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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7033 del 2023, proposto da Ii. Ca. in proprio e quale legale Rappresentante della ditta Individuale Ja. Vi. di Ii. Ca., rappresentate e difese dagli avvocati St. Zu., e Vi. Ce., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Vi. Ce. in Roma, via (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato An. Sm. Fa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Reggio Calabria, via (...); Regione Calabria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Fe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ministero della Cultura - Soprintendenza per Belle Arti e Paesaggio della Calabria, Agenzia del Demanio, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti - Capitaneria di Porto di Reggio Calabria, Autorità di Bacino Distrettuale dell'Appennino Meridionale, Ente Parco Nazionale dell'Aspromonte, Città Metropolitana di Reggio Calabria, Regione Calabria - Servizio Tecnico Regionale Vigilanza e Controllo Oo.Pp. Norme Sismiche, Sc. Fr., non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria sezione staccata di Reggio Calabria n. 41/2023, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e della Regione Calabria; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024 il Cons. Marco Morgantini e uditi per la parte appellante l'Avv. Vi. Ce.; Viste le conclusioni delle parti appellate come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue; FATTO e DIRITTO 1. Con la sentenza appellata è stato respinto il ricorso proposto avverso la determinazione dirigenziale del Comune di (omissis) in data 19 maggio 2021, avente ad oggetto l'annullamento del provvedimento di aggiudicazione di area demaniale marittima. La motivazione della sentenza appellata fa riferimento alle seguenti circostanze in fatto 1. Con determina del 27 gennaio 2020 il Comune di (omissis) approvata il bando di gara per la concessione dei lotti individuati nel Piano Comunale di Spiaggia approvato con determina dirigenziale n. 62 del 9 aprile 2019 della città Metropolitana di Reggio Calabria. La ricorrente partecipava alla procedura presentando la propria offerta per il lotto C1 (area attrezzata per la sostanza di camper e/o roulotte). Il progetto presentato prevedeva la realizzazione di un'area da adibire ad attività di pubblico interesse, ovvero: Area giochi per bambini, con l'installazione di giochi gonfiabili e giochi smontabili; Area piscina, con ombrelloni, realizzata in vetroresina già prefabbricata, facilmente amovibile; Punto attività collettive, mediante l'installazione di un chiosco/gazebo; Area barbecue, mediante l'installazione di un barbecue; Aree di parcheggio camper, con pavimentazione di tipo permeabile, ombreggiata, con pergolato in legno amovibile di dimensioni pari a circa m 6,00 x,8,00; Punto di bar/ritrovo, con il posizionamento di sedie e tavolini; Punto lavanderia; Punto postazione del guardiano e/o punto informazione turistica, attrezzature antincendio e attrezzatura sanitaria; Servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap nel rispetto delle vigenti norme in materia. All'esito della valutazione delle proposte progettuali secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa la ditta risultava aggiudicataria. Con determinazione n. 28 del 17 aprile 2020 il responsabile dell'Area Tecnica e Territorio - Servizio II, approvava i verbali di gara nonché l'elenco dei soggetti provvisoriamente aggiudicatari, dando atto che la procedura di rilascio delle concessioni demaniali si sarebbe perfezionata solamente dopo la verifica dei requisiti di cui all'art. 80 del D. Lgs. 50/2016 nonché al perfezionamento delle pratiche edilizie e produttive relative col rilascio dei necessari titoli abilitativi. Così come previsto dall'art. 14 del bando di gara la ricorrente presentava apposita richiesta presso lo Sportello Unico Attività Produttive del Comune di (omissis) preordinata al rilascio delle necessarie autorizzazioni. Con nota prot. 14914 del 23 dicembre 2020 il Comune indiceva apposita conferenza di servizi ex art. 14 e ss. della legge n. 241/90 per l'acquisizione dei pareri, intese, nulla osta o altri atti d'assenso assegnando alle amministrazioni coinvolte i relativi termini per richiedere integrazioni (7 gennaio 2021), esprimere pareri, assensi o nulla osta (22 febbraio 2021), nonché per l'eventuale riunione di conferenza in modalità sincrona (5 marzo 2021). Con successiva nota prot. n. 1929 dell'11 febbraio 2021, resosi necessario reiterare l'invio della documentazione necessaria, veniva disposta la riapertura dei termini per la produzione dei pareri. Con nota prot. n. 4511 del 31 marzo 2021 veniva comunicato alla ricorrente l'avvio del procedimento di annullamento in autotutela del provvedimento di aggiudicazione avendo il Comune preso atto della non conformità del progetto proposto con la disciplina che norma l'area di cui trattasi. Come rilevato, invero, dalla Regione Calabria, con nota del Dipartimento Tutela dell'Ambiente del 17 marzo 2021, l'art. 11 - Area attrezzata per la sosta di camper e/o roulotte delle Norme Tecniche del Piano Comunale di Spiaggia stabilisce al punto 10 che: "11.10 E' consentita la realizzazione di un manufatto con struttura in legno di facile rimozione aventi dimensioni massime di 30 mq con altezza non superiore a ml 3,20 alla linea di gronda, dove possono essere collocati la postazione del guardiano, punto di informazione turistica e servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap nel rispetto delle vigenti norme in materia" - "i manufatti previsti nel progetto superano la superficie assentibile prevista dall'art. 11 punto 10 delle NTA del PCS che prevede esclusivamente la possibilità di realizzare un manufatto di dimensioni massime pari a mq. 30 come sopra specificato - L'art. 11 delle NTA non prevede la possibilità di realizzare manufatti da destinare a lavanderia, alloggio per il custode, bar e piscina. Il Comune prendeva, pertanto, atto della non conformità del progetto proposto con la disciplina che norma l'area di cui trattasi, in ragione della quale non possono essere inserite le strutture previste, che superano le dimensioni massime consentite in termini di superfici e possiedono destinazioni di utilizzo non contemplate nella norma del piano attuativo vigente, comunicando l'avvio del procedimento finalizzato all'annullamento in autotutela dell'aggiudicazione del lotto C1 alla ditta Ii. Ca., alla quale veniva assegnato un termine di quindici giorni per presentare eventuali osservazioni. Entro i termini assegnati la ditta presentava le proprie osservazioni rilevando che il richiamato articolo 11 delle NTA prevede nei punti 7 e 4 la possibilità di realizzare manufatti da adibire a servizi in aggiunta alla possibilità di realizzare il manufatto di cui al successivo punto 10 con dimensioni massime di 30 mq. Rilevava, peraltro che, anche nell'ottica di una interpretazione più rigorosa dell'art. 11 delle NTA, l'annullamento in autotutela non si giustificherebbe dovendo, invece, attivarsi il soccorso istruttorio consentendo alla ditta di apportare le dovute modifiche al progetto. L'avvio del procedimento di annullamento si fonderebbe, inoltre, su un parere della Regione che nessuna competenza ha in materia. Tuttavia, con determinazione dell'Area Tecnica e Territorio, n. 30 del 19 maggio 2021, il Comune, viste le osservazioni presentate in data 12 aprile 2021, disponeva l'annullamento dell'aggiudicazione del lotto C1 - Area attrezzata per la sosta di camper e/o roulotte (Art. 11 N.T.A.) di cui al Bando per il rilascio di concessione di aree demaniali marittime per finalità turistico-ricreative del 27.01.2020 e contestuale archiviazione della pratica SUAP n. 63 del 30/04/2020 presentata dalla ditta Ii. Ca., avente ad oggetto "richiesta concessione demaniale marittima annuale per attrezzature e sosta camper e/o roulotte - lotto C1" attesa l'illegittimità dell'aggiudicazione in violazione delle norme del piano comunale di spiaggia. La motivazione del sopra richiamato provvedimento di annullamento faceva tra l'altro riferimento alle seguenti circostanze: - la superficie complessivamente occupata dalle strutture (pur non indicata nelle osservazioni) è pari a mq 172,00 a fronte dei 30 previsti dall'art. 11 delle NTA, in evidente contrasto con tale disposizione che, invero, è chiara nel prevedere che tali sono le dimensioni massime delle strutture, comprensive di postazione del guardiano, punto di informazione turistica e servizi igienici. - l'avvio del procedimento non si fonda sul parere della Regione bensì sulla consapevolezza dell'illegittimità che viziava l'aggiudicazione; - non è poi invocabile il soccorso istruttorio non potendosi consentire alla ditta di apportare correzioni al progetto, trattandosi di progetto definitivo e, come tale, non suscettibile di rilevanti stravolgimenti in fase esecutiva. 3. Parte appellante lamenta: - erroneità della sentenza appellata nella parte in cui respinge il ricorso sul presupposto che il parere della Regione non fosse tardivo e considerato atto proprio de Comune nel provvedimento di annullamento della concessione; - error in iudicando: erroneità della sentenza per intrinseca illogicità e contraddittorietà della motivazione, per cui il progetto presentato dalla Ditta contrasterebbe le norme tecniche del piano spiaggia; - errore sui presupposti; - violazione e/o falsa applicazione dell'artt. 1362 e ss. cod. civ in materia di interpretazione delle norme tecniche di attuazione del Piano spiaggia; - violazione e/o falsa applicazione dell'art. 6-bis del T.U. edilizia; - violazione e/o falsa applicazione dell'art. 21 quinquies della l. n. 241/1990. Secondo parte appellante: - la Regione Calabria aveva reso un parere che aveva operato una sorta di "interpretazione autentica", non consentita, dell'art. 11 delle N.T.A del PSC; - il provvedimento del Comune sarebbe astrattamente riferibile ad un illegittimo provvedimento di revoca ex art. 21 quinquies della l. n. 241/1990. I rilievi formulati dall'Amministrazione regionale sarebbero in parte affetti da un vizio di incompetenza, in ordine alla destinazione funzionale degli spazi, in parte da una lettura in malam partem ed estensiva delle N.T.A. L'art. 11 della norma tecnica applicata visto nel suo articolato consentirebbe al suo punto 7 e 4 la realizzazione di manufatti da adibire a servizi (non identificati con un numero chiuso) con caratteristiche costruttive tali da non nuocere al decoro dell'ambiente che non turbino l'estetica e non ostruiscano la visuale al mare, utilizzando materiali costruttivi aventi caratteristiche di precarietà e facile rimozione; Il suo successivo punto 10, secondo una interpretazione teologicamente orientata, coerente sia con l'oggetto sia con la vocazione turistica del territorio, oltre a contemplare i manufatti necessari per svolgere i servizi collegati alla concessione, prevederebbe la facoltà di realizzare un manufatto con struttura in legno di facile rimozione aventi dimensioni massime di 30 mq con altezza non superiore a ml 3,20 alla linea di gronda, dove poter collocare la postazione del guardiano, un punto di informazione turistica ed i servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap. I restanti manufatti sarebbero da intendersi come servizi primari per l'intero progetto, le norme nta non citerebbero in nessun punto altri manufatti. Per quanto concerne la piscina, la stessa sarebbe da ritenersi parte integrante delle aree di svago, essendo tra le altre cose una struttura di facile rimozione. Parte appellante fa altresì riferimento all'art. 6 - bis del T.U. edilizia considerata, per la modestia ed irrilevanza urbanistica ed edilizia degli interventi di cui si tratta. Parte appellante ritiene che le determinazioni adottate dal Comune di (omissis) sarebbero affette da un palese difetto di motivazione in quanto nelle stesse non viene specificato, nel disporre l'annullamento in autotutela, quali siano i giudizi valutativi espressi dall'Amministrazione in ordine all'impossibilità di procedere alla stipula del contratto di concessione di cui si tratta pur a fronte della pluralità dei pareri favorevoli espressi dagli enti effettivamente preposti alla tutela dei singoli vincoli individuati sull'area. 4. Parte appellante lamenta erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui respinge il motivo relativo all'azione di annullamento in asserita autotutela del provvedimento di aggiudicazione del lotto C1. Ingiustizia manifesta. Eccesso di potere per violazione dell'art. 14 del bando. Violazione dei principi dell'imparzialità e del buon andamento. Abuso del diritto. Error in iudicando: erroneità della sentenza per intrinseca illogicità e contraddittorietà della motivazione. Errore sui presupposti. Difetto di istruttoria e di motivazione. Violazione o falsa applicazione dell'art. 14 e 14 bis della l.n. 241/1990. Il provvedimento del Comune, sarebbe in realtà astrattamente riferibile ad un illegittimo provvedimento di revoca ex art. 21 quinquies della l. n. 241/1990. Parte appellante fa riferimento ai pareri favorevoli espressi dalle amministrazioni interessate. La Regione Calabria, con decreto dirigenziale n. 4929 del 12 maggio 2021, relativamente alla procedura di incidenza ai sensi della DGR 749/2009 e s.m.i. - direttiva habitat 92 43 CEE Direttiva Uccelli 79 409 CEE DPR 357 97 - ha espresso parere favorevole di valutazione di incidenza con prescrizioni. Parte appellante fa poi riferimento al parere favorevole espresso dalla Città Metropolitana di Reggio Calabria con nota prot. 3558 del 18 gennaio 2021 in ordine al vincolo paesaggistico insistente sull'area interessata dall'intervento. Parte appellante richiama il parere favorevole dell'Ufficio delle Dogane di Reggio Calabria, secondo cui "dall'esame degli elaborati forniti risulta la presenza di una strada pubblica tra il demanio marittimo e l'opera oggetto di richiesta di autorizzazione. Tale circostanza consente di poter annoverare l'opera di che trattasi al di fuori della zona di vigilanza doganale e perciò non soggetta al rilascio dell'autorizzazione ex art. 19 D.lgs. 374/90". Parte appellante richiama altresì il parere favorevole dell'ASL di Reggio Calabria con riferimento all'idoneità igienico-sanitaria del progetto. Secondo parte appellante la sentenza impugnata non affronterebbe il rapporto tra i suddetti pareri e le risultanze della conferenza di servizi. Anche in presenza di pareri negativi l'Amministrazione procedente potrebbe, sulla scorta di una valutazione discrezionale delle posizioni prevalenti, addivenire ad una determinazione conclusiva dell'iter autorizzativo di segno positivo, rimanendo la stessa libera di recepire o meno quanto espresso dalle Amministrazioni in sede di conferenza di servizi. In questo senso, pertanto, il parere negativo espresso dalla Regione non avrebbe potuto impedire l'adozione del provvedimento di autorizzazione, laddove la stessa amministrazione procedente abbia compiuto in sede urbanistica e preliminare del bando una valutazione discrezionale favorevole all'approvazione del progetto. L'amministrazione procedente, al fine di negare la richiesta autorizzazione non potrebbe limitarsi a richiamare acriticamente il contenuto del parere negativo espresso dalla Regione, dovendo invece comporre gli interessi in concorso e adottare un provvedimento finale che sia esito di una autonoma valutazione. Secondo parte appellante assume carattere assorbente la violazione del termine perentorio del 22.02.2021 indicato dall'A.C. per l'acquisizione dei pareri degli enti interessati. Il parere sfavorevole della Regione è giunto solo il 5 marzo del 2021 e quindi avrebbe dovuto essere ritenuto inutiliter dato o quantomeno valutato nel complesso dei pareri di opposto segno resi dagli enti interessati. Fa riferimento al difetto di istruttoria assieme a quello di motivazione atteso che nel provvedimento conclusivo del procedimento si afferma che l'area totale occupata è pari a 170,00 mq a fronte dei 30 mq massimi previsti dall'art. 11 delle N.T.A. Invero nel computo delle opere di cui all'art. 11 delle N.T.A. non potrebbero essere ricomprese, anche alla luce dei chiari pareri degli enti interessati (che anzi hanno condizionato l'espressione di un giudizio favorevole all'adeguata capacità ricettiva in sicurezza dell'area attrezzata), le strutture serventi, secondo un nesso di collegamento e di proporzionalità, il bene concesso tanto più che si tratta di opere relative all'igiene dei luoghi; alla sicurezza; al ristoro delle persone. Opere di tale ininfluente impatto da non rilevare e incidere su alcuno degli interessi oggetto di tutela nell'area interessata. 5. Parte appellante lamenta erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui non ha valutato il motivo inerente l'azione di risarcimento del danno derivante da annullamento (rectius revoca) dell'aggiudicazione conseguente all'impugnazione delle determinazioni amministrative di caducazione dell'aggiudicazione e di indizione di una nuova gara. Azione risarcitoria ex art. 30, co. III, del c.p.a. Violazione del principio di proporzionalità . Sproporzione. Ingiustizia manifesta. Violazione del principio di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa. Violazione dell'art. 97 della Costituzione. Parte appellante chiede la restituzione (a titolo risarcitorio) delle spese inutilmente sostenute per la partecipazione alla procedura di gara e per la finalizzazione delle attività susseguenti l'aggiudicazione. In subordine chiede il risarcimento per via equitativa in misura non inferiore al 10% del valore della concessione perduta. 6. L'appello è infondato. Il provvedimento di annullamento dell'aggiudicazione non è stato adottato, come ritiene parte appellante, per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, ma a causa della riscontrata illegittimità del provvedimento di aggiudicazione, ritenuto in contrasto con le vigenti NTA del piano comunale di spiaggia. Tale provvedimento è stato preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento e le osservazioni presentate da parte appellante sono state oggetto di specifico esame. Non sussiste il lamentato difetto di motivazione. Il provvedimento di annullamento, così come la precedente nota di comunicazione di avvio del procedimento, individua nella non conformità del progetto presentato dalla ricorrente con il punto 10 dell'art. 11 delle NTA del Piano Comunale di Spiaggia le ragioni di illegittimità dell'aggiudicazione. Il progetto, invero, in quanto non compatibile con le suddette norme tecniche non avrebbe potuto essere oggetto di valutazione né, conseguentemente, di aggiudicazione, anche considerando la necessaria tutela della par condicio tra i concorrenti. Con il provvedimento reso in autotutela il Comune ha specificamente motivato riguardo la sussistenza di un interesse pubblico rispetto al mero ripristino della legalità . Infatti trattasi dell'interesse alla tutela del territorio e dell'interesse della parità di trattamento dei concorrenti a che sia preso in considerazione un progetto conforme alla normativa vigente. Risulta adeguatamente comparato il sacrificio di parte appellante, considerando che l'intervento non è stato oggetto di rilascio dei permessi abilitativi e dunque non è stato realizzato. Parimenti la tutela della parità dei concorrenti non avrebbe consentito al Comune di richiedere a parte appellante la presentazione di un nuovo progetto, dopo la scadenza del termine di presentazione delle offerte. Correttamente il Tar ha ritenuto infondata la censura secondo cui il provvedimento sarebbe stato adottato sulla base di un parere sfavorevole della Regione attinente ad aspetti (la compatibilità del progetto con le NTA) che non rientrano tra le competenze dell'amministrazione regionale. L'amministrazione comunale, infatti, non si è limitata a richiamare il parere del Settore 3 del Dipartimento Tutela dell'Ambiente della Regione Calabria, ma ha dato atto nel provvedimento impugnato del contrasto del progetto presentato dalla ricorrente in sede di partecipazione alla procedura indetta per il rilascio di concessione di area/e demaniali marittime per finalità turistico-ricreative con l'art. 11, punto 10, delle Norme Tecniche del piano comunale di spiaggia. L'annullamento in autotutela è dunque espressione di autonoma valutazione dell'Amministrazione comunale. Correttamente il Tar ha ritenuto non rilevante la circostanza che le altre amministrazioni coinvolte nella conferenza di servizi abbiano espresso parere favorevole al rilascio della concessione riguardando i suddetti pareri aspetti del tutto diversi ed ulteriori rispetto a quelli afferenti alla incompatibilità del progetto con le norme tecniche di attuazione che ha portato all'annullamento. Ed infatti: - il parere della Città Metropolitana prot. n. 3558 del 18 gennaio 2021, concerne esclusivamente la compatibilità paesaggistica dell'intervento e non costituisce presunzione di legittimità del progetto sotto ogni altro profilo; - il parere dell'Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria prot. n. 86 del 27 gennaio 2021 riguarda esclusivamente l'idoneità igienico sanitaria delle strutture da realizzare; - il decreto n. 4929 del 12 maggio 2021 del Settore 4 del Dipartimento Tutela dell'Ambiente della Regione Calabria riguarda la Valutazione di Incidenza ai sensi del DPR 357/97 e DGR 749/2009 che tiene conto degli impatti potenziali sulla flora, sulla fauna ed avifauna selvatica e più in generale sul complessivo sistema ambientale del sito sensibile. È parimenti infondata la censura di parte appellante, secondo cui l'amministrazione comunale avrebbe erroneamente ritenuto superato il limite di mq 30 previsto dall'articolo 11 delle NTA non potendo ritenersi ricomprese in tale prescrizione le strutture serventi. Il punto 11.10 delle NTA del piano comunale di spiaggia consente, infatti, la realizzazione di un manufatto con struttura in legno di facile rimozione aventi dimensioni massime di 30 mq con altezza non superiore a ml 3,20 alla linea di gronda, che ricomprenda la postazione del guardiano, un punto di informazione turistica ed i servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap nel rispetto delle vigenti norme in materia. Nel caso in esame il progetto presentato dall'appellante prevedeva, invece, la realizzazione di più manufatti con estensione complessiva ben superiore ai 30 metri quadrati previsti dalla disposizione richiamata (punto di bar/ritrovo di superficie pari a mq. 37,80; punto lavanderia di mq 44,00; punto postazione del guardiano e/o punto informazione turistica, attrezzature antincendio e attrezzature sanitarie di complessivi mq 62; servizi igienici di mq 28,20). Essendo superato il limite di 30 metri quadrati previsto dalle n. t.a., è priva di fondamento la tesi di parte appellante, secondo cui si tratterebbe di interventi minori soggetti ad edificazione libera. Si tratta di intervento non consentito dalle n. t.a. e dunque il Comune non avrebbe in ogni caso potuto determinarsi diversamente. Sebbene - ciò va riconosciuto - di non piana lettura, la norma di riferimento ("11.10 E' consentita la realizzazione di un manufatto con struttura in legno di facile rimozione aventi dimensioni massime di 30 mq con altezza non superiore a ml 3,20 alla linea di gronda, dove possono essere collocati la postazione del guardiano, un punto di informazione turistica ed i servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap nel rispetto delle vigenti norme in materia."), non si presta (cfr l'inciso "dove") alla lettura dell'appellante, secondo cui i 30 mq sarebbero implementabili con gli altri manufatti ivi citati, sino ad una possibile cubatura complessiva di mq 170. Correttamente il Tar ha osservato che nessun legittimo affidamento può dirsi ingenerato dall'aggiudicazione poi annullata atteso che il bando di gara subordinava espressamente il rilascio della concessione demaniale marittima all'acquisizione dei necessari pareri, autorizzazioni e nulla osta (art. 14) e che, coerentemente con tale previsione, la determina n. 28 del 17 aprile 2020, di approvazione dei verbali di gara e dell'elenco dei soggetti provvisoriamente aggiudicatari, dava atto che la procedura di rilascio di concessioni demaniali... si perfezionerà solamente dopo la verifica dei requisiti di cui all'art. 80 del D.lgs. n. 50/2016 nonché al perfezionamento delle pratiche edilizie e produttive relative con rilascio dei necessari titoli abilitativi. Proprio per effetto dell'impugnato provvedimento di annullamento dell'aggiudicazione (impugnato in primo grado) i titoli abilitativi non potevano essere rilasciati. Ne consegue l'infondatezza della censura di tardività proposta dall'appellante, anche considerando che sono stati rispettati i termini per l'esercizio dell'autotutela previsti dall'art. 21 - nonies della legge n° 241 del 1990. La responsabilità per avere presentato un progetto difforme dalla normativa vigente grava sul soggetto che ha partecipato alla procedura e dunque su parte appellante. Pertanto non può essere accolta la domanda di risarcitoria in relazione alla lesione dell'affidamento. Né può essere accolta la domanda risarcitoria connessa all'azione impugnatoria, essendo quest'ultima infondata per quanto sopra precisato. Essendo sufficiente il quadro probatorio ai fini della decisione, non può essere accolta l'istanza di consulenza tecnica d'ufficio proposta dall'appellante L'appello deve pertanto essere respinto. La condanna alle spese dell'appello segue la soccombenza, come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna parte appellante al pagamento delle spese dell'appello nella misura di Euro 2.000/00 (Duemila/00) a favore del Comune di (omissis) e di Euro 2.000/00 (duemila/00) a favore della Regione Calabria. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere, Estensore Laura Marzano - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8923 del 2021, proposto da Te. Va. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati St. Ve. e Ma. Pi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gu. Le., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania sezione staccata di Salerno Sezione Seconda n. 00487/2021, resa tra le parti, per l'annullamento: a - dell'ordinanza n. 21 del 15.07.2019, successivamente notificata, con la quale il Responsabile dell'Ufficio Urbanistica del Comune di (omissis) ha disposto la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi di alcune opere realizzate presso l'area di proprietà sita alla Loc. (omissis); b - ove e per quanto occorra, della relazione prot. n. 8410 dell'08.07.2019 redatta dall'U.T.C. a seguito di sopralluogo, presupposta all'ordinanza sub a); c - di tutti gli atti, anche non conosciuti, presupposti, collegati, connessi e consequenziali. Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da Te. Va. S.r.l. il 2\1\2020: a - della determina n. 114 del 24.10.2019 Reg. Servizio e n. 603 del 24.10.2019 Reg. Generale, successivamente notificata, con la quale il Responsabile del Servizio Tecnico del Comune di (omissis) ha irrogato la sanzione pecuniaria di Euro 20.000,00 per "la non osservanza dell'ordinanza di rimessa in pristino per le opere eseguite in assenza del titolo abilitativo"; b - del provvedimento di cui alla nota prot. n. 13168 del 12.11.2019, con il quale la P.A. ha disposto il diniego definitivo dell'istanza di permesso di costruire in sanatoria depositato ai sensi dell'art. 36 del D.P.R. n. 380/2001; c - ove e per quanto occorra, del verbale di sopralluogo redatto dal Comando di polizia Municipale in data 23.10.2019, assunto a presupposto del provvedimento sub a); non conosciuto; d - ove e per quanto occorra, della nota prot. n. 12772 del 31.10.2019, recante la comunicazione dei motivi ostativi; e - di tutti gli atti, anche non conosciuti, presupposti, connessi, collegati e consequenziali. Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da Te. Va. S.r.l. il 21\1\2020: avverso e per l'annullamento: a - dell'ordinanza n. 37 del 19.11.2019, con la quale il Responsabile dello Sportello Unico per l'Edilizia del Comune di (omissis), in seguito al diniego dell'istanza di accertamento di conformità depositata dalla ricorrente ai sensi dell'art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, ha ordinato la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi di alcune opere realizzate nell'ambito di un'area sita alla Loc. (omissis); b - di tutti gli atti, anche non conosciuti, presupposti, connessi, collegati e consequenziali. Per quanto riguarda il ricorso incidentale presentato da Comune di (omissis) il 24/11/2021: per la riforma della sentenza del T.A.R. Campania - Sezione di Salerno, Sez. II n. 00487/2021, pubblicata in data 24.02.2021 nella parte in cui ha accolto i motivi aggiunti proposti avverso la determina n. 114 del 24.10.2019 recante la comminatoria nei confronti Te. Va. S.r.l. (c.f. 05368130653) pecuniaria di Euro 20.000,00 ex art. 31 comma 4 bis del D.P.R. 380/2001 per la mancata riduzione in pristino delle opere abusive sanzionate dell'ordinanza di demolizione precedentemente comminata Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2024 il Cons. Oreste Mario Caputo; Nessuno è comparso per le parti costituite; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.E' appellata la sentenza del T.A.R. Campania - Sezione di Salerno, Sez. II n. 00487/2021, d'accoglimento in parte del ricorso e motivi aggiunti proposti da Te. Va. S.r.l. avverso (una prima) ordinanza di demolizione del Comune di (omissis) - sostituta in pendenza di giudizio da altra ingiunzione a demolire (n. 37 del 19.11.2019), impugnata con motivi aggiunti - nonché avverso la sanzione pecuniaria di Euro 20.000,00, comminata per l'inosservanza dell'ordine di rimessione in pristino. Con ulteriori motivi aggiunti, la società ha impugnato il diniego opposto all'istanza di accertamento di conformità presentata il 16.10.2019, per essere la pratica "carente della documentazione e degli elaborati tecnico-amministrativi". 2. Interventi abusivi realizzati in area agricola, gravata da vincolo paesaggistico e idrogeologico sita alla località (omissis), consistenti: - nella sopraelevazione del piano di campagna di altezza pari a m. 2, di un ampio spazio di circa mq. 1.150 con all'interno la realizzazione di una piscina ornamentale di dimensioni in pianta pari a m. 18,70 x m. 9,90 e per complessivi mq. 185,13 e una profondità di m. 1.40. Per la sopraelevazione del piano di campagna e` stato realizzato un muro di sostegno in calcestruzzo della lunghezza complessiva di m. 54,73 a forma di una "elle" con il lato minore di m. 6.97 e il lato maggiore di m. 47.76, spessore cm. 30 ed un'altezza media di m. 2; - in tre gazebo, che occupano una superficie complessiva di circa mq. 155, nonché nella parte retrostante e nelle immediate vicinanze del torrente Pi. di un manufatto, in legno e parte in muratura, avente destinazione di cucina, servizi igienici, nonché deposito, di complessivi mq. 103,82 e una volumetria complessiva di mc. 303; - in un ulteriore gazebo destinato a bar, in legno, di dimensioni pari a m. 9 x m. 7.20 e per complessivi mq. 64,80 ed un'altezza pari a m. 3; - in area parcheggio di complessivi mq. 4.600. 3. Il Tar, dichiarato improcedibile il ricorso proposto avverso l'originaria ordinanza di demolizione, ha accolto i motivi aggiunti limitatamente all'irrogazione della sanzione pecuniaria per inottemperanza all'ordinanza di demolizione n. 37 del 19.11.2019, "stante l'emanazione dell'atto sanzionatorio allorquando il procedimento di sanatoria non si era ancora concluso":, respingendo nel resto il gravame. Il Tar ha respinto l'impugnazione sia del diniego opposto dal Comune all'istanza di accertamento di conformità presentata, motivato sulla carenza della documentazione e degli elaborati tecnico-amministrativi, che della nuova ordinanza di demolizione, qualificata "come atto dovuto, vertendosi sulla realizzazione, in zona agricola e senza alcun titolo, di un'area attrezzata all'aperto della complessiva estensione di 1150 mq., costituita da una piattaforma in cemento armato sopraelevata e pavimentata, gazebi attrezzati a bar e servizi, piscina ed annesso parcheggio per 4600 mq.; mentre è evidente la sottoposizione delle dette opere al regime del permesso di costruire ed ad autorizzazione paesaggistica, perché ricadenti nella fascia di 150 metri dal torrente Pi.". 4. Appella la sentenza Te. Va. s.r.l.. Resiste il Comune di (omissis) che, a sua volta, ha proposto appello incidentale avverso il capo di sentenza d'annullamento della sanzione pecuniaria. 5. Alla pubblica udienza del 9 maggio 2024 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione. 6. In limine va respinta la richiesta formulata dall'appellante di sospensione del giudizio, ex art 295 c.p.c., in attesa della definizione innanzi al Tribunale di Salerno della questione - qualificata come pregiudiziale - della natura demaniale o meno delle aree su cui ricadono parte delle opere abusive. In considerazione del fatto che si controverte sulla natura delle opere realizzate senza titolo edilizio in area agricola, gravata da vincolo paesaggistico e idrogeologico, l'accertamento della demanialità delle aree ove ricadono parte dagli abusi edilizi, nell'economia del decidere, non è ex dirimente, sì da non giustificare la sospensione del giudizio in corso. 7. Prima di affrontare i molteplici motivi d'appello principale, è bene richiamare la disciplina urbanistica ed ambientale che governa il territorio. L'area d'intervento ricade parte in zona agricola E5 "Zona Agricola Irrigua" e parte in zona E4 "Zona Agricola Semplice" del vigente Piano Regolatore Generale, in cui sono destinate prevalentemente attività dirette o connesse con l'agricoltura, per cui in esso sono consentite costruzioni a servizio diretto del fondo agricolo - residenza e attrezzature per l'agricoltura. L'area è sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi degli artt. 146 e 167 d.lgs. 4/2004 perché ricadente nella fascia di 150 metri dal torrente Pi., nonché assoggettata alle norme di salvaguardia sancite dal Piano Stralcio per l'Assetto Idrogeologico poiché "l'area risulta: parte area a pericolosità potenziale PUtr1 e parte PUtr3... parte area a rischio potenziale da frana RUtr2... parte RUtr3... parte RUtr4... (in) zone di attenzione". 8. Con il primo motivo, l'appellante denuncia l'errore di giudizio in cui sarebbe incorso il Tar nel respingere il gravame avverso il diniego di accertamento di conformità . Il Comune di (omissis), secondo la censura in esame, ha denegato l'accertamento di conformità sul presupposto della mancata allegazione di documentazione," omettendo di richiederla espressamente come era suo precipuo compito". 8.1 Il motivo è infondato. Il Comune resistente, prima di opporre il diniego impugnato, con nota (prot. n. 12023 del 16.10.2019), ha espressamente richiesto l'apporto partecipativo della società appellante che - va sottolineato - è rimasta senza esito. Sicché, la regolarizzazione documentale ex officio è stata richiesta dal Comune, assolvendo al precetto contenuto nell'10-bis l.241/90, 9. Con il secondo motivo d'appello, l'appellante denuncia l'erroneità della sentenza laddove si censura il comportamento della ricorrente per non avere chiesto la concessione del termine per effettuare il deposito della documentazione carente. 9.1 Il motivo è infondato. Contrariamente a quanto dedotto in fatto dall'appellante, il Comune, nell'istruire il procedimento, ha richiesto l'esibizione di documenti essenziali a comprovare la veridicità delle dichiarazioni rese ai sensi del d.P.R. 455/2000 quanto alla legittimazione ad intervenire anche all'interno dell'area demaniale e all'insussistenza di vincoli di natura paesaggistica e ambientale tali da rendere necessario il preventivo conseguimento dei prescritti nulla osta delle autorità preposte alla loro gestione. In risposta, la società ha lasciato scadere il termine, senza presentare alcuna osservazione. 10. Con il terzo motivo di appello, la ricorrente lamenta gli errori di giudizio nel respingere le censure proposte avverso l'ordinanza di demolizione. Le opere contestate, secondo la censura in esame, sarebbero in parte irrilevanti ai fini volumetrici e/o del carico urbanistico e, quindi, non sono assoggettate al regime del permesso di costruire né sanzionabili ex art. 31 d.P.R. n. 380/2001, e, per altra parte, sarebbero riconducibili al genus degli interventi pertinenziali "minimi", di cui agli artt. 3 e 6 d.P.R. n. 380/2001. 10.1 Il motivo è infondato. Le opere abusive realizzate in zona agricola gravata da vincolo paesaggistico e idrogeologico consistono: nella sopraelevazione del piano di campagna di altezza pari a m. 2, di un ampio spazio di circa mq. 1.150 con all'interno la realizzazione di una piscina ornamentale di dimensioni in pianta pari a m. 18,70 x m. 9,90 e per complessivi mq. 185,13 e una profondità di m. 1.40, nella realizzazione 3 gazebi, che occupano una superficie complessiva di circa mq. 155, nonché nella parte retrostante e nelle immediate vicinanze del torrente Pi. di un manufatto, in legno e parte in muratura, avente destinazione di cucina, servizi igienici, nel deposito, di complessivi mq. 103,82 e una volumetria complessiva di mc. 303; nella edificazione di ulteriore gazebo destinato a bar, in legno, di dimensioni pari a m. 9 x m. 7.20 e per complessivi mq. 64,80 ed un'altezza pari a m. 3 (...); nella realizzazione di un'area parcheggio di complessivi mq. 4.600. Va sottolineato che l'area occupata dalla piattaforma, "ricade per mq. 900 nella proprietà del demanio" (su una estensione di complessivi 1150 mq; mentre l'area occupata dal parcheggio, "risulta, ivi compreso l'ingresso al parcheggio, parzialmente di proprieta` del demanio per mq. 2.200" (su una estensione di complessivi 4600 mq). Il Comune ha accertato la realizzazione, senza alcun titolo autorizzativo, di area attrezzata per ricevimenti all'aperto, costituita da una piattaforma sopraelevata in cemento armato, con gazebi attrezzati a bar e servizi, impianto di illuminazione e piscina monumentale della complessiva estensione di 1150 mq e dell'annesso parcheggio per automezzi di ulteriori 4600 mq. Gli interventi complessivamente considerati incidono pesantemente sull'intero comprensorio, avente oltretutto valenza ambientale (cfr., Cons. Stato, n. 496/2022). In ragione della peculiare disciplina del territorio qui in esame, va ribadito che la valutazione di abusi edilizi e illeciti compiuti richiede una visione d'insieme, e non parcellizzata delle opere eseguite, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva, non da ciascun intervento in sé considerato, ma dall'insieme dei lavori nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni (cfr., Cons. Stato n. 2119/2023; Id., n. 8848/2022; Id., 7601/2019). Correttamente il Tar ha qualificato come "atto dovuto" l'ordinanza di demolizione stante l'avvenuta realizzazione, in zona agricola e senza alcun titolo, "di un'area attrezzata all'aperto della complessiva estensione di 1150 mq., costituita da una piattaforma in cemento armato sopraelevata e pavimentata, gazebi attrezzati a bar e servizi, piscina ed annesso parcheggio per 4600 mq.; mentre è evidente la sottoposizione delle dette opere al regime del permesso di costruire ed ad autorizzazione paesaggistica, perché ricadenti nella fascia di 150 metri dal torrente Pi.". 11. Conseguentemente, anche il quarto motivo dell'appello principale, laddove si deduce che "le opere contestate sono riconducibili al regime sanzionatorio pecuniario di cui all'articolo 37 d.P.R 380/2001", è infondato. Le pluralità degli abusi commessi in zona agricola, gravata da vincoli ambientali, comporta l'applicazione del regime sanzionatorio rispristinatorio di cui agli artt. 31 d.P.R. 380/2001 e 167 d.lgs. 4/2004. 12. Conclusivamente, l'appello principale deve essere respinto. 13. Ad opposta conclusione deve giungersi con riguardo all'appello incidentale Il T.A.R. ha accolto l'impugnativa spiegata dalla società con esclusivo riferimento al provvedimento (n. 114 del 24.10.2019), con la quale il Comune di (omissis) le aveva comminato la sanzione prevista dall'art. 31, comma 4 bis, d.P.R. 380/2001 per non aver ottemperato all'ordinanza di demolizione n. 21 del 15.07.2019. Secondo i giudici di prime cure la sanzione pecuniaria, in pendenza del procedimento di sanatoria, non poteva essere adottata, poiché "il deposito dell'istanza comporta la sospensione dell'efficacia dell'ordinanza di demolizione fino alla definizione del procedimento".. Il Comune appellante deduce che il procedimento attivato dalla società per la sanatoria delle opere sanzionate non aveva alcuna valenza "sospensiva" e/o "interruttiva" del termine di novanta giorni ivi impartito per la riduzione in pristino degli abusi commessi in area demaniale. 13.1 Il motivo è fondato. La sanzione pecuniaria ex art. 31, comma 4° bis, d.P.R. 380/2001 consegue ex lege all'inottemperanza all'ingiunzione a demolire; la quantificazione nella misura massima di Euro 20.000,00 corrisponde al criterio normativo, stante la concorrente violazione della normativa paesaggistico-ambientale. La norma recita: "L'autorità competente, constatata l'inottemperanza, irroga una sanzione amministrativa pecuniaria di importo compreso tra 2.000 euro e 20.000 euro, salva l'applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti. La sanzione, in caso di abusi realizzati sulle aree e sugli edifici di cui al comma 2 dell'articolo 27, ivi comprese le aree soggette a rischio idrogeologico elevato o molto elevato, è sempre irrogata nella misura massima...". Nessuna norma prevede che l'esecutività della sanzione è sospesa per effetto della presentazione dell'istanza d'accertamento di conformità . 14. Pertanto, l'appello incidentale proposto dal Comune deve essere accolto, e, per l'effetto, in parziale riforma dell'appellata sentenza, devono essere respinti i motivi aggiunti proposti in prime cure avverso la sanzione pecuniaria comminata dal Comune. 15. Le spese del presente grado di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello principale, come in epigrafe proposto, lo respinge. Accoglie l'appello incidentale proposto dal Comune e, per l'effetto, in parziale riforma dell'appellata sentenza, respinge i motivi aggiunti proposti in prime cure avverso la sanzione pecuniaria comminata. Condanna Te. Va. s.r.l. al pagamento delle spese del grado di giudizio in favore del Comune di (omissis) liquidate complessivamente in 3000,00 (tremila) euro, oltre diritti ed accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Sergio De Felice - Presidente Luigi Massimiliano Tarantino - Consigliere Oreste Mario Caputo - Consigliere, Estensore Roberto Caponigro - Consigliere Giovanni Gallone - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8334 del 2023, proposto da: Ca. Eu. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ca. Pe. e Cr. Be., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ni. Za., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; nei confronti Tu. Fu. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Co. e Gi. Gi., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; Ni. Co., non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo, sezione staccata di Pescara, n. 96/2023. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e di Tu. Fu. s.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore il Cons. Laura Marzano; Nessuno presente per le parti nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La società appellante ha impugnato la sentenza del 20 febbraio 2023, n. 96 con cui il Tar Abruzzo, sezione staccata di Pescara, ha respinto il ricorso proposto per l'annullamento dell'ordinanza n. 25216 del 2 maggio 2019, di revoca dell'autorizzazione del 21 giugno 1993 per lo svolgimento dell'attività di campeggio, e per la condanna dell'amministrazione al risarcimento dei danni conseguenti. Il Comune di (omissis) si è costituito con atto formale. La controinteressata, Tu. Fu. s.r.l. si è costituita depositando memoria difensiva e documentazione ed ha chiesto la reiezione dell'appello. In vista della trattazione, il comune e la controinteressata hanno depositato memorie conclusive, alle quali l'appellante ha replicato con memoria del 7 maggio 2024. Con separati atti tutte le parti costituite hanno chiesto la decisione della causa sugli scritti. All'udienza pubblica del 28 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 2. L'appellante, gestore di un campeggio in (omissis), lungo la SS (omissis), ha impugnato in primo grado il suindicato provvedimento censurandolo per violazione del d.P.R. n. 380 del 2001, dell'art. 3 della legge n. 287 del 1991, della legge regionale n. 16 del 2003, dei principi di buon andamento, di imparzialità, di affidamento incolpevole, di proporzionalità e ragionevolezza nonché per eccesso di potere sotto il profilo del difetto di presupposti, di istruttoria e di motivazione, dello sviamento. In particolare ha fatto presente che i procedimenti di condono non erano ancora definiti; che il primo riguardava n. 8 bungalows più il bar, il secondo n. 3 bungalows, la guardiola, la centrale idrica, la pista da ballo, la bocciofila, il terzo la superficie abusiva di mq. 270 di cui alla particella (omissis), il quarto la superficie abusiva di mq. 240 di cui alla particella (omissis); che in ogni caso i bungalows e la bocciofila erano stati rimossi; che i rimanenti abusi attenevano unicamente ai profili di ubicazione e sagoma di scarso rilievo; che vi era comunque stato l'accatastamento dei locali nello stato di fatto attuale; che si era ingenerato un affidamento incolpevole discendente dalla risalenza dei lavori a circa 44 anni prima, eseguiti poi dal precedente gestore. La società ha sostenuto inoltre che sarebbe improprio in ogni caso definire le opere abusive, in pendenza del procedimento di condono; che non sarebbero motivate nè la misura afflittiva né il rigetto della richiesta di proroga, tenuto conto poi che la struttura è dotata del titolo di agibilità ; che una ridotta porzione del campeggio era stata restituita alla proprietaria Tu. e Fu. s.r.l., tuttavia non rilevante e incidente sulla conformazione complessiva del campeggio medesimo; che in definitiva la misura assunta sarebbe sproporzionata. La società ha anche chiesto la condanna dell'amministrazione al risarcimento dei danni: di quello economico, essendo già state raccolte le prenotazioni per la stagione estiva, e di quello non patrimoniale, per la campagna denigratoria della stampa. 3. Il Tar ha respinto il ricorso osservando in sintesi: che l'ordinanza impugnata risulta emessa a seguito di articolata, approfondita e dettagliata fase istruttoria e nel pieno rispetto del contraddittorio procedimentale; che numerosi risultano gli abusi realizzati, con occupazione di aree di soggetti terzi, private e pubbliche demaniali, sottoposte a vari vincoli di tutela (fasce di rispetto, vincoli ambientali); che un ridotto numero degli abusi era oggetto di domande di condono, in parte già respinte, in parte ancora non definite per la mancata produzione della documentazione necessaria per il loro riscontro, con altri abusi già oggetto di ordinanze di demolizione o di procedimenti avviati per l'assunzione di analoghe misure repressive; che, a fronte di ciò, non può assumere rilievo l'asserita rimozione di alcune opere; che gli abusi consistenti in differente ubicazione e sagoma non possono comunque essere considerati di minore impatto nel contesto surriportato; che l'accatastamento dei locali abusivi non può valere per ciò solo e in ogni caso a sanare i profili abusivi degli stessi, consistendo lo stesso in una mera registrazione e catalogazione degli immobili, a fini preminentemente fiscali; che nessun affidamento incolpevole poteva essere maturato in capo alla ricorrente, ben consapevole almeno di parte degli abusi, avendo presentato per gli stessi domanda di condono; che l'atto impugnato risulta corredato di congrua e adeguata motivazione; che non è irragionevole il mancato accoglimento della richiesta di proroga, proprio perché le domande di condono pendenti riguardavano una minima parte degli abusi; che, a fronte degli accertati abusi, non poteva rilevare un precedente titolo di agibilità ; che l'asserita restituzione di una ridotta parte del campeggio al legittimo terzo proprietario non poteva valere a rendere conforme alla disciplina vigente il complesso della struttura; che la misura assunta, alla luce delle plurime illegittimità riscontrate e di varia matrice, anche in tema di sicurezza, non appare all'evidenza sproporzionata. 4. L'appello è affidato ai seguenti motivi. 1) "Error in judicando. Violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della Legge 7.8.1990, n. 241". Diversamente da quanto affermato in sentenza, l'intero procedimento sarebbe affetto da difetto di istruttoria, infatti l'amministrazione si sarebbe espressa, in plurimi passaggi, in termini dubitativi circa le circostanze fattuali che hanno condotto a qualificare come "interamente abusivo" il campeggio in questione e, di conseguenza, revocare l'autorizzazione amministrativa rilasciata in favore della s.r.l. Ca. Eu.. Inoltre nella stessa ordinanza impugnata sarebbe rinvenibile l'incertezza degli accadimenti laddove, a proposito delle iniziative promosse da un proprietario di una parte dei terreni per ottenerne il rilascio, si rileva che la sua restituzione determinerebbe un mutamento dello stato di fatto del campeggio "tanto da porre dubbi circa il fatto che la sua conformazione - dopo la restituzione di una parte del terreno - attualmente rispetti la normativa regionale che regola tale comparto delle strutture ricettive", ciò senza che: sia indicata la specifica porzione immobiliare che dovrebbe essere rilasciata; siano indicate le norme violate; sia precisata la ragione per la quale l'eventuale restituzione dell'area al legittimo proprietario possa incidere sul rispetto dei parametri urbanistici. Inoltre l'amministrazione avrebbe ignorato un fatto, il rilascio di parte dell'area al legittimo proprietario, che era stato già introdotto in sede procedimentale, in tal modo vanificando l'apporto partecipativo della società : da ciò emergerebbe anche la violazione dell'obbligo motivazionale. 2) "Error in judicando. Violazione e falsa applicazione degli artt. 30 e ss. del d.P.R. 6.6.2001, n. 380. Violazione e falsa applicazione dell'art. 21 della L.R. Abruzzo 23.10.2003, n. 16". L'appellante contesta il capo della sentenza in cui il campeggio viene definito interamente abusivo e osserva che, nel provvedimento impugnato, è lo stesso comune che, dopo aver qualificato il campeggio come "interamente abusivo", soggiunge: "fatta salva la presentazione di alcune istanze di condono ancora in fase di istruttoria", affermazioni contenute anche nella relazione del 19 novembre 2018, a firma del responsabile della Pianificazione edilizia e ambiente, integralmente richiamata e recepita dall'ordinanza impugnata, nella quale ogni condono presentato dalla società appellante viene qualificato come "non definito in corso di istruttoria". Quindi lo stigma di "abusività ", che l'amministrazione ha assegnato all'intero insediamento, non sarebbe connotato da carattere di definitività . Osserva, inoltre, che laddove sia stata presentata un'istanza di concessione in sanatoria o di condono edilizio, in assenza di preventiva determinazione su quest'ultima e in pendenza del relativo procedimento, gli eventuali provvedimenti repressivi devono considerarsi sospesi e, se adottati in presenza di condono, sono da considerarsi illegittimi, quindi il comune non potrebbe revocare l'autorizzazione commerciale senza preventivamente pronunciarsi in senso negativo sull'istanza di sanatoria. Obietta che, se fosse vero che la società richiedente non abbia ottemperato alle richieste di integrazione documentale, sarebbe stato agevole per l'amministrazione definire negativamente i procedimenti in questione, ma così non è stato. In ogni caso, al netto delle opere interessate dalle richieste di condono, gli unici abusi che vengono in rilievo riguarderebbero le difformità dalla licenza edilizia del 1975 (4 bungalow, un fabbricato, il deposito servizi) e il bocciodromo costruito nella fascia demaniale. Si tratterebbe, tuttavia, di interventi di modesta rilevanza, considerato che i due bungalow sono successivamente stati rimossi, mentre le ulteriori difformità edilizie riguardano la diversa ubicazione e la diversità di sagoma, sicchè non vi sarebbero variazioni essenziali. Anche alla luce di tali considerazioni il sacrificio imposto alla società con il provvedimento impugnato sarebbe in contrasto con i principi di proporzionalità, buon andamento e ragionevolezza dell'azione amministrativa. 3) "Error in judicando. Violazione e falsa applicazione del principio di buona fede di cui all'art. 1, comma 2bis, della Legge 7.8.1990, n. 241 e di cui all'art. 1375 c.c.". L'appellante contesta la sentenza nella parte in cui ha escluso la sussistenza del legittimo affidamento osservando che le opere asseritamente abusive sarebbero state eseguite da parte di terzi, la realizzazione del campeggio risale al 1975 mentre l'appellante ne amministra l'attività a partire dal 1993 e deduce la sua ignoranza incolpevole in quanto sia le ordinanze di demolizione, sia i provvedimenti con cui sono state respinte le istanze di condono non sarebbero state prodotte nel giudizio di primo grado ovvero sarebbero state prodotte senza fornire la prova dell'avvenuta notificazione ai rispettivi destinatari. 