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  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta da: Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere Dott. RANALDI Alessandro - Relatore Dott. MICCICHÈ Loredana - Consigliere Dott. FABIO ANTEZZA - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: Ta.Ro. nato a R il (Omissis); avverso l'ordinanza del 04/11/2023 del TRIB. LIBERTÀ di ROMA; udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSANDRO RANALDI. La Corte dà atto che, in relazione al presente procedimento è pervenuta, in data 05/04/2024, istanza di rinvio per legittimo impedimento determinata da concomitanti impegni professionali, nonché, in data odierna, certificazione relativa alla Sig.ra Angela Po., attestante che la stessa è affetta da sindrome influenzale. Il Proc. Gen. sull'istanza di rinvio si rimette alla Corte e, altresì, conclude per l'inammissibilità o, in subordine, per il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza in epigrafe indicata, il Tribunale di Roma, in sede di riesame cautelare, ha confermato il provvedimento del G.I.P. dello stesso Tribunale che aveva disposto la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di Ta.Ro., in relazione ai reati di cui all'art. 73 D.P.R. 309/90 a lei ascritti nell'imputazione provvisoria. 2. Ricorre per cassazione l'indagata, a mezzo del difensore, lamentando (in sintesi, giusta il disposto di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.) quanto segue. I) Inutilizzabilità e perdita di efficacia della misura per omessa trasmissione dei supporti audio delle intercettazioni, posti a fondamento della gravità indiziaria, per mancata trasmissione al Tribunale di tali supporti, con conseguente nullità di ordine generale a regime intermedio che impedisce al giudice di fondare la sua decisione sul dato intercettativo. II) Violazione di legge, in relazione alla mancata tempestiva iscrizione dell'indagata nel registro notizie di reato; eccepisce che l'attività di intercettazione ambientale e di video-riprese disposta dal Pm con provvedimento del 18.11.2021 risulta espletata senza procedere alla necessaria iscrizione a carico, trattandosi di ipotesi di reato temporalmente collocate tra l'8 dicembre 2021 e il primo marzo 2022. Solleva questione di legittimità costituzionale delle disposizioni di cui agli artt. 190 s.s. - 405 s.s. - 335 cod. proc. pen. per contrasto con gli articoli 3 - 24 - 111 - 117 Cost. e con il principio di ragionevolezza, nonché con l'art. 6 CEDU. IlI) e III bis) Violazione di legge, in ordine alla ritenuta legittimità dello svolgimento della attività di video-riprese in assenza di un provvedimento autorizzativo giurisdizionale. Eccepisce la incostituzionalità europea della relativa normativa. Censura l'ordinanza per illegittimità del provvedimento autorizzativo del PM, in quanto emesso in violazione degli artt. 125 e 189 cod. proc. pen. in assenza di una notitia criminis. Ciò in ragione del fatto che le intercettazioni audio/video rilevanti nel caso di specie sono state effettuate all'interno del complesso edilizio "i Lo." sito in R, mediante installazione di sistemi intercettativi in luoghi privati, autorizzati con provvedimento del PM datato 18.11.2021. La ricorrente chiede che siano dichiarati inutilizzabili gli esiti delle videoriprese autorizzate dal Pm senza alcuna motivazione a sostegno; in via subordinata insta affinché sia sottoposta alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea la questione pregiudiziale se la richiamata normativa europea osti a una normativa nazionale la quale renda il pubblico ministero competente a disporre, mediante decreto motivato, l'acquisizione di dati relativi all'ubicazione di un soggetto e alle sue condotte e movimenti; in via ulteriormente subordinata chiede che sia sollevata questione di legittimità costituzionale degli artt. 266 s.s. - 271 cod. proc. pen. con gli artt. 3 - 15 - 117 Cost. Rileva che nel caso di specie lo scritto anonimo ha costituito il presupposto del provvedimento del Pm e dei successivi provvedimenti del GIP, il quale ha successivamente emesso il primo decreto di intercettazione. IV) Violazione di legge in ordine alla mancata motivazione con riferimento al contributo concorsuale addebitato all'indagata e alla mancata autonomia della valutazione del GIP rispetto alla richiesta del PM. Erronea applicazione dell'art. 73, comma 5, D.P.R. 309/90. V) Violazione di legge, in ordine alla valutazione dei criteri identificativi le esigenze di eccezionale rilevanza indicate dal Tribunale, nonostante la ricorrente sia madre di un figlio di un anno. 3. La difesa della ricorrente ha depositato memoria scritta con cui insiste nelle rassegnate conclusioni. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Si deve preliminarmente disattendere l'istanza di rinvio presentata dal difensore della ricorrente, argomentata sul dedotto concomitante impegno professionale dinanzi al Tribunale di Reggio Calabria per il processo Aq. + 114. 1.1. In proposito, è appena il caso di rilevare che, per giurisprudenza costante, l'impegno professionale del difensore in altro procedimento costituisce legittimo impedimento che dà luogo ad assoluta impossibilità a comparire, ai sensi dell'art. 420 ter, comma quinto, cod. proc. pen., a condizione che il difensore: a) prospetti l'impedimento non appena conosciuta la contemporaneità dei diversi impegni; b) indichi specificamente le ragioni che rendono essenziale l'espletamento della sua funzione nel diverso processo; c) rappresenti l'assenza in detto procedimento di altro codifensore che possa validamente difendere l'imputato; d) rappresenti l'impossibilità di avvalersi di un sostituto ai sensi dell'art. 102 cod. proc. pen. sia nel processo a cui intende partecipare sia in quello di cui chiede il rinvio (cfr. Sez. 6, n. 20130 del 04/03/2015, Rv. 263395-01). Nella specie, risulta che il rinvio all'odierna udienza del procedimento pendente a Reggio Calabria è stato disposto all'udienza del 29.3.2024, per cui il difensore avrebbe dovuto rappresentare al Tribunale l'impegno professionale già fissato dinanzi a questa Corte, certamente urgente in quanto attinente a misura cautelare custodiale; inoltre, l'istanza non rappresenta le ragioni di impossibilità di avvalersi di un sostituto sia nel processo al quale intende partecipare sia in quello di cui chiede il rinvio, non potendo ciò desumersi dalla deduzione del difensore secondo cui gli assistiti intendono avvalersi della sua opera professionale, e non di quella di sostituti (peraltro solo con riferimento al processo calabrese). 1.2. Successivamente, all'odierna udienza, è stato depositato - dagli atti non è dato sapere da chi - un certificato medico, datato 9.4.2024, attestante "che la Sig.ra Angela Po. è affetta da sindrome influenzale con febbre elevata (38,5°) e faringodinia. Si prescrive terapia sintomatica e giorni tre di riposo". Al riguardo, si osserva, in primo luogo, come tale documento non fornisca alcuna certezza in ordine alla riferibilità della patologia indicata all'avv. Po., in mancanza di specificazione del titolo (di avvocato) e in assenza di alcun riferimento anagrafico (data di nascita, indirizzo ecc.) della paziente; inoltre, il certificato non è accompagnato da una specifica istanza di rinvio del difensore per malattia, né attesta una assoluta impossibilità del medesimo a presenziare all'udienza, limitandosi ad accennare ad una sindrome influenzale necessitante di pochi giorni di riposo. 1.3. Per tali motivi, la Corte ha disposto procedersi oltre. 2. Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato, in quanto deduce doglianze reiterative di quelle già avanzate in sede di merito, sulle quali il Tribunale ha adeguatamente motivato. 3. Il primo motivo - con cui si deduce inutilizzabilità e perdita di efficacia della misura per omessa trasmissione dei supporti audio delle intercettazioni, posti a fondamento della gravità indiziaria - è manifestamente infondato. L'ordinanza impugnata ha già dato adeguatamente conto del fatto che la difesa non aveva presentato alcuna richiesta al PM di accedere alle registrazioni audio delle conversazioni intercettate, sicché nessuna nullità può dirsi nel caso integrata. Ciò appare in linea con il noto principio per cui la nullità per violazione del diritto di difesa derivante dal mancato accesso alle registrazioni delle conversazioni o comunicazioni intercettate consegue solo al rifiuto o all'ingiustificato ritardo del pubblico ministero nel consentire al difensore, prima del loro deposito ai sensi del quarto comma dell'art. 268 cod. proc. pen., l'accesso alle registrazioni di conversazioni intercettate e sommariamente trascritte dalla polizia giudiziaria nei cosiddetti brogliacci di ascolto, utilizzati ai fini dell'adozione di un'ordinanza di custodia cautelare (cfr. Sez. U, n. 20300 del 22/04/2010, Lasala, Rv. 246907-01). 4. Il secondo motivo - con cui si deduce la mancata tempestiva iscrizione dell'indagata nel registro notizie di reato - è privo di pregio. Anche su tale aspetto il Tribunale ha congruamente osservato che nella prima informativa del 15.11.2021 i Carabinieri si erano limitati a delineare la sussistenza di una attività di spaccio di droga nel complesso residenziale "I Lo.", ove già negli anni 2018-2020 erano state effettuate operazioni di polizia nei confronti, fra gli altri, di Ba.Co. e Sa.Ro., senza alcun specifico riferimento all'indagata. Del resto, l'iscrizione al registro notizie di reato non poteva certo essere fatta prima che emergessero elementi specifici a carico della ricorrente, e di tale iscrizione il Tribunale ha dato conto, laddove ha indicato plurimi atti di iscrizione nel registro di cui all'art. 335 cod. proc. pen. degli indagati, ivi compresa la Ta.Ro., l'ultimo dei quali datato 30.5.2023. Inoltre, correttamente il Tribunale ha osservato come la nuova disciplina introdotta dalla c.d. legge Cartabia non trovi applicazione nel procedimento in esame, secondo quanto previsto dall'art. 88-bis del D.Lgs. n. 150/2022. Le questioni di legittimità costituzionale sollevate sono irrilevanti, in quanto nella specie non si pone alcun problema di utilizzabilità degli esiti di indagini in assenza della iscrizione dell'indagato. 5. Quanto ai motivi (III e III bis) dedotti sul tema della utilizzabilità delle videoriprese effettuate nei giardini condominiali nel complesso residenziale "I Lo.", si osserva quanto segue. 5.1. Il Tribunale ha correttamente richiamato la costante giurisprudenza secondo cui le videoregistrazioni in luoghi pubblici ovvero aperti o esposti al pubblico, eseguite dalla polizia giudiziaria, anche d'iniziativa, vanno incluse nella categoria delle prove atipiche, soggette alla disciplina dettata dall'art. 189 cod. proc. pen. e, trattandosi della documentazione di attività investigativa non ripetibile, possono essere allegate al relativo verbale e inserite nel fascicolo per il dibattimento (Sez. U, n. 26795 del 28/03/2006, Prisco, Rv. 234267 - 01). Tale orientamento è stato ribadito anche di recente, laddove si è affermata la piena utilizzabilità, senza previo provvedimento autorizzativo del giudice, delle videoriprese effettuate dalla polizia giudiziaria all'interno di un garage condominiale, pur se con accesso delimitato da cancello con dispositivo di apertura in uso ai soli condomini, in quanto non costituente luogo di privata dimora (Sez. 2, n. 33580 del 06/07/2023, Rv. 285126-01); ancora: in tema di prove atipiche, sono legittime e, pertanto, utilizzabili, senza che necessiti l'autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, le videoriprese dell'ingresso e del piazzale di un'impresa, eseguite dalla polizia giudiziaria a mezzo di impianti installati sull'edificio antistante, non configurandosi, in tal caso, alcuna indebita intrusione nell'altrui domicilio, posto che i luoghi suddetti non rientrano in tale nozione (Sez. 3, n. 43609 del 08/10/2021, Rv. 282164-01). 5.2. Per quanto attiene all'eccezione di "incostituzionalità europea" della normativa di riferimento, è appena il caso di rilevare come nel giudizio di cassazione non vi sia un obbligo di disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGUE) sulla base della mera richiesta di parte, dovendosi preliminarmente verificare se la questione dedotta attenga o meno all'interpretazione del diritto comunitario e se sia rilevante nel giudizio de quo, nonché se la disposizione comunitaria abbia già costituito oggetto di interpretazione da parte della Corte, ovvero se la corretta applicazione del diritto comunitario si imponga con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi (cfr. Sez. 6, n. 44436 del 04/10/2022, Rv. 284151-04). Nella specie, al di là di quanto già osservato circa la costante interpretazione giurisprudenziale in ordine all'utilizzabilità di videoriprese effettuate in luoghi aperti al pubblico, va sottolineata la legittima osservazione del Tribunale in ordine all'assenza, nel caso, di alcuna intrusione nella privata dimora o nel domicilio, ad opera delle operazioni di videosorveglianza in riferimento, con la conseguente insussistenza di ragioni di tutela della riservatezza o della privacy ad esse connesse; sicché appare del tutto inconferente il richiamo della ricorrente alla giurisprudenza della CGUE, relativamente all'interpretazione dell'art. 15 della direttiva 2022/58/Ce in materia di trattamento dei dati personali e di tutela della vita privata. Conseguentemente, sono irrilevanti e manifestamente infondate le questioni pregiudiziali e costituzionali sollevate nelle doglianze in esame. 6. Il motivo sub IV), con cui si deduce mancanza di motivazione con riferimento al contributo concorsuale addebitato all'indagata e alla mancata autonomia della valutazione del GIP rispetto alla richiesta del PM, è inammissibile per genericità, a fronte di una motivazione congrua e non manifestamente illogica dell'ordinanza impugnata. Il Tribunale, sulla scorta di plurimi e gravi elementi indiziari che non è qui il caso di ripetere, ha individuato la ricorrente come figura di primo piano nell'attività di spaccio oggetto di indagine, essendo l'anello di collegamento fra i vertici della piazza di spaccio e coloro che provvedevano materialmente alla vendita dello stupefacente. La censura relativa all'assenza di autonoma valutazione non si sottrae alla declaratoria di inammissibilità, visto che la ricorrente si è limitata a segnalare la materiale incorporazione nell'ordinanza genetica della richiesta del pubblico ministero senza riuscire a dimostrare l'assenza da parte del giudice cautelare di un vaglio effettivo ed autonomo della domanda e dei gravi indizi di colpevolezza, comunque presente. 7. Quanto al motivo sub V), si osserva che lo stesso non può trovare accoglimento, atteso che l'ordinanza impugnata ha adeguatamente motivato in ordine alle esigenze cautelari di eccezionale rilevanza nei confronti della prevenuta, nonostante il suo status di madre di prole di età non superiore ad anni sei con lei convivente. In proposito, sono stati insindacabilmente valorizzati i numerosi precedenti a carico della Ta.Ro., anche specifici e recenti, nonché la circostanza che la medesima risulta avere posto in essere i gravi fatti per cui si procede mentre era sottoposta alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale e subito dopo le operazioni delle forze dell'ordine che, nell'ambito del procedimento in esame, conducevano ad arresti e sequestri di sostanza stupefacente; elementi da cui è stata desunta l'allarmante personalità criminale dimostrata dalla prevenuta, tale da imporre la salvaguardia della collettività da un pericolo di reiterazione del reato di tale consistenza da non risultare compensabile con la necessità di cura e assistenza della prole. 8. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. Va, inoltre, disposto che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore dell'istituto penitenziario competente perché provveda a quanto stabilito dall'art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen. P.Q.M. Disattesa preliminarmente l'istanza di rinvio, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen. Così deciso il 10 aprile 2024. Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BONI Monica - Presidente Dott. CASA Filippo - Consigliere Dott. CALASELICE Barbara - rel. Consigliere Dott. ALIFFI Francesco - Consigliere Dott. MONACO Marco M. - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 13/05/2022 del TRIBUNALE di RAVENNA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. BARBARA CALASELICE; il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. ASSUNTA COCOMELLO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; lette le conclusioni della parte civile, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; lette le conclusioni della difesa, Avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.Con la sentenza impugnata il Tribunale di Ravenna ha condannato (OMISSIS) alla pena di Euro quattrocento di ammenda, con il beneficio della sospensione condizionale della pena e quello della non menzione della condanna nel casellario giudiziale, oltre al risarcimento del danno in favore delle parti civili, per il reato di cui all'articolo 660 c.p. per avere, in concorso con gli esecutori materiali, quale legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l., per mezzo del telefono recato disturbo alle persone offese, effettuando, al fine di recupero crediti, anche con numeri diversi e, dunque, per petulanza, un numero esorbitante di telefonate. Il procedimento, secondo la ricostruzione del Tribunale, prende le mosse dalla denuncia di (OMISSIS) che esponeva di aver ricevuto dalla societa' di recupero crediti di cui il ricorrente titolare (perche' in possesso della quasi totalita' delle quote) un numero di telefonate pari a cinque - sei al giorno, sia sull'utenza cellulare che su quella fissa, attuate anche con numeri di telefono diversi, per non rendere riconoscibile il chiamante, provenienti dalla s.r.l. incaricata del recupero di rate del prestito ricevuto dal medesimo (OMISSIS) nell'anno (OMISSIS), per l'importo complessivo di Euro 33mila circa. Anche la coniuge del denunciante dichiarava di aver ricevuto, a sua volta, sul proprio numero di cellulare, chiamate dall'agenzia incaricata del recupero del credito. Entrambi assumevano di aver risposto ad alcune delle chiamate ricevute e, poi, di avere, nel prosieguo, evitato di rispondere, chiamate che erano cessate soltanto dopo il deposito della denuncia-querela. Il Tribunale, ritenuta l'attitudine dei contatti, per la loro frequenza (di cui aveva dato conto il denunciante con la presentazione di un elenco indicante il giorno, l'ora e il numero di provenienza delle telefonate), nonche' per essere indirizzati anche a terzi estranei al rapporto di debito/credito, ad integrare la petulanza richiesta dall'articolo 660 c.p., ha individuato nel titolare della societa', incaricata del recupero crediti per conto di Agos, il responsabile, quantomeno a titolo di colpa, dell'illecito, commesso in ossequio a precisa strategia aziendale e non in forza di autonome iniziative dei singoli addetti al call center. Ha, inoltre, ritenuto non plausibile quanto sostenuto dal teste a discarico introdotto dalla difesa, nel senso che a nessuna delle telefonate effettuate dagli addetti vi sarebbe stata risposta da parte delle persone offese. 2. Avverso detto provvedimento ha proposto tempestivo ricorso l'imputato, a mezzo del difensore, avv. (OMISSIS), denunciando cinque vizi, di seguito riassunti nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2.1.Con il primo motivo si denuncia erronea applicazione dell'articolo 660 c.p. e vizio di motivazione. Si richiama, da parte del giudice di primo grado, la violazione della normativa di settore, in ordine all'attivita' svolta dalla s.r.l. di cui l'imputato era titolare, senza precisare, a parere del ricorrente, per quale ragione l'attivita' dovesse essere considerata svolta in modo illecito. Invece, si assume che le norme che presiedono all'attivita' di recupero crediti consentono il contatto telefonico con terzi, al fine di chiedere il recapito dei destinatari della richiesta di pagamento, in quanto debitori, non integrandosi in questo modo alcun abuso del diritto. Si evidenzia che il recupero del credito dovuto da (OMISSIS) e sua moglie, coobbligata in solido, era stato demandato alla societa' di cui l'imputato era legale rappresentante, a fronte del mancato pagamento di due rate di finanziamento non corrisposte alla creditrice (OMISSIS) s.p.a., con attivita' che, secondo la circolare del Ministero degli Interni del 20 dicembre 2021, richiamata a pag. 4 del ricorso, doveva avvenire attraverso il rintraccio, sia telefonico che telematico o anche domiciliare, del debitore a mezzo consultazione di registri e pubblici elenchi, con rapporti anche con congiunti e terzi in genere. Si richiamano le prescrizioni del Garante della privacy del 2005, nonche' la disciplina generale di cui al Codice della condotta per i processi di gestione e tutela del credito sottoscritto da UNIREC e dalle associazioni di consumatori, atti prodotti anche nel giudizio di merito, con la finalita' di dimostrare la liceita' del trattamento dei dati nella gestione dei crediti, ribadendo la legittimita' delle ricerche anche tramite pubblici elenchi di persone terze e dei contatti con queste. Si richiama il Capo III del Codice della condotta per i processi di gestione e tutela del credito che prevede, come numero massimo giornaliero, quello di tre colloqui con il consumatore-debitore, numero che si assume non essere stato violato dalla (OMISSIS). 