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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7033 del 2023, proposto da Ii. Ca. in proprio e quale legale Rappresentante della ditta Individuale Ja. Vi. di Ii. Ca., rappresentate e difese dagli avvocati St. Zu., e Vi. Ce., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Vi. Ce. in Roma, via (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato An. Sm. Fa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Reggio Calabria, via (...); Regione Calabria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Fe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ministero della Cultura - Soprintendenza per Belle Arti e Paesaggio della Calabria, Agenzia del Demanio, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti - Capitaneria di Porto di Reggio Calabria, Autorità di Bacino Distrettuale dell'Appennino Meridionale, Ente Parco Nazionale dell'Aspromonte, Città Metropolitana di Reggio Calabria, Regione Calabria - Servizio Tecnico Regionale Vigilanza e Controllo Oo.Pp. Norme Sismiche, Sc. Fr., non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria sezione staccata di Reggio Calabria n. 41/2023, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e della Regione Calabria; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024 il Cons. Marco Morgantini e uditi per la parte appellante l'Avv. Vi. Ce.; Viste le conclusioni delle parti appellate come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue; FATTO e DIRITTO 1. Con la sentenza appellata è stato respinto il ricorso proposto avverso la determinazione dirigenziale del Comune di (omissis) in data 19 maggio 2021, avente ad oggetto l'annullamento del provvedimento di aggiudicazione di area demaniale marittima. La motivazione della sentenza appellata fa riferimento alle seguenti circostanze in fatto 1. Con determina del 27 gennaio 2020 il Comune di (omissis) approvata il bando di gara per la concessione dei lotti individuati nel Piano Comunale di Spiaggia approvato con determina dirigenziale n. 62 del 9 aprile 2019 della città Metropolitana di Reggio Calabria. La ricorrente partecipava alla procedura presentando la propria offerta per il lotto C1 (area attrezzata per la sostanza di camper e/o roulotte). Il progetto presentato prevedeva la realizzazione di un'area da adibire ad attività di pubblico interesse, ovvero: Area giochi per bambini, con l'installazione di giochi gonfiabili e giochi smontabili; Area piscina, con ombrelloni, realizzata in vetroresina già prefabbricata, facilmente amovibile; Punto attività collettive, mediante l'installazione di un chiosco/gazebo; Area barbecue, mediante l'installazione di un barbecue; Aree di parcheggio camper, con pavimentazione di tipo permeabile, ombreggiata, con pergolato in legno amovibile di dimensioni pari a circa m 6,00 x,8,00; Punto di bar/ritrovo, con il posizionamento di sedie e tavolini; Punto lavanderia; Punto postazione del guardiano e/o punto informazione turistica, attrezzature antincendio e attrezzatura sanitaria; Servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap nel rispetto delle vigenti norme in materia. All'esito della valutazione delle proposte progettuali secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa la ditta risultava aggiudicataria. Con determinazione n. 28 del 17 aprile 2020 il responsabile dell'Area Tecnica e Territorio - Servizio II, approvava i verbali di gara nonché l'elenco dei soggetti provvisoriamente aggiudicatari, dando atto che la procedura di rilascio delle concessioni demaniali si sarebbe perfezionata solamente dopo la verifica dei requisiti di cui all'art. 80 del D. Lgs. 50/2016 nonché al perfezionamento delle pratiche edilizie e produttive relative col rilascio dei necessari titoli abilitativi. Così come previsto dall'art. 14 del bando di gara la ricorrente presentava apposita richiesta presso lo Sportello Unico Attività Produttive del Comune di (omissis) preordinata al rilascio delle necessarie autorizzazioni. Con nota prot. 14914 del 23 dicembre 2020 il Comune indiceva apposita conferenza di servizi ex art. 14 e ss. della legge n. 241/90 per l'acquisizione dei pareri, intese, nulla osta o altri atti d'assenso assegnando alle amministrazioni coinvolte i relativi termini per richiedere integrazioni (7 gennaio 2021), esprimere pareri, assensi o nulla osta (22 febbraio 2021), nonché per l'eventuale riunione di conferenza in modalità sincrona (5 marzo 2021). Con successiva nota prot. n. 1929 dell'11 febbraio 2021, resosi necessario reiterare l'invio della documentazione necessaria, veniva disposta la riapertura dei termini per la produzione dei pareri. Con nota prot. n. 4511 del 31 marzo 2021 veniva comunicato alla ricorrente l'avvio del procedimento di annullamento in autotutela del provvedimento di aggiudicazione avendo il Comune preso atto della non conformità del progetto proposto con la disciplina che norma l'area di cui trattasi. Come rilevato, invero, dalla Regione Calabria, con nota del Dipartimento Tutela dell'Ambiente del 17 marzo 2021, l'art. 11 - Area attrezzata per la sosta di camper e/o roulotte delle Norme Tecniche del Piano Comunale di Spiaggia stabilisce al punto 10 che: "11.10 E' consentita la realizzazione di un manufatto con struttura in legno di facile rimozione aventi dimensioni massime di 30 mq con altezza non superiore a ml 3,20 alla linea di gronda, dove possono essere collocati la postazione del guardiano, punto di informazione turistica e servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap nel rispetto delle vigenti norme in materia" - "i manufatti previsti nel progetto superano la superficie assentibile prevista dall'art. 11 punto 10 delle NTA del PCS che prevede esclusivamente la possibilità di realizzare un manufatto di dimensioni massime pari a mq. 30 come sopra specificato - L'art. 11 delle NTA non prevede la possibilità di realizzare manufatti da destinare a lavanderia, alloggio per il custode, bar e piscina. Il Comune prendeva, pertanto, atto della non conformità del progetto proposto con la disciplina che norma l'area di cui trattasi, in ragione della quale non possono essere inserite le strutture previste, che superano le dimensioni massime consentite in termini di superfici e possiedono destinazioni di utilizzo non contemplate nella norma del piano attuativo vigente, comunicando l'avvio del procedimento finalizzato all'annullamento in autotutela dell'aggiudicazione del lotto C1 alla ditta Ii. Ca., alla quale veniva assegnato un termine di quindici giorni per presentare eventuali osservazioni. Entro i termini assegnati la ditta presentava le proprie osservazioni rilevando che il richiamato articolo 11 delle NTA prevede nei punti 7 e 4 la possibilità di realizzare manufatti da adibire a servizi in aggiunta alla possibilità di realizzare il manufatto di cui al successivo punto 10 con dimensioni massime di 30 mq. Rilevava, peraltro che, anche nell'ottica di una interpretazione più rigorosa dell'art. 11 delle NTA, l'annullamento in autotutela non si giustificherebbe dovendo, invece, attivarsi il soccorso istruttorio consentendo alla ditta di apportare le dovute modifiche al progetto. L'avvio del procedimento di annullamento si fonderebbe, inoltre, su un parere della Regione che nessuna competenza ha in materia. Tuttavia, con determinazione dell'Area Tecnica e Territorio, n. 30 del 19 maggio 2021, il Comune, viste le osservazioni presentate in data 12 aprile 2021, disponeva l'annullamento dell'aggiudicazione del lotto C1 - Area attrezzata per la sosta di camper e/o roulotte (Art. 11 N.T.A.) di cui al Bando per il rilascio di concessione di aree demaniali marittime per finalità turistico-ricreative del 27.01.2020 e contestuale archiviazione della pratica SUAP n. 63 del 30/04/2020 presentata dalla ditta Ii. Ca., avente ad oggetto "richiesta concessione demaniale marittima annuale per attrezzature e sosta camper e/o roulotte - lotto C1" attesa l'illegittimità dell'aggiudicazione in violazione delle norme del piano comunale di spiaggia. La motivazione del sopra richiamato provvedimento di annullamento faceva tra l'altro riferimento alle seguenti circostanze: - la superficie complessivamente occupata dalle strutture (pur non indicata nelle osservazioni) è pari a mq 172,00 a fronte dei 30 previsti dall'art. 11 delle NTA, in evidente contrasto con tale disposizione che, invero, è chiara nel prevedere che tali sono le dimensioni massime delle strutture, comprensive di postazione del guardiano, punto di informazione turistica e servizi igienici. - l'avvio del procedimento non si fonda sul parere della Regione bensì sulla consapevolezza dell'illegittimità che viziava l'aggiudicazione; - non è poi invocabile il soccorso istruttorio non potendosi consentire alla ditta di apportare correzioni al progetto, trattandosi di progetto definitivo e, come tale, non suscettibile di rilevanti stravolgimenti in fase esecutiva. 3. Parte appellante lamenta: - erroneità della sentenza appellata nella parte in cui respinge il ricorso sul presupposto che il parere della Regione non fosse tardivo e considerato atto proprio de Comune nel provvedimento di annullamento della concessione; - error in iudicando: erroneità della sentenza per intrinseca illogicità e contraddittorietà della motivazione, per cui il progetto presentato dalla Ditta contrasterebbe le norme tecniche del piano spiaggia; - errore sui presupposti; - violazione e/o falsa applicazione dell'artt. 1362 e ss. cod. civ in materia di interpretazione delle norme tecniche di attuazione del Piano spiaggia; - violazione e/o falsa applicazione dell'art. 6-bis del T.U. edilizia; - violazione e/o falsa applicazione dell'art. 21 quinquies della l. n. 241/1990. Secondo parte appellante: - la Regione Calabria aveva reso un parere che aveva operato una sorta di "interpretazione autentica", non consentita, dell'art. 11 delle N.T.A del PSC; - il provvedimento del Comune sarebbe astrattamente riferibile ad un illegittimo provvedimento di revoca ex art. 21 quinquies della l. n. 241/1990. I rilievi formulati dall'Amministrazione regionale sarebbero in parte affetti da un vizio di incompetenza, in ordine alla destinazione funzionale degli spazi, in parte da una lettura in malam partem ed estensiva delle N.T.A. L'art. 11 della norma tecnica applicata visto nel suo articolato consentirebbe al suo punto 7 e 4 la realizzazione di manufatti da adibire a servizi (non identificati con un numero chiuso) con caratteristiche costruttive tali da non nuocere al decoro dell'ambiente che non turbino l'estetica e non ostruiscano la visuale al mare, utilizzando materiali costruttivi aventi caratteristiche di precarietà e facile rimozione; Il suo successivo punto 10, secondo una interpretazione teologicamente orientata, coerente sia con l'oggetto sia con la vocazione turistica del territorio, oltre a contemplare i manufatti necessari per svolgere i servizi collegati alla concessione, prevederebbe la facoltà di realizzare un manufatto con struttura in legno di facile rimozione aventi dimensioni massime di 30 mq con altezza non superiore a ml 3,20 alla linea di gronda, dove poter collocare la postazione del guardiano, un punto di informazione turistica ed i servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap. I restanti manufatti sarebbero da intendersi come servizi primari per l'intero progetto, le norme nta non citerebbero in nessun punto altri manufatti. Per quanto concerne la piscina, la stessa sarebbe da ritenersi parte integrante delle aree di svago, essendo tra le altre cose una struttura di facile rimozione. Parte appellante fa altresì riferimento all'art. 6 - bis del T.U. edilizia considerata, per la modestia ed irrilevanza urbanistica ed edilizia degli interventi di cui si tratta. Parte appellante ritiene che le determinazioni adottate dal Comune di (omissis) sarebbero affette da un palese difetto di motivazione in quanto nelle stesse non viene specificato, nel disporre l'annullamento in autotutela, quali siano i giudizi valutativi espressi dall'Amministrazione in ordine all'impossibilità di procedere alla stipula del contratto di concessione di cui si tratta pur a fronte della pluralità dei pareri favorevoli espressi dagli enti effettivamente preposti alla tutela dei singoli vincoli individuati sull'area. 4. Parte appellante lamenta erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui respinge il motivo relativo all'azione di annullamento in asserita autotutela del provvedimento di aggiudicazione del lotto C1. Ingiustizia manifesta. Eccesso di potere per violazione dell'art. 14 del bando. Violazione dei principi dell'imparzialità e del buon andamento. Abuso del diritto. Error in iudicando: erroneità della sentenza per intrinseca illogicità e contraddittorietà della motivazione. Errore sui presupposti. Difetto di istruttoria e di motivazione. Violazione o falsa applicazione dell'art. 14 e 14 bis della l.n. 241/1990. Il provvedimento del Comune, sarebbe in realtà astrattamente riferibile ad un illegittimo provvedimento di revoca ex art. 21 quinquies della l. n. 241/1990. Parte appellante fa riferimento ai pareri favorevoli espressi dalle amministrazioni interessate. La Regione Calabria, con decreto dirigenziale n. 4929 del 12 maggio 2021, relativamente alla procedura di incidenza ai sensi della DGR 749/2009 e s.m.i. - direttiva habitat 92 43 CEE Direttiva Uccelli 79 409 CEE DPR 357 97 - ha espresso parere favorevole di valutazione di incidenza con prescrizioni. Parte appellante fa poi riferimento al parere favorevole espresso dalla Città Metropolitana di Reggio Calabria con nota prot. 3558 del 18 gennaio 2021 in ordine al vincolo paesaggistico insistente sull'area interessata dall'intervento. Parte appellante richiama il parere favorevole dell'Ufficio delle Dogane di Reggio Calabria, secondo cui "dall'esame degli elaborati forniti risulta la presenza di una strada pubblica tra il demanio marittimo e l'opera oggetto di richiesta di autorizzazione. Tale circostanza consente di poter annoverare l'opera di che trattasi al di fuori della zona di vigilanza doganale e perciò non soggetta al rilascio dell'autorizzazione ex art. 19 D.lgs. 374/90". Parte appellante richiama altresì il parere favorevole dell'ASL di Reggio Calabria con riferimento all'idoneità igienico-sanitaria del progetto. Secondo parte appellante la sentenza impugnata non affronterebbe il rapporto tra i suddetti pareri e le risultanze della conferenza di servizi. Anche in presenza di pareri negativi l'Amministrazione procedente potrebbe, sulla scorta di una valutazione discrezionale delle posizioni prevalenti, addivenire ad una determinazione conclusiva dell'iter autorizzativo di segno positivo, rimanendo la stessa libera di recepire o meno quanto espresso dalle Amministrazioni in sede di conferenza di servizi. In questo senso, pertanto, il parere negativo espresso dalla Regione non avrebbe potuto impedire l'adozione del provvedimento di autorizzazione, laddove la stessa amministrazione procedente abbia compiuto in sede urbanistica e preliminare del bando una valutazione discrezionale favorevole all'approvazione del progetto. L'amministrazione procedente, al fine di negare la richiesta autorizzazione non potrebbe limitarsi a richiamare acriticamente il contenuto del parere negativo espresso dalla Regione, dovendo invece comporre gli interessi in concorso e adottare un provvedimento finale che sia esito di una autonoma valutazione. Secondo parte appellante assume carattere assorbente la violazione del termine perentorio del 22.02.2021 indicato dall'A.C. per l'acquisizione dei pareri degli enti interessati. Il parere sfavorevole della Regione è giunto solo il 5 marzo del 2021 e quindi avrebbe dovuto essere ritenuto inutiliter dato o quantomeno valutato nel complesso dei pareri di opposto segno resi dagli enti interessati. Fa riferimento al difetto di istruttoria assieme a quello di motivazione atteso che nel provvedimento conclusivo del procedimento si afferma che l'area totale occupata è pari a 170,00 mq a fronte dei 30 mq massimi previsti dall'art. 11 delle N.T.A. Invero nel computo delle opere di cui all'art. 11 delle N.T.A. non potrebbero essere ricomprese, anche alla luce dei chiari pareri degli enti interessati (che anzi hanno condizionato l'espressione di un giudizio favorevole all'adeguata capacità ricettiva in sicurezza dell'area attrezzata), le strutture serventi, secondo un nesso di collegamento e di proporzionalità, il bene concesso tanto più che si tratta di opere relative all'igiene dei luoghi; alla sicurezza; al ristoro delle persone. Opere di tale ininfluente impatto da non rilevare e incidere su alcuno degli interessi oggetto di tutela nell'area interessata. 5. Parte appellante lamenta erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui non ha valutato il motivo inerente l'azione di risarcimento del danno derivante da annullamento (rectius revoca) dell'aggiudicazione conseguente all'impugnazione delle determinazioni amministrative di caducazione dell'aggiudicazione e di indizione di una nuova gara. Azione risarcitoria ex art. 30, co. III, del c.p.a. Violazione del principio di proporzionalità . Sproporzione. Ingiustizia manifesta. Violazione del principio di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa. Violazione dell'art. 97 della Costituzione. Parte appellante chiede la restituzione (a titolo risarcitorio) delle spese inutilmente sostenute per la partecipazione alla procedura di gara e per la finalizzazione delle attività susseguenti l'aggiudicazione. In subordine chiede il risarcimento per via equitativa in misura non inferiore al 10% del valore della concessione perduta. 6. L'appello è infondato. Il provvedimento di annullamento dell'aggiudicazione non è stato adottato, come ritiene parte appellante, per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, ma a causa della riscontrata illegittimità del provvedimento di aggiudicazione, ritenuto in contrasto con le vigenti NTA del piano comunale di spiaggia. Tale provvedimento è stato preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento e le osservazioni presentate da parte appellante sono state oggetto di specifico esame. Non sussiste il lamentato difetto di motivazione. Il provvedimento di annullamento, così come la precedente nota di comunicazione di avvio del procedimento, individua nella non conformità del progetto presentato dalla ricorrente con il punto 10 dell'art. 11 delle NTA del Piano Comunale di Spiaggia le ragioni di illegittimità dell'aggiudicazione. Il progetto, invero, in quanto non compatibile con le suddette norme tecniche non avrebbe potuto essere oggetto di valutazione né, conseguentemente, di aggiudicazione, anche considerando la necessaria tutela della par condicio tra i concorrenti. Con il provvedimento reso in autotutela il Comune ha specificamente motivato riguardo la sussistenza di un interesse pubblico rispetto al mero ripristino della legalità . Infatti trattasi dell'interesse alla tutela del territorio e dell'interesse della parità di trattamento dei concorrenti a che sia preso in considerazione un progetto conforme alla normativa vigente. Risulta adeguatamente comparato il sacrificio di parte appellante, considerando che l'intervento non è stato oggetto di rilascio dei permessi abilitativi e dunque non è stato realizzato. Parimenti la tutela della parità dei concorrenti non avrebbe consentito al Comune di richiedere a parte appellante la presentazione di un nuovo progetto, dopo la scadenza del termine di presentazione delle offerte. Correttamente il Tar ha ritenuto infondata la censura secondo cui il provvedimento sarebbe stato adottato sulla base di un parere sfavorevole della Regione attinente ad aspetti (la compatibilità del progetto con le NTA) che non rientrano tra le competenze dell'amministrazione regionale. L'amministrazione comunale, infatti, non si è limitata a richiamare il parere del Settore 3 del Dipartimento Tutela dell'Ambiente della Regione Calabria, ma ha dato atto nel provvedimento impugnato del contrasto del progetto presentato dalla ricorrente in sede di partecipazione alla procedura indetta per il rilascio di concessione di area/e demaniali marittime per finalità turistico-ricreative con l'art. 11, punto 10, delle Norme Tecniche del piano comunale di spiaggia. L'annullamento in autotutela è dunque espressione di autonoma valutazione dell'Amministrazione comunale. Correttamente il Tar ha ritenuto non rilevante la circostanza che le altre amministrazioni coinvolte nella conferenza di servizi abbiano espresso parere favorevole al rilascio della concessione riguardando i suddetti pareri aspetti del tutto diversi ed ulteriori rispetto a quelli afferenti alla incompatibilità del progetto con le norme tecniche di attuazione che ha portato all'annullamento. Ed infatti: - il parere della Città Metropolitana prot. n. 3558 del 18 gennaio 2021, concerne esclusivamente la compatibilità paesaggistica dell'intervento e non costituisce presunzione di legittimità del progetto sotto ogni altro profilo; - il parere dell'Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria prot. n. 86 del 27 gennaio 2021 riguarda esclusivamente l'idoneità igienico sanitaria delle strutture da realizzare; - il decreto n. 4929 del 12 maggio 2021 del Settore 4 del Dipartimento Tutela dell'Ambiente della Regione Calabria riguarda la Valutazione di Incidenza ai sensi del DPR 357/97 e DGR 749/2009 che tiene conto degli impatti potenziali sulla flora, sulla fauna ed avifauna selvatica e più in generale sul complessivo sistema ambientale del sito sensibile. È parimenti infondata la censura di parte appellante, secondo cui l'amministrazione comunale avrebbe erroneamente ritenuto superato il limite di mq 30 previsto dall'articolo 11 delle NTA non potendo ritenersi ricomprese in tale prescrizione le strutture serventi. Il punto 11.10 delle NTA del piano comunale di spiaggia consente, infatti, la realizzazione di un manufatto con struttura in legno di facile rimozione aventi dimensioni massime di 30 mq con altezza non superiore a ml 3,20 alla linea di gronda, che ricomprenda la postazione del guardiano, un punto di informazione turistica ed i servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap nel rispetto delle vigenti norme in materia. Nel caso in esame il progetto presentato dall'appellante prevedeva, invece, la realizzazione di più manufatti con estensione complessiva ben superiore ai 30 metri quadrati previsti dalla disposizione richiamata (punto di bar/ritrovo di superficie pari a mq. 37,80; punto lavanderia di mq 44,00; punto postazione del guardiano e/o punto informazione turistica, attrezzature antincendio e attrezzature sanitarie di complessivi mq 62; servizi igienici di mq 28,20). Essendo superato il limite di 30 metri quadrati previsto dalle n. t.a., è priva di fondamento la tesi di parte appellante, secondo cui si tratterebbe di interventi minori soggetti ad edificazione libera. Si tratta di intervento non consentito dalle n. t.a. e dunque il Comune non avrebbe in ogni caso potuto determinarsi diversamente. Sebbene - ciò va riconosciuto - di non piana lettura, la norma di riferimento ("11.10 E' consentita la realizzazione di un manufatto con struttura in legno di facile rimozione aventi dimensioni massime di 30 mq con altezza non superiore a ml 3,20 alla linea di gronda, dove possono essere collocati la postazione del guardiano, un punto di informazione turistica ed i servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap nel rispetto delle vigenti norme in materia."), non si presta (cfr l'inciso "dove") alla lettura dell'appellante, secondo cui i 30 mq sarebbero implementabili con gli altri manufatti ivi citati, sino ad una possibile cubatura complessiva di mq 170. Correttamente il Tar ha osservato che nessun legittimo affidamento può dirsi ingenerato dall'aggiudicazione poi annullata atteso che il bando di gara subordinava espressamente il rilascio della concessione demaniale marittima all'acquisizione dei necessari pareri, autorizzazioni e nulla osta (art. 14) e che, coerentemente con tale previsione, la determina n. 28 del 17 aprile 2020, di approvazione dei verbali di gara e dell'elenco dei soggetti provvisoriamente aggiudicatari, dava atto che la procedura di rilascio di concessioni demaniali... si perfezionerà solamente dopo la verifica dei requisiti di cui all'art. 80 del D.lgs. n. 50/2016 nonché al perfezionamento delle pratiche edilizie e produttive relative con rilascio dei necessari titoli abilitativi. Proprio per effetto dell'impugnato provvedimento di annullamento dell'aggiudicazione (impugnato in primo grado) i titoli abilitativi non potevano essere rilasciati. Ne consegue l'infondatezza della censura di tardività proposta dall'appellante, anche considerando che sono stati rispettati i termini per l'esercizio dell'autotutela previsti dall'art. 21 - nonies della legge n° 241 del 1990. La responsabilità per avere presentato un progetto difforme dalla normativa vigente grava sul soggetto che ha partecipato alla procedura e dunque su parte appellante. Pertanto non può essere accolta la domanda di risarcitoria in relazione alla lesione dell'affidamento. Né può essere accolta la domanda risarcitoria connessa all'azione impugnatoria, essendo quest'ultima infondata per quanto sopra precisato. Essendo sufficiente il quadro probatorio ai fini della decisione, non può essere accolta l'istanza di consulenza tecnica d'ufficio proposta dall'appellante L'appello deve pertanto essere respinto. La condanna alle spese dell'appello segue la soccombenza, come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna parte appellante al pagamento delle spese dell'appello nella misura di Euro 2.000/00 (Duemila/00) a favore del Comune di (omissis) e di Euro 2.000/00 (duemila/00) a favore della Regione Calabria. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere, Estensore Laura Marzano - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8923 del 2021, proposto da Te. Va. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati St. Ve. e Ma. Pi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gu. Le., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania sezione staccata di Salerno Sezione Seconda n. 00487/2021, resa tra le parti, per l'annullamento: a - dell'ordinanza n. 21 del 15.07.2019, successivamente notificata, con la quale il Responsabile dell'Ufficio Urbanistica del Comune di (omissis) ha disposto la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi di alcune opere realizzate presso l'area di proprietà sita alla Loc. (omissis); b - ove e per quanto occorra, della relazione prot. n. 8410 dell'08.07.2019 redatta dall'U.T.C. a seguito di sopralluogo, presupposta all'ordinanza sub a); c - di tutti gli atti, anche non conosciuti, presupposti, collegati, connessi e consequenziali. Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da Te. Va. S.r.l. il 2\1\2020: a - della determina n. 114 del 24.10.2019 Reg. Servizio e n. 603 del 24.10.2019 Reg. Generale, successivamente notificata, con la quale il Responsabile del Servizio Tecnico del Comune di (omissis) ha irrogato la sanzione pecuniaria di Euro 20.000,00 per "la non osservanza dell'ordinanza di rimessa in pristino per le opere eseguite in assenza del titolo abilitativo"; b - del provvedimento di cui alla nota prot. n. 13168 del 12.11.2019, con il quale la P.A. ha disposto il diniego definitivo dell'istanza di permesso di costruire in sanatoria depositato ai sensi dell'art. 36 del D.P.R. n. 380/2001; c - ove e per quanto occorra, del verbale di sopralluogo redatto dal Comando di polizia Municipale in data 23.10.2019, assunto a presupposto del provvedimento sub a); non conosciuto; d - ove e per quanto occorra, della nota prot. n. 12772 del 31.10.2019, recante la comunicazione dei motivi ostativi; e - di tutti gli atti, anche non conosciuti, presupposti, connessi, collegati e consequenziali. Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da Te. Va. S.r.l. il 21\1\2020: avverso e per l'annullamento: a - dell'ordinanza n. 37 del 19.11.2019, con la quale il Responsabile dello Sportello Unico per l'Edilizia del Comune di (omissis), in seguito al diniego dell'istanza di accertamento di conformità depositata dalla ricorrente ai sensi dell'art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, ha ordinato la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi di alcune opere realizzate nell'ambito di un'area sita alla Loc. (omissis); b - di tutti gli atti, anche non conosciuti, presupposti, connessi, collegati e consequenziali. Per quanto riguarda il ricorso incidentale presentato da Comune di (omissis) il 24/11/2021: per la riforma della sentenza del T.A.R. Campania - Sezione di Salerno, Sez. II n. 00487/2021, pubblicata in data 24.02.2021 nella parte in cui ha accolto i motivi aggiunti proposti avverso la determina n. 114 del 24.10.2019 recante la comminatoria nei confronti Te. Va. S.r.l. (c.f. 05368130653) pecuniaria di Euro 20.000,00 ex art. 31 comma 4 bis del D.P.R. 380/2001 per la mancata riduzione in pristino delle opere abusive sanzionate dell'ordinanza di demolizione precedentemente comminata Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2024 il Cons. Oreste Mario Caputo; Nessuno è comparso per le parti costituite; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.E' appellata la sentenza del T.A.R. Campania - Sezione di Salerno, Sez. II n. 00487/2021, d'accoglimento in parte del ricorso e motivi aggiunti proposti da Te. Va. S.r.l. avverso (una prima) ordinanza di demolizione del Comune di (omissis) - sostituta in pendenza di giudizio da altra ingiunzione a demolire (n. 37 del 19.11.2019), impugnata con motivi aggiunti - nonché avverso la sanzione pecuniaria di Euro 20.000,00, comminata per l'inosservanza dell'ordine di rimessione in pristino. Con ulteriori motivi aggiunti, la società ha impugnato il diniego opposto all'istanza di accertamento di conformità presentata il 16.10.2019, per essere la pratica "carente della documentazione e degli elaborati tecnico-amministrativi". 2. Interventi abusivi realizzati in area agricola, gravata da vincolo paesaggistico e idrogeologico sita alla località (omissis), consistenti: - nella sopraelevazione del piano di campagna di altezza pari a m. 2, di un ampio spazio di circa mq. 1.150 con all'interno la realizzazione di una piscina ornamentale di dimensioni in pianta pari a m. 18,70 x m. 9,90 e per complessivi mq. 185,13 e una profondità di m. 1.40. Per la sopraelevazione del piano di campagna e` stato realizzato un muro di sostegno in calcestruzzo della lunghezza complessiva di m. 54,73 a forma di una "elle" con il lato minore di m. 6.97 e il lato maggiore di m. 47.76, spessore cm. 30 ed un'altezza media di m. 2; - in tre gazebo, che occupano una superficie complessiva di circa mq. 155, nonché nella parte retrostante e nelle immediate vicinanze del torrente Pi. di un manufatto, in legno e parte in muratura, avente destinazione di cucina, servizi igienici, nonché deposito, di complessivi mq. 103,82 e una volumetria complessiva di mc. 303; - in un ulteriore gazebo destinato a bar, in legno, di dimensioni pari a m. 9 x m. 7.20 e per complessivi mq. 64,80 ed un'altezza pari a m. 3; - in area parcheggio di complessivi mq. 4.600. 3. Il Tar, dichiarato improcedibile il ricorso proposto avverso l'originaria ordinanza di demolizione, ha accolto i motivi aggiunti limitatamente all'irrogazione della sanzione pecuniaria per inottemperanza all'ordinanza di demolizione n. 37 del 19.11.2019, "stante l'emanazione dell'atto sanzionatorio allorquando il procedimento di sanatoria non si era ancora concluso":, respingendo nel resto il gravame. Il Tar ha respinto l'impugnazione sia del diniego opposto dal Comune all'istanza di accertamento di conformità presentata, motivato sulla carenza della documentazione e degli elaborati tecnico-amministrativi, che della nuova ordinanza di demolizione, qualificata "come atto dovuto, vertendosi sulla realizzazione, in zona agricola e senza alcun titolo, di un'area attrezzata all'aperto della complessiva estensione di 1150 mq., costituita da una piattaforma in cemento armato sopraelevata e pavimentata, gazebi attrezzati a bar e servizi, piscina ed annesso parcheggio per 4600 mq.; mentre è evidente la sottoposizione delle dette opere al regime del permesso di costruire ed ad autorizzazione paesaggistica, perché ricadenti nella fascia di 150 metri dal torrente Pi.". 4. Appella la sentenza Te. Va. s.r.l.. Resiste il Comune di (omissis) che, a sua volta, ha proposto appello incidentale avverso il capo di sentenza d'annullamento della sanzione pecuniaria. 5. Alla pubblica udienza del 9 maggio 2024 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione. 6. In limine va respinta la richiesta formulata dall'appellante di sospensione del giudizio, ex art 295 c.p.c., in attesa della definizione innanzi al Tribunale di Salerno della questione - qualificata come pregiudiziale - della natura demaniale o meno delle aree su cui ricadono parte delle opere abusive. In considerazione del fatto che si controverte sulla natura delle opere realizzate senza titolo edilizio in area agricola, gravata da vincolo paesaggistico e idrogeologico, l'accertamento della demanialità delle aree ove ricadono parte dagli abusi edilizi, nell'economia del decidere, non è ex dirimente, sì da non giustificare la sospensione del giudizio in corso. 7. Prima di affrontare i molteplici motivi d'appello principale, è bene richiamare la disciplina urbanistica ed ambientale che governa il territorio. L'area d'intervento ricade parte in zona agricola E5 "Zona Agricola Irrigua" e parte in zona E4 "Zona Agricola Semplice" del vigente Piano Regolatore Generale, in cui sono destinate prevalentemente attività dirette o connesse con l'agricoltura, per cui in esso sono consentite costruzioni a servizio diretto del fondo agricolo - residenza e attrezzature per l'agricoltura. L'area è sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi degli artt. 146 e 167 d.lgs. 4/2004 perché ricadente nella fascia di 150 metri dal torrente Pi., nonché assoggettata alle norme di salvaguardia sancite dal Piano Stralcio per l'Assetto Idrogeologico poiché "l'area risulta: parte area a pericolosità potenziale PUtr1 e parte PUtr3... parte area a rischio potenziale da frana RUtr2... parte RUtr3... parte RUtr4... (in) zone di attenzione". 8. Con il primo motivo, l'appellante denuncia l'errore di giudizio in cui sarebbe incorso il Tar nel respingere il gravame avverso il diniego di accertamento di conformità . Il Comune di (omissis), secondo la censura in esame, ha denegato l'accertamento di conformità sul presupposto della mancata allegazione di documentazione," omettendo di richiederla espressamente come era suo precipuo compito". 8.1 Il motivo è infondato. Il Comune resistente, prima di opporre il diniego impugnato, con nota (prot. n. 12023 del 16.10.2019), ha espressamente richiesto l'apporto partecipativo della società appellante che - va sottolineato - è rimasta senza esito. Sicché, la regolarizzazione documentale ex officio è stata richiesta dal Comune, assolvendo al precetto contenuto nell'10-bis l.241/90, 9. Con il secondo motivo d'appello, l'appellante denuncia l'erroneità della sentenza laddove si censura il comportamento della ricorrente per non avere chiesto la concessione del termine per effettuare il deposito della documentazione carente. 9.1 Il motivo è infondato. Contrariamente a quanto dedotto in fatto dall'appellante, il Comune, nell'istruire il procedimento, ha richiesto l'esibizione di documenti essenziali a comprovare la veridicità delle dichiarazioni rese ai sensi del d.P.R. 455/2000 quanto alla legittimazione ad intervenire anche all'interno dell'area demaniale e all'insussistenza di vincoli di natura paesaggistica e ambientale tali da rendere necessario il preventivo conseguimento dei prescritti nulla osta delle autorità preposte alla loro gestione. In risposta, la società ha lasciato scadere il termine, senza presentare alcuna osservazione. 10. Con il terzo motivo di appello, la ricorrente lamenta gli errori di giudizio nel respingere le censure proposte avverso l'ordinanza di demolizione. Le opere contestate, secondo la censura in esame, sarebbero in parte irrilevanti ai fini volumetrici e/o del carico urbanistico e, quindi, non sono assoggettate al regime del permesso di costruire né sanzionabili ex art. 31 d.P.R. n. 380/2001, e, per altra parte, sarebbero riconducibili al genus degli interventi pertinenziali "minimi", di cui agli artt. 3 e 6 d.P.R. n. 380/2001. 10.1 Il motivo è infondato. Le opere abusive realizzate in zona agricola gravata da vincolo paesaggistico e idrogeologico consistono: nella sopraelevazione del piano di campagna di altezza pari a m. 2, di un ampio spazio di circa mq. 1.150 con all'interno la realizzazione di una piscina ornamentale di dimensioni in pianta pari a m. 18,70 x m. 9,90 e per complessivi mq. 185,13 e una profondità di m. 1.40, nella realizzazione 3 gazebi, che occupano una superficie complessiva di circa mq. 155, nonché nella parte retrostante e nelle immediate vicinanze del torrente Pi. di un manufatto, in legno e parte in muratura, avente destinazione di cucina, servizi igienici, nel deposito, di complessivi mq. 103,82 e una volumetria complessiva di mc. 303; nella edificazione di ulteriore gazebo destinato a bar, in legno, di dimensioni pari a m. 9 x m. 7.20 e per complessivi mq. 64,80 ed un'altezza pari a m. 3 (...); nella realizzazione di un'area parcheggio di complessivi mq. 4.600. Va sottolineato che l'area occupata dalla piattaforma, "ricade per mq. 900 nella proprietà del demanio" (su una estensione di complessivi 1150 mq; mentre l'area occupata dal parcheggio, "risulta, ivi compreso l'ingresso al parcheggio, parzialmente di proprieta` del demanio per mq. 2.200" (su una estensione di complessivi 4600 mq). Il Comune ha accertato la realizzazione, senza alcun titolo autorizzativo, di area attrezzata per ricevimenti all'aperto, costituita da una piattaforma sopraelevata in cemento armato, con gazebi attrezzati a bar e servizi, impianto di illuminazione e piscina monumentale della complessiva estensione di 1150 mq e dell'annesso parcheggio per automezzi di ulteriori 4600 mq. Gli interventi complessivamente considerati incidono pesantemente sull'intero comprensorio, avente oltretutto valenza ambientale (cfr., Cons. Stato, n. 496/2022). In ragione della peculiare disciplina del territorio qui in esame, va ribadito che la valutazione di abusi edilizi e illeciti compiuti richiede una visione d'insieme, e non parcellizzata delle opere eseguite, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva, non da ciascun intervento in sé considerato, ma dall'insieme dei lavori nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni (cfr., Cons. Stato n. 2119/2023; Id., n. 8848/2022; Id., 7601/2019). Correttamente il Tar ha qualificato come "atto dovuto" l'ordinanza di demolizione stante l'avvenuta realizzazione, in zona agricola e senza alcun titolo, "di un'area attrezzata all'aperto della complessiva estensione di 1150 mq., costituita da una piattaforma in cemento armato sopraelevata e pavimentata, gazebi attrezzati a bar e servizi, piscina ed annesso parcheggio per 4600 mq.; mentre è evidente la sottoposizione delle dette opere al regime del permesso di costruire ed ad autorizzazione paesaggistica, perché ricadenti nella fascia di 150 metri dal torrente Pi.". 11. Conseguentemente, anche il quarto motivo dell'appello principale, laddove si deduce che "le opere contestate sono riconducibili al regime sanzionatorio pecuniario di cui all'articolo 37 d.P.R 380/2001", è infondato. Le pluralità degli abusi commessi in zona agricola, gravata da vincoli ambientali, comporta l'applicazione del regime sanzionatorio rispristinatorio di cui agli artt. 31 d.P.R. 380/2001 e 167 d.lgs. 4/2004. 12. Conclusivamente, l'appello principale deve essere respinto. 13. Ad opposta conclusione deve giungersi con riguardo all'appello incidentale Il T.A.R. ha accolto l'impugnativa spiegata dalla società con esclusivo riferimento al provvedimento (n. 114 del 24.10.2019), con la quale il Comune di (omissis) le aveva comminato la sanzione prevista dall'art. 31, comma 4 bis, d.P.R. 380/2001 per non aver ottemperato all'ordinanza di demolizione n. 21 del 15.07.2019. Secondo i giudici di prime cure la sanzione pecuniaria, in pendenza del procedimento di sanatoria, non poteva essere adottata, poiché "il deposito dell'istanza comporta la sospensione dell'efficacia dell'ordinanza di demolizione fino alla definizione del procedimento".. Il Comune appellante deduce che il procedimento attivato dalla società per la sanatoria delle opere sanzionate non aveva alcuna valenza "sospensiva" e/o "interruttiva" del termine di novanta giorni ivi impartito per la riduzione in pristino degli abusi commessi in area demaniale. 13.1 Il motivo è fondato. La sanzione pecuniaria ex art. 31, comma 4° bis, d.P.R. 380/2001 consegue ex lege all'inottemperanza all'ingiunzione a demolire; la quantificazione nella misura massima di Euro 20.000,00 corrisponde al criterio normativo, stante la concorrente violazione della normativa paesaggistico-ambientale. La norma recita: "L'autorità competente, constatata l'inottemperanza, irroga una sanzione amministrativa pecuniaria di importo compreso tra 2.000 euro e 20.000 euro, salva l'applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti. La sanzione, in caso di abusi realizzati sulle aree e sugli edifici di cui al comma 2 dell'articolo 27, ivi comprese le aree soggette a rischio idrogeologico elevato o molto elevato, è sempre irrogata nella misura massima...". Nessuna norma prevede che l'esecutività della sanzione è sospesa per effetto della presentazione dell'istanza d'accertamento di conformità . 14. Pertanto, l'appello incidentale proposto dal Comune deve essere accolto, e, per l'effetto, in parziale riforma dell'appellata sentenza, devono essere respinti i motivi aggiunti proposti in prime cure avverso la sanzione pecuniaria comminata dal Comune. 15. Le spese del presente grado di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello principale, come in epigrafe proposto, lo respinge. Accoglie l'appello incidentale proposto dal Comune e, per l'effetto, in parziale riforma dell'appellata sentenza, respinge i motivi aggiunti proposti in prime cure avverso la sanzione pecuniaria comminata. Condanna Te. Va. s.r.l. al pagamento delle spese del grado di giudizio in favore del Comune di (omissis) liquidate complessivamente in 3000,00 (tremila) euro, oltre diritti ed accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Sergio De Felice - Presidente Luigi Massimiliano Tarantino - Consigliere Oreste Mario Caputo - Consigliere, Estensore Roberto Caponigro - Consigliere Giovanni Gallone - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8334 del 2023, proposto da: Ca. Eu. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ca. Pe. e Cr. Be., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ni. Za., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; nei confronti Tu. Fu. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Co. e Gi. Gi., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; Ni. Co., non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo, sezione staccata di Pescara, n. 96/2023. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e di Tu. Fu. s.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore il Cons. Laura Marzano; Nessuno presente per le parti nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La società appellante ha impugnato la sentenza del 20 febbraio 2023, n. 96 con cui il Tar Abruzzo, sezione staccata di Pescara, ha respinto il ricorso proposto per l'annullamento dell'ordinanza n. 25216 del 2 maggio 2019, di revoca dell'autorizzazione del 21 giugno 1993 per lo svolgimento dell'attività di campeggio, e per la condanna dell'amministrazione al risarcimento dei danni conseguenti. Il Comune di (omissis) si è costituito con atto formale. La controinteressata, Tu. Fu. s.r.l. si è costituita depositando memoria difensiva e documentazione ed ha chiesto la reiezione dell'appello. In vista della trattazione, il comune e la controinteressata hanno depositato memorie conclusive, alle quali l'appellante ha replicato con memoria del 7 maggio 2024. Con separati atti tutte le parti costituite hanno chiesto la decisione della causa sugli scritti. All'udienza pubblica del 28 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 2. L'appellante, gestore di un campeggio in (omissis), lungo la SS (omissis), ha impugnato in primo grado il suindicato provvedimento censurandolo per violazione del d.P.R. n. 380 del 2001, dell'art. 3 della legge n. 287 del 1991, della legge regionale n. 16 del 2003, dei principi di buon andamento, di imparzialità, di affidamento incolpevole, di proporzionalità e ragionevolezza nonché per eccesso di potere sotto il profilo del difetto di presupposti, di istruttoria e di motivazione, dello sviamento. In particolare ha fatto presente che i procedimenti di condono non erano ancora definiti; che il primo riguardava n. 8 bungalows più il bar, il secondo n. 3 bungalows, la guardiola, la centrale idrica, la pista da ballo, la bocciofila, il terzo la superficie abusiva di mq. 270 di cui alla particella (omissis), il quarto la superficie abusiva di mq. 240 di cui alla particella (omissis); che in ogni caso i bungalows e la bocciofila erano stati rimossi; che i rimanenti abusi attenevano unicamente ai profili di ubicazione e sagoma di scarso rilievo; che vi era comunque stato l'accatastamento dei locali nello stato di fatto attuale; che si era ingenerato un affidamento incolpevole discendente dalla risalenza dei lavori a circa 44 anni prima, eseguiti poi dal precedente gestore. La società ha sostenuto inoltre che sarebbe improprio in ogni caso definire le opere abusive, in pendenza del procedimento di condono; che non sarebbero motivate nè la misura afflittiva né il rigetto della richiesta di proroga, tenuto conto poi che la struttura è dotata del titolo di agibilità ; che una ridotta porzione del campeggio era stata restituita alla proprietaria Tu. e Fu. s.r.l., tuttavia non rilevante e incidente sulla conformazione complessiva del campeggio medesimo; che in definitiva la misura assunta sarebbe sproporzionata. La società ha anche chiesto la condanna dell'amministrazione al risarcimento dei danni: di quello economico, essendo già state raccolte le prenotazioni per la stagione estiva, e di quello non patrimoniale, per la campagna denigratoria della stampa. 3. Il Tar ha respinto il ricorso osservando in sintesi: che l'ordinanza impugnata risulta emessa a seguito di articolata, approfondita e dettagliata fase istruttoria e nel pieno rispetto del contraddittorio procedimentale; che numerosi risultano gli abusi realizzati, con occupazione di aree di soggetti terzi, private e pubbliche demaniali, sottoposte a vari vincoli di tutela (fasce di rispetto, vincoli ambientali); che un ridotto numero degli abusi era oggetto di domande di condono, in parte già respinte, in parte ancora non definite per la mancata produzione della documentazione necessaria per il loro riscontro, con altri abusi già oggetto di ordinanze di demolizione o di procedimenti avviati per l'assunzione di analoghe misure repressive; che, a fronte di ciò, non può assumere rilievo l'asserita rimozione di alcune opere; che gli abusi consistenti in differente ubicazione e sagoma non possono comunque essere considerati di minore impatto nel contesto surriportato; che l'accatastamento dei locali abusivi non può valere per ciò solo e in ogni caso a sanare i profili abusivi degli stessi, consistendo lo stesso in una mera registrazione e catalogazione degli immobili, a fini preminentemente fiscali; che nessun affidamento incolpevole poteva essere maturato in capo alla ricorrente, ben consapevole almeno di parte degli abusi, avendo presentato per gli stessi domanda di condono; che l'atto impugnato risulta corredato di congrua e adeguata motivazione; che non è irragionevole il mancato accoglimento della richiesta di proroga, proprio perché le domande di condono pendenti riguardavano una minima parte degli abusi; che, a fronte degli accertati abusi, non poteva rilevare un precedente titolo di agibilità ; che l'asserita restituzione di una ridotta parte del campeggio al legittimo terzo proprietario non poteva valere a rendere conforme alla disciplina vigente il complesso della struttura; che la misura assunta, alla luce delle plurime illegittimità riscontrate e di varia matrice, anche in tema di sicurezza, non appare all'evidenza sproporzionata. 4. L'appello è affidato ai seguenti motivi. 1) "Error in judicando. Violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della Legge 7.8.1990, n. 241". Diversamente da quanto affermato in sentenza, l'intero procedimento sarebbe affetto da difetto di istruttoria, infatti l'amministrazione si sarebbe espressa, in plurimi passaggi, in termini dubitativi circa le circostanze fattuali che hanno condotto a qualificare come "interamente abusivo" il campeggio in questione e, di conseguenza, revocare l'autorizzazione amministrativa rilasciata in favore della s.r.l. Ca. Eu.. Inoltre nella stessa ordinanza impugnata sarebbe rinvenibile l'incertezza degli accadimenti laddove, a proposito delle iniziative promosse da un proprietario di una parte dei terreni per ottenerne il rilascio, si rileva che la sua restituzione determinerebbe un mutamento dello stato di fatto del campeggio "tanto da porre dubbi circa il fatto che la sua conformazione - dopo la restituzione di una parte del terreno - attualmente rispetti la normativa regionale che regola tale comparto delle strutture ricettive", ciò senza che: sia indicata la specifica porzione immobiliare che dovrebbe essere rilasciata; siano indicate le norme violate; sia precisata la ragione per la quale l'eventuale restituzione dell'area al legittimo proprietario possa incidere sul rispetto dei parametri urbanistici. Inoltre l'amministrazione avrebbe ignorato un fatto, il rilascio di parte dell'area al legittimo proprietario, che era stato già introdotto in sede procedimentale, in tal modo vanificando l'apporto partecipativo della società : da ciò emergerebbe anche la violazione dell'obbligo motivazionale. 2) "Error in judicando. Violazione e falsa applicazione degli artt. 30 e ss. del d.P.R. 6.6.2001, n. 380. Violazione e falsa applicazione dell'art. 21 della L.R. Abruzzo 23.10.2003, n. 16". L'appellante contesta il capo della sentenza in cui il campeggio viene definito interamente abusivo e osserva che, nel provvedimento impugnato, è lo stesso comune che, dopo aver qualificato il campeggio come "interamente abusivo", soggiunge: "fatta salva la presentazione di alcune istanze di condono ancora in fase di istruttoria", affermazioni contenute anche nella relazione del 19 novembre 2018, a firma del responsabile della Pianificazione edilizia e ambiente, integralmente richiamata e recepita dall'ordinanza impugnata, nella quale ogni condono presentato dalla società appellante viene qualificato come "non definito in corso di istruttoria". Quindi lo stigma di "abusività ", che l'amministrazione ha assegnato all'intero insediamento, non sarebbe connotato da carattere di definitività . Osserva, inoltre, che laddove sia stata presentata un'istanza di concessione in sanatoria o di condono edilizio, in assenza di preventiva determinazione su quest'ultima e in pendenza del relativo procedimento, gli eventuali provvedimenti repressivi devono considerarsi sospesi e, se adottati in presenza di condono, sono da considerarsi illegittimi, quindi il comune non potrebbe revocare l'autorizzazione commerciale senza preventivamente pronunciarsi in senso negativo sull'istanza di sanatoria. Obietta che, se fosse vero che la società richiedente non abbia ottemperato alle richieste di integrazione documentale, sarebbe stato agevole per l'amministrazione definire negativamente i procedimenti in questione, ma così non è stato. In ogni caso, al netto delle opere interessate dalle richieste di condono, gli unici abusi che vengono in rilievo riguarderebbero le difformità dalla licenza edilizia del 1975 (4 bungalow, un fabbricato, il deposito servizi) e il bocciodromo costruito nella fascia demaniale. Si tratterebbe, tuttavia, di interventi di modesta rilevanza, considerato che i due bungalow sono successivamente stati rimossi, mentre le ulteriori difformità edilizie riguardano la diversa ubicazione e la diversità di sagoma, sicchè non vi sarebbero variazioni essenziali. Anche alla luce di tali considerazioni il sacrificio imposto alla società con il provvedimento impugnato sarebbe in contrasto con i principi di proporzionalità, buon andamento e ragionevolezza dell'azione amministrativa. 3) "Error in judicando. Violazione e falsa applicazione del principio di buona fede di cui all'art. 1, comma 2bis, della Legge 7.8.1990, n. 241 e di cui all'art. 1375 c.c.". L'appellante contesta la sentenza nella parte in cui ha escluso la sussistenza del legittimo affidamento osservando che le opere asseritamente abusive sarebbero state eseguite da parte di terzi, la realizzazione del campeggio risale al 1975 mentre l'appellante ne amministra l'attività a partire dal 1993 e deduce la sua ignoranza incolpevole in quanto sia le ordinanze di demolizione, sia i provvedimenti con cui sono state respinte le istanze di condono non sarebbero state prodotte nel giudizio di primo grado ovvero sarebbero state prodotte senza fornire la prova dell'avvenuta notificazione ai rispettivi destinatari. 5. Il Comune di (omissis) ha innanzitutto eccepito l'inammissibilità del primo motivo di appello, in quanto sostanzialmente "rimaneggiato" rispetto a quanto dedotto in primo grado e, perciò, formulato in violazione del divieto di nova in appello; in ogni caso ne ha dedotto l'infondatezza, al pari degli altri motivi. La controinteressata Tu. Fu. s.r.l. - proprietaria del complesso alberghiero denominato "Hotel Ex." confinante con il campeggio - ha ribadito l'eccezione, già sollevata in primo grado, di inammissibilità del ricorso introduttivo per omessa notifica alle altre amministrazioni interessate, coinvolte nell'accertamento che ha condotto all'emanazione dell'ordinanza impugnata nonché per altri profili; in ogni caso ha dedotto l'infondatezza dell'appello e del ricorso introduttivo osservando che le censure dell'appellante non sarebbero idonee a incidere sulla correttezza della 6. Si può prescindere dall'esame delle eccezioni preliminari, essendo l'appello infondato. I tre motivi possono essere esaminati congiuntamente seguendo un unico ordine logico. Come rilevato dal Tar non è ravvisabile il dedotto difetto di istruttoria che l'appellante ascrive all'operato dell'amministrazione in conseguenza di una lettura "atomistica" degli atti che nell'insieme hanno condotto all'emanazione del provvedimento comunale impugnato. A ben vedere, nella vicenda per cui è causa le diverse amministrazioni coinvolte hanno rilevato una serie di abusi edilizi che non risultano sconfessati né dalle deduzioni dell'appellante né dalla pendenza di istanze di condono, tanto che in ordine alla reiezione di alcune di esse l'appellante si spinge a sostenere di averle ignorate incolpevolmente in quanto l'amministrazione non avrebbe accluso la prova della avvenuta notifica. Ciò posto, le censure riguardanti la presunta doverosità di sospendere il procedimento in attesa della definizione delle istanze di condono esulano dal perimetro del presente giudizio il quale ha ad oggetto non già l'ordinanza di demolizione bensì la revoca dell'autorizzazione del 21 giugno 1993 per lo svolgimento dell'attività di campeggio, la quale si fonda sull'intervenuto accertamento di plurime violazioni, tra le quali quelle edilizie. Il procedimento è stato avviato a seguito di una serie di accertamenti in cui sono stati rilevati due profili di illegittimità : ossia una serie di irregolarità edilizie e l'occupazione di aree demaniali e private. Sono seguite, dunque, due attività provvedimentali: l'una diretta allo sgombero dell'area demaniale illegittimamente occupata e alla rimozione delle opere edilizie abusive ivi insistenti e una diretta alla revoca dell'autorizzazione del 21 giugno 1993 per lo svolgimento dell'attività di campeggio. Il presente giudizio riguarda la seconda delle indicate attività che, al pari della prima, risulta ben esplicata nella relazione tecnica a firma del responsabile della Pianificazione edilizia e ambiente del comune in cui, dopo aver elencato i titoli rilasciati e le richieste di sanatoria, si conclude che "Dall'esame delle pratiche sopra richiamate si evince che, ad oggi, il Campeggio non dispone di alcun titolo autorizzatorio, ed è, pertanto interamente abusivo, fatta salva la definizione dei condoni richiesti". Nella relazione si dà atto che non è stato possibile effettuare un rilievo puntuale dei manufatti esistenti e non autorizzati, a causa dell'assenza dei titolari delle aree. All'esito di tali verifiche è emerso anche che "Alcune delle opere abusive (bocciodromo e suo ampliamento) insistono sulla proprietà Demanio dello Stato ramo Strade, mentre le stesse strutture abusive descritte al punto 3°, ricadono, in parte nella fascia di rispetto della Strada Statale SS 16 (30 metri)...". A ciò è conseguita da una parte la diffida alla demolizione delle opere abusive, inviata a tutti i soggetti proprietari del camping, e le successive ordinanze di demolizione e di ripristino (nn. 120, 121, 144, 145, 213, 214 del 21 maggio 2019) e, dall'altra, l'ordinanza di sgombero dell'area demaniale occupata, inviata al sig. Ma. Ni., quale legale rappresentante della ditta Ca. Eu., nonché l'ordinanza di revoca dell'autorizzazione del 21 giugno 1993 per lo svolgimento dell'attività di campeggio, impugnata nel presente giudizio. Tale ultima ordinanza è stata adottata all'esito dell'unica complessa attività istruttoria, riguardante i due evidenziati profili di illegittimità . L'amministrazione ha segnalato nell'ordinanza che alcuni terreni sono in proprietà della società e altri condotti in locazione; che sono state realizzate opere abusive anche su area demaniale illegittimamente occupata; che è stato avviato il procedimento per la demolizione delle opere abusive con nota n. 67112 del 18 dicembre 2018; che risultavano presentate dal privato alcune domande di condono edilizio, ancora in fase istruttoria, non essendo stata prodotta tutta la documentazione a corredo, necessaria per un loro riscontro; che alcuni fabbricati insistono sulla fascia di rispetto stradale, altri sono localizzati su suolo demaniale, altri ancora sono stati oggetto di diniego di condono, perché in contrasto con la destinazione a parcheggio del PRG dell'epoca, ulteriori risultano difformi dai titoli autorizzatori per ubicazione e sagoma; che in data 22 marzo 2019 è stato avviato il procedimento di revoca dell'autorizzazione nei confronti sia di Ca. Eu. s.r.l. sia di Ne. Vi. Eu. s.a.s., palesatasi in un dato momento come gestore senza titolo; che in definitiva gli abusi sono tanti e tali da incidere sulla conformazione complessiva del campeggio, da considerarsi dunque in toto abusivo; che Ca. Eu. s.r.l., in sede di osservazioni controdeduttive, ha chiesto una proroga dei termini di revoca, in attesa della definizione delle domande di condono edilizio pendenti; che le domande di condono riguardano tuttavia una minima parte degli abusi e che per gli altri o sono già state emesse ordinanze di demolizione o comunque sono stati avviati i procedimenti per la loro rimozione; che inoltre è stata anche emessa ordinanza n. 150 del 18 aprile 2019 di sgombero di un'area di mq. 460 di demanio marittimo, occupata abusivamente, con obbligo di ripristino dello stato dei luoghi; che il 20 aprile 2019 si è proceduto a sopralluogo di verifica unitamente al personale del Commissariato di pubblica sicurezza di (omissis), con accertamento di plurime infrazioni in materia di disciplina sulla sicurezza; che Ne. Vi. Eu. s.a.s. si è dichiarata estranea alla gestione del campeggio, pur esercitando attività ricettiva di campeggio nella struttura. Dunque, come correttamente rilevato nella sentenza impugnata, l'ordinanza impugnata risulta emessa a seguito di articolata, approfondita e dettagliata fase istruttoria, come risulta dalle relazioni comunali n. 16906 del 21 marzo 2019 e n. 23629 del 23 aprile 2019, dalla relazione Commissariato di pubblica sicurezza del 24 aprile 2019. Quelle rilevate sono plurime irregolarità, riconducibili a diversi aspetti, illegittima occupazione di aree pubbliche e private, gravi mancanze in tema di sicurezza e svariati abusi edilizi, alcuni dei quali anche su area demaniale abusivamente occupata. Il profilo dei plurimi abusi edilizi rappresenta soltanto una delle motivazioni poste alla base dell'ordinanza impugnata, con la conseguenza che, per inciso, appare fondata l'eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla controinteressata, laddove osserva che gli altri capi del provvedimento plurimotivato non sono stati censurati. Ciò posto, il Collegio rileva che le violazioni riscontrate sono talmente tante e di tale gravità da rendere pienamente legittimo l'atto di revoca dell'autorizzazione amministrativa allo svolgimento dell'attività di campeggio. Perde di rilievo, pertanto, la censura secondo cui la pendenza dei procedimenti di sanatoria non avrebbe potuto consentire al comune l'adozione del provvedimento impugnato dal momento che, come rilevato, il profilo degli abusi edilizi è soltanto uno dei motivi posti alla base dello stesso né può assumere rilievo l'asserita rimozione di alcune opere o la circostanza che alcuni abusi consistano in differente ubicazione e sagoma non possono comunque essere considerati di minore impatto nel contesto surriportato, né che i locali abusivi siano stati accatastati, dal momento che l'accatastamento, che è una mera dichiarazione di parte, non può sopperire alla mancanza del titolo edilizio. A fronte di una tale e composita situazione di illegittimità non è configurabile alcun affidamento del privato che possa qualificarsi come "legittimo", segnatamente con riferimento agli aspetti edilizi. L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza 17 ottobre 2017 n. 9, ha affermato il seguente principio di diritto "il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino". La sentenza inoltre conferma che la demolizione di opere edilizie abusive può essere disposta nei confronti del proprietario attuale dell'opera (o di chi ne abbia la disponibilità ), anche se non abbia avuto alcuna parte della commissione dell'abuso (orientamento già espresso da Cons. Stato, sez. VI, 26 luglio 2017, n. 3694). D'altra parte è stato condivisibilmente osservato che la mera presentazione dell'istanza di condono non può ritenersi inidonea e sufficiente a consentire l'esercizio dell'attività nei locali oggetto dell'istanza stessa. Infatti, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, nel rilascio dell'autorizzazione commerciale occorre tenere presente i presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l'attività commerciale si va a svolgere, con l'ovvia conseguenza che il diniego di esercizio di attività di commercio deve ritenersi senz'altro legittimo ove fondato su rappresentate e accertate ragioni di abusività dei locali nei quali l'attività commerciale viene svolta (cfr., tra le altre, Cons. Stato, sez. V, 8 maggio 2012, n. 5590; id. sez. IV, 14 ottobre 2011 n. 5537). Il legittimo esercizio dell'attività commerciale è pertanto ancorato, non solo in sede di rilascio dei titoli abilitativi, ma anche per la intera sua durata di svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene posta in essere, con conseguente potere-dovere dell'autorità amministrativa di inibire l'attività commerciale esercitata in locali rispetto ai quali siano stati adottati provvedimenti repressivi che accertano l'abusività delle opere realizzate ed applicano sanzioni che precludono in modo assoluto la prosecuzione di un'attività commerciale (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 23 ottobre 2015, n. 4880). La regolarità urbanistico edilizia dell'opera, pertanto, condiziona l'esercizio dell'attività commerciale al suo interno anche perché ritenere il contrario comporterebbe elusione delle sanzioni previste per gli illeciti edilizi. La stretta connessione tra materie del commercio e dell'urbanistica ha indotto il legislatore a indicare il medesimo fatto quale presupposto per l'esercizio di poteri propri sia della materia dell'urbanistica, sia di quella del commercio, con la conseguente inibizione, per l'autorità amministrativa, di assentire l'attività nel caso di non conformità della stessa alla disciplina urbanistico - edilizia (cfr. Cons. Stato, V, 17 ottobre 2002, n. 5656 e 28 giugno 2000, n. 3639). E' stato così superato il precedente indirizzo giurisprudenziale che affermava l'illegittimità del diniego di autorizzazione commerciale (o di ampliamento o di trasferimento dell'esercizio) per ragioni di ordine urbanistico, sul presupposto che l'interesse pubblico nella materia del commercio fosse di diversa natura ed implicasse perciò criteri valutativi differenti (cfr. Cons. Stato, V, 21 aprile 1997, n. 380): il revirement giurisprudenziale si fonda su un criterio di ragionevolezza e sul principio costituzionale di buona amministrazione per cui non è tollerabile l'esercizio dissociato, addirittura contrastante, dei poteri che fanno capo allo stesso ente per la tutela di interessi pubblici distinti, specie quando tra questi interessi sussista un obiettivo collegamento, come è per le materie dell'urbanistica e del commercio (cfr. Cons. Stato, sez. V, 29 maggio 2018, n. 3212). Conclusivamente, per quanto precede, esaminate tutte le censure pertinenti, che esauriscono il tema dedotto in giudizio, l'appello deve essere respinto. 7. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante alla rifusione delle spese del presente grado di giudizio, nella misura di Euro 2.000,00 (duemila) in favore di ciascuna parte costituita, oltre oneri di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024, con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere Laura Marzano - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5539 del 2023, proposto da Sa. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Vi.Do., Al.Ce., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Al.Ce. in Roma, via (...); contro Comune di Venezia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An.Ia., Gi.Ro.Ch., Fi.Ar., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Agenzia delle Entrate, Agenzia delle Entrate - Riscossione, Associazione Italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai., Wi.Ai.Hu. Ltd., Wi.Ai.Ma. Ltd., Ea.Ai. Company Ltd., Ry.Da., Vo. S.L., non costituite in giudizio; Enac - Ente Nazionale per L'Aviazione Civile, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma.Di.Gi., El.Pa.Re., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Autorità di Regolazione dei Trasporti, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Ib.It.Bo. Airline Representatives, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma.Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); sul ricorso numero di registro generale 5632 del 2023, proposto da Associazione Italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai., Ea.Ai. Company Limited, Ry.Da., Vo. S.L., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dall'avvocato Gi.Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Venezia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An.Ia., Gi.Ro.Ch., Fi.Ar., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Agenzia delle Entrate - Riscossione, Sa. S.p.A., Autorità di Regolazione dei Trasporti - Art, Wi.Ai.Hu. Ltd., Wi.Ai.Ma. Ltd., Associazione Ibar - Italian Board Airline Representatives, non costituite in giudizio; Enac - Ente Nazionale per L'Aviazione Civile, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato El.Pa.Re., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma: quanto al ricorso n. 5539 del 2023: della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (sezione Prima) n. 00868/2023, resa tra le parti; quanto al ricorso n. 5632 del 2023: della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (sezione Prima) n. 00868/2023, resa tra le parti; Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Venezia e di Presidenza del Consiglio dei Ministri e di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Ministero dell'Interno e di Enac - Ente Nazionale per L'Aviazione Civile e di Autorità di Regolazione dei Trasporti e di Ib.It.Bo. Airline Representatives e di Comune di Venezia e di Presidenza del Consiglio dei Ministri e di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Ministero dell'Interno e di Enac - Ente Nazionale per L'Aviazione Civile; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 novembre 2023 il Cons. Diana Caminiti e uditi per le parti gli avvocati Do., Ce., Ar., e Ci. in dichiarata delega di Di.Gi.. Ma., Ar., e Ci.in dichiarata delega di Di.Gi.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Sa. S.p.A., gestore dell’aeroporto di Venezia, e l’Associazione Italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai., associazione sindacale senza scopo di lucro che rappresenta gli interessi dei vettori aerei associati, rientranti nella c.d. categoria delle low fares, unitamente alle compagnie aeree Ea.Ai. Company Limited, Ry.Da., Vo. S.L., con autonomi ricorsi iscritti rispettivamente al n. ruolo, R.G. n. 5539/2023 e al n. R.G. n. 5632/2023, hanno interposto appello avverso la sentenza del Tar per il Veneto, sez. prima, 20 giugno 2023, n. 868, con cui sono stati respinti i ricorsi riuniti, da esse rispettivamente proposti, iscritti al n. R.G. 244/2023 e n. R.G. 395/2023, avverso delibera del Consiglio Comunale della Città di Venezia n. 75 del 23 dicembre 2022 concernente l'approvazione del Bilancio di previsione per gli esercizi finanziari 2023-2025, pubblicata dal 23 dicembre 2022 al 7 febbraio 2023, immediatamente eseguibile, nella parte in cui dispone di istituire un'addizionale comunale sui diritti aeroportuali d'imbarco a partire dal 1° aprile 2023 ed avverso i relativi atti presupposti. L’istituzione dell’addizionale comunale de qua da parte dell’Ente comunale ha fatto seguito ad un accordo, denominato “Patto per Venezia” (anch’esso oggetto di impugnativa), finalizzato al riequilibrio strutturale finanziario del bilancio di previsione, stipulato - in forza dell’art. 43, commi 2, 3 e 8 del d.l. n. 50 del 2022 - tra il Comune di Venezia e la Presidenza del Consiglio dei Ministri. 2.1. L’indicato disposto normativo consente che i comuni sede di Città Metropolitana (come nel caso del Comune di Venezia), caratterizzati da “un debito pro capite superiore ad euro 1.000 sulla base del rendiconto dell'anno 2020 definitivamente approvato e trasmesso alla BDAP al 30 giugno 2022” (art. 43, comma 8, d.l. n. 50 del 2022), possano avviare, su proposta del Ministero dell’Economia e delle Finanze e all’esito della verifica dei requisiti da parte di un Tavolo tecnico appositamente istituito, un percorso di riequilibrio strutturale del bilancio comunale per mezzo dell’adozione delle misure di cui all’art. 1, comma 572, lettere da a) ad i), della legge n. 234 del 2021, fra le quali è previsto l’incremento dell’addizionale comunale all’IRPEF e un’addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale. Nel caso in cui fosse deliberata l’addizionale sui diritti di imbarco (fino ad un massimo di 3 euro), è previsto come l’incremento dell’addizionale IRPEF non possa superare lo 0,4%. Nel ricordato “Patto per Venezia”, il Comune ha assunto l’impegno di istituire - limitatamente al periodo compreso tra il 2023 e il 2042, in cui dovrà essere ripianato il disavanzo - l’addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale nei confronti di ogni passeggero nella misura di 2,50 euro fino al 2031, con una progressiva diminuzione, fino a 0,80 euro, per il periodo dal 2038 al 2042. 2.2. Con la deliberazione impugnata (su conforme proposta emendativa della Giunta) veniva peraltro stabilito che, limitatamente ai diritti di imbarco portuale, l’addizionale sarebbe stata istituita con un successivo atto e comunque a decorrere dal 1° gennaio 2026. Di conseguenza, l’addizionale, contestata in questa sede, risulta attualmente prevista per i soli imbarchi aeroportuali. Sa. s.p.a., società concessionaria dell’aeroporto “Marco Polo” di Venezia, ha pertanto impugnato innanzi al Tar per il Veneto, unitamente agli atti presupposti, la indicata deliberazione consiliare n. 75 del 23 dicembre 2022, nella parte in cui istituisce l’addizionale sui diritti di imbarco valevole negli aeroporti presenti sul territorio comunale. 3.1. Nel ricorso di prime cure - iscritto al n. R.G. 244 del 2023 - Sa. ha sostenuto che l’introduzione dell’addizionale, il cui onere economico viene fatto gravare sul passeggero, allorché acquista il biglietto presso il vettore (che, quale sostituto d’imposta, è poi tenuto a riversarne l’importo all’erario), comporterebbe la riduzione dell’attrattività dello scalo veneziano con grave danno per l’indotto che gravita attorno all’infrastruttura aeroportuale. 3.2. A sostegno del gravame ha articolato, in sei motivi, le seguenti censure: 1) Violazione dell’art. 3, comma 2, l. 212/2000 (Statuto del Contribuente); la deliberazione istitutiva dell’addizionale sui diritti d’imbarco sarebbe illegittima nella parte in cui avrebbe fissato la decorrenza dell’obbligo tributario per la data del 1° aprile 2023, senza tenere conto che, ai sensi dell’art. 3, comma 2 della l. n. 212 del 2000, la scadenza degli adempimenti posti a carico del contribuente non può essere fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dell'adozione dei provvedimenti di attuazione. Detto termine, nel caso esaminato, avrebbe dovuto decorrere dalla comunicazione ai vettori e all’International Air Transport Association (IATA) da parte di ENAC e, in ogni caso, dalla determinazione delle modalità di riscossione del tributo (rectius: delle modalità di versamento all’Erario da parte dei vettori); 2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 43, d.l. 50/2022 conv. con mod. in l. 91/2022 e dell’art. 1, comma 572, l. 234/2021. Difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione della risoluzione ICAO 22/09/2020; il Comune non avrebbe adeguatamente motivato in merito alle ragioni per le quali l’addizionale sui diritti d’imbarco è stata introdotta quale misura di risanamento, in luogo delle altre previste dalla normativa; 3) Illegittimità della delibera consiliare n. 75 del 2022 per eccesso e sviamento di potere in violazione dei principi di proporzionalità, imparzialità e trasparenza dell’azione amministrativa (art. 1, l. 241/1990 e s.m.i.) nonché eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà e ingiustizia manifeste, difetto di motivazione e istruttoria, sviamento; in continuità con la precedente censura, la ricorrente censurava la scelta di introdurre una rilevante misura impositiva applicabile, per numerose annualità, ai soli passeggeri partenti dallo scalo veneziano, ritenendola irragionevole, discriminatoria e squilibrata, in quanto i soggetti passivi del tributo sarebbero privi di “collegamento con il ripiano del disavanzo del Comune di Venezia”. Si osservava che l’Amministrazione si sarebbe determinata ad introdurre l’(ulteriore) addizionale sui diritti d’imbarco, dopo avere preso atto della difficoltà di riscuotere il contributo di accesso al centro storico di Venezia (punto 28 della deliberazione impugnata), il quale, tuttavia, sarebbe dovuto gravare su tutti i turisti che effettivamente fanno ingresso nella città, utilizzandone in modo massivo i servizi, diversamente da quanto si verificherebbe, il più delle volte, per l’utenza aeroportuale. Altrettanto irragionevole e discriminatoria sarebbe inoltre la scelta di non applicare il tributo, almeno in questa prima fase, agli imbarchi portuali; 4) Eccesso di potere, irragionevolezza della Delibera - Violazione del principio del legittimo affidamento; la deliberazione sarebbe inoltre illegittima nella parte in cui richiederebbe l’esazione del tributo a tutti i passeggeri in partenza dal 1° aprile 2023, indipendentemente dalla data di acquisto del titolo di viaggio, senza quindi escludere dalla sua sfera applicativa i passeggeri che abbiano acquistato il biglietto precedentemente a tale data; 5) Difetto di istruttoria e violazione delle garanzie partecipative e del contraddittorio procedimentale anche in relazione all’art. 2 lett. e) del d.lgs. n. 250 del 1997. Perplessità e irragionevolezza della motivazione; l’introduzione dell’addizionale sarebbe illegittima, in quanto non sarebbe stata preceduta da alcuna consultazione con l’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile (ENAC), competente riguardo all’”istruttoria degli atti concernenti tariffe, tasse e diritti aeroportuali” (art. 2, lett. e, d.lgs. n. 250 del 1997) e con la ricorrente, in quanto soggetto deputato alla riscossione del tributo; 6) Illegittimità costituzionale dell’art. 43 commi 2, 3 e 8 del d.l. n. 50 del 2022 nonché dell’art. 1, comma 572 della l. n. 234/2021 (nella parte in cui consente ai Comuni sede di capoluogo di città metropolitane di istituire un incremento dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco aeroportuale per passeggero da destinare al ripiano del disavanzo comunale) con riferimento agli artt. 3, 41, 53, 97 e 117 Cost. e, in via derivata, illegittimità della delibera del Consiglio Comunale n. 75 del 23.12.2022; la ricorrente rilevava l’illegittimità costituzionale della disciplina di cui la contestata introduzione del tributo costituiva attuazione, osservando come l’istituzione di un’ulteriore addizionale sui diritti d’imbarco aeroportuali si ponesse in violazione principi costituzionali di ragionevolezza, di capacità contributiva e progressività del sistema tributario, nonché di leale collaborazione (art. 3, 41, 53, 97 e 117 Cost.). La deliberazione impugnata risulterebbe inoltre viziata “per la violazione degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea” per mancato coinvolgimento degli enti interessati (in contrasto con la direttiva 2009/12/CE, art. 6, par. 2, recepita dal d.l. n. 1 del 2012). 3.3. Con motivi aggiunti Sa. contestava sotto ulteriore profilo la legittimità della deliberazione istitutiva del tributo, in quanto il presupposto tavolo tecnico si sarebbe tenuto il 20 ottobre 2022, ossia oltre il termine di legge, individuato dall’art. 43, comma 3, d.l. n. 50 del 2022, nel 30 settembre 2022. Con il secondo ricorso, l’Associazione Italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai., associazione sindacale senza scopo di lucro che rappresenta gli interessi dei vettori aerei associati, rientranti nella c.d. categoria delle low fares, già intervenuta ad adiuvandum nel giudizio promosso da Sa., ha del pari impugnato la delibera de qua, istitutiva dell’indicata addizionale comunale, unitamente alle compagnie aeree innanzi indicate, articolando analoghi motivi di gravame, ovvero deducendo: 1) Illegittimità costituzionale dell’art. 43, commi 2, 3 e 8, del d.l. 17 maggio 2022, n. 50, nonché dell’art. 1, comma 572, della l. 30 dicembre 2021, n. 234, con riferimento agli artt. 3, 41, 53, 97 e 117 della Costituzione e, in via derivata, illegittimità della Deliberazione del Consiglio Comunale della Città di Venezia n. 75 del 23 dicembre 2022. Violazione del principio della capacità contributiva e della progressività del sistema tributario; Violazione dell’art. 43, comma 3, d.l. n. 50/2022, convertito con modificazioni dalla l n. 91/2022; III. Violazione dell’art. 3, comma 2, l. 212/2000; Violazione e falsa applicazione degli artt. 43, d.l. 50/2022 e dell’art. 1, comma 572, l. 234/2021. Difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione della risoluzione ICAO 22/09/2020; Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della L. n. 241/1990. Eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà e ingiustizia manifeste, difetto di motivazione e istruttoria, sviamento, disparità di trattamento. Violazione del principio del legittimo affidamento. Violazione dell’art. 97 della Costituzione. Il Comune di Venezia, nel costituirsi in prime cure in ambedue i giudizi, ha controdedotto in ordine a ciascun profilo di censura, insistendo per il rigetto dei ricorsi ed eccependo in via preliminare il difetto di interesse a ricorrere in capo a Sa.. L’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile, del pari costituito in entrambi i giudizi, ha fatto presente di avere “comunicato al vettore nazionale l’avvenuta introduzione dell’addizionale sui diritti d’imbarco istituita al Comune di Venezia, ai fini della successiva notifica ai vettori operanti presso lo scalo di Venezia, ritenendo la medesima applicabile, ai sensi dell’art. 3, co. 2, l. 212/2000, a partire dal giorno 30.05.2023”, data determinata in seguito all’istruttoria - conclusa il 31 marzo 2023 - condotta ai sensi dell’art. 2, d.lgs. n. 250 del 1997, lett. e), e dell’art. 2, lett. t) del proprio Statuto (p. 4 della memoria depositata il 21 aprile 2023). In merito a tale comunicazione il Comune ha obiettato che la decorrenza dell’applicazione dell’addizionale prescinderebbe dall’interposizione attuativa di ENAC, e che essa coinciderebbe con la data stabilita dalla deliberazione consiliare di approvazione del bilancio di previsione, rispettosa del termine indicato dall’art. 3 della legge n. 212 del 2000. La sentenza del Tar ha respinto tutte le censure, affermando preliminarmente che la decorrenza, dal 1 aprile 2023, è da riferirsi alla data di acquisto del biglietto, come successivamente precisato dal Comune, e non alla data del volo, per cui ha rigettato anche la censura riferita alla necessità della dilazione temporale. Sa., con il ricorso iscritto al n. R.G. 5539 del 2023, ha impugnato la sentenza di prime cure, formulando avverso la stessa, in cinque motivi, le seguenti censure: I) Sul primo motivo di ricorso: erroneità della sentenza - omessa pronuncia Illegittimità della Delibera CC Venezia 75/2022: violazione e falsa applicazione dell’art. 3, co. 2, l. 212/2000 (Statuto del Contribuente); II) Sul secondo, terzo, quarto e quinto motivo di ricorso: erroneità della sentenza - Omessa pronuncia - Illegittimità della Delibera impugnata: Violazione e falsa applicazione degli artt. 43, d.l. 50/2022 conv. con mod. in l. 91/2022 e dell’art. 1, comma 572, l. 234/2021. Difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione della risoluzione ICAO 22/09/2020; III) Ancora sul quinto motivo di ricorso: Erroneità della sentenza - Illegittimità della Delibera: Difetto di istruttoria e violazione delle garanzie partecipative e del contraddittorio procedimentale anche in relazione all’art. 2 lett. e) del d.lgs. n. 250 del 1997. Perplessità e irragionevolezza della motivazione; IV) Sulla violazione del termine per la conclusione dell’istruttoria (motivo aggiunto); V) Sulla questione di legittimità costituzionale: Erroneità della sentenza: illegittimità costituzionale dell’art. 43 commi 2, 3 e 8 del d.l. n. 50 del 2022 nonché dell’art. 1, comma 572 della l. n. 234/2021 (nella parte in cui consente ai Comuni, sede di capoluogo di città metropolitane di istituire un incremento dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco aeroportuale per passeggero da destinare al ripiano del disavanzo comunale) con riferimento agli artt. 3, 41, 53, 97 e 117 Cost. e, in via derivata, illegittimità della delibera del Consiglio Comunale n. 75 del 23.12.2022. 9.1. Sa. ha pertanto concluso in via principale per l’annullamento della sentenza di prime cure e per l’effetto per l’annullamento della delibera del Consiglio Comunale della Città di Venezia n. 75 del 23 dicembre 2022, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale, ed in via subordinata per la rimessione della questione di costituzionalità del d.l. n. 50 del 2022 nonché dell’art. 1, comma 572 della L. n. 234/2021, come rassegnate in atti. Analoghi motivi di appello sono stati formulati con il ricorso iscritto al n. R.G. 5632 del 2023 dall’Associazione italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai. e dalle compagnie aeree in epigrafe indicate. 10.1. Segnatamente, con tale atto, sono stati formulati, in quattro motivi di appello, le seguenti censure: I) Error in iudicando ed omessa pronuncia. Violazione dell’art. 3, comma 2, l. 212/2000; II) Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione degli artt. 43, d.l. 50/2022 e dell’art. 1, comma 572, l. 234/2021. Difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione della risoluzione ICAO 22/09/2020; III) Error in iudicando. Violazione dell’art. 43, comma 3, d.l. n. 50/2022, convertito con modificazioni dalla l n. 91/2022, in ragione del fatto che il Tavolo Tecnico ha concluso la propria istruttoria all’esito della riunione del 20 ottobre 2022 e quindi, oltre il termine del 30 settembre fissato dall’anzidetta disposizione di legge; IV) Error in iudicando ed omessa pronuncia. Illegittimità costituzionale dell’art. 43, commi 2, 3 e 8, del d.l. 17 maggio 2022, n. 50, nonché dell’art. 1, comma 572, della l. 30 dicembre 2021, n. 234, con riferimento agli artt. 3, 41, 53, 97 e 117 della Costituzione e, in via derivata, illegittimità della Deliberazione del Consiglio Comunale della Città di Venezia n. 75 del 23 dicembre 2022. Violazione del principio della capacità contributiva e della progressività del sistema tributario. 10.2. Anche l’Associazione italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai. e le compagnie appellanti hanno pertanto concluso in via principale per la riforma della sentenza di prime cure e per l’effetto per l’annullamento della delibera del Consiglio Comunale della Città di Venezia, n. 75 del 23 dicembre 2022, ed in via subordinata per la rimessione della questione di costituzionalità rassegnata in atti. Il Comune di Venezia, costituitosi in entrambi i giudizi, ha preliminarmente reiterato l’eccezione relativa all’inammissibilità del ricorso di prime cure azionato da Sa. innanzi al Tar per il Veneto, per carenza di interesse, assorbita dal primo giudice sul rilievo dell’infondatezza del ricorso, evidenziando che la delibera oggetto di impugnativa introdurrebbe un adempimento gravante primariamente sui vettori, chiamati ad applicare una maggiorazione pari a 2,50 euro sui biglietti venduti a partire dall’1.4.2023, mentre il coinvolgimento di Sa. riguarderebbe unicamente la fase successiva di periodica rendicontazione e riversamento di quanto riscosso all’Amministrazione. 11.1. Nel merito ha insistito per il rigetto di entrambi gli appelli. IBAR - Italian Board Airline Representatives, associazione dei vettori aerei, operanti in Italia, costituita nel 1960, cui è stato notificato il ricorso in appello da parte di Sa., in qualità di interveniente, ha aderito alle conclusioni dell’appellante Sa. s.p.a.. Le amministrazioni statali evocate in giudizio e l’Enac si sono costituiti con atti di mero stile in entrambi i giudizi. Le parti hanno rinunciato all’istanza cautelare all’udienza camerale del 18 luglio del 2023, in vista della fissazione del merito degli appelli per l’udienza pubblica del 30 novembre 2023. Nelle more della celebrazione di tale udienza, il Comune di Venezia ha prodotto documenti e sia le parti appellanti che il Comune di Venezia hanno prodotto articolate memorie difensive, insistendo nei rispettivi assunti. 15.1. In particolare il Comune ha evidenziato e documentato per un verso come, nonostante l’adozione della delibera oggetto di impugnativa, si sia registrato un incremento dei collegamenti dall’Aeroporto di Venezia da parte di diverse compagnie aeree, e per altro verso come negli ultimi anni si sia assistito ad un aumento crescente del costo dei biglietti aerei, per lo più correlato ai servizi aggiuntivi offerti. 15.2. Ha inoltre evidenziato come della documentazione prodotta - segnatamente Masterplan 2023-2037 - sia evincibile l’impatto che il traffico aereo genera, tra gli altri, sulle infrastrutture, servizi e ambiente del Comune di Venezia. 15.3. Le parti appellanti hanno replicato sull’irrilevanza di quanto addotto e documentato nell’odierno grado di appello da parte del Comune. DIRITTO Il presente contenzioso ha ad oggetto la delibera del Consiglio Comunale della Città di Venezia n. 75 del 23 dicembre 2022, concernente l'approvazione del Bilancio di previsione per gli esercizi finanziari 2023-2025, nella parte in cui dispone di istituire un'addizionale comunale sui diritti aeroportuali d'imbarco a partire dal 1° aprile 2023, oggetto di contestazione da parte di Sa. s.p.a. (d’ora in poi anche semplicemente Sa.), dall’Associazione Italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai. (in seguito anche solamente Associazione), e dalla compagnie aeree Wi.Ai.Hu. Ltd., Wi.Ai.Ma. Ltd., Ea.Ai. Company Ltd., Ry.Da., Vo. S.L. (di seguito anche compagnie aeree). A fronte della sentenza di rigetto del Tar, le ricorrenti, con separati atti di appello, hanno reiterato le censure formulate in primo grado, contestando i passaggi motivazionali della sentenza di prime cure. Ciò posto, occorre preliminarmente procedere alla riunione dei ricorsi in epigrafe indicati, ai sensi dell’art. 96 comma 1 c.p.a., in quanto proposti avverso la medesima sentenza. Prima di passare alla disamina dei motivi di appello e delle eccezioni preliminari di rito giova peraltro ripercorrere l’excursus normativo e procedimentale che ha condotto all’adozione della delibera gravata in prime cure. 19.1. Il d.l. n. 50/2022 (c.d. decreto aiuti), convertito con modificazioni dalla l. n. 91/2022, ha previsto, all’art. 43, misure di riequilibrio finanziario di province, città metropolitane e comuni capoluogo di provincia. La norma distingue: i) misure destinate a enti per i quali è in corso l’applicazione della procedura di riequilibrio ai sensi dell’art. 243-bis del d.lgs. 267/2000 o che si trovano in stato di dissesto finanziario ai sensi dell’art. 244 del medesimo decreto (comma 1); ii) misure finalizzate al riequilibrio finanziario dei comuni capoluogo di provincia che hanno registrato un disavanzo pro-capite superiore a 500 euro sulla base del disavanzo risultante dal rendiconto 2020 definitivamente approvato (comma 2); iii) misure rivolte ai comuni sede di città metropolitana “con un debito pro-capite superiore a 1000 euro, sulla base del rendiconto dell’anno 2020 definitivamente approvato... che intendano avviare un percorso di riequilibrio strutturale” (comma 8). 19.2. Con riferimento a tale terza fattispecie, che è quella attivata dal Comune di Venezia, la procedura è disciplinata mediante rinvio al comma 2, che prevede la sottoscrizione di un accordo con il Presidente del Consiglio dei Ministri o suo delegato, su proposta del Ministero dell’economia e delle finanze, nel quale “il comune si impegna, per il periodo nel quale è previsto il ripiano del disavanzo, a porre in essere, in tutto o in parte, le misure di cui all’articolo 1, comma 572, della legge n. 234 del 2021”. La conclusione dell’accordo è preceduta dalla verifica delle misure proposte dai comuni interessati da parte di un tavolo tecnico istituito presso il Ministero dell’interno, il quale “considerata l’entità del disavanzo da ripianare, individua anche l’eventuale variazione, quantitativa e qualitativa, delle misure proposte dal comune interessato per l’equilibrio strutturale del bilancio” (art. 43, comma 3, del d.l. 50/2022). 19.3. Con nota prot. n. 18343 del 18.7.2022 il Ministero dell’interno - Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali, ha comunicato al Comune di Venezia l’avvenuta istituzione del suddetto tavolo tecnico, invitando l’ente - qualora intenzionato ad avvalersi delle procedure previste dal citato art. 43 del d.l. 50/2022 - a proporre entro il 31.7.2022 le misure finalizzate alla sottoscrizione dell’accordo di riequilibrio strutturale (doc. 1 fasc. primo grado Comune di Venezia; al fascicolo di primo grado del Comune di Venezia si riferiscono i successivi allegati, ove non diversamente precisato). 19.4. In riscontro a tale missiva, il Sindaco del Comune di Venezia ha proposto l’istituzione di una addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale per passeggero fino a 3 euro, in considerazione del contesto descritto nell’allegata relazione a firma del Direttore dell’Area Economia e Finanza (nota PG 342430 del 29.7.2022 - doc. 2 fasc. primo grado). 19.5. Su richiesta del Ministero dell’interno, il Comune di Venezia ha successivamente trasmesso, per l’esame da parte del tavolo tecnico, i prospetti contenenti la quantificazione delle entrate attese dall’applicazione delle misure proposte e la conseguente verifica degli equilibri di bilancio per effetto dell’applicazione di tali misure (nota PG 387323 del 31.8.2022 - doc. 3 fasc. primo grado). I prospetti sono stati accompagnati da una nota esplicativa del Direttore dell’Area Economia e Finanza nella quale è stata ribadita la situazione di importante riduzione delle entrate, a fronte della quale l’Amministrazione si era vista costretta, sia in sede di approvazione del bilancio di previsione 2022, sia in sede di assestamento, all’adozione di misure straordinarie per la copertura della spesa corrente. 19.5.1. L’Amministrazione ha quindi ipotizzato l’attuazione di una misura consistente nell’applicazione dell’addizionale pari a 2,50 euro ad una platea di 5.600.000 passeggeri stimati l’anno, per un totale di 14.000.000 fino al 2031, con una progressiva diminuzione dell’importo negli anni successivi, fino a 0,80 euro a decorrere dall’anno 2038 (v. ancora doc. 3 fasc. primo grado). 19.6. Nell’ambito delle interlocuzioni con il Ministero dell’interno, è stata inoltre condivisa la possibilità di valorizzare, quale indicatore funzionale al monitoraggio dell’accordo e della misura in riduzione dell’addizionale, l’eventuale formazione di un avanzo libero nella gestione corrente. 19.7. La proposta del Comune di Venezia è stata esaminata nella seduta del tavolo tecnico del 20.10.2022, che ha concluso l’istruttoria con esito positivo. 19.8. In data 23-25.11.2022 è stato quindi sottoscritto, tra Presidenza del Consiglio dei Ministri e Comune di Venezia, l’accordo denominato “Patto per Venezia” (doc. 5 fasc. primo grado e doc. 32 fasc. primo grado, completo di firme) per la formalizzazione delle misure destinate ad assicurare il riequilibrio strutturale, nel quale: - l’Amministrazione comunale si è impegnata all’attuazione di una politica di gestione del debito orientata ad una sua progressiva e costante diminuzione, tenendo conto degli investimenti programmati nell’ambito delle iniziative correlate al PNRR (punto 1); - è stata prevista l’attivazione di una addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale per passeggero pari a 2,50 euro a persona a decorrere dal 2023 e fino al 2031, con una graduale diminuzione a partire dal 2032, fino ad euro 0,80 dal 2038 al 2042 (come da tabella ivi riportata: punto 2); - è stata considerata l’eventualità della formazione di un avanzo libero di gestione ed il suo impatto in riduzione sulla misura programmata (punti 4 e 5); - è stata prevista la facoltà del Comune di Venezia di proporre, previa deliberazione del Consiglio comunale, una diversa rimodulazione delle misure da adottare, con conseguente aggiornamento del cronoprogramma (punto 6). 19.9. Con deliberazione del Consiglio comunale n. 75 del 23.12.2022 (doc. 6 fasc. primo grado), in sede di approvazione del bilancio di previsione per gli esercizi finanziari 2023-2025, il Comune di Venezia ha quindi istituito la citata addizionale comunale, prevedendo una diversa articolazione temporale per quella sui diritti di imbarco aeroportuale e quella sui diritti di imbarco portuale. Con riferimento alla prima fattispecie è stata infatti sancita la sua applicazione a partire dal 1 aprile 2023, mentre con riguardo all’addizionale sui diritti di imbarco portuale è stata prevista l’applicazione dall’1.1.2026, “in considerazione degli effetti del d.l. n. 103/2021, convertito dalla legge n. 125/2021, che hanno determinato una situazione di mutabilità logistica e incerto andamento relativamente a transiti e approdi delle grandi navi passeggeri con effetti la cui durata ad oggi non è prevedibile”. 19.10. In data 13.1.2023 l’Assessore al Bilancio del Comune di Venezia ha dunque comunicato all’Amministratore Delegato di Sa. S.p.A., gestore dell’aeroporto di Venezia, l’avvenuta istituzione della citata addizionale, invitando la società a concordare un incontro finalizzato a definire le modalità di accertamento, liquidazione e riscossione dell’entrata, attività spettanti per legge e per prassi consolidata alle società concessionarie di aeroporti. 19.11. Nelle more, l’Amministrazione comunale, in attuazione della DCC n. 75/2022, ha precisato che l’addizionale comunale sui diritti di imbarco aeroportuale dovrà essere applicata ai biglietti venduti a partire dal 1° aprile 2023, al fine di garantire l’effettività del diritto di rivalsa accordato dalla normativa di settore ai vettori (doc. 18 fasc. primo grado). 19.12. L’avvenuta istituzione dell’addizionale comunale è stata comunicata, in data 20.2.2023 all’Enac (doc. 19 fasc. primo grado) e alla Iata (doc. 20 fasc. primo grado) e in data 13.2.2023 all’Autorità di regolazione trasporti (doc. 21 e 22 fasc. primo grado). 19.13. Parallelamente, in data 1.3.2023, il Comune di Venezia ha sollecitato l’Enac a dare riscontro dell’avvenuta comunicazione ai vettori dell’istituzione dell’addizionale, al fine di consentire il tempestivo avvio dell’attività di riscossione (doc. 23 fasc. primo grado). Sennonché l’Enac - precisando che l’aggiornamento dei sistemi di biglietteria necessario per rendere esigibile la nuova addizionale comunale “avviene a seguito di una notifica effettuata per il tramite del vettore nazionale di riferimento previa apposita comunicazione da parte dell’ENAC, non essendo contemplata, da quadro normativo vigente e dalla prassi consolidatasi sin dall’istituzione della prima addizionale comunale alcuna azione diretta dei Comuni nei confronti dei Vettori” - ha chiesto al Comune di trasmettere copia di tutti gli atti istruttori che hanno preceduto l’istituzione dell’addizionale, “al fine di verificare e condividere la procedura adottata”. In pendenza del giudizio di primo grado, l’Enac, con nota del 31.3.2023, ha comunicato al Comune di aver “completato l’istruttoria necessaria per inviare la comunicazione alla IATA per l’aggiornamento degli importi relativi agli oneri accessori alle tariffe aeree” (doc. 34 fasc. primo grado). Sempre l’Enac, con ulteriore nota del 31.3.2023, indirizzata a ITA e per conoscenza, tra gli altri, anche al Comune di Venezia, ha comunicato ai vettori l’avvenuta istituzione dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco ai sensi dell’art. 43, co. 2 e 8 del d.l. n. 50/2022, affermando che “l’addizionale di che trattasi sarà esigibile per i biglietti venduti dal 30 maggio p.v.” e ciò in ragione del fatto che la notifica (da parte dell’Enac) ai vettori rappresenterebbe “un provvedimento di attuazione della disposizione istitutiva del tributo da cui far decorrere il [...] termine di 60 giorni (n. d.r. fissato dall’art. 3, co. 2 della L. n. 212/2000)”. Ciò posto, quanto ai presupposti normativi e ai passaggi procedimentali aventi ad oggetto la delibera oggetto di impugnativa in prime cure, in limine litis va delibata l’eccezione di difetto di interesse a ricorrere in capo all’appellante Sa., reiterata in questa sede dal Comune di Venezia, in quanto assorbita dal giudice di prime cure con la sentenza di rigetto oggetto di gravame. Infatti, come noto, l’esame delle questioni preliminari deve precedere la valutazione del merito della domanda (Cons. Stato, Ad. Plen., 7 aprile 2011, n. 4), salve esigenze eccezionali di semplificazione che possono giustificare l'esame prioritario di altri aspetti della lite, in ossequio al superiore principio di economia dei mezzi processuali (Cons. Stato, Ad. plen., 27 aprile 2015, n. 5); inoltre l'ordine di esame delle questioni pregiudiziali di rito non rientra nella disponibilità delle parti (Cons. Stato, Ad. Plen., 25 febbraio 2014, n. 9). La norma positiva enucleabile dal combinato disposto degli artt. 76, co. 4, c.p.a. e 276, co. 2, c.p.c., impone infatti di risolvere le questioni processuali e di merito secondo l'ordine logico loro proprio, assumendo come prioritaria la definizione di quelle di rito rispetto a quelle di merito, e fra le prime la priorità dell'accertamento della ricorrenza dei presupposti processuali (nell'ordine, giurisdizione, competenza, capacità delle parti, ius postulandi, ricevibilità, contraddittorio, estinzione), rispetto alle condizioni dell'azione (tale fondamentale canone processuale è stato ribadito anche da Cons. Stato Ad. Plen. 3 giugno 2011, n. 10). 