5. Il Comune di (omissis) ha innanzitutto eccepito l'inammissibilità del primo motivo di appello, in quanto sostanzialmente "rimaneggiato" rispetto a quanto dedotto in primo grado e, perciò, formulato in violazione del divieto di nova in appello; in ogni caso ne ha dedotto l'infondatezza, al pari degli altri motivi. La controinteressata Tu. Fu. s.r.l. - proprietaria del complesso alberghiero denominato "Hotel Ex." confinante con il campeggio - ha ribadito l'eccezione, già sollevata in primo grado, di inammissibilità del ricorso introduttivo per omessa notifica alle altre amministrazioni interessate, coinvolte nell'accertamento che ha condotto all'emanazione dell'ordinanza impugnata nonché per altri profili; in ogni caso ha dedotto l'infondatezza dell'appello e del ricorso introduttivo osservando che le censure dell'appellante non sarebbero idonee a incidere sulla correttezza della 6. Si può prescindere dall'esame delle eccezioni preliminari, essendo l'appello infondato. I tre motivi possono essere esaminati congiuntamente seguendo un unico ordine logico. Come rilevato dal Tar non è ravvisabile il dedotto difetto di istruttoria che l'appellante ascrive all'operato dell'amministrazione in conseguenza di una lettura "atomistica" degli atti che nell'insieme hanno condotto all'emanazione del provvedimento comunale impugnato. A ben vedere, nella vicenda per cui è causa le diverse amministrazioni coinvolte hanno rilevato una serie di abusi edilizi che non risultano sconfessati né dalle deduzioni dell'appellante né dalla pendenza di istanze di condono, tanto che in ordine alla reiezione di alcune di esse l'appellante si spinge a sostenere di averle ignorate incolpevolmente in quanto l'amministrazione non avrebbe accluso la prova della avvenuta notifica. Ciò posto, le censure riguardanti la presunta doverosità di sospendere il procedimento in attesa della definizione delle istanze di condono esulano dal perimetro del presente giudizio il quale ha ad oggetto non già l'ordinanza di demolizione bensì la revoca dell'autorizzazione del 21 giugno 1993 per lo svolgimento dell'attività di campeggio, la quale si fonda sull'intervenuto accertamento di plurime violazioni, tra le quali quelle edilizie. Il procedimento è stato avviato a seguito di una serie di accertamenti in cui sono stati rilevati due profili di illegittimità : ossia una serie di irregolarità edilizie e l'occupazione di aree demaniali e private. Sono seguite, dunque, due attività provvedimentali: l'una diretta allo sgombero dell'area demaniale illegittimamente occupata e alla rimozione delle opere edilizie abusive ivi insistenti e una diretta alla revoca dell'autorizzazione del 21 giugno 1993 per lo svolgimento dell'attività di campeggio. Il presente giudizio riguarda la seconda delle indicate attività che, al pari della prima, risulta ben esplicata nella relazione tecnica a firma del responsabile della Pianificazione edilizia e ambiente del comune in cui, dopo aver elencato i titoli rilasciati e le richieste di sanatoria, si conclude che "Dall'esame delle pratiche sopra richiamate si evince che, ad oggi, il Campeggio non dispone di alcun titolo autorizzatorio, ed è, pertanto interamente abusivo, fatta salva la definizione dei condoni richiesti". Nella relazione si dà atto che non è stato possibile effettuare un rilievo puntuale dei manufatti esistenti e non autorizzati, a causa dell'assenza dei titolari delle aree. All'esito di tali verifiche è emerso anche che "Alcune delle opere abusive (bocciodromo e suo ampliamento) insistono sulla proprietà Demanio dello Stato ramo Strade, mentre le stesse strutture abusive descritte al punto 3°, ricadono, in parte nella fascia di rispetto della Strada Statale SS 16 (30 metri)...". A ciò è conseguita da una parte la diffida alla demolizione delle opere abusive, inviata a tutti i soggetti proprietari del camping, e le successive ordinanze di demolizione e di ripristino (nn. 120, 121, 144, 145, 213, 214 del 21 maggio 2019) e, dall'altra, l'ordinanza di sgombero dell'area demaniale occupata, inviata al sig. Ma. Ni., quale legale rappresentante della ditta Ca. Eu., nonché l'ordinanza di revoca dell'autorizzazione del 21 giugno 1993 per lo svolgimento dell'attività di campeggio, impugnata nel presente giudizio. Tale ultima ordinanza è stata adottata all'esito dell'unica complessa attività istruttoria, riguardante i due evidenziati profili di illegittimità . L'amministrazione ha segnalato nell'ordinanza che alcuni terreni sono in proprietà della società e altri condotti in locazione; che sono state realizzate opere abusive anche su area demaniale illegittimamente occupata; che è stato avviato il procedimento per la demolizione delle opere abusive con nota n. 67112 del 18 dicembre 2018; che risultavano presentate dal privato alcune domande di condono edilizio, ancora in fase istruttoria, non essendo stata prodotta tutta la documentazione a corredo, necessaria per un loro riscontro; che alcuni fabbricati insistono sulla fascia di rispetto stradale, altri sono localizzati su suolo demaniale, altri ancora sono stati oggetto di diniego di condono, perché in contrasto con la destinazione a parcheggio del PRG dell'epoca, ulteriori risultano difformi dai titoli autorizzatori per ubicazione e sagoma; che in data 22 marzo 2019 è stato avviato il procedimento di revoca dell'autorizzazione nei confronti sia di Ca. Eu. s.r.l. sia di Ne. Vi. Eu. s.a.s., palesatasi in un dato momento come gestore senza titolo; che in definitiva gli abusi sono tanti e tali da incidere sulla conformazione complessiva del campeggio, da considerarsi dunque in toto abusivo; che Ca. Eu. s.r.l., in sede di osservazioni controdeduttive, ha chiesto una proroga dei termini di revoca, in attesa della definizione delle domande di condono edilizio pendenti; che le domande di condono riguardano tuttavia una minima parte degli abusi e che per gli altri o sono già state emesse ordinanze di demolizione o comunque sono stati avviati i procedimenti per la loro rimozione; che inoltre è stata anche emessa ordinanza n. 150 del 18 aprile 2019 di sgombero di un'area di mq. 460 di demanio marittimo, occupata abusivamente, con obbligo di ripristino dello stato dei luoghi; che il 20 aprile 2019 si è proceduto a sopralluogo di verifica unitamente al personale del Commissariato di pubblica sicurezza di (omissis), con accertamento di plurime infrazioni in materia di disciplina sulla sicurezza; che Ne. Vi. Eu. s.a.s. si è dichiarata estranea alla gestione del campeggio, pur esercitando attività ricettiva di campeggio nella struttura. Dunque, come correttamente rilevato nella sentenza impugnata, l'ordinanza impugnata risulta emessa a seguito di articolata, approfondita e dettagliata fase istruttoria, come risulta dalle relazioni comunali n. 16906 del 21 marzo 2019 e n. 23629 del 23 aprile 2019, dalla relazione Commissariato di pubblica sicurezza del 24 aprile 2019. Quelle rilevate sono plurime irregolarità, riconducibili a diversi aspetti, illegittima occupazione di aree pubbliche e private, gravi mancanze in tema di sicurezza e svariati abusi edilizi, alcuni dei quali anche su area demaniale abusivamente occupata. Il profilo dei plurimi abusi edilizi rappresenta soltanto una delle motivazioni poste alla base dell'ordinanza impugnata, con la conseguenza che, per inciso, appare fondata l'eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla controinteressata, laddove osserva che gli altri capi del provvedimento plurimotivato non sono stati censurati. Ciò posto, il Collegio rileva che le violazioni riscontrate sono talmente tante e di tale gravità da rendere pienamente legittimo l'atto di revoca dell'autorizzazione amministrativa allo svolgimento dell'attività di campeggio. Perde di rilievo, pertanto, la censura secondo cui la pendenza dei procedimenti di sanatoria non avrebbe potuto consentire al comune l'adozione del provvedimento impugnato dal momento che, come rilevato, il profilo degli abusi edilizi è soltanto uno dei motivi posti alla base dello stesso né può assumere rilievo l'asserita rimozione di alcune opere o la circostanza che alcuni abusi consistano in differente ubicazione e sagoma non possono comunque essere considerati di minore impatto nel contesto surriportato, né che i locali abusivi siano stati accatastati, dal momento che l'accatastamento, che è una mera dichiarazione di parte, non può sopperire alla mancanza del titolo edilizio. A fronte di una tale e composita situazione di illegittimità non è configurabile alcun affidamento del privato che possa qualificarsi come "legittimo", segnatamente con riferimento agli aspetti edilizi. L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza 17 ottobre 2017 n. 9, ha affermato il seguente principio di diritto "il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino". La sentenza inoltre conferma che la demolizione di opere edilizie abusive può essere disposta nei confronti del proprietario attuale dell'opera (o di chi ne abbia la disponibilità ), anche se non abbia avuto alcuna parte della commissione dell'abuso (orientamento già espresso da Cons. Stato, sez. VI, 26 luglio 2017, n. 3694). D'altra parte è stato condivisibilmente osservato che la mera presentazione dell'istanza di condono non può ritenersi inidonea e sufficiente a consentire l'esercizio dell'attività nei locali oggetto dell'istanza stessa. Infatti, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, nel rilascio dell'autorizzazione commerciale occorre tenere presente i presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l'attività commerciale si va a svolgere, con l'ovvia conseguenza che il diniego di esercizio di attività di commercio deve ritenersi senz'altro legittimo ove fondato su rappresentate e accertate ragioni di abusività dei locali nei quali l'attività commerciale viene svolta (cfr., tra le altre, Cons. Stato, sez. V, 8 maggio 2012, n. 5590; id. sez. IV, 14 ottobre 2011 n. 5537). Il legittimo esercizio dell'attività commerciale è pertanto ancorato, non solo in sede di rilascio dei titoli abilitativi, ma anche per la intera sua durata di svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene posta in essere, con conseguente potere-dovere dell'autorità amministrativa di inibire l'attività commerciale esercitata in locali rispetto ai quali siano stati adottati provvedimenti repressivi che accertano l'abusività delle opere realizzate ed applicano sanzioni che precludono in modo assoluto la prosecuzione di un'attività commerciale (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 23 ottobre 2015, n. 4880). La regolarità urbanistico edilizia dell'opera, pertanto, condiziona l'esercizio dell'attività commerciale al suo interno anche perché ritenere il contrario comporterebbe elusione delle sanzioni previste per gli illeciti edilizi. La stretta connessione tra materie del commercio e dell'urbanistica ha indotto il legislatore a indicare il medesimo fatto quale presupposto per l'esercizio di poteri propri sia della materia dell'urbanistica, sia di quella del commercio, con la conseguente inibizione, per l'autorità amministrativa, di assentire l'attività nel caso di non conformità della stessa alla disciplina urbanistico - edilizia (cfr. Cons. Stato, V, 17 ottobre 2002, n. 5656 e 28 giugno 2000, n. 3639). E' stato così superato il precedente indirizzo giurisprudenziale che affermava l'illegittimità del diniego di autorizzazione commerciale (o di ampliamento o di trasferimento dell'esercizio) per ragioni di ordine urbanistico, sul presupposto che l'interesse pubblico nella materia del commercio fosse di diversa natura ed implicasse perciò criteri valutativi differenti (cfr. Cons. Stato, V, 21 aprile 1997, n. 380): il revirement giurisprudenziale si fonda su un criterio di ragionevolezza e sul principio costituzionale di buona amministrazione per cui non è tollerabile l'esercizio dissociato, addirittura contrastante, dei poteri che fanno capo allo stesso ente per la tutela di interessi pubblici distinti, specie quando tra questi interessi sussista un obiettivo collegamento, come è per le materie dell'urbanistica e del commercio (cfr. Cons. Stato, sez. V, 29 maggio 2018, n. 3212). Conclusivamente, per quanto precede, esaminate tutte le censure pertinenti, che esauriscono il tema dedotto in giudizio, l'appello deve essere respinto. 7. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante alla rifusione delle spese del presente grado di giudizio, nella misura di Euro 2.000,00 (duemila) in favore di ciascuna parte costituita, oltre oneri di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024, con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere Laura Marzano - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5539 del 2023, proposto da Sa. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Vi.Do., Al.Ce., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Al.Ce. in Roma, via (...); contro Comune di Venezia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An.Ia., Gi.Ro.Ch., Fi.Ar., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Agenzia delle Entrate, Agenzia delle Entrate - Riscossione, Associazione Italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai., Wi.Ai.Hu. Ltd., Wi.Ai.Ma. Ltd., Ea.Ai. Company Ltd., Ry.Da., Vo. S.L., non costituite in giudizio; Enac - Ente Nazionale per L'Aviazione Civile, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma.Di.Gi., El.Pa.Re., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Autorità di Regolazione dei Trasporti, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Ib.It.Bo. Airline Representatives, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma.Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); sul ricorso numero di registro generale 5632 del 2023, proposto da Associazione Italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai., Ea.Ai. Company Limited, Ry.Da., Vo. S.L., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dall'avvocato Gi.Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Venezia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An.Ia., Gi.Ro.Ch., Fi.Ar., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Agenzia delle Entrate - Riscossione, Sa. S.p.A., Autorità di Regolazione dei Trasporti - Art, Wi.Ai.Hu. Ltd., Wi.Ai.Ma. Ltd., Associazione Ibar - Italian Board Airline Representatives, non costituite in giudizio; Enac - Ente Nazionale per L'Aviazione Civile, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato El.Pa.Re., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma: quanto al ricorso n. 5539 del 2023: della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (sezione Prima) n. 00868/2023, resa tra le parti; quanto al ricorso n. 5632 del 2023: della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (sezione Prima) n. 00868/2023, resa tra le parti; Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Venezia e di Presidenza del Consiglio dei Ministri e di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Ministero dell'Interno e di Enac - Ente Nazionale per L'Aviazione Civile e di Autorità di Regolazione dei Trasporti e di Ib.It.Bo. Airline Representatives e di Comune di Venezia e di Presidenza del Consiglio dei Ministri e di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Ministero dell'Interno e di Enac - Ente Nazionale per L'Aviazione Civile; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 novembre 2023 il Cons. Diana Caminiti e uditi per le parti gli avvocati Do., Ce., Ar., e Ci. in dichiarata delega di Di.Gi.. Ma., Ar., e Ci.in dichiarata delega di Di.Gi.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Sa. S.p.A., gestore dell’aeroporto di Venezia, e l’Associazione Italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai., associazione sindacale senza scopo di lucro che rappresenta gli interessi dei vettori aerei associati, rientranti nella c.d. categoria delle low fares, unitamente alle compagnie aeree Ea.Ai. Company Limited, Ry.Da., Vo. S.L., con autonomi ricorsi iscritti rispettivamente al n. ruolo, R.G. n. 5539/2023 e al n. R.G. n. 5632/2023, hanno interposto appello avverso la sentenza del Tar per il Veneto, sez. prima, 20 giugno 2023, n. 868, con cui sono stati respinti i ricorsi riuniti, da esse rispettivamente proposti, iscritti al n. R.G. 244/2023 e n. R.G. 395/2023, avverso delibera del Consiglio Comunale della Città di Venezia n. 75 del 23 dicembre 2022 concernente l'approvazione del Bilancio di previsione per gli esercizi finanziari 2023-2025, pubblicata dal 23 dicembre 2022 al 7 febbraio 2023, immediatamente eseguibile, nella parte in cui dispone di istituire un'addizionale comunale sui diritti aeroportuali d'imbarco a partire dal 1° aprile 2023 ed avverso i relativi atti presupposti. L’istituzione dell’addizionale comunale de qua da parte dell’Ente comunale ha fatto seguito ad un accordo, denominato “Patto per Venezia” (anch’esso oggetto di impugnativa), finalizzato al riequilibrio strutturale finanziario del bilancio di previsione, stipulato - in forza dell’art. 43, commi 2, 3 e 8 del d.l. n. 50 del 2022 - tra il Comune di Venezia e la Presidenza del Consiglio dei Ministri. 2.1. L’indicato disposto normativo consente che i comuni sede di Città Metropolitana (come nel caso del Comune di Venezia), caratterizzati da “un debito pro capite superiore ad euro 1.000 sulla base del rendiconto dell'anno 2020 definitivamente approvato e trasmesso alla BDAP al 30 giugno 2022” (art. 43, comma 8, d.l. n. 50 del 2022), possano avviare, su proposta del Ministero dell’Economia e delle Finanze e all’esito della verifica dei requisiti da parte di un Tavolo tecnico appositamente istituito, un percorso di riequilibrio strutturale del bilancio comunale per mezzo dell’adozione delle misure di cui all’art. 1, comma 572, lettere da a) ad i), della legge n. 234 del 2021, fra le quali è previsto l’incremento dell’addizionale comunale all’IRPEF e un’addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale. Nel caso in cui fosse deliberata l’addizionale sui diritti di imbarco (fino ad un massimo di 3 euro), è previsto come l’incremento dell’addizionale IRPEF non possa superare lo 0,4%. Nel ricordato “Patto per Venezia”, il Comune ha assunto l’impegno di istituire - limitatamente al periodo compreso tra il 2023 e il 2042, in cui dovrà essere ripianato il disavanzo - l’addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale nei confronti di ogni passeggero nella misura di 2,50 euro fino al 2031, con una progressiva diminuzione, fino a 0,80 euro, per il periodo dal 2038 al 2042. 2.2. Con la deliberazione impugnata (su conforme proposta emendativa della Giunta) veniva peraltro stabilito che, limitatamente ai diritti di imbarco portuale, l’addizionale sarebbe stata istituita con un successivo atto e comunque a decorrere dal 1° gennaio 2026. Di conseguenza, l’addizionale, contestata in questa sede, risulta attualmente prevista per i soli imbarchi aeroportuali. Sa. s.p.a., società concessionaria dell’aeroporto “Marco Polo” di Venezia, ha pertanto impugnato innanzi al Tar per il Veneto, unitamente agli atti presupposti, la indicata deliberazione consiliare n. 75 del 23 dicembre 2022, nella parte in cui istituisce l’addizionale sui diritti di imbarco valevole negli aeroporti presenti sul territorio comunale. 3.1. Nel ricorso di prime cure - iscritto al n. R.G. 244 del 2023 - Sa. ha sostenuto che l’introduzione dell’addizionale, il cui onere economico viene fatto gravare sul passeggero, allorché acquista il biglietto presso il vettore (che, quale sostituto d’imposta, è poi tenuto a riversarne l’importo all’erario), comporterebbe la riduzione dell’attrattività dello scalo veneziano con grave danno per l’indotto che gravita attorno all’infrastruttura aeroportuale. 3.2. A sostegno del gravame ha articolato, in sei motivi, le seguenti censure: 1) Violazione dell’art. 3, comma 2, l. 212/2000 (Statuto del Contribuente); la deliberazione istitutiva dell’addizionale sui diritti d’imbarco sarebbe illegittima nella parte in cui avrebbe fissato la decorrenza dell’obbligo tributario per la data del 1° aprile 2023, senza tenere conto che, ai sensi dell’art. 3, comma 2 della l. n. 212 del 2000, la scadenza degli adempimenti posti a carico del contribuente non può essere fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dell'adozione dei provvedimenti di attuazione. Detto termine, nel caso esaminato, avrebbe dovuto decorrere dalla comunicazione ai vettori e all’International Air Transport Association (IATA) da parte di ENAC e, in ogni caso, dalla determinazione delle modalità di riscossione del tributo (rectius: delle modalità di versamento all’Erario da parte dei vettori); 2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 43, d.l. 50/2022 conv. con mod. in l. 91/2022 e dell’art. 1, comma 572, l. 234/2021. Difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione della risoluzione ICAO 22/09/2020; il Comune non avrebbe adeguatamente motivato in merito alle ragioni per le quali l’addizionale sui diritti d’imbarco è stata introdotta quale misura di risanamento, in luogo delle altre previste dalla normativa; 3) Illegittimità della delibera consiliare n. 75 del 2022 per eccesso e sviamento di potere in violazione dei principi di proporzionalità, imparzialità e trasparenza dell’azione amministrativa (art. 1, l. 241/1990 e s.m.i.) nonché eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà e ingiustizia manifeste, difetto di motivazione e istruttoria, sviamento; in continuità con la precedente censura, la ricorrente censurava la scelta di introdurre una rilevante misura impositiva applicabile, per numerose annualità, ai soli passeggeri partenti dallo scalo veneziano, ritenendola irragionevole, discriminatoria e squilibrata, in quanto i soggetti passivi del tributo sarebbero privi di “collegamento con il ripiano del disavanzo del Comune di Venezia”. Si osservava che l’Amministrazione si sarebbe determinata ad introdurre l’(ulteriore) addizionale sui diritti d’imbarco, dopo avere preso atto della difficoltà di riscuotere il contributo di accesso al centro storico di Venezia (punto 28 della deliberazione impugnata), il quale, tuttavia, sarebbe dovuto gravare su tutti i turisti che effettivamente fanno ingresso nella città, utilizzandone in modo massivo i servizi, diversamente da quanto si verificherebbe, il più delle volte, per l’utenza aeroportuale. Altrettanto irragionevole e discriminatoria sarebbe inoltre la scelta di non applicare il tributo, almeno in questa prima fase, agli imbarchi portuali; 4) Eccesso di potere, irragionevolezza della Delibera - Violazione del principio del legittimo affidamento; la deliberazione sarebbe inoltre illegittima nella parte in cui richiederebbe l’esazione del tributo a tutti i passeggeri in partenza dal 1° aprile 2023, indipendentemente dalla data di acquisto del titolo di viaggio, senza quindi escludere dalla sua sfera applicativa i passeggeri che abbiano acquistato il biglietto precedentemente a tale data; 5) Difetto di istruttoria e violazione delle garanzie partecipative e del contraddittorio procedimentale anche in relazione all’art. 2 lett. e) del d.lgs. n. 250 del 1997. Perplessità e irragionevolezza della motivazione; l’introduzione dell’addizionale sarebbe illegittima, in quanto non sarebbe stata preceduta da alcuna consultazione con l’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile (ENAC), competente riguardo all’”istruttoria degli atti concernenti tariffe, tasse e diritti aeroportuali” (art. 2, lett. e, d.lgs. n. 250 del 1997) e con la ricorrente, in quanto soggetto deputato alla riscossione del tributo; 6) Illegittimità costituzionale dell’art. 43 commi 2, 3 e 8 del d.l. n. 50 del 2022 nonché dell’art. 1, comma 572 della l. n. 234/2021 (nella parte in cui consente ai Comuni sede di capoluogo di città metropolitane di istituire un incremento dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco aeroportuale per passeggero da destinare al ripiano del disavanzo comunale) con riferimento agli artt. 3, 41, 53, 97 e 117 Cost. e, in via derivata, illegittimità della delibera del Consiglio Comunale n. 75 del 23.12.2022; la ricorrente rilevava l’illegittimità costituzionale della disciplina di cui la contestata introduzione del tributo costituiva attuazione, osservando come l’istituzione di un’ulteriore addizionale sui diritti d’imbarco aeroportuali si ponesse in violazione principi costituzionali di ragionevolezza, di capacità contributiva e progressività del sistema tributario, nonché di leale collaborazione (art. 3, 41, 53, 97 e 117 Cost.). La deliberazione impugnata risulterebbe inoltre viziata “per la violazione degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea” per mancato coinvolgimento degli enti interessati (in contrasto con la direttiva 2009/12/CE, art. 6, par. 2, recepita dal d.l. n. 1 del 2012). 3.3. Con motivi aggiunti Sa. contestava sotto ulteriore profilo la legittimità della deliberazione istitutiva del tributo, in quanto il presupposto tavolo tecnico si sarebbe tenuto il 20 ottobre 2022, ossia oltre il termine di legge, individuato dall’art. 43, comma 3, d.l. n. 50 del 2022, nel 30 settembre 2022. Con il secondo ricorso, l’Associazione Italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai., associazione sindacale senza scopo di lucro che rappresenta gli interessi dei vettori aerei associati, rientranti nella c.d. categoria delle low fares, già intervenuta ad adiuvandum nel giudizio promosso da Sa., ha del pari impugnato la delibera de qua, istitutiva dell’indicata addizionale comunale, unitamente alle compagnie aeree innanzi indicate, articolando analoghi motivi di gravame, ovvero deducendo: 1) Illegittimità costituzionale dell’art. 43, commi 2, 3 e 8, del d.l. 17 maggio 2022, n. 50, nonché dell’art. 1, comma 572, della l. 30 dicembre 2021, n. 234, con riferimento agli artt. 3, 41, 53, 97 e 117 della Costituzione e, in via derivata, illegittimità della Deliberazione del Consiglio Comunale della Città di Venezia n. 75 del 23 dicembre 2022. Violazione del principio della capacità contributiva e della progressività del sistema tributario; Violazione dell’art. 43, comma 3, d.l. n. 50/2022, convertito con modificazioni dalla l n. 91/2022; III. Violazione dell’art. 3, comma 2, l. 212/2000; Violazione e falsa applicazione degli artt. 43, d.l. 50/2022 e dell’art. 1, comma 572, l. 234/2021. Difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione della risoluzione ICAO 22/09/2020; Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della L. n. 241/1990. Eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà e ingiustizia manifeste, difetto di motivazione e istruttoria, sviamento, disparità di trattamento. Violazione del principio del legittimo affidamento. Violazione dell’art. 97 della Costituzione. Il Comune di Venezia, nel costituirsi in prime cure in ambedue i giudizi, ha controdedotto in ordine a ciascun profilo di censura, insistendo per il rigetto dei ricorsi ed eccependo in via preliminare il difetto di interesse a ricorrere in capo a Sa.. L’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile, del pari costituito in entrambi i giudizi, ha fatto presente di avere “comunicato al vettore nazionale l’avvenuta introduzione dell’addizionale sui diritti d’imbarco istituita al Comune di Venezia, ai fini della successiva notifica ai vettori operanti presso lo scalo di Venezia, ritenendo la medesima applicabile, ai sensi dell’art. 3, co. 2, l. 212/2000, a partire dal giorno 30.05.2023”, data determinata in seguito all’istruttoria - conclusa il 31 marzo 2023 - condotta ai sensi dell’art. 2, d.lgs. n. 250 del 1997, lett. e), e dell’art. 2, lett. t) del proprio Statuto (p. 4 della memoria depositata il 21 aprile 2023). In merito a tale comunicazione il Comune ha obiettato che la decorrenza dell’applicazione dell’addizionale prescinderebbe dall’interposizione attuativa di ENAC, e che essa coinciderebbe con la data stabilita dalla deliberazione consiliare di approvazione del bilancio di previsione, rispettosa del termine indicato dall’art. 3 della legge n. 212 del 2000. La sentenza del Tar ha respinto tutte le censure, affermando preliminarmente che la decorrenza, dal 1 aprile 2023, è da riferirsi alla data di acquisto del biglietto, come successivamente precisato dal Comune, e non alla data del volo, per cui ha rigettato anche la censura riferita alla necessità della dilazione temporale. Sa., con il ricorso iscritto al n. R.G. 5539 del 2023, ha impugnato la sentenza di prime cure, formulando avverso la stessa, in cinque motivi, le seguenti censure: I) Sul primo motivo di ricorso: erroneità della sentenza - omessa pronuncia Illegittimità della Delibera CC Venezia 75/2022: violazione e falsa applicazione dell’art. 3, co. 2, l. 212/2000 (Statuto del Contribuente); II) Sul secondo, terzo, quarto e quinto motivo di ricorso: erroneità della sentenza - Omessa pronuncia - Illegittimità della Delibera impugnata: Violazione e falsa applicazione degli artt. 43, d.l. 50/2022 conv. con mod. in l. 91/2022 e dell’art. 1, comma 572, l. 234/2021. Difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione della risoluzione ICAO 22/09/2020; III) Ancora sul quinto motivo di ricorso: Erroneità della sentenza - Illegittimità della Delibera: Difetto di istruttoria e violazione delle garanzie partecipative e del contraddittorio procedimentale anche in relazione all’art. 2 lett. e) del d.lgs. n. 250 del 1997. Perplessità e irragionevolezza della motivazione; IV) Sulla violazione del termine per la conclusione dell’istruttoria (motivo aggiunto); V) Sulla questione di legittimità costituzionale: Erroneità della sentenza: illegittimità costituzionale dell’art. 43 commi 2, 3 e 8 del d.l. n. 50 del 2022 nonché dell’art. 1, comma 572 della l. n. 234/2021 (nella parte in cui consente ai Comuni, sede di capoluogo di città metropolitane di istituire un incremento dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco aeroportuale per passeggero da destinare al ripiano del disavanzo comunale) con riferimento agli artt. 3, 41, 53, 97 e 117 Cost. e, in via derivata, illegittimità della delibera del Consiglio Comunale n. 75 del 23.12.2022. 9.1. Sa. ha pertanto concluso in via principale per l’annullamento della sentenza di prime cure e per l’effetto per l’annullamento della delibera del Consiglio Comunale della Città di Venezia n. 75 del 23 dicembre 2022, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale, ed in via subordinata per la rimessione della questione di costituzionalità del d.l. n. 50 del 2022 nonché dell’art. 1, comma 572 della L. n. 234/2021, come rassegnate in atti. Analoghi motivi di appello sono stati formulati con il ricorso iscritto al n. R.G. 5632 del 2023 dall’Associazione italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai. e dalle compagnie aeree in epigrafe indicate. 10.1. Segnatamente, con tale atto, sono stati formulati, in quattro motivi di appello, le seguenti censure: I) Error in iudicando ed omessa pronuncia. Violazione dell’art. 3, comma 2, l. 212/2000; II) Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione degli artt. 43, d.l. 50/2022 e dell’art. 1, comma 572, l. 234/2021. Difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione della risoluzione ICAO 22/09/2020; III) Error in iudicando. Violazione dell’art. 43, comma 3, d.l. n. 50/2022, convertito con modificazioni dalla l n. 91/2022, in ragione del fatto che il Tavolo Tecnico ha concluso la propria istruttoria all’esito della riunione del 20 ottobre 2022 e quindi, oltre il termine del 30 settembre fissato dall’anzidetta disposizione di legge; IV) Error in iudicando ed omessa pronuncia. Illegittimità costituzionale dell’art. 43, commi 2, 3 e 8, del d.l. 17 maggio 2022, n. 50, nonché dell’art. 1, comma 572, della l. 30 dicembre 2021, n. 234, con riferimento agli artt. 3, 41, 53, 97 e 117 della Costituzione e, in via derivata, illegittimità della Deliberazione del Consiglio Comunale della Città di Venezia n. 75 del 23 dicembre 2022. Violazione del principio della capacità contributiva e della progressività del sistema tributario. 10.2. Anche l’Associazione italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai. e le compagnie appellanti hanno pertanto concluso in via principale per la riforma della sentenza di prime cure e per l’effetto per l’annullamento della delibera del Consiglio Comunale della Città di Venezia, n. 75 del 23 dicembre 2022, ed in via subordinata per la rimessione della questione di costituzionalità rassegnata in atti. Il Comune di Venezia, costituitosi in entrambi i giudizi, ha preliminarmente reiterato l’eccezione relativa all’inammissibilità del ricorso di prime cure azionato da Sa. innanzi al Tar per il Veneto, per carenza di interesse, assorbita dal primo giudice sul rilievo dell’infondatezza del ricorso, evidenziando che la delibera oggetto di impugnativa introdurrebbe un adempimento gravante primariamente sui vettori, chiamati ad applicare una maggiorazione pari a 2,50 euro sui biglietti venduti a partire dall’1.4.2023, mentre il coinvolgimento di Sa. riguarderebbe unicamente la fase successiva di periodica rendicontazione e riversamento di quanto riscosso all’Amministrazione. 11.1. Nel merito ha insistito per il rigetto di entrambi gli appelli. IBAR - Italian Board Airline Representatives, associazione dei vettori aerei, operanti in Italia, costituita nel 1960, cui è stato notificato il ricorso in appello da parte di Sa., in qualità di interveniente, ha aderito alle conclusioni dell’appellante Sa. s.p.a.. Le amministrazioni statali evocate in giudizio e l’Enac si sono costituiti con atti di mero stile in entrambi i giudizi. Le parti hanno rinunciato all’istanza cautelare all’udienza camerale del 18 luglio del 2023, in vista della fissazione del merito degli appelli per l’udienza pubblica del 30 novembre 2023. Nelle more della celebrazione di tale udienza, il Comune di Venezia ha prodotto documenti e sia le parti appellanti che il Comune di Venezia hanno prodotto articolate memorie difensive, insistendo nei rispettivi assunti. 15.1. In particolare il Comune ha evidenziato e documentato per un verso come, nonostante l’adozione della delibera oggetto di impugnativa, si sia registrato un incremento dei collegamenti dall’Aeroporto di Venezia da parte di diverse compagnie aeree, e per altro verso come negli ultimi anni si sia assistito ad un aumento crescente del costo dei biglietti aerei, per lo più correlato ai servizi aggiuntivi offerti. 15.2. Ha inoltre evidenziato come della documentazione prodotta - segnatamente Masterplan 2023-2037 - sia evincibile l’impatto che il traffico aereo genera, tra gli altri, sulle infrastrutture, servizi e ambiente del Comune di Venezia. 15.3. Le parti appellanti hanno replicato sull’irrilevanza di quanto addotto e documentato nell’odierno grado di appello da parte del Comune. DIRITTO Il presente contenzioso ha ad oggetto la delibera del Consiglio Comunale della Città di Venezia n. 75 del 23 dicembre 2022, concernente l'approvazione del Bilancio di previsione per gli esercizi finanziari 2023-2025, nella parte in cui dispone di istituire un'addizionale comunale sui diritti aeroportuali d'imbarco a partire dal 1° aprile 2023, oggetto di contestazione da parte di Sa. s.p.a. (d’ora in poi anche semplicemente Sa.), dall’Associazione Italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai. (in seguito anche solamente Associazione), e dalla compagnie aeree Wi.Ai.Hu. Ltd., Wi.Ai.Ma. Ltd., Ea.Ai. Company Ltd., Ry.Da., Vo. S.L. (di seguito anche compagnie aeree). A fronte della sentenza di rigetto del Tar, le ricorrenti, con separati atti di appello, hanno reiterato le censure formulate in primo grado, contestando i passaggi motivazionali della sentenza di prime cure. Ciò posto, occorre preliminarmente procedere alla riunione dei ricorsi in epigrafe indicati, ai sensi dell’art. 96 comma 1 c.p.a., in quanto proposti avverso la medesima sentenza. Prima di passare alla disamina dei motivi di appello e delle eccezioni preliminari di rito giova peraltro ripercorrere l’excursus normativo e procedimentale che ha condotto all’adozione della delibera gravata in prime cure. 19.1. Il d.l. n. 50/2022 (c.d. decreto aiuti), convertito con modificazioni dalla l. n. 91/2022, ha previsto, all’art. 43, misure di riequilibrio finanziario di province, città metropolitane e comuni capoluogo di provincia. La norma distingue: i) misure destinate a enti per i quali è in corso l’applicazione della procedura di riequilibrio ai sensi dell’art. 243-bis del d.lgs. 267/2000 o che si trovano in stato di dissesto finanziario ai sensi dell’art. 244 del medesimo decreto (comma 1); ii) misure finalizzate al riequilibrio finanziario dei comuni capoluogo di provincia che hanno registrato un disavanzo pro-capite superiore a 500 euro sulla base del disavanzo risultante dal rendiconto 2020 definitivamente approvato (comma 2); iii) misure rivolte ai comuni sede di città metropolitana “con un debito pro-capite superiore a 1000 euro, sulla base del rendiconto dell’anno 2020 definitivamente approvato... che intendano avviare un percorso di riequilibrio strutturale” (comma 8). 19.2. Con riferimento a tale terza fattispecie, che è quella attivata dal Comune di Venezia, la procedura è disciplinata mediante rinvio al comma 2, che prevede la sottoscrizione di un accordo con il Presidente del Consiglio dei Ministri o suo delegato, su proposta del Ministero dell’economia e delle finanze, nel quale “il comune si impegna, per il periodo nel quale è previsto il ripiano del disavanzo, a porre in essere, in tutto o in parte, le misure di cui all’articolo 1, comma 572, della legge n. 234 del 2021”. La conclusione dell’accordo è preceduta dalla verifica delle misure proposte dai comuni interessati da parte di un tavolo tecnico istituito presso il Ministero dell’interno, il quale “considerata l’entità del disavanzo da ripianare, individua anche l’eventuale variazione, quantitativa e qualitativa, delle misure proposte dal comune interessato per l’equilibrio strutturale del bilancio” (art. 43, comma 3, del d.l. 50/2022). 19.3. Con nota prot. n. 18343 del 18.7.2022 il Ministero dell’interno - Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali, ha comunicato al Comune di Venezia l’avvenuta istituzione del suddetto tavolo tecnico, invitando l’ente - qualora intenzionato ad avvalersi delle procedure previste dal citato art. 43 del d.l. 50/2022 - a proporre entro il 31.7.2022 le misure finalizzate alla sottoscrizione dell’accordo di riequilibrio strutturale (doc. 1 fasc. primo grado Comune di Venezia; al fascicolo di primo grado del Comune di Venezia si riferiscono i successivi allegati, ove non diversamente precisato). 19.4. In riscontro a tale missiva, il Sindaco del Comune di Venezia ha proposto l’istituzione di una addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale per passeggero fino a 3 euro, in considerazione del contesto descritto nell’allegata relazione a firma del Direttore dell’Area Economia e Finanza (nota PG 342430 del 29.7.2022 - doc. 2 fasc. primo grado). 19.5. Su richiesta del Ministero dell’interno, il Comune di Venezia ha successivamente trasmesso, per l’esame da parte del tavolo tecnico, i prospetti contenenti la quantificazione delle entrate attese dall’applicazione delle misure proposte e la conseguente verifica degli equilibri di bilancio per effetto dell’applicazione di tali misure (nota PG 387323 del 31.8.2022 - doc. 3 fasc. primo grado). I prospetti sono stati accompagnati da una nota esplicativa del Direttore dell’Area Economia e Finanza nella quale è stata ribadita la situazione di importante riduzione delle entrate, a fronte della quale l’Amministrazione si era vista costretta, sia in sede di approvazione del bilancio di previsione 2022, sia in sede di assestamento, all’adozione di misure straordinarie per la copertura della spesa corrente. 19.5.1. L’Amministrazione ha quindi ipotizzato l’attuazione di una misura consistente nell’applicazione dell’addizionale pari a 2,50 euro ad una platea di 5.600.000 passeggeri stimati l’anno, per un totale di 14.000.000 fino al 2031, con una progressiva diminuzione dell’importo negli anni successivi, fino a 0,80 euro a decorrere dall’anno 2038 (v. ancora doc. 3 fasc. primo grado). 19.6. Nell’ambito delle interlocuzioni con il Ministero dell’interno, è stata inoltre condivisa la possibilità di valorizzare, quale indicatore funzionale al monitoraggio dell’accordo e della misura in riduzione dell’addizionale, l’eventuale formazione di un avanzo libero nella gestione corrente. 19.7. La proposta del Comune di Venezia è stata esaminata nella seduta del tavolo tecnico del 20.10.2022, che ha concluso l’istruttoria con esito positivo. 19.8. In data 23-25.11.2022 è stato quindi sottoscritto, tra Presidenza del Consiglio dei Ministri e Comune di Venezia, l’accordo denominato “Patto per Venezia” (doc. 5 fasc. primo grado e doc. 32 fasc. primo grado, completo di firme) per la formalizzazione delle misure destinate ad assicurare il riequilibrio strutturale, nel quale: - l’Amministrazione comunale si è impegnata all’attuazione di una politica di gestione del debito orientata ad una sua progressiva e costante diminuzione, tenendo conto degli investimenti programmati nell’ambito delle iniziative correlate al PNRR (punto 1); - è stata prevista l’attivazione di una addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale per passeggero pari a 2,50 euro a persona a decorrere dal 2023 e fino al 2031, con una graduale diminuzione a partire dal 2032, fino ad euro 0,80 dal 2038 al 2042 (come da tabella ivi riportata: punto 2); - è stata considerata l’eventualità della formazione di un avanzo libero di gestione ed il suo impatto in riduzione sulla misura programmata (punti 4 e 5); - è stata prevista la facoltà del Comune di Venezia di proporre, previa deliberazione del Consiglio comunale, una diversa rimodulazione delle misure da adottare, con conseguente aggiornamento del cronoprogramma (punto 6). 19.9. Con deliberazione del Consiglio comunale n. 75 del 23.12.2022 (doc. 6 fasc. primo grado), in sede di approvazione del bilancio di previsione per gli esercizi finanziari 2023-2025, il Comune di Venezia ha quindi istituito la citata addizionale comunale, prevedendo una diversa articolazione temporale per quella sui diritti di imbarco aeroportuale e quella sui diritti di imbarco portuale. Con riferimento alla prima fattispecie è stata infatti sancita la sua applicazione a partire dal 1 aprile 2023, mentre con riguardo all’addizionale sui diritti di imbarco portuale è stata prevista l’applicazione dall’1.1.2026, “in considerazione degli effetti del d.l. n. 103/2021, convertito dalla legge n. 125/2021, che hanno determinato una situazione di mutabilità logistica e incerto andamento relativamente a transiti e approdi delle grandi navi passeggeri con effetti la cui durata ad oggi non è prevedibile”. 19.10. In data 13.1.2023 l’Assessore al Bilancio del Comune di Venezia ha dunque comunicato all’Amministratore Delegato di Sa. S.p.A., gestore dell’aeroporto di Venezia, l’avvenuta istituzione della citata addizionale, invitando la società a concordare un incontro finalizzato a definire le modalità di accertamento, liquidazione e riscossione dell’entrata, attività spettanti per legge e per prassi consolidata alle società concessionarie di aeroporti. 19.11. Nelle more, l’Amministrazione comunale, in attuazione della DCC n. 75/2022, ha precisato che l’addizionale comunale sui diritti di imbarco aeroportuale dovrà essere applicata ai biglietti venduti a partire dal 1° aprile 2023, al fine di garantire l’effettività del diritto di rivalsa accordato dalla normativa di settore ai vettori (doc. 18 fasc. primo grado). 19.12. L’avvenuta istituzione dell’addizionale comunale è stata comunicata, in data 20.2.2023 all’Enac (doc. 19 fasc. primo grado) e alla Iata (doc. 20 fasc. primo grado) e in data 13.2.2023 all’Autorità di regolazione trasporti (doc. 21 e 22 fasc. primo grado). 19.13. Parallelamente, in data 1.3.2023, il Comune di Venezia ha sollecitato l’Enac a dare riscontro dell’avvenuta comunicazione ai vettori dell’istituzione dell’addizionale, al fine di consentire il tempestivo avvio dell’attività di riscossione (doc. 23 fasc. primo grado). Sennonché l’Enac - precisando che l’aggiornamento dei sistemi di biglietteria necessario per rendere esigibile la nuova addizionale comunale “avviene a seguito di una notifica effettuata per il tramite del vettore nazionale di riferimento previa apposita comunicazione da parte dell’ENAC, non essendo contemplata, da quadro normativo vigente e dalla prassi consolidatasi sin dall’istituzione della prima addizionale comunale alcuna azione diretta dei Comuni nei confronti dei Vettori” - ha chiesto al Comune di trasmettere copia di tutti gli atti istruttori che hanno preceduto l’istituzione dell’addizionale, “al fine di verificare e condividere la procedura adottata”. In pendenza del giudizio di primo grado, l’Enac, con nota del 31.3.2023, ha comunicato al Comune di aver “completato l’istruttoria necessaria per inviare la comunicazione alla IATA per l’aggiornamento degli importi relativi agli oneri accessori alle tariffe aeree” (doc. 34 fasc. primo grado). Sempre l’Enac, con ulteriore nota del 31.3.2023, indirizzata a ITA e per conoscenza, tra gli altri, anche al Comune di Venezia, ha comunicato ai vettori l’avvenuta istituzione dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco ai sensi dell’art. 43, co. 2 e 8 del d.l. n. 50/2022, affermando che “l’addizionale di che trattasi sarà esigibile per i biglietti venduti dal 30 maggio p.v.” e ciò in ragione del fatto che la notifica (da parte dell’Enac) ai vettori rappresenterebbe “un provvedimento di attuazione della disposizione istitutiva del tributo da cui far decorrere il [...] termine di 60 giorni (n. d.r. fissato dall’art. 3, co. 2 della L. n. 212/2000)”. Ciò posto, quanto ai presupposti normativi e ai passaggi procedimentali aventi ad oggetto la delibera oggetto di impugnativa in prime cure, in limine litis va delibata l’eccezione di difetto di interesse a ricorrere in capo all’appellante Sa., reiterata in questa sede dal Comune di Venezia, in quanto assorbita dal giudice di prime cure con la sentenza di rigetto oggetto di gravame. Infatti, come noto, l’esame delle questioni preliminari deve precedere la valutazione del merito della domanda (Cons. Stato, Ad. Plen., 7 aprile 2011, n. 4), salve esigenze eccezionali di semplificazione che possono giustificare l'esame prioritario di altri aspetti della lite, in ossequio al superiore principio di economia dei mezzi processuali (Cons. Stato, Ad. plen., 27 aprile 2015, n. 5); inoltre l'ordine di esame delle questioni pregiudiziali di rito non rientra nella disponibilità delle parti (Cons. Stato, Ad. Plen., 25 febbraio 2014, n. 9). La norma positiva enucleabile dal combinato disposto degli artt. 76, co. 4, c.p.a. e 276, co. 2, c.p.c., impone infatti di risolvere le questioni processuali e di merito secondo l'ordine logico loro proprio, assumendo come prioritaria la definizione di quelle di rito rispetto a quelle di merito, e fra le prime la priorità dell'accertamento della ricorrenza dei presupposti processuali (nell'ordine, giurisdizione, competenza, capacità delle parti, ius postulandi, ricevibilità, contraddittorio, estinzione), rispetto alle condizioni dell'azione (tale fondamentale canone processuale è stato ribadito anche da Cons. Stato Ad. Plen. 3 giugno 2011, n. 10). 20.1. Segnatamente l’amministrazione comunale sostiene che Sa. non avrebbe interesse al presente giudizio in quanto il suo coinvolgimento riguarderebbe soltanto la fase di rendicontazione e riversamento all’Amministrazione di quanto riscosso a titolo di addizionale comunale, conseguendone che la Deliberazione del Comune di Venezia impugnata non arrecherebbe nessun pregiudizio alla odierna appellante. 20.2. L’eccezione, ad avviso del collegio, è infondata. Ed invero, alla luce di quanto innanzi precisato, non può che evidenziarsi come risulti dagli atti che Sa. sia il soggetto direttamente tenuto all’espletamento dell’attività di riscossione dell’addizionale, secondo quanto del resto richiesto dall’ente locale. Infatti, lo stesso Comune veneziano, con nota del 13 gennaio 2023 comunicava a Sa. la necessità di definire congiuntamente «le modalità applicative con riferimento all’addizionale comunale introdotta con la citata deliberazione», rendendosi dunque necessario stipulare un accordo per la disciplina della gestione amministrativa e finanziaria finalizzata alla riscossione e al versamento dell’entrata in questione, comprese le attività correlate e complementari, gravando pertanto la concessionaria dell’aeroporto di tali attività. Peraltro è la stessa deliberazione C.C. impugnata che ha attribuito ai gestori aeroportuali l’onere della riscossione e del riversamento al Comune, delegando alla Giunta l’approvazione di appositi accordi (con la concessionaria dell’aeroporto) per la disciplina di tale attività (cfr. p. 27 del dispositivo della delib. C.C. 75 impugnata). 20.3. Inoltre, a prescindere da tali superiori rilievi, come replicato da Sa. all’eccezione formulata dal Comune, al di là dell’attività di riscossione e dei relativi costi, Sa. è altresì direttamente interessata dall’incremento dell’addizionale sui diritti d’imbarco oggetto di impugnativa per la circostanza che, con la sua entrata in vigore, l’aeroporto Marco Polo di Venezia è diventato il più caro d’Italia (l’incremento dell’addizionale di 2.50 euro va infatti aggiunto ai 6.50 euro già vigenti, per un totale di 9,00 euro). A ciò consegue pertanto il lamentato effetto lesivo - da valutarsi ex ante al momento dell’adozione della delibera, secondo un criterio di consequenzialità logica e non ex post, con conseguente irrilevanza di quanto dedotto e documentato nell’odierno grado di appello dal Comune di Venezia circa l’aumento dei voli presso l’aeroporto di Venezia, pur dopo l’adozione della misura - riferito al pericolo di abbandono o riduzione dei voli da e per l’Aeroporto Marco Polo, con un evidente impatto sul numero dei passeggeri che transitano per il sedime aeroportuale e, conseguentemente, sulle strategie del gestore aeroportuale. Ciò posto, nell’esaminare i motivi di appello, non avendo le parti appellanti vincolato i motivi in senso vincolante per il giudice, secondo il noto arresto di cui alla sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 5 del 2015, ad eccezione dell’ultimo motivo, relativo alla dedotta illegittimità costituzionale dell’art. 43 commi 2, 3 e 8 del d.l. n. 50 del 2022, nonché dell’art. 1, comma 572 della l. n. 234/2021, formulati in via subordinata rispetto ai precedenti motivi, il collegio esaminerà le censure in ordine logico, avuto in particolare riguardo alla maggiore satisfattività delle stesse rispetto agli interessi fatti valere dalle parti appellanti. In tale ottica ritiene il collegio che l’esame delle censure articolate in entrambi gli appelli al primo motivo, in quanto riferite alla mera decorrenza dell’addizionale di cui è causa, possa essere postergato alla disamina degli ulteriori motivi, del pari formulati in via principale, in quanto riferiti alla stessa legittimità dell’istituzione dell’indicata misura, con possibilità pertanto di assorbimento in caso di ritenuta fondatezza degli stessi. Il secondo motivo di appello articolato da Sa., nonché l’analogo secondo motivo di appello formulato dall’Associazione e dalle compagnie aeree, volti a contestare la sentenza di prime cure, nei punti in cui ha disatteso le censure di difetto di motivazione e di istruttoria, sono fondati nel senso di seguito precisato. 23.1. Il giudice di prime cure, nel disattendere i motivi formulati dalle odierne appellanti, ha in primo luogo osservato come la delibera oggetto di impugnativa non necessitasse di motivazione in quanto atto generale, richiamando a sostegno di tale conclusione una sentenza di questo Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. III, 12 febbraio 2020, n. 1111), che così ha qualificato un atto di approvazione del calendario nazionale delle corse negli ippodromi (par. 14.1 della sentenza), nonché altro pronunciamento di questa Sezione, (Cons. St., Sez. V, 10 luglio 2003, n. 4117), relativa alla non necessità di motivazione dell’intervallo d’imposta fra il minimo ed il massimo, laddove nell’ipotesi di specie viene in rilievo la decisione, fra le varie scelte lasciate dalla normativa innanzi indicata alla discrezionalità dell’ente locale, della stessa istituzione dell’addizionale di cui è causa. Inoltre, secondo il giudice di prime cure, il merito della scelta operata dall’amministrazione comunale - reso sulla scorta del parere del tavolo tecnico - sarebbe inconfutabile (par. 14.2 della sentenza), così come inconfutabili sarebbe l’iscrizione delle poste del bilancio di previsione dell’ente e le disposizioni volte a individuare le risorse destinate a dare copertura alle voci di spesa (14.3). Per quanto specificamente concerne poi l’art. 43, comma 8, d.l. n. 50/2022, la procedura prescinderebbe dall’accertamento di una situazione di astratto pareggio formale, ovvero dalla presenza di un avanzo o disavanzo transitorio e, nella specie, la deliberazione impugnata sufficientemente chiarirebbe i presupposti atti a giustificare l’introduzione dell’addizionale (ossia, l’entità del debito pro capite e l’instaurazione del percorso di riequilibrio strutturale) (parr. 14.5 - 14.7 della sentenza). Infine, tale misura non sarebbe né irragionevole né discriminatoria, in quanto il Comune avrebbe esigenza di reperire le risorse per sopperire alle esternalità negative, generate dall’aeroporto, e rientrerebbe nella discrezionalità del legislatore la scelta di destinazione del gettito (parr. 14.8 - 14.9). Le statuizioni di prime cure sono state sottoposte a critica dalle odierne appellanti, che hanno reiterato le censure di difetto di istruttoria e di motivazione articolate in prime cure, evidenziando l’erroneità della motivazione resa al riguardo dal primo giudice. Nell’esaminare tali censure giova peraltro richiamare l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale nel giudizio amministrativo l'art. 101 c.p.a. (d.lgs. n. 104/2010) - che fa riferimento a "specifiche censure contro i capi della sentenza gravata" - deve essere coordinato con il principio di effetto devolutivo dell'appello, in base al quale è rimessa al giudice di secondo grado la completa cognizione del rapporto controverso, con integrazione - ove necessario - della motivazione della sentenza appellata e senza che rilevino, pertanto, le eventuali carenze motivazionali di quest'ultima (ex multis Cons. Stato, sez. V, 26 aprile 2021, n. 3308; 17 gennaio 2020, n. 430; 13 febbraio 2017, n. 609). 25.1. Ciò posto, vanno in primo luogo disattese le censure formulate da Sa., su cui il primo giudice si è pronunciato in maniera implicita, rinviando per un verso alla completezza dell’istruttoria svolta dal tavolo tecnico e per altro verso alla finalità della misura, volte a contestare, sia pure sotto il profilo del difetto di istruttoria, avuto riguardo anche alla perizia prodotta in prime cure, la stessa sussistenza dei presupposti per il ricorso alla misura de qua. 25.2. Nella richiamata relazione di parte si afferma infatti che “dall’andamento del risultato di amministrazione dell’ultimo triennio si evince come non sussistono le esigenze per il riequilibrio strutturale” (v. pg. 14 dell’atto di appello). Il riferimento è alla situazione di avanzo che il perito di parte ha indicato con riferimento agli anni 2020, 2021 e 2022” (punto 5 del doc. 5 del fasc. di primo grado di Sa.). Il rilievo è privo di fondamento, in quanto, come innanzi precisato, condizione per l’attivazione della procedura di cui ai commi 2 e 8 dell’art. 43 del DL 50/2022 e dunque per l’applicazione dell’addizionale comunale oggetto di causa è l’esistenza di un “debito pro-capite superiore ad euro 1.000 sulla base del rendiconto dell’anno 2020 definitivamente approvato e trasmesso alla BDAP al 30 giugno 2022” (co. 8 del cit. art. 43) 25.2.1. La procedura prevista dall’art. 43, commi 2 e 8 del d.l. n. 50/2022 pertanto, come evidenziato nelle difese del Comune: (i) è compatibile con una situazione di avanzo di amministrazione, altrimenti il legislatore avrebbe limitato tale strumento ai soli enti in disavanzo (laddove il comma 8 del citato art. 43 si riferisce ai comuni con debito pro-capite superiore a euro 1.000 “che intendano avviare un percorso di riequilibrio strutturale”); (ii) è compatibile con una transitoria assenza di disavanzo, siccome finalizzata al raggiungimento di un equilibrio duraturo. Per contro fondate sono le censure di difetto di motivazione e di istruttoria articolate del pari nel secondo motivo da entrambe le parti appellanti, con i separati ricorsi, nel senso di seguito precisato. 26.1. Il primo giudice ha al riguardo in primo luogo affermato che la delibera comunale oggetto di impugnativa, in quanto atto generale, si sottrae all’obbligo di motivazione, ex art. 13 l. 241/90. 26.2. L’assunto, ad avviso del collegio, non è condivisibile, dovendo aderirsi a quell’orientamento giurisprudenziale, richiamato dalle parti appellanti, secondo il quale, anche per gli atti a carattere generale aventi carattere composito sussiste un obbligo motivazionale che è conseguenza diretta dei fondamentali principi di legalità e buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione (ex multis T.A.R. Piemonte, Sez. I, n. 101/2020; in termini Cons. Stato, Sez. V, nn. 5729/2019, 1162/2019, 539/2022). Secondo tale condivisibile orientamento i provvedimenti che costituiscono e disciplinano la tariffa per la gestione dei rifiuti (e dunque in materia tributaria), “pur avendo natura di atti generali... hanno un contenuto composito, in parte regolamentare e in parte provvedimentale (con particolare riferimento al costo del servizio e la determinazione della tariffa.... le agevolazioni... le modalità di riscossione... etc.) che non può intuitivamente sfuggire a qualsiasi forma di controllo e che non può essere sottratto all’obbligo della motivazione, se non al costo di rinnegare i principi fondamentali di legalità, imparzialità e buon andamento, i quali, ai sensi dell’ar.t 97 della Cost. devono caratterizzare l’azione amministrativa”. Pertanto anche tali provvedimenti, in base alla richiamata giurisprudenza, non si sottraggono alle censure di difetto di istruttoria e di motivazione. Ciò posto, avuto riguardo altresì alla motivazione contenuta nella sentenza di prime cure circa la sufficiente indicazione contenuta negli atti gravati dei presupposti giuridici e fattuali per il ricorso all’indicata misura, occorre ripercorrere l’iter istruttorio, con il correlativo supporto motivazionale, che ha portato all’adozione della delibera n. 77 del 23 dicembre 2022, oggetto di impugnativa in prime cure, avendo le parti appellanti censurato la sentenza del Tar, laddove ha ritenuto l’Amministrazione esonerata dal motivare le proprie scelte di istituire l’addizionale sui diritti di imbarco aeroportuale, senza peraltro alcuna considerazione, né motivazione delle ragioni per cui non aveva considerato alcuna delle altre opzioni consentite dalla legge per il raggiungimento del medesimo risultato e senza dare evidenza dei dati che la rendevano maggiormente coerente con la ratio perseguita e idonea al risanamento del disavanzo. 