2.2.Con il secondo motivo si denuncia travisamento della prova. Dai tabulati telefonici emergerebbe che (OMISSIS) e sua moglie non avrebbero mai risposto alle telefonate della societa', che il numero di chiamate non sarebbe mai stato superiore a quello di tre a settimana, ne' vi sarebbe stato piu' di un tentativo di chiamata al giorno, come documentato dalla stessa produzione del Pubblico ministero, versata in atti nel corso del giudizio di merito. I numeri dai quali partivano le chiamate erano quelli, fissi, della societa' e mai queste avvenivano in orari non consentiti dal Codice di condotta, anzi erano in linea con i limiti identificati dall'articolo 7.1. Anche le telefonate alla madre dello (OMISSIS) erano state pari ad una telefonata mensile, numero in linea con la previsione del diritto della societa', incaricata del recupero del credito, di cercare tramite congiunti o terzi, i numeri dei debitori non immediatamente reperibili. Tanto, a parere del ricorrente, si giustificava per l'impossibilita' di contattare i debitori che non rispondevano al telefono. Dunque, si assume che il Tribunale avrebbe travisato le prove con riferimento alla deposizione della teste (OMISSIS), ai tabulati, agli appunti e screenshot depositati in giudizio dal Pubblico ministero, all'udienza del 1 ottobre 2021. 2.3.Con il terzo motivo si denuncia travisamento della prova e vizio di motivazione. La teste di polizia giudiziaria non avrebbe svolto alcun accertamento ulteriore rispetto a quello di individuare a chi corrispondessero i numeri di telefono che chiamavano (OMISSIS) e la moglie. Si riportano stralci della deposizione a pag. 11 del ricorso. Si assume, poi, che il Tribunale avrebbe trascurato la deposizione di due testi a discarico (cfr. pag. 12 e ss. dove sii riportano passaggi delle relative deposizioni), nonche' ne avrebbe travisato il contenuto. In definitiva la difesa assume che le parti civili sapevano di essere state contattate dalla societa' di recupero crediti per essere intercorsa, nel 2015, una sola telefonata tra lo (OMISSIS) e la (OMISSIS), responsabile auditing della s.r.l., alla quale lo (OMISSIS), dichiarandosi pronto al versamento di una sola delle due rate scadute, aveva risposto, chiamata avvenuta con l'intermediazione di un militare dell'Arma dei Carabinieri, al quale il predetto (OMISSIS) si era rivolto perche' temeva, a fronte delle telefonate ricevute da numero di telefono non conosciuto, si trattasse di una truffa. Comunque, il difensore lamenta che non e' indicata nella motivazione, la normativa di settore che si assume violata, quanto al numero delle telefonate svolte e alle quali i destinatari avevano dato risposta. 2.4.Con il quarto motivo si deduce carenza di motivazione circa la prova testimoniale delle parti civili. Mancherebbe la valutazione di coerenza, attendibilita' del narrato delle parti civili. Si evidenzia che la parte civile (OMISSIS) aveva ammesso che era a conoscenza del debito a suo carico per due rate scadute e interessi di mora, affermando di aver ricevuto cinque o sei telefonate al giorno e di aver compreso che erano riferibili alla societa' che recuperava il credito. Il dichiarante, pero', non avrebbe saputo spiegare come, invece, dallo screenshot delle chiamate queste risultavano non risposte e che il numero era inferiore, cioe' pari ad una al giorno. Si sottolinea, inoltre, che non vi e' conforto estrinseco alle dichiarazioni delle parti civili, alla luce dei documenti depositati e delle testimonianze raccolte (cfr. pag. 21 e ss.). 2.5. Con il quinto motivo si denuncia vizio di motivazione e travisamento della prova in ordine alla ritenuta responsabilita' del legale rappresentante della societa'. Si sarebbe accertato, attraverso la prova testimoniale della difesa, che la societa', per organizzazione interna, aveva aderito al Codice di condotta e stilato un forum affinche' tutti gli operatori telefonici seguissero detto codice, per evitare abusi da parte dei singoli telefonisti. Quindi, alcuna organizzazione e scelta aziendale era nel senso di non attuare il descritto Codice, anche perche' ogni operatore doveva completare una relazione scritta relativa all'attivita' svolta della quale, dunque, restava traccia informatica. Si sottolinea che, nel caso di (OMISSIS), alcun reclamo risulta verso la societa' e che l'organizzazione aziendale era ispirata al rispetto dei diritti dei consumatori destinatari delle chiamate. Infine, si deduce vizio di motivazione rispetto al contenuto della memoria a firma di (OMISSIS), depositata prima della discussione orale, davanti al giudice di primo grado in data 11 aprile 2022. 3. Il Sostituto Procuratore generale di questa Corte, A. Cocomello, ha fatto pervenire richieste scritte, in mancanza di tempestiva richiesta di trattazione orale, Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, ex articolo 23, comma 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, da ultimo prorogato, quanto alla disciplina processuale, in forza del Decreto Legge 30 dicembre 2021, n. 228, articolo 16 convertito, con modificazioni, nella L. 25 febbraio 2022, n. 15, con le quali ha concluso nel senso del rigetto del ricorso. La difesa delle parti civili, avv. (OMISSIS), ha fatto pervenire, in data 31 gennaio 2023, conclusioni scritte e nota spese" richiedendo il rigetto del ricorso. La difesa dell'imputato, avv. (OMISSIS), ha fatto pervenire memoria di replica alla requisitoria del Procuratore generale e conclusioni, insistendo per l'accoglimento dei motivi di ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.Il ricorso e' fondato nei limiti di seguito indicati. 1.1.Il secondo e terzo motivo sono inammissibili. Questi, infatti, propongono la rilettura di brani di deposizioni testimoniali, peraltro riportati per stralcio, non consentita in sede di legittimita'. Il ricorrente, peraltro, non allega al ricorso copia di tutti gli atti indicati come travisati e non ne trascrive in forma integrale il relativo contenuto, sicche' l'impugnazione risulta, per questa parte, inammissibile per difetto di specificita' ed autosufficienza (Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, Schioppo, Rv. 270071; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, Bregamotti, Rv. 265053; Sez. 1, n. 25834 del 04/05/2012, Massaro, Rv. 253017), non potendosi apprezzare la sussistenza della denunziata divergenza tra il dato documentale e quello dichiarativo ne' scrutinarsi, sotto l'indicato angolo prospettico, la conformita' a logica del giudizio di attendibilita' riservato dal Tribunale ai testimoni di accusa, il cui apporto e' stato ritenuto dal giudice di merito idoneo a fondare, al di la' di ogni ragionevole dubbio, l'addebito. Infondata, poi, e' la deduzione relativa all'impossibilita' di integrare il reato contestato attraverso ripetute chiamate non risposte. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 28680 del 26/06/2004, Modena, Rv. 229464) l'articolo 660 c.p. incrimina non solo il messaggio molesto che il destinatario e' costretto ad ascoltare per telefono, ma ogni messaggio che e' costretto a percepire, sia de auditu che de visu, perche' entrambi i tipi di messaggio sono idonei a mettere a repentaglio la liberta' e la tranquillita' psichica del ricevente. Seguendo tale indirizzo interpretativo, si e' sostenuto anche che l'invio di un messaggio di posta elettronica puo' realizzare in concreto una diretta e sgradita intrusione del mittente nella sfera delle attivita' del destinatario, quando la comunicazione sia accompagnata da un avvertimento acustico, che ne indichi l'arrivo in forma petulante, con un'intensita' tale da condizionare la tranquillita' del ricevente (Sez. 1, n. 36779 del 27/09/2011, Ballarino, Rv. 250807). Tale indirizzo, affermatosi in tema di configurabilita' del reato di molestie con lo strumento della posta elettronica, muovendo dal rilievo che i risultati dell'innovazione tecnologica consentono di inviare messaggi e-mail, in entrata e in uscita, attraverso i normali apparecchi telefonici, fissi o mobili, sostanzialmente con le stesse modalita' di invio degli sms, ha precisato che al termine telefono, espressivo dell'instrumentum, va equiparato, senza esondare dal perimetro dei possibili significati della formulazione letterale impiegata dal legislatore, qualsiasi mezzo di trasmissione tramite rete telefonica e rete cellulare delle bande di frequenza, di voci e di suoni imposti al destinatario, senza possibilita', per lo stesso di sottrarsi all'immediata interazione con il mittente. 1.2.Anche il quarto motivo e' inammissibile. Infatti, si sollecita la rivalutazione di attendibilita' della deposizione delle persone offese svolta dal Giudice. Si osserva, infatti, conformemente al pacifico e costante orientamento ermeneutico di questa Corte regolatrice che, in tema di valutazione della prova dichiarativa, l'attendibilita' della persona offesa dal reato e' una questione di fatto che ha la sua chiave di lettura nell'insieme di una motivazione logica, rispetto alla quale e' inibita una rivalutazione in sede di legittimita', salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni (tra le altre, Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D'Ippedico, Rv. 271623; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575; Sez. 7, n. 12406 del 19/02/2015, Micciche', Rv. 262948). Tra le doglianze proponibili quali mezzi di ricorso, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., non rientrano, dunque, quelle relative alla valutazione delle prove, specie se implicanti la soluzione di contrasti testimoniali, la scelta tra divergenti versioni ed interpretazioni, l'indagine sull'attendibilita' dei testimoni e parti lese, salvo il controllo estrinseco della congruita' e logicita' della motivazione. Va, peraltro, rimarcato che e' pacifico in giurisprudenza che le regole dettate dall'articolo 192 c.p.p., comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste, da sole, a fondamento dell'affermazione di penale responsabilita' dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilita' soggettiva del dichiarante e dell'attendibilita' intrinseca del suo racconto (tra le altre, Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'arte, Rv. 253214; Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D'Ippedico, Rv. cit.; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362). 1.3. Il primo e quinto motivo sono fondati nei limiti di seguito indicati. Il ricorrente, in sostanza, lamenta che il Tribunale non abbia dato conto della produzione documentale, effettuata dalla difesa nel giudizio di merito, attestante la vigenza di una policy interna alla s.r.l. di cui e' legale rappresentante, diretta a garantire la limitazione dei contatti telefonici a determinati orari e giorni della settimana e a mantenere le iniziative nei binari corretti dell'interlocuzione negoziale. Tanto, a riprova, oltre che della dedotta inattendibilita' delle dichiarazioni delle persone offese, del fatto che l'eventuale violazione dei protocolli sarebbe stata frutto di autonoma iniziativa degli addetti e non espressiva di apposita strategia aziendale ne' ascrivibile, neanche a titolo di colpa, al (OMISSIS). A tale fine, la difesa allega al ricorso la documentazione corrispondente a quella prodotta in sede di merito, all'udienza di discussione del processo (cfr. allegati al ricorso da n. 1 a 9 della produzione documentale). Si tratta di valutazione sulla quale, effettivamente, il primo giudice rende motivazione (cfr. pag. 6) del tutto assertiva e che, invece, andava approfondita su un punto dedotto, quello della responsabilil:a' del titolare della societa' che ha impartito determinate linee guida, a fronte di condotta materiale pacificamente riferibile agli operatori. Tanto, a maggior ragione in un caso come quello in esame, in cui i testi della difesa, come indicato dal ricorrente, hanno affermato che la politica aziendale era nel senso della osservanza del Codice e dell'assoluta deontologia da riservare verso i consumatori/debitori, quanto a numero e qualita' dei contatti, anche con terzi. Ne' si puo' sostenere l'intempestivita' della produzione, eseguita in sede di merito prima della discussione delle parti, cio' che, stando al consolidato e condiviso della giurisprudenza di legittimita' (cfr. Sez. 2, n. 41012 del 20/06/2018, Rv. 274083 in tema di rito abbreviato) avrebbe potuto condurre il Giudice a procedere ai sensi dell'articolo 507 c.p.p., essendo la produzione ammissibile fino all'inizio della discussione, senza che cio' comporti lesione del contraddittorio, potendo la controparte chiedere al giudice, a fronte della nuova produzione, un'attivita' di integrazione probatoria. E' appena il caso di osservare che, alla data della presente decisione, non si riscontra la prescrizione del reato contravvenzionale, tenuto conto dell'ultima condotta accertata ((OMISSIS): cfr. denuncia sporta da (OMISSIS)), della pena prevista per il reato contravvenzionale contestato, della presenza di plurimi atti interruttivi (da ultimo, sentenza di primo grado del 13 maggio 2022), nonche' di cause di sospensione del corso della prescrizione per giorni n. 242 giorni di sospensione del corso della prescrizione, che conducono ad estendere il dies ad quem dal 10 giugno 2022, a data successiva all'odierna udienza (7 febbraio 2023). 2.Segue l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio sui punti di cui al § 1.3., in conformita' ai principi di diritto affermati, al Tribunale monocratico competente in diversa persona fisica. Va rimesso all'esito del giudizio di rinvio anche l'esame della domanda di liquidazione delle spese di rappresentanza e difesa nel presente procedimento, formulata dalla parte civile, con p.e.c. del 31 gennaio 2023. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Ravenna in diversa composizione fisica.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MOGINI Stefano - Presidente Dott. SANTALUCIA Giusepp - rel. Consigliere Dott. CENTOFANTI Francesco - Consigliere Dott. CALASELICE Barbara - Consigliere Dott. DI GIURO Gaetano - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 31/05/2022 del TRIB. SORVEGLIANZA di CAGLIARI; udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE SANTALUCIA; lette le conclusioni del PG, Dott. V. SENATORE, che ha chiesto la dichiarazione di inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale di sorveglianza di Cagliari ha rigettato il reclamo di (OMISSIS), avverso l'ordinanza del Magistrato di sorveglianza nella parte in cui ha respinto la domanda ex articolo 35 ter ord. pen. per il periodo di detenzione presso gli Istituti penitenziari di (OMISSIS). In entrambi i periodi (OMISSIS) e' stato detenuto in celle che gli hanno assicurato uno spazio minimo individuale non inferiore a 3 mq e quindi il Tribunale ha condiviso il contenuto del provvedimento del Magistrato di sorveglianza. 2. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso il difensore di (OMISSIS), che ha dedotto vizio di violazione di legge e difetto di motivazione. Nella determinazione dello spazio minimo all'interno della cella carceraria dell'Istituto di (OMISSIS) e' stato scomputato lo spazio degli arredi fissi ma(anchelqúello del letto singolo. Se cio' fosse stato fatto, sarebbe risultato uno spazio di 3.62 mq per detenuto, che, unitamente alle altre inadeguate condizioni detentive dell'espiazione della pena in regime cd. chiuso, nonche' della mancanza di privacy conseguente alla mancanza di una porta per accesso al vano wc, determina una presunzione forte di violazione dell'articolo 3 Cedu. Allo stesso modo e' a dirsi per i periodi di detenzione nell'Istituto di (OMISSIS), peri quali, se fosse stato detratto l'ingombro del letto singolo, lo spazio vivibile sarebbe stato pari a 3 mq e non a 3,97 mq. In mancanza di fattori compensativi, non puo' dunque essere negata la violazione dell'articolo 3 Cedu. 3. Il Procuratore generale, intervenuto con requisitoria scritta, ha chiesto la dichiarazione di inammissibilita' del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso merita accoglimento, per le ragioni di seguito esposte. 2. Il Tribunale ha reso una motivazione carente, perche' ha concentrato attenzione esclusivamente sull'aspetto dello spazio entro le camere detentive, senza considerazione degli altri profili rilevanti, costituiti dai cd. fattori di compensazione su cui pure il ricorrente si era soffermato per evidenziarne l'insufficienza. Ha quindi operato un rinvio per condivisione, generico, alle argomentazioni svolte dal Magistrato di sorveglianza, e non ha affrontato, con la necessaria compiutezza, i rilievi dell'impugnante in ordine alle forti inadeguatezze delle condizioni detentive nei due Istituti in cui ha trascorso i periodi interessati dalla domanda ex articolo 35-ter ord. pen.. L'eccessiva sinteticita' della motivazione si traduce pertanto in una sua significativa carenza e quindi nella incapacita' di dare sufficiente giustificazione della decisione accolta. 3. L'ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Cagliari. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Cagliari.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DOVERE Salvatore - Presidente Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere Dott. PAVICH Giuseppe - Consigliere Dott. CIRESE Marina - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato il (OMISSIS); (OMISSIS), nato il (OMISSIS); (OMISSIS), nato il (OMISSIS); (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso la sentenza del 23/09/2021 della CORTE APPELLO di BRESCIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. CIRESE MARINA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. ROMANO GIULIO, che ha concluso chiedendo per il rigetto per tutti i ricorsi. E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di BRESCIA in difesa di: (OMISSIS) anche per l'avv. (OMISSIS) per imp. (OMISSIS) con delega orale; Il difensore presente chiede l'accoglimento del ricorso; E' presente l'avvocato (OMISSIS) del foro di LA SPEZIA in difesa di: (OMISSIS). Il difensore presente chiede l'accoglimento del ricorso RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza in data 22.10.2020 il Tribunale di Brescia, in composizione collegiale, ha ritenuto: - (OMISSIS) responsabile dei reati ascritti al capo 9 (articolo 81 e 110 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, articolo 80, comma 2,) ed esclusa la circostanza aggravante di cui all'articolo 61 bis c.p., ritenuta la continuazione, lo ha condannato alla pena di anni tredici di reclusione ed Euro 130.000,00 di multa; - (OMISSIS) responsabile del reato ascritto al capo 3 (articolo 110 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73,) ed esclusa la circostanza aggravante di cui all'articolo 61 bis c.p., ritenuta l'aggravante di cui all'articolo 80, comma 2, Decreto del Presidente della Repubblica cit., lo ha condannato alla pena di anni nove di reclusione ed Euro 39.000,00 di multa; - (OMISSIS) responsabile dei reati ascrittigli ai capi 12), 14) e 18) (articolo 81 e 110 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73) e, concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva, ritenuta la continuazione interna e con i reati giudicati con sentenza del 30.5.2020 della Corte d'appello di Brescia, lo ha condannato all'aumento di pena di anni quattro e mesi sei di reclusione ed Euro 9000,00 di multa, rideterminando la pena complessiva in anni undici e mesi due di reclusione ed Euro 39.000,00 di multa; - (OMISSIS) responsabile dei reati ascrittigli ai capi 16) (articolo 73 Decreto del Presidente della Repubblica cit.), 20) (articolo 110 c.p., e Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73), e 35) (Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73) e, ritenute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva e la continuazione, lo ha condannato alla pena di anni sette e mesi otto di reclusione ed Euro 31.000,00 di multa. Gli imputati venivano invece assolti dalle residue imputazioni. 