20.1. Segnatamente l’amministrazione comunale sostiene che Sa. non avrebbe interesse al presente giudizio in quanto il suo coinvolgimento riguarderebbe soltanto la fase di rendicontazione e riversamento all’Amministrazione di quanto riscosso a titolo di addizionale comunale, conseguendone che la Deliberazione del Comune di Venezia impugnata non arrecherebbe nessun pregiudizio alla odierna appellante. 20.2. L’eccezione, ad avviso del collegio, è infondata. Ed invero, alla luce di quanto innanzi precisato, non può che evidenziarsi come risulti dagli atti che Sa. sia il soggetto direttamente tenuto all’espletamento dell’attività di riscossione dell’addizionale, secondo quanto del resto richiesto dall’ente locale. Infatti, lo stesso Comune veneziano, con nota del 13 gennaio 2023 comunicava a Sa. la necessità di definire congiuntamente «le modalità applicative con riferimento all’addizionale comunale introdotta con la citata deliberazione», rendendosi dunque necessario stipulare un accordo per la disciplina della gestione amministrativa e finanziaria finalizzata alla riscossione e al versamento dell’entrata in questione, comprese le attività correlate e complementari, gravando pertanto la concessionaria dell’aeroporto di tali attività. Peraltro è la stessa deliberazione C.C. impugnata che ha attribuito ai gestori aeroportuali l’onere della riscossione e del riversamento al Comune, delegando alla Giunta l’approvazione di appositi accordi (con la concessionaria dell’aeroporto) per la disciplina di tale attività (cfr. p. 27 del dispositivo della delib. C.C. 75 impugnata). 20.3. Inoltre, a prescindere da tali superiori rilievi, come replicato da Sa. all’eccezione formulata dal Comune, al di là dell’attività di riscossione e dei relativi costi, Sa. è altresì direttamente interessata dall’incremento dell’addizionale sui diritti d’imbarco oggetto di impugnativa per la circostanza che, con la sua entrata in vigore, l’aeroporto Marco Polo di Venezia è diventato il più caro d’Italia (l’incremento dell’addizionale di 2.50 euro va infatti aggiunto ai 6.50 euro già vigenti, per un totale di 9,00 euro). A ciò consegue pertanto il lamentato effetto lesivo - da valutarsi ex ante al momento dell’adozione della delibera, secondo un criterio di consequenzialità logica e non ex post, con conseguente irrilevanza di quanto dedotto e documentato nell’odierno grado di appello dal Comune di Venezia circa l’aumento dei voli presso l’aeroporto di Venezia, pur dopo l’adozione della misura - riferito al pericolo di abbandono o riduzione dei voli da e per l’Aeroporto Marco Polo, con un evidente impatto sul numero dei passeggeri che transitano per il sedime aeroportuale e, conseguentemente, sulle strategie del gestore aeroportuale. Ciò posto, nell’esaminare i motivi di appello, non avendo le parti appellanti vincolato i motivi in senso vincolante per il giudice, secondo il noto arresto di cui alla sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 5 del 2015, ad eccezione dell’ultimo motivo, relativo alla dedotta illegittimità costituzionale dell’art. 43 commi 2, 3 e 8 del d.l. n. 50 del 2022, nonché dell’art. 1, comma 572 della l. n. 234/2021, formulati in via subordinata rispetto ai precedenti motivi, il collegio esaminerà le censure in ordine logico, avuto in particolare riguardo alla maggiore satisfattività delle stesse rispetto agli interessi fatti valere dalle parti appellanti. In tale ottica ritiene il collegio che l’esame delle censure articolate in entrambi gli appelli al primo motivo, in quanto riferite alla mera decorrenza dell’addizionale di cui è causa, possa essere postergato alla disamina degli ulteriori motivi, del pari formulati in via principale, in quanto riferiti alla stessa legittimità dell’istituzione dell’indicata misura, con possibilità pertanto di assorbimento in caso di ritenuta fondatezza degli stessi. Il secondo motivo di appello articolato da Sa., nonché l’analogo secondo motivo di appello formulato dall’Associazione e dalle compagnie aeree, volti a contestare la sentenza di prime cure, nei punti in cui ha disatteso le censure di difetto di motivazione e di istruttoria, sono fondati nel senso di seguito precisato. 23.1. Il giudice di prime cure, nel disattendere i motivi formulati dalle odierne appellanti, ha in primo luogo osservato come la delibera oggetto di impugnativa non necessitasse di motivazione in quanto atto generale, richiamando a sostegno di tale conclusione una sentenza di questo Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. III, 12 febbraio 2020, n. 1111), che così ha qualificato un atto di approvazione del calendario nazionale delle corse negli ippodromi (par. 14.1 della sentenza), nonché altro pronunciamento di questa Sezione, (Cons. St., Sez. V, 10 luglio 2003, n. 4117), relativa alla non necessità di motivazione dell’intervallo d’imposta fra il minimo ed il massimo, laddove nell’ipotesi di specie viene in rilievo la decisione, fra le varie scelte lasciate dalla normativa innanzi indicata alla discrezionalità dell’ente locale, della stessa istituzione dell’addizionale di cui è causa. Inoltre, secondo il giudice di prime cure, il merito della scelta operata dall’amministrazione comunale - reso sulla scorta del parere del tavolo tecnico - sarebbe inconfutabile (par. 14.2 della sentenza), così come inconfutabili sarebbe l’iscrizione delle poste del bilancio di previsione dell’ente e le disposizioni volte a individuare le risorse destinate a dare copertura alle voci di spesa (14.3). Per quanto specificamente concerne poi l’art. 43, comma 8, d.l. n. 50/2022, la procedura prescinderebbe dall’accertamento di una situazione di astratto pareggio formale, ovvero dalla presenza di un avanzo o disavanzo transitorio e, nella specie, la deliberazione impugnata sufficientemente chiarirebbe i presupposti atti a giustificare l’introduzione dell’addizionale (ossia, l’entità del debito pro capite e l’instaurazione del percorso di riequilibrio strutturale) (parr. 14.5 - 14.7 della sentenza). Infine, tale misura non sarebbe né irragionevole né discriminatoria, in quanto il Comune avrebbe esigenza di reperire le risorse per sopperire alle esternalità negative, generate dall’aeroporto, e rientrerebbe nella discrezionalità del legislatore la scelta di destinazione del gettito (parr. 14.8 - 14.9). Le statuizioni di prime cure sono state sottoposte a critica dalle odierne appellanti, che hanno reiterato le censure di difetto di istruttoria e di motivazione articolate in prime cure, evidenziando l’erroneità della motivazione resa al riguardo dal primo giudice. Nell’esaminare tali censure giova peraltro richiamare l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale nel giudizio amministrativo l'art. 101 c.p.a. (d.lgs. n. 104/2010) - che fa riferimento a "specifiche censure contro i capi della sentenza gravata" - deve essere coordinato con il principio di effetto devolutivo dell'appello, in base al quale è rimessa al giudice di secondo grado la completa cognizione del rapporto controverso, con integrazione - ove necessario - della motivazione della sentenza appellata e senza che rilevino, pertanto, le eventuali carenze motivazionali di quest'ultima (ex multis Cons. Stato, sez. V, 26 aprile 2021, n. 3308; 17 gennaio 2020, n. 430; 13 febbraio 2017, n. 609). 25.1. Ciò posto, vanno in primo luogo disattese le censure formulate da Sa., su cui il primo giudice si è pronunciato in maniera implicita, rinviando per un verso alla completezza dell’istruttoria svolta dal tavolo tecnico e per altro verso alla finalità della misura, volte a contestare, sia pure sotto il profilo del difetto di istruttoria, avuto riguardo anche alla perizia prodotta in prime cure, la stessa sussistenza dei presupposti per il ricorso alla misura de qua. 25.2. Nella richiamata relazione di parte si afferma infatti che “dall’andamento del risultato di amministrazione dell’ultimo triennio si evince come non sussistono le esigenze per il riequilibrio strutturale” (v. pg. 14 dell’atto di appello). Il riferimento è alla situazione di avanzo che il perito di parte ha indicato con riferimento agli anni 2020, 2021 e 2022” (punto 5 del doc. 5 del fasc. di primo grado di Sa.). Il rilievo è privo di fondamento, in quanto, come innanzi precisato, condizione per l’attivazione della procedura di cui ai commi 2 e 8 dell’art. 43 del DL 50/2022 e dunque per l’applicazione dell’addizionale comunale oggetto di causa è l’esistenza di un “debito pro-capite superiore ad euro 1.000 sulla base del rendiconto dell’anno 2020 definitivamente approvato e trasmesso alla BDAP al 30 giugno 2022” (co. 8 del cit. art. 43) 25.2.1. La procedura prevista dall’art. 43, commi 2 e 8 del d.l. n. 50/2022 pertanto, come evidenziato nelle difese del Comune: (i) è compatibile con una situazione di avanzo di amministrazione, altrimenti il legislatore avrebbe limitato tale strumento ai soli enti in disavanzo (laddove il comma 8 del citato art. 43 si riferisce ai comuni con debito pro-capite superiore a euro 1.000 “che intendano avviare un percorso di riequilibrio strutturale”); (ii) è compatibile con una transitoria assenza di disavanzo, siccome finalizzata al raggiungimento di un equilibrio duraturo. Per contro fondate sono le censure di difetto di motivazione e di istruttoria articolate del pari nel secondo motivo da entrambe le parti appellanti, con i separati ricorsi, nel senso di seguito precisato. 26.1. Il primo giudice ha al riguardo in primo luogo affermato che la delibera comunale oggetto di impugnativa, in quanto atto generale, si sottrae all’obbligo di motivazione, ex art. 13 l. 241/90. 26.2. L’assunto, ad avviso del collegio, non è condivisibile, dovendo aderirsi a quell’orientamento giurisprudenziale, richiamato dalle parti appellanti, secondo il quale, anche per gli atti a carattere generale aventi carattere composito sussiste un obbligo motivazionale che è conseguenza diretta dei fondamentali principi di legalità e buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione (ex multis T.A.R. Piemonte, Sez. I, n. 101/2020; in termini Cons. Stato, Sez. V, nn. 5729/2019, 1162/2019, 539/2022). Secondo tale condivisibile orientamento i provvedimenti che costituiscono e disciplinano la tariffa per la gestione dei rifiuti (e dunque in materia tributaria), “pur avendo natura di atti generali... hanno un contenuto composito, in parte regolamentare e in parte provvedimentale (con particolare riferimento al costo del servizio e la determinazione della tariffa.... le agevolazioni... le modalità di riscossione... etc.) che non può intuitivamente sfuggire a qualsiasi forma di controllo e che non può essere sottratto all’obbligo della motivazione, se non al costo di rinnegare i principi fondamentali di legalità, imparzialità e buon andamento, i quali, ai sensi dell’ar.t 97 della Cost. devono caratterizzare l’azione amministrativa”. Pertanto anche tali provvedimenti, in base alla richiamata giurisprudenza, non si sottraggono alle censure di difetto di istruttoria e di motivazione. Ciò posto, avuto riguardo altresì alla motivazione contenuta nella sentenza di prime cure circa la sufficiente indicazione contenuta negli atti gravati dei presupposti giuridici e fattuali per il ricorso all’indicata misura, occorre ripercorrere l’iter istruttorio, con il correlativo supporto motivazionale, che ha portato all’adozione della delibera n. 77 del 23 dicembre 2022, oggetto di impugnativa in prime cure, avendo le parti appellanti censurato la sentenza del Tar, laddove ha ritenuto l’Amministrazione esonerata dal motivare le proprie scelte di istituire l’addizionale sui diritti di imbarco aeroportuale, senza peraltro alcuna considerazione, né motivazione delle ragioni per cui non aveva considerato alcuna delle altre opzioni consentite dalla legge per il raggiungimento del medesimo risultato e senza dare evidenza dei dati che la rendevano maggiormente coerente con la ratio perseguita e idonea al risanamento del disavanzo. 27.1 Ciò posto, giova precisare che la delibera oggetto di impugnativa, che è l’atto terminale del procedimento che ha portato all’istituzione dell’addizionale de qua, risulta così motivata: “Richiamato l’articolo 43, comma 8 del decreto legge n. 50/2022 convertito con legge 15.7.2022 n, 91 che consente ai comuni sede di città metropolitana, con un debito pro-capite superiore ad euro 1.000,00 sulla base del rendiconto dell’anno 2020, di attivare le procedure di cui ai commi 2, 3 e 6 del medesimo articolo; Dato atto che in esito alla procedura di verifica tecnica di direzione ministeriale, di cui al comma 3 dell’articolo 43 del decreto legge n. 50/2022 è stato sottoscritto tra i soggetti, con le modalità e i termini previsti dalla norma, l’accordo di cui all’art. 43 comma 2 del medesimo decreto, che prevede l’attuazione della misura di cui all’articolo 1, comma 572, lettera a) della L. 234/2021 relativamente all’addizionale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale; Considerato che il recepimento delle misure accordate dal Tavolo tecnico ministeriale ai sensi della richiamata normativa costituisce prescrizione sostanziale per l’efficacia dell’accordo; Preso atto che ai sensi del punto 6 dell’accordo, il Comune di Venezia può, “previa deliberazione del Consiglio Comunale, proporre una diversa modulazione delle misure da adottare e aggiornare, di conseguenza, il cronoprogramma”; Ritenuto pertanto: -quanto all’addizionale sui diritti di imbarco aeroportuale, in considerazione dei tempi tecnici di avvio, di procede con l’istituzione e con l’applicazione a decorre dal 1° aprile 2023; -quanto all’addizionale sui diritti di imbarco portuale, in considerazione degli effetti del D.L. n. 103/2021, convertito dalla legge n. 125/2021, che hanno determinato una situazione di mutabilità logistica e incerto andamento relativamente a transiti ed approdi delle grandi navi passeggeri con effetti la cui durata ad oggi non è prevedibile, di prevedere l’istituzione con successivo atto a decorrere dal 1° gennaio 2026; Ritenuto quindi di procedere con l’istituzione, a decorrere dal 1° aprile 2023, dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco aeroportuale nella prescritta misura di euro 2,50 dal 2023 al 2031, e progressivamente diminuita negli importi indicati a decorrere dal 2032 e fino al 2042, fatta salva diversa modulazione, previa deliberazione del Consiglio Comunale, ai sensi del punto 6 dell’accordo; Dato atto che, in applicazione della normativa vigente (tra le altre L. 324/1976, D.Lgs. 250/1997, L. 350/2003) e della prassi esecutiva di altri enti, le modalità di riscossione di detta addizionale saranno definite con appositi accordi con i soggetti interessati da approvarsi a cura della Giunta Comunale; Richiamato il regolamento per “L’istituzione e la disciplina del Contributo di accesso, con qualsiasi vettore, alla Città antica del Comune di Venezia e alle altre isole minori della laguna”, approvato con deliberazione di Consiglio Comunale n. 11 del 26.02.2019 e successive modifiche; Dato atto che, a seguito modifiche legislative intervenute, è attualmente all’esame degli organi consiliari la proposta di deliberazione n. 1032/2022 ad aggetto: “Regolamento per l’istituzione e la disciplina del contributo di accesso, con o senza vettore, alla Città Antica del Comune di Venezia e alle altre isole minori della laguna, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1, comma 1129 della legge n. 145 del 30/12/2018”; Ritenuto quindi necessario sospendere l’efficacia del regolamento per “L’istituzione e la disciplina del Contributo di accesso, con qualsiasi vettore, alla Città antica del Comune di Venezia e alle altre isole minori della laguna”, approvato con deliberazione di Consiglio Comunale n. 11 del 26.02.2019 e successive modifiche”. 27.2. Peraltro occorre considerare anche le motivazioni emergenti dagli atti presupposti rispetto all’indicata delibera, da intendersi richiamati per relationem nella stessa. 27.3. Infatti, come innanzi precisato, l’articolo 43, comma 8, del decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2022, n. 91, consente ai comuni sede di città metropolitana e ai comuni capoluoghi di provincia con un debito pro capite superiore a euro 1.000 sulla base del rendiconto dell’anno 2020 definitivamente approvato e trasmesso alla BDAP entro il 30 giugno 2022, di avviare un percorso di riequilibrio strutturale attraverso la sottoscrizione di un accordo con il Presidente del Consiglio dei ministri o suo delegato, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, accordo pertanto costituente il necessario presupposto della delibera impugnata. 27.4. L’Accordo tra lo Stato ed il Comune di Venezia depositato in atti, denominato Patto per Venezia, la cui sottoscrizione è stata subordinata alla verifica, da parte del Tavolo tecnico appositamente istituito presso il Ministero dell’Interno, ai sensi del citato art. 43 d.l. n. 50 del 2022, delle misure proposte dai comuni interessati ai fini dell’equilibrio strutturale del bilancio, scelte tra quelle previste all’articolo 1, comma 572, della legge 30 dicembre 2021, n. 234, a sua volta, nel rinviare al resoconto della seduta del 20 ottobre 2022 del Tavolo tecnico, precisa che dalle risultanze di tale tavolo è emerso che, nonostante il comune di Venezia abbia registrato nel triennio 2019-2021 un consistente avanzo libero, questo sia stato determinato da eventi straordinari e non ricorrenti e che, nel contempo, il Comune aveva rappresentato significative riduzioni di entrata, legate in via principale al fenomeno turistico, evidenziando come allo stato attuale non vi fossero indicazioni che consentissero di considerare tali entrate transitorie. La rigidità del bilancio, derivante dall’attuale livello di indebitamento e da quello da contrarre per garantire la realizzazione di nuovi investimenti correlati al PNRR, si ripercuoterebbe infatti sul mantenimento degli equilibri finanziari che, in assenza di misure straordinarie, rischierebbe di compromettere la qualità e di rivedere al ribasso la quantità dei servizi erogati. 27.5. A sua volta la nota del Comune di Venezia PG 342430 del 29/7/2022, con cui si è comunicato al Ministero dell’Interno l’intenzione di avvalersi della previsione di cui all’art. 43, comma 8, del decreto legge 7 maggio 2022, ovvero l’atto di impulso all’istituzione dell’addizionale de qua, rappresenta in primo luogo il percorso virtuoso dell’Amministrazione comunale che, a partire dal 2015, aveva intrapreso un’importante opera di risanamento finanziario, con azzeramento del disavanzo e riduzione dell’indebitamento. 27.5.1. Peraltro, nella nota stessa si precisa che “Nonostante tali risultati, l’impatto del debito sugli equilibri di bilancio, anche in considerazione di operazioni derivate comportanti differenziali negativi significativi, continua ad essere importante. Nel 2021, infatti, a titolo di rimborso quote capitale, interessi, accantonamenti per rimborso prestito obbligazionario bullet, differenziali swap ed oneri pluriennali il Comune di Venezia ha assunto impegni per euro 29.919.641,85. In una situazione di normalità, la dinamica del debito sarebbe stata tale da poter essere gestita, pur con qualche dovuta attenzione, all’interno di un quadro di bilancio prospetticamente in sostanziale equilibrato ed in tale contesto il Comune aveva programmato l’accensione di nuovo debito a supporto della realizzazione, con i fondi del PNRR, di un’opera strategica per il territorio che manca di strutture sportive di primissimo livello quali è innegabile debbano essere presenti in una città capoluogo di città metropolitana. In tale contesto, infatti, il Comune ha avviato la realizzazione di una importante area sportiva, con stadio e Ar., per un investimento di circa 280 mln. di cui 1/3 con fondi PNRR, 1/3 con fondi propri già disponibili e 1/3 con ricorso ad indebitamento, che quindi risulta essere funzionale al perseguimento di tale importante obiettivo. Si rappresenta, peraltro, che la scelta dell’amministrazione di ricorrere a nuovo debito dopo che dal 2015 in poi il nuovo debito assunto è stato pari ad euro 6.000.000,00, è stata effettuata nella consapevolezza che nonostante tale nuova accensione, il debito complessivo avrebbe comunque proseguito la dinamica di tendenziale decrescita. L’evoluzione della situazione congiunturale sta invero comportando una diversa valutazione sull’incidenza del peso del debito che, ancorché come detto in tendenziale diminuzione anche in presenza del nuovo debito da contrarre, rischia di mettere a repentaglio la capacità dell’amministrazione di garantire l’erogazione dei servizi essenziali. La Città di Venezia, infatti, sta registrando una difficoltà nel vedere le entrate ritornare al livello prepandemico. In un contesto di generale ripresa del turismo, infatti, i dati del comune segnano tutt’ora un livello significativamente lontano rispetto ai valori del 2019. A titolo di esempio, infatti, le entrate per accesso alla zona traffico limitato bus turistici, che nel 2019 hanno generato entrate per oltre 20 mln., a giugno 2022 hanno registrato un valore del 54% inferiore rispetto all’analogo mese del 2019; le entrate accertate a titolo di imposta di soggiorno (che nel 2019 hanno comportato accertamenti per oltre 37 mln.) sono state nel secondo trimestre 2022 del 10% inferiori rispetto all’analogo periodo del 2019. Tale situazione se confermata rischia di portare il Comune in una situazione di tendenziale squilibrio anche per le annualità successive al 2022, anno nel quale in sede di assestamento di bilancio si è dovuto ricorrere alla procedura di riequilibrio di bilancio ai sensi di quanto previsto dall’articolo 193 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ipotizzando quindi la necessità di dover ricorrere ripetutamente a tale procedura, subordinatamente all’emergere di risorse utili allo scopo, al fine di garantire il mantenimento degli standard di servizio attualmente in essere, che in assenza di tali possibili risorse potrebbero dover essere rivisti al ribasso. In tale contesto, quindi, al fine di rendere maggiormente sostenibili gli oneri del debito sul bilancio dell’ente e quindi continuare a garantire i livelli di servizio, la proposta di istituzione di una addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aereoportuale per passeggero fino a euro 3 potrebbe quindi concorrere al completamento del percorso di riequilibrio avviato nel 2015. I dati di traffico dell’aereoporto Marco Polo di Tessera dell’anno 2019 evidenziano un numero di partenze pari 5.775.658 (fonte Enac - Dati di traffico 2019). In considerazione dell’attuale situazione si ipotizza un dato a regime comunque prudenzialmente non superiore a 5.500.000, per un importo a bilancio pari a euro 16.500.000,00 (in caso di importo pari ad euro 3) che rappresentano circa il 50% degli attuali oneri sul debito. Per i dati di imbarco portuale, l’attuale situazione della crocieristica veneziana non consente di effettuare valutazioni attendibili e quindi, allo stato, non si considera tale possibile entrata”. Ciò posto, avuto riguardo alle risultanze degli indicati passaggi procedimentali, con la correlativa motivazione, ritiene il collegio che la sentenza di prime cure non sia condivisibile nel punto in cui ha ritenuto che l’Amministrazione fosse esonerata dal motivare le proprie scelte di istituire l’addizionale sui diritti di imbarco aeroportuale, senza alcuna considerazione né motivazione sulle ragioni per cui non aveva considerato alcuna delle altre opzioni consentite dalla legge (il richiamato comma 572 l. 234/2021 ne prevede ben 15) per il raggiungimento del medesimo risultato, gravando i soli passeggeri che si imbarcano a Venezia, anziché ricorrere, anche in parte, alle altre misure che potevano essere assunte per far fronte allo squilibrio strutturale del Comune. Ed invero, né nella proposta del dirigente dei Servizi finanziari del Comune, né nel verbale del tavolo tecnico, né nell’accordo (c.d. Patto per Venezia), né infine nella delibera istitutiva dell’addizionale de qua, secondo quanto innanzi riportato, compare alcuna considerazione sulla possibilità di ricorrere in tutto o in parte alle altre misure consentite dal legislatore. 28.1. Come correttamente evidenziato dalle parti appellanti, la circostanza che, ai sensi del combinato disposto dei commi 2 e 8 dell’art. 43, d.l. n. 50/2022, il legislatore abbia autorizzato il Comune a porre in essere le misure di cui all’art. 1, comma 572, l. n. 234/2021 non esonera l’amministrazione dal motivare in ordine alle ragioni per le quali era stata adottata l’addizionale comunale sui diritti di imbarco, in luogo delle altre previste, anche dando evidenza dei dati che la rendevano maggiormente coerente con la ratio perseguita e idonea al risanamento del disavanzo, avuto riguardo anche alle ragioni di tale disavanzo. 28.1.1. Come innanzi precisato dall’istruttoria non risulta che l’Amministrazione abbia effettuato alcuna valutazione non solo circa la possibilità di adottare le ulteriori misure di cui al citato comma 572 dell’art. 1 della l. n. 234/2021, ma anche sulla opportunità di incrementare l’addizionale comunale all’Irpef, che avuto riguardo ad un interpretazione costituzionalmente orientata del disposto normativo, sarebbe stata probabilmente più coerente, avuto riguardo alla motivazione sottesa ai richiamati atti, in quanto applicata nei confronti dei cittadini del Comune di Venezia, ossia dei soggetti direttamente interessati al risanamento finanziario dell’Ente e alle finalità sottese alla misura imposta, avuto in particolare riguardo alla circostanza che, come emergente dalla suddetta Relazione Tecnica del Comune, innanzi richiamata, che ha dato impulso all’avvio del procedimento, l’Ente ha provveduto all’accensione di un nuovo debito per la realizzazione, in parte con i fondi del PNRR, di una “importante area sportiva, con stadio e Ar.”, ovvero un’area destinata in particolare alla fruizione della cittadinanza. Peraltro, come evidenziato dall’Associazione e dalla compagnie aeree appellanti, la scelta di adottare un’addizionale comunale sui diritti aeroportuali è stata adottata dal Comune di Venezia sulla base dei soli dati di traffico dell’Aeroporto relativi all’anno 2019 (forniti da ENAC), senza tenere conto dei dati aggiornati, relativo al successivo biennio, inciso, come noto, in modo significativo dall’emergenza pandemica e senza pertanto considerare che il settore aereo era risultato gravemente colpito dagli effetti della pandemia da Covid-19. 29.1. Sotto questo profilo non appaiono convincenti le difese comunali con le quali si è evidenziato che, al contrario di quanto addotto da parte appellante, nello stesso documento richiamato dalle parti appellanti si sarebbe precisato che: “I dati di traffico dell’aereoporto Marco Polo di Tessera dell’anno 2019 evidenziano un numero di partenze pari 5.775.658 (fonte Enac - Dati di traffico 2019). In considerazione dell’attuale situazione si ipotizza un dato a regime comunque prudenzialmente non superiore a 5.500.000, per un importo a bilancio pari a euro 16.500.000,00 (in caso di importo pari ad euro 3) che rappresentano circa il 50% degli attuali oneri sul debito” (nota del Comune di Venezia PG 342430 del 29.7.2022, prodotta dal Comune sub doc. 2 nel fasc. primo grado). Ed invero proprio detto riferimento rende palese come l’istruttoria sia stata condotta avendo riguardo non ai dati aggiornati all’epoca di adozione della delibera, ma ad una mera stima prudenziale fondata sui dati del 2019 comunicati da ENAC. 29.2. Deve pertanto ritenersi condivisibile, avuto riguardo al calo dei voli aerei determinato dall’emergenza Covid, quanto dedotto dall’Associazione e dalle compagnie aeree appellanti secondo le quali, qualora il Comune avesse utilizzato i dati ENAC disponibili alla data di adozione della Deliberazione, ossia quelli per le annualità 2020 e 2021, avrebbe potuto agevolmente rilevare un flusso dei passeggeri nettamente inferiore rispetto al 2019. 29.3. Né in senso contrario rileva, secondo quanto innanzi precisato nell’esaminare l’eccezione preliminare sollevata dal Comune circa l’interesse a ricorrere di Sa., l’aumento dei voli aerei per il periodo successivo alla data di adozione della delibera, quale documentato dal Comune nelle more della celebrazione dell’udienza pubblica, dovendosi avere riguardo ai dati esistenti al momento dell’adozione dell’atto gravato e che avrebbero dovuti essere presi in considerazione in sede istruttoria. Parimenti non condivisibile è la motivazione della sentenza di prime cure, relativa alla delibazione di cui al terzo motivo di diritto del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, sollevato da Sa. e dell’analogo motivo formulato dall’Associazione e dalle compagnie nel quinto motivo, con cui le ricorrenti avevano lamentato la mancata disamina in sede istruttoria della proporzionalità della misura adottata. 30.1. In particolare Sa. aveva dedotto come immotivatamente il Consiglio Comunale avesse deciso di adottare l’addizionale comunale, in misura oltremodo squilibrata e gravosa per i passeggeri dell’aeroporto Marco Polo, che nella stragrande maggioranza dei casi (il 96% dei passeggeri non sono veneziani e il 53% non hanno Venezia come destinazione principale) non hanno alcun collegamento con il ripiano del disavanzo del Comune di Venezia, senza nemmeno considerare una qualche riduzione della spesa o un’altra delle tante opzioni offerte dal comma 572 dell’art. 1 della l. 234/2021, per giungere al risultato del riequilibrio strutturale. Al riguardo il Tar si è limitato a evidenziare - senza che vi fosse alcun riscontro motivazionale in atti - come l’aeroporto generi un sovraccarico sulle infrastrutture cittadine, «dando luogo a esternalità negative che il Comune è evidentemente tenuto a fronteggiare reperendo adeguate risorse finanziarie» (par. 14.8 della sentenza). Né al difetto di istruttoria e motivazione sotto questo profilo può sopperire la documentazione sopravvenuta, depositata nel presente grado di giudizio dal Comune di Venezia - e segnatamente il Masterplan 2023-2037 - dalla quale, in tesi del Comune, sarebbe evincibile l’impatto che il traffico aereo genera, tra gli altri, sulle infrastrutture, servizi e ambiente del Comune di Venezia. 30.2. Inoltre, come evidenziato dall’Associazione e dalla Compagnie aeree, e non contestato dal Comune, introducendo l’addizionale comunale sui diritti di imbarco aeroportuali pari ad euro 2,50 - ossia stabilita nella misura quasi massima, considerato che l’art. 43, comma 3 del d.l. n. 50/2022 stabilisce che “l’addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale non può essere superiore a 3 euro per passeggero” - la tassazione per chi parte dall’Aeroporto di Venezia passa da Euro 6,50 ad Euro 9,00, divenendo così la più elevata d’Italia. 30.3. A tal riguardo non può negarsi che l’incremento per passeggero, considerato il prezzo medio dei biglietti aerei, e in particolare le tariffe applicate dalle compagnie low cost, quali i Vettori appellanti, sia proporzionalmente eccessivo; esso, infatti, è quantificabile tra il 4% e il 7% della tariffa media di una low fares per un biglietto di sola andata. Né in senso contrario rileva quanto dedotto e documentato in questa fase dal Comune circa l’aumento del costo dei biglietti negli ultimi anni, sia perché trattasi di circostanza successiva alla delibera oggetto di impugnativa, sia perché correlato, come del resto ammesso dal Comune, all’offerta di servizi aggiuntivi opzionabili dal cliente e non all’acquisto del biglietto base, secondo le note politiche tariffarie delle compagnie low cost. 30.4. Né il difetto di proporzionalità della misura può essere ovviato, come ritenuto dal primo giudice, in ragione del “meccanismo di adeguamento previsto dal Patto per Venezia” il quale “consente pur sempre la rimodulazione nel tempo dell’addizionale anche nel caso di contrazione o aumento dei traffici, imponendo in particolare all’Ente di disporne la riduzione nel caso di “formazione di un avanzo libero [...] di importo superiore alle entrate derivanti dall’addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale accertate nell’anno di riferimento aumentate del 50%” (cfr. par. 14.7 della Sentenza). Ed invero occorre evidenziare innanzitutto, come non sia prevista alcuna rimodulazione dell’addizionale nel caso di “contrazione o aumento dei traffici” ed in secondo luogo come la censurata sproporzione della misura introdotta dalla Deliberazione non può essere attenuata dalle clausole contenute nel Patto per Venezia c.d. “di salvaguardia”, che subordinano una non definibile diminuzione dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale ed aeroportuale a futuri ed incerti eventi, nell’an e nel quando, condizionati in particolare ad una eventuale formazione di un determinato avanzo libero. 30.5. Il Comune di Venezia ha quindi adottato una misura che, in quanto non preceduta da una congrua istruttoria e motivazione in ordine alle alternative prese in considerazione dalla norma e delle cause che avevano causato l’indebitamento (cfr la indicata realizzazione degli impianti sportivi a beneficio dei cittadini di Venezia solo parzialmente finanziata con i fondi PNRR), non resiste, al contrario di quanto ritenuto dal primo giudice, alle articolate censure, che hanno ben posto in evidenza anche la non proporzionalità della misura e la sua incidenza su persone (i passeggeri in partenza da Venezia) che verosimilmente potrebbero non essere né cittadini veneziani, né turisti in visita a Venezia - a differenza dei soggetti incisi dalla tassa di ingresso a Venezia - ma magari cittadini veneti che periodicamente si imbarcano dall’aeroporto di Venezia e che pertanto alcun beneficio potrebbero ricevere dai servizi resi dal Comune di Venezia, non potendosi annettere, in senso contrario, come innanzi precisato, alcun rilievo alla documentazione prodotta nel presente grado di appello. (Masterplan 2023-2037). 30.5.1. Nella sostanza pertanto la misura de qua, in quanto non supportata da congrua motivazione ed istruttoria, finirebbe per connotarsi come un contributo di solidarietà in favore del Comune di Venezia, fondato sulla sola occasionalità dell’utilizzo dello scalo aeroportuale di Venezia. 30.6. Né risulta condivisibile - avuto riguardo ai dedotti vizi di difetto di istruttoria e di motivazione, nonché di mancata valutazione della proporzionalità della misura e di ricorso ad altre possibili forme di ripianamento, alla stregua delle possibilità di scelta concesse dalla normativa - quanto dedotto nelle difese del Comune di Venezia, circa il fatto che l’istituzione dell’addizionale comunale prevista dal citato art. 43 non sarebbe altro che una attuazione della previsione contenuta in una norma di rango primario, la cui rispondenza alla valutazione di adeguatezza è stata compiuta a monte da un Tavolo tecnico istituito presso il Ministero dell’interno, nonché sul rilievo che la delibera in questione rappresenterebbe un atto doveroso, la cui adozione è necessaria al fine di rispettare gli impegni assunti con lo Stato. 30.7. Ed invero deve aversi riguardo, come innanzi precisato, alle alternative rimesse dalla normativa primaria alla scelta discrezionale dell’Amministrazione, in alcun modo valutate in sede procedimentale, e segnatamente, né nell’atto di impulso del Comune, né in sede di tavolo tecnico preordinato all’adozione dell’Accordo per Venezia, né infine nella delibera gravata, per cui alcun automatismo è ravvisabile rispetto alla previsione normativa. Ed invero, sebbene l’art. 43 del d.l. n. 50/2022, come osservato dal Comune nella propria memoria, non preveda alcuna gerarchia tra le misure in concreto adottabili, resta fermo che l’Amministrazione era tenuta a fornire le motivazioni sottese alla decisione adottata a fronte della pluralità di scelte consentite dalla normativa primaria. 30.7.1. Intese in questi termini le censure sono pertanto fondate, senza che sia configurabile un inammissibile sindacato delle scelte di merito dell’Amministrazione, rimanendosi nell’alveo delle censure di difetto di motivazione e di istruttoria anche relativamente alla proporzionalità della misura, con possibilità pertanto di riesercizio del potere da parte dell’Amministrazione, nel rispetto dei vincoli conformativi derivanti da questo decisum. Le indicate censure di difetto di motivazione e di istruttoria, in quanto di carattere assorbente, renderebbero superfluo la disamina delle ulteriori censure. Le stesse peraltro verranno sommariamente affrontate solo per esigenze di completezza. Non fondate appaiono al riguardo le censure, del pari contenute nel secondo motivo degli appelli riuniti, relative alla connessione fra l’adozione della gravata delibera e la decisione sulla sospensione della tassa di accesso a Venezia. 33.1. Dalla lettura della DCC 75/2022 si evince infatti che il Regolamento per l’istituzione e la disciplina del contributo di accesso è stato approvato con DCC n. 11/2019 e che, a seguito di modifiche normative che avevano inciso radicalmente sul presupposto del contributo stesso, era all’esame degli organi consiliari la nuova bozza di provvedimento, circostanza impeditiva dell’applicazione del regolamento già approvato, senza che ciò potesse implicare alcuna “rinuncia” dell’Amministrazione alla riscossione del contributo, le cui poste sono state iscritte nel bilancio di previsione (cfr. la nota integrativa al bilancio di previsione 2023 - 2025, pag. 18, nella quale si precisa che “Con l’art. 12, comma 2 ter del decreto legge 30 dicembre 2021, n. 228, convertito con modificazioni dalla legge 15 febbraio 2022, n. 15, peraltro, è stata introdotta una dirimente modifica alla norma sopra richiamata, prevedendo l’applicabilità del contributo per l’accesso alla Città antica e alle altre isole minori della laguna, anche senza vettore. Considerato che la suddetta novella impone una modifica regolamentare in materia... allo scopo di provvedere al necessario ri-allineamento conformativo tra norma di legge e disciplina secondaria di esecuzione della stessa, mediante la formulazione di una proposta di ristrutturazione generale dell’impianto regolamentare, si rappresenta che, ad oggi, la proposta di approvazione del nuovo regolamento, con l’abrogazione del precedente è all’esame del Consiglio comunale e, conseguentemente, l’avvio è subordinato alla conclusione dell’iter consiliare...” - doc. 28 fasc. primo grado del Comune di Venezia). 33.2. Parimenti infondata è la censura, fondata sulla irrazionalità della scelta volta a postergare l’entrata in vigore dell’addizionale comunale de qua con riferimento agli imbarchi portuali, in quanto il Comune nella delibera impugnata ha considerato debitamente le difficoltà create agli operatori portuali dal decreto governativo sul blocco all’ingresso delle c.d. grandi navi al Porto di Venezia, attraverso il bacino di S. Marco e il canale della Giudecca, rinviando al 2026 l’applicazione dell’addizionale ai passeggeri che si imbarchino sulle navi del Porto di Venezia. La circostanza che il Comune non abbia per contro considerato che nel periodo Covid il traffico aeroportuale sia diminuito, pertanto, non vale ex se ad inficiare la scelta ragionevolmente compiuta circa il differimento dell’entrata in vigore della misura con riferimento agli imbarchi portuali, posto che in ogni caso, con riferimento tanto agli imbarchi portuali - per cui è previsto il differimento dell’entrata in vigore dell’imposta - che con riguardo a quelli aereoportuali, l’addizionale è stata fissata nella misura di euro 2,50, per cui alcun beneficio potrebbero ricavare le appellanti dalla pari decorrenza dell’imposta con riferimento agli imbarchi portuali, ovvero a partire dal 1 aprile 2023. Parimenti infondato è il terzo motivo di appello formulato da Sa., volto ad evidenziare l’illegittimità dell’indicata misura per il mancato coinvolgimento dell’Enac e della stessa Sa., posto che la normativa di rango primario (art. 43 del d.l. n. 50 del 2022 che rinvia all’art. 1 comma 572 l. m. 243 del 2021) non prevede alcun coinvolgimento di detti soggetti e che pertanto occorrerebbe semmai sollevare questione di costituzionalità dell’indicata normativa, laddove la stessa Sa. ha formulato solo in via subordinata la questione di legittimità costituzionale. Ed invero, come correttamente sul punto osservato dal primo giudice, la competenza dell’Enac in materia di atti concernenti tariffe, tasse e diritti aeroportuali risulta circoscritta alla sola “istruttoria [...] per l'adozione dei conseguenti provvedimenti del Ministro dei trasporti e della navigazione” (art. 2, comma 1, lett. e del d.lgs. n. 250 del 1997), fattispecie che non appare sovrapponibile o analoga a quella in esame, vertendosi in questo diverso caso dell’istituzione dell’addizionale sul diritto d’imbarco da parte dell’Amministrazione comunale in forza della speciale procedura, prevista dall’art. 43, del d.l. n. 50 del 2022 e diretta al riequilibrio finanziario dell’ente. Infine infondata è la censura contenuta nel quarto motivo, formulato da Sa., e nel terzo motivo, articolato dall’Associazione e dalle compagnie aeree appellanti, fondata sul rilievo che il Tavolo Tecnico aveva concluso la propria istruttoria all’esito della riunione del 20 ottobre 2022 e quindi, oltre il termine del 30 settembre fissato dall’anzidetta disposizione di legge, trattandosi all’evidenza di un termine ordinatorio in funzione acceleratoria e non di un termine decadenziale. 35.1. È infatti principio consolidato quello secondo il quale “un termine è perentorio soltanto qualora vi sia una previsione normativa che espressamente gli attribuisca questa natura, ovvero quando ciò possa desumersi dagli effetti, sempre normativamente previsti, che il suo superamento produce (quali, ad esempio, una preclusione o una decadenza [...]). Ove manchi un’espressa indicazione circa la natura del termine o gli specifici effetti dell’inerzia, deve aversi riguardo alla funzione che lo stesso in concreto assolve nel procedimento, nonché alla peculiarità dell’interesse pubblico coinvolto. Naturale corollario di tale ricostruzione è che in mancanza di elementi certi per qualificare un termine come perentorio, per evidenti ragioni di favor, esso deve ritenersi ordinatorio” (Cons. Stato, 22.1.2020, n. 537. In senso analogo, Cons. Stato, 6.6.2017, n. 2718). Il primo motivo di appello, per contro, in quanto riferito alla sola decorrenza dell’applicazione dell’addizionale de qua, deve intendersi assorbito, avuto riguardo alle evidenziate ragioni di accoglimento degli appelli riuniti, maggiormente satisfattive degli interessi delle parti. In conclusione l’appello va accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado, con conseguente annullamento degli atti impugnati. 37.1. Le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta all'esame del Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663, e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 luglio 2016, n. 3176). Gli argomenti di difesa non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Sussistono nondimeno eccezionali e gravi ragioni, avuto riguardo alla complessità delle questioni sottese, per compensare integralmente fra le parti le spese di lite. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), riunisce preliminarmente gli appelli come in epigrafe proposti e, definitivamente pronunciando, li accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado, con conseguente annullamento degli atti impugnati. Compensa le spese di lite Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 novembre 2023 con l'intervento dei magistrati: Diego Sabatino - Presidente Stefano Fantini - Consigliere Elena Quadri - Consigliere Gianluca Rovelli - Consigliere Diana Caminiti - Consigliere, Estensore L'ESTENSORE IL PRESIDENTE Diana Caminiti Diego Sabatino IL SEGRETARIO

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DIOTALLEVI Giovan - Presidente Dott. IMPERIALI Lucian - Consigliere Dott. DI PAOLA S - rel. Consigliere Dott. MESSINI D'AGOSTINI Piero - Consigliere Dott. AIELLI Lucia - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la sentenza del 03/02/2022 della Corte d'appello di Torino; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere Sergio Di Paola; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Serrao D'Aquino Pasquale, che ha concluso chiedendo rigettarsi il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e dichiararsi inammissibili i restanti ricorsi; udito l'Avv. (OMISSIS), nell'interesse di (OMISSIS), nonche' in sostituzione dell'Avv. (OMISSIS), nell'interesse di (OMISSIS), in sostituzione dell'Avv. (OMISSIS), nell'interesse di (OMISSIS), e in sostituzione dell'Avv. (OMISSIS) nell'interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS), che ha concluso chiedendo accogliersi i ricorsi; udito l'Avv. (OMISSIS), nell'interesse di (OMISSIS), che ha concluso chiedendo accogliersi il ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'appello di Torino, con la sentenza impugnata in questa sede, ha parzialmente riformato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Ivrea in data 6 giugno 2017, rideterminando il trattamento sanzionatorio nei confronti degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), in accoglimento dell'accordo prestato dalle parti ai sensi dell'articolo 599 bis c.p.p.; dichiarando l'estinzione dei reati originariamente contestati all'imputata (OMISSIS), diversi da quello di cui al capo 1), per il quale ha rideterminato la pena; dichiarando l'improcedibilita' per precedente giudicato per il reato di cui al capo 69) oltre che l'estinzione dei reati originariamente contestati all'imputato (OMISSIS), diversi da quelli di cui ai capi 1), 148), 167) e 190), per i quali ha rideterminato la pena complessiva; assolvendo l'imputato (OMISSIS) dalle imputazioni di cui ai capi 249) e 252), dichiarando l'estinzione dei reati originariamente contestati, diversi da quelli di cui ai capi 1), 148), 167), 173), 251), 253) e 255), per i quali ha rideterminato la pena complessiva; assolvendo l'imputata (OMISSIS) dall'imputazione di cui al capo 76), dichiarando l'estinzione dei reati originariamente contestati, diversi da quelli di cui ai capi 1) e 167), per i quali ha rideterminato la pena complessiva; dichiarando l'estinzione dei reati originariamente contestati all'imputato (OMISSIS), diversi da quello di cui al capo 1), per il quale ha rideterminato la pena; rideterminando il trattamento sanzionatorio nei confronti dell'imputato (OMISSIS), riducendo le pene inflitte, con revoca del beneficio ex articolo 163 c.p. concesso con la sentenza del Tribunale di Torino del 31 gennaio 2006. 2. Ha proposto ricorso la comune difesa degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), deducendo violazione di legge in relazione all'articolo 129 c.p.p. per difetto di motivazione circa l'insussistenza di motivi di proscioglimento degli imputati. 3. Ha proposto ricorso la difesa dell'imputata (OMISSIS) deducendo con il primo motivo, violazione di legge, in relazione all'articolo 99 c.p., e vizio della motivazione (carente e illogica), quanto alla riconosciuta recidiva. Si lamenta, altresi', la mancata esclusione della recidiva, per effetto della continuazione che potra' essere ravvisata tra i delitti per cui e' stata riportata condanna ed i reati oggetto delle precedenti condanne. Infine, si duole la ricorrente dell'apprezzamento da parte della sentenza impugnata, ai fini delle valutazioni circa il riconoscimento della recidiva, dell'esistenza dei precedenti fatti di reato, oggetto della declaratoria di prescrizione. 3.1. Con il secondo motivo si deduce vizio della motivazione, in relazione al reato di truffa contestato al capo 77), oggetto di declaratoria di prescrizione. La Corte non aveva considerato l'assenza di elementi di prova idonei a sostenere il concorso dell'imputata nel reato; era eccessiva la misura del danno liquidato, considerata anche l'assenza della parte civile nel giudizio di appello. 3.2. Con il terzo motivo si deduce vizio della motivazione, in relazione all'imputazione relativa al delitto associativo; la Corte territoriale non aveva considerato l'assenza di proventi ricavati dall'ipotizzato sodalizio (poiche' i reati fine erano commessi per sopperire alle difficolta' economiche contingenti degli imputati); aveva omesso di verificare l'esistenza di un programma criminoso indeterminato (non essendo sufficiente il dato della commissione di plurimi reati, in concorso tra soggetti appartenenti al medesimo contesto familiare per le indicate difficolta' economiche); aveva errato nel valutare l'esistenza di mezzi e strumenti comuni, trattandosi in realta' di oggetti nella comune disponibilita' dei soggetti legati da vincoli familiari; era indimostrato il requisito dell'affectio societatis, in presenza unicamente di una serie di condotte di truffa, le cui caratteristiche quanto all'oggetto dei reati e alla composizione soggettiva variava di continuo nel tempo; erano state sopravvalutate le circostanze inerenti alle ditte individuali, ai veicoli e ai mezzi finanziari utilizzati per commettere le truffe trattandosi di elementi neutri non rilevanti a fini di prova dell'esistenza dell'associazione per delinquere. 3.3. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge, in relazione all'articolo 63 c.p., comma 4, e vizio della motivazione; la sentenza impugnata non aveva motivato in modo adeguato e logico l'attribuzione alla ricorrente del ruolo di promotore e ideatore del sodalizio, ne' aveva motivato le ragioni per cui aveva applicato l'aumento di pena facoltativo. 3.4. Con il quinto motivo si deduce violazione di legge in relazione agli articoli 62 bis e 133 c.p., e vizio della motivazione, per mancanza e manifesta illogicita', in punto di diniego delle circostanze attenuanti generiche e di commisurazione della pena. 4. Ha proposto ricorso la difesa di (OMISSIS) deducendo, con il primo motivo, violazione di legge penale e processuale, in relazione all'articolo 99 c.p. e articolo 445 c.p.p., per avere qualificato in modo errato la recidiva come specifica e reiterata, pur in presenza dell'estinzione dei reati giudicati con le sentenze di applicazione della pena del Tribunale di Torino del 27 maggio 2004 e del 31 gennaio 2006. 4.1. Con il secondo motivo si deduce violazione di norme processuali, in relazione all'articolo 597 c.p.p. per aver revocato d'ufficio il beneficio della sospensione condizionale della pena, concesso all'imputato con la sentenza di applicazione della pena ex articolo 444 c.p.p. del Tribunale di Torino del 31 gennaio 2006. 4.2. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge in relazione all'articolo 648 c.p., e vizio della motivazione, manifestamente illogica, con riguardo al giudizio di responsabilita' per i delitti di ricettazione dei veicoli contestati. La sentenza non aveva fornito argomenti adeguati per ritenere che gli acquisti realizzati dal ricorrente, con documenti attestanti la titolarita' dei veicoli in capo agli alienanti, dovessero indurre seri motivi di dubbio sulla provenienza lecita delle vetture. 4.3. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge in relazione all'articolo 99 c.p., comma 4, e vizio della motivazione, manifestamente illogica, in punto di riconoscimento della contestata recidiva reiterata, considerata l'intervenuta estinzione dei reati (oggetto delle sentenze di applicazione della pena indicate con il primo motivo di ricorso) e valutato l'evidente difetto di motivazione circa l'effettiva pericolosita' desumibile da precedenti condanne riportate, comunque, in tempi assai lontani da quello di commissione dei fatti oggetto della pronuncia. 4.4. Con il quinto motivo si deduce violazione di legge in relazione all'articolo 62 bis c.p., e vizio della motivazione, manifestamente illogica, quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, avendo omesso di valutare i dati positivi della scarsa gravita' dei fatti (dimostrata dalle pene inflitte) e dell'intervenuta estinzione dei reati oggetto delle precedenti sentenze ex articolo 444 c.p.p., e al contempo avendo valutato negativamente il comportamento processuale dell'imputato. 5. Ha proposto ricorso la difesa di (OMISSIS) deducendo, con il primo motivo, violazione di legge penale, in relazione all'articolo 416 c.p., e vizio della motivazione quanto al giudizio di partecipazione e direzione dell'associazione per delinquere di cui al capo 1). 5.1. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge in relazione agli articoli 62 bis e 133 c.p., e vizio della motivazione, per mancanza e manifesta illogicita', in punto di diniego delle circostanze attenuanti generiche e di commisurazione della pena. 6. Ha proposto ricorso la difesa di (OMISSIS) deducendo, con il primo motivo, violazione di legge penale, in relazione all'articolo 416 c.p., comma 2, e vizio della motivazione quanto al giudizio di partecipazione all'associazione per delinquere di cui al capo 1). 6.1. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge in relazione all'articolo 99 c.p., comma 2, articolo 157 c.p., articolo 161 c.p., comma 2, e articolo 416 c.p., nonche' vizio della motivazione, per contraddittorieta' e manifesta illogicita', in relazione alla sussistenza di condotte di partecipazione al sodalizio di cui al capo 1) in epoca successiva al mese di marzo 2010, con le conseguenze derivanti in punto di contestata recidiva, oltre che di omessa declaratoria di prescrizione. 7. Ha proposto ricorso la difesa di (OMISSIS) deducendo, con unico motivo di ricorso, violazione di legge penale, e vizio della motivazione quanto al giudizio di partecipazione all'associazione per delinquere di cui al capo 1). La decisione impugnata, al pari di quella di primo grado, aveva equiparato il vincolo familiare con il vincolo associativo; il contributo fornito attraverso i singoli episodi di truffa contestati era, comunque, sporadico e occasionale; era insufficiente il richiamo alla serialita' delle truffe. 8. Ha proposto ricorso la difesa di (OMISSIS) deducendo, con il primo motivo, violazione della legge penale, in relazione all'articolo 416 c.p., comma 2, quanto al giudizio di partecipazione all'associazione per delinquere di cui al capo 1). La motivazione della sentenza impugnata non aveva fornito argomenti idonei per individuare gli elementi strutturali dell'ipotesi associativa, non potendo valere i dati dei ripetuti controlli di polizia rispetto a individui, legati tra loro da vincoli familiari, che facevano uso comune di automezzi (circostanza del tutto normale proprio in ragione di quei vincoli), senza alcuna dimostrazione circa la predeterminazione stabile di organizzazione di ruoli, compiti e funzioni affidati ai supposti partecipi. In ogni caso, era del tutto indimostrato il carattere indeterminato dell'ipotizzato programma criminale, risultando al contrario evidenti indici dell'esecuzione di specifici delitti a carattere fraudolento, concordati e programmati dagli esecutori materiali. Egualmente carente la motivazione quanto all'ipotizzato ruolo organizzativo ricoperto dal ricorrente nell'associazione. 8.1. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge penale, in relazione all'articolo 640 c.p., e vizio della motivazione quanto al giudizio di responsabilita' per i reati di cui ai capi 251), 253) e 255); l'affermazione di responsabilita' era fondata esclusivamente sull'uso da parte di un soggetto (che si attribuiva il nome (OMISSIS)) di un'utenza telefonica in uso all'imputato, circostanza neutra in difetto di specifiche verifiche sull'intestazione della sim card utilizzata o sull'uso esclusivo di quell'utenza da parte dell'imputato. 8.2. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge in relazione all'articolo 62 bis c.p., in punto di diniego delle circostanze attenuanti generiche per l'omessa valutazione del corretto comportamento processuale. 8.3. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge in relazione all'articolo 99 c.p., in ordine all'affermata sussistenza della contestata recidiva, mancando del tutto la necessaria motivazione sulla portata dei nuovi reati commessi, quali indici di una specifica e dettagliata maggior pericolosita' dell'imputato. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Prima di procedere all'esame dei singoli ricorsi, e al fine di evitare inutili duplicazioni delle considerazioni a sostegno della motivazione della decisione, e' necessario esaminare talune questioni che hanno formato oggetto di comune censura da parte di molti tra i ricorrenti, salve le specificazioni che saranno articolate nell'esame dei singoli motivi di ricorso. 1.1. Una prima questione che i ricorrenti, condannati per la direzione e partecipazione all'associazione per delinquere di cui al capo 1), hanno posto a fondamento dei rispettivi ricorsi concerne la contestata affermazione dell'esistenza del sodalizio descritto nella relativa imputazione. Pur con diversi accenti, tutte le difese hanno fatto leva sull'assenza del carattere indeterminato del programma criminoso, essendo emersa dall'istruttoria esclusivamente la commissione di numerosi episodi di truffe, aventi ad oggetto beni diversi nel tempo, ascritte a soggetti che di volta in volta variavano nella composizione del numero degli autori dei reati; vicende tutte legate unicamente dalla necessita' per taluni personaggi, appartenenti ad uno stesso contesto familiare, di provvedere a risolvere contingenti difficolta' economiche, che intendevano superare attraverso i profitti realizzati con le truffe consumate; quei legami familiari costituivano l'occasione per l'utilizzo in comune di strumenti e mezzi (ditte individuali costituite a nome di taluni componenti della famiglia, veicoli utilizzati per trasportare le merci acquistate, conti correnti da cui venivano tratti gli assegni per concludere gli affari) riferibili a componenti dello stesso nucleo. La valutazione delle portata degli elementi fattuali emersi attraverso l'istruttoria, come prospettata nei ricorsi, risulta con evidenza diretta a svilire la considerazione complessiva delle prove acquisite, trascurando dati di significativa portata e svalutando sia i legami soggettivi esistenti tra gli imputati, sia le specifiche modalita' esecutive dei singoli fatti di reato che attestano non gia' un'accidentale realizzazione di reati seriali, accomunati da coincidenze fortuite, ma al contrario la predisposizione di un'organizzazione - semplice, rudimentale, ma efficace ed efficiente - per realizzare un programma criminale assolutamente indeterminato, volto ad adattare l'oggetto e le modalita' di esecuzione delle condotte illecite, in ragione di fattori variabili che imponevano la necessita' di adeguare le condotte alle mutate condizioni delle zone in cui dovevano essere commesse le attivita' truffaldine. La Corte territoriale, richiamando l'analisi condotta dal giudice di primo grado, ha analiticamente considerato (pagg. 82 e ss.) i dati che hanno condotto a distinguere l'ipotesi del mero concorso di persone, nella realizzazione di piu' episodi di truffa, dall'individuazione di un'associazione per delinquere in ragione del carattere indeterminato del programma, espressivo dell'accordo stretto tra i componenti del gruppo (che non e' di certo escluso dal carattere familiare dei legami tra i singoli soggetti, costituendo al contrario tale elemento un fattore di maggiore stabilita' del sodalizio e di maggiore pericolosita'), considerando l'arco temporale piu' che considerevole di manifestazione dell'attivita' criminale (oltre un decennio), l'esecuzione delle truffe sull'intero territorio nazionale, la realizzazione di tutte le condotte propedeutiche al conseguimento degli obiettivi criminali (mediante contraffazioni di titoli, susseguente immissione in circolazione dei beni mediante compiacenti ricettatori), l'esistenza di unistruttura dotata dei mezzi funzionali alla perpetrazione delle truffe, struttura questa a disposizione di tutti i componenti del sodalizio. La decisione ha poi individuato i ruoli svolti da ciascun componente del gruppo, l'esistenza di modalita' esecutive collaudate e ripetute, i collegamenti con personaggi dediti alla commissione di reati necessari per portare a segno le truffe, la disponibilita' dei mezzi e dei luoghi per eseguire i reati e custodire il provento delle truffe. I criteri di individuazione degli elementi della fattispecie tipica e di valutazione dei dati di prova a sostegno dell'esistenza dell'associazione rispondono alle costanti indicazioni sul punto espresse da consolidati orientamenti della giurisprudenza di legittimita': gli elementi che devono necessariamente ricorrere, perche' sia configurabile l'esistenza di un'associazione per delinquere, sono rappresentati dalla predisposizione di un'organizzazione strutturale, sia pure minima, di uomini e mezzi, funzionale alla realizzazione di una serie indeterminata di delitti (Sez. 6, n. 15573 del 28/02/2017, Di Guardo, Rv. 269952 - 0), nella consapevolezza, da parte di singoli associati, di far parte di un sodalizio durevole e di essere disponibili ad operare nel tempo per l'attuazione del programma criminoso comune (Sez. 2, n. 20451 del 03/04/2013, Ciaramitaro, Rv. 256054 01; Sez. 2, n. 16339 del 17/01/2013, Burgio, Rv. 255359 - 0; Sez. 6, n. 3886 del 07/11/2011, dep. 2012, Papa, Rv. 251562 - 0); l'esistenza del sodalizio "non e' esclusa per il fatto che la stessa sia imperniata per lo piu' intorno a componenti della stessa famiglia, atteso che, al contrario, i rapporti parentali o coniugali, sommandosi al vincolo associativo, rendono quest'ultimo ancora piu' pericoloso" (Sez. 3, n. 48568 del 25/02/2016, Zineddine, Rv. 268184 - 01; nello stesso senso, Sez. 2, n. 49007 del 16/09/2014, lussi, Rv. 261426 - 0). La prova di tali elementi, con specifico riguardo alla stabilita' del vincolo associativo, e all'indeterminatezza del programma criminoso, puo' essere tratta dal susseguirsi ininterrotto, per un apprezzabile lasso di tempo, delle condotte integranti i reati oggetto del programma ad opera di soggetti stabilmente collegati (Sez. 2, n. 53000 del 04/10/2016, Basso, Rv. 268540 - 01), mentre non occorre anche la dimostrazione del ruolo specifico svolto dal singolo soggetto nell'ambito dell'associazione, attesa la possibilita' di realizzare nei modi piu' svariati la partecipazione al sodalizio criminoso, la cui specificazione non e' richiesta dalla norma incriminatrice e non puo', quindi, essere richiesta nemmeno nella sentenza di condanna (Sez. 2, n. 43632 del 28/09/2016, Capuano, Rv. 268317 - 01; Sez. 5, n. 35479 del 07/06/2010, P., Rv. 248171 - 0). 1.2. Gran parte dei ricorrenti ha lamentato la mancata concessione delle invocate circostanze attenuanti generiche, ritenendo che la motivazione sul punto della decisione impugnata sia carente o, al piu', apparente perche' priva dei riferimenti ai dati positivi, prospettati in alcuni degli atti di appello e non considerati dai giudici di secondo grado, ovvero perche' non corrispondente alla finalita' perseguita dal legislatore attraverso la valutazione di circostanze non codificate che, pero', risultano decisive nel perseguire l'obiettivo di una modulazione del trattamento sanzionatorio, funzionale all'effettiva capacita' rieducativa della pena da irrogare ai singoli imputati. La sentenza impugnata, nel valutare i motivi di impugnazione concernenti il diniego delle circostanze attenuanti generiche da parte del giudice di primo grado, ha fatto corretta applicazione dell'insegnamento della giurisprudenza di legittimita' sul punto. Si e' piu' volte affermato che le circostanze attenuanti generiche, che non possono essere considerate un diritto conseguente all'assenza di elementi negativi connotanti la personalita' del soggetto (Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, De Crescenzo, Rv. 281590 - 01; Sez. 1, n. 3529 del 22/09/1993, Stelitano, Rv. 195339 - 0), hanno lo scopo di estendere le possibilita' di adeguamento della pena in senso favorevole all'imputato, in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull'apprezzamento dell'entita' del reato e della capacita' a delinquere del reo, motivo per il quale il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche presuppone la dimostrazione di elementi di segno positivo (Sez. 2, n. 9299 del 07/11/2018, dep. 2019, Villani, Rv. 275640 - 01; Sez. 3, n. 19639 del 27/01/2012, Gallo, Rv. 252900 - 0); pertanto, nel valutare la concessione delle attenuanti generiche "il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e' insindacabile in sede di legittimita', purche' sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione" (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269; Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, dep. 2019, Carillo, Rv. 275509 - 03; Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 - 02), potendo rilevare anche un solo elemento attinente alla personalita' del colpevole o all'entita' del reato ed alle modalita' di esecuzione di esso. 1.3. Ultima questione comune a quasi tutti i ricorsi e' quella che riguarda il censurato vizio della motivazione in punto di riconoscimento della contestata recidiva. Il riconoscimento della recidiva impone al giudice una specifica motivazione (Sez. Unite, n. 5859 del 27/10/2011, dep. 2012, Marciano', Rv. 251690 - 0; Sez. 6, n. 16244 del 27/02/2013, Nicotra, Rv. 256183 - 0; Sez. 6, n. 14550 del 15/03/2011, Bouzid, Rv. 250039 - 0), che deve avere ad oggetto non gia' la mera descrizione dell'esistenza di precedenti penali per delitto a carico dell'imputato, bensi' l'esame in concreto, in base ai criteri di cui all'articolo 133 c.p., del "rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se ed in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato sub iudice". (Sez. 2, n. 10988 del 07/12/2022, dep. 2023, Antignano, Rv. 284425 - 0; Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, dep. 2017, Del Chicca, Rv. 270419 - 01). Tale obbligo motivazionale risulta adempiuto anche "nel caso in cui, con argomentazione succinta, si dia conto del fatto che la condotta costituisce significativa prosecuzione di un processo delinquenziale gia' avviato" (Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, Franco, Rv. 274782 - 01), ovvero quando in modo implicito si dia conto della ricorrenza dei requisiti di riprovevolezza della condotta e di pericolosita' del suo autore (Sez. 6, n. 20271 del 27/04/2016, Duse, Rv. 267130 - 01; Sez. 6, n. 14937 del 14/03/2018, De Bellis, Rv. 272803 - 01), ad esempio mediante il richiamo alla negativa personalita' dell'imputato emergente dalla gravita' dei precedenti penali (Sez. 2, n. 39743 del 17/09/2015, Del Vento, Rv. 264533 - 01), ovvero dalla dettagliata descrizione delle condotte criminose tenute, dalla gravita' dei fatti, dall'inserimento dell'imputato in un contesto di criminalita' organizzata (Sez. 2, n. 40218 del 19/06/2012, Fatale, Rv. 254341 01). 2. I ricorsi proposti nell'interesse degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) sono inammissibili, perche' formulati per motivo non consentito; in tema di concordato in appello, infatti, il ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa ex articolo 599 bis c.p.p. e' ammissibile solo se deduca motivi relativi alla formazione della volonta' della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice; mentre sono inammissibili le doglianze relative ai motivi rinunciati e alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ai sensi dell'articolo 129 c.p.p. (Sez. 2, n. 22002 del 10/04/2019, Mariniello, Rv. 276102). 3. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' inammissibile, per le ragioni di seguito indicate. 3.1. Il primo motivo del ricorso e' manifestamente infondato. La Corte territoriale ha dato conto, in modo puntuale, degli elementi che attestano sia l'esistenza di numerose precedenti condanne passate in giudicato, prima della data di cessazione della permanenza della contestata associazione per delinquere, sia della natura di quelle condanne e del collegamento (oggettivo, dovuto all'omogeneita' dei beni giuridici aggrediti con le condotte poste in essere dall'imputata) con il reato associativo, indice di una "piu' intensa capacita' a delinquere e della maggiore pericolosita'". L'ulteriore censura, relativa all'esclusione della recidiva in ragione del futuro riconoscimento, in sede esecutiva, del vincolo della continuazione tra il fatto oggetto del presente processo e i fatti per cui l'imputata ha riportato le condanne definitive, oltre ad essere reiterativa del motivo proposto in grado di appello, e' manifestamente infondata alla stregua del costante insegnamento di legittimita' che ravvisa la compatibilita' tra l'istituto della recidiva e quello della continuazione (Sez. 3, n. 54182 del 12/09/2018, Pettenon, Rv. 275296 - 01; Sez. 4, n. 21043 del 22/03/2018, B., Rv. 272745 - 0; Sez. 5, n. 51607 del 19/09/2017, Amoruso, Rv. 271624 - 0), oltre che priva di qualsivoglia carattere di ragionevolezza, ancorando l'effetto dell'incompatibilita' tra recidiva e reato continuato ad un evento futuro e incerto; sicche' il silenzio della sentenza impugnata sulla censura non determina alcun vizio della decisione, secondo il consolidato principio per cui "in tema di impugnazioni, il mancato esame, da parte del giudice di secondo grado, di un motivo di appello non comporta l'annullamento della sentenza quando la censura, se esaminata, non sarebbe stata in astratto suscettibile di accoglimento, in quanto l'omessa motivazione sul punto non arreca alcun pregiudizio alla parte" (Sez. 3, n. 21029 del 03/02/2015, Dell'Utri, Rv. 263980; nonche' Sez. 5, n. 27202 del 11/12/2012, dep. 2013, Tannoia, Rv. 256314; Sez. 6, n. 47983 del 27/11/2012, D'Alessandro, Rv. 254280). Infine, quanto alla contestata valutazione delle condotte di reato oggetto della declaratoria di prescrizione, la doglianza della ricorrente non coglie il contenuto dell'argomentazione che la Corte territoriale ha utilizzato per apprezzare, alla luce del numero e della serialita' delle condotte di reato oggetto della pronuncia di prescrizione, un ulteriore indice della propensione a delinquere dell'imputata. 3.2. Il secondo motivo e' manifestamente infondato: la Corte territoriale ha motivato in modo dettagliato e completo il giudizio di responsabilita' dell'imputata per il fatto illecito oggetto della statuizione di condanna in sede civile (pagg. 7879 della sentenza impugnata) indicando gli elementi di fatto dimostrativi del contributo sia materiale, che morale, assicurato agli altri correi per raggiungere l'effetto induttivo sulla vittima circa la serieta' e l'onesta' dell'offerta, collaborando a fornire una rappresentazione dell'interesse del gruppo degli imputati quali familiari determinati a concludere l'acquisto della vettura della vittima. Generiche e reiterative, infine, le censure in punto di misura del danno liquidato, considerata l'irrilevanza della mancata partecipazione al giudizio di appello della parte civile e la compiuta argomentazione posta a sostegno della misura del danno (sia patrimoniale, sia morale) liquidato in primo grado (pagg. 79 e 80 della sentenza impugnata). 3.3. Il terzo motivo e' sostanzialmente reiterativo delle censure formulate con l'atto di appello, che la Corte (pagg. 82-87) ha esaminato compiutamente, richiamando il contenuto della motivazione della conforme decisione di primo grado e rappresentando in modo analitico tutti gli indicatori fattuali espressivi dell'esistenza di un accordo stabile e duraturo (considerato l'arco di tempo ultradecennale lungo il quale si e' svolta l'attivita' criminosa), a carattere indeterminato e finalizzato alla realizzazione di plurime condotte predatorie, attuate utilizzando i mezzi e gli strumenti a disposizione del gruppo, in cui ciascuno dei partecipi svolgeva un ruolo indispensabile e funzionale alla realizzazione di quel programma. A fronte di siffatto apparato argomentativo, aderente ai risultati dell'istruttoria, dettagliato nell'apprezzare il valore di plurimi profili espressivi dell'attivita' organizzata e privo di vizi logici, la ricorrente insiste nel prospettare differenti letture dei dati di prova (riguardanti gli scopi egoistici dei singoli imputati, la comune disponibilita' di beni e mezzi, il carattere familiare che spingeva a condividere le modalita' operative delle singole truffe) smentiti dall'oggettivita' delle condotte e dalla predisposizione delle attivita' illecite. 3.4. Il quarto motivo e' del tutto generico, quanto alla censura riguardante il riconoscimento del ruolo apicale dell'imputata nell'assetto dell'associazione, specie se posto a raffronto con la puntuale motivazione della Corte territoriale sullo specifico profilo (pagg. 87-89); e', inoltre, manifestamente infondato con riguardo al lamentato difetto di motivazione in punto di aumento facoltativo della pena per effetto dell'applicazione dell'articolo 63 c.p., comma 4, poiche' la sentenza ha indicato le ragioni in forza delle quali ha applicato tale aumento facoltativo (peraltro in misura assolutamente contenuta, pari ad un mese di reclusione), ancorandolo alla gravita' dei fatti e alla capacita' a delinquere dell'imputata in relazione al dato dell'aver commesso le condotte di cui all'articolo 416 c.p. mentre si trovava sottoposta all'esecuzione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza. 3.5. Il quinto motivo di ricorso e' assolutamente generico nel censurare la motivazione della sentenza che, in sintonia con i ricordati insegnamenti della giurisprudenza di legittimita', ha indicato i dati ostativi alla concessione delle circostanze attenuanti generiche rilevando altresi' l'assenza di elementi positivamente valutabili a favore dell'imputata, procedendo quindi ad una rimodulazione del trattamento sanzionatorio, di cui la ricorrente ha beneficiato, con logica ponderazione degli indici di cui all'articolo 133 c.p., cosi' assicurando una motivazione coerente e adeguata rispetto al dovere imposto dall'articolo 132 c.p.. 4. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' fondato limitatamente al secondo motivo di ricorso. 4.1. Il primo motivo di ricorso risulta proposto per motivi non consentiti. Con l'atto di appello il ricorrente, senza contestare i presupposti della contestata recidiva, aveva censurato la valutazione condotta dal giudice di primo grado relativamente all'errata valutazione delle precedenti sentenze di applicazione della pena, quanto al rapporto con le imputazioni del presente giudizio e all'accertamento dell'effettiva maggiore pericolosita' desumibile dai fatti per cui si procede; nessuna deduzione veniva svolta in relazione al differente e distinto profilo, costituente la denunciata violazione di legge, della carenza dei presupposti per la contestazione della recidiva (in quanto i reati oggetto delle sentenze di applicazione della pena sarebbero estinti ai sensi dell'articolo 445 c.p.p.), violazione che solo con il ricorso viene prospettata dalla difesa, con evidente soluzione di continuita' della catena devolutiva. E' stato, infatti, affermato che non potendo essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunziarsi perche' non devolute alla sua cognizione (Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, Bolognese, Rv. 269745 - 01, relativa a fattispecie in cui si denunciava l'omessa motivazione da parte della Corte di appello sulla recidiva ritenuta dal giudice di primo grado, non contestata con i motivi di appello), non e' consentito dedurre per la prima volta con il ricorso per cassazione l'erronea applicazione della recidiva, neppure al fine di ottenere la declaratoria di prescrizione del reato (Sez. 3, n. 27256 del 23/07/2020, Martorana, Rv. 279903 - 01), cosi' come non possono dedursi rispetto alla recidiva, pur se oggetto di censura con l'atto di appello, profili diversi e distinti che si differenzino quanto ai presupposti di applicazione e valutazione (Sez. 2, n. 32780 del 13/07/2021, De Matteis, Rv. 281813 - 01, che ha ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione con il quale venga dedotta la disapplicazione della circostanza aggravante della recidiva, quando in fase di appello sia stato proposto motivo finalizzato ad ottenere l'esclusione della natura infranquiquennale della stessa, "trattandosi di richieste diverse anche in relazione ai presupposti, in quanto la prima implica la valutazione della natura dei reati, del tipo di devianza di cui sono segno, del margine di offensivita' delle condotte, della distanza temporale e del livello di omogeneita' esistente tra loro e dell'eventuale occasionalita' della ricaduta, mentre la seconda richiede solo il controllo di un dato cronologico obiettivo"). 4.2. Il terzo motivo e' generico, nella misura in cui trascura completamente tutto il contenuto delle intercettazioni riportate e considerate dalla sentenza impugnata, intercettazioni il cui tenore palese, con il frequente coinvolgimento dello stesso ricorrente, testimoniano una comune e immediata comprensione da parte degli interlocutori delle anomale modalita' di trasferimento dei veicoli a favore del ricorrente, con destinazione dei mezzi all'esportazione previa rimozione dei principali segni identificativi (simulando la demolizione e la radiazione dei veicoli dal pubblico registro automobilistico, in modo da eliminarne le targhe). 4.3. In ordine al quarto motivo di ricorso, la censura difetta di specificita'; la sentenza impugnata ha espressamente fatto riferimento nella valutazione delle precedenti condanne, alla specifica circostanza dell'esistenza di due distinti certificati del casellario giudiziale, riguardanti l'imputato generalizzato con diverse indicazioni (tra loro collegate per espressa menzione in quei certificati dell'alias attribuito all'indicazione nominativa); di tale aspetto il ricorrente si disinteressa, facendo sempre costante riferimento ad uno solo certificato del casellario; di qui l'irrilevanza dell'insistita affermazione sul venir meno degli effetti penali delle sentenze di applicazione della pena (in quanto fondata solo sui dati del certificato indicato dal ricorrente, omettendo le altre indicazioni cui fa riferimento la Corte territoriale). Quanto, poi, al vizio della motivazione circa l'errata considerazione del lasso di tempo intercorso tra le sentenze definitive di condanna e i fatti per cui si procede, va rilevato che la Corte, con apprezzamento non viziato da manifesta illogicita', ha stimato che l'esistenza di plurimi accertamenti di responsabilita', uno di essi per reati specifici, fosse dato che prevale sulla considerata distanza temporale tra quelle condanne e i fatti oggetto del processo, perche' indicativo di una piu' accentuata pericolosita'. 4.4. Il quinto motivo e' manifestamente infondato; la motivazione posta a base del diniego delle circostanze attenuanti generiche e' adeguata e priva di vizi logici, in quanto ha considerato i dati ostativi alla concessione delle invocate circostanze, valutazione che non e' contraddetta ne' dall'individuazione della misura della pena, ne' dall'ipotizzata estinzione dei reati oggetto delle sentenze di applicazione della pena (per le considerazioni su svolte e in quanto il dato storico della sentenza di patteggiamento resta rilevante, ai fini del diniego delle circostanze attenuanti generiche, anche nell'ipotesi in cui sia gia' intervenuta, ai sensi dell'articolo 445 c.p.p., comma 2, l'estinzione del reato cui essa si riferisce: Sez. 3, n. 23952 del 30/04/2015, Di Pietro, Rv. 263850 - 01), sia perche' il censurato giudizio sul valore del comportamento processuale non sarebbe comunque in grado di destrutturare la motivazione sul punto (considerati gli ulteriori elementi negativi apprezzati dalla motivazione). 4.5. Il secondo motivo e' fondato La sentenza d'appello, in difetto di impugnazione della parte pubblica, ha revocato ai sensi dell'articolo 168 c.p., comma 3, il beneficio della sospensione condizionale della pena che era stato concesso all'imputato con la sentenza di applicazione della pena ex articolo 444 c.p.p. del Tribunale di Torino del 31 gennaio 2006, per il difetto delle condizioni richieste dall'articolo 164 c.p., comma 4. Come risulta evidente, la Corte territoriale ha esercitato un potere relativo non al giudizio in corso, ma ad altro giudizio gia' definitivo, rispetto al quale essa ha operato al pari del giudice dell'esecuzione. La Corte non ignora il risalente indirizzo giurisprudenziale formatosi in relazione alle ipotesi di revoca della sospensione condizionale della pena previste dall'articolo 168 c.p., comma 1, rispetto alle quali si e' riconosciuto, anche se l'impugnazione sia stata proposta dal solo imputato, il potere del giudice di appello di revocare la sospensione condizionale concessa con altra sentenza irrevocabile in altro giudizio, negli stessi termini in cui tale potere e' attribuito al giudice dell'esecuzione; e cio' sulla scorta della natura dichiarativa del provvedimento di revoca (atteso che "gli effetti di diritto sostanziale risalgono de iure al momento in cui si e' verificata la condizione, anche prima della pronuncia giudiziale, e indipendentemente da essa. Sicche' il provvedimento di revoca non e' che un atto ricognitivo della caducazione del beneficio gia' avvenuta ope legis al momento del passaggio in giudicato della sentenza attinente al secondo reato", trattandosi dunque di attivita' puramente ricognitiva e non discrezionale o valutativa e senza, pertanto, contravvenire al divieto di reformatio in peius, a differenza dell'ipotesi prevista dall'articolo 168 c.p., comma 2, in cui il provvedimento di revoca non e' dichiarativo, ma costitutivo, e implica una valutazione che resta preclusa percio' al giudice di appello, cosi' come al giudice dell'esecuzione: Sez. Unite, n. 7551 del 08/04/1998, Cerroni, Rv. 210798 - 01, seguita da conformi decisioni: Sez. 1, n. 21872 del 12/02/2003, Savignano, Rv. 224400 - 0; Sez. 1, n. 13011 del 11/03/2005, Tarisciotti, Rv. 231256 - 0; Sez. 2, n. 37009 del 30/06/2016, Seck, Rv. 267913 - O). A diverse conclusioni deve giungersi con riguardo alla revoca del beneficio per la violazione dell'articolo 164 c.p., comma 4 per le peculiari condizioni che sono richieste in tale ipotesi per l'esercizio del potere di revoca del beneficio. Ha affermato la giurisprudenza di legittimita' che la possibilita' per il giudice di appello di revocare ex officio la sospensione condizionale della pena, concessa in violazione dell'articolo 164 c.p., comma 4, in presenza di cause ostative, e' riconosciuta a condizione che tali cause ostative non fossero documentalmente note al giudice che ha concesso il beneficio; pertanto il giudice ha l'onere di procedere a una doverosa verifica al riguardo (Sez. 3, n. 42004 del 05/10/2022, Maggio, Rv. 283712 - 01), essendo a tal fine tenuto ad acquisire, anche d'ufficio, il fascicolo del giudizio (Sez. 3, n. 34387 del 27/04/2021, Bisioli, Rv. 282084 - 01, applicando il principio enunciato, in relazione all'analoga ipotesi della revoca disposta dal giudice dell'esecuzione, da Sez. Unite, n. 37345 del 23/04/2015, Longo, Rv. 264381 - 01); e cio' in quanto nell'ipotesi in cui il giudice della cognizione, pur conoscendo dell'esistenza di precedenti ostativi, abbia concesso il beneficio della sospensione, "all'errore di diritto, risultante ex actis, in cui incorra il giudice nella applicazione della sospensione condizionale della esecuzione della pena deve porsi riparo (solo e) mediante l'impugnazione, senza possibilita' di recupero in executivis" (Sez. unite, 37345/2015, cit.). Pertanto, pur se la revoca in esame e' accostata a quella prevista dall'articolo 168 c.p., comma 1, riconoscendone la natura meramente dichiarativa, i relativi presupposti applicativi che richiedono accertamenti in fatto (di cui non vi e' traccia nella motivazione del provvedimento impugnato) e l'alternativa tra la rilevabilita' d'ufficio dell'errata concessione del beneficio in sede esecutiva e la necessita' dell'impugnazione della relativa statuizione, conducono ad escludere un generale potere del giudice della cognizione di revocare il beneficio della sospensione condizionale ai sensi dell'articolo 168 c.p.p., comma 3, quando esso sia stato concesso con sentenza diversa da quella oggetto di impugnazione. In conseguenza, la sentenza va annullata sul punto eliminando la revoca del beneficio, restando salvi i poteri del giudice dell'esecuzione ove ricorrano le condizioni per disporre la revoca. 5. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' inammissibile. 5.1. Il primo motivo di ricorso e' del tutto generico e reiterativo, senza alcun confronto critico con l'accurata motivazione della sentenza impugnata (come gia' osservato in relazione all'omologo motivo di ricorso proposto nell'interesse dell'imputata (OMISSIS)) e con le specifiche indicazioni a sostegno della dimostrazione dello stabile contributo fornito dalla ricorrente e dello specifico ruolo apicale, rivestito dapprima affiancando il coniuge e poi subentrando nella sua posizione, una volta tratto in arresto l'uomo (pagg. 97-98). 5.2. Il secondo motivo di ricorso e' del tutto generico, rispetto ad una motivazione dettagliata e coerente con i dati processuali, avendo operato sia l'espressa indicazione delle ragioni ostative al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, sia l'esposizione dettagliata dei criteri di commisurazione della pena, per il piu' grave reato contestato, per gli aumenti per le circostanze aggravanti e per il delitto avvinto dal vincolo della continuazione, con scelta prudente quanto al profilo commisurativo, alla luce di tutti i parametri indicati dall'articolo 133 c.p.. 6. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' fondato nei termini di seguito indicati. 6.1. Il primo motivo di ricorso e' generico nella censura, oltre a reiterare l'argomento del difetto di consapevolezza del ricorrente del far parte di un'organizzazione creata per realizzare un numero indeterminato di truffe mediante acquisti effettuati consegnando in pagamento assegni privi di provvista; le conformi decisioni di merito, che si integrano fra loro nella motivazione, hanno dato conto del contributo assicurato sia nella messa a disposizione da parte del ricorrente dei titoli di credito tratti su conti a lui intestati, che tutti i partecipi al sodalizio (il padre, le sorelle, la madre) hanno utilizzato per mettere a segno piu' truffe (capi 46), 53) 57), 59), 62), 63), 70), sia nella materiale partecipazione ad altri episodi, in cui operava di concerto con gli altri familiari, ritirando le merci fraudolentemente acquistate e partecipando alle attivita' di persuasione delle vittime sulla serieta' e onesta' degli acquisti (capi 39), 40), 45), 49). A fronte di un siffatto quadro complessivo, l'ipotizzata carenza di consapevolezza per effetto delle precarie capacita' di comprensione e del deficit cognitivo e' stata considerata e ritenuta recessiva, anche per l'estrema genericita' della documentazione sanitaria prodotta a supporto della tesi difensiva. 6.2. Il secondo motivo di ricorso e' fondato. Con l'atto di appello, la difesa aveva posto in rilievo la delimitazione temporale della contestata partecipazione, sulla scorta dei dati processuali contenuti nella sentenza di primo grado, con specifico riguardo sia all'ambito cronologico in cui si era manifestata la partecipazione (attraverso il concorso del ricorrente nella commissione dei fatti di reato relativi alle truffe oggetto di addebito: capi 39, 40, 45, 46, 47, 49, 53, 57, 59, 62, 63, 70), compresa negli anni 2009 e 2010, sia alla successiva assenza di indicatori della perdurante partecipazione alle attivita' dell'associazione, con riguardo ai periodi successivi a quella data quando il sodalizio aveva orientato l'attivita' criminale nel settore delle truffe riguardanti l'acquisto di autoveicoli con modalita' fraudolente. Rispetto a tale prospettazione, la sentenza impugnata non ha fornito alcuna risposta specifica, limitandosi a richiamare il dato (del tutto generico, se rapportato alle puntuali indicazioni dell'appellante) della permanenza dell'attivita' del sodalizio sino all'anno 2013, ma senza dare conto di quali fossero i dati fattuali o logici in forza dei quali fosse predicabile un'effettiva partecipazione del ricorrente nel periodo successivo all'anno 2010. Il denunciato vizio della motivazione assume carattere decisivo, in relazione al possibile decorso del termine di prescrizione del contestato delitto di partecipazione all'associazione per delinquere, poiche' "nel caso di contestazione di un reato effettuata nella forma cosiddetta "aperta", ovvero senza indicazione della data di cessazione della condotta illecita, qualora in sede di giudizio di legittimita' debba farsi dipendere un qualsiasi effetto giuridico dalla data di cessazione della permanenza, e' necessario verificare in concreto se, nella motivazione del provvedimento impugnato, il giudice della cognizione abbia o meno ritenuto provato il protrarsi della condotta criminosa fino alla data della sentenza di primo grado" (Sez. 3, n. 68 del 25/11/2014, dep. 2015, Patti, Rv. 261792 - 01, relativa agli effetti in punto di eventuale prescrizione del reato), non potendosi fare leva in proposito sulla regola di "natura processuale" per la quale la permanenza si considera cessata con la pronuncia della sentenza di primo grado, poiche' si tratta di regola che - non equivalendo a presunzione di colpevolezza fino alla data della decisione - pone una presunzione che non elimina l'onere per l'accusa di fornire la prova in ordine al protrarsi della condotta criminosa fino all'indicato ultimo limite processuale (Sez. 1, n. 39221 del 26/02/2014, Saputo, Rv. 260511 - 01; Sez. 3, n. 10640 del 03/09/1999, Valerio, Rv. 214039 - 01), con il conseguente obbligo per il giudice dell'impugnazione - a fronte di motivi specifici che contestano l'assunto della permanenza della condotta partecipativa - di motivare adeguatamente sul punto. 6.3. La sentenza deve, pertanto, esser annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Torino per nuovo esame sul punto. 7. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' inammissibile, per l'evidente genericita' delle censure che il ricorrente formula, se raffrontate con l'analitica ricostruzione delle conformi decisioni di merito (pagg. 90-91 della sentenza impugnata; pagg. 81-83 della sentenza di primo grado) che hanno evidenziato non solo il ruolo apicale, svolto dal Mesoraca unitamente alla moglie (OMISSIS), nella direzione delle attivita' dell'associazione, ma altresi' la portata dimostrativa dell'elevatissimo numero di reati fine consumati di volta in volta con il concorso degli altri partecipi al sodalizio, con ricorrenti modalita' fraudolente, variate nel tempo in ragione degli obiettivi predatori, e con particolare scaltrezza dimostrata nell'organizzare e nell'eseguire le condotte di reato, con estrema cautela e evitando agevoli individuazioni della sua persona anche attraverso le intercettazioni telefoniche. 8. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' inammissibile. 8.1. Il primo motivo del ricorso e' caratterizzato da evidente genericita', per le ragioni gia' esposte nell'esame dei comuni motivi di ricorso con cui si denuncia la violazione di legge dell'articolo 416 c.p.; inoltre, con specifico riguardo alla posizione del ricorrente, la sentenza impugnata (pagg. 92-93) ha fornito una puntuale ricostruzione delle specifiche condotte di partecipazione al sodalizio, non solo attraverso la valutazione del cospicuo numero di reati fine attribuiti al (OMISSIS), ma anche mettendo nel dovuto rilievo l'attivita' organizzativa e di predisposizione delle condizioni per individuare gli obiettivi delle truffe e per portare ad esecuzione il programma del sodalizio (dati acquisiti attraverso l'esame del contenuto delle intercettazioni, del tutto ignorato nel ricorso), indice significativo del riconosciuto ruolo di soggetto organizzatore dell'associazione. 8.2. Il secondo motivo e' anch'esso generico nel contestare l'adeguatezza della motivazione, come del resto gia' emerge dal richiamo (errato) al nome di fantasia cui faceva ricorso il soggetto (utilizzatore di una determinata utenza cellulare) per contattare le vittime delle truffe. Il ricorso, infatti, trascura il fulcro centrale dell'argomentazione della sentenza impugnata (pagg. 94-95): la persona offesa del reato di cui al capo 255) aveva riconosciuto in aula l'odierno ricorrente come il soggetto che si era presentato come " (OMISSIS)", ossia colui che attraverso un'utenza telefonica cellulare lo aveva contattato dicendosi interessato all'acquisto della vettura della persona offesa e lo aveva, poi, incontrato personalmente assieme ai complici in occasione della vendita del veicolo; il medesimo appellativo veniva utilizzato, anche negli altri due episodi contestati, dal soggetto che faceva uso della medesima utenza cellulare e che, con modalita' del tutto analoghe, manifestava l'interesse all'acquisto dei veicoli che venivano poi materialmente ritirati dai correi ( (OMISSIS), sempre presente in tutti gli episodi) che incontravano le vittime, consegnando loro per il pagamento i titoli di credito contraffatti. 8.3. Il terzo motivo e' generico, perche' non tiene conto della puntuale motivazione con cui la Corte territoriale ha illustrato tutti gli elementi ostativi al riconoscimento delle circostanze invocate (gravita' dei fatti, contributo determinante alle attivita' del sodalizio, numero e qualita' dei precedenti penali e delle condanne riportate anche successivamente ai fatti giudicati) rispetto ai quali anche l'eventuale dato indicato (che peraltro appare di valenza neutra) risulta recessivo nella complessiva ponderazione operata dalla sentenza. 8.4. Il quarto motivo e' manifestamente infondato, poiche' la Corte territoriale ha indicato, sulla scorta della natura delle precedenti condanne, dell'omogeneita' delle violazioni e della prossimita' delle pregresse decisioni definitive, l'allarmante significato da attribuire alla commissione dei nuovi reati, considerate le inclinazioni dimostrate sia nell'attivita' organizzativa del sodalizio, sia nella perpetrazione di numerose truffe, correttamente valutati quali indici sintomatici di una maggiore pericolosita' del soggetto. 9. Alla declaratoria di inammissibilita' dei ricorsi proposti nell'interesse di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonche', ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di Euro tremila ciascuno a favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), limitatamente alla permanenza nell'associazione a delinquere nel periodo successivo al 2010, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte d'appello di Torino. Dichiara il ricorso inammissibile nel resto. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), limitatamente alla revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena concesso all'imputato con la sentenza del Tribunale di Torino del 30 gennaio 2006, divenuta irrevocabile il 22 aprile 2006, che elimina. Dichiara il ricorso inammissibile nel resto. Dichiara inammissibili i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI STEFANO Pierluigi - Presidente Dott. CRISCUOLO Anna - Consigliere Dott. AMOROSO Riccardo - Consigliere Dott. SILVESTRI Pietro - Consigliere Dott. DI GERONIMO Paolo - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza emessa il 18/5/2022 dalla Corte di appello di Bologna; visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere Paolo Di Geronimo; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Perla Lori, che ha chiesto l'annullamento con rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio per (OMISSIS), il rigetto dei ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS); udito l'avvocato (OMISSIS), difensore della parte civile (OMISSIS) s.p.a., il quale ha chiesto il rigetto dei ricorsi e la conferma delle statuizioni civili, depositando nota spese; udito l'avvocato (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), che conclude per l'accoglimento del ricorso; uditi gli avvocati (OMISSIS), difensori di (OMISSIS), che concludono per l'accoglimento del ricorso; udito l'avvocato (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), il quale chiede l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. All'esito della parziale riforma della sentenza di primo grado, la Corte di appello di Bologna confermava la condanna di (OMISSIS) in ordine ai reati di peculato contestati ai capi 4), 8), 10), 12), 17) e 18); nonche', a titolo di concorso con il predetto, nei confronti di (OMISSIS) in relazione al reato contestato sub 4) e di (OMISSIS) per il peculato contestato al capo 10). I fatti oggetto della sentenza concernevano tutti l'impiego di risorse economiche nella disponibilita' della (OMISSIS) s.p.a. (di seguito (OMISSIS)) e (OMISSIS) s.r.l. (di seguiti (OMISSIS)), entrambe a prevalente partecipazione pubblica. 