27.1 Ciò posto, giova precisare che la delibera oggetto di impugnativa, che è l’atto terminale del procedimento che ha portato all’istituzione dell’addizionale de qua, risulta così motivata: “Richiamato l’articolo 43, comma 8 del decreto legge n. 50/2022 convertito con legge 15.7.2022 n, 91 che consente ai comuni sede di città metropolitana, con un debito pro-capite superiore ad euro 1.000,00 sulla base del rendiconto dell’anno 2020, di attivare le procedure di cui ai commi 2, 3 e 6 del medesimo articolo; Dato atto che in esito alla procedura di verifica tecnica di direzione ministeriale, di cui al comma 3 dell’articolo 43 del decreto legge n. 50/2022 è stato sottoscritto tra i soggetti, con le modalità e i termini previsti dalla norma, l’accordo di cui all’art. 43 comma 2 del medesimo decreto, che prevede l’attuazione della misura di cui all’articolo 1, comma 572, lettera a) della L. 234/2021 relativamente all’addizionale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale; Considerato che il recepimento delle misure accordate dal Tavolo tecnico ministeriale ai sensi della richiamata normativa costituisce prescrizione sostanziale per l’efficacia dell’accordo; Preso atto che ai sensi del punto 6 dell’accordo, il Comune di Venezia può, “previa deliberazione del Consiglio Comunale, proporre una diversa modulazione delle misure da adottare e aggiornare, di conseguenza, il cronoprogramma”; Ritenuto pertanto: -quanto all’addizionale sui diritti di imbarco aeroportuale, in considerazione dei tempi tecnici di avvio, di procede con l’istituzione e con l’applicazione a decorre dal 1° aprile 2023; -quanto all’addizionale sui diritti di imbarco portuale, in considerazione degli effetti del D.L. n. 103/2021, convertito dalla legge n. 125/2021, che hanno determinato una situazione di mutabilità logistica e incerto andamento relativamente a transiti ed approdi delle grandi navi passeggeri con effetti la cui durata ad oggi non è prevedibile, di prevedere l’istituzione con successivo atto a decorrere dal 1° gennaio 2026; Ritenuto quindi di procedere con l’istituzione, a decorrere dal 1° aprile 2023, dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco aeroportuale nella prescritta misura di euro 2,50 dal 2023 al 2031, e progressivamente diminuita negli importi indicati a decorrere dal 2032 e fino al 2042, fatta salva diversa modulazione, previa deliberazione del Consiglio Comunale, ai sensi del punto 6 dell’accordo; Dato atto che, in applicazione della normativa vigente (tra le altre L. 324/1976, D.Lgs. 250/1997, L. 350/2003) e della prassi esecutiva di altri enti, le modalità di riscossione di detta addizionale saranno definite con appositi accordi con i soggetti interessati da approvarsi a cura della Giunta Comunale; Richiamato il regolamento per “L’istituzione e la disciplina del Contributo di accesso, con qualsiasi vettore, alla Città antica del Comune di Venezia e alle altre isole minori della laguna”, approvato con deliberazione di Consiglio Comunale n. 11 del 26.02.2019 e successive modifiche; Dato atto che, a seguito modifiche legislative intervenute, è attualmente all’esame degli organi consiliari la proposta di deliberazione n. 1032/2022 ad aggetto: “Regolamento per l’istituzione e la disciplina del contributo di accesso, con o senza vettore, alla Città Antica del Comune di Venezia e alle altre isole minori della laguna, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1, comma 1129 della legge n. 145 del 30/12/2018”; Ritenuto quindi necessario sospendere l’efficacia del regolamento per “L’istituzione e la disciplina del Contributo di accesso, con qualsiasi vettore, alla Città antica del Comune di Venezia e alle altre isole minori della laguna”, approvato con deliberazione di Consiglio Comunale n. 11 del 26.02.2019 e successive modifiche”. 27.2. Peraltro occorre considerare anche le motivazioni emergenti dagli atti presupposti rispetto all’indicata delibera, da intendersi richiamati per relationem nella stessa. 27.3. Infatti, come innanzi precisato, l’articolo 43, comma 8, del decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2022, n. 91, consente ai comuni sede di città metropolitana e ai comuni capoluoghi di provincia con un debito pro capite superiore a euro 1.000 sulla base del rendiconto dell’anno 2020 definitivamente approvato e trasmesso alla BDAP entro il 30 giugno 2022, di avviare un percorso di riequilibrio strutturale attraverso la sottoscrizione di un accordo con il Presidente del Consiglio dei ministri o suo delegato, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, accordo pertanto costituente il necessario presupposto della delibera impugnata. 27.4. L’Accordo tra lo Stato ed il Comune di Venezia depositato in atti, denominato Patto per Venezia, la cui sottoscrizione è stata subordinata alla verifica, da parte del Tavolo tecnico appositamente istituito presso il Ministero dell’Interno, ai sensi del citato art. 43 d.l. n. 50 del 2022, delle misure proposte dai comuni interessati ai fini dell’equilibrio strutturale del bilancio, scelte tra quelle previste all’articolo 1, comma 572, della legge 30 dicembre 2021, n. 234, a sua volta, nel rinviare al resoconto della seduta del 20 ottobre 2022 del Tavolo tecnico, precisa che dalle risultanze di tale tavolo è emerso che, nonostante il comune di Venezia abbia registrato nel triennio 2019-2021 un consistente avanzo libero, questo sia stato determinato da eventi straordinari e non ricorrenti e che, nel contempo, il Comune aveva rappresentato significative riduzioni di entrata, legate in via principale al fenomeno turistico, evidenziando come allo stato attuale non vi fossero indicazioni che consentissero di considerare tali entrate transitorie. La rigidità del bilancio, derivante dall’attuale livello di indebitamento e da quello da contrarre per garantire la realizzazione di nuovi investimenti correlati al PNRR, si ripercuoterebbe infatti sul mantenimento degli equilibri finanziari che, in assenza di misure straordinarie, rischierebbe di compromettere la qualità e di rivedere al ribasso la quantità dei servizi erogati. 27.5. A sua volta la nota del Comune di Venezia PG 342430 del 29/7/2022, con cui si è comunicato al Ministero dell’Interno l’intenzione di avvalersi della previsione di cui all’art. 43, comma 8, del decreto legge 7 maggio 2022, ovvero l’atto di impulso all’istituzione dell’addizionale de qua, rappresenta in primo luogo il percorso virtuoso dell’Amministrazione comunale che, a partire dal 2015, aveva intrapreso un’importante opera di risanamento finanziario, con azzeramento del disavanzo e riduzione dell’indebitamento. 27.5.1. Peraltro, nella nota stessa si precisa che “Nonostante tali risultati, l’impatto del debito sugli equilibri di bilancio, anche in considerazione di operazioni derivate comportanti differenziali negativi significativi, continua ad essere importante. Nel 2021, infatti, a titolo di rimborso quote capitale, interessi, accantonamenti per rimborso prestito obbligazionario bullet, differenziali swap ed oneri pluriennali il Comune di Venezia ha assunto impegni per euro 29.919.641,85. In una situazione di normalità, la dinamica del debito sarebbe stata tale da poter essere gestita, pur con qualche dovuta attenzione, all’interno di un quadro di bilancio prospetticamente in sostanziale equilibrato ed in tale contesto il Comune aveva programmato l’accensione di nuovo debito a supporto della realizzazione, con i fondi del PNRR, di un’opera strategica per il territorio che manca di strutture sportive di primissimo livello quali è innegabile debbano essere presenti in una città capoluogo di città metropolitana. In tale contesto, infatti, il Comune ha avviato la realizzazione di una importante area sportiva, con stadio e Ar., per un investimento di circa 280 mln. di cui 1/3 con fondi PNRR, 1/3 con fondi propri già disponibili e 1/3 con ricorso ad indebitamento, che quindi risulta essere funzionale al perseguimento di tale importante obiettivo. Si rappresenta, peraltro, che la scelta dell’amministrazione di ricorrere a nuovo debito dopo che dal 2015 in poi il nuovo debito assunto è stato pari ad euro 6.000.000,00, è stata effettuata nella consapevolezza che nonostante tale nuova accensione, il debito complessivo avrebbe comunque proseguito la dinamica di tendenziale decrescita. L’evoluzione della situazione congiunturale sta invero comportando una diversa valutazione sull’incidenza del peso del debito che, ancorché come detto in tendenziale diminuzione anche in presenza del nuovo debito da contrarre, rischia di mettere a repentaglio la capacità dell’amministrazione di garantire l’erogazione dei servizi essenziali. La Città di Venezia, infatti, sta registrando una difficoltà nel vedere le entrate ritornare al livello prepandemico. In un contesto di generale ripresa del turismo, infatti, i dati del comune segnano tutt’ora un livello significativamente lontano rispetto ai valori del 2019. A titolo di esempio, infatti, le entrate per accesso alla zona traffico limitato bus turistici, che nel 2019 hanno generato entrate per oltre 20 mln., a giugno 2022 hanno registrato un valore del 54% inferiore rispetto all’analogo mese del 2019; le entrate accertate a titolo di imposta di soggiorno (che nel 2019 hanno comportato accertamenti per oltre 37 mln.) sono state nel secondo trimestre 2022 del 10% inferiori rispetto all’analogo periodo del 2019. Tale situazione se confermata rischia di portare il Comune in una situazione di tendenziale squilibrio anche per le annualità successive al 2022, anno nel quale in sede di assestamento di bilancio si è dovuto ricorrere alla procedura di riequilibrio di bilancio ai sensi di quanto previsto dall’articolo 193 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ipotizzando quindi la necessità di dover ricorrere ripetutamente a tale procedura, subordinatamente all’emergere di risorse utili allo scopo, al fine di garantire il mantenimento degli standard di servizio attualmente in essere, che in assenza di tali possibili risorse potrebbero dover essere rivisti al ribasso. In tale contesto, quindi, al fine di rendere maggiormente sostenibili gli oneri del debito sul bilancio dell’ente e quindi continuare a garantire i livelli di servizio, la proposta di istituzione di una addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aereoportuale per passeggero fino a euro 3 potrebbe quindi concorrere al completamento del percorso di riequilibrio avviato nel 2015. I dati di traffico dell’aereoporto Marco Polo di Tessera dell’anno 2019 evidenziano un numero di partenze pari 5.775.658 (fonte Enac - Dati di traffico 2019). In considerazione dell’attuale situazione si ipotizza un dato a regime comunque prudenzialmente non superiore a 5.500.000, per un importo a bilancio pari a euro 16.500.000,00 (in caso di importo pari ad euro 3) che rappresentano circa il 50% degli attuali oneri sul debito. Per i dati di imbarco portuale, l’attuale situazione della crocieristica veneziana non consente di effettuare valutazioni attendibili e quindi, allo stato, non si considera tale possibile entrata”. Ciò posto, avuto riguardo alle risultanze degli indicati passaggi procedimentali, con la correlativa motivazione, ritiene il collegio che la sentenza di prime cure non sia condivisibile nel punto in cui ha ritenuto che l’Amministrazione fosse esonerata dal motivare le proprie scelte di istituire l’addizionale sui diritti di imbarco aeroportuale, senza alcuna considerazione né motivazione sulle ragioni per cui non aveva considerato alcuna delle altre opzioni consentite dalla legge (il richiamato comma 572 l. 234/2021 ne prevede ben 15) per il raggiungimento del medesimo risultato, gravando i soli passeggeri che si imbarcano a Venezia, anziché ricorrere, anche in parte, alle altre misure che potevano essere assunte per far fronte allo squilibrio strutturale del Comune. Ed invero, né nella proposta del dirigente dei Servizi finanziari del Comune, né nel verbale del tavolo tecnico, né nell’accordo (c.d. Patto per Venezia), né infine nella delibera istitutiva dell’addizionale de qua, secondo quanto innanzi riportato, compare alcuna considerazione sulla possibilità di ricorrere in tutto o in parte alle altre misure consentite dal legislatore. 28.1. Come correttamente evidenziato dalle parti appellanti, la circostanza che, ai sensi del combinato disposto dei commi 2 e 8 dell’art. 43, d.l. n. 50/2022, il legislatore abbia autorizzato il Comune a porre in essere le misure di cui all’art. 1, comma 572, l. n. 234/2021 non esonera l’amministrazione dal motivare in ordine alle ragioni per le quali era stata adottata l’addizionale comunale sui diritti di imbarco, in luogo delle altre previste, anche dando evidenza dei dati che la rendevano maggiormente coerente con la ratio perseguita e idonea al risanamento del disavanzo, avuto riguardo anche alle ragioni di tale disavanzo. 28.1.1. Come innanzi precisato dall’istruttoria non risulta che l’Amministrazione abbia effettuato alcuna valutazione non solo circa la possibilità di adottare le ulteriori misure di cui al citato comma 572 dell’art. 1 della l. n. 234/2021, ma anche sulla opportunità di incrementare l’addizionale comunale all’Irpef, che avuto riguardo ad un interpretazione costituzionalmente orientata del disposto normativo, sarebbe stata probabilmente più coerente, avuto riguardo alla motivazione sottesa ai richiamati atti, in quanto applicata nei confronti dei cittadini del Comune di Venezia, ossia dei soggetti direttamente interessati al risanamento finanziario dell’Ente e alle finalità sottese alla misura imposta, avuto in particolare riguardo alla circostanza che, come emergente dalla suddetta Relazione Tecnica del Comune, innanzi richiamata, che ha dato impulso all’avvio del procedimento, l’Ente ha provveduto all’accensione di un nuovo debito per la realizzazione, in parte con i fondi del PNRR, di una “importante area sportiva, con stadio e Ar.”, ovvero un’area destinata in particolare alla fruizione della cittadinanza. Peraltro, come evidenziato dall’Associazione e dalla compagnie aeree appellanti, la scelta di adottare un’addizionale comunale sui diritti aeroportuali è stata adottata dal Comune di Venezia sulla base dei soli dati di traffico dell’Aeroporto relativi all’anno 2019 (forniti da ENAC), senza tenere conto dei dati aggiornati, relativo al successivo biennio, inciso, come noto, in modo significativo dall’emergenza pandemica e senza pertanto considerare che il settore aereo era risultato gravemente colpito dagli effetti della pandemia da Covid-19. 29.1. Sotto questo profilo non appaiono convincenti le difese comunali con le quali si è evidenziato che, al contrario di quanto addotto da parte appellante, nello stesso documento richiamato dalle parti appellanti si sarebbe precisato che: “I dati di traffico dell’aereoporto Marco Polo di Tessera dell’anno 2019 evidenziano un numero di partenze pari 5.775.658 (fonte Enac - Dati di traffico 2019). In considerazione dell’attuale situazione si ipotizza un dato a regime comunque prudenzialmente non superiore a 5.500.000, per un importo a bilancio pari a euro 16.500.000,00 (in caso di importo pari ad euro 3) che rappresentano circa il 50% degli attuali oneri sul debito” (nota del Comune di Venezia PG 342430 del 29.7.2022, prodotta dal Comune sub doc. 2 nel fasc. primo grado). Ed invero proprio detto riferimento rende palese come l’istruttoria sia stata condotta avendo riguardo non ai dati aggiornati all’epoca di adozione della delibera, ma ad una mera stima prudenziale fondata sui dati del 2019 comunicati da ENAC. 29.2. Deve pertanto ritenersi condivisibile, avuto riguardo al calo dei voli aerei determinato dall’emergenza Covid, quanto dedotto dall’Associazione e dalle compagnie aeree appellanti secondo le quali, qualora il Comune avesse utilizzato i dati ENAC disponibili alla data di adozione della Deliberazione, ossia quelli per le annualità 2020 e 2021, avrebbe potuto agevolmente rilevare un flusso dei passeggeri nettamente inferiore rispetto al 2019. 29.3. Né in senso contrario rileva, secondo quanto innanzi precisato nell’esaminare l’eccezione preliminare sollevata dal Comune circa l’interesse a ricorrere di Sa., l’aumento dei voli aerei per il periodo successivo alla data di adozione della delibera, quale documentato dal Comune nelle more della celebrazione dell’udienza pubblica, dovendosi avere riguardo ai dati esistenti al momento dell’adozione dell’atto gravato e che avrebbero dovuti essere presi in considerazione in sede istruttoria. Parimenti non condivisibile è la motivazione della sentenza di prime cure, relativa alla delibazione di cui al terzo motivo di diritto del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, sollevato da Sa. e dell’analogo motivo formulato dall’Associazione e dalle compagnie nel quinto motivo, con cui le ricorrenti avevano lamentato la mancata disamina in sede istruttoria della proporzionalità della misura adottata. 30.1. In particolare Sa. aveva dedotto come immotivatamente il Consiglio Comunale avesse deciso di adottare l’addizionale comunale, in misura oltremodo squilibrata e gravosa per i passeggeri dell’aeroporto Marco Polo, che nella stragrande maggioranza dei casi (il 96% dei passeggeri non sono veneziani e il 53% non hanno Venezia come destinazione principale) non hanno alcun collegamento con il ripiano del disavanzo del Comune di Venezia, senza nemmeno considerare una qualche riduzione della spesa o un’altra delle tante opzioni offerte dal comma 572 dell’art. 1 della l. 234/2021, per giungere al risultato del riequilibrio strutturale. Al riguardo il Tar si è limitato a evidenziare - senza che vi fosse alcun riscontro motivazionale in atti - come l’aeroporto generi un sovraccarico sulle infrastrutture cittadine, «dando luogo a esternalità negative che il Comune è evidentemente tenuto a fronteggiare reperendo adeguate risorse finanziarie» (par. 14.8 della sentenza). Né al difetto di istruttoria e motivazione sotto questo profilo può sopperire la documentazione sopravvenuta, depositata nel presente grado di giudizio dal Comune di Venezia - e segnatamente il Masterplan 2023-2037 - dalla quale, in tesi del Comune, sarebbe evincibile l’impatto che il traffico aereo genera, tra gli altri, sulle infrastrutture, servizi e ambiente del Comune di Venezia. 30.2. Inoltre, come evidenziato dall’Associazione e dalla Compagnie aeree, e non contestato dal Comune, introducendo l’addizionale comunale sui diritti di imbarco aeroportuali pari ad euro 2,50 - ossia stabilita nella misura quasi massima, considerato che l’art. 43, comma 3 del d.l. n. 50/2022 stabilisce che “l’addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale non può essere superiore a 3 euro per passeggero” - la tassazione per chi parte dall’Aeroporto di Venezia passa da Euro 6,50 ad Euro 9,00, divenendo così la più elevata d’Italia. 30.3. A tal riguardo non può negarsi che l’incremento per passeggero, considerato il prezzo medio dei biglietti aerei, e in particolare le tariffe applicate dalle compagnie low cost, quali i Vettori appellanti, sia proporzionalmente eccessivo; esso, infatti, è quantificabile tra il 4% e il 7% della tariffa media di una low fares per un biglietto di sola andata. Né in senso contrario rileva quanto dedotto e documentato in questa fase dal Comune circa l’aumento del costo dei biglietti negli ultimi anni, sia perché trattasi di circostanza successiva alla delibera oggetto di impugnativa, sia perché correlato, come del resto ammesso dal Comune, all’offerta di servizi aggiuntivi opzionabili dal cliente e non all’acquisto del biglietto base, secondo le note politiche tariffarie delle compagnie low cost. 30.4. Né il difetto di proporzionalità della misura può essere ovviato, come ritenuto dal primo giudice, in ragione del “meccanismo di adeguamento previsto dal Patto per Venezia” il quale “consente pur sempre la rimodulazione nel tempo dell’addizionale anche nel caso di contrazione o aumento dei traffici, imponendo in particolare all’Ente di disporne la riduzione nel caso di “formazione di un avanzo libero [...] di importo superiore alle entrate derivanti dall’addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale accertate nell’anno di riferimento aumentate del 50%” (cfr. par. 14.7 della Sentenza). Ed invero occorre evidenziare innanzitutto, come non sia prevista alcuna rimodulazione dell’addizionale nel caso di “contrazione o aumento dei traffici” ed in secondo luogo come la censurata sproporzione della misura introdotta dalla Deliberazione non può essere attenuata dalle clausole contenute nel Patto per Venezia c.d. “di salvaguardia”, che subordinano una non definibile diminuzione dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale ed aeroportuale a futuri ed incerti eventi, nell’an e nel quando, condizionati in particolare ad una eventuale formazione di un determinato avanzo libero. 30.5. Il Comune di Venezia ha quindi adottato una misura che, in quanto non preceduta da una congrua istruttoria e motivazione in ordine alle alternative prese in considerazione dalla norma e delle cause che avevano causato l’indebitamento (cfr la indicata realizzazione degli impianti sportivi a beneficio dei cittadini di Venezia solo parzialmente finanziata con i fondi PNRR), non resiste, al contrario di quanto ritenuto dal primo giudice, alle articolate censure, che hanno ben posto in evidenza anche la non proporzionalità della misura e la sua incidenza su persone (i passeggeri in partenza da Venezia) che verosimilmente potrebbero non essere né cittadini veneziani, né turisti in visita a Venezia - a differenza dei soggetti incisi dalla tassa di ingresso a Venezia - ma magari cittadini veneti che periodicamente si imbarcano dall’aeroporto di Venezia e che pertanto alcun beneficio potrebbero ricevere dai servizi resi dal Comune di Venezia, non potendosi annettere, in senso contrario, come innanzi precisato, alcun rilievo alla documentazione prodotta nel presente grado di appello. (Masterplan 2023-2037). 30.5.1. Nella sostanza pertanto la misura de qua, in quanto non supportata da congrua motivazione ed istruttoria, finirebbe per connotarsi come un contributo di solidarietà in favore del Comune di Venezia, fondato sulla sola occasionalità dell’utilizzo dello scalo aeroportuale di Venezia. 30.6. Né risulta condivisibile - avuto riguardo ai dedotti vizi di difetto di istruttoria e di motivazione, nonché di mancata valutazione della proporzionalità della misura e di ricorso ad altre possibili forme di ripianamento, alla stregua delle possibilità di scelta concesse dalla normativa - quanto dedotto nelle difese del Comune di Venezia, circa il fatto che l’istituzione dell’addizionale comunale prevista dal citato art. 43 non sarebbe altro che una attuazione della previsione contenuta in una norma di rango primario, la cui rispondenza alla valutazione di adeguatezza è stata compiuta a monte da un Tavolo tecnico istituito presso il Ministero dell’interno, nonché sul rilievo che la delibera in questione rappresenterebbe un atto doveroso, la cui adozione è necessaria al fine di rispettare gli impegni assunti con lo Stato. 30.7. Ed invero deve aversi riguardo, come innanzi precisato, alle alternative rimesse dalla normativa primaria alla scelta discrezionale dell’Amministrazione, in alcun modo valutate in sede procedimentale, e segnatamente, né nell’atto di impulso del Comune, né in sede di tavolo tecnico preordinato all’adozione dell’Accordo per Venezia, né infine nella delibera gravata, per cui alcun automatismo è ravvisabile rispetto alla previsione normativa. Ed invero, sebbene l’art. 43 del d.l. n. 50/2022, come osservato dal Comune nella propria memoria, non preveda alcuna gerarchia tra le misure in concreto adottabili, resta fermo che l’Amministrazione era tenuta a fornire le motivazioni sottese alla decisione adottata a fronte della pluralità di scelte consentite dalla normativa primaria. 30.7.1. Intese in questi termini le censure sono pertanto fondate, senza che sia configurabile un inammissibile sindacato delle scelte di merito dell’Amministrazione, rimanendosi nell’alveo delle censure di difetto di motivazione e di istruttoria anche relativamente alla proporzionalità della misura, con possibilità pertanto di riesercizio del potere da parte dell’Amministrazione, nel rispetto dei vincoli conformativi derivanti da questo decisum. Le indicate censure di difetto di motivazione e di istruttoria, in quanto di carattere assorbente, renderebbero superfluo la disamina delle ulteriori censure. Le stesse peraltro verranno sommariamente affrontate solo per esigenze di completezza. Non fondate appaiono al riguardo le censure, del pari contenute nel secondo motivo degli appelli riuniti, relative alla connessione fra l’adozione della gravata delibera e la decisione sulla sospensione della tassa di accesso a Venezia. 33.1. Dalla lettura della DCC 75/2022 si evince infatti che il Regolamento per l’istituzione e la disciplina del contributo di accesso è stato approvato con DCC n. 11/2019 e che, a seguito di modifiche normative che avevano inciso radicalmente sul presupposto del contributo stesso, era all’esame degli organi consiliari la nuova bozza di provvedimento, circostanza impeditiva dell’applicazione del regolamento già approvato, senza che ciò potesse implicare alcuna “rinuncia” dell’Amministrazione alla riscossione del contributo, le cui poste sono state iscritte nel bilancio di previsione (cfr. la nota integrativa al bilancio di previsione 2023 - 2025, pag. 18, nella quale si precisa che “Con l’art. 12, comma 2 ter del decreto legge 30 dicembre 2021, n. 228, convertito con modificazioni dalla legge 15 febbraio 2022, n. 15, peraltro, è stata introdotta una dirimente modifica alla norma sopra richiamata, prevedendo l’applicabilità del contributo per l’accesso alla Città antica e alle altre isole minori della laguna, anche senza vettore. Considerato che la suddetta novella impone una modifica regolamentare in materia... allo scopo di provvedere al necessario ri-allineamento conformativo tra norma di legge e disciplina secondaria di esecuzione della stessa, mediante la formulazione di una proposta di ristrutturazione generale dell’impianto regolamentare, si rappresenta che, ad oggi, la proposta di approvazione del nuovo regolamento, con l’abrogazione del precedente è all’esame del Consiglio comunale e, conseguentemente, l’avvio è subordinato alla conclusione dell’iter consiliare...” - doc. 28 fasc. primo grado del Comune di Venezia). 33.2. Parimenti infondata è la censura, fondata sulla irrazionalità della scelta volta a postergare l’entrata in vigore dell’addizionale comunale de qua con riferimento agli imbarchi portuali, in quanto il Comune nella delibera impugnata ha considerato debitamente le difficoltà create agli operatori portuali dal decreto governativo sul blocco all’ingresso delle c.d. grandi navi al Porto di Venezia, attraverso il bacino di S. Marco e il canale della Giudecca, rinviando al 2026 l’applicazione dell’addizionale ai passeggeri che si imbarchino sulle navi del Porto di Venezia. La circostanza che il Comune non abbia per contro considerato che nel periodo Covid il traffico aeroportuale sia diminuito, pertanto, non vale ex se ad inficiare la scelta ragionevolmente compiuta circa il differimento dell’entrata in vigore della misura con riferimento agli imbarchi portuali, posto che in ogni caso, con riferimento tanto agli imbarchi portuali - per cui è previsto il differimento dell’entrata in vigore dell’imposta - che con riguardo a quelli aereoportuali, l’addizionale è stata fissata nella misura di euro 2,50, per cui alcun beneficio potrebbero ricavare le appellanti dalla pari decorrenza dell’imposta con riferimento agli imbarchi portuali, ovvero a partire dal 1 aprile 2023. Parimenti infondato è il terzo motivo di appello formulato da Sa., volto ad evidenziare l’illegittimità dell’indicata misura per il mancato coinvolgimento dell’Enac e della stessa Sa., posto che la normativa di rango primario (art. 43 del d.l. n. 50 del 2022 che rinvia all’art. 1 comma 572 l. m. 243 del 2021) non prevede alcun coinvolgimento di detti soggetti e che pertanto occorrerebbe semmai sollevare questione di costituzionalità dell’indicata normativa, laddove la stessa Sa. ha formulato solo in via subordinata la questione di legittimità costituzionale. Ed invero, come correttamente sul punto osservato dal primo giudice, la competenza dell’Enac in materia di atti concernenti tariffe, tasse e diritti aeroportuali risulta circoscritta alla sola “istruttoria [...] per l'adozione dei conseguenti provvedimenti del Ministro dei trasporti e della navigazione” (art. 2, comma 1, lett. e del d.lgs. n. 250 del 1997), fattispecie che non appare sovrapponibile o analoga a quella in esame, vertendosi in questo diverso caso dell’istituzione dell’addizionale sul diritto d’imbarco da parte dell’Amministrazione comunale in forza della speciale procedura, prevista dall’art. 43, del d.l. n. 50 del 2022 e diretta al riequilibrio finanziario dell’ente. Infine infondata è la censura contenuta nel quarto motivo, formulato da Sa., e nel terzo motivo, articolato dall’Associazione e dalle compagnie aeree appellanti, fondata sul rilievo che il Tavolo Tecnico aveva concluso la propria istruttoria all’esito della riunione del 20 ottobre 2022 e quindi, oltre il termine del 30 settembre fissato dall’anzidetta disposizione di legge, trattandosi all’evidenza di un termine ordinatorio in funzione acceleratoria e non di un termine decadenziale. 35.1. È infatti principio consolidato quello secondo il quale “un termine è perentorio soltanto qualora vi sia una previsione normativa che espressamente gli attribuisca questa natura, ovvero quando ciò possa desumersi dagli effetti, sempre normativamente previsti, che il suo superamento produce (quali, ad esempio, una preclusione o una decadenza [...]). Ove manchi un’espressa indicazione circa la natura del termine o gli specifici effetti dell’inerzia, deve aversi riguardo alla funzione che lo stesso in concreto assolve nel procedimento, nonché alla peculiarità dell’interesse pubblico coinvolto. Naturale corollario di tale ricostruzione è che in mancanza di elementi certi per qualificare un termine come perentorio, per evidenti ragioni di favor, esso deve ritenersi ordinatorio” (Cons. Stato, 22.1.2020, n. 537. In senso analogo, Cons. Stato, 6.6.2017, n. 2718). Il primo motivo di appello, per contro, in quanto riferito alla sola decorrenza dell’applicazione dell’addizionale de qua, deve intendersi assorbito, avuto riguardo alle evidenziate ragioni di accoglimento degli appelli riuniti, maggiormente satisfattive degli interessi delle parti. In conclusione l’appello va accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado, con conseguente annullamento degli atti impugnati. 37.1. Le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta all'esame del Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663, e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 luglio 2016, n. 3176). Gli argomenti di difesa non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Sussistono nondimeno eccezionali e gravi ragioni, avuto riguardo alla complessità delle questioni sottese, per compensare integralmente fra le parti le spese di lite. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), riunisce preliminarmente gli appelli come in epigrafe proposti e, definitivamente pronunciando, li accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado, con conseguente annullamento degli atti impugnati. Compensa le spese di lite Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 novembre 2023 con l'intervento dei magistrati: Diego Sabatino - Presidente Stefano Fantini - Consigliere Elena Quadri - Consigliere Gianluca Rovelli - Consigliere Diana Caminiti - Consigliere, Estensore L'ESTENSORE IL PRESIDENTE Diana Caminiti Diego Sabatino IL SEGRETARIO
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 3599 del 2020, proposto da Casa di Procura Generalizia della Congregazione delle Ancelle di Cristo Re, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ir. Gi. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale (...); contro Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ni. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda n. 12095/2019, resa tra le parti, deliberazione consiglio comunale di Roma n. 33/2003 di adozione del piano regolatore generale, Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 8 maggio 2024 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati Ir. Gi. Be. in collegamento da remoto attraverso videoconferenza, con l'utilizzo della piattaforma "Mi. Te.". Viste le conclusioni delle parti come da verbale.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.Con l'appello in esame l'odierna parte appellante impugnava la sentenza n. 12095 del 2019 del Tar Lazio, recante il rigetto dell'originario gravame, proposto dalla stessa parte al fine di ottenere l'annullamento della delibera n. 33 del 2003 avente ad oggetto il nuovo PRG della città di Roma. In particolare, la nuova previsione aveva riguardato i beni di proprietà dell'odierna ricorrente in appello, individuati in un terreno sito in Roma, via di (omissis), avente una superficie complessiva di circa 60.000 ffig, su cui insistono tre fabbricati destinati a convento e casa generalizia, a foresteria e ad alloggio del custode. L'impugnata delibera aveva inserito: - l'edificio principale in zona T3 "Tessuti di espansione novecentesca a tipologia edilizia libera"; - la residua proprietà, ad eccezione dell'alloggio del custode, nel perimetro dei "parchi istituiti" e, precisamente, nella Riserva Naturale "Valle dei Casali"; - e l'alloggio del custode all'interno del Programma Integrato n. 3 - Città da ristrutturare, con destinazione a verde pubblico e servizi pubblici di livello locale. 2. Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante formulava i seguenti motivi di appello: -Violazione del giudicato di cui alla sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV n. 1234/2000. Eccesso di potere per errore e falsità dei presupposti. Difetto di istruttoria. Error in procedendo e/o in iudicando. Errore dei presupposti; -Violazione e falsa applicazione dell'art. 15 delle N.T.A. del P.R.G. nel testo vigente nel 1965 e dell'atto d'obbligo sottoscritto nel 1965. Eccesso di poter per errore dei presupposti. Difetto di istruttoria. Error in procedendo e/o in iudicando. Errore dei presupposti; -Eccesso di potere per errore e falsità dei presupposti. Illogicità ed ingiustizia manifeste. Difetto di istruttoria e di motivazione. Error in procedendo e/o in iudicando. Errore dei presupposti; -Eccesso di potere per errore e falsità dei presupposti, illogicità manifesta. Assoluto difetto di istruttoria. Error in procedendo e/o in iudicando. Errore dei presupposti e difetto di motivazione. 3.L'amministrazione appellata si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell'appello. 4.All'udienza di smaltimento dell'8 maggio 2024 la causa passava in decisione. 5.Con il primo motivo di appello si deduce l'erroneità della sentenza nella parte in cui non ritiene fondata la violazione del giudicato avente ad oggetto la sentenza n. 1234 del 2000, Sez. IV, del Consiglio di Stato. Alla luce di quest'ultima, il Comune in sede di pianificazione non poteva commettere lo stesso errore di attribuire al terreno una destinazione urbanistica di parco pubblico che non si concilia con l'esistente fabbricato e con la sua destinazione d'uso. La pronuncia inoltre è supportata anche dalle modifiche apportate dalla Regione Lazio in sede di approvazione della precedente Variante urbanistica del 1990 e che avevano valorizzato la diversa destinazione urbanistica dell'area di proprietà della ricorrente. 6. Con il secondo motivo di appello si ritiene la sentenza errata nella parte in cui sostiene che l'atto d'obbligo, stipulato nel 1965 rappresenta una mera obbligazione a carico dei privati e non una limitazione urbanistica. Parte appellante invece ritiene che l'atto rappresenta il presupposto di legittimità del titolo edilizio rilasciato e avente rilevanza urbanistica tale per cui l'area di proprietà della Congregazione è da ritenersi irreversibilmente asservita al complesso immobiliare. 7.Con il terzo motivo di appello si censura la decisione del Tar laddove quest'ultimo erra nel non considerare che la destinazione urbanistica a parco pubblico attribuita con il nuovo P.R.G. è del tutto inconciliabile ed incompatibile con l'attività di preghiera che da decenni viene espletata nell'immobile in questione e che dunque verrebbe pregiudicata dall'accesso al pubblico del parco, venendo meno anche la tutela dei valori paesaggistici ambientali. Con riferimento alla disciplina sovraordinata del Piano di Assetto della Riserva naturale "Valle dei Casali", il Tar inoltre ha errato nel non considerare che tali previsioni hanno una valenza diversa dal P.R.G. Mentre le prime tutelano il paesaggio, la destinazione dell'area a parco pubblico avrebbe rilevanza esclusivamente urbanistica. 8.Infine, con il quinto motivo di appello si deduce l'erroneità della sentenza laddove non rileva che gli edifici minori destinati al custode sono inseriti nel Programma integrato di intervento n. 3 e perciò sono pregiudicati dalla destinazione imposta. 9. Il ricorso è infondato. 10. Ai fini del decidere, le censure dinnanzi esposte possono essere esaminate congiuntamente. Risulta infatti dirimente, in ordine a tutti i rilievi, osservare che la scelta urbanistica è maturata in esecuzione delle diposizioni regionali. Così l'art. 145 del DLgs 42/2004: "3. Le previsioni dei piani paesaggistici di cui agli articoli 143 e 156 non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico, sono cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province, sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici (...)". Da qui l'individuazione delle aree naturali protette nazionali e regionali definite nel Piano di Assetto quale disciplina sovraordinata cui il Comune si è adeguato. 10.1 Con specifico riferimento alla violazione del giudicato, preme osservare che nel caso di specie non viene in rilievo una destinazione immediatamente espropriativa ma conformativa del territorio. La distinzione tra i due vincoli assume rilevanza in quanto è alla luce di quest'ultima che emerge che la destinazione a Parco Pubblico dell'area non comporta il venir meno né della proprietà sugli edifici né delle funzioni, incombendo invece su la Casa di Procura Generalizia della Congregazione delle Ancelle di Cristo Re l'obbligo di consentire l'utilizzo delle aree esterne ai fini paesaggistici e ambientali imposti dalla normativa sovraordinata cui il Comune si è correttamente adeguato. 11. La presente decisione è stata assunta tenendo conto dell'ormai consolidato "principio della ragione più liquida", corollario del principio di economia processuale (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 5 gennaio 2015, n. 5, nonché Cass., Sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242), che ha consentito di derogare all'ordine logico di esame delle questioni e tenuto conto che le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663, e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 19 gennaio 2022, n. 339), con la conseguenza che gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. 12. Alla luce delle considerazioni che precedono, pertanto, l'appello va respinto. Sussistono i giusti motivi per compensare le spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Fabio Franconiero - Presidente FF Giordano Lamberti - Consigliere Davide Ponte - Consigliere, Estensore Sergio Zeuli - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 10433 del 2019, proposto da Vi. Ga., Vi. Ga., rappresentati e difesi dall'avvocato Em. D'A., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ra. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Asl di Caserta, Regione Campania, Provincia di Caserta, Autorità Bacino Regionale Campania Centrale, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Sesta n. 2512/2019 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 6 marzo 2024 il Cons. Sergio Zeuli Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La sentenza impugnata ha rigettato il ricorso proposto dalla parte appellante per l'annullamento della delibera di C.C. n. 77 del 30 luglio 12, recante adozione del PUC e della delibera di C.C. n. 36 del 18 novembre del 2013, recante approvazione del PUC, pubblicata sul BURC n. 69 del 9.12.13, entrambe del Comune di (omissis), oltre che degli atti presupposti, connessi e conseguenti. Avverso la decisione sono dedotti i seguenti motivi d'appello: I) ERROR IN IUDICANDO - VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE ART. 32 L. R. 16/04 II) ERROR IN IUDICANDO - DIFETTO DI MOTIVAZIONE. 2. Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis), contestando l'avverso dedotto e chiedendo il rigetto del gravame. 3. La questione centrale del ricorso, riproposta con il presente gravame, è la contestazione mossa allo strumento urbanistico (PUC del comune di (omissis)) di non aver previsto la perequazione per comparti, così danneggiando indebitamente coloro che, come la parte appellante, possiedono terreni ricadenti in zona vincolata. La sentenza impugnata ha rigettato il ricorso, sostenendo che la perequazione urbanistica per comparti non è obbligatoria, ma corrisponde ad una scelta discrezionale dell'amministrazione. 4. In via preliminare va disattesa l'eccezione di inammissibilità dell'appello opposta dalla parte appellata. L'atto di gravame ha infatti sufficientemente specificato i motivi posti a fondamento dell'impugnazione della sentenza di primo grado, chiarendo le ragioni del dissenso della parte rispetto agli approdi ivi raggiunti. 5. Il primo motivo d'appello deduce la violazione dell'articolo 32 della L. Regionale n. 16/2004 e/o comunque la contraddittorietà di previsioni di piano che, come quelle impugnate, non prevedano una urbanizzazione per comparti, con le conseguenti misure perequative tra i proprietari. La parte appellante sostiene, innanzitutto, che quello perequativo è divenuto oramai principio generale della regolamentazione urbanistica per l'effetto ri-equilibratore che lo caratterizza e che lo fa divenire l'unico sistema in grado di garantire imparzialità alle scelte dell'amministrazione. La doglianza in esame aggiunge che l'obbligo di programmare per comparti edificatori era, nel caso di specie, specificamente imposto al comune appellato dall'art. 32 della L. Regionale n. 16 del 2004. 5.1. Il motivo è complessivamente infondato. 5.1.1. Innanzitutto, ferma l'indubbia utilità del meccanismo perequativo per le garanzie di imparzialità della P.A. che offre, si osserva che la cd." urbanistica per comparti" resta una delle possibili alternative cui l'amministrazione può ricorrere per le scelte programmatiche di governo del territorio. Infatti l'attuale assetto del diritto dell'urbanistica (materia di legislazione concorrente), desumibile dal complessivo impianto della legge n. 1150/1942, non solo non consente di considerarla una misura obbligatoria, ma tuttora la prospetta come misura eccezionale, così come è sempre stata ritenuta speciale l'urbanistica per accordi che ne rappresenta l'antenata più prossima. Tanto perché l'attività di programmazione urbanistica è caratterizzata, come è noto, da un'altissima discrezionalità tecnica (e anche, per certi versi, politica) di competenza consiliare, che la rende refrattaria, di regola, alla possibilità di una gestione concordata, o comunque, induce a considerare quale ius singulare non applicabile analogicamente, né estensibile in via interpretativa, qualsiasi previsione che prescriva stringenti obblighi nella sua conduzione. In altre parole, stante la natura strutturalmente unilaterale di detta tipologia di attività, il principio ad essa applicabile è di norma quello della massima libertà delle sue determinazioni, salva la facoltà dell'amministrazione di auto-vincolarsi, anche ricorrendo ad accordi con privati o a meccanismi perequativi pre-determinati, da esercitarsi attraverso la previsione di clausole apposite. 5.1.2. Quanto al citato articolo 32 della L. Regionale Campania n. 16 del 2004, in disparte quanto sopra osservato sull'impalco emergente dalla legge urbanistica statale, quella disposizione, nella versione all'epoca vigente, come rivela l'uso dell'ausiliare "possono", autorizzava, al comma 1 - senza renderli obbligatori - i piani urbanistici a prevedere comparti edificatori e ad attribuirgli corrispondenti valori perequativi. In considerazione di quanto osservato, peraltro, anche senza quest'ultimo dato testuale, per avere efficacia precettiva, una disposizione che imponga il ricorso ad una misura perequativa dovrebbe avere un'inequivoca portata obbligante, che il citato articolo 32 certamente non possedeva. 5.2. Di tal che, considerato che il Consiglio comunale di (omissis) non ha inteso avvalersi di questa possibilità, la pretesa della parte appellante, per come è formulata, non può ritenersi legittima. 5.3. In ogni caso, come condivisibilmente affermato dal TAR, il motivo in esame presuppone erroneamente che la mancata previsione di misure compensative, a livello di piano, ne precluderebbe la concessione in fase attuativa. Per contro, il tendenziale consensualismo tra amministrazione e privati nella gestione delle attività di interesse pubblico, ribadito dal comma 1 bis dell'art. 1 della L. 241 del 1990, pervade tutto il corso della relazione amministrazione/cittadino, potendosi ricorrere ad esso, sia nella fase della decisione, che in quella di concreta attuazione del rapporto, dunque nulla impedirà all'amministrazione, " a valle" dell'attuazione del piano, di ricorrere a sistemi perequativi onde venire incontro alle esigenze che dovessero essere eventualmente rappresentate dalla parte appellante. 6. Il secondo motivo d'appello contesta difetto di motivazione e contraddittorietà delle delibere impugnate. Segnatamente, la parte appellante evidenzia che la destinazione ad agricolo del fondo è stata impressa solo nel 2002, mentre al contrario, secondo la precedente regolazione, l'area era definita quale "residenziale". In ogni caso - aggiunge- vi sarebbe contraddittorietà con particelle limitrofe, che presenterebbero una ben più proficua destinazione, malgrado la loro prossimità a quelle controverse, senza che siano stati addotti validi motivi a fondamento della giustificazione. 6.1. Il motivo è infondato. Va premesso che, come poc'anzi accennato, l'attività di programmazione urbanistica, anche per la natura assembleare e rappresentativa degli organi che l'amministrano, è caratterizzata da un altissimo tasso di discrezionalità tecnica, che alleggerisce sensibilmente anche gli obblighi motivazionali ordinariamente incombenti sulla P.A. e che sono peraltro in parte assolti dal dibattito consiliare compendiato nei lavori preparatori. Ciò detto, all'esito di un giudizio estrinseco di legittimità, i provvedimenti impugnati non risultano essere stati frutto di un uso palesemente disfunzionale, o comunque abusivo del relativo potere. Tanto meno la parte ha indicato concreti elementi dai quali desumere l'esistenza di favoritismi verso terzi e/o di comportamenti emulativi in danno della parte appellante. Al contrario, per quanto riguarda la qualificazione delle aree in proprietà di quest'ultima, il parere contrario emesso dal Tecnico progettista sulle osservazioni rassegnate dalla parte - integralmente recepito nell'atto di approvazione del PUC dal consiglio comunale - si presenta congruamente motivato, privo di palesi illogicità ed irragionevolezza, anche considerato che, come del resto riconosciuto dalla parte appellante, la destinazione agricola delle aree in suo possesso risale al 2002 e che i vincoli attualmente insistenti sulle aree sono perfettamente coerenti con quest'ultima. A nulla rilevando una, peraltro risalente al lontano 1987, diversa destinazione. 7. Conclusivamente questi motivi inducono al rigetto del gravame. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna la parte appellante al pagamento delle spese processuali che si liquidano in complessivi euro 3000,00 (eurotremila,00). Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso nella camera di consiglio celebratasi da remoto del giorno 6 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Fabio Franconiero - Presidente FF Giordano Lamberti - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere, Estensore Carmelina Addesso - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8807 del 2021, proposto da Condominio Pa. Sc. in persona dell'amministratore pro tempore dott. Gi. Fu., rappresentato e difeso dall'avvocato Re. La., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro El. Ro., in proprio nonché quale amministratore e legale rappresentante della Ru. Ce. s.r.l., rappresentato e difeso dagli avvocati Re. Gr. e Fr. Ta., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; At. Br., non costituita in giudizio; Comune Caserta, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Li. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tar per la Campania, sez. VIII, n. 3555/2021, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di El. Ro. e di Ru. Ce. s.r.l. e di Comune Caserta; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2024 il Cons. Giovanni Pascuzzi. Nessuno è comparso per le parti costituite; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Il Condominio Pa. Sc. con sede in Caserta alla via (omissis), propone appello contro la sentenza del Tar per la Campania n. 3555/2021 che ha accolto il ricorso proposto in primo grado dai signori El. Ro. (in proprio nonché quale amministratore e legale rappresentante della Ru. Ce. s.r.l.) e At. Br. con il quale era stato chiesto l'annullamento: - del permesso di costruire n. 101/2016, prot. n. 90528 del 18.10.2016, rilasciato dal dirigente del Servizio urbanistica - Area edilizia residenziale privata del Comune di Caserta, avente ad oggetto "sanatoria per difformità rispetto alla c.e. 162/92 per muri e sistemazioni esterne"; - degli atti ad esso preordinati, connessi e consequenziali, tra i quali il parere favorevole espresso dal dirigente Servizio urbanistica - Area edilizia residenziale privata del Comune di Caserta, prot. n. 72811 del 2.8.2016, e la relazione istruttoria del responsabile del procedimento (ove esistente). 2. Gli atti da ultimo citati e il ricorso che ne è scaturito costituiscono l'ultimo capitolo di una vicenda che vede da tempo contrapposti, nei diversi ruoli, il Condominio Pa. Sc., i signori Ro. e Br. e il Comune di Caserta, contrapposizione che ha dato vita, nel tempo, a numerose pronunce del giudice amministrativo. 2.1 Le fasi significative dell'intera vicenda possono essere così sintetizzate. Con concessione edilizia del 1991 e variante del 1992 venne realizzato il complesso Pa. Sc.. Il titolo prevedeva la realizzazione, nell'area esterna al fabbricato, di un parcheggio privato ad uso pubblico di mq. 3245, in applicazione dei parametri dettati dall'art. 41-quinquies della l. 1150/1942 (introdotto dall'art. 17 della l. 765/1967). Nella esecuzione dei lavori l'impresa costruttrice realizzava una recinzione in muratura con cancello che riduceva notevolmente la superficie destinata a parcheggio privato di uso pubblico. Il Comune, nel 2002, ordinò di demolire cancelli e muretti. Il Condominio propose ricorso avverso tale atto, ricorso respinto dal Tar per la Campania con sentenza n. 3556/2006. La sentenza del Tar venne confermata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 1893/2008. I condomini Ro. e Br. (proprietari di locali commerciali siti nel Condominio Pa. Sc.) demolirono di propria iniziativa i manufatti. Il Condominio, nel 2011, deliberava di ripristinare muro di recinzione e cancello, e in data 13.9.2011 presentava una S.C.I.A. n. 70477 avente ad oggetto le dette opere. Il Comune restava inerte. I condomini Ro. e Br. proponevano ricorso in cui chiedevano al Comune di esercitare i poteri ex art. 23, comma 6, del d.p.r. n. 380/2001. Il Tar per la Campania (con sentenza 2142/2012) accoglieva e dichiarava l'obbligo per il Comune di Caserta di esercitare il potere di controllo e vigilanza sulla conformità urbanistica ed edilizia delle opere di cui alla S.C.I.A. n. 70477 del 13 settembre 2011. Nella persistente inerzia del Comune di Caserta, i condomini Ro. e Br. chiedevano l'ottemperanza della sentenza 2142/2012. Il Tar, con sentenza 5014/2012, accoglieva la domanda di ottemperanza. Il Comune emetteva un provvedimento che non conteneva una esplicita statuizione in ordine alla S.C.I.A. Tale provvedimento veniva impugnato dal condomino Ro. e annullato con sentenza del Tar per la Campania n. 5247/2013. I condomini Ro. e Br. chiedevano nuovamente l'ottemperanza della sentenza 2142/2012 e il Tar per la Campania accoglieva la domanda (sentenza n. 5127/2014). A recinzione ormai realizzata, nel 2015, il Comune annullava la S.C.I.A. del 2011 aggiungendo di voler avviare il procedimento di demolizione (senza però compiere alcuna azione concreta). Nel 2016, in seguito ad istanza di accesso agli atti, i condomini Ro. e Br. apprendevano che il Comune di Caserta aveva rilasciato il permesso di costruire in sanatoria n. 101/2016, prot. n. 90528 del 18.10.2016. 3. Avverso il provvedimento da ultimo citato, i condomini Ro. e Br. hanno proposto ricorso al Tar. A sostegno dell'impugnativa venivano formulati i seguenti motivi di ricorso: I. Violazione degli artt. 7 e ss. della legge 7.8.1990, n. 241. II. - Violazione e falsa applicazione del d.p.r. 6.6.2001, n. 380. Eccesso di potere per difetto dei presupposti, carenza di motivazione e di istruttoria, error in procedendo; sviamento. III. Violazione e falsa applicazione del d.p.r. 6.6.2001, n. 380. Violazione del giudicato formatosi sulla sentenza del Tar per la Campania n. 5247/2013. Eccesso di potere per difetto dei presupposti, carenza di motivazione e di istruttoria, error in procedendo. Incompetenza. Sviamento. IV. Violazione degli artt. 41-quinquies e 41-sexies della l. 1150/1942, dell'art. 10 delle norme tecniche di attuazione del P.R.G. di Caserta, della lex specialis dell'intervento edilizio dettata dalla c.e. n. 162/92 rilasciata dal Comune di Caserta; violazione del giudicato formatosi sulle sentenze del Tar per la Campania nn. 3556/2006, 2142/2012, 5014/2012 e 5247/2013, e sulla sentenza del Consiglio di Stato n. 1893/08; eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, difetto dei presupposti di fatto e di diritto. omessa comparazione di interessi. Sviamento. V. Eccesso di potere per contrasto con precedenti atti della stessa Amministrazione, difetto di istruttoria e di motivazione. 4. Nel giudizio di primo grado si costituiva il Comune di Caserta chiedendo il rigetto del ricorso. 5. Con sentenza n. 3555/2021 il Tar per la Campania ha accolto il ricorso annullando gli atti impugnati. 5.1 In particolare il Tar: - ha ricostruito i principi in materia di efficacia del giudicato; - ha ritenuto di censurare in maniera assorbente l'operato del Comune di Caserta nella misura in cui, rilasciando da ultimo il contestato titolo in sanatoria, ha da un lato trascurato che non era consentito discostarsi dalle previsioni dell'originaria concessione edilizia del 1992, dall'altro ha legittimato che - a mezzo S.C.I.A. - fosse modificato il regime delle aree da destinare a parcheggio privato ad uso pubblico e, nello specifico, a fronte di un volume totale edificato di mc.35.764,64 oltre mq.3.245 di area di parcheggio ad uso pubblico (di cui mq.6.819,64 da destinare a parcheggio), solo mq.4.183 fossero utilizzati a tale fine, di cui mq.1.479 a parcheggi privati ad uso pubblico; - ha infine affermato che: "L'Amministrazione ha omesso di considerare, in definitiva, che il vincolo di destinazione impresso agli spazi per parcheggio in base a norma imperativa non può subire deroghe mediante atti privati di disposizione degli stessi spazi, ma solo con concessione in variante resa su domanda di tutti i condomini interessati che lo trasferisca su altri spazi riconosciuti idonei; la normativa urbanistica di cui all'art. 41-sexies della Legge n. 1150/1942 prescrive, per i fabbricati di nuova costruzione, una misura proporzionale alla cubatura totale dell'edificio da destinare obbligatoriamente a parcheggi, pari a un metro quadrato per ogni venti metri cubi di costruito, e tale rapporto va effettivamente verificato a monte dalla P.A. nel rilascio della Concessione edilizia (Cass. civ., II, 9.10.2020, n. 21859). In particolare difettava il requisito della legittimità della richiesta di permesso in sanatoria da parte del Condominio, dal momento che tale istanza era stata deliberata l'11/12/2015 con la presenza di 41 condomini su 84 rappresentativi di millesimi 554,74 su1000,00; in ogni caso il Comune non avrebbe potuto attestare la sussistenza delle condizioni di cui all'art. 36 del d.p.r. n. 380/2001, quale richiede la doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della realizzazione, sia al momento della presentazione della domanda di permesso in sanatoria, dovendo escludersi la possibilità che tali effetti possano essere attribuiti alla cd. "sanatoria giurisprudenziale" o "impropria", che consiste nel riconoscimento della legittimità di opere originariamente abusive che, solo dopo la loro realizzazione, siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica". 