2. Il presente procedimento traeva origine dalle indagini effettuate su tale (OMISSIS) che portavano alla identificazione di (OMISSIS) e (OMISSIS) le cui conversazioni chat tramite blackberry rispettivamente in uso (con i nickname "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)") consentivano di accertare che gli stessi si approvvigionavano di cocaina da un fornitore estero, poi identificato nell'odierno imputato (OMISSIS). Un primo episodio ritenuto significativo e' stato quello delll'11.2.206, in cui veniva intercettata una conversazione tra i due (OMISSIS) in cui (OMISSIS) raccomandava ad (OMISSIS) di non fare tardi perche' il giorno dopo avrebbe avuto da fare ed infatti la mattina dopo (OMISSIS) si e' recato a prendere (OMISSIS). Si apprendeva cosi' che i due dovevano recarsi al centro commerciale "le Rondinelle" sicche' veniva predisposto un servizio di OCP che permetteva di confermare la presenza dei due uomini in quel luogo. Successivamente veniva individuato un terzo, poi identificato in (OMISSIS), con il quale, salito a bordo di una Opel, faceva perdere le sue tracce. Altro episodio rilevante e' quello del 16.2.2016 che portava all'arresto di (OMISSIS) ed al contestuale sequestro di Kg 15 di cocaina. Il (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) intrattenevano ulteriori conversazioni da cui si ricavava l'imminente arrivo di una nuova partita di droga trasportata da un corriere diverso dal precedente. Infine (OMISSIS) veniva arrestato in Olanda nella notte tra (OMISSIS) in un appartamento nel quale veniva rinvenuto un telefono blackberry nickname "ceco mezzani" oltre a n. 18 blocchi di cocaina, una pistola con silenziatore nonche' somme di denaro. Alla luce del compendio istruttorio costituito essenzialmente dalle intercettazioni delle chat blackberry e delle conversazioni ambientali all'interno del veicolo Peugeot 307, la sentenza di primo grado ha escluso la fattispecie associativa contestata ed ha ritenuto provati i reati fine nei limiti evidenziati in premessa. 3. Proposto appello avverso detta pronuncia, la Corte d'appello di Brescia con sentenza in data 23.9.2021, in parziale riforma della sentenza di primo grado, in accoglimento del concordato proposto dal Procuratore generale e da (OMISSIS), ha ridotto la pena inflitta al predetto imputato in anni nove e mesi otto di reclusione ed Euro 36.000,00 di multa. Ritenuta la continuazione tra i fatti di cui all'odierno processo e quelli gia' giudicati con sentenza pronunciata dalla Corte d'appello di Brescia in data 9 gennaio 2020, irrevocabile il 30.5.2020, esclusa la recidiva, ha rideterminato la pena complessivamente inflitta a (OMISSIS) per tutti i reati indicati in anni otto e mesi due di reclusione ed Euro 30.000,00 di multa ed ha confermato nel resto la sentenza impugnata. 4. Avverso la sentenza d'appello hanno proposto ricorso per cassazione, a mezzo di difensore di fiducia, con separati atti (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). 4.1 Ricorso per (OMISSIS): si articola in quattro motivi. Con il primo motivo deduce la violazione di norme processuali previste a pena di inutilizzabilita' per violazione dell'articolo 191 c.p.p. in combinato disposto con gli articoli 727 e 729 c.p.p. e 266 e 266 bis c.p.p. con riguardo alle chat blackberry raccolte senza rogatoria internazionale nello Stato del Canada, luogo ove all'epoca aveva sede la societa' (OMISSIS), unica in grado di captare le chat "pin to pin" e procedere alla loro decriptazione ed in quanto luogo ove ha sede il c.d. nodo di servizio, ove le chat vengono intercettate o in subordine inutilizzabilita' per violazione dell'articolo 266 bis c.p.p. delle chat blackberry nick (OMISSIS) (ovvero quelle che possono attribuirsi al (OMISSIS)) ma anche delle chat relative ai Pin (OMISSIS), PIN (OMISSIS),Pin (OMISSIS). Si assume l'inesistenza della prova che gli utilizzatori degli apparati relativi fossero su territorio olandese e la nullita' delle intercettazioni anche in applicazione della c.d. teoria dell'instradamento essendo captazioni certamente riferibili a conversazioni estero su estero. Si deduce altresi' la nullita' delle intercettazioni laddove l'attivita' di captazione e di registrazione dei flussi fosse avvenuta dapprima sui server canadesi della Rim e poi trasmessi su qualsivoglia server in un nodo situato in Italia per la decriptazione. Con il secondo motivo deduce la violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) per inosservanza nonche' erronea applicazione della legge penale in relazione agli articoli 191, 192 e 533 c.p.p.; articolo 3 Cost. e articolo 6 Cedu e dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) per carenza, illogicita' e contraddittorieta' della motivazione in relazione alle modalita' di identificazione dell'indagato. Si assume che la Corte territoriale e' pervenuta all'identificazione dell'imputato quale autore del delitto contestato sulla base del riconoscimento fotografico dello stesso con riferimento all'episodio dell'11.2.2016 in cui i coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS) sono stati visti dalla P.G. incontrarsi con un soggetto sconosciuto presso un centro commerciale sito in provincia di Brescia poi individuato in (OMISSIS). Si censura la motivazione della sentenza impugnata per avere ritenuto credibili ed esenti da contraddittorieta' intrinseca le modalita' con cui si e' cristallizzato il ricordo dei testimoni, tenuto conto che il riconoscimento e' avvenuto dopo circa un anno e mezzo dal fatto. Peraltro l'unico atto relativo a quanto accaduto (OMISSIS) e' il verbale del 12.2.2016 ove risulta la sottoscrizione di un militare operante che per sua stessa ammissione in quel giorno non era neppure in servizio e si trovava in vacanza. Inoltre la parcellizzazione degli interventi in data 11.2.2016 da parte di piu' operanti e la circostanza che non tutti videro la fotografia dell'imputato depone per il fatto che tutti ebbero una limitata frazione di tempo per vedere il soggetto. Pertanto non puo' ritenersi attendibile la testimonianza resa dagli operanti nel dibattimento. Con riguardo agli altri elementi, si rileva altresi' che la circostanza che una pattuglia avesse seguito la Zafira all'autogrill non e' mai emersa se non in dibattimento e neppure la circostanza che l'auto fosse condotta dal (OMISSIS), essendo stato accertato solo che detta auto era intestata alla di lui moglie ed era data in uso a vari soggetti nell'ambito dell'attivita' imprenditoriale dallo stesso svolta. Altrettanto illogica e' la motivazione sulla circostanza che l'apparato telefonico abbinato al nickname "(OMISSIS)" fosse in uso al (OMISSIS). Ed invero, malgrado l'installazione del Gps e di una "cimice" sulla autovettura, che secondo l'ipotesi accusatoria sarebbe l'unico elemento utile per attribuire all'imputato la disponibilita' del blacbarry e del relativo nickname, veniva tuttavia ritenuta non significativa la circostanza che la cimice non avesse registrato nulla di interessante nell'arco di quaranta giorni. Con il terzo motivo deduce la violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) per inosservanza nonche' erronea applicazione della legge penale in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 80, comma 2, e dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) per carenza, illogicita' e contraddittorieta' della motivazione in relazione all'individuazione del quantitativo di principio attivo da cui trarre il superamento della soglia minima integrante la suddetta aggravante in ossequio alla sentenza Sez. U. n. 36258 del 2012. Assume che la Corte territoriale ha confermato la sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 80, comma 2, Decreto del Presidente della Repubblica cit., pur in assenza dell'analisi quali-quantitativa dello stupefacente in ipotesi trasportato dal ricorrente perche' mai sequestrato. Osserva che la Corte territoriale si e' cosi' discostata dal principio affermato dalle Sezioni Unite n. 36258 del 2012. Inoltre rileva che, benche' secondo un indirizzo di legittimita' si puo' ravvisare l'aggravante anche in assenza di accertamento sul principio attivo, in tal caso tuttavia il giudice deve essere in possesso di dati probatori talmente insuperabili da far ritenere ogni prospettazione difensiva priva di pregio mentre la motivazione e' sul punto contraddittoria. Con il quarto motivo deduce la mancanza e la manifesta illogicita' della motivazione nella parte in cui la Corte d'appello di Brescia ha ritenuto di non riconoscere all'imputato le circostanze attenuanti generiche. Si rileva invero che la Corte territoriale ha ritenuto che il mero stato di incensuratezza dell'imputato non sia sufficiente a fondare detto riconoscimento. 4.2. Ricorso per (OMISSIS): si articola in sette motivi motivi. Con il primo motivo deduce la mancanza e/o la manifesta illogicita' della motivazione in ordine al giudizio di responsabilita' per entrambi i reati ascritti all'imputato in quanto fondato su prove inutilizzabili costituite dalle intercettazioni ambientali eseguite sulla vettura Peugeot tg. BV322AC per violazione dell'articolo 268 c.p.p., comma 3, essendo state eseguite le operazioni di intercettazione con impianti collocati presso il Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Brescia anziche' con impianti collocati presso la Procura della Repubblica di Brescia. Assume la manifesta illogicita' di quanto deciso dalla Corte d'appello sul fatto che l'indicazione del luogo di esecuzione delle operazioni di intercettazione cosi' come riportato nel verbale del 25.2.2016 fosse un mero refuso e che la rettifica operata dal Gico il 18.1.2017 fosse la correzione di un semplice errore materiale. Con il secondo motivo deduce l'omissione e/o manifesta illogicita' della motivazione in ordine al giudizio di responsabilita' per entrambi i reati in quanto fondato su prove inutilizzabili costituite dalle intercettazioni telematiche delle chat blackberry per violazione degli articoli 266 e 266 bis c.p. e articolo 729 c.p.p. e per difetto di rogatoria internazionale cosi' come previsto dall'articolo 729 c.p.p. nella formulazione precedente al Decreto Legge n. 149 del 2017 impugnandosi a tale fine l'ordinanza del Tribunale di Brescia che ha rigettato le eccezioni formulate dalla difesa. Censura le statuizioni della Corte territoriale a riguardo che non ha ritenuto necessaria alcuna richiesta di rogatoria alle Autorita' canadesi posto che tutta l'attivita' intercettativa si e' svolta in Italia anche se l'autorita' canadese ha collaborato. Con il terzo motivo deduce l'omissione e/o la manifesta illogicita' della motivazione in ordine al giudizio di responsabilita' per i reati ascritti in quanto fondato su prova illegittima stante il rigetto della richiesta difensiva di sentire ex articolo 195 c.p.p. il teste di riferimento della polizia olandese su quanto riferito dal M.llo (OMISSIS) all'udienza del 30.6.2020 e si impugna a tal fine l'ordinanza del Tribunale di Brescia del 24.7.2020 che aveva rigettato la relativa richiesta della difesa. Con il quarto motivo deduce l'omissione e/o la manifesta illogicita' della motivazione in ordine al giudizio di responsabilita' per i reati ascritti in quanto dedotto dalla prova della ritenuta identificazione di (OMISSIS), cosi' come desunta dalla intercettazione ambientale avvenuta a bordo del veicolo Peugeot 307 il 17.5.2016 di cui e' stata disposta la trascrizione peritale essendo fondata su prova inutilizzabile. Contesta la conclusione cui e' giunta la Corte territoriale, ovvero che il soggetto colloquiante con (OMISSIS) sia (OMISSIS) e che lo stesso fosse a bordo dell'auto e, anche ammessa tale circostanza, non e' scontato che il fratello cui si riferisce sia proprio (OMISSIS). Si assume inoltre l'inutilizzabilita' ai fini dell'identificazione del ricorrente di quanto riferito dal teste (OMISSIS) in ordine al contenuto di una conversazione di cui la Corte non ha indicato gli estremi e che non risulta tra quelle di cui e' stata disposta la trascrizione. Con il quinto motivo deduce l'omissione e/o la manifesta illogicita' della motivazione sul punto relativo al giudizio di responsabilita' con riferimento all'episodio del(OMISSIS). Si assume che la Corte territoriale ha fondato la responsabilita' del ricorrente su uno scambio di sms blackberry asseritamente intervenuto tra (OMISSIS) e l'utilizzatore di apparecchio telefonico che ha ritenuto di identificare in (OMISSIS). Osserva, a prescindere dalla riconducibilita' al ricorrente, la manifesta illogicita' della motivazione sul punto, posto che tale scambio di sms e' di ben tre giorni successivo al fatto reato cui si ritiene di collegarlo, apparendo percio' del tutto eccentrico considerato altresi' il tenore equivoco del messaggio. Con il sesto motivo deduce la violazione di legge e la mancanza e/o manifesta illogicita' della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell'aggravante dell'ingente quantita' ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 80, comma 2, con riferimento all'episodio dell'(OMISSIS). Rappresenta che la difesa fa acquiescenza alla ritenuta aggravante per l'episodio del 16.2.2016, alla luce del rinvenimento dello stupefacente, ma non anche per l'episodio dell'(OMISSIS) non essendo provato il livello di offensivita' della condotta. Con il settimo motivo deduce l'omessa motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. 4.3. Ricorso per (OMISSIS): si articola in un motivo di ricorso con cui deduce l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'articolo 24 Cost., comma 2, relativo alla violazione del diritto di difesa (ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) violazione di norme processuali stabilite a pena di nullita' (vizio deducibile ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) in riferimento alla violazione dell'articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c). Si censura la statuizione della sentenza impugnata che ha ritenuto legittima la valutazione compiuta dal giudice di primo grado con riferimento all'udienza del 18 giugno 2020 che aveva dichiarato i difensori di (OMISSIS) decaduti dalla difesa per non essere gli stessi stati presenti a quell'udienza fissata per l'escussione di testi non riguardanti la posizione del proprio assistito e non essendo comparsi all'udienza preliminare ed all'udienza dibattimentale fissata per lo smistamento. 4.4. Ricorso per (OMISSIS): si articola in un motivo con cui deduce la violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) con riferimento all'affermazione della sussistenza dei reati ascritti a (OMISSIS) ai capi 12), 14) e 18) dell'imputazione. Si assume che se la Corte dovesse sancire la inutilizzabilita' delle intercettazioni telematiche blackberry, unici elementi probatori a carico del (OMISSIS), cio' si riverberebbe sulla posizione del medesimo, pur avendo lo stesso in sede di concordato ex articolo 599 bis c.p.p., rinunciato agli ulteriori motivi per il principio del favor rei. 5. La difesa di (OMISSIS) ha depositato memoria difensiva. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso per (OMISSIS) e' nel complesso infondato. 1.1. Quanto alla prima complessa censura, le relative questioni, gia' disattese dal giudice di primo grado con ordinanza del 3 marzo 2020, sono state nuovamente rigettate dalla Corte territoriale la quale si e' uniformata ai principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimita' sul tema. Ed invero, secondo consolidato orientamento di questa Corte, dal quale non si individuano ragioni per discostarsi, il sistema di intercettazione della messaggistica "pin to pin" non necessita di essere realizzato mediante rogatoria internazionale (Sez. 4, n. 49896 del 15/10/2019, Rv. 277949: "In tema di intercettazioni telefoniche, l'acquisizione della messaggistica, scambiata mediante sistema Blackberry, non necessita di rogatoria internazionale quando le comunicazioni siano avvenute in Italia, a nulla rilevando che per "decriptare" i dati identificativi associati ai codici PIN sia necessario ricorrere alla collaborazione del produttore del sistema operativo avente sede all'estero"; da ultimo Sez. 6, n. 18907 del 20/04/2021, Rv. 281819 - 01: "In tema di intercettazioni della messaggistica scambiata con sistema Blackberry, la decriptazione del dato informatico e' attivita' distinta dalla captazione e puo' essere svolta, ai sensi dell'articolo 234-bis c.p.p., mediante la mera richiesta alla societa' produttrice del sistema operativo di trasformare, tramite l'apposito algoritmo, i dati informatici in contenuti intellegibili"). In plurime pronunce si e' ritenuta l'utilizzabilita', senza necessita' di rogatoria, degli esiti di intercettazioni di comunicazioni in "chat" protette tramite servizio "pin to pin", gestito da "server" collocato in territorio estero, i cui dati sono stati registrati, come avvenuto nel presente procedimento, nel territorio nazionale, per mezzo d'impianti installati presso la Procura della Repubblica (Sez. 6, n. 1342 del 04/11/2015 cc. - dep. 14/01/2016, Rv. 267184, in una fattispecie relativa proprio a captazione, avvenuta con un "server" della societa' canadese gestore del servizio, di dati telematici relativi a comunicazioni avvenute tra gli indagati, attraverso apparecchi "Blackberry" con il sistema c.d. "pin to pin", poi trasmessi in originale dalla sede italiana del gestore direttamente sulla memoria informatica centralizzata degli uffici della Procura della Repubblica, dove sono stati letti, registrati e verbalizzati; cosi', tra le tante, anche Sez. 4, n. 16670 del 08/04/2016, Rv. 266983). Si e' invece ritenuta la necessita' della rogatoria internazionale solo nel caso in cui le conversazioni captate transitino esclusivamente all'estero e, cioe', tra utenze usate all'estero, evenienza non ricorrente nel presente caso (cosi' Sez. 4, n. 9161 del 29/01/2015 ud. - dep. 02/03/2015, Rv. 262441 01: "In tema di intercettazioni telefoniche, non e' necessario esperire una rogatoria internazionale allorquando l'attivita' di captazione e di registrazione del flusso comunicativo avvenga in Italia e tanto sia nel caso di utenza mobile italiana in uso all'estero sia nel caso di utenza mobile straniera in uso in Italia, richiedendosi il ricorso alla rogatoria solo nell'ipotesi in cui l'attivita' captativa sia diretta a percepire contenuti di comunicazioni o conversazioni transitanti unicamente su territorio straniero"). Occorre qui ribadire inoltre che l'attivita' di decriptazione che viene svolta all'estero dalla soc. RIM non e' equiparabile ad un'attivita' intercettiva, dovendo tenere nettamente distinta la fase della intercettazione della comunicazione (nella specie la captazione, la ricezione e la registrazione del flusso telematico) da quella relativa alla intelligibilita' della comunicazione ossia la fase (eventuale e successiva) della lettura dei dati cifrati intercettati. Si e' osservato che l'erogazione dei servizi di messaggistica e posta elettronica sui terminali avviene tramite la connettivita' ad internet fornita da gestori nazionali: la situazione che si determina per la messaggistica Blackberry e' analoga alla procedura di convogliamento delle chiamate in partenza dall'estero in un "nodo" situato in Italia e, a maggior ragione, di quelle in partenza dall'Italia verso l'estero delle quali e' certo l'istradamento a mezzo di gestore sito nel territorio nazionale. Ne consegue che l'acquisizione della messaggistica scambiata mediante il sistema protetto Blackberry, cd. "pin to pin", non necessita di rogatoria internazionale qualora le comunicazioni siano avvenute in Italia. Indipendentemente dall'intellegibilita' del messaggio, esse partono da un terminale allocato in Italia o gestito da un operatore italiano ed il segnale viene captato su suolo italiano, a nulla rilevando che per decriptare i dati identificativi associati ai codici pin (fase successiva al compimento della sequenza intercettiva) sia necessario ricorrere alla collaborazione del produttore del sistema operativo avente sede all'estero (Sez. 3, n. 36381 del 09/05/2019 non massimata sul punto; Sez. 3, n. 38009 del 10/05/2019, Assisi, Rv. 278166 - 03: "In tema di intercettazioni, l'acquisizione dei dati concernenti le comunicazioni scambiate mediante il sistema Blackberry non necessita di rogatoria internazionale in quanto le comunicazioni partono o sono ricevute da apparecchi presenti in Italia e sono convogliate in un nodo di collegamento situato in Italia, messo a disposizione, insieme alla connessione ad internet, da operatori telefonici nazionali con i quali la societa' R.I.M., che gestisce il sistema comunicativo BlackBerry, ha concluso accordi"). Inoltre la relativa acquisizione soggiace alla disciplina delle intercettazioni telefoniche ex articolo 266 c.p.p. e ss. la quale postula la captazione di un flusso di comunicazioni in atto e non gia' a quella del sequestro probatorio di messaggi di posta elettronica gia' ricevuti o spediti e conservati nelle caselle di posta del computer, in quanto tali comunicazione hanno natura di documenti ai sensi dell'articolo 234 c.p.p. (vedi Sez. 6, n. 28269 del 28/05/2019, Rv. 276227). Nella specie e' stata utilizzata la tecnica dell'instradamento nel senso che i flussi di dati provenienti dai blackberry erano convogliati sul server in uso alla Procura della Repubblica di Brescia. Neppure puo' ritenersi violata la normativa sulla privacy da parte di una societa' privata atteso che in ogni caso l'attivita' e' stata compiuta sotto il controllo dell'autorita' italiana per ragione di giustizia. 