2. Nell'interesse di (OMISSIS) venivano formulati dodici motivi di ricorso, con i quali si deduce: questione di legittimita' costituzionale in ordine alla ritenuta non applicabilita' ai fatti commessi in epoca antecedente al 1 gennaio 2020 del nuovo regime dell'improcedibilita', introdotto all'articolo 344-bis c.p.p. Si assume che il nuovo istituto, pur avendo natura formalmente processuale, determinerebbe effetti sostanziali per cui dovrebbe trovare applicazione il principio di retroattivita' della legge penale piu' favorevole; violazione di legge processuale in relazione all'articolo 495 c.p.p., comma 2, e conseguente nullita' ex articolo 178 c.p.p., lettera c) della sentenza, sul presupposto che la Corte di appello non avrebbe consentito la rinnovazione dell'istruttoria mediante l'espletamento dell'esame dell'imputato. Il ricorrente ricostruisce l'iter processuale che aveva condotto, nel corso del primo grado di giudizio, a ritenere l'intervenuta decadenza dell'imputato dal rendere esame, precisando che (OMISSIS) non si era sottoposto all'esame all'udienza prevista per il 19 maggio 2017 in quanto, a tale data, non erano state depositate le trascrizioni da parte del perito e la difesa dell'imputato aveva reiteratamente evidenziato l'impossibilita' di procedere all'esame se non dopo la valutazione del contenuto delle intercettazioni. A fronte di tale richiesta, la ritenuta decadenza dall'esame pronunciata dal Tribunale aveva determinato una lesione del diritto di difesa, tempestivamente dedotta dal difensore (come risulta dal verbale di udienza del 21 luglio 2017) e riproposto con i motivi di appello. Infine, si segnala l'irrilevanza del fatto che (OMISSIS) avesse reso plurime dichiarazioni spontanee, trattandosi di facolta') del tutto distinta dall'esame dell'imputato; violazione dell'articolo 407 c.p.p., comma 3, e conseguente inutilizzabilita' degli interrogatori resi dal coindagato (OMISSIS) in data 30 dicembre 2010, 18 gennaio 2011, 20 gennaio 2012 ed all'udienza del 25 novembre 2016, dovendosi ritenere che (OMISSIS) aveva assunto il ruolo di indagato ben cinque mesi prima della formale iscrizione nel registro, con conseguente anticipazione del termine di ultimazione delle indagini incidente sull'inutilizzabilita' degli atti acquisiti dopo la scadenza del termine stesso; violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata audizione del teste (OMISSIS), la cui escussione, inizialmente ammessa dal Tribunale, sarebbe stata erroneamente revocata, nonostante la tempestiva deduzione in ordine alla necessita' dell'acquisizione della prova (ud.13/4/2018); peraltro, si sottolinea come la stessa Corte di appello richiami in motivazione il ruolo di (OMISSIS) nella cosiddetta vicenda "(OMISSIS)", a riprova della rilevanza di tale testimonianza; omessa motivazione in merito alla qualifica del ricorrente quale pubblico ufficiale, nonostante questi avesse ricoperto cariche apicali esclusivamente in societa' aventi natura privatistica, quali dovevano considerarsi la (OMISSIS) e la (OMISSIS). L'articolato motivo formulato su tale aspetto, censura il fatto che tali societa' agivano esclusivamente con strumenti di diritto privato, non facevano ricorso all'assegnazione di appalti mediante le procedure di evidenza pubblica, ne' si occupavano della gestione di servizi pubblici. In buona sostanza, a mutare la natura giuridica delle predette societa' non era sufficiente la mera partecipazione al capitale sociale del Comune di Parma, posto che l'attivita' svolta era di natura tipicamente privatistica e si svolgeva senza l'esercizio di alcuna funzione o potesta' amministrativa. Il ricorrente, inoltre, richiamava ampia giurisprudenza, civile ed amministrativa, al fine di ribadire la natura privata delle societa', segnalando come la sentenza impugnata si fosse limitata a riconoscere la sussistenza della qualifica soggettiva appellandosi ad una sentenza pronunciata con riguardo ad una fattispecie del tutto diversa, caratterizzata dal fatto che la societa' privata si occupava istituzionalmente della committenza di forniture e servizi secondo gli schemi dell'evidenza pubblica; violazione di legge in ordine all'errata qualificazione dei fatti contestati in termini di peculato, anziche' di abuso d'ufficio, nonostante la descrizione della condotta fosse tutta incentrata sull'utilizzo del denaro - asseritamente pubblico - in violazione di leggi e norme regolamentari, dovendosi ritenere che l'utilizzo indebito dei fondi, non avendo comportato una lesione patrimoniale a danno dell'ente, non integravano l'ipotesi di distrazione sanzionata dall'articolo 314 c.p.; in relazione ai fatti contestati al capo 4) (vicenda quotidiano "(OMISSIS)"), oltre a ribadirsi la censura relativa all'omessa escussione del teste (OMISSIS), si contesta il vizio di motivazione, in quanto la Corte di appello era giunta alla conclusione che la (OMISSIS), per il tramite della (OMISSIS), aveva fatto confluire fondi in favore della societa' (OMISSIS) (editore del giornale (OMISSIS)), simulando l'avvenuta prestazione di attivita' non eseguita, sulla base di elementi indiziari incerti (mancata sottoscrizione da parte del (OMISSIS) delle spese non preventivate sostenute dalla (OMISSIS) in occasione di un convegno organizzato per (OMISSIS), nonche' predisposizione del preventivo su foglio non intestato alla (OMISSIS)); in relazione al capo 8) (cessione area "(OMISSIS)"), deduce la mancata audizione del teste (OMISSIS) che avrebbe dovuto riferire sulle circostanze riferite de relato dal teste Varazzani; si deduce, inoltre, il travisamento della prova derivante dall'omessa valutazione della documentazione prodotta, dalla quale risultava il legittimo trasferimento di fondi dalla (OMISSIS) alla (OMISSIS), al fine di consentire il trasferito dell'area denominata "Macello Comunale", libera dalla concessione esistente in favore della societa' (OMISSIS). L'intera operazione - cessione dal Comune di Parma alla (OMISSIS) - rientrava appieno nel programma di alienazioni immobiliari programmato dal Comune e finalizzato al riassetto del territorio, costituente lo specifico oggetto sociale della (OMISSIS) (come risultante dall'atto di costituzione prodotto in atti). Inoltre, la convenzione sottoscritta tra il Comune di Parma e la (OMISSIS), avente ad oggetto la realizzazione dell'Agenzia per la logistica delle filiere agroalimentari, prevedeva che tale attivita' dovesse essere realizzata tramite la (OMISSIS) srl (nel frattempo trasformata in s.p.a.), il cui capitale sociale era stato interamente acquistato da (OMISSIS). Una volta escluso che l'attivita' di finanziamento non rientrasse tra i compiti di (OMISSIS), le eventuali violazioni potevano al piu' integrare il reato di abuso d'ufficio; in relazione al capo 10) (vicenda " (OMISSIS)"), si deduce vizio di motivazione ed erronea qualificazione del reato, ritenendosi che i giudici di merito avessero travisato la prova dichiarativa resa dalla teste (OMISSIS), la quale aveva dichiarato che il (OMISSIS) aveva effettivamente svolto la prestazione per la quale era stato remunerato, come desumibile anche dalla documentazione prodotta dal coindagato; in relazione al capo 12) (collaborazione " (OMISSIS)"), si deduce il vizio di motivazione e l'erronea qualificazione del reato, evidenziando come l'istruttoria non avesse fornito la prova certa della natura fittizia dell'incarico professionale per il quale il (OMISSIS) era stato remunerato con fondi della (OMISSIS); in relazione al capo 17) (utilizzo indebito della carta di credito), si contesta la mancata assunzione del teste di riferimento (OMISSIS) e, quindi, l'inutilizzabilita' della deposizione resa da (OMISSIS), nonche' il vizio di motivazione e l'erronea qualificazione del fatto quale peculato. In merito alle prove orali, si evidenzia come all'interno della (OMISSIS) il compito di eseguire le registrazioni contabili e di verificare le note spese era affidato a (OMISSIS), la quale riferiva al direttore amministrativo (OMISSIS) - della mancanza di documentazione giustificativa delle spese eseguite da (OMISSIS) con la carta di credito. Posto che la ricostruzione del fatto e' avvenuta sulla base delle dichiarazioni della (OMISSIS), teste de relato, si sarebbe dovuto procedere all'escussione del teste diretto, e cioe' (OMISSIS). Erronea era, pertanto, la decisione di rigettare la richiesta di rinnovazione istruttoria sulla base del falso presupposto secondo cui la difesa non avrebbe reiterato la richiesta di escussione del teste diretto, prima della chiusura dell'istruttoria. Il ricorrente ha depositato copia del verbale di udienza del 13 aprile 201.8 dal quale risulta la richiesta ex articolo 195 c.p.p. di escussione del teste diretto. Infine, si evidenzia che le spese sostenute da (OMISSIS) erano riconducibili all'esercizio delle funzioni, ne' a diverse conclusioni poteva giungersi mediante una non consentita inversione dell'onere della prova; in relazione al capo 18) (vicenda "Mauro"), si deduce il travisamento della prova con riguardo alla deposizione dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali, diversamente da quanto indicato nella sentenza di appello, avevano confermato l'effettivo svolgimento di attivita' lavorativa da parte di (OMISSIS). 3. Nell'interesse di (OMISSIS) sono stati formulati quattro motivi di ricorso, con i quali si deduce: violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza in capo ad (OMISSIS) della qualifica di pubblico agente, richiamando argomentazioni sostanzialmente sovrapponibili a quelle dedotte nel ricorso del (OMISSIS); escludendo la predetta qualifica in capo al concorrente, verrebbe meno la configurabilita' del concorso dell'extraneus nel reato di peculato contestato al capo 4); vizio di motivazione per travisamento della prova in ordine all'errata lettura della documentazione attestante la regolarita' del pagamento eseguito dalla (OMISSIS) in favore della GIDM s.r.l. (societa' amministrata dal (OMISSIS)); vizio della motivazione e violazione dell'articolo 62-bis c.p., atteso che le attenuanti generiche erano state negate a (OMISSIS) sulla base di un palese errore nell'attribuzione al predetto di una condotta (la richiesta di assegnazione di incarichi in societa' partecipate dal Comune di Parma) che, invero, era risultata pacificamente riferibile ad altro imputato, individuato in (OMISSIS); violazione dell'articolo 169 c.p.p. ed omessa notifica del decreto di citazione in appello presso il domicilio eletto; all'udienza del 18 febbraio 2022, la Corte di appello rilevava l'omessa notifica del decreto al domicilio eletto in Roma, nel disporre la rinnovazione, tuttavia, non provvedeva ad inviare l'atto al nuovo domicilio eletto all'estero, disponendo la notifica al difensore ex articolo 161 c.p.p., comma 4. 4. Nell'interesse di (OMISSIS) sono stati formulati quattro motivi di ricorso, con i quali si deduce: vizio di motivazione, anche per travisamento della prova, in relazione alla ritenuta inesistenza della prestazione professionale per la quale (OMISSIS) avrebbe ricevuto il compenso dalla (OMISSIS) in occasione del convegno organizzato il 20 novembre 2009; in particolare, la Corte di appello avrebbe omesso di valutare che il nome del (OMISSIS) era indicato quale responsabile dell'ufficio stampa sulla brochure del convegno; il ricorrente aveva locato un immobile a Parma in concomitanza con l'organizzazione del convegno; risultavano provati plurimi viaggi da Roma (ove risiedeva) a Parma; il ricorrente inviava al (OMISSIS) (a riprova che questi fosse il reale committente) documentazione relativa al convegno; la prestazione professionale richiesta non presupponeva la realizzazione di elaborati, il che giustificava l'omesso rinvenimento di documentazione; vizio di motivazione, anche per travisamento della prova, in ordine alle dichiarazioni rese dal teste (OMISSIS) e (OMISSIS), dalle quali emergeva che (OMISSIS) aveva effettivamente svolto le attivita' professionali per le quali era stato remunerato; vizio di motivazione relativamente all'omessa risposta alla specifica deduzione difensiva secondo cui la prestazione professionale del (OMISSIS), remunerata dalla (OMISSIS), era stata svolta molto prima dell'avvio della sua collaborazione con il Sindaco (OMISSIS) e, quindi, non si poteva ritenere che il compenso pagato andasse a coprire prestazioni svolte in favore del predetto, ne' risultava lo svolgimento di precedenti attivita' in favore del Sindaco o del Comune di Parma; si contesta anche la correttezza della qualificazione giuridica nel fatto in termini di peculato, piuttosto che di abuso d'ufficio; violazione di legge in ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche. CONSIDERATO IIN DIRITTO 1.I ricorsi sono fondati nei limiti di seguito indicati. 2. La posizione processuale di (OMISSIS) comporta l'esame di questioni in parte afferenti anche ai restanti imputati, salvo per quanto concerne le questioni di natura processuale e quelle relative alle imputazioni non ascritte, a titolo di concorso, anche ai restanti ricorrenti. 2.1. Prendendo le mosse dal primo motivo, se ne rileva l'infondatezza, dovendosi ritenere che la nuova disciplina dell'improcedibilita' per superamento dei termini di durata dei giudizi di impugnazione, di cui al novellato articolo 344-bis c.p.p., non puo' trovare applicazione ai procedimenti per reati commessi in epoca antecedente al 1 gennaio 2020. Tale problematica e' stata gia' affrontata e risolta da questa Corte con una soluzione pienamente condivisibile, essendosi ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 334 bis c.p.p., in relazione agli articoli 3 e 117 Cost., nella parte in cui limita l'applicazione della causa di improcedibilita' dell'azione penale per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione ai soli reati commessi dal 1 gennaio 2020, in quanto detta disposizione ha natura processuale, come tale non suscettibile di applicazione retroattiva, e risponde a criteri di ragionevolezza, per la finalita' compensativa e riequilibratrice rispetto alla disciplina introdotta dalla L. 9 gennaio 2019, n. 3, in tema di sospensione del termine di prescrizione nel giudizio di appello, che prevede la medesima limitazione temporale applicativa (Sez.5, n. 334 del 5/11/2021, dep. 2022, Pizzorulli, IRv. 282419; Sez.3, n. 1567 del 14/12/2021, dep.2022, Iaria, Rv. 282408; Sez.7, n. 43883 del 19/11/2021, Cusma', Rv. 283043-02). Il ricorrente contesta tale impostazione, sottolineando come la disciplina dell'improcedibilita', pur essendo declinata quale istituto di diritto processuale, ha una innegabile ricaduta sul piano sostanziale, nella misura in cui inibisce l'accertamento della commissione del reato, sicche' se ne invoca la retroattivita' ai sensi dell'articolo 2 c.p.. Invero, il principio di retroattivita' della norma piu' favorevole non ha copertura costituzionale, non essendo contemplato dall'articolo 25 Cost. e articolo 7 CEDU, che, invece, disciplinano esclusivamente il divieto di retroattivita' della norma sopravvenuta deteriore rispetto a quella previgente. Quanto detto comporta che deve ritenersi costituzionalmente legittima la disciplina intertemporale che ha regolamentato il passaggio dal regime della prescrizione a quella della improcedibilita', introducendo una cesura netta e prevedendo che l'improcedibilita' si applica solo ai reati rispetto ai quali non opera piu' il previgente regime della prescrizione. Ne consegue che un profilo di legittimita' costituzionale sarebbe, in astratto, ipotizzabile solo ove si ritenesse la violazione dell'articolo 3 Cost., per irragionevole disparita' di trattamento tra gli autori di reati commessi prima o dopo dell'entrata in vigore della norma "piu' favorevole", individuata dal ricorrente nell'articolo 344-bis c.p.p.. Tuttavia, nel caso di specie non si ravvisa alcun profilo di irragionevolezza della disciplina in esame, proprio perche' le diversita' tra il precedente sistema basato sulla prescrizione e quello nuovo fondato sulla improcedibilita' sono tali da giustificare appieno l'esclusione della retroattivita' del nuovo articolo 344-bis c.p., in quanto la nuova disciplina si fonda su un sistema processuale e sostanziale profondamente mutato, il che non consente l'innesto delle nuove regole nel previgente regime governato dalla sola prescrizione. 3. Il secondo motivo proposto nell'interesse di (OMISSIS), concernente l'omessa rinnovazione dell'istruttoria per l'esame dell'imputato, e' infondato. L'imputato doveva rendere l'esame all'udienza del 19 maggio 2017, alla quale non ha partecipato ritenendo di non poter rispondere fin quando non veniva depositata la perizia di trascrizione. Premesso che non sussiste alcun limite probatorio che imponga la sequenza indicata dall'imputato, la scelta di non rispondere e' stata del tutto volontaria, sostanziandosi in un rifiuto a sottoporsi alla prova, quindi correttamente il Tribunale ha ritenuto di non procedere all'esame nelle udienze successive. Ne' puo' il ricorrente dolersi della mancata rinnovazione dell'istruttoria in appello. Per consolidata giurisprudenza, infatti, l'esame dell'imputato, risolvendosi in una diversa prospettazione valutativa nell'ambito della normale dialettica tra le differenti tesi processuali, non e' un mezzo di prova che puo' assumere valore decisivo ai fini del giudizio, con la conseguenza che la sua mancata assunzione non costituisce motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d) (Sez.5, n. 17916 del 10/1/2019, Scorsolini, Rv. 275909). 4. Parimenti infondato e' il terzo motivo di ricorso, con il quale si deduce l'inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese dal coimputato (OMISSIS), sul presupposto della retrodatazione dell'iscrizione della notizia di reato. Il termine di durata delle indagini preliminari decorre dalla data in cui il pubblico ministero ha iscritto, nel registro delle notizie di reato, il nome della persona cui il reato e' attribuito, senza che al giudice sia consentito stabilire una diversa decorrenza, sicche' gli eventuali ritardi indebiti nella iscrizione, tanto della notizia di reato che del nome della persona cui il reato e' attribuito, pur se abnormi, sono privi di conseguenze agli effetti di quanto previsto dall'articolo 407 c.p.p., comma 3, fermi restando gli eventuali profili di responsabilita' disciplinare o penale del magistrato del pubblico ministero che abbia ritardato l'iscrizione (Sez.6, n. 4844 del 14/11/2018, dep. 2019, Ludovisi, Rv. 275046). In ogni caso, il ricorrente non affronta il profilo relativo alla prova di resistenza, non indicando se ed in che misura l'eliminazione delle prove ritenute inutilizzabili avrebbe condotto ad un diverso risultato decisionale. 5. Il quarto motivo di ricorso, concernente l'omessa rinnovazione dell'istruttoria mediante l'escussione del teste (OMISSIS), e' infondato. Invero, non emerge in alcun modo il profilo della decisivita' della testimonianza di (OMISSIS), il quale avrebbe dovuto riferire sul progetto di acquisire il quotidiano "(OMISSIS)", circostanza eventuale e, in ogni caso, non direttamente inficiante la ricostruzione del fatto imputato al (OMISSIS). 6. Il quinto motivo di ricorso concerne l'attribuzione della qualifica soggettiva di incaricato di pubblico servizio al (OMISSIS) e deve ritenersi comune anche al (OMISSIS), posto che entrambi i ricorrenti, sia pur con argomentazioni non del tutto sovrapponibili, contestano la natura pubblica delle societa' nell'ambito delle quali i reati sarebbero stati commessi. I predetti motivi sono infondati, atteso che le due societa' amministrate da (OMISSIS) ( (OMISSIS) e (OMISSIS)), pur essendo formalmente costituite nella forma di enti di diritto privato, erano interamente a capitale pubblico, vedendo quale unico socio il Comune di Parma; in particolare, la (OMISSIS) era la holding che deteneva l'intero capitale sociale della (OMISSIS), ed entrambe perseguivano finalita' pubblicistiche relativamente alla gestione del territorio comunale. I dati salienti ai fini della qualificazione giuridica, pertanto, vanno individuati nella contemporanea presenza di due elementi che tipicamente contraddistinguono gli enti svolgenti - sul piano sostanziale - un'attivita' di tipo pubblicistico e, cioe', la partecipazione esclusiva del capitale pubblico e il perseguimento di una finalita' che rientra nelle competenze proprie dell'ente comunale. Come chiaramente esposto nella sentenza di primo grado (lsi veda pg.42), la (OMISSIS) era partecipata al 100% dal Comune di Parma e costituiva lo strumento organizzativo mediante il quale l'ente locale doveva a sua volta partecipare nelle societa' coinvolte nella trasformazione e gestione del territorio (tra queste la (OMISSIS)). Il complesso sistema fondato sulla costituzione della (OMISSIS) quale holding, cui era demandata la partecipazione alle societa' operative e direttamente coinvolte nella gestione del territorio, pur basandosi su strumenti di natura privatistica, era inequivocabilmente finalizzato al perseguimento di uno degli aspetti qualificanti e centrali nell'attivita' dell'ente comunale, concernente il riassetto del territorio, con la dislocazione su di esso delle diverse attivita' e servizi. L'attivita' che le societa' interessate svolgevano, pertanto, era direttamente funzionale rispetto a quella del Comune e, a ben vedere, tali enti altro non erano che articolazioni esterne dell'ente locale, il quale provvedeva a svolgere la propria attivita' in settori, contigui all'imprenditoria privata, mediante societa' in house. Fatta tale premessa, deve rilevarsi come la mera natura privatistica delle societa' in esame non rileva, di per se', ai fini dell'esclusione della qualifica soggettiva in capo agli amministratori. Sul tema, infatti, la giurisprudenza e' assolutamente constante nel privilegiare il criterio oggettivo-funzionale, in virtu' del quale i soggetti inseriti nella struttura organizzativa e lavorativa di una societa' possono essere considerati pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, quando l'attivita' della societa' medesima sia disciplinata da una normativa pubblicistica e persegua finalita' pubbliche, pur se con gli strumenti privatistici (Sez.6, n. 19484 del 23/1/2018, Bellinazzo, Rv. 273781; Sez.6, n. 1826 del 27/11/2019, dep.2020, Innocenti, rv. 278125; Sez.6, n. 10780 del 17/11/2020, dep. 2021, Spano, Rv.281083). Con specifico riferimento alle societa' in house si e', anche recentemente, ribadito che riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio il legale rappresentante di una societa' a totalitaria partecipazione pubblica, deputata allo svolgimento di attivita' di pubblico servizio corrispondente a quello affidato all'ente pubblico controllante (Sez.6, n. 37076 del 30/6/2021, Messina, Rv. 282305). Esaminando una fattispecie similare a quella oggetto del presente giudizio, questa Corte ha precisato che riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio il legale rappresentante di una societa' a responsabilita' limitata, interamente controllata da una societa' "in house", deputata all'espletamento di attivita' di carattere tecnico che si pongano in rapporto ausiliario e strumentale rispetto ai compiti pubblicistici perseguiti dalla societa' controllante (Sez.6, n. 58235 del 9/11/2018, Antoniazzi, Rv. 274815). Sulla base di tali precedenti, deve ritenersi non controversa la natura sostanzialmente pubblica delle societa' coinvolte nella vicenda in esame, rispetto alle quali il dato formale della costituzione quali enti di diritto privato e' superato dal dato sostanziale, rappresentato dal fatto che il capitale sociale era integralmente detenuto da un ente pubblico (Comune di Parma) e l'attivita' era statutariamente svolta in favore del predetto, avendo ad oggetto il perseguimento di finalita' aventi natura intrinsecamente pubblica e di competenza dell'ente locale (gestione e riassetto del territorio). A tali considerazioni, occorre aggiungere quanto in seguito si dira' con riferimento ai fatti relativi alla concessione per l'area "(OMISSIS)", li' dove emerge ictu oculi, come la (OMISSIS) e la (OMISSIS) operino in attuazione delle finalita' di gestione del territorio dell'ente comunale, provvedendo a realizzare gli obiettivi dell'ente, sia pur utilizzando i piu' duttili strumenti del diritto privato, ma senza che cio' escluda la rilevanza pubblica dell'attivita' svolta. 7. In ragione della stretta correlazione tra la questione relativa alla qualifica soggettiva e l'imputazione formulata al capo 8), appare opportuno anticipare l'esame dell'ottavo motivo di ricorso formulato nell'interesse di (OMISSIS). Deve altresi' precisarsi che il sesto motivo, concernente la ritenuta qualificazione in termini di abuso d'ufficio delle ipotesi di peculato contestate, puo' essere vagliata congiuntamente all'esame dei motivi specificamente dedicati a ciascun reato, pur dovendosene fin da ora evidenziare l'infondatezza. 7.1. Al ricorrente si contesta il reato di peculato, commesso distraendo fondi della (OMISSIS) per indennizzare la societa' "(OMISSIS)" in relazione alla revoca anticipata della concessione riguardante un"area che, nel frattempo, veniva acquistata dalla (OMISSIS), nell'ambito di una complessiva opera di riassetto territoriale. Per l'esame del motivo e' imprescindibile il sintetico richiamo agli elementi di fatto, definitivamente accertati nelle sentenze di merito, dalle quali emerge che: il Comune di Parma, nell'ambito di un generale progetto di riqualificazione dell'area denominata "(OMISSIS)" ed al fine di consentire la realizzazione di strutture di supporto alla filiera agro-alimentare, cedeva l'area in questione alla (OMISSIS) (societa' interamente partecipata da (OMISSIS), a sua volta interamente partecipata dal Comune); l'area in questione risultava gia' affidata in concessione alla (OMISSIS) s.r.l. (con scadenza nel 2021), sicche' per garantire l'immediata disponibilita' della stessa alla (OMISSIS), si poneva la necessita' di revocare la concessione e indennizzare la concessionaria; l'importo necessario per l'indennizzo veniva reperito da (OMISSIS) che riceveva Euro500.000 da altra societa' partecipata (Metroparma s.p.a.), ma tale somma non poteva essere trasferita ad (OMISSIS), in quanto veniva trattenuta dall'istituto di credito a copertura di una precedente scopertura di conto corrente di (OMISSIS); l'ulteriore somma di Euro400.000 veniva trasferita a (OMISSIS) dal Comune di Parma, con l'accordo del successivo trasferimento alla (OMISSIS) s.r.l. Sulla base di tali elementi di fatto, i giudici di merito hanno ritenuto sussistente il reato di peculato, sottolineando che l'attivita' di finanziamento dell'operazione "(OMISSIS)" non rientrava nell'oggetto sociale della (OMISSIS), inoltre, il debito nei confronti della (OMISSIS) srl non poteva ritenersi sussistente, atteso che la concessione non era stata revocata all'epoca dei versamenti. In ogni caso, il debito derivante dall'indennizzo per la revoca della concessione gravava esclusivamente sul Comune di Parma, sicche' la (OMISSIS) - ed invero anche la (OMISSIS) - non avrebbero avuto motivo di adempiervi. 7.2. Le conclusioni cui sono giunti i giudici di merito non tengono conto di aspetti determinanti e idonei di per se' a condurre all'esclusione della sussistenza del delitto di peculato. In primo luogo, con riferimento alla somma di Euro500.000 pervenuta nelle casse di (OMISSIS) e proveniente da (OMISSIS) s.p.a., si rileva che la stessa - a prescindere da quello che fosse il motivo per cui era stata erogata - e' andata a ripianare uno scoperto di conto corrente di (OMISSIS) e, quindi, la somma ha coperto un credito della societa' che ne ha beneficiato. Risulta del tutto irrilevante, pertanto, che la finalita' della dazione fosse quella di costituire la provvista per indennizzare la societa' (OMISSIS) s.r.l., atteso che, in concreto, il denaro e' stato utilizzato per sanare un debito della (OMISSIS) e, quindi, alcuna distrazione puo' configurarsi, dovendosi ritenere che il denaro e' andato ad esclusivo vantaggio della societa' amministrata dal (OMISSIS). Ne' rileva che l'adempimento del debito della (OMISSIS) sia dipeso dal fatto che l'istituto di credito ha direttamente incamerato la somma confluita sul conto corrente della societa', atteso che "l'involontarieta'" dell'adempimento non muta il dato fattuale e, cioe', che il denaro non puo' sicuramente ritenersi impiegato per esigenze estranee alla (OMISSIS), il che preclude in radice la configurabilita' del peculato. 7.3. La configurabilita' del reato di peculato deve essere esclusa anche in relazione all'ulteriore destinazione della somma di Euro400.000, trasferita dal Comune di Parma alla (OMISSIS), al fine di costituire la provvista per l'indennizzo spettante alla (OMISSIS) s.r.l. I giudici di merito hanno ritenuto che, in tal modo, la (OMISSIS) e la (OMISSIS) si sarebbero fatte carico di un debito eventuale e gravante solo sul Comune di Parma, sempre che quest'ultimo avesse provveduto alla revoca della concessione in favore della (OMISSIS) s.r.l.. Inoltre, si e' sostenuto che l'oggetto sociale della (OMISSIS) non prevedeva affatto di concorrere al finanziamento delle attivita' di gestione del territorio, sicche' l'ingerenza in tale attivita' integrerebbe di per se' una condotta di peculato per distrazione, realizzata mediante l'impiego di fondi per finalita' diverse da quelle consentite. Si tratta di conclusioni che, invero, sono contraddette da una pluralita' di elementi. In primo luogo, si evidenzia come la stessa sentenza di primo grado, nel riportare l'oggetto sociale della (OMISSIS) (si veda pg.127) riconosce che tale societa' si sarebbe dovuta occupare di progettazione di interventi per la trasformazione del territorio, assunzione di partecipazione in altre societa', prestazioni di servizi strumentali e finanziari in favore delle societa' partecipate, acquisizione delle aree e degli immobili interessati agli interventi di trasformazione del territorio e esecuzione di ogni altra operazione attinente o connessa all'oggetto sociale. Orbene, gia' sulla base di tale elencazione (che ricomprende l'acquisizione dei terreni), non pare discutibile che la SU - che peraltro deteneva la partecipazione totalitaria della (OMISSIS) - vedeva tra i propri compiti anche quello di acquisizione delle aree oggetto di trasformazione, risultato perseguibile sia mediante l'acquisto diretto, sia mediante il finanziamento delle societa' controllate che provvedevano alla realizzazione di tali finalita'. In buona sostanza, l'acquisto dell'area del "(OMISSIS)" rientrava appieno nei compiti statutari della (OMISSIS), inserendosi in un progetto di riqualificazione urbana e di realizzazione di servizi per il settore agro-alimentare, il tutto nell'ambito della funzione di programmazione territoriale svolta dal Comune, per il tramite delle societa' controllate. Nelle sentenze di merito, si pone l'accento sul fatto che il reato di peculato si sarebbe consumato per effetto della mera "distrazione" delle somme rispetto alle finalita' ordinarie. In particolare, nella sentenza di appello si da' atto che la convenzione stipulata tra Comune di Parma e (OMISSIS) prevedeva il versamento, da parte dell'ente, della somma di Euro400.000, ma tale obbligazione era assunta al solo fine del cofinanziamento delle attivita' di studio, per la creazione di un piano industriale e per investire nel progetto le risorse finanziarie necessarie alla start-up ed al cofinanziamento progettuale. L'indennizzo per la revoca della concessione, invece, non sarebbe in alcun modo riconducibile a tali voci di cofinanziamento, il che integrerebbe la condotta di peculato, nella misura in cui la (OMISSIS) avrebbe ricevuto dal Comune di Parma l'importo di Euro400.000 destinandolo a finalita' diverse. La tesi non e' condivisibile in punto di diritto. Invero, la giurisprudenza piu' recente ha avuto modo di precisare che il peculato per "distrazione" presuppone in ogni caso che il denaro sia destinato a scopi incompatibili con il perseguimento di finalita' di interesse pubblico. Si e' affermato, infatti, che solo l'utilizzo per finalita' esclusivamente personali ed estranee a quelle istituzionali di denaro pubblico determina la "distrazione" dello stesso, mentre il peculato non e' ravvisabile nei casi in cui l'interesse privato dell'agente e quello istituzionale dell'ente siano sincroni e sovrapponibili, non risultando in alcun modo contrastanti (Sez.6, n. 36496 del 30/9/2020, Vasta, Rv. 280295). Applicando tale principio al caso di specie, e' agevole concludere nel senso che la somma di Euro400.000 - destinata ad indennizzare la (OMISSIS) s.r.l. nel caso di revoca della concessione - e' stata in ogni caso impiegata per una finalita' pubblicistica, ravvisabile per il semplice fatto che la societa' controllata dal Comune di Parma e' andata a predisporre la provvista per poi farsi carico di un debito dell'ente stesso. Nel caso di specie, quindi, lungi dal raffigurarsi un'ipotesi di peculato, pare piu' corretto ritenere che la (OMISSIS) e il Comune di Parma, nell'ambito di una sostanziale comunanza di interessi, hanno perseguito una finalita' pubblicistica, mediante il raggiungimento di un accordo preventivo con la societa' (OMISSIS) s.r.l., finalizzato alla quantificazione dell'indennizzo ed alla predisposizione della necessaria provvista. E' pur vero che, specie nella sentenza di primo grado, si sottolinea la scarsa linearita' del percorso amministrativo, ipotizzando che il versamento da parte del Comune di Parma in favore della (OMISSIS) era finalizzato ad eludere i vincoli di bilancio. Si tratta di una circostanza plausibile che, tuttavia, non incide sull'aspetto penalistico della vicenda. Occorre ribadire, infatti, che la regolarita' contabile attiene esclusivamente al profilo della liceita' amministrativa e puo', eventualmente, determinare una responsabilita' risarcitoria in capo ai pubblici amministratori, senza che ne consegua necessariamente anche una responsabilita' di tipo penale. Ove i fondi pubblici non vengano destinati a finalita' privatistiche, pur se utilizzati in violazione della normativa contabile, il delitto di peculato non puo' configurarsi in quanto viene meno l'elemento tipico dell'appropriazione dei beni o, comunque, della destinazione a finalita' incompatibile con quelle del perseguimento di un interesse di natura pubblicistica. Nel caso di specie, peraltro, non si pone neppure la questione circa la diversa qualificazione del fatto in termini di abuso d'ufficio, pur astrattamente ipotizzabile in base al principio secondo cui l'utilizzo di denaro pubblico per finalita' diverse da quelle previste integra il reato di abuso d'ufficio qualora l'atto di destinazione avvenga in violazione delle regole contabili, sebbene sia funzionale alla realizzazione, oltre che di indebiti interessi privati, anche di interessi pubblici obiettivamente esistenti e per i quali sia ammissibile un ordinativo di pagamento o l'adozione di un impegno di spesa da parte dell'ente, mentre integra il piu' grave reato di peculato nel caso in cui l'atto di destinazione sia compiuto in difetto di qualunque motivazione o documentazione, ovvero in presenza di una motivazione di mera copertura formale, per finalita' esclusivamente private ed estranee a quelle istituzionali (Sez.6, n. 27910 del 23/9/2020, Perricone, Rv. 279677). L'abuso d'ufficio, infatti, presuppone una specifica violazione di legge che non risulta contestata e, in ogni caso, non e' neppure contestato l'ulteriore elemento dell'ingiusto vantaggio derivante dall'atto dispositivo, ne consegue che alcuna utilita' potrebbe avere l'annullamento con rinvio, non potendo una diversa motivazione da parte del giudice d'appello integrare la carenza originaria del capo di imputazione. In conclusione, pertanto, deve affermarsi che il reato di peculato contestato al capo 8) non sussiste, in quanto la condotta addebitata al (OMISSIS) non ha comportato l'utilizzo di fondi pubblici per finalita' diverse ed incompatibili con quelle congiuntamente perseguite dall'ente comunale e dalla (OMISSIS), bensi' si e' trattato del tentativo di ottenere un risultato utile e confacente all'interesse dell'amministrazione che, mediante l'acquisto in capo alla societa' controllata (OMISSIS) dell'area del "(OMISSIS)", intendeva avviare una diversa programmazione territoriale, secondo un legittima e insindacabile scelta in ordine alla gestione del territorio comunale. Rispetto a tale contesto, assume particolare rilievo la natura pubblica riconosciuta alle societa' (OMISSIS) e (OMISSIS), entrambe da considerarsi enti strumentali del Comune. Tale qualificazione impone di valutare le condotte poste in essere per il tramite della (OMISSIS) nell'ambito della piu' ampia azione posta in essere dal Comune che, proprio avvalendosi della (OMISSIS), ha agito nel perseguimento della finalita' pubblicistica. In conclusione, deve affermarsi il principio per cui non integra il delitto di peculato l'utilizzo dei fondi di una societa' interamente partecipata da un ente pubblico che provveda al perseguimento di una finalita' dell'ente medesimo, in quanto non sussiste il requisito dell'appropriazione, ne' della distrazione del denaro per fini privatistici, potendosi al piu' ipotizzare una irregolarita' rilevabile sotto il profilo della responsabilita' contabile, inidonea a dar luogo al reato in esame. In buona sostanza, se una societa' in house si fa carico di un esborso nell'interesse dell'ente che ne detiene l'intero capitale sociale, viene meno il requisito dell'appropriazione, proprio perche' il patrimonio deve ritenersi sostanzialmente comune ed il fine perseguito non e' incompatibile con il l'interesse pubblico. 7.4. Ultimo aspetto meritevole di approfondimento e' quello relativo alla determinazione dell'indennizzo che sarebbe stato corrisposto alla (OMISSIS) s.r.l. che, secondo la tesi recepita in sentenza, sarebbe stato determinato in misura maggiore rispetto al dovuto. Si tratta di un aspetto che, invero, non rileva in relazione al reato di peculato, nella misura in cui l'esercizio della discrezionalita' amministrativa nella individuazione di un accordo con il concessionario non puo' essere censurata al fine di desumere la destinazione del denaro a finalita' diverse da quelle pubblicistiche ne', del resto, si contesta che la presunta maggiorazione dell'indennizzo sia frutto di accordi aventi natura illecita. Considerazioni parzialmente analoghe valgono anche in relazione al fatto che l'indennizzo sarebbe stato, quanto meno in parte, corrisposto ancor prima che intervenisse la revoca della concessione. La sentenza di condanna non valorizza il dato concernente la possibilita' per la pubblica amministrazione di avvalersi di strumenti tipicamente contrattuali, mediante i quali pervenire al medesimo risultato ottenibile con l'esercizio di poteri autoritativi. Premesso che e' incontroverso che il Comune di Parma perseguiva la finalita' di una riqualificazione urbana dell'area precedentemente data in concessione, che la predetta area non poteva essere liberamente utilizzata dall'acquirente ((OMISSIS)) se non dopo la revoca della concessione e che tale atto comportava un consistente indennizzo per la (OMISSIS) s.r.l., rientra nell'ambito della discrezionalita' amministrativa la possibilita' di addivenire ad una revoca della concessione sostanzialmente concordata con il concessionario, risultato che presupponeva l'accordo sull'indennizzo. 8. Il settimo motivo di ricorso proposto da (OMISSIS) e' volto a contestare la sussistenza del peculato di cui al capo 4), avente ad oggetto l'utilizzo della somma di Euro24.000 da parte della (OMISSIS) al fine di remunerare la societa' (OMISSIS) (amministrata di fatto da (OMISSIS)) per prestazioni inesistenti; in tal modo si sarebbe creata la provvista in denaro destinata ad essere convogliata alla (OMISSIS) s.r.l. e da questa alla (OMISSIS) s.r.l., societa' editrice del quotidiano "(OMISSIS)", per far fronte al pagamento degli stipendi dei giornalisti, il tutto al fine di garantire una linea editoriale di supporto al sindaco Vignale. Per contestualita' espositiva, deve essere esaminato anche il secondo motivo di ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS), in quanto afferente al medesimo capo 4) dell'imputazione. I motivi di ricorso sopra indicati risultano fondati. La sentenza di appello approfondisce capillarmente i rapporti esistenti tra (OMISSIS) e i soggetti a vario titolo coinvolti nella gestione del quotidiano (OMISSIS), mentre dedica una motivazione assolutamente stringata alle ragioni da cui avrebbe dedotto la prova dell'inesistenza delle prestazioni aggiuntive svolte dalla (OMISSIS), in occasione del convegno organizzato da (OMISSIS) nel giugno 2010. In sintesi, si afferma che i servizi extra svolti dalla (OMISSIS) sarebbero indicati su un foglio non sottoscritto da (OMISSIS) e non allegato al preventivo prodotto in atti, inoltre, anche l'ulteriore documento recante l'intestazione "budget servizi extra" sarebbe privo di rilevanza, non essendo redatto su carta intestata della (OMISSIS) e contenendo un elenco di voci non corrispondente a quelle indicate nel preventivo (pg.64). A fronte di tale affermazione, la Corte di appello aveva precedentemente affermato (pg.62) che, nel procedimento iscritto a carico di (OMISSIS) - legale rappresentante della (OMISSIS) - per il reato di false fatturazioni, quest'ultima aveva documentato lo svolgimento di servizi accessori ulteriori rispetto a quelli preventivati e riferiti al convegno organizzato nel 2010 (per l'ammontare di Euro21.497,19). La motivazione risulta contraddittoria nella misura in cui sembra escludere in toto lo svolgimento di servizi extra, ma al contempo parrebbe ammettere la sussistenza della prova, quantomeno in parte, della loro esecuzione. E' pur vero che emerge una contestualita' tra il pagamento effettuato da (OMISSIS) a (OMISSIS) e l'emissione della fattura da (OMISSIS) verso (OMISSIS), per l'importo di Euro24.000,00, ma tale dato fornisce un mero elemento indiziario. La sentenza sconta un vizio di fondo e, cioe', quello di aver realizzato una vera e propria inversione dell'onere della prova, richiedendo agli imputati di dimostrare l'effettivo svolgimento dell'attivita' remunerata a titolo di "servizi extra". Invero, in tema di peculato sussiste un consolidato orientamento giurisprudenziale in base al quale non e' configurabile il reato nel caso di mera irregolarita', inadeguatezza o incompletezza dei giustificativi di spesa in relazione ai quali viene effettuata la spendita di denaro pubblico, essendo onere dell'accusa dimostrare - oltre ogni ragionevole dubbio - che la prestazione per la quale si e' ottenuta la remunerazione non e' stata effettuata (da ultimo, Sez.6, n. 11341 del 17/11/2022, dep.2023, Buscemi; Sez.6, n. 21166 del 9/4/2019, Marino, Rv. 276067; Sez.6, n. 40595 del 2/3/2021, Bernardini, Rv. 282742-02). Quanto detto comporta che il giudice del rinvio dovra' rivalutare il fatto verificando la sussistenza di una prova certa del mancato svolgimento dei servizi extra, che la (OMISSIS) sostiene di aver eseguito in occasione del convegno del giugno 2010, non essendo sufficienti le mere carenze documentali descritte in sentenza. Si tratta di un accertamento che, evidentemente, non puo' fondarsi unicamente sul presupposto secondo cui (OMISSIS) era interessato a far pervenire a (OMISSIS) la somma di denaro necessaria per il pagamento degli stipendi, ma richiede la verifica se le prestazioni che (OMISSIS) sostiene di aver svolte e che, secondo l'impostazione difensiva sarebbero indicate nella nota recante l'intestazione "servizi extra", siano state effettivamente eseguite o meno. Nel compiere tale valutazione, il giudice del rinvio dovra' necessariamente confrontarsi anche con la documentazione prodotta da (OMISSIS) nel procedimento svolto a suo carico e concluso con l'archiviazione, dalla quale - per quanto gia' affermato nella sentenza impugnata - risulterebbe lo svolgimento, quanto meno in parte, dei predetti "servizi extra". 9. Il nono motivo di ricorso proposto da (OMISSIS), nonche' i primi tre motivi del ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS), riguardano il peculato contestato al capo 10), li' dove si assume che (OMISSIS) sarebbe stato remunerato mediante il conferimento dell'incarico fittizio concernente la consulenza giornalistica, in occasione di un convegno organizzato dalla societa' (OMISSIS) nel 2009. Mediante tale incarico fittizio, il (OMISSIS) sarebbe stato remunerato per l'attivita' svolta nell'interesse personale del sindaco (OMISSIS), consistita nella gestione della pagina facebook, nella cura della sua "figura" e nella direzione dell'ufficio stampa. La sentenza impugnata sconta un vizio di fondo che ne fa ritenere la manifesta contraddittorieta', nella misura in cui si ritiene accertato il conferimento di un incarico fittizio nel 2009, cui sarebbero seguite - ma solo a distanza di alcuni mesi - delle prestazioni professionali erogate dal (OMISSIS) in favore del Sindaco. Invero, anche integrando la sentenza di appello con la lettura di quella di primo grado, emerge che i giudici di merito avrebbero desunto la natura fittizia dell'incarico da plurime intercettazioni, dalle quali emergeva che (OMISSIS) doveva occuparsi di seguire l'ufficio stampa del Sindaco e della pagina facebook, ma tali intercettazioni partono dall'aprile del 2010 e, quindi, molto dopo lo svolgimento del convegno nel 2009 per il quale (OMISSIS) aveva svolto la sua attivita' professionale. Nella sentenza di primo grado (p.131) si afferma che (OMISSIS) doveva svolgere il ruolo di capo ufficio stampa del Comune e che si era gia' trasferito a Parma, ma che vi furono problemi per formalizzare l'incarica, ragion per cui il Sindaco avrebbe fatto in modo che la (OMISSIS) (altra partecipata del Comune), conferisse al (OMISSIS) l'incarico di gestione della newsletter del Comune, per poi aggiungere che, in concreto, il predetto gestiva la pagina facebook del Sindaco. La sentenza di primo grado, avendo ritenuto la natura fittizia degli incarichi conferiti al (OMISSIS) nel 2010, desume che anche l'incarico dato nel 2009 ed oggetto della contestazione in esame dovrebbe ritenersi fittizio, sostenendo anche il contestuale svolgimento, in modo pressocche' esclusivo, di attivita' in favore del Sindaco (pg.137). La tesi della natura fittizia dell'incarico, invero, presuppone l'accertamento in concreto delle attivita' che (OMISSIS) avrebbe svolto nell'esclusivo interesse del Sindaco, in un periodo compatibile con quello in cui vi sarebbe stata l'organizzazione e lo svolgimento del convegno della (OMISSIS). Dall'esame delle sentenze impugnate, invece, non risulta chiaramente quale tipo di attivita' (OMISSIS) avrebbe svolto in favore del Sindaco in epoca antecedente al 2010, sicche' risulta una sfasatura temporale tra la presunta indebita retribuzione e lo svolgimento di prestazioni professionali che, a tutto voler concedere, sarebbero iniziate con certezza a distanza di diversi mesi. La sentenza, inoltre, non fornisce alcuna effettiva risposta al motivo di appello proposto nell'interesse del (OMISSIS) li' dove si chiedeva che fosse valutato il fatto che il ricorrente aveva locato un immobile a Parma in epoca coeva all'organizzazione del convegno e che risultavano plurimi biglietti ferroviari attestanti i viaggi del ricorrente (residente a Roma) verso la predetta citta'. Invero, tali dati potrebbero essere svalutati rispetto alla tesi difensiva solo indicando quali sarebbero le ragioni alternative - specifiche e non genericamente intese - che avrebbero indotto il (OMISSIS) a sostenere delle spese per recarsi e soggiornare a Parma. In definitiva, la motivazione della sentenza impugnata risulta carente nella misura in cui afferma la natura fittizia dell'incarico conferito dalla societa' (OMISSIS) nel 2009, sul presupposto che la remunerazione era riferita ad altre prestazioni professionali svolte in favore del Sindaco, pur non specificando quali attivita' il (OMISSIS) avrebbe realizzato fin dal 2009. Pur a volter ipotizzare che la remunerazione riferita al 2009 fosse una sorta di anticipo rispetto alle prestazioni che (OMISSIS) sarebbe stato chiamato a svolgere nel 2010, la motivazione risulta ugualmente carente nella misura in cui non indica le ragioni per cui si dovrebbe ritenere provato tale accordo. 9.1. Infine, deve rilevarsi la fondatezza dell'ulteriore doglianza sollevata dal (OMISSIS) in ordine al vizio motivazionale concernente l'esatta individuazione dell'oggetto dell'incarico di consulenza conferito dalla societa' (OMISSIS). A fronte dell'osservazione contenuta in sentenza, secondo cui difetterebbe la prova documentale della prestazione lavorativa del (OMISSIS), quest'ultimo ha eccepito che la consulenza "giornalistica" consisteva nello svolgimento di pubbliche relazioni istituzionali, attivita' riservata agli iscritti all'ordine dei giornalisti e consistente principalmente nella divulgazione dell'iniziativa convegnistica e nel garantire la copertura mediatica dell'evento. Sulla base di tale presupposto, il ricorrente sostiene che la sua attivita' non era destinata a produrre documentazione che, di conseguenza, non poteva essere prodotta in giudizio. La dimostrazione dell'avvenuta esecuzione della prestazione professionale poteva essere dedotta esclusivamente dal fatto che lo svolgimento del convegno era stato oggetto di plurimi articoli di stampa, da ritenersi frutto dell'attivita' di sensibilizzazione svolta dal (OMISSIS). In quest'ottica, i giudici di merito avrebbero errato nel ritenere che l'opera consisteva nel predisporre la "rassegna stampa" avente ad oggetto il convegno, omettendo di considerare che la consulenza giornalistica era rivolta a far in modo che gli organi di stampa si occupassero del convegno organizzato dalla (OMISSIS). Rispetto a tale prospettazione, la sentenza impugnata non offre alcuna risposta, limitandosi a ritenere che la "consulenza giornalistica" non poteva consistere nella mera collazione della rassegna stampa. Invero, sarebbe stato necessario l'esame, in concreto, del contenuto dell'incarico assegnato a (OMISSIS), al fine di stabilire se questo potesse avere la portata e l'oggetto descritto dal ricorrente, non comportante per la sua esecuzione la necessaria predisposizione di elaborati documentali. In conclusione, si ritiene che la sentenza impugnata sia pervenuta alla conferma della condanna del (OMISSIS) e del (OMISSIS) sulla base di un presupposto non adeguatamente motivato e, cioe', che la vicenda si inserirebbe nell'ambito di un accordo per attribuire a (OMISSIS) la remunerazione per attivita' svolte a favore del Sindaco e non dell'ente conferente. Il giudice del rinvio dovra' verificare l'effettiva esistenza di tale accordo, costituendo il presupposto logico da cui desumere la mancata esecuzione della prestazione pattuita in favore della (OMISSIS), valutando anche la tempistica di svolgimento dei fatti e la circostanza che, secondo la prospettazione accusatoria, la cura della figura personale del Sindaco sarebbe avvenuta in epoca di molto successiva rispetto al novembre 2009 (apertura e gestione pagina facebook). In relazione a tale aspetto, inoltre, occorrera' motivare in merito alle ragioni della presenza di (OMISSIS) a Parma in un periodo temporale compatibile con lo svolgimento del convegno, verificando quali sarebbero state le diverse attivita' che avrebbero giustificato tale presenza. Ulteriore approfondimento motivazionale dovra' essere volto a stabilire in maniera puntuale il contenuto dell'incarico conferito dalla (OMISSIS) a (OMISSIS) e la possibilita' che la prestazione professionale possa essere stata svolta anche senza che desse luogo ad una produzione documentale direttamente riferibile a (OMISSIS). 10. Il decimo e dodicesimo motivo di ricorso formulati nell'interesse di (OMISSIS) possono essere esaminati congiuntamente, proponendo questioni del tutto similari concernenti l'attribuzione di incarichi fittizi di consulenza in favore di (OMISSIS) (capo 10) e (OMISSIS) (capo 18). Entrambi i motivi di ricorso si risolvono in generiche censure alla motivazione della sentenza impugnata, senza confrontarsi con gli specifici elementi di prova addotti a sostegno. In particolare, per quanto riguarda la posizione del (OMISSIS), e' emblematico quanto osservato in ordine alla circostanza che il vicepresidente di (OMISSIS) - societa' in cui favore si sarebbe dovuto svolgere il rapporto di consulenza - ha riferito di non aver avuto modo di rilevare alcun apporto lavorativo da parte del predetto. Considerazioni analoghe valgono in relazione a (OMISSIS), rispetto al quale la Corte di appello ha stigmatizzato l'inesistenza della benche' minima traccia di attivita' prestata in favore della (OMISSIS), quanto meno nel periodo successivo al novembre 2009, nonostante questi avesse percepito un reddito, oltre all'utilizzo gratuito di un appartamento sito in Parma fino a ottobre 2010. Corretta risulta la qualificazione giuridica in termini di peculato, anziche' di abuso d'ufficio, posto che con riguardo alle ipotesi in esame risulta l'utilizzo di denaro pubblico per remunerare prestazioni non eseguite, con l'unica finalita' evidentemente di natura privatistica - di garantire ai soggetti in questione un reddito. Ne consegue che la condotta distrattiva si e' tradotta in un vero e proprio utilizzo del denaro uti dominus, non potendosi individuare alcuna concorrente ragione di natura pubblicistica che potesse giustificare gli esborsi. 11. L'undicesimo motivo di ricorso proposto dal (OMISSIS), relativo al peculato commesso mediante l'utilizzo della carta di credito (capo 17) e' fondato. Al ricorrente si imputa di aver utilizzato la carta di credito della societa' (OMISSIS) per effettuare spese personali non meglio individuate. La sentenza impugnata motiva la conferma della condanna evidenziando come (OMISSIS) non avrebbe adeguatamente documentato le spese sostenute con la carta di credito, ne' la loro riconducibilita' ad attivita' collegata alle funzioni svolte nell'ambito della (OMISSIS). La Corte di appello richiama il principio affermato da questa Sezione, secondo cui la prova dell'indebito utilizzo della carta di credito concessa per effettuare spese istituzionali puo' desumersi, quanto meno a livello indiziarlo, dalla omessa o insufficiente rendicontazione delle spese sostenute dal pubblico agente, di cui non si fornisca una puntuale giustificazione neppure in sede processuale, atteso che tale condotta e' altamente sintomatica dell'avvenuta appropriazione (Sez.6, n. 12087 del 4/3/2020, De Angeli, Rv. 278874). Il principio, tuttavia, non e' stato correttamente applicato, nella misura in cui si e' omesso di considerare che la mancata rendicontazione costituisce esclusivamente un singolo elemento indiziario, rispetto al quale occorre necessariamente l'acquisizione di ulteriori dati idonei a fornire quel quadro dotato dei requisiti di inequivocita' e gravita' richiesto dall'articolo 192 c.p.p. Tanto cio' e' vero che, proprio nel precedente sopra richiamato, la conferma della sussistenza del reato era conseguita alla verifica di ulteriori elementi che, uniti alla mancata rendicontazione, consentivano di ritenere provato il peculato. Non e' corretto, inoltre, sottolineare che l'imputato non avrebbe fornito giustificazione delle spese sostenute neppure in sede processuale, posto che in tal modo si introduce una non consentita inversione dell'onere probatorio. L'iter accertativo, invece, avrebbe dovuto prendere le mosse dall'esame delle singole voci di addebito relative all'utilizzo della carta di credito" con conseguente onere per la pubblica accusa di verificare luogo, modalita' ed occasione in cui la spesa era stata sostenuta e la riconducibilita' o meno ad esigenze istituzionali. Applicando il principio di diritto elaborato con riferimento a diversa fattispecie, deve ritenersi che la prova dell'indebito utilizzo della carta di credito concessa per effettuare spese istituzionali grava sull'accusa, cui spetta la dimostrazione dell'appropriazione di ciascuna somma di denaro di provenienza pubblicistica e del suo indebito utilizzo per finalita' diverse da quelle consentite, ovvero per il soddisfacimento di un interesse meramente privatistico, potendo a tal fine utilizzarsi la prova indiziaria solo se la tipologia delle spese sia di per se' inequivocabilmente incompatibile con l'espletamento dell'incarico pubblico (si veda Sez. 6, n. 11341 del 17/11/2022, dep. 2023, Buscemi; Sez. 6, n. 21166 del 9/4/2019, Marino, Rv. 276067). Quanto detto comporta il necessario preventivo accertamento delle singole voci di spesa, dovendosi distinguere tra le spese ontologicamente incompatibili con le finalita' istituzionali dell'ente, che integrano di per se' una distrazione punibile, e le spese di natura ambivalente, astrattamente compatibili sia con dette finalita', sia con il soddisfacimento di un interesse esclusivamente personale dell'agente, le quali integrano il reato solo ove la pubblica accusa dimostri che le stesse siano state effettuate non gia' in correlazione con eventi di promozione dell'ente, bensi' per il soddisfacimento di un interesse meramente privatistico (Sez.6, n. 2226 del 13/11/2019, dep. 2020, Schiavone, Rv. 273217). Anche in relazione a tale imputazione, pertanto, deve disporsi l'annullamento con rinvio. 12. Alla luce di tali considerazioni, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio in relazione al capo 8), essendosi accertato che il fatto non sussiste. Per quanto concerne, invece, i capi 4), 10) e 17), la sentenza deve essere annullata con rinvio, dovendo il giudice di merito rivalutare le segnalate carenze concernenti l'accertamento in punto di fatto dei presupposti dei reati contestati. I restanti motivi proposti da (OMISSIS) devono essere rigettati, sicche' il giudice del rinvio dovra' procedere alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio con riguardo alle ipotesi di reato per le quali si e' formato il giudicato. I motivi sollevati dai ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS) e non oggetto di espresso accoglimento devono ritenersi assorbiti; in particolare, per quanto attiene alle doglianze concernenti il trattamento sanzionatorio, le questioni sollevate andranno decise dal giudice del rinvio nel caso di conferma delle statuizioni di condanna. L'accoglimento, sia pur parziale, dei motivi di ricorso, giustifica la compensazione delle spese nei confronti della parte civile. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al capo 8) perche' il fatto non sussiste. Annulla la sentenza impugnata limitatamente ai capi 4, 10 e 17 con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna. Rigetta il ricorso di (OMISSIS) nel resto. Compensa le spese di costituzione di parte civile per il grado.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente Dott. FERRANTI Donatella - rel. Consigliere Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere Dott. DAWAN Daniela - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 08/11/2022 della CORTE APPELLO di NAPOLI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. DONATELLA FERRANTI; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore CASELLA GIUSEPPINA, che ha chiesto il rigetto del ricorso. udito il difensore di (OMISSIS), avvocato (OMISSIS) del foro di TORRE ANNUNZIATA il quale, dopo aver illustrato nei dettagli i motivi di ricorso, insiste nell'accoglimento chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata. RITENUTO IN FATTO 1.La Corte di appello di Napoli con la sentenza impugnata giudicando in sede di rinvio a seguito della sentenza di annullamento della Sezione terza del 20.02.2019, che ha annullato la sentenza della Corte di appello di Napoli del 22.03.2016, limitatamente alla confisca, in riforma della sentenza emessa dal Giudice monocratico del Tribunale di Torre Annunziata del 12.07.2011 ha disposto la confisca dei manufatti indicati ai punti 4,5,9 (bungalows) 6 (sala tv), 8 (locale) 11 e 12 (scala esterna e n. 2 manufatti prefabbricati) e 15 (manufatto in muratura con copertura lamiere coibentate) di cui allo schizzo planimetrico d'insieme del complesso (OMISSIS) proveniente dal Comune di (OMISSIS). 2. Va premesso che la sentenza della Sezione terza di questa Corte n. 14743 del 2019 con riferimento alla sentenza del 22 marzo 2016 della Corte d'Appello di Napoli, che in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Torre Annunziata, ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione nei confronti di (OMISSIS) con riferimento ai reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, comma 1 lettera c), (per avere proceduto a lottizzazione abusiva materiale di area di 25.000 metri quadri in localita' (OMISSIS) realizzando in zona D 3 varie opere (tra cui sala ristorante, cucina, unita' abitativa, manufatti, bungalows, muri di contenimento, terrazzamenti, camminamenti ecc.) finalizzate allo svolgimento di attivita' turistico -ricettiva), articolo 44, comma 1, lettera c) stesso D.P.R., (per avere eseguito opere in zona sottoposta a vincolo paesaggistico), articoli 64, 65, 71 e 72 dello stesso Decreto del Presidente della Repubblica (per avere realizzato le strutture in cemento armato non in base a progetto esecutivo e senza previa denunzia), articoli 83, 93 e 95 dello stesso Decreto del Presidente della Repubblica (per avere eseguito le opere in zona sismica omettendo di depositare gli atti progettuali presso l'Ufficio del genio civile competente), Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181, comma 1 bis, (per avere eseguito le opere in area dichiarata di notevole interesse pubblico) e articolo 734 c.p. (per avere alterato o distrutto le bellezze naturali dei luoghi soggetti alla speciale protezione dell'autorita'), aveva ritenuto fondato il ricorso solo con riguardo alle censure mosse sul punto della motivazione posta a base del confermato provvedimento di confisca. In motivazione ha precisato che "quanto anzitutto alla doglianza volta a reclamare la insussistenza degli elementi costitutivi del reato di lottizzazione abusiva e che ha trovato espressione in parte nel primo motivo di ricorso nonche' nel secondo motivo nuovo del 20/06/2018 e nel primo motivo nuovo del 04/02/2019, la ricorrente, essenzialmente, contesta che nella specie non sarebbe mai avvenuto un mutamento della struttura "campeggistica" in struttura stabile anche perche' le opere realizzate nel tempo, in quanto relative a "strutture leggere", non avrebbero comunque necessitato di permesso di costruire o comunque sarebbero state oggetto di provvedimenti di sanatoria; le opere realizzate, inoltre, non contrastanti con le previsioni di piano, non avrebbero comportato alcun mutamento di destinazione d'uso del complesso. Va premesso che la presenza di pronuncia che ha dichiarato estinto il reato per prescrizione potrebbe condurre apparentemente a ritenere che l'unico aspetto legittimamente deducibile dalla ricorrente ed apprezzabile da questa Corte, potrebbe essere dato dalla omessa considerazione di elementi che, con evidenza, avrebbero dovuto condurre al proscioglimento nel merito dell'imputata ex articolo 129 c.p.p.. Al contrario, tuttavia, la devoluzione a questa Corte del tema in ordine alla motivazione spesa circa la sussistenza o meno degli elementi comprovanti la configurabilita' del reato e' giustificata in primo luogo dalla considerazione che il proscioglimento nel merito all'esito del giudizio, in caso di contraddittorieta' o insufficienza della prova, prevale, rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilita', oltre che in caso di necessaria valutazione, in sede di appello, ai fini civilistici, del compendio probatorio, anche, proprio, laddove il giudice di appello debba valutare compiutamente gli elementi di prova al fine di pronunciarsi, per confermarla o revocarla, sulla confisca dei beni disposta con la sentenza di primo grado (si veda Sez. 3, n. 6261 del 12/01/2010, Campolongo, Rv. 246187). Una seconda ragione, strettamente inerente la fattispecie in oggetto, e' poi data dal fatto che, come piu' volte precisato da questa Corte (tra le altre, Sez. 3, n. 17066 del 04/02/2013, Volpe e altri, Rv. 255112; Sez. 3, n. 15888 del 08/04/2015, Sannella e altro; Sez.3, n. 33051 del 10/05/2017, P.G. e altri in proc. Puglisi e altri), la confisca dei terreni ben puo' essere disposta anche in presenza di una causa estintiva del reato purche' sia accertata la sussistenza della lottizzazione abusiva sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell'ambito di un giudizio che assicuri il contraddittorio e la piu' ampia partecipazione degli interessati, e che verifichi l'esistenza di profili quantomeno di colpa sotto l'aspetto dell'imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza. Non e' inutile ricordare, del resto, che l'articolo 578-bis c.p.p., introdotto con il Decreto Legislativo 1 marzo 2018, n. 21 ed in vigore dal 6 aprile 2018, dispone che "quando e' stata ordinata la confisca in casi particolari prevista dal comma 1 dell'articolo 240-bis c.p. e da altre disposizioni di legge, il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, decidono sull'impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilita' dell'imputato". Ed anzi, proprio la verifica di tali componenti del reato si pone quale elemento indispensabile di assicurazione della legittimita' della misura della confisca, e della sua compatibilita' con il principio di legalita' dell'articolo 7 della Convenzione operata laddove l'esito del processo sia quello della prescrizione del reato, come appare emergere dalla decisione della Corte edu Grande Camera, 28/06/2018, Giem e altri c. Italia, che, sottolineando la necessita' di "guardare oltre le apparenze e il linguaggio adoperato" e di "guardare oltre il dispositivo del provvedimento..., essendo la motivazione una parte integrante della sentenza", si e' discostata dalla impostazione, in precedenza seguita (Corte edu, 29 ottobre 2013, Varvara c. Italia), della incompatibilita' convenzionale della confisca urbanistica disposta a seguito di proscioglimento per prescrizione, finendo per convergere sulla linea, di legittimita' della confisca stessa, espressa anche dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 49 del 2015. Cio' posto, va allora rammentato che costituisce principio gia' affermato da questa Corte quello per cui la struttura di natura "campeggistica" presuppone allestimenti e servizi finalizzati ad un soggiorno occasionale e limitato nel tempo in quanto previsto dalla legge in funzione di turisti in prevalenza provvisti di propri mezzi mobili di - pernottamento, con la conseguenza che laddove l'area destinata ad essa venga radicalmente mutata per la presenza di opere stabili, strutture abitative e servizi in grado di snaturarne le caratteristiche originarle, deve ritenersi integrato il reato di lottizzazione abusiva (tra le altre, Sez. 3, n. 29731 del 04/06/2013, Soldera e altro, Rv. 256824; Sez. fer., n. 31921 del 24/07/2012, Spaccialbelli, Rv. 253420). E nella specie la sentenza impugnata ha primariamente valorizzato, al fine di ritenere integrato il reato, proprio la diversa natura e le diverse caratteristiche che la struttura in oggetto, a vocazione campeggistica precaria e temporanea (connotata unicamente da servizi e opere comuni) ha assunto, per effetto delle opere realizzate, nel corso del tempo, assumendo la natura di insediamento stabile che, per cio' solo, avrebbe richiesto un piano particolareggiato di urbanizzazione a fronte delle conseguenti mutate esigenze di carico e degli effetti sulla specifica capacita' recettiva e sulla ordinarie modalita' di funzionamento di una campeggio. Del tutto corretta e', dunque, sotto il profilo logico, la lettura, non sostituibile con altra di questa Corte, che la sentenza impugnata ha dato del significato degli interventi, la cui fisionomia non e' contestata (trattasi, tra l'altro, di opere edilizie realizzate nell'albergo, di due prefabbricati adibiti a servizi igienici, di un manufatto in muratura ad uso deposito, di manufatto in lamiere, di baracca in pali di castagno e lamiere, di area cortilizia, in calcestruzzo e di manufatto di 80 metri quadri) complessivamente valutati. Del tutto recessive, dunque, appaiono, a fronte di tale compendio motivazionale, le deduzioni del ricorso circa la legittimita' urbanistica (originaria o sopravvenuta per effetto di dedotti provvedimenti di sanatoria) delle singole opere, in quanto, se anche corrispondenti alla realta' fattuale, estranee alla linea giuridica di cui sono espressione i principi di questa Corte sopra ricordati e in ogni caso comunque compatibili con il reato, rispondente ad una ratio diversa rispetto al singolo reato di edificazione senza permesso di costruire, di lottizzazione abusiva. Il motivo di ricorso, relativo alla dedotta violazione del principio del ne bis in idem, e' manifestamente infondato. Affinche', infatti, possa lamentarsi una indebita duplicita' di irrogazione di sanzioni, e' necessaria la medesimezza della sanzione stessa; al contrario, la stessa prospettazione del motivo fonda la indebita duplicita' sul fatto che nei confronti della ricorrente sarebbero stati in precedenza disposti, in relazione agli abusi edilizi posti in essere. provvedimenti di demolizione, quale sanzione, tuttavia, all'evidenza diversa da quella della confisca applicata con la sentenza di primo grado confermata in sede di appello.. E' poi inammissibile la doglianza di cui al primo motivo nuovo del 20/06/2018 in ordine alla invocata prescrizione del reato ancor prima della pronuncia della sentenza di primo grado. Tale inammissibilita' deriva, in primo luogo, dalla non avvenuta deduzione, con i motivi originari, del punto relativo al momento consumativo del reato, con conseguente violazione dell'articolo 585 c.p.p.; infatti, come piu' volte chiarito da questa Corte, in virtu' del combinato disposto dell'articolo 585 c.p.p., comma 4, e articolo 167 disp. att., la presentazione di motivi nuovi e' consentita a condizione che essi investano capi o punti della decisione gia' oggetto dell'atto originario di gravame, ai sensi dell'articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera a), e consistano in un'ulteriore illustrazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono l'originaria richiesta rivolta al giudice dell'impugnazione, non anche quando essi consistano in deduzioni riguardanti parti del provvedimento gravato che non erano state oggetto della primitiva impugnazione, poiche', in caso contrario, risulterebbero aggirati i termini prescritti dalla legge per la presentazione del ricorso, la cui inosservanza e' sanzionata con l'inammissibilita' del gravame (Sez. U, n. 4683 del 25/02/1998, Rv. 210259; Sez. 1, n. 40932 del 26/05/2011, Rv. 251482; Sez. 2, n. 53630 del 17/11/2016, Rv. 268980 e, da ultimo, Sez.2, n. 17693 del 17/01/2018, Corbelli, Rv. 272821). Un secondo motivo di inammissibilita' consiste poi, in ogni caso, nella mancanza di interesse in capo al ricorrente. Infatti, a fronte della comunque intervenuta decisione di improcedibilita' per estinzione del reato proprio in conseguenza di maturata prescrizione, l'unico interesse concretamente rinvenibile nella deduzione che vorrebbe collocare il momento estintivo in una data precedente a quella rilevata dalla Corte territoriale sarebbe ricollegabile alla preclusione che una prescrizione maturata in particolare anteriormente all'esercizio dell'azione penale determinerebbe quanto alla possibilita' di accertamento delle componenti oggettive e soggettive del reato, e alla conseguente adottabilita' della confisca, sulla scia, evidentemente, di quanto gia' affermato da questa Corte (v. infatti, nel senso che quando l'esercizio dell'azione penale risulti precluso, essendo gia' maturata la prescrizione del reato, e' impedito al giudice di compiere l'accertamento del reato quale presupposto necessario per disporre la confisca anche in presenza di una causa estintiva del reato, Sez.3, n. 35313 del 19/05/2016, Imolese e altri, Rv. 267534)". La Sezione terza ha affermato "che e' tuttavia, e' indubitabile che, nella specie, l'accertamento della sussistenza delle componenti del reato si sia avuto gia' sin dalla sentenza di primo grado e sia stato ulteriormente operato anche con la sentenza di secondo grado, diffusamente soffermatasi sul punto.. E' invece fondata la censura sollevata in ordine al profilo della confisca investito dal primo motivo originario di ricorso e dal secondo motivo nuovo del 04/02/2019. A fronte della richiesta di revoca della confisca effettuata in sede di atto di appello, la sentenza impugnata, dopo avere, per le ragioni gia' riepilogate sopra, correttamente escluso la insussistenza del reato di lottizzazione e pronunciato sentenza di improcedibilita' per estinzione dello stesso per prescrizione, nulla ha espressamente statuito in ordine alla confisca, cosi' essendone derivata, per effetto della conferma, nel resto, della sentenza di primo grado, la conferma anche della statuizione con cui il Tribunale di Torre Annunziata, sez. dist. di Sorrento, ebbe a disporre la "confisca dei terreni abusivamente lottizzati nonche' delle opere abusivamente costruite e la loro devoluzione al Comune di (OMISSIS)". Se, in ragione di quanto gia' osservato sopra quanto alla compatibilita', da ultimo enunciata anche dalla Grande Camera della Corte edu con la decisione gia' ricordata, tra declaratoria di estinzione del reato per prescrizione e confisca, nessun rilievo puo' allora essere svolto in ordine al mantenimento della confisca sotto tale profilo, mantenimento coerentemente seguito all'accertamento del reato nelle sue componenti oggettiva e soggettiva, va invece osservato come la implicita corretta risoluzione di tale aspetto non potesse bastare ad esaurire l'aspetto della legittimita' della confisca, gia' in primo grado enunciata nei termini appena sopra riportati e senza alcuna motivazione al riguardo, tenuto conto in particolare della necessaria valutazione dell'aspetto, sollevato con i motivi di ricorso, afferente alla proporzionalita' della misura. Va allora ricordato che il Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, comma 2, prevede la confisca tanto "dei terreni abusivamente lottizzati" quanto "delle opere abusivamente costruite", cosicche' la misura appare contemplata indipendentemente dalla edificazione, essendo terreni lottizzati anche quelli oggetto di lottizzazione meramente negoziale e non consistendo necessariamente le opere in edifici propriamente detti ben potendo rientrare in tale concetto, ad esempio, gli interventi di urbanizzazione primaria (come fognature, rete idrica, elettrica, strade di collegamento etc.), e potendo l'intervento lottizzatorio, pur in presenza di edifici, non essere limitato all'area di sedime degli stessi, ma comprendere anche altre aree che, essendo in qualche modo asservite, direttamente o indirettamente, agli edifici stessi, rientrino nel complesso di attivita' univocamente finalizzate al conferimento di un diverso assetto del territorio. Cio' puo' comportare tuttavia che, possa operare con riguardo a tutte dalla presenza o meno di edifici, diverso assetto del territorio. se pure, come appena ricordato, la confisca le aree abusivamente lottizzate, indipendentemente una tale misura ablativa possa riguardare aree completamente estranee all'attivita' lottizzatoria abusiva da intendersi nel senso appena ricordato. Gia' questa Corte, infatti, sulla base dei principi costituzionali e convenzionali, ha a suo tempo affermato che i "terreni lottizzati" ovvero "rientranti nel generale progetto lottizza. torio" vanno identificati in quelli che risultano oggetto di un'operazione di frazionamento preordinata ad agevolarne l'utilizzazione a scopo edilizio. Ove esista, pertanto, un preventivo frazionamento, va confiscata tutta l'area interessata da tale frazionamento, nonche' dalla previsione delle relative infrastrutture ed opere di urbanizzazione, indipendentemente dall'attivita' di edificazione posta concretamente in essere. Nell'ipotesi, invece, in cui non sia stato predisposto un frazionamento fondiario e tuttavia si sia conferito, di fatto, un diverso assetto ad una porzione di territorio comunale, la confisca va limitata a quella porzione territoriale effettivamente interessata dalla vendita di lotti separati, dalla edificazione e dalla realizzazione di infrastrutture (cosi', in motivazione, Sez. 3, n. 37472 del 26/6/2008, Belloi e altri, Rv. 241101). E tale assunto, evidentemente fondato sull'esigenza che la misura sia proporzionata alle finalita' di tutela perseguite e non inutilmente vessatoria quanto ai diritti del destinatario, in consonanza con un orientamento ormai generalmente predicato quanto alle misure di tipo ablativo, anche cautelari (per tutte, da ultimo, Sez. U., n. 36072 del 19/04/2018, P.M. in proc. Botticelli e altri, Rv.273548), va ribadito alla luce delle affermazioni contenute sul punto nella decisione gia' richiamata della Corte edu Grande Camera, 28/06/2018, Giem e altri c. Italia. La Corte, dopo avere ricordato che, al fine di valutare la proporzionalita' della confisca, vanno considerate: la possibilita' di adottare misure meno restrittive, quali la demolizione di opere non conformi alle disposizioni pertinenti o l'annullamento del progetto di lottizzazione; la natura illimitata della sanzione derivante dal fatto che puo' comprendere indifferentemente aree edificate e non edificate e anche aree appartenenti a terzi; il grado di colpa o di imprudenza dei ricorrenti o, quanto meno, il rapporto tra la loro condotta e il reato in questione, ha espressamente affermato che l'applicazione automatica della confisca in caso di lottizzazione abusiva prevista - salvo che per i terzi in buona fede - dalla legge italiana sarebbe in contrasto con detto principio di proporzionalita', in quanto non consente al giudice di valutare quali siano gli strumenti piu' adatti alle circostanze specifiche del caso di specie e, piu' in generale, di bilanciare lo scopo legittimo soggiacente e i diritti degli interessati colpiti dalla sanzione (v., segnatamente, § 302). In altri termini, deve allora ritenersi, con interpretazione anche convenzionalmente orientata, che sulla valutazione della conformita' della confisca conseguente al reato di lottizzazione abusiva al principio di protezione della proprieta' di cui all'arti del protocollo n. 1 della Convenzione edu debba necessariamente incidere anche l'aspetto, espressamente dedotto con i motivi di ricorso, della individuazione dei beni oggetto della misura: in tanto potra' dunque parlarsi di confisca legittima ove limitata ai beni immobili direttamente interessati dall'attivita' lottizzatoria e ad essa funzionali mentre dovra' concludersi in senso opposto, e dunque di misura non rispettosa dei criteri di proporzionalita', se applicata a terreni non direttamente interessati dall'attivita' lottizzatoria (si veda da ultimo, in generale, Sez. 3, n. 8350 del 23/01/2019, Alessandrini e altri, non ancora massimata). Cio' posto, nella specie la ricorrente ha in particolare dedotto come la sentenza impugnata, pur a fronte della illiceita' della condotta, circoscritta alle sole opere che avrebbero comportato la trasformazione della struttura e dell'area, attribuendo alle stesse una veste di insediamento stabile, si e' limitata a confermare la generalizzata statuizione di una confisca relativa ai terreni abusivamente lottizzati e alle opere abusivamente realizzate senza operare alcuna distinzione che avrebbe invece dovuto discendere proprio dal principio di proporzionalita' e suggerire una mirata selezione alle sole opere funzionali alla trasformazione avvenuta. La censura e' fondata: la conferma di una formula indefinita, corrispondente peraltro a quella impiegata dal legislatore, con mancanza di ogni motivazione volta a dar conto della valutazione dei principi di proporzionalita', impone dunque, stante la necessita' di un accertamento in fatto sul punto, estraneo ai compiti di questa Corte, l'annullamento con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli della sentenza impugnata. Sara' onere del giudice del rinvio, con ogni ampiezza di potere delibativo, valutare i termini di conformita' al principio di proporzionalita' dell'area applicativa della misura in oggetto". 3. (OMISSIS) a mezzo del difensore di fiducia ha presentato ricorso deducendo i seguenti motivi: 3.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge in riferimento all'articolo 627 c.p.p. e al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articoli 44 e 30 oltre che al protocollo n. 1 Cedu con riferimento al principio di violazione del principio di proporzione della confisca dei manufatti indicati nel dispositivo; deduce inoltre il vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta impossibilita' di ordinare la demolizione dei manufatti confiscati per contrasto con le dichiarazioni dei tecnici comunali escussi nel corso dell'istruttoria dibattimentale e con la documentazione versata in atti. Lamenta che il giudice a quo non ha valutato misure meno restrittive riguardanti la demolizione delle opere e in particolare dei bungalows e ha interpretato la volonta' della ricorrente di voler attendere istanze di condono o altri provvedimenti in sanatoria come la volonta' di non volersi adeguare all'accertamento della illegittimita' della lottizzazione abusiva. I tecnici comunali durante l'istruttoria avevano affermato che la domanda di condono non era stata definita per mancanza di personale; inoltre il vincolo ambientale era stato escluso e l'amministrazione comunale e' intenzionata ad adeguare la pianificazione urbanistica vigente alle modifiche regolarizzate urbanisticamente mediante procedure di condono. La misura sanzionatoria non e' proporzionata ed e' ingiustamente afflittiva; anche perche' risultano gia' demoliti opere diverse dai bungalows specificatamente indicati nella relazione tecnica del comune a seguito dei sopralluoghi e pure oggetto della pronuncia di confisca. (ha allegato al ricorso due comunicazioni di diffida del 2020 e del 29.07.2022 indirizzate al Comune di (OMISSIS) riguardanti la conclusione del procedimento di condono seguenti opere facenti parte della lottizzazione abusiva: n. 5 sala TV / 6 e 7 che rappresentano due stecche di bungalow con struttura e tamponatura in legno e copertura lamiere /12 ampliamento di cucina al piano sottostante l'abitazione delle proprietaria in muratura e copertura in tegole/17 chiosco bar in legno in prossimita' della piscina /19 muratura in pietre calcaree e sovrastante solaio su cui struttura circolare in legno) 3.2.Con il secondo motivo deduce la violazione dell'articolo 74 e ss c.p. e 541 c.p.p. in relazione agli articoli 578 bis e 627 cod.proc.pen in quanto il giudice ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese della parte civile in contrasto con la richiesta difensiva di esclusione della parte civile nel giudizio di rinvio non avendo alcun interesse alla confisca che non e' un istituto volto a garantire il soddisfacimento delle ragioni creditorie della parte civile CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Va premesso, come recentemente ribadito da questa Corte di legittimita',(Sez. 3 -, n. 21910 del 07/04/2022 Rv. 283325-02) che alla confisca di cui trattasi deve riconoscersi - e da tempo si riconosce - natura di sanzione penale sostanziale, in quanto tale soggetta alla disciplina dettata in ambito convenzionale dall'articolo 7 CEDU (la conclusione e' sostanzialmente pacifica dopo che la Corte Europea dei dirittidell'uomo, con sentt. 30 agosto 2007 e 20 gennaio 2009, rese in causa Sud FondiS.r.l. e aa. c. Italia, ha evidenziato gli scopi prevalentemente repressivi dell'istituto), in forza dell'espressa previsione sostanziale di cui all'articolo 44, comma 2, t.u.e. la giurisprudenza nazionale ha sempre affermato, ben prima dell'introduzione dell'articolo 578-bis nel codice di rito, la confiscabilita' dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite pur in presenza di una causa estintiva del reato, purche' l'accertamento giudiziale del reato di lottizzazione abusiva riguardi tanto il profilo oggettivo quanto quello soggettivo (Sez. 3, n. 21188 del 30/04/2009, Casasanta e aa., Rv. 243630; Sez. 3, n. 39078 del 13/07/2009, Apponi e aa., Rv. 245347) e cio' avvenga nell'ambito di un giudizio che assicuri il contraddittorio e la piu' ampia partecipazione degli interessati e che verifichi l'esistenza di profili quantomeno di colpa sotto l'aspetto dell'imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza dei soggetti nei confronti dei quali la misura viene ad incidere (Sez. 3, n. 17066 del 04/02/2013, Volpe e aa., Rv. 255112). Quest'interpretazione ha poi ricevuto il definitivo avallo anche nel sistema convenzionale con la sent. Corte EDU (Grande Camera) 28 giugno 2018 in causa G.I.E.M. Srl e aa. c. Italia. La Grande Camera -per quanto qui rileva -, dopo aver verificato la sussistenza di idonea base legaleper la confisca in parola nell'articolo 44 t.u.e. (§. 220) ed averne ribadito la natura di "pena" sul piano del diritto convenzionale (§§. 221 ss.), confermando la lettura che della sentenza Varvara era stata data dalla Corte costituzionale e dalla successiva giurisprudenza di legittimita', ha affermato che sebbene l'articolo 7 CEDU 7esiga, "per punire, una dichiarazione di responsabilita' da parte dei giudici nazionali, che possa permettere di addebitare il reato e di comminare la pena al suo autore" (§. 250) e sebbene "la dichiarazione di responsabilita' penale richiesta e' spesso contenuta in una sentenza penale che condanna formalmente l'imputato, in ogni caso cio' non costituisce una norma imperativa. In effetti la sentenza Varvara non permette di concludere che le confische per lottizzazione abusiva devono necessariamente essere accompagnate da condanne penali ai sensi del diritto nazionale" (§. 252). La Corte di Strasburgo ha pertanto concluso che "qualora i tribunali investiti constatino che sussistono tutti gli elementi del reato di lottizzazione abusiva pur pervenendo a un non luogo a procedere, soltanto a causa della prescrizione, tali constatazioni, in sostanza, costituiscono una condanna nel senso dell'articolo 7, che in questo caso non e' violato" (§. 261). Alla luce dell'evoluzione della giurisprudenza sovranazionale e domestica quale sopra riepilogata, non v'e' dubbio, pertanto, che il fondamento normativo sostanziale dell'applicazione della confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere ivi abusivamente costruite, da disporsi con la sentenza del giudice penale che accerta esservi stata lottizzazione abusiva, sia rinvenibile nell'articolo 44, comma 2, t.u.e., la cui applicazione non e' impedita dalla prescrizione del reato, quando ne sia accertata la sussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo. La previsione di cui all'articolo 578-bis c.p.p., introdotto dal Decreto Legislativo 1 marzo 2018, n. 21, articolo 6, comma 4, dunque, con riguardo alla confisca in esame ha esclusivamente efficacia processuale, precisando in conformita', peraltro, all'orientamento interpretativo gia' in precedenza assolutamente maggioritario - che il giudice dell'impugnazione ha l'obbligo di decidere il gravame sull'accertamento della responsabilita' per il reato di lottizzazione abusiva, pur estinto per prescrizione sul piano penale, ai soli fini della decisione sulla confisca. In particolare, il reato e' integrato non solo dalla trasformazione effettiva del territorio, ma da qualsiasi attivita' che oggettivamente comporti anche solo il pericolo di una urbanizzazione non previstao diversa da quella programmata (Sez. 2, n. 22961 del 29/03/2017, De Vigili e a., Rv. 270177, relativa ad ipotesi di lottizzazione negoziale; Sez. 3, n. 37383 del 16/07/2013, Desimine e aa, Rv. 256519, relativa ad ipotesi di lottizzazione materiale concretizzatasi in lavori interni di redistribuzione degli spazi, finalizzati alla trasformazione in appartamenti di un complesso immobiliare con precedente destinazione d'uso alberghiera), sempreche' si tratti d'interventi mirati alla realizzazione di opere che, per caratteristiche o dimensioni, siano idonee a pregiudicare la riserva pubblica di programmazione territoriale (Sez. 3, n. 15404 del 21/01/2016, Bagliani e a., Rv. 266811). Si tratta, poi, di reato a consumazione alternativa, potendo realizzarsi sia quando manchi un provvedimento di lottizzazione, sia quando quest'ultimo sussista ma contrasti con le prescrizioni degli strumenti urbanistici, in quanto grava sui soggetti che predispongono un piano di lottizzazione, sui titolari di concessione, sui committenti e costruttori l'obbligo di controllare la conformita' dell'intera lottizzazione e delle singole opere alla normativa urbanistica e alle previsioni di pianificazione (Sez. U, n. 5115 del 28/11/2001, dep. 2002, Salvini, Rv. 220708; Sez. 3, n. 33051 del 10/05/2017, Puglisi e aa., Rv. 270645). Laddove manchi la necessaria autorizzazione, il reato di lottizzazione abusiva non e' peraltro escluso dal rilascio dei permessi di costruire, dovendosi qui ribadire il risalente indirizzo secondo cui - posto che la convenzione âEuroËœdi lottizzazione prevede anche l'accollo di una quota parte delle opere di urbanizzazione secondaria - nemmeno l'impegno del privato ad eseguire le opere di urbanizzazione primaria nel contesto del rilascio di un titolo edilizio puo' surrogare la mancanza di un piano di lottizzazione, poiche' l'urbanizzazione dei terreni deve essere programmata per zona e non avvenire in occasione dell'edificazione dei singoli lotti, sicche' costituisce lottizzazione abusiva anche la nuova utilizzazione del terreno a SCOPO di insediamento residenziale pur se sia richiesto il permesso di costruire ovvero siano rilasciati una pluralita' di permessi nella zona interessata dal nuovo insediamento, tanto piu' che il permesso di costruire non ha la funzione di pianificare l'uso del territorio (Sez. 3, n. 302 del 26/01/1998, Ganci e aa., Rv. 210400, che, ovviamente, si riferiva non gia' al permesso di costruire ma all'identico titolo all'epoca denominato concessione edilizia; piu' di recente, Sez. 3, n. 36397 del 17/04/2019, Taranto, Rv. 277169- 01).. Sul piano oggettivo, integrano dunque gli estremi della lottizzazione abusiva c.d. materiale le condotte di inizio dell'esecuzione di opere idonee a determinare una trasformazione urbanistica od edilizia del territorio in violazione di previsioni di piano o normative, ovvero in assenza di autorizzazione, anche se detta trasformazione non si sia ancora consumata. 2. Il Collegio, alla luce dei principi sopra richiamati, ritiene che il primo motivo di ricorso sia manifestamente infondato. 2.1.Si tratta, come e' evidente, di elementi fattuali, direttamente riscontrati nel giudizio di merito, che depongono in maniera incontrovertibile per la sussistenza della lottizzazione abusiva che ha riguardato, nel tempo attraverso una serie di interventi di costruzione senza autorizzazione e successivi provvedimenti singoli in sanatoria nel 2002 e 2007, l'alterazione dell'originaria fisionomia dell'insediamento da campeggio trasformato in vero e proprio villaggio turistico (v fol 6 e 7 sentenza impugnata). Quanto alla disposta confisca, all'esito di una valutazione argomentata e corretta che attiene al giudizio di proporzionalita', la Corte territoriale in sede di rinvio ha escluso dall'applicazione della misura le opere oggetto di concessione edilizia in sanatoria che costituivano il nucleo originario ed erano precedenti alla complessiva trasformazione del territorio in villaggio turistico (fol 7 e 8) e le opere estranee a tale trasformazione (punto 16, porcile, punto 17 la baracca, punto 18 la tettoia in ferro, il pollaio punto 19). Va infatti ricordato che i permessi in sanatoria ottenuti mediante procedura di condono per le opere realizzate sui terreni lottizzati, come affermato dalla prevalente giurisprudenza di questa Corte, possono eventualmente legittimare, ricorrendone i presupposti, soltanto le opere che costituiscono oggetto della lottizzazione, ma non comportano alcuna valutazione di conformita' di tutta la lottizzazione alle scelte generali di pianificazione urbanistica, con la conseguenza che il rilascio di piu' titoli abilitativi nell'area interessata da una lottizzazione abusiva non rende lecita tale attivita' (Sez. 3 n. 44517 del 17/07/2019 Ud. (dep. 31/10/2019) Rv. 277261 - 01 Sez. 3, n. 9982 del 21/11/2007 (dep.2008), Quattrone, Rv. 238983; Sez. 3, n. 28532 del 23/6/2009, Longo Carla e altri, Rv. 244441). La L. n. 47 del 1985, articolo 35, comma 13 - secondo cui "per le costruzioni ed altre opere di cui all'articolo 31, comma 1, realizzate in comprensori la cui lottizzazione sarebbe dovuta avvenire a norma della L. 6 agosto 1967, n. 765, articolo 8, il versamento dovuto per l'oblazione di cui all'articolo 31 non costituisce titolo per ottenere il rilascio della concessione edilizia in sanatoria, che resta subordinata anche all'impegno di partecipare pro-quota agli oneri di urbanizzazione dell'intero comprensorio in sede di stipula della convenzione" osservando che tale norma e' sostanzialmente riferita a quegli interventi che sarebbero stati realizzabili soltanto in seguito alla preventiva approvazione di un piano di lottizzazione e che sono stati viceversa effettuati in carenza di tale strumento attuativo. Si aggiunge, nella medesima pronuncia, che, invece, gli interventi edificatori che si inseriscono in una lottizzazione illecita in quanto, per le loro connotazioni oggettive, si pongono in contrasto con previsioni di zonizzazione e/o di localizzazione dello strumento generale di pianificazione, per potere essere condonati devono essere necessariamente ricompresi, ai sensi della medesima L. n. 47 del 1985, articolo 29, in una apposita variante per il recupero degli insediamenti abusivi, ricordando come cio' sia stato evidenziato anche dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 107/1989 - nella quale si e' affermato che "il rilascio di concessione edilizia in sanatoria, per edifici compresi in una lottizzazione illegale, e' subordinato alla sanatoria della stessa lottizzazione, attraverso l'approvazione di una variante agli strumenti urbanistici, secondo il disposto della L. n. 47 del 1985, articolo 29 e L. n. 47 del 1985, articolo 32, lettera b)" - e richiamando il contenuto de comma 3 del citato articolo 29 L. 47/1985 il quale prevede che: "gli insediamenti avvenuti in tutto o in parte abusivamente, fermi restando gli effetti della mancata presentazione dell'istanza di sanatoria previsti dall'articolo 40, possono formare oggetto di apposite varianti agli strumenti urbanistici al fine del loro recupero urbanistico, nel rispetto comunque dei principi di cui al comma 1 e delle previsioni di cui alle lettera e), f) e g) del precedente comma 2". Nelle pronunce di questa Corte sopra richiamate si riafferma il principio che l'eventuale mero rilascio di una pluralita' di concessioni edilizie in sanatoria nell'area interessata da una lottizzazione abusiva, nel coso concreto nemmeno rilasciate, non rende lecita un'attivita' che tale non e' perche' la concessione non ha una funzione strumentale urbanistica di pianificazione dell'uso del territorio, mentre i manufatti abusivamente eseguiti, in attuazione del fine lottizzazione e nell'ambito della lottizzazione, possono essere, invece, "sanati", soltanto previa valutazione globale dell'attivita' lottizzatoria secondo il rigoroso meccanismo in precedenza descritto. 2.2. Cio' posto, osserva il Collegio che, nella fattispecie, tale specifica procedura non risulta attuata e gli stessi ricorrenti si limitano a richiamare la mera presentazione di domande di condono ancora pendenti riguardanti singole opere e in alcuni casi, il rilascio di provvedimenti sananti riguardanti alcuni manufatti, di cui da' peraltro conto il Giudice del rinvio a fol 7 e che sottrae alla confisca proprio perche' trattasi di opere, per le quali vi e' stata la concessione edilizia in sanatoria, che costituivano il nucleo originario ed erano precedenti alla complessiva trasformazione del territorio in villaggio turistico. E ovvio che l'eventuale inerzia dell'amministrazione non puo' legittimare cio' che non potrebbe essere sanato con un provvedimento espresso e, soprattutto, che non risulta che il procedimento di eventuale rilascio espresso dei titoli abilitativi in sanatoria sia preceduto dalla necessaria globale valutazione dell'attivita' lottizzatoria, sicche' le sanatorie singolarmente conseguite e le altre ancora pendenti non risultano, alla luce di quanto accertato in fatto nel giudizio di merito, svolgere effetto anche riguardo ai singoli immobili realizzati in attuazione dell'illecita attivita' lottizzatoria e oggetto del provvedimento di confisca. Va aggiunto, che quanto osservato vale, a maggior ragione, per cio' che concerne la sanatoria attualmente disciplinata dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 36, avendo questa Corte affermato che in presenza di una lottizzazione abusiva deve escludersi la possibilita' di sanatoria, disciplinata dall'articolo 36 del Testo Unico dell'edilizia (Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380), delle opere realizzate in assenza di titolo abilitativo conseguente ad accertamento di conformita', dal momento che dette opere sono senz'altro non conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro realizzazione, sicche' le stesse non sono sanabili, cosi' come la lottizzazione abusiva (Sez. 3, n. 28784 del 16/5/2018, PG. in proc. Amente e altri, Rv. 273307.) A tali considerazioni che attengono ai principi giuridici vigenti in materia vengono opposti dalla difesa meri argomenti in fatto che, ancora una volta, prescindono dai contenuti della motivazione logica e coerente, fol 8 e 9, adottata dalla Corte distrettuale in sede di rinvio, attinente al necessario ripristino della legalita' mediante la confisca, misura ritenuta congrua e proporzionata, dei bungalow (punti 4/5/9) nonche' delle altre opere di cui al punto 6 sala tv, al locale di cui al punto 8,alla scala in ferro esterna, ai due manufatti prefabbricati adibiti a servizi igienici, al manufatto in muratura ad uso deposito. 3. E' fondato il motivo di ricorso riguardante le spese liquidate alla costituita parte civile in quanto vale al riguardo il principio per cui non e' consentito l'intervento della parte civile nel giudizio di cassazione, che abbia ad oggetto esclusivamente il trattamento sanzionatorio o la confisca dei beni degli imputati in quanto tali questioni non possono avere alcuna incidenza sugli interessi civili e, nel caso in cui l'intervento sia comunque avvenuto, non possono porsi a carico dell'imputato le relative spese (Sez. 5, n. 47876 del 12/11/2012, Adamo, Rv. 254525). Al soddisfacimento immediato delle ragioni creditorie della parte civile e' previsto, infatti, non gia' l'istituto della confisca, o del sequestro preventivo ad essa funzionale, ma quello del sequestro conservativo (che, con il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, contenente la statuizione risarcitoria a favore della parte civile, si converte in pignoramento: articolo 320 c.p.p., comma 1) e i due istituti non sono tra loro fungibili (sicche', tra l'altro, ne e' ammissibile la coesistenza sugli stessi beni, o anche il succedersi nel tempo dei distinti vincoli reali, ove ne ricorrano i presupposti di applicazione): 4. In conclusione la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla pronunciata condanna alle spese in favore della parte civile, statuizione che elimina. Il ricorso va rigettato nel resto. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla pronunciata condanna alle spese in favore della parte civile, statuizione che elimina. Rigetta il ricorso nel resto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAGO Geppino - Presidente Dott. VERGA Giovanna - Consigliere Dott. DI PAOLA Sergio - rel. Consigliere Dott. BORSELLINO Maria D. - Consigliere Dott. MINUTILLO T. Marzia - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 14/12/2021 della Corte d'appello di Torino; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. DI PAOLA Sergio; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa COCOMELLO Assunta, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e rigettarsi i restanti ricorsi; udita l'Avv. (OMISSIS), in sostituzione degli Avv. (OMISSIS) e (OMISSIS), nell'interesse di (OMISSIS), che ha concluso chiedendo accogliersi il ricorso; udito l'Avv. (OMISSIS), nell'interesse di (OMISSIS), che ha concluso chiedendo accogliersi il ricorso; udito l'Avv. (OMISSIS), nell'interesse di (OMISSIS), che ha concluso chiedendo accogliersi il ricorso; udita l'Avv. (OMISSIS), nell'interesse di (OMISSIS), che ha concluso chiedendo accogliersi il ricorso; udito l'Avv. (OMISSIS), nell'interesse di (OMISSIS), che ha concluso chiedendo accogliersi il ricorso; uditi gli Avv. (OMISSIS) e (OMISSIS), nell'interesse di (OMISSIS), che hanno concluso chiedendo accogliersi il ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'appello di Torino, con la sentenza impugnata in questa sede, decidendo all'esito del giudizio di rinvio disposto con la sentenza di annullamento della Corte di Cassazione del 18 novembre 2019, ha parzialmente riformato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Torino in data 7 ottobre 2016, nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), affermando la responsabilita' dei predetti in accoglimento dell'appello della parte pubblica, nonche' nei confronti di (OMISSIS), confermando il giudizio di responsabilita' in ordine ai reati loro rispettivamente ascritti nella qualita' di consiglieri regionali della Regione Piemonte per aver concorso, unitamente ai rispettivi capi gruppo consiliari, nei fatti di peculato riguardanti il rimborso di spese non inerenti le attivita' del rispettivo gruppo consiliare, determinando il relativo trattamento sanzionatorio. 2. Per quanto rileva in questa sede, la Corte d'appello di Torino con la sentenza in data 24 luglio 2018 - a fronte della pronuncia di assoluzione da parte del giudice di primo grado degli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) in relazione alle imputazioni loro ascritte di peculato - aveva riconosciuto la responsabilita' dei predetti imputati ravvisando nelle condotte dei singoli consiglieri regionali gli estremi del contestato delitto, sulla scorta della ricostruzione del sistema dei rimborsi e della natura delle spese indebitamente sostenute. Proposto ricorso in sede di legittimita', la ricordata sentenza della Corte di Cassazione aveva annullato le statuizioni di condanna unicamente in relazione al profilo riguardante la prova, negli episodi contestati ai singoli consiglieri, del concorso dei rispettivi capigruppo cosi' come indicato nelle imputazioni, nonche' del corrispondente elemento soggettivo, rigettando o dichiarando inammissibili gli stessi ricorsi in ordine alle altre questioni poste a base delle impugnazioni. In particolare, la sentenza rescindente aveva rilevato che i dati utilizzati dalla Corte territoriale - il regolamento di cui si era dotato il gruppo consiliare; l'assenza di meccanismi di verifica delle richieste di rimborso; l'ampiezza dei rimborsi consentiti; la responsabilita' del capogruppo desumibile dalla sentenza di patteggiamento con cui aveva definito la propria posizione - non fossero sicuramente idonei a sostenere il giudizio sulla sussistenza della prova del concorso, in quanto compatibili anche con scenari differenti (attestanti, al piu', un difetto di diligenza da parte del capogruppo nel non aver predisposto i necessari controlli, senza alcuna volonta' di favorire i singoli consiglieri). Aveva, quindi, affidato al giudice del rinvio il nuovo esame di tale profilo, richiamando altresi' l'obbligo di adottare la necessaria motivazione rafforzata atteso il ribaltamento del verdetto assolutorio di primo grado. 3. Hanno proposto ricorso per cassazione le difese degli imputati deducendo i motivi di ricorso cosi' riassunti. 4. I difensori di (OMISSIS) hanno dedotto, con il primo motivo, violazione di norme processuali previste a pena di nullita', in relazione all'articolo 627 c.p.p., comma 3, nonche' vizio di motivazione, in riferimento all'affermata sussistenza del concorso nel contestato reato di peculato del ricorrente e del capogruppo consiliare del gruppo (OMISSIS) (OMISSIS). La Corte territoriale aveva replicato il percorso motivazionale gia' censurato dalla Corte di Cassazione, poiche' il riferimento alla condotta attribuibile a ciascuno dei concorrenti (il capogruppo consiliare e l'odierno ricorrente), da collocare nell'ambito di un accordo condiviso, avrebbe imposto l'accertamento del relativo dolo diretto sulla base di elementi diversi da quelli gia' indicati nella sentenza annullata (e ritenuti inidonei per la dimostrazione dell'elemento soggettivo, come specificato nella sentenza rescindente). In particolare, la Corte d'appello aveva fatto leva sul contenuto della sentenza di patteggiamento del (OMISSIS), sulla formazione collegiale del regolamento interno sui rimborsi, in termini generici ed ampi, sulla sistematicita' dei rimborsi richiesti, sull'inadeguatezza dei controlli, elementi tutti gia' valutati dalla sentenza di annullamento come inidonei e insufficienti per dimostrare il dolo del concorrente. Inoltre, anche l'opzione riguardante la possibilita' di accertare in capo al capogruppo consiliare un atteggiamento riconducibile alla categoria del dolo eventuale era stata valutata in modo errato, in ragione del contenuto dell'esame reso dal coimputato patteggiante da cui emergeva un quadro di negligenza e leggerezza, del tutto incompatibile con la prospettazione del dolo eventuale (semmai, al contrario, coerente con l'apprezzamento di una condotta colposa, pur se aggravata dalla previsione dell'evento). 