6. Avverso la sentenza del Tar per la Campania n. 3555/2021 ha proposto appello il Condominio Pa. Sc. per i motivi che saranno più avanti analizzati. 7. Si è costituito in giudizio il Comune di Caserta per chiedere il rigetto dell'appello. 7.1 Si è costituito il signor El. Ro. (in proprio nonché quale amministratore e legale rappresentante della Ru. Ce. s.r.l.) chiedendo il rigetto dell'appello. 8. All'udienza del 16 maggio 2016 l'appello è stato trattenuto in decisione. DIRITTO 1. Il primo motivo di appello è rubricato: Error in iudicando. Motivazione erronea. Erronea valutazione dei presupposti di fatto. Erronea applicazione dell'art. 18 della l. 765/67, che ha istituito l'art. 41-sexies della l.u. 1150/42, aggiornata dal comma 2 dell'art. 2 della l. 122/89. Violazione ed erronea applicazione dell'art. 9, comma 5, della l. 122/89. Omessa e/o carente istruttoria. 1.1 Sotto un primo profilo, l'appellante critica la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che il Comune non poteva discostarsi dalle originarie concessioni edilizie e non poteva permettere che con S.C.I.A. si modificasse il regime delle aree da destinare a parcheggio privato ad uso pubblico, sostenendo che: - sono errati i presupposti di fatto; - le concessioni edilizie interessate dal sopralluogo e dall'ordinanza, c.e. in variante n. 138/91 e n. 162/92, sono entrambe soggette alle prescrizioni dell'art. 18 della l. 765/67, che ha istituito l'art. 41-sexies della l.u. 1150/42, aggiornata dal comma 2 dell'art. 2 della l. 122/89, che prescriveva di dover riservare spazi a parcheggio spazi, pari a 1 mq per ogni 10 mc di volume costruito, cioè, il 10% del volume realizzato; - le citate concessioni sono entrambe soggette alle prescrizioni del D.P.P. di Caserta n. 5464/87, che aveva modificato l'art. 10 delle N.T.A. del R.E. del comune di Caserta, in applicazione della lett. D, dell'art. 3, del d.m. 1444/68, che regola quanto prescritto dal penultimo comma dell'art. 17 della l. 765/67, che ha istituito l'art. 41-quinquies della l. 1150/42, di dover riservare ad aree di parcheggio di proprietà privata di uso pubblico, spazi di 1 mq per ogni 20 mc di volume costruito, cioè, il 5% del volume realizzato; - in applicazione delle disposizioni citate, la quota destinata a parcheggi nella c.e. 162/92, dev'essere: area di parcheggio privato 3245 mq per una cubatura di 32.400 mc; area di parcheggio di uso pubblico di proprietà privata 1620 mq per una cubatura di 32.400 mc; - dal permesso a costruire in sanatoria n. 101/2016 le aree di parcheggio, sono state aggiornate alla cubatura data dalla sanatoria dei 6 sottotetti, trasformati in civili abitazioni, non integrate nella c.e. in sanatoria 1933/99, variando la cubatura, dai precedenti 32.400 mc, della c.e. 162/92, ai 35.754 mc del permesso a costruire in sanatoria n. 101/2016; - per l'aumento della cubatura, si sono dovute variare anche le superfici delle aree di parcheggio, le quali, nella c.e. in sanatoria 1933/99, dovevano essere uguali a quelle riportate nel permesso a costruire in sanatoria n. 101/2016, essendo rimasta invariata la cubatura; - nella c.e. 162/92, interessata dal sopralluogo e dall'ordinanza, c'è una sola area di parcheggio di 3245 mq, ed un'autorimessa con box-auto e cantinole pari a 4.183 mq; - il Tar ha omesso di considerare che l'unica area di parcheggio del Condominio odierno appellante è del 10% del volume costruito, e pertanto è da considerare area di parcheggio privata, prescritta dall'art. 18 della l. 765/67, in quanto riservato 1 mq per ogni 10 mc di volume costruito; - sui grafici allegati alla c.e. 162/92, è stata riportata la dicitura parcheggio di uso pubblico di proprietà privata, come l'area di parcheggio ad uso pubblico del 5%, prescritto dal D.P.P. di Caserta n. 5464/87; - dalla c.e. 162/92, si evince che la recinzione era chiaramente individuata nei grafici approvati con un muro perimetrale che cingeva l'intera area di proprietà e l'accesso a tale area doveva avvenire da n. 2 varchi affiancati posti su via (omissis) i quali immettevano a due aree di parcheggio distinte a destra e a sinistra separate da marciapiede; - il Tar ha omesso di valutare che il Comune di Caserta, per le concessioni rilasciate alla I.S.CO., per realizzare il Pa. Sc. di Caserta, quindi anche per l'area di parcheggio, non ha mai chiesto la sottoscrizione né trascrizione di alcuna convenzione urbanistica o atto d'impegno, con cui sarebbero stati obbligati ad un facere, anche gli acquirenti in buona fede all. 35, con il quale sarebbe stato costituito il vincolo ad uso pubblico che si è affermato gravasse sull'area di parcheggio; - si fa menzione del vincolo ad uso pubblico, ma non viene indicato, perché non c'è, l'atto con cui è stato costituito; - il Comune di Caserta fa discendere la costituzione del vincolo dalla dicitura riportata sui grafici concessori della c.e. 162/92 "parcheggio di uso pubblico di proprietà privata", uguale alla dicitura coniata con il D.P.P. di Caserta n. 5464/87; - la giurisprudenza ha sancito che la semplice dicitura su di un grafico concessorio non è documento idoneo a costituire vincoli; - sull'area di parcheggio di 3245 mq, sono presenti 81 posti auto acquistati come proprietà esclusiva. 1.2 Sotto un secondo profilo l'appellante sostiene che la contraddizione tra quanto affermato dal Tar e quanto risulta dall'evidenza dei fatti e degli atti, è rafforzato dalle note del Comune di Caserta dove si legge chiaramente che il parcheggio di uso pubblico di proprietà privata può essere recintato ma non chiuso da cancelli, per cui, tutt'al più, si doveva ordinare di abbattere i cancelli e non anche i muretti; visto che si trattava di un muro di contenimento lungo l'alveo, che ha il precipuo scopo di proteggere i locali commerciali e quelli interrati da possibili allagamenti, e il cui abbattimento è pregiudizievole per il resto dell'edificio. 1.3 Sotto un terzo profilo l'appellante afferma che: - dalla documentazione versata in atti e per i requisiti incontestabili esistenti, si evince chiaramente che l'unica area di parcheggio del Condominio Pa. Sc. di Caserta del 10% del volume costruito, è quella privata, prescritta dall'art. 18 della l. 765/67, della l.u. 1150/42, aggiornata dal comma 2 dell'art. 2 della l. 122/89, unica che prescrive di destinare a spazi per parcheggi privati il 10% del volume costruito; - la conferma incontestabile che l'area è privata e ne erano al corrente tutti i condomini del Pa. Sc. emerge da sentenze emesse in giudizi civili in contenziosi che hanno visto come parti alcuni degli stessi condomini; - l'area di parcheggio è privata e ascritta all'art. 18 della l. 765/67, aggiornata alla l. 122/89, poiché, sulla stessa sono stati acquistati sia dai proprietari dei locali commerciali che dai proprietari di abitazioni, posti auto in proprietà esclusiva; - se l'unica area di parcheggio del Condominio Pa. Sc. è interamente gravata da un vincolo di uso pubblico, occorre chiedersi come è possibile che non risulti da nessun atto opponibile ai terzi; - se si afferma che tutta l'area di parcheggio è ad uso pubblico, sulla stessa non potranno più esserci i posti auto acquistati in proprietà esclusiva, alterando così il vincolo di destinazione pubblicistico gravato dalla pertinenzialità fissata inderogabilmente dall'art. 18 della l. 765/67, aggiornata alla l. 122/89, nonché, il vincolo inscindibile di unione del posto auto all'abitazione, che venendo soppresso il posto auto, automaticamente inficia l'atto di compravendita di nullità, come disposto dal comma 5 dell'art. 9 della l. 122/89, a cui era soggetta la c.e. 162/92, rilasciata dal comune alla I.S.CO.; - il vincolo di destinazione permanente a parcheggio va inquadrato nella categoria delle "limitazioni legali della proprietà privata per scopo di pubblico interesse" e si conforma ope legis in un diritto reale di uso dell'area di parcheggio in favore del condominio; - l'inderogabilità comporta la nullità dei patti contrari e la loro sostituzione con le previsioni della legge; - la legge n. 47 del 1985, all'art. 26, non ha portata innovativa, ma confermativa del regime della legge n. 765 del 1967, proprio in forza del riferimento al vincolo pertinenziale; - il vincolo che grava sulle aree a parcheggio ha natura non solo oggettiva ma anche soggettiva, e si trasferisce, automaticamente, con il trasferimento della titolarità dell'abitazione: è un diritto reale d'uso, di natura pubblicistica, che la legge pone a favore dei condomini del fabbricato cui accede e limita il diritto di proprietà dell'area. 1.4 Sotto un quarto profilo l'appellante sostiene che: - il Comune, nel 2006, ha riscontrato la richiesta di un condomino, dichiarando che la I.S.CO., non ha mai sottoscritto nessun atto d'impegno o convenzione urbanistica con il Comune, per cui, non ha assunto alcun obbligo; - la I.S.CO. ha corrisposto al comune integralmente gli oneri concessori per realizzare le opere di urbanizzazione primaria, in cui ricadono anche le aree di parcheggio previste dal penultimo comma dell'art. 17 della l. 765/67, esonerandosi dall'obbligo di dover realizzare opere di urbanizzazione; - l'art. 16, comma 2, del d.p.r. 380/01, in cui è stato trasfuso l'art. 11 della l. 10/77, prevede "2. La quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune all'atto del rilascio del permesso di costruire e, su richiesta dell'interessato, può essere rateizzata. A scomputo totale o parziale della quota dovuta, il titolare del permesso può obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, con conseguente acquisizione delle opere realizzate al patrimonio indisponibile del comune"; - tra le opere di urbanizzazione, elencate al comma 7 del medesimo articolo, ci sono anche "7. Gli oneri di urbanizzazione primaria sono relativi ai seguenti interventi: (omissis) spazi di sosta o di parcheggio,". Avendo elencato tra le opere di urbanizzazione al comma 4, quelle prescritte dal penultimo comma dell'art. 17 della l. 765/67, che ha istituito l'art. 41-quinquies della l.u. 1150/42. 2. Il motivo è infondato. Parte appellante mira a rimettere in discussione la fonte dell'esistenza della servitù di uso pubblico (facendo leva anche sulle pronunce emesse in contenziosi civili) così da affermare che la stessa non è opponibile ai terzi che hanno acquistato in buona fede. Ma non è possibile aderire a siffatta prospettazione. L'abusività delle opere di recinzione per contrasto con i parametri edilizi ed urbanistici previsti dalla legge e recepiti dal Comune di Caserta nei propri atti di pianificazione territoriale, nonché per violazione delle prescrizioni di cui alla concessione edilizia n. 162/1992, è stata definitivamente accertata nel giudizio di impugnazione dell'ordinanza n. 49840 del 9.12.2002 di demolizione della recinzione dell'area di parcheggio già realizzata dal costruttore del Pa. Sc. conclusosi con sentenza del Tar per la Campania n. 3558/2006, confermata in appello dal Consiglio di Stato con decisione n. 1893/08. Nella sentenza del Tar per la Campania n. 3558/2006 si legge testualmente: "Passando alla fattispecie sottoposta all'esame del Collegio, si deve innanzi tutto rilevare che "la concessione edilizia n. 162/92 del 14 aprile 1992... prevede per la sistemazione esterna un'area di parcheggio pubblico di proprietà privata di mq 3245", come evidenziato nella relazione in data 21 luglio 2005 a firma del dirigente del Settore Pianificazione Urbanistica del Comune di Caserta (depositata in esecuzione dell'ordinanza istruttoria n. 631/2005). Inoltre, dalla successiva relazione in data 14 marzo 2006, a firma dello stesso dirigente, si desume chiaramente che tale prescrizione discende dalle previsioni introdotte nel P.R.G. del Comune di Caserta in applicazione del penultimo comma dell'art. 41-quinquies della legge n. 1150/1942. Infatti in tale relazione è stato evidenziato che gli indici e parametri della Zona omogenea B2 previsti dall'art. 10 delle Norme Tecniche del PRG adottato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 11/1983 (che contiene solo un riferimento alla "quota di parcheggi fissata dall'art. 18 della legge n. 765/1967") sono stati modificati con il Decreto di approvazione del Presidente della Provincia di Caserta n. 5464/1987, con il quale è stato previsto il parametro del "parcheggio di uso pubblico di proprietà privata" (introdotto dall'art. 17 della legge n. 765/1967) in aggiunta al parametro del parcheggio privato di cui all'art. 18 della legge n. 765/1967. Ne consegue che il dirigente del Settore Urbanistica del Comune di Caserta è legittimamente intervenuto con il provvedimento impugnato per ripristinare l'uso pubblico delle aree di proprietà del condominio ricorrente destinate parcheggio di uso pubblico. Né rileva l'ulteriore censura, secondo la quale l'Amministrazione comunale con l'adozione dell'avversato ordine di demolizione avrebbe posto in essere una procedura acquisitiva che esula dalle previsioni di legge, allo scopo di procurarsi parcheggi di uso pubblico senza corrispondere alcun indennizzo ai proprietari delle aree. Infatti il provvedimento impugnato mira soltanto a ripristinare la destinazione delle aree in questione prevista dalla concessione edilizia n. 162/92 del 14 aprile 1992 in attuazione dei parametri introdotti dagli strumenti urbanistici, sicché la censura in esame avrebbe dovuto essere ritualmente proposta avverso tali provvedimenti e quindi risulta inammissibile in questa sede". La sentenza del Tar per la Campania appena citata è stata confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 1893/2008 che, a propria volta, ha testualmente affermato: "Invero, il fatto che all'atto del rilascio della concessione edilizia n. 162/92, nell'elaborato grafico ad essa allegato, sussistesse l'indicazione di un'area privata di parcheggio ad uso privato, non costituiva, come sostenuto dal condominio appellante, una mera annotazione ovvero una dichiarazione di intenti, priva di valore giuridico, ma rappresentava piuttosto la trasposizione o (quanto meno) l'evidenziazione grafica delle puntuali previsioni del vigente strumento urbanistico generale, così come approvato dall'amministrazione provinciale di Caserta, a cui era subordinato necessariamente il rilascio del titolo edilizio. L'ordinanza impugnata, con la quale il Comune di Caserta ha ordinato la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, lungi dall'atteggiarsi ad inammissibile provvedimento espropriativo, costituisce invece doverosa esplicazione del potere di controllo del territorio sub specie di verifica che il beneficiario del titolo edilizio si sia effettivamente attenuto a quanto in esso assentito, senza compiere abusi: del resto, la sua attenta lettura fuga al riguardo ogni dubbio, risultando espressamente che essa si fonda su di un verbale di sopralluogo della polizia municipale che ha accertato discordanze dello stato dei luoghi rispetto ai grafici della concessione edilizia n. 162 del 1992 (variante della precedente concessione n. 138/91). A ciò consegue che le censure rivolte avverso la predetta ingiunzione risultano essere infondate, attendendo in realtà non già al corretto uso da parte dell'amministrazione comunale del potere esercitato di controllo urbanistico del territorio, bensì alla asserita illegittimità della stessa previsione dello strumento urbanistico vigente (che prevedeva un parcheggio pubblico di uso anche privato, senza alcun indennizzo ovvero senza che fosse stato all'uopo previsto un apposito vincolo urbanistico sulla relativa area), doglianza che, però, doveva essere fatta valere o nei confronti del provvedimento di approvazione dello strumento urbanistico ovvero nei confronti della concessione edilizia, espressamente e comunque inevitabilmente subordinata al rispetto delle previsioni del predetto strumento urbanistico e che, in ogni caso, non poteva invece giammai essere avanzata per la prima volta nei confronti dell'ordinanza dell'amministrazione comunale finalizzata al ripristino dello stato dei luoghi, per rendere questi ultimi conformi nello stato di fatto alla previsione di diritto risultante dal titolo edilizio. Alla luce di tali osservazioni perdono ogni rilevanza le questioni dedotte dall'appellante circa il dubbio sulla natura di parcheggi aggiuntivi di quelli di cui si discute (dubbio peraltro privo di fondamento, essendo pacifica la natura di parcheggi aggiuntivi di cui all'articolo 41-sexies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, secondo il provvedimento della Provincia di Caserta di approvazione del piano regolatore del Comune di Caserta, ciò senza contare che dalla stessa documentazione esibita dall'appellante risulta respinta l'istanza di sanatoria più volte presentata proprio per questa ragione), circa la asserita natura di vincolo espropriativo che contraddistinguerebbe la predetta previsione di piano regolatore e circa la necessità della trascrizione del vincolo stesso ovvero della previsione contenuta nella concessione edilizia, ai fini della sua opponibilità al condominio". Il Tar per la Campania, nella citata sentenza n. 5247/2013 resa tra le parti dell'odierno giudizio e passata in giudicato, così ha ulteriormente ribadito: "Passando all'esame del merito, punto centrale di contestazione tra le parti è se la superficie da destinare a parcheggio pubblico, quindi da non recintare con muro e cancelli, fosse quella, maggiore, di mq. 3.245, riconducibile alla concessione edilizia n. 162 del 1992, o piuttosto quella di mq 1.650, risultante dal rapporto legale tra spazi da destinare a parcheggio e volumetria realizzata nella misura di 1mq/20mc. Rileva al riguardo il Collegio che gli elementi fondamentali che costituiscono un intervento edilizio devono tutti ricondursi al titolo edificatorio di riferimento; questo, se da un lato potrebbe essere inteso come una sostanziale applicazione vincolata a titolo particolare della disciplina urbanistica generale, nel senso che ne attualizza specifiche previsioni attraverso l'attivazione dello ius ad aedificandum, dall'altro contiene ulteriori aspetti che si colorano di profili di discrezionalità amministrativa (prescrizioni di limiti e modalità costruttive, termini di inizio e completamento delle opere, eventuali operazioni di asservimento, opere a scomputo) o di poteri pubblici di altra natura (fissazione degli oneri concessori e dei costi di costruzione). Il permesso di costruire, in questo modo, finisce per costituire la lex specialis dell'intervento edilizio, assumendo quella natura unilaterale ed autoritativa propria della funzione amministrativa esercitata che si risolve nel controllo del razionale ed ordinato sviluppo del territorio. Ne consegue che non è consentito al privato di discostarsi dalle previsioni e dai limiti del permesso di costruire, non a caso simili eventualità ricadendo nel regime sanzionatorio previsto dal d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380; pertanto, deve ritenersi che, ferma restando la disciplina dell'intervento edilizio come stabilita nella concessione n. 162 del 1992, non avrebbe potuto il condominio con la s.c.i.a. n. 70477 del 13 settembre 2011 modificare il regime delle aree da destinare a parcheggio privato ad uso pubblico, riducendone la superficie, quand'anche tale minore misura fosse quella minima imposta per legge; d'altronde, si tratta di una misura minima, nel senso che non è detto che la superficie non possa essere di estensione maggiore, secondo la progettazione originaria dell'intervento edilizio. Non va dimenticato che l'istituto di cui all'art. 19 della legge 7 agosto 1990 n. 241 in nessun modo può essere assimilato ad un provvedimento amministrativo, restando sul piano di una dichiarazione negoziale di intenti da parte di un privato. Nel caso di specie, oggetto della s.c.i.a. avrebbe potuto essere solo la realizzazione del muro di cinta e dei cancelli, ma giammai anche la modificazione della superficie delle aree da destinare a parcheggio pubblico, aspetto quest'ultimo rimesso alla esclusiva potestà autoritativa dell'amministrazione pubblica che avrebbe potuto avere luogo solo intervenendo previamente e direttamente sul regime dato dalla concessione edilizia n. 162/92". In assenza di interventi sulla concessione edilizia del 1992, il condominio resta vincolato alle condizioni di quest'ultimo provvedimento, anche in relazione alle superfici da destinare a parcheggio di proprietà privata ad uso pubblico. Correttamente il Tar ha accolto il ricorso proposto in primo grado sostenendo per un verso che il permesso di costruire in sanatoria era stato emesso dal Comune di Caserta in violazione delle previsioni dell'originaria concessione edilizia del 1992 e per altro verso che il Comune avesse illegittimamente consentito che - a mezzo S.C.I.A. - fosse modificato il regime delle aree da destinare a parcheggio privato ad uso pubblico. 3. Il secondo motivo di appello è rubricato: Error in iudicando et in procedendo. Omessa istruttoria. Erronea valutazione dei presupposti di fatto. Omessa e/o erronea applicazione degli artt. 825, 826 e 829 c.c. L'appellante ritiene che altro deficit motivazionale e di istruttoria nella sentenza gravata si ha per l'omessa e/o distorta applicazione degli articoli del codice civile n. 825 (Diritti demaniali su beni altrui) n. 826, comma 3 (Patrimonio dello Stato, delle provincie e dei comuni), n. 829 (Passaggio di beni dal demanio al patrimonio). In particolare si sostiene che i giudici di primo grado hanno completamente omesso di valutare che l'area di parcheggio del Condominio Pa. Sc., non è stata mai acquisita al patrimonio indisponibile del Comune, e né tantomeno sono state applicate le forme di pubblicità stabilito dal regolamento comunale. Inoltre l'appellante, riportando per esteso un passaggio (punti da 10.2 a 11.1) della sentenza della Cassazione n. 12793/2005, sostiene che mentre il vincolo di destinazione per legge di un'area a parcheggio, essendo di natura inderogabile, non può essere modificato dalle parti, il vincolo di destinazione a parcheggio in virtù di atto d'obbligo, essendo di natura convenzionale, può essere modificato dalle parti e non richiede che tale area sia predeterminata nella sua estensione, stante il principio di autonomia. 4. Il motivo è infondato. Le questioni sollevate risultano coperte dal giudicato formatosi sulle sentenze richiamate al punto precedente. Mette conto notare, in ogni caso, che la sentenza della Cassazione citata da parte appellante si riferisce specificamente ai rapporti tra privato costruttore e condominio in ordine alla possibilità di alienare, separatamente dalle abitazioni di cui costituiscono pertinenza, le aree private vincolate a parcheggio ai sensi dell'art. 41-sexies della legge urbanistica (introdotto dall'art. 18 della legge n. 765/1967). Nel caso di specie, invece, rileva il regime delle aree a parcheggio di uso pubblico di proprietà privata, di cui all'art. 41-quinquies della legge urbanistica, introdotto dall'art. 17 della legge n. 765/1967. 5. Il terzo motivo di appello è rubricato: Error in iudicando. Palese erroneità dei presupposti di fatto. Motivazione erronea. Carente istruttoria. Erronea applicazione dell'art. 137 del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 come modificato e integrato dal decreto legislativo 27.12.2002, n. 301. L'appellante critica le statuizioni della sentenza impugnata relative alla rilevanza della S.C.I.A. affermando che: - tali statuizioni sono palesemente errate perché poggiano sull'erroneo presupposto che l'area di parcheggio del Condominio Pa. Sc. abbia un vincolo di destinazione ad uso pubblico, quando invece, per quanto sopra dimostrato, tale vincolo non sussiste, per le argomentazioni analiticamente svolte nei precedenti motivi; - un ultimo argomento proviene dal d.p.r.380/2001, n. 380, il cui art. 137 prevede che "all'articolo 9 della legge 24 marzo 1989, n. 122, il comma 2 è sostituito del seguente: '2. L'esecuzione delle opere e degli interventi previsti dal comma 1 è soggetta a denuncia di inizio di attività '"; - il titolo abilitativo alla realizzazione del posto auto è oggi costituito non più dall'autorizzazione bensì dalla denuncia di inizio di attività ; - non si ha più un provvedimento, come quello dell'autorizzazione, con allegato atto d'obbligo da cui poter desumere i riferimenti inerenti al parcheggio; - secondo la Cassazione (sentenza prima citata) i parcheggi realizzati in eccedenza rispetto allo spazio minimo richiesto dalla legale (art. 18 legge 6.8.1967, n. 765), non sono soggetti a vincolo pertinenziale a favore delle unità immobiliari del fabbricato, conseguentemente l'originario proprietario-costruttore del fabbricato può legittimamente riservarsi, o cedere a terzi, la proprietà di tali parcheggi, nel rispetto del vincolo di destinazione nascente da atto d'obbligo; - quanto sancito dalla Cassazione è in perfetta linea con le disposizioni dell'art. 3 del d.m. 1444/68, applicato con il D.P.P. comune di Caserta n. 5464/87; - il massimo consentito nella destinazione a parcheggio di uso pubblico di proprietà privata del D.P.P. di Caserta 5464/87, è il 5% del volume costruito e non il 10% come è la superficie dell'area di parcheggio del Condominio Pa. Sc.; - ne consegue che l'area di parcheggio in più è da considerare privata e a disposizione dei proprietari, tranne che il Comune non esibisca un atto d'impegno o una convenzione urbanistica. 6. Il motivo è infondato. L'assunto che parte appellante mira a revocare in dubbio è coperto dal giudicato formatosi sulla citata sentenza del Tar per la Campania n. 5247/2013 che ha stabilito che: (i) "Il permesso di costruire (i.e.: c.e. n. 162/92) in questo modo, finisce per costituire la lex specialis dell'intervento edilizio, assumendo quella natura unilaterale ed autoritativa propria della funzione amministrativa esercitata che si risolve nel controllo del razionale ed ordinato sviluppo del territorio. Ne consegue che non è consentito al privato di discostarsi dalle previsioni e dai limiti del permesso di costruire"; (ii) "il condominio con la S.C.I.A. n. 70477 del 13 settembre 2011 modificare il regime delle aree da destinare a parcheggio privato ad uso pubblico, riducendone la superficie, quand'anche tale minore misura fosse quella minima imposta per legge; d'altronde, si tratta di una misura minima, nel senso che non è detto che la superficie non possa essere di estensione maggiore, secondo la progettazione originaria dell'intervento edilizio"; e (iii) "Nel caso di specie, oggetto della s.c.i.a. avrebbe potuto essere solo la realizzazione del muro di cinta e dei cancelli, ma giammai anche la modificazione della superficie delle aree da destinare a parcheggio pubblico, aspetto quest'ultimo rimesso alla esclusiva potestà autoritativa dell'amministrazione pubblica che avrebbe potuto avere luogo solo intervenendo previamente e direttamente sul regime dato dalla concessione edilizia n. 162/92". 7. L'appellante ha, infine, ha avanzato una richiesta istruttoria chiedendo al Collegio di invitare il Comune ad esibire (i) l'atto costitutivo del vincolo ad uso pubblico dell'area di parcheggio, (ii) gli oneri concessori e di urbanizzazione pagati dalla I.S.CO. o lo scomputo degli stessi e (iii) l'atto con cui la I.S.CO. si è obbligata a realizzare l'opera di urbanizzazione primaria, nel caso di che trattasi, area di parcheggio ad uso pubblico di proprietà privata prevista dal penultimo comma dell'art. 17 della l. 765/67 (art. 41-quinquies l. 1150/42). 8 La richiesta non può essere accolta perché l'acquisizione dei documenti richiesti sarebbe irrilevante, ovvero non necessaria, rispetto alle conclusioni raggiunte. 9. La sentenza impugnata ha censurato "in maniera assorbente l'operato del Comune di Caserta". Il Comune ha mantenuto, nel presente giudizio, un comportamento oscillante. In primo grado ha chiesto il rigetto del ricorso proposto dai condomini odierni appellati. In grado di appello ha chiesto il rigetto dell'impugnativa proposta dai condomini. Peraltro non si comprende perché, chiedendo il rigetto dell'appello, non abbia ritirato l'atto impugnato in primo grado. Tale atteggiamento giustifica la statuizione sulle spese di seguito espressa. 10. Per le ragioni esposte, l'appello deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza nei rapporti tra Condominio appellante e condomini appellati. Spese compensate nei rapporti con il Comune. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna il Condominio Pa. Sc. al pagamento, in favore del signor El. Ro., delle spese di lite che si liquidano in complessivi euro 5.000,00 (cinquemila\00), oltre accessori dovuti per legge. Spese compensate nei rapporti con il Comune. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Hadrian Simonetti - Presidente Giordano Lamberti - Consigliere Davide Ponte - Consigliere Lorenzo Cordà - Consigliere Giovanni Pascuzzi - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5785 del 2023, proposto da Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Bi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Wi. Tr. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Ministero della Cultura, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Regione Lazio, non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda-Quater n. 6486/2023, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Cultura e di Wi. Tr. Spa; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 maggio 2024 il Cons. Thomas Mathà e uditi per le parti gli avvocati Al. Bi. e Gi. Sa.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La Wi. Tr. S.p.A. aveva presentato il 20 gennaio 2021 al Comune di (omissis), alla competente Soprintendenza ed all'ARPA Lazio istanza di autorizzazione ex art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004 ed ex art. 87, comma 3, d.lgs. n. 259/2003, per la realizzazione di una stazione radio base a servizio della telefonia mobile Wi. Tr. S.p.A., da ubicare nel Comune di (omissis), Via (omissis) s.n. c., identificato al N.C.T. al foglio di mappa (omissis), particella (omissis). Tale area risulta: a) assoggettata a previsioni di tutela paesaggistica, in quanto zona dichiarata di notevole interesse pubblico in forza del D.M. 2.4.1958 ("Comprensorio (omissis)", vincolato - ai sensi della legge n. 1497/1939, oggi art. 136 del d.lgs. n. 42/2004), area interessata dalle previsioni di tutela del P.T.P. n. (omissis) "Ca. Ro.", inserita tra le "Zone compromesse: aree di insediamento diffuso a bassa densità non ordinato", nonché classificata, in base alle previsioni del vigente P.T.P.R. del Lazio, come "paesaggio agrario di continuità "; b) inserita in un contesto di valenza archeologica, essendo prossima a territori classificati dal PTPR come "zone di interesse archeologico" ai sensi dell'art. 142, comma 1 lett. m) del d.lgs. n. 42/2004 ed essendo di proprietà di un ente pubblico, sottoposto a tutte le disposizioni di tutela della parte II del d.lgs. n. 42/2004. 2. Con nota del 3.2.2021 il Comune di (omissis) inviava un preavviso di diniego rilevando che l'intervento era da qualificarsi ai sensi del DPR n. 380/2001 (art. 3 comma 1 lett. e) "interventi di nuova costruzione" e. 4) installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per servizi di telecomunicazioni e che, ai sensi dell'art. 21 comma 1 della L.R. 24/1998, non poteva essere assentito essendo consentiti esclusivamente interventi di ordinaria e straordinaria manutenzione, risanamento, recupero statico e restauro conservativo. Seguiva infine il provvedimento definitivo di diniego. 3. Il provvedimento comunale è stato gravato dalla Wi. 3 dinanzi al TAR per il Lazio (n. r.g. 4681/2021), che ha accolto l'incidentale domanda cautelare con l'ordinanza n. 2885/2021 (confermato da questa Sezione con ordinanza n. 827/2021). 4. La Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per l'Area Metropolitana di Roma e la Provincia di Rieti, con nota del 19.5.2021, sospendeva nella pendenza del giudizio il procedimento, e con la nota del 23.6.2021 restituiva la domanda al Comune, ritenendola improcedibile non rientrando il progetto tra le opere consentite dall'art. 21 della L.R. Lazio n. 24/1998. 5. Tali provvedimenti sono stati gravati da Wi. Tr. con motivi aggiunti. 6. Il TAR adito accoglieva il ricorso ed i motivi aggiunti e annullava gli atti gravati con la sentenza n. 13561 del 2021. L'appello contro tale decisione veniva dichiarato da questa Sezione improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse con la sentenza n. 1128 del 2023. 7. Orbene, nell'ambito della riedizione del potere, il Comune convocava nel 2022 una conferenza di servizi decisoria, acquisendo il parere della Soprintendenza del 29.4.2022 che riteneva il progetto non compatibile né con la tutela dell'area classificata come bene culturale, né rispetto alla tutela dell'area classificata come bene paesaggistico. 8. Il Comune di (omissis), con il provvedimento prot. n. 235 del 11 maggio 2022, ha concluso per il rigetto dell'istanza. Wi. 3 presentava il 18 maggio 2022 controdeduzioni e chiedeva l'accoglimento della domanda. La Soprintendenza confermava con nota del 29.7.2022 il proprio parere negativo. Infine, con provvedimento del 31.8.2022, prot. 397, il Comune concludeva la conferenza di servizi e rigettava la domanda definitivamente. 9. Tali atti sono stati impugnati dalla Wi. Tr. dinanzi al TAR per il Lazio (n. r.g. 13294/2022). 10. Il TAR per il Lazio, Sezione Seconda-Quater, con la sentenza n. 6486 del 2023, ha accolto il ricorso ed ha annullato gli atti del Comune e della Soprintendenza, ritenendo che: - mancava una puntuale motivazione del parere paesaggistico negativo (e riteneva carenti anche le specifiche indicazioni); - non si avrebbe adeguatamente dato peso alle controdeduzioni dell'istante; - la Soprintendenza, in merito alla mimetizzazione dell'antenna, avrebbe dato un giudizio contradditorio ed inadeguato. 11. Di talché, il Comune di (omissis) ha interposto il presente appello, articolando i seguenti motivi: I. Error in iudicando in ordine alla genericità delle motivazioni di rigetto della domanda della Wi. Tr. S.p.a. L'Amministrazione Civica contesta la motivazione del TAR in merito all'insufficiente valutazione delle osservazioni della Wi. Tr. S.p.a. da parte del Comune e della Soprintendenza e ritiene che sia provato dai documenti nel giudizio di primo grado (comunicazione della Soprintendenza del 2.8.2022). Le controdeduzioni sarebbero state discusse e valutate, ma non si sarebbero rivelate idonee a dimostrare la compatibilità paesaggistica dell'intervento. Il parere negativo della Soprintendenza avrebbe avuto una posizione di preminenza rispetto alle altre amministrazioni convocate, in quanto essa è preposta alla gestione del vincolo. Il parere negativo assumeva pertanto carattere vincolante per il Comune. L'assunto del TAR che il Comune avrebbe disposto la conclusione della conferenza di servizi con un atto non conforme alle risultanze delle amministrazioni interessate e alle posizioni prevalenti emerse sarebbe quindi errato. II. Sulla richiesta ex art. 87 D.Lgs. 259/2003 e sul Piano di Riassetto Analitico delle Emissioni Elettromagnetiche Territoriali (P.R.A.E.E.T.) - Art. 15 co. 4 D.P.R. 380/2001. Con la seconda doglianza l'ente locale deduce che - in forza all'entrata in vigore del Piano Riassetto delle Emissioni Elettromagnetiche Territoriali (delibera del consiglio comunale del 25.5.2022, n. 14) - la domanda di Wi. Tr. (presentata prima dell'entrata in vigore) sarebbe da considerarsi obsoleta e non aderente alla normativa vigente, con la conseguente necessità di adeguamento. Il P.R.A.E.E.T. sarebbe da considerarsi alla stregua di una variante urbanistica che apporta delle modifiche al Piano Regolatore Generale. 12. Wi. Tr. S.p.A. si è costituita in giudizio per resistere all'appello. 13. Con l'ordinanza n. 3048/2023 la Sezione ha accolto l'incidentale domanda cautelare ai fini della sollecita fissazione dell'udienza di merito ai sensi dell'art. 55 comma 10 cod. proc. amm. 14. All'udienza pubblica del 23 maggio 2024, la causa è stata trattenuta per la decisione, rigettando la richiesta delle parti di rinvio in quanto le parti hanno ampiamente articolato le loro difese. 15. L'appello è fondato sull'assorbente primo motivo del ricorso. 16. Il Collegio, in linea generale, premette che nei procedimenti di autorizzazione alla realizzazione di stazioni radio base per la telefonia mobile, ove l'area sia sottoposta ad un vincolo paesaggistico, la presenza del parere della preposta autorità sulla compatibilità paesaggistica si configura come un presupposto di validità dell'autorizzazione (Cons. Stato, III, 9 luglio 2018, n. 4189). 17. La Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio per l'Area Metropolitana di Roma e per la Provincia di Rieti ha argomentato quanto segue: - "l'area d'intervento è classificata nel Piano Territoriale Paesistico Regionale come "Paesaggio agrario di continuità ", si fa rilevare che esso è costituito da porzioni di territorio caratterizzate ancora dall'uso agricolo ma variamente compromesse da fenomeni di urbanizzazione diffusa o da usi diversi da quello agricolo. Questi territori costituiscono margine agli insediamenti urbani e hanno funzione indispensabile di contenimento dell'urbanizzazione e di continuità del sistema del paesaggio agrario. (...). La tutela è volta alla riqualificazione e recupero di paesaggi degradati da varie attività umane anche mediante ricoltivazione e riconduzione a metodi di coltura tradizionali (...); - la tutela del paesaggio, ai sensi di art. 131 del d.lgs. 42/04, è volta a riconoscere, salvaguardare e, ove necessario, recuperare i valori culturali che esso esprime e che i soggetti responsabili della tutela del paesaggio assicurano la conservazione dei suoi aspetti e caratteri peculiari. L'area ove si intende installare l'antenna è caratterizzata da significativa identità panoramica, che si sviluppa in un paesaggio naturale di chiara memoria agricola. In particolare essa si presenta contrassegnata da: un territorio pianeggiante, estremamente vasto, che definisce un peculiare brano paesistico intensamente definito sia da edifici tradizionali e ruderi della campagna monticiana; sia da svariata vegetazione piantumata, ad alto e basso fusto, ed altrettanta vegetazione spontanea di varia specie, che articola il paesaggio in identità morfologiche e cromatiche differenti. Alla vegetazione di alberi spontanei ad alto fusto e siepi fa da contraltare la coltivazione di vigne che, ordinate in filari, convivono con il paesaggio naturale, arricchendolo della testimonianza dell'intervento antropico. Tale insieme è contrassegnato anche da svariati altri elementi che compongono stratificazione del paesaggio, susseguitasi finché interventi invasivi hanno finito col comprometterlo, sebbene non del tutto. L'insieme di tali fattori convive determinando un sistema organico, sedimentato nel tempo, in cui le parti che lo compongono hanno assunto un equilibrio fra la preziosa identità naturalistica e lo storico intervento antropico, condotto con modalità, materiali e tecnologie tradizionali, connesse all'identità agricola ed alla secolare identità preindustriale del territorio; - tale paesaggio, così specificamente significativo, si contraddistingue per la propria identità panoramica, giacchè si estende panoramicamente, fruibile da più punti, fra i quali l'abitato di Monte Porzio, ed è esso stesso sia punto di vista che inquadra il paesaggio urbano di Monte Porzio. Pertanto esso è parte integrante di un sistema paesaggistico enorme, di cui è contemporaneamente panorama e punto di belvedere, dunque, pienamente corrispondente pienamente alla categoria che il PTPR intende preservare ad art. 136 alla lett. d) ovvero "le bellezze panoramiche e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze" soggette, per il loro notevole interesse pubblico, alle disposizioni di Tutela della parte terza e titolo primo del Codice dei Beni culturali ambientali e del Paesaggio; - il paesaggio dei Castelli, per le caratteristiche di qualità rare, era oggetto d'interesse dei viaggiatori che, nell'Ottocento, lo analizzavano con interesse naturalistico, scientifico, filologico, raggiungendolo dalle diverse regioni europee, considerato che a causa della scarsa tutela operata nel secondo Novecento, tale paesaggio è ad oggi ridotto ad una minima parte della sua estensione pluricentenaria; - la realizzazione dell'antenna non si coniuga in alcun modo con le dimensioni sia storica, sia rurale, sia testimoniale, sia culturale, sia paesaggistica, sia materica, sia tecnologica del paesaggio, risultando un elemento fortemente estraneo dal punto di vista materico, percettivo, identitario; - l'antenna sarebbe visibile non solo in tutto il prezioso contesto, ma anche dall'abitato di Monte Compatri, e dall'intera rete di punti di vista panoramici, presente in tutta l'area dei Castelli; - non ci sono le premesse per occultare il manufatto (progettato con un'altezza di metri lineari 30) rispetto al contesto, poiché la strategia di protezione visiva, volta all'istallazione di alti pini intorno all'antenna non si ritiene perseguibile. Essa, di fatti, potrebbe avviare la compromissione indiretta di un suolo contrassegnato da interesse di tipo archeologico; - la relazione paesaggistica non contiene né "l'adeguato studio specifico di compatibilità con la salvaguardia della morfologia dei luoghi e delle visuali" né "la sistemazione paesistica post operam " previsti dal PTPR; - è compito della tutela monumentale e paesaggistica, oltre che garantire il più possibile il contenimento del consumo del suolo, è quello di evitare la dequalificante trasformazione di un ambito in cui persiste una rilevanza testimoniale plurima, si ritiene che il progetto di installazione dell'antenna concorre a compromettere l'assetto naturalistico, edilizio, materico, rurale, storico, testimoniale, culturale, socio-antropologico di un immobile che è organicamente parte dell'ambito paesaggistico che il PTTR intende preservare: si ritiene inoltre che la realizzazione di tale antenna nell'area oggetto di tutela culturale e paesaggistica costituisca, inevitabilmente, una destrutturazione del luogo in termini testimoniali ed ambientali poiché rappresenterebbe un'incisione nelle "relazioni visive" nonché nelle relazioni "storico-logistiche" che si stabiliscono tra elementi architettonici e naturali, e pertanto l'opera non è assentibile." 18. Il reticolo motivazionale del parere contrario espresso dalla Soprintendenza è stato quindi ampiamente motivato attraverso il richiamo di quanto comunicato con i motivi ostativi ed inoltre nel seguente modo: - "considerato che con nota prot. 2541 del 09/02/2022 veniva indetta la Conferenza di servizi di cui all'oggetto; - considerato che con nota prot. 8702 del 29/0472022 questa Soprintendenza ha comunicato i motivi ostativi all'accoglimento della richiesta (...); - recepite le osservazioni trasmesse dal Comune con nota n. p. 10585 del 2022-05-27 ns. prot. 10658 del 23.05.22 e discusse a mezzo di riunione telematica; - in relazione alle osservazioni presentate da parte del richiedente si specifica che esse non hanno contribuito a modificare le motivazioni di incompatibilità paesaggistica espresse da questo ufficio, come confermato in sede di confronto telematico e di seguito sintetizzato: la realizzazione di detta antenna nell'area oggetto di tutela culturale e paesaggistica costituirebbe, inevitabilmente, una destrutturazione del luogo in termini testimoniali ed ambientali poiché rappresenterebbe un'incisione nelle "relazioni visive" nonché nelle relazioni "storico-logistiche" che si stabiliscono tra elementi architettonici e naturali (...)". 19. Il Comune di (omissis), con il provvedimento del 31 agosto 2022, ha infine negato il rilascio dell'autorizzazione per le opere edilizie di cui alla istanza, dal quale emerge: - "richiamato e tenuto conto dello svolgimento della Conferenza decisoria in forma semplificata ed in modalità asincrona indetta con comunicazione del 09/02/2022 prot. 2541; - richiamata la determina dirigenziale n. 235 del 11/05/2022 con la quale si dava conclusione negativa alla conferenza dei servizi decisoria; - richiamata la nota prot. 10585 del 27/05/2022 con la quale si trasmettevano alle amministrazioni coinvolte le osservazioni presentate dal richiedente (...); - dato atto che a seguito sono pervenuti i seguenti parere da parte delle amministrazioni coinvolte: Ministero della Cultura, Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio - Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio per l'Area Metropolitana di Roma e per la Provincia di Rieti - acquisito al prot. 15509 e 15510 del 02/08/2022 (...); - dato atto del mancato accoglimento delle osservazioni presentate del richiedente." 20. Il provvedimento conclusivo è stato adottato sulla base del parere contrario della Soprintendenza, vincolante ai sensi dell'art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004. Va da sé che detto provvedimento costituisce espressione di ampia discrezionalità, sub specie di discrezionalità tecnica, sicché la conclusiva valutazione è un apprezzamento di merito, di per sé non sindacabile, ma soggetto in limiti assai ristretti al giudizio di legittimità, proprio in quanto espressione di discrezionalità tecnica. La discrezionalità tecnica, infatti, è censurabile in sede giurisdizionale solo quando il suo esercizio appaia ictu oculi viziato da manifesta illogicità, irragionevolezza, arbitrarietà o travisamento dei fatti o laddove sia carente di istruttoria e di motivazione. Nel caso di specie occorre per altro verso considerare che il Comune ha condiviso il parere contrario della Soprintendenza, la discrezionalità tecnica che non implica una manifestazione di volontà, vale a dire un'attività di scelta e di ponderazione tra più interessi pubblici e privati, ma è una manifestazione di giudizio, consistente in una attività diretta alla valutazione ed all'accertamento di fatti. 21. La Soprintendenza, nell'effettuare le valutazioni di competenza, in linea di massima, applica concetti non esatti, ma opinabili, con la conseguenza, già evidenziata, che può ritenersi illegittima solo la valutazione che, con riguardo alla concreta situazione, si riveli manifestamente illogica, vale a dire che non sia nemmeno plausibile, e non già una valutazione che, pur opinabile nel merito, sia da considerare comunque ragionevole, ovvero la valutazione che sia basata su un travisamento dei fatti. Il ricorso a criteri di valutazione tecnica, infatti, in qualsiasi campo, non offre sempre risposte univoche, ma costituisce un apprezzamento non privo di un certo grado di opinabilità e, in tali situazioni, il sindacato del giudice, essendo pur sempre un sindacato di legittimità e non di merito, è destinato ad arrestarsi sul limite oltre il quale la stessa opinabilità dell'apprezzamento operato dall'amministrazione impedisce d'individuare un parametro giuridico che consenta di definire quell'apprezzamento illegittimo (cfr., ex multis, Cass. Civ., SS.UU., 20 gennaio 2014, n. 1013). Sugli atti della Soprintendenza, essendo gli stessi sindacabili dal giudice amministrativo per vizi di legittimità e non di merito, non è consentito al giudice amministrativo esercitare un controllo intrinseco in ordine alle valutazioni tecniche opinabili in quanto ciò si tradurrebbe nell'esercizio da parte del suddetto giudice di un potere sostitutivo spinto fino a sovrapporre la propria valutazione a quella dell'amministrazione, fermo però restando che anche sulle valutazioni tecniche è esercitabile in sede giurisdizionale il controllo di ragionevolezza, logicità, coerenza ed attendibilità . La differenza tra giurisdizione di legittimità e giurisdizione di merito, in sostanza, può individuarsi nel fatto che, nel giudizio di legittimità, il giudice agisce "in seconda battuta", verificando, nei limiti delle censure dedotte, se le valutazioni effettuate dall'organo competente siano viziate da eccesso di potere per manifesta irragionevolezza o da travisamento dei fatti, vale a dire se le stesse, pur opinabili, esulino dal perimetro della plausibilità, o per travisamento del fatto, mentre nel giudizio di merito, il giudice agisce "in prima battuta", sostituendosi all'Amministrazione ed effettuando direttamente e nuovamente le valutazioni a questa spettanti, con la possibilità, non contemplata dall'ordinamento se non per le eccezionali e limitatissime ipotesi di giurisdizione con cognizione estesa al merito di cui all'art. 134 c.p.a., di sostituire la propria valutazione alla valutazione dell'Amministrazione anche nell'ipotesi in cui quest'ultima, sebbene opinabile, sia plausibile. 22. Nella fattispecie in esame, la valutazione espressa dalla Soprintendenza deve ritenersi senz'altro plausibile e, pertanto, è esente dai vizi di legittimità dedotti. 23. Nello specifico, nel richiamare i motivi ostativi già comunicati nel preavviso di diniego ex art. 10-bis della legge n. 241 del 1990, la Soprintendenza ha rappresentato che l'intervento consiste in un'evidente modifica dell'attuale assetto dell'area, con l'inserimento di un sostegno porta antenne di notevole consistenza e sviluppo altimetrico all'interno di una zona pianeggiante a vocazione e destinazione agricola; verrebbe chiaramente percepito da un'ampia area di intervisibilità come un elemento del tutto avulso dal contesto e detrattore della qualità paesaggistica dei luoghi, senza alcuna possibilità di mitigazione, finendo per vanificare del tutto le finalità di tutela derivanti dalla situazione vincolistica gravante sul sito. 24. Le valutazioni formulate nel parere, connotate da discrezionalità tecnica, non appaiono manifestamente illogiche, ma danno conto, in modo esaustivo, delle ragioni del diniego, evidenziando, tra l'altro, come un'antenna di così elevata altezza e consistenza si innesti impropriamente nel contesto paesaggistico, con conseguente diminuzione della qualità paesaggistica dei luoghi e compromissione della finalità dei vincoli paesistici. 25. Emerge quindi con chiarezza che le controdeduzioni siano state discusse e valutate dalle amministrazioni coinvolte, ma non sono risultate idonee a dimostrare la compatibilità paesaggistica dell'intervento. 26. Non si condivide pertanto l'assunto del TAR per cui l'amministrazione non abbia dato conto della volontà di porre in essere ogni accorgimento idoneo alla mimetizzazione dell'impianto, non essendo ciò sufficiente a superare le criticità sollevate (cfr. punto 17). Non è neppure condivisibile la mancante puntuale motivazione o le specifiche indicazioni delle criticità, dovendo al contrario accertare una dettagliata analisi dei motivi ostativi. Il giudice di prime cure sostiene che la mimetizzazione sarebbe stata affrontata dall'autorità tutoria "solo" nel parere del 29.4.2022 e che la confutazione da parte della Soprintendenza sarebbe affetta di contraddittorietà e di inadeguatezza del giudizio. Ad avviso del Collegio tale vizio non è da accertare, essendo la base del rigetto la peculiare importanza paesaggistica dell'area, plurivincolata, e che i rispettivi valori tutelati - analiticamente indicati ed interpretati dalla Soprintendenza, senza alcun errore fattuale o logico - non consentono la realizzazione di un'opera come quella progettata, neppure se "camuffata" o "nascosta" dietro alberi. 27. In definitiva, essendo il diniego in contestazione un atto plurimotivato, nonostante ulteriori profili di doglianza evocati dall'appellante, come la contrarietà del progetto con il dettato del regolamento comunale, non può ritenersi illegittimo sulla base dei motivi d'impugnativa articolati dalla parte appellata. 28. La soccombenza determina la decisione sulle spese di lite che saranno liquidate nel dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie, e, in riforma della sentenza gravata, respinge il ricorso di primo grado. Condanna parte appellata alla refusione delle spese di lite del doppio grado di giudizio in favore all'appellante, che vengono liquidate in 5.000 Euro (cinquemila/00), oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Giancarlo Montedoro - Presidente Oreste Mario Caputo - Consigliere Roberto Caponigro - Consigliere Giovanni Gallone - Consigliere Thomas Mathà - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7611 del 2023, proposto da: So. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fr. Ga. La Ga., con domicilio digitale pec in registri di giustizia contro Agenzia del demanio, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Ministero delle imprese e del made in Italy, Capitaneria del porto di Taranto, Provveditorato interregionale alle opere pubbliche per Campania Molise Puglia e Basilicata, sede di Bari, Agenzia delle dogane e dei monopoli, Agenzia delle dogane - Direzione interregionale Puglia e Molise, congiuntamente rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui sono domiciliati in Roma, via (...) nei confronti Ministero dello sviluppo economico, regione Basilicata e comune di (omissis), non costituiti in giudizio per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata n. 382/2023. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio delle amministrazioni in epigrafe; Visti tutti gli atti della causa; Relatore il Cons. Laura Marzano; Udito, nell'udienza pubblica del giorno 21 maggio 2024, l'avvocato Fr. Ga. La Ga.; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. L'appellante ha impugnato la sentenza n. 382 del 12 giugno 2023 con cui il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata ha respinto il ricorso, integrato da motivi aggiunti, proposto per l'annullamento del provvedimento del 6 agosto 2021, con il quale la Direzione governo del patrimonio dell'Agenzia del demanio ha restituito non controfirmato lo schema di Decreto di sdemanializzazione dell'area demaniale marittima, sita nel comune di (omissis), foglio n. (omissis), particelle n. (omissis), di complessivi 34.937 mq., inviato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con nota del 12 gennaio 2021 e del provvedimento del 7 settembre 2021, con il quale la Direzione per la vigilanza sulle Autorità del sistema portuale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha concluso negativamente il procedimento. Le amministrazioni intimate si sono costituite nel presente grado di giudizio con atto formale ed hanno depositato documentazione inerente i fatti di causa. Con memoria conclusiva le amministrazioni hanno svolto le proprie difese chiedendo la reiezione dell'appello. Anche la parte appellante ha depositato memoria conclusiva ed entrambe le parti hanno replicato. Con nota depositata il 18 maggio 2024 la parte appellata ha chiesto la decisione della causa sugli scritti. All'udienza pubblica del 21 maggio 2024, sentito il difensore di parte appellante, la causa è stata trattenuta in decisione. 2. Con determinazione n. 68 del 17 giugno 2008 il Dirigente dell'Ufficio demanio marittimo della regione Basilicata ha rinnovato alla So. s.r.l., fino al 31 dicembre 2027, la concessione demaniale marittima dei terreni, siti nel comune di (omissis), foglio n. (omissis), particelle n. (omissis), aventi la superficie complessiva di 34.937 mq., dove la società gestisce un campeggio. Con istanza del 12 settembre 2019 la So. s.r.l. ha chiesto la sdemanializzazione della predetta area demaniale marittima. Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con provvedimento del 10 marzo 2020 ha respinto tale istanza per non "generare discontinuità e/o frammentazioni della linea dividente demaniale o la formazione di aree sdemanializzate a macchia di leopardo", ma successivamente, in vista del possibile accoglimento dell'istanza di riesame, con nota del 12 gennaio 2021 ha trasmesso all'Agenzia del demanio lo schema di decreto di sdemanializzazione, affermando che l'area aveva perduto i requisiti morfologici e funzionali della demanialità marittima. Con provvedimento del 6 agosto 2021 il Dirigente della Direzione governo del patrimonio dell'Agenzia del demanio ha restituito non controfirmato il predetto schema di decreto di sdemanializzazione, ritenendo "al momento perdurante l'interesse pubblico al mantenimento della destinazione demaniale dell'area". Con provvedimento del 7 settembre 2021 il dirigente della Direzione per la vigilanza sulle Autorità del sistema portuale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha concluso negativamente il procedimento, richiamando il predetto provvedimento del dirigente della Direzione governo del patrimonio dell'Agenzia del demanio del 6 agosto 2021. Quindi, con nota via pec del 20 luglio 2022 il comandante della Capitaneria di porto di Taranto, nel riscontrare la richiesta della So. dell'11 maggio 2022, volta ad ottenere la conclusione del citato procedimento di sdemanializzazione, ha comunicato la già avvenuta conclusione negativa dell'iter amministrativo, trasmettendo il predetto provvedimento ministeriale del 7 settembre 2021 e richiamando espressamente il dissenso espresso dalla Direzione governo del patrimonio dell'Agenzia del demanio. La società ha impugnato tali atti dinanzi al Tar Basilicata e, con successivi motivi aggiunti, ha integrato le censure formulate avverso il provvedimento del 6 agosto 2021, dopo che lo stesso è stato depositato in giudizio dall'amministrazione. 3. Il Tar Basilicata, dopo aver esposto le ragioni della ravvisata irricevibilità per tardività dei motivi aggiunti, ha comunque respinto l'intero gravame osservando che il dirigente della Direzione governo del patrimonio dell'Agenzia del demanio ha motivato il proprio parere contrario "oltre che per l'evidente discontinuità nella linea dividente demaniale del tratto in esame rispetto a quelli limitrofi, chiaramente evincibile dalle planimetrie depositate in giudizio, soprattutto per il costante processo, dopo gli anni sessanta, di arretramento della riva del mare e di erosione della spiaggia, che non garantisce, in applicazione dei principi di economicità, efficacia ed efficienza dell'azione amministrativa, una valorizzazione dei predetti terreni per la realizzazione di un altro pubblico interesse". Quindi ha escluso la sussistenza del dedotto difetto di motivazione spettando al Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili (in seguito: Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti) "l'accertamento della permanenza dell'attitudine del bene all'utilizzo degli usi pubblici del mare". 4. Ritenendo errata la sentenza, l'appellante l'ha impugnata contestando in via preliminare la rilevata ex officio tardività dei motivi aggiunti, sia per ragioni in rito, in quanto affermata dal Tribunale senza aver preventivamente sollecitato il contraddittorio sul punto, sia per ragioni sostanziali, facendo rilevare che il provvedimento presupposto è stato tempestivamente impugnato e ampiamente censurato con il ricorso introduttivo. Quindi ha sollevato la censura solo per evitare che sul punto si formasse un improprio "giudicato interno" che offrisse l'occasione, alle amministrazioni appellate, di proporre appello incidentale avverso la sentenza nella parte in cui non ha dichiarato l'irricevibilità dei motivi aggiunti. 1) Con il primo motivo l'appellante fa rilevare che, quantunque certamente spetti al Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili (in seguito: Ministero delle infrastrutture e dei trasporti) "l'accertamento della permanenza dell'attitudine del bene all'utilizzo degli usi pubblici del mare", aggiungendo di essere consapevole che lo stesso debba compiere un "apprezzamento" in ordine al carattere di "utilità strumentale" dell'area demaniale con riguardo ai potenziali usi del mare, osserva che, nel caso di specie, siffatti apprezzamenti sono stati espletati ed esternati in termini puntuali (come risulterebbe dalla copiosa documentazione versata in atti dalla difesa erariale): tuttavia il Tar si sarebbe limitato a ribadire genericamente la "competenza" di tale amministrazione ad esprimere siffatte valutazioni, senza considerare la specifica documentazione su cui poggiava il giudizio ministeriale che avallava la sdemanializzazione, documentazione che l'appellante richiama espressamente e valorizza. 2) Con il secondo motivo lamenta che nell'impugnata decisione dell'Agenzia del demanio non sarebbero stati considerati gli "elementi di fatto" individuati dal Ministero e le "relative valutazioni": circostanza denunciata ma della quale il Tar si sarebbe disinteressato. 3) Con il terzo motivo lamenta che il Tar ha ritenuto correttamente motivato il diniego dell'Agenzia del demanio senza considerare che, per espressa ammissione della stessa, non le è "stato possibile avere un chiaro quadro dell'iter che ha caratterizzato la sclassifica in esame" in quanto non le sarebbe mai "pervenuta" la documentazione istruttoria della Capitaneria del porto di Taranto e, in particolare, sia i verbali di sopralluogo (ricomprendenti anche eventuali manufatti suscettibili di condurre all'incameramento delle opere presenti) sia la "documentazione planimetrica". Quindi denuncia il difetto di istruttoria osservando che, come evidenziato in primo grado e trascurato dal Tar, la supposta carenza di documentazione istruttoria né potrebbe essere imputata al richiedente né potrebbe costituire ex se ragione di diniego, ma, al più, potrebbe consentire l'adozione di un atto soprassessorio o interlocutorio. Quanto al merito della vicenda l'appellante fa presente che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, assentendo la richiesta sdemanializzazione, ha escluso la creazione di una situazione di discontinuità nella dividente demaniale. Quindi osserva che, per opporsi agli elementi evidenziati dal Ministero, l'Agenzia del demanio avrebbe dovuto, non limitarsi a rilevare genericamente la discontinuità demaniale, bensì indicare nello specifico la consistenza ed il valore condizionante della stessa, in ossequio all'art. 35 del codice della navigazione. L'affermazione circa il fisiologico arretramento della spiaggia non avrebbe potuto giustificare il diniego tenuto conto che, come risulterebbe dalla documentazione in atti, "l'area in questione è posta a distanza dalla linea di costa tale da non essere interessata da riflessi negativi del moto ondoso": quindi l'Agenzia del demanio avrebbe speso una motivazione priva di riferimenti specifici al caso concreto e il Tar l'avrebbe avallata non avvedendosi della inconsistenza della stessa. 4) Con l'ultimo motivo l'appellante censura la sentenza nella parte in cui si sarebbe appiattita sulle difese dell'amministrazione in ordine all'osservazione che il procedimento di "ridefinizione" della linea demaniale, oggetto di specifico deliberato della Giunta regionale della Basilicata, che eliderebbe in radice ogni problematica in ordine all'opportunità di provvedere in senso conforme all'istanza della So., è attualmente solo nella fase di "adozione" e il relativo deliberato non è stato ancora recepito dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e dalla stessa Agenzia e, quindi, non può essere assunto quale elemento a supporto della "proposta" del Ministero: il Tar non avrebbe considerato che tale fase se non ha una forza "condizionante", costituirebbe un dato che andrebbe comunque considerato nelle determinazioni da assumere. 5. L'amministrazione nella memoria conclusiva ha insistito per la declaratoria di irricevibilità dei motivi aggiunti, ha contestato la fondatezza dell'appello e ha fatto rilevare che la chiesta sdemanializzazione creerebbe una sorta di "dente" nella dividente demaniale. Nella replica ha contestato la produzione documentale dell'appellante, che non risulterebbe estratta da alcuno dei sistemi ufficiali di cartografia e planimetria, ma sarebbe stata ricavata dal software "google earth". Fa rilevare che anche le strade pubbliche poste lateralmente all'area sono appartenenti al demanio pubblico dello Stato, ramo Marina mercantile, e osserva che l'area oggetto del contendere si inserirebbe in un contesto dinamico delicato. Infatti, con la deliberazione della giunta regionale n. 1667 dell'8 ottobre 2010 è stata adottata la variante al piano regionale per l'utilizzo delle aree demaniali marittime, approvato con delibera del consiglio regionale n. 940 del 16 febbraio 2005, il relativo rapporto ambientale, nonché le norme tecniche e il regolamento attuativo. Al riguardo l'amministrazione afferma che la destinazione e l'ubicazione delle particelle (omissis) del fg. (omissis), oggetto di attestazione da parte del comune di (omissis), lungi dal corroborare la tesi avversaria di una sorta di "sdemanializzazione" in punto di fatto delle aree per cui è causa, risponderebbero all'esigenza di consentire una migliore e più equilibrata fruizione del demanio marittimo, secondo le previsioni della variante al piano regionale per l'utilizzo delle aree demaniali marittime approvato con delibera del consiglio regionale n. 940 del 16 febbraio 2005: piano deputato alla salvaguardia dei vincoli ambientali. 6. Preliminarmente si osserva che, ai fini della decisione, è irrilevante ogni disquisizione circa la tardività dei motivi aggiunti, rilevata dal Tar, sulla quale insiste l'amministrazione appellata. Invero tale rilievo non è stato trasfuso in apposita declaratoria di irricevibilità e, d'altra parte, l'amministrazione non ha proposto appello incidentale: quindi i timori dell'appellante possono ritenersi ormai superati. Ciò posto, per dovere di completezza va osservato che, con il ricorso introduttivo, So. ha impugnato: - il "provvedimento prot. n. 14466 del 6 agosto 2021 con il quale l'Agenzia del Demanio - Direzione Governo del Patrimonio, Patrimonio e Beni Demaniali - ha negato la sussistenza dei presupposti per "controfirmare" lo schema di decreto già predisposto dal Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili onde "sdemanializzare" l'area demaniale marittima ricadente nel Comune di (omissis) (censita nel Catasto Terreni al Foglio (omissis), particelle (omissis)); nonché, per quanto di ragione, d'ogni altro atto conseguenziale e connesso, tra cui segnatamente: - la determinazione del Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili di cui alla nota prot. n. 17211 del 7 settembre 2021 con la quale è stato "recepito" il predetto provvedimento dell'Agenzia del Demanio; - la determinazione di cui alla nota prot. n. 24309 del 20 luglio 2022 con la quale la Capitaneria di Porto di Taranto, ha "chiuso il procedimento" comunicando alla ricorrente So. s.r.l. (che aveva avanzato istanza di "sdemanializzazione" dell'area de qua) sia il "dispositivo" del predetto provvedimento negativo dell'Agenzia del Demanio, sia il predetto atto con il quale il Ministero delle Infrastrutture e delle Mobilità Sostenibili ha "recepito" la decisione dell'Agenzia del Demanio". Dunque è evidente che, con il ricorso introduttivo, sono stati tempestivamente impugnati tutti gli atti lesivi. Nell'ambito di tale impugnazione, la ricorrente ha censurato nello specifico il provvedimento del 6 agosto 2021 dell'Agenzia del demanio, ricostruendone le ragioni. Tuttavia ha precisato che: "- atteso il silenzio mantenuto dall'Amministrazione in ordine alla definizione del procedimento di sdemanializzazione, la Società So. s.r.l., con istanza protocollata sub n. 13442 del 10 maggio 2022, ha sollecitato la Capitaneria di Porto di Taranto affinchè desse cognizione dei provvedimenti assunti in merito alla propria domanda (cfr. sub doc. all. n. 9 l'istanza avanzata); - la Capitaneria di Porto di Taranto -come già premesso- con atto di cui alla nota prot. n. 24309 del 20 luglio 2022 (cfr. il doc. citato sub all. n. 8) si è limitata a comunicare unicamente "la formale conclusione negativa dell'iter amministrativo atteso il "dissenso significato dall'Agenzia del Demanio" che ha ritenuto "al momento perdurare l'interesse pubblico al mantenimento della destinazione demaniale dell'area in oggetto" (senza unire il provvedimento di detta Agenzia: cfr. ancora il doc. citato sub all. n. 8)". Quindi ha riservato la proposizione di motivi aggiunti all'esito del deposito in giudizio del suddetto atto da parte dell'amministrazione ovvero di accesso agli atti. L'amministrazione ha poi depositato l'atto in giudizio e la ricorrente ha integrato le censure avverso detto provvedimento, formulando motivi aggiunti. La difesa erariale sostiene che tali motivi aggiunti sarebbero tardivi in quanto la Capitaneria di porto avrebbe allegato il suddetto atto alla comunicazione del 20 luglio 2022. Osserva il Collegio che, se è vero che la capitaneria di porto "dichiara" di allegare il parere dell'Agenzia del demanio, in realtà l'allegato non c'è, tant'è che la suddetta comunicazione si compone di una sola pagina, come ricavabile dal documento depositato dalla stessa amministrazione, in primo grado, come allegato n. 24, in data 11 gennaio 2023. D'altra parte non vi sarebbero state ragioni plausibili per le quali la So., pur proponendo il ricorso e articolando anche le relative censure, dovesse riservare la proposizione di motivi aggiunti all'esito della conoscenza integrale dell'atto. Ritiene pertanto il Collegio che, al netto della irrilevanza della questione, i motivi aggiunti vadano considerati tempestivi. 7. Tuttavia l'appello, i cui motivi possono essere esaminati in maniera complessiva in quanto fra loro strettamente connessi, è infondato. Non coglie nel segno la censura di difetto di motivazione formulata in primo grado e sostanzialmente riproposta. La motivazione fornita dall'Agenzia del demanio, per quanto affidata nel suo complesso a principi generali, tuttavia si sofferma su un profilo dirimente. L'Agenzia premette che "Il procedimento di sdemanializzazione, che come noto comporta ai sensi dell'art. 829 c.c., il passaggio dei beni dal demanio pubblico al patrimonio dello Stato, implica la scelta dell'Amministrazione di sottrarre il bene all'uso pubblico e di rinunziare definitivamente al suo ripristino" e aggiunge che "Tale scelta presuppone l'accertamento dell'avvenuta perdita dei requisiti morfologici e funzionali della demanialità dell'area, e quindi implica la valutazione di una molteplicità di interessi pubblici, di tipo ambientale, dominicale, idrogeologico, paesaggistico, che vengono posti in comparazione, per verificare se effettivamente sia divenuto insussistente l'interesse pubblico al mantenimento dell'originaria destinazione del bene". Sulla base di tali premesse l'Agenzia afferma che "la sclassifica della porzione di mq 34.937 richiesta dalla Società So. provocherebbe una notevole discontinuità nella linea dividente demaniale che nel tratto in esame e in quelli limitrofi presenta attualmente un andamento piuttosto regolare" e precisa che "gli approfondimenti sopra descritti hanno fatto emergere come l'area demaniale in esame sia inserita in un contesto dinamico delicato e che, pertanto, per tale fattispecie sarebbe opportuno coinvolgere nel procedimento di sdemanializzazione le più qualificate Amministrazioni che aiutino a preservare la molteplicità degli interessi pubblici che devono essere posti in comparazione nella procedura di sclassifica". Detta motivazione, a parere del Collegio, è adeguata e sufficiente a sorreggere il provvedimento di diniego, poggiando da una parte sul rilievo che la sclassifica di tale porzione di territorio provocherebbe una notevole discontinuità nella linea dividente demaniale e dall'altra sulla necessità di coinvolgere nel procedimento di sdemanializzazione anche le amministrazioni deputate alla salvaguardia degli interessi pubblici che devono essere posti in comparazione nella procedura di sclassifica. È altresì infondata la tesi dell'appellante secondo cui il provvedimento sarebbe viziato per difetto di istruttoria, ricavato oltre che dalla riferita necessità di coinvolgere altre amministrazioni anche dal rilievo che l'Agenzia avrebbe confessato l'incompletezza dell'istruttoria svolta laddove riferisce che non le è mai "pervenuta" la documentazione della Capitaneria del porto di Taranto e, pertanto, che non le è "stato possibile avere un chiaro quadro dell'iter che ha caratterizzato la sclassifica in esame". Sostiene l'appellante che, a fronte della rilevata incompletezza istruttoria, l'Agenzia avrebbe potuto, al più, adottare un provvedimento interlocutorio. Si tratta di una tesi non fondata. Non è superfluo ricordare che il provvedimento di sdemanializzazione sottende la decisione dell'amministrazione di sottrarre il bene all'uso pubblico e di rinunziare definitivamente al suo ripristino. Si tratta di una decisione che, oltre a implicare una non contestata (neanche dall'appellante) valutazione discrezionale che coinvolge molteplici aspetti, presuppone, più a monte, la volontà di privarsi di un bene pubblico: volontà che né può essere coartata da una istanza del privato o dalla proposta di altra amministrazione, né è suscettibile di essere censurata per difetto di motivazione o di istruttoria. Detti vizi sarebbero semmai configurabili qualora l'amministrazione, in una ipotesi esattamente opposta a quella in esame, derogando alla regola della natura pubblica di un bene appartenente al demanio marittimo, decida di sottrarlo a tale destinazione senza motivarne adeguatamente le ragioni e senza dar conto dell'istruttoria condotta per giungere all'accertamento del venir meno dell'attitudine del bene all'utilizzo degli usi pubblici, che nel caso di specie sono quelli connessi alla pubblica fruizione della costa e del mare. Infatti, a differenza di quanto previsto per il demanio in genere dall'art. 829 del codice civile, secondo cui il passaggio di un bene dal demanio pubblico al patrimonio ha natura dichiarativa e può avvenire anche tacitamente, per i beni appartenenti al demanio marittimo la sdemanializzazione non può realizzarsi in forma tacita, ma necessita, ai sensi dell'art. 35 del codice della navigazione di un decreto ministeriale, avente carattere costitutivo, il quale segue alla verifica, in concreto, della non utilizzabilità delle zone "per pubblici usi del mare": ciò stante la priorità della salvaguardia della proprietà pubblica rispetto alla privata (cfr. Cass. civ., sez. VI, 18 ottobre 2019, n. 26655). Né potrebbe questo giudice verificare se, sulla base delle evidenze documentali acquisite al giudizio, nel caso di specie ricorrano o meno i presupposti per la sdemanializzazione richiesta, essendo evidentemente tale potere riservato alle autorità competenti. Conclusivamente, per quanto precede, l'appello deve essere respinto e la sentenza deve essere confermata con diversa motivazione. 8. Le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate in ragione della natura delle questioni trattate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge, confermando la sentenza impugnata con diversa motivazione. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2024, con l'intervento dei magistrati: Claudio Contessa - Presidente Daniela Di Carlo - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere Laura Marzano - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8629 del 2023, proposto da Ca. Pe. Ci. e We. Società Co. di Pr. La. a r.l., rappresentati e difesi dall'avvocato Al. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Vicenza, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Lo. Ch. e Fe. Le., con domicilio eletto presso lo studio Fa. Fr. Fr. in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Prima n. 1235/2023, resa tra le parti, Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Vicenza; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2024 il Cons. Sara Raffaella Molinaro; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. La controversia riguarda la decadenza/revoca dell'autorizzazione di noleggio con conducente (NCC) rilasciata dal Comune di Vicenza al signor Ci. Pe. Ca.. 2. Il signor Ci. Pe. Ca. e We. Società Co. di Pr. La. a r.l. hanno impugnato: - il provvedimento del Comune di Vicenza 27 dicembre 2022 n. 0206284/2022 avente ad oggetto la decadenza/revoca dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività di noleggio con conducente n. 34; - la nota prot. 152737 del 27 settembre 2022 e la successiva nota prot. 172950 del 30 ottobre 2022 di avvio del procedimento amministrativo di revoca/decadenza dell'autorizzazione di NCC n. 34; - i rilievi della Polizia Locale di Vicenza prot. 14180 del 6 settembre 2022 e della nota prot. 141303/2022 della Polizia Locale di Vicenza; - gli atti presupposti e conseguenti; 3. Il Tar Veneto ha respinto il ricorso con sentenza 28 agosto 2023 n. 1235. 4. Il signor Ci. Pe. Ca. e We. Società Co. di Pr. La. a r.l. hanno appellato la sentenza con ricorso n. 8629 del 2023. 5. Nel corso del giudizio di appello si è costituito il Comune di Vicenza. 6. All'udienza del 9 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 7. L'appello è infondato. 8. Con il primo motivo l'appellante ha dedotto l'erroneità della sentenza nella parte in cui il Tar ha ritenuto che "la contestazione sostanziale mossa al titolare della licenza è di avere svolto stabilmente il servizio a Roma anziché - come dovuto - a favore della comunità di Vicenza". 8.1. Con il secondo motivo l'appellante ha dedotto l'erroneità della sentenza nella parte in cui il Tar ha ritenuto mancante la rimessa nel territorio del Comune. 8.2. I motivi sono infondati. 8.3. La vicenda si riassume nei termini che seguono. Con nota del 26 settembre 2022 il Comune ha comunicato al signor Ci. l'avvio del procedimento di revoca/decadenza dell'autorizzazione rilasciatagli. Dagli accertamenti svolti è infatti risultato: - l'inesistenza nel territorio comunale della via nella quale sarebbe stata ubicata la sede operativa dichiarata; - la mancanza di alcun collegamento fra la rimessa di via (omissis) e l'appellante e l'inidoneità della stessa a ospitare la vettura; - la mancanza di residenza nel territorio comunale e la residenza dello stesso a Roma; - la non titolarità di alcuna impresa. Con la medesima nota il Comune ha chiesto di: - fornire chiarimenti in ordine alla sede operativa e alla rimessa posseduti; - fornire il foglio di viaggio di cui agli artt. 11, commi 4, e 4 bis, della legge n. 21 del 1992, relativo ai 90 giorni precedenti il ricevimento della medesima nota; - indicare la forma di esercizio dell'attività ; - precisare il territorio di esercizio dell'attività . L'appellante ha presentato due memorie procedimentali in cui ha rappresentato di: - disporre di una rimessa in Vicenza, via (omissis), ove sarebbe localizzata anche la richiesta sede operativa e di avere comunque acquisito la disponibilità di una seconda autorimessa nel Comune; - quanto ai fogli di servizio richiesti, avere svolto un servizio a tempo dal 12 settembre 2022 al 27 settembre 2022 a Roma in favore della ditta Ri. Ex. Pl. di Pa. Em. Sa., con sede a Roma, e di non disporre dei fogli di servizio relativi al periodo precedente in quanto non oggetto di obbligo di conservazione; - avere conferito "illo tempore" l'autorizzazione alla We. Società Co. di Pr. La. a r.l., con sede a Roma; - svolgere l'attività correlata all'autorizzazione nel Comune di Vicenza. Con provvedimento del 27 dicembre 2022 il Comune ha ritenuto non superate le contestazioni mosse con la comunicazione di avvio del procedimento ("permangono le motivazioni che hanno dato luogo all'avvio del succitato procedimento amministrativo"), disponendo la decadenza/revoca dell'autorizzazione per difetto sia dei "necessari requisiti organizzativi di sede operativa e rimessa ", sia dei "requisiti funzionali relativi all'esigenza di prestare il proprio servizio di noleggio prevalentemente all'interno del territorio comunale di riferimento (pur con i temperamenti indicati dalla stessa Corte Costituzionale)". 8.4. Il provvedimento qui impugnato è quindi connotato dall'essere basato su una pluralità di presupposti. Fra le ragioni dello stesso è compreso il mancato rispetto dell'obbligo di prestare il servizio prevalentemente nel territorio comunale di riferimento, cioè quello di Vicenza. Contrariamente a quanto dedotto dall'appellante, la contestazione non è limitata "all'assenza della vettura dalla rimessa nei giorni 11.08.2022 e 05.09.2022, quando la Polizia Locale ha fatto un sopralluogo nel cortile condominiale" e "l'assenza dalla rimessa per 17 giorni, per altro non continuati ma discontinui". Come risulta dal provvedimento impugnato, infatti, non sono gli episodi specifici a giustificare la decisione amministrativa ma il fatto che da detti episodi si evinca "il mancato svolgimento del servizio di noleggio con conducente a favore della collettività locale". Rispetto a detta conclusione, che si rinviene nel dispositivo della determina ed è accompagnata dalla considerazione che permane "l'esigenza di prestare il proprio servizio di noleggio prevalentemente all'interno del territorio comunale di riferimento" anche dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 56 del 2020, le suddette circostanze di fatto costituiscono indici sintomatici. La conclusione alla quale è giunto il Comune è il mancato svolgimento del servizio in via prevalente a favore della comunità locale, mentre l'Amministrazione non ha lamentato, contrariamente a quanto affermato dall'appellante, che "non si possano svolgere servizi anche al di fuori del territorio comunale". Pertanto l'assunto in forza del quale è ammissibile l'allontanamento per un periodo circoscritto di tempo dal territorio vicentino non è di per sé dirimente in quanto l'Amministrazione non ha giustificato il provvedimento in ragione di quello specifico allontanamento ma ha desunto da quella circostanza, oltre che da altre circostanze a dalla mancata prova contraria, che sia mancato lo svolgimento del servizio in via prevalente a favore della comunità locale. Gli indici fattuali dai quali il Comune ha desunto la conclusione sono, non solo "l'assenza della vettura dalla rimessa nei giorni 11.08.2022 e 05.09.2022" e l'"l'assenza dalla rimessa per 17 giorni", ma anche la residenza romana dell'appellante (e della Cooperativa), e la tematica della rimessa e della sede operativa (su cui infra). Né l'appellante ha allegato e comprovato elementi dai quali desumere lo svolgimento del servizio in via prevalente a favore della comunità vicentina. Non sono in tal senso sufficienti i rilievi relativi all'avvenuto trasferimento dell'autorizzazione alla Cooperativa We., che nulla dice in merito all'attività concretamente espletata, e alla differenza fra residenza e domicilio, argomentata solo in via teorica. Gli stessi assunti relativi alla rimessa e alla sede operativa (su cui infra) non sono di per sé dirimenti, in presenza di un generale quadro istruttorio carente di elementi dai quali desumere il concreto svolgimento dell'attività in via prevalente a favore della comunità locale. La mancata allegazione e comprova dell'attività svolta nel territorio vicentino da parte dell'appellante nel corso del procedimento è determinante in quanto la prova di un'omissione è una prova diabolica (non potendo essere resa l'evidenza dell'omesso svolgimento di ogni possibile fatto che in positivo superi l'omissione), che pertanto richiede la collaborazione di colui che (in tesi) omette un certo comportamento. Quest'ultimo è onerato di apportare gli elementi positivi idonei a superare la prospettazione omissiva, anche in ragione del criterio della vicinanza della prova. Pertanto l'Amministrazione non ha violato i propri poteri e doveri istruttori, assumendo la prova di una pluralità di fatti sintomatici, di per sé non esaustivi ma la cui portata probante deriva dal fatto che sono plurimi e dalla non esaustività delle difese procedimentali dell'appellante. L'accertamento compiuto in merito al mancato svolgimento del servizio in via prevalente a favore della comunità locale è determinante anche a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 56 del 2020, che ha confermato che il servizio di NCC ha vocazione locale e "mira a soddisfare, in via complementare e integrativa, le esigenze di trasporto delle singole comunità, alla cui tutela è preposto il Comune che rilascia l'autorizzazione" (Corte cost. 26 marzo 2020 n. 56). Ai sensi dell'art. 3 della legge n- 21 del 1992 il servizio di NCC si rivolge infatti a una "utenza specifica", che "avanza, presso la sede o la rimessa, apposita richiesta per una determinata prestazione a tempo e/o viaggio anche mediante l'utilizzo di strumenti tecnologici" (comma 1), la sede operativa del vettore e almeno una rimessa "devono essere situate nel territorio del comune che ha rilasciato l'autorizzazione" (comma 3). L'art. 11 della legge n. 21 del 1992 impone ai titolari delle autorizzazioni NCC di ricevere nuove prenotazioni presso la rimessa o la sede e di iniziare e terminare ogni singolo servizio presso le rimesse medesime, nonché di compilare e tenere un "foglio di servizio in formato elettronico" riportante i dati del servizio svolto". In tale contesto normativo la Corte costituzionale, nel dichiarare costituzionalmente illegittimo l'obbligo di iniziare e terminare ogni singolo servizio di NCC presso le rimesse, con ritorno alle stesse, in quanto "aggravio organizzativo e gestionale irragionevole", ha confermato la configurazione del servizio in funzione prevalentemente locale. 11.5. Quanto sopra è sufficiente a giustificare l'adozione del provvedimento gravato. In ogni caso si rileva quanto segue con riferimento all'ulteriore motivo alla base del provvedimento impugnato, cioè la mancanza dei "necessari requisiti organizzativi di sede operativa e rimessa ", che costituiscono elementi aventi una portata autonoma rispetto alla revoca/decadenza dall'autorizzazione". Al riguardo si rileva che quanto meno con riferimento alla sede operativa, il provvedimento non risulta censurabile. Quanto alla sede si rileva infatti che l'appellante ha dichiarato, prima dell'avvio del procedimento, di avere la sede operativa in Vicenza, via (omissis). Con la comunicazione di avvio del procedimento l'Amministrazione ha dato conto dell'inesistenza nel territorio comunale della via nella quale sarebbe stata ubicata la sede operativa dichiarata. Con la prima memoria procedimentale, così come con la seconda memoria, l'appellante ha dedotto che la sede operativa che rileva è quella della Cooperativa We., intestataria dell'autorizzazione, che ha la sede in Vicenza, via (omissis), come da visura. Dalla visura risulta che a Vicenza, in via (omissis) vi è un'"unità locale", che consiste in un'"autorimessa". Quanto alla sede operativa si rileva che l'appellante ha inizialmente dichiarato circostanze non confermate, quale la via nella quale sarebbe stata ubicata la sede operativa, rivelatasi inesistente nel territorio del Comune di Vicenza. Ciò comporta quanto meno una violazione del dovere di buona fede e leale collaborazione nel rapporto amministrativo (art. 1 comma 2 bis legge n. 241 del 1990), che non ha contribuito a superare il rilievo. Né le prove addotte in sede procedimentale raggiungono detto scopo. Nella visura estratta il 23 marzo 2021, depositata dal Comune, non risultano riferimenti alla sede di Vicenza. Neppure nella visura estratta il 10 agosto 2022 si trova cenno alla "sede" di Vicenza, rinvenendosi piuttosto un riferimento all'"unità locale" che consiste in un'"autorimessa" (così testualmente dalla visura) mentre l'art. 3 della legge n. 21 del 1992 distingue la sede operativa dalla rimessa. D'altro canto, anche il contratto di comodato d'uso gratuito ha ad oggetto l'autorimessa. Peraltro l'appellante ha dichiarato di gestire i servizi "anche a mezzo di tecnologia informatica, presso la sede operativa", pertanto il locale adibito a rimessa non risulta a tal fine sufficiente (così come evidente dalle immagini prodotte). Sulla base della documentazione addotta non può quindi essere censurato il provvedimento impugnato laddove fa riferimento all'"assenza di una sede operativa sul territorio comunale". Quanto alla rimessa l'appellante ha dedotto, con la prima memoria procedimentale, che in via (omissis) vi è un'autorimessa idonea al parcheggio dell'autovettura (e ha allegato immagini a tal fine) e ha prodotto il contratto di comodato. Sempre con la prima memoria procedimentale ha rappresentato di avere "preso in locazione una nuova rimessa sempre in Vicenza presso il Ga. Ca. in Via (omissis), ciò al fine di disporre di una seconda rimessa più comoda (cfr. contratto di locazione del 01/10/2022, che si allega)". Le foto e il video prodotti danno infatti conto di una rimessa alquanto angusta in via (omissis). Nella stessa prima memoria si legge altresì che "l'attività di ncc con autorizzazione n. 34 è svolta nel Comune di Vicenza in Via (omissis), tramite la Cooperativa We., con sede operativa e rimessa in tale luogo come risulta anche dalla visura camerale allegata". Rimane quindi confusa la difesa procedimentale dell'appellante, non risultando chiarito l'intestatario della rimessa, se l'appellante, sottoscrittore del contratto di comodato, o la Cooperativa We., che dalla visura risulta avere un'autorimessa in via (omissis). Si aggiunge che l'art. 9 comma 1 lett. g del regolamento comunale ha declinato il presupposto della rimessa nel senso che essa sia "aperta al pubblico, sita nel territorio comunale, presso la quale i veicoli sostano e sono a disposizione dell'utenza". Gli accertamenti compiuti dalla polizia locale danno evidenza al fatto che si tratta di un garage condominiale, rispetto al quale non è comprovata l'apertura al pubblico. La seconda rimessa risulta sopravvenuta e quindi non idonea a superare il rilievo. 9. L'appellante ha poi riproposto la censura di violazione delle regole del giusto procedimento e di mancata rispondenza del provvedimento finale con il "preavviso di revoca" e provvedimento finale. 9.1. Il motivo è infondato. 9.2. Il procedimento si è svolto secondo una scansione procedimentale che ha consentito l'esercizio del contraddittorio e delle prerogative difensive. Né è idonea ad inficiare la legittimità del provvedimento, plurimotivato nei termini sopra esposti, la circostanza che, a seguito delle osservazioni difensive, il Comune non abbia disposto un accertamento in loco in merito all'adeguatezza della rimessa sita in via (omissis), atteso che ha comunque acquisito l'istruttoria svolta dalla polizia locale e, in ogni caso, non sarebbe stata risolutiva (rispetto agli ulteriori rilievi addotti). Quanto al "preavviso di revoca" l'appellante ha riproposto il motivo formulato in primo grado, che fa riferimento alla comunicazione 27 settembre 2022. Il cui contenuto è sopra riferito ed è alquanto ampio, idoneo a supportare, come già sopra illustrato, le conclusioni alle quali il Comune è pervenuto con il provvedimento impugnato. 10. Con ulteriori motivi l'appellante ha riproposto la censura di violazione dell'art. 3 della legge n. 281 del 1992, che consente di svolgere il servizio anche fuori dal territorio comunale. 10.1. I motivi sono infondati. 10.2. Come già sopra illustrato il motivo della decisione amministrativa non è il fatto che l'appellante abbia svolto per un periodo di tempo il servizio sul territorio del Comune di Roma ma il fatto che lo stesso non abbia svolto in modo prevalente il servizio a favore della comunità vicentina. Pertanto l'Amministrazione non ha violato l'art. 11 comma 4 terzo periodo della legge n. 21 del 1992, laddove stabilisce che il servizio può essere svolto "senza vincoli territoriali di prelevamento e di arrivo a destinazione dell'utente", ma si è piuttosto concentrata nell'assicurare il rispetto dell'obbligo di soddisfare le "esigenze di trasporto delle singole comunità, alla cui tutela è preposto il comune che rilascia l'autorizzazione" (Corte cost. 26 marzo 2020 n. 56). Non sono quindi conducenti gli assunti spesi dall'appellante per dimostrare la possibilità del conducente NCC di svolgere il servizio anche fuori dal territorio comunale. 11. Con ultimo motivo l'appellante ha dedotto la violazione dle regolamento comunale non sussistendo (in tesi) i presupposti ivi previsti per l'adozione del provvedimento assunto. 11.1. Il motivo è infondato. 11.2. Si premette che il provvedimento de quo è da qualificare in termini di decadenza dell'autorizzazione ai sensi dell'art. 41 del regolamento comunale, in quanto nel provvedimento di dà conto del venir meno dei requisiti dell'autorizzazione (previsti dagli artt. 9 e 10), come richiesto dall'art. 41 del regolamento comunale per la revoca, e non dei presupposti della revoca, indicati nel successivo art. 42 nella mancata ottemperanza al provvedimento di sospensione, nella ricezione di due provvedimenti di sospensione adottati negli ultimi tre anni che abbiano comportato una sospensione complessiva superiore a gg. 30, nella commissione, nel medesimo termine, di una ulteriore violazione per la quale sia prevista la sospensione e nell'irregolarità di particolare gravità ritenute incompatibili con l'esercizio del servizio. In particolare nel caso di specie viene in evidenza il venir meno di uno dei requisiti di cui all'art. 9, cioè il "disporre di una sede, dotata almeno di recapito specifico con telefono fisso, o di una rimessa, aperta al pubblico, sita nel territorio comunale, presso la quale i veicoli sostano e sono a disposizione dell'utenza". Anche il mancato svolgimento del servizio a vantaggio prevalentemente del territorio di riferimento è stato qualificato dall'Amministrazione quale "requisito funzionale", così come interpretato dalla Corte costituzionale (nei termini sopra richiamati) alla luce della legge n. 21 del 1992, di cui il regolamento costituisce attuazione. Sicché il provvedimento de quo è un provvedimento di decadenza, i cui presupposti sono integrati nei termini sopra esposti. Non si pone quindi un tema di violazione del regolamento comunale con riferimento alla revoca (per la quale è previsto quale presupposto anche la recidiva, che invece non costituisce requisito della decadenza) o alla sospensione, aspetti sui quali si appunta il motivo in esame. 12. In conclusione, l'appello va respinto. La particolarità delle questioni giuridiche sottese alla presente controversia giustificano la compensazione delle spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge, confermando, per l'effetto, la sentenza impugnata. Spese del presente grado di giudizio compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Paolo Giovanni Nicolò Lotti - Presidente Valerio Perotti - Consigliere Alberto Urso - Consigliere Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere Sara Raffaella Molinaro - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: FEDERICO SORRENTINOPresidente ORONZO DE MASIConsigliere-Rel. LIBERATO PAOLITTOConsigliere MILENA BALSAMOConsigliere FRANCESCA PICARDIConsigliere Oggetto: *REGISTRO INVIM ACCERTAMENTO Ud.17/05/2024 PU ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 18299/2020 R.G. proposto da: COMUNE ALBETTONE, COMUNE BARBARANO MOSSANO, COMUNE MOSSANO, COMUNE CAMPIGLIA DEI BERICI, COMUNE MOSSANO CASTEGNERO, COMUNE NANTO, COMUNE POJANA MAGGIORE, COMUNE ROVOLON, COMUNE BARBARANO VICENTINO, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DI VILLA SACCHETTI 9, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MARINI (MRNGPP68T13H501O) che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato ANDREA GIOVANARDI (GVNNDR67H26L157A). -ricorrente- contro AGENZIA DELLE ENTRATE, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587) che ex lege lo rappresenta e difende. -controricorrente- nonché AGENZIA ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE VICENZA -intimato- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. VENETO n. 954/2019, depositata il 23/10/2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/05/2024 dal Consigliere ORONZO DE MASI. Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Stanislao De Matteis, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso. Uditi i difensori di entrambe le parti. FATTI DI CAUSA Con sentenza n. 954/2019, depositata il 23/10/2019, la CTR del Veneto ha riformato la pronuncia di primo grado, che aveva accolto il ricorso presentato dai suindicati Comuni contro l'avviso di liquidazione n. 2013/001/SC/000000075, del 26/8/2015, relativo alle imposte di registro, ipotecaria e catastale (il cui importo veniva successivamente ridotto in autotutela), tributi dovuti in relazione alla sentenza n. 75/13, depositata il 17/1/2013, del Tribunale di Vicenza, che aveva disposto, in sede di giudizio divisiorio, lo scioglimento della comunione del cessato Consorzio Intercomunale per la realizzazione e gestione degli impianti di distribuzione del gas (c.d. ‘metanizzazione’), attribuendo ai Comuni di Albettone, Barbarano Vicentino, Campiglia dei Berici, Castegnero, Nanto, Pojana Maggiore e Rovolon, la piena proprietà, per l’intero, degli impianti (tubazioni, cabine principali, cabine di zona, ecc.) già realizzati dal Consorzio ed insistenti nei rispettivi territori comunali e condannando, altresì, i Comuni di Albettone, Barbarano Vicentino, Campiglia dei Berici, Castegnero e Nanto, al pagamento dei conguagli in denaro in favore dei Comuni di Alonte, Asigliano Veneto, Mossano, Pojana Maggiore, Rovolon, San Germano dei Berici e Villaga. Il giudice di primo grado aveva ritenuto gli impianti per la distribuzione del gas, beni immobili demaniali incommerciabili, come tali non soggetti alle imposte di registro, ipotecaria e catastale, per cui anche le disposte restituzioni dei beni medesimi ai Comuni da parte del Consorzio comunale andavano esenti dalle imposte, non essendo violato l’art. 2, comma 1, l. n. 692 del 1981. Il giudice di appello, invece, osservava che si tratta di beni patrimoniali indisponibili, perciò, commerciabili ancorché gravati da uno specifico vincolo di destinazione, essendo necessari per lo svolgimento del servizio pubblico di distribuzione del gas, e che tali beni possono formare oggetto di negozi traslativi di diritto privato. Aggiungeva che la previsione dell’art. 118, comma 2, d.lgs. n. 267 del 2000, secondo cui sono esenti dalle imposte le restituzioni di beni a Comuni da parte di Consorzi Comunali, è di stretta interpretazione e non si applica, quindi, nelle ipotesi di scioglimento della comunione con sentenza dell’autorità giudiziaria, come avvenuto nel caso di specie. Avverso la sentenza della CTR, che ha confermato la legittimità dell’avviso impugnato (nell’importo ridotto in autotutela), i contribuenti hanno proposto ricorso per cassazione, formulando quattro motivi d'impugnazione. L'Agenzia delle entrate si è difesa con controricorso. Il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale Stanislao De Matteis, ha depositato le proprie conclusioni, chiedendo l’accoglimento del ricorso. La controricorrente ha depositato una memoria difensiva. RAGIONI DELLA DECISIONE Con il primo motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod.proc.civ., è dedotta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 36, d.lgs. n. 546 del 1992, in riferimento all’art. 2, comma 1, l. n. 692 del 1981, per avere la CTR incomprensibilmente escluso l'applicabilità dell'esenzione ivi prevista da detta norma che dispone che le sentenze di scioglimento di promiscuità tra Comuni sono esenti da imposte di registro, ipotecaria e catastale, ipotesi che ricorre nel caso di specie trattandosi di scioglimento di comunione di beni mediante divisione giudiziale. Con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod.proc.civ., è dedottala violazione e la falsa applicazione dell'art. 2, comma 1, l. n. 692 del 1981, per avere la CTR erroneamente escluso l'applicabilità dell'esenzione nella esaminata fattispecie, benché agevolmente sussumibile nella invocata previsione normativa. Con il terzo motivo, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod.proc.civ., è dedotta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 36, d.lgs. n. 546 del 1992, in riferimento all’art. 118, d.lgs. n. 267 del 2000, per avere la CTR incomprensibilmente escluso l'applicabilità, affermata dal primo giudice, dell'esenzione prevista da detta norma, che non distingue tra restituzione di beni conseguente ad atti negoziali e provvedimenti giudiziari, all’ipotesi di scioglimento della comunione con sentenza dell’autorità giudiziaria. Con il quarto motivo, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod.proc.civ., è dedotta la violazione e la falsa applicazione dell'art. 2, comma 1, l. n. 692 del 1981 e dell’art. 8, comma 1, lett. a), Parte Prima della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, per avere la CTR erroneamente escluso l’applicazione di una agevolazione fiscale che riguarda la retrocessione di complessi di beni nell’ambito di procedure di liquidazione di aziende municipali e provinciali o di aziende speciali, a prescindere dalla tipologia di atto (negoziale o giudiziale) che la realizza, come pure previsto dal richiamato art. 8 secondo cui si applicano agli atti giudiziari “le stesse imposte stabilite per i corrispondenti atti” negoziali. Il primo ed il terzo motivo di ricorso, esaminabili congiuntamente, vanno disattesi. La sentenza impugnata non è affetta dal dedotto vizio della nullità perché il giudice di secondo grado, dopo avere riportato le ragioni delle parti ed il contenuto della decisione di primo grado, non si è affatto limitato ad affermare che l'appello dell'Agenzia delle Entrate era meritevole di accoglimento, senza svolgere alcuna ulteriore argomentazione dalla quale potersi, anche implicitamente, desumere l'adesione all’una o all'altra delle tesi difensive svolte. Va, al riguardo, considerato che nella sentenza si afferma la non estensibilità alla fattispecie esaminata di trattamenti tributari previsti per altre e diverse fattispecie, tanto se riferite ad atti negoziali, quanto a provvedimenti giudiziari, atteso il principio di tassatività delle agevolazioni tributarie per cui le cui disposizioni che le prevedono «sono di stretta interpretazione e non possono essere applicate al di fuori delle ipotesi tassativamente previste.» Le censure di parte ricorrente, quindi, si pongono in antitesi al costante insegnamento di questa Corte secondo cui sussiste il vizio di nullità della sentenza per omessa motivazione, allorché essa sia priva dell'esposizione dei motivi in diritto sui quali è basata la decisione (Cass. n. 16581/2009; n. 18108/2010; n. 22652/2015). La C.T.R. non ha soltanto fatto proprie le deduzioni svolte nell'appello dall'Agenzia delle Entrate, ha fatto richiamo, per quanto concerne la natura giuridica dei beni oggetto di divisione, sia pure mediante rinvio per relationem, ai vincoli ed alle finalità pubbliche degli impianti oggetto di causa, nonché a «giurisprudenza e pareri della Corte di Cassazione, Tribunali Amministrativi Regionali e Corte dei Conti.» Il secondo ed il quarto motivo di ricorso, esaminabili congiuntamente, vanno anch’essi disattesi. Questa Corte (Cass. 33969/2021) ha già avuto modo di chiarire come sia di fondamentale importanza distinguere le diverse fattispecie disciplinate dai due commi dell'art. 118 d.lgs. n. 267 del 2000, sui quali le deduzioni dei ricorrenti insistono anche in questa sede di legittimità. Il comma 1 dell'art. 118, d.lgs. n. 267 del 2000, attiene ai trasferimenti di beni mobili o immobili operati dai comuni, dalle province o dai loro consorzi in favore delle aziende speciali o delle particolari società indicate nell'art. 113, comma 13, dello stesso d.lgs. (società a totale e incedibile partecipazione pubblica). Si deve, invece, evidenziare che le fattispecie descritte nel comma 2 dell'art. 118 d.lgs. citato, estendono l'ambito applicativo dell'esenzione stabilita dal comma 1, ad ipotesi che, in assenza di tale previsione, non avrebbero potuto godere dell'esenzione. Il comma 2 riguarda, in particolare, i trasferimenti o le retrocessioni di aziende, rami di aziende o compendi aziendali, già appartenenti ad aziende municipali o provinciali o ad aziende speciali, purché conferiti a società per azioni costituite per continuare a svolgere lo stesso servizio pubblico. Coloro che operano detti trasferimenti non sono i comuni o le province o i loro consorzi, come nel comma 1, ma sono le aziende municipali o provinciali o le stesse aziende speciali, che cessano la loro attività e che operano passaggi di proprietà di complessi aziendali, per consentire lo svolgimento da parte di altri (le società indicate) del medesimo servizio pubblico fino ad allora svolto. Come ha precisato la sentenza sopra richiamata «(n)ello stesso comma 2 sono anche menzionati i conferimenti di aziende, di complessi aziendali o di alcuni loro rami da parte delle province e dei comuni in sede di costituzione o trasformazione dei consorzi già esistenti nei consorzi disciplinati dall'art. 31 d.lgs. cit. o in sede di costituzione di determinate società, diverse da quelle menzionate nel primo comma dello stesso articolo. In tali ipotesi, non si tratta di trasferimenti in favore di aziende speciali o delle società a totale e partecipazione pubblica menzionate nel primo comma, ma di conferimenti aziendali in sede di costituzione (o di trasformazione) di aziende speciali consortili e di altre tipologie di società. (…) In tutti i casi appena illustrati, la circolazione attiene a beni che servono per l'erogazione di servizi pubblici locali, i quali vengono affidati a soggetti diversi dall'ente locale. Le esenzioni sono, infatti, finalizzate a favorire, in modo differenziato a seconda delle diverse fattispecie regolate, il passaggio di beni funzionale alla gestione dei menzionati servizi pubblici dagli enti locali (o dai loro consorzi) alle aziende speciali o a specifici enti che, nell'ottica del legislatore, possono svolgere i servizi pubblici con maggiore efficienza, essendo dotati di organizzazione imprenditoriale.» La fattispecie sottoposta all’esame della Corte riguarda tutt’altra fattispecie (pag. 4 del ricorso) e segnatamente il trasferimento, ad opera del Commissario liquidatore, del compendio di beni precedentemente posseduto dal disciolto Ente consortile che aveva eseguito una serie di opere che hanno permesso la ‘metanizzazione’ dei Comuni di Albettone, Barbarano Vicentino, Campiglia dei Berici, Castegnero, Nanto, Pojana Maggiore e Rovolon, beni oggetto di comunione e, quindi da dividere, salvo conguagli in denaro, tra i vari enti territoriali. Ciò ha comportato, in difetto di accordo tra le parti, l’espletamento del giudizio conclusosi con la tassata (ex artt. 34, d.P.R. n. 131 del 1986, 1 e 8, della Tariffa, Parte Prima, allegata al d.P.R. cit.) sentenza n. 75/2013 del Tribunale di Vicenza che ha disposto lo scioglimento, con previsione di conguagli, della predetta comunione, sol perché i beni sono ritornati ai Comuni, ipotesi non immediatamente riconducibile a quelle specificamente esentate dalle imposte di registro, ipotecaria e catastale. Esclusa, nel caso di specie, la natura dichiarativa della divisione, stante la rilevanza tributaria dei conguagli ai fini della configurabilità dell’effetto traslativo, va ricordato, come più volte affermato dalla Corte (Cass. n. 4858/2024; v. anche Cass., n. 16220/2021; n. 34487/2021; n. 2378/2022 e n. 11836/2022), che «il trattamento tributario è fissato dall'art. 34 del d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 per ogni ipotesi di divisione in cui i condividenti ricevano beni di valore non corrispondente (quindi, maggiore o minore rispetto) a quello delle rispettive quote sulla massa comune, non rilevando che tale differenza di valore formi oggetto di rinuncia, seppur con animus donandi, da parte dell’avente diritto.» E’ stato, al riguardo, ulteriormente precisato (Cass. n. 27409/2020, in motivazione), che «la divisione con la quale ad un condividente sono assegnati beni per un valore complessivo eccedente quello a lui spettante sulla massa comune, è considerata vendita limitatamente alla parte eccedente; in forza del cit. art. 34, l'eccedenza di valore dei beni assegnati rispetto alla quota sulla massa comune (c.d. conguaglio) è invariabilmente sottoposta al trattamento tributario della compravendita, non rilevando che i condividenti che ricevono di meno rinunzino - per spirito di liberalità, verso un corrispettivo o a scopo di adempimento - a ricevere una prestazione pecuniaria (di corrispondente ammontare) dai condividenti che ricevono di più, dal momento che la mutevole funzione delle pattuizioni intercorse al riguardo tra i condividenti viene ad essere neutralizzata dalla predeterminazione normativa dell'unicità di trattamento tributario». La disposizione in esame sottopone la divisione con conguagli ad un trattamento fiscale specifico, indipendentemente dalla volontà delle parti (cioè dal fatto che l’assegnazione ad un condividente di una quota maggiore rispetto a quella a lui spettante comporti per l’interessato il pagamento di un corrispettivo o meno); per completezza, sul punto, si vedano anche Cassazione, n. 16220/2021, n. 34487/2021, n. 2378/2022 e n. 11836/2022. Dalla lettera della norma si rileva in modo inequivocabile che il legislatore ha voluto sottoporre la fattispecie in esame ad un trattamento fiscale specifico, indipendentemente dalla volontà delle parti ovvero dalla presenza di un corrispettivo; del resto lo stesso principio di tassatività è espresso nel secondo comma dello stesso articolo che disciplina la tassazione dei conguagli. Neppure appare utile, a supportare le deduzioni dei Comuni ricorrenti, il riferimento all’art. 2, l. n. 692 del 1981, che prevede l’esenzione dalle imposte per le stabilisce l’esenzione fiscale per gli atti giudiziari e amministrativi regolati dalla legge 16 giugno 1927 n. 1766 e relativo regolamento di esecuzione e atti di alienazione debitamente autorizzati relativi ai beni di demanio civico. Appare, allora, evidente l’inapplicabilità della disposizione (art. 1. L. n. 692 del 1981) che prevede che le “Sentenze, ordinanze e decreti di restituzione delle terre a comuni o associazioni agrarie, scioglimenti di promiscuità tra i detti enti, liquidazione di usi civici, legittimazioni, assegnazioni di terre e atti dei procedimenti previsti dalla legge 16 giugno 1927, n. 1766, e relativo regolamento di esecuzione, approvato con regio decreto 26 febbraio 1928, n. 332, sono esenti da tasse di bollo e registro e da altre imposte. Beneficeranno della stessa esenzione anche le vendite debitamente effettuate da comuni ed associazioni a seguito di autorizzazione ai sensi dell'articolo 12 della legge 16 giugno 1927, n. 1766, sempre che l'atto di autorizzazione precisi le finalità di pubblico interesse perseguito con la vendita e la condizioni alla loro realizzazione”. La materia del trattamento tributario dei terreni gravati da usi civici appare, invero, non pertinente. Va disatteso, infine, il quinto motivo di ricorso. La decisione impugnata ha motivatamente ritenuto che i beni oggetto di divisione siano da ricondurre alla categoria dei beni patrimoniali indisponibili, con applicazione del relativo regime giuridico, per cui essi, ai sensi dell’art. 828, comma 2, cod.civ., “non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalla leggi che li riguardano.” Si tratta, rimarca la impugnata sentenza impugnata, di beni la cui «commerciabilità è dimostrata dal fatto che non pochi comuni italiani, per necessità di cassa o per garantire una gestione più razionale, hanno venduto le reti del gas ad imprese private, che si sono impegnate a garantire il mantenimento della natura del servizio pubblico degli impianti.» Ebbene, il vincolo di destinazione all’uso pubblico degli impianti di per sé non sottrae la sentenza che ne dispone l’attribuzione ai singoli enti territoriali al regime impositivo proprio dell’imposta di registro, che è una imposta d’atto (Corte Cost. n. 158/2020 e n.39/2021), cui sono sottoposti gli atti dell’autorità giudiziaria (art. 37, d.P.R. n. 131 del 1986). Le spese del giudizio di legittimità sono compensate in ragione della novità della questione oggetto di controversia. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e dichiara compensate le spese del presente giudizio. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei 10 ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il giorno 17 maggio 2024. Il Consigliere rel. Il Presidente (Oronzo De Masi) (Federico Sorrentino) 11