1.2. Il secondo motivo e' parimenti infondato. La sentenza impugnata motiva analiticamente sull'avvenuta identificazione del (OMISSIS) a distanza di un anno da quando era stato visto dagli operanti (ufficiali ed agenti di P.G.) come il soggetto che si accompagnava ai due (OMISSIS) e che guidava la Opel Zafira specificando che il (OMISSIS) non e' stato visto per pochi istanti ma per un tempo prolungato da piu' persone, peraltro addestrate per operazioni di polizia. Tale elemento e' stato ulteriormente corroborato dall'intestazione dell'auto alla di lui moglie nonche' dalle conversazioni avvenute in data 22.4.2016 e 26.4.2016 mentre si trovava in territorio olandese in cui lo stesso viene chiamato "(OMISSIS)" da (OMISSIS). Alla luce di tale quadro probatorio logicamente la Corte territoriale non ha ritenuto significativa l'assenza di intercettazioni ambientali riguardanti il (OMISSIS) ipotizzandosi anche che lo stesso utilizzasse altra modalita' di comunicazione. 1.3. Il terzo motivo e' del pari infondato. Sebbene non spetti a questa Corte sindacare la valutazione delle fonti di prova operata dal giudice di merito, tuttavia, compete al giudice di legittimita' la verifica della tenuta motivazionale e della congruita' della risposta fornita dalla decisione impugnata alle doglianze proposte avverso la sentenza appellata. Nel caso di specie, la Corte territoriale in ordine al riconoscimento dell'aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 80 ha logicamente interpretato la conversazione dell'(OMISSIS) tra (OMISSIS) e (OMISSIS), ritenendo che l'indicazione di "9" e di "12" dovesse intendersi riferita al chilogrammo e non gia' ad etti trattandosi nel caso opposto di viaggi all'estero chiaramente antieconomici. Tale interpretazione trova peraltro riscontro nel viaggio organizzato dopo pochi giorni da (OMISSIS) che fa recapitare un quantitativo di 15 kg. di cocaina che viene rintracciato e sequestrato. 1.4. Il quarto motivo e' infondato. Il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche puo' essere legittimamente motivato dal giudice, come nella specie, con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell'articolo 62-bis, disposta con il Decreto Legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non e' piu' sufficiente il solo stato di incensuratezza dell'imputatoi (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, Rv. 283489). 2. Il ricorso per (OMISSIS) e' nel complesso infondato. 2.1.Infondato e' il primo motivo di ricorso. Ed invero la censura reitera la doglianza proposta in appello ed a cui la Corte territoriale ha dato adeguata risposta. Ed invero, l'indicazione della collocazione degli impianti presso il Comando della Guardia di Finanza risulta un errore materiale, come si evince dal verbale del 25.2.2016 di inizio delle operazioni peritali che richiama il decreto di intercettazione che prevede espressamente l'utilizzo di apparecchiature in uso alla Procura della Repubblica. 2.2. Del pari infondata e' la seconda censura. Il motivo e' sostanzialmente sovrapponibile al n. 1 del ricorso (OMISSIS) alla cui motivazione si fa rinvio. 2.3.11 terzo motivo e' infondato. Ed invero, la Corte d'appello ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui il divieto e le limitazioni all'utilizzazione della testimonianza indiretta previsti dall'articolo 195 c.p.p., comma 4 non si applicano nei confronti degli ufficiali o agenti della polizia giudiziaria sentiti a proposito degli esiti di indagini condotte in un paese straniero da forze locali o internazionali di polizia, sempre che l'informazione sia riferita ad organismi di polizia qualificati e ben individuati (Sez. 6 n. 4844 del 14/11/2018, dep. 2019, Rv. 275046). 2.4. Il quarto motivo e' del pari infondato. Con riguardo all"identificazione del ricorrente, la Corte territoriale evidenzia l'intercettazione ambientale avvenuta a bordo del veicolo Peugeot 307 del 17.5.2016 (in origine non trascritta ma che il Collegio aveva successivamente deciso tgli di trascrivere) intercorsa tra il fratello del ricorrente ( (OMISSIS) Ledian) e (OMISSIS)Sinani (OMISSIS) nel corso della quale si fa riferimento a rapporti inerenti agli stupefacenti, si parla dell'odierno ricorrente con il nome "(OMISSIS)" e come "..il fratello con cui era cresciuto e che era piu' di un padre". Altro dato evidenziato per identificare il ricorrente, come riferito dal teste (OMISSIS) all'udienza del 30.6.2020, e' il riferimento ad un cognato abitante in Brescia che era in possesso dei soldi dell'organizzazione (identificato in (OMISSIS)) ma ancor di piu' la circostanza che lo (OMISSIS) veniva tratto in arresto unitamente a due complici in Olanda e rintracciato quale utilizzatore del PIN (OMISSIS) a lui in precedenza attribuito. 2.5. Il quinto motivo e' infondato. Ed invero, la Corte territoriale ha fondato l'attribuzione degli episodi di cessione al ricorrente sullo scambio di messaggi tramite blackberry tra lo stesso e (OMISSIS) avvenuto il (OMISSIS), comunicazione che raccorda i due episodi dell'(OMISSIS). In detto scambio si fa riferimento ad una prima fornitura effettuata dal medesimo e si preannuncia la seconda che sara' effettuata dal "biondo" identificato in (OMISSIS). 2.6. Il sesto motivo e' infondato. La Corte territoriale ha ritenuto la sussistenza dell'aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 80, anche con riguardo all'episodio dell'(OMISSIS), sulla base dell'interpretazione degli scambi di messaggi tra l'odierno ricorrente e (OMISSIS) che funge da raccordo tra i due episodi contestati, ponendosi in evidenza che il 16.2.2016 fu sequestrato un quantitativo di 15 kg di cocaina dovendosi quindi ritenere che, in ragione del collegamento logico e temporale basato sull'interpretazione delle comunicazioni intercorse, il ricorrente spacciasse grosse quantita' di stupefacente. 2.7. Il settimo motivo e' infondato. La Corte territoriale, motivando il diniego delle generiche "in difetto di elementi positivi al riguardo", ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto conseguente all'assenza di elementi negativi connotanti la personalita' del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle stesse.(Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, Rv. 281590). 3. Il ricorso per (OMISSIS) e' infondato. Va premesso che e' inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale si deduce la violazione di norme della Costituzione o della CEDU (nella specie violazione dell'articolo 24 Cost.) poiche' la loro inosservanza non e' prevista tra i casi di ricorso dall'articolo 606 c.p.p. e puo' soltanto costituire fondamento di una questione di legittimita' costituzionale (Sez. 2, n. 12623 del 13/12/2019, dep. 2020, Rv. 279059). Quanto invece alla violazione dell'articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c) nella specie, come correttamente rilevato nella sentenza impugnata, all'udienza del 18.6.2020 era stato dichiarato solo l'abbandono della difesa e nominato un difensore d'ufficio, senza lo svolgimento di alcuna attivita' processuale cosicche' non e' possibile ipotizzare (ne' comunque e' allegato dal ricorrente) alcun pregiudizio per l'imputato che all'udienza successiva era nuovamente rappresentato dal difensore di fiducia. 4. Il ricorso proposto per (OMISSIS) e' manifestamente infondato. Va premesso che in tema di concordato in appello, e' ammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ex articolo 599-bis c.p.p. che deduca motivi relativi alla formazione della volonta' della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex articolo 129 c.p.p. ed, altresi', a vizi attinenti alla determinazione della pena che non si siano trasfusi nella illegalita' della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ovvero diversa dalla quella prevista dalla legge (Sez. 1 n. 944 del 23/10/2019, dep. 2020, Rv. 278170). Tuttavia, l'effetto estensivo dell'impugnazione, in caso di accoglimento di un motivo di ricorso per cassazione non esclusivamente personale perche' relativo all'oggettiva inutilizzabilita' degli esiti delle intercettazioni telefoniche, su cui la sentenza impugnata ha fondato il giudizio di responsabilita' per i concorrenti in un medesimo reato, giova agli altri imputati che non hanno proposto ricorso, ivi compresi coloro che hanno concordato la pena in appello, o che hanno proposto un ricorso originariamente inammissibile, o ancora che al ricorso hanno successivamente rinunciato. (Sez. U, n. 30347 del 12/07/2007, Rv. 236756). Cio' premesso, va rilevato che, come gia' prima esposto, i motivi relativi all'inutilizzabilita' degli esiti delle intercettazioni sono stati ritenuti infondati di talche' non si determina l'illustrato effetto estensivo. In conclusione i ricorsi proposti da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) vanno rigettati con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali. Il ricorso di (OMISSIS), manifestamente infondato, va dichiarato inammissibile con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso di (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Rigetta i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FIDELBO Giorgio - Presidente Dott. GIORDANO Emilia Anna - Consigliere Dott. VIGNA Maria S. - rel. Consigliere Dott. SILVESTRI Pietro - Consigliere Dott. D'ARCANGELO Fabrizio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: 1. (OMISSIS), nata il (OMISSIS); 2. (OMISSIS), nato il (OMISSIS); 3. (OMISSIS), nata il (OMISSIS); 4. (OMISSIS), nata il (OMISSIS); 5. (OMISSIS) nato il (OMISSIS); avverso la sentenza del 8/11/2021 della Corte di appello di Messina; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere Maria Sabina Vigna; lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Cimmino Alessandro, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1.Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Messina ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Messina l'8 novembre 2021 nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che condannava i predetti alla pena di legge per la commissione dei reati di peculato. Si contesta ai predetti, in concorso tra loro, - in qualita' di dipendenti della Regione Sicilia addetti alla biglietteria o al controllo degli ingressi presso il teatro antico di Taormina, e, pertanto, di incaricati di pubblico servizio - avendo per ragioni del loro servizio il possesso del denaro riscosso dai visitatori per l'acquisto dei biglietti d'ingresso alla predetta struttura, di essersi appropriati di parte del medesimo, per un valore complessivo di 506,00 Euro, creando un avanzo di cassa mediante la vendita di biglietti ridotti al prezzo di quelli interi o la vendita ripetuta dei medesimi tagliandi. In particolare: - a (OMISSIS) sono contestati tre episodi di peculato (capi 1, 3 e 4); - a (OMISSIS) due episodi (capi 2 e 3); - a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) un episodio (rispettivamente: capi 1, 4 e 5). Tutti gli imputati sono, inoltre, stati condannati per avere concorso nella induzione in errore dell'agente di riscossione (pubblico ufficiale) che sottoscriveva i prospetti delle tasse riscosse per l'entrata al teatro di Taormina e delle somme riscosse versate per diritto d'ingresso nella medesima struttura nel mese di aprile 2014, nei quali veniva attestata falsamente la riscossione di somme inferiori a quelle effettivamente pagate dai visitatori, nella misura complessiva di almeno 506,00 Euro. Fatti aggravati per essere stati commessi al fine di occultare quelli di cui ai capi precedenti, ovvero per assicurare il profitto e con violazione dei doveri inerenti a un pubblico servizio. 2.Avverso la sentenza, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), ricorrono per cassazione, con un unico atto, a mezzo dell'avvocato (OMISSIS), deducendo i seguenti motivi: 2.1. Violazione di legge processuale in relazione alla inutilizzabilita' delle riprese video, avvenute in luoghi, ove le medesime non erano consentite, considerato che, agli atti, non vi era alcun decreto di convalida emesso dal Giudice delle indagini preliminari competente. L'articolo 191 c.p.p. stabilisce che le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate in giudizio. Nel caso in esame le riprese video erano inutilizzabili perche' installate in luoghi riconducibili a privata dimora. Si richiama, sul punto, la sentenza Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017, D'Amico, Rv. 270076 - 01, sostenendo che i luoghi ove erano state installate le telecamere erano utilizzati dagli odierni imputati anche come spogliatoio; la biglietteria, infatti, era suddivisa in una parte esterna - adibita ad accesso pubblico - e una parte interna esclusivamente privata. 2.2. Vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La Corte di appello si e' limitata a evidenziare l'assenza di elementi di segno positivo, che potessero giustificarne la concessione. 3.L'avvocato (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), revocato dalla stessa in data 2 marzo 2022 ha, successivamente alla revoca, presentato ricorso per cassazione nell'interesse della predetta, deducendo: 3.1. Violazione di legge processuale in relazione alla nullita' del decreto che dispone il giudizio per indeterminatezza del secondo capo di imputazione. 3.2.Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al delitto di cui all'articolo 314 c.p.; vizio di motivazione in ordine all'applicabilita' dell'articolo 47 c.p. con riferimento al quinto capo di imputazione; vizio di motivazione in ordine all'applicabilita' degli articoli 25, 27 e 13 Cost., stante la assoluta carenza di offensivita' della condotta dell'imputata, in considerazione della presunta appropriazione di ventotto Euro. 3.3. Vizio di motivazione in ordine al delitto di falso ideologico aggravato, per induzione in errore. 3.4. Violazione di legge in relazione alla erronea qualificazione giuridica della fattispecie da sussumersi nell'alveo del tentativo di peculato. 3.5. Vizio di motivazione in ordine il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, da ritenersi prevalenti rispetto alle contestate aggravanti, ed eccessivita' del trattamento sanzionatorio. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Occorre, preliminarmente, esaminare il ricorso dell'avvocato (OMISSIS) per evidenziarne l'inammissibilita', trattandosi di impugnazione presentata da difensore non piu' legittimato, essendo stato revocato il 2 marzo 2022, e, quindi, in data antecedente alla presentazione del ricorso depositato presso la Corte di appello di Messina il 1 aprile 2022. 2. Il1 ricorso presentato dall'avvocato (OMISSIS), nell'interesse di tutti gli imputati deve essere rigettato. 2.1. Il primo motivo - avente ad oggetto l'inutilizzabilita' delle riprese video, che hanno consentito di accertare la condotta illecita degli imputati - e' infondato. 2.1.1.Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimita' il principio di diritto secondo il quale le videoregistrazioni in luoghi pubblici ovvero aperti o esposti al pubblico, non effettuate nell'ambito del procedimento penale, vanno incluse nella categoria dei "documenti" di cui all'articolo 234 c.p.p., mentre le medesime videoregistrazioni eseguite dalla polizia Giudiziaria, anche d'iniziativa, vanno incluse nella categoria delle prove atipiche, soggette alla disciplina dettata dall'articolo 189 c.p.p. (Sez. U, n. 26795 del 28/03/2006, Prisco, Rv. 234267 - 01). E' stato anche affermato, con la medesima pronuncia, che le riprese video di comportamenti "non comunicativi" non possono essere eseguite all'interno del "domicilio", in quanto lesive dell'articolo 14 Cost., con la conseguenza che ne e' vietata la loro acquisizione ed utilizzazione e, in quanto prova illecita, non puo' trovare applicazione la disciplina dettata dall'articolo 189 c.p.p. (si veda, anche, Corte Cost. n. 135 del 2001). E' stato, infine, precisato che le videoregistrazioni eseguite in ambienti in cui e' garantita l'intimita' e la riservatezza, non riconducibili alla nozione di "domicilio", sono prove atipiche, soggette ad autorizzazione motivata dell'Autorita' Giudiziaria e alla disciplina dettata dall'articolo 189 c.p.p.. 2.1.2.Conformemente a tali principi, la giurisprudenza di legittimita' ha chiarito come il concetto di domicilio individui un rapporto tra la persona e un luogo, generalmente chiuso, in cui si svolge la vita privata, in modo anche da sottrarre chi lo occupa alle ingerenze esterne e da garantirgli, quindi, la riservatezza; ma il rapporto tra la persona e il luogo deve essere stabile, cioe' tale da giustificare la tutela di questo anche quando la persona sia assente. In altre parole, la vita personale che vi si svolge, anche se per un periodo di tempo limitato, fa si' che il domicilio diventi un luogo che esclude violazioni intrusive, indipendentemente dalla presenza della persona che ne abbia la titolarita', perche' il luogo stesso rimane connotato dalla personalita' del titolare. 2.1.3. Tirando le fila del discorso, appare evidente come, in tema di videoriprese eseguite in ambiente privato, occorra distinguere comportamenti "comunicativi" da quelli "non comunicativi". Alla luce dell'evoluzione giurisprudenziale, per comportamenti "comunicativi", intercettabili solo previa autorizzazione del giudice e, quindi, secondo le regole dettate dagli articoli 266 e seg. c.p.p., si intendono quelli finalizzati a trasmettere il contenuto di un pensiero mediante la parola, i gesti, le espressioni fisiognomiche o altri atteggiamenti idonei a manifestarlo (Sez. 6, n. 52595 del 04/11/2016, F., Rv. 268936 - 01), mentre la nozione di comportamenti "non comunicativi" va desunta a contrariis, essendo tali tutti i comportamenti diversi da quelli comunicativi, ossia quelli che non consistono nello scambio di messaggi fra piu' soggetti, in qualsiasi modo realizzati (attraverso un colloquio orale oppure anche gestuale), cosicche' l'attivita' di intercettazione non e' diretta a captare "messaggi", ma esclusivamente ad acquisire immagini relative alla mera presenza di cose o persone o ai loro movimenti, senza alcun nesso funzionale con la captazione di messaggi intenzionalmente trasmessi da un soggetto ad un altro. Nel primo caso, ossia in tema di comportamenti "comunicativi", la giurisprudenza di legittimita' ha, percio', ritenuto che le videoriprese siano legittime alle stesse condizioni in cui possono essere legittimamente disposte le intercettazioni ambientali; nel caso, invece, di comportamenti "non comunicativi", consegue l'illegittimita' delle operazioni captative e l'inutilizzabilita' dei relativi esiti, in mancanza di un congruo provvedimento giustificativo (Sez. U, n. 26795 del 28/03/2006, cit., in motivazione). 2.1.4. Conclusivamente - stabilito che il regime delle videoregistrazioni di comportamenti "comunicativi" replica il sistema previsto per le intercettazioni ambientali - occorre operare, quanto invece alle videoregistrazioni di comportamenti "non comunicativi", una diversificazione in relazione al luogo in cui l'attivita' di captazione e' svolta, nel senso che le videoriprese: a) se sono eseguite in luoghi pubblici, ovvero aperti o esposti al pubblico, possono essere effettuate dalla polizia Giudiziaria, anche d'iniziativa (senza che occorra un provvedimento motivato dell'Autorita' Giudiziaria) ed esse rientrano nella categoria delle prove atipiche, soggette alla disciplina dettata dall'articolo 189 c.p.p.; b) se sono eseguite in ambienti non riconducibili alla nozione di "domicilio", ma nei quali debba essere garantita l'intimita' e la riservatezza, rientrano nell'ambito delle prove atipiche, soggette percio' alla disciplina dettata dall'articolo 189 c.p.p., ma necessitano dell'autorizzazione motivata dell'Autorita' Giudiziaria (anche con riferimento allo scopo perseguito, ovvero agli elementi probatori suscettibili di essere acquisiti attraverso l'atto intrusivo) e devono essere giustificate in modo congruo rispetto alla invasivita' dell'atto e alle esigenze dell'indagine; c) se sono eseguite all'interno del domicilio, vanno qualificate come prove illecite in quanto lesive dell'articolo 14 Cost., mancando una normativa ordinaria conforme alla disposizione costituzionale, con la conseguenza che e' vietata la loro acquisizione ed utilizzazione. 