4.1. Con il secondo motivo i difensori deducono violazione di norme processuali previste a pena di nullita', in riferimento all'articolo 627 c.p.p., commi 2 e 3, in relazione all'articolo 603 c.p.p., comma 3 bis; la Corte territoriale, pur valutando le dichiarazioni delle testimoni (OMISSIS) e (OMISSIS), e ritenendole inattendibili, non aveva proceduto alla rinnovazione della prova dichiarativa richiesta da altro difensore, trattandosi di prova decisiva per apprezzare l'elemento soggettivo dei consiglieri in termini di colpa e non di atteggiamento doloso. 4.2. Con il terzo motivo si segnala l'errore materiale contenuto nel dispositivo della sentenza impugnata in cui mancava l'indicazione dell'avvenuta concessione dei doppi benefici di legge, come indicato nel dispositivo letto in udienza. 5. Il difensore di (OMISSIS) ha dedotto, con il primo motivo, violazione di norme processuali previste a pena di nullita', in relazione all'articolo 627 c.p.p., comma 3, nonche' vizio di motivazione, mancante del carattere "rafforzato" richiesto in ragione del contenuto della sentenza di annullamento della Corte di Cassazione. La sentenza impugnata, pur a fronte di autonome e distinte imputazioni (capi 52 e 54), aveva adottato i medesimi argomenti a sostegno della propria motivazione cosi' mancando di specificare gli elementi di prova del concorso nei singoli reati di peculato; aveva fatto richiamo alla portata probatoria della sentenza di patteggiamento con cui i capigruppo avevano definito le rispettive posizioni (elemento non dirimente quanto alla prova del dolo, attesa la pluralita' di contestazioni comprese nell'accusa oggetto di accordo con la parte pubblica), cosi' come alla loro valenza confessoria, gia' smentita dalla sentenza rescindente (oltre che dal dato fattuale riguardante la sentenza emessa nei confronti del capogruppo (OMISSIS), relativa a fatti avvenuti nella precedente consiliatura); era stata richiamata la "formulazione collegiale del regolamento", strumento generico e privo di specifici controlli, che avrebbe reso possibile la prassi dei rimborsi richiesti in assenza di qualsivoglia controllo, unitamente al dato della sistematicita' delle spese sostenute e richieste a rimborso, fattore che era gia' stato valutato come inidoneo a dimostrare, oltre che il dolo del soggetto richiedente, anche quello del capogruppo; del tutto pretermessa risultava l'analisi dell'elemento soggettivo, alla luce dei plurimi elementi dichiarativi che consentivano di apprezzare un mero difetto di diligenza da parte del capogruppo, che pur si era attivato per affidare i controlli alla segreteria del gruppo consiliare; anche per l'imputazione relativa ai fatti contestati in concorso con il capogruppo (OMISSIS), la motivazione era carente poiche' dai risultati dell'istruttoria risultava smentita l'ipotesi dell'assenza di controlli disposti dal capogruppo sulle richieste inoltrate dai consiglieri, di cui avevano invece riferito testimoni indicati nella sentenza di primo grado (teste (OMISSIS)). 5.1. Con il secondo motivo si deduce violazione di norme processuali previste a pena di nullita', in relazione all'articolo 603 c.p.p., comma 3 bis, articolo 627 c.p.p., commi 2 e 3; la sentenza impugnata, per quanto concerne l'imputazione di cui al capo 54), pur in difetto dell'esito della rinnovazione istruttoria (essendosi avvalsi l'imputata (OMISSIS) ed il coimputato (OMISSIS) della facolta' di non sottoporsi all'esame) aveva motivato il giudizio di responsabilita' in modo illogico, facendo leva sui dati di prova acquisiti attraverso l'esame del coimputato (OMISSIS) (non conferenti, poiche' relativi alla diversa imputazione del capo 52) e omettendo di procedere alla rinnovazione istruttoria attraverso l'esame della teste (OMISSIS), che aveva reso dichiarazioni suscettibili di sostenere la tesi difensiva (perche' riguardanti i controlli eseguiti su disposizioni del capogruppo (OMISSIS)). 6. Il difensore di (OMISSIS) ha dedotto, con il primo motivo, violazione di norme processuali previste a pena di nullita', in relazione all'articolo 627 c.p.p., comma 3, nonche' vizio di motivazione, in ordine al tema della prova del concorso doloso nel delitto di peculato. 6.1. Con il secondo motivo ha dedotto violazione di norme processuali previste a pena di nullita', in relazione all'articolo 627 c.p.p., comma 2, per avere ritenuto la Corte territoriale che l'annullamento pronunciato dalla Corte di Cassazione, avente ad oggetto error in procedendo, fosse di ostacolo alla rinnovata valutazione nel merito dei profili di responsabilita' del ricorrente, quale conseguenza del rigetto degli altri motivi di ricorso proposti in sede di legittimita'. 6.2. Con il terzo motivo si deduce vizio della motivazione, perche' mancante, in punto di individuazione delle spese ritenute illegittimamente rimborsate e, in conseguenza, della data di consumazione dei singoli episodi di peculato. 6.3. Con il quarto motivo si deduce violazione della legge penale e di norme processuali, previste a pena di nullita', in relazione all'articolo 314 c.p. e articolo 627 c.p.p., per aver la Corte escluso la possibilita' di una differente qualificazione giuridica dei fatti (quali ipotesi di cui all'articolo 640 c.p., comma 2), anche in considerazione degli esiti dell'attivita' di rinnovazione istruttoria. 6.4. Con il quinto motivo si deduce vizio della motivazione, perche' mancante, quanto all'individuazione del reato piu' grave, nonche' al calcolo dei singoli aumenti di pena applicati per ognuno dei reati satellite. 6.5. Con il sesto motivo si deduce vizio della motivazione, per mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita', in relazione al diniego della circostanza attenuante di cui all'articolo 323 bis c.p.. 6.6. Con il settimo motivo si deduce violazione di norme processuali, in relazione agli articoli 545 e 546 c.p.p. attese le difformita' esistenti tra il dispositivo letto in udienza ed il dispositivo della decisione impugnata; si deduce altresi' violazione di legge, in relazione all'articolo 597 c.p.p., comma 3 e articolo 627 c.p.p., comma 2, per violazione del divieto di reformatio in peius, non avendo riconosciuto la sentenza la circostanza attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 6, gia' riconosciuta con la decisione annullata della Corte d'appello di Torino. 6.7. In data 31 gennaio 2023 il difensore del ricorrente ha inviato a mezzo pec motivi nuovi in relazione ai profili dell'omessa rinnovazione istruttoria delle prove dichiarative (utilizzate dal giudice di primo grado per fondare il giudizio di assoluzione e giudicate prive di attendibilita' dalla Corte territoriale) e della diversa qualificazione giuridica fondata sulle risultanze dell'attivita' istruttoria condotta in grado di appello. 7. I difensori dell'imputato (OMISSIS) hanno dedotto, con il primo motivo, violazione di norme processuali previste a pena di nullita', in relazione all'articolo 627 c.p.p., comma 3, e articolo 628 c.p.p., comma 2; violazione della legge penale in relazione all'articolo 43 c.p., commi 1 e 3, articoli 110, 314 c.p. nonche' vizio di motivazione, in riferimento all'affermata sussistenza del concorso, nel contestato reato di peculato, del ricorrente e del capogruppo consiliare del gruppo (OMISSIS) (OMISSIS). La sentenza impugnata, pur formalmente dichiarando di fare applicazione dei criteri fissati dalla giurisprudenza di legittimita' nel delineare i limiti ed i canoni cui e' improntato il giudizio di rinvio all'esito dell'annullamento da parte della Corte di Cassazione, aveva sostanzialmente reiterato il medesimo apparato argomentativo adottato dalla sentenza annullata, cosi' eludendo l'obbligo imposto dalla sentenza rescindente; erano stati utilizzati gli stessi elementi di prova e le medesime inferenze logiche (in particolare, con riguardo sia alla portata della sentenza di patteggiamento con cui il (OMISSIS) aveva definito la propria posizione, sia alla valenza del dato fattuale delle spese sostenute), senza adottare la necessaria motivazione rafforzata che era indispensabile per sovvertire il giudizio di assoluzione formulato in primo grado. Inoltre, la decisione aveva fatto errata applicazione dei principi in tema di concorso dell'extraneus nel delitto di peculato, individuando la condotta causalmente efficiente posta in essere dal ricorrente nel mero dato della presentazione delle richieste di rimborso e nella ricezione dei rimborsi erogati, condotte prive di ogni qualificazione in termini di idoneita' nel contribuire all'altrui condotta illecita. 7.1. Con il secondo motivo si deduce violazione di norme processuali, in relazione all'articolo 603 c.p.p., comma 3 bis, e vizio di motivazione, nella parte in cui la sentenza, dichiarando l'inattendibilita' delle dichiarazioni rese dalle testimoni (OMISSIS) e (OMISSIS), non aveva provveduto alla rinnovazione istruttoria attraverso il loro esame, attesa la decisivita' di quelle prove. 7.2. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge, in relazione agli articoli 43 e 314 c.p. e vizio della motivazione, con riguardo al giudizio di verifica dell'elemento soggettivo del reato di peculato in capo al ricorrente. Premessa l'esclusione di alcun giudicato parziale relativamente all'accertamento del dolo del ricorrente, la difesa ha rilevato il difetto della necessaria motivazione rafforzata per giungere al giudizio di responsabilita' a fronte della dichiarata affermazione, nella sentenza di primo grado, della buona fede del (OMISSIS) nel formulare richieste di rimborso per spese ritenute di rappresentanza, argomento rispetto al quale la Corte territoriale aveva opposto uno sbrigativo esame dello stesso dato documentale, supportato dal richiamo generico e vago alla diffusa illegittimita' del sistema del rimborso delle spese. 7.3. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge, in relazione agli articoli 314, 316 ter e 640 bis c.p. e vizio di motivazione quanto all'esclusione della diversa qualificazione giuridica del fatto contestato. Premessa anche in relazione a tale rilievo l'insussistenza di alcun vincolo discendente dalla pronuncia di annullamento, il ricorrente rileva che l'oggetto del giudizio affidato al giudice del rinvio, quanto all'accertamento dello schema concorsuale del reato, implicava logicamente anche la rinnovata verifica dell'esatta qualificazione giuridica del fatto, anche in ragione degli esiti dell'attivita' di rinnovazione istruttoria demandata al giudizio di rinvio. Il ricorrente richiamava a sostegno di tale argomento anche un recente arresto della giurisprudenza di legittimita' (Sez. 6 n. 40595 del 2/3/2021) che ha delineato la nozione di disponibilita' diretta del denaro costituente il fondo per i rimborsi in questione, insussistente rispetto alla posizione del singolo consigliere; dalla diversa qualificazione giuridica (quale ipotesi di cui all'articolo 316 ter c.p. o articolo 640 bis c.p.) discendeva l'intervenuta estinzione dei reati, per essere maturato il relativo termine massimo di prescrizione. 7.4. Con il quinto motivo si deduce violazione di legge, in relazione agli articoli 133 e 323 bis c.p., e vizio della motivazione in punto di determinazione della misura della pena, ingiustamente piu' gravosa rispetto a quella irrogata ad altri imputati del medesimo procedimento ritenuti responsabili di condotte per importi superiori, nonche' per il diniego della circostanza attenuante di cui all'articolo 323 bis c.p.. 7.5. In data 1 febbraio 2023 i difensori dell'imputato hanno depositato a mezzo pec motivi nuovi relativi al profilo della differente qualificazione giuridica dei fatti contestati, sulla scorta dell'accertamento del profilo della disponibilita' giuridica delle somme costituenti il fondo a disposizione del gruppo consiliare. 8. I difensori dell'imputata (OMISSIS), con ricorso che riproduce molti tra gli argomenti posti a base del ricorso nell'interesse dell'imputato (OMISSIS), hanno dedotto, con il primo motivo, violazione di norme processuali previste a pena di nullita', in relazione all'articolo 627 c.p.p., comma 3, e articolo 628 c.p.p., comma 2; violazione della legge penale in relazione all'articolo 43 c.p., commi 1 e 3, articoli 110, 314 c.p. nonche' vizio di motivazione, in riferimento all'affermata sussistenza del concorso nel contestato reato di peculato. 8.1. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge, in relazione agli articoli 43 e 314 c.p. e vizio della motivazione, con riguardo al giudizio di verifica dell'elemento soggettivo del reato di peculato in capo alla ricorrente. 8.2. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge, in relazione agli articoli 314, 316 ter e 640 bis c.p. e vizio di motivazione quanto all'esclusione della diversa qualificazione giuridica del fatto contestato. 8.3. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge in relazione all'articolo 157 c.p. e articolo 627 c.p.p., per l'omessa valutazione del motivo di impugnazione concernente l'intervenuta estinzione del reato di cui alla L. n. 195 del 1974, articolo 7, maturata prima della sentenza di annullamento della Corte di Cassazione. 8.4. Con il quinto motivo si deduce violazione di legge, in relazione agli articoli 133 e 323 bis c.p., e vizio della motivazione in punto di determinazione della misura della pena e diniego della circostanza attenuante di cui all'articolo 323 bis c.p.. 8.5. In data 1 febbraio 2023 i difensori dell'imputata hanno inviato a mezzo pec motivi nuovi a sostegno del terzo motivo di ricorso, relativamente alla questione della diversa qualificazione giuridica dei fatti contestati. 9. Ha proposto ricorso il difensore dell'imputato (OMISSIS) deducendo, con il primo motivo, violazione di norme processuali previste a pena di nullita', in relazione all'articolo 587 c.p.p., commi 1 e 2, nonche' vizio della motivazione; la decisione impugnata aveva omesso materialmente qualsiasi argomentazione a sostegno del giudizio di responsabilita', ritenendo che la decisione della Corte di Cassazione avesse determinato il passaggio in giudicato delle relative statuizioni, mentre la corretta applicazione dei principi in tema di estensione degli effetti favorevoli dell'impugnazione, non fondata su motivi personali, ove si proceda nei confronti di piu' soggetti concorrenti nello stesso reato, imponeva al giudice di rinvio di affrontare i temi della responsabilita' dell'imputato ricorrente. Anche il tenore delle impugnazioni proposte nell'interesse degli altri coimputati dimostrava la perfetta sovrapponibilita' delle argomentazioni poste a fondamento dei singoli atti di appello. Inoltre, l'esistenza di un motivo di impugnazione che aveva riguardato il vizio motivazionale, censurato dalla Corte di Cassazione con la conseguenza dell'annullamento della sentenza dei giudici di secondo grado, costituiva violazione processuale che rileva ai fini dell'effetto estensivo dell'impugnazione ai sensi dell'articolo 587 c.p.p., comma 2. 9.1. Con il secondo motivo si deduce violazione di norme processuali previste a pena di nullita', in relazione all'articolo 533 c.p.p., articolo 603 c.p.p., comma 3 bis, e vizio della motivazione, per aver la Corte territoriale riproposto, a sostegno della dimostrazione del concorso del capogruppo nel delitto di peculato contestato al ricorrente, gli stessi dati di prova che la sentenza rescindente aveva ritenuto inidonei a integrare la necessaria motivazione rafforzata, oltre ad adottare uno schema argomentativo fondato sull'errata valutazione dei dati conseguiti attraverso l'istruttoria. 9.2. Con il terzo motivo si deduce violazione di norme processuali previste a pena di nullita', in relazione all'articolo 587 c.p.p., commi 1 e 2, nonche' violazione della legge penale in relazione agli articoli 110 e 314 c.p.; la Corte territoriale aveva escluso la possibilita' di rivalutare nel merito l'estensione temporale delle condotte descritte nell'imputazione per il delitto di peculato, in violazione dei principi che regolano l'effetto estensivo delle impugnazioni. 9.3. Con il quarto motivo si deduce violazione di norme processuali previste a pena di nullita', in relazione all'articolo 587 c.p.p., commi 1 e 2, nonche' violazione della legge penale in relazione agli articoli 533, 597 e 605 c.p.p., in riferimento alla mancata concessione della circostanza attenuante di cui all'articolo 323 bis c.p., in violazione dei principi che regolano l'effetto estensivo delle impugnazioni. 9.4. Con il quinto motivo si deduce violazione di norme processuali e vizio di motivazione, con riferimento alla determinazione del trattamento sanzionatorio riguardante il reato di truffa di cui al capo C). La Corte territoriale aveva fissato la misura dell'aumento a titolo di continuazione, per gli episodi di truffa di cui al capo C) esclusi dalla declaratoria di prescrizione - contenuta nella sentenza della Corte di cassazione - in mesi sei di reclusione, con violazione sia del principio del divieto di reformatio in peius, rispetto alle statuizioni contenute nella sentenza d'appello annullata, sia per il difetto di motivazione circa la proporzione della misura dell'aumento rispetto al ridotto arco temporale dei fatti presi in esame, in conseguenza della declaratoria di prescrizione dei fatti piu' risalenti. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Come risulta dall'esposizione dei motivi formulati a sostegno dei ricorsi, nell'assetto di molte delle censure formulate riveste importanza centrale la definizione dell'oggetto del giudizio affidato alla Corte d'appello in sede di rinvio e dei poteri riconosciuti al giudice dall'articolo 627 c.p.p., dal momento che e' ricorrente la critica mossa alla sentenza di aver riprodotto il medesimo schema logico, fondato sugli stessi dati di prova che la sentenza di annullamento aveva ritenuto inidonei a sorreggere l'accertamento del concorso dei singoli consiglieri regionali con i rispettivi capigruppo nella realizzazione delle condotte di reato, oltre che la verifica del necessario elemento soggettivo che deve accompagnare la forma di manifestazione del reato secondo il paradigma dell'articolo 110 c.p.. Al fine, dunque, di evitare inutili duplicazioni espositive e' necessario affrontare tali temi comuni richiamando le direttive emergenti da orientamenti consolidati della giurisprudenza di legittimita' in tema di oggetto del giudizio di rinvio e poteri del giudice in tale fase. 1.1. Va immediatamente precisato, con specifico riguardo al contenuto della sentenza rescindente, che il motivo dell'annullamento e' stato individuato nel vizio della motivazione, in quanto carente rispetto al verdetto assolutorio di primo grado, con specifico riguardo - per tutti i ricorrenti, eccezion fatta per il (OMISSIS) al tema probatorio su indicato (v. sul tema generale il p. 7, pagg. 67 e ss. della sentenza della Corte di Cassazione, nonche' i punti in cui il vizio e' stato riscontrato rispetto alle singole posizioni individuali, come sara' indicato successivamente). Conseguentemente, la Corte di cassazione ha affidato al giudice del rinvio (enunciando il relativo principio di diritto, in quanto la Corte di cassazione "risolve una questione di diritto anche quando giudica sull'adempimento del dovere di motivazione, sicche' il giudice di rinvio, pur conservando la liberta' di decisione mediante un'autonoma valutazione delle risultanze probatorie relative al punto annullato, e' tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema implicitamente o esplicitamente enunciato nella sentenza di annullamento": Sez. 2, n. 45863 del 24/09/2019, Marrini, Rv. 277999 - 01) il compito di verificare "se, e in che termini, sia configurabile nella fattispecie una forma di concorso nel medesimo reato" (cosi' a pag. 102, in relazione alla posizione del ricorrente (OMISSIS), indicazione espressamente richiamata nell'esame dei ricorsi degli altri imputati). Non e' superfluo ricordare che altri profili (che concernevano la prova delle condotte di appropriazione, il dolo del delitto di peculato, la natura del vincolo di destinazione impresso sulle somme erogate ai gruppi consiliari, gli esborsi riconducibili alle categorie delle spese di rappresentanza) sono stati tutti esaminati e affrontati sulla scorta dei rilievi formulati con i ricorsi allora proposti, motivi che sono stati rigettati o dichiarati inammissibili rispetto alle censure riguardanti quei temi. 1.2. E' pacifico, secondo l'insegnamento di legittimita' risalente all'epoca del previgente codice di rito, e successivamente rimasto del tutto costante, che l'oggetto del giudizio di rinvio e' delimitato dal contenuto della sentenza di annullamento, operando il principio della formazione progressiva del giudicato anche quando la pronuncia di annullamento ha ad oggetto una o piu' statuizioni relative alla singola imputazione; chiarirono le Sezioni unite con una fondamentale decisione che "il giudizio di rinvio non si identifica nella pura e semplice rinnovazione del giudizio conclusosi con la sentenza annullata, ma rappresenta una fase a se' stante, caratterizzata dal condizionamento che scaturisce dalla sentenza della Corte di cassazione che lo ha disposto. Il giudice di rinvio non solo deve uniformarsi alla sentenza della Corte di cassazione per cio' che concerne ogni questione di diritto con essa decisa, ma non puo' neppure attrarre al suo potere decisorio statuizioni diverse ed autonome rispetto a quelle dovutegli. I limiti oggettivi del giudizio di rinvio sono conseguenti agli effetti preclusivi propri della intangibilita' del giudicato" (Sez. Unite, n. 373 del 23/11/1990, dep. 1991, Agnese, Rv. 186164 - 01). Con quell'arresto fu altresi' precisato che "la sentenza di annullamento parziale pronunziata dalla Corte di cassazione esaurisce il giudizio in relazione a tutte le disposizioni contenute nella impugnata sentenza e non comprese in quelle annullate, ne' ad esse legate da un rapporto di connessione essenziale. Anche nel giudizio penale, sensibile allo sviluppo dinamico del rapporto processuale, il giudicato puo' avere una formazione non simultanea, bensi' progressiva: cio' accade non solo quando la sentenza di annullamento parziale viene pronunciata nel processo cumulativo e riguarda solo alcuni degli imputati ovvero alcune delle imputazioni contestate, ma anche quando la stessa pronuncia ha ad oggetto una o piu' statuizioni relative ad un solo imputato e ad un solo capo d'imputazione, perche' anche in questa ipotesi il giudizio di esaurisce in relazione a tutte le disposizioni non annullate ne' a queste inscindibilmente connesse. Con il termine "parti della sentenza" l'articolo 545 c.p.p. del 1930 - norma integralmente riprodotta nell'articolo 624 del c.p.p. del 1988 - ha inteso fare riferimento a qualsiasi statuizione avente una sua autonomia giuridico-concettuale e, quindi, non solo alle decisioni che concludono il giudizio in relazione ad un determinato capo d'imputazione, ma anche a quelle che nell'ambito di una stessa contestazione individuano aspetti non piu' suscettibili di riesame: anche in relazione a questi ultimi la decisione adottata, benche' non ancora eseguibile, acquista autorita' di cosa giudicata, quale che sia l'ampiezza del suo contenuto". Sulla traccia di tale fondamentale inquadramento teorico (ribadito a breve distanza da Sez. unite, n. 20 del 09/10/1996, Vitale, Rv. 206170 - 0, in tema di effetti del giudicato parziale nella fase esecutiva, e da Sez. Unite, n. 4904 del 26/03/1997, Attina', Rv. 207640 - 0, circa la rilevabilita' di cause di estinzione del reato sopravvenute nel giudizio di rinvio), la giurisprudenza di legittimita' ha ulteriormente precisato il perimetro della cognizione del giudice di rinvio, osservando che "da un lato, al giudice di rinvio e' attribuito potere decisorio solo sui "punti" che hanno formato oggetto dell'annullamento (e su quelli ai primi inscindibilmente connessi, per la necessaria interdipendenza logico-giuridica fra le diverse statuizioni, di guisa che l'annullamento di una di esse attrae nella sfera del riesame anche quelle "parti" che, siccome non suscettibili di autonoma decisione, sfuggono alla formazione del giudicato), ma non sulle parti non annullate e su quelle non in connessione essenziale con le parti annullate, e che, dall'altro, e' consentita l'impugnazione della sentenza del giudice di rinvio soltanto in relazione ai "punti" annullati - e a quelli in rapporto di connessione essenziale con essi - e non decisi dalla Corte di cassazione, ovvero per inosservanza dell'obbligo di uniformarsi alla sentenza di annullamento per cio' che concerne tutte le questioni di diritto con essa decisa (tra le quali rientrano anche quelle concernenti il corretto adempimento dell'obbligo della motivazione e la coerenza logica della stessa)" (cosi' gia' Sez. 1, n. 4882 del 21/03/1996, Velotti, Rv. 204637 - 01; la posizione espressa e' stata ribadita successivamente da Sez. 2, n. 46419 del 16/10/2014, Barchetta, Rv. 261050 - 0; Sez. 4, n. 29186 del 29/05/2018, Marangio, Rv. 272966 - 0; Sez. 3, n. 253 del 22/11/2019, dep. 2020, Ruggiero; Sez. 5, n. 19350 del 24/03/2021, Cataldo, Rv. 281106 - 0). Da tali premesse discende che, se la cognizione del giudice del rinvio riguarda il nuovo esame non solo del profilo censurato, ma anche delle questioni discendenti dalla sua rivalutazione, secondo un rapporto di interferenza progressiva (come per le questioni dichiarate assorbite nella pronuncia di annullamento: Sez. 6, n. 49750 del 04/07/2019, Diotallevi, Rv. 277438 - 01; Sez. 6, n. 17770 del 11/01/2018, P., Rv. 272973 - 01), restano invece escluse da quell'ambito tutte le questioni ritualmente devolute al giudice di secondo grado con i motivi di appello, ma non attinte dalle censure formulate con il ricorso per cassazione (Sez. 5, n. 42329 del 20/10/2022, Russo, Rv. 283877 - 01; Sez. 5, n. 29358 del 22/03/2019, Miah, Rv. 276207 - 01), oltre quelle devolute con il ricorso, esaminate dalla Corte di cassazione e risolte dalla sentenza di annullamento; sicche' tutte le questioni sollevate nelle precedenti fasi con specifici motivi di ricorso, considerati dalla sentenza rescindente e rigettati o dichiarati inammissibili, non potevano (ne' dovevano) formare oggetto del giudizio della Corte territoriale. 1.3. Una volta delimitato il perimetro delle questioni che devono essere nuovamente esaminate nel giudizio di rinvio, va considerato che il potere di valutazione del giudice del rinvio e' differentemente esercitato in funzione delle ragioni della pronuncia di annullamento: ove, infatti, l'annullamento discenda dalla violazione od erronea applicazione della legge penale, il giudice del rinvio e' vincolato al principio di diritto espresso dalla Corte, restando ferma la valutazione dei fatti come accertati nel provvedimento impugnato, mentre in caso di annullamento per mancanza o manifesta illogicita' della motivazione, il giudice del rinvio puo' procedere a un nuovo esame del compendio probatorio, con il limite di non ripetere i vizi motivazionali del provvedimento annullato (cosi' da ultimo, Sez. 5, n. 24133 del 31/05/2022, Ministero di giustizia, Rv. 283440 - 01). Si e', cosi', affermato che "il giudice di merito non e' vincolato ne' condizionato da eventuali valutazioni in fatto formulate dalla Corte di cassazione con la sentenza rescindente, spettando al solo giudice di merito il compito di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali e di apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova" (Sez. 2, n. 8733 del 22/11/2019, dep. 2020, Le Voci, Rv. 278629 - 02; Sez. 3, n. 34794 del 19/05/2017, F., Rv. 271345 - 01; Sez. 5, n. 36080 del 27/03/2015, Knox, Rv. 264861 - 01); ragione per la quale va esclusa alcuna violazione dell'obbligo di uniformarsi al principio di diritto da parte del giudice di rinvio che, dopo l'annullamento per vizio di motivazione, "pervenga nuovamente all'affermazione di responsabilita' sulla scorta di un diverso percorso argomentativo ed in parte arricchito, rispetto a quello gia' censurato in sede di legittimita'" (Sez. 3, n. 23140 del 26/03/2019 Visconti, Rv. 276755 - 04; Sez. 2, n. 1726 del 05/12/2017, dep. 2018, Liverani, Rv. 271696 - 01; Sez. 4, n. 20044 del 17/03/2015, S., Rv. 263864 - 01), ovvero quando, adeguatamente motivando rispetto ai singoli punti specificati nella sentenza rescindente, pervenga nuovamente all'affermazione della penale responsabilita' dell'imputato sulla base di argomenti differenti da quelli censurati dalla Corte di cassazione, ad esempio compiendo eventuali nuovi atti istruttori (Sez. 2, n. 37407 del 06/11/2020, Tamburrino, Rv. 280660 - 01). 1.4. L'applicazione dei principi suindicati comporta la necessita' di porre a raffronto la motivazione che la Corte territoriale ha adottato con la sentenza del 24 luglio 2018 (annullata dalla Corte di cassazione in punto di valutazione degli elementi fattuali ritenuti significativi del concorso di ciascuno dei ricorrenti con i rispettivi capigruppo consiliari e della consapevolezza dei concorrenti nella condotta di appropriazione del denaro avvenuta con le modalita' descritte nelle imputazioni) con l'apparato logico che la sentenza impugnata ha posto a fondamento della pronuncia di condanna dei ricorrenti, per verificare se e in che misura sia ravvisabile il denunciato errore del ricorso alle medesime fonti di prova, e della stessa valutazione logica, elementi che la sentenza rescindente ha indicato in alcun passi come "di indubbia valenza accusatoria", ma al contempo ha ritenuto non decisivi se rapportati all'obbligo di motivazione rafforzata richiesto per il ribaltamento del verdetto assolutorio di primo grado. 2. Nella medesima ottica di linearita' dell'esposizione degli argomenti utili per esaminare il contenuto delle censure formulate e di sinteticita' della motivazione, vanno precisati i limiti di operativita' dell'obbligo di motivazione rafforzata, richiamato dalla sentenza rescindente e ritenuto da molti tra i ricorrenti non adempiuto dalla sentenza impugnata. 2.1. A questi fini e' decisivo rammentare che il giudice di primo grado aveva assolto gli odierni imputati ricorrenti dall'addebito riguardante la condotta di peculato escludendo la sussistenza del fatto, in ragione di un duplice ordine di considerazioni: in relazione alle spese imputabili al fondo di funzionamento dei gruppi consiliari, andavano considerate come giustificate non solo quelle strettamente collegate all'attivita' istituzionale del gruppo, ma anche quelle riguardanti l'attivita' e le iniziative politiche in senso lato del gruppo, pur se realizzate attraverso i singoli consiglieri; dovevano, inoltre, essere distinte le spese ontologicamente incompatibili con la finalita' di interesse pubblico (perche' prive di collegamento funzionale con l'attivita' politico-istituzionale del consigliere o del gruppo), rispetto alle quali residuava comunque la possibilita' per il singolo imputato di provare che la spesa fosse comunque funzionale alla vita del gruppo consigliare, e quelle c.d. ambivalenti (tra esse, in particolare, le spese di rappresentanza e quelle relative alla ristorazione), rispetto alle quali l'onere probatorio gravante sulla parte pubblica non poteva dirsi assolto con la sola prova della effettiva esistenza della spesa (e della percezione del rimborso), ma richiedeva anche la prova positiva della finalita' privata della spesa. Una volta esclusa la sussistenza dell'elemento oggettivo della condotta, il Tribunale non ha avuto necessita' di confrontarsi con i profili della ricostruzione del fatto, alla stregua della contestata ipotesi di realizzazione delle condotte di peculato per i singoli consiglieri in concorso con il proprio capogruppo, sia in relazione all'individuazione delle modalita' di manifestazione del reato (ai sensi dell'articolo 110 c.p.) sia con riguardo alla verifica del corrispondente elemento soggettivo. Per altro verso, va rilevato che il giudice di primo grado, affrontando in termini generali le questioni dell'imputazione soggettiva delle condotte di peculato contestate (pagg. 73-79), aveva ravvisato la disponibilita' giuridica delle somme del fondo in capo non al solo capogruppo, ma a ciascuno dei consiglieri, ritenendo d'un lato che non fosse necessario "provare volta a volta la sussistenza di un previo accordo concorsuale con il capogruppo", dall'altro - in ragione del necessario "passaggio" della richiesta attraverso il capogruppo "per azionare il meccanismo che si conclude con l'ottenimento del rimborso" - che il capogruppo concorreva materialmente con il soggetto che aveva formulato la richiesta (pag. 77); aveva ravvisato solo nell'ipotesi di richieste per spese "ambivalenti", sostenute a beneficio esclusivo del singolo consigliere, la problematicita' della prova della consapevolezza del capogruppo di concorrere nel reato, ove si fosse trattato di carica ricoperta per la prima volta o, comunque, per un periodo limitato. La Corte d'appello di Torino, con la sentenza del 24 luglio 2018, aveva invece ravvisato la responsabilita' degli imputati in primo luogo sulla scorta della "ricostruzione del quadro normativo vigente all'epoca dei fatti nella Regione Piemonte in materia di contributi per il funzionamento dei Gruppi consiliari presso l'Assemblea reginale", valorizzando elementi documentali e dichiarativi "non presi in considerazione dal Giudice di prime cure", giungendo cosi' agli esiti di riforma delle assoluzioni "solo marginalmente incentrati sulla nuova valutazione dell'attendibilita' delle testimonianze assunte in primo grado" (pag. 109 della sentenza). In sostanza, la riforma della pronuncia di assoluzione e' derivata dalla differente valutazione in punto di diritto della portata della normativa nazionale e regionale, ed in parte delle disposizioni regolamentari, sia per cio' che atteneva l'ambito oggettivo delle spese ammissibili a rimborso, attraverso i fondi assegnati ai gruppi consiliari, sia per il vincolo impresso ai fondi riconosciuti dalla legislazione regionale per il perseguimento delle finalita', istituzionali e politiche, dei gruppi (e non dei singoli); allo stesso tempo, anche l'interpretazione dei dati normativi riferibili al divieto di finanziamento pubblico dei partiti e all'onnicomprensivita' degli emolumenti percepiti dai Consiglieri regionali, come ricostruita dalla Corte d'appello, ha fondato un differente giudizio circa l'esistenza di limiti "certi e conoscibili" in punto di spese ammissibili al rimborso. La sentenza d'appello aveva poi considerato, nell'esame delle singole posizioni, i dati che a suo giudizio fornivano la prova della realizzazione della fattispecie di reato da parte di ciascun consigliere, imputato del delitto di peculato, in concorso con il rispettivo capogruppo. 2.2. Cosi' riannodata la trama della progressione processuale che e' poi esitata nel giudizio di annullamento della Corte di cassazione, diviene imprescindibile, al fine di valutare la sussistenza e il contenuto dell'obbligo di motivazione rafforzata (tradizionalmente richiesto nelle ipotesi di ribaltamento del verdetto assolutorio), considerare le specifiche ragioni che hanno condotto al diverso esito del giudizio di secondo grado. In proposito va ricordato che piu' volte e' stato affermato il principio in forza del quale la necessita' per il giudice di appello di redigere una motivazione "rafforzata" e' conseguenza diretta della correlazione tra riforma della decisione di primo grado e mutata valutazione delle prove acquisite; ove, invece, l'opposto verdetto sia derivato da una diversa valutazione in diritto, operata sul presupposto dell'erroneita' di quella formulata dal primo giudice, non sussiste quell'obbligo ne' puo' ravvisarsi violazione del principio del ragionevole dubbio, trattandosi di condanna che risulta conseguenza della correzione di un errore di diritto, decisivo ai fini dell'assoluzione, nel quale sia incorso il primo giudice. (Sez. 4, n. 6514 del 18/01/2018, Tognini, Rv. 272224 - 01; Sez. 4, n. 19036 del 14/03/2017, Russo, Rv. 269610 - 01), sicche' il vizio denunciabile in sede di legittimita' e' solo quello di violazione di legge, penale o processuale (Sez. 2, n. 38277 del 07/06/2019, Nuzzi, Rv. 276954 - 04). Per altro verso, ove la decisione di primo grado abbia omesso completamente di affrontare specifici profili di accertamento del fatto e di valutazione dei presupposti necessari per la relativa qualificazione giuridica, la riforma della decisione in grado di appello non richiedera' una motivazione rafforzata posto che, in tale ipotesi, non vi e' neppure la concreta possibilita' di confutare argomenti e considerazioni alternative del primo giudice (Sez. 5, n. 12783 del 24/01/2017, Caterino, Rv. 269595 - 01, riguardante una fattispecie in cui la Corte ha ravvisato il carattere generico e meramente assertivo del contenuto motivazionale della decisione di assoluzione di primo grado, escludendo l'obbligo di motivazione rafforzata a carico della sentenza di condanna pronunciata in secondo grado). 3. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' infondato, fatta eccezione per la deduzione concernente l'errore materiale contenuto nella sentenza impugnata. 3.1. Il primo motivo di ricorso e' infondato. Come per le posizioni di tutti gli imputati odierni ricorrenti, la sentenza del Tribunale nell'esaminare la posizione del (OMISSIS) (pag. 99 ss.) non aveva speso alcun argomento relativamente al tema della prova del concorso del ricorrente, unitamente al proprio capogruppo, nella realizzazione della condotta appropriativa. La Corte d'appello, con la sentenza poi annullata (pagg. 169 ss.), aveva desunto la prova del concorso del ricorrente, unitamente al capogruppo (OMISSIS) (pag. 179), dai dati relativi alla formulazione collegiale del regolamento in termini ampi e generici, dall'ampiezza della prassi dei rimborsi non inerenti, oltre che dall'assenza di controlli; aveva, poi, dato semplicemente atto della sentenza di patteggiamento con cui il coimputato (OMISSIS) aveva definito la propria posizione. Rispetto a questa trama argomentativa, la motivazione della sentenza impugnata non ha semplicemente replicato i medesimi elementi (che la sentenza rescindente, con richiamo ad altre posizioni, aveva ritenuto "inidonei" per affermare la responsabilita' dell'imputato). Quegli elementi sono stati diversamente considerati nella loro portata probatoria, apprezzando specificita' e caratteri che la sentenza annullata non aveva preso in esame. Inoltre, la valutazione complessiva dei dati probatori e' stata condotta non mediante una semplice sommatoria degli elementi fattuali considerati, ma attraverso l'individuazione di connessioni logiche, frutto di valutazioni aderenti alle singole specificita' delle posizioni individuali e alla peculiarita' delle condotte e del contesto politico amministrativo in cui si ponevano, tali da fornire un quadro argomentativo dotato dei caratteri di persuasivita' e solidita' specificati dalla sentenza rescindente. In primo luogo, e' stata valorizzata la sentenza di applicazione della pena concordata emessa dal G.u.p. presso il Tribunale di Torino in data 14 luglio 2014 con cui il capogruppo consiliare (OMISSIS) aveva definito la propria posizione, in riferimento ad imputazioni che concernevano sia condotte di peculato direttamente poste in essere dal (OMISSIS), sia le condotte di peculato contestate come commesse in concorso con il (OMISSIS) (come precisato alle pag. 36 e 59 della sentenza impugnata); si tratta di circostanza storica, in precedenza non emersa ne' valutata, che fa assumere un peso probatorio diverso al richiamo a quella sentenza, alla luce della costante giurisprudenza sulla portata dell'articolo 238 bis c.p.p. in relazione alla sentenza di patteggiamento ed alla sua utilizzazione a fini probatori in altro procedimento penale quanto al "fatto" ed alla sua attribuibilita' (Sez. 5, n. 12344 del 05/12/2017, dep. 2018, Nicho Casas, Rv. 272665 - 01; Sez. 5, n. 7723 del 12/11/2014, dep. 2015, Mazzola, Rv. 264058 0; Sez. 1, n. 50706 del 05/06/2014, Macri', Rv. 261480 - 0). Si tratta di corretta applicazione di tali principi, sia in ragione dell'esistenza di elementi di riscontro desunti dalle ulteriori prove considerate (cosi' come specificato dall'articolo 238 bis c.p.p. attraverso il richiamo all'articolo 192 c.p.p., comma 3), sia considerando il principio che riguarda le ipotesi di autonomi giudizi relativi ad un medesimo fatto storico, rispetto ai quali se non trova applicazione il principio della pregiudizialita' penale, "tuttavia il giudice del diverso procedimento e' tenuto a motivare espressamente circa le ragioni per le quali e' pervenuto a diverse conclusioni rispetto al giudizio gia' definito in precedenza, la cui decisione e' elemento da valutare ai sensi dell'articolo 238 bis c.p.p." (Sez. 1, n. 18343 del 21/12/2016, dep. 2017, Biallo, Rv. 270658 01). Quanto al sistema dei rimborsi adottato e seguito dai consiglieri imputati, e tra essi anche dal ricorrente, esso viene considerato dalla sentenza impugnata quale frutto di un "preciso accordo genetico", che e' dimostrato - in assenza di prova diretta - dal combinarsi di eventi storici, modalita' di condotta dell'azione amministrativa, adozione di atti regolamentari e carenza di controlli, che sono stati specificati dalla sentenza impugnata. In questo senso, assume importanza decisiva nella struttura logica della decisione il dato del difetto del sistema dei controlli, alla luce della considerazione svolta (pag. 63) sulle iniziative adottate dal capogruppo solo in epoca successiva alla diffusione delle notizie di stampa sulle indagini avviate, trattandosi di elemento logico correlato all'intempestivita' di tali determinazioni (che denuncia la preesistenza di un "costume" corrispondente al funzionamento automatico del sistema dei rimborsi, fondato sulla reciproca consapevolezza della mancanza di corrispondenza tra le spese sostenute e la loro rimborsabilita', destinata a non emergere proprio per la carenza dei controlli). La sentenza, inoltre, si e' fatta carico di valutare anche la differente ricostruzione in fatto prospettata dal (OMISSIS) nel corso dell'esame cui si e' sottoposto, escludendo la verosimiglianza e attendibilita' delle circostanze riferite, alla luce della sistematicita' delle richieste di rimborso avviate per spese di certo non inerenti e della natura dei rapporti soggettivi intercorrenti tra il capogruppo e i singoli consiglieri. A fronte di una motivazione, quale quella di primo grado, che non conteneva alcuna valutazione sulla configurabilita' del concorso nel reato di peculato del ricorrente, unitamente al (OMISSIS), la decisione impugnata di certo risulta fondata su una motivazione adeguata e coerente con i dati probatori; ne' puo' dirsi replicato il medesimo vizio che aveva determinato l'annullamento da parte della Corte di Cassazione, attesa la compiuta ricostruzione dei profili in fatto e degli elementi logici utilizzati per delineare il contributo assicurato dal (OMISSIS) affinche' il (OMISSIS) potesse fare affidamento nel presentare richieste inerenti a spese del tutto estranee alle finalita' del fondo a disposizione del gruppo consiliare, da cui si attingeva per il relativo rimborso. Anche il profilo concernente la prova dell'elemento soggettivo, rispetto alla ritenuta compartecipazione nel delitto di peculato del ricorrente e del capogruppo (OMISSIS), risulta motivato con argomenti e valutazioni che sfuggono alle censure del ricorrente. La prova del dolo (in ragione dell'oggetto dell'accertamento riguardante l'elemento soggettivo che non consente di ricorrere a strumenti di prova diretta) richiede l'individuazione di dati fattuali che, considerati attraverso le correlazioni logiche desumibili dalla concreta situazione storico fattuale in cui ha agito l'imputato, siano espressivi della realizzazione dell'evento quale conseguenza prevista e voluta dall'Agente rispetto alla propria condotta (ovvero, come e' stato affermato con felice sintesi, per dimostrare l'elemento soggettivo del reato e' necessaria la selezione delle circostanze "attraverso le quali, con processo logico-deduttivo, e' possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto": Sez. 5, n. 30726 del 09/09/2020, Giunchiglia, Rv. 279908 - 01). Tra i dati rilevanti a tali fini vanno evidentemente apprezzati quelli riguardanti le modalita' della condotta tipica attribuita all'agente, le condizioni di tempo e di luogo in cui l'azione o l'omissione si realizza, le conseguenze che secondo criteri di regolarita' causale e logica derivano da condotte dello stesso tipo. Rispetto, poi, alla dimostrazione del dolo che deve caratterizzare la condotta dei concorrenti nel medesimo reato, va ribadito l'insegnamento della giurisprudenza di legittimita' secondo il quale se non occorre la prova di un previo concerto tra i concorrenti, e' necessario, nondimeno, dimostrare che ciascuno di essi abbia agito per una finalita' unitaria con la consapevolezza del ruolo svolto dagli altri e con la volonta' di agire in comune (Sez. 6, n. 25705 del 21/03/2003, Salamone, Rv. 225935 - 01; Sez. 6, n. 46309 del 09/10/2012, Angotti, Rv. 253984 - 0; Sez. 2, n. 18745 del 15/01/2013, Ambrosanio, Rv. 255260 - 0). La sentenza impugnata ha condotto la verifica relativa alla sussistenza dell'elemento psicologico che ha accompagnato i singoli ricorrenti, mettendo in risalto d'un lato il dato storico obiettivo (rilevato per ciascuno degli imputati) della presentazione di richieste di rimborso che attenevano, in larga parte, a spese che in alcun modo avrebbero potuto esser ricondotte ai fini istituzionali del gruppo politico di appartenenza; dall'altro, l'esistenza di una prassi amministrativa del tutto omogenea, quasi trasversale, riguardante la presentazione delle richieste in assenza di qualsivoglia forma di controllo o verifica, rispetto alla quale ciascuno dei consiglieri, cosi' come i capigruppo convolti, non ha mostrato alcun approccio critico o di dubbio (rilevando cosi', pur in assenza di un esplicito accordo con il concorrente, l'aver sfruttato la prassi seguita e da essi conosciuta come elemento significativo della consapevole compartecipazione nella realizzazione del reato: Sez. 5, n. 25894 del 15/05/2009, Catanzaro, Rv. 243901 - 01). Questi dati non si collocano in uno scenario anonimo e privo di elementi peculiari; si tratta di fatti storici che sono avvenuti in un contesto caratterizzato dall'appartenenza dei ricorrenti, assieme ai rispettivi capigruppo, ad un medesimo corpo politico amministrativo; le funzioni ricoperte e il grado di conoscenza tecnica della legislazione e della normativa secondaria lascia spazi evidentemente ridotti ad errori o interpretazioni non coincidenti con lo spirito delle norme che regolano il funzionamento e la gestione dei fondi assegnati ai gruppi politici; nello stesso senso, milita l'oggetto della gestione dei fondi, trattandosi di risorse pubbliche che impongono agli amministratori e ai componenti degli organi politici degli enti un approccio attento e scrupoloso. Tale situazione, letta alla luce delle relazioni soggettive tra gli imputati cui si addebita il concorso nel medesimo reato (per la conoscenza reciproca da parte degli agenti - consigliere e capogruppo - delle rispettive posizioni e competenze, oltre che dei procedimenti interni per l'attivazione del sistema dei rimborsi), e' stata apprezzata come indicativa di una rappresentazione consapevole dell'illecita destinazione delle somme a disposizione dei rispettivi gruppi consiliari, reciprocamente conosciuta (per le pregresse esperienze dei capigruppo, come desunte dalle sentenze con cui hanno concordato l'applicazione delle pene per i medesimi fatti, e per il dato quantitativo e qualitativo, in senso negativo, delle spese sostenute dai consiglieri e per le quali veniva richiesto il rimborso) e attuata sul presupposto, logicamente necessario per evitare conseguenze pregiudizievoli derivanti dall'accertamento della natura privata o comunque non inerente al funzionamento dei gruppi delle spese, della sicura assenza di verifiche e controlli. 3.2. Il secondo motivo e' caratterizzato da evidente genericita' della censura, poiche' non indica in quale passaggio della motivazione, riferita alla posizione del ricorrente, si sia fatto uso della prova dichiarativa che si denuncia come valutata in termini di inattendibilita'. 3.3. Le censure articolate con il terzo motivo sono fondate, poiche' mentre nel dispositivo letto in udienza era indicata la concessione dei benefici di legge (ex articoli 163 e 175 c.p.), in quella redatto nella sentenza documento non vi e' menzione della concessione di quei benefici; trattandosi di evidente svista nella riproduzione del contenuto del dispositivo, va disposta la correzione del relativo errore materiale nel senso che il dispositivo della sentenza impugnata deve esser corretto nel senso di aggiungere, in prosecuzione della frase "pena principale", la frase "concede i doppi benefici di legge". 4. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' infondato. 4.1. La sentenza di primo grado (pagg. 163 ss.) non aveva indicato alcun argomento relativo al profilo della prova del concorso nel reato della ricorrente e dei suoi capogruppo (prima (OMISSIS) - capo 52 - e poi (OMISSIS) - capo 54 -); anche la decisione della Corte d'appello del 24 luglio 2018 (pagg. 340 ss.) non aveva affrontato quel tema. Di qui, la sicura insussistenza di alcun obbligo di motivazione rafforzata, per le ragioni gia' indicate nella parte generale (v. supra, p. 2.2.); cio' che la Corte territoriale in sede di rinvio era chiamata ad argomentare era il giudizio di responsabilita' a titolo di concorso della (OMISSIS) in relazione a ciascuna delle imputazioni che la riguardavano, superando le insufficienze del percorso motivazionale della sentenza annullata. 4.2. La Corte territoriale (pagg. 82 ss.; 99 ss.) ha motivato in relazione ad entrambe le imputazioni considerando: a) gli esiti della rinnovazione istruttoria, che confermavano l'esistenza di un sistema condiviso dai componenti del gruppo consiliare cui apparteneva la ricorrente, mediante una gestione sostanzialmente priva di controlli (poiche' affidati, nel caso specifico, a soggetto del tutto carente di esperienze contabili e amministrative, ossia la teste (OMISSIS)); b) l'impossibilita' di ipotizzare alcun ruolo mediato del capogruppo, riconducibile alla fattispecie prevista dall'articolo 48 c.p., in ragione dell'assoluta inverosimiglianza della capacita' delle richieste presentate di indurre in errore il capogruppo, trattandosi di soggetti che in ragione del ruolo ricoperto e delle scelte operate, mediante l'adozione di specifici regolamenti, erano perfettamente consapevoli dell'illiceita' delle richieste di rimborsi, del tutto svincolate dai requisiti di inerenza con le attivita' del gruppo consiliare (tanto da aver tratto essi stessi considerevoli profitti mediante quel sistema, come dimostrato dalla condanna riportata dal (OMISSIS) e dalla sentenza di applicazione della pena con cui il (OMISSIS) ha definito la sua posizione); c) l'atteggiamento assunto dal capogruppo (OMISSIS), come dimostrato dal contenuto dell'esame svolto, nel corso del quale aveva cercato di accreditare la ragionevolezza di un sistema di controllo, per somme piu' che cospicue di cui aveva la gestione per l'attribuzione ai singoli consiglieri, affidato per intero ad una dipendente dalle limitatissime competenze specifiche e sulla quale aveva indirizzato ogni responsabilita' per quanto accaduto nel corso della consiliatura; la Corte ha ritenuto, con argomenti privi di vizi logici, tale dato quale indice univoco della deliberata volonta' (e non anche di una condotta giustificabile in termini di buona fede o, al piu', di colpevole negligenza) di adottare un sistema di gestione del denaro pubblico in totale assenza di iniziative funzionali al controllo delle erogazioni; d) nella stessa direzione si collocava, a fronte delle concrete difficolta' nell'istituire un sistema capillare di controllo, l'assenza di scelte idonee a garantire quantomeno un "argine" al dilagare delle richieste (sistemi di controllo a campione, ad esempio a rotazione o a sorteggio); e) la contestuale inerzia da parte del capogruppo nell'adottare iniziative di questo tipo e l'aver approfittato a titolo personale di tale stato di fatto (che consentiva di ottenere rimborsi per spese palesemente svincolate da qualsivoglia nesso o correlazione con l'attivita' istituzionale) costituivano indici rilevatori dell'esistenza di un accordo tra il capogruppo ed i consiglieri del medesimo gruppo per la gestione indiscriminata, e quindi illecita, di fondi destinati per legge a specifiche esigenze di tipo pubblico; f) irrilevante, perche' del tutto smentita dal dato legislativo che non poteva esser ignorato, la tesi della gestione di un fondo avente carattere di tipo privato; g) la Corte aveva infine dato atto del contenuto della sentenza di patteggiamento del (OMISSIS), che aveva riguardato anche gli episodi oggetto di contestazione in capo alla (OMISSIS), mettendo altresi' in rilievo che la posizione della ricorrente assumeva carattere emblematico dell'accordo sulla gestione illecita di quei fondi, in considerazione del passaggio della (OMISSIS) da un gruppo consiliare ad un altro, senza alcuna apprezzabile differenza nel sistema di presentazione delle richieste di rimborso per spese completamente avulse dall'attivita' istituzionale, indice granitico della consapevolezza dell'assenza di verifiche o controlli che avrebbero potuto contrastare l'erogazione indiscriminata dei rimborsi. Si tratta di apparato motivazionale aderente ai dati di prova raccolti nel giudizio e articolato con passaggi logici privi di criticita', con la considerazione di elementi (tratti anche dalla valutazione della rinnovazione istruttoria in grado di appello, dalla differente considerazione della portata probatoria della sentenza ex articolo 444 c.p.p. pronunciata nei confronti del capogruppo (OMISSIS), dall'apprezzamento del dato logico relativo alla sistematicita' dell'utilizzazione del meccanismo dei rimborsi da parte della ricorrente, attestato dalla continuita' delle richieste anche nel passaggio da un gruppo consiliare all'altro) che risultano nuovi ed ulteriori rispetto a quelli cui faceva riferimento la sentenza rescindente. 4.3. Anche in relazione alla specifica imputazione di cui al capo 54) la censura non coglie nel segno, poiche' non collega e trascura la puntuale ricostruzione della posizione ricoperta dal capogruppo (OMISSIS) (v. pagg. 90-97), con particolare riguardo al profilo della consapevolezza del concorrente nella gestione illecita dei fondi a disposizione dei gruppi consiliari, frutto di un accordo tacito che attraversava nel tempo l'esperienza politica del (OMISSIS), che gia' da componente del gruppo consiliare di "(OMISSIS)" nel periodo 2008/2010 aveva fruito indebitamente di rimborsi attingendo ai fondi di quel gruppo nella duplice veste di diretto beneficiario e capogruppo (sentenza del G.u.p. del Tribunale di Torino del 20 dicembre 2019); era quindi stata riconosciuta la sua responsabilita' nel presente processo (capo 25, accertato in via definitiva con la sentenza della Corte di Cassazione) per aver beneficiato, quale capogruppo di "(OMISSIS)", a titolo personale di rimborsi non inerenti le finalita' del fondo dal mese di maggio a quello di settembre dell'anno 2012, oltre ad avere continuato a utilizzare lo stesso sistema dal giugno 2010 al maggio 2012, quando faceva parte del gruppo diretto dal coimputato (OMISSIS) (pag. 94). 4.4. Il secondo motivo di ricorso e' generico, oltre che manifestamente infondato; la sentenza impugnata non ha operato una diversa valutazione della prova dichiarativa in punto di attendibilita' del testimone, ma ne ha considerato la portata ritenendola superata in ragione delle valutazioni sull'inadeguatezza dei controlli; in ogni caso, per il carattere del diverso giudizio di responsabilita', affidato non a una diversa valutazione della prova dichiarativa, ma ad una differente applicazione di regole di diritto, non v'erano i presupposti per la necessaria rinnovazione istruttoria ex articolo 603 bis c.p.p.. 5. Il ricorso proposto nell'interesse dell'imputato (OMISSIS) e' fondato limitatamente al denunciato errore materiale contenuto nella sentenza impugnata, mentre nel resto lo stesso e' infondato. Va premesso che la sentenza del Tribunale (pagg. 121 ss.) non aveva speso alcun argomento sul tema del concorso del capogruppo e del ricorrente nel delitto di peculato; la Corte d'appello, con la sentenza annullata dalla Corte suprema, aveva motivato la responsabilita' del (OMISSIS), in concorso con il capogruppo (OMISSIS) (pag. 210), facendo leva su argomenti analoghi a quelli utilizzati nell'esame della posizione del coimputato (OMISSIS). 5.1. Il primo motivo di ricorso, che ruota intorno alla violazione conseguente alla riproposizione dello stesso vizio motivazionale censurato dalla sentenza rescindente, e' infondato. Le ragioni dell'infondatezza del motivo sono state gia' illustrate nell'esame dei ricorsi che precedono (v. supra, p.p. 3.1.; 4.2. e 4.3.). Le ulteriori doglianze, relative all'errata ricostruzione delle ragioni che avevano condotto all'annullamento della sentenza d'appello (individuate anche nell'omessa rinnovazione istruttoria), non sono decisive quali indicatori di vizi della decisione poiche' l'esame del coimputato (OMISSIS), pur se non richiesto dalla sentenza rescindente, ha formato oggetto di valutazione nei suoi risultati con argomenti che non sono in contrasto con l'oggetto del nuovo giudizio, teso a individuare la motivazione necessaria per l'affermazione di responsabilita' del ricorrente. Riduttiva e' la valutazione del rapporto soggettivo tra il capogruppo ed il consigliere, in quanto si astrae il legame dal contesto fattuale in cui essi operavano riducendolo al solo dato dell'appartenenza ad un medesimo gruppo consiliare. L'evocazione di un sistema di controllo, per stessa affermazione del ricorrente "pur lacunoso ed insufficiente", quale elemento contrastante con le affermazioni della sentenza impugnata, non tiene conto delle considerazioni della decisione che ha rilevato, nelle prove dichiarative del (OMISSIS) e di altri testimoni indicate dalla difesa, l'assenza di specifici riferimenti circa l'esito delle supposte attivita' di verifica o eventuali rifiuti di richieste di rimborso (pagg. 50 e 54). Cio' rendeva evidentemente superflua la rinnovazione dell'istruttoria (come lamentato, invece, nei motivi nuovi) non trattandosi, comunque, di aspetto decisivo ai fini della decisione. Le censure del ricorrente in punto di omessa individuazione della condotta del (OMISSIS) rilevante quale contributo causale nella realizzazione del delitto di peculato (non potendo rilevare la formulazione della richiesta di rimborso e la percezione delle corrispondenti somme, in difetto di prova di un accordo intercorso tra pubblico ufficiale e soggetto estraneo alla pubblica amministrazione) non sono fondate. Premesso che i richiami ai precedenti giurisprudenziali indicati non sono pertinenti, in quanto di quelle decisioni non si apprezzano le fattispecie e se, quindi, i rapporti tra privato e pubblico ufficiale fossero in qualche misura assimilabili ai rapporti che invece intercorrevano tra il ricorrente ed il capogruppo, e' evidente che l'assenza di richieste, sollecitazioni o pressioni - come affermato dal coimputato (OMISSIS) - non potesse costituire da se' elemento dirimente nell'esclusione della manifestazione del concorso nel reato, dovendosi collocare le vicende dei rimborsi nel contesto specifico che la sentenza impugnata ha ricostruito (v. supra, p. 3.1.). Per altro verso, e' pacifico che, in difetto della richiesta del consigliere, non vi sarebbe stato luogo ad alcuna condotta di appropriazione del denaro pubblico, costituendo dunque la richiesta l'antecedente logico per avviare il procedimento finalizzato a distrarre le somme vincolate ai fini istituzionali per il soddisfacimento di fini esclusivamente personali. Inoltre, la censura non tiene conto delle peculiari condizioni soggettive dei concorrenti, dei rapporti di comune appartenenza al medesimo organo politico e della condivisione delle disposizioni regolamentari sull'uso del fondo a disposizione del medesimo gruppo consiliare di cui entrambi facevano parte; e' stato infatti affermato che "in tema di peculato, quando una disciplina di natura pubblicistica prevede il concorso di piu' organi per l'adozione di un atto dispositivo di un bene, il reato e' configurabile per ciascuno dei pubblici ufficiali coinvolti nella procedura diretta all'emissione del provvedimento, atteso che ognuno di essi, pur non avendo l'autonoma disponibilita' del bene, consegue mediatamente tale posizione attraverso il concorso con l'altro soggetto" (Sez. 5, n. 15951 del 16/01/2015, Bandettini, Rv. 263263 - 01). Anche le critiche rivolte alla decisione, relativamente alle questioni riguardanti il profilo dell'elemento soggettivo, non sono fondate, per le ragioni gia' indicate nell'esame del ricorso dell'imputato (OMISSIS) (v. supra, p. 3.1.). 5.2. Il secondo motivo e' manifestamente infondato, per le ragioni illustrate nella premessa di carattere generale (v. supra, p. 1.2.); poiche' e' pacifico che la sentenza di annullamento riguardava esclusivamente l'accertamento della prova del concorso nella condotta appropriativa del capogruppo consiliare e del ricorrente, come indicato nel capo d'imputazione, ogni altro profilo di accertamento (come per l'aspetto dell'effettivo rimborso delle somme richieste dal ricorrente, ovvero per il tema dell'inerenza delle spese rimborsate nonche' del dolo del consigliere che aveva richiesto e ricevuto i rimborsi) era precluso, avendo peraltro la Corte di Cassazione affrontato espressamente le altre censure (v. p. 18.2., pagg. 98-100), che aveva ritenuto infondate o inammissibili. 5.3. Il terzo motivo e' anch'esso manifestamente infondato: il profilo oggetto di censura e' ormai insuscettibile di nuova valutazione, avendo la Corte di Cassazione rigettato il ricorso sul punto (v. il ricordato p. 18.2.); generica e priva di interesse (in difetto di specificazione della rilevanza del dato cronologico) la censura relativa alla data di commissione dei singoli episodi. 5.4. Il quarto motivo (cosi' come il relativo motivo nuovo) ripropone una questione coperta dal giudicato conseguente alla sentenza rescindente (come tale estranea al perimetro del giudizio di rinvio: v. supra, p. 1.2.), che ha escluso alcuna differente qualificazione giuridica degli episodi (v. pag. 98 della sentenza rescindente). 5.5. Il quinto motivo, concernente il profilo dell'individuazione del reato piu' grave, cosi' come articolato, denuncia il difetto di interesse dell'impugnazione poiche' non si deduce alcuna conseguenza sfavorevole in punto di determinazione della pena (fissata, peraltro, nel minimo edittale quanto alla pena per il piu' grave delitto); per cio' che attiene all'asserito difetto di motivazione sull'entita' della pena irrogata a titolo di continuazione, in quanto carente l'indicazione dei singoli aumenti in relazione a ciascun reato satellite, si tratta di aumento determinato nella misura di un mese di reclusione per numerosissimi episodi che si sono realizzati nell'arco di oltre due anni, con cadenze ravvicinate; la decisione ha in ogni caso operato la commisurazione delle pene attraverso l'indicazione dei criteri utilizzati, richiamando alcuni di quelli previsti dell'articolo 133 c.p., sicche' alcuna violazione risulta, anche in relazione all'obbligo di motivazione come delineato dall'arresto a Sezioni unite richiamato dal ricorrente (poiche' in quella decisione si e' precisato che, analogamente al criterio di legittima determinazione della base per il calcolo del trattamento sanzionatorio, che non richiede una motivazione particolarmente specifica e dettagliata per quelle pene che si collocano all'interno dell'intervallo compreso tra il minimo e il medio edittale, anche per la misura degli aumenti di pena ex articolo 81 c.p., comma 2, deve ritenersi adeguata la motivazione che assicuri il rispetto dei limiti previsti dall'articolo 81 c.p., l'assenza di surrettizi cumuli materiali di pene, la considerazione del rapporto di proporzione tra le pene: Sez. unite, n. 47127 del 24/06/2021,. Pizzone, Rv. 282269 - 01, p. 9., pag. 27). 5.6. Il sesto motivo e' formulato per ragioni non consentite: il lamentato difetto di motivazione concerne l'invocato riconoscimento della circostanza attenuante ex articolo 323 bis c.p., che non aveva formato oggetto dell'originario atto di appello, ne' di motivo di ricorso in sede di legittimita' avverso la sentenza di appello; la richiesta formulata con le note di udienza del 9/12/2022 era del tutto generica, sicche' nessun obbligo di argomentazione al riguardo gravava sulla Corte territoriale. 5.7. Anche i motivi nuovi depositati non sono meritevoli di accoglimento. Quanto al profilo dell'omessa rinnovazione istruttoria delle prove dichiarative, va rilevato che esse riguardavano il profilo dell'inerenza di alcune delle spese sostenute dal ricorrente che il Tribunale aveva ritenuto potenzialmente riconducibili all'attivita' di rappresentanza politica; sicche', ai fini della pronuncia da adottare in sede di rinvio, non assumevano alcuna portata in quanto gia' vagliate dalla sentenza rescindente (v. pag. 98) e, comunque, non incidenti sul tema del concorso nel reato di peculato; l'ulteriore profilo e' reiterativo della questione sollevata con il quarto motivo di ricorso e gia' ritenuta non proponibile in questa sede. 5.8. Il settimo motivo di ricorso che lamenta gli errori materiali contenuti nel dispositivo della sentenza, rispetto al dispositivo letto in udienza, oltre che l'omessa indicazione sia nel dispositivo letto in udienza, che in quello riprodotto nella sentenza depositata, della concessione della circostanza attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 6 (su cui vi e' specifica motivazione nel corpo della decisione) e' fondato. Dalla comparazione tra il testo del dispositivo letto in udienza e quello riprodotto nel documento sentenza risulta che in quest'ultimo e' stata omessa l'indicazione riguardante l'avvenuta concessione dei benefici di legge; inoltre, nel dispositivo del documento sentenza il ricorrente risulta essere stato condannato al pagamento delle ulteriori spese processuali del grado, statuizione che non e' contenuta nel dispositivo letto in udienza. Gli evidenti errori materiali contenuti nel dispositivo trascritto nel testo della sentenza depositata (considerata la prevalenza del contenuto del dispositivo letto in udienza, oltre che la corrispondenza delle statuizioni come ricavabili dalla lettura della motivazione) devono essere corretti ai sensi dell'articolo 130 c.p.p., inserendo nel dispositivo della decisione, riprodotto nella sentenza depositata, in prosecuzione della frase "pena principale" la frase "concede i doppi benefici di legge" ed eliminando la statuizione di condanna alle spese (ossia la frase "condanna al pagamento delle ulteriori spese processuali del grado"). Vanno, altresi', corretti sia il dispositivo letto in udienza, sia quello riprodotto nella sentenza depositata, atteso che dalla lettura della motivazione risulta, sia per il tenore espresso degli argomenti utilizzati, sia per il calcolo della pena effettuato (corrispondente nell'esito finale a quello indicato nel dispositivo), l'avvenuto riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 6; e' stato piu' volte ribadito che in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione, qualora la divergenza dipenda da un errore materiale, obiettivamente riconoscibile, contenuto nel dispositivo, e' legittimo il ricorso alla motivazione per individuare l'errore medesimo ed eliminarne i relativi effetti (Sez. 6, n. 24157 del 01/03/2018, Cipriano, Rv. 273269 - 01; Sez. 2, n. 35424 del 13/07/2022, Raimondi, Rv. 283516 - 0), come nell'ipotesi in cui un beneficio espressamente riconosciuto attraverso esplicita motivazione non risulti indicato nel dispositivo (Sez. 3, n. 3969 del 25/09/2018, dep. 2019, B., Rv. 275690-01). Pertanto, deve disporsi la correzione del dispositivo letto in udienza, cosi' come di quello redatto nella parte finale della sentenza depositata, nel senso di aggiungere in continuazione all'espressione "delle attenuanti generiche" la frase "e di quella di cui all'articolo 62 c.p., n. 6". 6. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' infondato. 6.1. La sentenza di primo grado (pagg. 261 ss.) non aveva dedicato alcun passaggio argomentativo al tema del concorso nel reato del ricorrente e del capogruppo (OMISSIS); nella decisione della Corte d'appello del 24 luglio 2018 (pagg. 386 ss.) il tema e' stato affrontato, evidenziando come la mancanza di prove sul previo accordo non fosse di ostacolo alla realizzazione della condotta di peculato nella forma concorsuale descritta nell'imputazione, considerando l'adozione di un regolamento interno del gruppo consiliare generico ed inidoneo a assicurare verifiche su corrispondenza tra documenti di spesa e eventi o occasioni di rilevanza per i fini politici del gruppo; l'assenza di qualsivoglia metodo di controllo sui documenti a sostegno dei rimborsi richiesti; la considerevole entita' delle richieste ed il numero elevato di spese palesemente abnormi; la fissazione di un plafond per ogni singolo consigliere e l'esistenza della sentenza di patteggiamento nei confronti del capogruppo. 6.2. Il primo motivo di ricorso, nel censurare lo schema argomentativo adottato dalla sentenza impugnata, seleziona analiticamente i singoli dati probatori considerati dalla Corte territoriale, ne sottolinea la corrispondenza con gli elementi che la sentenza rescindente aveva giudicato inidonei a sostenere il giudizio di responsabilita', evidenzia la mancanza di dati diversi e ulteriori in grado di attribuire al percorso motivazionale il carattere di adeguatezza rispetto ai temi di prova da verificare. Siffatta analisi finisce, pero', per trascurare del tutto sia la concreta portata probatoria dei singoli elementi considerati, per le specificita' che la motivazione della Corte ha indicato; sia, con effetti ancor piu' negativi, i legami logici che la decisione ha messo in evidenza tra i singoli dati, che non si collocano in uno scenario anonimo ma vengono letti e interpretati attraverso chiavi logiche e criteri di esclusione che non possono dirsi, come ritiene il ricorrente, ne' contraddittori ne' manifestamente illogici. La sentenza ha attribuito rilievo, come per altre posizioni gia' esaminate, alla sentenza di patteggiamento con cui il capogruppo (OMISSIS) ha definito la propria posizione, anche in relazione all'imputazione che lo vedeva concorrente con il (OMISSIS) nella realizzazione delle condotte di peculato contestate al ricorrente; si e' gia' detto della portata probatoria che la giurisprudenza di legittimita' riconosce alla sentenza di applicazione della pena anche nell'ambito di altro procedimento (v. supra, p. 3.1.), considerati gli ulteriori elementi di riscontro che la Corte territoriale ha valutato. Ha, quindi, apprezzato il dato della serialita' delle richieste di rimborso (ricorrente non solo per il (OMISSIS), ma anche per molti tra gli imputati del medesimo processo), per spese "del tutto eccentriche" rispetto alle finalita' proprie del fondo posto a disposizione del gruppo consiliare (accertamento di fatto che non puo' di certo formare oggetto di diversa valutazione in questa sede), di natura spesso palesemente privata; circostanza fattuale che, per la sistematicita' della condotta che si poneva in esplicito contrasto con la funzione e la disciplina dei rimborsi prevista dalla normativa regionale, si spiega solo in ragione di un accordo concluso. nei fatti - tra il capogruppo e i consiglieri e che escludeva ogni tipo di controllo, non per difetto di diligenza ma per condivisa volonta', cosi' rendendo sicura e non contestabile la richiesta di rimborso di spese private. In questa prospettiva, la decisione (pagg. 65-66) ha ricordato che, per la specifica carica istituzionale ricoperta dal ricorrente, era corretto considerare e richiedere un livello particolarmente elevato di controllo nella gestione delle risorse pubbliche e, quindi, del sistema dei rimborsi; da altro angolo visuale, ha considerato che proprio quella posizione e la consapevolezza di poter incorrere in controlli e verifiche, fossero anche saltuari o randomici, con i connessi rischi di instaurazione di giudizi penali o contabili, avrebbero dissuaso dal porre in essere le condotte di appropriazione illecita di quelle risorse (che, pertanto, presupponevano la contraria consapevolezza dell'assoluta inesistenza di controlli sulle richieste formulate). Infine, ha valutato, rispetto al profilo dell'assenza di controlli, che la giustificazione fornita dalle tesi difensive (secondo le quali la mancanza di controlli discendeva dalla reciproca fiducia nel rispetto delle disposizioni legislative e regolamentari, oltre che dall'inesistenza di strumenti di controllo efficacemente adottabili) si scontrava con il dato dell'agevole adozione di plurimi metodi di verifica automatica senza necessita' di complessi apparati organizzativi (controlli a campione o saltuari) attuabili da parte del responsabile della gestione del fondo. Gli argomenti che sorreggono la motivazione, del tutto differente rispetto a quella di primo grado centrata sulla legittimita' delle spese e sulla eventuale buona fede per taluni acquisti di natura privata, risultano adeguati e sufficienti per dare conto della base logico argomentativa necessaria per affermare la responsabilita' dell'imputato. Rispetto all'assetto della motivazione cosi' ricostruito, le censure si caratterizzano per una chirurgica selezione di singoli aspetti, taluni peraltro infondati. Cosi' per il difetto di approfondimento sui singoli episodi - al contrario analiticamente valutati dalla sentenza della Corte d'appello del 24 luglio 2018 nella parte non raggiunta dalla sentenza di annullamento (pagg. 401-04) attraverso il dettagliato richiamo dei documenti, delle tabelle e della natura delle spese ritenute estranee alle finalita' politico istituzionali del gruppo consiliare, cui la sentenza impugnata ha fatto testuale richiamo (pag. 65); o, ancora, sulla ridotta portata della sentenza di patteggiamento nei confronti del (OMISSIS), che la sentenza rescindente non aveva censurato direttamente e rispetto alla quale la sentenza impugnata ha invece dato conto della corrispondenza, quanto all'imputazione, che riguardava non solo gli addebiti elevati nei confronti del (OMISSIS) individualmente, ma anche il reato contestato in concorso al (OMISSIS) e al (OMISSIS), ed ha altresi' apprezzato l'esistenza dei necessari riscontri, fattuali e logici (operazione che non era stata condotta con la sentenza annullata) rappresentati dalla correlazione tra la condotta di peculato realizzata dal (OMISSIS), per fruire a titolo personale delle somme a disposizione del fondo del gruppo, e le sovrapponibili operazioni frutto delle richieste, numericamente rilevanti e per la gran parte riguardanti spese non rimborsabili (se non palesemente estranee in quanto relative a esigenze strettamente private), avanzate dai singoli consiglieri e rispetto alle quali non era risultata alcuna attivita' di controllo o verifica. A questo riguardo va osservato che non sussiste il vizio denunciato dal ricorrente, secondo il quale la sentenza avrebbe finito per adottare un ragionamento circolare, in cui la premessa delle spese esorbitanti e estranee alle finalita' del fondo a disposizione del singolo gruppo deriverebbe dal carattere illecito sistematico, frutto dell'accordo concluso tra il capogruppo ed i consiglieri, ossia dalla conseguenza che si dovrebbe dimostrare; il carattere esorbitante, anomalo e del tutto estraneo alle categorie delle spese qualificabili come collegate ai fini istituzionali del singolo gruppo consiliare si desume non gia' dal carattere sistematico della condotte, rilevato in relazione a piu' posizioni soggettive, ma piuttosto (come gia' rilevato nelle motivazioni delle sentenza di merito con accertamento giudicato immune da vizi dalla sentenza rescindente: p.p. 2. e 3., pagg. 54 e ss.), dal totale difetto di correlazione tra le spese poste a fondamento delle richieste di rimborso e i fini istituzionali, rivelatore di "una inadeguatezza causale originaria" (pag. 67 della sentenza rescindente; nonche' pagg. 109-110 della stessa sentenza, in riferimento alle specifiche voci di spesa contestate al ricorrente). Egualmente infondata la censura che riguarda la valutazione di inattendibilita' espressa dalla Corte territoriale circa le dichiarazioni rese nel corso dell'esame ex articolo 197 bis c.p.p. dal (OMISSIS). Quel giudizio non e' stato fondato, come ipotizzato dal ricorrente, sulla contraddizione tra le dichiarazioni del coimputato sull'origine colposa della carenza di verifiche e la connotazione eccentrica delle spese; e' derivato dalla verifica della tenuta logica delle affermazioni del coimputato, rispetto ad un modello di comportamento che per la durata nel tempo, per l'accertata illiceita' dell'agire del (OMISSIS) (quanto alla diretta fruizione dei rimborsi per spese palesemente eccentriche), per il profilo quantitativo delle spese che venivano indebitamente richieste a rimborso dai consiglieri, non poteva dirsi connotato esclusivamente in termini di difetto di diligenza; la decisione inoltre ha messo in rilievo anche la totale carenza di riscontri rispetto agli argomenti difensivi (pag. 50). Da ultimo, del tutto eccentrica la critica rivolta alla ricostruzione in diritto della fattispecie di reato contestata nella forma del concorso di persone, ritenendo che il contributo del ricorrente, nel formulare la richiesta di rimborso e nel percepire le corrispondenti somme, non fosse elemento sufficiente per descrivere la condotta penalmente rilevante in difetto di prova di un accordo intercorso tra pubblico ufficiale e soggetto estraneo alla pubblica amministrazione, come affermato in piu' occasioni dalla giurisprudenza di legittimita'; in primo luogo, i precedenti citati attengono a ipotesi del tutto differenti (non potendosi affermare che il ricorrente avesse solo sollecitato o raccomandato la liquidazione delle spese documentate, sicche' improprio e' il richiamo a Sez. 4, n. 9930 del 09/09/1985, Macri', Rv. 170864 - 0) e vengono richiamati in modo parziale (come per la decisione Sez. 6, n. 12197 del 25/9/2018, dep. 2019, Lonardelli, non massimata, che aveva precisato, dopo aver dato conto dell'irrilevanza della mera richiesta e ricezione delle somme dal pubblico ufficiale, che "i giudici di merito hanno invece apprezzato la sussistenza di una condotta volta a determinare o rafforzare il proposito criminoso dell'intraneus, con la consapevolezza, anche solo unilaterale, del ruolo svolto dal concorrente e con la volonta' di contribuire alla condotta illecita (Sez. 6, n. 17503 del 24/01/2018, Schauer, Rv. 272908) attraverso la valorizzazione delle circostanze sopra indicate (stesura della relazione e rapporti personali)"). Inoltre, la censura non tiene conto delle peculiari condizioni soggettive dei concorrenti, dei rapporti di comune appartenenza al medesimo organo politico e della condivisione delle disposizioni regolamentari sull'uso del fondo a disposizione del medesimo gruppo consiliare di cui entrambi facevano parte; e' stato infatti affermato che "in tema di peculato, quando una disciplina di natura pubblicistica prevede il concorso di piu' organi per l'adozione di un atto dispositivo di un bene, il reato e' configurabile per ciascuno dei pubblici ufficiali coinvolti nella procedura diretta all'emissione del provvedimento, atteso che ognuno di essi, pur non avendo l'autonoma disponibilita' del bene, consegue mediatamente tale posizione attraverso il concorso con l'altro soggetto" (Sez. 5, n. 15951 del 16/01/2015, Bandettini, Rv. 263263 - 01). 6.3. Il secondo motivo e' manifestamente infondato, oltre che generico; nella sentenza del Tribunale non si era fatto alcun riferimento diretto alle dichiarazioni della (OMISSIS) e della (OMISSIS) nella valutazione della posizione dell'odierno ricorrente, sicche' resta indimostrato il presupposto della diversa valutazione in punto di attendibilita' della prova dichiarativa, da cui sarebbe scaturito l'obbligo della rinnovazione, non avendo neppure il ricorrente indicato in quale passaggio della sentenza di assoluzione l'esito decisorio fosse dipeso dal contenuto delle dichiarazioni delle testimoni indicate. 6.4. Il terzo motivo e' formulato per ragioni non consentite, oltre che manifestamente infondato: gia' la sentenza rescindente aveva affrontato il tema del dolo, oltre che la valutazione della tesi difensiva della buona fede (p. 22.1.; pagg. 109-110) giungendo a conclusioni trancianti sulle modalita' di conservazione dei documenti di spesa e di presentazione delle relative richieste di rimborso, rivelatrici "dell'intenzione originaria di utilizzare quei documenti per chiedere il rimborso", sicche' il tema relativo non poteva piu' formare oggetto del giudizio in sede di rinvio (v. supra, p. 1.3.). 6.5. Il quarto motivo e' anch'esso non consentito, oltre che manifestamente infondato; la Corte di Cassazione ha esaminato la questione della qualificazione giuridica (p. 8., pagg. 70 e ss.) escludendo la possibilita' di un diverso inquadramento della condotta contestata; l'infondatezza dei rilievi circa l'ipotizzata carenza probatoria del concorso del ricorrente con il capogruppo nella realizzazione della condotta appropriativa rende irrilevanti gli argomenti indicati nel motivo di ricorso, che si pongono peraltro in evidente contrasto con la statuizione anch'essa non piu' passibile di rivisitazioni - della sentenza rescindente sull'esatta definizione della nozione di "disponibilita' giuridica" delle somme oggetto dell'appropriazione (cio' che rende inammissibile il motivo nuovo proposto in relazione a tale aspetto). 6.6. Il quinto motivo e' manifestamente infondato; la motivazione della Corte d'appello (pag. 75) che ha escluso la concedibilita' dell'invocata attenuante e ha dato conto in modo chiaro degli indici oggettivi e soggettivi (ricavati da quelli di cui all'articolo 133 c.p.) considerati per determinare la misura della pena, in misura che di certo non supera la media edittale, non e' arbitraria ne' manifestamente illogica. Quanto al diniego della circostanza attenuante, la sentenza ha dato conto degli elementi riferibili alla valutazione complessiva del fatto, considerando la rilevanza dei profili soggettivi che hanno caratterizzato il fatto ascritto al ricorrente, anche per la carica ricoperta di Presidente della Regione Piemonte (in cio' facendo corretta applicazione del principio a mente del quale la circostanza attenuante in parola ricorre quando il reato, valutato nella sua globalita', presenti una gravita' contenuta, dovendosi a tal fine considerare non soltanto l'entita' del danno economico o del lucro conseguito, ma ogni caratteristica della condotta, dell'atteggiamento soggettivo dell'agente e dell'evento: Sez. 6, n. 30178 del 23/05/2019, Fundaro', Rv. 276280 - 0; Sez. 6, n. 8295 del 09/11/2018, dep. 2019, Santimone, Rv. 275091 - 0; Sez. 6, n. 14825 del 26/02/2014, Di Marzio, Rv. 259501 - 01). Per cio' che riguarda la misura della pena irrogata, la relativa motivazione, richiamando gli indici di cui all'articolo 133 c.p., si e' conformata al costante orientamento della Suprema Corte secondo il quale ove il giudice ritenga di applicare una pena che, pur discostandosi dai minimi edittali, non superi la misura media di quella edittale e' adeguatamente motivata la relativa decisione che dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'articolo 133 c.p. con espressioni sintetiche ("pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento"), come pure con il richiamo alla gravita' del reato o alla capacita' a delinquere (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv 271243; Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, Taurasi, Rv. 256464). Ne' puo' rilevare il differente trattamento sanzionatorio determinato per altri imputati nel medesimo procedimento per analoghe imputazioni: e cio' in quanto il trattamento sanzionatorio, alla stregua del canone desumibile dagli articoli 132 e 133 c.p., deve essere definito sulla base di parametri che rendano quanto piu' individualizzante possibile la commisurazione della pena, non essendo invece richiesta nessuna valutazione comparativa tra posizioni pur se omogenee, dal momento che tra i parametri di legittimita' per la definizione della pena non e' compreso quello della valutazione comparativa tra le pene inflitte a imputati per reati della stessa specie; e' stato infatti gia' affermato, in relazione all'ipotesi di piu' soggetti imputati in concorso tra loro dello stesso reato, che non sussiste alcun onere motivazionale di procedere alla valutazione comparativa delle singole posizioni e di motivare in ordine alla eventuale differenziazione delle pene inflitte (Sez. 2, n. 1886 del 15/12/2016, dep. 2017, Bonacina, Rv. 269317 - 01). 7. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' parzialmente fondato, nei limiti di seguito indicati. 7.1. La sentenza di primo grado (pagg. 192 ss.) non aveva dedicato alcun passaggio argomentativo al tema del concorso nel reato del ricorrente e del capogruppo (OMISSIS); nella decisione della Corte d'appello del 24 luglio 2018 (pagg. 301 ss.) venivano richiamati, a sostegno della prova del concorso nel reato ascritto alla ricorrente del capogruppo (OMISSIS) (pag. 314), i dati riguardanti le generiche previsioni del regolamento; l'assenza di meccanismi di verifica; il numero e la consistenza delle spese abnormi indicate nelle richieste di rimborso della ricorrente; la responsabilita' del capogruppo desumibile dalla sentenza di applicazione della pena concordata. 7.2. Il primo motivo di ricorso, che ripercorre la medesima trama concettuale del primo motivo del ricorso proposto nell'interesse del coimputato (OMISSIS), e' anch'esso infondato. L'identita' delle censure sollevate, se pur con riferimento al differente rapporto soggettivo tra la ricorrente e il proprio capogruppo, consente di rinviare alle argomentazioni che sono state illustrate in precedenza (v. supra, p. 6.2.); ad esse si aggiungono le specifiche valutazioni condotte anche sull'infondatezza delle giustificazioni fornite dal capogruppo (OMISSIS) in sede di esame, specie per l'inesistenza di ragionevoli cause che avessero determinato l'omessa attivazione di alcun sistema di controllo, e sull'inattendibilita' delle indicazioni fornite dalla teste (OMISSIS) sul rifiuto di taluni rimborsi per l'anomalia delle spese documentate (pagg. 83-84). 7.3. Anche le censure formulate con il secondo ed il terzo motivo di ricorso, cui vanno collegate quelle dei motivi nuovi, sono perfettamente sovrapponibili al contenuto del terzo e del quarto motivo del ricorso proposto nell'interesse del coimputato (OMISSIS) e, in assenza di profili soggettivi idonei a mutare l'oggetto della censura, devono ritenersi manifestamente infondate per gli stessi ordini di ragioni gia' indicati in precedenza (v. supra, p.p. 6.4. e 6.5.), considerate le statuizioni della sentenza rescindente relative al profilo dell'elemento soggettivo (p. 21.1.; pagg. 108-109) e alla qualificazione giuridica dei fatti contestati (p. 8., pagg. 70 e ss.). 7.4. E' fondato il quarto motivo di ricorso. L'imputata, e' stata riconosciuta responsabile, dalla sentenza di primo grado, per un singolo episodio (relativo alle spese sostenute il 28/4/2011), qualificato come delitto di cui alla L. n. 195 del 1974, articolo 7, venendo assolta dagli altri addebiti; la Corte d'appello ha ribaltato il verdetto per tali diversi episodi, affermando la responsabilita' della (OMISSIS) per il delitto di peculato e condannando l'imputata riconoscendo tra quei fatti ed il delitto L. n. 195 del 1974, ex articolo 7 il vincolo della continuazione; proposto ricorso in sede di legittimita' anche in relazione a quest'ultimo capo, la Corte di Cassazione con la sentenza rescindente ha dichiarato l'inammissibilita' del relativo motivo di ricorso (p. 21.1., pagg. 107-08). Dagli atti processuali risulta che per il reato di cui alla L. n. 195 del 1974, articolo 7, commesso in data (OMISSIS), tenendo conto della sospensione del corso della prescrizione per 11 giorni, il termine massimo di prescrizione e' maturato l'8 novembre 2018. La peculiare situazione processuale conseguente al riconosciuto vincolo della continuazione tra piu' reati, rispetto ai quali la statuizione di responsabilita' risulti divenuta definitiva per uno di essi, esclude che la declaratoria di inammissibilita' del ricorso da cui e' derivato il giudicato parziale sulla responsabilita' inibisca al giudice del rinvio di apprezzare la prescrizione del reato maturata in epoca anteriore alla pronuncia rescindente, in quanto "i reati unificati con il vincolo della continuazione, diversamente dai capi di imputazione autonomi, hanno sorte processuale comune, non potendosi il relativo capo ritenersi definitivo se la pena e' ancora in discussione, poiche' irrogata in relazione alla ritenuta continuazione" (Sez. 2, n. 36376 del 23/06/2021, Cimini, Rv. 282015 - 04). Deve, pertanto, esser annullata la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui alla L. n. 195 del 1974, articolo 7, con rideterminazione ex articolo 620 c.p.p., lettera L) del trattamento sanzionatorio escludendo l'aumento in continuazione di mesi 1 di reclusione (come determinato dalla sentenza di primo grado, pag. 89, quart'ultimo rigo). 7.5. Il quinto motivo di ricorso e' generico, oltre che manifestamente infondato, in quanto la motivazione della sentenza impugnata ha dato conto dei criteri di valutazione adottati per escludere la concedibilita' della circostanza attenuante di cui all'articolo 323 bis c.p., senza evidenziare caratteri di arbitrarieta' o carenza manifesta; analogamente quanto alla commisurazione della pena, avendo operato secondo i canoni di giudizio condivisi dalla giurisprudenza di legittimita' (v. le decisioni gia' richiamate nell'esame dell'omologo motivo di ricorso del coimputato (OMISSIS), supra, p. 6.6.). 8. Il ricorso dell'imputato (OMISSIS) e' inammissibile, in quanto proposto per motivi non consentiti e manifestamente infondati. 8.1. I primi quattro motivi, tutti collegati all'asserita violazione del principio di cui all'articolo 587 c.p.p., muovono da un presupposto errato. La sentenza rescindente ha annullato la sentenza della Corte d'appello di Torino del 24 luglio 2018, per la posizione dell'odierno ricorrente, limitatamente al reato contestato al capo c) (riguardante episodi di truffa in danno della Regione Piemonte, consumati dal mese di maggio dell'anno 2010 sino al 31 dicembre 2012) per i fatti commessi fino al 18/05/2012, in quanto estinti per prescrizione, rinviando per nuovo giudizio sul trattamento sanzionatorio; ha rigettato nel resto il proposto ricorso, dichiarando irrevocabile l'accertamento di responsabilita' per il reato di cui al capo b), ossia per le condotte di peculato commesse in concorso con il capogruppo (OMISSIS). Ritiene il ricorrente che l'annullamento pronunciato dalla Suprema Corte, con riguardo al profilo della verifica del concorso nel reato di peculato di ciascun imputato con il rispettivo capogruppo e della sussistenza del relativo elemento soggettivo, debba estendere i suoi effetti anche in relazione alla posizione del (OMISSIS), in applicazione dei principi che regolano l'effetto estensivo delle impugnazioni. La prospettazione del ricorrente e' in palese contrasto con il tenore letterale dell'articolo 587 c.p.p., in quanto il (OMISSIS) non e' imputato di alcun reato in concorso con gli altri ricorrenti per i quali e' stato pronunciato l'annullamento sul tema del concorso nel reato (per il reato di peculato di cui al capo B), il (OMISSIS) e' chiamato a rispondere con il correo (OMISSIS), giudicato separatamente); ne' ricorrono i presupposti indicati dall'articolo 587 c.p.p., comma 2, in quanto le impugnazioni che diedero luogo all'annullamento non si fondavano sulla violazione di norme processuali. Per questa ragione, del resto, la sentenza rescindente non solo aveva indicato il solo capo C) della sentenza quale parte attinta dall'annullamento, ma aveva altresi' dichiarato l'irrevocabilita' dell'accertamento di responsabilita' in relazione proprio al capo B) che riguardava l'imputazione per il delitto di peculato. Conseguentemente, le censure che riguardano la carenza della motivazione sul profilo della responsabilita' ex articolo 110 c.p. del ricorrente (secondo motivo) e sull'estensione temporale dell'addebito relativo al delitto di peculato (terzo motivo) non rientrano tra i motivi consentiti ex articolo 606 e 627 c.p.p., l'uno perche' escluso dal perimetro del giudizio di annullamento, l'altro anche perche' mai proposto con gli originari motivi di ricorso; infine, la censura relativa al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'articolo 323 bis c.p. e' anch'essa formulata in termini non consentiti, poiche' il relativo motivo di ricorso in sede di legittimita' era stato dichiarato infondato dalla sentenza rescindente (pag. 136), non poteva formare oggetto del giudizio di rinvio, ne' poteva essere recuperato attraverso l'errata applicazione dei principi in materia di effetto estensivo delle impugnazioni. 8.2. Anche il quinto motivo di ricorso e' manifestamente infondato. La sentenza di primo grado (pagg. 321-22) aveva provveduto ad individuare il trattamento sanzionatorio per il ricorrente, in relazione ai reati per cui aveva riconosciuto la sua responsabilita', fissando la pena base per il reato di peculato sub B), limitato ad un singolo episodio, in anni 3 di reclusione, pena ridotta per effetto della circostanza attenuante ex articolo 323 bis c.p. ad anni 2 di reclusione, ulteriormente ridotta per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, ad anni 1 e mesi 4 di reclusione; su tale pena veniva applicato l'aumento, ai sensi dell'articolo 81 c.p., comma 2, per gli episodi di truffa (di cui al capo C), pari a mesi 4 di reclusione, cosi' determinando la pena complessiva in anni 1 e mesi 8 di reclusione. La sentenza della Corte d'appello di Torino del 24 luglio 2018, poi annullata dalla Corte di Cassazione, aveva fissato la pena base per il reato sub B) (il delitto di peculato, riconosciuto per tutti gli episodi contestati in accoglimento dell'impugnazione del P.M.) nella medesima misura di anni 3 di reclusione, pena ridotta per effetto del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ad anni 2 di reclusione, ulteriormente ridotta per la circostanza attenuante ex articolo 62 c.p., n. 6, ad anni 1 e mesi 4 di reclusione; aveva apportato quale aumenti ex articolo 81 c.p., comma 2, quello pari a mesi 2 di reclusione per la continuazione interna in relazione al delitto di peculato e quello pari a mesi 2 di reclusione per la continuazione con i fatti contestati al capo C); la pena finale era stata, quindi, determinata in anni 1 e mesi 8 di reclusione. La decisione del giudice di rinvio, senza modificare le altre statuizioni, aveva determinato l'aumento per i residui episodi di cui al capo C), indicandolo come corrispondente a mesi sei di reclusione, per poi fissare la pena complessiva in anni 1 e mesi 7 di reclusione. Se, dunque, si pongono a raffronto il calcolo operato dalla sentenza della Corte d'appello di Torino annullata e quello seguito dal giudice di rinvio, risulta palese che la pena complessiva determinata dalla sentenza impugnata e' inferiore a quella annullata e che, non avendo mutato la misura delle altre frazioni di pena come individuate dalla sentenza oggetto di annullamento, in concreto - al di la' dell'indicazione palesemente errata alla misura di "mesi sei di reclusione" - ha fissato l'aumento ai sensi dell'articolo 81 c.p., comma 2, per i residui fatti di truffa, nella misura di 1 mese di reclusione (a fronte dell'aumento indicato nella sentenza annullata per gli episodi di truffa considerati, pari a 2 mesi di reclusione), con riduzione dunque rispetto alla precedente statuizione. Risultando rispettata la doverosa riduzione della pena finale (Sez. 5, n. 31998 del 06/03/2018, Rossi, Rv. 273570 - 0), non sussistendo vincoli quanto alla proporzionalita' della riduzione (Sez. 6, n. 30164 del 02/04/2019, D'Antuono, Rv. 276229 - 0) e essendo rimasta invariata la misura della pena base per il piu' grave reato e delle riduzioni per effetto delle riconosciute circostanze attenuanti (Sez. 3, n. 17731 del 15/02/2018, Balzano, Rv. 272779 - 0), l'errata indicazione verbale della misura dell'aumento determinato ai sensi dell'articolo 81 c.p., comma 2 non costituisce violazione del principio fissato dall'articolo 597 c.p.p. (Sez. 3, n. 225 del 28/06/2017, dep. 2018, Ahlal, Rv. 272211 - 0). 9. Alla declaratoria di inammissibilita' del ricorso proposto da (OMISSIS) consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche', ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' emergenti dai ricorsi (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di Euro tremila a favore della Cassa delle ammende. Al rigetto dei ricorsi proposti da (OMISSIS) e (OMISSIS) consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente al reato di cui alla L. n. 195 del 1974, articolo 7 perche' estinto per prescrizione. Rigetta nel resto il ricorso e ridetermina la pena in anni uno e mesi sei di reclusione. Rigetta il ricorso di (OMISSIS) e dispone correggersi la sentenza impugnata nella parte del dispositivo pronunciato nei suoi confronti, nel senso di aggiungere in continuazione "delle attenuanti generiche" la frase "e di quella di cui all'articolo 62 c.p., n. 6", nonche', in prosecuzione della frase "pena principale" la frase "concede i doppi benefici di legge"; dispone correggersi il dispositivo letto in udienza nei confronti di (OMISSIS) nel senso di aggiungere in continuazione "delle attenuanti generiche" la frase "e di quella di cui all'articolo 62 c.p., n. 6"; dispone correggersi il dispositivo della sentenza pronunciata nei confronti di (OMISSIS) nel senso di eliminare la "condanna al pagamento delle ulteriori spese processuali del grado". Rigetta il ricorso di (OMISSIS) e dispone correggersi il dispositivo della sentenza impugnata nel senso di aggiungere in prosecuzione della frase "pena principale" la frase "concede i doppi benefici di legge". Rigetta i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibile il ricorso di (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. ACETO Aldo - rel. Consigliere Dott. GENTILI Andrea - Consigliere Dott. NOVIELLO Giuseppe - Consigliere Dott. MACRI' Ubalda - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS) nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 26/01/2022 del TRIBUNALE di NAPOLI; udita la relazione svolta dal Consigliere ALDO ACETO; lette le conclusioni del PG, PASQUALE FIMIANI, che ha chiesto l'annullamento con rinvio; letta la memoria del difensore, AVV. (OMISSIS), che ha replicato alle richieste del PG chiedendo la declaratoria di inammissibilita' del ricorso o comunque il suo rigetto. RITENUTO IN FATTO 1.11 Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli ricorre per l'annullamento dell'ordinanza del 26/01/2022 del medesimo Tribunale che, in parziale accoglimento dell'istanza della sig.ra (OMISSIS), ha sospeso l'esecuzione dell'ingiunzione emessa in attuazione dell'ordine di demolizione di un manufatto edilizio per la cui abusiva realizzazione la (OMISSIS) era stata irrevocabilmente condannata con sentenza pronunciata dal medesimo tribunale. 