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8251 del 2023, proposto da Ri. dei Ca. S.r.l., Er. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Ga. Pa., Li. Lo. e Fi. Lo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia contro Comune di (omissis), non costituito in giudizio; per la revocazione della sentenza del Consiglio di Stato, Sezione VII, n. 2740 del 15 marzo 2023 Visti il ricorso per revocazione e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 aprile 2024 il Cons. Rosaria Maria Castorina e udito per le parti l'avvocato Ga. Pa.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Ri. dei Ca. S.r.l. è stata proprietaria del complesso immobiliare denominato Ga. To., sito nel Comune di (omissis) (Livorno). Il compendio immobiliare è attualmente di proprietà di Er. S.r.l. Le ricorrenti agiscono per la revocazione della sentenza del Consiglio di Stato n. 2740/2023 la quale ha respinto l'appello avverso la sentenza del Tar Toscana che aveva a sua volta rigettato il ricorso avverso le deliberazioni della Giunta comunale (n. 158 del 16 giugno 2015) e del Consiglio comunale (n. 54 del 26 giugno 2015) di (omissis), aventi ad oggetto, rispettivamente, l'adozione e la successiva approvazione del piano di alienazione dei beni comunali e delle linee di indirizzo per la valorizzazione del patrimonio comunale, limitatamente alla parte in cui si era previsto di mettere a gara l'affidamento della nuova concessione dell'area boscata a mare antistante il villaggio del (omissis), fino ad allora nella disponibilità della ricorrente Ri. dei Ca. S.r.l. in forza di concessione rilasciata in data 28 marzo 1990, con scadenza 28 marzo 2015. Espongono che nell'atto d'appello era stato rilevato che, a fronte di un'istanza di rinnovo della concessione motivata in relazione a specifiche peculiarità della fattispecie - peculiarità riconosciute da precedenti atti comunali - risultava illegittimo il diniego basato esclusivamente sulla previsione legislativa che stabilisce l'obbligo di gara, dovendo necessariamente essere valutate le specifiche ragioni addotte a sostegno della deroga al principio generale. La necessità dei punti di supporto a mare si iscriverebbe, infatti, nel quadro dell'interesse generale alla salvaguardia della corretta funzionalità e operatività aziendale di Ga. To. e dei suoi riflessi occupazionali ed economici; tali interessi sarebbero corrispondenti all'interesse generale di tutela, salvaguardia e sostegno dei valori economici, ascrivibili a loro volta alle esigenze imperative di cui all'articolo 12.3 della Direttiva 2006/123/CE (c.d. 'Direttiva Bolkestein'). In particolare era stato messo in rilievo nei motivi d'appello - e in particolare nei mezzi di gravame primo, sesto e settimo - che la statuizione meritava riforma sia nella parte in cui attribuisce alla DCC 54/2015 il contenuto di reiezione (implicita) dell'istanza di rinnovo sia nella parte in cui ravvisa nella stessa deliberazione una motivazione a sostegno di tale provvedimento negativo. Evidenziano che a pagina 7 della sentenza, era stato affermato: "... non sussistono le condizioni per poter affermare che l'Amministrazione fosse tenuta ad accogliere l'istanza di rinnovo o proroga della concessione alla luce della supposta natura complementare del bene pubblico rispetto a quello di proprietà del privato. Piuttosto, va ritenuto che l'Amministrazione, nel contemperare le esigenze di tutela e valorizzazione del bene pubblico con quelle commerciali dell'impresa privata, abbia agito correttamente, motivando, in positivo, circa la sussistenza di ragioni di pubblico interesse sottese all'apertura del mercato e, in negativo, circa l'insussistenza di motivi imperativi di interesse generale conformi al diritto dell'unione, prevalenti rispetto alla tutela della concorrenza e derogatori del principio generale della gara pubblica..." Contrastava, tuttavia con le risultanze documentali acquisite in atti, l'affermazione che l'Amministrazione avesse motivato " ... in negativo, circa l'insussistenza di motivi imperativi di interesse generale conformi al diritto dell'unione, prevalenti rispetto alla tutela della concorrenza e derogatori del principio generale della gara pubblica..." in quanto tale motivazione in realtà non esisteva negli atti impugnati con il ricorso in primo grado, e in particolare né nella Deliberazione di Consiglio comunale n. 54 del 26 giugno 2015, né nell'atto dirigenziale in data 20 gennaio 2016. Deducono che la circostanza evidenziata configura un errore di fatto revocatorio, cioè un errore di percezione o una svista, il cui oggetto è rappresentato dagli atti e documenti di causa e nella specie dai contenuti motivazionali della DCC del Comune di (omissis) n. 54/2015, ed eventualmente dell'atto dirigenziale in data 20 gennaio 2016. L'errore revocatorio qui contestato non riguarderebbe una valutazione della motivazione bensì l'inesistenza di fatto di contenuti motivazionali - negli atti comunali - ritenuti e dichiarati esistenti nella sentenza, ora gravata per revocazione. L'errore denunciato risulterebbe decisivo ai fini del decidere dato che, ove esso non fosse stato compiuto, sarebbe stata giudicata fondata la censura riguardante il difetto di motivazione dell'atto con il quale l'Amministrazione aveva manifestato diniego avverso l'istanza di rinnovo o proroga della concessione. Nessuno si è costituito per il Comune di (omissis). All'udienza del 16 aprile 2024 la causa passava in decisione. DIRITTO Il ricorso è inammissibile. Va premesso che, secondo l'insegnamento di questo Consiglio, ribadito di recente (v. Sez. II, 5 aprile 2022, n. 2532), "ai sensi dell'art. 395, co. 1, n. 4), c.p.c., come richiamato dall'art. 106 c.p.a, una sentenza pronunciata in grado d'appello può essere impugnata per revocazione se "è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa", con la precisazione che vi è detto errore quando la decisione è fondata "sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita" e che in ogni caso può esservi errore di fatto revocatorio solo "se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare". Per costante giurisprudenza (cfr., ex plurimis, C.d.S. Sez. VII, 1° marzo 2022, n. 1458; Sez. V, 21 settembre 2020, n. 5480, con i precedenti ivi elencati), l'errore in cui incorra l'organo giudicante, per il quale l'art. 395, primo comma, n. 4, c.p.c. dispone la revocazione della sentenza, è l'errore di fatto, che consiste nell'erronea percezione del contenuto materiale degli atti del processo (o in una svista, in un errore di lettura, nel cd. abbaglio dei sensi), a cagione del quale il giudice abbia fondato il suo convincimento su di un falso presupposto di fatto. Sono, invece, errori di diritto e come tali non danno luogo alla revocazione (cfr. C.d.S., Sez. IV, 26 febbraio 2021, n. 1644) quelli consistenti nell'erronea interpretazione e valutazione dei fatti e, più in generale, delle risultanze processuali, come pure gli errori sull'interpretazione o applicazione di norme giuridiche. L'errore di fatto "avviene nell'ambito di un'attività sensoriale-percettiva, mentre l'errore di diritto si verifica nell'ambito di un'attività intellettiva: solo il primo, come detto, conduce alla revocazione della sentenza, poiché, altrimenti, la revocazione sarebbe una forma di gravame in teoria reiterabile più volte, idoneo a condizionare sine die il passaggio in giudicato di una pronuncia giurisdizionale (C.d.S., Sez. V, n. 5480/2020, cit.)" (C.d.S., Sez. VII, n. 1458/2022, cit.). Ancora, l'errore di fatto, sostanzialmente riconducibile ad un "abbaglio dei sensi", deve essere, inoltre, immediatamente rilevabile, senza quindi che vi sia la necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche, e non deve essere confuso con l'errore che deriva dall'attività valutativa del giudice che abbia dato luogo ad una statuizione anche implicita. Non si è, quindi, in presenza di un errore revocatorio nell'ipotesi di inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali, ovvero di anomalie del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero ancora nel caso in cui la questione sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita; ipotesi, queste, che possono semmai dar luogo ad un errore di valutazione, come tale qualificabile come errore di diritto e non deducibile in sede di revocazione (cfr., sul punto, anche Cons. Stato, sez. III, n. 2316/2021)" (C.d.S., Sez. II, n. 2532/2022, cit.). Dunque, "non sussiste l'errore di fatto revocatorio del giudice amministrativo qualora le conclusioni cui lo stesso è pervenuto scaturiscano non da una difettosa lettura dei documenti di causa e del loro contenuto bensì da un puntuale ragionamento logico-giuridico, la cui correttezza (o meno) in diritto esula dal sindacato consentito al Giudice medesimo" (C.d.S., Sez. V, 17 gennaio 2019, n. 418). In altre parole, "l'errore di fatto, eccezionalmente idoneo a fondare una domanda di revocazione, è configurabile solo riguardo all'attività ricognitiva di lettura e di percezione degli atti acquisiti al processo, quanto a loro esistenza e a loro significato letterale, per modo che del fatto vi siano due divergenti rappresentazioni, quella emergente dalla sentenza e quella emergente dagli atti e dai documenti processuali; ma non coinvolge la successiva attività di ragionamento e apprezzamento, cioè di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande, delle eccezioni e del materiale probatorio, ai fini della formazione del convincimento del giudice" (C.d.S., Sez. III, 28 luglio 2020, n. 4800; id., 21 novembre 2019, n. 7938). Da ultimo, per giurisprudenza costante, l'errore di fatto, idoneo a fondare un giudizio di revocazione ai sensi dell'art. 106, cod. proc. amm. e dell'art. 395, primo comma, n. 4, c.p.c., deve avere ad oggetto un fatto che non ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza da revocare ebbe a pronunciare (cfr., ex plurimis, C.d.S., Sez. III, 20 maggio 2020, n. 3201; id., 2 novembre 2019, n. 7479; Sez. IV, 24 marzo 2020, n. 2047; Sez. VI, 17 febbraio 2020, n. 1195; Sez. V, 2 dicembre 2019, n. 8245). Invero, "l'errore revocatorio non deve basarsi su un fatto costituente punto controverso sul quale sia intervenuta la pronuncia del giudice, atteso che, in tal caso sussisterebbe un errore di diritto e la revocazione andrebbe in pratica a censurare la valutazione e l'interpretazione delle risultanze processuali" (così C.d.S., Sez. VI, 12 febbraio 2020, n. 1058). Inoltre, affinché possa dirsi esistente il vizio revocatorio contemplato dall'art. 395 c.p.c. "è necessario che l'errore di fatto si sia dimostrato determinante, secondo un nesso di causalità necessaria, nel senso che l'errore deve aver costituito il motivo essenziale e determinante della decisione impugnata per revocazione. È stato puntualizzato che il nesso causale non inerisce alla realtà storica, ma costituisce un nesso logico-giuridico, nel senso che la diversa soluzione della lite deve imporsi come inevitabile sul piano, appunto, della logica e del diritto, e non degli accadimenti concreti (Cons. Stato, sez. VI, 18 febbraio 2015, n. 826); la falsa percezione della realtà processuale deve dunque riguardare un punto decisivo, anche se non espressamente controverso della causa (Cons. Stato, sez. IV, 1 settembre 2015, n. 4099)" (C.d.S., Sez. IV, 15 giugno 2022, n. 4868). Nel caso di specie nella sentenza non si rileva tale divergenza e le eccezioni sollevate dalle ricorrenti, invece, mirano a una nuova valutazione del merito della vicenda, coinvolgendo espressamente l'attività di ragionamento e apprezzamento, cioè di interpretazione e di valutazione del materiale probatorio, ai fini della formazione del convincimento del Giudice e quindi esulano dall'essere interpretate come errore di fatto. Le censure in realtà, dunque, contestano solo l'erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali, possibilità non consentita dallo strumento giuridico utilizzato. Nessuna anomalì a del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio si ha dalla lettura della sentenza oggi impugnata, essendo stata valutata sulla base di specifici canoni ermeneutici e di un esame critico della documentazione acquisita. Nella specie nel passaggio motivazionale censurato il Giudice di appello osservava... Sia nella originaria convenzione, sia nel successivo atto integrativo, la realizzazione di interventi migliorativi dell'azienda della ricorrente è stata subordinata al compimento di opere di valorizzazione e tutela del verde stabilite dallo strumento urbanistico generale comunale, nel rispetto dei vincoli regionali di tutela della fascia costiera. Ciò significa, che la prospettata natura complementare dell'utilizzo del bene pubblico rappresenta un limite alla concessione di diritti esclusivi in favore del concessionario, piuttosto che un vincolo di destinazione del bene medesimo in funzione dell'impresa privata, con la conseguenza che non sussistono le condizioni per potere affermare che l'Amministrazione fosse tenuta ad accogliere l'istanza di rinnovo o proroga della concessione alla luce della supposta natura complementare del bene pubblico rispetto a quello di proprietà del privato. Piuttosto, va ritenuto che l'Amministrazione, nel contemperare le esigenze di tutela e valorizzazione del bene pubblico con quelle commerciali dell'impresa privata, abbia agito correttamente, motivando, in positivo, circa la sussistenza di ragioni di pubblico interesse sottese all'apertura al mercato e, in negativo, circa l'insussistenza di motivi imperativi di interesse generale conformi al diritto dell'Unione, prevalenti rispetto alla tutela della concorrenza e derogatori del principio generale della gara pubblica. Al contrario di quanto dedotto, nella sentenza oggetto di revocazione la valutazione in negativo della insussistenza dei motivi di interesse generale, oggetto del preteso errore materiale è, invece stata individuata nella motivazione del provvedimento e chiaramente esplicitata nella sentenza: Le suddette valutazioni comprovano in modo confutabile che, per un verso, l'Amministrazione, nel momento in cui ha optato per la scelta della gara, ha soppesato tale decisione con l'alternativa di proseguire nel vecchio rapporto concessorio; e, per un altro verso, che quest'ultima opzione è stata ritenuta non preferibile per ragioni oggettive legate alla cura dell'interesse pubblico primario, e cioè sia per la necessità di contenere la durata del diritto di privativa, sia per l'opportunità di ammodernare le strutture esistenti e adeguare i canoni di sfruttamento. Non è corretto sostenere, pertanto, che l'Amministrazione avrebbe pretermesso la valutazione e l'istruttoria dell'istanza del privato. Piuttosto, la motivazione recata dai suddetti atti, e in particolare dalla delibera n. 54 del 2015, rappresenta una misura adeguata, congrua e sufficiente a rendere conto e palesare le ragioni della prevalenza dell'interesse pubblico generale a che il nuovo diritto di uso esclusivo del bene pubblico venga rilasciato, in un sistema giuridico basato sui principi di privativa e contingentamento dei vantaggi erogabili, con la più ampia partecipazione e tutela della parità di concorrenza fra gli operatori del mercato interessati allo sfruttamento del medesimo bene. In quest'ottica prospettica, il preavviso di diniego ex art. 10-bis, legge n. 241/1990 e il successivo atto datato 20 gennaio 2016 con cui l'Amministrazione ha respinto l'istanza di rinnovo o proroga della concessione, vanno qualificati come atti meramente esecutivi ed attuativi della volontà provvedimentale già espressa dall'Amministrazione in sede di adozione e approvazione degli strumenti di pianificazione generale, rispetto ai quali si configurano, in definitiva, quali atti dovuti e dal contenuto strettamente vincolato. Il ricorso per revocazione deve essere, conseguentemente dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile. Condanna le ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro4000,00 oltre accessori di legge, se dovuti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Claudio Contessa - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere Laura Marzano - Consigliere Rosaria Maria Castorina - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7493 del 2023, proposto dal Ministero della Cultura, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via (...); contro -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Br. e Ma. Gi. Fe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Placidi in Roma, via (...); Comune di -OMISSIS-, non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza resa in forma semplificata del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania - Sezione staccata di Salerno (sezione seconda) n. -OMISSIS-. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 febbraio 2024 il consigliere Paolo Marotta e uditi per le parti gli avvocati, come da verbale; Viste le conclusioni delle parti; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. L'oggetto del presente giudizio concerne la realizzazione in zona vincolata paesaggisticamente (per effetto del vincolo imposto mediante decreto ministeriale del 21 ottobre 1968, recante "Dichiarazione di notevole interesse pubblico di una parte del territorio comunale di S. -OMISSIS-" - G.U. n. 292 del 16 novembre 1968) di un intervento edilizio - qualificato dal richiedente come intervento di "ristrutturazione edilizia" - consistente nella demolizione di un fabbricato sito nel territorio del Comune di -OMISSIS- (censito nel Catasto Fabbricati del predetto Comune al foglio (omissis), particella (omissis), subalterno (omissis)) in zona agricola, con conseguente ricostruzione dello stesso, con diversa sagoma, in altra area di sedime del medesimo lotto. 2. Con la sentenza indicata in epigrafe, resa in forma semplificata, il Tribunale amministrativo regionale della Campania - Sezione staccata di Salerno, sezione II, ha accolto il ricorso incidentale proposto dall'odierno appellato e ha dichiarato improcedibile il ricorso principale avanzato in primo grado dal Ministero della Cultura, disponendo la compensazione delle spese di giudizio. Più nel dettaglio - sul presupposto che la conferenza di servizi del 4 novembre 2022 non avesse ad oggetto l'annullamento in autotutela della determinazione del 4 ottobre 2022 (come risultava testualmente), ma che al contrario, essendoci stato un errore materiale del funzionario, si trattasse di prosecuzione della conferenza ormai conclusa - la sentenza, resa in forma semplificata dal Tar, ha ritenuto fondato il ricorso incidentale avanzato dal richiedente il permesso "in quanto nessuno degli atti impugnati reca una motivazione pertinente con l'oggetto delle attribuzioni demandate all'autorità statale all'interno della conferenza di servizi". Secondo il TAR, poi, il rilievo avanzato dalla Soprintendenza riguardante "il fatto che la ristrutturazione edilizia non è "contemplata tra le categorie espressamente consentite nella disciplina che il P.U.T. detta per la ZT4 in cui è compreso l'intervento in esame"" e l'ulteriore rilievo "riguardante la data di realizzazione dell'immobile" sono "illegittimi perché non sono motivati con riferimento al c.d. merito paesaggistico dell'intervento", essendo la Soprintendenza "tenuta a motivare in modo esaustivo circa la concreta incompatibilità del progetto con i valori paesaggistici tutelati, indicando le specifiche ragioni per le quali le opere edilizie considerate non si ritengono adeguate alle caratteristiche ambientali protette". Sotto altro aspetto, sempre per il TAR, "la subvalenza attribuita alla posizione di dissenso (assoluta e radicale) espressa dalla Soprintendenza resta insindacabile nel presente giudizio di legittimità " anche in ragione del fatto che non sarebbe stato attivato il meccanismo di dissenso previsto dall'articolo 14 - quinquies l. 241 del 1990. Il decidente in primo grado, poi, ha affermato che "come conseguenza dell'accoglimento del ricorso incidentale, derivi la carenza della legittimazione attiva alla (ulteriore) trattazione del ricorso principale". Individuate le condizioni per intraprendere l'azione di annullamento davanti al giudice amministrativo, il TAR ha affermato che "non è ravvisabile, in capo al Ministero della cultura, il primo requisito, ossia la necessaria posizione giuridica attiva protetta dall'ordinamento, nella misura in cui lo stesso, con i restanti motivi di ricorso, pretende di tutelare nel processo, mediante censure incentrate sulla violazione degli aspetti urbanistico-edilizi della normativa vigente, un interesse pubblico attribuito in via esclusiva alla Regione od all'ente da essa delegato (nella circostanza, al Comune di -OMISSIS-) e non già l'interesse pubblico alla tutela del paesaggio, così travalicando il riparto delle sfere di attribuzione inderogabilmente tracciato dall'art. 146, comma 8, del D.lgs. n. 42/2004". 3. Con l'appello, il Ministero della Cultura ha contestato la sentenza impugnata sotto diversi profili che, nel prosieguo del presente provvedimento, saranno oggetto di specifica disamina; ha formulato in via incidentale domanda di sospensione della efficacia della sentenza impugnata. 4. Si è costituita nel giudizio di appello (in data 20 settembre 2023) la parte privata resistente in primo grado, ora appellata. 4.1. Nella memoria depositata il 25 settembre 2023, la parte appellata ha evidenziato, tra l'altro, che, dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado, il Comune di -OMISSIS- ha rilasciato il permesso di costruire n. 14/2023 e che i lavori sono già iniziati, con l'avvenuta integrale demolizione del preesistente fabbricato e la realizzazione delle fondazioni del nuovo fabbricato. La parte ha eccepito, quindi, l'inammissibilità /improcedibilità dell'atto di appello in relazione ai profili di seguito indicati. 4.1.1 Nessuno dei motivi di appello si confronterebbe criticamente con le argomentazioni giuridiche poste a fondamento della sentenza appellata; i motivi di appello sarebbero stati articolati in termini di riproposizione dei motivi contenuti nel ricorso principale proposto in primo grado dall'amministrazione statale; alle pagine 19 e 20 dell'atto di appello, il Ministero della Cultura si sarebbe limitato a riprodurre testualmente i passi salienti della sentenza impugnata, senza però che a tale riproduzione testuale abbia fatto seguito la critica delle conclusioni del giudice di primo grado; l'appello sarebbe quindi inammissibile, per la violazione del principio di specificità dei motivi di impugnazione, di cui all'art. 101, comma 1, c.p.a. 4.1.2. Il Comune di -OMISSIS- ha rilasciato all'interessato il permesso di costruire n. 14/2023, con pubblicazione del relativo "avviso di avvenuto rilascio"; come sopra evidenziato, prima della proposizione dell'appello, sono iniziati i lavori assentiti, con la avvenuta integrale demolizione del preesistente fabbricato e la realizzazione delle fondazioni del fabbricato da ricostruire; il Ministero della Cultura non ha impugnato il predetto permesso di costruire; l'eventuale annullamento dell'autorizzazione paesaggistica impugnata dall'amministrazione ministeriale non comporterebbe un automatico effetto caducante del permesso di costruire n. 14/2023; in relazione alla mancata impugnazione del sopravvenuto permesso di costruire n. 14/2023, l'appello del Ministero della Cultura sarebbe divenuto, inoltre, improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse. 4.2. Oltre a ciò, l'appellato ha contestato l'ammissibilità e la fondatezza di alcune delle censure formulate dal Ministero appellante. 4.2.1. In particolare, dopo aver evidenziato (pag. 10 della memoria del 25 settembre 2023) che, in merito alla natura o meno vincolante del parere della Soprintendenza, nella determinazione n. 35/2022 "è stata motivata con ampiezza argomentativa l'applicabilità alla specie dell'art. 146, comma 5, del d.lgs. n. 42/2004 e quindi è stata dimostrata la natura non vincolante del parere soprintendizio", l'appellato ha evidenziato che "con riferimento a tali plurali argomentazioni addotte nel provvedimento impugnato, il Ministero non sviluppava nel ricorso di primo grado censure immediatamente riferibili alle stesse e quindi di loro idonea confutazione, limitandosi invece a considerazioni di carattere generale prive di specificità (cfr. secondo motivo del ricorso principale di primo grado)"; l'appellato ha evidenziato di aver eccepito l'inammissibilità della relativa censura (cfr. punto IV della memoria depositata nel giudizio di primo grado il 20 gennaio 2023), sulla quale il giudice di primo grado non si sarebbe pronunciato; conseguentemente, ha riproposto l'eccezione già formulata in primo grado, ai sensi dell'art. 101 co. 2 c.p.a. 4.2.2. Ha evidenziato, inoltre, di aver eccepito in primo grado l'inammissibilità (rectius, irricevibilità ), per tardività, della domanda di annullamento dell'atto con il quale era stata indetta la conferenza di servizi (ossia, la nota del Comune di -OMISSIS-, prot. 11007 del 22 luglio 2022), in quanto atto già autonomamente e immediatamente lesivo sotto il profilo prospettato (pretesa inapplicabilità al caso di specie del modulo semplificatorio della conferenza di servizi); questa ulteriore eccezione non è stata esaminata dal giudice di primo grado; l'appellato ha manifestato la volontà di riproporla in grado di appello, ai sensi dell'art. 101, co. 2, c.p.a. 4.2.3. Ha riproposto, ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.a., le censure dedotte nel secondo motivo del ricorso incidentale che non sarebbero state esaminate dal giudice di primo grado, richiamando le ulteriori considerazioni svolte nella memoria depositata nel giudizio di primo grado in data 20 gennaio 2023. 4.3. La parte privata, inoltre, ha sollevato questione di legittimità costituzionale con riguardo all'art. 17 della l.r. della Campania 27 giugno 1987 n. 35 (Piano urbanistico territoriale dell'Area (omissis) - (omissis)), per contrasto con gli artt. 42, 97 e 117 Cost., nella parte in cui - con riferimento alla "Zona territoriale 4" ("Riqualificazione insediativa ed ambientale di 1° grado") destinata a zona "E-agricola" dai Piani regolatori generali - prevede che "Per essa, le indicazioni e la normativa dei Piani Regolatori Generali devono: (...) - consentire per l'edilizia esistente a tutto il 1955, interventi, nel rispetto delle norme tecniche di cui al successivo titolo IV, di: 1) restauro conservativo, manutenzione ordinaria e straordinaria; 2) adeguamento funzionale, una tantum, degli alloggi ai fini della creazione dei servizi igienici (...)". A suo giudizio, la predetta disposizione legislativa regionale limiterebbe le tipologie di intervento edilizio ammissibili secondo che si tratti di edifici costruiti prima o dopo il 1955; si tratterebbe di una disposizione legislativa che, nella parte in cui à ncora le tipologie edilizie ammissibili ad un limite temporale arbitrario (realizzazione prima e dopo il 1955), non sarebbe costituzionalmente legittima, non trovando rispondenza né in un precedente provvedimento dell'amministrazione, né in alcuna vicenda relativa alle bellezze paesistiche oggetto di tutela; in particolare, detta previsione normativa si porrebbe in contrasto con i principi di uguaglianza, buon andamento, ragionevolezza e imparzialità di cui agli artt. 42, 97 e 117 Cost. A sostegno di quanto dedotto ha richiamato la sentenza n. 529/1995, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di altra disposizione dello stesso art. 17 della l.r. Campania n. 35/1987. 5. Con ordinanza n. -OMISSIS- è stata accolta l'istanza cautelare presentata dal Ministero della Cultura, al fine di mantenere la res adhuc integra fino alla fase di definizione del giudizio. 6. Non essendo pervenute memorie del Ministero in vista della celebrazione dell'udienza pubblica per la decisione nel merito, l'appellato, con memoria depositata in giudizio il 18 gennaio 2024, si è riportato alle conclusioni e alle argomentazioni esposte con la memoria già depositata in data 25 settembre 2023. 7. All'udienza pubblica del 22 febbraio 2024 il ricorso è stato trattenuto in decisione. 8. Il Collegio è chiamato, in via preliminare, ad esaminare le eccezioni di rito, sollevate dalla difesa della parte appellata nei confronti del ricorso in appello. 8.1. In primo luogo, la parte resistente in appello ha eccepito l'inammissibilità dell'atto di appello, per violazione del principio di specificità dei motivi di impugnazione, di cui all'art. 101, comma 1, c.p.a. Come sopra evidenziato, l'appellato ha sostenuto che il Ministero appellante si sarebbe limitato a riproporre sostanzialmente i motivi dedotti nel ricorso introduttivo del giudizio, senza confrontarsi criticamente con le ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata. 8.2. L'eccezione è infondata. 8.2.1. L'art. 101, comma 1, c.p.a. dispone: "1.Il ricorso in appello deve contenere l'indicazione del ricorrente, del difensore, delle parti nei confronti delle quali è proposta l'impugnazione, della sentenza che si impugna, nonché l'esposizione sommaria dei fatti, le specifiche censure contro i capi della sentenza gravata, le conclusioni, la sottoscrizione del ricorrente se sta in giudizio personalmente ai sensi dell'articolo 22, comma 3, oppure del difensore con indicazione, in questo caso, della procura speciale rilasciata anche unitamente a quella per il giudizio di primo grado". 8.2.2. Occorre premettere che, per la giurisprudenza, affinché sia rispettato il principio di specificità dei motivi di appello, non è necessario che questi siano rubricati in modo puntuale né espressi con una formulazione giuridica assolutamente rigorosa, rilevando invece che gli stessi siano esposti con specificità sufficiente a fornire almeno un principio di prova utile alla identificazione delle tesi sostenute a supporto della domanda finale; è, dunque, sufficiente una critica puntuale della motivazione della sentenza appellata, in modo che il giudice di appello sia posto in condizione di comprendere con chiarezza i principi, le norme e le ragioni per cui il primo giudice avrebbe dovuto decidere diversamente (Consiglio di Stato, sez. V, 8 gennaio 2024, n. 270). In altri termini, per essere soddisfatto il requisito di specificità dell'impugnazione di cui all'art. 101, comma 1, c.p.a., non occorre che l'atto di appello contesti analiticamente ogni singolo passaggio argomentativo in cui si articola la trama motivazionale della sentenza appellata, laddove dal complessivo contenuto dell'appello si evincano le ragioni essenziali per le quali il ragionamento posto dal T.A.R. a fondamento della statuizione gravata non possa ritenersi, dal punto di vista dell'appellante, condivisibile, ciò anche attraverso la contrapposizione, al filo argomentativo che attraversa la sentenza appellata, di una diversa chiave di lettura del materiale istruttorio raccolto dall'Amministrazione (Consiglio di Stato, sez. III, 28 novembre 2023, n. 10201). 8.2.3. Nella sentenza impugnata il giudice di primo grado, come detto, ha accolto il ricorso incidentale proposto dalla parte privata e ha dichiarato l'improcedibilità del ricorso introduttivo del giudizio avanzato dal Ministero della Cultura, soffermandosi solo su alcune censure del ricorso principale (disattendendole), con un andamento non sempre lineare, ingenerando una obiettiva difficoltà nella individuazione delle specifiche ragioni giuridiche poste alla base della sentenza. 8.2.4. Tanto premesso, ritiene il Collegio che il ricorso in appello possegga tutti gli elementi essenziali individuati dalla norma sopra richiamata, contenendo gli elementi di critica nei confronti della sentenza impugnata. In particolare, quanto all'accoglimento del ricorso incidentale avanzato dalla parte resistente e alla dichiarazione di improcedibilità del ricorso proposto in primo grado dal Ministero, a pagina 20 dell'appello - dopo aver esposto l'iter argomentativo seguito dal TAR - si afferma: "(L)la motivazione è errata in quanto parte dal presupposto che la nuova riunione rappresenti una prosecuzione della precedente conferenza di servizi, fondata sull'altrettanto erronea e frettolosa affermazione che "risulta evidente l'errore materiale in cui è incorso il funzionario comunale nella determinazione dell'oggetto della nuova riunione della conferenza, che certamente non poteva essere quello di (ri)annullare la determina n. 29 del 4 ottobre 2022, che risultava già annullata con un atto cronologicamente antecedente e logicamente presupposto rispetto a quello di convocazione". La sentenza omette dunque di considerare la necessità che il modulo procedimentale da seguire per l'annullamento in autotutela sia lo stesso dell'atto da annullare e che si tratti di nuova conferenza di servizi, e che l'autotutela dell'amministrazione introduca necessariamente un nuovo procedimento amministrativo". Il Ministero poi, dopo un'ampia esposizione della fattispecie concreta dedotta in giudizio e l'individuazione del vincolo paesaggistico gravante sull'area oggetto dell'intervento edilizio, si è diffusamente soffermato, nella parte in diritto, sulle ragioni giuridiche poste a fondamento della richiesta di riforma della sentenza impugnata. Così, ad esempio, a pagina 9 dell'appello si afferma: (I)in realtà la sentenza non affronta la censura sollevata dal Ministero in merito all'eccesso di potere per macroscopico errore e travisamento dei presupposti e sviamento. Come visto, la Soprintendenza, nel parere contrario, ha escluso l'assentibilità dell'intervento, fra l'altro, in ragione della sua riconducibilità a una categoria di interventi edilizi, ossia la ristrutturazione non compresa tra quelle esplicitamente consentite dalla disciplina dettata dal P.U.T. per la Zona territoriale 4, ove l'immobile oggetto del richiesto intervento ricade. A pagina 10 si eccepisce: (O)orbene, evidente è il travisamento e l'erronea valutazione dei fatti della sentenza, sotto plurimi profili. Il Tar recepisce acriticamente l'affermazione del Comune che "la zona "E" agricola del Comune di -OMISSIS- non è gravata da vincoli paesaggistici di natura statale (art. 142 d.lgs. n. 42/04)". Si tratta di affermazione non corrispondente ai fatti, in quanto l'area è gravata da un vincolo paesaggistico imposto dallo Stato, ai sensi della legge n. 1497 del 1939 (ora sostituita dalla Parte III del Codice dei beni culturali e del paesaggio), e segnatamente dal vincolo imposto mediante decreto ministeriale 21 ottobre 1968, recante "Dichiarazione di notevole interesse pubblico di una parte del territorio comunale di S. -OMISSIS-" (G.U. n. 292 del 16 novembre 1968); e poi si prosegue: (L)l'aver negato l'esistenza del vincolo paesaggistico costituisce, di per sé, un errore macroscopico nei presupposti, tale da infirmare la validità della pronuncia. 8.2.5. In conclusione, emergono plurime critiche alla sentenza di primo grado che rendono ammissibile, sotto questo specifico profilo, l'appello. Oltre a ciò, il Collegio deve rilevare che, avendo il giudice di primo grado ritenuto erroneamente (per le ragioni che saranno specificate nel prosieguo del presente provvedimento) fondata l'eccezione di improcedibilità del ricorso introduttivo del giudizio, deve considerarsi rituale la riproposizione in grado di appello delle censure non scrutinate dal giudice di primo grado. 8.3 Sempre in via preliminare, l'appellato ha eccepito l'improcedibilità dell'atto di appello, in considerazione del fatto che, successivamente alla pubblicazione della sentenza impugnata, il Comune di -OMISSIS- ha rilasciato, in data 8 giugno 2023, il permesso di costruire n. 14/2023, sulla base del quale l'interessato ha intrapreso l'esecuzione dei lavori (sarebbe già avvenuta l'integrale demolizione del preesistente fabbricato e la realizzazione delle fondazioni del fabbricato da ricostruire); il Ministero della Cultura non avrebbe impugnato il predetto permesso di costruire, determinando così l'improcedibilità dell'appello, per sopravvenuto difetto di interesse. 8.3.1. Anche questa eccezione non può essere condivisa. 8.3.2. Occorre premettere che non risulta contestato in atti che il Ministero - per motivi che non emergono dagli atti di causa e con scelta processuale in questa sede non sindacabile - non ha proceduto all'impugnazione del permesso di costruire. Ciò premesso, occorre ricordare che il rapporto tra l'autorizzazione paesaggistica e il permesso di costruire è stato ampiamente approfondito dalla giurisprudenza amministrativa. 8.3.3. Una parte della giurisprudenza ha ritenuto che l'autorizzazione paesaggistica, di cui all'art. 146 d.lgs. n. 42/2004, costituisca atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento edilizio: essa dà luogo ad un rapporto di presupposizione necessitato e strumentale tra valutazioni paesistiche e valutazioni urbanistiche, in modo tale che questi due apprezzamenti sono destinati ad esprimersi sullo stesso oggetto in stretta successione provvedimentale, con la conseguenza che l'autorizzazione paesaggistica va acquisita prima di intraprendere il procedimento edilizio, il quale non può essere definito positivamente per l'interessato in assenza del previo conseguimento del titolo di compatibilità paesaggistica (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 9 febbraio 2016 n. 521 e 27 novembre 2010 n. 8260). 8.3.4. Altra parte della giurisprudenza invece ha ritenuto che il permesso di costruire possa essere rilasciato anche in mancanza di autorizzazione paesaggistica, fermo restando che esso è inefficace e i lavori non possono essere iniziati, finché non interviene il nulla osta paesaggistico (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 21 maggio 2021 n. 3952; 13 aprile 2016, n. 1436); in questa seconda prospettiva, l'autorizzazione paesaggistica si configura, quindi, come condizione di efficacia del permesso di costruire. Di recente, questa Sezione ha affermato che "Tra l'autorizzazione paesaggistica e il permesso di costruire vi è dunque un rapporto di presupposizione necessitato e strumentale. I due atti di assenso si esprimono entrambi sullo stesso oggetto, ma l'uno in termini di compatibilità paesaggistica dell'intervento edilizio proposto, l'altro in termini di sua conformità urbanistico-edilizia. Operando, dunque, su piani diversi, il rilascio di uno dei due atti di assenso non comporta il necessario rilascio anche dell'altro e, sul piano normativo, questo rapporto si traduce, per espressa previsione normativa, in un condizionamento sul versante dell'efficacia dei provvedimenti e non della rispettiva legittimità (cfr. art. 146, commi 2 e 4, d.lgs. del 22 gennaio 2004, n. 42)... Si è affermato che ciascuno dei due provvedimenti "ha un proprio regime, propri parametri di giudizio e proprie vicende" (Cons. Stato, Ad. plen., n. 8 del 1988, pagina 11)" (Consiglio di Stato, sez. IV, 13 marzo 2024, n. 2465). Tale conclusione, per le ragioni ora dette, è certamente valida quando viene annullata l'autorizzazione paesaggistica che è "atto a monte" del permesso di costruire. In altri termini, a giudizio della Sezione, è bene distinguere due ipotesi: il solo annullamento del permesso di costruire e il solo annullamento dell'autorizzazione paesaggistica. Nel primo caso, l'annullamento del permesso di costruire non necessariamente riverbera i suoi effetti sull'autorizzazione paesaggistica a monte, autorizzazione quest'ultima che ben potrebbe rimanere valida, pur non essendo possibile realizzare l'opera sino all'ottenimento di un nuovo permesso. Diversamente, nel secondo caso, quando ad essere annullata è l'autorizzazione paesaggistica, per le ragioni prima evidenziate, tale annullamento non può non spiegare effetti sul permesso di costruire "a valle". 8.3.5. Applicando le coordinate ermeneutiche sopra richiamate, deve ritenersi che l'eventuale annullamento giurisdizionale (con effetti ex tunc) dell'autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Comune di -OMISSIS- e impugnata dal Ministero della Cultura non sia giuridicamente irrilevante ai fini della validità e/o dell'efficacia del permesso di costruire rilasciato successivamente, determinando (a seconda dei due differenti orientamenti) la caducazione del titolo edilizio abilitativo (per effetto del venir meno dell'atto presupposto) o l'inidoneità del predetto titolo a produrre effetti; in entrambi i casi, comunque, non può ritenersi che l'intervenuto rilascio del permesso di costruire (ancorché non impugnato dal Ministero della Cultura) abbia determinato l'improcedibilità dell'atto di appello, per sopravvenuto difetto di interesse. 9. Per poter scrutinare la fondatezza dei motivi di appello formulati dal Ministero della Cultura, si rende necessario preliminarmente ricostruire la fattispecie dedotta in giudizio, sia sotto il profilo fattuale che sotto il profilo della sua qualificazione giuridica. 9.1. Tralasciando, perché non rilevante, un precedente segmento procedimentale/provvedimentale conclusosi con la sentenza del TAR Campania, sez. Salerno, -OMISSIS- (si vedano pagg. 2-5 del ricorso incidentale avanzato in primo grado), va rilevato che, in data 8 giugno 2022 (prot. 8615), l'interessato ha presentato al Comune di -OMISSIS- un'istanza per il rilascio di un permesso di costruire per la esecuzione di un intervento edilizio, qualificato dal richiedente come "ristrutturazione edilizia" (per effetto delle modifiche apportate dal legislatore nazionale all'art. 3, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 380/2001), consistente nella demolizione di un fabbricato sito nel territorio del predetto Comune (censito nel Catasto Fabbricati al foglio (omissis), particella (omissis), subalterno (omissis)), con conseguente ricostruzione di altro fabbricato, differente per sagoma, prospetti e area di sedime. 9.2. L'area relativa al progetto di intervento edilizio proposto è sottoposta a vincolo paesaggistico; si tratta di un vincolo provvedimentale imposto mediante decreto ministeriale del 21 ottobre 1968, recante "Dichiarazione di notevole interesse pubblico di una parte del territorio comunale di S. -OMISSIS-" (G.U. n. 292 del 16 novembre 1968). 9.3. Con legge 27 giugno 1987 n. 35, la Regione Campania ha approvato il "Piano urbanistico territoriale dell'Area (omissis) - (omissis)"; in base al predetto Piano, l'area oggetto del contendere è classificata come "Z.T.4 - Riqualificazione insediativa e ambientale di primo grado". Il Piano regolatore generale del Comune di -OMISSIS- qualifica la predetta area come "E4 - Territorio rurale agricolo - agrumeto". 9.4. Indetta, con nota del 22 luglio 2022, prot. n. 11007, la conferenza di servizi decisoria, ai sensi dell'art. 14 - ter della l. n. 241/1990 e s.m.i., la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Salerno e Avellino, con nota del 17 agosto 2022, prot. 18333 - P, ha espresso parere contrario alla positiva conclusione della conferenza di servizi, ritenendo, da un lato, che l'intervento edilizio proposto non fosse consentito dal Piano urbanistico territoriale dell'Area (omissis) - (omissis) - che, per le zone classificate come "Z.T.4 - Riqualificazione insediativa e ambientale di primo grado" e "per l'edilizia esistente a tutto il 1955", consente solo interventi di "restauro conservativo, manutenzione ordinaria e straordinaria; adeguamento funzionale" - e, dall'altro, che non fosse consentito l'incremento della volumetria esistente, in relazione a quanto disposto dall'art. 12 del d.lgs. n. 28/2011. 9.5. Con determinazione n. 29 del 4 ottobre 2022, il responsabile dell'Area urbanistica del Comune di -OMISSIS-, ritendo che il parere espresso dalla Soprintendenza avesse carattere obbligatorio, ma non vincolante, concludeva positivamente, sulla base delle posizioni prevalenti, i lavori della conferenza di servizi, nel senso di assentire i lavori, disponendo, nel contempo, la rimodulazione del progetto con riduzione dell'incremento di volumetria. 9.6. Con successiva determinazione n. 31 del 13 ottobre 2022, il responsabile dell'Area urbanistica del Comune di -OMISSIS-, in relazione alle contestazioni sollevate dalla Soprintendenza sulla regolarità del procedimento, ritenendo violato il procedimento di cui all'art. 14 - bis, comma 5, della l. n. 241/1990 e s.m.i., disponeva l'annullamento in autotutela della propria precedente determinazione n. 29/2022. Ciò accadeva perché la Soprintendenza aveva chiesto l'annullamento in autotutela della predetta determinazione n. 29 del 4 ottobre 2022, in quanto: - la tipologia della "ristrutturazione edilizia" non sarebbe consentita nella zona agricola compresa nella ZT4 del P.U.T.; - non sarebbero state rappresentate le "posizioni prevalenti" legittimanti la positiva conclusione della CdS; - le "osservazioni" procedimentali presentate dall'interessato il 4 settembre 2022 e l'allegata relazione di datazione del fabbricato ad epoca successiva al 1955 non erano state sottoposte alla valutazione di essa Soprintendenza; - il vincolo paesaggistico riguardante l'area de qua è di natura provvedimentale (d.m. 21 ottobre 1968); - il parere espresso da essa Soprintendenza era da considerarsi vincolante, non sussistendo nella specie i presupposti prescritti dall'art. 46, co. 5, del D.lgs. 42/2004 (si veda pag. 7-8 del ricorso incidentale di primo grado). 9.7. Ancora, con nota del 13 ottobre 2022, sempre il responsabile dell'Area urbanistica del Comune di -OMISSIS- indiceva la conferenza di servizi, ai sensi dell'art. 14 - quater della l. n. 241/1990, per l'annullamento in autotutela della propria precedente determinazione n. 29 del 4 ottobre 2022. Nel corso della conferenza di servizi, tenutasi in data 4 novembre 2022, nell'ambito della quale si dava atto della presentazione in pari data al protocollo del Comune (prot. 16880) di nuovi elaborati progettuali da parte del richiedente, con riduzione della volumetria complessiva del 5%, i difensori dell'interessato insistevano per il rilascio dell'assenso all'intervento edilizio proposto, così come rimodulato; nel corso della seduta, il Soprintendente (collegato telematicamente) evidenziava che l'oggetto della conferenza di servizi era il procedimento di annullamento in autotutela, con la conseguenza che non era possibile procedere all'esame delle ulteriori elaborazioni progettuali, che avrebbero dovuto essere esaminate in un altro, separato, procedimento. 9.8. Con determinazione n. 35 del 15 novembre 2022, il responsabile dell'Area urbanistica del Comune di -OMISSIS- riqualificava la seconda conferenza di servizi come prosecuzione della prima conferenza e dichiarava conclusi positivamente i lavori della predetta conferenza sulla base delle posizioni prevalenti, evidenziando quanto segue: a) L'art. 22 delle norme tecniche di attuazione del Piano regolatore comunale, approvato successivamente rispetto al Piano urbanistico territoriale dell'Area (omissis) - (omissis), consente la realizzazione in zona agricola di interventi di "riqualificazione urbanistica"; b) La Soprintendenza non aveva fornito la prova del fatto che il fabbricato preesistente risaliva a data antecedente al 1955, ritenendo che ciò fosse onere della Soprintendenza; c) Il parere della Soprintendenza non avrebbe avuto carattere vincolante, per effetto di quanto disposto dall'art. 146, comma 5, del d.lgs. n. 42/2004; d) La Soprintendenza, nell'esprimere parere negativo, non avrebbe compiuto alcuna valutazione di tipo sostanziale sul c.d. "merito paesaggistico". 10. Come sopra evidenziato, il giudice di primo grado ha accolto il ricorso incidentale proposto dalla parte privata e ha dichiarato improcedibile il ricorso principale del Ministero della Cultura. 11. Con il ricorso incidentale sono stati impugnati i seguenti atti: - la nota del 4 novembre 2022 (prot. 23978-P), con la quale la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Salerno e Avellino aveva espresso parere negativo, mediante il richiamo alle considerazioni di cui alla precedente nota prot. 21970-P del 10 ottobre 2022 (con la quale era stato chiesto l'annullamento in autotutela della precedente determinazione n. 29 del 4 ottobre 2022, in relazione all'intervento di "ristrutturazione edilizia"); - (ove occorra) la nota prot. 21970-P del 10 ottobre 2022; - (ove occorra) il parere negativo espresso dalla Soprintendenza con nota prot. 18333-P del 17 agosto 2022, nell'ambito del precedente segmento procedimentale definito con la determinazione n, 29 del 4 ottobre 2022. 11.1. Con il primo motivo del ricorso incidentale, la parte privata ha censurato i predetti pareri negativi della Soprintendenza (ora richiamati), deducendo: violazione degli artt. 14 e segg. l. n. 241/90; violazione e falsa applicazione della legge regionale della Campania n. 35/87; violazione e falsa applicazione degli artt. 136 e 146 del d.lgs. n. 42/2004; violazione dell'art. 97 Cost.; violazione del giusto procedimento; contraddittorietà . Il ricorrente incidentale si è soffermato sul segmento procedimentale dell'annullamento in autotutela della determinazione dirigenziale del Comune di -OMISSIS- n. 29 del 4 ottobre 2022. In particolare: a) ha contestato le conclusioni della Soprintendenza, la quale aveva evidenziato che, con la nota prot. 15667 del 13 ottobre 2022, sarebbe stata convocata una conferenza di servizi avente quale esclusivo oggetto l'annullamento in autotutela della determinazione n. 29 del 4 ottobre 2022 e non l'esame di nuovi elaborati progettuali; b) ha evidenziato che la convocazione della conferenza di servizi (con la nota prot. 15667 del 13/10/2022) era avvenuta contestualmente e nello stesso giorno dell'annullamento della determina n. 29 del 4 ottobre 2022 (disposto con determina dirigenziale n. 31 del 13 ottobre 2022). A suo giudizio, essendo già avvenuto l'annullamento della determinazione n. 29 del 4 ottobre 2022, non avrebbe quindi avuto alcun senso logico convocare una conferenza di servizi ai soli fini dell'annullamento della precedente determinazione n. 29 del 4 ottobre 2022, atteso che tale determinazione n. 29/2022 era già stata annullata. Conseguentemente, la nuova seduta della conferenza di servizi, tenutasi il 4 novembre 2022, avrebbe costituito, dunque, solo la prosecuzione della stessa conferenza di servizi convocata con la nota del 22 luglio 2022 (prot. 11007) e non anche una semplice conferenza indetta per l'annullamento dell'atto positivo in precedenza adottato. Legittimamente, dunque, nel contesto della successiva seduta era stato quindi consentito al richiedente di poter adeguare il progetto, mediante la riduzione volumetrica del 5%, conformando così il progetto a una delle prescrizioni che era stata richiesta dalla stessa Soprintendenza. Da qui l'illegittimità dei pareri negativi emessi dalla Soprintendenza. 11.2. Con il secondo motivo del ricorso incidentale, la parte privata ha dedotto: falsa applicazione dell'art. 17 della l.r. della Campania n. 35/1987; violazione e falsa applicazione del PRG vigente nel Comune di -OMISSIS-, con particolare violazione dell'art. 22 della NTA; violazione e falsa applicazione degli artt. 136 e 146 del d.lgs. n. 42/2004; violazione dell'art. 97 Cost.; difetto di istruttoria e di motivazione; contraddittorietà . Per il ricorrente incidentale, in disparte la vincolatività del parere soprintendizio, tutte le argomentazioni poste a base del parere negativo espresso dalla Soprintendenza sarebbero prive di fondamento. Dopo aver richiamato il contenuto della nota prot. 23978-P del 4 novembre 2022, con la quale la Soprintendenza aveva espresso le ragioni del proprio dissenso rispetto alla proposta progettuale in questione - "Considerato che la determinazione n. 31, Reg. Gen. n. 690 del 13.10.2022 con cui è stata annullata, in regime di autotutela, la determinazione n. 29 del 04.10.2022 di conclusione favorevole della conferenza di servizi indetta con nota prot. 11007 del 22/07/2022 riscontra solo in parte le obiezioni sollevate da questo Ufficio con la nota n. 21970-P del 10/10/2022, senza affrontare o addirittura ribadendo i numerosi aspetti che, come evidenziato, minavano in radice la legittimità di tale determinazione conclusiva, quali ad esempio, tra gli altri: a) la non conformità dell'intervento all'esame della conferenza ai dettami del Piano Urbanistico territoriale approvato con L.R. 35/1987; b) l'aver ritenuto non vincolati le prescrizioni di detto P.U.T.; c) la negazione della sussistenza del vincolo paesaggistico imposto mediante decreto ministeriale 21 ottobre 1968, recante "Dichiarazione di notevole interesse pubblico di una parte del territorio comunale di S. -OMISSIS-" (G.U. n. 292 del 16 novembre 1968); d) l'aver dequotato a "non vincolante" il parere contrario della Soprintendenza sebbene, nel caso di specie, non si siano verificate le tassative condizioni chiaramente indicate dal D.Lgs. 42/2004, art. 146, comma 5, asserendo in maniera incomprensibile "pertanto, il precipitato effettuale conseguente all'interpretazione costituzionalmente orientata degli artt. 135, 143 e 146 del D.Lgs. n. 42/2004, rende la lettura delle richiamate norme codicistiche in chiave anfibologica"; e) la conseguente, indebita definizione del procedimento di conferenza sulla base di asserite ma insussistenti "posizioni prevalenti" - il ricorrente incidentale ha contestato le conclusioni della Soprintendenza per le seguenti ragioni: a) l'esclusione degli interventi di ristrutturazione edilizia sulla base delle previsioni del PUT "Area (omissis) - (omissis)" non concerne indistintamente tutti gli edifici esistenti, ma solo gli edifici risalenti ad epoca anteriore al 1955; per i fabbricati realizzati successivamente al 1955, invece, il P.U.T. non prevede alcuna limitazione delle tipologie edilizie ammissibili; b) dopo aver richiamato la relazione tecnica a firma dell'ing. -OMISSIS- (allegata alle "osservazioni" procedimentali, presentate il 4 settembre 2022), ha contestato quanto affermato dalla Soprintendenza (ossia che "la tipologia costruttiva di detto fabbricato consente di datarlo ad epoca di gran lunga antecedente a quella semplicemente ipotizzata dall'ing. -OMISSIS-"), evidenziando che la Soprintendenza sarebbe pervenuta a questa conclusione, senza aver compiuto alcuna istruttoria e quindi senza alcun adeguato supporto motivazionale. A giudizio del ricorrente incidentale, dunque, "doveva essere lo stesso organo soprintendizio a dover dare dimostrazione, mediante un'adeguata istruttoria, del rigido presupposto temporale ("edilizia esistente a tutto il 1955") di sua applicabilità " (pagg. 17-18 del ricorso incidentale di primo grado). Secondo la prospettazione difensiva del ricorrente incidentale, inoltre, non ci sarebbe alcun contrasto tra il P.U.T. (l.r. n. 35/1987) ed il P.R.G. approvato dal Comune di -OMISSIS- nel 1996, che all'art. 22 delle N.T.A. espressamente consente, nella zona omogenea in questione, la "ristrutturazione edilizia" degli "edifici esistenti". Il ricorrente incidentale ha contestato in radice la tesi della Soprintendenza, secondo cui, nelle zone agricole comprese nella ZT4 del P.U.T., sarebbe consentita, sia pure con riferimento alla sola "edilizia esistente a tutto il 1955", la realizzazione delle sole tipologie edilizie ivi elencate ("restauro conservativo, manutenzione ordinaria e straordinaria" e "adeguamento funzionale"), con esclusione quindi della "ristrutturazione edilizia". A tale riguardo, ha richiamato l'art. 17 del P.U.T. (l.r. n. 35/1987) ("Zone territoriali prescrittive per la formazione dei Piani regolatori generali"), che, a suo giudizio, recherebbe "degli indici interpretativi di segno esattamente contrario alla tesi della Soprintendenza". Da una lettura sistematica delle disposizioni dettate dal P.U.T. per la ZT4, zona "E-agricola" emergerebbe che è consentito ai Comuni, in sede di adeguamento del Piano regolatore comunale, prevedere la realizzazione di interventi di "ristrutturazione edilizia" di un fabbricato esistente; ha evidenziato altresì : "(N)nè si può ritenere che la prospettata, corretta interpretazione dell'art. 17 del P.U.T. consentirebbe, attraverso una previsione del P.R.G. che amplia, come nel nostro caso, le tipologie edilizie, di eludere l'interesse paesaggistico, posto che, indipendentemente dalle tipologie edilizie ritenute ammissibili dal P.R.G., comunque occorre acquisire il parere da parte della Soprintendenza". Il ricorrente incidentale ha anche lamentato che la Soprintendenza non avesse compiuto alcuna valutazione in merito al concreto impatto paesaggistico dell'intervento in questione, evidenziando che il fabbricato in questione, nell'attuale posizione, si trova allineato a confine con la strada "Viale -OMISSIS-"; a suo giudizio, la posizione del fabbricato (preesistente) impedirebbe l'allargamento della sede stradale, frustrando la possibilità di garantire la sicurezza stradale cui è teleologicamente diretta la destinazione urbanistica a fascia di rispetto stradale, laddove invece la progettata traslazione del fabbricato al centro del lotto garantirebbe appieno tale finalità di incrementare il livello di sicurezza stradale. In conclusione, la delocalizzazione del fabbricato in questione, in quanto realizza finalità di sicurezza stradale e di adeguata dotazione infrastrutturale prescritta dallo stesso P.U.T., integrerebbe appieno gli estremi di una "posizione prevalente" legittimante la positiva definizione della conferenza di servizi. 