2.1.5. Venendo, ora, a esaminare la natura del locale ripreso dalle registrazioni video, premesso che trattasi di questione di fatto, la Corte di appello ha puntualmente motivato sulla natura di luogo aperto al pubblico della biglietteria, anche alla luce della sentenza Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017, D'Amico, Rv. 270076 - 01, citata dalla difesa. Tale sentenza sottolinea, infatti, come la interpretazione letterale e sistematica della norma di cui all'articolo 614 c.p., confortata dai principi enucleabili dalle sentenze della Corte costituzionale e dalla sentenza Prisco delle Sezioni Unite, consente di delineare la nozione di privata dimora sulla base dei seguenti, indefettibili elementi: a) utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attivita' professionale e di lavoro in genere), in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne; b) durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilita' e non da mera occasionalita'; c) non accessibilita' del luogo, da parte di terzi, senza il consenso del titolare. E' proprio tale sentenza a ritenere che i luoghi di lavoro non costituiscano luoghi di privata dimora salva l'ipotesi in cui abbiano le caratteristiche della abitazione. 2.1.6.Deve, quindi, rilevarsi come non ogni luogo dal quale il titolare abbia diritto di escludere i terzi sia assimilabile alla dimora, ma solo quelli in cui si svolgano attivita' della vita privata, protette dal diritto ad un'assoluta riservatezza, non apparendo tali quei luoghi pienamente visibili, esposti alla percezione visiva esterna. Ne' l'eventuale contingente utilizzo ulteriore di tali luoghi-peraltro riferito ad una parte limitata del locale -appare idoneo a modificarne la natura, in particolare tenuto conto, come sottolineato nella sentenza impugnata, del posizionamento della telecamera in un luogo che, in virtu' di detta percepibilita' esterna, consente di escludere le ragioni di tutela, in particolare sub specie di diritto alla riservatezza o alla privacy. 2.2. Il secondo motivo di ricorso e' infondato. In ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, la Corte territoriale ha evidenziato l'assenza di elementi di segno positivo a fronte della gravita' delle condotte. Occorre ricordare che l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto conseguente all'assenza di elementi negativi connotanti la personalita' del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle stesse. Nel caso di specie, come detto, la Corte di Appello ha motivato puntualmente, evidenziando che non apparivano emergere ulteriori profili di valutazione idonei ad incidere sulle conclusioni a cui era pervenuta la sentenza di primo grado. 3. Al rigetto del ricorse, segue la condanna degli imputati al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso proposto dall'avvocato (OMISSIS) Salvatore. Rigetta gli altri ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. GALTERIO Donatella - Consigliere Dott. CORBETTA Stefano - Consigliere Dott. GAI Emanuela - rel. Consigliere Dott. ZUNICA Fabio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso la sentenza del 10/05/2022 della Corte d'appello di Salerno; Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Dr. Gai Emanuela; letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Orsi Luigi, che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 10 maggio 2022, la Corte d'appello di Salerno ha riformato parzialmente la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Salerno, rideterminando la pena in mesi 4 e giorni 15 di reclusione, condizionalmente sospesa, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e del vincolo della continuazione, in relazione ai reati di diffamazione e di trattamento illecito dei dati, di cui all'articolo 81 c.p., comma 2, articolo 595 c.p. e Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 167, comma 1, confermando nel resto la sentenza di primo grado. 1.1. Il Tribunale di Salerno aveva riconosciuto la penale responsabilita' della ricorrente in ordine ai reati di cui al capo d'imputazione sulla base di uno scritto pubblicato su un sito internet, a firma di (OMISSIS), contenente i dati personali di tutti i condomini dello stabile dove risiede la stessa imputata, con descrizione delle loro abitudini di vita, attribuzione di comportamenti non reali, stralci di cause civili ancora in istruttoria, utilizzando, inoltre, nel ricostruire le vicende condominiali, espressioni offensive quali l'attribuzione di caratteri di prepotenza, prevaricazione, invadenza, arroganza e avidita'. Alla luce di tali elementi probatori, il giudice di primo grado aveva ritenuto integrati i reati contestati, determinando la pena base in mesi 9 di reclusione, diminuita per le generiche a mesi 6 ed aumentata per la continuazione a mesi 7, condizionalmente sospesa, condannando inoltre l'imputata al risarcimento dei danni in favore della parte civile, da liquidare nella sede competente, oltre che al pagamento delle spese processuali. Il giudice dell'impugnazione, investito del giudizio a seguito dell'appello dell'imputata, ha confermato le statuizioni del Tribunale in ordine all'accertamento della responsabilita' penale dell'imputata, oltre che le statuizioni civili, riconoscendo, tuttavia, quanto alla determinazione della pena, la mancata individuazione del reato piu' grave da parte del giudice di primo grado. Sul punto, la Corte territoriale ha chiarito che, trattandosi di diffamazione semplice, di cui all'articolo 595 c.p., comma 1, risulta piu' grave il reato di trattamento illecito dei dati, di cui all'articolo 167, comma 1, del Codice privacy, punito con la reclusione da 6 mesi a 1 anno e 6 mesi di reclusione, ritenendo che la pena base debba essere determinata nella misura minima, alla luce della concreta gravita' del fatto, diminuita per le generiche a mesi 4 ed aumentata per la continuazione a mesi 4 e giorni 15 di reclusione. 2. Avverso la sentenza di appello ricorre per cassazione l'imputata, per il tramite dell'Avv. (OMISSIS), chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'articolo 173 disp. Att. c.p.p., comma 1. 2.1. Con i primi due motivi di ricorso la difesa deduce l'erronea applicazione della legge penale e il vizio di motivazione, di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in ordine al reato di trattamento illecito dei dati, di cui al Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 167, comma 1. Quanto all'erronea applicazione della legge penale, sotto un primo profilo, la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere sussistente il delitto di trattamento illecito dei dati in assenza di alcuna prova circa il nocumento arrecato alla parte offesa. Diffondere qualita' del soggetto passivo, sostiene la difesa, non implica di per se' arrecare un danno, il quale, tra l'altro, deve afferire al bene giuridico tutelato dalla norma, ossia la riservatezza, per cui sarebbe illogico il riferimento della Corte all'utilizzo delle "espressioni squalificanti", da rivolgersi, piu' correttamente, al danno derivante dal reato di diffamazione. In ogni caso, prosegue la difesa, anche laddove si volesse ritenere sussistente una qualche forma di pregiudizio, la stessa non potrebbe che essere di lieve entita', in ragione della limitata diffusione, dunque insufficiente ad integrare la fattispecie di cui al Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 167, comma 1. Sotto altro profilo, il giudice di appello avrebbe errato nel ritenere sussistente l'elemento psicologico del reato, atteso che l'unico intento dell'imputata sarebbe stato quello di condividere il proprio racconto, e non di arrecare un danno alla persona offesa, non potendosi dunque ritenere integrato il dolo specifico previsto dalla norma incriminatrice, in forza del quale e' necessario che il nocumento sia previsto e voluto dal soggetto agente come conseguenza della propria azione (Sez. 3, n. 40103 del 05/02/2015, Rv. 264798-01, Ciulla). Quanto al vizio di motivazione, la difesa censura la carenza, la contraddittorieta' e l'illogicita' dell'iter motivazionale seguito dal Collegio in ordine all'accertamento della responsabilita' penale dell'imputata per il reato di trattamento illecito dei dati. In primo luogo, il giudice di appello non motiva sul nocumento arrecato all'interessato, quale elemento costitutivo del reato, rispetto al quale la difesa evidenzia, tra l'altro, l'inidoneita' delle modalita' della condotta ad arrecare una lesione alla riservatezza, quale bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice. I dati personali, infatti, sarebbero stati diffusi in forma di racconto di fantasia, non potendo, dunque, i destinatari avere contezza della veridicita' di tali dati ne' avere interesse a verificarne l'attendibilita'. La motivazione sarebbe, altresi', carente ed illogica in ordine alla sussistenza dell'elemento psicologico, laddove si fa riferimento soltanto all'utilizzo di espressioni squalificanti al fine di ritenere integrato il dolo specifico previsto dalla norma incriminatrice. 2.2. Con il terzo ed ultimo motivo di ricorso, la difesa deduce il vizio di motivazione, di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), in relazione al reato di diffamazione, di cui all'articolo 595 c.p.. La motivazione addotta dal giudice di seconde cure in ordine all'accertamento della penale responsabilita' dell'imputata per il reato di diffamazione sarebbe carente ed illogica laddove non vengono individuate le affermazioni lesive della reputazione, dell'onore e del decoro della parte offesa ne' il motivo per cui le stesse siano da considerarsi tali. La motivazione sarebbe, invece, del tutto assente con riferimento all'elemento psicologico del reato. Anche il dolo generico, che si sostanzia nella consapevolezza e volonta' della condotta delittuosa, deve essere rigorosamente provato ed esaustivamente motivato. 3. Il Procuratore Generale ha chiesto l'inammissibilita' del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 4. Il ricorso che proviene dalla Settima sezione non essendo stata rilevata una causa di inammissibilita', e' fondato nei termini di cui in motivazione. La sentenza impugnata muove da un errore in diritto sull'individuazione degli elementi costitutivi del reato di cui al Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 167. L'articolo 167 del Decreto Legislativo n. 196 del 2003 (Codice privacy) e' stato modificato dal Decreto Legislativo 10 agosto 2018, n. 101, recante "Disposizioni per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonche' alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati)". La nuova disposizione di cui all'articolo 167 cosi' prevede: "1. Salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, chiunque, al fine di trarre per se' o per altri profitto ovvero di arrecare danno all'interessato, operando in violazione di quanto disposto dagli articoli 123, 126 e 130 o dal provvedimento di cui all'articolo 129 arreca nocumento all'interessato, e' punito con la reclusione da sei mesi a un anno e sei mesi. 2. Salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, chiunque, al fine di trarre per se' o per altri profitto ovvero di arrecare danno all'interessato, procedendo al trattamento dei dati personali di cui agli articoli 9 e 10 del Regolamento in violazione delle disposizioni di cui agli articoli 2-sexies e 2-octies;, o delle misure di garanzia di cui all'articolo 2-septies ovvero operando in violazione delle misure adottate ai sensi dell'articolo 2-quinquiesdecies arreca nocumento all'interessato, e' punito con la reclusione da uno a tre anni. 3. Salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, la pena di cui al comma 2 si applica altresi' a chiunque, al fine di trarre per se' o per altri profitto ovvero di arrecare danno all'interessato, procedendo al trasferimento dei dati personali verso un paese terzo o un'organizzazione internazionale al di fuori dei casi consentiti ai sensi degli articoli 45, 46 o 49 del Regolamento, arreca nocumento all'interessato". La previgente disposizione - per quanto qui rileva con riferimento al caso in esame - al comma 1 stabiliva: "1. Salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, chiunque, al fine di trarne per se' o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli articoli 18, 19, 23, 123, 126 e 130, ovvero in applicazione dell'articolo 129, e' punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione da sei a diciotto mesi o, se il fatto consiste nella comunicazione o diffusione, con la reclusione da sei a ventiquattro mesi". E, sempre con riferimento al caso in scrutinio, l'articolo 23, comma 1 disponeva che "il trattamento dei dati personali da parte di privati o di enti pubblici economici, e' ammesso solo con il consenso espresso dell'interessato". A seguito della modifica, la disposizione di cui all'articolo 167, comma 1 cit. non fa piu' riferimento al trattamento, introduce l'elemento del danno all'interessato, danno all'interessato che connota anche il dolo specifico. Cio' posto, occorre ricordare che, come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, nel reato di trattamento illecito di dati personali previsto dall'articolo 167 in esame, il nocumento e' costituito dal pregiudizio, anche di natura non patrimoniale, subito dalla persona cui si riferiscono i dati quale conseguenza dell'illecito trattamento (Sez. 3, n. 29549 del 07/02/2017, Rv. 270458 - 01). Il requisito del nocumento e', tuttora, richiesto, con l'ulteriore specificazione, rispetto al passato, che lo stesso deve essere arrecato all'interessato e costituisce elemento costitutivo del reato, conclusione cui era pervenuta la piu' recente giurisprudenza di legittimita' che aveva superato un risalente orientamento secondo cui il nocumento era condizione obiettiva di punibilita' anche se tale giurisprudenza aveva chiarito che l'omogeneita' del nocumento con l'interesse leso o concretamente messo in pericolo e la sua diretta derivazione causale dalla condotta tipica inducevano a qualificarlo non come elemento estraneo alla fattispecie criminosa, ma come elemento costitutivo della stessa. Riconosciutane, dunque, la natura di elemento costitutivo del reato, ad avviso della Corte, ai fini della punibilita' non e' sufficiente che il nocumento si ponga quale conseguenza non voluta, ancorche' prevista o prevedibile della condotta, essendo necessario che esso sia previsto e voluto dall'agente come conseguenza della propria azione o quanto meno previsto ed accettato in tutte quelle ipotesi in cui non si identifichi con il fine dell'azione stessa in quanto finalizzata, ad esempio, a trarre profitto dall'illecito trattamento dei dati (Sez. 3, n. 40103 del 05/02/2015, Ciulla, Rv. 264798 - 01). Nel caso in esame la sentenza impugnata, in continuita' con quella di primo grado, muove da un'errata qualificazione del "nocumento", quale condizione obbiettiva di punibilita', e pero' non contiene alcuna motivazione sulla sussistenza di tale elemento costitutivo del reato, essendosi limitata, a pag. 3, a valutare il profilo dell'intenzionalita' della condotta. Anche la motivazione in relazione alla sussistenza del reato di diffamazione non e' congrua non avendo la corte territoriale adeguatamente risposto alla censura difensiva. In presenza del rilevato vizio di motivazione la sentenza va annullata. L'annullamento va tuttavia disposto senza rinvio essendo nelle more del giudizio, maturata la prescrizione dei reati al 21/08/2022. La sentenza impugnata va, poi, annullata nella parte in cui ha condannato al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita (OMISSIS), con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali perche' i reati sono estinti per prescrizione. Annulla altresi' la sentenza impugnata agli effetti civili con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. TARDIO Angela - Presidente Dott. FIORDALISI Domenic - rel. Consigliere Dott. POSCIA Giorgio - Consigliere Dott. LANNA A.Valerio - Consigliere Dott. TOSCANI Eva - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 22/06/2022 del TRIB. SORVEGLIANZA di CATANIA; udita la relazione svolta dal Consigliere DOMENICO FIORDALISI; lette/sentito le conclusioni del PG. Il Procuratore generale, Ettore Pedi'cini, chiede dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. (OMISSIS), ricorre avverso l'ordinanza del 22 giugno 2022 del Tribunale di sorveglianza di Catania, che ha rigettato la richiesta di applicazione delle misure alternative alla detenzione dell'affidamento in prova (anche c.d. terapeutico), della detenzione domiciliare e della semiliberta', con riferimento alla pena di cui alla sentenza di condanna divenuta definitiva. 2. Il ricorrente articola due motivi di ricorso. 2.1. Con il primo motivo, denuncia inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullita', con riferimento all' articolo 51-ter Ord. pen., articolo 656, comma 10, artt.677 e 678 c.p.p., perche' il Tribunale di sorveglianza avrebbe erroneamente dichiarato non luogo a provvedere in merito alla richiesta di revoca della misura formulata dal Magistrato di sorveglianza. Il ricorrente, infatti, ritiene che il Tribunale di sorveglianza, ai sensi dell'articolo 51-ter Ord. pen., si comma 1, deve pronunciare sulla richiesta del Magistrato di sorveglianza anche nel caso in cui l'interessato si trovi sottoposto ai c.d. arresti domiciliari esecutivi di cui all'articolo 656, comma 10, c.p.p.. 2.2. Con il secondo motivo, denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli articoli 47, 47-bis, 47-ter, 48, 50 e 51-ter Ord. pen., e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, perche' I'UEPE, a differenza di quanto affermato nel provvedimento impugnato, aveva auspicato la concessione di una misura alternativa alla detenzione sul presupposto che (OMISSIS), avrebbe potuto proseguire il percorso riabilitativo presso il Ser.T. Il Tribunale di sorveglianza, inoltre, contrariamente a quanto chiarito dalla giurisprudenza di legittimita' in ordine ai presupposti necessari ai fini della revoca delle misure alternative alla detenzione (con particolare riferimento alla detenzione domiciliare), avrebbe omesso di accogliere l'istanza solo in forza delle condotte contestate e senza analizzare l'eventuale incompatibilita' tra queste e la prosecuzione della misura alternativa. Secondo il ricorrente, infine, il Tribunale di sorveglianza si sarebbe limitato a evidenziare i suoi precedenti penali e una sua presunta mancata collaborazione al controllo effettuato il 30 marzo 2022, omettendo del tutto di considerare quanto dedotto nella memoria difensiva ritualmente depositata. In particolare, il Tribunale di sorveglianza avrebbe omesso di considerare la tempestivita' di (OMISSIS), di provvedere a rimuovere le telecamere esterne all'abitazione il (OMISSIS), il fatto che il montaggio di tali telecamere fosse stato eseguito, per ragioni di sicurezza, in epoca precedente all'esecuzione della misura, il fatto che il soggetto presente il (OMISSIS), con probabili precedenti penali, era un meccanico, l'assenza di rilievi nell'esecuzione della misura e il percorso terapeutico compiuto positivamente. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' manifestamente infondato e come tale deve essere dichiarato inammissibile. 