1.1.Con unico motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606, lettera b) ed e), c.p.p., violazione di legge e vizio di motivazione contraddittoria e manifestamente illogica. Sostiene, al riguardo, che in assenza di elementi tali da giustificare la revoca dell'ordine (assenza di cui l'ordinanza stessa da' contraddittoriamente conto), il Giudice ne ha ordinato la sospensione, di fatto, "sine die". Il Tribunale, prosegue, non ha fatto corretta applicazione del principio di proporzionalita', cui deve essere informato il procedimento di demolizione in esecuzione di sentenze penali di condanna, cosi' come "codificato" da questa Corte di cassazione in ossequio alla giurisprudenza della Corte E.D.U. Sotto il profilo logico non e' credibile, infatti, la tesi del "disagio economico" in capo ad un soggetto che, sloggiato dalla precedente abitazione nel 1990: a) nel 1995 aveva realizzato, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico e sismico, un immobile in cemento armato sviluppato su due livelli, estesi, rispettivamente, mq. 120,00 (piano terra, destinato a deposito garage) e mq. 190,00 (primo piano, destinato ad abitazione), di volumetria complessiva pari a mc. 948,00; b) tra il 2013 ed il 2014, aveva trasformato il piano terra da garage ad abitazione onde sistemarvi il figlio ed il suo nucleo famigliare; c) nel 2021 aveva realizzato altre opere quali: i) un muro di cemento armato lungo quindici metri ed alto cinque; ii) un muro di recinzione lungo otto metri e alto due; iii) una platea di cemento estesa sedici metri quadrati. Quanto al principio di proporzionalita', afferma, il GE non ha tenuto conto: - della consapevolezza della illiceita' dell'abuso da parte dell'esecutata che ha reiteratamente serbato un atteggiamento di sfida ai divieti normativi; - della natura e del grado della illegalita'; - della natura degli interessi protetti e tutelati dai numerosi vincoli gravanti sull'area; - del tempo che l'esecutata aveva avuto a disposizione dalla notificazione dell'ingiunzione senza aver trovato una sistemazione alternativa. 2.11 difensore di (OMISSIS) ha depositato memoria concludendo per l'inammissibilita' del ricorso siccome manifestamente infondato e privo di un reale confronto con la "ratio decidendi". CONSIDERATO IN DIRITTO 1.11 ricorso e' fondato. 2.Dalla lettura del provvedimento impugnato risulta che: 2.1.l'ingiunzione a demolire era stata emessa dal PM il 24/03/2014 e notificata il 21/07/2014; 2.2.con istanza dell'11/05/2021, (OMISSIS) aveva chiesto la revoca o la sospensione dell'ingiunzione rappresentando le precarie condizioni economiche proprie e del suo nucleo familiare, nonche' la mancanza di una valida situazione alloggiativa; 2.3.dopo essere stati sloggiati dalla propria abitazione il 24/08/1990, la sig.ra (OMISSIS) ed il marito (che nel gennaio 1990 avevano chiesto l'assegnazione di un alloggio popolare, richiesta reiterata il 14/12/2021), nell'impossibilita' di reperirne un'altra e non avendo disponibilita' economiche, aveva provveduto a costruirne una âEuroËœex novo' nella quale risiedono anche il figlio ed il nucleo famigliare di questi composto da moglie e due bambine; 2.4.non era stata presentata alcuna istanza di condono (circostanza che aveva indotto il Giudice a non accogliere la domanda, formulata in via principale, di annullamento dell'ordine); 2.5.erano state prodotte le dichiarazioni ISEE e la nota dell'INPS di accoglimento del reddito di inclusione che dimostrano, a giudizio del Tribunale, il dedotto disagio socio-economico che legittima, in ossequio al principio di proporzionalita', la sospensione dell'ordine in attesa dell'assegnazione di un alloggio popolare. 6.Tanto premesso, osserva il Collegio: 6.1.correttamente il Tribunale ha richiamato la giurisprudenza della Corte di cassazione secondo cui la sanzione della demolizione del manufatto abusivo, prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 6 giugno 2001 n. 380, articolo 31, e' sottratta alla regola del giudicato ed e' riesaminabile in fase esecutiva, sicche' il giudice dell'esecuzione ha l'obbligo di revocare l'ordine di demolizione del manufatto abusivo impartito con la sentenza di condanna o di patteggiamento, ove sopravvengano atti amministrativi con esso del tutto incompatibili, ed ha, invece, la facolta' di disporne la sospensione quando sia concretamente prevedibile e probabile l'emissione, entro breve tempo, di atti amministrativi incompatibili (Sez. 3, n. 24273 del 24/03/2010, Petrone, Rv. 247791 - 01; Sez. 3, n. 23992 del 16/04/2004, Cena, Rv. 228691 - 01); 6.2. Occorre, a tal fine, che sussista un'incompatibilita' insanabile e non meramente futura o eventuale con i concorrenti provvedimenti della P.A. che abbiano conferito all'immobile una diversa destinazione o ne abbiano sanato la abusivita' (Sez. 3, n. 37120 dell'11/05/2005, Morelli, Rv. 232173 - 01), fermo restando il potere-dovere del giudice dell'esecuzione di verificare la legittimita' e l'efficacia del titolo abilitativo, sotto il profilo del rispetto dei presupposti e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio, la corrispondenza di quanto autorizzato alle opere destinate alla demolizione e, qualora trovino applicazione disposizioni introdotte da leggi regionali, la conformita' delle stesse ai principi generali fissati dalla legislazione nazionale (Sez. 3, n. 55028 del 09/11/2018, Rv. 274135 - 01; Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Chisci, Rv. 260972 - 01; Sez. 3, n. 42164 del 09/07/2013, Brasiello, Rv. 256679 - 01); 6.3.dato atto della inesistenza di provvedimenti amministrativi incompatibili con l'esecuzione dell'ordine di demolizione il GE ne ha comunque sospeso l'esecuzione in considerazione delle precarie condizioni economiche della ricorrente "in attesa dell'assegnazione di un alloggio popolare" chiesto con nuova istanza del dicembre 2021, a distanza, cioe', di sette anni dalla notifica dell'ingiunzione di demolizione e di ventuno dalla irrevocabilita' della sentenza di condanna (che tale ordine conteneva); 6.4.il GE ha richiamato, a giustificazione della propria decisione, la giurisprudenza di legittimita' che, nel fare applicazione del cd. principio di proporzionalita' di derivazione convenzionale (cosi' come elaborato dalla Corte EDU in materia di tutela del diritto al rispetto della vita privata e familiare di cui all'articolo 8, Conv. EDU), ha affermato che il giudice, nel dare attuazione all'ordine di demolizione di un immobile abusivo adibito ad abituale abitazione di una persona, e' tenuto a rispettare il principio di proporzionalita' enunciato nelle sentenze della Corte EDU Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria del 21/04/2016 e Kaminskas c. Lituania del 04/08/2020, valutando la disponibilita', da parte dell'interessato, di un tempo sufficiente per conseguire, se possibile, la sanatoria dell'immobile o per risolvere, con diligenza, le proprie esigenze abitative, la possibilita' di far valere le proprie ragioni dinanzi a un tribunale indipendente, l'esigenza di evitare l'esecuzione in momenti in cui sarebbero compromessi altri diritti fondamentali, come quello dei minori a frequentare la scuola, nonche' l'eventuale consapevolezza della natura abusiva dell'attivita' edificatoria (Sez. 3, n. 5822 del 18/01/2022, D'Auria, Rv. 282950 - 01, che ha ritenuto corretta la decisione di rigetto dell'istanza di revoca dell'ingiunzione a demolire un immobile abusivo, rilevando che i ricorrenti avevano commesso numerose contravvenzioni urbanistiche e paesaggistiche e piu' delitti di violazione dei sigilli, avevano potuto avvalersi di plurimi rimedi per la tutela in giudizio delle proprie ragioni, avevano beneficiato di un congruo tempo per individuare altre situazioni abitative e non avevano indicato specifiche esigenze che giustificassero il rinvio dell'esecuzione dell'ordine di demolizione onde evitare la compromissione di altri diritti fondamentali; nello stesso senso, Sez. 3, n. 423 del 14/12/2020, dep. 2021, Leoni, Rv. 280270 - 01); 6.5.come spiegato in motivazione dalla citata Sez. 3, D'Auria, "(a)i fini della valutazione del rispetto del principio di proporzionalita', la Corte EDU ha (...) valorizzato essenzialmente: la possibilita' di far valere le proprie ragioni davanti ad un tribunale indipendente; la disponibilita' di un tempo sufficiente per "legalizzare" la situazione, se giuridicamente possibile, o per trovare un'altra soluzione alle proprie esigenze abitative agendo con diligenza; l'esigenza di evitare l'esecuzione in momenti in cui verrebbero compromessi altri diritti fondamentali, come quello dei minori a frequentare la scuola. Inoltre, ai medesimi fini, un ruolo estremamente rilevante e' stato attribuito alla consapevolezza della illegalita' della costruzione da parte degli interessati al momento dell'edificazione ed alla natura ed al grado della illegalita' realizzata (...) La maggior parte delle decisioni di legittimita' ha ritenuto rispettato il principio di proporzionalita' valorizzando il tempo a disposizione del destinatario dell'ordine di demolizione per "cercare una soluzione alternativa" (cosi' Sez. 3, n. 48021 del 11/09/2019, Giordano, Rv. 277994-01, e Sez. 3, n. 24882 del 26/04/2018, Ferrante, Rv. 273368-01, la quale ha escluso rilievo a situazioni di salute "solo "cagionevole"") o la gravita' delle violazioni (cfr. Sez. 3, n. 43608 del 08/10/2021, Giacchini, che ha valorizzato le dimensioni del fabbricato e la violazione di piu' disposizioni penali, anche in tema di paesaggio, conglomerato cementizio e disciplina antisismica), o entrambe le circostanze (Sez. 3, n. 35835 del 03/11/2020, Santoro ed altro, non massirnata)"; 6.6.orbene, come correttamente dedotto dal PM ricorrente, il Giudice dell'esecuzione ha fatto malgoverno tanto della logica quanto del cd. "principio di proporzionalita'"; 6.7.sul piano della logica, dopo aver escluso la possibilita' di revocare l'ordine di demolizione, il Tribunale ne ha sospeso l'efficacia in assenza di una qualsiasi ragionevole previsione sull'esito della domanda di assegnazione dell'alloggio popolare, senza contestualmente tener conto del lunghissimo lasso di tempo trascorso dalla data di irrevocabilita' della sentenza e dell'ingiunzione, e senza considerare le notevoli potenzialita' economiche sottese alla abusiva realizzazione del fabbricato e relative pertinenze; 6.8.sul piano del rispetto del principio di proporzionalita', il Tribunale non ha effettivamente considerato la reiterazione (e il consolidamento) dell'illecito nel tempo, la gravita' degli illeciti (per dimensione), la consapevolezza di tale gravita', la natura degli interessi gravanti sull'area, la ulteriore trasformazione dell'immobile per ospitarvi un ulteriore nucleo famigliare; 6.9.il Giudice dell'esecuzione ha considerato esclusivamente le condizioni economiche precarie della (OMISSIS) che, peraltro, non sono di per se sufficienti ai fini della revoca/sospensione dell'ordine di demolizione; 6.10.I'ordinanza impugnata deve dunque essere annullata con rinvio al Tribunale di Napoli. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Napoli.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI STEFANO Pierluigi - Presidente Dott. VIGNA M.Sabina - Consigliere Dott. SILVESTRI Pietro - rel. Consigliere Dott. TRIPICCIONE Debora - Consigliere Dott. DI GIOVINE Ombretta - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Torino l'11/04/2022; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere, Pietro Silvestri; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Ettore Pedicini, che ha chiesto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essersi il reato estinto per prescrizione; lette le conclusioni dell'avv. (OMISSIS), difensore dell'imputato, che ha insistito nell'accoglimento dei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Torino, in riforma della sentenza di assoluzione emessa nei riguardi di (OMISSIS), perche' il fatto non costituisce reato, ha condannato l'imputato per il reato di peculato contestato al capo DD). A (OMISSIS), e' contestato, nella qualita' di direttore generale e responsabile unico del procedimento nella iniziativa pubblica denominata "B 528- interventi di ristrutturazione del diramatore (OMISSIS), per il recupero di risorse idriche -, di avere autorizzato la cessione, per il corrispettivo di 50.000 Euro, di terra di risulta di proprieta' demaniale (Regione (OMISSIS)), proveniente dall'esubero degli scavi, in favore della societa' (OMISSIS) s.p.a., introitando l'incasso nella gestione ordinaria dell'Aies (Associazione Irrigazione Est Sesia- Consorzio), senza tuttavia applicare le procedure previste dal Regio Decreto 827 del 23 maggio 1924, articolo 63 e ss. (regolamento per l'amministrazione del patrimonio e per la contabilita' generale dello Stato) in tal modo procurando ad Aies un vantaggio patrimoniale con pari danno per l'erario. 2. Ha proposto ricorso l'imputato articolando nove motiv; ricostruito lo sviluppo del processo, evidenzia il difensore che: a) l'imputato era stato rinviato a giudizio per 34 capi di imputazione aventi ad oggetto una serie di gravi reati (peculato, turbativa d'asta, abuso d'ufficio, falsi, truffa ai danni dello stato, associazione per delinquere) e che l'originario oggetto del processo era l'intera gestione dell'(OMISSIS) da parte di (OMISSIS) e dei suoi piu' stretti collaboratori; b) il Tribunale aveva assolto o comunque prosciolto l'imputato da tutti i reati; c) la Procura della Repubblica aveva impugnato l'assoluzione limitatamente al reato associativo - in relazione al quale vi e' stata una successiva rinuncia all'impugnazione e a due fatti di peculato (Capi Q - DD); d) il Procuratore impugnante aveva chiesto la quasi integrale rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale ai sensi dell'articolo 603 c.p.p., comma 3 bis, e che in tale contesto erano stati indicati una serie di testimoni e consulenti di cui si chiedeva il riascolto senza tuttavia precisare i temi su cui l'ascolto avrebbe dovuto vertere, quali fossero le dichiarazioni erroneamente valutate, quali le ragioni per cui la rinnovazione sarebbe stata necessaria. In tale quadro di riferimento, si isola il fatto per cui si procede, e cioe' che l'imputato avrebbe autorizzato la vendita di un carico di terra ritenuta demaniale a una societa' privata che avrebbe poi corrisposto il prezzo di vendita al consorzio e non all'ente ritenuto proprietario, cioe' alla Regione Piemonte. 2.1. Sulla base di tali presupposti con il primo motivo si deduce violazione di legge processuale per avere escluso la Corte la propria cognizione in ordine alla verifica dell'elemento oggettivo del reato contestato. La preclusione sarebbe stata ritenuta sulla base di due argomentazioni. La prima e' che, in assenza di impugnazione dell'imputato, il principio devolutivo avrebbe impedito ad essa di esaminare d'ufficio il punto relativo alla sussistenza dell'elemento oggettivo del reato: nella specie, secondo la Corte, non potrebbe farsi riferimento all'articolo 597 c.p.p., secondo cui quando appellante e' il Pubblico Ministero il giudice puo' prosciogliere per una causa diversa. La seconda argomentazione e' conseguerte al principio affermato da una sentenza della Corte di cassazione, secondo cui nei casi di appello proposto dal Pubblico Ministero avverso una sentenza di assoluzione perche' il fatto non costituisce reato, la Corte non potrebbe assolvere per difetto del nesso causale, cioe' per una ragione riguardante l'elemento oggettivo del reato (Sez. 4, n. 7088 del 2021). Secondo l'imputato entrambe le argomentazioni non sarebbero condivisibili. La giurisprudenza consolidata di legittimita' avrebbe chiarito che, in caso di impugnazione del Pubblico Ministero, l'appello avrebbe effetto pienamente devolutivo e l'imputato sarebbe rimesso nella fase iniziale del giudizio, potendo quindi riproporre tutte le istanze relative alla ricostruzione del fatto e alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato. Tale principio troverebbe applicazione anche nel caso di appello dell'Accusa proposto avverso una sentenza di assoluzione perche' il fatto non costituisce reato, quindi potenzialmente appellabile ai sensi dell'articolo 593 c.p.p. dallo stesso imputato (si cita Sez. 5, n. 30526 del 2021 intervenuta su un fatto identico a quello per cui si procede). Il principio devolutivo, si aggiunge, non sarebbe intangibile, esistendo numerose disposizioni - tra cui quella prevista dall'articolo 597 c.p.p., comma 2, lettera b), - che consentono al giudice, nel caso di impugnazione del Pubblico Ministero, di assolvere per una causa diversa. La giurisprudenza della Corte di cassazione, nell'affermare l'ambito di cognizione del giudice d'appello, avrebbe da tempo riconosciuto il principio per cui sono devoluti non solo i punti in senso stretto ex articolo 597 c.p.p., comma 1, ma anche quelli legati, come nel caso di specie, da vincoli di connessione essenziale, logico giuridica e pregiudizialita', dipendenza o inscindibilita'. Ne' sarebbe corretto individuare nell'appello incidentale dell'imputato lo strumento che (OMISSIS), avrebbe dovuto utilizzare per estendere la cognizione del giudice d'appello sui punti non impugnati dal Pubblico Ministero, dovendo l'appello incidentale, secondo i principi fissati dalla Corte di cassazione, avere ad oggetto i medesimi punti impugnati con l'appello principale: la Corte, si sottolinea, avrebbe in passato ritenuto inammissibile l'appello incidentale in casi del tutto sovrapponibili a quello in esame. Dunque una sentenza viziata da annullare. 2.2. Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione e violazione di legge extrapenale che influisce nell'applicazione della legge penale; si fa riferimento al Decreto Ministeriale n. 145 del 19 aprile 2000, articolo 36, e alla parte della sentenza impugnata in cui la Corte avrebbe equiparato la vendita della terra di risulta all'attivita' di estrazione di ghiaia, senza tuttavia considerare le circostanze in cui e' avvenuta la vendita, posta in essere nell'ambito di un appalto pubblico, e negando quindi irritualmente la esistenza di pieni poteri dell'Aies sul materiale oggetto di alienazione. La Corte d'appello, argomenta l'imputato, avrebbe erroneamente ritenuto che il Consorzio non fosse proprietario della terra di risulta, che (OMISSIS), non potesse disporre "uti dominus" e che il Consorzio non potesse apprendere il corrispettivo della cessione, in quanto spettante alla Regione. 2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge con riferimento al Regio Decreto n. 1775 del 1993, articolo 36 del Regio Decreto 368 del 1904, articolo 134 e ss. e della legge regionale Piemonte n. 21 del 1999, articolo 24 la cui erronea interpretazione sarebbe stata posta a fondamento della tesi della Corte secondo cui la vendita sarebbe stata illecita in quanto compiuta senza una previa autorizzazione. 2.4. Con il quarto motivo si lamenta vizio di motivazione e violazione di legge in riferimento alle dichiarazioni del teste Occhipinti e, in particolare, con riguardo all'affermazione della Corte di appello secondo cui la riscossione del prezzo di vendita sarebbe stato "di competenza" della Regione Piemonte e dunque che quelle somme non potessero essere incassate da Aies. Si tratterebbe di conclusioni "autocratiche" (cosi' il ricorso), prive di qualsiasi motivazione. 2.5. Con il quinto motivo si deduce vizio di motivazione e violazione di legge per avere la Corte non valutato l'offensivita' del reato contestato, con particolare riguardo al danno cagionato. Investita della questione, la Corte avrebbe omesso qualsiasi motivazione e si sarebbe limitata ad affermare che il danno sarebbe consistito nella sottrazione di quelle somme ai cittadini della Regione Piemonte. Secondo l'imputato, non solo la stessa Corte avrebbe riconosciuto che quelle somme furono destinate alle opere di manutenzione del consorzio, ma, si evidenzia, nessun danno patrimoniale sarebbe stato cagionato e nessun impedimento sarebbe stato posto al buon andamento della pubblica amministrazione. Ne' sarebbe stato spiegato perche', rispetto all'introito di risorse da parte del Consorzio, sarebbe stato leso il bene del buon andamento della Pubblica amministrazione. Dunque, il mancato coinvolgimento della Regione e la mancanza di indagine di mercato costituirebbero al piu' violazioni di carattere formale che non avrebbero pero' prodotto lesione al bene tutelato dalla norma incriminatrice. 2.7. Con il settimo motivo si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza del dolo. La Corte avrebbe innanzitutto violato l'obbligo di motivazione rafforzata. Il Tribunale aveva ritenuto insussistente il dolo sulla base di tre elementi: a) l'esistenza di una normativa articolata, complessa, non facilmente intellegibile; b) la consuetudine di (OMISSIS) di vendere senza gara pubblica; c) l'essere stata l'operazione trasparente, documentata con rilascio di fatture e annotazione contabile. Quanto al primo argomento, la Corte si sarebbe limitata a dissentire in relazione alla ritenuta complessita' della disciplina, ricostruendo tuttavia una disciplina avulsa dal dato normativo per le ragioni gia' indicate. Quanto al secondo argomento, la Corte non si sarebbe confrontata con la sentenza, limitandosi ad affermare che il corrispettivo sarebbe spettato alla Regione. Quanto al terzo argomento, la motivazione sarebbe silente. Ne' la Corte avrebbe individuato elementi dotati di capacita' dimostrativa scardinante il ragionamento del primo giudice e tale da poter ritenere raggiunta la prova della responsabilita' al di la' di ogni ragionevole dubbio, e neppure sarebbero decisive le argomentazioni presuntive compiute dalla stessa Corte secondo cui l'imputato, in ragione della sua qualifica professionale, sarebbe stato "tenuto a conoscere quanto meno nella ossatura" la disciplina. Si sostiene che l'imputato non agi' da solo, ma coinvolse nella vendita l'ufficio del Consorzio e nulla sarebbe stato detto sull'operato degli altri uffici del consorzio. 2.7. Con il settimo motivo si lamenta violazione di legge in relazione all'articolo 158 c.p. con riferimento alla individuazione del momento consumativo del reato e del conseguente decorso del termine di prescrizione. La condotta appropriativa, secondo l'ipotesi accusatoria, sarebbe identificabile nell'aver autorizzato la cessione e, dunque, il reato si sarebbe consumato il (OMISSIS) e non, come invece ritenuto dalla Corte di appello, il 30.3.2010, cioe' alla data di emissione delle fatture con cui (OMISSIS), dette atto dell'avvenuto pagamento del prezzo da parte dell'acquirente. Dunque il reato sarebbe stato prescritto al momento della pronuncia della sentenza impugnata. 2.8. Con l'ottavo motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione e violazione di legge quanto alla dosimetria della pena inflitta. 2.9. Con il nono motivo si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla condanna alla rifusione delle spese in favore della parte civile, in assenza di qualsiasi statuizione relativa al risarcimento del danno. 3. E' pervenuta memoria da parte dell'imputato con cui si insiste nella richiesta di annullamento senza rinvio della sentenza per essersi il reato estinto per prescrizione. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato. 2. Con riferimento al capo DD), il Tribunale, con una motivazione assertiva, aveva ritenuto sussistente "con solare evidenza" l'elemento oggettivo del reato contestato e, in particolare, la condotta appropriativa sul presupposto che l'imputato "come evidenziato dal P.M. autorizzava di fatto la cessione di una res demaniale ad un soggetto privato, senza applicare le procedure previste dal RD n. 827 del 1924, articolo 63 e ss. e ne incassava il corrispettivo, che andava a confluire nella gestione ordinaria dell' (OMISSIS)" (cosi' la sentenza a pag. 94). Dunque, a fonte delle molteplici questioni che il processo obiettivamente pone, nessuna concreta verifica fu compiuta sul se davvero quella operazione fosse vietata e, soprattutto, se davvero la cessione di quel credito costituisse una condotta appropriativa, ovvero una ipotesi di distrazione, e, posto che si trattasse di una distrazione, quale fosse la sua rilevanza. Il Tribunale, tuttavia, aveva ritenuto insussistente il dolo del reato di peculato sulla base di una serie di considerazioni, descritte a pagina 95 della sentenza. La Corte di appello, investita della impugnazione proposta solo dalla Procura della Repubblica, dopo aver richiamato testualmente la frase in precedenza indicata utilizzata dal Tribunale per ritenere sussistente la condotta del reato - ha ritenuto di riformare la sentenza di assoluzione sul presupposto che la propria cognizione fosse limitata alla sola verifica del punto della sentenza relativa alla sussistenza dell'elemento psicologico del reato, atteso che il principio devolutivo avrebbe precluso, in assenza di impugnazione dell'imputato, la "valutazione d'ufficio" sulla sussistenza della condotta. La Corte ha in particolare richiamato in senso conforme, Sez. 4, n. 7088 del 26.1.2021, secondo cui il giudice d'appello, in caso di impugnazione del pubblico ministero e della parte civile avverso la sentenza di assoluzione perche' il fatto non costituisce reato, in mancanza di appello dell'imputato, non puo' pronunciare assoluzione per difetto del nesso causale la cui sussistenza sia stata riconosciuta dalla sentenza di primo grado, trattandosi di punto della decisione non devoluto alla sua cognizione. La Corte di appello di Torino, richiamando detto precedente, ha altresi' fatto riferimento ai principi affermati dalle Sezioni unite con la sentenza "Tuzzolino", e, in particolare, a quello secondo cui, poiche' la cosa giudicata si forma sui capi della sentenza (nel senso che la decisione acquista il carattere dell'irrevocabilita' soltanto quando sono divenute irretrattabili tutte le questioni necessarie per il proscioglimento o per la condanna dell'imputato rispetto a uno dei reati attribuitigli), e non sui punti di essa che possono essere unicamente oggetto della preclusione correlata all'effetto devolutivo del gravame e al principio della disponibilita' del processo nella fase delle impugnazioni-in caso di condanna, la mancata impugnazione della ritenuta responsabilita' dell'imputato farebbe si' sorgere la preclusione su tale punto, ma non basterebbe a far acquistare alla relativa statuizione l'autorita' di cosa giudicata, quando per quello stesso capo l'impugnante abbia devoluto al giudice l'indagine riguardante la sussistenza di circostanze e la quantificazione della pena. Sulla base di tali presupposti le Sezioni unite avevano chiarito che l'eventuale causa di estinzione del reato deve essere rilevata finche' il giudizio non sia esaurito integralmente in ordine al capo di sentenza concernente la definizione del reato al quale la causa stessa si riferisce. 3. Quello della Corte di appello e' un ragionamento non condivisibile. 3.1. L'intera ricostruzione giuridica compiuta dalla Corte di appello di Torino non si confronta con quanto le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno chiarito con riguardo ai casi in cui la sentenza di assoluzione sia impugnata dal Pubblico Ministero. Il tema attiene all'oggetto e ai limiti della cognizione della Corte di appello in caso di impugnazione della Pubblica Accusa. Sul tema, le Sezioni unite della Corte hanno testualmente affermato: "e' pacifico in dottrina e in giurisprudenza che l'appello del pubblico ministero contro la sentenza assolutoria emessa dal giudice del dibattimento, salva l'esigenza di contenere la pronuncia nei limiti dell'originaria contestazione, ha effetto "pienamente devolutivo", attribuendo tradizionalmente al giudice ad quem gli ampi poteri decisori elencati nell' articolo 515, c.p.p., comma 2, articolo 1930 e articolo 597 comma 2 lettera b), del vigente codice di rito (Sez. Un., 31/3/2004, Donelli). Cio' comporta, da un lato, che il giudice dell'appello e' legittimato a verificare tutte le risultanze processuali e a riconsiderare anche i punti della motivazione della sentenza di primo grado che non abbiano formato oggetto di specifica critica, non essendo vincolato alle alternative decisorie prospettate con i motivi di appello, e dall'altro che l'imputato e' rimesso nella fase iniziale del giudizio e puo' riproporre, anche se respinte, tutte le istanze difensive che concernono la ricostruzione probatoria del fatto e la sussistenza delle condizioni che configurano gli estremi del reato, in riferimento alle quali il giudice dell'appello non puo' sottrarsi all'onere di esprimere le sue determinazioni" (cosi', Sez. U., n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231678). Si tratta di principi chiarissimi, scolpiti anche in altre occasioni dalle Sezioni Unite della Corte. In particolare con la sentenza Donelli, le Sezioni unite spiegarono: - innanzitutto, di condividere la ratio decidendi della sentenza delle Sezioni Unite, 25 giugno 1997, Gibilras, secondo cui "l'appello nel processo di merito e l'appello nel procedimento incidentale in materia di liberta' personale partecipano della stessa natura, poiche' integrano lo stesso strumento di verifica del provvedimento del primo giudice; - come fosse giustificata l'estensione all'appello de liberiate delle regole dell'appello sul merito, tra le quali quella del tantum devolutum quantum appellatum... con tutte le sue implicazioni", compresa quella per cui "la cognizione del giudice dell'appello incidentale sulla liberta' e' limitata ai punti della decisione impugnata attinti dai motivi di gravame (e a quelli con essi strettamente connessi o da essi dipendenti)"; - come detta affermazione fosse coerente con la volonta' del legislatore, quale s'evince con chiarezza dalla Relazione al progetto preliminare per il nuovo codice di rito (p. 78), laddove, nel tracciare i profili procedurali dell'appello cautelare, si sottolinea come "per il resto deve ritenersi implicito il rinvio alla disciplina dell'appello, in quanto non risulti diversamente disposto, ivi compresa la previsione dell'effetto limitatamente devolutivo, tipico del mezzo di impugnazione in oggetto"; - come i principi generali derivanti dalla regola del tantum devolutum quantum appellatum, prevista per l'appello cognitivo dall'articolo 597, c.p.p. comma 1, all'evidenza restrittiva del perimetro della cognizione attribuita all'organo deputato alla revisione critica, siano estensibili all'appello de liberta'te, a differenza del riesame che ha invece carattere totalmente devolutivo. In tale contesto sistematico di equiparazione tra l'appello cautelare e quello di cognizione, le Sezioni unite hanno testualmente affermato come i principi indicati non trovino applicazione nel caso di appello del pubblico ministero contro la sentenza assolutoria emessa dal giudice del dibattimento, salva l'esigenza di contenere la pronuncia nei limiti dell'originaria contestazione. E' utile riportate le affermazioni delle Sezioni unite: " atteso che in tali casi e' attribuita al giudice ad quem gli ampi poteri decisori elencati nell'articolo 597, comma 2, lettera b) del vigente codice di rito.... ed ha uguale effetto "pienamente devolutivo", "con la conseguenza, da un lato, che il giudice dell'appello e' legittimato a verificare tutte le risultanze processuali e a riconsiderare anche i punti della motivazione della sentenza di primo grado che non abbiano formato oggetto di specifica critica nell'atto d'impugnativa e, dall'altro, che l'imputato e' rimesso nella fase iniziale del giudizio e puo' riproporre, anche se respinte, tutte le istanze difensive che concernono la ricostruzione del fatto e la sussistenza delle condizioni che configurano gli estremi del reato, in riferimento alle quali il giudice dell'appello ha l'obbligo di valutazione. Analogo principio, ribadito anche dalle Sezioni Unite in un icastico ma significativo inciso della sentenza Gibilras, e' stato affermato dalla giurisprudenza di legittimita', seppure con prospettazioni non sempre coincidenti, riguardo all'impugnazione del pubblico ministero avverso l'ordinanza del G.i.p. di rigetto della richiesta cautelare. L'atto di impugnativa del P.M. devolve infatti al tribunale investito dell'appello una cognizione non limitata ai singoli punti oggetto di specifica censura, bensi' estesa all'integrale verifica delle condizioni e dei presupposti richiesti dalla legge perche' sia giustificata l'adozione di una misura restrittiva della liberta' personale, secondo il modello di ordinanza cautelare previsto, a pena di nullita', dall'articolo 292 c.p.p Le singole censure racchiuse nei motivi di gravame del pubblico ministero segnano dunque le ragioni del disaccordo rispetto al provvedimento reiettivo e delimitano i confini dell'originaria domanda cautelare con specifico riguardo alle posizioni degli imputati e alle imputazioni, cioe' ai fatti ed alle circostanze oggetto della contestazione, che non possono essere modificati in peius, ma i poteri di cognizione e di decisione del giudice dell'appello, anche de liberiate, si estendono, senza subire alcuna preclusione, all'intero thema decidendum nel senso che il giudice d'appello deve riesaminare l'intera vicenda nella sua interezza" (Sez. U., n. 18339 del 31/03/2004, Donelli, Rv. 227357; in senso conforme, Sez. 5, n. 46689 del 30/06/2016, Coatti, Rv. 268671). 3.2. Si tratta di pronunce e di principi reiteratamente affermati dalle Sezioni unite e obiettivamente ignorati dalla Corte di appello di Torino. Ne' e' chiaro perche', al di la' del precedente di legittimita' difforme richiamato, siano nella specie decisivi i principi affermati dalle Sezioni unite Tuzzolino, che attengono alla distinzione tra capo e punto della sentenza e sulla distinzione giuridica tra questione su cui si e' formato il giudicato (che attiene ai capi) e preclusione processuale. Una sentenza, quella impugnata, strutturalmente viziata, atteso che la Corte, soprattutto rispetto alla sbrigativa motivazione del Tribunale di Novara, avrebbe dovuto confrontarsi con tutte le argomentazioni difensive relative alla sussistenza dell'elemento oggettivo del reato contestato, confutarle al di la' di ogni ragionevole dubbio e poi affrontare il tema dell'elemento soggettivo del reato. Una sentenza, quella impugnata, che deve essere annullata. 4. Sotto altro e diverso profilo, pur volendo ragionare con la Corte di appello di Torino e ritenere che quella cessione non potesse essere compiuta, nondimeno la sentenza e' viziata anche sotto il profilo della qualificazione giuridica dei fatti. Con la riforma operata con la L. 26 aprile 1990, n. 86, nel riscrivere la fattispecie incriminatrice di cui all'articolo 314 c.p., il legislatore ha eliminato dalla previsione normativa la condotta della "distrazione", lasciando - quale condotta tipica esclusiva la sola "appropriazione". Costituisce principio di diritto ormai acquisito - e pienamente condiviso dal Collegio che, nel delitto di peculato, il concetto di "appropriazione" comprende anche la condotta di "distrazione", in quanto imprimere alla cosa una destinazione diversa da quella consentita dal titolo del possesso significa esercitare su di essa poteri tipicamente proprietari e, quindi, impadronirsene (Sez. 6, n. 25258 del 04/06/2014, Pg in proc. Cherchi e altro, Rv. 260070). Cio' nondimeno, affinche' possa essere ravvisata la condotta distrattiva dante luogo al peculato, e' necessario che il pubblico agente abbia impiegato le risorse - di cui aveva la disponibilita' per le finalita' pubbliche istituzionalmente previste - ai fini del soddisfacimento di finalita' private, individuali, traendo cioe' un vantaggio personale. Non e' difatti configurabile l'appropriazione - necessaria ad integrare il delitto di peculato - nell'ipotesi in cui la disposizione di risorse pubbliche avvenga per finalita' diverse da quelle specificamente previste, ma pur sempre nell'ambito delle attribuzioni del ruolo istituzionale svolto dall'agente pubblico in virtu' delle norme organizzative dell'ente, perche' in questa situazione permane la connessione fra la res ed il dominus e, quindi, la legittimita' del possesso (Sez. 6, n. 699 del 20/06/2013 - dep. 10/01/2014, Rinaldi, Rv. 257766; Sez. 6, n. 36496 del 30/09/2020, Vasta, Rv. 280295). Nel caso di specie, non e' in contestazione che: a) la cessione di quella terra non fu compiuta per il perseguimento di finalita' privatistiche dell'imputato, il quale nessuna forma di locupletazione indebita personale ne ricavo'; b) il corrispettivo di quella cessione fu versato e rimase nel patrimonio del consorzio A.I.E.S., cioe' di un consorzio che perseguiva anche finalita' pubblicistiche; c) quella operazione fu documentata in modo trasparente. Dunque, non e' nemmeno chiaro perche', secondo la Corte, nella specie non sarebbe al piu' ravvisabile una condotta distrattiva ed eventualmente un diverso reato, ove ne sussistessero i presupposti. Ne consegue che, al di la' del tema relativo alla estinzione del reato per prescrizione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perche' il fatto non sussiste. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perche' il fatto non sussiste.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BELTRANI Sergio - Presidente Dott. PACILLI G. A. R. - rel. Consigliere Dott. PERROTTI Massimo - Consigliere Dott. RECCHIONE Sandra - Consigliere Dott. MINUTILLO TURTUR Marzia - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nata a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza n. 321/2021 della Corte d'Appello di Lecce del 22 febbraio 2021; visti gli atti, la sentenza e i ricorsi; udita nella pubblica udienza del 19 gennaio 2023 la relazione fatta dal Consigliere Pacilli Giuseppina Anna Rosaria; udito il Sostituto Procuratore Generale in persona di Pedicini Ettore, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), limitatamente al motivo sulla recidiva, e nei confronti di (OMISSIS), limitatamente al secondo motivo, con la declaratoria di inammissibilita' nel resto dei ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) e di inammissibilita' dei ricorsi degli altri ricorrenti; uditi l'avv. (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), l'avv. (OMISSIS), difensore di (OMISSIS) e in sostituzione dell'avv. (OMISSIS), difensore di (OMISSIS) e di (OMISSIS), l'avv. (OMISSIS), difensore di (OMISSIS) e (OMISSIS), l'avv. (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), l'avv. (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS), i quali hanno chiesto l'accoglimento dei rispettivi ricorsi. RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Con sentenza dell'11 dicembre 2019 il Giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale di Lecce - per cio' che rileva in questa sede - aveva assolto (OMISSIS) dal reato di cui all'articolo 416 bis c.p. per non avere commesso il fatto e aveva dichiarato: - (OMISSIS) colpevole dei reati di cui ai capi 1 (articolo 416 bis c.p.) e 2 (L. n. 497 del 1974, articoli 81, 10, 12 e 14) e, esclusa l'aggravante di cui all'articolo 416 bis c.p., comma 2, unificati i reati nel vincolo della continuazione, tenuto conto della contestata recidiva e della diminuente del rito, l'ha condannato alla pena di anni 10 di reclusione; - (OMISSIS) colpevole dei reati di cui ai capi 1 (articolo 416 bis c.p.) e 3 (articolo 455 c.p.), del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, cosi' giuridicamente riqualificati i fatti di cui al capo 7, nonche' dei reati di cui all'articolo 81 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, cosi' riqualificati i fatti di cui ai capi 8, 9, 10 e 11, e, esclusa l'aggravante di cui all'articolo 416 bis c.p., comma 2, unificati i reati nel vincolo della continuazione, tenuto conto della contestata recidiva e della diminuente del rito, l'ha condannato alla pena di anni 12 di reclusione; - (OMISSIS) colpevole del reato ascritto al capo 1 (articolo 416 bis c.p.) e, escluse le circostanze aggravanti di cui all'articolo 416 c.p., tenuto conto della contestata recidiva e della diminuente del rito, l'ha condannato alla pena di anni 8 di reclusione; - (OMISSIS) colpevole del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, cosi' giuridicamente riqualificati i fatti di cui al capo 10, nonche' del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, cosi' riqualificati i fatti di cui al capo 7, e, unificati i reati nel vincolo della continuazione, tenuto conto della contestata recidiva e della diminuente del rito, l'ha condannato alla pena di anni 4 di reclusione; - (OMISSIS) colpevole del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, cosi' giuridicamente riqualificati i fatti di cui al capo 10, e, escluso l'aumento di pena per la contestata recidiva, tenuto conto della diminuente del rito, l'ha condannato alla pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione ed Euro 4.000,00 di multa. Con sentenza del 22 febbraio 2021 la Corte d'appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato (OMISSIS) colpevole del reato di cui agli articoli 110 e 416 bis c.p., cosi' riqualificata l'originaria imputazione, e, esclusa l'aggravante di cui all'articolo 416 bis c.p., comma 4, riconosciute le attenuanti generiche e applicata la riduzione per la scelta del rito, l'ha condannata alla pena di anni quattro e mesi sei di reclusione; esclusa la contestata recidiva per (OMISSIS), ha rideterminato la pena in anni 10 e mesi 8 di reclusione; ha ridotto la pena inflitta a (OMISSIS) ad anni tre di reclusione e ha confermato nel resto la sentenza impugnata. 2. I Giudici di merito hanno ritenuto accertata la partecipazione di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), unitamente ad altri loro originari coimputati, separatamente giudicati, tra cui (OMISSIS), a un'associazione di tipo mafioso, operante nel periodo in contestazione, ossia a partire da aprile 2010, a Crispiano, Lizzano e Torricella e avente come base operativa la masseria di (OMISSIS), ubicata a Lizzano. Secondo la ricostruzione accusatoria, asseverata da entrambe le sentenze di merito, l'organizzazione di tale sodalizio era fondata su una rigida omerta' interna ed era strutturata in modo gerarchico, con regole volte a garantire la sottomissione degli affiliati ai capi e, in particolare, nel territorio di Lizzano ai fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS). Alcuni compartecipi erano risultati inseriti in precedenza nella frangia della (OMISSIS) operante nella provincia di Taranto, dalla cui organizzazione l'articolazione mafiosa in questione aveva importato alcuni tratti caratteristici quanto ai riti di affiliazione, ai gradi degli associati e ai vincoli comportamentali e gerarchici, imposti agli stessi. La medesima cellula associativa si era trovata localmente in guerra per diversi anni con una fazione rivale, della quale erano stati eliminati gli esponenti piu' pericolosi ( (OMISSIS) e poi (OMISSIS)), mentre alcuni degli altri affiliati si erano via via posti sotto le direttive dei (OMISSIS). Avuto riguardo alla posizione gerarchica piu' elevata, l'anzidetta diramazione locale, nella sua dimensione di propaggine periferica della (OMISSIS) presente nell'intero territorio della provincia, si rapportava a (OMISSIS). In entrambe le sentenze di merito e' stata ritenuta accertata anche la sussistenza di singole ipotesi di detenzione di droga, a fini di spaccio, e di spendita di banconote contraffatte nonche' di un'associazione, finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, di cui erano partecipi, tra gli altri, (OMISSIS) ed (OMISSIS). Il Collegio d'appello, ribaltando la pronuncia assolutoria, ha affermato, inoltre, la responsabilita', quale concorrente esterna nel reato di cui all'articolo 416 bis c.p., di (OMISSIS), moglie di (OMISSIS), uno dei capi storici del sodalizio mafioso e fratello di (OMISSIS). 3. Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorsi per cassazione i difensori degli imputati indicati in epigrafe. 4. Si da' atto che, al fine di rendere agevole la lettura della presente sentenza, si procedera' a illustrare le singole posizioni dei ricorrenti e i rispettivi motivi di ricorso congiuntamente alle relative deliberazioni di questa Corte. 5. Il difensore di (OMISSIS), condannata per il reato di cui agli articoli 110 e 416 bis c.p., ha dedotto i seguenti motivi: 5.1 inosservanza o erronea applicazione della legge e vizi della motivazione in ordine al principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio, sancito dagli articoli 530 e 533 c.p.p.. Dopo avere ricordato che il giudice di primo grado l'aveva assolta dal reato di cui all'articolo 416 bis c.p., avendo ritenuto che non vi fosse la prova che ella avesse veicolato pizzini all'esterno del carcere, la ricorrente ha dedotto che la Corte di appello aveva ribaltato la decisione ma senza fornire una motivazione rafforzata, consistente - come precisato dal consolidato orientamento del Giudice della legittimita' - nel delineare le linee portanti del proprio alternativo ragionamento e nel confutare specificatamente i piu' rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato. In particolare, la ricorrente ha esposto che, mentre il Giudice di primo grado aveva ritenuto che non vi fossero elementi per sostenere che l'espressione "robe sporche" da consegnare - da lei pronunciata nel corso della telefonata del 4 maggio 2016, intercorsa con suo cognato (OMISSIS), dopo il colloquio in carcere con suo marito (OMISSIS) - fosse criptica e alludesse a messaggi del detenuto, la Corte d'appello aveva affermato che quella espressione indicava che vi erano messaggi, provenienti dal carcere. Quest'ultimo epilogo, tuttavia, secondo la ricorrente, non sarebbe di per se' sufficiente ad affermare la sua responsabilita', perche' il fantomatico pizzino, recapitato il 4 maggio 2016, non era di (OMISSIS), che non era detenuto presso la casa circondariale di Taranto, ma al piu' di (OMISSIS) e a lei sarebbe stato contestato non di aver genericamente riferito messaggi degli ambienti carcerari ma di aver veicolato messaggi del capo dell'organizzazione, ossia di (OMISSIS). La ricorrente ha poi aggiunto che un altro pizzino, secondo la Corte di appello, sarebbe stato consegnato a (OMISSIS), il quale, pero', non sarebbe un soggetto conosciuto, cosi' che non si potrebbe affermare che fosse un sodale del gruppo a cui far pervenire messaggi, al fine di creare una rete di ausilio e comunicazione tra costui e i sodali in liberta'; 5.2 vizi della motivazione, per essere la pena stata ridotta, per effetto delle attenuanti generiche, in misura inferiore ad 1/3, in assenza di specifica spiegazione sulle ragioni di tale contenuta riduzione. 6. Il ricorso e' fondato con riguardo alla determinazione, del trattamento sanzionatorio mentre va rigettato nel resto. 7. Giova ricordare che la Corte d'appello ha condannato la ricorrente per il reato di concorso esterno in associazione, ribaltando la pronuncia assolutoria del giudice di primo grado e riqualificando l'originaria imputazione, formulata ai sensi dell'articolo 416 bis c.p.. In particolare, il Collegio del merito ha ritenuto provato che la ricorrente, moglie di (OMISSIS), uno dei capi storici del clan, aveva veicolato messaggi dall'interno del carcere in due occasioni: il (OMISSIS). Era risultato provato che la donna, il (OMISSIS), aveva dato al cognato (OMISSIS) un "bigliettino", avuto dal marito durante il colloquio in carcere, mentre il (OMISSIS) aveva consegnato a tale (OMISSIS) un bigliettino che (OMISSIS), nel frattempo trasferito presso il carcere di Taranto per presenziare al processo The Old, aveva consegnato ad (OMISSIS) affinche' lo desse alla moglie. Tale condotta, per la Corte territoriale, integra l'elemento oggettivo del concorso esterno in associazione mafiosa. L'imputata, infatti, pur non aderente al sodalizio criminoso, di cui facevano parte il marito e il cognato, nella consapevolezza della loro intraneita', aveva messo la propria attivita' al servizio del clan, fornendo un concreto ausilio attraverso la consegna di pizzini, che rappresentavano una forma di comunicazione fra gli adepti. L'anzidetta consapevolezza derivava dal rapporto di coniugio con (OMISSIS) e dallo stato di detenzione di quest'ultimo proprio quale imputato del delitto di cui all'articolo 416 bis c.p.: ella, quindi, conosceva bene il contesto in cui si muoveva e sapeva che i biglietti, consegnati dal marito e diretti a soggetti che stavano all'esterno del carcere, potevano essere di ausilio e supporto al prosieguo dell'attivita' criminosa del clan, cui apparteneva il marito. D'altro canto, in caso contrario, non si sarebbe spiegata la circospezione utilizzata al telefono mentre l'imputata comunicava al cognato la presenza di "robe sporche". 8. Secondo l'originaria ipotesi accusatoria, pero', (OMISSIS) si adoperava per recapitare all'esterno del carcere i pizzini contenenti ordini e direttive di (OMISSIS), cosi' rendendosi funzionale alla creazione di una rete di ausilio e comunicazione tra costui e i sodali in liberta'. Siffatta imputazione, quindi, come dedotto dalla difesa della ricorrente, circoscriveva la condotta contestata alla diffusione dall'interno all'esterno del carcere dei messaggi provenienti da (OMISSIS) e non comprendeva anche l'altro episodio, per cui e' anche stata pronunciata condanna, concernente i pizzini di (OMISSIS). 9. Al riguardo giova ricordare che il concorso esterno all'associazione mafiosa, pur costituendo comunque una forma di partecipazione all'associazione (v., ex multis, Sez. 2, n. 29248 del 26/04/2018, Pagnozzi ed altro, Rv. 272947 01 in motivazione), ha le sue peculiarita', che la connotano e differenziano dal delitto di cui all'articolo 416 bis c.p.. Difatti, come affermato nel recente approdo delle Sezioni unite di questa Corte in tema di delitto associativo (sentenza n. 36958 del 27/05/2021, Modaffari, Rv. 281889), la condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si caratterizza non per l'assunzione di uno "status" ma per lo stabile inserimento dell'agente nella struttura organizzativa dell'associazione, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua "messa a disposizione" in favore del sodalizio, per il perseguimento dei comuni fini criminosi. Nell'ambito della valutazione dell'appartenenza, quindi, assume assoluta decisivita' la possibilita' di attribuire al soggetto la realizzazione di un qualsivoglia "apporto concreto", sia pur minimo ma in ogni caso riconoscibile, alla vita dell'associazione, tale da far ritenere avvenuto l'inserimento attivo con carattere di stabilita' e consapevolezza oggettiva. Come hanno sottolineato le Sezioni Unite nella richiamata sentenza del 2021, e' evidente che la verifica centrale per la configurabilita' di una condotta di partecipazione mafiosa si muove sul piano probatorio: e' solo sulla scorta delle evidenze disponibili che sara' possibile valutare se, per le caratteristiche assunte dal caso concreto, la compenetrazione nel tessuto criminale abbia generato o meno un'effettiva "messa a disposizione". Riveste, invece, il ruolo di "concorrente esterno" il soggetto che, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell'associazione e privo dell'affectio societatis", fornisce un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, sempre che questo esplichi un'effettiva rilevanza causale e, quindi, si configuri come condizione necessaria per la conservazione o il rafforzamento delle capacita' operative dell'associazione (o, per quelle operanti su larga scala come "Cosa nostra", di un suo particolare settore e ramo di attivita' o articolazione territoriale) e sia diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima (cfr. Sez. U, n. 33748 del 12/7/2005 Mannino, Rv. 231670, confermata unanimemente dalla giurisprudenza successiva). Alla luce delle innanzi descritte connotazioni dell'una e dell'altra forma di partecipazione all'associazione risulta evidente che, nel caso dell'intraneita' all'associazione, il fulcro della condotta e', per l'appunto, la messa a disposizione e i contributi, disparati ed anche atipici, attraverso cui essa si dipana - al di la' dei casi in cui concretizzano anche ulteriori reati - rilevano solo in quanto sono la proiezione fattuale dell'inserimento organico dell'agente nel sodalizio e l'espressione del ruolo svolto dal soggetto al suo interno. Nel caso della partecipazione dell'agente a un sodalizio mafioso, dunque, cio' che assume rilievo primario e decisivo e' il prendere parte al clan, vale a dire la stabile messa a disposizione della propria attivita' al fine del perseguimento degli obiettivi dell'associazione. L'ottica muta nell'ipotesi del concorso esterno, in cui assumono rilievo primario i contributi (che possono anche ridursi all'unico contributo) offerti per favorire l'associazione, di cui non si e' intranei. Cio' riverbera i suoi effetti sulla formulazione dell'imputazione che, nel caso della partecipazione interna al sodalizio, puo' declinarsi anche soltanto con la contestazione della messa a disposizione. Si e' sostenuto al riguardo - pur nell'ambito di un giudizio abbreviato come quello in esame (in cui la determinatezza dell'imputazione rappresenta un presupposto del rito, per il quale e' esclusa la possibilita' di una integrazione in corso di giudizio) - che e' sufficientemente determinato l'oggetto dell'imputazione in un'ipotesi in cui agli imputati era contestata, nell'editto accusatorio, l'appartenenza all'associazione mafiosa denominata Cosa nostra, senza ulteriori specificazioni (cfr. Sez. 6, n. 8851 del 13/03/1997, Rv. 209117 - 01). Nel caso del concorso esterno, invece, il contributo offerto deve essere almeno sufficientemente indicato nella contestazione formulata nei confronti dell'imputato e, pena la violazione dell'articolo 521 c.p.p. con la correlata sanzione di nullita', dettata dall'articolo 522 c.p.p., di esso soltanto deve occuparsi il giudice del merito al fine dell'affermazione della responsabilita'. Del resto, a conferma dell'ineludibilita' della contestazione del determinato contributo del concorrente esterno, soccorre anche il consolidato indirizzo interpretativo che, partendo dall'osservare che la partecipazione ad associazione mafiosa e il concorso esterno non rappresentano due diverse ipotesi criminose, ma distinte modalita' della partecipazione criminosa, afferma che non sussiste la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, espresso dall'articolo 521 c.p.p., nella decisione con la quale l'imputato, rinviato a giudizio per partecipazione ad associazione mafiosa, sia condannato per concorso esterno alla stessa associazione: cio', pero', purche' il fatto materiale sia sufficientemente enunciato nell'imputazione e con la sentenza l'imputato sia stato ritenuto responsabile di tale fatto (v. Sez. 2, n. 29248 del 26/04/2018, Pagnozzi ed altro, Rv. 272947 - 01; Sez. 6, n. 49820 del 5/12/2013, Billizzi e altri, Rv. 258138; Sez. 5, n. 21077 del 25/03/2004, Sciacca e altro, Rv. 229194; Sez. 2, n. 12838 del 16/12/2002, dep. 2003, Bellofiore ed altri, Rv. 224879). Il che equivale a dire che il contributo offerto dal concorrente esterno deve necessariamente essere descritto nell'imputazione. 10. Alla luce di siffatte coordinate deve rilevarsi, nel caso in scrutinio, che la contestazione, originariamente formulata nei confronti della ricorrente, enunciava, quale contributo offerto dalla medesima, l'essersi adoperata per veicolare all'esterno del carcere i pizzini di (OMISSIS). Soltanto di tale condotta ella era, pertanto, chiamata a rispondere, con la conseguenza che la Corte territoriale ha violato l'articolo 521 c.p.p. nell'avere pronunciato la responsabilita' anche per l'episodio del (OMISSIS), che non concerneva i bigliettini ricevuti da (OMISSIS) ma quelli di (OMISSIS). 11. A diverso epilogo deve invece pervenirsi con riguardo all'affermazione della responsabilita' per l'episodio del (OMISSIS), per la quale la sentenza impugnata resiste a tutti i rilievi censori della ricorrente. 12. Posto che tale episodio, concernente i "pizzini" provenienti da (OMISSIS), era espressamente descritto nell'imputazione, elevata nei confronti della ricorrente, deve innanzitutto affermarsi che, contrariamente a quanto da quest'ultima lamentato, il Collegio territoriale, nel sovvertire la contraria decisione impugnata, ha fornito una motivazione in linea con l'insegnamento di questa Corte (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679; Sez. 2, n. 50643 del 18/11/2014, Rv. 261327; Sez. 6, n. 1253 del 28/11/2013, Rv. 258005; Sez. 5, n. 8361 del 17/01/2013, Rv. 254638), secondo cui il giudice d'appello, che riformi la sentenza assolutoria di primo grado, e' tenuto ad adottare una motivazione che si sovrapponga a quella della pronuncia riformata, confutandone specificamente e logicamente gli argomenti rilevanti. Il Collegio del merito, infatti, ha passato in rassegna le argomentazioni poste a base dell'assoluzione, pronunciata in primo grado, e ha argomentato sulla ritenuta erroneita' delle valutazioni compiute nella sentenza sottoposta al suo vaglio. In particolare, il menzionato Collegio ha ricordato che il Giudice di primo grado aveva ritenuto che dalla conversazione, intercorsa tra la ricorrente e suo cognato (OMISSIS), intercettata il (OMISSIS), si evinceva inequivocabilmente che la donna, dopo il colloquio in carcere con suo marito (OMISSIS), doveva consegnare una busta di robe sporche ad (OMISSIS) ma, oltre a tale dato, non vi erano elementi per poter affermare che la busta delle robe sporche contenesse un bigliettino e che la ricorrente fosse consapevole di cio'. Difatti, nessuna conversazione intercettata dopo il (OMISSIS) - secondo il Giudice dell'udienza preliminare - consentiva di affermare che (OMISSIS), di fatto intercettato 24 ore su 24, avesse ricevuto un'ambasciata dal fratello (OMISSIS) ovvero da (OMISSIS) e non era sostenibile che l'espressione "robe sporche" indicasse i "pizzini", trasmessi dal carcere, atteso che in molte conversazioni intercettate i sodali parlavano liberamente di bigliettini trasmessi dal carcere, senza ricorrere al linguaggio criptico al riguardo; peraltro, la roba sporca era sottoposta a controllo prima di uscire dal carcere. La Corte di appello, nel sovvertire la decisione, ha invece espressamente confutato il rilievo secondo cui le "robe sporche" erano indumenti da lavare, avendo sostenuto, tra l'altro, che gia' sul piano logico non era comprensibile il fatto che, se effettivamente si fosse trattato di panni sporchi di (OMISSIS), (OMISSIS) avrebbe detto che ad occuparsene dovesse essere il fratello del marito e non lei stessa, moglie del detenuto. Cosi' argomentando e valorizzando (cfr. f. 41 della sentenza impugnata) anche la conversazione intercettata fra (OMISSIS) e (OMISSIS), in cui e' evidente che l'utilizzo dell'espressione "robe sporche" alludeva ai messaggi veicolati dal carcere, la Corte territoriale ha confutato l'argomento decisivo su cui si basava la ritenuta assenza di prove a carico della ricorrente, adempiendo in tal modo all'onere della motivazione rinforzata. 13. Deve poi rilevarsi che la sentenza impugnata non offre il fianco nemmeno alle altre censure, formulate dalla ricorrente. Giova al riguardo premettere che, chiarite le ragioni del significato attribuito all'espressione "robe sporche", il Collegio del merito ha valorizzato le conversazioni intercettate, tra cui, in particolare, quella tra (OMISSIS) e (OMISSIS), da cui si traeva che la ricorrente aveva consegnato a (OMISSIS) un bigliettino che (OMISSIS), nel frattempo trasferito presso il carcere di Taranto per presenziare al processo The Old, aveva consegnato ad (OMISSIS) affinche' lo desse alla moglie. Come gia' innanzi detto, siffatta condotta, per la Corte territoriale, integra l'elemento oggettivo del concorso esterno in associazione mafiosa, atteso che l'imputata, pur non aderente al sodalizio criminoso, di cui facevano parte il marito e il cognato, nella consapevolezza della loro intraneita', derivante anche dal suo rapporto di coniugio, aveva messo la propria attivita' al servizio del clan, fornendo un concreto ausilio attraverso la consegna di "pizzini", che rappresentavano una forma di comunicazione fra gli adepti. Trattasi di motivazione che sfugge ad ogni rilievo, essendo scevra da errori di diritto e vizi logici nonche' rispettosa del canone dell'oltre ogni ragionevole dubbio, invocato dalla stessa ricorrente, e del principio di diritto, gia' affermato da questa Corte (Sez. 2, n. 32076 del 28/01/2021, Rv. 281959 - 01), secondo cui integra il reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso la condotta di chi, estraneo all'associazione, curi la trasmissione di comunicazioni riservate tra un esponente di spicco del sodalizio ed altri soggetti interessati, con riferimento alle attivita' illecite del gruppo. 14. Dalle superiori considerazioni discende che la pena, inflitta alla ricorrente, deve essere rideterminata e ridotta, dal momento che, ai fini delle valutazioni inerenti ai parametri di cui all'articolo 133 c.p., deve tenersi conto dell'unica condotta contestata ed accertata, non anche di quella esulante dall'ambito della contestazione (episodio del (OMISSIS)). La rideterminazione puo' essere effettuata da questa Corte, ai sensi dell'articolo 620 c.p.p., lettera l), partendo dal minimo edittale per le ragioni indicate dal Collegio del merito laddove, nel riconoscere le attenuanti generiche, ha valorizzato il modesto apporto della ricorrente e il contesto condizionante in cui ella operava. 15. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio e, partendo dal minimo edittale, operata la riduzione per effetto delle attenuanti generiche nella misura di un terzo (poco maggiore di quella riconosciuta dalla Corte d'appello, che, pero', aveva considerato due episodi in luogo di uno), oltre che per la scelta del rito, la pena va determinata in anni 4, mesi 5 e 10 giorni di reclusione. 16. Il secondo motivo, relativo alla riduzione operata dalla Corte d'appello per le attenuanti generiche in misura inferiore a 1/3, perde rilievo alla luce della determinazione della pena effettuata nel paragrafo che precede. 17. I ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS), condannati - il primo - dei reati di cui ai capi 1 (articolo 416 bis c.p.) e 3 (articolo 455 c.p.), del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, cosi' giuridicamente riqualificati i fatti di cui al capo 7, nonche' dei reati di cui all'articolo 81 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, cosi' riqualificati i fatti di cui ai capi 8, 9, 10 e 11; il secondo dei reati di cui ai capi 1 (articolo 416 bis c.p.) e 2 (L. n. 497 del 1974, articoli 81, 10, 12 e 14), possono essere trattati congiuntamente, atteso che le doglianze relative all'appartenenza al sodalizio mafioso sono sovrapponibili, trattandosi di soggetti che, come rilevato dalla Corte di appello, operavano sempre insieme, di comune accordo e che anche nell'immaginario collettivo degli altri adepti e in particolare dei sodali, posti al vertice del clan, erano un tutt'uno. 18. Il difensore di (OMISSIS) ha dedotto i seguenti motivi: 18.1 violazione della legge penale e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del reato di cui all'articolo 416 bis c.p.. Dopo avere ricordato gli elementi distintivi dell'associazione mafiosa rispetto all'associazione semplice, il ricorrente ha dedotto che, nel caso in esame, difetterebbero lo stato di assoggettamento e il comportamento omertoso, quali conseguenze della forza intimidatrice del sodalizio. I presunti associati non si sarebbero avvalsi della forza intimidatrice e, dunque, della condizione di assoggettamento e omerta' per commettere i reati fine contestati, per il semplice motivo che non esisteva quella carica che deve promanare dal vincolo associativo, mancando la quale l'attivita' criminale non puo' essere sussunta nel modello mafioso, come determinato dal legislatore. Sarebbe errato sostenere che la spendita di banconote false costituiva un indice per la configurabilita' della capacita' di intimidazione del gruppo, essendo evidente che la consumazione del reato passa attraverso un raggiro del soggetto passivo e non attraverso una condizione di assoggettamento, promanante dal vincolo associativo. Le contestate estorsioni sono state poi ritenute non provate e dalle conversazioni si evincerebbe che il ricorrente non aveva assunto alcun ruolo nelle vicende estorsive, non avendo avuto rapporti con (OMISSIS). Con riguardo agli elementi sintomatici dell'esistenza dell'associazione, il ricorrente ha dedotto che: - quanto alla comunicazione fra i sodali, rimarcata nella sentenza impugnata, secondo cui (OMISSIS) avrebbe fatto pervenire all'esterno del carcere pizzini attraverso la figlia (OMISSIS) e (OMISSIS), convivente di (OMISSIS), si tratterebbe di attivita' lecita, non essendovi prova di un'individuazione specifica e concreta di un fatto penalmente rilevante. La sentenza impugnata non avrebbe spiegato perche' il riferimento alle robe sporche, effettuato nella conversazione del (OMISSIS), fosse da riferire a forme di comunicazione illecite e non, invece, alla cortesia, ricavata dalla prassi tra detenuti, di anticipare, tramite altri detenuti, ai propri congiunti il vestiario da lavare; - i riferimenti al legale di (OMISSIS) risulterebbero irrilevanti per costituire prova di un metodo consolidato di assistenza ai sodali detenuti, non essendovi alcun riferimento specifico a episodi di pagamento, effettuati al legale da persone diverse dai familiari, e vi sarebbero solo delle non condivisibili critiche sul suo operato; - in una sola conversazione intercettata emergerebbe l'esistenza di un'arma detenuta da (OMISSIS) e non vi sarebbe prova della conoscenza da parte degli altri imputati di tale disponibilita'; 18.2 vizio di motivazione e violazione di legge in rapporto alla ritenuta partecipazione del ricorrente all'associazione mafiosa. Dalla conversazione numero 463 del 6 giugno 2016, contrariamente a quanto ritenuto in sentenza, emergerebbe che i messaggi veicolati dalla figlia di (OMISSIS), (OMISSIS), erano rivolti esclusivamente a (OMISSIS) e che questi li avesse raccontati al nipote (OMISSIS). I malumori, esplicitati allo (OMISSIS), trovavano origine nella mancata comunicazione della presenza nel carcere di Taranto del (OMISSIS) alla sua compagna (OMISSIS). L'irritazione era riferita da (OMISSIS) a (OMISSIS) e non vi e' nessun accenno alla figura del ricorrente. Non potrebbe poi desumersi che l'imputato abbia posto in essere estorsioni al fine di consentire al clan di mantenere il controllo del territorio, non essendo il ricorrente stato coinvolto in alcuna circostanza dai due protagonisti principali della vicenda, ossia (OMISSIS) e (OMISSIS); 18.3 violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell'aggravante di cui ai commi quarto e quinto dell'articolo 416 bis c.p.. Premesso che per la concretizzazione dell'aggravante e' necessario rinvenire il collegamento finalistico della disponibilita' dell'arma con il conseguimento dello scopo associativo, da focalizzarsi nell'intento di mantenere viva la forza intimidatrice e di accrescerla e utilizzarla in vista del raggiungimento degli obiettivi, il ricorrente ha dedotto che non risulterebbe provato che l'arma, pacificamente detenuta da (OMISSIS), fosse collegata agli scopi e al mantenimento della forza intimidatrice dell'associazione; 18.4 violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'articolo 62 bis c.p.. Nel negare le attenuanti generiche, la Corte di appello avrebbe omesso di considerare la giovane eta' del ricorrente; il comportamento processuale osservato con l'assunzione di responsabilita' in ordine ai reati di compravendita di sostanza stupefacente, manifestata attraverso le dichiarazioni spontanee rese nel corso della celebrazione del giudizio abbreviato, e, infine, lo stato di tossicodipendenza. 19. Il difensore di (OMISSIS) ha dedotto i seguenti motivi: 19.1. violazione di legge e vizi della motivazione, per avere la Corte d'appello affermato la responsabilita' dell'imputato per i reati di cui ai capi 1 e 2 della rubrica accusatoria, limitandosi al richiamo testuale di alcune parti della sentenza di primo grado, cosi' da non consentire di individuare la ratio della decisione assunta in ordine alla sussistenza del reato associativo contestato al ricorrente, oltre che al ruolo che lo stesso avrebbe avuto. L'affermazione di responsabilita' sarebbe stata basata su alcune conversazioni, oggetto di intercettazioni telefoniche e ambientali, che avrebbero pero' un significato dubbio ed equivoco, nonche' sul travisamento delle prove acquisite in fase di indagine. Difetterebbe nel caso in esame la condizione rappresentata dall'essersi avvalsi della forza di intimidazione, che contraddistingue l'associazione mafiosa. Sarebbe illogico sostenere che la forza di intimidazione si desume dalla denuncia sporta dal titolare dell'attivita' commerciale, denominata LizzanFish, nei confronti di un membro del sodalizio per estorsione: cio' in quanto non vi sarebbe traccia di tale denuncia e non sarebbe stata realizzata alcuna spedizione punitiva nei confronti del commerciante titolare della LizzanFish e, quindi, non vi sarebbe stata alcuna dimostrazione all'esterno della forza intimidatrice, che dovrebbe promanare dall'associazione in esame. La conversazione, richiamata a pagina tre della sentenza, non potrebbe avere rilevanza probatoria nei confronti dello (OMISSIS), atteso che egli non era un interlocutore. Illogica sarebbe anche la parte della sentenza secondo cui tra gli elementi che inducono a ribadire il giudizio di colpevolezza, espresso dal giudice di prime cure, vi sarebbe la compartecipazione alle estorsioni ai titolari dei lidi balneari. Cosi' argomentando, la Corte d'appello avrebbe trascurato che l'imputato e' stato, al pari degli altri, assolto dai capi di imputazione concernenti le estorsioni. Anche la periodica raccolta ed erogazione di somme di denaro per conto del sodalizio a favore di detenuti, inseriti nell'associazione mafiosa, non sarebbe elemento sufficiente per affermare la sussistenza di un'associazione ex articolo 416 bis c.p., atteso che occorrerebbe dimostrare che gli atti di dominio del territorio avevano avuto come destinatari soggetti diversi dai presunti sodali. Del pari, il dialogo intercorso il 23 maggio 2016 tra l'odierno ricorrente e (OMISSIS), avente ad oggetto il furto di un'autovettura di proprieta' di un avvocato in una zona probabilmente controllata dall'organizzazione, costituirebbe una mera vanteria, non seguita da alcun atto concreto idoneo a dimostrare la vaneggiata influenza sul territorio del Comune di Lizzano, donde l'irrilevanza ai fini della prova della sussistenza e dell'operativita' concreta dell'ipotizzata compagine associativa, oggetto del capo 1 dell'imputazione. Per di piu', l'eventuale interessamento del ricorrente ad informarsi su chi potesse essere stato il responsabile del furto dell'autovettura ed eventualmente adoperarsi per il ritrovamento dello stesso mezzo sarebbe dovuto esclusivamente ad un rapporto di conoscenza diretta e di stima dell'avv. (OMISSIS) e non sarebbe sintomatico di affectio societatis da parte del ricorrente. Anche la dedizione alla commissione di reati, che sono spesso di interesse delle associazioni mafiose, non potrebbe da sola provare la qualifica mafiosa dell'associazione, atteso che notoriamente tali reati possono essere commessi anche da associazioni non mafiose. Quanto alla posizione del ricorrente, la Corte territoriale si sarebbe limitata a riprendere e riportare quanto osservato dal Giudice dell'udienza preliminare leccese nella sentenza di primo grado. In particolare, la sentenza farebbe riferimento al contenuto delle intercettazioni relative al pizzino che (OMISSIS), moglie di (OMISSIS), non avrebbe consegnato ad (OMISSIS), ma tale contenuto sarebbe generico ed equivoco e, a tutto voler concedere, potrebbe trattarsi di affermazioni frutto di mere vanterie. Illogica sarebbe la motivazione della sentenza impugnata anche nella parte relativa ai reati di detenzione e porto illegali di una non meglio precisata arma comune da sparo, contestati al capo 2 dell'imputazione, non evincendosi dal contenuto delle captazioni in modo chiaro che esse si riferissero a un'arma ne' che lo (OMISSIS) avesse la detenzione di una pistola. Non vi sarebbero atti di indagine, che possano fungere da adeguato riscontro oggettivo e soggettivo all'ipotesi accusatoria sub capo 2, relativa ad un'arma comune da sparo, non meglio precisata nella formulazione letterale di tale imputazione; 19.2 inosservanza o erronea applicazione della legge e vizi della motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio. Al di la' dell'impiego di formule di mero stile, la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente motivato circa il diniego delle attenuanti generiche (da concedere in ragione del ruolo di minore importanza rivestito dal ricorrente e della durata di appena un anno dell'associazione) e sulla recidiva, applicata facendo riferimento ai precedenti penali dell'imputato, concernenti reati contro il patrimonio e di incendio, ma cosi' trascurandosi che il presente procedimento attiene a reati di natura diversa. Non vi sarebbe adeguata motivazione neanche in ordine agli aumenti disposti a titolo di continuazione. 20. I ricorsi sono inammissibili. 21. Il primo e il secondo motivo del ricorso di (OMISSIS) e il primo motivo del ricorso di (OMISSIS), esaminabili congiuntamente in quanto afferenti entrambi all'affermazione della responsabilita' per il delitto associativo, sono privi di specificita', non confrontandosi i ricorrenti con l'ampia e corretta motivazione fornita dal Collegio di appello, il quale, dopo avere illustrato le ragioni della sua adesione alle conclusioni del Giudice di primo grado, ha avuto cura di indicare tutti gli elementi - tratti principalmente dalle conversazioni intercettate - deponenti per la sussistenza dell'associazione mafiosa, facente capo a (OMISSIS), e per la partecipazione ad essa dei ricorrenti. In particolare, la Corte territoriale ha evidenziato che il sodalizio utilizzava un preciso modello organizzativo, che si caratterizzava per la condizione di totale assoggettamento dei sodali, in un contesto fortemente gerarchizzato, contraddistinto da distinzioni di ruoli, rispetto dei capi e imposizioni di rigide regole. Tale sodalizio, i cui membri si sentivano parte di uno stesso gruppo e avevano disponibilita' di armi e munizioni, faceva ricorso alle attivita' di estorsione, traffico di stupefacenti e spendita di banconote false quali forme di finanziamento e provvedeva alla periodica raccolta ed erogazione di somme di denaro a favore dei detenuti, inseriti nell'associazione. Proprio il ricorso alla violenza e ai metodi utilizzati, perfettamente confacenti a quelli delle consorterie mafiose, aveva avuto l'effetto di creare un clima di omerta' nella popolazione e nei destinatari delle attivita' illecite, "portati non alla denuncia ma piegati a chiedere aiuto a chi era conosciuto come referente del sodalizio tra i liberi". Quanto alla partecipazione dei ricorrenti al sodalizio, la Corte territoriale ha ribadito che dalle conversazioni intercettate era, tra l'altro, emerso che: - (OMISSIS) era uno dei destinatari dei "pizzini" che provenivano dal carcere, ove era detenuto (OMISSIS), vertice del clan unitamente al fratello Cataldo. Il (OMISSIS), difatti, (OMISSIS), moglie di (OMISSIS), al rientro dal colloquio con il marito aveva telefonato ad (OMISSIS) per riferirgli di dover consegnare le robe sporche, fatte uscire da (OMISSIS) dal carcere. Evidente che il riferimento non poteva essere ad indumenti da lavare, atteso che in tal caso ella, moglie del detenuto, vi avrebbe provveduto direttamente senza far ricorso al cognato. Inoltre, (OMISSIS) era stato convocato da (OMISSIS) per ottenere spiegazioni in merito ad un bigliettino, consegnato a (OMISSIS) durante il colloquio con il marito, che mai sarebbe arrivato a destinazione, vale a dire a (OMISSIS), compagna di (OMISSIS). Ne era scaturita la necessita' che proprio (OMISSIS) accertasse come si fossero svolti i fatti; - (OMISSIS) aveva dato la sua totale piena disponibilita' a far veicolare le indicazioni che provenivano dal carcere proprio attraverso i "pizzini" e, infatti, nel tentativo di discolpare se' e il fratello, accusati di non aver recapitato il bigliettino destinato a (OMISSIS), aveva specificato come gia' in altre occasioni le robe sporche erano state da lui stesso immediatamente consegnate e cosi' avrebbe fatto se lui o la cognata (OMISSIS) avessero effettivamente ricevuto il pizzino in parola. Egli, inoltre, in occasione del mancato recapito del biglietto, essendo sorta da parte dei vertici la preoccupazione che, unitamente a suo zio (OMISSIS), avesse volontariamente omesso la consegna in segno di distaccamento dal gruppo, aveva raggiunto (OMISSIS) per riferirle che (OMISSIS) aveva consegnato il bigliettino a tale (OMISSIS). (OMISSIS), conversando con (OMISSIS), aveva riferito di aver ampiamente rassicurato che entrambi non avevano alcuna intenzione di tradire i loro capi e sarebbero rimasti senza dubbio al loro posto; aveva inoltre proposto al nipote (OMISSIS) di recarsi personalmente al successivo colloquio in carcere per chiarire l'accaduto e rassicurare (OMISSIS) del fatto che entrambi intendevano rimanere al loro posto e cioe' nello stesso clan. Concordando sulla proposta dello zio, (OMISSIS) aveva condiviso la necessita' di rassicurare tutti circa il fatto che egli non aveva cambiato idea sulla sua fedelta' ai (OMISSIS) e, pur di chiarire che da parte loro non fosse intervenuto alcun cambiamento di idee e di gruppo di appartenenza, (OMISSIS) era arrivato ad ipotizzare anche l'opportunita' di affidare al difensore di (OMISSIS) la consegna di un biglietto da portare a quest'ultimo, contenente ogni chiarimento; - entrambi erano coinvolti nelle estorsioni, finalizzate a reperire denaro per gli interessi del clan, in relazione alle quali erano intervenute pronunce assolutorie ma solo perche' non vi erano elementi che consentivano di affermare al di la' di ogni ragionevole dubbio che i destinatari delle richieste estorsive fossero stati proprio i titolari degli stabilimenti balneari, richiamati nelle imputazioni, e non altri. In presenza dei menzionati elementi la Corte territoriale ha rimarcato che risultavano cosi' provati "lo stabile inserimento di (OMISSIS) e (OMISSIS) nel gruppo mafioso, facente capo a (OMISSIS), la loro perenne fedelta' e la loro intenzione di restare all'interno di quel clan, qualunque cosa accadesse". A fronte di siffatte argomentazioni deve rilevarsi che le contrarie considerazioni difensive hanno opposto assertive negazioni della chiarezza e significativita' dei dialoghi intercettati, che sarebbero frutto di vanterie, e hanno proposto una mera lettura alternativa dei contenuti di tali dialoghi, cosi' formulando rilievi che si pongono al di fuori del perimetro dei motivi ammissibili in sede di legittimita', in quanto l'interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni intercettate costituisce questione di fatto, rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito, il cui apprezzamento non puo' essere sindacato da questa Corte se non nei limiti della manifesta illogicita' ed irragionevolezza della motivazione, con cui esse sono recepite (Sez. 2, n. 50701 del 4/10/2016, D'Andrea, Rv. 268389), non ricorrendo - ne' essendo stato alcun modo dedotto - il travisamento della prova (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, dep. 2018, Di Maro, Rv. 272558). In sostanza, attraverso un'inammissibile lettura alternativa dei dialoghi intercettati, i ricorrenti hanno sollecitato una diversa ricostruzione dei fatti, accertati nelle sentenze di primo e secondo grado, ma tale attivita' e' preclusa alla Corte di legittimita', il cui compito non e' quello di sovrapporre la propria valutazione a quella operata dai Giudici di merito in ordine all'affidabilita' delle fonti di prova, bensi' di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni, che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (cfr.: Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482 01; Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, Minervini, Rv. 253099 - 01; Sez. 4, n. 35683 del 10/7/2007, Servidei, Rv. 237652 - 01; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507 - 01). 22. Deve aggiungersi - con riguardo alle censure relative all'affermazione della responsabilita' di (OMISSIS) per il reato di cui al capo 2 - che esse sono ugualmente prive di consistenza, in quanto fortemente orientate verso una rivalutazione del merito, incompatibile con l'odierno scrutinio di legittimita'. Cio' a fronte della sentenza impugnata che ha rimarcato che dal dialogo intercettato nella vettura di (OMISSIS) il (OMISSIS) emergevano la detenzione e il porto da parte del ricorrente di un'arma. 23. Passando alle censure relative al trattamento sanzionatorio, formulate nel secondo motivo del ricorso di (OMISSIS) e nell'ultimo motivo del ricorso di (OMISSIS), deve rilevarsi che e' priva di specificita' la doglianza, avanzata da entrambi i ricorrenti, sul diniego delle attenuanti generiche. La Corte d'appello, infatti, ha valorizzato, ai sensi dell'articolo 133 c.p., la gravita' dei fatti e la personalita' degli imputati, desumibile dai precedenti penali, cosi' operando la necessaria valutazione che si riflette sull'insussistenza di elementi favorevoli per mitigare la pena. 23.1 Manifestamente infondata e', poi, la doglianza, formulata da (OMISSIS), relativa alla ritenuta recidiva. Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, la Corte territoriale ha correttamente ed insindacabilmente motivato in relazione ai presupposti della recidiva contestata, avendo non solo tenuto conto dei precedenti penali dell'imputato ma anche aggiunto che essi deponevano "per un chiaro giudizio di maggiore pericolosita', avendo il ricorrente posto in essere reati contro il patrimonio, di incendio ai danni di terzi, cosi' minando la sicurezza altrui". 23.2 Del pari manifestamente infondata e' la censura, sollevata da (OMISSIS), in ordine alla mancata motivazione sugli aumenti della pena a titolo di continuazione. Dalla lettura della sentenza impugnata emerge che la Corte di appello ha evidenziato che il trattamento sanzionatorio non poteva essere ulteriormente ridotto. Cosi' argomentando, il Collegio del merito ha anche implicitamente affermato che gli aumenti a titolo di continuazione erano congrui e tale apprezzamento - come si evince dalle ragioni del diniego delle attenuanti generiche - puo' ritenersi tratto dalla gravita' dei fatti, dalla loro perduranza nel tempo, dalla personalita' dell'imputato, desumibile non soltanto dalle risultanze del certificato del casellario ma anche dalle modalita' di commissione dei reati e dalla spregiudicatezza dimostrata. 24. Residua l'esame del terzo motivo del ricorso di (OMISSIS), con cui, nel censurare il riconoscimento dell'aggravante di cui all'articolo 416 bis c.p., commi 4 e 5, il ricorrente ha reiterato la stessa doglianza sollevata in appello, secondo cui l'arma, detenuta da (OMISSIS), sarebbe servita e sarebbe stata utilizzata a soli fini personali. La doglianza e' manifestamente infondata. Il ricorrente ha trascurato di considerare il principio, affermato da questa Corte, secondo cui, in tema di associazione per delinquere di stampo mafioso, e' corretto ritenere sussistente l'aggravante della disponibilita' delle armi di cui all'articolo 416 bis c.p., comma 4, quando il delitto associativo sia contestato agli appartenenti di una "famiglia" mafiosa, che notoriamente esercita la sua forza intimidatrice anche attraverso la dotazione di armi, utilizzate nei confronti sia di vittime sia di avversari, anche nel caso in cui la disponibilita' delle armi sia provata a carico di un solo appartenente (Sez. 2, n. 50714 del 7/11/2019, Rv. 278010; Sez. 6, n. 11194 dell'8/03/2012, Rv. 252177; Sez. 6, n. 5400 del 14/12/1999, dep. 2000, Rv. 216149). E, una volta accertata la partecipazione degli imputati al sodalizio mafioso, e' altresi' corretto ritenere che essi fossero a conoscenza della dotazione di armi, connaturate agli scopi delittuosi perseguiti, pur se materialmente in possesso di un singolo associato. Si e' precisato, inoltre, che l'adesione attraverso le singole famiglie mafiose, operanti sul territorio, al piu' ampio sodalizio, connotato da regole interne comuni, comporta la necessita' di valutare la sussistenza della circostanza aggravante non gia' sulla base del dato dell'appartenenza alle singole famiglie mafiose, ma piuttosto "in relazione alla partecipazione dei singoli imputati all'organizzazione mafiosa nella sua interezza" (in questo senso v. Sez. 6, n. 32373 del 4/6/2019, Aiello, Rv. 276831 - 02). Nel caso in esame, quindi, il dato storico del carattere armato dell'associazione mafiosa "Sacra Corina Unita" non puo' formare oggetto di dubbio; e se tale connotato e' patrimonio di comune conoscenza per chi operi dall'esterno nel contrasto al fenomeno mafioso, necessariamente coloro che abbiano prestato adesione a quel sodalizio, attraverso l'inserimento nelle singole famiglie mafiose operanti sul territorio, conoscono una delle caratteristiche principali dell'associazione. Cio' comporta, in punto di dimostrazione della consapevolezza del possesso di armi da parte degli associati, ovvero dell'ignoranza colpevole di tale dato, anche il fatto notorio della stabile detenzione di quegli strumenti di offesa da parte del sodalizio mafioso (Sez. 1, n. 44704 del 5/5/2015, Iaria, Rv. 265254). A questa considerazione, gia' di per se' dirimente al fine dell'affermazione della sussistenza, nel caso in scrutinio, dell'aggravante in parola, deve, ad ogni modo, aggiungersi che la Corte territoriale ha indicato specifici elementi fattuali che dimostrano la materiale esistenza di armi a disposizione non del singolo imputato ma dell'intero gruppo organizzato. Al riguardo ha infatti rimarcato che dalle conversazioni captate, tra cui quelle del (OMISSIS) all'interno della vettura di (OMISSIS), risultava che l'arma, posseduta da costui, era a disposizione di coloro a cui dovesse servire. 25. Il difensore di (OMISSIS), condannato per il reato di cui al capo 1 (articolo 416 bis c.p.), ha dedotto i seguenti motivi: 25.1 violazione di legge e vizi della motivazione in ordine alla sussistenza del reato associativo. La Corte d'appello si sarebbe limitata a richiamare acriticamente quanto esposto dal primo giudice, senza confutare le obiezioni difensive sia sulla ritenuta sussistenza dell'associazione sia sulla qualita' di compartecipe del ricorrente. Dopo aver richiamato i principi enunciati da questa Corte in tema di associazione mafiosa, il ricorrente ha affermato che non vi sarebbe prova di partecipazione stabile, di comuni intenti ne' della condivisione di piani criminosi e del perseguimento dei fini. Vi sarebbe la prova che al ricorrente, a malincuore e per quieto vivere, sarebbe stato permesso di commettere i suoi crimini in assoluta autonomia, essendosi creata una pax mafiosa tra i (OMISSIS) e gli (OMISSIS); 25.2 travisamento del fatto e mancata valutazione di una prova decisiva. Ricordati i principi in tema di travisamento della prova, il ricorrente ha dedotto che entrambi i giudici del merito sarebbero stati penalizzati dalla percezione di una prova inesistente: la cosiddetta ambasciata, mandata da (OMISSIS). Dal verbale dell'udienza del 10 novembre 2017 del Tribunale di Taranto, relativo all'escussione di (OMISSIS) nell'ambito della posizione di (OMISSIS) all'interno del processo a suo carico, e dalle sentenze concernenti il procedimento detto operazione The Old, si ricaverebbe l'assoluta inconciliabilita' con quanto in quel processi emerso e l'attuale imputazione di appartenenza alla presunta associazione (OMISSIS), oltre all'inesistenza dell'ambasciata del (OMISSIS), attraverso la quale il ricorrente sarebbe stato attratto nel gruppo (OMISSIS) con assoluto travisamento dei fatti e di una prova inesistente; 25.3 mancanza di motivazione e inosservanza delle norme processuali in relazione al trattamento sanzionatorio. Non vi sarebbe adeguata motivazione sulla congruita' della pena ne' sul diniego delle attenuanti generiche ne' sugli aumenti per la continuazione. 26. Il ricorso e' inammissibile. 27. Il primo motivo, afferente all'affermazione di responsabilita' del ricorrente, non e' consentito. 27.1 Deve, innanzitutto, premettersi che dalla lettura della sentenza impugnata emerge chiaramente che la Corte di merito non si e' limitata a rinviare alla motivazione della sentenza del Tribunale ma ha passato in rassegna le emergenze processuali oggetto dell'ampia disamina del primo decidente, la cui valutazione ha pienamente condiviso. La sentenza impugnata (cfr. f. da 6 a 11) ha poi puntualmente vagliato i motivi di gravame, rilevandone con esauriente e coerente percorso valutativo l'infondatezza e cosi' pervenendo a ribadire l'univoco valore dimostrativo delle fonti di prova acquisite, rappresentate primariamente dalle conversazioni intercettate, dimostratesi essenziali non solo a delineare la compagine soggettiva del gruppo criminale ma anche la partecipazione ad esso del ricorrente. In tale contesto devono quindi disattendersi i rilievi censori mossi alla sentenza impugnata, da cui invece traspare che la Corte d'appello ha compiuto un'autonoma valutazione delle plurime emergenze processuali e ha dato risposta ai motivi di gravame. 27.2 Deve poi rilevarsi che - come ricordato in particolare dal Giudice di primo grado - dagli elementi probatori acquisiti era emerso che a Lizzano si era verificata una faida fra gruppi criminali contrapposti, che aveva visto prevalere quello individuato nel capo di imputazione, dopo diversi anni di eclatanti manifestazioni intimidatorie e di iniziative di estrema violenza nel territorio, che si erano spinte fino all'eliminazione fisica dei principali esponenti della fazione "perdente", capeggiata da (OMISSIS). La scia di delitti ai danni degli appartenenti a tale fazione si era arrestata con la lupara bianca della quale era rimasto vittima nel marzo 2011 (OMISSIS), il quale era considerato un esponente di punta nel piu' vasto contesto della Sacra Corona Unita. L'odierno ricorrente, a causa della disgregazione del sodalizio di (OMISSIS), era entrato nel clan mafioso per il quale e' procedimento. A fronte di tali emergenze deve rilevarsi che, nel contrastare la ritenuta partecipazione al clan (OMISSIS), il ricorrente ha invero svalutato, in modo assertivo, la portata degli elementi rappresentati dai dialoghi intercettati e, in particolare, la conversazione tra (OMISSIS) e (OMISSIS), nel corso della quale i due criticavano il ricorrente non in quanto soggetto a loro contrapposto ma in quanto inserito nello stesso gruppo, dimostrando preoccupazione che l'agire del medesimo, aggressivo e spregiudicato nei confronti delle vittime delle estorsioni, potesse portare, come risultato finale, ad una rivolta degli esercenti commerciali, costretti a pagare somme piu' alte e a subire metodi piu' violenti. La Corte territoriale ha efficacemente aggiunto che quella di (OMISSIS) e (OMISSIS) era disapprovazione per un modo di fare che avrebbe alla fine gravato sull'intero gruppo comune e che faceva temere che potesse portare a un generale malcontento, che avrebbe potuto, poi, indurre le vittime a rivolgersi alle forze dell'ordine. Questo atteggiamento di (OMISSIS) e (OMISSIS), quindi, come affermato nella sentenza impugnata, "nasceva proprio dall'appartenenza al medesimo gruppo: in caso contrario essi si sarebbero contrapposti allo (OMISSIS), cercando di imporsi e di sostituirsi". Inoltre, i dialoghi intercettati, tra cui quello innanzi ricordato, testimoniavano la commissione anche da parte del ricorrente delle estorsioni, in relazione alle quali erano intervenute pronunce assolutorie ma solo perche' non vi erano elementi che consentivano di affermare al di la' di ogni ragionevole dubbio che i destinatari delle richieste estorsive fossero stati proprio i titolari degli stabilimenti balneari, richiamati nelle imputazioni. Non e' allora superfluo ricordare che tra gli indicatori della partecipazione ad un sodalizio mafioso, la commissione di delitti-scopo e' il "sintomo" normalmente piu' evidente, anzi "autoevidente" secondo la sentenza Modaffari richiamata, che ha rammentato che il compimento di attivita' causalmente orientate a favore dell'associazione non richiede altri indici probatori e cio' in ragione della loro indubbia autoevidenza, poiche', in questo caso, l'organicita' del singolo puo' trarsi dalla mera reiterazione di condotte che, sebbene di semplice tenore esecutivo, sono pero' teleologicamente rivolte al perseguimento degli obiettivi dell'associazione, finendo per assumere una inequivoca significazione. Alla luce di quanto precede, quindi, deve pervenirsi alla conclusione che nessun vizio inficia la motivazione della sentenza impugnata, a fronte della quale il ricorrente ha sollevato censure tese a ottenere una rivalutazione delle emergenze processuali, non consentita in questa sede. Come gia' ricordato in precedenza, infatti, per espressa volonta' del legislatore, anche a seguito della novella operata dalla L. n. 46 del 2006, il sindacato demandato alla Corte di cassazione e' limitato a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, esulando dai poteri dell'anzidetta Corte quello di una rilettura degli elementi di fatto, posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e' riservata, in via esclusiva, al Giudice di merito, senza che possa integrare un vizio di legittimita' la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali (ex plurimis Sez. 2, n. 23419 del 23/05/2007, Rv. 236893). 28. Il secondo motivo e' privo di specificita'. Il denunciato travisamento della prova, dedotto con riguardo alla considerazione di una prova inesistente (la c.d. ambasciata mandata da (OMISSIS)), non e' sorretto dalla necessaria indicazione dei dati fattuali e logici che ne attestino la decisivita', caratteristica che piu' volte la giurisprudenza di legittimita' ha indicato come presupposto indispensabile per ritenere ammissibile il vizio come denunciato. Si e' costantemente affermato al riguardo che la censura in parola non puo' essere affidata esclusivamente all'indicazione di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato (ovvero, non interpretati in modo corretto o adeguato) quando quegli atti non abbiano carattere di decisivita', essendo onere del ricorrente non solo quello di identificare l'atto processuale, cui faccia riferimento, individuando le circostanze fattuali o i dati di prova emergenti da tale atto ritenuto incompatibile con la ricostruzione condotta dalla sentenza, ma anche quello di offrire la prova della verita' dell'elemento fattuale o del dato probatorio invocato, indicando le ragioni per cui l'atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica della motivazione introducendo al suo interno profili di radicale incompatibilita' (Sez. 6, n. 8610 del 5/02/2020, P., Rv. 278457; Sez. 2, n. 27929 del 12/06/2019, Borriello, Rv. 276567; Sez. 3, n. 2039 del 2/02/2018, dep. 2019, Papini, Rv. 274816 - 7; Sez. 6, n. 45036 del 2/12/2010, Damiano, Rv. 249035). Nel caso in esame, il ricorrente ha lamentato l'avvenuta considerazione da parte del Giudice del merito di una prova inesistente, senza, tuttavia, formulare alcuna valutazione in grado di supportare l'affermazione delle decisivita' di quell'asserito travisamento. Peraltro, l'elemento che i Giudici del merito avrebbero considerato, ossia l'ambasciata da parte di (OMISSIS), che avrebbe consentito l'ingresso del ricorrente nel clan (OMISSIS), non appare assumere rilievo decisivo, ove si consideri che, a prescindere dalle modalita' dell'ingresso nel sodalizio in parola, le emergenze investigative consentivano di ritenere provato l'avvenuto inserimento in questione (come argomentato nel paragrafo che precede). 29. Anche il motivo sul trattamento sanzionatorio e' privo di specificita', non confrontandosi il ricorrente con le argomentazioni della Corte di appello, che ha negato le attenuanti generiche non avendo ravvisato alcun elemento che giustificasse un mitigamento della pena attraverso le menzionate circostanze, vieppiu' in considerazione della mancanza di un atteggiamento di resipiscenza o collaborativo dell'imputato e di risarcimenti dei danni in favore dei titolari dei lidi balneari, sottoposti ad estorsioni. Condividendo il giudizio di maggiore pericolosita' dell'imputato e rimarcando che il giudice di primo grado aveva applicato per la recidiva un aumento benevolo, la Corte territoriale ha ritenuto la pena congrua rispetto alla gravita' del fatto e alla personalita' dell'imputato, stabilmente dedito al crimine anche con uso di armi. Trattasi di argomentazioni con cui il Collegio di merito ha esercitato il suo potere discrezionale, senza incorrere in errori di diritto o vizi logici della motivazione. Giova precisare che la censura sugli aumenti a titolo di continuazione, invero generica, e' inconferente, essendo l'imputato stato condannato solo per il reato di cui all'articolo 416 bis c.p.. 30. Il difensore di (OMISSIS), condannato per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, cosi' giuridicamente riqualificati i fatti di cui al capo 10, nonche' del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, cosi' riqualificati i fatti di cui al capo 7), ha dedotto i seguenti motivi: 30.1 vizi della motivazione riguardo all'affermazione di responsabilita' dell'imputato per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6. La Corte di appello avrebbe identificato l'imputato sulla base dei seguenti elementi: il possesso di un'autovettura Audi; l'essere padre di un bambino; le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia (OMISSIS) in merito al nomignolo attribuito all'imputato quale (OMISSIS). Secondo il ricorrente, pero', dalle intercettazioni si desumerebbe che egli aveva venduto l'Audi gia' da tempo e avrebbe comprato un'altra autovettura. Anche gli altri elementi, utilizzati dalla Corte di appello per individuare l'imputato, non sarebbero individualizzanti ne' specifici. La responsabilita' del ricorrente sarebbe stata affermata sulla base soltanto di due captazioni afferenti le uniche giornate del (OMISSIS), che riguarderebbero soggetti terzi e alle quali non avrebbe preso mai parte il ricorrente. Sarebbe errato dedurre da due singole giornate quella condotta di condivisione di intenti, quella volontaria e consapevole realizzazione di attivita' criminali e soprattutto quell'apprezzabile ed effettivo contributo all'esistenza e al rafforzamento dell'associazione: connotati tipici della condotta di partecipazione al delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74. Il ristrettissimo periodo di osservazione porrebbe numerosi dubbi sulla paventata condotta criminosa del ricorrente e i dialoghi, inoltre, sarebbero generici, non essendo mai stato menzionato il nominativo del ricorrente. Da essi, inoltre, non si evincerebbe quella abitualita' e stabilita' della condotta tipica del delitto de quo ma, eventualmente, singoli episodi di cessione di sostanze stupefacenti, slegati da logiche associative. A riprova di cio' potrebbe valorizzarsi la circostanza per cui da molte intercettazioni emergerebbe la difficolta' degli altri soggetti di rintracciare il ricorrente, al fine di approvvigionarsi di sostanza stupefacente, tanto da indurre questi ultimi a reperire la droga altrove. Se il ricorrente avesse fatto parte del nucleo associativo, di certo non avrebbe fatto mancare il proprio contributo causale; 30.2 vizi della motivazione in relazione alla ritenuta commissione da parte dell'imputato del delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 (capo 10). Secondo la contestazione, (OMISSIS) sarebbe stato munito della fornitura per mezzo di (OMISSIS), che avrebbe fatto da intermediario tra (OMISSIS) ed (OMISSIS) e avrebbe messo a disposizione la propria abitazione come luogo ove perfezionare tale scambio. I giudici del merito avrebbero affermato la responsabilita' del ricorrente sulla base delle conversazioni intercettate, che, pero', non deporrebbero in tal senso. Secondo il ricorrente, dal capo d'imputazione si desumerebbe che il ruolo, ricoperto da (OMISSIS), sarebbe consistito nel prendere contatti con (OMISSIS) e nel dare la propria abitazione come luogo ove perfezionare lo scambio con lo (OMISSIS). Non vi sarebbe, pero', prova alcuna che possa confermare l'esistenza di un rapporto che leghi (OMISSIS) (presunto intermediario) ed (OMISSIS) (presunto fornitore della sostanza). Il presunto rumore di busta di plastica, che si ascolterebbe nell'abitacolo di (OMISSIS), quando, dopo essersi recato a casa di (OMISSIS), si mette nell'autovettura e prosegue la marcia, non potrebbe essere elemento idoneo, poiche' potrebbe trattarsi di qualsiasi busta di plastica, non necessariamente contenente sostanza stupefacente; 30.3 vizi della motivazione in relazione alla determinazione della pena e al diniego delle attenuanti generiche. Riqualificati i fatti nella fattispecie prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 6, la Corte d'appello non avrebbe spiegato il calcolo aritmetico effettuato per giungere alla pena inflitta, che si discosterebbe notevolmente dal limite edittale, e avrebbe dovuto concedere le attenuanti generiche, non emergendo a carico dell'imputato dati utili a dimostrare lo svolgimento di un'attivita' di spaccio caratterizzata da una significativa reiterazione delle condotte illecite; i precedenti, seppur gravi, non potrebbero di per se' costituire causa ostativa; lo stato di tossicodipendenza dovrebbe essere valutato al fine del riconoscimento delle circostanze in parola. Non vi sarebbe poi motivazione sulla recidiva, necessaria tanto piu' alla luce della riqualificazione giuridica dei fatti, che renderebbe evidente che la condotta dell'imputato non poteva essere considerata sintomatica di una marcata pericolosita', tale da meritare l'aumento di pena, previsto per tale aggravante. 