12. Come già esposto, il giudice di primo grado ha accolto il ricorso incidentale, proposto dalla parte privata, e ha dichiarato improcedibile il ricorso principale. 12.1 In particolare, il T.a.r., in accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale, ha ritenuto che la seconda conferenza di servizi non poteva essere convocata per annullare la precedente determinazione del funzionario comunale, essendo quest'ultima già stata annullata in autotutela dal funzionario stesso; detta conferenza rappresenterebbe una prosecuzione della prima, con la conseguenza che nel corso di essa potevano essere valutate anche le modifiche progettuali proposte, ossia la riduzione del 5% della volumetria. 12.2. Il giudice di primo grado ha inoltre evidenziato che, eliminato l'incremento della volumetria del 5% (aspetto inizialmente contestato dalla Soprintendenza), rimanevano solo due aspetti controversi: quello relativo alla non ammissibilità di interventi di "ristrutturazione edilizia" nell'area agricola vincolata, in base alle previsioni del Piano urbanistico territoriale dell'Area (omissis) - (omissis) e quello relativo alla datazione del fabbricato preesistente; a tale riguardo, recependo quanto enunciato nel provvedimento impugnato, il giudice di primo grado, richiamando l'art. 146, comma 8, d.lgs. n. 42/2004, ha ritenuto che tali aspetti non fossero ostativi alla realizzazione del progetto, in quanto la Soprintendenza non avrebbe motivato in relazione al c.d. "merito paesaggistico". In particolare, ha sostenuto che il parere della Soprintendenza del 17 agosto 2022 e la nota del 4 novembre 2022 non recherebbero alcuna valutazione sul c.d. merito paesaggistico, non esplicitando in nessun modo le effettive ragioni di contrasto tra l'opera progettata e i valori paesaggistici del luogo oggetto di tutela; la Soprintendenza avrebbe formulato il proprio dissenso, incentrandosi sull'interpretazione della disciplina urbanistica e sulla data di realizzazione dell'immobile, sovrapponendosi in questo modo alle competenze del Comune, che aveva istruito e definito positivamente il relativo iter amministrativo. 12.3. Il giudice di primo grado, inoltre, ha accolto l'eccezione sollevata dalla parte privata resistente nella memoria depositata il 20 gennaio 2023, ritenendo che, al fine di conseguire o tentare di conseguire un diverso apprezzamento degli interessi coinvolti, il Ministero avrebbe dovuto portare il conflitto ad un livello più elevato, attivando il meccanismo di rimessione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, disciplinato dall'art. 14 - quinquies della l. n. 241 del 1990 e s.m.i. 13. Nell'atto di appello, il Ministero della Cultura, dopo aver richiamato diffusamente le conclusioni del giudice di primo grado (di sostanziale accoglimento delle censure del ricorrente incidentale), ha evidenziato (pagg. 19 e 20 del ricorso in appello) che il giudice di primo grado avrebbe omesso di considerare che il modulo procedimentale da seguire per l'annullamento in autotutela deve necessariamente essere lo stesso seguito per l'atto da annullare con la necessità di avviare solo successivamente un nuovo procedimento amministrativo in sede di riedizione del potere. Il Ministero appellante ha contestato inoltre (pag. 14 del ricorso in appello) l'affermazione contenuta negli atti comunali impugnati e nel ricorso incidentale secondo cui "il PUT di cui alla L.R. 35/87 - diversamente da quanto sostenuto dalla Soprintendenza - per la Zona territoriale "4" non porrebbe alcuna limitazione agli interventi di ristrutturazione e non vieterebbe al pianificatore locale di ampliare il ventaglio degli interventi edilizi assentibili, ma si limiterebbe ad individuare gli interventi da consentire nell'ambito di tale sugli edifici esistenti a tutto il 1955", facendo rilevare che "(T)tale affermazione è infondata, essendo evidente che, laddove il P.U.T. individua gli interventi consentiti nella Zona territoriale 4, e fra questi non ricomprende (tra l'altro) la ristrutturazione, pone un limite alla realizzazione di tutte le tipologie di intervento non espressamente contemplate". 14. Le doglianze formulate dal Ministero della Cultura nei confronti della sentenza appellata in relazione alle censure del ricorso incidentale, accolte dal giudice di primo grado, meritano di essere condivise. 14.1. Il responsabile dell'Area urbanistica del Comune di -OMISSIS- aveva espressamente convocato la seconda conferenza di servizi per l'annullamento in autotutela della propria precedente determinazione n. 29 del 4 ottobre 2022, con la quale, ritendo che il parere espresso dalla Soprintendenza non avesse carattere vincolante, aveva concluso positivamente, sulla base delle posizioni prevalenti, i lavori della Conferenza di servizi, indetta con nota del 22 luglio 2022 (prot. n. 11007), nel senso di assentire i lavori. Nella nota 13 ottobre 2022, prot. n. 15667, si legge espressamente "SI COMUNICA L'indizione della Conferenza dei servizi in forma simultanea e in modalità sincrona per l'annullamento in autotutela della determinazione n. 29 del 04/10/2022, reg. gen. N. 672 del 04/10/2022". 14.2. Nella conferenza di servizi del 4 novembre 2022, invece, dando atto della presentazione di nuovi elaborati progettuali in pari data, con rimodulazione della volumetria originaria, il responsabile dell'Area urbanistica del Comune ha sostanzialmente modificato l'oggetto della conferenza di servizi, senza tenere in alcuna considerazione le legittime rimostranze del Soprintendente sotto il profilo procedimentale. 14.3. Il Soprintendente ha quindi partecipato ad una seduta della conferenza di servizi avente un oggetto diverso da quello per la quale era stata indetta, dovendo peraltro esprimersi sulle modifiche progettuali presentate al protocollo del Comune nello stesso giorno in cui si è svolta la conferenza di servizi. 14.4. Tutto ciò premesso, considerato il tenore testuale dell'atto del 13 ottobre 2022 di convocazione della conferenza di servizi, non emerge da alcun atto l'errore materiale in cui sarebbe incorso il funzionario comunale, a differenza di quanto stabilito dal primo decidente. Emerge al contrario un ben preciso oggetto della nuova riunione della conferenza di servizi - ossia la decisione sull'annullamento in autotutela - che, certamente, non contempla(va) la prosecuzione della precedente conferenza ormai conclusa. Anche l'altra affermazione del TAR - secondo cui "se l'intenzione non fosse stata quella di riprendere la conferenza da dove esse si era interrotta, non avrebbe avuto senso adottare e trasmettere alla Soprintendenza l'atto di annullamento, il preavviso di diniego e le relative osservazioni" - non può essere condivisa, perché, al contrario, è previsto dalla legge che l'annullamento in autotutela di una decisione adottata all'esito della conferenza di servizi deve necessariamente intervenire attraverso la convocazione di una nuova conferenza di servizi avente proprio questo oggetto, trattandosi di atto c.d. pluristrutturato. Ed invero, l'art. 14 quater l. 241/1990 - dopo aver stabilito al primo comma che "la determinazione motivata di conclusione della conferenza, adottata dall'amministrazione procedente all'esito della stessa, sostituisce a ogni effetto tutti gli atti di assenso, comunque denominati, di competenza delle amministrazioni e dei gestori di beni o servizi pubblici interessati" - al secondo comma prevede che "le amministrazioni i cui atti sono sostituiti dalla determinazione motivata di conclusione della conferenza possono sollecitare con congrua motivazione l'amministrazione procedente ad assumere, previa indizione di una nuova conferenza, determinazioni in via di autotutela ai sensi dell'articolo 21-nonies". Nel caso di specie, infatti, dopo la determinazione 4 ottobre 2022, n. 29, coerentemente a quanto previsto dalla legge, la Soprintendenza, con nota 10 ottobre 2022, prot. 21970, ha avanzato, in ossequio all'art. 14 quater, comma 2, l. 241/1990 (espressamente citato nell'atto), istanza di annullamento in autotutela e il responsabile del servizio ha doverosamente convocato la conferenza di servizi, che avrebbe dovuto esprimersi unicamente su questo. In conclusione, nessun errore materiale v'è stato e la conferenza di servizi - prima indetta per il 28 ottobre 2022 e poi rinviata al 4 novembre 2022 - non poteva avere un oggetto diverso da quello individuato chiaramente nell'atto di indizione e consistente nell'annullamento in autotutela del precedente provvedimento. Si rivela dunque infondato il primo motivo del ricorso incidentale proposto in primo grado ed erroneamente condiviso dal T.a.r. 15. Debbono essere disattese anche le doglianze formulate nel secondo motivo del ricorso incidentale, riproposte dall'appellato nel giudizio di appello, ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.a. (in quanto espressamente non scrutinate dal giudice di primo grado). 15.1. Come sopra evidenziato e come si dirà anche più avanti nell'esame dell'appello, l'area relativa all'intervento edilizio (qualificato negli elaborati progettuali come intervento di "ristrutturazione edilizia") è sottoposta a vincolo paesaggistico; si tratta di un vincolo provvedimentale imposto mediante decreto ministeriale 21 ottobre 1968, recante "Dichiarazione di notevole interesse pubblico di una parte del territorio comunale di S. -OMISSIS-" (G.U. n. 292 del 16 novembre 1968). 15.2. Con la legge regionale della Campania del 27 giugno 1987 n. 35, inoltre, è stato approvato il "Piano urbanistico territoriale dell'Area (omissis) - (omissis)", ai sensi dell'articolo 1/bis della l. 8 agosto 1985, n. 431. 15.2.1. L'art. 3 della predetta legge regionale dispone che detto Piano (PUT) "è Piano territoriale di coordinamento con specifica considerazione dei valori paesistici e ambientali e sottopone a normativa d'uso il territorio dell'Area (omissis) - (omissis)" (comma 1) ".... prevede norme generali d'uso del territorio dell'area e formula direttive a carattere vincolante alle quali i Comuni devono uniformarsi nella predisposizione dei loro strumenti urbanistici o nell'adeguamento di quelli vigenti" (comma 2). 15.2.2. L'art. 17 della l.r. della Campania n. 35/1987, rubricato: "Zone territoriali prescrittive per la formazione dei Piani regolatori generali" suddivide l'area oggetto del Piano urbanistico territoriale in sedici tipi di "zone territoriali", stabilendo che dette zone sono prescrittive per la formazione dei Piani regolatori generali. 15.3. L'area di proprietà dell'appellato, interessata dall'intervento edilizio, ricade nella "Zona territoriale 4", per la quale, in relazione alle aree agricole, il legislatore regionale ha fissato i seguenti parametri: "- zona "E" - agricola. Per essa, le indicazioni e la normativa dei Piani regolatori generali devono: - prevedere la realizzazione delle indispensabili strade interpoderali, di cui al precedente articolo 15 e nel rispetto delle norme tecniche, di cui al successivo titolo IV; - consentire i rifacimenti dei muri di sostegno nel rispetto delle norme tecniche di cui al successivo titolo IV; - consentire la sostituzione degli ordinamenti colturali esistenti, con altri comunque appartenenti alla tradizione dell'area; - consentire nuova edilizia rurale - quota parte del proporzionamento del fabbisogno di nuovi vani residenziali, di cui al precedente articolo 9 - nel rispetto dell'indice di fabbricabilità fondiario massimo di 0,03 mc/mq e dell'altezza massima di metri 7,50; ai fini dell'adeguamento dei volumi tecnici per la conduzione del fondo (stalle, porcile, depositi ecc.), consentire edificazioni con l'indice di fabbricabilità fondiario max di 0,03 mc/mq; - consentire per l'edilizia esistente a tutto il 1955, interventi, nel rispetto delle norme tecniche di cui al successivo titolo IV, di: 1) restauro conservativo, manutenzione ordinaria e straordinaria; 2) adeguamento funzionale, una tantum, degli alloggi ai fini della creazione dei servizi igienici, con i seguenti parametri: - dimensione minima dell'alloggio per consentire l'intervento: 30,00 mq di superficie utile netta; - incremento di superficie utile netta, pari al 15% di quella esistente, fino ad un valore massimo di 22,00 mq (per i valori risultanti minori di mq 6,00 si consente l'arrotondamento fino a tale valore); - eventuale zona di "rispetto" in funzione, sia della tutela di valori ambientali, sia della difesa del suolo. Per tale zona la normativa del Piano regolatore generale deve prescrivere l'inedificabilità assoluta, sia pubblica che privata". 15.4. Orbene, il Collegio deve rilevare, in primo luogo, che, diversamente da quanto rappresentato nel ricorso incidentale - laddove si sostiene che i pareri della Soprintendenza siano carenti sotto il profilo della istruttoria, non essendo stato accertato il fatto che il fabbricato era stato realizzato prima del 1955 - era la parte privata che ha proposto l'intervento a dover dimostrare (secondo il principio della vicinanza e della riferibilità della prova) che la realizzazione del fabbricato risaliva a data successiva al 1955 e dunque non era assoggettato alle limitazioni previste dal Piano urbanistico territoriale dell'Area (omissis) - (omissis). Ed invero, in materia edilizia, per giurisprudenza consolidata, solo il privato può fornire, in quanto ordinariamente ne dispone, inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione del manufatto, mentre l'amministrazione non può, di solito, materialmente accertare quale fosse la situazione all'interno dell'intero suo territorio (Consiglio di Stato, sez. II, 26 gennaio 2024, n. 858; Consiglio di Stato, sez. VI, 9 settembre 2019, n. 6107; Consiglio di Stato, sez. VI, 31 luglio 2017, n. 3816) 15.5. Né può essere attribuita valenza dirimente alle generiche dichiarazioni contenute nella perizia dell'ing. -OMISSIS- (peraltro, non asseverata), nella quale, dopo la descrizione del fabbricato (con annesse fotografie), si formulano le seguenti conclusioni: "Dal sopralluogo effettuato è emerso che è un classico fabbricato costruito in muratura portante di tufo. Esso rispecchia la classica distribuzione di un fabbricato rurale con corte esterna ed ambienti che si susseguono oltre ad un piano ammezzato che fu costruito per le esigenze del proprietario terriero. Dall'analisi svolta si può affermare che l'epoca di costruzione del fabbricato oggetto della presente relazione, per caratteristiche tipologiche, per i materiali adoperati, per la distribuzione degli ambienti è inquadrabile presumibilmente nel periodo post 1955 ed ante 1967". Dalla predetta relazione non si comprende per quali ragioni di natura tecnica la realizzazione del fabbricato in questione "costruito in muratura portante di tufo" e con "la classica distribuzione di un fabbricato rurale" si collochi nell'arco temporale successivo al 1955 e antecedente al 1967. È dunque mancata la prova di tale circostanza e le censure su di essa incentrate vanno respinte. In ogni caso, l'intervenuta demolizione del fabbricato in questione (prima del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado) non consente al Collegio di effettuare approfondimenti istruttori che permettano di supportare la tesi della parte privata, non adeguatamente comprovata, come detto, con la documentazione versata in atti. 15.6. In secondo luogo, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente incidentale in primo grado, risulta evidente dalla chiara formula della legge regionale che, nella zona territoriale in relazione alla quale è stata presentata istanza di permesso di costruire, non sono consentiti interventi di "ristrutturazione edilizia", ma solo interventi di "restauro conservativo", "manutenzione ordinaria e straordinaria" e "adeguamento funzionale" secondo determinati parametri. Sotto tale aspetto va rilevato che nel nostro ordinamento le nozioni di ristrutturazione edilizia, restauro conservativo, manutenzione ordinaria e straordinaria hanno ben precise definizioni (art. 3 d.P.R. 380/2001) e, conseguentemente, non possono in alcun modo essere sovrapposte o assimilate. Se la legge ammette uno di questi interventi non può in via interpretativa desumersi - come richiesto dalla parte interessata - che anche gli altri interventi siano possibili, soprattutto se di maggiore impatto. 15.7. Giuridicamente irrilevante è il fatto che il Piano regolatore del Comune di -OMISSIS- consenta interventi di ristrutturazione edilizia in zona agricola e che il Piano comunale sia stato approvato successivamente al Piano urbanistico territoriale, in quanto, per espresso dettato normativo, le previsioni della strumentazione urbanistica comunale hanno natura recessiva rispetto ai vincoli e ai limiti stabiliti dal Piano urbanistico territoriale dell'Area (omissis)-(omissis) e non possono essere legittimamente assentiti dal Comune interventi edilizi che si pongano in contrasto con le limitazioni edificatorie stabilite da P.U.T. per le zone vincolate. Il principio ora affermato, oltre ad essere stato già accertato con plurime decisioni da questa Sezione (ex multis, Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 20 marzo 2023 n. 2809), è facilmente desumibile dalla stessa legge regionale (art. 3, comma 2, ove si stabilisce "il Piano urbanistico territoriale prevede norme generali d'uso del territorio dell'area e formula direttive a carattere vincolante alle quali i Comuni devono uniformarsi nella predisposizione dei loro strumenti urbanistici o nell'adeguamento di quelli vigenti"; art. 17, comma 2, ove si prevede "le "zone territoriali" 1b, 4, 5 e 7 dovranno essere articolate in zone di Piano regolatore, con normativa, nel rispetto delle indicazioni del presente articolo"). Va in ultimo escluso che la Soprintendenza abbia travalicato il c.d. merito paesaggistico. Ed invero, l'art. 3, comma 1, l.r. 37/1985, afferma che "il Piano urbanistico territoriale dell'Area (omissis) - (omissis) è Piano territoriale di coordinamento con specifica considerazione dei valori paesistici e ambientali e sottopone a normativa d'uso il territorio dell'Area (omissis) - (omissis)". La contrarietà al P.U.T. si traduce, dunque, in contrarietà ai valori paesaggistici e ambientali, a differenza di quanto affermato dal TAR, anche in considerazione dell'esistenza del vincolo imposto - e ritenuto esistente anche dalla parte privata (si veda pag. 22 del ricorso incidentale di primo grado) - con d.m. 21 ottobre 1968. In definitiva, non possono trovare condivisione le ragioni individuate dal TAR - riassumibili in un diverso oggetto della conferenza di servizi (rispetto a quello per cui era stata espressamente convocata) e nell'aver travalicato il c.d. merito paesaggistico - per l'accoglimento del ricorso incidentale di primo grado, che, al contrario, andava respinto. 16. Dall'infondatezza delle censure dedotte nel ricorso incidentale (sia quelle il cui accoglimento è stato posto alla base della sentenza impugnata, che quelle riproposte dall'appellato in grado di appello, ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.a.), emerge l'erroneità della sentenza di primo grado che non ha scrutinato - come invece avrebbe dovuto - il ricorso principale avanzato dal Ministero. 16.1. Per procedere all'esame delle censure riproposte dal Ministero della Cultura con l'atto di appello, tuttavia, il Collegio deve preliminarmente verificare (quale presupposto dell'azione) la fondatezza della pronuncia di inammissibilità, per difetto di legittimazione attiva del Ministero della Cultura, dichiarata dal giudice di primo grado, in accoglimento di una eccezione sollevata dalla parte privata in primo grado. 16.2. Il T.A.R., infatti, ha accolto l'eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio, formulata dalla difesa del controinteressato, con la memoria depositata in data 20 gennaio 2023, ritenendo anche per questa via di poter prescindere dall'esame delle censure formulate dal Ministero della Cultura. In sintesi, il controinteressato ha sostenuto che il ricorso di primo grado fosse inammissibile, per violazione dell'art. 14 - quinquies, comma 1, della l. n. 241/1990 e s.m.i. a norma del quale: "1. Avverso la determinazione motivata di conclusione della conferenza, entro 10 giorni dalla sua comunicazione, le amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali o alla tutela della salute e della pubblica incolumità dei cittadini possono proporre opposizione al Presidente del Consiglio dei ministri a condizione che abbiano espresso in modo inequivoco il proprio motivato dissenso prima della conclusione dei lavori della conferenza. Per le amministrazioni statali l'opposizione è proposta dal Ministro competente". Il giudice di primo grado, aderendo alla eccezione, ha sostenuto che "al fine di conseguire, o tentare di conseguire, un diverso apprezzamento di tale interesse, il Ministero avrebbe dovuto portare il conflitto ad un livello più elevato, attivando il meccanismo di rimessione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri disciplinato dall'art. 14-quinquies della l. n. 241 del 1990"; a giudizio del T.A.R., l'attivazione del rimedio di cui alla predetta norma costituirebbe condizione di ammissibilità del ricorso giurisdizionale. 16.3. Anche queste conclusioni del giudice di primo grado vanno disattese. 16.3.1. L'art. 14- quinquies, comma 1, della l. n. 241/1990 e s.m.i. riconosce alle amministrazioni statali, che abbiano espresso dissenso per ragioni paesaggistiche in seno alla conferenza di servizi, il potere di proporre opposizione nel termine di dieci giorni, opposizione che deve essere avanzata dal Ministro competente; questa facoltà, da esercitare, peraltro, entro un termine molto ristretto, non può essere qualificata come condizione di ammissibilità o di procedibilità del ricorso giurisdizionale, nel senso di ritenere che la mancata opposizione precluda non solo lo strumento specifico dell'intervento del Consiglio dei Ministri, ma anche l'azione giurisdizionale avverso la determinazione di conclusione della conferenza. Un'interpretazione di questo tipo non sarebbe compatibile con il diritto di difesa costituzionalmente riconosciuto e tutelato dall'art. 24 Cost. anche a favore dell'amministrazione rimasta soccombente nella conferenza di servizi. In altri termini, ritiene il Collegio che la lettura delle disposizioni evocate debba essere diversa. Il termine di dieci giorni invero è correlato unicamente all'utilizzo del meccanismo di superamento del dissenso con sottoposizione della questione in esame al Consiglio dei Ministri. Una volta perduto, o non utilizzato, tale termine, permane per l'amministrazione dissenziente la facoltà di utilizzo dell'azione giurisdizionale nel termine ordinario. Peraltro, va evidenziato che l'azione giudiziaria consentirà solo l'ordinario sindacato giurisdizionale di legittimità, con perdita quindi, da parte dell'Amministrazione statale dissenziente, che non ha proposto opposizione, del rimedio di merito costituito dalla presa in carico della fattispecie da parte del Consiglio dei Ministri. Di recente questo principio è stato affermato dalla Sezione che, nel respingere gli appelli avverso la sentenza T.a.r. Toscana, sez. II, 6 marzo 2020, n. 286, ha testualmente affermato che "l'opposizione di cui all'art. 14-quinquies della legge n. 241 del 1990 non può in alcun modo costituire conditio sine qua non dell'azione giurisdizionale, ferma restando, in caso di mancata proposizione dell'opposizione, la facoltà di esercizio dell'azione giurisdizionale nel termine ordinario" (Consiglio di Stato, sez. IV, 10 dicembre 2020, n. 7884). 16.3.2. Deve conclusivamente sul punto ritenersi che la possibilità di investire la Presidenza del Consiglio dei Ministri della composizione dei conflitti insorti in sede di conferenza di servizi costituisca un rimedio ulteriore predisposto dall'ordinamento giuridico in un'ottica deflativa del contenzioso e che, tuttavia, la determinazione delle amministrazioni dissenzienti di non avvalersi di questo istituto non precluda l'ordinario sindacato giurisdizionale di legittimità sugli atti della conferenza di servizi. 17. Una volta esclusa la fondatezza del ricorso incidentale di primo grado e superate le questioni "di rito" che si frapponevano all'esame dell'impugnazione, occorre ora esaminare il "merito" del ricorso e dunque le censure avanzate dal Ministero in primo grado e poi riproposte dall'amministrazione statale con l'atto di impugnazione. Il Ministero in primo grado ha impugnato, come detto, la determinazione n. 35 del 15 novembre 2022, prot. n. 781, del Comune di -OMISSIS- (SA) - Area Urbanistica, recante determinazione di conclusione positiva della conferenza di servizi indetta il 22 luglio 2022 prot. n. 11007, nonché, tra l'altro, il verbale della conferenza di servizi del 4 novembre 2022. In appello, il Ministero della Cultura ha formulato i seguenti motivi doglianza. 18. Con il primo motivo di appello il Ministero della Cultura deduce: error in iudicando; violazione e/o falsa applicazione degli artt. 24, 97 e 113 della Costituzione, 7 e 134 del c.p.a., 142 del d.lgs. n. 42/2004 per non aver la sentenza considerato che nel caso de quo si applicano le prescrizioni del "Piano urbanistico territoriale dell'Area (omissis) - (omissis)" (PUT). 18.1. A giudizio dell'amministrazione, la sentenza non affronterebbe la censura sollevata dal Ministero in primo grado in merito all'eccesso di potere per macroscopico errore e travisamento dei presupposti e sviamento, cui è incorso il comune con l'adozione del provvedimento impugnato. Il giudice di primo grado, recependo acriticamente le censure della controparte, avrebbe ritenuto che nel caso di specie non trovino applicazione le prescrizioni del P.U.T., bensì le prescrizioni del P.R.G. del Comune, che, in quanto approvato successivamente al P.U.T., deve intendersi adeguato ad esso e che, all'art. 22 delle NTA del Piano regolatore comunale, espressamente prevede per le zone E4, tra gli interventi ammessi sugli edifici esistenti anche quello di ristrutturazione edilizia. Avendo il "Piano urbanistico territoriale dell'Area (omissis) - (omissis)" una valenza sovraordinata rispetto agli strumenti di pianificazione territoriale comunale, invece, il fatto che il Piano regolatore del Comune di -OMISSIS- sia stato approvato nel 1996 - quindi dopo l'approvazione del P.U.T. "Area (omissis)-(omissis)" - non sarebbe sufficiente a far ritenere che lo strumento comunale sia per ciò solo conforme al P.U.T., le cui previsioni prevalgono su quelle, eventualmente difformi, contenute nello strumento urbanistico comunale. Il Ministero della Cultura ribadisce - riproponendo il primo motivo di ricorso avanzato innanzi al TAR - che l'area è gravata da un vincolo paesaggistico imposto dallo Stato, ai sensi della legge n. 1497 del 1939 (ora sostituita dalla Parte III del Codice dei beni culturali e del paesaggio) e segnatamente dal vincolo imposto mediante decreto ministeriale del 21 ottobre 1968, recante "Dichiarazione di notevole interesse pubblico di una parte del territorio comunale di S. -OMISSIS-" (G.U. n. 292 del 16 novembre 1968). L'aver negato l'esistenza del vincolo paesaggistico costituirebbe un errore macroscopico nei presupposti, tale da infirmare la legittimità del provvedimento impugnato in primo grado e la validità della pronuncia appellata. Per l'appellato, invece, non è affatto vero che nella sentenza appellata si sia negato l'esistenza del vincolo paesaggistico (pag. 8 della memoria del 25 settembre 2023). 18.2. Con il secondo motivo di appello, l'amministrazione appellante deduce: error in iudicando; violazione e/o falsa applicazione dell'art. 15 e dell'articolo 146, comma 5, decreto legislativo n. 42 del 2004, per non aver il giudice di primo grado considerato la natura vincolante del parere negativo della Soprintendenza. Il Ministero in primo grado aveva già rilevato - pagine 15-17 del ricorso introduttivo - l'erroneità del provvedimento impugnato nella parte in cui aveva concluso per la natura non vincolante del parere. Il Ministero della Cultura evidenzia che la degradazione del parere della Soprintendenza da vincolante a obbligatorio può aversi soltanto "all'esito dell'approvazione delle prescrizioni d'uso dei beni paesaggistici tutelati, predisposte ai sensi degli articoli 140, comma 2, 141, comma 1, 141-bis e 143, comma 1, lettere b), c) e d), nonché della positiva verifica da parte del Ministero su richiesta della regione interessata, dell'avvenuto adeguamento degli strumenti urbanistici". Nel caso di specie, il Ministero non avrebbe mai effettuato la verifica, in collaborazione con la Regione, di avvenuto adeguamento dello strumento urbanistico del Comune di -OMISSIS- al Piano urbanistico territoriale dell'Area (omissis) - (omissis) (avente valenza di piano paesaggistico); conseguentemente, il parere del Soprintendente nell'iter di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica di cui all'art. 146 del d.lgs. n. 42/2004 conserverebbe il carattere obbligatorio e vincolante. Per la parte appellata, invece, nella sentenza appellata non si trova affatto affermata la tesi della natura non vincolante (pag. 9 della memoria del 25 settembre 2023), avendo il giudice di primo grado dichiarato inammissibile il ricorso, perché non sarebbe stata proposta opposizione ai sensi dell'art. 14 quater. 18.3. Con il terzo motivo di appello, il Ministero della Cultura deduce: error in iudicando; il giudice di primo grado avrebbe omesso di esaminare (pagina 16 dell'appello) le censure sollevate dal Ministero in primo grado in ordine alla nullità del provvedimento, per difetto assoluto di attribuzione e per incompetenza del Comune. Già col ricorso avanti al TAR, il Ministero aveva rilevato come "l'assenso, che sostituisce anche l'autorizzazione paesaggistica, si configuri alla stregua di assenso "in bianco", pro futuro, ossia quale assenso su un progetto che, al momento della determinazione conclusiva, ancora non c'era. Al momento dell'adozione della determinazione conclusiva n. 29 del 4 ottobre 2022, invero, vi era solo il progetto originario che, tuttavia, il responsabile dell'Area urbanistica ha prescritto di modificare. Autorizzando, pro futuro, un progetto ancora inesistente il Responsabile ha dunque esercitato un potere che l'ordinamento non attribuisce. È infatti pacifico che la determinazione conclusiva della conferenza di servizi debba riguardare l'istanza presentata e il progetto rispetto al quale si è avviato il procedimento che ha dato origine alla conferenza" (pagina 18 ricorso TAR). Per l'interessato non corrisponderebbe al vero che il TAR non ha affrontato i vizi procedimentali denunciati dal Ministero (pag. 11 memoria del 25 settembre 2023). 18.4. Con il quarto motivo di appello, il Ministero della Cultura deduce: error in iudicando; violazione e falsa applicazione degli articoli 14 e 14 - ter, della legge n. 241 del 1990, per non avere il giudice di primo grado valutato l'eccesso di potere, per difetto di istruttoria e sviamento di potere. Il giudice di primo grado non avrebbe rilevato che la conferenza di servizi decisoria era stata indetta unicamente per l'acquisizione del solo parere della Soprintendenza. A giudizio della amministrazione appellante, "L'impropria convocazione della conferenza di servizi per l'acquisizione della sola autorizzazione paesaggistica costituisce essa stessa un indice di sviamento del potere, posto che la finalità perseguita dall'Amministrazione con tale scelta procedimentale è stata, manifestamente, quella di poter disporre di un modulo procedimentale che consentisse di superare il dissenso dell'Amministrazione di tutela" (pag. 17 dell'appello e pag. 23 ricorso TAR). La parte deduce l'inammissibilità della censura perché il Ministero avrebbe dovuto proporla impugnando già il primo atto di indizione della conferenza. 18.5. Con il quinto motivo di appello, il Ministero della Cultura deduce: error in iudicando; violazione e falsa interpretazione dell'articolo 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380 del 2001. Il Ministero fa rilevare che la qualificazione come "ristrutturazione edilizia" dell'intervento edilizio proposto dall'interessato deve essere effettuata in relazione alle norme vigenti al momento dell'entrata in vigore del Piano urbanistico territoriale dell'Area (omissis) - (omissis)". Il progressivo ampliamento della definizione di "ristrutturazione edilizia" non potrebbe essere strumentalmente utilizzato per estendere la gamma degli interventi edilizi ammissibili in area paesaggisticamente vincolata (pag. 18 dell'appello e pag. 25-26 ricorso TAR). Il Ministero della Cultura fa rilevare inoltre che il giudice di primo grado avrebbe errato nel ritenere che la seconda conferenza di servizi rappresentasse una prosecuzione della precedente conferenza di servizi, fondata sull'altrettanto erronea affermazione che "risulta evidente l'errore materiale in cui è incorso il funzionario comunale nella determinazione dell'oggetto della nuova riunione della conferenza, che certamente non poteva essere quello di (ri)annullare la determina n. 29 del 4 ottobre 2022, che risultava già annullata con un atto cronologicamente antecedente e logicamente presupposto rispetto a quello di convocazione" (pag. 20 dell'appello e pag. 20 ricorso TAR). 19. I motivi proposti in primo grado e riproposti in appello sono fondati nei limiti che ora si preciseranno. 19.1. In primo luogo, come già sopra esposto, l'area di proprietà dell'appellato, interessata dall'intervento edilizio, ricade nella "Zona territoriale 4" per la quale, in relazione alle aree agricole, il legislatore regionale consente per l'edilizia esistente a tutto il 1955" solo "interventi, nel rispetto delle norme tecniche di cui al successivo titolo IV, di: 1) restauro conservativo, manutenzione ordinaria e straordinaria; 2) adeguamento funzionale, una tantum, degli alloggi ai fini della creazione dei servizi igienici..." In base alla chiara formula della legge regionale nella zona territoriale in relazione alla quale è stata presentata istanza di permesso di costruire non sono consentiti interventi di "ristrutturazione edilizia", ma solo interventi di "restauro conservativo", "manutenzione ordinaria e straordinaria" e "adeguamento funzionale" secondo determinati parametri. Giuridicamente non dirimente è il fatto che il Piano regolatore del Comune di -OMISSIS- consenta interventi di ristrutturazione edilizia in zona agricola e che il Piano comunale sia stato approvato successivamente al Piano urbanistico territoriale. Va evidenziato che la Sezione (sentenza 20 marzo 2023 n. 2809) ha già avuto modo di precisare quanto segue: - tutte le disposizioni contenute nella legge regionale della Campania 27 giugno 1987 n. 35 hanno natura di prescrizioni paesaggistiche (Consiglio di Stato, sez. IV, n. 8559 del 2020); - il Piano urbanistico territoriale dell'Area (omissis) - (omissis), ai sensi dell'articolo 3, commi 1 e 2, della l.r. citata è piano territoriale con specifica considerazione dei valori paesistici e ambientali e formula direttive vincolanti alle quali i Comuni devono uniformarsi nella predisposizione dei loro strumenti urbanistici (Cons. Stato, sez. VI, 26 maggio 2015, n. 2652); - la Corte costituzionale (sentenza n. 11 del 2016) ha fatto osservare che "l'eventuale scelta della regione (compiuta nella specie dalla Campania) di perseguire gli obiettivi di tutela paesaggistica attraverso lo strumento dei piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici non modifica i termini del rapporto fra tutela paesaggistica e disciplina urbanistica, come descritti, e, più precisamente, non giustifica alcuna deroga al principio secondo il quale, nella disciplina delle trasformazioni del territorio, la tutela del paesaggio assurge a valore prevalente. Il progressivo avvicinamento tra i due strumenti del piano paesaggistico "puro" e del piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici - giunto alla sostanziale equiparazione dei due tipi operata dal codice dei beni culturali e del paesaggio (art. 135, comma 1) - fa sì che oggi lo strumento di pianificazione paesaggistica regionale, qualunque delle due forme esso assuma, presenti contenuti e procedure di adozione sostanzialmente uguali" (par. 3.3 della parte in diritto); - la tutela ambientale e paesaggistica, gravando su un bene complesso e unitario avente valore primario e assoluto, precede e comunque costituisce un limite alla salvaguardia degli altri interessi pubblici; non a caso, il Codice dei beni culturali e del paesaggio definisce i rapporti tra il piano paesaggistico e gli altri strumenti urbanistici (nonché i piani, programmi e progetti regionali di sviluppo economico) secondo un modello rigidamente gerarchico, restando escluso che la salvaguardia dei valori paesaggistici possa cedere a mere esigenze urbanistiche (in termini, Cons. Stato, sez. VI, n. 2225 del 2 aprile 2020; cfr. anche, sez. IV, n. 2371 del 2022); - i vincoli di inedificabilità assoluta previsti dal Piano urbanistico territoriale dell'Area (omissis)-(omissis) sono immediatamente operativi, a partire dall'entrata in vigore del Piano (pubblicato sul B.U.R. della regione Campania n. 40 del 20 luglio 1987), atteso che i vincoli di inedificabilità assoluta disciplinati dal P.U.T. operano indipendentemente dal loro recepimento nella pianificazione urbanistica comunale (Cons. Stato, sez. IV, 2 settembre 2022, n. 7674). Ne deriva dunque che quanto previsto nel P.U.T. è vincolante per i piani comunali, anche se successivi, sia sulla base dell'esplicita previsione di legge regionale sia in ragione di quanto disposto dall'art. 143, comma 9, d.lgs. 42/2004. 19.2. In secondo luogo, come sopra evidenziato, l'area relativa all'intervento edilizio (qualificato negli elaborati progettuali come intervento di "ristrutturazione edilizia") è sottoposta a vincolo paesaggistico; si tratta di un vincolo provvedimentale imposto mediante decreto ministeriale 21 ottobre 1968, recante "Dichiarazione di notevole interesse pubblico di una parte del territorio comunale di S. -OMISSIS-" (G.U. n. 292 del 16 novembre 1968). Il d.m. cit. impone testualmente il vincolo perché la zona "è ricca di suggestive visioni panoramiche e paesaggistiche" e impone "l'obbligo... di presentare alla competente soprintendenza, per la preventiva approvazione, qualunque progetto di opere che possano modificare l'aspetto esteriore della località stessa". Tale circostanza, pacifica tra le parti, è già sufficiente per ritenere errato quanto affermato nel provvedimento impugnato, e poi condiviso dal TAR, che la soprintendenza non ha compiuto alcuna valutazione sul merito paesaggistico dell'intervento. 19.3. In terzo luogo, va escluso che il parere soprintendizio sia obbligatorio, ma non vincolante. Come correttamente evidenziato dal Ministero della Cultura, il parere paesaggistico espresso dalla Soprintendenza, ai sensi dell'art. 146 del d.lgs. n. 42/2004 "in relazione agli interventi da eseguirsi su immobili ed aree sottoposti a tutela dalla legge o in base alla legge", deve considerarsi obbligatorio e vincolante, non essendo stati né allegati né tantomeno documentati (dal Comune o dall'appellato) gli adempimenti di cui all'art. 146, comma 5, secondo periodo, del d.lgs. n. 42/2004, ossia, il fatto che il parere della Soprintendenza sia stato reso " all'esito dell'approvazione delle prescrizioni d'uso dei beni paesaggistici tutelati, predisposte ai sensi degli articoli 140, comma 2, 141, comma 1, 141-bis e 143, comma 1, lettere b), c) e d), nonché della positiva verifica da parte del Ministero, su richiesta della regione interessata, dell'avvenuto adeguamento degli strumenti urbanistici ". Milita poi in tale direzione anche l'art. 143, comma 3, d.lgs. 42/2004. 19.4. In quarto luogo, va rilevato che le nozioni di ristrutturazione edilizia, restauro e risanamento conservativo, manutenzione ordinaria e straordinaria - come già prima affermato - devono essere desunte dalla legislazione statale vigente al momento della definizione dell'istanza, così come si evince chiaramente dall'art. 2, comma 1, ("Le regioni esercitano la potestà legislativa concorrente in materia edilizia nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico") e 3, comma 2, d.P.R. 380/2001 ("Le definizioni di cui al comma 1 prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi"). Il responsabile dell'Area urbanistica del Comune di -OMISSIS- avrebbe dovuto valutare la qualificazione giuridica dell'intervento edilizio proposto dal richiedente e poi accertare cosa è ammesso sulla base della legge regionale 35/1987 e dagli strumenti urbanistici a questa subordinati. 19.5. In quinto luogo, merita condivisione la censura avanzata nei confronti del provvedimento impugnato in primo grado e incentrata sul fatto che alla riunione del 4 novembre 2022, piuttosto che discutere - giusta convocazione del 13 ottobre 2022 - dell'annullamento in autotutela del precedente atto di conclusione positiva (del 4 ottobre 2022), si è proceduto all'esame nel merito del progetto, così come riformulato dalla parte interessata lo stesso giorno 4 novembre 2022. Come già rilevato al par. 14.4. cui si rinvia, considerato il tenore testuale dell'atto del 13 ottobre 2022 di convocazione della conferenza di servizi, non emerge da alcun atto l'errore materiale in cui sarebbe incorso il funzionario comunale a differenza di quanto stabilito dal primo decidente. Emerge, al contrario, un ben preciso oggetto della nuova riunione della conferenza di servizi - ossia la decisione sull'annullamento in autotutela - che, certamente, non contempla la prosecuzione della precedente conferenza ormai conclusa. Come già spiegato, anche l'altra affermazione del TAR - secondo cui "se l'intenzione non fosse stata quella di riprendere la conferenza da dove esse si era interrotta, non avrebbe avuto senso adottare e trasmettere alla Soprintendenza l'atto di annullamento, il preavviso di diniego e le relative osservazioni" - non può essere condivisa perché, al contrario, è regola legislativa quella per cui l'annullamento in autotutela di una decisione adottata all'esito della conferenza di servizi deve necessariamente intervenire attraverso la convocazione di una nuova conferenza di servizi avente proprio questo oggetto, trattandosi di atto c.d. pluristrutturato. Ed invero, l'art. 14 quater l. 241/1990 - dopo aver stabilito al primo comma che "la determinazione motivata di conclusione della conferenza, adottata dall'amministrazione procedente all'esito della stessa, sostituisce a ogni effetto tutti gli atti di assenso, comunque denominati, di competenza delle amministrazioni e dei gestori di beni o servizi pubblici interessati" - al secondo comma prevede che "le amministrazioni i cui atti sono sostituiti dalla determinazione motivata di conclusione della conferenza possono sollecitare con congrua motivazione l'amministrazione procedente ad assumere, previa indizione di una nuova conferenza, determinazioni in via di autotutela ai sensi dell'articolo 21-nonies". Nel caso di specie, infatti, dopo la determinazione 4 ottobre 2022, n. 29, coerentemente a quanto previsto dalla legge, la Soprintendenza, con nota 10 ottobre 2022, prot. 21970, ha avanzato, in ossequio all'art. 14 quater, comma 2, l. 241/1990 (espressamente citato nell'atto), istanza di annullamento in autotutela e il responsabile del servizio ha doverosamente convocato la conferenza di servizi, che doveva esprimersi unicamente su questo. In conclusione, nessun errore materiale v'è stato e la conferenza di servizi - prima indetta per il 28 ottobre 2022 e poi rinviata al 4 novembre 2022 - non poteva avere un oggetto diverso da quello individuato chiaramente e consistente nell'annullamento in autotutela del precedente provvedimento. 20. A questo punto, il Collegio è chiamato a valutare la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata dall'appellato, con riguardo all'art. 17 della l.r. della Campania n. 35/1987. 20.1. Come sopra evidenziato, l'appellato ha prospettato dei dubbi sulla legittimità costituzionale dell'art. 17 della l.r. della Campania 27 giugno 1987 n. 35, per contrasto con gli artt. 42, 97 e 117 Cost., nella parte in cui - con riferimento alla "zona territoriale 4" ("Riqualificazione insediativa ed ambientale di 1° grado") destinata a zona "E-agricola" dai Piani regolatori generali - prevede che "Per essa, le indicazioni e la normativa dei Piani Regolatori Generali devono: (...) - consentire per l'edilizia esistente a tutto il 1955, interventi, nel rispetto delle norme tecniche di cui al successivo titolo IV, di: 1) restauro conservativo, manutenzione ordinaria e straordinaria; 2) adeguamento funzionale, una tantum, degli alloggi ai fini della creazione dei servizi igienici (...)". A giudizio della parte appellata, la predetta disposizione legislativa limiterebbe le tipologie edilizie ammissibili a seconda che si tratti di edifici costruiti prima o dopo il 1955; si tratterebbe di una disposizione legislativa costituzionalmente illegittima, in quanto non corrispondente ad una effettiva esigenza di tutela paesaggistica; a sostegno di quanto dedotto, ha richiamato la sentenza della Corte Costituzionale n. 529/1995. 20.2. La questione prospettata è reputata dal Collegio manifestamente infondata. 20.2.1. Con la sentenza 15 dicembre 1995 - 29 dicembre 1995 n. 529, la Corte Costituzionale ha dichiarato "l'illegittimità costituzionale dell'art. 17, comma 3, della legge regionale 27 giugno 1987, n. 35 della Regione Campania (Piano urbanistico territoriale dell'area (omissis)-(omissis)) nella parte in cui esclude in via generale, per le costruzioni edilizie legittimamente realizzate nella zona territoriale 1/a, ogni intervento edilizio di manutenzione ordinaria e straordinaria, e, per le costruzioni edilizie legittimamente realizzate, in epoca successiva al 1955, nella zona territoriale 1/b, gli interventi di manutenzione straordinaria". 20.2.2. Nella sentenza n. 529/1995, il Giudice delle leggi, pur riconoscendo alla Regione la competenza specifica, in quanto titolare di attribuzioni in materia urbanistica, a legiferare nella materia di cui si tratta, con norme di piano urbanistico territoriale, che coinvolgono necessariamente anche la tutela del paesaggio e dei valori ambientali, ha ritenuto che fosse ragionevole la "sottoposizione degli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria ad un regime meno rigoroso rispetto alle opere edilizie idonee ad immutare le caratteristiche visibili all'esterno...". 20.2.3. Orbene, le argomentazioni svolte dalla Corte Costituzionale nella sentenza sopra richiamata non rilevano nel caso di specie, in cui si controverte di un intervento di ristrutturazione edilizia, che, per effetto dell'estensione dell'ambito applicativo dell'art. 3, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 380/2001, consiste nella demolizione di un fabbricato preesistente, con successiva ricostruzione di altro fabbricato, differente per sagoma, prospetti e area di sedime. La non assimilabilità delle due fattispecie, sotto il profilo dell'impatto paesaggistico, risulta evidente, con la conseguenza che deve ritenersi giustificata la differente disciplina normativa in ordine agli interventi ammissibili in area vincolata. Inoltre, la limitazione nella zona vincolata degli interventi edilizi ammissibili per "l'edilizia esistente a tutto il 1955" è reputata dal Collegio immune dai sospetti di illegittimità costituzionale prospettati dall'appellato, essendo ragionevole e compatibile con i principi costituzionali sopra richiamati l'intento perseguito dal legislatore regionale di salvaguardare da interventi edilizi di significativo impatto paesaggistico i fabbricati più risalenti nel tempo, senza tuttavia escludere la possibilità di interventi di "restauro conservativo", "manutenzione ordinaria e straordinaria" e "adeguamento funzionale" secondo determinati parametri. 21. In conclusione, assorbita ogni altra censura, il ricorso in appello deve essere accolto e, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado proposto dal Ministero della Cultura, con conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati, mentre va respinto il ricorso incidentale presentato, sempre in primo grado, dalla parte privata, odierna appellata. 22. Tenuto conto del comportamento processuale delle parti - il Ministero, come già esposto, non ha prodotto memorie per l'udienza pubblica del 22 febbraio 2024 e, con nota del 20 febbraio 2024, si è limitato a chiedere "che la causa venga decisa sulla base degli scritti difensivi depositati" - le spese del doppio grado di giudizio devono essere compensate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado proposto dal Ministero della Cultura e respinge il ricorso incidentale proposto, in primo grado, da -OMISSIS-. Compensa le spese del doppio grado di giudizio. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità dell'appellato. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Neri - Presidente Giuseppe Rotondo - Consigliere Michele Conforti - Consigliere Luigi Furno - Consigliere Paolo Marotta - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI SALERNO (...) nella persona del giudice unico Dott. (...) ha pronunciato, ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c., la seguente SENTENZA nella causa civile n. (...)/2020 R.G. iscritta a ruolo il (...), avente ad oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo n. (...)/2020 reso il (...) dal (...) di Salerno, notificato il (...); TRA (...) (CF: (...)) nato il (...) in (...) e residente in (...) alla via (...) n. (...), rappresentato e difeso dall'avv. (...) (CF: (...)); OPPONENTE E (...) S.R.L., IN PERSONA DEL LEGALE RAPPRESENTANTE PRO-TEMPORE PRO-TEMPORE (P. Iva (...)), con sede (...)(...) alla via (...) n. (...), rappresentata e difesa congiuntamente e disgiuntamente dagli avv.ti (...) (CF: (...)) e (...) (CF: (...)); OPPOSTA CONCLUSIONI All'udienza odierna le parti concludevano come da relativo verbale, qui da intendersi integralmente riportato e trascritto. MOTIVAZIONI IN FATTO E IN DIRITTO 1. Con ricorso per decreto ingiuntivo iscritto al n. r.g. (...)/2020 l'(...) di (...) s.r.l. ricorreva al (...) di Salerno affinché ingiungesse al sig. (...) il pagamento della somma di "Euro 134.200,00 (Euro 110.000,00 oltre i.v.a. al 22% pari ad Euro 24.200,00), oltre interessi legali nonché le spese, diritti ed onorari della presente procedura". (...) di Salerno in data (...) emetteva il decreto ingiuntivo n. (...)/2020, notificato a mezzo pec in data (...). La società ricorrente, a sostegno delle proprie ragioni, assumeva: - di aver ceduto al dott. (...) in forza di atto per (...) (rep. n. (...); racc. n. (...)) del 15.04.2016, "porzione di fabbricato composta da due abitazioni contigue, destinate ad uso abitativo, al piano terra e da due locali garage in piano interrato; confinanti nell'insieme con proprietà della società "(...) S.R.L." da due lati, con area condominiale, salvo altre. Detta consistenza immobiliare è riportata nel (...) del Comune di (...) al foglio 9: particella 2204, subalterno 40, in corso di costruzione; (...); particella 2204, subalterno 41, in corso di costruzione; (...); particella 2204, subalterno 22, in corso di costruzione; (locale garage): particella 2204, subalterno 33, in corso di costruzione; (locale garage)"; - che il corrispettivo della compravendita dei beni, convenzionalmente fissato in Euro275.000,00 (Euro115.000,00 per ciascun appartamento ed Euro 10.000,00 per ciascun locale garage oltre iva al 10%), veniva interamente corrisposto con le modalità indicate nel rogito notarile; - che in data (...), ovvero in data precedente a detto atto notarile e su incarico del dott. (...) il (...) redigeva una relazione di stima di detti immobili, corredata da fotografie da cui si evince lo stato a grezzo degli immobili e con calcolo delle spese per il completamento degli stessi (come appartamenti per civile abitazione) pari ad Euro 130.000,00 oltre iva; - che, successivamente all'acquisto di detti immobili il dott. (...) volendo destinare gli appartamenti a struttura sanitaria (studio dentistico), con accorpamento e cambio di destinazione urbanistica, affidava all'(...) S.R.L, il completamento degli stessi sulla scorta, sosteneva la ricorrente, della perizia di stima redatta dal (...) e, quindi, per un importo complessivo di Euro 126.680,51 oltre i.v.a. al 22 %; - che tutti i lavori indicati in detta perizia di stima del (...) sono stati eseguiti e completati dalla società istante, fino al deposito della (...) di (...) protocollata al Comune di (...) in data (...) al n. (...); - che l'importo spettante alla società (...) di (...) S.r.l. è pari ad euro 126.680,51 oltre IVA al 22%; - che nonostante il dott. (...) abbia ottenuto le certificazioni di agibilità ed eserciti la propria professione negli immobili suddetti, ha rinviato sempre il pagamento di quanto dovuto; - che con pec in data (...) la società istante formulava richiesta di pagamento al Dott. (...) per l'esatto importo di Euro 126.680,51 oltre iva al 22%; - che con pec di riscontro del 17.06.2020 il procuratore di parte ingiunta nell'interesse del dott. (...) riferiva che il dott. (...) aveva corrisposto la somma di Euro385.000,00 rispetto alla somma di Euro 400.000,00 dallo stesso riconosciuta come complessivamente dovuta a titolo di acquisto e di corrispettivo per i lavori, assumendo - in particolare - di non aver corrisposto esclusivamente la somma di Euro 15.000,00 in relazione ad un dedotto inadempimento; - che con pec del 25.06.2020 la società istante chiedeva la documentazione dei pagamenti asseritamente effettuati dal dott. (...) senza riceverne risposta; - che, conseguentemente, il debito complessivo del dott. (...) doveva ritenersi essere quello dallo stesso riconosciuto con la richiamata pec, ovvero Euro 385.000,00 dal cui importo doveva essere sottratta la sola somma di Euro 275.000,00 quietanzata in atto pubblico, residuando la somma di Euro 110.000,00 oltre iva al 22% per un totale di Euro 134.200,00. 2. Con atto di citazione regolarmente notificato (...) conveniva in giudizio innanzi a questo (...) per l'udienza del 23.03.2021 l'(...) di (...) s.r.l. allo scopo di opporsi al suddetto decreto ingiuntivo. (...) confermava la circostanza di essersi reso acquirente degli immobili in questione, ma ciò in esecuzione di un vincolo a contrarre assunto per effetto del contratto preliminare di vendita del 26.07.2015, a causa mista, intercorso tra le parti, nel quale la società opposta prometteva di vendere al dott. (...) i cespiti - poi, di fatto ceduti in forza dell'atto pubblico innanzi richiamato - e contestualmente si obbligava all'art. 5 del medesimo atto "ad eseguire a regola d'arte negli immobili compromessi in vendita tutte le opere necessarie all'esercizio di attività sanitaria/studio odontoiatrico, in conformità con i provvedimenti in materia sanitaria secondo la delibera 7301 del 31 dicembre 2001 della (...) inerente i requisiti minimi strutturali per l'apertura di una nuova struttura sanitaria e con le modalità, le caratteristiche e ogni altro materiale indicato dalla parte acquirente (...)". Le parti convenivano espressamente al primo comma del disposto di cui al richiamato art. 5 del contratto preliminare di far riferimento, al fine dell'individuazione "degli oneri e dei materiali adottati nell'opera di edificazione", al capitato generale dei lavori che allegavano al contratto sotto la lettera "B". All'art. 2 del medesimo contratto i contraenti fissavano il corrispettivo per la cessione dei beni e per l'esecuzione delle lavorazioni, espressamente individuate nel documento allegato alla lett. B, nella complessiva somma di Euro400.000.00. Rispetto a tale somma, il dott. (...) all'esito della disamina della documentazione in suo possesso, appurava di aver corrisposto alla società opposta, a fronte del corrispettivo inizialmente convenuto nel corpo del contratto preliminare già richiamato ed in adempimento degli obblighi assunti, l'importo complessivo di Euro 391.500,00 di cui Euro 275.000,00 in forza dell'atto pubblico di compravendita anzidetto; Euro 78.500.00 in contanti mediante reiterati versamenti, tutti corredati della firma di quietanza resa dal legale rappresentante della società opposta; Euro 34.000,00 mediante assegni bancari; ed Euro6.000,00, infine, mediante bonifico bancario. Precisava, l'opponente, di aver consapevolmente rifiutato di assolvere al pagamento del debito residuo in ragione del grave inadempimento di cui si sarebbe resa responsabile la società opposta per non aver provveduto al completamento delle lavorazioni puntualmente descritte nel capitolato allegato al richiamato preliminare. Quanto innanzi troverebbe riscontro probatorio nella relazione tecnica redatta dal geom. (...) che, all'esito di un confronto a carattere compartivo tra le opere eseguite e quelle promesse, così come desumibili dal capitolato generale allegato al contratto preliminare, è pervenuto alla quantificazione del valore delle lavorazioni inadempiute ovvero parzialmente inadempiute nella misura complessiva di Euro 80.112,48. Tanto premesso, l'opponente, riservando espressamente di agire separatamente per il risarcimento dei danni causalmente riferibili all'inadempimento della controparte, così concludeva: Voglia l'On.le (...) adito accertare e dichiarare l'insussistenza - come meglio dedotto in narrativa - dei presupposti richiesti dall'art. 648 c.p.c. perché il monitorio opposto possa essere corredato della provvisoria esecuzione, rigettando conseguentemente l'istanza eventualmente proposta all'uopo dalla società opposta; nel merito (...) l'On.le (...) adito accogliere la spiegata opposizione e per l'effetto revocare ovvero dichiarare inammissibile e privo di effetti il decreto ingiuntivo opposto n. (...)