della dichiarazione, con cui la banca ha scorporato gli interessi maturati sugli interessi scaduti e capitalizzati successivamente al 1.1.2014, e, segnatamente, le operazioni contabili, che hanno condotto alla sopra citata eliminazione dell'effetto anatocistico, non sono mai state specificamente contestate da (...), il quale si è limitato a richiami giurisprudenziali e a rilevarne l'unilateralità, e conseguentemente l'inutilizzabilità, con argomentazioni generiche, che, non entrando nello specifico sulla correttezza o meno dei criteri di calcolo utilizzati o dei risultati a cui è pervenuto l'istituto di credito, non consentono di porre in dubbio l'esattezza del contenuto della dichiarazione di (...) prodotta in sede monitoria; - dall'altro lato, si evidenzia l'art. 120 c. 2 TUB, come modificato nel periodo in cui è rimasto in vigore l'art. 1 c. 629 lett. b) L. n. 147 del 2013, prevede, dalla data dell'entrata in vigore, cioè dal 1.1.2014, che gli interessi come capitalizzati secondo quanto disposto dall'art. 1 c. 629 lett. a) non possono produrre interessi ulteriori; pertanto solamente gli interessi capitalizzati a decorrere dal 1.1.2014 non possono produrre interessi ulteriori mentre tale disciplina, palesemente, non può essere applicata anche agli interessi che erano già stati lecitamente capitalizzati prima della data suddetta. f) La doglianza di cui al punto 13 (dodicesimo motivo d'appello) è infondata, in quanto è stata sottoposta all'esame del consulente tecnico nel procedimento 1534/2019 RG C.App, il quale non ha "proceduto all'eliminazione delle spese indicate nei conti scalari né di valute cd. fittizie, in quanto i contratti di conto corrente allegati agli atti riportano sia la pattuizione delle spese di tenuta conto, sia le valute applicate per le principali operazioni". In definitiva la Corte ritiene che il debito della debitrice principale, (...), nei confronti di (...), alla data del recesso dai contratti di conto corrente, da questa comunicato il 29.9 - 3.10.2016, fosse pari ad Euro 7.400.076,55 (di cui Euro 4.351.578,46 per il saldo passivo del conto n. (...) ed Euro 3.048.498,09 per il saldo passivo del conto n. (...)), come accertato nella sentenza n. 2055/2022 della Corte d'Appello di Milano, quindi ampiamente superiore al limite delle fideiussioni rilasciate da (...). Terza questione: la qualità di cessionario del credito in capo ad (...) s.r.l.. Con il primo motivo d'appello, l'appellante ha contestato la legittimazione di (...) s.r.l. ad agire, intervenendo nel presente giudizio. Tale questione non ha, però, alcuna incidenza sulla decisione nel merito della controversia per le seguenti ragioni. Nel giudizio di primo grado, (...) s.r.l., come detto, è intervenuta allegando di essere cessionaria del credito oggetto della controversia ed aderendo alle domande ed eccezioni svolte da (...), chiedendo, però, che "le domande proposte da (...) S.p.A., una volta dichiarata l'estromissione dal giudizio di quest'ultima, trovino accoglimento in favore di "(...) s.r.l.", rappresentata da (...) S.p.A., vista la sua qualità di attuale titolare del credito" (atto di intervento, p. 3). La qualità di cessionaria del credito, allegata da (...), non è stata, però, tempestivamente provata, in quanto l'estratto della G.U., dove era stato pubblicato l'avviso di cessione, non è stato prodotto in sede di costituzione in giudizio - come era onere dell'interveniente - bensì solo in sede di deposito della memoria di replica, a fronte, peraltro, dell'eccezione di tale carenza da parte di (...). Il Tribunale di Como, da un lato, ha ritenuto provata la cessione e dunque legittimo l'intervento, dall'altro lato, però, disponendo semplicemente il rigetto dell'opposizione e la conferma del decreto ingiuntivo opposto, che era stato emesso solo a favore di (...), ha implicitamente respinto la domanda dell'intervenuta, che, come detto, aveva, invece, richiesto l'accoglimento a proprio favore delle domande formulate da (...), convenuta/opposta. Avverso questa statuizione, (...) non ha proposto appello incidentale e, pertanto, la medesima è passata in giudicato. In conclusione, quindi, con la presente sentenza, ritenendosi infondato l'appello proposto da (...), può solamente essere confermata la sentenza del Tribunale, che, rigettando l'opposizione da quello proposta, ha confermato il decreto, con cui era stato ingiunto a (...) il pagamento della somma di Euro 4.200.000 in favore solamente di (...), ed ha interamente compensato le spese di lite tra tutte le parti, essendo, quindi, del tutto irrilevante l'accertamento della qualità di cessionario del credito o meno in capo ad (...). Con riguardo al giudizio d'appello si evidenzia che: - la presenza in giudizio di (...) è legittima, in quanto la stessa è stata parte del giudizio di primo grado e, in quanto tale, le è stato correttamente notificato l'atto di appello, assicurando così la completezza del contraddittorio; - con riguardo, invece, al regolamento delle spese di lite di questo giudizio d'appello, è necessario valutare la sussistenza dell'interesse di (...), asseritamente nella qualità di cessionario, a costituirsi al presente giudizio. La Corte ritiene che, in considerazione di quanto sopra esposto, (...), non avendo tempestivamente provato nel giudizio di primo grado la sua qualità di cessionario del credito in questione né avendo proposto appello incidentale nei confronti della sentenza del Tribunale che non ha accolto la sua domanda di condanna di (...) in favore della stessa, non aveva alcun interesse a costituirsi nel presente giudizio, neppure per chiedere il rigetto dell'appello e quindi la conferma della condanna di (...) in favore di (...). Regolamento delle spese di lite. Per quanto sopra esposto, nel rapporto processuale, intercorrente tra (...) e (...) s.r.l., le spese di lite sono interamente compensate. Nel rapporto processuale, intercorrente tra (...) e (...), le spese vengono regolamentate secondo soccombenza e, quindi, (...) - parte soccombente - è obbligato a rifondere le spese di lite sostenute da (...) nel giudizio d'appello, che sono liquidate secondo i parametri medi dello scaglione da Euro 4.000.001 a Euro 8.000.000 individuato con riferimento al valore della controversia introdotta in appello (valore indicato in Euro 4.200.000) con esclusione della fase istruttoria - trattazione, che nel presente giudizio non si è tenuta. Sussistono, infine, i presupposti di cui all'articolo 13 c. 1- quater D.P.R. n. 115 del 2002 per il versamento da parte dell'appellante, interamente soccombente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l'appello a norma del c. 1-bis dello stesso art. 13. P.Q.M. La Corte d'Appello di Milano, definitivamente pronunciando, così dispone: 1) Respinge l'appello proposto da (...) avverso la sentenza n. 18/2021 del Tribunale di Como. 2) Condanna (...) a rifondere le spese processuali sostenute da (...) S.p.A., che liquida per il presente giudizio in Euro 40.668,00, oltre 15% a titolo di rimborso forfettario delle spese generali ed accessori come per legge. 3) Dichiara le spese del presente grado di giudizio interamente compensate tra (...) e (...) s.r.l. 4) Accerta la sussistenza a carico di (...) dei presupposti di cui all'art. 13 c. 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002 per il pagamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato. Così deciso in Milano l'1 dicembre 2022. Depositata in Cancelleria il 4 gennaio 2023.

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