31. Il ricorso e' inammissibile. 32. Le censure, formulate nel primo e nel secondo motivo, sono meramente reiterative di doglianze gia' scrutinate dalla Corte territoriale, che non solo ha sottolineato che i controlli, effettuati dalle forze dell'ordine, documentavano l'uso dell'autovettura Audi da parte del ricorrente ma ha anche elencato tutti gli ulteriori elementi che conducevano a identificare lo spacciatore nell' (OMISSIS) (v. f. 32 della sentenza impugnata). La Corte d'appello ha poi analiticamente passato in rassegna i dialoghi intercorsi tra (OMISSIS) e (OMISSIS) il 23 e 2(OMISSIS), da cui emergeva chiaramente l'abitualita' della condotta dell'imputato nelle forniture periodiche ad (OMISSIS) e a (OMISSIS), i quali lo consideravano un punto di riferimento fisso. La Corte d'appello ha inoltre rimarcato che l'inserimento del ricorrente in un sodalizio organizzato era provato non solo dai menzionati dialoghi del (OMISSIS) ma anche dal fatto che all'ennesimo insuccesso, non essendo riusciti a rintracciarlo, (OMISSIS) si chiedeva se potesse reperire la droga altrove. Intanto egli si poneva tale problema, in quanto esisteva un vincolo invalicabile, il cui superamento poteva creare problemi di rapporti interni all'associazione. A fronte dei concordi esiti valutativi dei Giudici del merito la difesa non ha offerto elementi di decisiva rilevanza, suscettibili di disarticolare la tenuta logica della motivazione in ordine all'identificazione dell'imputato come spacciatore e alla sua partecipazione al sodalizio contestatagli. Le deduzioni difensive, quindi, sono tese a sollecitare una diversa valutazione delle prove e una differente ricostruzione dei fatti, estranee al giudizio di legittimita'. Come gia' ricordato con riguardo agli altri ricorrenti, il sindacato di legittimita' non ha per oggetto la revisione del giudizio di merito, bensi' la verifica della struttura logica del provvedimento e non puo', quindi, estendersi all'esame e alla valutazione degli elementi di fatto acquisiti al processo, riservati alla competenza del giudice di merito, rispetto alla quale la Suprema Corte non ha alcun potere di sostituzione al fine della ricerca di una diversa ricostruzione dei fatti in vista di una decisione alternativa. Ne', infine, la Suprema Corte puo' trarre valutazioni autonome dalle prove o dalle fonti di prova, neppure se riprodotte nel provvedimento impugnato. Invero, solo l'argomentazione critica, che si fonda sugli elementi di prova e sulle fonti indiziarie, contenuta nel provvedimento impugnato, puo' essere sottoposta al controllo del giudice di legittimita', al quale spetta di verificarne la rispondenza alle regole della logica, oltre che del diritto, e all'esigenza della completezza espositiva (Sez. 6, n. 40609 del 01/10/2008, Rv. 241214). 33. Anche le doglianze relative al trattamento sanzionatorio non giovano al ricorrente. 33.1 Nel corretto esercizio del suo potere discrezionale la Corte d'appello ha attenuato il trattamento sanzionatorio, facendo riferimento alle modalita' dei fatti, alla reiterazione della condotta e ai quantitativi di droga, di volta in volta smerciati (dalle conversazioni emerge che il ricorrente vendeva normalmente quantitativi di 50 grammi di droga del tipo pesante, dalla quale a volte prelevava tre o quattro grammi); ha poi aumentato la pena per la recidiva nella misura indicata dal giudice di primo grado, "gia' benevola", e l'ha ridotta per il rito. 33.2 Le censure sul mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e sulla sussistenza della recidiva non sono consentite, essendo state sollevate per la prima volta con il presente ricorso e non dedotte, quindi, con i motivi di appello. 34. Il difensore di (OMISSIS), condannato per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, cosi' giuridicamente riqualificati i fatti di cui al capo 10), ha dedotto i seguenti motivi: 34.1 vizi della motivazione in relazione alla commissione da parte dell'imputato del delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 (capo 10). Secondo la contestazione, il ricorrente avrebbe fornito il proprio contributo concorsuale in una presunta trattativa, afferente sostanza stupefacente, attraverso l'intermediazione operata tra (OMISSIS) ed (OMISSIS), e avrebbe messo a disposizione la propria abitazione come luogo ove perfezionare tale scambio. I giudici del merito avrebbero affermato la responsabilita' del ricorrente sulla base delle conversazioni intercettate ma l'unica captazione, che vedrebbe coinvolto l'odierno imputato, sarebbe quella di cui al progressivo numero 147 A 1, da cui pero' emergerebbe che lo stesso negava di cedere qualcosa ad altri soggetti. Secondo il ricorrente, dal capo d'imputazione si desumerebbe che il ruolo, da egli ricoperto, sarebbe consistito nel prendere contatti con (OMISSIS) e nel dare la propria abitazione come luogo ove perfezionare lo scambio con lo (OMISSIS). Non vi sarebbe pero' prova alcuna che possa confermare l'esistenza di un rapporto che leghi il ricorrente (presunto intermediario) ed (OMISSIS) (presunto fornitore della sostanza). Il presunto rumore di busta di plastica, che si ascolterebbe nell'abitacolo di (OMISSIS), quando, dopo essersi recato a casa di (OMISSIS), si mette nell'autovettura e prosegue la marcia, non potrebbe essere elemento idoneo, poiche' potrebbe trattarsi di qualsiasi busta di plastica, non necessariamente contenente sostanza stupefacente; 34.2 (indicato come tre nel ricorso) violazione di legge in relazione alla determinazione della pena e al diniego delle attenuanti generiche. Riqualificati i fatti nella fattispecie prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, la Corte d'appello non avrebbe spiegato il calcolo aritmetico effettuato per giungere alla pena inflitta, che si discosterebbe notevolmente dal minimo edittale. Il giudice d'appello, peraltro, per un verso, avrebbe ritenuto di non operare l'aumento di pena per effetto della recidiva, alla luce della considerata limitata gravita' dei 1., fatti, dall'altro, avrebbe ritenuto congrua una pena base di anni due, che sarebbe palesemente sproporzionata. La Corte d'appello avrebbe dovuto concedere le attenuanti generiche, non emergendo a carico dell'imputato dati utili a dimostrare lo svolgimento di un'attivita' di spaccio caratterizzata da una significativa reiterazione delle condotte illecite; i precedenti, seppur gravi, non potrebbero di per se' costituire causa ostativa; lo stato di tossicodipendenza dovrebbe essere valutato al fine del riconoscimento delle circostanze in parola. 35. Il ricorso e' inammissibile. 36. Con il primo motivo, il ricorrente ha contestato la valutazione degli elementi di prova, posti a base dell'affermazione della sua responsabilita'. Al riguardo deve rilevarsi che entrambi i Giudici del merito, senza incorrere in vizi logici e giuridici, hanno ricavato il coinvolgimento del ricorrente nella vicenda di cui al capo 10) dalle plurime conversazioni captate e dai correlati rilevamenti tramite sistema satellitare, dei quali la sentenza impugnata da' puntuale conto al fine di giungere alla conclusione che il ricorrente aveva consentito ad (OMISSIS) di venire in possesso della droga che egli stava cercando di acquistare da (OMISSIS) da giorni, senza riuscirvi. A fronte della motivazione della sentenza impugnata le censure del ricorrente involgono l'interpretazione del compendio captativo e non sono consentite, in quanto si connotano per la prospettazione di una ricostruzione alternativa dei fatti emergenti dall'istruttoria dibattimentale e sono tese a sollecitare la rivalutazione del materiale probatorio: operazione, questa, estranea ai poteri del giudice di legittimita' (ex plurimis Sez. U, n. 47289 del 24/9/2003, Rv. 226074). 37. Il secondo motivo e' privo di specificita'. La Corte territoriale ha affermato il difetto di elementi positivamente valutabili al fine del riconoscimento delle attenuanti generiche aggiungendo che la personalita' dell'imputato, negativamente lumeggiata dai suoi precedenti specifici, deponeva in senso contrario. In tal modo la menzionata Corte ha fatto buon governo dei principi enunciati in sede di legittimita' (Sez. 3, n. 44071 del 25.9.2014, Rv 260610), secondo cui il mancato riconoscimento delle circostanze anzidette puo' essere legittimamente giustificato con l'assenza di elementi di segno positivo, a maggior ragione dopo la modifica dell'articolo 62 bis c.p., disposta con il Decreto Legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non e' piu' sufficiente lo stato di incensuratezza dell'imputato. Nessun rilievo puo' muoversi alla Corte territoriale laddove ha condiviso la scelta del Giudice di primo grado di discostarsi dal minimo edittale, avendo fatto riferimento alla personalita' dell'imputato, desumibile dai numerosi precedenti (l'imputato aveva riportato una prima condanna per il medesimo titolo di reato nel 1991 e un'altra per associazione finalizzata allo spaccio di droga nel 2017) e alla quantita' non esigua della droga, desumibile dalle direttive impartite da (OMISSIS) sul confezionamento della stessa. 38. In definitiva, oltre all'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente al trattamento sanzionatorio, deve dichiararsi l'inammissibilita' dei ricorsi proposti da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., devono essere condannati al pagamento delle spese processuali nonche' - valutati i profili di colpa nella determinazione delle cause di inammissibilita' dei ricorsi - della sanzione pecuniaria, equitativamente determinata in Euro 3.000,00, in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente al trattamento sanzionatorio, che ridetermina in anni quattro, mesi cinque e giorni dieci di reclusione; rigetta nel resto il ricorso. Dichiara inammissibili i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Casa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. ACETO Aldo - Consigliere Dott. LIBERATI Giovanni - rel. Consigliere Dott. NOVIELLO Giuseppe - Consigliere Dott. MENGONI Enrico - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 11/3/2022 della Corte d'appello di Lecce; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Liberati Giovanni; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Costantini Francesca, che ha concluso chiedendo l'annullamento senza rinvio limitatamente al capo a) per intervenuta prescrizione e il rigetto nel resto, con i provvedimenti conseguenti; udito per il ricorrente l'avv. (OMISSIS), anche in sostituzione dell'avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 12 giugno 2019 il Tribunale di Lecce aveva dichiarato (OMISSIS) e (OMISSIS) responsabili dei reati di cui all'articolo 110 e articolo 734 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, comma 1, lettera c), Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181 e articoli 54, 55 e 1161 codice navale (loro ascritti in concorso per avere, (OMISSIS) quale proprietario e (OMISSIS) quale dirigente dell'Ufficio tecnico del Comune di (OMISSIS), eseguito interventi edilizi costituiti dalla realizzazione di una struttura commerciale destinata a chiosco - bar con annesso laboratorio della superficie di circa 300 mq., insistente in parte su area demaniale marittima e in parte su area sottoposta a vincolo paesaggistico e idrogeologico, in assenza di titoli demaniali, del permesso di costruire e del nulla osta delle autorita' preposte alla tutela del vincolo, dovendo ritenersi illegittimi gli assensi rilasciati con il permesso edilizio n. 190 del 2016, relativo all'installazione di una struttura commerciale a carattere precario e stagionale, essendo stati realizzati interventi di natura stabile e permanente, con la realizzazione di un chiosco - bar con annesso deposito, servizi igienici, impianto idrico, fognario ed elettrico, con adiacente porticato, cosi' deturpando le bellezze naturali, realizzando innovazioni non autorizzate e occupando abusivamente il demanio marittimo; in (OMISSIS) della Marina di (OMISSIS), accertato il 17/2/2016, in permanenza; capo A della rubrica), e, il solo (OMISSIS), responsabile anche del reato di cui all'articolo 81 cpv. e articolo 323 c.p. (ascrittogli per avere, nella suddetta qualita' di dirigente dell'Ufficio tecnico del Comune di (OMISSIS), rilasciato il 19/10/2016 un parere tecnico favorevole al mantenimento di una struttura commerciale a carattere precario e di facile rimozione per la realizzazione di una struttura commerciale chiosco - bar in un'area delimitata nel PPTR della Regione Puglia come area di rispetto boschivo nella quale il mantenimento della struttura commerciale costituiva ingombro stabile e quindi non poteva considerarsi ammissibile ai sensi dell'articolo 62 del PPTR, nonche' in un'area costiera nella quale il mantenimento della struttura era vietato dall'articolo 45 del medesimo PPTR, cosi' intenzionalmente procurando un ingiusto vantaggio patrimoniale al titolare della struttura (OMISSIS), in quanto autorizzava l'edificazione e il mantenimento della struttura turistico balneare di cui al capo A con opere e strutture nuove e di forte impatto ambientale, realizzate in violazione degli strumenti urbanistici vigenti e in contrasto con la prescrizione di ripristino dello stato dei luoghi al (OMISSIS) riportata nella autorizzazione paesaggistica del (OMISSIS); in (OMISSIS); capo B della rubrica); (OMISSIS) era quindi stato condannato alla pena di nove mesi di arresto e 40.000,00 Euro di ammenda e (OMISSIS) alla pena di un anno di reclusione; con la medesima sentenza erano state disposte la demolizione delle opere abusive e la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, a spese di (OMISSIS). Con sentenza del 11 marzo 2022 la Corte d'appello di Lecce, provvedendo sulla impugnazione proposta dagli imputati nei confronti di tale sentenza, ha assolto entrambi gli imputati dal reato di cui all'articolo 734 c.p. perche' il fatto non sussiste; ha assolto il solo (OMISSIS) dai reati di cui al Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181 e articoli 54, 55 e 1161 c.n., per non aver commesso il fatto; ha riqualificato il fatto di cui al capo b) nella fattispecie di cui agli articoli 56 e 323 c.p.; ha rideterminato la pena nei confronti di (OMISSIS) per tale reato e per quello di cui Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44 in complessivi cinque mesi di reclusione; ha rideterminato la pena nei confronti di (OMISSIS) per i residui reati ascrittigli in nove mesi di arresto e 39.000,00 Euro di ammenda, confermando nel resto la sentenza di primo grado. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il solo (OMISSIS), mediante gli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), che lo hanno affidato a cinque articolati motivi. 2.1. Con un primo motivo ha lamentato la mancanza della motivazione con riferimento alla eccezione di nullita' della sentenza di primo grado, derivante dalla violazione degli articoli 521 e 522 c.p.p., sollevata con l'atto d'appello e ignorata dalla Corte territoriale. Ha esposto che mediante tale eccezione era stata evidenziata la chiara differenza strutturale tra il fatto contestato e quello accertato con la sentenza di primo grado, in quanto secondo l'imputazione l'illegittimita' dei titoli autorizzatori derivava dall'assenza di titoli demaniali rilasciati dal Capo del Compartimento, nonche' del permesso di costruire e del nulla osta delle autorita' preposte alla tutela del vincolo paesaggistico, mentre nella sentenza di primo grado era stato attribuito carattere di illegittimita' ai provvedimenti emessi dal ricorrente non perche' emessi in assenza di validi titoli amministrativi presupposti, bensi' per una loro asserita, autonoma e intrinseca, illegittimita' rispetto agli strumenti urbanistici e paesaggistici vigenti nell'area oggetto dell'intervento realizzato da (OMISSIS). Tale eccezione non era, pero', in alcun modo stata considerata dalla Corte d'appello, cosicche' la stessa non poteva neppure essere considerata come implicitamente esaminata e disattesa, anche perche' la Corte d'appello, nel disattendere l'impugnazione del ricorrente, non aveva solamente rilevato l'illegittimita' del provvedimento del 24/6/2016 (ossia del permesso stagionale al mantenimento delle opere) e del parere tecnico del 19/10/2016 (reso nell'ambito del procedimento per il rilascio della autorizzazione al mantenimento annuale delle medesime opere), ma aveva dato atto anche di tutte le autorizzazioni o permessi stagionali rilasciati da (OMISSIS) a (OMISSIS) a far tempo dall'anno 2010. Analogamente, quanto al reato di abuso di ufficio, era stato fatto rilevare, con l'atto di impugnazione, che la responsabilita' del ricorrente era stata affermata per la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articoli 12 e 13 benche' cio' non fosse mai stato oggetto di contestazione, e che l'ingiusto vantaggio patrimoniale per (OMISSIS) era stato individuato nell'esonero dal pagamento degli oneri di urbanizzazione altrimenti dovuti, con argomento del tutto eccentrico rispetto alla contestazione e anche a quanto emerso nel corso del giudizio. 2.2. In secondo luogo, ha denunciato la manifesta illogicita' della motivazione, anche sotto forma di travisamento delle prove, nella parte relativa alla conferma della configurabilita' del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44 di cui al capo a), in quanto l'autorizzazione edilizia n. 104 del 24/6/2016, con cui era stata definita la pratica edilizia n. 190 del 2016, relativa alla richiesta di (OMISSIS) di rilascio dell'autorizzazione alla installazione di una struttura a carattere precario e stagionale, era stata rilasciata tenendo conto della autorizzazione paesaggistica con cui era stata verificata la conformita' delle opere al PPTR, del parere di conformita' igienico - sanitaria della struttura, del nulla osta del servizio forestale regionale, della autorizzazione rilasciata dalla Agenzia delle Dogane, della autorizzazione rilasciata dalla Capitaneria di Porto per realizzare la struttura precaria nell'ambito della fascia di 30 metri dal demanio marittimo, cosicche', tenendo conto dei pareri favorevoli e delle autorizzazioni di tutte le varie autorita' preposte alla tutela dei diversi vincoli esistenti nell'area, l'autorizzazione alla installazione di opere precarie rilasciata dal ricorrente risultava essere un provvedimento necessitato e privo di contenuto discrezionale; il parere tecnico urbanistico del 19/10/2016 si inseriva nel diverso e autonomo procedimento amministrativo volto a ottenere l'autorizzazione al mantenimento per tutto l'anno della medesima struttura precaria e atteneva ai soli profili urbanistico - edilizi dell'intervento oggetto della richiesta e non autorizzava affatto il richiedente a mantenere l'opera precaria ma aveva solo l'effetto, interno al procedimento, di consentire che la richiesta proseguisse il suo corso in attesa delle determinazioni delle altre autorita' amministrative coinvolte, anche perche' tale parere non autorizzava alcun tipo di intervento. Il rilievo attribuito, nella motivazione della sentenza impugnata, alle autorizzazioni al mantenimento di opere precarie rilasciate allo (OMISSIS) a far tempo dall'anno 2010 risulterebbe, quindi, del tutto inconferente rispetto alla contestazione, posto che tali precedenti autorizzazioni non erano mai state oggetto di alcuna censura o rilievo, ne', tantomeno, di contestazioni penali, anche perche' tali autorizzazioni, come pure quella del 24/6/2016, alla installazione di strutture a carattere precario e stagionale, erano consentite dalla Delib. Consiglio comunale di (OMISSIS) n. 5 del 31/3/2006. Le valutazioni espresse dal ricorrente, circa la compatibilita' tra il mantenimento dell'opera e le sue caratteristiche costruttive, erano correlate esclusivamente allo strumento urbanistico vigente nella zona, e gli altri soggetti preposti alla tutela dei vari vincoli ivi esistenti avrebbero ancora dovuto esprimersi sul punto, secondo le loro attribuzioni, e solo all'esito sarebbe stata valutata la rilasciabilita' del permesso di costruire richiesto da (OMISSIS). 2.3. Con un terzo motivo ha denunciato l'errata applicazione di disposizioni di legge penale e la carenza della motivazione, con riferimento alla affermazione della configurabilita' del delitto di tentato abuso di ufficio di cui agli articoli 56 e 323 c.p.. Ha contestato, anzitutto, la rilevata violazione di specifiche disposizioni di legge nell'emanazione del parere favorevole del 19/10/2016 (con riferimento al quale e' stato ravvisato il delitto di tentato abuso d'ufficio, cosi' riqualificata la condotta di cui al capo B da parte della Corte d'appello di Lecce, rispetto all'ipotesi consumata contestata e ravvisata dal Tribunale di Lecce), in quanto il richiamo compiuto a tal fine dalla Corte d'appello al disposto del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articoli 12 e 13 sarebbe errato, trattandosi di precetti estranei alla pratica amministrativa che il ricorrente, nell'ambito delle sue competenze, aveva istruito, riferendosi, nel rilascio del parere favorevole oggetto della contestazione, non ai suddetti articoli 12 e 13 del testo unico dell'edilizia, bensi' alla Delib. Consiglio comunale di (OMISSIS) n. 5 del 31/3/2006, con la quale erano stati stabiliti i criteri per la installazione di opere precarie e stagionale lungo la fascia costiera, e alla successiva analoga Delib. n. 41 del 2008 del medesimo organo territoriale. Ha denunciato anche l'incerta individuazione del vantaggio patrimoniale che la condotta illecita avrebbe procurato, o tentato di procurare, a (OMISSIS), che era stato prima individuato nella estensione permanente della possibilita' di mantenere le opere abusive dallo stesso realizzate, e poi nel mancato pagamento dei relativi oneri di urbanizzazione. Ha lamentato anche la totale mancanza di motivazione a proposito della matrice intenzionale del dolo in capo al ricorrente, di cui era stata spiegata la sussistenza esclusivamente con il riferimento alla macroscopica illegittimita' dell'atto, senza alcun approfondimento circa la presenza di evidenti e macroscopiche incongruenze della pratica amministrativa, o a proposito dei rapporti interpersonali tra l'agente e il soggetto beneficiato dal provvedimento illegittimo, tra l'altro in contrasto con quanto affermato nella medesima sentenza a proposito del reato paesaggistico, di cui era stata esclusa la sussistenza alla luce dell'esistenza di una autorizzazione paesaggistica recente (n. 126 del 2015) sulla quale il ricorrente aveva fatto affidamento. Ha censurato anche l'affermazione della configurabilita' di un tentativo di abuso d'ufficio, fondata sulla rilevanza, all'interno del procedimento amministrativo, del parere favorevole formulato dal ricorrente, senza alcuna illustrazione della idoneita' e della univocita' degli atti qualificati come tentativo di abuso d'ufficio; in particolare la Corte d'appello aveva omesso di verificare se nella condotta ascritta al ricorrente potevano rintracciarsi elementi capaci di porre in dubbio l'esclusiva direzione finalistica della condotta alla realizzazione dell'evento, in quanto la valutazione spettante al dirigente dell'Ufficio tecnico comunale era solo di compatibilita' con gli strumenti urbanistici, essendo rimesse ad altri soggetti le ulteriori valutazioni relative alla assentibilita' dell'intervento edilizio, con la conseguente equivocita' della condotta, che non poteva dirsi diretta indiscutibilmente verso la realizzazione dell'evento contestato. 2.4. Con un quarto motivo ha lamentato la mancanza e, comunque, la manifesta illogicita' della motivazione, nella parte relativa alla determinazione della pena per il delitto tentato di cui agli articoli 56 e 323 c.p., essendo stata ridotta la pena minima edittale prevista per il delitto consumato, pari a un anno di reclusione, solamente della meta' anziche' di due terzi, come pure sarebbe stato possibile, e senza alcuna giustificazione. 2.5. Infine, con un quinto motivo, ha eccepito l'intervenuta estinzione per prescrizione del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44 di cui al capo a), commesso il 17/2/2017, allorquando era stato eseguito il sopralluogo della polizia giudiziaria ed era stato accertato che il fabbricato ritenuto abusivo era stato interamente completato; poiche' al termine massimo quinquennale stabilito per la prescrizione di tale contravvenzione doveva aggiungersi solamente il periodo di sospensione per impedimento del difensore, dal 3/4/2019 al 12/6/2019, pari a complessivi due mesi e nove giorni, detto termine risultava decorso il 26/4/2022, ossia nel periodo intercorrente tra la lettura del dispositivo e il deposito della motivazione della sentenza impugnata, con la conseguenza che essendo ora maturato detto termine la sentenza impugnata avrebbe dovuto essere annullata senza rinvio in relazione al suddetto reato di cui al capo a), in quanto estinto per prescrizione. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. 2. Giova premettere, al fine della migliore comprensione della vicenda e delle censure sollevate dal ricorrente, che il Tribunale di Lecce era pervenuto alla affermazione di responsabilita' di entrambi gli imputati in relazione a tutti i reati loro contestati sulla base di quanto emerso in occasione del sopralluogo eseguito dalla polizia giudiziaria il 2 febbraio 2017, quando era stato accertato che parte del fondo di proprieta' di (OMISSIS) era occupato da un chiosco bar (che avrebbe dovuto, in base alla autorizzazione rilasciata allo stesso (OMISSIS), essere smontato al termine della stagione estiva, e comunque entro il 31 ottobre 2016), e da opere di non facile rimozione, tra cui un'area pavimentata in cemento della superficie di 125 mq. e un gazebo in legno della superficie di 72 mq. (tra l'altro realizzato su area demaniale marittima), risultando realizzati interventi edilizi non autorizzati per complessivi 300 mq., tra cui il suddetto chiosco bar della superficie di 160 mq. e altre strutture di pertinenza, nonche' quella su cui era stata realizzata una pavimentazione stabilmente infissa al suolo, con chianche di pietra di Cursi. Riguardo alla natura dell'intervento il Tribunale aveva sottolineato la abusiva realizzazione degli interventi edilizi, della superficie complessiva di circa 300 mq., in considerazione della loro stabilita', contrariamente a quanto indicato nelle varie autorizzazioni rilasciate a (OMISSIS), nelle quali le opere erano descritte come precarie e di facile amovibilita' al termine della stagione estiva e comunque entro il 31 ottobre. Quanto alla condotta del ricorrente (OMISSIS), il Tribunale aveva sottolineato il diniego della autorizzazione paesaggistica al mantenimento delle opere reso il 18/4/2016 dalla Unione dei Comuni di Terra di Leuca (per il contrasto con le disposizioni del PPTR) e il parere favorevole al mantenimento di dette opere reso dal ricorrente (OMISSIS) il 19/10/2016 e la autorizzazione n. 104 del 24/6/2016 dallo stesso rilasciata, in violazione degli strumenti urbanistici e nella piena consapevolezza di violare numerose norme volte alla tutela del paesaggio, del territorio e dell'ambiente, allo scopo di consentire a (OMISSIS) di conseguire un indebito vantaggio patrimoniale, costituito dalla prosecuzione della sua attivita' commerciale, mediante il suddetto chiosco - bar e le opere a esso accessorie. La Corte d'appello ha ribadito la necessita' del preventivo rilascio del permesso di costruire per le opere realizzate da (OMISSIS), in considerazione della loro stabilita' e permanenza, ritenendo irrilevante la loro destinazione a una attivita' commerciale di carattere stagionale, con la conseguente illegittimita' della autorizzazione al loro mantenimento rilasciata dal ricorrente il 24/6/2016 e del parere favorevole al mantenimento della struttura commerciale dallo stesso reso il 19/10/2016, volto a procurare un vantaggio patrimoniale allo stesso (OMISSIS), estendendo in via permanente il gia' illegittimo provvedimento autorizzativo stagionalmente rilasciato, con esonero dal pagamento degli oneri di urbanizzazione altrimenti dovuti. 3. Cio' premesso, quanto agli aspetti salienti della vicenda e alle valutazioni compiute dai giudici di merito, il primo motivo di ricorso, mediante il quale e' stata lamentata la mancanza assoluta della motivazione con riferimento alla eccezione di nullita' della sentenza di primo grado per violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza di cui agli articoli 521 e 522 c.p.p., e' manifestamente infondato. Va, infatti, ricordato come, da tempo, nella giurisprudenza di legittimita' sia stato affermato il principio secondo cui, in tema di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale sia stata riassunta l'ipotesi astratta prevista dalla legge, cosi' da determinare un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione, da cui scaturisca un reale pregiudizio per i diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione di tale principio non va esaurita nel mero confronto, puramente letterale, fra contestazione e oggetto della statuizione di sentenza, perche', vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione e' insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, si sia venuto a trovare nella condizione concreta di potersi difendere in ordine all'oggetto dell'imputazione cosi' come ritenuta in sentenza (cfr. Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205619; Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051; conf., ex plurimis, Sez. 4, n. 16900 del 04/02/2004, Caffaz, Rv. 228042; Sez. 4, n. 41663 del 25/10/2005, Cannizzo, Rv. 232423; Sez. 3, n. 35225 del 28/06/2007, Dimartino, Rv. 237517; Sez. 3, n. 15655 del 27/02/2008, Fontanesi, Rv. 239866; Sez. 4, n. 4497 del 16/12/2015, dep. 03/02/2016, Addio e altri, Rv. 265946). Tale orientamento e' stato sviluppato chiarendo che e' configurabile la violazione del principio della correlazione tra l'imputazione contestata e la pronuncia solo quando il fatto, ritenuto in sentenza, si trovi rispetto a quello contestato in rapporto di eterogeneita' o di incompatibilita', nel senso che sia realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione e variazione dei contenuti essenziali dell'addebito (Sez. 3, n. 9973 del 22/09/1997, Angelini, Rv. 209245; Sez. 6, n. 36003 del 14/06/2004, Di Bartolo, Rv. 229756), precisando che puo' sussistere violazione del principio di corrispondenza tra accusa e sentenza solo quando tra il fatto descritto e quello accertato non si rinviene un nucleo comune identificato dalla condotta, e si manifesta, pertanto, un rapporto di incompatibilita' ed eterogeneita', che si risolve in un vero e proprio stravolgimento dei termini dell'accusa, a fronte dei quali l'imputato e' impossibilitato a difendersi (Sez. 4, n. 27355 del 27/01/2005, Capanna, Rv. 231727; Sez. 6, n. 81 del 06/11/2008, Zecca, Rv. 242368; Sez. 6, n. 6346 del 09/11/2012, Domizi, Rv. 254888). E' stato, poi, ulteriormente precisato come, ai fini della valutazione della corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all'articolo 521 c.p.p., debba tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicche' questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sull'intero materiale probatorio posto a fondamento della decisione (Sez. 6, n. 5890 del 22/01/2013, Lucera, Rv. 254419; Sez. 2, n. 46786 del 24/10/2014, Borile, Rv. 261052, nella quale e' stato chiarito che non e' configurabile la violazione dell'articolo 521 c.p.p. qualora la diversa qualificazione giuridica del fatto appaia come uno dei possibili epiloghi decisori del giudizio, secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile, in relazione al quale l'imputato e il suo difensore abbiano avuto nella fase di merito la possibilita' di interloquire in ordine al contenuto dell'imputazione, anche attraverso l'ordinario rimedio dell'impugnazione). L'obbligo di correlazione tra accusa e sentenza, pertanto, non puo' ritenersi violato da qualsiasi modificazione rispetto all'accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell'imputazione pregiudichi la possibilita' di difesa dell'imputato: la nozione strutturale di "fatto" va, infatti, coniugata con quella funzionale, fondata sull'esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, posto che il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata e decisione giurisdizionale risponde all'esigenza di evitare che l'imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi (cfr. Sez. 5, n. 3161 del 13/12/2007, P., Rv. 238345; Sez. 2, n. 38889 del 16/09/2008, D. Rv. 241446; Sez. 2, n. 18729 del 14/04/2016, Russo, Rv. 266758). Ne consegue che la violazione dell'articolo 521 c.p.p. non sussiste quando nel capo di imputazione siano contestati gli elementi fondamentali idonei a porre l'imputato in condizioni di difendersi dal fatto successivamente ritenuto in sentenza, da intendersi come accadimento storico oggetto di qualificazione giuridica da parte della legge penale, che spetta al giudice individuare nei suoi esatti contorni (cfr. Sez. 5, n. 7984 del 24/09/2012, Jovanovic, Rv. 254648), tenendo anche conto dei possibili sviluppi, interpretativi e sul piano della qualificazione giuridica, della ipotesi d'accusa originaria, che siamo in questa insiti ab origine. Tali consolidati criteri ermeneutici sono stati ritenuti compatibili con la regola di sistema espressa dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo (sentenza 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia), secondo cui, ai sensi dell'articolo 6, par. 3, lettera a) e b) della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo sul "processo equo", la garanzia del contraddittorio deve essere assicurata all'imputato anche in ordine alla diversa definizione giuridica del fatto operata dal giudice ex officio (cfr., al riguardo, Sez. 6, n. 45807 del 12/11/2008, Drassich, Rv. 241754; conf. Sez. 5, n. 231 del 09/10/2012, Ferrari, Rv. 254521), quando la diversa qualificazione giuridica avvenga "a sorpresa", determinando conseguenze negative per l'imputato (e, quindi, fondando un suo concreto interesse ad ottenerne la rimozione), che, per la prima volta, e senza mai avere avuto la possibilita' di interloquire sul punto, si trovi di fronte ad un fatto storico radicalmente trasformato in sentenza nei suoi elementi essenziali, al punto tale, cioe', da imporre una diversa e nuova definizione giuridica del fatto medesimo, rispetto a quanto contestato, in punto di fatto e di diritto, nell'imputazione, di cui rappresenta uno sviluppo inaspettato (cfr. Sez. 5, n. 7984 del 24/09/2012, Jovanovic, Rv. 254649; conf. Sez. 5, n. 1697 del 25/09/2013, Cavallari, Rv. 258941; Sez. 5, n. 48677 del 06/06/2014, Napolitano, Rv. 261356; Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264438). Ora, nel caso in esame, la contestazione faceva chiaramente e inequivoco riferimento alla realizzazione, da parte del coimputato non ricorrente (OMISSIS), di interventi edilizi costituiti dalla realizzazione di una struttura commerciale destinata a chiosco - bar con annesso laboratorio della superficie di circa 300 mq., insistente in parte su area demaniale marittima e in parte su area sottoposta a vincolo paesaggistico e idrogeologico, in assenza di titoli demaniali, del permesso di costruire e del nulla osta delle autorita' preposte alla tutela del vincolo. La responsabilita' degli imputati e' stata, in primo grado, affermata in relazione a tutte le ipotesi di reato loro contestate, ossia per i reati di cui agli articoli 110 e 734 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, comma 1, lettera c), Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181 e articoli 54, 55 e 1161 c.n., e, nel giudizio di appello, e' stata confermata solamente per il reato urbanistico, ritenuto integrato dalla realizzazione di dette opere in assenza del permesso di costruire, ritenuto necessario in considerazione della loro natura e delle loro caratteristiche costruttive. Quanto al delitto di abuso di ufficio di cui al capo b), la contestazione, da leggere, evidentemente, anche alla luce del reato urbanistico contestato sub a), a proposito del quale sono stati menzionati entrambi i provvedimenti emessi dal (OMISSIS) (e' cioe' sia l'autorizzazione del 24/6/2016 sia il parere favorevole del 19/10/2016), fa riferimento alla autorizzazione da parte del (OMISSIS), nella qualita' di dirigente dell'Ufficio tecnico del Comune di (OMISSIS), a realizzare e mantenere la struttura turistica balneare indicata al capo a), dunque alla complessiva condotta tenuta dal (OMISSIS) descritta ai capi a) e b) della rubrica, quindi a entrambi i provvedimenti amministrativi dallo stesso adottati (menzionati espressamente al capo a), cosicche', anche riguardo a tale contestazione, risultavano chiare le condotte contestate al ricorrente, che, comunque, nel corso di entrambi i giudizi di merito ha ampiamente controdedotto al riguardo ed e' stato posto nella possibilita' di difendersi dalla contestazione di aver adottato entrambi gli atti illegittimi in questione, cosicche', anche a questo riguardo, non risulta esservi stata alcuna radicale immutazione dei fatti contestati rispetto a quelli ritenuti nelle sentenze di merito, ne' alcun pregiudizio ai diritti difensivi dell'imputato, al quale il principio di correlazione tra accusa e sentenza e' strumentalmente coordinato. Non vi e' stata, dunque, come e' evidente, alcuna immutazione radicale dei fatti contestati rispetto a quelli per i quali e' stata affermata la responsabilita' degli imputati, in quanto le contestazioni fanno chiaramente riferimento, tra l'altro, alla realizzazione di una pluralita' di opere, descritte con sufficiente specificita', della superficie complessiva di 300 mq., e alle loro caratteristiche costruttive e strutturali, tali da richiedere il preventivo rilascio del permesso di costruire per la loro realizzazione, che e' la residua ipotesi di reato di cui al capo a), in relazione alla quale e' stata confermata la responsabilita' degli imputati, e ai due atti amministrativi adottati dal ricorrente, strumentali alla realizzazione e al mantenimento di dette opere abusive, cosicche' risulta chiaramente insussistente qualsiasi immutazione del nucleo essenziale dei fatti contestati rispetto a quelli ritenuti nelle sentenze di merito, con la conseguente manifesta infondatezza dei rilievi sollevati sul punto con il primo motivo di ricorso. 3. Il secondo motivo, mediante il quale e' stato lamentato un vizio della motivazione con riferimento alla affermazione della configurabilita' del reato edilizio di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44 contestato al capo a), e' manifestamente infondato. Il ricorrente al riguardo afferma, da un lato, la piena legittimita' della autorizzazione al mantenimento di opere stagionali e precarie dallo stesso rilasciata il 24/6/2016 (si tratta della autorizzazione n 104 del 2016), in ragione del carattere precario e amovibile delle opere, e, dall'altro, l'irrilevanza del parere favorevole al mantenimento annuale delle medesime opere dallo stesso reso il 19/10/2016, in quanto atto interno al procedimento volto al rilascio del permesso di costruire. Ora, a prescindere dalla intrinseca contraddittorieta' di tale prospettazione, perche' prima si afferma la non necessarieta' del permesso di costruire, in ragione della natura delle opere e del loro carattere precario, e poi si da' atto della richiesta di tale titolo e della espressione di parere favorevole al loro mantenimento, va osservato che correttamente entrambi i giudici di merito hanno escluso il carattere precario delle opere oggetto della contestazione e hanno rilevato la necessita' per la loro realizzazione del preventivo rilascio del permesso di costruire. Giova al riguardo ricordare che, per consolidata giurisprudenza di legittimita', per definire precario un immobile, tanto da non richiedere il rilascio di un titolo abilitativo, e' necessario ravvisare l'obiettiva e intrinseca destinazione a un uso temporaneo per specifiche esigenze contingenti, non rilevando che esso sia realizzato con materiali non abitualmente utilizzati per costruzioni stabili. (Sez. 3, n. 5821 del 15/01/2019, Dule, Rv. 275697, relativa a fattispecie in cui la Corte ha escluso la natura precaria di una platea in conglomerato cementizio avente una superfice di circa 100 metri quadrati, con tramezzature perimetrali in laterizio di metri 25 di lunghezza in quanto denotante una futura stabile destinazione; conf. Sez. 3, n. 38473 del 31/05/2019, Bossone, Rv. 277837; Sez. 3, n. 380 del 17/10/2019, dep. 2020, Lauro, Rv. 278277; Sez. 3, n. 36552 del 15/06/2022, Crugliano, Rv. 283590). Il Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 3, comma 1, lettera e), dispone, infatti, che costituiscono "interventi di nuova costruzione" - assoggettati al previo rilascio del permesso di costruire ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 10, comma 1, lettera a), - "quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti" e che, tra l'altro, "sono comunque da considerarsi tali...e.5) l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulotte, camper, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o delle tende e delle unita' abitative mobili con meccanismi di rotazione in funzione, e loro pertinenze e accessori, che siano collocate, anche in via continuativa, in strutture ricettive all'aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, che non posseggano alcun collegamento di natura permanente al terreno e presentino le caratteristiche dimensionali e tecnico-costruttive previste dalle normative regionali di settore ove esistenti" (la citata lettera e.5 e' stata cosi' sostituita dal Decreto Legge 16 luglio 2020, n. 76, articolo 10 recante Misure urgenti per la semplificazione e l'innovazione digitale, conv., con modiff., in L. 11 settembre 2020, n. 120). Al fine di ritenere sottratta al preventivo rilascio del permesso di costruire la realizzazione di un manufatto per la sua asserita natura precaria, la stessa non puo' quindi essere desunta dalla temporaneita' della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale dell'opera a un uso realmente precario e temporaneo per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente possibilita' di successiva e sollecita eliminazione, non risultando, peraltro, sufficiente la sua rimovibilita' o il mancato ancoraggio al suolo (Sez. 3, n. 966 del 26/11/2014, dep. 2015, Manfredini, Rv. 261636, relativa a fattispecie in cui la Corte ha ritenuto penalmente rilevante la realizzazione abusiva di una stalla costruita con pali in legno saldamente ancorati al suolo e copertura in lamiera per soddisfare esigenze permanenti e durature nel tempo; v. anche Sez. 3, n. 36552 del 15/06/2022, Crugliano, Rv. 283590, cit.). Cio', del resto, era gia' stato chiarito dalla Corte costituzionale, che in proposito ha osservato che "la normativa statale sancisce il principio per cui ogni trasformazione permanente del territorio necessita di titolo abilitativo e cio' anche ove si tratti di strutture mobili allorche' esse non abbiano carattere precario. Il discrimine tra necessita' o meno di titolo abilitativo e' data dal duplice elemento: precarieta' oggettiva dell'intervento, in base alle tipologie dei materiali utilizzati, e precarieta' funzionale, in quanto caratterizzata dalla temporaneita' dello stesso" (Corte Cost., sent. 23 giugno 2010, n. 278; Corte Cost., sent. 9 giugno 2014, n. 189). Nel caso in esame i giudici di merito hanno chiaramente e correttamente escluso il carattere, indispensabile per poter ritenere non necessario il permesso di costruire, della precarieta' strutturale delle opere, evidenziando come sia stata realizzata un'area pavimentata in cemento di 125 mq., edificato un gazebo in legno della superficie di 72 mq. (tra l'altro ricadente nel demanio marittimo), costruita una struttura destinata a chiosco - bar in metallo con infissi in alluminio della superficie di 48 mq., dotata di servizi igienici e impianto idrico e fognario. E' stato, in particolare (cfr. pag. 9 della sentenza di primo grado), evidenziato che l'opera realizzata da (OMISSIS), con il concorso del ricorrente (OMISSIS), possiede "le caratteristiche di un intervento edilizio tutt'altro che precario e facilmente amovibile, avente natura e peculiarita' di un'opera stabile e causativa di una modifica irreversibile della morfologia del territorio". Risultano, quindi chiaramente infondati i rilievi sollevati dal ricorrente a proposito della non necessarieta' del permesso di costruire, stante il carattere stabile e nient'affatto precario delle opere materialmente realizzate da (OMISSIS); altrettanto manifestamente infondati risultano i rilievi relativi alla estraneita' del ricorrente alla realizzazione di tali opere, cui certamente concorse, sia con l'autorizzazione del 24/6/2016 al mantenimento di tali opere, definite come precarie nonostante le opere inequivocabili caratteristiche strutturali; sia con il successivo parere favorevole del 19/10/2016, reso allo scopo di consentire il rilascio del permesso di costruire per poter mantenere dette opere, nonostante il parere contrario di compatibilita' paesaggistica. Ne consegue, in definitiva, la manifesta infondatezza anche dei rilievi sollevati con il secondo motivo di ricorso. 4. Il terzo motivo, mediante il quale sono state lamentate errate applicazioni di disposizioni di legge penale e vizi della motivazione, riguardo alla affermazione della configurabilita' del delitto di abuso d'ufficio, nella forma tentata ravvisata dalla Corte d'appello, e', anch'esso, manifestamente infondato. Quanto alla configurabilita' dell'elemento oggettivo di tale reato, di cui e' stata contestata la ricorrenza a causa della indebita e comunque errata individuazione delle specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge e che sarebbero state violate, erroneamente indicate dalla Corte d'appello nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articoli 12 e 13 va osservato che la giurisprudenza di legittimita' ha gia' affermato, con principio che il Collegio condivide e ribadisce, che il rilascio del titolo abilitativo edilizio avvenuto senza il rispetto del piano regolatore generale o degli altri strumenti urbanistici integra la violazione di specifiche regole di condotta previste dalla legge, cosi' come richiesto dalla nuova formulazione dell'articolo 323 c.p. ad opera del Decreto Legge 16 luglio 2020, n. 76, articolo 16 convertito nella L. 11 settembre 2020, n. 120, in quanto il Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, articolo 12, comma 1, prescrive espressamente che il permesso di costruire, per essere legittimo, deve conformarsi agli strumenti urbanistici e il successivo articolo 13 detta la specifica disciplina urbanistica che il direttore del settore e' tenuto ad osservare (cosi' Sez. 6, n. 31873 del 17/09/2020, Pieri, Rv. 279889), non essendovi margini di discrezionalita' riguardo al suo rilascio (come chiarito da Sez. 3, n. 26834 del 08/09/2020, Barletta, Rv. 280266; nel medesimo senso v. anche Sez. 6, n. 13148 del 08/03/2022, Calabro', Rv. 283111). Tali decisioni si fondano sul condivisibile principio secondo cui le regole stabilite dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articoli 12 e 13, tra cui l'obbligo di conformarsi agli strumenti urbanistici, non lasciano spazi di discrezionalita' alla pubblica amministrazione investita della richiesta di rilascio di un titolo abilitativo edilizio, cosicche' la fattispecie incriminatrice non puo' certo dirsi indeterminata quando si correli la violazione di regole di condotta previste dalla legge al mancato rispetto degli strumenti urbanistici, ne' la condotta tipica risulta imprevedibile o indeterminabile, derivando dette regole di condotta esclusivamente dalla esatta osservanza delle disposizioni del testo unico urbanistico e degli strumenti urbanistici che ne sono attuazione e specificazione, con la conseguente evidente infondatezza delle censure sollevate dal ricorrente a proposito della errata individuazione delle disposizioni di legge che sarebbero state violate dal ricorrente nella sua azione amministrativa, in particolare nell'adozione dei provvedimenti autorizzativi e consultivi resi a seguito delle richieste presentate da (OMISSIS). Quanto al vantaggio patrimoniale per quest'ultimo, lo stesso risultava talmente evidente da non richiedere analitica illustrazione, consistendo nella possibilita' di mantenere a tempo indeterminato, e non solo per il periodo estivo (per il quale sarebbe comunque stato necessario il permesso di costruire in ragione delle caratteristiche e della consistenza delle opere realizzare, come evidenziato a proposito del residuo reato di cui al capo A), le opere abusivamente realizzate dallo stesso (OMISSIS) e mantenute illecitamente per il periodo estivo in forza della indebita autorizzazione rilasciata dal ricorrente (OMISSIS) il 24/6/2016, derivando evidentemente da cio' un chiaro vantaggio patrimoniale, consistente nella possibilita' di mantenere le opere nella loro consistenza senza rimuoverle al termine della stagione estiva, con un palese risparmio di costi. L'elemento soggettivo, della intenzionalita' della condotta, e' stato, altrettanto correttamente, ricavato dalla palese illegittimita' del parere favorevole rilasciato dal ricorrente, in quanto lo stesso, anche se privo di immediata portata autorizzativa, si e' inserito in modo determinante nel procedimento amministrativo volto a ottenere il permesso di costruire richiesto dallo (OMISSIS), dando atto della possibilita' di rilascio di tale permesso sul piano urbanistico edilizio, nonostante i plurimi ostacoli al suo rilascio derivanti dalla presenza nell'area interessata dalla realizzazione delle opere di vincoli paesaggistici e idrogeologici e dalla occupazione di aree demaniali, ostacoli palesi in ragione delle caratteristiche delle opere e della loro collocazione, cosicche' il parere favorevole rilasciato dal ricorrente non poteva che essere volto, proprio alla luce dei plurimi impedimenti al rilascio del permesso di costruire (concretatisi nel il diniego della autorizzazione paesaggistica al mantenimento delle opere reso il 18/4/2016 dalla Unione dei Comuni di Terra di Leuca per il contrasto con le disposizioni del PPTR), a favorire indebitamente (OMISSIS). La configurabilita' del tentativo, in particolare l'univocita' degli atti, deriva, anch'essa, dalla inequivoca direzione della condotta del ricorrente, consistita nel rilascio del suddetto parere favorevole, a consentire a (OMISSIS) di ottenere, indebitamente (in quanto in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti, stante la prossimita' delle opere alla fascia costiera e in particolare a una zona di questa caratterizzata dalla presenza di dune di sabbia e soggetta a particolare protezione), il permesso di costruire. Il contenuto dell'atto amministrativo adottato dal ricorrente non lascia dubbi sulla sua esclusiva direzione alla realizzazione dell'evento, e cioe' all'indebito rilascio del permesso di costruire richiesto da (OMISSIS), in quanto la valutazione favorevole del dirigente dell'Ufficio tecnico comunale, di compatibilita' con gli strumenti urbanistici, ha avuto l'effetto di rimuovere un ostacolo al rilascio di tale permesso, pur essendo rimesse ad altri soggetti le ulteriori valutazioni relative alla assentibilita' dell'intervento edilizio, con la conseguente univocita' della condotta, indiscutibilmente volta alla realizzazione dell'evento contestato, costituito dal rilascio del titolo abilitativo richiesto dallo (OMISSIS). Deve, in definitiva, concludersi per la manifesta infondatezza dei rilievi sollevati dal ricorrente a proposito della configurabilita' del reato di cui al capo b), come riqualificato dalla Corte d'appello nella forma del tentativo di abuso d'ufficio. 5. Il quarto motivo, relativo al trattamento sanzionatorio, determinato senza applicare la massima riduzione possibile per il delitto tentato, essendo stata applicata la riduzione di meta' anziche' di due terzi al minimo edittale di un anno di reclusione previsto per il delitto di cui all'articolo 323 c.p., e' manifestamente infondato, essendo volto a censurare una valutazione di merito, ossia quella in ordine alla misura della pena detentiva, che e' stata giustificata adeguatamente dalla ampia illustrazione delle modalita' della condotta e dalla sottolineatura della sua gravita', per la pluralita' di interessi protetti pregiudicati dalla realizzazione delle opere abusive e l'estensione di queste ultime, tenendo conto del consolidato principio secondo cui non e' necessaria una specifica e dettagliata motivazione del giudice nel caso, come quello in esame, in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale (cfr. Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288, nella quale e' anche stato chiarito che tale media deve essere calcolata non dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato cosi' ottenuto al minimo; nel medesimo senso gia', in precedenza, Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243; Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283; Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, Taurasi, Rv. 256464). 6. Il quinto motivo, mediante il quale e' stata eccepita l'intervenuta estinzione per prescrizione del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44 di cui al capo a), commesso il 17/2/2017, per essere decorso il 26/4/2022 il relativo termine massimo, tenuto conto della sua interruzione per impedimento del difensore dell'imputato, ossia nel periodo intercorrente tra la lettura del dispositivo e il deposito della motivazione della sentenza impugnata, e' manifestamente infondato, in quanto ai fini del computo della prescrizione del reato deve essere preso in considerazione esclusivamente il momento della lettura del dispositivo della sentenza di condanna, che rende la decisione non piu' modificabile in relazione alla pretesa punitiva, e non quello successivo di deposito della motivazione, che contiene soltanto l'esposizione dei motivi in fatto e in diritto sui quali la decisione e' fondata (Cfr. Sez. 7, Ordinanza n. 38143 del 13/02/2014, Foggetti, Rv. 262615; Sez. 1, n. 20432 del 27/01/2015, Lione, Rv. 263365; Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Cammi, Rv. 277593). 7. Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, a causa della manifesta infondatezza di tutti i motivi ai quali e' stato affidato. L'inammissibilita' originaria del ricorso esclude, poi, il rilievo della eventuale prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza di secondo grado, giacche' detta inammissibilita' impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale di impugnazione innanzi al giudice di legittimita', e preclude l'apprezzamento di una eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266; conformi, Sez. un., 2/3/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164, e Sez. un., 28/2/2008, n. 19601, Niccoli, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del 20/11/2014, Rasizzi Scalora, Rv. 261616; nonche' Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 14/02/2017, Aiello, Rv. 268966). Alla declaratoria di inammissibilita' del ricorso consegue, ex articolo 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento, nonche' del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla cancelleria per la comunicazione del dispositivo ai sensi dell'articolo 154 ter disp. att. c.p.p. alla amministrazione comunale di (OMISSIS).

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ANDREAZZA Gastone - Presidente Dott. PAZIENZA Vittorio - Consigliere Dott. SEMERARO Luca - Consigliere Dott. REYNAUD Gianni Filippo - Consigliere Dott. CORBO Antonio - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: 1. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 2. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 01/03/2022 della Corte d'appello di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere Antonio Corbo; udito il Pubblico Ministero in persona dell'Avvocato generale (OMISSIS), che ha concluso per l'inammissibilita' dei ricorsi; udito, per il ricorrente (OMISSIS), l'avvocato (OMISSIS), che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa il 1 marzo 2022, la Corte d'appello di Roma, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Roma, per quanto di interesse in questa sede, ha: -) confermato nei confronti di (OMISSIS), la dichiarazione di non doversi procedere per estinzione per prescrizione del reato di cui alla L. n. 195 del 1974, articolo 7, commi 2 e 3, e L. n. 689 del 1981, articolo 4, comma 1, fino al 10 luglio 2009 (capo B); -) dichiarato nei confronti del medesimo (OMISSIS), di non doversi procedere per estinzione per prescrizione del reato di cui alla L. n. 195 del 1974, articolo 7, commi 2 e 3, e L. n. 689 del 1981, articolo 4, comma 1, per i fatti successivi al 10 luglio 2009 (ancora capo B), in riforma della sentenza di condanna in primo grado; -) confermato nei confronti di (OMISSIS), la dichiarazione di estinzione per prescrizione del reato di cui all'articolo 323 c.p. (capo G). Secondo quanto ricostruito dai giudici di merito: -) (OMISSIS), avrebbe commesso fatti sussumibili nella fattispecie di finanziamento illecito per aver percepito la somma di 800.000,00 Euro, versata in piu' rate, corrisposte tra il (OMISSIS), allorche' egli era membro del Parlamento in carica, mediante erogazioni formalmente effettuate in favore della " (OMISSIS) s.p.a.", di cui era l'effettivo dominus, sulla base di contratti simulati e privi di causa, con fondi provenienti dal patrimonio delle societa' " (OMISSIS) s.r.l.", " (OMISSIS) s.r.l.", " (OMISSIS) s.r.l." e " (OMISSIS) s.r.l.", in difetto di deliberazione dell'organo societario e di regolare iscrizione dei contributi nel bilancio delle societa' concedenti; -) (OMISSIS), avrebbe commesso fatti sussumibili nella fattispecie di abuso d'ufficio per avere, nella qualita' di presidente della Giunta regionale della Sardegna, concorso a deliberare la nomina di (OMISSIS), alla carica di direttore generale dell'ARPA Sardegna, senza alcuna effettiva valutazione di merito comparativa, in violazione, in particolare, dell'articolo 10 della legge reg. Sardegna n. 6 del 2006, prevedente, per tale nomina, l'adozione di una procedura ad evidenza pubblica. 2. Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe (OMISSIS), con atto a firma degli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), e (OMISSIS), con atto a firma dell'avvocato - (OMISSIS). 3. Il ricorso di (OMISSIS) e' articolato in due motivi. 3.1. Con il primo motivo, si denuncia erronea applicazione della legge penale, in riferimento alla L. n. 195 del 1974, articolo 7, e L. n. 659 del 1981, articolo 4, a norma dell'articolo 606, comma 1, lettera b), c.p.p., avuto riguardo alla mancata assoluzione dell'imputato perche' il fatto non e' previsto dalla legge come reato. Si deduce, in primo luogo, che la Corte di appello ha applicato illegittimamente la disposizione di cui alla L. n. 195 del 1974, articolo 7, in quanto, per la configurabilita' di tale reato, i finanziamenti debbono essere devoluti a partiti politici o a loro articolazioni politico-organizzative, mentre la " (OMISSIS) s.p.a.", soggetto beneficiario dei contributi, non e' assimilabile ad un'organizzazione politica, e pertanto l'eventuale estensione della portata applicativa di tale previsione incriminatrice darebbe vita ad un'analogia in malam partem, vietata nell'ordinamento penalistico. Si rileva, inoltre, che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto il finanziamento effettuato a favore della " (OMISSIS) s.p.a." produttivo di un ingiusto vantaggio patrimoniale per il ricorrente, nella sua qualita' di socio e dominus dell'impresa, in quanto il medesimo, dalla sua partecipazione alla indicata societa', ha ricavato solo debiti che lo hanno costretto a rilasciare la sua fideiussione per compensare le perdite societarie. Si deduce, in secondo luogo, che la Corte di appello ha fatto un'applicazione errata anche della norma di cui alla L. n. 659 del 1981, articolo 4, il cui comma 6, letto in combinato disposto con dalla L. n. 689 del 1981, articolo 32, rende evidente che il contributo erogato al singolo parlamentare non integra un fatto previsto dalla legge come reato, ma solo un illecito amministrativo. Si osserva, inoltre, che, secondo la stessa sentenza impugnata, il ricorrente avrebbe beneficiato della somma ricevuta in qualita' di socio e dominus della " (OMISSIS) s.p.a.", non, quindi, quale membro della Camera dei deputati. 3.2. Con il secondo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), avuto riguardo alla omessa motivazione circa la consapevolezza, da parte dell'attuale ricorrente, della provenienza del contributo da societa' e del difetto delle necessarie deliberazioni degli organi sociali di queste ultime. Si deduce che la sentenza impugnata in motivazione si e' concentrata esclusivamente sulla destinazione del contributo economico contestato, omettendo di confrontarsi con le censure formulate con l'atto di appello, le quali rilevavano l'assenza di prova circa la conoscenza da parte del ricorrente delle modalita' con cui il denaro sarebbe stato procurato alla " (OMISSIS) s.p.a.". Si aggiunge che la sentenza impugnata ha anche omesso di motivare in merito al motivo di gravame evidenziante il difetto di conoscenza, da parte dei titolari delle societa' le quali avevano erogato le somme pervenute alla " (OMISSIS) s.p.a.", sulla destinazione delle stesse in favore di (OMISSIS) o di enti a questo collegati. Si richiamano, in particolare, le deposizioni di due testimoni a dibattimento, dalle quali si evince che i titolari delle societa' da cui provenivano le somme ritenute costituire l'oggetto del finanziamento illecito, avevano erogato in favore di (OMISSIS), 7.250.000,00 Euro nella convinzione che tale somma fosse destinata ad un progetto eolico da sviluppare in Sardegna, senza immaginare che una parte di quel denaro sarebbe stata destinata alla " (OMISSIS) s.p.a.". 4. Il ricorso di (OMISSIS), e' articolato in tre motivi. 4.1. Con il primo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), avuto riguardo alla affermazione di sussistenza del fatto ascritto all'attuale ricorrente. Si deduce che illegittimamente la Corte di appello ha omesso di rispondere al motivo di gravame con cui erano stati evidenziati la mancata violazione da parte dell'imputato dell'articolo 10 legge Regione Sardegna n. 6 del 2006, nonche' il rigoroso rispetto della disciplina normativa che regolava il procedimento di nomina del direttore generale dell'ARPA Sardegna. Si segnala che questo procedimento, come gia' rappresentato con l'atto di appello, era costituito da: -) una prima fase, ad evidenza pubblica, gestita da una commissione composta da dirigenti e funzionari pubblici con il compito di esaminare i titoli dei candidati al fine di formare un elenco di soggetti in possesso dei requisiti per essere scelti dalla Giunta regionale per lo specifico incarico di direttore generale; -) una seconda fase nella quale la Giunta Regionale procedeva alla "scelta" del soggetto ritenuto piu' idoneo tra i candidati inseriti nell'elenco. Si sottolinea che il vocabolo "scelto", impiegato dall'articolo 10, comma 2, legge reg. Sardegna n. 6 del 2006 esclude il dovere di individuare il nominando sulla base di "criteri oggettivi"; l'unico vincolo attiene alla necessita' di selezionare il nominando tra le persone incluse nell'elenco formato dalla commissione tecnica. Si precisa che la persona "scelta", l'ingegnere (OMISSIS), era in possesso di tutti i requisiti richiesti dalla legge, avendo anche ricoperto l'incarico di direttore dell'ARPA in sede provinciale, e che avverso la nomina non e' stata proposta alcuna impugnazione. Si aggiunge che una conferma della natura fiduciaria della scelta relativa al direttore generale dell'ARPA Sardegna e' inferibile dalla previsione della conferma o revoca della persona preposta a tale incarico entro i tre mesi successivi all'insediamento di una nuova Giunta Regionale, a norma del combinato disposto dell'articolo 10, comma 8, legge reg. Sardegna n. 6 del 2006 e 28, comma 9, legge reg. Sardegna n. 31 del 1998. 4.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in relazione agli articoli 323 c.p. e 192 c.p.p., nonche' vizio di motivazione, a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), avendo riguardo alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato di abuso di ufficio. Si deduce che difettano sia la prova concernente l'elemento dell'ingiustizia dell'evento o del vantaggio, sia la prova del dolo intenzionale. In particolare, si osserva che l'ingiustizia del vantaggio del reato di abuso d'ufficio non si identifica nell'ingiustizia della condotta (si citano Sez. 6, n. 10133 del 17/02/2015, Scassellati, Rv. 262800-01, e Sez. 6, n. 17676 del 18/03/2016, Florio, Rv. 267171-01), e che, nella specie, la persona nominata, l'ingegner (OMISSIS), era persona altamente qualificata. 4.3. Con il terzo motivo, si denuncia vizio di violazione di legge, in relazione all' articolo 2, comma 2, e articolo 323 c.p., a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), avendo riguardo al mancato rispetto della disciplina in tema di successione nel tempo di leggi penali. Si deduce che, a seguito della modifica introdotta dall'articolo 23 Decreto Legge 16 luglio 2020, n. 76, e' stato ristretto l'ambito applicativo dell'articolo 323 c.p., determinando una parziale abolitio criminis in relazione alle condotte commesse prima dell'entrata in vigore della riforma, realizzate mediante violazione di norme regolamentari o di norme di legge generali e astratte, dalle quali non siano ricavabili regole di condotta specifiche ed espresse o che lascino residuare margini di discrezionalita' (si cita Sez. 6, n. 442 del 09/12/2020, dep. 2021, Garau, Rv. 280296-01). Si rileva che la norma della legge regionale che si assume violata e' stata frutto di numerose interpretazioni, anche da parte della stessa Corte di appello di Roma, ed e' pertanto da considerare fonte di una disciplina su cui residuano margini di discrezionalita'. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi sono nel complesso infondati per le ragioni di seguito precisate. 2. Il ricorso di (OMISSIS) e' infondato con riferimento alle censure formulate nel primo motivo ed inammissibile relativamente alle censure esposte nel secondo motivo. 3. Complessivamente infondate sono le censure enunciate nel primo motivo del ricorso di (OMISSIS), le quali contestano la configurabilita' del reato di ricezione di finanziamenti illeciti, deducendo che la L. 2 maggio 1974, n. 195, articolo 7, sanziona penalmente solo le erogazioni devolute a partiti politici o a loro articolazioni politico-organizzative, mentre della L. 18 novembre 1981, n. 659, articolo 4, relativo alle erogazioni alle persone fisiche, tipizza un mero illecito amministrativo, e che inoltre, il ricorrente, in concreto, non ha ricevuto vantaggi dal versamento, o comunque li ha ricevuti come dominus di una societa' privata. 4. Il primo ordine dei rilievi formulati nel primo motivo del ricorso di (OMISSIS), in sostanza, si fonda sull'assunto secondo cui le erogazioni dei soggetti di cui alla L. n. 195 del 1974, articolo 7, tra cui, come nella specie, le societa' private, in favore delle persone fisiche indicate della legge n. 659 del 1981, articolo 4, comma 1, costituiscono mero illecito amministrativo, perche' vietate dal solo articolo 4 della L. n. 659 del 1981, depenalizzato a norma della L. 24 novembre 1981, n. 689, articolo 32. 4.1. Puo' essere utile, per maggiore chiarezza, riportare i dati normativi. La L. n. 195 del 1974, articolo 7, nel testo vigente, dispone: "Sono vietati i finanziamenti o i contributi, sotto qualsiasi forma e in qualsiasi modo erogati, da parte di organi della pubblica amministrazione, di enti pubblici, di societa' con partecipazione di capitale pubblico superiore al 20 per cento o di societa' controllate da queste ultime, ferma restando la loro natura privatistica, a favore di partiti o loro articolazioni politico-organizzative e di gruppi parlamentari. Sono vietati altresi' i finanziamenti o i contributi sotto qualsiasi forma, diretta o indiretta, da parte di societa' non comprese tra quelle previste nel comma precedente in favore di partiti o loro articolazioni politico-organizzative o gruppi parlamentari, salvo che tali finanziamenti o contributi siano stati deliberati dallo organo sociale competente e regolarmente iscritti in bilancio e sempre che non siano comunque vietati dalla legge. Chiunque corrisponde o riceve contributi in violazione dei divieti previsti nei commi precedenti, ovvero, trattandosi delle societa' di cui al comma 2, senza che sia intervenuta la deliberazione dell'organo societario o senza che il contributo o il finanziamento siano stati regolarmente iscritti nel bilancio della societa' stessa, e' punito, per cio' solo, con la reclusione da 6 mesi a 4 anni e con la multa fino al triplo delle somme versate in violazione della presente legge". La L. n. 659 del 1981, articolo 4, nel testo vigente, statuisce: "I divieti previsti dalla L. 2 maggio 1974, n. 195, articolo 7, sono estesi ai finanziamenti ed ai contributi in qualsiasi forma o modo erogati, anche indirettamente, ai membri del Parlamento nazionale, ai membri italiani del Parlamento Europeo, ai consiglieri regionali, provinciali e comunali, ai candidati alle predette cariche, ai raggruppamenti interni dei partiti politici nonche' a coloro che rivestono cariche di presidenza, di segreteria e di direzione politica e amministrativa a livello regionale, provinciale e comunale nei partiti politici. Nel caso di contributi erogati a favore di partiti o loro articolazioni politico-organizzative e di gruppi parlamentari in violazione, accertata con sentenza passata in giudicato, dei divieti previsti dall'articolo 7 della L. 2 maggio 1974, n. 195, l'importo del contributo statale di cui all'articolo 3 della stessa legge e' decurtato in misura pari al doppio delle somme illegittimamente percepite. Nel caso di erogazione di finanziamenti o contributi ai soggetti indicati nella L. 2 maggio 1974, n. 195, articolo 7, e nel comma 1 del presente articolo, per un importo che nell'anno superi i cinque milioni di lire, sotto qualsiasi forma, compresa la messa a disposizione di servizi, il soggetto che li eroga ed il soggetto che li riceve sono tenuti a farne dichiarazione congiunta, sottoscrivendo un unico documento, depositato presso la Presidenza della Camera dei deputati ovvero a questa indirizzato con raccomandata con avviso di ricevimento. La disposizione non si applica per tutti i finanziamenti direttamente concessi da istituti di credito o da aziende bancarie, alle condizioni fissate dagli accordi interbancari. Nell'ipotesi di contributi o finanziamenti di provenienza estera l'obbligo della dichiarazione e' posto a carico del solo soggetto che li percepisce. L'obbligo di cui al terzo e comma 4 deve essere adempiuto entro tre mesi dalla percezione del contributo o finanziamento. Nel caso di contributi o finanziamenti erogati dallo stesso soggetto, che soltanto nella loro somma annuale superino l'ammontare predetto, l'obbligo deve essere adempiuto entro il mese di marzo dell'anno successivo. Chiunque non adempie gli obblighi di cui al terzo, quarto e comma 5 ovvero dichiara somme o valori inferiori al vero e' punito con la multa da due a sei volte l'ammontare non dichiarato e con la pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici prevista dall'articolo 28 c.p., comma 3. 4.2. Nell'esaminare il significato e i rapporti tra le due disposizioni, la giurisprudenza, gia' da lungo tempo, ha chiarito che la sanzione amministrativa prevista dalla L. n. 659 del 1981, articolo 4, comma 6, in relazione alla L. 24 novembre 1981, n. 689, articolo 32, comma 1, la quale punisce l'inadempimento dell'obbligo, da parte del soggetto che eroga il finanziamento e del soggetto che li riceve, di farne dichiarazione congiunta, sottoscrivendo un unico documento, depositato presso la Presidenza della Camera dei deputati ovvero a questa indirizzata con raccomandata con avviso di ricevimento, non vale a rendere inoperante il disposto dalla L. n. 195 del 1974, articolo 7, comma 3. A fondamento di questa conclusione, si e' segnalato che, mentre della L. n. 659 del 1981, articolo 4, comma 6, si riferisce esclusivamente a contributi erogati dalle societa' di cui alla L. n. 195 del 1974, articolo 7, comma 2, (oltre che da altre figure soggettive) regolarmente deliberati ed iscritti in bilancio e in cui manchi soltanto la dichiarazione congiunta (in caso contrario, la previsione normativa farebbe carico all'erogante ed al percipiente di un obbligo di denuncia di un fatto costituente reato), la norma della Legge del 1974 riguarda proprio la violazione di quei precetti posti a tutela della trasparenza e che giustifica un regime esclusivo per le societa', rispetto alle quali soltanto hanno motivo di porsi sia la delibera assembleare sia l'iscrizione in bilancio (cosi', segnatamente, Sez. 6, n. 12729 del 17/10/1994, Armanini, Rv. 199994-01, nonche' Sez. 6, n. 9354 del 19/09/1997, Paolucci, Rv. 210302-01, ma anche, in motivazione, Sez. 5, n. 10041 del 13/06/1998, Altissimo, massimata per altro, nonche', di recente, Sez. 5, 25251 del 12/02/2021, Corona, non massimata). E la configurabilita' del reato di cui al combinato disposto della L. n. 195 del 1974, articolo 7 e della L. n. 659 del 1981, articolo 4, con riferimento ai finanziamenti o contributi erogati alle persone fisiche indicate dalla L. n. 659 del 1981, articolo 4, comma 1, da parte degli enti e societa' di cui alla L. n. 195 del 1974, articolo 7, commi 1 e 2, non risulta essere mai stata messa in discussione dalla successiva giurisprudenza fino alle pronunce piu' recenti. Si pensi, ad esempio, alle decisioni riguardanti somme versate al candidato alla carica di sindaco di un Comune (Sez. 6, n. 16781 del 21/10/2021), ovvero al membro del Parlamento e segretario di un partito politico (Sez. 6, n. 37624 del 14/06/2019, Naro, Rv. 277199-01), ovvero al consigliere provinciale candidato al Parlamento nazionale (Sez. 3, n. 38009 del 11/06/2013, Vindimian, Rv. 256854-01). 4.3. Gli approdi della giurisprudenza in argomento risultano, ad avviso del Collegio, condivisibili. 4.3.1. Innanzitutto, non sembra configurabile un rapporto di specialita' tra le due fattispecie, quella di cui al combinato disposto della L. n. 195 del 1974 articolo 7 e della L. n. 659 del 1981, articolo 4, comma 1, e quella di cui alla L. n. 659 del 1981, articolo 4, comma 6, perche' i fatti da esse previsti appaiono diversi nella loro conformazione strutturale. In effetti, come ripetutamente osservato in giurisprudenza, il criterio di specialita' ex articolo 15, c.p., richiede che, ai fini della individuazione della disposizione prevalente, il presupposto della convergenza di norme puo' ritenersi integrato solo in presenza di un rapporto di continenza tra le norme stesse, alla cui verifica deve procedersi mediante il confronto strutturale tra le fattispecie astratte configurate e la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definirle (cfr., per tutte, Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248864-01, nonche', di recente, Sez. 3, n. 3241 del 11/10/2022, dep. 2023, C., in corso di massimazione, la quale ha precisato che sussiste relazione di continenza tra due norme solo nel caso in cui sia possibile sostenere, a seguito del raffronto tra norme stesse, che per realizzare la fattispecie astratta prevista da una delle due previsioni evocate dal fatto sia sempre necessario passare per la realizzazione della fattispecie prevista dall'altra, l'una contenendo l'altra, con in piu' un elemento specializzante). Ora, il fatto contemplato dal combinato disposto della L. n. 659 del 1981, articolo 4, comma 1, e della L. n. 195 del 1974, articolo 7, ha ad oggetto i finanziamenti erogati da organi della pubblica amministrazione, da enti pubblici, da societa' con partecipazione di capitale pubblico superiore al 20 per cento o di societa' controllate da queste ultime, ovvero da societa' diverse da quelle appena indicate le quali non ne abbiano deliberato la corresponsione con delibera dell'organo sociale competente o non li abbiano regolarmente iscritti in bilancio, sia a partiti politici, loro organizzazioni politico-organizzative e gruppi parlamentari, sia, "anche indirettamente, ai membri del Parlamento nazionale, ai membri italiani del Parlamento Europeo, ai consiglieri regionali, provinciali e comunali, ai candidati alle predette cariche, ai raggruppamenti interni dei partiti politici nonche' a coloro che rivestono cariche di presidenza, di segreteria e di direzione politica e amministrativa a livello regionale, provinciale e comunale nei partiti politici". Il fatto contemplato dalla L. n. 659 del 1981, articolo 4, comma 6, invece, ha ad oggetto la violazione degli obblighi concernenti la presentazione di una dichiarazione congiunta del soggetto erogante e del soggetto ricevente da depositare o indirizzare alla Presidenza della Camera dei deputati, da adempiere "entro tre mesi dalla percezione del contributo o finanziamento", e in relazione a qualunque erogazione, "per un importo che nell'anno superi i cinque milioni di lire", da chiunque effettuata, anche se proveniente da una persona fisica o da una societa' la quale la abbia regolarmente deliberata e ne abbia dato conto in bilancio. 4.3.2. Sotto altro profilo, poi, viene in rilievo un ulteriore argomento di natura sistematica. Invero, come gia' osservato dalla giurisprudenza, l'obbligo di dichiarazione congiunta a carico del soggetto erogante e del soggetto ricevente i finanziamenti alla Presidenza della Camera puo' riguardare solo contributi diversi da quelli previsti della L. n. 195 del 1974, articolo 7, perche', in caso contrario, si risolverebbe in un dovere di auto-denuncia. 4.3.3. Puo' quindi concludersi, per quanto di specifico interesse in questa sede, che le condotte di erogazione e di ricezione di finanziamenti e contributi in qualsiasi forma o modo corrisposti da societa' senza partecipazione di capitale pubblico superiore al 20 per cento o non controllate da queste ultime, "anche indirettamente, ai membri del Parlamento nazionale, ai membri italiani del Parlamento Europeo, ai consiglieri regionali, provinciali e comunali, ai candidati alle predette cariche, ai raggruppamenti interni dei partiti politici nonche' a coloro che rivestono cariche di presidenza, di segreteria e di direzione politica e amministrativa a livello regionale, provinciale e comunale nei partiti politici", costituiscono reato punito con le sanzioni previste dalla L. n. 195 del 1974, articolo 7, comma 3, quando gli indicati finanziamenti o contributi non sono stati deliberati dall'organo sociale competente o non sono stati regolarmente iscritti in bilancio. 5. Posto che le erogazioni dei soggetti di cui alla L. n. 195 del 1974, articolo 7, effettuate, "anche indirettamente", ai membri del Parlamento nazionale costituiscono illecito penale, pure il secondo ordine di rilievi formulati nel primo motivo del ricorso di Densi (OMISSIS), concernente l'omessa ricezione di vantaggi da parte del ricorrente, o comunque la loro ricezione nella qualita' di dominus di una societa' privata, e non di membro del Parlamento, risulta infondato. 5.1. La sentenza impugnata osserva che, pur volendo riconoscere che la somma di denaro erogata da societa' private sia rimasta nella disponibilita' delle casse sociali della " (OMISSIS) s.p.a.", questa somma ha comunque aumentato il patrimonio sociale di tale impresa e ha determinato un vantaggio patrimoniale anche in favore di (OMISSIS), in quanto socio di maggioranza e dominus della precisata societa', oltre che fideiussore personale per la stessa. Per completezza, la vicenda, come descritta dalla Corte d'appello, e' la seguente: -) con contratto preliminare stipulato in data 8 settembre 2004, (OMISSIS) ed altro soggetto si erano impegnati a cedere alla " (OMISSIS) s.p.a." la loro quota in "NTE s.r.l.", pari al 20 % del capitale di questa seconda impresa, oltre ad altre quote che si impegnavano ad acquistare da altri soci, e ricevevano in cambio dalla " (OMISSIS) s.p.a." la somma pattuita di 800.000,00 Euro; -) successivamente, e per cinque anni, (OMISSIS) e l'altro promittente venditore non avevano ottemperato all'obbligo di cedere le quote, ma mai nessuna azione era stata intrapresa dalla " (OMISSIS) s.p.a." per ottenere l'adempimento o la restituzione delle somme versate; -) in data 5 giugno 2009, la " (OMISSIS) s.p.a." aveva stipulato una scrittura privata con cui cedeva ad altri soggetti la propria posizione contrattuale relativa al contratto preliminare dell'otto settembre 2004, e in esecuzione di tale contratto del 5 giugno 2009, aveva ricevuto la somma di Euro 800.000,00 in piu' rate con versamenti effettuati su un conto corrente della " (OMISSIS) s.p.a." acceso presso il (OMISSIS) di cui era presidente e dominus (OMISSIS); -) la somma di Euro 800.000,00 pervenuta alla " (OMISSIS) s.p.a." in esecuzione del contratto del 5 giugno 2009 proveniva, per il tramite di (OMISSIS), dalle societa' " (OMISSIS) s.r.l.", " (OMISSIS) s.r.l.", " (OMISSIS) s.r.l." e " (OMISSIS) s.r.l.", in difetto di deliberazione dell'organo societario e di regolare iscrizione dei contributi nel bilancio delle societa' concedenti. 5.2. L'affermazione della Corte d'appello, secondo cui l'erogazione di finanziamenti per l'importo di 800.000,00 Euro alla " (OMISSIS) s.p.a.", cosi' da aumentarne il patrimonio sociale, ha determinato un vantaggio patrimoniale anche in favore di (OMISSIS), in quanto socio di maggioranza e dominus della societa', oltre che fideiussore personale per la stessa, integra gli estremi della fattispecie di cui al combinato disposto della articolo 4, comma 1, L. n. 659 del 1981 e dell'articolo 7 L. n. 195 del 1974, e' corretta. Secondo quanto precisato dalla L. n. 659 del 1981articolo 4, comma 1, la fattispecie di reato prevista dal combinato disposto tra essa e l'articolo 7 cit. riguarda i finanziamenti e i contributi "in qualsiasi forma o modo erogati, anche indirettamente, ai membri del Parlamento nazionale (...)". E l'indicazione secondo cui il versamento dell'importo di 800.000,00 Euro alla " (OMISSIS) s.p.a." deve ritenersi diretta anche a favore di (OMISSIS), in quanto socio di maggioranza e dominus della societa', oltre che fideiussore personale per la stessa, equivale esattamente ad affermare che l'operazione costituisce erogazione di contributi "in qualsiasi forma o modo erogati, anche indirettamente," ad un membro del Parlamento nazionale. Ne' tale valutazione e' contestabile in questa sede sotto il profilo della ricostruzione del fatto, anche laddove si afferma che il versamento delle somme indicate ha costituito una erogazione anche in favore di (OMISSIS), in quanto il reato e' ormai estinto per prescrizione, come gia' dichiarato in parte dal Tribunale, e per la parte residua dalla Corte d'appello, e non essendo pendenti questioni concernenti l'azione civile o la confisca. Invero, secondo un principio ampiamente consolidato in giurisprudenza, ed enunciato anche dalle Sezioni Unite, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimita' vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (cfr. Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275-01). 5.3. Ancora, non e' risolutivo il rilievo secondo cui l'attuale ricorrente avrebbe beneficiato dell'erogazione non quale membro del Parlamento, ma quale socio e dominus della " (OMISSIS) s.p.a.". In proposito, infatti, risulta dirimente osservare che la fattispecie di cui al combinato disposto della L. n. 659 del 1981, articolo 4, comma 1, e della L. n. 195 del 1974, articolo 7, non attribuisce rilievo alle ragioni per le quali vengono erogate le somme, ma alla sola qualita' soggettiva del ricevente, senza prevedere alcuna connessione funzionale tra la dazione e tale qualita'. L'articolo 4, primo comma, cit., infatti, precisa, con formula estremamente ampia, che il divieto concerne i finanziamenti e i contributi "in qualsiasi forma o modo erogati, anche indirettamente, ai membri del Parlamento nazionale (...)". Questa soluzione ermeneutica, inoltre, appare pienamente coerente con l'interesse tutelato dalla fattispecie. In particolare, relativamente all'ipotesi di erogazioni non deliberate dall'organo sociale competente o non regolarmente iscritte in bilancio, come nel caso di specie, si e' piu' volte rilevato in giurisprudenza che, "(c)on la fattispecie di finanziamento societario occulto, il legislatore ha (...) inteso tutelare la trasparenza delle fonti di finanziamento dei partiti politici a garanzia di un corretto esercizio del potere sovrano di concorrere a determinare la politica nazionale; la ratio della fattispecie e', dunque, ravvisabile nell'interesse dei cittadini a conoscere i reali rapporti tra i detentori del potere economico e i partiti o i singoli membri del Parlamento" (cfr., tra le tante, Sez. 6, n. 11835 del 08/02/2022, Carrai, massimata per altro, e Sez. 2, n. 14791 del 21/03/2000, Martelli, Rv. 224139-01). Ora, se il divieto penalmente sanzionato e' diretto a tutelare l'interesse dei cittadini a conoscere i reali rapporti tra i detentori del potere economico e anche i singoli membri del Parlamento, l'esigenza in questione risulta immutata indipendentemente dalla causale dell'erogazione: cio' che conta e' che la dazione e' stata occultata, e che, quindi, non e' stata resa conoscibile l'esistenza del rapporto economico tra il singolo membro del Parlamento e colui che gli corrisponde i finanziamenti o i contributi. 6. Le censure enunciate nel secondo motivo del ricorso di (OMISSIS) contestano l'omesso esame delle censure formulate nell'atto di appello con riguardo al difetto di prova in ordine alla consapevolezza sia dell'attuale ricorrente circa la provenienza del denaro da societa' private le quali avevano effettuato le erogazioni in violazione degli obblighi previsti dal combinato disposto della L. n. 659 del 1981, articolo 4, comma 1, e della L. n. 195 del 1974, articolo 7 sia dei titolari delle societa' di erogare contributi ad un membro del Parlamento nazionale. Secondo quanto espressamente puntualizzato dalla Corte d'appello, "non puo' ritenersi provata la mancanza della consapevolezza in capo all'imputato (OMISSIS), della provenienza del denaro secondo i meccanismi sopra descritti, atteso che dalle risultanze istruttorie acquisite e' emerso che il (OMISSIS) avesse sempre comunicato con i suoi interlocutori e fosse sempre stato tenuto al corrente dei passaggi formali e delle operazioni compiute". La ricostruzione fattuale appena indicata non puo' essere censurata in questa sede, attesa l'intervenuta estinzione del reato per cui si procede per prescrizione, Invero, come gia' osservato in precedenza, al § 5.2, secondo un principio ampiamente consolidato in giurisprudenza, ed enunciato anche dalle Sezioni Unite, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimita' vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (cfr. Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275-01). Deve inoltre aggiungersi che, ai fini della configurabilita' della fattispecie contestata nei confronti del "ricevente", e' irrilevante accertare la consapevolezza dei titolari delle societa' di erogare contributi ad un membro del Parlamento nazionale, perche', come piu' volte ribadito dalla giurisprudenza, la struttura del reato di cui alla L. n. 195 del 1974, articolo 7, non richiede la concorrente consapevolezza dell'erogatore e del percettore dell'illiceita' del finanziamento, attese all'autonomia della responsabilita' dei soggetti (cfr., in proposito: Sez. 6, n. 41768 del 22/06/2017, Fitto, Rv. 271282-01; Sez. 3, n. 2378 del 21/06/1996, Vizzini, Rv. 205805-01; Sez. 3, n. 5611 del 17/04/1996, Albanese, Rv. 20547201; Sez. 6, n. 5531 del 27/03/1996, Spisani, Rv. 205011-01; Sez. 6, n. 12729 del 17/10/1994, Armanini, Rv. 199995-01). 7. Il ricorso di (OMISSIS), e' infondato con riferimento alle censure formulate in tutti e tre i motivi del ricorso. 8. Infondate sono le censure enunciate nel primo e nel terzo motivo del ricorso di (OMISSIS), da esaminare congiuntamente, perche' tra loro strettamente connesse, le quali contestano la configurabilita' del reato di abuso di ufficio, anche in applicazione della nuova disciplina della fattispecie di cui al articolo 323 c.p., recata dal Decreto Legge 16 luglio 2020, n. 76, articolo 23, deducendo che la condotta, costituita dall'adozione dell'atto di nomina del direttore generale dell'ARPA Sardegna, non integra una violazione di legge puntuale, o comunque e' stata espressione di esercizio di discrezionalita' amministrativa, in quanto si trattava di una scelta rimessa ad una insindacabile valutazione della Giunta regionale, in ragione di quanto previsto, in particolare, dagli articoli 10 legge reg. Sardegna n. 6 del 2000, e 28 legge reg. Sardegna n. 31 del 1998. 8.1. Occorre premettere che, come osserva il ricorrente, le censure relative alla configurabilita' di una fattispecie sussumibile nel tipo previsto dall'articolo 323 c.p. debbono essere valutate alla luce della formulazione della disposizione appena indicata come risultante per effetto della riforma recata dall'articolo 23 Decreto Legge 16 luglio 2020, n. 76. Invero, la nuova disciplina e' sicuramente piu' favorevole all'imputato, perche' fissa in termini piu' specifici e "ristretti" la condotta penalmente rilevante, ed e' quindi applicabile a norma dell'articolo 2 c.p., comma 4. Infatti, mentre la precedente formulazione dell'articolo 323 c.p. sanzionava il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che agiva "in violazione di norme di legge o di regolamento", o di doveri di astensione, il 13 nuovo testo punisce il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che agisce "in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalita'", o di doveri di astensione. E in questo senso e' orientata in modo ormai consolidato la giurisprudenza di legittimita'. Costituisce infatti principio ripetutamente ribadito quello secondo cui, in tema di abuso di ufficio, la modifica introdotta con il Decreto Legge 16 luglio 2020, n. 76, articolo 23, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 settembre 2020, n. 120, ha ristretto l'ambito applicativo dell'articolo 323 c.p., determinando l'abolitio criminis delle condotte, antecedenti all'entrata in vigore della riforma, realizzate mediante violazione di norme generali e astratte dalle quali non siano ricavabili regole di comportamento specifiche ed espresse, o che comunque lascino residuare margini di discrezionalita', sicche' deve escludersi che integri il reato la sola violazione dei principi di imparzialita' e buon andamento di cui all'articolo 97, comma 3, Cost. (cosi', tra le tante, Sez. 6, n. 28402 del 10/06/2022, Bobbio, Rv. 283359-01, e Sez. 6, n. 23794 del 07/04/2022, Graziani, Rv. 283285-01). 8.2. Cio' posto, deve valutarsi se l'adozione dell'atto di nomina del direttore generale dell'ARPA Sardegna, in difetto di qualunque valutazione comparativa tra i titoli dei vari aspiranti, e percio' in ritenuta violazione della legge reg. Sardegna n. 6 del 2006, articolo 10, comma 2, sia qualificabile come atto compiuto "in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalita'". 8.2.1. Innanzitutto, deve premettersi che il significato del sintagma "violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalita'" e' riferibile anche alle leggi regionali. Invero, le leggi regionali sono atti aventi forza di legge, come emerge anche da numerose disposizioni della Costituzione. In particolare, l'articolo 117 Cost., al comma 1, prevede esplicitamente che le Regioni esercitano anch'esse, come lo Stato, la potesta' legislativa, statuendo: "La potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonche' dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali". Inoltre, le leggi delle Regioni, esattamente come quelle dello Stato, sono sottoposte al sindacato di legittimita' costituzionale della Corte costituzionale, secondo quanto si evince testualmente dall'articolo 134 Cost. 8.2.2. Occorre, in secondo luogo, esaminare il tema, specificamente posto nel ricorso, se la locuzione "violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalita'" escluda dall'area della rilevanza penale, gia' sotto il profilo oggettivo, anche le determinazioni dei pubblici agenti in ordine all'interpretazione del dato normativo. Secondo una decisione di legittimita', le cui conclusioni sono condivise dal Collegio, l'interpretazione di una locuzione normativa, quando attiene all'individuazione dei presupposti per l'esercizio di un potere discrezionale, e non invece all'esercizio in concreto di tale potere, esula dall'area della discrezionalita' amministrativa, con la conseguenza che, quando il potere amministrativo deve ritenersi esercitato in difetto dei presupposti di legge, e' configurabile il reato di abuso d'ufficio anche nella formulazione vigente a seguito della modifica recata dal Decreto Legge n. 76 del 2000 (cosi' Sez. F., n. 42640 del 17/08/2021, Amato, Rv. 282268-01). A fondamento di questo principio, si e' osservato, in particolare che, "la discrezionalita' inerisce all'an, al quid, al quomodo e non e' riferibile alla statica sussistenza dei presupposti per l'esercizio di un potere legalmente dato, sui quali fondare poi la relativa valutazione: non puo' invocarsi l'esercizio di un potere discrezionale di cui in radice non sussistano i presupposti, dovendosi in casi siffatti parlare piuttosto di violazione di una specifica regola di esclusione, cioe' di una regola iuris, avente ad oggetto il divieto dell'esercizio del potere, quand'anche connotato da un contenuto discrezionale". Si e' poi precisato: "In definitiva puo' ritenersi che l'attribuzione di un potere di azione discenda comunque da una regola specifica, dotata di un contenuto precettivo di cui puo' ipotizzarsi la violazione, e che al di fuori di cio' possa rilevare solo una regola di condotta rispetto alla quale possa staticamente contemplarsi quella contraria inosservante, senza necessita' di valutare gli interessi sottesi e il risultato dell'azione amministrativa, a meno che quest'ultimo sia specificamente predeterminato. Non viene in rilievo in tale quadro il diverso tema della formulazione della regola, in quanto se del caso suscettibile di un'interpretazione non univoca. In casi siffatti la regola va comunque individuata alla luce dell'interpretazione, tanto piu' se consolidata e tale da assicurare un canone di condotta affidabile e generalmente condiviso. Va del resto sottolineato come perfino nella materia penale la Corte costituzionale abbia segnalato che "l'inclusione nella formula descrittiva dell'illecito di espressioni sommarie, di vocaboli polisensi, ovvero di clausole generali o concetti âEuroËœelastici', non comporta un vulnus del parametro costituzionale evocato, quando la descrizione complessiva del fatto incriminato consenta comunque al giudice - avuto riguardo alle finalita' perseguite dall'incriminazione ed al piu' ampio contesto ordinamentale in cui essa si colloca di stabilire il significato di tale elemento mediante un'operazione interpretativa non esorbitante dall'ordinario compito a lui affidato: quando cioe' quella descrizione consenta di esprimere un giudizio di corrispondenza della fattispecie concreta alla fattispecie astratta, sorretto da un fondamento ermeneutico controllabile; e, correlativamente, permetta al destinatario della norma di avere una percezione sufficientemente chiara ed immediata del relativo valore precettivo" (principio ribadito da ultimo da Corte Cost. n. 141 del 2019). Ne' puo' sottacersi che una regola complessa, pur formulata in termini generali, puo' contenere elementi specificamente selettivi, idonei a delimitarne il campo d'azione ed a porre dunque una cogente regola di esclusione, con riguardo ad una gamma di ipotesi, come quando vengano utilizzati aggettivi destinati a descrivere e restringere una nozione di carattere generale, come quella di necessita'" (cosi', testualmente, Sez. F, n. 42640 del 2021, cit., § 2.2 del Considerato in Diritto). 8.2.3. Cio' posto, va valutato se, nella specie, si sia verificata una "violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalita'" nei termini precisati, in particolare, nel § 8.2. In punto di fatto, l'assenza di valutazione comparativa tra gli aspiranti all'incarico non e' in discussione. La sentenza di primo grado, anzi, puntualizza che l'atto di nomina ha selezionato il prescelto, a fronte di quarantotto manifestazioni di disponibilita', con le seguenti parole: "Il Dott. (OMISSIS), possiede il profilo idoneo per ricoprire l'incarico di Direttore generale, come desumibile dal curriculum allegato". La sentenza impugnata ritiene che vi sia stata violazione di legge perche' la legge reg. Sardegna n. 6 del 2006, articolo 10 prevede una procedura ad evidenza pubblica. Precisamente, della legge reg. articolo 10, comma 2, citata dispone: "Il direttore generale e' scelto, con procedura ad evidenza pubblica, tra i dirigenti dell'Amministrazione o degli enti regionali di cui alla legge regionale n. 31 del 1998, articolo 28 comma 2, o tra soggetti esterni di cui all'articolo 29 della medesima legge, in possesso di comprovata professionalita' ed esperienza acquisita nella direzione di sistemi organizzativi complessi di medie e grandi dimensioni per almeno cinque anni nei dieci anni precedenti, il cui rapporto di lavoro non sia stato risolto per demerito o altro fatto imputabile al soggetto medesimo". La soluzione, ad avviso del Collegio, e' correttamente motivata, e consente di ritenere che, nella vicenda in esame, sia ipotizzabile anche una "violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalita'". Invero, il riferimento normativo alla effettuazione della scelta sulla base di "procedura ad evidenza pubblica" esige indefettibilmente lo svolgimento di una procedura comparativa tra gli aspiranti, e, quindi, l'indicazione delle ragioni per le quali il selezionato viene preferito rispetto agli altri candidati. In questo senso, del resto e' orientata la giurisprudenza civile di legittimita', la quale richiede che, per il conferimento di un incarico pubblico dirigenziale, anche apicale e fiduciario, da parte della Pubblica Amministrazione, e' sempre necessario comparare le posizioni dei vari candidati ed esternare le ragioni giustificatrici delle scelte (cosi', ad esempio, Sez. L civ., n. 29206 del 07/10/2022, Rv. 665861-01, con riferimento alla nomina del Segretario generale di un Consiglio regionale, nonche' Sez. L civ., n. 6485 del 09/03/2021, Rv. 60630-01, e Sez. L civ., n. 18972 del 24/09/2015, Rv. 637045-01, relative a nomine di dirigenti pubblici, rispettivamente, regionali e statali). Ne' questa conclusione e' inficiata dal rilievo per cui il direttore generale dell'ARPA Sardegna e' soggetto a conferma o revoca entro i tre mesi successivi all'insediamento di una nuova Giunta Regionale, a norma del combinato disposto della legge reg. Sardegna n. 6 del 2006, articolo 10, comma 8, e legge reg. Sardegna n. 31 del 1998 articolo 28, comma 9. La previsione della possibilita' di conferma o revoca dell'incarico del direttore generale dell'ARPA Sardegna entro i tre mesi successivi all'insediamento di una nuova Giunta Regionale, infatti, evidenzia il rapporto fiduciario tra il primo e la seconda, e puo' certamente incidere sull'esercizio delle determinazioni discrezionali di quest'ultima, ma non implica addirittura l'eliminazione del dovere di procedere ad una valutazione comparativa tra i diversi aspiranti. Del resto, se la possibilita' di revoca o conferma dell'incarico di cui alla legge reg. Sardegna n. 31 del 1998, articolo 28, comma 9, implicasse l'eliminazione del dovere di procedere a valutazioni comparative tra gli aspiranti, si perverrebbe a privare di qualunque significato la previsione di cui alla legge reg. n. 6 del 2006, articolo 10, comma 2, tra l'altro successiva all'altra, laddove richiede lo svolgimento di "procedura ad evidenza pubblica". 8.2.4. In conclusione, quindi, puo' ritenersi che il fatto indicato nell'imputazione e' sussumibile nel tipo previsto dall'articolo 323 c.p., anche nella formulazione successiva all'entrata in vigore del Decreto Legge n. 76 del 2000, con riferimento al profilo oggettivo della condotta. Invero, risulta corretto affermare che l'attuale ricorrente, sotto il profilo oggettivo, ha agito in "violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalita'", perche' il medesimo, secondo quanto evidenziato dalle sentenze di merito, ha determinato e concorso ad adottare la nomina del direttore generale dell'ARPA Sardegna in difetto dello svolgimento di una procedura comparativa tra gli aspiranti, e, quindi, dell'indicazione delle ragioni per le quali il selezionato e' stato preferito rispetto agli altri candidati, in puntuale contrasto con quanto stabilito dalla legge reg. n. 6 del 2006, articolo 10, comma 2. 