/2020, depositato in data (...) e ritualmente notificato a mezzo pec in pari data per insussistenza della pretesa creditoria in esso dedotta ed in ogni caso per carenza dei presupposti di validità e(...) art. 633 e 634 c.p.c. così come meglio esposto in narrativa e per tutte le ragioni ivi articolate, riservando espressamente il diritto e la correlativa azione tesa al risarcimento dei danni causalmente riferibili all'inadempimento ritualmente eccepito in atti da proporre nell'ambito di autonomo e separato giudizio; (...) di spese, diritti ed onorari di causa con relativa distrazione in favore del procuratore antistatario. 3. Con comparsa depositata in data (...) si costituiva la (...) di (...) s.r.l. sostenendo che il contratto preliminare stipulato in data (...) era stato erroneamente qualificato, dall'opponente, quale preliminare di vendita a causa mista (vendita e appalto) trattandosi, in realtà, di vendita di cosa futura, essendo, all'epoca dei fatti, gli immobili ancora in costruzione. Precisava che detto contratto non veniva eseguito, anche se la volontà di non dare esecuzione al contratto preliminare del 26.07.2015, non rappresentava l'abbandono di tutti gli scopi che sarebbero discesi dall'esecuzione dello stesso. In sostanza, a seguito della perizia svolta in data (...) dal tecnico incaricato dal Dott. (...) volta ad individuare il prezzo degli immobili allo stato grezzo, il medesimo riteneva di acquistare gli immobili per poi, successivamente, decidere di appaltare differenti lavori (non per civile abitazione bensì per studio medico dentistico) di ristrutturazione all'odierna società opposta. Ed infatti, con l'atto del 20.04.2016 per (...) le parti stipulavano l'atto di compravendita degli immobili (due appartamenti e due garage) allo stato grezzo ad uso di civile abitazione per il prezzo di Euro 275.000,00 comprensivo di IVA al 10%. A seguito della stipula del predetto atto di compravendita per (...) il Dott. (...) ormai proprietario dell'immobile allo stato grezzo, decideva, anche sulla scorta di un nuovo progetto esecutivo redatto dal tecnico dallo stesso incaricato, (...) di appaltare all'odierna opposta lavori edili finalizzati al completamento dei due appartamenti acquistati, con predisposizione di ogni opera idonea a trasformare gli stessi in studio dentistico con cambio di destinazione. (...) di (...) S.r.l. provvedeva ad eseguire a regola d'arte tutte le opere commissionate e sotto la direzione tecnica dell'(...) senza che il committente formulasse alcuna contestazione. Il Dott. (...) non ha mai negato di aver affidato all'impresa opposta i suddetti lavori di ristrutturazione, anzi ha confermato la circostanza ammettendo che l'importo complessivamente dovuto fosse pari ad Euro 400.000,00 (somma riconosciuta come complessivamente dovuta a titolo di acquisto e di corrispettivo per i lavori). Considerato l'avvenuto pagamento della somma di Euro 275.000,00 (iva al 10% compresa) a titolo di acquisto degli immobili al grezzo, l'importo residuo (con IVA al 22% trattandosi di opere successive all'acquisto) doveva ritenersi pattuito a titolo di corrispettivo dei lavori di ristrutturazione proprio secondo la ricostruzione basata sulle ammissioni di parte opponente. Tanto premesso e dedotto, l'opposta rassegnava le seguenti conclusioni: (...) l'Ill.mo (...) adito, previa concessione della provvisoria esecuzione dell'opposto decreto ingiuntivo n. (...)/2020 emesso dal (...) di Salerno e(...) art. 648 c.p.c. o, in via subordinata, previa concessione dell'esecuzione provvisoria parziale del decreto ingiuntivo opposto limitatamente alla somma di Euro 40.000,00 non contestata. In via del tutto preliminare espungere dalla produzione di causa e, comunque, non ammettere il documento inserita nel fascicolo di parte opponente. In subordine, ordinare all'opponente il deposito dell'originale e(...) art. 2719 cod. civ. del menzionato documento prodotto unicamente in copia fotostatica, al fine di consentire alla concludente di effettuare, ai sensi degli artt. 214 e ss., c.p.c. il disconoscimento dello stesso e della sottoscrizione. Nel merito si chiede il rigetto integrale dell'opposizione così come proposta dal dott. (...) perché infondata in fatto ed in diritto per i motivi soprariportati. Per l'effetto si chiede la conferma del decreto ingiuntivo n. (...)/2020 emesso dal (...) di Salerno. subordinata si chiede che il Dott. (...) venga condannato al pagamento della medesima somma allo stesso ingiunta con l'opposto decreto (...) prima udienza del 23.03.2021, svolta a trattazione scritta, il procuratore di parte opponente si riportava al contenuto dell'atto di opposizione chiedendone l'accoglimento, impugnando il contenuto della comparsa di costituzione e risposta di controparte; per converso il procuratore di parte opposta chiedeva concedersi la provvisoria esecuzione del (...) riportandosi ai propri atti, e chiedendo i termini e(...) art. 183 comma 6, c.p.c. Il G.I. si riservava in ordine alla richiesta di concessione della provvisoria esecuzione dell'opposto decreto ingiuntivo, e, a scioglimento della riserva assunta, concedeva la provvisoria esecuzione. Seguivano udienze (13.09.2021; 4.10.2021; 15.11.2021) finalizzate al bonario componimento della controversia. Su richiesta delle parti, con ordinanza del 15.12.2021 il Giudice formulava proposta conciliativa che prevedeva il pagamento, da parte dell'opponente, della somma di Euro 50.000,00 in favore di parte di parte opposta, nonché dell'importo di Euro 5.000,00 a titolo di compenso professionale in favore del difensore di parte opposta. All'udienza del 1.3.2022 parte opponente si dichiarava disponibile ad accettare la proposta conciliativa, mentre parte opposta formulava una controproposta, disattesa dall'opponente. Seguiva, su richiesta delle parti, breve rinvio nello stato, all'udienza del 4.4.2022 ove le parti chiedevano la concessione dei termini e (...) art. 183, comma 6, c.p.c.. A scioglimento della riserva assunta alla successiva udienza del 18.10.2022, il Giudice ammetteva, per quanto di ragione, i mezzi istruttori richiesti dalle parti e rinviava all'udienza del 28.03.2023 per l'interrogatorio formale dell'opponente, ordinando, altresì, all'opponente di esibire, per la successiva udienza, gli originali dei documenti di cui agli allegati nn. 6 e 7 dell'atto di citazione. All'udienza successiva, celebrata il (...), veniva disposto un ulteriore rinvio su richiesta delle parti all'8.5.2023, ove veniva espletato l'interrogatorio formale dell'opponente. All'esito dell'udienza dell'8.5.2023 l'opponente reiterava l'istanza di verificazione già formulata in atti con riferimento ai documenti depositati in originale e contestati dall'opposta. Con successiva ordinanza del 23.05.2023 il Giudice disponeva consulenza tecnica d'ufficio nominando, all'uopo, la dott.ssa (...) affinché rispondesse al seguente quesito: - esaminati gli atti ed in particolare i documenti in originale di cui agli allegati nn. 6 e 7 all'atto di citazione in opposizione, valutate le necessarie ed incontestate scritture in atti e quelle che il CTU potrà richiedere alle parti e presso i pubblici uffici, dica se le sottoscrizioni apposte ai medesimi siano appartenenti o meno al sig. (...) All'udienza del 27.06.2023 veniva conferito l'incarico al CTU e la causa rinviata al 26.03.2024. In data (...) il CTU provvedeva al deposito dell'elaborato peritale. All'udienza del 26.03.2024 il giudice si riservava e con ordinanza del 11.5.2024, ritenuta matura per la decisione, rinviava la causa al 21.05.2024 per la discussione orale e la decisione e (...) art. 281-se(...)ies c.p.c. All'udienza odierna, le parti precisavano le conclusioni e discutevano oralmente la causa, che veniva decisa e (...) art. 281 c.p.c. mediante lettura della motivazione e del dispositivo. 4. Prima di passare al merito della controversia, occorre osservare che il giudizio di opposizione rappresenta uno sviluppo, anche se meramente eventuale, della fase monitoria, e devolve al giudice il completo esame del rapporto giuridico controverso, con la conseguenza che l'oggetto di tale giudizio non è affatto limitato al controllo di validità o merito del decreto ingiuntivo, ma involge il merito e, cioè, la fondatezza della pretesa azionata dal creditore fin dal ricorso. Sul piano sostanziale, la qualità di attore è propria del creditore che ha richiesto l'ingiunzione, con la conseguenza che, in base ai principi generali in materia di prova, incombe sul medesimo l'onere di provare l'esistenza del credito, mentre spetta invece all'opponente quello di provarne i fatti estintivi, modificativi o impeditivi. Ciò posto, va osservato che la società opposta sostiene che il credito ingiunto deriverebbe dalla esecuzione a regola d'arte del contratto di appalto orale stipulato con il (...) Ai fini della individuazione e quantificazione del proprio credito l'(...) di (...) s.r.l., nel ricorso monitorio, richiama la relazione di stima redatta in data (...), su incarico del dott. (...) dal (...) che stimava in Euro 130.000,00 oltre iva le spese per il completamento degli oggetto del contratto di compravendita, nonché la perizia di stima redatta dal (...) successivamente alla stipula del rogito, che stimava i suddetti lavori nella somma di Euro 126.680,51 oltre i.v.a. al 22%. In realtà, però, la somma ingiunta non viene desunta dai suddetti documenti, né da una dettagliata contabilità redatta all'esito dei lavori eseguiti, bensì dal contenuto di una pec di riscontro del 17.06.2020 nella quale il procuratore di parte ingiunta riferiva che il dott. (...) aveva corrisposto la somma di Euro 385.000,00 rispetto alla somma complessivamente riconosciuta come di Euro 400.000,00 a titolo di acquisto e di corrispettivo per i lavori, assumendo - in particolare - di non aver corrisposto esclusivamente la somma di Euro 15.000,00 per un asserito inadempimento dell'impresa appaltatrice. Conseguentemente, conclude la ricorrente, confermando che il debito complessivo del dott. (...) doveva ritenersi essere quello riconosciuto con la richiamata pec, ovvero Euro 385.000,00, detraendo dalla suddetta somma l'importo di Euro 275.000,00 quietanzata in atto pubblico, residuerebbe la somma di Euro 110.000,00, cui la ricorrente aggiunge la somma di Euro 24.200,00 per iva al 22%, per un totale di Euro 134.200,00. 5. Così ricostruita la domanda di pagamento avanzata dalla ricorrente/opposta, va osservato che le parti in data (...) stipularono un "contratto preliminare di vendita" avente ad oggetto i medesimi beni immobili che successivamente furono oggetto del contratto di compravendita stipulato per (...) in data (...), e cioè consistenza immobiliare riportata nel (...) del Comune di (...) al foglio 9: particella 2204, subalterno 40, in corso di costruzione; (...); particella 2204, subalterno 41, in corso di costruzione; (...); particella 2204, subalterno 22, in corso di costruzione; (locale garage): particella 2204, subalterno 33, in corso di costruzione; (locale garage). Trattandosi di immobile in costruzione, l'(...) si obbligava, all'art. 5 del medesimo atto, "ad eseguire a regola d'arte negli immobili compromessi in vendita tutte le opere necessarie all'esercizio di attività sanitaria/studio odontoiatrico, in conformità con i provvedimenti in materia sanitaria secondo la delibera 7301 del 31 dicembre 2001 della (...) inerente i requisiti minimi strutturali per l'apertura di una nuova struttura sanitaria e con le modalità, le caratteristiche e ogni altro materiale indicato dalla parte acquirente (...)". All'art. 2 del medesimo contratto i contraenti fissavano il corrispettivo per la cessione dei beni e per l'esecuzione delle lavorazioni, espressamente individuate nel documento allegato alla lett. B, nella complessiva somma di Euro400.000.00. In ordine alla qualificazione giuridica del suddetto contratto non vi è concordanza tra le parti, atteso che secondo l'opponente dovrebbe intendersi quale contratto a causa mista (preliminare di vendita e appalto), mentre secondo l'opposta si tratterebbe di contratto (...) di vendita di cosa futura. Occorre richiamare, a riguardo, quanto espresso dalla Suprema Corte, a partire dalla Sentenza SS.UU. n. 11656/2008, secondo la quale il contratto riguardante la cessione di un fabbricato non ancora realizzato, con previsione dell'obbligo del cedente - che sia proprietario anche del terreno su cui l'erigendo fabbricato insisterà - di eseguire i lavori necessari al fine di completare il bene e di renderlo idoneo al godimento, può integrare alternativamente tanto gli estremi della vendita di una cosa futura (verificandosi allora l'effetto traslativo nel momento in cui il bene viene ad esistenza nella sua completezza), quanto quelli del negozio misto, caratterizzato da elementi propri della vendita di cosa presente (il suolo, con conseguente effetto traslativo immediato dello stesso) e dell'appalto, a seconda che assuma rilievo centrale, nel sinallagma contrattuale, l'intento delle parti avente ad oggetto il conseguimento della proprietà dell'immobile completato ovvero il trasferimento della proprietà attuale del suolo e l'attività realizzatrice dell'opera da parte del cedente, a proprio rischio e con la propria organizzazione. In tema di contratto misto (nella specie, di vendita e di appalto), la relativa disciplina giuridica va individuata in quella risultante dalle norme del contratto tipico nel cui schema sono riconducibili gli elementi prevalenti (cosiddetta teoria dell'assorbimento o della prevalenza), senza escludere ogni rilevanza giuridica degli altri elementi, che sono voluti dalle parti e concorrono a fissare il contenuto e l'ampiezza del vincolo contrattuale, ai quali si applicano le norme proprie del contratto cui essi appartengono, in quanto compatibili con quelle del contratto prevalente. Più recentemente, la Corte di Cassazione (cass. 23110/2021), sul punto, ha affermato che il contratto avente ad oggetto la cessione di un fabbricato non ancora compiutamente realizzato o da ristrutturare, con previsione dell'obbligo del cedente, che sia anche imprenditore edile, di eseguire i lavori necessari a completare il bene o a renderlo idoneo al godimento, può integrare gli estremi della vendita di cosa futura se nel sinallagma contrattuale l'obbligo di completamento dei lavori assume un rilievo soltanto accessorio e strumentale rispetto al trasferimento della proprietà. Nel caso di specie, tenuto conto del tenore dell'atto, deve ritenersi che l'obbligo di completamento dei lavori non assume un rilievo meramente accessorio e strumentale rispetto al trasferimento della proprietà. Tale circostanza testimoniata dal fatto che le parti, al primo comma dell'art. 5 del contratto, richiamavano un dettagliato capitato generale dei lavori, che allegavano al contratto sotto la lettera "B". La circostanza, poi, che nell'atto rogitato in data (...) è stata espunta, rispetto all'atto del 26.07.2015, la parte attinente all'appalto, dimostra l'autonomia e il rilievo della parte del contratto che mutua la causa dal contratto di appalto. Deve ritenersi, pertanto, maggiormente plausibile l'ipotesi del contratto a causa mista. Ciò posto, a prescindere dall'opzione ermeneutica prescelta, non pare condivisibile la tesi sostenuta da parte opposta secondo la quale vi sarebbe una cesura netta e totale tra il contratto preliminare del 26.07.2015 e la vendita del 15.04.2016. La stessa opposta ha ritenuto di dover precisare, al riguardo, nella comparsa di costituzione e risposta, che "la volontà di non dare esecuzione al contratto preliminare del 26.07.2015, non rappresentava l'abbandono di tutti gli scopi che sarebbero discesi dall'esecuzione dello stesso". Entrambi gli atti negoziali hanno ad oggetto i medesimi beni e, non avendo le parti, successivamente alla stipula del preliminare, manifestato nella medesima forma scritta, un nuovo atto finalizzato allo scioglimento dei vincoli obbligatori reciprocamente assunti, deve dedursi che il secondo costituisca l'esecuzione del primo. I lavori a farsi, che erano stati convenuti tra le parti al momento della stipula del contratto preliminare ("(...) tutte le opere necessarie all'esercizio di attività sanitaria/studio odontoiatrico, in conformità con i provvedimenti in materia sanitaria secondo la delibera 7301 del 31 dicembre 2001 della (...) inerente i requisiti minimi strutturali per l'apertura di una nuova struttura sanitaria e con le modalità, le caratteristiche e ogni altro materiale indicato dalla parte acquirente (...)", contrariamente a quanto sostenuto dall'opposta, non mutano dopo la stipula del definitivo e non divergono da quelli poi realizzati, consistendo, per quanto dichiarato dalla opposta nella comparsa di risposta, in "lavori edili finalizzati al completamento dei due appartamenti acquistati, con predisposizione di ogni opera idonea a trasformare gli stessi in studio dentistico con cambio di destinazione". Peraltro, i lavori, se si tiene conto della relazione redatta dal geom. (...) avrebbero avuto inizio in data (...), e quindi prima ancora del trasferimento della proprietà degli immobili. La circostanza che nell'atto rogitato in data (...) venga espunta, rispetto all'atto precedente, la parte attinente all'appalto, si giustifica da un lato, per il fatto che i beni, pacificamene, non erano ancora ultimati e dall'altro che solo l'atto di compravendita in senso stretto richiedeva la forma solenne. Tanto considerato, non risulta che quanto stabilito per iscritto dalle parti nel contatto del 26.07.2015 in ordine alla quantificazione dei lavori da eseguirsi per l'ultimazione degli immobili promessi in vendita sia stato superato/modificato/integrato da successive pattuizioni scritte delle medesime parti, con la conseguenza che complessivamente, il prezzo dell'operazione (acquisto dell'immobile grezzo + ultimazione dei lavori per realizzazione di studio medico-dentistico) deve ritenersi fissato nella somma di Euro400.000,00, quantificazione posta a base delle difese di parte opponente e, indirettamente, confermata dalla opposta la quale, per la quantificazione della somma ingiunta, prende spunto dalla pec del 17.06.2020 del procuratore di parte ingiunta, di cui si è dato conto. Deve però osservarsi che, in questa prospettiva, la somma di Euro24.200,00 per iva al 22%, aggiunta dall'opposta, non trova giustificazione e ciò in ragione del fatto che il procuratore dell'opponente faceva riferimento alla somma di Euro400.000,00 comprensiva dell'(...) così come definita dal contratto preliminare del 27.07.2015. Ciò posto, considerato che la ricorrente/opposta, nelle conclusioni dell'atto di citazione in opposizione, si espressamente riservata "il diritto e la correlativa azione tesa al risarcimento dei danni causalmente riferibili all'inadempimento ritualmente eccepito in atti da proporre nell'ambito di autonomo e separato giudizio", e che, analogamente, l'opposta si è riservata di agire per resistere al dedotto inadempimento, deve ritenersi che la somma complessivamente dovuta dal dott. (...) all'(...) S.r.l. sia pari ad Euro400.000,00, iva compresa. 6. Ciò posto, va osservato che l'opponente ha dedotto di aver versato la somma di Euro391.500,00, effettuando i seguenti pagamenti in favore dell'impresa opposta: - Euro275.000,00 in forza dell'atto pubblico di compravendita; - Euro78.500.00 in contanti; - Euro34.000,00 mediante assegni bancari; - Euro6.000,00, infine, mediante bonifico bancario. Procedendo all'esame dei singoli pagamenti, va osservato che il versamento della somma di Euro275.000,00 non è contestato ed è documentato in atto pubblico. Quanto ai versamenti in contanti per Euro78.500.00, gli stessi sarebbero desumibili dalle sottoscrizioni per ricevuta e quietanza apposte dal legale rappresentante della società opposta sui documenti versati in atti dall'opponente (allegati n. 6 e 7 all'atto di citazione in opposizione). Con riferimento alle sottoscrizioni apposte al documento n.6 (collocate in una tabella, in corrispondenza di annotazioni pagamenti in contanti o mediante assegni), nonché alla sottoscrizione apposta al documento n.7 (annotazione in calce ad un assegno di un pagamento di Euro2.000,00 datato 11.08.2015) è stata espletata perizia calligrafica a cura della dott. (...) le cui conclusioni appaiono pienamente condivisibili in quanto immuni da errori e vizi logici, la quale è giunta ad affermare che "con elevatissima probabilità prossima quasi alla certezza le dodici sottoscrizioni in accertamento, di cui agli allegati 6 e 7 dell'atto di citazione in opposizione, sono riconducibili all'autore che ha redatto le comparative", e quindi al sig. (...) legale rappresentante della impresa opposta. Andando ad esaminare il documento di cui all'allegato n.6 si può rilevare che lo stesso è composto da una griglia in cui sono presenti una colonna riportante pagamenti in contanti, ed una colonna riportante i pagamenti mediante assegni. Per ogni pagamento è indicata la data ed è apposta la firma del sig. (...) Nella colonna dei pagamenti in contanti è indicato il pagamento della somma di Euro50.000,00 avvenuto il (...). Tale pagamento trova riscontro con quanto dichiarato dalle parti nel contratto preliminare del 26.07.2015 ("euro 50.000,00 ? sono versati alla sottoscrizione della presente scrittura privata, all'ordine della parte promettente venditrice ?"). Le altre annotazioni, in mancanza di ulteriori riscontri che ne consentano l'imputazione, non possono ritenersi rilevanti ai fini del decidere. Anche l'assegno bancario n. (...)-12 tratto su (...) - (...) è espressamente indicato all'art. 2 del contratto preliminare come strumento di pagamento dell'importo di Euro30.000,00, a titolo di caparra confirmatoria, per il quale la società promittente venditrice/opposta ha rilasciato formale quietanza non disconosciuta. Avendo le parti, successivamente, con atto pubblico, definito il trasferimento dell'immobile allo stato grezzo senza richiamare i due descritti incontestati pagamenti (Euro50.000,00 ed Euro30.000,00), gli stessi non possono che essere imputato ai lavori appaltati dal (...) all'impresa (...) Non può essere riconosciuto in favore dell'opponente il pagamento di Euro6.000,00 effettuato mediante bonifico bancario, recante espressa causale "acconto competenze professionali geom. (...) Gerardo" e quindi diversa imputazione. Detti importi, pertanto, pari complessivamente ad Euro80.000,00, concorrono alla determinazione dell'ammontare complessivo versato in favore della società odierna opposta in esecuzione del contratto preliminare intercorso tra le parti, per un totale di Euro355.000,00, residuando un debito, da parte dell'opponete, di Euro45.000,00 comprensivo di iva. In definitiva, pertanto, va revocato il decreto ingiuntivo opposto e, per l'effetto, in parziale accoglimento dell'opposizione, l'opponente deve essere condannato al pagamento in favore della opposta della somma di Euro45.000,00 oltre interessi legali dalla domanda all'effettivo soddisfo. 7. Considerato il parziale accoglimento dell'opposizione, le spese di lite sono proporzionalmente compensate nella misura di 2/3, con condanna dell'opponente al pagamento del restante 1/3 delle stesse, che vengono liquidate per intero (ossia comprensive della parte compensata) tenuto conto della natura della controversia (...), del suo valore, dell'attività processuale effettivamente espletata, secondo valori e i criteri di cui al D.M. n. 55/2014 (così come modificato con D.M. n. 147/2022), nella somma di Euro. 12.000,00 a titolo di compensi professionali, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% come per legge, I.V.A. e C.P.A. come per legge, con attribuzione in favore del procuratore di parte opposta, antistatario. Le spese di CTU sono poste a carico di parte opposta, e ciò in ragione delle risultanze della (...) P.Q.M. Il Tribunale di Salerno, seconda sezione civile, in composizione monocratica, in persona del giudice unico Dott. (...) definitivamente pronunciando sulla domanda di opposizione al decreto ingiuntivo n. decreto ingiuntivo n. (...)/2020 reso il (...), uditi i procuratori delle parti, ogni altra istanza disattesa, così provvede: 1) accoglie, per quanto di ragione e parzialmente, la proposta opposizione e, per l'effetto, revoca il decreto ingiuntivo opposto; 2) condanna, conseguentemente, parte opponente al pagamento in favore di parte opposta della somma di Euro45.000,00 oltre interessi legali dalla domanda all'effettivo soddisfo; 3) compensa per 2/3 le spese processuali e condanna l'opponente al pagamento, in favore dell'opposta, della restante parte di 1/3 delle stesse, che si liquidano per intero in Euro12.000,00 per compenso professionale, oltre rimborso spese generali, iva e cpa come per legge; pone le spese di CTU a carico di parte opposta.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 3948 del 2020, proposto da Bo. Se. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato An. Ab., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); contro Comune di Napoli in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. An., An. Ca., Ga. Ro., con domicilio digitale come da pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Lu. Le. in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Quarta n. 1041/2020, resa tra le parti Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli in persona del legale rappresentante pro tempore; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 marzo 2024 il Cons. Riccardo Carpino e uditi per le parti gli avvocati delle parti come da verbale. FATTO e DIRITTO 1. La questione controversa riguarda la disposizione dirigenziale del SUAP del Comune di Napoli n. 358 del 29 settembre 2019 recante il rigetto dell'istanza presentata dall'appellante per il rilascio di titolo unico comprensivo di permesso di costruire avente ad oggetto l'intervento di realizzazione di nuovo impianto stradale di distribuzione di carburante. Tra gli atti presupposti, oggetto di impugnativa, rientra anche il "Piano di Razionalizzazione del sistema di distribuzione carburanti" (di seguito Piano Carburanti) del Comune di Napoli adottato con delibera di C.C. n. 1230 del 3 marzo 2000. Va richiamato che il SUAP, verificata la completezza formale della pratica, aveva inoltrato la stessa agli Uffici preposti al rilascio dei relativi pareri di competenza e, segnatamente, al Servizio Sportello Unico Edilizia Privata, quale ufficio competente al rilascio del permesso di conformità urbanistica, il quale, con nota prot. PG/2019/433230 del 16 maggio 2019, aveva richiesto al SUAP di "verificare preliminarmente la conformità dell'intervento richiesto al Piano per la razionalizzazione della rete di distribuzione carburanti del Comune di Napoli e, segnatamente, di chiarire se l'impianto rientrasse nelle aree di opportunità del suddetto Piano". Detto Servizio aveva comunicato al SUAP che, qualora l'area non fosse rientrata nelle "aree di opportunità " individuate dal Piano Carburanti del Comune di Napoli, l'istruttoria in corso sarebbe stata interrotta in quanto l'intervento non sarebbe stato conforme alla normativa urbanistica in vigore nel Comune di Napoli. A seguito della richiesta di chiarimenti in parola, il SUAP, con nota del prot. n. G/2019/466281 del 28 maggio 2019, aveva rilevato che l'area in questione non rientrava nelle cc.dd. "aree di opportunità " del Piano Carburanti del Comune di Napoli, costituendo ciò motivo ostativo al rilascio del titolo unico richiesto. Con successiva nota prot. n. 541586 del 20 giugno 2019, il Servizio Pianificazione Urbanistica Generale del Comune di Napoli aveva comunicato al SUAP che "l'intervento non è assentibile in quanto in contrasto con la disciplina urbanistica della "Variante al P.r.g. per la Zona Occidentale" e non ricompreso nelle aree di opportunità di cui al Piano per la razionalizzazione della rete di distribuzione carburante della città di Napoli". Infine, con disposizione dirigenziale n. 358 del 29 settembre 2019 ora impugnata, il SUAP ha rigettato l'istanza presentata dalla ricorrente per il rilascio di titolo unico comprensivo di permesso di costruire per intervento di realizzazione di nuovo impianto stradale di distribuzione di carburante, in quanto "l'area per cui è stata avanzata richiesta da codesta società non rientra tra le aree di opportunità individuate dal Piano stesso" e l'intervento non era assentibile in quanto "non (...) conforme alla normativa urbanistica in vigore in quanto per l'area oggetto d'intervento non è consentita la realizzazione di nuove volumetrie come nel caso in esame". Il SUAP ha altresì rilevato che l'area oggetto dell'intervento rientrava: a) nella zona nB - agglomerati urbani di recente formazione disciplinata dall'art. 8 delle norme di attuazione della variante per la zona occidentale; b) nell'ambito "8 Nato" disciplinato dall'art. 30; c) nel perimetro dell'area di interesse archeologico; d) nell'area della Pianificazione di Emergenza per il rischio vulcanico (omissis) - Zona Rossa di cui al DPCM del 24/06/2016. Il SUAP ha altresì evidenziato che l'area ricadeva nella prima perimetrazione del sito potenzialmente inquinato di interesse nazionale di (omissis) - (omissis), modificato con DM 08/08/2014 G.U. n. 195 del 23/08/2014 e che qualora l'area fosse ricaduta nei siti individuati nel Piano regionale di bonifica di cui alla delibera del Consiglio Regionale della Campania n. 777 del 25/10/2013 (adottato con DGRC n. 129 del 27/05/2013 - BURC 30/2013) avrebbe dovuto essere applicata la procedura di cui all'art. 242 d.lgs. 152/2006. Avverso detto provvedimento gli odierni appellanti hanno proposto ricorso innanzi al Tribunale ammnistrativo regionale della Campania, sezione quarta, che lo ha rigettato. 2. Propongono ora appello per i seguenti motivi. I Error in iudicando sul secondo e terzo motivo di ricorso: sulle "aree di opportunità " del "piano di razionalizzazione del sistema di distribuzione carburanti" del Comune di Napoli: violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 2 d.lgs. n. 32 del 11.2.1998 - violazione e falsa applicazione degli artt. 9,10, 17 e 18 della l.r. Campania 30/7/2013 n. 8 - 7 violazione dell'art. 41 della Costituzione e del principio di libertà dell'iniziativa economica privata - motivazione erronea su un punto decisivo della controversia. II Ancora sul secondo e terzo motivo di ricorso e sul mancato inserimento del fondo nelle "aree di opportunità ": ulteriore error in iudicando per motivazione erronea su un punto decisivo della controversia. III Error in iudicando sul quarto motivo di ricorso: sulla illegittimità e/o inefficacia sopravvenuta del piano carburanti. violazione degli artt. 1 e 2 d.lgs. n. 32 del 11.2.1998 - violazione e falsa applicazione degli artt. 9,10, 17 e 18 della l.r. Campania 30/7/2013 n. 8 - motivazione erronea su un punto decisivo della controversia. IV Error in iudicando sul quinto motivo di ricorso: ancora sulla illegittimità e/o inefficacia sopravvenuta del piano carburanti. Violazione e falsa applicazione del regolamento regionale n. 1/2012 - Violazione degli artt. 1 e 2 d.lgs. n. 32 del 11.2.1998 e ss.mm. ii. - Violazione e falsa applicazione degli artt. 9,10, 17 e 18 della l.r. Campania 30/7/2013 n. 8 - Motivazione erronea su un punto decisivo della controversia. V Sul sesto motivo di ricorso: sugli ulteriori motivi di inaccoglibilità dell'istanza: Violazione e falsa applicazione degli artt. 22 e 30 delle n. t.a. della variante zona occidentale al p.r.g. del Comune di Napoli - Violazione e falsa applicazione del d.P.C.M del 24/6/2016 - Violazione e falsa applicazione del dm. 8/8/2014 - Violazione e falsa applicazione della delibera del consiglio regionale della Campania n. 777 del 25/10/2013 - Violazione degli artt. 1 e 2 d.lgs. n. 32 del 11.2.1998 - Violazione e falsa applicazione degli artt. 9,10, 17 e 18 della l.r. Campania 30/7/2013 n. 8 - Motivazione erronea su un punto decisivo della controversia. VI Error in iudicando sul settimo motivo di ricorso: sulla disparità di trattamento - Violazione degli artt. 1 e 2 d.lgs. n. 32 del 11.2.1998 - Violazione e falsa applicazione degli artt. 9,10, 17 e 18 della l.r. Campania 30/7/2013 n. 8 - Eccesso di potere per disparità di trattamento - Violazione dell'art. 41 della Costituzione e del principio di libertà dell'iniziativa economica privata - Motivazione erronea su un punto decisivo della controversia. 2.1 Gli odierni appellanti hanno proposto ricorso in primo grado avverso i richiamati provvedimenti di diniego del Comune di Napoli che è stato rigettato. L'appello si fonda principalmente sul fatto che, ad avviso dell'appellante, il mancato inserimento dei suoli di interesse nelle "aree di opportunità " - previste dal Piano Carburanti ai fini dell'installazione degli impianti di distribuzione - non può essere motivo per giustificare l'incompatibilità urbanistica dell'intervento con la disciplina urbanistica di riferimento. Questa Sezione ha disposto incombenti istruttori con ordinanza collegiale n. 6229 del 26 giugno 2023 con la quale ha ordinato al Comune di Napoli di depositare il Piano Carburanti nella formulazione vigente all'epoca del provvedimento oggetto di ricorso e le eventuali modifiche successivamente intervenute; ha, altresì, ordinato di depositare una dettagliata e documentata relazione sull'istruttoria compiuta in relazione agli altri permessi rilasciati dall'Ente nelle zone di opportunità nonché sui permessi per i due impianti su suoli non ricompresi nelle "aree di opportunità " del Piano Carburanti, secondo quanto dichiarato da parte appellante (Ro. Ti., Via (omissis) - (omissis) Napoli; Un. Fu., Via (omissis). Il Comune di Napoli, in data 3 ottobre 2023, ha adempiuto depositando agli atti di causa la relativa documentazione. 2.2 Con il primo motivo (rubricato: Error in iudicando sul secondo e terzo motivo di ricorso: sulle "aree di opportunità " del "piano di razionalizzazione del sistema di distribuzione carburanti" del Comune di Napoli: violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 2 d.lgs. n. 32 del 11.2.1998 - violazione e falsa applicazione degli artt. 9,10, 17 e 18 della l.r. Campania 30/7/2013 n. 8 - 7 violazione dell'art. 41 della Costituzione e del principio di libertà dell'iniziativa economica privata - motivazione erronea su un punto decisivo della controversia), l'appellante ritiene che il mancato inserimento dei suoli della appellante nelle "aree di opportunità " del vigente Piano Carburanti non può essere motivo per giustificare l'incompatibilità urbanistica dell'intervento con la disciplina urbanistica di riferimento del Comune di Napoli, né può voler significare l'incompatibilità dell'intervento con lo strumento urbanistico generale. Ciò in quanto i distributori di carburanti sono ricompresi fra le opere di urbanizzazione secondaria, pertinenti la sede stradale e realizzabili su qualunque zona urbanistica ad eccezione delle Zone A e di quelle vincolate; a tal fine richiama l'art. 2, comma 1- bis, d.lgs. 32/1998 sulla scorta del quale ritiene che la natura dell'impianto di distribuzione non soffre delle limitazioni opposte dall'ordinamento urbanistico alle altre realizzazioni edili, derogando alla regola della piena valenza della destinazione urbanistica quale limite insuperabile nella facoltà di trasformazione. Con il secondo motivo (rubricato: Ancora sul secondo e terzo motivo di ricorso e sul mancato inserimento del fondo nelle "aree di opportunità ": ulteriore error in iudicando per motivazione erronea su un punto decisivo della controversia) l'appellante basa la propria censura sull'articolo 2, comma 1 bis, d.lgs. 32/1998 e art. 1 n. t.a al fine di sostenere la possibilità di realizzazione di nuovi impianti in qualsiasi zona, a prescindere dall'individuazione delle zone di opportunità . In particolare, sostiene l'appellante che il piano carburanti non varia il p.r.g. e non avrebbe natura pianificatoria ma conformativa in materia di impianti ed accessori; a tal proposito, richiama un testo diverso dall'art. 1 n. t.a (si veda ricorso di appello, pag. 13) da quello riportato alla sentenza gravata; quest'ultimo testo è ana a quello acquisito mediante la richiamata ordinanza collegiale. Entrambi i motivi possono essere scrutinati insieme. I motivi non sono fondati. Va premesso che in materia di impianti distributori di carburanti, con il d.lgs. 11 febbraio 1998 n. 32 si è proceduto alla sostituzione del regime di concessione con quello di autorizzazione, in quanto ritenuto più idoneo a consentire il libero esercizio dell'attività di installazione e di gestione degli impianti sulla base della sola autorizzazione comunale subordinata esclusivamente alla verifica della conformità alle disposizioni del piano regolatore, alle prescrizioni fiscali e a quelle concernenti la sicurezza sanitaria, ambientale e stradale, alle disposizioni per la tutela dei beni storici e artistici, nonché alle norme di indirizzo programmatico delle regioni (cfr. in tal senso Consiglio di Stato sez. V - 1 marzo 2003, n. 1124). Detto passaggio al regime autorizzatorio configura un potere conformativo di tipo particolare rispetto all'ambito esclusivamente urbanistico, essendo affidato ai Comuni il compito di definire i criteri, i requisiti e le caratteristiche delle aree su cui possono essere istallati gli impianti, con un apposito atto di raccordo con la disciplina urbanistica, in modo da consentire la razionalizzazione della rete di distribuzione e la semplificazione del procedimento di autorizzazione di nuovi impianti su aree private (cfr. Cons. Stato, Sez. V, Sentenza, 5 ottobre 2015, n. 4624) Al riguardo il d.lgs. 32/1998 pone due principi: - il primo, che è contenuto nell'art. 1, comma 2, per cui l'autorizzazione all'esercizio dell'impianto di carburante è subordinata esclusivamente alla verifica della conformità alle disposizioni del piano regolatore, alle prescrizioni fiscali e a quelle concernenti la sicurezza sanitaria, ambientale e stradale, alle disposizioni per la tutela dei beni storici e artistici, nonché alle norme di indirizzo programmatico delle Regioni; -il secondo (art. 2, comma 1 -bis) per cui la localizzazione degli impianti di carburanti costituisce un mero adeguamento degli strumenti urbanistici in tutte le zone e sottozone del piano regolatore generale non sottoposte a particolari vincoli paesaggistici, ambientali ovvero monumentali e non comprese nelle zone territoriali omogenee A. Quanto a questa seconda disposizione (art. 2, comma 1 - bis, d.lgs. 32/1998) occorre premettere che il mero adeguamento cui fa riferimento la disposizione sta ad intendere che trattasi di una modifica degli strumenti di pianificazione che non richiede la procedura della variante. Come già evidenziato dalla giurisprudenza, l'art. 2, comma 1 - bis, d.lgs. 32/1998 va interpretato nel senso che consente la localizzazione e l'installazione degli impianti di distribuzione di carburante in ogni zona del territorio comunale senza necessità di ricorrere ad apposite procedure di variante, ma ciò non impedisce ai Comuni di opporre alla presentazione delle istanze tese alla installazione di impianti di carburanti, in una zona diversa da quella di tipo A, l'incompatibilità dell'intervento con le disposizioni edilizie del piano regolatore, le prescrizioni concernenti la sicurezza sanitaria, ambientale e stradale, le disposizioni per la tutela dei beni storici e artistici, nonché le norme di indirizzo programmatico delle Regioni (cfr. Consiglio di Stato sez. V - 13/11/2009, n. 7096). Quindi, nella sostanza, si tratta di leggere le due disposizioni in questione (l'articolo 1 che richiama i vincoli urbanistici e l'art 2, comma 1 - bis, che invece fa riferimento al mero adeguamento senza variante degli strumenti urbanistici) in modo coordinato senza che sia possibile pervenire alla conclusione - prospettante dall'appellante - per cui gli impianti sarebbero collocabili in qualsiasi zona senza dovere rispettare i limiti del p.r.g.; diversamente opinando non sussisterebbe una qualche ratio a fondamento della previsione dell'art. 1 che richiama la conformità urbanistica. Ed infatti in giurisprudenza si è ritenuto che in materia di distribuzione di carburanti si configura un potere conformativo di tipo particolare rispetto all'ambito esclusivamente urbanistico, affidandosi ai Comuni il compito di definire i criteri, i requisiti e le caratteristiche delle aree su cui possono essere istallati gli impianti, con un apposito atto di raccordo con la disciplina urbanistica (cfr. Cons. Stato, Sez. V, Sentenza, 5 ottobre 2015, n. 4624). 2.3 Va ancora detto che l'art. 1 n. t.a. del Piano per la razionalizzazione del sistema di distribuzione dei carburanti nel testo acquisito in sede di verificazione e riportato dalla decisione di primo grado - corrispondente a quello - dispone: "Le zone individuate nella cartografia individuano "opportunità " di destinazione ad impianto di distribuzione carburante. Tutte le zone individuate in cartografia non costituiscono varianti né grafiche né normative rispetto agli strumenti urbanistici vigenti o in corso di approvazione, risultando la localizzazione della rete di distribuzione solo un'ulteriore possibilità tecnica e normativa soprapposta e concomitante con le previsioni urbanistiche. Le installazioni di nuovi impianti in zone sottoposte a vincolo o in centro storico, zona omogenea A, richiedono variante urbanistica. Oltre le suddette zone rimangono consentite le installazioni di nuovi impianti in tutte le zone e sottozone del P.R.G., nel rispetto della normativa regionale e dei pareri dei competenti Servizi del Comune". Dalla lettura della richiamata norma del piano carburanti emerge che: - per le zone "opportune "si può rilasciare l'autorizzazione, senza procedere ad alcuna verifica ulteriore ai fini urbanistici; la collocazione fissata dal piano carburanti è una ulteriore possibilità che si sovrappone - secondo la formulazione dell'art. 1 n. t.a - a quella urbanistica; - per le zone sottoposte a vincolo o in zona A vale il divieto assoluto di installazione di impianti di carburanti, salvo variante (cfr. art 1, comma 2, n. t.a); - per le restanti zone, come evidenziato dal Comune appellato in sede di adempimento alla richiamata ordinanza collegiale (cfr. PG/2023/785926 del 2/10/2023, pag. 2, non numerata), non sussiste un divieto di installazione ma detta installazione deve essere conforme ai limiti del p.r.g. Nella sostanza il richiamato art. 1 n. t.a. dispone che per le zone di opportunità è sufficiente detto inserimento anche ai fini urbanistici senza richiedere varianti; mentre per quelle non rientranti tra le zone di "opportunità " l'installazione è condizionata al rispetto dei vincoli del p.r.g. ed alle sue eventuali varianti. Da quanto sin qui evidenziato emerge che la norma dell'art. 1 n. t.a del piano è legittima in quanto nel creare le zone di opportunità, attua, con il primo comma, l'art. 2, comma 1-bis d.lgs. 32/1998; mentre lascia inalterato il rispetto del vincolo del p.r.g. per quelle espressamente vincolate e per quelle altre zone per le quali richiede il rispetto della normativa regionale e dei pareri dei competenti Servizi del Comune (che, ovviamente, non possono dare parere in senso contrario allo strumento urbanistico). In conclusione l'istituzione delle zone di opportunità non comporta l'esclusione di ogni altra localizzazione ove questa sia compatibile con i vincoli del p.r.g. In ogni caso, per completezza, va rilevato che è vietata l'individuazione di zone specifiche su cui installare gli impianti perché è proprio questo tipo di disciplina urbanistica che la riforma si è posto il fine di evitare (cfr. in tal senso Consiglio di Stato, sez. IV - sentenza 14 marzo 2023 n. 2647); nel caso specifico l'art. 1 n. t.a oltre alle aree di opportunità consente l'utilizzazione di zone sottoposte a vincolo previo variante (comma 2) e delle altre aree (comma 3) previo il rispetto dei pareri dei servizi del Comune e della Regione. Da ciò ne consegue che non vi è alcuna restrizione all'esercizio dell'attività di impresa atteso che si tratta piuttosto di conciliare - come già detto - quanto prevede l'art. 1 d.lgs. 32/1998 (conformità al p.r.g.) e quanto dispone l'art. 2, comma 1 - bis (la localizzazione come mero adeguamento); ossia di trovare un punto di equilibrio tra i diversi interessi rappresentati, ossia l'esercizio dell'attività economica e la pianificazione urbanistica. 3. Con il terzo motivo (rubricato: illegittimità del piano carburanti per mancato adeguamento dopo art 17, l.r. 8/2013) l'appellante rileva che la decisione di primo grado sarebbe erronea atteso che il Piano Carburanti del Comune di Napoli, risalente al 2000, deve ritenersi inefficace per il mancato adeguamento alla disciplina regionale sopravvenuta ossia alla l.r. 8/2013; inoltre, l'appellante ritiene che sulla scorta della natura di opera di urbanizzazione secondaria (cfr. invero in tal senso Consiglio di Stato, sez. IV del 18 febbraio 2016, n. 651) la legge regionale dovrebbe consentire la loro installazione non aumentando la volumetria e la superficie. Il motivo è infondato. Preliminarmente va rilevato che l'art. 17, comma 3, l.r. 8/2013 dispone che: i criteri, i requisiti e le caratteristiche delle aree, già individuati dal Comune ai sensi dell'articolo 2, commi 1 e 2, del decreto legislativo 32/1998, sono adeguati dallo stesso Comune alle disposizioni della presente legge e del regolamento di attuazione previsto nell'articolo 20, se non conformi, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del regolamento di attuazione. Il successivo comma 4 dispone altresì : Per i Comuni che alla data di entrata in vigore del regolamento di attuazione non hanno fissato i criteri, i requisiti e le caratteristiche delle aree ai sensi dell'articolo 2, commi 1 e 2 del decreto legislativo 32/1998, o non hanno provveduto all'adeguamento entro il termine stabilito dal comma 3, si applicano le norme vigenti. Nella sostanza la nuova legge richiede una attuazione da parte dei Comuni mediante l'adeguamento della normativa locale alla legge regionale ma anche al regolamento, che non è stato adottato. Il successivo comma 4 dispone la sopravvivenza della normativa previgente - tra cui è da annoverare il piano dei carburanti del 2000 - in caso di mancato adeguamento; e quindi non può ipotizzarsi una abrogazione - come prospetta l'appellante - del richiamato piano e la sopravvivenza del precedente regolamento 1/2012 di cui al successivo motivo di ricorso. Se infatti la legge regionale dispone la sopravvivenza della normativa precedente in mancanza di adeguamento del Comune alla legge ed al regolamento, a maggior ragione detta sopravvivenza deve ritenersi sussista nel caso - come quello in esame - in cui sia mancata l'adozione del regolamento regionale. Peraltro, come condivisibilmente evidenziato dal giudice di primo grado in altra controversia (Tar 610/2019), la volontà del legislatore regionale (richiamata dalla memoria del Comune appellato del 15/2/24) è stata quella di non lasciare privo di regole il settore della regolamentazione comunale sino alla completa definizione delle norme a livello legislativo e regolamentare. Conseguentemente il piano carburanti del Comune di Napoli del 2000, nel caso specifico, è efficace compresa la previsione delle aree di opportunità . 4. Con il quarto motivo di ricorso (rubricato: Error in iudicando sul quinto motivo di ricorso: ancora sulla illegittimità e/o inefficacia sopravvenuta del piano carburanti. Violazione e falsa applicazione del regolamento regionale n. 1/2012 - Violazione degli artt. 1 e 2 d.lgs. n. 32 del 11.2.1998 e ss.mm. ii. - Violazione e falsa applicazione degli artt. 9,10, 17 e 18 della l.r. Campania 30/7/2013 n. 8 - Motivazione erronea su un punto decisivo della controversia) rileva l'applicabilità del previgente regolamento regionale n. 1/2012 sulla scorta del quale venivano individuate delle zone ove l'installazione di impianti di distribuzione di carburanti era incompatibile in modo assoluto e delle zone ove era prevista una incompatibilità relativa, soggetta a valutazione da parte dell'amministrazione comunale. Il motivo è infondato. Come sopra evidenziato, in primo luogo, va rilevato che si è ritenuto ancora vigente il Piano del Comune di Napoli. Inoltre, in ogni caso l'art. 25 del previgente r.r. 1/2012 si riferisce agli impianti esistenti nei confronti dei quali le amministrazioni comunale devono svolgere delle verifiche circa l'incompatibilità della loro collocazione; non a caso il comma 4 dell'art 25 in questione dispone che: Nei casi in cui i suddetti interventi di adeguamento e di eliminazione delle incompatibilità relative, non siano possibili, gli impianti sono sottoposti a provvedimento comunale di chiusura. 5. Con il quinto motivo (rubricato: Sul sesto motivo di ricorso: sugli ulteriori motivi di inaccoglibilità dell'istanza: Violazione e falsa applicazione dell'artt. 22 e 30 delle n. t.a. della variante zona occidentale al p.r.g. del Comune di Napoli - Violazione e falsa applicazione del d.P.C.M del 24/6/2016 - Violazione e falsa applicazione del dm. 8/8/2014 - Violazione e falsa applicazione della delibera del consiglio regionale della Campania n. 777 del 25/10/2013 - Violazione degli artt. 1 e 2 d.lgs. n. 32 del 11.2.1998 - Violazione e falsa applicazione degli artt. 9,10, 17 e 18 della l.r. Campania 30/7/2013 n. 8 - Motivazione erronea su un punto decisivo della controversia) l'appellante ritiene che la sentenza di primo grado non ha esaminato le censure proposte avverso i molteplici vizi del provvedimento di diniego; vizi che ripropone, in primo luogo, facendo riferimento alla possibilità di realizzare attrezzature di quartiere tra le quali rientrano gli impianti di carburante Il motivo è infondato. Preliminarmente va rilevato che il diniego in questione riguarda, come emerge dal testo del provvedimento impugnato, la realizzazione dell'impianto di distribuzione di carburante in zona non rientrante in quelle definite di opportunità ; in relazione a detto motivo si è rilevato che è infondato sulla scorta di quanto sopra evidenziato e pertanto detto profilo è assorbente. In ogni caso, va evidenziato che nella nozione di attrezzature di quartiere non rientrano, sulla scorta di quanto dispone il d.m. 1444/68, gli impianti di distribuzione di carburante. In considerazione della infondatezza della richiamata censura vanno considerati assorbite le restanti censure relative alla zona archeologica, zona evacuazione nonché alle questioni ambientali che comunque non possono assumere rilievo prevalente rispetto al thema decidendum. 6. Con il sesto motivo l'appellante rileva altri due impianti che non sono collocati nelle aree di opportunità e che conseguentemente versano in situazioni identiche a quelle dell'appellata. Il motivo non è fondato. Sulla scorta di ciò in sede di ordinanza istruttoria, come sopra evidenziato, sono stati chiesti elementi al Comune appellato. Dall'adempimento all'ordinanza istruttoria del Comune (prot.874497 del 30 ottobre 2023) emerge la conformità edilizia degli impianti richiamati dall'appellante. In particolare sono stati rilasciati i seguenti pareri positivi nonché, successivamente i relativi permessi di costruire: 1.Parere PG/167424 del 15.03.2011 e Disposizione Dirigenziale n. 216 del 23.05.2014 (PE722/2012) - Impianto distribuzione carburanti in via detta (omissis) s.n. c. (NCT - Foglio (omissis), Part. (omissis)) - richiedente Ro. s.a.s. di lo. Gi. & C.; 2.Parere PG/187707 del 24.03.2011 e Disposizione Dirigenziale n. 68/2014 - Impianto distribuzione carburanti alla via (omissis) (NCT - Foglio (omissis), Part. (omissis)) - richiedente Soc. D'A. di D'A. Vi. & C. In merito al secondo permesso di costruire n. 68/2014, con Disposizione Dirigenziale n. 182 del 8.02.2018 il Servizio Sportello Unico Edilizia, è stata successivamente rigettata l'istanza di variante presentata in data 2.11.2017 (PE1651/2017) finalizzata all'ampliamento delle attività commerciali ed impermeabilizzazione dell'area esterna, e con Disposizione Dirigenziale n. 168 del 11.02.2019 è stata disposta l'inefficacia della successiva SCIA PG/592822 del 28.06.2018 avente ad oggetto analoghi interventi di completamento in quanto "l'area in questione ricade in zona E Componenti strutturanti la conformazione naturale del territorio, sottozona Ea, Aree Agricole, della Variante Generale al PRG, disciplinata dagli artt.39 e 40, per i quali sono consentiti solo interventi connessi all'attività agricola, ed è posta al di fuori delle aree di opportunità di cui al Piano di razionalizzazione dei carburanti licenziato dal Comune di Napoli nel 2000, pertanto l'intervento è da valutare con lo strumento urbanistico generale (cfr. sentenza Tar Campania n. 05614/2016) rispetto al quale, si sottolinea, risulta difforme". Da quanto sin qui rilevato gli interventi richiamati dall'appellante, per i quali è stato rilasciato il permesso di costruire, sono intervenuti in epoca antecedente al 2015, ossia all'epoca in cui è formato l'orientamento giurisprudenziale del giudice di primo grado che ritiene necessaria la conformità urbanistica; ciò si ritiene dimostrato dalla data dei richiamati provvedimenti sub 1) e 2) nonché dalla Disposizione Dirigenziale n. 168 del 11.02.2019 (richiamata in sede di adempimento all'ordinanza collegiale) che ha disposto l'inefficacia della SCIA PG/592822 del 28.06.2018 per determinati interventi in quanto "l'area in questione ricade in zona E... della Variante Generale al PRG, disciplinata dagli artt.39 e 40, per i quali sono consentiti solo interventi connessi all'attività agricola, ed è posta al di fuori delle aree di opportunità di cui al Piano di razionalizzazione dei carburanti licenziato dal Comune di Napoli nel 2000...". 7. In ultimo, per completezza si rileva che nella memoria di parte appellante di discussione per l'udienza del 1° giugno 2023 è riportato un motivo nuovo relativo al primo motivo di ricorso, non riportato nell'atto di appello; detto motivo è pertanto inammissibile atteso che le memorie sono solo esplicative e non introduttive di nuovi motivi. 8. In considerazione di quanto sin qui esposto l'appello è respinto e pertanto viene confermata la sentenza di primo grado. 9. In considerazione della complessità della fattispecie si ritiene sussistono giusti motivi per una compensazione delle spese. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, respinge l'appello e, per l'effetto, conferma la sentenza di primo grado. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Lopilato - Presidente FF Giuseppe Rotondo - Consigliere Michele Conforti - Consigliere Luigi Furno - Consigliere Riccardo Carpino - Consigliere, Estensore
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