1.1. Il primo motivo di ricorso e' manifestamente infondato, perche' prospetta enunciati ermeneutici in palese contrasto con il dato normativo e con la consolidata giurisprudenza di legittimita'. Giova in diritto premettere che l'articolo 656 c.p.p. consente al condannato, che si trova sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari al momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna e deve scontare una pena non superiore a quelle indicate dal comma 5 (senza che ricorrano le situazioni di cui ai commi 7 e 9 dello stesso articolo), di beneficiare della sospensione dell'ordine di esecuzione. Prevedendo tale sospensione, il comma 10 dello stesso articolo chiarisce che il condannato, fino alla decisione del Tribunale di sorveglianza in ordine all'eventuale applicazione di una delle misure alternative, rimane nello stato detentivo in cui al momento si trova, ossia in una condizione da equiparare a quella della sottoposizione alla misura alternativa della detenzione domiciliare. Il medesimo comma 10, poi, affida al Magistrato di sorveglianza la competenza in ordine alla gestione della custodia domestica nel periodo di cui trattasi, secondo le attribuzioni che sono riconosciute dal richiamato articolo 47- ter Ord. pen.. Di conseguenza, il Magistrato di sorveglianza, una volta individuata una delle situazioni di incompatibilita' con la prosecuzione della misura indicate dal comma 6 del succitato articolo 47-ter, puo' disporre la sospensione cautelativa del regime domiciliare in corso, investendo poi il Tribunale di sorveglianza ai fini delle determinazioni ad esso attribuite dall'articolo 51-ter Ord. pen., da adottare, a pena di inefficacia di detta sospensione, entro trenta giorni dalla ricezione degli atti. Le decisioni che in tal modo intervengono non si sostanziano propriamente in una convalida del provvedimento interlocutorio emesso cautelativamente dal magistrato di sorveglianza, ma comportano un'ampia verifica in materia di prosecuzione, sostituzione o revoca della misura alternativa, con le conseguenti determinazioni incidenti sul regime dell'esecuzione della pena in corso. La giurisprudenza di questa Corte, infatti, ha gia' avuto modo di chiarire che, in caso di sospensione cautelativa dei c.d. "arresti domiciliari esecutivi" di cui all'articolo 656 c.p.p., comma 10, disposta dal magistrato di sorveglianza nella ricorrenza di una delle situazioni di incompatibilita' indicate dal comma 6 dell'articolo 47-ter Ord. pen., la successiva decisione che il Tribunale di sorveglianza e' chiamato ad adottare ai sensi dell'articolo 51-ter Ord. pen. non si sostanzia nella convalida, o meno, del provvedimento cautelativo, ne' nella conferma o revoca della misura alternativa della detenzione domiciliare, siccome non ancora disposta, ma in una compiuta verifica dei presupposti legittimanti l'ammissione del condannato alla stessa - in prospettiva della prosecuzione, sostituzione o revoca della restrizione domestica - anche, ma non solo, alla luce dei rilievi del magistrato di sorveglianza; conseguentemente, le valutazioni che il Tribunale e' chiamato, in tal sede, a compiere ben possono estendersi a specifiche condotte poste in essere durante il regime cautelativo, ma la relativa ordinanza deve render conto, attraverso adeguata motivazione, del significato concreto di dette condotte, considerate sia di per se stesse che alla stregua delle altre acquisizioni sui comportamenti precedenti e successivi del condannato, in rapporto alla sussistenza attuale delle condizioni richieste per la concessione della misura (Sez. 1, n. 3768 del 26/11/2019, dep. 2020, Americo, Rv. 278183). 1.2. Il secondo motivo di ricorso e' inammissibile. L'ordinanza impugnata ha fatto corretta applicazione al caso di specie del principio di diritto, affermato da questa Corte con riferimento all'affidamento in prova in casi particolari ma valido - stante l'identita' di ratio e di presupposti - per tutte le misure alternative alla detenzione in carcere previste dagli articoli 47 e segg. ord. pen., secondo cui, con tale istituto, l'ordinamento ha inteso attuare una forma dell'esecuzione della pena esterna al carcere nei confronti di condannati per i quali, alla luce dell'osservazione della personalita' e di altre acquisizioni ed elementi di conoscenza, sia possibile formulare una ragionevole prognosi di completo reinserimento sociale all'esito della misura alternativa. I criteri ed i mezzi di conoscenza utilizzabili da parte del Tribunale di sorveglianza per pervenire a tale positiva previsione sono indicati dalla dottrina e dalla giurisprudenza nel reato commesso, ineludibile punto di partenza, nei precedenti penali e nelle pendenze processuali (Sez. 1, n. 1812 del 04/03/1999, Danieli, Rv. 213062), nelle informazioni di polizia (Sez. 1, n. 1970 del 11/03/1997, Caputi, Rv. 207998), ma anche, ed in pari grado di rilievo prognostico, nella condotta detentiva e nei risultati dell'indagine socio-familiare operata dalle strutture di osservazione, posto che in queste ultime risultanze istruttorie si compendia una delle fondamentali finalita' della espiazione della sanzione penale, il cui rilievo costituzionale non puo' in questa sede rimanere nell'ombra. Nel caso di specie, infatti, nel ricorso non ci si confronta con il provvedimento impugnato, nella parte in cui il Tribunale di sorveglianza ha evidenziato che (OMISSIS) aveva posto in essere gravi condotte delittuose durante l'esecuzione degli arresti domiciliari. Dalle note dei Carabinieri agli atti, infatti, era emerso che (OMISSIS), nonostante i ripetuti inviti delle Forze dell'ordine, aveva mantenuto la disponibilita' di un sistema di videosorveglianza completo di telecamere applicate nella parete della facciata esterna della sua abitazione e di un telefono cellulare fungente da server, che gli consentiva di registrare la diretta delle immagini della strada di fronte al suo portone di ingresso, in violazione della legge sulla privacy. Lo stesso, inoltre, all'atto del controllo di polizia, aveva piu' volte ritardato l'ingresso degli operanti attraverso l'installazione di catene, lucchetti e sistemi di difesa passiva, che non permettevano di verificare nell'immediato il rispetto degli obblighi derivanti dagli arresti domiciliari esecutivi, e, in un caso, si era anche rifiutato di farsi controllare. Dall'ultima nota dei Carabinieri del 5 giugno 2022, inoltre, era emerso che il condannato era stato rinvenuto nel cortile interno della sua abitazione con un soggetto pregiudicato per violazione del Testo Unico di leggi sulle sostanze stupefacenti. Il Tribunale di sorveglianza, infine, ha evidenziato che, dalla relazione dell'UEPE del 6 giugno 2022, si evinceva che il condannato non aveva presentato prospettive lavorative. Il giudice di merito, pertanto, considerati anche i numerosi precedenti penali (anche in materia di detenzione di armi e di sostanze stupefacenti), fornendo sul punto ampia motivazione, in modo ineccepibile ha rigettato le richieste di applicazione delle misure alternative alla detenzione, posto che vi era un rischio di recidiva e che il reo doveva considerarsi socialmente pericoloso. 2. Ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonche' al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, equamente, in Euro 3.000,00, tenuto conto che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'" (Corte Cost. n. 186 del 13/06/2000). P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. TARDIO Angela - Presidente Dott. BIANCHI Michele - Consigliere Dott. CENTOFANTI Francesco - Consigliere Dott. APRILE Stefano - Consigliere Dott. MAGI Raffaello - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS) nato a (OMISSIS); (OMISSIS) nato a (OMISSIS); (OMISSIS) nato a (OMISSIS); (OMISSIS) nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 21/07/2021 della CORTE APPELLO di PALERMO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere RAFFAELLO MAGI; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUCA TAMPIERI, che conclude per la declaratoria d'inammissibilita' dei ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e per il rigetto del ricorso di (OMISSIS); uditi i difensori: l'avv. (OMISSIS) conclude insistendo per l'accoglimento dei motivi di ricorso; l'avv. (OMISSIS) si riporta ai motivi di ricorso chiedendone l'accoglimento; in subordine reitera la richiesta di rinvio depositata a mezzo pec in data 9/12/2022; l'avv. (OMISSIS), conclude riportandosi ai motivi di ricorso e ne chiede raccoglimento; in via subordinata chiede il rinvio, associandosi alla richiesta dell'avv. (OMISSIS); l'avv. (OMISSIS) conclude riportandosi ai motivi di ricorso; L'avv. (OMISSIS) conclude insistendo per l'accoglimento dei motivi di ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Nel giudizio di primo grado, a seguito di rito abbreviato, con sentenza resa in data 8 luglio 2019, il GUP presso il Tribunale di Palermo ha dichiarato (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) colpevoli dei reati loro rispettivamente ascritti, riqualificata la condotta contestata al (OMISSIS), ai sensi dell'articolo 416 bis c.p., comma 1, escluse le circostanze aggravanti dell'articolo 416 bis c.p., commi 4 e 6, esclusa per (OMISSIS) la condotta del (OMISSIS) Il giudice condannava cosi' (OMISSIS) alla pena finale di anni diciotto di reclusione, riconoscendo la recidiva e unificando sotto il vincolo della continuazione il reato di cui al presente procedimento con i delitti gia' giudicati con sentenze irrevocabili emesse dalla Corte di Appello di Palermo nel 2006 e nel 2019. Condannava (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) alla pena finale di anni tre anni di reclusione ciascuno. 1.1 Gli imputati sono stati tratti a giudizio per le seguenti imputazioni: - (OMISSIS) per il delitto di cui all'articolo 416 bis c.p., commi 2, 3, 4, 6, per aver diretto il mandamento mafioso di Sambuca di Sicilia, e, dunque, avvalendosi insieme ad altri associati della forza intimidatoria del vincolo associativo, per commettere delitti e per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o il controllo di attivita' economiche, autorizzazioni, concessioni ed altro; - (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) per il delitto di cui all' articolo 81 cpv. e articolo 378, commi 1 e 2,e con il riconoscimento della circostanza aggravante di cui all'articolo 416 bis.1 c.p., per aver, con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, consapevoli dell'appartenenza del (OMISSIS), all'associazione mafiosa "(OMISSIS)" e del suo ruolo di Capo del mandamento di (OMISSIS), aiutato il medesimo a eludere le investigazioni dell'autorita', salvaguardandone gli spostamenti e la comunicazione e allertandolo piu' volte della presenza di telecamere di sorveglianza e di forze di Polizia in borghese sul territorio. 2. Le valutazioni espresse dalla Corte di Appello. 2.1. (OMISSIS); Con l'atto di appello, la Difesa ha chiesto l'assoluzione del (OMISSIS) per assenza di prova delle condotte a lui contestate. La Corte d'Appello, sul punto, richiama la motivazione della sentenza di primo grado che si esprime efficacemente circa il fatto che a carico del (OMISSIS) pesa il dato della sua militanza mafiosa accertata in successione temporale con due diverse sentenze irrevocabili di condanna, una del 2006 e una del 2019, relative ai processi "Cupola" e "Nuova Cupola", nei quali il (OMISSIS) e' stato dichiarato organicamente inserito nella consorteria mafiosa con un ruolo apicale e direttivo. L'accertamento processuale successivo - in tale chiave - diventa piu' semplice, in quanto basta verificare, sulla base di indicatori sintomatici e significativi, che l'inserimento mafioso del (OMISSIS) sia perdurato anche nel periodo di interesse: questi elementi di persistenza e continuita' sono asseverati sulla scorta di tutti gli elementi indicati nella sentenza di primo grado. Elementi probatori decisivi posti alla base della sentenza di primo grado sono le dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS): su queste si incentra l'atto di appello, volto a censurarne il giudizio di attendibilita' a cui e' giunto il giudice di prime cure. In particolare, la difesa ha evidenziato le imprecisioni (soprattutto con riferimento a date e luoghi) e le contraddizioni emergenti nelle dichiarazioni suddette. La Corte d'Appello ha ritenuto opportuno disporre con ordinanza l'audizione del collaboratore per ottenere chiarimenti, anche per soddisfare la richiesta istruttoria del Procuratore Generale. Tale audizione ha confermato le difficolta' del (OMISSIS) nel collocare i fatti in una precisa data, difficolta' dovuta ad un deficit mnemonico, ma allo stesso tempo ha evidenziato che lo stesso (OMISSIS) aveva vissuto i fatti che ha confermato anche in udienza e che hanno caratterizzato la sua militanza mafiosa. Inoltre, i fatti dichiarati da (OMISSIS) possono essere messi in ordine secondo una sequenza storica certa e ordinata, cosi' da colmare il gap dell'esatta collocazione temporale. Elementi a sostegno della credibilita' e attendibilita' del collaboratore sono ricavabili anche da altre sentenze e in ogni caso e' da considerare che il (OMISSIS) e' stato partecipe di situazioni che confermano inequivocabilmente la sua trascorsa intraneita' nell'organizzazione mafiosa. Cosi', se le dichiarazioni del (OMISSIS) sono per certi versi poco precise, cio' non significa che la sua ricostruzione dei fatti sia compromessa perche' frutto di ricordi inattendibili o menzogneri. Con riferimento al racconto da parte di (OMISSIS) di quello che e' l'episodio centrale di questa vicenda, ovvero l'improvvisa visita del (OMISSIS), per discutere della presunta relazione extraconiugale del (OMISSIS) con la moglie di altro associato, la Corte ritiene che questa vicenda, seppur ritenuta dallo stesso (OMISSIS) come priva di rilevanza effettiva, assuma invece un valore centrale nella misura in cui si trattava di un argomento di stringente rilevanza strategico/mafiosa, tale da necessitare dell'intervento di un membro di vertice del calibro di (OMISSIS): questo argomento confermava cosi' la perdurante militanza mafiosa del (OMISSIS) con il medesimo ruolo direttivo attribuitogli in forza delle due sentenze irrevocabili sopra richiamate. La Corte di merito richiama, inoltre, una serie di vicende che dimostrano la perdurante militanza del (OMISSIS) nella compagine associativa, nonche' il ruolo di comando che continuava a ricoprire. Tra queste vi sono le intercettazioni delle conversazioni avvenute in auto tra (OMISSIS) e la sua compagna, della conversazione tra se' e se' dello stesso (OMISSIS), della conversazione intercorsa tra la (OMISSIS) e suo marito, tra il (OMISSIS) e la moglie, e tra la (OMISSIS) e il (OMISSIS), compiutamente riportate nel testo della decisione. Altri elementi da cui si prende atto della perdurante militanza del (OMISSIS) sono le particolari cautele adottate dal suddetto per eludere le investigazioni e per evitare di essere intercettato o pedinato dopo la sua ultima scarcerazione. Pare evidente lo scrupolo profuso dal (OMISSIS) e dei suoi favoreggiatori nell'eludere le indagini e consentire al (OMISSIS) di continuare la sua attivita' delittuosa nel territorio di interesse. Si ritengono invece prive di fondamento le osservazioni della difesa che vorrebbero ricondurre queste cautele nell'ambito dell'irrilevanza penale o nell'ambito dell'esigenza di tutela della privacy. Vengono altresi' ritenute prive di fondamento le letture "minimizzanti" con riferimento agli appuntamenti del (OMISSIS) caratterizzati da cautele esasperate. Inoltre, valide conferme possono trarsi anche dai fatti dei coimputati che rispondo del reato aggravato e continuato di favoreggiamento. Con riferimento poi alla vicenda avente ad oggetto la ristrutturazione di oltre 30 alloggi a (OMISSIS), molteplici sono gli elementi, riportati in sentenza, da cui si attesterebbe l'ingerenza del (OMISSIS) nel garantire la concessione di appalto al (OMISSIS). Dalle intercettazioni delle conversazioni intercorse tra (OMISSIS) e (OMISSIS) emerge poi che il (OMISSIS), il quale non avrebbe alcun titolo lecito per occuparsi di queste faccende essendo un soggetto pregiudicato per mafia, assumeva specifiche iniziative dirette a condizionare l'esito di tali vicende (relative all'assegnazione di appalti) e decretando chi dovesse lavorare e chi no. Inoltre, pare aver propiziato l'incontro tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS), in qualita' di responsabile del cantiere. Dalle intercettazioni emerge, quindi, il grado di intraneita' del (OMISSIS) nel sodalizio mafioso, nonche' il ruolo apicale mantenuto nell'organigramma. Dal complesso degli elementi probatori emerge l'attivismo del (OMISSIS) ed il suo ruolo a seguito della nomina di (OMISSIS) di Sicilia come "(OMISSIS)" e con riferimento alla realizzazione del c.d. paese albergo, vi sono dialoghi che non lasciano dubbi sull'ingerenza di questo esponente mafioso sulla societa' ar.l. " (OMISSIS)". Ulteriore vicenda e' quella relativa alle pressioni del (OMISSIS) sulle scelte aziendali della CCB, ditta specializzata in produzione di calcestruzzo. Nella sentenza di primo grado sono state esaminate intercettazioni e altri elementi probatori da cui emergeva che il (OMISSIS) era intervenuto affinche' la ditta acquistasse inerti dalla " (OMISSIS)", vicina al (OMISSIS) stesso, nonche' si adoperasse affinche' il trasporto venisse fatto avvalendosi dei mezzi di proprieta' del (OMISSIS). Agli stringati motivi proposti nell'atto di appello, la Corte, richiamando le intercettazioni e gli elementi probatori, afferma che la questione non puo' essere confinata nell'ambito dell'irrilevanza penale solo perche' sono mancate azioni violente o intimidatorie esplicite, dal momento che le condotte in questione assumono rilievo egualmente per asseverare il potere di ingerenza esercitato sistematicamente dal pregiudicato (OMISSIS) su queste dinamiche, accrescendo cosi' il suo potere mafioso e alterando gli equilibri del mercato locale. Tra le vicende che contribuiscono poi a delineare il "prestigio mafioso" del (OMISSIS), viene in rilievo l'episodio dell'agriturismo di (OMISSIS) (sintetizzato nella sentenza di primo grado), assunto come emblematico del ruolo del (OMISSIS) ‘nella sua posizione di "padre di paese", nonche' la capacita' di questi di comporre conflitti insorti in ordine a pretese economiche tra cittadini in specie nel territorio di (OMISSIS) di Sicilia, ruolo che rientra nelle prerogative di un capo mafia. La Corte, alla stregua delle considerazioni fin qui riassunte, disattendendo il principale motivo di gravame formulato nell'interesse del (OMISSIS), ritiene che debba essere confermata la colpevolezza in ordine al reato di cui al capo A, rammentando che, per le condanne irrevocabili gia' intervenute, e' sufficiente in questa sede una prova piu' contratta. La Corte motiva che la derubricazione operata dal giudice di primo grado non risulta dotata da convincente motivazione ed e' anzi contraddittoria e ritiene pertanto, di rimodulare l'imputazione ai sensi dell'articolo 416 bis c.p., comma 2, cosi' come originariamente contestato, accogliendo l'appello della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo. Con riferimento alla questione delle circostanze aggravanti di cui l'articolo 416 bis c.p., commi 4 e 6, proposta con i motivi di impugnazione della Procura Generale, deve innanzitutto essere superata l'eccezione della difesa secondo cui la scelta del rito abbreviato inibirebbe alla Pubblica accusa di impugnare per le aggravanti ai sensi dell'articolo 443 c.p.p., comma 3, tale infondatezza consegue a due considerazioni in punto di diritto avallate dalla Corte di Cassazione. La Corte d'Appello ritiene che sia ammissibile solo l'istanza riferita all'aggravante dell'associazione armata (comma 2, in relazione alla quale motiva che e' sufficiente che anche solo uno degli adepti abbia il possesso delle armi o delle materie esplodenti perche' l'aggravante si applichi nei confronti di tutti; carattere oggettivo giustificato anche dal fatto che apparirebbe non realistico concepire un associazione mafiosa non armata) e non anche quella diretta a riconoscere il controllo di attivita' economiche finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto o il profitto di delitti (comma 6, ritiene la corte non siano ravvisabili elementi capaci di condurre ad un simile risultato, anche perche' quell'iniziativa del (OMISSIS), di acquisire un'ingerenza occulta tramite la (OMISSIS), nel campo dei servizi funebri si e' arrestata a uno stato embrionale). Alla luce di cio', la Corte realizza una rivisitazione in peius del trattamento sanzionatorio per effetto della riqualificazione della condotta ascritta al (OMISSIS), ai sensi dell'articolo 416 bis e per il riconoscimento della circostanza aggravante di cui al comma 2 della medesima disposizione. In via subordinata l'appellante aveva chiesto il riconoscimento delle attenuanti generiche ex 62 bis c.p., ma per la Corte l'imputato non e' in alcun modo meritevole di tali attenuanti invocate in assenza di alcun elemento a tal fine concretamente valorizzabile ed in presenza degli indici complessivamente altamente negativi gia' scrutinati. Per quanto riguarda gli effetti sanzionatori conseguenti all'appello del PM ed al parziale accoglimento dei motivi d'impugnazione del PG, si ritiene congrua la pena finale di anni quattordici e mesi otto di reclusione che, tenuto conto della continuazione ex articolo 81 cpv. c.p. con le due precedenti sentenze irrevocabili, si attesta sul valore complessivo di anni diciannove e mesi quattro di reclusione. 