9. Infondate sono anche le censure formulate nel secondo motivo del ricorso di (OMISSIS), le quali contestano la configurabilita' del reato di abuso di ufficio, deducendo che nella specie difettano sia l'elemento dell'ingiustizia del danno o del vantaggio, non potendo comunque lo stesso identificarsi nell'ingiustizia della condotta, sia la prova del dolo intenzionale. 9.1. Con riferimento al primo profilo, si rileva, almeno prima facie, ed in linea generale, che la nomina di un candidato ad un ufficio pubblico comportante remunerazione, con ingiustificata pretermissione degli altri aspiranti, puo' implicare un ingiusto vantaggio patrimoniale per il primo ed un ingiusto danno per i secondi. E in questo senso si sono espressi concordemente i giudici di merito, formulando una valutazione che, relativamente al profilo della ricostruzione dei fatti, non e' sindacabile in questa sede, in quanto il reato e' ormai estinto per prescrizione, come gia' rilevato in primo grado, e non essendo pendenti questioni concernenti l'azione civile o la confisca. Va infatti ricordato, come gia' ripetutamente evidenziato in precedenza, ai §§ 5.2 e 6, che secondo un principio ampiamente consolidato in giurisprudenza, ed enunciato anche dalle Sezioni Unite, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimita' vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (cfr. Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275-01). 9.2. Relativamente al secondo profilo, poi, occorre osservare che il giudizio in ordine alla sussistenza del dolo specifico costituisce fondamentalmente l'esito di una valutazione degli elementi di prova, e che, nella specie, la sentenza impugnata ha rilevato come l'attuale ricorrente ha provveduto alla nomina di (OMISSIS), alla carica di direttore generale dell'ARPA Sardegna a seguito di insistenti e ripetute sollecitazioni dell'onorevole (OMISSIS). Anche a questo proposito, quindi, occorre dare applicazione al principio piu' volte richiamato, da ultimo al § 9.1, in forza del quale, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimita' vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva. 10. Alla complessiva infondatezza delle censure segue il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ZAZA Carlo - Presidente Dott. DE MARZO Giuseppe - rel. Consigliere Dott. PILLA Egle - Consigliere Dott. SESSA Renata - Consigliere Dott. CIRILLO Pierangelo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 08/03/2021 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere. DE MARZO GIUSEPPE - PILLA EGLE; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NICOLA LETTIERI che ha concluso chiedendo; Il Proc. Gen. si riporta alla requisitoria in atti e, conclude per l'annullamento con rinvio limitatamente all'entita' della pena, per il ricorso del (OMISSIS); rigetto di tutti gli altri ricorsi. udito il difensore: L'avvocato (OMISSIS) si riporta ai motivi dei ricorsi ed insiste per l'accoglimento degli stessi. L'avvocato (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso ed insiste per l'accoglimento dello stesso. L'avvocato (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso ed insiste per l'accoglimento dello stesso. L'avvocato (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso ed insiste per l'accoglimento dello stesso. L'avvocato (OMISSIS) si riporta ai motivi dei ricorsi ed insiste per l'accoglimento degli stessi; quale sostituto processuale dell'avvocato (OMISSIS), comune difensore dell'imputato (OMISSIS), insiste per l'accoglimento del ricorso. L'avvocato (OMISSIS) si riporta ai motivi dei ricorsi. L'avvocato (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso ed insiste per l'accoglimento dello stesso. L'avvocato (OMISSIS) si riporta ai motivi dei ricorsi ed insiste per l'accoglimento degli stessi; quale sostituto processuale dell'avvocato (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), chiede l'accoglimento del ricorso. L'avvocato (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso ed insiste per l'accoglimento dello stesso. L'avvocato (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso ed insiste per l'accoglimento dello stesso. L'avvocato (OMISSIS), anche quale sostituto processuale dell'avvocato (OMISSIS) ANTONINO, comune difensore dell'imputato (OMISSIS), si riporta ai motivi di ricorso ed insiste per l'accoglimento dello stesso; quale sostituto processuale degli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), difensori di (OMISSIS), chiede l'accoglimento del ricorso. L'avvocato (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso ed insiste per l'accoglimento dello stesso. L'avvocato (OMISSIS) si riporta ai motivi dei ricorsi. L'avvocato (OMISSIS) si riporta ai motivi dei ricorsi ed insiste per l'accoglimento degli stessi. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa in data 8 marzo 2021 la Corte di appello di Reggio Calabria, per quanto ancora rileva, ha confermato l'affermazione di responsabilita' degli imputati sottoindicati, in relazione ai reati che verranno indicati nell'analisi dei motivi di impugnazione e nei limiti in cui cio' sia rilevante ai fini dell'esame degli stessi. 1.1. Nell'interesse degli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) Mino, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) Fabio, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), e' stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall'articolo 173 disp. att. c.p.p.. Ricorso (OMISSIS) 2. (OMISSIS) e' imputato per i reati di cui all'articolo 416-bis, primo, secondo, terzo, quarto e comma 5 c.p. (capo A); all'articolo 10,12,14 L. armi e 416-bis 1 cod. pen (capo G); articolo 74 secondo, terzo e comma 4 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (Capo M), ed e' stato condannato alla pena di anni 15 mesi 7 e giorni 10 di reclusione, esclusa la circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis, comma 6, c.p.. Nel suo interesse hanno proposto ricorso con due distinti atti, i suoi difensori di fiducia, avv. (OMISSIS) e avv. (OMISSIS). 2.1. Con il primo atto, sottoscritto dall'avv. (OMISSIS), sono stati articolati i seguenti motivi. 2.1.1. Con il primo motivo, e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla sussistenza della penale responsabilita' dell'imputato per la partecipazione all'associazione dedita allo spaccio di sostanza stupefacente di cui al capo M). La Corte territoriale, a fronte di articolate e specifiche censure contenute nell'atto di appello, ha assertivamente ritenuto sussistente l'ipotesi associativa anche in assenza di specifici reati fine e non ha risposto: alla doglianza circa l'assenza di reati fine imputabili al ricorrente; alla obiezione che uno dei principali pusher del ricorrente, (OMISSIS), e' stato assolto dalla ipotesi associativa; alla doglianza circa la mancata prova di effetl:ive consegne di stupefacente tra (OMISSIS) e (OMISSIS); alla autonomia delle condotte attribuibili ai fratelli (OMISSIS) che addirittura agivano in concorrenza; alla valorizzazione delle conversazioni intercettate senza considerare le obiezioni difensive. 2.1.2. Con il secondo motivo, e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla sussistenza della penale responsabilita' dell'imputato per la partecipazione all'associazione di stampo mafioso di cui al capo A). La Corte territoriale ha in primo luogo disatteso le doglianze relative alla insussistenza di una "cosca (OMISSIS)", operante nel quartiere di (OMISSIS) processualmente accertata di cui il (OMISSIS) rivestiva un ruolo apicale, dal momento che le risultanze probatorie ed in particolare quelle captative (conversazioni (OMISSIS)/ (OMISSIS)), nonche' le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia escludevano una loro autonoma compagine associativa essendo peraltro gli stessi sottoposti agli ordini delle famiglie (OMISSIS) e (OMISSIS), ma siffatta ultima condotta non risulta descritta nell'imputazione con un conseguente rilievo in tema di corrispondenza tra imputazione e sentenza. Le condotte attribuite al ricorrente quale manifestazione del loro predominio da individuarsi nella riscossione di canoni per l'occupazione di alloggi popolari, nell'offerta di uomini armati e nella custodia e fornitura di armi sono rimaste indimostrate; le dichiarazioni dei collaboratori (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) si sono rivelate carenti. Operando uno specifico richiamo alle indicazioni giurisprudenziali di questa Corte a sezioni Unite "Modaffari", il ricorrente esclude che la motivazione abbia individuato nelle risultanze probatorie a carico del (OMISSIS) gli elementi rivelatori univoci e caratterizzanti. 2.1.3. Con il terzo motivo, e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 74 comma 4 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 di cui al capo M). La Corte territoriale ha desunto la sussistenza della circostanza aggravante da generici riferimenti nel corso di alcune conversazioni del (OMISSIS) alle armi senza che pero' siffatte parole abbiano trovato degli specifici agganci di natura fattua le. 2.1.4. Con il quarto motivo, e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al mancato riconoscimento della meno grave ipotesi di cui all'articolo 74, comma 6, Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 di cui al capo M). La Corte territoriale ha fornito una motivazione carente e contraddittoria nell'escludere la ipotesi piu' lieve dal momento che e' evidente che anche in tali casi e' necessaria una struttura organizzativa; cio' che doveva essere valorizzato era costituito dai pochissimi episodi di spaccio contestati e dalla esigua quantita' della sostanza ceduta. Il ricorrente, nel richiamare i principi giurisprudenziali formatisi sul punto, ha evidenziato che gli stessi risultano perfettamente compatibili con la ipotesi in esame. 2.1.5. Con il quinto motivo, e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 416 bis comma 4 c.p. di cui al capo A). La Corte territoriale ha desunto la sussistenza della circostanza aggravante richiamando le considerazioni della sentenza di primo grado e valorizzando la storicita' dell'associazione in esame nonche' la disponibilita' dell'arma da parte del (OMISSIS), senza tuttavia operare alcuna dimostrazione in relazione alla effettiva disponibilita' di armi dell'associazione e la consapevolezza di cio' in capo agli associati. 2.1.6 Con il sesto motivo, e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla sussistenza della condotta di cui al capo G). La Corte territoriale ha desunto la sussistenza della detenzione e porto di piu' armi attraverso il travisamento di una prima conversazione intercorsa in data 30 agosto 2016 tra (OMISSIS) e (OMISSIS) e una seconda conversazione intercorsa il 31 agosto 2016 tra il (OMISSIS) e lo (OMISSIS). 2.1.7 Con il settimo motivo, e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla confisca disposta ex articolo 240 bis c.p.. La Corte territoriale ha apoditticamente motivato la intervenuta confisca evidenziando la sproporzione dei redditi dichiarati rispetto ai beni posseduti senza considerare che il (OMISSIS) spontaneamente aveva riferito all'ufficio inquirente quali fossero i beni a lui riconducibili. 2.2. Con il secondo atto, sottoscritto dall'avv. (OMISSIS), sono stati articolati i seguenti motivi. 2.2.1. Con il primo motivo, e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata risposta da parte della sentenza impugnata di tutte le censure opposte alla sentenza di primo grado in riferimento al capo A) e al capo M) e di cui si sono indicate le principali censure nel precedente atto di ricorso. 2.2.2 Con il secondo motivo e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata valutazione degli elementi di prova in ossequio ai principi di cui all'articolo 192,533, 546 c.p.p. con conseguente violazione della regola dell'oltre ogni ragionevole dubbio con riguardo al capo M), riprendendo le argomentazioni sviluppate nel primo ricorso con il primo motivo. 2.2.3 Con il terzo motivo e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata valutazione degli elementi di prova in ossequio ai principi di cui all'articolo 192,533, 546 c.p.p. con conseguente violazione della regola dell'oltre ogni ragionevole dubbio con riguardo al capo A), riprendendo le argomentazioni sviluppate nel primo ricorso con il secondo motivo in relazione al ruolo apicale rivestito dal (OMISSIS) nella struttura associativa nel quartiere di (OMISSIS). 2.2.4 Con il quarto motivo e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al riconoscimento della qualita' di capo promotore di cui all'articolo 416, bis, comma 2, c.p. in capo al (OMISSIS). Le risultanze probatorie rivelano il contrario: in particolare alcune conversazioni del (OMISSIS) permettono di comprendere con lo stesso fosse denigrato e deriso proprio quando assumeva "atteggiamenti da boss". 2.2.5 Con il quinto motivo e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla disponibilita' in armi dell'associazione gia' oggetto di specifico motivo nel primo ricorso e alla sussistenza del reato di cui al capo G). 2.2.6 Con il sesto motivo e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'assenza di indicazioni delle ragioni che hanno determinato l'aumento di pena in continuazione tra il reato di cui al capo M) e il reato di cui al capo G). Ricorso (OMISSIS); 3. (OMISSIS) e' imputato per i reati di cui all'articolo 416-bis, primo, terzo, quarto e comma 5 c.p., (capo A); articolo 74 secondo" terzo e comma 4 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (Capo M), ed e' stato condannato alla pena di anni 14 di reclusione, esclusa la qualifica di promotore ed esclusa la circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis, comma 6, c.p.. Nel suo interesse hanno proposto ricorso con due distinti atti i suoi difensori di fiducia, avv. (OMISSIS) e avv. (OMISSIS). 3.1. Con il primo atto, sottoscritto dall'avv. (OMISSIS), sono stati articolati i seguenti motivi. 3.1.1. Con il primo motivo, e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla valutazione delle intercettazioni poste a fondamento della penale responsabilita' del ricorrente. Lamenta la difesa che le conversazioni utilizzate a carico del (OMISSIS) non lo vedono come interlocutore ma contengono dichiarazioni etera-accusatorie nei suoi confronti e pertanto alla luce della giurisprudenza di questa Corte necessitano di riscontri con particolare riferimento alla contestazione di cui al capo A) e alle conversazioni di (OMISSIS), valutato come credibile nonostante l'utilizzo da parte dello stesso di stupefacenti e alcol. 3.1.2. Con il secondo motivo e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla sussistenza della penale responsabilita' dell'imputato per la partecipazione all'associazione di stampo mafioso di cui al capo A). La Corte territoriale ha immotivatamente ravvisato la sussistenza di una cosca (OMISSIS), operante in (OMISSIS) senza che le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia abbiano fornito riscontro individualizzante quanto alla persona del ricorrente. 3.1.3. Con il terzo motivo e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis, comma 4, c.p. di cui al capo A). La Corte territoriale ha desunto la sussistenza della circostanza aggravante richiamando le considerazioni della sentenza di primo grado E valorizzando la storicita' dell'associazione in esame. Tuttavia, non e' emerso in alcun modo che il (OMISSIS) avesse consapevolezza della disponibilita' in armi o lo abbia ignorato per colpa. 3.1.4. Con il quarto motivo, e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla penale responsabilita' del ricorrente con riferimento al capo M) e comunque al mancato riconoscimento della meno grave ipotesi di cui all'articolo 74 comma 6 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990. La Corte territoriale ha fornito una motivazione carente quanto al coinvolgimento di (OMISSIS) nel capo P1), dal momento non sussistono dichiarazioni etero-accusatorie dei collaboratori di giustizia e lo stesso non vive nella zona di (OMISSIS). La sentenza impugnata e' contraddittoria nell'escludere la ipotesi piu' lieve dal momento che e' evidente che anche in tali casi e' necessaria una struttura organizzativa; cio' che doveva essere valorizzato era costituito dai pochissimi episodi di spaccio contestati e dalla esigua quantita' della sostanza ceduta. 3.1.5 Con il quinto motivo e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'assenza di indicazioni delle ragioni che hanno determinato l'aumento di pena in continuazione tra il reato di cui al capo M) e il reato di cui al capo A). 3.1.6 Con il sesto motivo e il settimo motivo e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'assenza di motivazione circa la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e circa il riconosciuto aumento di pena per la contestata recidiva. 3.2. Con il secondo atto, sottoscritto dall'avv. (OMISSIS), sono stati articolati i seguenti motivi. 3.2.1. Con il primo motivo, e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata valutazione degli elementi di prova con riguardo al capo A e al ruolo rivestito dal (OMISSIS) nella struttura associativa nel quartiere di (OMISSIS). Le risultanze probatorie non hanno consentito di rinvenire in quella zona una proiezione esterna dell'associazione riconducibile ai (OMISSIS) e ai soggetti di etnia Rom che vivono nel quartiere. La Corte territoriale ha frainteso il contenuto delle conversazioni telefoniche e ambientali in cui vi e' come interlocutore il (OMISSIS) (con (OMISSIS), con (OMISSIS)); le evidenze probatorie danno piuttosto conto di una frizione e non di un'alleanza tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) proprio in relazione al sostentamento economico carcerario del boss (OMISSIS). La sentenza impugnata ha operato una sovrapposizione tra quelli che sono i reati comuni riconducibili alla etnia rom ed eventualmente ai (OMISSIS) e le condotte rientranti nell'ambito della criminalita' organizzata. La difesa ha fornito altresi' una giustificazione circa la presunta intermediazione per la riscossione dei proventi estorsivi in favore del (OMISSIS) dovuti da (OMISSIS) del quartiere di (OMISSIS). Le narrazioni dei collaboratori di giustizia (OMISSIS) e (OMISSIS) sono estremamente generiche e i collaboratori (OMISSIS) e (OMISSIS) non operano alcun riferimento alla persona del ricorrente. 3.2.2. Con il secondo motivo e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis, comma 4, c.p. di cui al capo A), con argomentazioni analoghe a quanto gia' indicato nel terzo motivo del primo atto di ricorso. 3.2.3. Con il terzo motivo, e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla penale responsabilita' del ricorrente con riferimento al capo M (analogamente al quarto motivo del primo ricorso). Dalle evidenze istruttorie, lamenta la difesa, non e' in alcun modo emersa la struttura organizzativa, sia pure in forma semplice e rudimentale dell'associazione, ma la sentenza impugnata si e' limitata a riportare gli esiti delle intercettazioni della cd. "droga parlata", con l'emersione di cessioni sporadiche e di esigue quantita' di stupefacente. Vi e' assenza di motivazione circa il riconosciuto aumento di pena per la contestata recidiva. 3.2.4 Con gli ulteriori motivi (quarto e sesto) il ricorrente ha nuovamente dedotto il mancato riconoscimento dell'ipotesi di cui all'articolo 74 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 comma 6 e l'errato riconoscimento dell'aggravante di cui all'articolo 74 dpr309/90 comma 4 con motivazioni analoghe al primo ricorso. 3.2.5. Con il quinto motivo di ricorso il ricorrente ha dedotto violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, non avendo la sentenza impugnata valutato positivamente la assenza di reati fine e l'assenza di contatti con gli altri coimputati. Ricorso (OMISSIS); 4. (OMISSIS) e' imputato per i reati di cui all'articolo articolo 74 secondo, terzo e comma 4 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (Capo M) ed e' stato condannato alla pena di anni 8 di reclusione escluso l'aumento per la contestata recidiva nonche' assolto dal reato di cui all'articolo 337 e 416-bis.1 c.p. (capo A8) per non avere commesso il fatto. Nel suo interesse ha proposto ricorso con atto sottoscritto il difensore di fiducia avv. (OMISSIS), con il quale ha articolato i seguenti motivi. 4.1. Con il primo motivo, e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata valutazione degli elementi di prova per il capo M). Lamenta la difesa che al ricorrente non e' riconosciuta la responsabilita' per alcun reato fine; un solo collaboratore di giustizia ( (OMISSIS)) riferisce della sua persona, ma in modo generico; l'imputato (OMISSIS), suo presunto collaboratore, e' stato assolto dalla contestazione associativa (capo M); la conversazione tra (OMISSIS) e (OMISSIS) che allude alla cocaina detenuta da (OMISSIS) si presta ad un'equivoca interpretazione; il rinvenimento ch una telecamera in una abitazione abbandonata indicata come luogo di spaccio del ricorrente e' stato giustificato dal (OMISSIS) come strumento di difesa da eventuali furti, avendone gia' subito uno. 4.2. Con il secondo, il terzo, e il quarto motivo il ricorrente ha dedotto violazione di legge e vizio di motivazione in relazione: - al mancato riconoscimento dell'articolo 74 comma 6 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 non essendo emerse importanti cessioni di stupefacente; - al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non avendo la Corte territoriale valutato positivamente la sussistenza di un unico e non grave precedente penale e lo svolgimento di attivita' lavorativa e le sue precarie condizioni di salute; - alla mancata esclusione della circostanza aggravante di cui all'articolo 74 comma 4 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, la cui sussistenza e' stata fondata unicamente sulla dichiarazione di (OMISSIS) secondo il quale durante un incontro con i (OMISSIS), gli stessi erano tutti armati. comma 4 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (Capo M) ed e' stato condannato alla pena di anni 8 5. (OMISSIS) e' imputato per il reato di cui all'articolo articolo 74 secondo, terzo e Ricorso (OMISSIS) di reclusione, escluso l'aumento per la contestata recidiva. Nel suo interesse hanno proposto ricorso con un unico comune atto i difensori di fiducia avv. (OMISSIS) e avv. (OMISSIS), articolando i seguenti motivi. 5.1. Con il primo motivo, e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla penale responsabilita' del ricorrente con riguardo al capo M) e alla omessa valutazione degli apporti difensivi. Evidenzia la difesa che al ricorrente e' stato riconosciuto il ruolo di collaboratore del (OMISSIS), seppure non in via esclusiva, quale custode della sostanza stupefacente. La sentenza impugnata, tuttavia, nella riproposizione e nel commento delle conversazioni intercettate che rivelano siffatto ruolo, non ha risposto alla specifica censura difensiva relativa all'accertamento del dolo specifico in capo all'agente. Se le relazioni risultanti dalle indagini si riferiscono a sole due persone (nel caso di specie (OMISSIS) e (OMISSIS)), l'onere motivazionale in ordine alla consapevolezza dell'imputato di essere inserito in una piu' vasta compagine associativa e di fornire il proprio apporto causale deve essere particolarmente evidente. Dalle conversazioni riportate emerge che il rapporto con il (OMISSIS) e' quasi esclusivo con il (OMISSIS); anche quando per la consegna dello stupefacente e' da lui inviato il (OMISSIS), il (OMISSIS) sottolinea che loro sono la "stessa cosa". Dunque, la Corte territoriale non ha risposto alla specifica doglianza gia' proposta con l'atto di appello in relazione all'effettivo apporto causale del (OMISSIS) rispetto alla organizzazione. 5.2. Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata esclusione della circostanza aggravante di cui all'articolo 74 comma 4 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, la cui sussistenza e' stata fondata unicamente sulla dichiarazione di (OMISSIS) secondo il quale durante un incontro con i (OMISSIS), gli stessi erano tutti armati. Nel ricorso la difesa chiarisce che l'episodio era riferibile alla diversa ed ulteriore contestazione di cui all'articolo 416-bis c.p. senza che siano state chiarite le motivazioni per le quali l'aggravante sia stata estesa anche all'altra forma di organizzazione di cui all'articolo 74 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990. 5.3. In data 29 dicembre 2022 nel depositare motivi aggiunti le difese hanno insistito nell'accoglimento del ricorso. Ricorso (OMISSIS); 6. (OMISSIS) e' imputato per il reato di cui all'articolo Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 (Capo O), ed e' stato condannato alla pena detentiva di anni quattro di reclusione; Nel suo interesse ha proposto ricorso con atto sottoscritto il difensore avv. (OMISSIS), articolando i seguenti motivi. 6.1. Con il primo motivo, e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla penale responsabilita' del ricorrente avuto riguardo alla valutazione della conversazione intervenuta tra soggetti terzi. La Corte territoriale ha fondato la penale responsabilita' del ricorrente sulla base di una conversazione nel corso della quale (OMISSIS) riferisce del consumo personale di stupefacente da parte del ricorrente, ma non della sua cessione a terzi. La Corte territoriale ha travisato il contenuto della conversazione attribuendo alla stessa un significato diverso da quello effettivo. La Corte avrebbe dovuto considerare la conversazione come prova indiziaria necessitante di riscontro e avrebbe dovuto preliminarmente valutare l'attendibilita' del (OMISSIS), soggetto dedito all'abuso di alcol e di stupefacenti. La sentenza non ha peraltro fornito risposta esauriente relativa allo specifico motivo di appello circa la incertezza della identificazione non essendo pacifico che il (OMISSIS) della conversazione debba identificarsi nel ricorrente. 6.2. Con il secondo motivo, e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla invocata riqualificazione della ipotesi di cui all'articolo 73 comma 5 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990. In assenza di sequestro della sostanza e di altri elementi che abbiano consentito una valutazione concreta della efficacia drogante della stessa, la sentenza avrebbe dovuto con motivazione rafforzata spiegare le ragioni che escludevano la configurazione della fattispecie autonoma meno grave. 6.3. Con il terzo motivo il ricorrente ha dedotto violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, avendo la Corte territoriale utilizzato i medesimi elementi sfavorevoli all'imputato (gravita' del fatto e capacita' a delinquere) sia in relazione alla determinazione del trattamento sanzionatorio, sia in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. Ricorso (OMISSIS); 7. (OMISSIS) e' imputato per il reato di cui all'articolo 7.4 secondo, terzo e comma 4 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (Capo M), per il quale e' stato condannato alla pena di anni 8, mesi 9 e giorni 10 di reclusione; e' stato assolto dal reato di cui all'articolo Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 (Capo P); Nel suo interesse e' stato proposto ricorso con atto sottoscritto dal difensore di fiducia avv. (OMISSIS), articolando il seguente motivo. 7.1. Con l'unico motivo, e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla penale responsabilita' del ricorrente in relazione al capo M). La sentenza impugnata ha fondato il giudizio di penale responsabilita' a carico del ricorrente unicamente sulla base di alcune conversazioni telefoniche delle quali sono state utilizzate solo alcune espressioni decontestualizzate, disattendendo le censure difensive e non motivando in ordine a specifici elementi a discarico quali l'allontanamento dal territorio del ricorrente per alcuni mesi e l'esito negativo della perquisizione domiciliare. I rapporti tra il ricorrente, peraltro sporadici, con il (OMISSIS) sono legati al consumo di stupefacente del (OMISSIS) e per cifre quanto mai modeste. Ricorso (OMISSIS); 8. (OMISSIS) e' imputato per il reato di cui all'articolo 416-bis, primo, secondo, terzo, quarto e comma 5 c.p. (capo A), ed e' stato condannato alla pena di anni 8 di reclusione, esclusa la circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis comma 6 c.p.. Nel suo interesse ha proposto ricorso con atto sottoscritto il suo difensore di fiducia, avv. (OMISSIS), articolando i seguenti motivi. 8.1. Con il primo motivo, e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla penale responsabilita' del ricorrente in relazione al capo A). Nella prospettazione accusatoria il ruolo del (OMISSIS) e' quello di partecipe con compiti operativi ed esecutivi realizzati attraverso danneggiamenti, intimidazioni presso i cantieri degli imprenditori da sottoporre ad estorsione secondo le direttive di (OMISSIS) e (OMISSIS). La sentenza impugnata ha fondato il giudizio di penale responsabilita' a carico del ricorrente unicamente sulla base di alcune conversazioni delle quali rilevante e' la intercettazione ambientale del 15 luglio 2016 nel corso della quale (OMISSIS), conversando con (OMISSIS), definisce il (OMISSIS) come un suo uomo ((..) giovanotto dei miei (..)) particolarmente capace e solerte. Tuttavia, nel corso della conversazione emerge come il (OMISSIS) non venga immediatamente riconosciuto dal (OMISSIS), affiliato storico degli (OMISSIS) e siffatta obiezione, rivelatrice evidentemente di una non cosi' stretta partecipazione, non e' stata superata dalla Corte, ne' la sentenza specifica se si tratta di conoscenza legata a vicende di natura illecita o ad altro. 8.1.1. Evidenzia, inoltre, la difesa che non solo il (OMISSIS) non risulta coinvolto in alcun reato fine, ma cio' appare in contraddizione con il ruolo riconosciutogli che sarebbe caratterizzato da condotte illecite sul territorio, ruolo che avrebbe comportato altresi' contatti serrati tra lo stesso ed il (OMISSIS) laddove le conversazioni intercettate non ne rilevano alcuno. Ne' la circostanza valorizzata in sentenza in base alla quale il ricorrente sarebbe solito frequentare la scuderia di (OMISSIS) destinata al ricovero di cavalli utilizzati per corse e scommesse clandestine, puo' rivelarsi determinante al fine della configurabilita' del ruolo del partecipe in capo al (OMISSIS). Prive di risposta le numerose censure avanzate dalla difesa quanto alla attendibilita' del (OMISSIS) riconosciuto dagli stessi partecipi come persona che "non stava bene con la testa". 8.1.2. Infine, risulta non correttamente utilizzato a fini probatori l'episodio relativo alla disattivazione e distruzione della telecamera presso la scuderia, dal momento che la stessa sentenza esclude che le vicende relative alla scuderia possano essere legate alla vita associativa dell'organizzazione criminale in esame. 8.1.3. Gli elementi ulteriori a sostegno della intraneita' del (OMISSIS) quali la programmazione di rapine unitamente al (OMISSIS) e la tentata estorsione in danno di un imprenditore di (OMISSIS) sono circostanze richiamate dalla sentenza impugnata, ma non dotate di autentica valenza probatoria se solo si considera che il (OMISSIS) non e' mai stato condannato per la estorsione richiamata e la indicazione della programmazione di rapine e' quanto mai generico. Ricorso (OMISSIS); 9. (OMISSIS) e' imputato per i reati di cui all'articolo 416-bis, primo, secondo, terzo, quarto e comma 5 c.p. (capo A), esclusa la circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis, comma 6, c.p. e per i reati di cui ai capi B) e C) limitatamente alla condotta di detenzione illegale di armi ed e' stato condannato, ravvisato il vincolo della continuazione tra i reati, alla pena di anni 9 di reclusione. Nel suo interesse ha proposto ricorso con atto sottoscritto, il difensore di fiducia avv. (OMISSIS), articolando i seguenti motivi. 9.1. Con il primo motivo, e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla penale responsabilita' del ricorrente avuto riguardo alla sua posizione di partecipe all'interno dell'associazione di cui al capo A). La Corte territoriale ha fondato la penale responsabilita' del ricorrente valorizzando il colloquio del 31 agosto 2016 intervenuto tra il ricorrente e il (OMISSIS) nel corso del quale il secondo gli avrebbe chiesto un'arma sul presupposto che in un recente passato il (OMISSIS) era stato detentore per conto del gruppo di una mitragliatrice e di un'arma comune da sparo. La sentenza, tuttavia, non chiarisce che l'iniziativa e' del (OMISSIS), chiaramente ubriaco, senza che in alcun modo ci sia stato interessamento del fratello (OMISSIS), peraltro assente. Dalla sussistenza di un rapporto di fiducia esistente tra (OMISSIS) e (OMISSIS) la Corte ha ricavato, operando un salto logico, che il (OMISSIS) possa essere considerato un intraneo. 9.2. Con il primo motivo (1.a) e' stato altresi' dedotto vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alla valutazione dele dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS). La sentenza non contiene alcuna indicazione in relazione all'attendibilita' del collaboratore escusso in grado di appello limitandosi a sancirne l'affidabilita' e chiarendo che secondo il (OMISSIS), il (OMISSIS) era colui che portava le notizie per conto degli (OMISSIS) e dei (OMISSIS). La sentenza ha poi escluso che la difesa avesse formulato obiezioni sulla narrazione senza tenere conto del serrato contro esame del collaboratore di giustizia operato dalla difesa. 9.3. Con il secondo motivo e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis comma 4 c.p. di cui al capo A). La circostanza che (OMISSIS) sapesse di armi detenute non significa che le armi siano state a lui affidate. 9.4. Con il terzo motivo e' stato dedotto vizio di motivazione e violazione di legge quanto alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis. 1 c.p. per i capi B) e C) (detenzione di armi). La motivazione fonda la sussistenza della contestata aggravante in ragione della qualita' di armi evocate senza che pero' le stesse siano state rinvenute e della circostanza che sia stato utilizzato l'aggettivo "nostre" ad indicare un'appartenenza senza che vi sia stata una espressa motivazione sul dolo specifico. 9.5. Con il quarto e il quinto motivo e' stato dedotto vizio di motivazione e violazione di legge con riferimento al trattamento sanzionatorio. Con il quarto motivo si lamenta la carenza di motivazione in ordine all'aumento di nove mesi per ciascuno dei due reati in continuazione, con un aumento per la circostanza aggravante mafiosa pari a mesi tre per ciascuno dei reati. Con il quinto motivo e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche giustificata dal fatto che l'assenza di precedenti non e' da sola sufficiente alla concessione delle circostanze attenuanti generiche. La Corte, tuttavia, avrebbe potuto valutare altri elementi positivi quali l'assenza di rapporti con gli (OMISSIS) e il ruolo di dipendente presso l'impresa (OMISSIS) e il comportamento tenuto in occasione della richiesta di aiuto del (OMISSIS). 9.6 Con il sesto motivo e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata esclusione della circostanza aggravante di cui all'articolo 416 bis comma 4 c.p.. Non e' sufficiente il richiamo alla organizzazione di criminalita' organizzata nella sua dimensione storica per ravvisare automaticamente la sussistenza dell'aggravante in contestazione. Ricorso (OMISSIS); 10. (OMISSIS) e' imputato per i reati di cui all'articolo 416-bis, primo, secondo, terzo, quarto e comma 5 c.p. (capo A) ed e' stato condannato alla pena di anni 12 di reclusione, esclusa la circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis, comma 6, c.p.. Nel suo interesse ha proposto ricorso con atto sottoscritto il suo difensore di fiducia, avv. (OMISSIS), articolando i seguenti motivi. 10.1. Con il primo motivo, e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla penale responsabilita' del ricorrente avuto riguardo alla sua posizione di partecipe all'interno dell'associazione. 10.1.2. Le chiamate in correita' ad opera dei collaboratori (OMISSIS) e (OMISSIS) non possono costituire reciproco riscontro dal momento che sono prive di autonomia genetica. L'intervento del (OMISSIS) per dirimere la controversia insorta tra (OMISSIS) e (OMISSIS) e' stato del tutto occasionale e casuale e non integra, in quanto episodica, quella attivita' di intermediazione riconducibile ad una condotta causalmente rilevante per l'associazione. Ne' la qualita' di confidente del (OMISSIS) puo' considerarsi prova di partecipazione. 10.2. Con il secondo motivo, e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al mancato riconoscimento del vincolo della continuazione tra i fatti di cui alla sentenza impugnata e quelli di cui ad una precedente sentenza passata in cosa giudicata, in ragione del tempo trascorso. La Corte territoriale non ha operato buon governo dei principi fissati dalla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale anche la detenzione non e' in grado, in assenza di dissociazione, di eliminare il vincolo della continuazione tra i reati di natura associativa. 10.3. Con il terzo motivo, e' stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla contestata recidiva. E' stato effettuato un aumento di due terzi della pena per la recidiva contestata, laddove la recidiva e' contestata come specifica e reiterata; inoltre, dal certificato del casellario giudiziale non risulta che il (OMISSIS) sia mai stato in precedenza dichiarato recidivo. Conseguentemente l'aumento per la recidiva e' illegittimo. 11. Ricorso (OMISSIS) proposto dall'avv. (OMISSIS); 11.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione all'affermazione di responsabilita' per il reato di cui all'articolo 337 c.p. di cui al capo A8), attribuito in concorso con (OMISSIS), per avere il (OMISSIS), durante il controllo di un'autovettura condotta dal medesimo (OMISSIS), immediatamente dopo l'esplosione (da parte di soggetti non identificati) di tre colpi d'arma da fuoco, chiesto al tenente (OMISSIS): "Comandante, ma non e' che anche domani controllate tutti-", e, alla risposta affermativa del militare, affermato: "E... ma se e' cosi' poi tiriamo fuori le armi". Si osserva: a) che il fatto che la frase fosse stata pronunciata dopo la compiuta identificazione dell'imputato dimostrava che essa non costituiva un'opposizione allo svolgimento dell'atto d'ufficio. 11.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione alla ritenuta sussistenza di una rituale contestazione della circostanza aggravante di cui all'articolo 7 Decreto Legge 152 del 1991, conv. con L. n. 203 del 1991, per non essere stata portata a conoscenza dell'imputato la componente valutativa della circostanza stessa. 11.3. Con il terzo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza dei presupposti della circostanza aggravante di cui all'articolo 7 Decreto Legge 152 del 1991, conv. con L. n. 203 del 1991. 12. Ricorso (OMISSIS) proposto dall'avv. (OMISSIS); 12.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione all'affermazione di responsabilita' per il reato di cui all'articolo 337 c.p. di cui al capo A8), ribadendo che la condotta non era finalizzata ad incidere sull'attivita' dell'ufficio o del servizio e sottolineando come la condanna del (OMISSIS) fosse illogica a fronte dell'assoluzione del beneficiario della condotta di resistenza. 12.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione alla ritenuta sussistenza dei presupposti della circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p., sottolineando l'assenza grafica di motivazione, quanto al profilo della finalita' agevolatrice, e il carattere apparente della motivazione quanto all'utilizzo del metodo mafioso. 13. Ricorso (OMISSIS) 13.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione all'affermazione di responsabilita' per il delitto di cui al capo Z). Il reato attribuito, in concorso, al (OMISSIS), al (OMISSIS), al (OMISSIS), al (OMISSIS), al (OMISSIS) e al (OMISSIS) (nonche' a (OMISSIS) ed altri soggetti non identificati) viene indicato nel capo di imputazione come il delitto di cui agli articoli articoli 99, 110, 112, comma 1, n. 1) e 2), 582, 583 e 585, c.p. e 7, Decreto Legge 152 del 1991, conv. con L. n. 203 del 1991, perche' "servendosi di caschi da motociclista, di spranghe metalliche, di mazze, di sedie e di una pistola cal. 7.65, percuotevano (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che nell'occorso veniva attinto da un proiettile alla gamba destra, e cagionavano loro lesioni personali, consistite per (OMISSIS) in "f. L. c. parietale sx, f.a.f. gamba dx e cont. emitorace post sx", giudicate guaribili in gg. 8 se e per (OMISSIS), in trauma cranico con ematoma cd escoriazione regione orbitaria sx, trauma con ematoma mano polso sx, frattura scomposta diafisiaria del III e IV metacarpo mano sx, escoriazione regione dorso-lombare, anca dx e ginocchio dx", giudicate guaribili in gg. 30". Lamenta, in particolare, il ricorrente che, attraverso l'impiego convergente di molteplici dati imprecisi, i giudici di merito sono pervenuti ad una decisione di condanna irrispettosa del criterio dell'al di la' di ogni ragionevole dubbio previsto dall'articolo 533, comma 1, c.p.p.. Si osserva: a) che la conclusione della Corte territoriale, secondo la quale apparterebbe al (OMISSIS) la Renault Clio (della quale non viene ripresa la targa) che, alle 5,34 del 29 agosto 2015, viene ripresa mentre transitava con altre due autovetture lungo la via Nazionale Pentimele, contrasta con i dati tratti dall'esame del traffico telefonico, dal momento che, alle ore 6,24 - nello stesso arco temporale nel quale veniva consumata l'aggressione - il (OMISSIS) - che, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, si sarebbe trovato a bordo del veicolo del (OMISSIS) - aveva effettuato una telefonata al (OMISSIS) (che, peraltro, in ipotesi, sarebbe stato assieme al primo), agganciando la cella di (OMISSIS), notoriamente raggiungibile dal luogo del delitto (di fronte al bar (OMISSIS) di (OMISSIS)) in circa 5- 10 minuti; b) che, peraltro, la stessa Corte territoriale aveva escluso che il (OMISSIS) fosse in compagnia del (OMISSIS) o del (OMISSIS); c) che l'incompatibilita' cronologica era confermata dal fatto che, dall'analisi dei movimenti del (OMISSIS), era emerso che quest'ultimo aveva impiegato dieci minuti per recarsi da (OMISSIS) ad (OMISSIS) per prelevare il (OMISSIS) e dieci minuti per ritornare a (OMISSIS); d) che solo sulla base di una congettura la Corte territoriale aveva ritenuto di identificare sul mero dato delle dimensioni, nella Clio del (OMISSIS), una delle due autovetture a bordo delle quali erano arrivati gli aggressori, secondo il ricordo del teste (OMISSIS), il quale, tuttavia, non aveva saputo fornire alcuna precisazione in relazione al modello; e) che, peraltro, neppure era chiaro come le tre autovetture viste transitare lungo la (OMISSIS) (OMISSIS) fossero poi divenuti i due veicoli visti dal (OMISSIS); f) che il rilievo della Corte territoriale, secondo la quale il (OMISSIS) sarebbe stato riconoscibile dalla visione dei filmati per via dell'altezza, della corporatura robusta e del fatto che fosse calvo, contrasta con il dato riferito dal medesimo ricorrente di essersi allontanato alle 6,15 dal bar per recarsi dal proprio barbiere di fiducia; g) che anche l'identificazione operata da (OMISSIS) non era attendibile, poiche' nelle prime dichiarazioni rese e riportate nell'ordinanza di custodia cautelare, egli aveva identificato l'aggressore chiamato " (OMISSIS)" o " (OMISSIS)" come una persona con i capelli rasati, mentre, risentito in appello, aveva dichiarato di riconoscere nella persona inquadrata dalle videoriprese il buttafuori di nome (OMISSIS) nella persona "calva"; h) che, solo travisando il dato probatorio, la Corte territoriale aveva ritenuto che (OMISSIS) avesse identificato il (OMISSIS), posto che, al contrario, egli aveva affermato di non essere riuscito a vedere nessuno dei suoi aggressori in viso; i) che siffatte censure, sviluppate in appello, non erano state considerate dai giudici di secondo grado; I) che, d'altra parte, dalle videoriprese emerge che il soggetto identificato nel (OMISSIS) non sferra alcuna ginocchiata, ma e' ben visibile in atteggiamento passivo, salvo poi spostarsi dietro una sorta di muro che aveva impedito la visuale; m) che, pertanto, non era emerso alcun apporto materiale del (OMISSIS) alla consumazione del delitto; n) che l'identificazione del (OMISSIS) come uno dei soggetti che, dopo l'aggressione, si erano ritrovati presso il distributore di carburanti situato sul (OMISSIS) (il (OMISSIS), in particolare, con il (OMISSIS) sarebbe sopraggiunto alle 6,58) era incompatibile con i dati del traffico telefonico, dai quali emergeva che alle ore 6,58 l'utenza del (OMISSIS) agganciava per due volte la cella situata in (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), alla periferia di (OMISSIS) e in relazione ad uno scambio comunicato con il (OMISSIS), il quale pure si sarebbe trovato, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, presso il distributore di carburanti. 13.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, sottolineando che, ferma l'assenza di qualunque apporto materiale alla commissione del reato, neppure puo' ritenersi sussistente un contributo di carattere psicologico, giacche' dalla risultanze istruttorie emerge che, terminata la discussione all'interno del (OMISSIS), non vi e' piu' traccia del (OMISSIS) e del (OMISSIS), talche', anche a voler ritenerli presenti sul luogo del delitto, deve escludersi che essi vi siano giunti con (âEuro˜âEuroËœintento di offrire un contributo rafforzativo. Cio', del resto, era stato riconosc:iuto - si conclude - con riguardo alla posizione del (OMISSIS) proprio dalla sentenza n. 17230/2018, resa in sede cautelare dalla Corte di cassazione. 13.3. Con il terzo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis.1, c.p., per non essere emersi elementi oggettivi idonei a rendere il (OMISSIS) consapevole della finalita' agevolativa del sodalizio criminale che viene attribuita al (OMISSIS) e al (OMISSIS). 13.4. Con il quinto motivo si lamenta la totale assenza di motivazione in ordine alla riferibilita' al (OMISSIS): a) della circostanza aggravante di cui all'articolo 585 c.p., in relazione all'uso dell'arma e di altri strumenti atti ad offendere impiegati nell'aggressione; b) della circostanza aggravante di cui all'articolo 112, comma 1, n. 1, c.p.. 13.5. Con il sesto motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche, rilevando che l'insufficienza dell'assenza di precedenti penali, quale dedotta dalla difesa, non esonerava la Corte territoriale dal considerare altri elementi suscettibili di valutazione emergenti dagli atti (quali la portata della condotta che sarebbe state tenuta e il comportamento immediatamente successivo al reato). 13.6. Con il sesto motivo si lamentano vizi motivazionali in relazione alla dosimetria della pena. 14. Ricorso (OMISSIS); 14.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione all'affermazione di responsabilita' per il delitto di cui al capo Z) Si rileva che, alla luce della letterale formulazione del capo di imputazione (v. supra sub n. 13), non erano neppure state indicate le lesioni sofferte dal (OMISSIS) e del (OMISSIS), con la conseguenza che, rispetto al delitto di lesioni contestato, il (OMISSIS) avrebbe dovuto essere assolto; qualora si fosse ritenuto sussistente il delitto di percosse, si sarebbe dovuto prendere atto dell'assenza di querela. 14.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione al delitto di lesioni in danno del (OMISSIS) e di (OMISSIS), rilevando che dalle dichiarazioni del teste (OMISSIS) emergeva che non esisteva alcuna volonta' di "dare una lezione al (OMISSIS)", come dimostrato dal fatto che quest'ultimo non era stato aggredito appena era stato incontrato. 14.3. Con il terzo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, per non avere la Corte territoriale considerato che la volonta' di "dare una lezione" era compatibile anche con la programmazione del compimento del reato di percosse, talche' l'attribuzione del piu' grave reato di lesioni sarebbe stato possibile solo in presenza dei presupposti del concorso anomalo. Peraltro, il (OMISSIS) era stato assolto dal reato di cui al capo Al), relativo al porto illecito dell'arma utilizzata, in relazione al quale non era stato ritenuto neppure configurabile il concorso anomalo: l'assoluzione dal delitto in materia di armi implica che l'evento piu' grave, concretamente realizzato, non possa che essere conseguenza di un fattore eccezionale non ricollegabile eziologicamente alla condotta di base. 14.4. Con il quarto motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione alla mancata applicazione, in via subordinata rispetto alla richiesta assoluzione, della disciplina dettata dall'articolo 116 c.p.. 14.5. Con il quinto motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, per avere la Corte territoriale escluso che il (OMISSIS) dovesse essere ritenuto non punibile per desistenza, dal momento che, come dimostrato dai dati del traffico telefonico, egli alle 6,24 (orario nel quale, secondo i giudice di primo grado, era iniziata la lite) si trovava in altro luogo: la Corte d'appello aveva privilegiato un diverso orario (le 6,21, quale indicato da altra telecamera), senza, tuttavia, illustrare le ragioni delle proprie conclusioni. 14.6. Con il sesto motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p., sottolineando l'assenza di motivazione, quanto al profilo della finalita' agevolatrice, e, quanto all'impiego del metodo mafioso, della causale di carattere personale riferita dal teste (OMISSIS). 14.7. Con il settimo motivo si eccepisce violazione dell'articolo 63, comma 4, c.p., deducendo che, dopo l'aumento previsto per la circostanza aggravante ad effetto speciale di cui all'articolo 416-bis.1 c.p., si sarebbe dovuto procedere, in relazione alle restanti circostanze ad effetto comune, ad un unico aumento, ai sensi dell'articolo 63, comma 4, c.p., ferma la necessita' di adeguata motivazione sul punto. 14.8. Con l'ottavo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione alla dosimetria della pena. 15. Ricorso (OMISSIS); 15.1. Con il primo motivo, variamente articolato, si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione all'affermazione di responsabilita' per la partecipazione all'associazione di tipo mafioso di cui al capo A). Con la prima articolazione si premette che il capo di imputazione colloca il (OMISSIS) all'interno di un'articolazione autonoma della cosca (OMISSIS), riferibile alla famiglia (OMISSIS), operante nei territori di (OMISSIS),, (OMISSIS) e (OMISSIS) e si denuncia che, a fronte della contestazione relativa all'esistenza della cosca autonoma denominata (OMISSIS) e della partecipazione del (OMISSIS), anche alla luce dei pessimi rapporti con gli zii, la sentenza impugnata aveva fornito una motivazione assertiva. Sotto il primo profilo, si rileva che la Corte territoriale, limitandosi a richiamare la contestazione nel processo Sistema Reggio, non aveva motivato in ordine all'esistenza e ai settori operativi della cosca (OMISSIS), non aveva spiegato quali sarebbero stati i rapporti con la cosca (OMISSIS) ne' aveva potuto evidenziare l'esistenza di rapporti tra il (OMISSIS) e appartenenti alla cosca (OMISSIS). D'altra parte - si osserva -, al di la' dell'asserzione dei collaboratore (OMISSIS), per il quale gli (OMISSIS), ad un certo punto, sarebbero divenuti una cosca autonoma, le dichiarazioni dello stesso smentivano tale assunto e la formulazione del capo di imputazio: solo a prezzo di un travisamento del contenuto delle dichiarazioni stesse poteva affermarsi che il (OMISSIS) - soggetto, peraltro, a conoscenza delle risultanze e delle contestazioni del processo Sistema Reggio - avesse affermato che gli (OMISSIS), ormai autonomi, avessero mantenuto "una cointeressenza con le famiglie (OMISSIS) e (OMISSIS)". Con una seconda articolazione si investe il tema della condotta partecipativa del (OMISSIS), rilevando come la sentenza impugnata, trascurando il principio di materialita' e offensivita', aveva finito per non cogliere il confine tra vicinanza parentale e intraneita' e aveva omesso di argomentare in ordine all'esistenza di comportamenti di fatto dimostrativi di adesione connotata da irrevocabilita', alla luce dell'assenza di rapporti e della riconosciuta inimicizia tra il (OMISSIS) e gli (OMISSIS). In questa cornice di riferimento, l'articolazione del motivo sottopone a critica gli argomenti valorizzati dalla sentenza impugnata, ossia: a) il rapporto tra (OMISSIS), (OMISSIS) e il (OMISSIS); b) il significato delle conversazioni del 30 agosto 2016 e del 15 luglio 2016; c) l'intervento richiesto al (OMISSIS) in relazione alle condotte del fratello (OMISSIS); d) l'asserito impiego del (OMISSIS), da parte di (OMISSIS), per i suoi rapporti con (OMISSIS); e) la dazione mai dimostrata - e comunque irrilevante - di denaro in favore dello zio detenuto; f) la detenzione di armi da parte dell'imputato. Per altro verso, si denuncia la mancata considerazione degli elementi favorevoli indicati dalla difesa (ad es., la conversazione del 30 agosto 2016, progr. 1390). Con una terza articolazione si lamenta l'assenza nella sentenza impugnata di qualunque valutazione sulla credibilita' e attendibilita' intrinseca del collaboratore (OMISSIS) - sentito per la prima volta durante il giudizio di secondo grado - che la Corte d'appello si era limitata ad affermare, peraltro valorizzando l'assenza di censure difensive della difesa, laddove essa, prendendo comunque atto che l'articolo 192, comma 3, c.p.p. muove da un sospetto di inattendibilita' del dichiarante - avrebbe dovuto confrontarsi con il controesame che aveva fatto emergere la genericita', incostanza, imprecisione delle risposte del collaboratore. Con un'ultima articolazione si lamenta il carattere assertivo della motivazione in tema di elemento soggettivo, richiamando contributi materiali alla vita associativa in ordine ai quali non viene fornita alcuna indicazione. 15.2. Con il secondo motivo (indicato per mero errore materiale con il numero romano I), si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge in relazione all'affermazione di responsabilita' per i reati di cui ai capi B) e C), rispettivamente di illegale detenzione e porto in luogo pubblico cli una pistola e di un fucile mitragliatore Kalashnikov, rilevando che le conversazioni valorizzate erano viziate dalle strategie e dallo stato di alterazione mentale di (OMISSIS). Con una distinta articolazione si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p., gia' esclusa in sede cautelare e fondata, nella sentenza impugnata, sul riferimento di (OMISSIS) a "nostre cose", in realta' indicativo della titolarita' del possesso e non del fine agevolativo del sodalizio. 15.3. Con il terzo motivo (indicato con il numero romano II) si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione all'affermazione di responsabilita' per il capo A7). In sintesi e per quanto qui rileva, si tratta del delitto di cui agli articoli 110 c.p., 12 quinquies Decreto Legge 8 giugno 1992, n. 306, conv. con L. 12 agosto 1992, n. 356), per avere, in concorso con (OMISSIS), al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali, attribuito fittiziamente a quest'ultimo la titolarita' dell'impresa individuale "(OMISSIS) di (OMISSIS)", occultando il ruolo di socio, gestore e titolare di fatto del (OMISSIS) e del socio (OMISSIS) e dissimulando la percezione, da parte dello stesso (OMISSIS), dei relativi profitti e la titolarita' del beni aziendali. Si osserva che la sentenza non motiva sul timore del (OMISSIS) di vedersi applicare misure di prevenzione patrimoniale e sulla necessita' di individuare beni o investimenti suscettibili di essere oggetto di ablazione in quarto di provenienza illecita. D'altra parte, si osserva, la Corte territoriale non aveva tenuto conto ne' del fatto che il (OMISSIS) aveva riconosciuto, in sede di interrogatorio di garanzia, di gestire l'impresa intestata alla moglie, ne' del fatto che il (OMISSIS), nonostante la contraria, indimostrata affermazione della Corte d'appello, non era affatto incensurato. 15.4. Con il quarto motivo (indicato con il numero romano III) si denuncia violazione dell'articolo 99, comma 4, c.p., per avere la Corte territoriale trascurato di considerare che i precedenti per ricettazione e detenzione di esplosivo risalivano ai primi anni del 2000 e che l'ingresso del (OMISSIS) nell'associazione si e' ritenuto risalente al 1990. La Corte territoriale avrebbe pertanto dovuto porsi il problema dell'applicazione della recidiva reiterata ad un fatto di reato - quello di partecipazione - ritenuto consumato prima della commissione degli altri delitti. 15.5. Con il quinto motivo (indicato con il numero romano IV) si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, sia in relazione all'applicazione della recidiva di cui all'articolo 99, comma 4, c.p. sia in relazione all'aumento di pena irrogato a tale titolo, per avere la Corte territoriale ritenuto irrilevante l'estinzione del reato (e degli effetti penali) per il quale era stata applicata in precedenza la recidiva, a seguito dell'esito positivo dell'affidamento in prova. 15.6. Con il sesto motivo (indicato con il numero romano V) si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, per avere la Corte d'appello omesso di argomentare in relazione agli aumenti a titolo di continuazione. 15.7. Con il settimo motivo (indicato con il numero romano VI) si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, fondata sulla mancata allegazione di elementi positivi, che, al contrario, emergevano dalle certificazioni le quali escludevano l'assenza di lavori svolti per soggetti pubblici e privati dall'impresa del (OMISSIS). La Corte territoriale neppure aveva considerato che il (OMISSIS) si era trovato a vivere in un contesto difficile per i problemi di stupefacenti dei fratelli e per la personalita' degli zii. 15.8. Con l'ottavo motivo (indicato con il numero romano VII) si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis, comma 4, c.p., dal momento che l'unitarieta' della âEuroËœndrangheta non riguarda l'organizzazione e le scelte delle singole articolazioni; in ogni caso, non era stato dimostrato che le eventuali armi detenute fossero state messe a disposizione della cosca (OMISSIS). 16. Ricorso (OMISSIS); 16.1. Con il primo motivo, concernente, come i tre successivi, l'affermazione di responsabilita' per il reato associativo di cui al capo A) si lamenta violazione di legge per indeterminatezza del capo di imputazione, che non aveva indicato l'articolazione di appartenenza dell'imputato, in tal modo impedendo lo svolgimento di un'attivita' difensiva calibrata rispetto ad un ben delineato campo di azione della fattispecie associativa e consentendo di fondare l'affermazione di responsabilita' sulla presenza di elementi eterogenei dimostrativi del fatto che il ricorrente frequentava soggetti storicamente riconducibili alle consorterie mafiose. 16.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, per avere la Corte territoriale omesso di cogliere come le dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) escludevano l'intraneita' del ricorrente, pur confermando la contiguita' tra le cosche reggine e il servizio di guardiania notturna. 16.3. Con il terzo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, sottolineando: a) il travisamento del contenuto delle dichiarazioni del (OMISSIS), quale sopra riassunto; b) l'erroneita' di avere colto una convergenza tra le dichiarazioni del (OMISSIS) e quelle del (OMISSIS), che aveva riferito, non dell'attivita' di buttafuori del (OMISSIS) (oggetto del narrato del (OMISSIS)), ma di attivita' estorsive nei cantieri di (OMISSIS), ossia di condotte oggettivamente diverse anche per l'ambito territoriale di svolgimento; c) l'erronea individuazione del movente dell'aggressione di cui al capo di imputazione Z, da cogliersi, alla stregua delle stesse dichiarazioni del teste (OMISSIS), in dinamiche di tipo personale, in nulla concernenti il tema del prestigio della âEuroËœndrangheta. 16.4. Con il quarto motivo si lamentano vizi motivazionali, in relazione alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis, comma 4, c.p., nonostante l'assoluzione dal reato di cui al capo A2 (rette: Al), la mancata specificazione della cosca di ritenuta appartenenza e, infine, la non attribuibilita' al (OMISSIS) dei reati in materia di armi di cui ai capi B), C) e D). 16.5. Con il quinto motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 7 Decreto Legge 152 del 1991, conv. con L. n. 203 del 1991, tornando a sottolineare il movente di carattere personale sotteso ai fatti di cui al capo Z). 16.6. Con il sesto motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione alla ritenuta sussistenza della recidiva e al diniego delle circostanze attenuanti generiche. 17.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione all'affermazione di responsabilita' per i reati di cui ai capi I) e L). Si tratta delitto di cui agli articoli 110, 56, 629, comma 2, in relazione all'articolo 628, comma 3, n. 3, c.p. e 7 Decreto Legge 152 del 1991, conv. con L. n. 203 del 1991, per avere, in concorso con altri, con minaccia e violenza, posto in essere atti idonei in modo non equivoco a costringere (OMISSIS), socio amministratore della societa' (OMISSIS) di (OMISSIS) e C. s.n.c., a non aprire l'esercizio commerciale denominato "(OMISSIS)" (capo I) del delitto, al primo avvinto dalla connessione teleologica, di cui agli articoli 110, 61, n. 2, 424, c.p., e 7 Decreto Legge 152/71, per avere in concorso con altre persona non identificate, appiccato (o incaricato terzi di appiccare) il fuoco per danneggiare la saracinesca dei magazzino condotto in locazione dal menzionato (OMISSIS), facendo sorgere il pericolo di incendio (capo L). Si lamenta che la Corte territoriale abbia confermato la decisione di primo grado sulla base di mere congetture (correlate alla duplice veste del (OMISSIS) di gestore della pizzeria (OMISSIS) e di rappresentate della cosca di (OMISSIS)), senza considerare le argomentazioni che, in sede cautelare, avevano condotto ad escludere la sussistenza della gravita' indiziaria e, in particolare, il fatto che ne' la persona offesa ne' le altre persone sentite a sommarie informazioni testimoniali avevano mai fatto riferimento all'imputato. Con una distinta articolazione la denuncia di vizi motivazionali e violazione di legge viene prospettata in relazione alla ritenuta sussistenza delle circostanze aggravanti di cui all'articolo 628, comma 3, n. 1 e 3, c.p., pur in assenza di una verifica della sussistenza dei relativi presupposti. 17.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione all'affermazione di responsabilita' per il reato associativo di cui al capo A), pur in assenza del raggiungimento della soglia dell'oltre ogni ragionevole dubbio e di individuazione del concreto contributo fornito dall'imputato al sodalizio. Secondo il ricorrente, la Corte territoriale aveva omesso di affrontare le censure prospettate con l'atto di appello, con le quali si criticava la scarsa chiarezza delle comunicazioni intercettate e poste a fondamento della condanna e la mancata considerazione di letture alternative del loro contenuto. Con una distinta articolazione (che, per mera precisione, si sottolinea recare il numero 11.3, pur in assenza di qualunque doglianza individuata con il numero 11.2), si lamenta, in particolare, che i giudici di merito, incuranti dei principi di materialita' e di offensivita', non avevano individuato alcuna condotta materiale idonea a rivelare il ruolo dinamico e funzionale del partecipe al sodalizio criminale. Si osserva: a) che, in tale prospettiva, era insufficiente una non meglio definita pericolosita' delle relazione del (OMISSIS) con altri soggetti di interesse investigativo ( (OMISSIS) e (OMISSIS), in relazione, quanto a quest'ultimo, al mantenimento in carcere); b) che la Corte d'appello non aveva motivato in relazione: b1) ai rilievi difensivi con i quali si sosteneva che l'attivita' di buttafuori del (OMISSIS) era un dato privo di rilievo, essendo emerso dalle risultanze istruttorie che il settore non rientrava tra quelli di interesse della cosca (OMISSIS), come confermato anche dalle pronunce di legittimita' rese in sede cautelare; b2) alle considerazioni relative all'equivocita' dei dati tratti dalle relazioni con (OMISSIS), che non consentivano l'emersione di dati rilevatori del contributo alle dinamiche associative; b3) al fatto che la conversazione del 16 marzo 2016, avente ad oggetto il mantenimento in carcere del (OMISSIS), dimostrava piuttosto l'estraneita' dell'imputato ai circuiti mafiosi; b4) al rilievo per cui la mera conoscenza di dinamiche mafiose non giustificava l'addebito di partecipazione; c) che significativamente nei processi che avevano riguardato la cosca (OMISSIS) non era mai emerso il (OMISSIS); d) che i dati istruttori rivelano non la conoscenza, da parte del ricorrente, dei sodali, ma la relazione occasionale con alcuni dei presunti partecipi. Con ulteriore articolazione si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis, comma 4, c.p., rilevando che la Corte d'appello si era sottratta alla critiche sviluppate in sede di gravame. In sintesi, si osserva: a) che il possesso di alcune armi da parte del singolo non giustifica un addebito di disponibilita' di armi in capo all'associazione: b) che la sentenza impugnata aveva erroneamente sovrapposto la âEuroËœndrangheta unitaria e in via di formazione contestata agli imputati con le associazioni mafiose storiche, giungendo, peraltro, a presumere che tutti gli imputati condannati facciano parte della medesima struttura e tutti abbiano la disponibilita' di armi; c) che la disponibilita' di armi da parte di un singolo, il (OMISSIS), e poche intercettazioni tra i medesimi interlocutori, che non parlano mai di armi, non consentono di ritenere dimostrata la disponibilita' di queste ultime in capo a tutti i consociati. 17.3. Con il terzo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione all'affermazione di responsabilita' per il reato di cui al capo D), ossia per avere, in concorso con (OMISSIS), nel frattempo deceduto, illegalmente detenuto e portato in luogo pubblico, trasportandola a bordo della propria autovettura, un'arma comune da sparo, ossia una pistola cal. 9. Rileva il ricorrente che del tutto apoditticamente la Corte territoriale aveva fondato il giudizio di colpevolezza sulle intercettazioni del 27 marzo 2016 e del 28 maggio 2016, nelle quali non si parla mai di armi, senza riuscire a spiegare come si fosse giunti ad identificare nei rumori ascoltati l'apertura di una culatta e di un otturatore. Con riguardo alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 7 Decreto Legge 152 del 1991, si aggiunge che la sentenza impugnata non aveva illustrato in che modo la presunta detenzione dell'arma potesse aver agevolato la cosca. 17.4. Con il quarto motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione all'affermazione di responsabilita' per il delitto di cui al capo C, ossia per avere costituito e organizzato un'associazione a delinquere finalizzata allo scopo di commettere delitti di scommesse abusive e di competizioni non autorizzate di animali. Con una prima articolazione si lamenta la carenza degli elementi oggettivi del reato, non essendo emersa la dimostrazione della struttura organizzativa del reato associativo, idonea a distinguere il reato associativo dal concorso di persone nel reato continuato. Con una seconda articolazione si lamenta l'attribuzione al (OMISSIS) dei ruoli, tra loro incompatibili, di promotore e organizzatore, senza peraltro che la Corte territoriale riuscisse a indicare le emergenze processuali idonee a integrare tali ruoli, anche perche' nessuna delle condotte attribuite all'imputato riusciva a dimostrare l'infungibilita' dell'apporto all'associazione. Con una terza articolazione si critica la sentenza impugnata per non essere caduta nell'errore che aveva dichiarato di voler evitare: ricavare il ruolo rivestito nell'ambito associativo dalle singole condotte contestate nei reati-fine. In realta', si osserva, non era emerso uno stabile ruolo dinamico-funzionale, dal momento che la frequentazione dei presunti sodali era stata sporadica, circoscritta sul piano temporale e territoriale, limitata ad alcuni soltanto dei membri dell'associazione. Con ulteriore articolazione si lamenta il carattere apparente della motivazione dedicata dalla Corte territoriale alla sussistenza dell'elemento psicologico del reato. 17.5. Con il quinto motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione al delitto di cui al capo Z, sopra descritto sub 13.1, criticando ancora una volta l'elusione delle censure sviluppate con l'atto di appello, a proposito del fatto: a) che nessuna delle persone offese avesse identificato quale uno degli aggressori il (OMISSIS), la cui identificazione era stata affidata dai giudici di merito alla visione di alcuni fotogrammi che non riprendevano perfettamente l'effigie e soprattutto il momento nel quale era stato esploso il colpo di pistola; b) che, anche a voler condividere il riconoscimento, esso riguardava una persona presente alle 6,24 mentre l'esplosione dei colpi di pistola era avvenuta alle 6,21. 17.6. Con il sesto motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione all'affermazione di responsabilita' per il capo Al), ossia per avere illegalmente detenuto e portato in luogo pubblico una pistola calibro 7.65, utilizzata nell'aggressione di cui al capo Z, reiterando il rilievo dell'assenza di prova che il soggetto coinvolto in quest'ultimo episodio fosse il (OMISSIS). 17.7. Con il settimo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 7 Decreto Legge n. 152 del 1991, con riguardo ai reati di cui ai capi Z e Al, per non avere la Corte indicato per quale ragione gli illeciti avrebbero agevolato l'associazione e per quale motivo sarebbe ravvisabile l'utilizzo del metodo mafioso. 17.8. Con l'ottavo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione al diniego delle circostanze attenuanti di cui all'articolo 62-bis c.p., rilevando che la valorizzazione degli stessi elementi desunti dall'articolo 133 c.p. comporta una violazione del ne bis in idem, ossia una duplice valutazione delle medesime circostanze in danno dell'imputato. 17.9. Con il nono motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, per non avere la Corte territoriale fornito alcuna giustificazione in relazione agli aumenti per continuazione. 18. Ricorso (OMISSIS) 18.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione all'affermazione di responsabilita' per il reato di cui al capo Z). Si rileva: a) che i giudici di appello si erano limitati a ripercorrere la ricostruzione del Tribunale, senza considerare le doglianza difensive e le stesse argomentazioni sviluppate dalla Corte di cassazione, in sede cautelare; b) che il (OMISSIS), sin dall'interrogatorio di garanzia, aveva ammesso di essere stato presente a (OMISSIS) il (OMISSIS), ma di non avere partecipato al pestaggio, come del resto emergeva dalle videoriprese, ne' di avere rafforzato l'altrui proposito criminoso ne' di essere a conoscenza del progetto di pestaggio e del fatto che taluno di coloro che stavano partecipando alla spedizione punitiva fosse armato. Si aggiunge che solo apoditticamente la Corte territoriale aveva ritenuto che il (OMISSIS) potesse aver rivolto un messaggio intimidatorio alla donna presente sul luogo dei fatti (la quale nulla aveva riferito in tal senso) e solo omettendo un attento esame delle videoriprese poteva aver ritenuto attendibili le dichiarazioni di Marco e (OMISSIS). Peraltro, anche le dichiarazioni rese dal coimputato (OMISSIS) nel corso dell'interrogatorio di garanzia, confermano che la decisione del (OMISSIS) di raggiungere gli altri sul posto fu estemporanea e non preceduta da un previo accordo. Con distinta articolazione si contesta la sussistenza dei presupposti della circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis.l. c.p., per non avere la Corte territoriale spiegato in che modo il reato di cui al capo Z abbia agevolato il sodalizio 18.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione al mancato riconoscimento, in favore del (OMISSIS), delle circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti. 19. Ricorso (OMISSIS) 19.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione all'affermazione di responsabilita' per il delitto di cui al capo Z), per avere la Corte, senza illustrarne le ragioni, anticipato l'orario dell'aggressione, al fine di renderla compatibile con la presenza del (OMISSIS) e con i suoi successivi spostamenti, anch'essi ipotizzati in assenza di qualunque sostegno argomentativo. Al contrario, la presenza del (OMISSIS) in (OMISSIS), ammessa dallo stesso imputato, era confermata dalle riprese della telecamera installata presso il circolo (OMISSIS) e non da quelle della telecamera installata presso lo (OMISSIS) ma era limitata all'accompagnamento del (OMISSIS) e di altro soggetto: dopo di che il (OMISSIS) si era allontanato e non aveva piu' fatto ritorno sul luogo del delitto. 19.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche e alla dosimetria della pena. 19.3. Con il terzo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 7 Decreto Legge 152 del 1991, per avere la Corte d'appello omesso di specificare in base a quali considerazioni abbia ritenuto sussistente l'impiego del metodo mafioso. 20. Ricorso (OMISSIS); 20.1. Con l'unico motivo di ricorso si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, svolgendo considerazioni sostanzialmente sovrapponibili a quelle di cui al terzo motivo del ricorso del (OMISSIS), cui si aggiungono rilievi in relazione al dolo specifico del fittizio intestatarmo. 21. Ricorso (OMISSIS); Con l'unico motivo di ricorso, si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione all'affermazione di responsabilita' per il reato di cui al capo A9). Si tratta del delitto di cui agli articoli 99, 633 e 639-bis c.p., contestato a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), perche', in concorso tra loro, rispettivamente nelle qualita' di proprietario degli immobili, di locatario degli stessi e di titolare della cd. "scuderia (OMISSIS) ", occupavano senza titolo una porzione di mq 66 x 6,50 medio di terreno demaniale chiudendolo con recinzione metallica, costruendovi sulla superficie n. 2 paddocks per i cavalli, nonche' un pollaio. Al riguardo, si insiste nel sostenere che non ricorrerebbe il requisito dell'invasione: a) non potendo i due paddock essere considerati una struttura impiantata nel suolo, alla luce della loro agevole amovibilita'; t" mancando una delimitazione idonea ad identificare l'area come demaniale e, in definitiva, a sorreggere la consapevolezza dello sconfinamento, richiesta per la sussistenza del dolo; c) che, quanto al pollaio, esso esisteva sin da prima del 2009 ossia da data antecedente alla conclusione del contratto di locazione; d) che non integra il delitto de quo la condotta di chi continui a possedere un bene altrui per essere subentrato nel possesso di esso; e) inutilmente si era segnalato alla Corte che il diritto d'uso e di godimento dei beni dei quali si tratta era da tempo compromesso, a conferma dell'assoluto disinteresse del Comune rispetto agli stessi. CONSIDERATO IN DIRITTO (OMISSIS); I ricorsi proposti nell'interesse di (OMISSIS) sono inammissibili. 1.11 secondo e il quinto motivo di ricorso dell'atto sottoscritto dall'avv. (OMISSIS) e il primo, il terzo e il quarto e quinto motivo del ricorso a firma dell'avv. (OMISSIS) - da trattarsi congiuntamente in quanto tutti relativi alla fattispecie associativa di cui al capo A) - sono manifestamente infondati non confrontandosi con la giurisprudenza di questa Corte e con i contenuti della sentenza impugnata. Sono altresi' generici, nella parte in cui si limitano a riprodurre le medesime censure a cui ha dato risposta la sentenza impugnata, fornendo una interpretazione alternativa in fatto delle risultanze ivi contenute, rivalutazione preclusa in sede di legittimita'. 1.1.Quanto alla sussistenza della fattispecie associativa (secondo motivo del primo ricorso e primo e terzo del secondo ricorso), la sentenza impugnata ha puntualmente disatteso le doglianze difensive (p.151) allorquando ha chiarito, con motivazione logica, non contraddittoria e insindacabile nel merito che la associazione in questione e' strutturata su tre livelli, essendo emersa l'operativita' di piu' articolazioni della âEuroËœndrangheta nella citta' di (OMISSIS) interagenti e federate "operanti in un contesto organizzativo e funzionale unitario", sulla base di accertamenti giudiziari passati in cosa giudicata. La articolazione del quartiere di (OMISSIS) e territori limitrofi nell'ambito della quale operava (OMISSIS) fa parte dell'articolazione territoriale nota come cosca (OMISSIS) federata allo schieramento condelliano sin dalla seconda guerra di mafia e operante nei quartieri di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). L'impianto accusatorio e' fondato sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia i quali, contrariamente a quanto lamentato nel ricorso, sono stati attentamente valutati nella loro attendibilita' da parte della Corte territoriale: (OMISSIS) ha chiarito che la cosca (OMISSIS) era autonoma sin dagli anni duemila e i rapporti con i (OMISSIS) erano molto stretti; (OMISSIS) ha affermato che (OMISSIS) era il capo degli zingari di (OMISSIS) che (OMISSIS) aveva affiliato alla sua cosca; (OMISSIS) ha indicato il ricorrente come "il perno di (OMISSIS)" e di tutte le attivita' illecite ivi svolgentesi; il (OMISSIS) ha ribadito i forti legami con il (OMISSIS). 1.1.1. Le conversazioni telefoniche sono state valorizzate in quanto indici rivelatori univoci della fattispecie associativa: -il mantenimento economico di (OMISSIS) (boss detenuto), espressione incontestabile dell'esistenza di un'affectio sodetatis che implica mutuo soccorso tra gli affiliati; - lo spaccio di stupefacente; - le estorsioni di (OMISSIS) (sul punto la Corte territoriale ha chiaramente e logicamente disatteso la versione alternativa lecita di tali pagamenti); - la spedizione armata di quindici zingari di (OMISSIS) al deposito (OMISSIS) di (OMISSIS). 1.1.2. Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa dei ricorrenti, la sentenza impugnata ha logicamente ed esaustivamente motivato in ordine alla attendibilita' di (OMISSIS) uno dei principali interlocutori nel corso delle conversazioni e di cui la difesa ha sempre contestato la tenuta logica delle dichiarazioni in quanto soggetto dipendente dall'abuso di alcool e stupefacenti. Con motivazione non censurabile in quanto logica e non contraddittoria la Corte sullo specifico punto ha chiarito che: - in ragione dell'elevato numero delle conversazioni in cui il (OMISSIS) interloquisce non si puo' certo ipotizzare che egli fosse sempre e in ogni occasione costantemente ubriaco; - il contenuto e il tenore delle conversazioni e' logico, coerente e circostanziato e la risposta del suo interlocutore rivela attenzione e credibilita' nelle sue parole; - i riferimenti operati dal (OMISSIS) nelle conversazioni sono circostanziati e specifici; - le conversazioni ambientali rivelano una maggiore spontaneita' in quanto come dallo stesso riferito, i telefoni possono essere sottoposti ad intercettazione. 1.2. La nozione di "partecipazione" non solo implica un organico e stabile inserimento nella struttura organizzativa dell'associazione mafiosa, ma comporta anche, all'interno di essa, l'assunzione di un ruolo effettivo e, in attuazione dei vincoli assunti, l'adempimento dei compiti funzionali al raggiungimento degli scopi perseguiti dal sodalizio e la disponibilita' per le attivita' organizzate dal medesimo. Ne consegue che, sul piano della dimensione probatoria della partecipazione, rilevano tutti gli indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalita' di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi il nucleo essenziale della condotta partecipativa, e cioe' la stabile compenetrazione del soggetto nel tessuto organizzativo del sodalizio. Tale inserimento deve dimostrarsi idoneo, per le caratteristiche assunte nel caso concreto, a dare luogo alla "messa a disposizione" del sodalizio stesso, per il perseguimento dei comuni fini criminosi. L'affiliazione rituale puo' costituire indizio grave della condotta di partecipazione al sodalizio, ove risulti - sulla base di consolidate e comprovate massime di esperienza - alla luce degli elementi di contesto che ne comprovino la serieta' ed effettivita', l'espressione non di una mera manifestazione di volonta', bensi' di un patto reciprocamente vincolante e produttivo di un'offerta di contribuzione permanente tra affiliato e associazione (Da ultimo sull'articolo 416-bis c.p.: Sez. U. n. 36958 del 27 maggio 2021, Modaffari; Sez. U., n. 33748 del 12 luglio 2005; Sez. U., n. 22327 del 30 ottobre 2002; Sez. U., n. 30 del 27 settembre 1995; Sez. U., n. 16 del 5 ottobre 1994). 1.3. La Corte d'appello di (OMISSIS) ha correttamente applicato i principi sinora illustrati. Alla luce di siffatta ricostruzione risulta, pertanto, adeguatamente giustificata la giuridica sussistenza della partecipazione di (OMISSIS), fondata non gia' su di una generica attribuzione di affiliazione, bensi' sulla dimostrazione indiziaria di un effettivo contributo prestato in favore del clan, in linea con il principio per cui la partecipazione associativa postula un rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare non gia' uno "status" di appartenenza, bensi' un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l'agente "prende parte" al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell'ente per il perseguimento dei comuni fini (Sez. 5, n. 45840 del 14/06/2018, M., Rv. 274180, che riprende ed attualizza i principi espressi da Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231670; N. 12554 del 2016, Rv. 267418; N. 6882 del 2016, Rv. 266064). 1.4 Manifestamente infondata e' la doglianza relativa alla violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza con riferimento alla insussistenza di un'autonoma cosca (OMISSIS), da ritenersi piuttosto un'articolazione territoriale della Cosca (OMISSIS) come ben chiarisce la giurisprudenza di questa Corte allorquando afferma che: "Non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza la decisione con cui l'imputato, rinviato a giudizio per partecipazione ad associazione mafiosa, sia condannato per aver preso parte ad un diverso sodalizio, pur dotato di autonomia operativa, in rapporto di subordinazione con la stessa organizzazione criminale, non determinandosi una trasformazione radicale o sostituzione delle condizioni che integrano gli elementi costitutivi dell'addebito associativo. (Sez. 1, n. 15560 del 09/03/2022,, Rv. 282968). 1.5 Il quarto motivo del secondo ricorso e' anch'esso manifestamente infondato dal momento che la posizione apicale e il ruolo di promotore del (OMISSIS) e' ampiamente e logicamente motivata. Sul punto la sentenza impugnata chiarisce (p.153) che la posizione apicale si ricava da specifici episodi, quali la reazione dei suoi uomini la sera del 30 agosto 2016 allorquando a fronte delle minacce ricevute dal (OMISSIS), gli assicurano tutela o' e sicurezza; le conversazioni in cui vanta con il (OMISSIS) di avere a disposizione "i suoi zingari", le dichiarazioni dei collaboratori. La motivazione e' immune da vizi dal momento che la giurisprudenza di questa Corte si e' spesso soffermata sulla interpretazione da fornire ai termini di capi, promotori o organizzatori in una fattispecie associativa: "Nel reato di associazione per delinquere "capo" e' non solo il vertice dell'organizzazione, quando questo esista, ma anche colui che abbia incarichi direttivi e risolutivi nella vita del gruppo criminale e nel suo esplicarsi quotidiano in relazione ai propositi delinquenziali realizzati. (Nella fattispecie, sono stati ritenuti sussistenti gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all'articolo 416-bis, comma 2, c.p. a carico dell'indagato che risultava svolgere il ruolo di risolutore di controversie di portata rilevante, in materia di assegnazione di zone di competenza, per la realizzazione di lavori edili ed attivita' di "movimento terra"). (Di recente ex multis, Sez. 2, n. 7839 del 12/02/2021, Rv. 280890.Conf. altresi' n. 10040 del 1987). 1.6. Manifestamente infondati risultano i motivi di ricorso che censurano il riconoscimento della circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis, comma 4, c.p., sulla disponibilita' in armi dell'associazione. La sentenza impugnata individua le risultanze probatorie che premettono di qualificare l'associazione in esame quale sodalizio armato e, dunque, aggravato ai sensi dell'articolo 416-bis, comma 4, c.p.. La giurisprudenza di questa Corte, sullo specifico punto, ha chiarito che "In tema di associazione per delinquere di stampo mafioso, la circostanza aggravante della disponibilita' di armi, prevista dall'articolo 416-bis, comma 4, c.p., e' configurabile a carico di ogni partecipe che sia consapevole del possesso di armi da parte degli associati o lo ignori per colpa, per l'accertamento della quale assume rilievo anche il fatto notorio della stabile detenzione di tali strumenti di offesa da parte del sodalizio mafioso. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurabile l'aggravante sia per la notorieta' della disponibilita' delle armi da parte dell'associazione camorristica sia per l'essere stato l'imputato arrestato con altro esponente del sodalizio per detenzione di armi). (Sez. 2, n. 50714 del 07/11/2019, Rv. 278010). 1.6.1. Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente secondo il quale non vi e' prova che agli abbia mai avuto consapevolezza e/o utilizzato e/o ignorato per colpa la disponibilita' in armi in capo alla cosca, la sentenza con motivazione logica e non contraddittoria valorizza: - L'aggressione armata di cui ai capi Z e Al; - La contestazione di numerosi reati scopo in materia di armi; - Le intercettazioni che rivelano che i (OMISSIS) avevano la disponibilita' di armi ed erano armati durante gli incontri. 1.7. Manifestamente infondati risultano i motivi dedotti con riferimento alla fattispecie associativa di cui al capo M) finalizzata alla detenzione spaccio di stupefacente (Primo, secondo e quarto motivo del primo ricorso e secondo motivo del secondo ricorso). Anche in tal caso il ricorso non si confronta con la sentenza impugnata che sullo specifico punto ha motivato sulla esistenza dell'associazione contestata e sulla partecipazione. 1.7.1.La sentenza impugnata infatti fornisce adeguata risposta alle incongruenze e contraddittorieta' rilevate dalla difesa in relazione al ruolo effettivamente svolto dal (OMISSIS) all'interno della associazione: (OMISSIS) ricopriva lo specifico ruolo di fornitore dello stupefacente a (OMISSIS) e spacciava a sua volta a mezzo di suoi pusher. Le due condotte risultano perfettamente conciliabili dal momento che il rifornimento abituale del ricorrente all'associazione di (OMISSIS) lo rende inserito e partecipe con un compito determinante per la associazione medesima, ma non esclude la possibilita' che lo stesso ceda sostanza stupefacenti attraverso un diverso canale attraverso suoi pusher. Immune da vizi motivazionali appare la sentenza impugnata sul punto allorquando (p.155) richiama i contributi dichiarativi convergenti dei collaboratori di giustizia (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che lo descrivono come fornitore di grossi quantitativi di sostanza stupefacente. La Corte territoriale affianca alla narrazione dei collaboratori le conversazioni che il (OMISSIS) intrattiene nel giugno, luglio, agosto 2016 con diversi interlocutori che testimoniano l'esistenza di uno stabile e reciproca collaborazione, di un vincolo sinallagmatico fondato su un patto di messa a disposizione su necessita' della sostanza illecita, ma non di competizione e di una organizzazione fondata su distinzione di ruoli e di una ripartizione cittadina dello stupefacente nei quartieri di (OMISSIS) e di (OMISSIS). 1.8. Manifestamente infondato anche il motivo che censura la sentenza impugnata per avere fondato la penale responsabilita' del ricorrente sulla base unicamente di conversazioni telefoniche e ambientali senza ca'e vi siano stati sequestri di stupefacente o arresti in flagranza a conferma del commercio di stupefacente. 1.8.1In proposito va ricordato, diversamente da quanto si sostiene in ricorso, che questa Corte di legittimita' ha chiarito come, in tema di stupefacenti, qualora gli indizi a carico di un soggetto consistano nelle dichiarazioni captate nel corso di operazioni di intercettazione senza che sia operato il sequestro della sostanza stupefacente (la c.d. droga parlata), la loro valutazione, ai sensi dell'articolo 192, comma 2, c.p.p., deve essere compiuta dal giudice con particolare attenzione e rigore e, ove siano prospettate piu' ipotesi ricostruttive del fatto, la scelta che conduce alla condanna dell'imputato deve essere fondata in ogni caso su un dato probatorio "al di la' di ogni ragionevole dubbio", caratterizzato da un alto grado di credibilita' razionale, con esclusione soltanto delle eventualita' piu' remote. (ex multis Sez.4, n. 20129 del 25/06/2020, De Simone, Rv.279521). Ebbene, tale attenta valutazione nel caso in esame, non solo risulta essere avvenuta come si ricava dalle argomentate valutazioni delle singole conversazioni allorquando gli interlocutori indicavano lo stupefacente utilizzando un linguaggio convenzionale; le conversazioni hanno altresi' trovato fotografato momenti in cui il linguaggio era esplicito e si riferiva all'attivita' dei (OMISSIS) (conv. Del 16 luglio 2016 p.155). Il ricorso propone, al riguardo, una generica rilettura del contenuto delle intercettazioni, ma omettendo di confrontarsi con il principio per cui e' possibile, in sede di legittimita', prospettare un'interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ossia nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformita' risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, Di Maro, Rv. 272558 N. 38915 del 2007 Rv. 237994, N. 11189 del 2012 Rv. 252190, N. 7465 del 2013 Rv. 259516) A fronte della precisione, completezza e intima coerenza dell'iter argomentativo sviluppato dal Giudice, il ricorso si risolve nella sollecitazione di una diversa valutazione su aspetti squisitamente di merito, non consentita in questa sede. Di guisa che, nel prospettare una interpretazione minimalista delle fonti di prova, il ricorrente si limita a ripercorrere i fatti e ad offrirne una lettura alternativa, mentre dal testo della sentenza impugnata non e' dato ravvisare alcuna disarticolazione del ragionamento probatorio, con il quale si omette il confronto (Sez. un. 8825 del 27/10/2016, Galtelli, Rv. 268822), prospettando una diversa concludenza delle prove e sostanzialmente richiedendo, in questa sede, una inammissibile rivalutazione dei fatti e dei dati dimostrativi (ex multis Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D'Ippedico, Rv. 271623). 1.9. Manifestamente infondato anche il motivo che censura la sentenza impugnata per il mancato riconoscimento della ipotesi di cui all'articolo 74 dp.r. 309/90 comma 6 atteso che anche in tal caso la sentenza offre una motivazione coerente con i principi fissati dalla giurisprudenza di questa Corte sul punto: "In tema di stupefacenti, la fattispecie associativa prevista dall'articolo 74, comma 6, Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e' configurabile a condizione che i sodali abbiano programmato esclusivamente la commissione di fatti di lieve entita', predisponendo modalita' strutturali e operative incompatibili con fatti di maggiore gravita' e che, in concreto, l'attivita' associativa si sia manifestata con condotte tutte rientranti nella previsione dell'articolo 73, comma 5, Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990. (Fattispecie in cui la Corte ha confermato la condanna per l'associazione minore, evidenziando che il sodalizio si riforniva di eroina, sempre presso gli stessi fornitori, per quantitativi non eccedenti i 100 gr. per volta, in quanto non aveva capacita' finanziaria per acquisti maggiori, che non spacciava sostanze di tipo diverso, che non aveva, sul territorio di riferimento, una posizione di controllo del mercato, che presentava un organigramma estremamente ridotto e che gli associati erano gia' stati condannati in primo grado per fatti di droga di lieve entita'). (Sez. 6, n. 1642 del 09/10/2019, (2020) Rv. 278098). 1.9.1 La Corte territoriale ha infatti individuato dal compendio probatorio caratteristiche dell'associazione incompatibili con quelle descritte nella richiamata sentenza avendo il ricorrente unitamente agli altri partecipi praticato l'attivita' di spaccio, con costanza e abitualita'(" trattano droga dalla mattina alla sera"), ravvisandosi altresi' la stabilita' dei rifornimenti, i guadagni percepiti e la esistenza di una cassa comune, indici rivelatori di una complessa e collaudata attivita' di significative dimensioni in grado di incidere sugli assetti della criminalita' sul territorio in materia di spaccio di stupefacente. 1.10 Manifestamente infondato risulta il motivo formulato in relazione alla assenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 74 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 comma 4 c.p.. 1.10.1.Con riferimento alla esclusione della circostanza di cui all'articolo 74 comma 4 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, la sentenza impugnata ha chiarito come l'associazione fosse dotata di armi utilizzate per le attivita' illecite poste in essere stigmatizzando la espressione di (OMISSIS), il quale in una conversazione afferma: "qualche giorno ci ammazzano e ci ammazzano con le nostre cose". Che la circostanza aggravante sia riconoscibile anche per l'associazione dedicata allo spaccio di stupefacente lo chiarisce la Corte territoriale richiamando al riguardo sempre le indicazioni di questa Corte, richiamate nella sentenza impugnata, e ribadite da pronunzie anche piu' recenti secondo cui: "In tema di reati concernenti gli stupefacenti, la circostanza aggravante dell'associazione armata, prevista dall'articolo 74, comma 4, Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, diversamente da quella analoga, ipotizzata dall'articolo 416-bis, comma 5, c.p. con riguardo all'associazione per delinquere di stampo mafioso, non richiede che la disponibilita' di armi sia correlata agli scopi perseguiti dall'associazione criminosa, purche' si tratti di armi che non siano di uso personale esclusivo dei partecipi che le detengono". (Sez. 6, n. 15528 del 12/01/2021, Rv. 281212). 1.10.2. Generico il motivo quanto alla insussistenza della penale responsabilita' del ricorrente in relazione al reato di cui al capo G). La sentenza impugnata con motivazione logica e non contraddittoria trae la prova della penale responsabilita' dalla conversazione del 30 agosto 2016 intercorsa tra (OMISSIS) e (OMISSIS), figlio del boss detenuto da cui emerge che (OMISSIS) aveva disponibilita' di armi ed era pronto ad utilizzarle o a farle utilizzare dai suoi uomini nei confronti del (OMISSIS) e di essersi astenuto da siffatta azione per il rispetto nutrito nei confronti dello zio (OMISSIS), armi che erano ostentate anche in pubblico. Sulle possibili interpretazioni delle conversazioni si richiama il principio per cui e' possibile, in sede di legittimita', prospettare un'interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della provar ossia nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformita' risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, Di Maro, Rv. 272558 N. 38915 del 2007 Rv. 237994, N. 11189 del 2012 Rv. 252190, N. 7465 del 2013 Rv. 259516). Quanto al travisamento della prova va rilevato che qualora la prova omessa o travisata abbia natura dichiarativa (ma anche in questo caso si tratta di dichiarazioni da considerare), il ricorrente ha l'onere di riportarne integralmente il contenuto, non limitandosi ad estrapolarne alcuni brani, dal momento che in tal modo e' precluso al giudice di legittimita' di apprezzare compiutamente il significato probatorio delle dichiarazioni al fine della valutazione della effettiva sussistenza del vizio lamentato (Sez.5, n. 1220 del 6/3/19, RV 21135). 1.11 Il settimo motivo del primo ricorso (violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla confisca disposta ex articolo 240 bis c.p.) e' manifestamente infondato non confrontandosi con i contenuti della sentenza impugnata. La Corte territoriale (p.158) ha con motivazione logica e non contraddittoria chiarito che: I beni sono suscettibili di confisca ai sensi dell'articolo 240 bis c.p. (cd. confisca allargata) alla luce della sussistenza dei reati presupposto per i quali e' intervenuta condanna; Esiste una netta ed evidente sproporzione con i redditi dichiarati dal (OMISSIS) e dai suoi familiari conviventi che hanno dichiarato un reddito pari a O (dal 2000 alla data degli accertamenti investigativi posti alla base del provvedimento di sequestro) apparendo dunque inspiegabile se non facendo riferimento ai proventi delle attivita' criminali, come l'imputato sia riuscito a mantenere una famiglia composta di sette unita' ed a effettuare gli investimenti oggetto di sequestro e successiva confisca. In perfetta coerenza con i principi di questa Corte secondo cui rivelano unicamente i due presupposti indicati: "Ai fini della confisca cd. "allargata" prevista dall'articolo 240-bis c.p., a nulla rileva il "quantum" ricavato dalla commissione dei cd. "reati spia", dovendosi unicamente avere riguardo al duplice presupposto che i beni da acquisire si trovino nella disponibilita' diretta o indiretta dell'interessato, purche' dichiarato responsabile di uno di tali reati, e che il loro valore sia sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o all'attivita' economica esercitata." (Sez. 2, n. 3854 del 30/11/2021 (2022) Rv. 28268'7). 1.12 Il sesto motivo del secondo ricorso (mancata motivazione dell'aumento di pena a seguito del riconoscimento del vincolo della continuazione) e' manifestamente infondato risultando del tutto inedito ed essendo stato proposto per la prima volta in questa sede. Al riguardo:" Non sono deducibili con il ricorso per cassazione questioni che non abbiano costituito oggetto di motivi di gravame, dovendosi evitare il rischio che in sede di legittimita' sia annullato il provvedimento impugnato con riferimento ad un punto della decisione rispetto al quale si configura "a priori" un inevitabile difetto di motivazione per essere stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto inammissibile il dedotto vizio di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla subordinazione della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno, atteso che la relativa questione non era stata prospettata in appello, ove il ricorrente si era limitato a dolersi dell'illegittimo diniego all'imputato del beneficio della pena sospesa). (Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Rv. 270316). (OMISSIS); 2. I ricorsi presentati nell'interesse di (OMISSIS) sono inammissibili. 2.1. Il primo e il secondo motivo del primo ricorso e il primo motivo del secondo ricorso - da trattarsi congiuntamente in quanto relativi ad analoghe censure con riferimento all'associazione di cui al capo A- sono manifestamente infondati non confrontandosi con i contenuti della sentenza impugnata e con la giurisprudenza di questa Corte. Rispetto alla valutazione del compendio probatorio rappresentato dalle intercettazioni, la sentenza impugnata ha operato buon governo di un consolidato principio di questa Corte secondo il quale: "(l contenuto di intercettazioni telefoniche captate fra terzi, dalle quali emergano elementi di accusa nei confronti dell'indagato, puo' costituire fonte diretta di prova della sua colpevolezza senza necessita' di riscontro ai sensi dell'articolo 192 comma 3, c.p.p., fatto salvo l'obbligo del giudice di valutare il significato delle conversazioni intercettate secondo criteri di linearita' logica. (Sez.. 5, Sentenza n. 48286 del 12/07/2016, Rv. 268414). 