3.2. (OMISSIS). La Corte d'Appello ha confermato, nei confronti di (OMISSIS), la condanna per l'imputazione di cui all'articolo 378 c.p., con l'aggravante di cui al Decreto Legge 152 del 1991, articolo 7 anche alla luce dell'emersione delle strette cointeressenze anche imprenditoriali di questi con il (OMISSIS). Con il primo motivo di appello si e' dedotta l'irrilevanza del dialogo contenuto nell'intercettazione del 7.7.2016 tra la (OMISSIS) e la moglie del (OMISSIS). Secondo la Corte, le osservazioni della Difesa sono irrilevanti, anche in considerazione dello stretto legame intercorrente tra i soggetti della conversazione e il (OMISSIS), nonche' in considerazione del fatto che la stessa (OMISSIS) e' coinvolta nell'attivita' di favoreggiamento in favore di (OMISSIS) (e questa familiarita' con lui semmai accresce il peso specifico delle confidenze). Inoltre, la Corte evidenzia che non e' scomponendo l'intercettazione nelle sue parti che si puo' ottenere l'assoluzione di (OMISSIS), anche in considerazione che dai dialoghi affiora l'esplicito accostamento del (OMISSIS) con la "mafia". Pertanto, gli argomenti della difesa non scalfiscono il contenuto delle intercettazioni suddette. Con il secondo motivo di appello, la difesa ha prospettato l'eccessivita' della pena invocando le circostanze attenuanti generiche e adducendo anche che il giudice di prime cure avrebbe omesso di considerare ai fini del trattamento sanzionatorio l'esclusione dell'episodio del (OMISSIS). Secondo la Corte di merito l'appellante tuttavia - non e' meritevole di riconoscimento delle attenuanti, in assenza di elementi favorevoli sul fatto o sulla personalita'. Riguardo al secondo aspetto, la Corte chiarisce che l'episodio in parola non e' stato considerato affatto ai fini del calcolo della pena, con cui si e' determinata una pena anche troppo contenuta in rapporto alla capacita' di delinquere dell'imputato. 3.3. (OMISSIS) Con riferimento alla (OMISSIS), secondo la Corte di Appello la difesa propone un'analisi della sentenza che opera uno svilimento dei dati ed una parcellizzazione delle prove, cosi' da decontestualizzare gli elementi a carico. Tale approccio esegetico non e' condivisibile, anche perche', soprattutto con riferimento al reato di favoreggiamento, soltanto una valutazione d'insieme puo' restituire l'esatto significato della condotta dei singoli e per comprendere quale sia stata la rete di protezione intessuta attorno a (OMISSIS) per sviare le indagini. Con riferimento quindi anche alla (OMISSIS), la Corte richiama le considerazioni svolte in riferimento a molti degli episodi nella parte concernente il (OMISSIS); cio' non solo per delineare lo spessore mafioso di quest'ultimo, ma anche per delineare i rapporti che esistevano tra questo e la (OMISSIS) (le aveva proposto di aprire un'agenzia di pompe funebri). Con riferimento all'episodio relativo all'intercettazione in cui la (OMISSIS) e il (OMISSIS) avrebbero avvertito il (OMISSIS) della presenza di telecamere, l'appellante ritiene che i dialoghi in parola sarebbero stati oggetto di un'evidente decontestualizzazione, riferendosi in realta' quei commenti alla violazione della normativa sulla privacy: l'infondatezza di tali osservazioni discende, per la Corte, non solo dalla lettura testuale dei dialoghi ma anche da un'interpretazione di buon senso. Esiti non dissimili sono raggiunti con riferimento all'episodio relativo all'intercettazione in cui la (OMISSIS) si rifiuta di far fare una telefonata dal suo telefono a (OMISSIS) dicendogli che era sotto controllo. Inoltre, la Corte afferma che la conferma della colpevolezza della (OMISSIS) non puo' che portare a disattendere nettamente anche la richiesta; di cui al secondo motivo di-14-icoTso di impugnazione, diretta all'esclusione della c.d. aggravante mafiosa. Il giudice di primo grado ha, a parere della Corte d'appello, adeguatamente spiegato, per la (OMISSIS) e per i correi-coimputati che rispondono di favoreggiamento personale, quali benefici ha ottenuto il (OMISSIS) da tali condotte: si e' in presenza di un favoreggiamento realizzato a tutto tondo e posto in essere dalla (OMISSIS) in sinergia con (OMISSIS). In appello con quest'aggravante e' stata ripristinata l'originaria qualificazione del reato di cui dell'articolo 416 bis c.p., comma 2, ascritto al (OMISSIS), a conferma del suo perdurante ruolo di vertice. La condotta della (OMISSIS), sotto questo profilo, ha non solo favorito questo esponente mafioso, ma gli ha anche consentito di mantenere il suo ruolo di comandoy, e anche percio' il suo apporto non puo' essere sminuito ad una sfera personale. Secondo la Corte di merito, va altresi' esseri disattesa la richiesta di cui al terzo motivo di appello tendente ad ottenere le circostanze attenuanti generiche, dopo aver ribadito le considerazioni sulla ratio di quest'attenuante e aver constatato la mancanza di elementi favorevoli di giudizio in suo favore. 3.4. (OMISSIS). La Corte afferma anche in questo caso la necessita' di valutare nel loro insieme le risultanze processuali, senza addivenire a decontestualizzazioni improprie o a frazionamenti delle risultanze probatorie. (OMISSIS) e' chiamato a rispondere di tre fatti sintomatici verificatisi in tre date diverse. - in primo luogo, come emerge da un'intercettazione di una conversazione telefonica, (OMISSIS) metteva concretamente a disposizione del (OMISSIS) un immobile dove in realta' risultava residente il fratello disabile. Nell'atto d'appello, la Difesa ne propone una lettura edulcorata, segnalando che tale appartamento non sarebbe stato messo a disposizione come luogo da destinare agli incontri riservati del (OMISSIS), ma si trattava solo di discussioni private prive di rilevanza pratica. Per la Corte, di contro, non si capirebbe invece perche' il (OMISSIS) avrebbe allora dovuto mettere a conoscenza il (OMISSIS) di questa vicenda, se non per favorirlo. Peraltro, anche se il (OMISSIS) non avesse effettivamente utilizzato tale alloggio, la condotta di favoreggiamento personale sarebbe comunque integrata gia' alla stregua della consapevolezza del (OMISSIS) di poter disporre di tale immobile per le sue attivita' delittuose; - in secondo luogo, la seconda condotta consiste nel fatto che il (OMISSIS) si adoperava per bonificare l'autovettura, che utilizzava e a bordo della quale accompagnava il (OMISSIS), da microspie. Nell'atto di appello si e' sostenuto che non ci sarebbe certezza dell'attivita' di bonifica, la quale sarebbe stata ipotizzata solamente in termini dubitativi dagli inquirenti. Tale argomento va disatteso, in quanto e' necessario cogliere un significato dal tenore complessivo dell'accertamento esperito, dal quale si ha conferma che e' stata svolta una vera e propria attivita' di bonifica. Insufficienti sono altresi' le giustificazioni fornite dalla Difesa, come ad esempio il richiamo al dialogo tra (OMISSIS) e il figlio; - la terza condotta di cui deve rispondere consiste nelle varie soste, accertate tramite servizi di pedinamento, che pare siano state fatte da (OMISSIS) accompagnato da (OMISSIS) in una zona costeggiante il (OMISSIS) e il bosco della (OMISSIS). La Corte, oltre a richiamare le argomentazioni del capitolo relativo a (OMISSIS), risponde alla argomentazione difensiva, secondo cui il (OMISSIS) avrebbe solamente svolto "servizio Taxi" senza partecipare alle conversazioni, che se avesse anche preso effettivamente parte alla conversazione o svolto un ruolo piu' incisivo, allora la qualificazione del fatto di reato sarebbe senz'altro piu' grave del reato di favoreggiamento personale ex 378 c.p., finendo per configurarsi una partecipazione al sodalizio mafioso o un concorso ex articolo 110 e articolo 416 bis c.p.. Con riferimento all'aggravante di cui al Decreto Legge 152 del 1991, articolo 7, di cui l'appellante chiede l'esclusione col secondo motivo di impugnazione, anche ai sensi dell'articolo 522 c.p.p. per mancata contestazione, valgono le considerazioni gia' esposte nel capitolo su (OMISSIS), con l'aggiunta che la difesa del (OMISSIS), non ha nemmeno articolato degli specifici rilievi, insistendo su una presunta mancata correlazione tra accusa e sentenza che non trova riscontro nei dati fattuali e nel percorso processuale seguito. Anche con riferimento al trattamento sanzionatorio e alla richiesta di applicazione delle circostanze attenuanti generiche, la Corte richiama quanto detto nei capitoli che precedono, in riferimento agli altri coimputati. 4. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione - a mezzo del difensore - (OMISSIS), deducendo i seguenti motivi: 4.1. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione di legge penale e vizio di motivazione, in relazione all' articolo 125 c.p.p., comma 3, art.192, articolo 546 comma 1, lettera e), con specifico riferimento all'articolo 416 bis c.p.. Il ricorrente censura l'assenza, o comunque l'illogicita', della motivazione con cui la Corte d'Appello giustifica la conferma dell'affermazione di responsabilita' del (OMISSIS) in relazione al delitto di cui all'articolo 416 bis c.p.. Il ricorrente era gia' stato condannato con sentenza della Corte d'Appello di Palermo, divenuta irrevocabile nel 2006, nell'ambito del processo c.d. "Cupola", nonche' con sentenza della Corte d'Appello medesima, irrevocabile nel 2019, al termine del processo c.d. "Nuova Cupola". Nell'ambito del presente procedimento, invece, la responsabilita' del (OMISSIS) si e' basata sulle dichiarazioni etero-accusatorie del collaboratore di giustizia (OMISSIS), nonche' sulle risultanze di alcune intercettazioni che avrebbero consentito di dimostrare il suo perdurante protagonismo mafioso. Con riferimento alla valutazione relativa alle dichiarazioni di (OMISSIS), il ricorrente lamenta che la sentenza sia incorsa in una erronea lettura dell'articolo 192 c.p.p., comma 3, in quanto la verifica dell'attendibilita' del dichiarante non puo' arrestarsi al mero controllo della sua affidabilita' soggettiva, ma deve estendersi alla ricerca di elementi di riscontro, i quali in questo caso, per il ricorrente, mancano del tutto. Inoltre, per ammissione della stessa Corte, non si dispone di alcun dato in grado di dar conto delle ragioni, del contenuto e delle finalita' dell'asserito incontro tra i due. Per altro, da un riportato stralcio dell'esame del (OMISSIS), emergerebbe che la conversazione tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS) avrebbe avuto ad oggetto solamente la domanda di quest'ultimo in merito alla relazione extraconiugale del (OMISSIS) con una certa donna: si censura, quindi,l'omessa illustrazione delle ragioni per le quali questo elemento, che la stessa sentenza qualifica come "una questione d'onore che rischiava di trascendere in modo violento", possa essere state ricondotto ad un contesto associativo di stampo mafioso, quando attiene invece ad un contesto del tutto avulso da logiche associative. Inoltre la Corte non avrebbe preso nella giusta e oggettiva considerazione diversi elementi emersi all'esito dell'audizione del (OMISSIS), o comunque li avrebbe disattesi senza aver adeguatamente motivato: in particolare, con riferimento alle lacunose e incerte risposte del teste, da cui si evincerebbe la fragilita' del racconto nonche' una molteplicita' di elementi a cui far riferimento per verificare l'attendibilita' e l'oggettiva bonta' di quelle dichiarazioni, la Corte avrebbe invece omesso di motivare sul punto: a) se per un verso, con riferimento agli incontri con un tale (OMISSIS), (OMISSIS) fornisce dichiarazioni molto precise e dettagliate, con riferimento alla dichiarazione dell'incontro con (OMISSIS), molteplici sono invece gli elementi incerti e imprecisi: difettano pero' elementi di riscontro per valutare l'attendibilita' di tali dichiarazioni, e inoltre resta comunque dubbia la veridicita' del fatto storico e la modalita' dell'avvenuto incontro; b) con riguardo alla datazione degli incontri tra (OMISSIS) e (OMISSIS), dalle dichiarazioni del teste emergono elementi contradditori tali da non far ritenere attendibili le sue dichiarazioni; c) con riguardo all'arco temporale in cui (OMISSIS) avrebbe svolto attivita' nell'ambito dell'associazione nella citta' di (OMISSIS), emerge ancora grande confusione e incertezza, peraltro non solamente con riferimento a date e periodi, ma anche con riguardo alla rappresentazione dei fatti medesimi. In particolare, l'asserito luogo dell'incontro non risulterebbe riscontrato da alcun altro elemento probatorio, cosi' come gli incontri che avrebbe avuto con (OMISSIS) in precedenza: pertanto, e' da ritenersi che gli elementi utilizzati dalla Corte per affermare la responsabilita' del (OMISSIS), ovvero i suoi precedenti penali e le dichiarazioni del (OMISSIS), risultano neutralizzati da molti elementi oggettivi e deduttivi offerti dalla difesa a riscontro delle incerte dichiarazioni rese dal (OMISSIS) che, se verificate e lette complessivamente e in termini oggettivi, avrebbero determinato la Corte ad attribuire valutazione diversa agli elementi acquisiti, sino a neutralizzare l'assunto accusatorio. Inoltre, la perdurante appartenenza mafiosa del (OMISSIS) e' stata ritenuta provata anche da ulteriori elementi indiziari, ovvero da una conversazione intercorsa tra (OMISSIS) e la sua compagna. In merito, la Difesa lamenta che anche in questo caso la Corte tace del tutto in merito alla sussistenza di elementi in grado di riscontrare quella che non puo' nemmeno chiamarsi una chiamata in correita' e/o una dichiarazione etero-accusatoria, non essendovi traccia in motivazione ne' della identita' della persona evocata, ne' del seguito effettivo di questo sfogo, non disponendosi di dati confermativi del fatto che un incontro su questo specifico tema sia effettivamente avvenuto tra (OMISSIS) e (OMISSIS), ne' delle iniziative assunte all'esito di questo incontro ai danni dell'ignota vittima. La medesima critica di neutralita' sul piano indiziario deve essere anche rivolta ad ulteriori elementi: la conversazione intercorsa tra la (OMISSIS) ed il marito, nell'autovettura della prima; la conversazione intercorsa tra (OMISSIS) e sua moglie, nell'autovettura in uso al primo; la conversazione intercorsa, nell'auto della (OMISSIS), tra quest'ultima e (OMISSIS); la circostanza rappresentata dall'incontro tra (OMISSIS) e il Dott. (OMISSIS), tra i quali vi sarebbero stati molteplici "abbracci qual segno di deferenza"; le presunte cautele impiegate da (OMISSIS) per sviare i temuti controlli investigativi, evitando di essere pedinato o intercettato dopo la sua ultima scarcerazione. Inoltre, la sentenza denota vizi di illogicita' anche con riferimento alla ricostruzione delle vicende dimostrative del preteso controllo delle attivita' economiche da parte del (OMISSIS). La Corte ha ritenuto che, pur in assenza di contestazioni di reati di scopo, sia stato provato l'esercizio da parte di (OMISSIS) di un potere penetrante e capillare in grado di condizionare la liberta' di iniziativa economica del territorio: conclusione desunta sulla base di una serie di vicende richiamate. Il vizio dedotto concerne la motivazione che, pur riconoscendo l'insussistenza di elementi dimostrativi di una qualsivoglia condotta delittuosa riferibile al ricorrente in merito a questa vicenda, ha tuttavia letto l'intero episodio come emblematico del prestigio mafioso del (OMISSIS), aderendo ancora una volta a una lettura solo formalistica del 416 bis c.p. e distonica rispetto alle recenti interpretazioni della Cassazione (si indica S.U. Modaffari n. 36958/2021), rimanendo del tutto silente sul ruolo che il (OMISSIS) avrebbe continuato a ricoprire all'interno della presunta associazione mafiosa, nonche' sul contributo che costui avrebbe fornito al rafforzamento delle capacita' organizzative dell'associazione. Inoltre, mancano la motivazione e i dati indiziari circa l'apprezzabile continuita' temporale della militanza associativa dell'esponente. Inoltre, il rapporto di appartenenza al sodalizio deve essere contrassegnato dalla concretezza dell'apporto del singolo e dalla sua riconoscibilita', "tale da far ritenere avvenuto il dato dell'inserimento attivo con carattere di stabilita' e consapevolezza oggettiva". In generale, con riferimento alle vicende indicate nel ricorso, le motivazioni si presentano sempre come congetturali e traggono conclusioni in riferimento all'appartenenza all'associazione da parte di (OMISSIS) basandosi su mere suggestioni investigative o elementi indiziari privi di riscontri. 4.2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione di legge penale e vizio di motivazione, in relazione all' articolo 125 c.p.p., comma 3, articolo 192 comma 3, articolo 546 comma 1, lettera e), con riferimento all'articolo 416 bis c.p., comma 2. La difesa deduce l'illogicita' della sentenza nella parte in cui, apoditticamente, accoglie l'atto di appello dell'Ufficio di Procura in punto di sussistenza dell'ipotesi di cui all'articolo 416 bis c.p., comma 2, riformando cosi' in peius la sentenza di primo grado. La motivazione risulta anche in questo caso sprovvista di elementi capaci di rappresentare i contenuti necessari a dimostrare la sussistenza della fattispecie di cui all'articolo 416 bis c.p., comma 2. 4.3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione di legge penale e vizio di motivazione, in relazione all' articolo 125 c.p.p., comma 3, articolo 192, articolo 546, comma 1, lettera e), con riferimento all'articolo 416 bis c.p., comma 4. Ulteriore doglianza si dirige alla sentenza nella parte in cui ravvisa, con motivazione inficiata da un'erronea interpretazione del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, l'aggravante di cui all'articolo 416-bis c.p., comma 4, relativa alla disponibilita' di armi da parte del sodalizio, esclusa in primo grado dal GUP. Si tratta, in tesi, di una motivazione apparente: posto che, a detta del ricorrente, non e' dato riscontrare alcun elemento che deponga nel senso della consapevolezza da parte di (OMISSIS), di una simile disponibilita' di armi da parte di altri presunti solidali. Le affermazioni sono anche contrastate dal contrapposto principio secondo il quale, ai fini della configurabilita' dell'aggravante in parola. "non e' sufficiente che uno degli associati disponga di un'arma, perche' le armi devono essere a disposizione dei compartecipi del gruppo". La sentenza non avrebbe fatto quindi buon governo di questi principi, commettendo un errore interpretativo evidente, ovvero aver identificato la prova dell'aggravante di cui all'articolo 416-bis c.p., comma 4, con quella del "metodo mafioso" di cui al comma 3 della medesima disposizione. Sul punto si rileva quindi un vuoto motivazionale che si e' tentato di colmare ricorrendo a mere suggestioni ricavate dalla storia criminale di "(OMISSIS)", come se l'aggravante non richiedesse alcuna autonoma dimostrazione ne' sul piano della sua esistenza oggettiva ne' su quello della sua ascrivibilita' soggettiva ai partecipanti. 4.4. Con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione di legge penale e vizio di motivazione, in relazione al riconoscimento della recidiva di cui all'articolo 99 c.p., comma 4. La Difesa sostiene che la sentenza e' viziata anche nella parte in cui ha confermato la sentenza di primo grado nella parte relativa all'applicazione della circostanza aggravante della recidiva reiterata, specifica e infraquinquiennale. La sentenza di Appello non avrebbe fatto corretta applicazione dei principi in tema di recidiva e avrebbe basato le sue conclusioni su un giudizio apodittico con cui si limitava a richiamare il capo di imputazione, cosi' che il capo di imputazione verrebbe a costituire prova auto evidente della meritevolezza dell'aggravante in esame. 4.4.1. La difesa ha presentato motivi aggiunti ex articolo 586 c.p.p., comma 4, col precipuo fine di argomentare quanto gia' affrontato nell'atto principale con il motivo n. 4 e, dunque, con riferimento al riconoscimento della continuazione tra i fatti oggetto del presente procedimento e quelli relativi a due sentenze passate in giudicato: piu' che al riconoscimento della continuazione tout court intesa, la difesa intende approfondire il computo della pena conseguente al suddetto riconoscimento previa esatta individuazione del reato piu' grave sul quale individuare la pena-base. Per il ricorrente si tratta di un computo errato in diritto in ordine a quello da ritenersi il reato piu' grave: la Corte ha ritenuto piu' grave il fatto del presente procedimento perche' mossa dall'assunto che questo andasse individuato con riferimento alla pena edittalmente prevista per lo stesso, mentre per il ricorrente la condotta di capo/promotore/organizzatore e' certamente ontologicamente piu' grave di quella di partecipe aggravato dalla sola recidiva. Per la Difesa, quindi, il reato piu' grave dovrebbe invece essere identificato in quello di cui alla sentenza n. 2, in ragione della concreta condotta allo stesso attribuita a prescindere dalla normativa in vigore e quindi della pena edittalmente prevista. Ritiene inoltre che il computo in parola debba avvenire R mezzo di calcolo in termini di pena edittale solo laddove non emerga chiaramente un rapporto di maggiore e minore gravita' tra i fatti, come avviene invece nel presente procedimento, risultando immediatamente la maggiore gravita' dei fatti di cui all'articolo 416-bis, comma 2, in luogo di quelli di cui al comma 1 della disposizione medesima. 