2.1.1. Al riguardo, infatti, la Corte territoriale (p.142) ha richiamato numerosissime intercettazioni dalle quali emerge con chiarezza la posizione di (OMISSIS) all'interno dell'associazione, chiarendo anche che le conversazioni non vedono il ricorrente quale interlocutore, ma si svolgono tra (OMISSIS) e altri soggetti ed in particolare tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS). Nel pieno rispetto dei principi suindicati anche con riferimento alla posizione del (OMISSIS), la Corte territoriale ha analizzato nello specifico le doglianze relative alla attendibilita' di (OMISSIS) con motivazione logica e non contraddittoria di cui si e' gia' dato atto con riferimento alla medesima censura mossa nell'interesse. di (OMISSIS). La sentenza impugnata, nel dare conto dei contenuti delle singole conversazioni intercettate che confermano l'affiliazione mafiosa del (OMISSIS), richiama a conforto e riscontro anche la narrazione del collaboratore (OMISSIS), il quale considera (OMISSIS) "nelle nostre amicizie" aggiungendo che "poteva contare su molti giovanotti", nonche' quelle del collaboratore (OMISSIS) che ha evidenziato la vicinanza dei fratelli (OMISSIS) alla famiglia (OMISSIS). Manifestamente infondata e' la censura che, valorizzando momenti di frizione emergenti nelle conversazioni tra (OMISSIS) e (OMISSIS) con specifico riferimento al mantenimento dell'associato detenuto, esclude l'ipotesi di una partecipazione del ricorrente e di (OMISSIS) al gruppo dei (OMISSIS). Anche sul punto la sentenza risponde alla censura applicando un principio che caratterizza la vita delle associazioni criminali: la sussistenza di un contrasto o di una fibrillazione all'interno di gruppo di criminalita' organizzata da cui deriva la contrapposizione tra due figure (nel caso di specie (OMISSIS) e (OMISSIS)) e' una delle modalita' con cui si esprime la vita dell'organizzazione criminosa con frequenti tentativi all'interno del medesimo gruppo di assumere posizioni di dominio e di forza rispetto agli altri partecipi. 2.2. Manifestamente infondati il terzo motivo del primo ricorso e il secondo motivo del secondo ricorso in relazione alla contestazione di un'associazione con disponibilita' di armi anche nei confronti del ricorrente. Al riguardo si richiamano le argomentazioni in precedenza utilizzate per ritenere manifestamente infondata la medesima doglianza comune al coimputato e fratello (OMISSIS) che hanno evidenziato che i fratelli (OMISSIS) disponevano di armi e ne erano consapevoli. Del resto con specifico riguardo a siffatta aggravante anche questa Corte ha chiarito che" In tema di associazione per clelinquere di stampo mafioso, la circostanza aggravante della disponibilita' di armi, prevista dall'articolo 416-bis, comma 4, c.p., e' configurabile a carico di ogni partecipe che sia consapevole del possesso di armi da parte degli associati o lo ignori per colpa, per l'accertamento della quale assume rilievo anche il fatto notorio della stabile detenzione di tali strumenti di offesa da parte del sodalizio mafioso. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurabile l'aggravante sia per la notorieta' della disponibilita' delle armi da parte dell'associazione camorristica sia per l'essere stato l'imputato arrestato con altro esponente del sodalizio per detenzione di armi). (Sez. 2, n. 50714 del 07/11/2019, Rv. 278010). 2.3. Manifestamente infondato il quarto motivo del primo ricorso e il terzo, quarto e sesto motivo del secondo ricorso- da trattarsi congiuntamente in quanto relativi ad analoghe censure con riferimento all'associazione di cui al capo M-relativi alla penale responsabilita' del ricorrente avuto riguardo all'associazione contestata al capo M) e al mancato riconoscimento della ipotesi di cui all'articolo 74 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 comma 6. Anche in relazione a questo motivo, valgono le considerazioni gia' svolte con riferimento alla posizione del fratello ricorrente (OMISSIS) alle quali si rinvia. Con specifico riferimento alla posizione di (OMISSIS), la sentenza impugnata ha altresi' risposto esaustivamente e logicamente alle censure in fatto gia' contenute nell'atto di appello con le quali genericamente la difesa escludeva un possibile coinvolgimento di (OMISSIS) in ragione della circostanza che lo stesso non dimorasse abitualmente in (OMISSIS) (p.148). Sul motivo in ordine alla esclusione della circostanza aggravante di cui al l'articolo 74 comma 6 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, si richiamano integralmente le motivazioni utilizzate nei confronti del ricorrente (OMISSIS). Con riferimento alla esclusione della circostanza di cui all'articolo 74 comma 4 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, come gia' chiarito per la posizione di (OMISSIS), la sentenza impugnata ha chiarito come l'associazione fosse dotata di armi utilizzate per le attivita' illecite poste in essere stigmatizzando la espressione di (OMISSIS), il quale in una conversazione afferma: "qualche giorno ci ammazzano e ci ammazzano con le nostre cose". Che la circostanza aggravante sia riconoscibile anche per l'associazione dedicata allo spaccio di stupefacente lo chiarisce la Corte territoriale richiamando al riguardo sempre le indicazioni di questa Corte, richiamate nella sentenza impugnata, e ribadite da pronunzie anche piu' recenti secondo cui: "In tema di reati concernenti gli stupefacenti, la circostanza aggravante dell'associazione armata, prevista dall'articolo 74, comma 4, Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, diversamente da quella analoga, ipotizzata dall'articolo 416-bis, comma 5, c.p. con riguardo all'associazione per delinquere di stampo mafioso, non richiede che la disponibilita' di armi sia correlata agli scopi perseguiti dall'associazione criminosa, purche' si tratti di armi che non siano di uso personale esclusivo dei partecipi che le detengono". (Sez. 6, n. 15528 del 12/01/2021, Rv. 281212). 2.4 II quinto e il sesto e il settimo motivo del primo ricorso nonche' il quinto motivo del secondo ricorso censurano la sentenza impugnata in punto di trattamento sa nzionatorio. 2.5. Manifestamente infondato e' il quinto motivo del primo ricorso essendo stata la censura sulla mancata motivazione degli aumenti in continuazione dedotta per la prima volta con il ricorso per cassazione. 2.5.1. Quanto alla doglianza circa l'assenza di motivazione circa la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e il riconosciuto aumento per la recidiva, i motivi, peraltro generici, non si confrontano con il contenuto della sentenza impugnata che ha risposto esaustivamente (p.149) alle due specifiche censure: - escludendo le circostanze attenuanti generiche in ragione dei precedenti penali che hanno dato luogo alla contestazione di una recidiva reiterata ed infraquinquennale, dell'assenza di elementi positivi di valutazione (nell'atto di appello non vi e' alcuna indicazione in tal senso e solo nel ricorso per cassazione si opera un generico riferimento all'assenza di reati fine e all'assenza di contatti con gli altri coimputati), dell'oggettiva gravita' illecita della condotta contestata e della personalita' dell'imputato ritratta dalla sua determinazione al crimine; - riconoscendo l'aumento per la contestata recidiva giustificata "(..)dall'amplificazione della pericolosita' sociale sempre in crescita, manifestata con la commissione per i reati per cui si procede, espressivi di mancanza di resipiscenza e persistenza nel proposito criminoso(..)". (OMISSIS); 3. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' inammissibile. 3.1. Il primo motivo risulta manifestamente infondato. La difesa reitera le medesime censure in fatto proposte con l'atto di appello e alle quali la sentenza impugnata ha fornito risposta esauriente logica e non contraddittoria. La sentenza (p.60) con motivazione logica e non contraddittoria ha chiarito che: - Il ricorrente risulta fornitore abituale di (OMISSIS) e spacciatore attraverso propri pusher come emerge dalle conversazioni telefoniche intercorse tra (OMISSIS) ed altri interlocutori quali ad esempio del 16 luglio e 26 agosto 2016 che evidenziano il rapporto di collaborazione dei fratelli (OMISSIS) con il (OMISSIS) e della disponibilita' assicurata da (OMISSIS) considerato particolarmente qualificato e valido nel settore del rifornimento dello stupefacente; - le dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) conforta e riscontra il contenuto delle intercettazioni; - la sussistenza di un sistema di videosorveglianza tra l'abitazione del ricorrente e un piccolo appartamento situato nel medesimo edificio ove erano rinvenute varie attrezzature per il confezionamento di sostanza stupefacente, rispetto al quale la Corte territoriale ha specificamente confutato con motivazione in fatto logica ed esauriente, le specifiche censure difensive. La Corte territoriale ha altresi' con motivazione in fatto confutato le censure contenute negli atti di appello con riferimento alla mancata decisivita' del sequestro di sostanza stupefacente, alla nal:ura di riscontro del collaboratore (OMISSIS) rispetto ad un quadro probatorio gia' di per se' solido. Manifestamente infondato risulta il rilievo circa la incompatibilita' del ruolo di partecipe del ricorrente con la intervenuta assoluzione di uno dei suoi spacciatori ( (OMISSIS)) dalla ipotesi associativa. Il ruolo di (OMISSIS) quale partecipe si manifesta attraverso il rifornimento abituale del (OMISSIS) e lo spaccio in proprio ai vari acquirenti attraverso intermediari, quali (OMISSIS), che - pur rispondendo di singoli episodi di spaccio - risultano estranei per la mancanza di un contributo stabile e continuativo alla struttura associativa. 3.2 Manifestamente infondati il secondo, ii terzo e il quarto motivo. 3.2.1Quanto al mancato riconoscimento della ipotesi di cui all'articolo 74 comma 6 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 e alla mancata esclusione della circostanza aggravante di cui all'articolo 74 comma 4, le motivazioni a fondamento della manifesta infondatezza dei motivi sono le medesime utilizzate rispetto ai ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS) alle quali si rinvia. Quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, questa Corte ha gia' avuto modo di affermare che "non puo' formare oggetto di ricorso per cassazione, che e', pertanto, sul punto inammissibile, l'eccezione riferita al difetto di motivazione della sentenza di appello in ordine a motivi generici, pur se proposti insieme ad altri motivi specifici, poiche' i motivi generici restano viziati da inammissibilita' originaria anche quando la decisione del giudice dell'impugnazione non pronuncia in concreto tale sanzione" (Sez. 3, n. 10709 del 25/11/2014, dep. 2015, Botta, Rv. 262700). Si e' ulteriormente chiarito che e' inammissibile, ai sensi dell'articolo 606, comma 3, ultima parte, c.p.p., il ricorso per cassazione che deduca una questione che non ha costituito oggetto de motivi di appello,, tale dovendosi intendere anche la generica prospettazione nei motivi di gravame di una censura solo successivamente illustrata in termini specifici con la proposizione del ricorso in cassazione (Sez.2, n. 34044 del 20/11/2020, Rv.280306). Con riferimento, dunque, al lamentato difetto di motivazione per omessa pronuncia in relazione alla richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche, l'appellante non aveva censurato specificamente la decisione di primo grado sul punto, limitandosi ad invocare la concessione delle attenuanti generiche e richiamando la incensuratezza del (OMISSIS) laddove per espressa disposizione di legge la concessione delle circostanze attenuanti generiche non puo' fondarsi sull'assenza di precedenti penali. Si tratta di un motivo generico e, percio', geneticamente inammissibile, che la Corte territoriale poteva non prendere in considerazione, trattandosi di una ipotesi riconducibile ad una causa di inammissibilita' originaria, quantunque parziale, dell'impugnazione promossa contro altri capi della sentenza (Sez. U.n. 8825 del 27/10/2016(dep.2017), Galtelli, Rv.268822). (OMISSIS); 4.11 ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' inammissibile. 4.1. Il primo motivo risulta manifestamente infondato. Il motivo non si confronta con i contenuti della sentenza impugnata e con le indicazioni di questa Corte sullo specifico tema limitandosi a riproporre le medesime censure contenute nell'atto di appello alle quali la sentenza impugnata ha fornito esauriente risposta. La sentenza con motivazione in fatto logica esauriente e ncn contraddittoria ha chiarito che (p. 191): - il ricorrente svolgeva nell'ambito della organizzazione il ruolo di collaboratore nell'attivita' di spaccio di (OMISSIS), sia pure in via non esclusiva e il ruolo di custode della sostanza stupefacente; - il gruppo deteneva presso l'abitazione del (OMISSIS) lo stupefacente (cocaina) che era messa a disposizione dei partecipi come rivela: la conversazione ambientale intercorsa in data 12 maggio 2016 tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) nel corso della quale il primo indica al secondo il (OMISSIS) come canale di approvvigionamento. La sentenza chiarisce anche che una parte dello stupefacente era ceduto anche in via autonoma dal (OMISSIS); la conversazione del 26 agosto 2016 nel corso della quale il (OMISSIS) spiegava ad un interlocutore che a seguito dell'arresto del (OMISSIS) aveva perso la somma di 5000,00 Euro in relazione allo stupefacente caduto in sequestro. - il rilevamento GPS della vettura del (OMISSIS) rivelava numerose soste presso l'abitazione del (OMISSIS) nel periodo aprile-giugno 2016. - il collaboratore di giustizia (OMISSIS) indica il ricorrente come uno spacciatore di ingenti quantitativi di cocaina. La sentenza ha risposto alle censure difensive relative alla valenza probatoria delle conversazioni e della narrazione del collaboratore di giustizia con motivazione in fatto esaustiva e non censurabile. Ne' appaiono rilevanti le censure relative alla mancata esclusione della qualita' di partecipe del ricorrente in ragione del prevalente/esclusivo rapporto che egli ha con il (OMISSIS) e non con gli altri associati per un duplice ordine di motivi: -la condotta consistente nella custodia di sostanza stupefacente e' di assoluta rilevanza nella vita di un'associazione apparendo evidente il contributo causale che siffatto ruolo assicura alla vita dell'associazione medesima; - il rapporto del ricorrente e' con il (OMISSIS) figura di vertice nell'articolazione dell'associazione. Peraltro, con riferimento alla fattispecie associativa questa Corte ha chiarito che:" La condotta di partecipazione ad un'associazione per delinquere e' a forma libera e puo' realizzarsi in forme e contenuti diversi, sicche' il partecipe puo' anche non avere la conoscenza dei capi o dei promotori, essendo sufficiente che, anche in modo non rituale, si inserisca di fatto nel gruppo per realizzarne gli scopi. (Sez. 3, n. 2351 del 18/11/2022, (2023), Rv. 284057). 4.2 Manifestamente infondato il secondo motivo. Con riferimento alla esclusione della circostanza di cui all'articolo 74 comma 4 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, come gia' chiarito per la posizione di (OMISSIS) e (OMISSIS) la sentenza impugnata ha chiarito come l'associazione fosse dotata di armi utilizzate per le attivita' illecite poste in essere stigmatizzando la espressione di (OMISSIS), il quale in una conversazione afferma: "qualche giorno ci ammazzano e ci ammazzano con le nostre cose". Che la circostanza aggravante sia riconoscibile anche per l'associazione dedicata allo spaccio di stupefacente lo chiarisce la Corte territoriale richiamando al riguardo sempre le indicazioni di questa Corte, richiamate nella sentenza impugnata, e ribadite da pronunzie anche piu' recenti secondo cui: "In tema di reati concernenti gli stupefacenti, la circostanza aggravante dell'associazione armata, prevista dall'articolo 74, comma 4, Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, diversamente da quella analoga, ipotizzata dall'articolo 416-bis, comma 5, c.p. con riguardo all'associazione per delinquere di stampo mafioso, non richiede che la disponibilita' di armi sia correlata agli scopi perseguiti dall'associazione criminosa, purche' si tratti di armi che non siano di uso personale esclusivo dei partecipi che le detengono". (Sez. 6, n. 15528 del 12/01/2021, Rv. 281212). (OMISSIS); 5.11 ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' inammissibile. 5.1. Il primo motivo risulta manifestamente infondato. Il motivo non si confronta con i contenuti della sentenza impugnata e con le indicazioni di questa Corte sullo specifico tema. La sentenza e' immune da vizi nell'avere fondato la penale responsabilita' del ricorrente sulla base della conversazione del 9 maggio 2016 intercorsa tra (OMISSIS) e un terzo soggetto nel corso della quale il primo racconta al secondo di avere ceduto al (OMISSIS) 100 grammi di stupefacente del tipo cocaina al fine di ulteriore cessione, facilitato quest'ultimo nella rivendita anche in ragione del suo compito di addetto al servizio d'ordine nel locale. 5.1.1In proposito va ricordato, diversamente da quanto si sostiene in ricorso, che questa Corte di legittimita' ha chiarito come, in tema di stupefacenti, qualora gli indizi a carico di un soggetto consistano nelle dichiarazioni captate nel corso di operazioni di intercettazione senza che sia operato il sequestro della sostanza stupefacente (la c.d. droga parlata), la loro valutazione, ai sensi dell'articolo 192, comma 2, c.p.p., deve essere compiuta dal giudice con particolare attenzione e rigore e, ove siano prospettate piu' ipotesi ricostruttive del fatto, la scelta che conduce alla condanna dell'imputato deve essere fondata in ogni caso su un dato probatorio "al di la' di ogni ragionevole dubbio", caratterizzato da un alto grado di credibilita' razionale, con esclusione soltanto delle eventualita' piu' remote. (ex multis Sez.4, n. 20129 del 25/06/2020, De Simone, Rv.279521). Il ricorso propone, al riguardo, una generica rilettura del contenuto delle intercettazioni, ma omettendo di confrontarsi con il principio per cui e' possibile, in sede di legittimita', prospettare un'interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ossia nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformita' risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, Di Marc), Rv. 272558 N. 38915 del 2007 Rv. 237994, N. 11189 del 2012 Rv. 252190, N. 7465 del 2013 Rv. 259516) A fronte della precisione, completezza e intima coerenza dell'iter argomentativo sviluppato dal Giudice, il ricorso si risolve nella sollecitazione di una diversa valutazione su aspetti squisitamente di merito, non consentita in questa sede. Di guisa che, nel prospettare una interpretazione minimalista delle fonti di prova, il ricorrente si limita a ripercorrere i fatti e ad offrirne una lettura alternativa, mentre dal testo della sentenza impugnata non e' dato ravvisare alcuna disarticolazione del ragionamento probatorio, con il quale si omette il confronto (Sez. un. 8825 del 27/10/2016, Galtelli, Rv. 268822), prospettando una diversa concludenza delle prove e sostanzialmente richiedendo, in questa sede, una inammissibile rivalutazione dei fatti e dei dati dimostrativi (ex multis Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D'Ippedico, Rv. 271623). 5.1.2. Quanto poi alla incertezza in ordine alla attribuibilita' della conversazione al ricorrente, trattasi di questione in fatto non proponibile in questa sede e peraltro inedita dal momento che la stessa non risulta dedotta con i motivi di appello. 5.2 Manifestamente infondata e' la censura quanto alla riqualificazione del fatto quale ipotesi di cui all'articolo 73 comma 5 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990. Contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, la Corte territoriale ha fornito una adeguata motivazione sullo specifico punto (p.121) chiarendo che nel caso di specie la qualita' e la quantita' della sostanza oggetto della cessione (100 grammi di cocaina) e le relative modalita' di realizzazione (cessione all'interno di un locale notturno)dimostrano una significativa potenzialita' offensiva e una manifestazione effettiva di una piu' ampia e comprovata capacita' dell'imputato di diffondere in modo non episodico, ne' occasionale sostanza stupefacente. Peraltro anche questa Corte ha chiarito che ai fini del riconoscimento del reato di cui all'articolo 73, comma 5, Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, la valutazione dell'offensivita' della condotta deve essere correlata alla concreta offensivita' della condotta desunta dai canoni espressamente indicati dalla norma, cioe', la qualita' e quantita' della sostanza stupefacente e le modalita' e circostanze dell'azione, elementi da valutarsi unitariamente, salva la netta preponderanza di uno di essi ai fini del giudizio. (Sez.6, n. 3616 del 15/11/2018, (2019), Rv. 275044). 5.3. Manifestamente infondato nonche' aspecifico risulta il terzo motivo. Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, la Corte non ha utilizzato i medesimi argomenti al fine di determinare il trattamento sanzionatorio (p.122). Ha in primo luogo motivato in modo esaustivo la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche escludendole per la sussistenza di numerosi precedenti penali a carico del ricorrente, tra i quali uno specifico, e come tali rivelatori di una specifica propensione a delinquere, in assenza peraltro di elementi positivi indicati dalla difesa. Ha quindi determinato il trattamento sanzionatorio individuando il minimo edittale previsto per l'ipotesi contestata che ha poi ridotto di un terzo per la scelta del rito. (OMISSIS); 6. Il ricorso presentato nell'interesse di (OMISSIS) e' inammissibile. 6.1. L'unico motivo di ricorso risulta manifestamente infondato, in quanto e' versato in fatto, reiterativo di precedenti censure e non si confronta con il contenuto della sentenza impugnata. La Corte territoriale con motivazione logic:a e non contraddittoria in fatto e non censurabile in questa sede ha chiarito che (p.123): -il ricorrente era stabilmente inserito nella struttura associativa con il ruolo continuativo di pusher della sostanza stupefacente della quale si riforniva dal (OMISSIS) per poi cederla a terzi; - le conversazioni (dal 28 aprile al 12 maggio 2016) che il (OMISSIS) intrattiene per intensita' e frequenza rivelano un'assiduita' e stabilita' nei contatti, senza considerare che il (OMISSIS) descrive il ricorrente, conversando con un interlocutore, come un soggetto particolarmente competente nel settore dello spaccio dello stupefacente e lo indica al (OMISSIS), il quale deve rifornirsi dal (OMISSIS) di stupefacente, utilizzando l'espressone "siamo la stessa cosa". Appare evidente che nella enucleazione delle circostanze di fatto accertate e richiamate la sentenza impugnata ha operato buon governo dei principi fissati da questa Corte in relazione agli indici rivelatori della partecipazione ad una associazione ex articolo 74 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 ed in particolare dell'"atfectio" di ciascun aderente ad esso, non rilevando la durata del periodo di osservazione delle condotte criminose, che puo' essere anche breve, purche' dagli elementi acquisiti possa inferirsi l'esistenza di un sistema collaudato al quale gli agenti abbiano fatto riferimento anche implicito, benche' per un periodo di tempo limitato. (Sez. 6, n. 42937 del 23/09/2021, Rv. 282122). Questa Corte ha ulteriormente ribadito che integra la condotta di partecipazione ad un'associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti il costante e continuo approvvigionamento di sostanze di cui il sodalizio fa traffico, tale da determinare uno stabile affidamento del gruppo sulla disponibilita' all'acquisto, mediante la costituzione di un vincolo reciproco durevole che supera la soglia del rapporto sinallagmatico contrattuale delle singole operazioni e si trasforma nell'adesione dell'acquirente al programma criminoso. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi l'ordinanza del tribunale del riesame che, ai fini della prova dell'inserimento organico dell'indagato nell'associazione, aveva valorizzato la sua condotta di costante approvvigionamento di droga dal gruppo, anche al di fuori dei delitti scopo contestati, il contenuto economico delle transazioni e la rilevanza obiettiva del ruolo assunto nel sodalizio criminale per il rapporto sistematico con elementi di spicco dello stesso). (Sez.5, n. 33139 del 28/09/2020, Rv. 280450). Cosi' come ai fini della configurabilita' del delitto di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti e' sufficiente l'esistenza tra i singoli partecipi di una durevole comunanza di scopo, costituita dall'interesse ad immettere sostanza stupefacente sul mercato del consumo, non essendo invece di ostacolo alla costituzione del rapporto associativo la diversita' degli scopi personali e degli utili che i singoli partecipi, fornitori ed acquirenti si propongono di ottenere dallo svolgimento della complessiva attivita' criminale(Sez. 3, n. 6871 del 08/07/2016, (2017) Rv. 269150). I principi indicati da questa Corte appaiono tutti rilevanti nella configurazione della posizione del ricorrente in quanto sottolineano ancora una volta come la struttura associativa puo' assumere le piu' diverse forme e al suo interno i partecipi, pur essendo reciprocamente legati dal comune programma criminoso, possono perseguire nella condotta illecita posta in essere anche utili e scopi personali. (OMISSIS); 7. Il ricorso nell'interesse di (OMISSIS) e' inammissibile. L'unico complesso motivo di ricorso risulta manifestamente infondato articolando una serie di censure in fatto che si risolvono in una diversa interpretazione delle risultanze probatorie non valutabile in questa sede. 7.1. La Corte territoriale con motivazione esaustiva, non manifestamente illogica e non contraddittoria ha chiarito che: - di assoluta rilevanza e' la intercettazione ambientale del 15 luglio 2016 nel corso della quale (OMISSIS), conversando con (OMISSIS), definisce il (OMISSIS) come un suo uomo ((..) giovanotto dei miei, dei (OMISSIS) e' questo(..) e' bravo, lo chiami di notte, viene subito (..)). La Corte risponde specificamente con argomentazione in fatto alla obiezione secondo la quale il (OMISSIS) non venga immediatamente riconosciuto dal (OMISSIS), affiliato storico degli (OMISSIS): il richiamo al passato fatta dal (OMISSIS) medesimo in riferimento al ricorrente ((..)era tremendo da piccolo(..)), non sconfessa la partecipazione del (OMISSIS) al sodalizio, ma fornisce la conferma di una conoscenza risalente nel tempo; - il ricorrente preleva e distrugge la telecamera installata nella stalla su ordine dei correi come risulta dalle intercettazioni e dalle videoriprese. La ordinanza impugnata anche in tal caso con coerente motivazione in fatto supera la diversa versione difensiva fornita dal ricorrente; - la programmazione di rapine del ricorrente unitamente al coimputato (OMISSIS) e alla tentata estorsione in danno di un imprenditore confermano il suo inserimento nella struttura associativa e nel circuito delinquenziale. 7.1.1. La sentenza affronta anche le doglianze circa la inattendibilita' delle conversazioni del (OMISSIS). Sul punto nei paragrafi precedenti in relazione ai ricorsi presentati dai coimputati, si sono gia' richiamate le ragioni in fatto utilizzate dalla sentenza impugnata per superare la specifica censura (elevato numero delle conversazioni con la conseguente esclusione che egli fosse sempre e in ogni occasione costantemente ubriaco; tenore delle conversazioni logico, coerente e circostanziato, attenzione e credibilita' dei suoi interlocutori nelle sue parole). (OMISSIS); 8.Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) e' inammissibile. 8.1. Il primo motivo nelle sue due articolazioni risulta manifestamente infondato. Il motivo non si confronta con i contenuti della sentenza impugnata e con le indicazioni di questa Corte sullo specifico tema. 8.1.1. Con riferimento alla prima doglianza, la sentenza e' immune da vizi allorquando fonda la penale responsabilita' del ricorrente nella valorizzazione del colloquio del 31 agosto 2016 intervenuto con (OMISSIS) nel corso del quale questi avrebbe richiesto al ricorrente un'arma sul presupposto che in un recente passato il (OMISSIS) era stato detentore per conto del gruppo di una mitragliatrice e di un'arma comune da sparo. Quanto alla inattendibilita' delle parole e delle condotte del (OMISSIS), la specifica doglianza contenuta nella totalita' dei motivi di ricorso e' gia' stata nel corso dei paragrafi precedenti oggetto di vaglio da parte di questo Collegio e superata con le argomentazioni alle quali si rinvia. 8.1.2. Tutte le ulteriori doglianze contenute nel ricorso relative alla conversazione consistono in una rivalutazione in fatto del contenuto della dichiarazione medesima. Sul punto la Corte territoriale (p.85) con una motivazione in fatto non manifestamente illogica, ne' contraddittoria da' conto delle ragioni per le quali dal dialogo fra i due emerga evidente la intraneita' del (OMISSIS) (che risponde dei reati fine di detenzione illegale aggravata di un'arma comune da sparo e di un fucile mitragliatore kalashnikov di cui ai capi B) e C)), valorizzando la custodia di armi micidiali da parte del ricorrente per conto dell'associazione. Che le armi siano patrimonio comune dell'associazione e' chiarito dalla sentenza impugnata attraverso l'analisi della conversazione che indica le armi come "cose nostre", che rivela come altri partecipi si siano serviti delle armi custodite dal (OMISSIS) in altre e diverse occasioni, come da ultimo il (OMISSIS) che le vuole utilizzare contro il (OMISSIS) in un momento di fibrillazione e di contrasto all'interno del gruppo. Dalle circostanze in fatto descritte la sentenza impugnata ricava che: - la disponibilita' non occasionale, ne' sporadica, ma continuativa di armi di evidente micidialita' da parte del ricorrente nonche' strumentale al perseguimento degli scopi criminali del gruppo consente di riconoscere al depositario e custode di un ruolo di assoluta fiducia da parte degli associati avendo egli la possibilita' di accedere al luogo in cui le armi sono depositate e disponendo di informazioni del tutto riservate. La sentenza di questa Corte richiamata nel ricorso (Sez.1, n. 31479 del 07/06/2013, Pg. Barbaro ed altri, Rv. 256632) per confutare le argomentazioni della sentenza impugnata e' riportata limitatamente ad uno stralcio della motivazione (e non nella massima), ma rispetto ad una vicenda storica diversa in fatto da quella in esame e nella quale si valorizzava il legame familiare del ricorrente detentore dell'arma (ric. Perre) prevalente rispetto ad una possibile affectio societatis. Alla luce di siffatta ricostruzione risulta, pertanto, adeguatamente giustificata la giuridica sussistenza della partecipazione del (OMISSIS), fondata non gia' su di una generica attribuzione di affiliazione, bensi' sulla dimostrazione indiziaria di un effettivo contributo prestato in favore del clan, in linea con il principio per cui la partecipazione associativa postula un rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare non gia' uno "status" di appartenenza, bensi' un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l'agente "prende parte" al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell'ente per il perseguimento dei comuni fini (Sez. 5, n. 45840 del 14/06/2018, M., Rv. 274180, che riprende ed attualizza i principi espressi da Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231670; N. 12554 del 2016, Rv. 267418; N. 6882 del 2016, Rv. 266064). 8.1.3. Manifestamente infondato il primo motivo nella seconda doglianza relativa alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS). Va in primo luogo evidenziato che il controesame difensivo del collaboratore di giustizia rappresenta la naturale e fisiologica attuazione del principio del giusto processo costituzionalizzato Cost. in base al quale "Il processo penale e' regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova.". Se da un canto, dunque, il giudice nel valutare la prova formatasi nel contraddittorio delle parti, opera una valutazione complessiva della tenuta delle dichiarazioni in punto di attendibilita' anche in relazione a quanto emerso in sede di controesame, dall'altro non puo' sostenersi che il semplice svolgimento del controesame possa di per se' considerarsi quale implicita doglianza in punto di attendibilita' del collaboratore di giustizia. La doglianza non si confronta con il contenuto della sentenza impugnata che, esprimendo la valutazione di attendibilita' della fonte dichiarativa in quanto gia' condannato con sentenza irrevocabile per il reato di cui all'articolo 416-bis c.p., utilizza il contributo dichiarativo del collaboratore nella parte in cui riferisce che (OMISSIS) era un uomo di fiducia di (OMISSIS), unicamente per confortare il gia' solido compendio probatorio. 8.1.4 Manifestamente infondati il secondo il terzo e il sesto motivo dal momento che sullo specifico punto la sentenza impugnata offre una esaustiva motivazione in fatto con argomentazioni che sono state piu' volte richiamate. 8.1.5 Manifestamente infondati il quarto e il quinto motivo in punto di trattamento sa nzionatorio. In relazione al quarto motivo circa la assenza di motivazione in relazione all'aumento di pena a seguito del riconoscimento del vincolo della continuazione, lo specifico motivo e' proposto per la prima volta con il ricorso per cassazione e non e' presente nell'atto di appello. La sentenza poi chiarisce all'interno dell'aumento operato per i reati in continuazione quale parte dell'aumento sia imputabile al riconoscimento della circostanza aggravante di cui all'articolo 416bis 1 c.p.. In relazione al quinto motivo e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, la impugnata sentenza ha motivato in modo esaustivo escludendole attraverso il richiamo alla disposizione di legge in base alla quale la incensuratezza non giustifica la concessione delle circostanze attenuanti generiche. Ha evidenziato l'assenza, peraltro, di elementi positivi indicati dalla difesa, elementi di fatto che sono stati invocati per la prima volta solo con il ricorso per cassazione e non nell'atto di appello. (OMISSIS); 9. Il ricorso presentato nell'interesse di (OMISSIS) e' inammissibile. 9.1 Il primo motivo di ricorso e' manifestamente infondato non confrontandosi con i contenuti della sentenza impugnata e con la giurisprudenza di questa Corte. Contrariamente a quanto indicato nel ricorso, la sentenza impugnata con motivazione logica e non contraddittoria ha chiarito che (p.107): - la lunghissima conversazione che vede il ricorrente interlocutore con il (OMISSIS) il 15 luglio 2016 disvela i temi centrali relativi alla vita dell'associazione cui entrambi appartengono; dal sostentamento in carcere di (OMISSIS), agli accordi con il gruppo Rom di (OMISSIS), guidato dai (OMISSIS), alle modalita' di spartizione del territorio e alle gerarchie interne al gruppo e alla intraneita' del (OMISSIS) rispetto al gruppo dei (OMISSIS). - la successiva conversazione del 30 agosto 2016 accerta il pieno coinvolgimento del ricorrente nelle dinamiche associative allorquando, in ragione del contrasto sorto tra il (OMISSIS) e (OMISSIS), il (OMISSIS) si reca unitamente al (OMISSIS) da "Coco' per placare gli animi; - le dichiarazioni di (OMISSIS) confortano il quadro probatorio atteso che il collaboratore, escusso innanzi alla Corte territoriale, dopo aver riconosciuto fotograficamente il (OMISSIS), lo ha indicato come un fedelissimo di (OMISSIS) essendo entrato a far parte del gruppo di quest'ultimo dopo un periodo di militanza nella cosca (OMISSIS). Le censure mosse sul richiamato compendio istruttorio risultano generiche, in fatto e reiterative delle medesime censure a cui ha dato risposta la sentenza impugnata, fornendo una interpretazione alternativa in fatto delle risultanze ivi contenute, rivalutazione preclusa in sede di legittimita'. 9.1.1. La giurisprudenza di questa Corte richiamata nel ricorso non appare coerente con il caso di specie in relazione al quale: - il lungo colloquio intercorso tra (OMISSIS) e (OMISSIS) non consente di ritenere il secondo come un semplice ascoltatore di confidenze altrui, attesa la centralita' e la delicatezza dei temi trattati che attengono alla essenza stessa e alla vita dell'associazione; - l'intervento quale intermediario nello scontro (OMISSIS)/ (OMISSIS) e' relativo ad un momento delicato e complesso di evidente fibrillazione all'interno dell'associazione tra due figure di rilievo e come tale deve essere affidato ad un soggetto che non solo sia partecipe, ma anche autorevole. Alla luce di siffatta ricostruzione risulta, pertanto, adeguatamente giustificata la giuridica sussistenza della partecipazione, fondata non gia' su di una generica attribuzione di affiliazione, bensi' sulla dimostrazione indiziaria di un effettivo contributo prestato in favore del clan, in linea con il principio per cui la partecipazione associativa postula un rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare non gia' uno "status" di appartenenza, bensi' un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l'agente "prende parte" al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell'ente per il perseguimento dei comuni fini. 9.2. Privo di specificita' il secondo motivo con riferimento al mancato riconoscimento del vincolo della continuazione tra i fatti di cui alla presente condanna e quelli di cui ad una precedente sentenza passata in cosa giudicata, in ragione del tempo trascorso. Questa Corte ha gia' avuto modo di affermare che "non puo' formare oggetto di ricorso per cassazione, che e', pertanto, sul punto inammissibile, l'eccezione riferita al difetto di motivazione della sentenza di appello in ordine a motivi generici, pur se proposti insieme ad altri motivi specifici, poiche' i motivi generici restano viziati da inammissibilita' originaria anche quando la decisione del giudice dell'impugnazione non pronuncia in concreto tale sanzione" (Sez. 3, n. 10709 del 25/11/2014, (2015), Botta, Rv. 262700). Con riferimento, dunque, al lamentato difetto di motivazione in relazione al mancato riconoscimento del vincolo della continuazione tra il reato associativo in esame e quello di cui alla sentenza cd. Olimpia gia' passato in cosa giudicata, la decisione della Corte territoriale e' apparsa corretta, atteso che ha in primo luogo stigmatizzato la genericita' del motivo ((..) richiesta per nulla argomentata nell'atto di impugnazione (..)) e ha conseguentemente motivato in ordine alla insufficienza della "mera omogeneita' delle imputazioni ascritte" ai fini dell'invocato riconoscimento (p.109). In relazione a siffatto ultimo argomento ha correttamente applicato i principi di questa Corte espressi anche di recente secondo i quali ai fini della configurabilita' del vincolo della continuazione tra reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, non e' sufficiente il riferimento,alla tipologia del reato ed all'omogeneita' delle condotte, ma occorre una specifica indagine sulla natura dei vari sodalizi, sulla loro concreta operativita' e sulla loro continuita' nel tempo, al fine di accertare l'unicita' del momento deliberativo e la sua successiva attuazione attraverso la progressiva appartenenza del soggetto ad una pluralita' di organizzazioni, comunque denominate, ovvero ad una medesima organizzazione (Sez. 5, n. 20900 del 26/04/2021, Rv. 281375). 9.3. Il terzo motivo di ricorso e' manifestamente infondato risultando del tutto inedito ed essendo stato proposto per la prima volta in questa sede. Con l'atto di appello la difesa del ricorrente aveva lamentato che il giudice del primo grado nella determinazione della pena non aveva sufficientemente motivato l'aumento per la recidiva e aveva violato il limite fissato dall'articolo 99 ultimo comma c.p. secondo il quale: " h-i nessun caso l'aumento di pena per effetto della recidiva puo' superare il cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo delitto non colposo." La sentenza impugnata ha specificamente risposto sul motivo di appello sia in relazione alla aumentata pericolosita' sia sulla violazione dell'articolo 99 ultimo comma c.p. nei riguardi del ricorrente (p.110 c.p.). Su questo punto, allorquando ha rideterminato il trattamento sanzionatorio ha considerato il richiamato articolo 99 ultimo comma c.p. e la giurisprudenza di questa Corte in tema di concorso di circostanze aggravanti speciali e di verifica della minore o maggiore gravita' della recidiva rispetto ad una concorrente aggravante speciale, tenuto comma dell'ultimo comma dell'articolo 99 cod. pen (Sez.2, n. 9365 del 13/02/2015, Bellitto ed altri, Rv 263982-03). Con il ricorso per cassazione il (OMISSIS) ha proposto un nuovo motivo, non contenuto nell'atto di appello e relativo alla violazione dell'articolo 99 comma 4 c.p. ritenendo che nel caso di specie la recidiva non sia stata correttamente contestata, non risultando dal certificato penale del (OMISSIS) una espressa dichiarazione di recidiva. Non essendo stata la questione oggetto dei motivi di appello, va ricordato il principio di questa Corte secondo il quale: "Non sono deducibili con il ricorso per cassazione questioni che non abbiano costituito oggetto di motivi di gravame, dovendosi evitare il rischio che in sede di legittimita' sia annullato il provvedimento impugnato con riferimento ad un punto della decisione rispetto al quale si configura "a priori" un inevitabile difetto di motivazione per essere stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello.(Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Rv. 270316). (OMISSIS); 10. Il ricorso proposto nell'interesse del (OMISSIS) dall'Avv. (OMISSIS) e' inammissibile. 10.1. Il primo motivo di ricorso e' inammissibile per manifesta infondatezza e assenza di specificita'. Sotto il primo profilo, si rileva che, coerentemente alla lettera della legge, questa Corte ha ritenuto che, in tema di resistenza a pubblico ufficiale, non e' necessario, ai fini dell'integrazione del delitto, che sia concretamente impedita la liberta' di azione del pubblico ufficiale, essendo sufficiente che si usi violenza o minaccia per opporsi al compimento di un atto dell'ufficio o del servizio, indipendentemente dall'esito, positivo o negativo, di tale azione e dall'effettivo verificarsi di un ostacolo al compimento degli atti indicati (Sez. 6, n. 5459 del 08/01/2020, Sortino, Rv. 278207 - 01). Nella specie, peraltro, l'attivita' del (OMISSIS), secondo l'accertamento dei giudici di merito, non oggetto di critiche specifiche, ha proprio interrotto l'attivita' di controllo del territorio operata dai carabinieri, che e' ripresa solo per effetto dell'intervento del (OMISSIS) che ha fermato le persone che erano intervenute a suo favore. 10.2. Il secondo motivo del ricorso e' inammissibile per manifesta infondatezza, dal momento che il capo di imputazione indica puntualmente le due modalita' di manifestazione del disvalore tipico della circostanza aggravante, con riguardo al metodo e alla finalita' agevolativa del sodalizio. 10.3. Inammissibile, per difetto di specificita', e' anche il terzo motivo, poiche' trascura del tutto di confrontarsi con l'atteggiamento intimidatorio assunto dal (OMISSIS) a seguito del controllo del (OMISSIS), in un contesto caratterizzato dall'esplosione (da parte di altri) di colpi di pistola e dall'accerchiamento da parte di altre persone dell'autovettura dei carabinieri. Razionalmente si e' colta da parte dei giudici di merito in tale condotta una plateale manifestazione di controllo del territorio, accompagnata dalla modalita' mafiosa dell'intimidazione tradottasi nella minaccia di "tirare fuori le armi". 11. Il ricorso proposto nell'interesse del (OMISSIS) dall'Avv. (OMISSIS) e' inammissibile. 11.1. Il primo motivo e' inammissibile per manifesta infondatezza e assenza di specificita', dal momento che, come s'e' visto esaminando il primo motivo dell'altro ricorso, la condotta dell'imputato non esprimeva affatto, secondo quanto afferma l'impugnante, una volgarita' ingiuriosa o un atteggiamento genericamente minaccioso, ma era direttamente finalizzato a ribadire il controllo sul territorio da parte del sodalizio criminoso attraverso modalita' mafiose, rappresentate, dopo che erano stati esplosi colpi di pistola e che l'autovettura dei carabinieri era stata accerchiata, dalla minaccia, in caso di altri controlli, di "tirare fuori le armi". Il fatto che (OMISSIS) sia stato assolto per non avere tenuto, ad avviso della Corte territoriale, alcuna condotta di resistenza, non giova al (OMISSIS) il cui dinamismo operativo emerge in termini limpidi dalla motivazione delle sentenze di merito. 11.2. Le superiori considerazioni danno ragione dell'inammissibilita' per manifesta infondatezza del secondo motivo, giacche' il percorso argomentativo che ha sorretto il riconoscimento della circostanza aggravante nella sua duplice direzione di estrinsecazione si coglie nell'esame complessivo della motivazione che ricostruisce l'episodio. Ricorso (OMISSIS); 12. Il ricorso e' inammissibile. 12.1. Il primo motivo e' inammissibile, perche', nel reiterare una prospettazione difensiva, oggetto di puntuale disamina dalla Corte territoriale, aspira ad una rivalutazione delle risultanze istruttorie, preclusa in sede di legittimita'. Al riguardo, va ribadito (v., di recente, Sez. 5, n. 17568 del 22/03/2021) che e' estraneo all'ambito applicativo dell'articolo 606, comma 1, lettera e) c.p.p. ogni discorso confutativo sul significato della prova, ovvero di mera contrapposizione dimostrativa, considerato che nessun elemento di prova, per quanto significativo, puo' essere interpretato per "brani" ne' fuori dal contesto in cui e' inserito, sicche' gli aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell'apprezzamento del significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimita' se non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacita' dimostrativa. Sono, pertanto, inammissibili, in sede di legittimita', le censure che siano nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio (Sez. 5, n. 8094 del 11/01/2007, Ienco, Rv. 236540; conf. ex plurimis, Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, Carone, Rv. 250168). Cosi' come sono estranei al sindacato della Corte di cassazione i rilievi in merito al significato della prova ed alla sua capacita' dimostrativa (Sez. 5, n. 36764 del 24/05/2006, (OMISSIS), Rv. 234605; conf., ex plurimis, Sez. 6, n. 36546 del 03/10/2006, Bruzzese, Rv. 235510). Pertanto, il vizio di motivazione deducibile in cassazione consente di verificare la conformita' allo specifico atto del processo, rilevante e decisivo, della rappresentazione che di esso da' la motivazione del provvedimento impugnato, fermo restando il divieto di rilettura e reinterpretazione nel merito dell'elemento di prova (Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006, Stojanovic, Rv. 234167). In tale cornice di riferimento la contestazione dell'attendibilita' dei riconoscimenti operati da (OMISSIS), attraverso frammenti di dichiarazioni, e di (OMISSIS), attraverso la valorizzazione delle prime dichiarazioni indicate dalla sentenza di primo grado, dimenticando il riconoscimento di cui la medesima sentenza da' atto a pag. 139, avendo riguardo al verbale di s.i.t. del 7 ottobre 2015 (con una spiegazione dell'iniziale silenzio scaturente dal timore per la caratura criminale degli imputati), risulta, oltre che incompleta, nel confronto con i dati probatori, del tutto estranea ai limiti del sindacato di legittimita'. Quest'ultimo rilievo vale anche con riguardo alla presenza del (OMISSIS) sul luogo dell'aggressione (fondata, come rileva la sentenza di secondo grado, anche sulle dichiarazioni rese, in sede di interrogatorio di garanzia, dai coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS), oltre che dalle visioni dei filmati). In tale contesto, la mancata individuazione della targa dell'autovettura Clio e' un dato assolutamente recessivo, rilevando piuttosto la compatibilita' del modello dell'auto con quello del veicolo del ricorrente. 12.2. Il secondo motivo e' del pari inammissibile, giacche', ferma l'irrilevanza dei deficit motivazionali colti da questa Corte in sede cautelare con riguardo alla posizione del (OMISSIS) - il cui ricorso verra' esaminato in fra -, giacche' oggetto del presente giudizio e' l'apparato argomentativo della sentenza di merito, si osserva che: a) che la presenza del (OMISSIS) sul luogo del delitto resta confermata da quanto osservato a proposito del primo motivo; b) il contributo concreto all'aggressione del (OMISSIS) e' razionalmente confermato dalla sentenza impugnata non solo in ragione della sua partecipazione alla spedizione, ma dalla ginocchiata sferrata in danno di una delle vittime, oggetto di una generica contestazione nel corso del primo motivo di ricorso. 12.3. Reiterativo e aspecifico e' anche il terzo motivo che non si confronta in alcun modo con il carattere punitivo della spedizione, con le ragioni che l'avevano provocata, con la partecipazione ad essa del (OMISSIS), figura di spicco del clan (OMISSIS), la cui egemonia si intendeva ribadire con l'azione: tutti dati fattuali che, per le modalita' ricostruite dalla Corte territoriale, e-ano ben presenti al (OMISSIS). 12.4. Il quarto motivo e' inammissibile poiche' introduce questioni che neppur deduce di avere posto alla Corte territoriale e che, in ogni caso, si connotano per manifesta infondatezza, sia quanto al concorso prestato ad un aggressione con armi, sia quanto al numero delle persone coinvolte, che emerge dalla ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito. 12.5. Il quinto motivo e' inammissibile, poiche' non contesta di avere invocato le circostanze attenuanti generiche sulla sola base dell'assenza di precedenti penali e, lamentando la mancata valorizzazione di elementi positivi che scaturirebbero dagli atti, finisce per richiedere a questa Corte una valutazione che e' invece demandata ai giudici di merito. 12.6. Il sesto motivo e' inammissibile, dal momento che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, che la esercita, cosi' come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 c.p.; ne discende che e' inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova âEuroËœvalutazione della congruita' della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 - 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142), cio' che - nel caso di specie - non ricorre. Ricorso (OMISSIS) 13. Il ricorso del (OMISSIS) e' fondato solo con riguardo al settimo motivo per le seguenti ragioni, per il resto le censure non superando la soglia dell'ammissibilita'. 13.1. Il primo motivo e' inammissibile innanzi tutto ai sensi dell'articolo 606, comma 3, c.p.p., perche' il ricorrente non deduce di avere sollevato la questione dinanzi alla Corte d'appello, che, in effetti, non risulta investita di censure sul punto specifico. In ogni caso, la doglianza e' manifestamente infondata, poiche' il capo di imputazione, pur specificandone la portata solo in relazione al (OMISSIS) e a (OMISSIS), indica senza alcuna equivocita', nella descrizione della condotta contestata, che, oltre a costoro, subirono lesioni anche il (OMISSIS) e il (OMISSIS). Il punto e' affrontato gia' dalla sentenza di primo grado che, a pag. 126, menziona la documentazione fotografica predisposta sul punto dalla polizia giudiziaria. La mancata proposizione di appello sul punto impedisce qualunque approfondimento con riguardo alla concreta incidenza delle conseguenze dell'aggressione sulle vittime. 13.2. Il secondo, il terzo e il quarto motivo, esaminabili congiuntamente per la loro stretta connessione, sono inammissibili per assenza di specificita', dal momento che il significato della volonta' di (OMISSIS) di "chiarire la questione" con i (OMISSIS), quale riferita dal (OMISSIS), si intende alla luce del complessivo comportamento dei protagonisti della vicenda. I giudici di merito, proprio alla luce dell'azione sinergica posta in essere dagli imputati, dalla violenza dell'aggressione e dalla immediata correlazione cronologica con il precedente diverbio presso il (OMISSIS), hanno razionalmente tratim la conclusione della volonta' di realizzare una spedizione punitiva. Il ricorso, senza confrontarsi in termini specifici con tali profili fattuali, svolge astratte considerazioni sulla volonta' di chiarimento espresso dal (OMISSIS) che, in se', non sono idonee a scardinare la pregnanza dei dati valorizzati dai giudici di merito. Ne', in senso contrario, puo' valorizzarsi l'assoluzione dell'imputato dal reato di cui al capo Al), giacche' la volonta' lesiva non richiede necessariamente l'impiego di un'arma, con la conseguenza che, in difetto di un nesso di insuperabile correlazione logica tra i due reati (nel senso che le lesioni non sarebbero configurabili senza l'arma), il venir meno dell'uno non comporta conseguenze ineluttabili sull'esistenza del secondo. 13.3. Il quinto motivo e' privo di specificita', dal momento che la scelta della Corte territoriale di valorizzare il dato orario delle 6,21, tratto dalle riprese delle telecamere del Circolo Posidonia, trova razionale conferma - e assorbente fondamento della assoluta genericita' della doglianza - nel fatto che il (OMISSIS) e' stato inquadrato mentre sferrava una ginocchiata ad una delle vittime. 13.4. Il sesto motivo e' inammissibile per le medesime ragioni sviluppate supra sub 12.3, a proposito delle doglianze del (OMISSIS), con la precisazione che proprio l'immediata organizzazione del raid rende logico attribuire al ricorrente la piena consapevolezza dello speciale disvalore correlato alla circostanza aggravante contestata. 13.5. Il settimo motivo, che investe la legalita' della pena, e' fondato, dal momento che, secondo il condiviso orientamento di questa Corte, nel caso di concorso tra una circostanza aggravante ad effetto speciale ed altre circostanze aggravanti ad effetto comune, non puo' operarsi la somma aritmetica prevista dall'articolo 63, comma 2, c.p., ma deve trovare applic:azione il criterio moderatore previsto dal comma 4 della medesima norma, onde evitare che le circostanze ad effetto comune comportino un aumento di pena maggiore di quello derivante dalla ricorrenza di piu' circostanze aggravanti ad effetto speciale (Sez. 5, n. 7574 del 15/01/2019, Bianchi, Rv. 275632 - 01). Ne discende che la pena base di due anni di reclusione, dopo l'aumento della meta' per effetto della circostanza aggravante di cui all'articolo 416.bis.1, c.p., avrebbe potuto essere aumentata solo di un terzo (senza le ulteriori aggiunte calcolate dalla Corte territoriale), in tal modo giungendosi a quarantotto mesi di reclusione, da ridurre per la scelta del rito a due anni e otto mesi di reclusione. Ed e' in questi termini che, alla luce delle statuizioni del giudice di merito, il Collegio provvede a rideterminare la pena, ai sensi dell'articolo 620, comma 1, lettera I), c.p.p.. 13.6. L'ottavo motivo e' inammissibile poiche' la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, che la esercita, cosi' come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 c.p.; ne discende che e' inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita' della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 - 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142), cio' che nel caso di specie - non ricorre. Ricorso (OMISSIS); 14. Il ricorso e' inammissibile. 14.1. Il primo motivo e' inammissibile per manifesta infondatezza e assenza di specificita'. Richiamati i principi indicati supra sub 12.1, a proposito dei limiti del sindacato motivazionale in sede di legittimita', con riguardo alle prove dichiarative, si osserva che il tema dell'autonomia della cosca (OMISSIS) sulla quale il primo motivo insiste non ha pregio ne'" in generale, posi:o che muove da una nozione monadica delle singole articolazioni criminali che, invece, esercitano il controllo sul territorio in modo tanto piu' efficace quanto piu' realizzano strategie di coordinamento con altri gruppi, ne', in particolare, posto che, al di la' delle indicazioni ritratte dalle risultanze del proc. n. 1338/2014 RGNR DDA (noto come Sistema Reggio) e sulle quali il ricorso sorvola, le dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) restituiscono appunto la rappresentazione di un gruppo autonomamente enucleabile (e nei settori che lo stesso collaboratore indica nei brani riportati in ricorso), ma appunto legato da rapporti di cointeressa con le famiglie (OMISSIS) e (OMISSIS). Quest'ultimo cenno esprime una valutazione di sintesi operata dalla Corte d'appello del piu' dettaglio apporto del collaboratore ma, diversamente da quanto ritenuto in ricorso, non e' smentito dalle - peraltro frammentarie - riproduzioni del narrato, che appunto descrive il coordinamento tra i gruppi criminali. La seconda articolazione e' del pari aspecifica, poiche' la Corte territoriale, muovendo esattamente nella cornice di riferimento tracciata dalla giurisprudenza di questa Corte (v., di recente, Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, Modaffari, Rv. 281889 - 01), ha ricercato indici rivelatori dello stabile inserimento dell'agente nella struttura organizzativa dell'associazione, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua âEuroËœmessa a disposizione' in favore del sodalizio per il perseguimento deo comuni fini criminosi, cogliendo, nelle conversazioni intercettate - ancorche' tra soggetti terzi e non smentite dai dati indicati dalla difesa, per l'equivocita' di questi ultimi - e nelle dichiarazioni del (OMISSIS) spontanee e concrete indicazioni do un dinamismo criminale sia nella gestione dei rapporti, sia nel mantenimento dello zio detenuto (con il quale, in generale, pur in presenza di contrasti, la situazione si era chiarita), sia come custode di armi. La terza articolazione, che investe l'assertiva valutazione di credibilita' e attendibilita' del (OMISSIS), e' del tutto generica. Al riguardo, anche di recente questa Corte e' tornata a ribadire (Sez. 1, n. 47245 del 16/11/2021, Lentini) la centralita' del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite in materia di chiamate in correita' o in reita', secondo cui, nella valutazione di queste ultime, il giudice, ancora prima di accertare l'esistenza di riscontri esterni, deve verificare la credibilita' soggettiva del dichiarante e l'attendibilita' oggettiva delle sue dichiarazioni, ma tale percorso valutativo non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilita' soggettiva del dichiarante e l'attendibilita' oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando l'articolo 192, comma 3, c.p.p., alcuna specifica tassativa sequenza logico-temporale" (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, Aquilina, Rv. 255145-01). Questo orientamento ermeneutico si inserisce in un filone giurisprudenziale ormai definitivamente consolidato, in forza del quale, in tema di chiamata in reita', la valutazione della credibilita' soggettiva del dichiarante e quella della attendibilita' oggettiva delle sue dichiarazioni non si muovono lungo linee separate, posto che l'uno aspetto influenza necessariamente l'altro. Ne discende che al giudice e' imposta una considerazione unitaria dei due aspetti, pur logicamente scomponibili, sicche', in presenza di elementi incerti in ordine all'attendibilita' del racconto, egli non puo' esimersi dal vagliarne la tenuta probatoria alla luce delle complessive emergenze processuali, in quanto - salvo il caso estremo di una sicura inattendibilita' del dichiarato - il suo convincimento deve formarsi sulla base di un vaglio globale di tutti gli elementi di informazione legittimamente raccolti nel processo (Sez. 6, n. 11599 del 13/03/2007, Pelaggi, Rv. 236151- 01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, n. 22633 del 05/02/2014, Pagnozzi, Rv. 262348-01; Sez. 2, n. 21599 del 16/02/1999, Emmanuello, Rv. 244541-01). In questa cornice, le chiamate in correita' o in reita', in quanto contenute nelle dichiarazioni eteroaccusatorie rese da uno dei soggetti processuali indicati nell'articolo 192, commi 3 e 4, c.p.p., non possono che soggiacere ai criteri di valutazione della prova previsti da tale disposizione, nel senso che la loro credibilita' soggettiva e la loro attendibilita', intrinseca ed estrinseca, devono trovare conferma in altri elementi di prova, con la conseguente accentuazione, conformemente all'espressa previsione del comma 1 dello stesso articolo, dell'obbligo di motivazione del convincimento del giudice, da intendersi come espressione di un giudizio unitario e non frazionabile sulle propalazioni oggetto di vaglio giurisdizionale. Tale conclusione giurisprudenziale, nel solco di un orientamento ermeneutico, collegato e parimenti consolidato, ribadisce che, ai fini della corretta valutazione del mezzo di prova di cui si sta discutendo, la metodologia a cui il giudice di merito deve conformarsi non puo' che essere quella trifasica, fondata sulla valutazione della credibilita' del dichiarante, desunta dalla sua personalita', dalle sue condizioni socio-economiche e familiari, dal suo passato, dai rapporti con l'accusato, dalla genesi remota e prossima delle ragioni che lo hanno indotto all'accusa nei confronti del chiamato; dalla valutazione dell'attendibilita' intrinseca della chiamata effettuata dal propalante, fondata sui criteri della precisione, della coerenza, della costanza, della spontaneita'; dalla verifica esterna dell'attendibilita' della dichiarazione accusatoria, effettuata attraverso l'esame di elementi estrinseci di riscontro alla stessa chiamata, idonei ad attestarne la veridicita' (Sez. U, n. 1653 del 21/10/1992, Marino, Rv. 192465-01). Deve, tuttavia, evidenziarsi, in linea con quanto opportunamente precisato dalla successiva giurisprudenza di questa Corte, che tale sequenza trifasica non deve svilupparsi rigidamente - essendo espressione di un giudizio unitario, omogeneo e non frazionabile sulle propalazioni di volta in volta esaminate -, nel senso che il percorso valutativo dei vari passaggi non deve muoversi lungo linee separate, in quanto la credibilita' soggettiva del dichiarante e l'attendibilita' oggettiva del suo racconto, influenzandosi reciprocamente, al pari di quanto accade per ogni altra fonte di prova di natura dichiarativa, deve essere valutata unitariamente, conformemente ai criteri epistemologici generali e non prevedendo, per converso, la disposizione dell'articolo 192, comma 3, c.p.p., alcuna specifica deroga. In questa direzione, le censure difensive proposte si muovono in una direzione esattamente inversa a quella prefigurata da questa Corte, in quanto tendono a parcellizzare i singoli segmenti dichiarativi dei vari propalanti, prospettando un'operazione di ermeneutica processuale che non e' compatibile con i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimita' (Sez. 1, n. 13844 del 02/12/2016, dep. 2017, Aracu, Rv. 270367-01; Sez. 6, n. 47304 del 12/11/2015, Messina, Rv. 265355- 01; Sez. 6, n. 1472 del 02/11/1998, dep. 1999, Archesso, Rv. 213446-01). In questi termini, ogni operazione di ermeneutica processuale tendente a frazionare i vari passaggi valutativi delle dichiarazioni dei chiamanti in correita' o in reita' escussi deve essere ritenuta inammissibile, atteso che, nel valutare le propalazioni di tali soggetti, eventuali riserve circa l'attendibilita' del loro narrato devono essere superate, vagliandone la valenza probatoria alla luce di tutti gli altri elementi di informazione legittimamente acquisiti, attraverso un percorso argomentativo necessariamente unitario. Non e', pertanto, possibile parcellizzare le dichiarazioni accusatorie rese, in via prioritaria, dal collaboratore di giustizia. Nella ricordata cornice di riferimento, l'assenza di contestazioni della quale e' menzione nella sentenza impugnata ha il solo fine di sottolineare l'assenza di elementi di dubbio idonei a scardinare l'univocita' del quadro tratto dalla correlazione tra conversazioni intercettate e dic:hiarazioni del collaboratore. D'altra parte, le critiche che vengono proposte riportando frammenti del controesame, oltre alla loro scarsa pregnanza, si segnalano per la parzialita' della base di conoscenza processuale sulle quali riposano. A fronte di un dinamismo criminale ampio e di livello importante, la prova dell'elemento soggettivo si coglie razionalmente, come accade in generale, proprio nelle caratteristiche della condotta (v., ad es., Sez. 5, n. 30726 del 09/09/2020, Giunchiglia, Rv. 279908 - 0, in tema di truffa). 14.2. Il secondo motivo e' del pari inammissibile in entrambe le sue articolazioni, alla luce del consolidato orientamento in forza del quale, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimita' (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 - 01). Le doglianze reiterano critiche affrontate in termini razionali dalla Corte territoriale, quanto al significato delle conversazioni e alla credibilita' dell'apporto di (OMISSIS) e dal riferimento ad altri sodali che rende il riferimento alle "nostre cose" un dato non isolato. 14.3. Il terzo motivo e' inammissibile per manifesta infondatezza e assenza di specificita', avendo la Corte d'appello chiarito che, nel caso di specie, il fatto che il (OMISSIS) fosse inserito nell'associazione oggetto di contestazione ed era gravato da numerosi precedenti penali, rendeva presumibile il rischio di avvio di una procedura in tema di misure di prevenzione patrimoniali che, invece, non risulta potesse coinvolgere il (OMISSIS), pur alla luce dei precedenti indicati nel ricorso di quest'ultimo. 14.4. Il quarto motivo investe del tutto genericamente la valutazione della Corte territoriale in ordine alla ritenuta sussistenza della recidiva, sorretta da una adeguata valutazione dell'ingravescente pericolosita'. Del tutto aspecifico e' poi l'ultimo rilievo che valorizza il dato dell'ingresso del (OMISSIS) nell'associazione per poi fare riferimento, con un salto non spiegato, alla data di consumazione del medesimo delitto associativo. 14.5. Il quinto motivo e' inammissibile poiche', al netto dell'inesatta affermazione secondo la quale l'esito dell'affidamento in prova non estinguerebbe gli effetti penali e non inciderebbe sulla recidiva 1:conclusione che questa Corte ha respinto: Sez. U, n. 5859 del 27/10/2011, dep. 2012, Marciano', Rv. 251688 - 01), si osserva che: a) la questione dell'esistenza di una precedente dichiarazione di recidiva non risulta essere stata dedotta con l'appello (e cio' senza dire della sua non necessita', come confermato da Sez. U. del 30/03/2023; l'informazione provvisoria chiarisce che, ai fini del riconoscimento della recidiva reiterata e' sufficiente che, al momento della consumazione del reato, l'imputato risulti gravato da piu' condanne definitive per reati precedentemente commessi ed espressivi di una maggiore pericolosita' sociale, oggetto di specifica e adeguata motivazione); b) indipendentemente dalle condanne alle quali si riferisce l'esito positivo della messa alla prova, i sei anni e otto mesi di reclusione applicati per la recidiva di cui all'articolo 99, comma 4, c.p., rientrano nel limite di cui all'ultimo comma dell'articolo 99. 14.6. Il sesto motivo di ricorso che i contenuti aumenti per la continuazione siano adeguatamente sorretti dal riferimento ai criteri di cui all'articolo 133 c.p. e che avere esplicitato, in relazione ai reati di cui ai capi B e C, il peso dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis.1 c.p., non configura alcuna violazione di legge. 14.7. Il settimo motivo e' inammissibile in quanto la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e' giustificata, nella sentenza impugnata, con motivazione esente da manifesta illogicita', che si sottrae, pertanto, al sindacato di questa Corte (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio, espressione della consolidata giurisprudenza di legittimita', secondo cui non e' necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e' sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti glli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244). 14.8. Del tutto infondato e' l'ottavo motivo, se si considera il ruolo di custode delle armi del gruppo da parte dell'imputato, quale ricostruito dai giudici di merito con rilievi non scalfiti dal primo e dal terzo motivo del ricorso. Ricorso (OMISSIS); 15. Il ricorso e' inammissibile. 15.1. Il primo motivo e' manifestamente infondato e privo di specificita', dal momento che il capo di imputazione descrive la struttura del sodalizio, i suoi componenti e il territorio di operativita', mentre poi, in motivazione, la sentenza impugnata, senza incorrere nella fumosita' che il ricorrente le rimprovera, specifica che ha la gestione abusiva del servizio di buttafuori ha rappresentato la forma di illecito controllo del territorio da parte della ndrangheta, funzionale a ribadire la sua presenza capillare sul territorio. La sentenza aggiunge che siffatta attivita' era affidata a (OMISSIS), uomo di fiducia della cosca (OMISSIS) e che della cerchia dei soggetti addetti alla sicurezza dei locali faceva parte, tra gli altri, il (OMISSIS). In tale contesto non emergono margini di incertezza che impediscano all'imputato di svolgere le sue difese in termini compiuti. 15.2. Il secondo e il terzo motivo, esaminabili con (OMISSIS)mente per la loro stretta connessione, sono inammissibili, in quanto, in termini meramente reiterativi, aspirano ad una rivalutazione delle risultanze istruttorie preclusa in questa sede. Ribadita la cornice di ammissibilita' del controllo motivazionale sulle sentenze di merito, alla luce di quanto osservato supra sub 12.1, si osserva che la convergenza delle dichiarazioni del (OMISSIS) e del (OMISSIS), che il ricorso artatamente sottopone ad analisi frazionata, si rinviene nel rapporto con i (OMISSIS) e con l'attivita' di buttafuori del (OMISSIS), in tal modo identificato dal secondo collaboratore, pur attribuendogli una collaborazione con il (OMISSIS) nell'attivita' di estorsione. Tali risultati vanno poi coordinati, fra l'altro, con l'intercettazione del 16 luglio 2016 (progr. n. 295), nel corso della quale (OMISSIS) afferma: "I buttafuori ce li ha (OMISSIS) ora... Con (OMISSIS).. Tutti i nostri sono". Ne discende un quadro che illumina il contesto nel quale si svolge il delitto di cui al capo Z, quanto alla genesi, alla finalita' di ripristinare l'ordine violato e alle modalita' di aggressione. 15.3. Il quarto motivo e' inammissibile per assenza di specificita', dal momento che, indipedentemente dall'assoluzione dal reato di cui al capo Al, la disponibilita' di armi, in generale e nello specifico del gruppo (OMISSIS), e' stata argomentatamente affermata dalla sentenza impugnata. E le caratteristiche sono tali (oltre che, quantomeno sul piano della consapevolezza, dimostrate anche dall'impiego di un'arma nell'aggressione di cui al capo Z) da rendere priva di qualunque illogicita' l'attribuzione della circostanza aggravante anche sul piano soggettivo al (OMISSIS). 15.5. Il quinto motivo e' del pari inammissibile, per manifesta infondatezza, alla luce delle considerazioni appena svolte, dal momento che a rigorosa scelta di escludere la responsabilita' del (OMISSIS) per il porto dell'arma usata dal (OMISSIS) non elide la gravita' del coacervo probatorio che rileva, prima ancora che il metodo mafioso, la finalita' di agevolazione rispetto al controllo del territorio operato attraverso il servizio dei buttafuori. 15.6. Il sesto motivo e' inammissibile non essendo dato cogliere profili di illogicita' nella motivazione con la quale la Corte d'appello ha sorretto le proprie conclusioni in tema di dosimetria della pena. Ricorso (OMISSIS); 16. Il ricorso e' inammissibile. 16.1. Il primo motivo e' inammissibile, per assenza di specificita' in quanto reitera la prospettazione difensiva sviluppata con l'atto di appello, proponendo una valutazione atomistica, logicamente superata dalla Corte territoriale in una visione di insieme degli elementi acquisiti. Del tutto razionalmente la sentenza impugnata ha operato una valutazione unitaria dei molteplici elementi che caratterizzano la posizione del (OMISSIS), alla luce del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita', secondo la quale il giudice, nell'apprezzamento dei risultati probatori, deve esaminare tutti e ciascuno degli elementi processualmente emersi, non in modo parcellizzato e avulso dal generale contesto probatorio, verificando se essi, ricostruiti in se' e posti vicendevolmente in rapporto, possano essere ordinati in una costruzione logica, armonica e consonante, che consenta, attraverso la valutazione unitaria del contesto, di attingere la verita' processuale, ossia la verita' del caso concreto (Sez. 2, n. 32619 del 24/04/2014, Pipino, Rv. 260071). In particolare, non e' soltanto il ruolo di rappresentante della cosca di (OMISSIS) e la gestione della pizzeria concorrente ad orientare verso il (OMISSIS), ma l'esplicito disappunto che i titolari della prima avevano comunicato al Liconti, rappresentante di arredi per bar, quanto al fatto che la proprietaria del locale non lo avesse affittato a loro. E, ancora, il fatto che al primo avvertimento, giunto tramite un ragazzo che aveva fatto esplicito riferimento agli amici di (OMISSIS), avesse fatto seguito un secondo avvertimento da parte di soggetto che proveniva proprio dalla pizzeria della quale si tratta e che sempre a quegli amici aveva fatto riferimento. In tale contesto, la mancata comparizione personale del (OMISSIS) nei vari segmenti attraverso i quali l'episodio si e' sviluppato e' elemento logicamente privo di decisivita', a fronte di una univocita' di dati che il ricorso neppure esamina nella loro interezza. Quanto alle circostanze aggravanti, il ricorso solleva la questione della circostanza di cui all'articolo 628, comma 3, n. 1, c.p., che, in realta', non risulta contestata e ritenuta, posto che i giudici di merito hanno riguardo alle persone latrici delle minacce su sollecitazione del (OMISSIS), per giustificare la circostanza di cui al n. 3 dell'articolo 628, comma 3, c.p. e quella di cui all'articolo 416-bis.1, c.p.. 16.2. Inammissibile per manifesta infondatezza e assenza di specificita' e' anche il secondo motivo, che, attraverso la reiterazione delle prospettazioni sviluppate dinanzi alla Corte territoriale, omette di confrontarsi con le stringenti considerazioni che, anche alla luce del protagonismo assunto nel delitto di cui al capo Z e Al, come pure della responsabilita' per i reati di cui ai capi I e D (per il quale si veda infra l'analisi del quinto motivo di ricorso), valorizzano gli esiti delle intercettazioni in un quadro coerente che il ricorso tende a parcellizzare, prospettando, per altro verso, una richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie, preclusa in questa sede. Ne scaturisce un quadro nel quale la concreta operativita' del (OMISSIS) nel contesto del sodalizio, ossia la cosciente partecipazione al programma criminoso del gruppo, e' tematica puntualmente affrontata. La consapevolezza associativa che emerge dalla conversazione tra il (OMISSIS) e (OMISSIS), l'uso dell'arma in occasione del delitto di cui al capo Z, l'attribuzione del delitto di cui al capo D), rendono destituite di ogni fondamento le critiche relative alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui al comma 4 dell'articolo 416-bis c.p.. 16.3. Il terzo motivo e' inammissibile per genericita', dal momento che neppure si confronta con il dato che, accanto ai rumori ascoltati e che, nella percezione degli operanti di p.g., sono stati ricostruiti come causati dall'apertura e/o chiusura dell'otturatore di un'arma da fuoco e dall'abbattimento del grilletto, i conversanti fanno esplicito riferimento a termini espliciti come "otturatore" e "percussore". Generica e' anche la contestazione della sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis.1, c.p., dal momento che neppure si confronta con l'argomento che la sentenza impugnata trae dal fatto che i conversanti affermano che l'arma serviva per "lavorare". 16.4. Inammissibile e' il quarto motivo nelle sue varie articolazioni, alla luce della assoluta assenza di specificita'. Il ricorso, dilungandosi in trattazioni di carattere generale, non si confronta in termini puntuali con l'impianto argomentativo della sentenza impugnata e con gli elementi probatori valorizzati (oltre ai risultati delle intercettazioni, i dati del GPS, posizionato sull'autovettura dell'imputato, che consentiva di monitorare il tragitto lungo il percorso impiegato in occasione dello svolgimento delle competizioni clandestine, e gli esiti del servizio di osservazione organizzato dalla p.g. in data 26 marzo 2017, che ha permesso di documentare in diretta le modalita' di svolgimento di una delle tante gare). Da tali elementi, dei quali il ricorso sostanzialmente si disinteressa, emerge che il (OMISSIS), oli:re a partecipare ad alcune competizioni come fantino, si dedicava ad organizzare l'attivita' della associazione criminale, occupandosi degli acquisti dei cavalli, dando indicazioni ai sodali sulla tipologia e sulla posologia dei farmaci da somministrare illecitamente agli animali, programmando nuove gare, partecipando al loro svolgimento, commentando le gare gia' disputate e le scommesse e confrontandosi con i sodali, con cui si incontrava nella scuderia, sui risultati delle stesse. Ne scaturisce non solo la piena consapevolezza del contributo fornito alla articolata struttura necessaria allo svolgimento dell'attivita', ma anche i ruoli promozionale e organizzativo che il ricorrente, senza illustrarne le ragioni, ritiene in concreto non cumulabili nello stesso soggetto. 16.5. Il quinto e il sesto motivo, esaminabili con (OMISSIS)mente per la loro stretta connessione, sono inammissibili per assenza di specificita', per l'assorbente considerazione che, mentre le difformita' di orari rilevati dalle telecamere di diversi locali trovano la loro spiegazione nella diversa taratura degli apparecchi, la presenza del (OMISSIS) e, anzi, il fatto che sia stato lui a ferire una delle vittime con un colpo di pistola, emerge dal sicuro riconoscimento operato dalla p.g. 16.6. Il settimo motivo e', del pari, inammissibile per assenza di specificita', sia per le ragioni indicate supra sub 12.3 e 13.4, ma soprattutto perche' la presenza del (OMISSIS), assente alla lite iniziale, si spiega, in relazione al suo ruolo associativo, proprio per ribadire il predominio sul territorio della cosca che gestiva il servizio clandestino di buttafuori. 16.7. L'ottavo motivo e' inammissibile per manifesta infondatezza, dal momento che le circostanze attenuanti generiche rappresentano un beneficio che richiede, come esattamente rilevato dalla sentenza impugnata, l'individuazione di positivi elementi di valutazione. Ne discende che sottolineare l'assenza di siffatti elementi, alla luce della gravita' dei fatti, non implica alcuna duplicazione sanzionatoria, giacche' si risolve nel prendere atto dell'assenza di ragioni che giustifichino una riduzione della pena determinata alla stregua degli ordinari criteri indicati dall'articolo 133 c.p.. 16.8. Inammissibile anche il nono motivo, dal momento che i contenuti aumenti per la continuazione trovano adeguata giustificazione nel richiamo all'articolo 133 c.p., anche perche' il ricorrente neppur deduce di avere impugnato la corrispondente decisione del giudice di primo grado dinanzi alla Corte d'appello. Ricorso (OMISSIS); 17. Il ricorso e' inammissibile. 17.1. Va premesso che la sentenza n. 172:30 del 21/03/2018, con la quale la I sezione di questa Corte ha annullato l'ordinanza del Tribunale di (OMISSIS) che aveva respinto la richiesta di riesame avverso, ha una portata circoscritta al controllo della specifica motivazione utilizzata in sede cautelare, laddove, in questa sede, occorre confrontarsi con il percorso argomentativo dei giudici di merito, i quali hanno tratto dalla costante presenza del (OMISSIS) sia nel momento iniziale (essendo egli stato presente nel momento in cui si verifico' il primo diverbio al (OMISSIS)), sia nella fase esecutiva la razionale convinzione della sua consapevole partecipazione all'aggressione sulla quale' hanno riferito (OMISSIS) e (OMISSIS). Si tratta di dati non smentiti dal fatto che le videoriprese non hanno colto tutti i segmenti dell'azione collettiva e neppure incrinati dal generico cenno contenuto in ricorso alla portata dell'interrogatorio di garanzia del (OMISSIS). In tale contesto, il gesto rivolto dal (OMISSIS) all'addetta alle pulizie e' un dato in se' non decisivo, posto che si ignora il contenuto della conversazione seguita. Tuttavia, i superiori, ben piu' pregnanti elementi valorizzati dalla sentenza impugnata sono idonei a dimostrare, al di la' di ogni ragionevole dubbio, il coinvolgimento del ricorrente nell'azione aggressiva. La seconda articolazione, che investe la ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis.1, c.p. e' inammissibile per assenza di specificita', alla luce delle considerazioni sviluppate supra sub 12.3 e 13.4. 17.2. Il secondo motivo e' inammissibile per l'assoluta genericita' di formulazione. Ricorso (OMISSIS); 18. Il ricorso e' inammissibile. 18.1. Il primo motivo e' inammissibile per assenza di specificita', perche', peraltro attraverso l'aspirazione ad una rivalutazione delle risultanze preclusa in questa sede, omette di confrontarsi con il nucleo centrale della sentenza impugnata, la quale ha fondato la conclusione della sua consapevole partecipazione all'aggressione desumendola dalla sua presenza sia nel momento iniziale (essendo egli stato presente nel momento in cui si verifico' il primo diverbio al (OMISSIS)), sia nella fase esecutiva, posto che il (OMISSIS) accompagno' sul luogo dell'aggressione il (OMISSIS) e il (OMISSIS), ripresi dalle telecamere nell'atto di scendere dalla sua macchina (e il (OMISSIS) inquadrato anche nell'atto di sferrare una ginocchiata ad una delle vittime), e, poi, prelevo' il (OMISSIS), assieme al quale si reco' sul (OMISSIS) per incontrarsi con il (OMISSIS) e il (OMISSIS). 18.2. Il secondo motivo e' inammissibile, dal momento che la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e' giustificata, nella sentenza impugnata, con motivazione esente da manifesta illogicita', che si sottrae, pertanto, al sindacato di questa Corte (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio, espressione della consolidata giurisprudenza di legittimita', secondo cui non e' necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e' sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244). Del tutto generiche sono le censure che investono la determinazione della pena. 18.3. Il terzo motivo, che investe la ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 416-bis.1, c.p. e' inammissibile per assenza di specificita', alla luce delle considerazioni sviluppate supra sub 12.3 e 13.4. Ricorso (OMISSIS) 19. Il motivo e' inammissibile, per assenza di specificita'. Oltre a quanto rilevato a proposito del terzo motivo del ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS), deve aggiungersi che il ricorrente neppur deduce di avere sottoposto alla Corte territoriale il tema del dolo specifico dell'intestatario fittizio (e la questione non emerge dalla sintesi dei motivi di appello operata dalla sentenza), talche' la censura di omessa motivazione sul punto non e' sorretta da una puntuale deduzione del vizio lamentato. Ricorso (OMISSIS); 20. La doglianza espressa nell'unico motivo di ricorso e' infondata. Innanzi tutto, va ribadito che, nel reato di invasione di terreni o edifici di cui all'articolo 633 c.p., la nozione di "invasione" non si riferisce all'aspetto violento della condotta, che puo' anche mancare, ma al comportamento di colui che si introduce "arbitrariamente", ossia contra ius in quanto privo del diritto d'accesso, cosicche' la conseguente "occupazione" costituisce l'estrinsecazione materiale della condotta vietata e la finalita' per la quale viene posta in essere l'abusiva invasione; nel caso in cui l'occupazione si protragga nel tempo, il delitto ha natura permanente e la permanenza cessa soltanto con l'allontanamento del soggetto o con la sentenza di condanna, dopo la quale la protrazione del comportamento illecito da' luogo ad una nuova ipotesi di reato che non necessita del requisito dell'invasione, ma si sostanzia nella prosecuzione dell'occupazione (Sez. 2, n. 29657 del 27/03/2019, Cerullo, Rv. 277019 - 01). In questa prospettiva, il carattere amovibile delle strutture non assume rilievo posto che integra il reato de quo la turbativa del possesso che realizzi un apprezzabile depauperamento delle facolta' di godimento del terreno o dell'edificio da parte del titolare dello ius excludendi, secondo quella che e' la destinazione economico-sociale del bene o quella specifica ad essa impressa dal dominus (Sez. 2, n. 25438 del 18/04/2017, Zerba, Rv. 269965 - 01). Infatti, secondo l'elaborazione giurisprudenziale, e' necessario individuare, ai fini della configurabilita' del reato, un altro elemento che, sebbene non espresso nella norma, deve ritenersi in essa implicito e che consiste nel fatto che la permanenza nel terreno e nell'edificio non deve avere carattere momentaneo ma, al contrario, un'apprezzabile durata perche' solo tale ulteriore elemento consente, poi, di evidenziare il dolo specifico dell'agente, ossia la volonta' di occuparli o trarne altrimenti profitto, comportamenti questi (occupazione - approfittannento) che presuppongono, appunto, una stabile ed apprezzabile insistenza fisica dell'agente sul fondo altrui: v., ad es., Sez. 2, n. 11544 del 08/02/2011, Maddii, non massimata). Peraltro le facolta' di godimento dei beni demaniali non sono incise dalla scarsa manutenzione anche perche', come conferma la regola della non usucapibilita' dei beni demaniali, vengono in gioco interessi pubblici non disponibili da parte di quanti siano via via incaricati della cura dei beni stessi. Rispetto al contenuto dell'atto di appello, cosi' come ricostruito in termini non contestati dalla sentenza impugnata, il ricorrente poi introduce in termini di assoluta assertivita' il tema della preesistenza del pollaio alla conclusione del contratto di locazione. Si tratta di deduzione generica, non correlata ad alcuna evidenza processuale. 21. Dalle superiori considerazioni discende, a norma dell'articolo 616 c.p.p., la condanna degli imputati i cui ricorsi sono stati dichiarati inammissibili ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) al pagamento delle spese processuali nonche' al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilita' dei ricorsi, nella misura di Euro tremila. Il (OMISSIS), il cui ricorso e' stato rigettato, va invece condannato al solo pagamento delle spese processuali. PQM Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente al trattamento sanzionatorio, rideterminando la pena in anni due e mesi otto di reclusione. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso del (OMISSIS). Rigetta il ricorso di (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibili i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS),, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GALTERIO Donatella - Presidente Dott. LIBERATI Giovanni - rel. Consigliere Dott. GENTILI Andrea - Consigliere Dott. SEMERARO Luca - Consigliere Dott. SCARCELLA Alessio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 8/7/2022 della Corte d'appello di Potenza; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso, trattato ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8; udita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni Liberati; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Giordano Luigi, che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 8 luglio 2022 la Corte d'appello di Potenza ha respinto l'impugnazione proposta da (OMISSIS) nei confronti della sentenza del 15 ottobre 2020 del Tribunale di Potenza, con la quale lo stesso era stato dichiarato responsabile del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, comma 1, lettera b), (per avere, quale amministratore della (OMISSIS) S.r.l., avente la disponibilita' di un terreno in Comune di Potenza e in assenza del necessario titolo autorizzativo, realizzato un piazzale con materiale di riporto a ridosso dell'impluvio ivi esistente; in Potenza, in data anteriore e prossima al 23 febbraio 2018), ed era stato conseguentemente condannato alla pena di due mesi di arresto e 4.000,00 Euro di ammenda, condizionalmente sospesa subordinatamente al ripristino dello stato dei luoghi. 2. Avverso tale sentenza l'imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. 2.1. in primo luogo, ha lamentato l'errata applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 6, comma 1, e la violazione dell'articolo 117 Cost., non essendo stata considerata la natura precaria dell'opera realizzata e la non irreversibile e sostanziale trasformazione dell'area in conseguenza della sua realizzazione, emergente dalle fotografie dell'opera, con la conseguente qualificabilita' della stessa come opera precaria, non soggetta ad autorizzazione ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 6, comma 1, lettera e bis); l'area in questione era, infatti, stata utilizzata per il deposito di materiali edili necessari per lo svolgimento della attivita' di impresa svolta dalla (OMISSIS) S.r.l. amministrata dal ricorrente, e quindi il materiale di riporto ivi esistente, costituito da terra di fiume, vi era stato posizionato temporaneamente per essere prelevato al fine della esecuzione di lavori di riempimento, non certo per costruire un piazzale abusivo, non essendo neppure stata realizzata la cementazione, ritenuta necessaria dalla giurisprudenza amministrativa per poter ritenere configurabile la realizzazione di un piazzale richiedente il permesso di costruire. Tale necessita' risultava esclusa dal regolamento edilizio comunale, i cui articoli 15 e 17 consentivano senza autorizzazione il riutilizzo di terreno vegetale proveniente da scavi, a condizione che non sia superato di 50 cm. il piano di campagna originario. 2.2. In secondo luogo, ha lamentato l'errata applicazione dell'articolo 131 bis c.p. e la carenza della motivazione nella parte relativa alla esclusione della riconoscibilita' di tale beneficio, giustificata in modo generico con le peculiari modalita' esecutive del reato contestato, senza dare conto delle ragioni giudicate ostative al riconoscimento della configurabilita' di tale causa di esclusione della punibilita' come individuate dalla giurisprudenza di legittimita' (si richiama la sentenza n. 5821 del 2019), tra cui la consistenza dell'intervento abusivo, la sua incidenza sul carico urbanistico, l'eventuale contrasto con gli strumenti urbanistici e l'impossibilita' di sanatoria, il mancato rispetto di vincoli, l'eventuale collegamento dell'opera abusiva con interventi preesistenti, il rispetto o meno di provvedimenti autoritativi emessi dalla amministrazione competente, la totale assenza di titolo abilitativo o il grado di difformita' dallo stesso, le modalita' di esecuzione dell'intervento. 2.3. Infine, con il terzo motivo, ha lamentato un vizio della motivazione a causa della mancanza di autonoma valutazione della vicenda da parte della Corte d'appello rispetto a quanto considerato dal Tribunale, in guisa tale da impedire di comprendere il percorso logico seguito dal giudice dell'impugnazione. 3. Il Procuratore Generale ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso, sottolineando il carattere non precario dell'opera, in quanto realizzata con materiale non precario (cemento armato), per giunta destinata a soddisfare esigenze non contingenti (per stessa ammissione del ricorrente che ha dedotto di utilizzare l'opera come deposito di materiale edile); la corretta esclusione della particolare tenuita' del fatto in considerazione delle peculiari modalita' esecutive dell'opera, caratterizzata dall'uso di cemento armato per la realizzazione di un piazzale destinato a deposito; l'autonomia della valutazione compiuta dai giudici di secondo grado. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' manifestamente infondato. 2. Il primo motivo, mediante il quale e' stata prospettata l'errata applicazione delle disposizioni del testo unico delle leggi urbanistiche da considerare nella qualificazione dell'intervento realizzato per conto della societa' amministrata dal ricorrente, che, ad avviso di quest'ultimo, dovrebbe rientrare tra le opere di edilizia precaria ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 6, comma 1, lettera e bis), come tale non soggetto ad autorizzazione preventiva, e' inammissibile, sia perche' si fonda su una rilettura e una rivalutazione delle emergenze istruttorie, allo scopo di conseguirne una diversa considerazione quanto alla natura e alle caratteristiche delle opere, che e' preclusa nel giudizio di legittimita', nel quale e' esclusa la possibilita' di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali, o una diversa ricostruzione storica dei fatti, o un diverso giudizio di rilevanza, o comunque di attendibilita' delle fonti di prova (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575; Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, c.c. in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716); sia perche' sulla base di tale rilettura delle fonti di prova si prospettati una riqualificazione dell'intervento, come di carattere precario, che e' manifestamente infondata, in quanto in evidente contrasto con il tenore della disposizione di cui il ricorrente ha invocato l'applicazione. Il citato Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 6, comma 1, lettera e bis), (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), include tra le opere realizzabili in assenza di titolo abilitativo "le opere stagionali e quelle dirette a soddisfare obiettive esigenze, contingenti e temporanee, purche' destinate ad essere immediatamente rimosse al cessare della temporanea necessita' e, comunque, entro un termine non superiore a centottanta giorni comprensivo dei tempi di allestimento e smontaggio del manufatto, previa comunicazione di avvio dei lavori all'amministrazione comunale". La giurisprudenza di legittimita' ha chiarito che l'opera precaria, per la sua stessa natura e destinazione, non comporta effetti permanenti e definitivi sull'originario assetto del territorio tali da richiedere il preventivo rilascio di un titolo abilitativo, precisando che l'intervento precario deve necessariamente possedere alcune specifiche caratteristiche: la sua precarieta' non puo' essere desunta dalla temporaneita' della destinazione soggettivamente data all'opera dall'utilizzatore; sono irrilevanti le caratteristiche costruttive i materiali impiegati e l'agevole amovibilita'; deve avere una intrinseca destinazione materiale a un uso realmente precario per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo; deve essere destinata a una sollecita eliminazione alla cessazione dell'uso (cfr., tra le tante, Sez. 3, n. 5821 del 15/01/2019, Dule Saimir, Rv. 275697; Sez. 3, n. 36107 del 30/6/2016, Arrigoni, Rv. 267759; Sez. 3, n. 6125 del 21/1/2016, Arcese, non massimata; Sez. 3, n. 16316 del 15/1/2015, Curti, non massimata; Sez. 3, n. 966 del 26/11/2014, dep. 2015, Manfredini, Rv. 261636; Sez. 3, n. 25965 del 22/06/2009, Bisulca, non massimata). Ora, nel caso in esame la Corte d'appello, nel disattendere l'impugnazione del ricorrente, ha escluso il carattere precario dell'opera dallo stesso realizzata sottolineando che la stessa consiste in un battuto di cemento armato della estensione di circa 200 mq., mediante la quale e' stato realizzato un piazzale destinato a deposito di materiale edile. La Corte d'appello ha anche ricordato le vicende che hanno interessato l'area (nella quale il ricorrente ha anche realizzato un capannone in assenza di permesso di costruire e ampliato il piazzale antistante per complessivi 1600 mq., tra l'altro in zona gravata da vincolo idrogeologico e occupando la sede stradale per circa 550 mq.). Risulta evidente, dunque, alla luce delle caratteristiche dell'opera e tenendo conto delle ricordate condizioni per poter qualificare un'opera come precaria, il carattere stabile di quella realizzata dal ricorrente e in relazione alla quale e' stata affermata la sua responsabilita', posto che un piazzale in cemento armato della superficie di circa 200 mq. non puo' certamente avere una intrinseca destinazione materiale a un uso realmente precario per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, ne' essere destinata a una sollecita eliminazione alla cessazione dell'uso, in considerazione delle sue caratteristiche costruttive, che ne escludono sia la destinazione a un utilizzo transitorio, sia la facile amovibilita'. Ne consegue, in definitiva, la manifesta infondatezza dei rilievi sollevati dal ricorrente con il primo motivo di ricorso, essendo del tutto correttamente stato escluso il carattere precario dell'opera e, con essa, la non necessarieta' del previo rilascio del titolo abilitativo edilizio al fine della sua realizzazione. 3. Il secondo motivo, relativo alla esclusione della applicabilita' della causa di non punibilita' per la particolare tenuita' del fatto di cui all'articolo 131 bis c.p., e' anch'esso inammissibile, essendo volto a sollecitare una rivalutazione sul piano del merito degli aspetti gia' considerati dal Tribunale e dalla Corte d'appello di Potenza per escludere la particolare tenuita' del fatto. La Corte d'appello, nel disattendere il motivo di impugnazione volto a ottenere il riconoscimento di detto beneficio, ha sottolineato le modalita' esecutive dell'opera in precedenza descritte, tra cui il suo inserimento nell'ambito di altri illeciti edilizi: si tratta di motivazione idonea a dar conto della valutazione di non modesta entita' dell'impatto dell'opera sul territorio e sull'assetto urbanistico, agevolmente desumibile dalle sue stesse caratteristiche e dimensioni, oltre che dal suo collegamento a un capannone industriale e a un grande piazzale (entrambi abusivi secondo quanto esposto nella motivazione della sentenza impugnata), dunque idonea a escludere la particolare tenuita' dell'offesa al bene protetto, e quindi anche l'applicabilita' del beneficio richiesto dal ricorrente. Tale motivazione, che rinvia alle caratteristiche dell'opera e al contesto nel quale la stessa e' stata realizzata, non e' stata considerata dal ricorrente, che ha censurato l'esclusione del beneficio in modo generico e criticando sul piano del merito la valutazione della Corte d'appello, che e' stata giustificata in modo sufficiente e non manifestamente illogico, anche alla luce della evidenza costituita dalle caratteristiche e dalla estensione dell'opera, con la conseguente manifesta infondatezza dei rilievi sollevati con il secondo motivo di ricorso. 4. Il terzo motivo, mediante il quale e' stata denunciata, in modo generico, attraverso il mero richiamo a pronunce di questa Corte, l'insufficienza della motivazione e la mancanza di autonoma valutazione dei motivi d'appello e delle risultanze istruttorie da parte della Corte d'appello di Potenza, e' inammissibile, sia a causa della sua genericita', essendo privo di autentico confronto, tantomeno critico, con la vicenda e con la motivazione del provvedimento impugnato; sia per la sua manifesta infondatezza, in quanto la Corte d'appello, sia pure in modo sintetico, ha dato conto sufficientemente delle ragioni del rigetto dei motivi d'appello, sottolineando come gli stessi costituissero riproposizione di tesi difensive gia' confutate dal Tribunale di Potenza ed escludendo, in ragione delle caratteristiche dell'opera, delle sue dimensioni e del contesto, sia la sua precarieta' sia la particolare tenuita' dell'offesa recata al bene protetto mediante la realizzazione di detta opera. 5. Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, a cagione del contenuto non consentito e della manifesta infondatezza di tutti i motivi ai quali e' stato affidato. L'inammissibilita' originaria del ricorso esclude il rilievo della eventuale prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza di secondo grado, giacche' detta inammissibilita' impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale di impugnazione innanzi al giudice di legittimita', e preclude l'apprezzamento di una eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266; conformi, Sez. un., 2/3/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164, e Sez. un., 28/2/2008, n. 19601, Niccoli, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del 20/11/2014, Rasizzi Scalora, Rv. 261616; nonche' Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 14/02/2017, Aiello, Rv. 268966). Alla declaratoria di inammissibilita' del ricorso consegue, ex articolo 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento, nonche' del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

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