4.5. Con il quinto motivo di ricorso si deduce violazione di legge penale e vizio di motivazione, in relazione ai criteri posti a fondamento del riconosciuto vincolo della continuazione ex articolo 81 c.p., comma 2. La difesa censura la sentenza nella parte in cui ha omesso di esporre le ragioni della quantificazione degli aumenti sanzionatori conseguenti al riconosciuto vincolo della continuazione tra il delitto per il quale qui si procede e quelli, omologhi quanto al nomen iuris, per i quali il (OMISSIS) e' gia' stato irrevocabilmente condannato. La Difesa richiama la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 47127 del 2021 nella parte in cui afferma che il giudice, ove riconosca la continuazione tra reati, nel determinare la pena complessiva, oltre a individuare il reato piu' grave e stabilire per questo la pena-base, deve anche calcolare e motivare l'aumento di pena in modo distinto per ognuno dei reati satellite, discendendone cosi' un obbligo di motivazione ‘rafforzato". A tali principi, sanciti da questa giurisprudenza, la Corte non si sarebbe conformata. 4.6. Con il sesto motivo di ricorso si deduce, in estremo subordine, violazione di legge penale e vizio di motivazione, in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche di cui all'articolo 62 -bis, nonche' alla determinazione del trattamento sanzionatorio ex articolo 133 c.p.. La difesa deduce che il duplice vizio di legge0i motivazione della sentenza e' dovuto al fatto che il diniego delle circostanze attenuanti generiche non puo' essere giustificato dall'astratta gravita' del reato, la quale e' gia' presa in considerazione dal legislatore nella determinazione della pena edittale. La soluzione in merito al trattamento sanzionatorio della sentenza frustra l'esigenza di modulare la dosimetria della pena in ragione delle peculiari caratteristiche della condotta associativa, alla luce della durata, dell'intensita' e della funzionalita' dell'apporto fornito al sodalizio: esigenza del tutto trascurata dalla sentenza, che si e' limitata a motivare in termini apodittici e sbrigativi. 5. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione - a mezzo del difensore - (OMISSIS), articolando i seguenti motivi. 5.1. Al primo motivo di ricorso si deduce violazione di legge penale e delle norme processuali stabilite a pena nullita', in relazione agli articoli 521 e 516 c.p.p. La difesa deduce la assenza di correlazione tra sentenza e descrizione del fatto nella imputazione, nonche' la nullita' per difetto di contestazione. La Corte di secondo grado avrebbe fondato il proprio convincimento anche su episodi non contestati e/o su fatti oggetto di nuove contestazioni, sicche' risulta evidente l'inosservanza e la violazione di legge, in particolare del sistema di cui al Capo IV del codice a proposito delle nuove contestazioni in fatto. La Corte di merito avrebbe infatti utilizzato argomenti estranei al thema decidendum sfruttati in malam partem per giustificare la condanna. 5.2. Al secondo motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione, anche in relazione all'articolo 533 c.p.p. per mancanza, illogicita' e contraddittorieta' della motivazione in ordine alla responsabilita' penale in ordine ai soli due episodi contestati (quello del (OMISSIS) concernente una conversazione tra la (OMISSIS) e la compagna del (OMISSIS) avente per oggetto il (OMISSIS) e quello del (OMISSIS) concernente una intercettazione ambientale di una conversazione tra il (OMISSIS) e la (OMISSIS))e per travisamento del fatto. In particolare, la difesa censura la sentenza impugnata per carenza e contraddittorieta' della motivazione in relazione ai due soli episodi oggetto dell'imputazione, sostenendo che la fattispecie delittuosa andava esclusa sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello soggettivo. Il giudice sarebbe incorso in un travisamento di fatti e si sarebbe limitata a richiamare la motivazione di primo grado senza tuttavia argomentare in modo autonomo rispetto alle censure contenute nell'atto di appello. 5.3. Al terzo motivo di ricorso si deduce violazione di legge penale e vizio di motivazione, in riferimento alla ritenuta aggravante di cui all'articolo 416-bis, l c.p.. Secondo il ricorrente la condanna sarebbe errata sia per difetto di correlazione tra accusa e sentenza, sia perche' non sono stati enucleati e debitamente provati gli elementi essenziali della circostanza in parola: la Corte, infatti, ha affermato, facendo un salto logico e sommando elementi di per se' insignificanti, che essendo gia' stato condannato il (OMISSIS) per associazione mafiosa, il (OMISSIS) avendolo aiutato a eludere le investigazioni avrebbe automaticamente voluto favorire tutta la associazione. Richiamando giurisprudenza di legittimita', si ritiene che per configurare l'aggravante in parola la condotta debba essere "caratterizzata dalla coscienza e volonta' di favorire unitamente ai singoli indagati, anche le rispettive cosche di appartenenza". Inoltre, dalle indagini, non emergerebbero altri soggetti a cui contestare il reato di cui al 416- bis, quando per la sussistenza di un'associazione sono necessari almeno tre soggetti, da cui una motivazione del tutto mancante, o comunque illogica e in violazione di legge. 5.4. Al quarto motivo di ricorso si deduce violazione di legge penale e vizio di motivazione, in riferimento alle circostanze attenuanti generiche e al trattamento sanzionatorio. Anche in questo caso la Corte si sarebbe limitata ad una motivazione apparente sui motivi di appello proposti, ignorando i dati positivi offerti dalla difesa. 6. Avverso detta sentenza ha proposto, altresi', ricorso per cassazione - a mezzo del difensore - (OMISSIS), tramite i seguenti motivi: 6.1. Al primo motivo di ricorso si deduce la nullita' della sentenza per vizio di motivazione in ordine all'articolo 192 c.p.p., per travisamento della prova, con particolare riferimento agli esiti dell'elaborato peritale eseguito sulle intercettazioni. La ricorrente evidenzia che l'impianto probatorio a sostegno della motivazione e' rappresentato esclusivamente dall'esito delle intercettazioni telefoniche ed ambientali. La perizia trascrittiva sarebbe, tuttavia, stata trascurata. Il giudice del gravame ha infatti omesso di approcciarsi in modo critico alle motivazioni della sentenza di primo grado, riportando stralci della motivazione della prima sentenza e riproponendo passaggi di intercettazioni il cui contenuto si e' rivelato, all'esito dell'elaborato peritale, difforme dai brogliacci formati in sede di indagine. La corte ha quindi completamente travisato e ignorato gli esiti difformi della perizia, riportando in sentenza le medesime intercettazioni superate dall'appendice istruttoria tenutasi nel corso del secondo grado. Nella parte della intercettazione in cui gli interlocutori si pongono l'interrogativo della destinazione delle telecamere, la Corte commette un macroscopico vizio di travisamento della prova, incorrendo in un vero e proprio errore di sintassi argomentativa ignorando genericamente quanto addotto dalla difesa: al tenore letterale dell'intercettazione in parola, la Corte antepone, erroneamente a detta del ricorrente, una presunzione priva di riscontro (riguardante la sicura conoscenza della (OMISSIS) dell'attivita' investigativa in corso diretta nella direzione del (OMISSIS)), destituendo di rilevanza il contenuto stesso dell'accertamento peritale. Altro errore macroscopico si ravvisa, secondo la difesa, nella parte in cui, con riferimento all'episodio del 22.6.2017 (in cui la (OMISSIS), avrebbe detto a ‘lui' ( (OMISSIS)) "vedi... le telecamere", nel passaggio del brogliaccio relativo all'intercettazione in cui le parti parlano in riferimento ad un soggetto terzo che era stato informato di alcuni fatti, pur avendo affermato il perito che questo soggetto non fosse il (OMISSIS), ma il marito della (OMISSIS)"a Corte non considera il suddetto approdo peritale ma afferma che le parti si riferissero al (OMISSIS) stesso. Peraltro, il fatto che il soggetto cui si fa riferimento nella conversazione fosse il marito della (OMISSIS) e' un elemento di cruciale importanza, in quanto chiarirebbe che la (OMISSIS), non ha mai riferito al (OMISSIS) delle telecamere, e non vi sarebbe pertanto alcun favoreggiamento. Inoltre, nella conversazione si fa riferimento ad un certo Leonardo, che si ritiene essere il figlio di (OMISSIS), ma da questo la Corte fa discendere un senso diametralmente opposto a quello reale e sfavorevole alla (OMISSIS). Il travisamento della prova si fonda, dunque sulla parte di motivazione in cui la Corte trascura in maniera miope le risultanze dell'istruttoria dibattimentale, nella specie l'esito dell'elaborato peritale, formulando piuttosto una tesi alternativa, priva di senso logico e totalmente spuria rispetto allo stesso elaborato peritale. Con riferimento ad un altro episodio, verificatosi il 28.11.2017 (riguardante quanto appreso dagli inquirenti da un'intercettazione ambientale di una conversazione intercorsa tra la (OMISSIS) e (OMISSIS), e nella quale la (OMISSIS) si era rifiutata di far fare al (OMISSIS), una telefonata col suo telefono affermando che il suo telefono fosse sotto controllo per una non meglio specificata situazione). La difesa, al fine di contraddire l'assunto accusatorio, ha chiesto e ottenuto la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale al fine di acquisire il fascicolo delle indagini che aveva visto la (OMISSIS), imputata del reato di cui all'articolo 612-bis c.p. Tale richiesta era volta a evidenziare come la conversazione qui contestata fosse in realta' solamente un tentativo della (OMISSIS) di non compromettere la propria figura, stante la conoscenza della stessa di indagini a proprio carico. Anche in questo caso, secondo il ricorrente, la Corte ha travisato la prova e ne ha svalutato la capacita' dimostrativa, affermando che l'argomento difensivo "e' privo di rilevanza". La Corte ha cosi' travisato quanto emerso dall'acquisizione del fascicolo relativo alle indagini, il quale, secondo il ricorrente, avrebbe invece dimostrato che quanto detto dalla (OMISSIS), avrebbe avuto il solo obiettivo di tutelare la stessa da eventuali circostanze anomale che una simile chiamata telefonica avrebbe potuto determinare. Peraltro, sempre sul punto, la Corte motiva in modo contraddittorio, dando una duplice lettura del dato probatorio (il Giudice evidenzia prima che l'opposizione alla chiamata della (OMISSIS) era stata determinata dalla volonta' di evitare ogni coinvolgimento dell'imputato nelle investigazioni e poi che il motivo di tale rifiuto era invece legato al non voler essere pregiudicata dai contatti con l'imputato), ma valorizzando solamente quella affine all'assunto accusatorio e viceversa non valorizzando la lettura alternativa. 6.2. Al secondo motivo di ricorso si deduce violazione di legge penale e mancanza di motivazione. La violazione di legge e' lamentata con riferimento ad un terzo episodio, risalente al (OMISSIS), consistente in una conversazione captata a bordo dell'autovettura della (OMISSIS). Tale conversazione e' stata posta a fondamento dell'impianto accusatorio e ritenuta di particolare rilevanza in quanto idonea a integrare gli estremi del delitto contestato. Si assiste anche qui a un travisamento della prova con particolare riferimento agli esiti dell'elaborato peritale, laddove il Giudice riporta acriticamente gli estremi della motivazione della sentenza di primo grado, trascurando di riportare il contenuto integrale della conversazione e omettendo di contestualizzare quanto emerso nel corso dell'appendice istruttoria di secondo grado. Alcune delle frasi riprese, infatti, sono, a parere della difesa, state totalmente disancorate dalla intercettazione integrale facendole assumere un significato negativo e impedendo di apprezzarne il senso letterale. Dallo stralcio di conversazione riportato emergerebbe un riferimento delle parti a (OMISSIS). Se si riporta. invece anche la porzione di intercettazione precedente e' possibile apprezzare il senso reale della conversazione, ovvero il riferimento delle parti ad un politico locale. La Corte incorre in un errore macroscopico di valutazione della prova travisandone completamente il contenuto e collocandolo a pieno titolo nell'alveo del reato contestato. Ma la motivazione appare viziata laddove il Giudice, oltre ad incorrere in un'erronea valutazione delle prove, pone a fondamento della contestazione non dati oggettivi, bensi' un presunto "senso di frustrazione" percepito nelle parole della (OMISSIS), che dovrebbe divenire elemento oggettivo e soggettivo di riscontro del reato contestato, in quanto dimostrazione di consapevolezza (quando invece non identifica un elemento tipico del delitto di favoreggiamento). Inoltre, la Corte non avrebbe chiarito in cosa consisterebbe la condotta di favoreggiamento. Secondo la difesa, nel caso in parola difettano, in maniera macroscopica, tutti gli elementi richiesti dall'articolo 378 c.p., ovvero la consapevolezza che un delitto e' stato realizzato, la condotta diretta consapevolmente ad aiutare taluno ad eludere la sorveglianza e la consapevolezza della direzione delle indagini nei confronti del soggetto da favorire: cio', in primo luogo, perche' la conoscenza del reato nel caso di specie non puo' farsi discendere dalla mera pregressa conoscenza tra le parti; in secondo luogo perche', oltre ad escludersi la capacita' dell'episodio di favorire qualcuno anche astrattamente, difetta altresi' di altra funzionalita' alla realizzazione di qualsiasi condotta favoreggiatrice. 6.3. Al terzo motivo di ricorso si deduce erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in riferimento al trattamento sanzionatorio. In proposito si afferma che la Corte di Appello ha confermato la sentenza di primo grado nella parte in cui e' stata negata alla (OMISSIS), la concessione delle circostanze attenuanti generiche con macroscopico errore di giudizio, con riferimento alla valutazione dei presupposti che il decidente deve valutare ai fini della concessione del beneficio invocato. In particolare, l'incensuratezza costituisce uno dei presupposti sulla base del quale, secondo la giurisprudenza della Cassazione, e' possibile fondare la concessione delle attenuanti generiche. Invece, la Corte lo ha addirittura valutato come elemento di segno contrario imprescindibile per la realizzazione del fatto contestato. Tale argomentazione appare, quindi, errata oltre che priva di ancoraggio normativo, riscontrandosi da sempre nella giurisprudenza di legittimita' una valorizzazione in senso positivo di questo elemento e non riscontrandosi invece significative valorizzazioni nel senso opposto. Il Giudice avrebbe quindi irragionevolmente fondato il diniego delle circostanze attenuanti generiche. 7. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione - a mezzo del difensore - (OMISSIS), deducendo i seguenti motivi: 7.1. Al primo motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione, con riferimento al mancato apprezzamento di argomentazioni difensive. Dal capo d) dell'imputazione si evince che la condotta di favoreggiamento del (OMISSIS) poggerebbe su tre soli indizi, in quanto l'imputato avrebbe, in tre giorni distanti l'uno dall'altro, messo a disposizione del (OMISSIS) un immobile intestato al fratello disabile da destinare a incontri riservati, bonificato l'autovettura usata per accompagnare il (OMISSIS), offerto copertura al (OMISSIS) prima, durante e dopo un incontro riservato avvenuto in localita' (OMISSIS). Su questi tre punti la Corte si e' limitata a riportare testualmente la sentenza del GUP, omettendone una lettura autonoma e disattendendo i rilievi dell'imputato, mentre su altre argomentazioni decisive mancherebbe del tutto la motivazione. 7.2. Al secondo motivo di ricorso deduce inosservanza di norma processuale stabilita a pena di nullita', in relazione etc), alla mancata correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza e alla nullita' per difetto di contestazione, con riferimento all' articolo 516 c.p.p., e ss.. Il ricorrente contesta in primo luogo quanto detto dalla Corte di secondo grado in merito alla necessita' di valutare nel loro insieme le risultanze processuali del giudizio di appello senza addivenire a frazionamenti o decontestualizzazioni improprie delle risultanze probatorie: secondo la difesa, tale conclusione sarebbe priva di logicita' in quanto ogni coimputato dovrebbe rispondere per il solo fatto proprio. La Corte nella motivazione ha, in questo quadro, enfatizzato uno sfogo del (OMISSIS), avvenuto il (OMISSIS), in cui il (OMISSIS) parlando da solo avrebbe simulato una richiesta al (OMISSIS) poi in realta' mai rivolta a quest'ultimo: il richiamo a questo sfogo in sentenza per motivare la affermazione di responsabilita' non e', secondo la difesa, pertinente, anche perche' non corroborato dalle indagini posteriori. Altrettanto si sostiene in riferimento al riportato sfogo del (OMISSIS), con la sua compagna, il cui apprezzamento da parte della Corte e' ritenuto dalla Difesa del tutto illogico e in violazione di legge, oltre che estraneo al thema decidendum. Inoltre, con riferimento al ruolo di autista del (OMISSIS) ricoperto dal (OMISSIS) in piu' occasioni, la Corte avrebbe travisato i fatti, in quanto il (OMISSIS), lo avrebbe accompagnato nelle tre occasioni contestate, alla luce del sole, come se fosse un taxista. 7.3. Al terzo motivo di ricorso deduce violazione di legge e vizio di motivazione sempre in punto di responsabilita'. Con riferimento al primo addebito, relativo alla messa a disposizione del (OMISSIS) dell'alloggio del fratello di (OMISSIS), il ricorrente confida in un controllo di legittimita' sulle argomentazioni riportate in sentenza, ritenendo che le chiacchiere di un bracciante non possono assurgere a prova di un reato grave come quello in parola. Le motivazioni addotte dalla Corte d'Appello costituiscono per il ricorrente delle mere ipotesi che, seppur emerse da alcune conversazioni, non si sono effettivamente mai verificate. Con riferimento al secondo addebito, relativo alla bonifica dell'autovettura utilizzata per accompagnare il (OMISSIS), si rileva un primo evidente errore allorche' si afferma che il (OMISSIS) si recava a (OMISSIS), in compagnia del (OMISSIS), per bonificare l'autovettura, quando in realta' pare chiarito dal processo e dalla stessa sentenza che l'assunto non sia vero, e sia stato travisato dalla Corte. Quindi, con una serie di motivazioni la Corte afferma che la bonifica vi sia stata, mentre a detta del ricorrente non e' cosi': pertanto quest'ultimo chiede un controllo di legittimita' per sgomberare il campo da una accusa del tutto priva di fondamento. Con riferimento al terzo addebito, ovvero la "copertura" nella contrada di (OMISSIS), il (OMISSIS), avrebbe ricoperto il ruolo di mero autista, senza offrire copertura al (OMISSIS). Inoltre, si ricavano dati a discolpa del (OMISSIS), anche dal successivo e sincero colloquio intervenuto tra questi e suo figlio: in primo luogo si ricava che quanto emerso dal dialogo tra il (OMISSIS) e la compagnia non e' frutto di conoscenze riservate ai favoreggiatori, bensi' frutto di notizie e letture note a qualunque cittadino del luogo; in secondo luogo, pare che nell'accompagnarlo, il conduttore non sia venuto a sapere nulla ne' prima ne' dopo l'incontro. Manca quindi, o comunque e' illogica, la motivazione, e anche tale addebito non sarebbe attribuibile al (OMISSIS). 7.4. Al quarto motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione in riferimento ai paragrafi IV, V e VI del primo motivo di appello. Nei detti paragrafi dell'atto di appello erano state dedotte altre ragioni per escludere la sussistenza del reato in parola. Rispettivamente: la non continuita' e attualita' della condotta, la mancanza di indizi gravi precisi e concordanti, le conclusioni sull'incertezza della prova. 7.5. Al quinto motivo di ricorso si deduce violazione di legge penale e vizio di motivazione, in relazione all'articolo 416-bis c.p., in ordine all'esclusione della contestata aggravante. Per confermare la sussistenza dell'aggravante, la Corte ha puntato sul dialogo tra (OMISSIS) e la compagna, nel corso del quale il ricorrente avrebbe accennato ad un asserito ruolo del (OMISSIS), che in realta' non e' sussistente. La Corte non avrebbe pero' fornito risposta all'interrogativo se l'autista (OMISSIS), avesse svolto un ruolo in favore del passeggero ovvero nell'interesse della presunta associazione. Peraltro, lo stesso giudice di prime cure si era accorto della "assenza di specifica contestazione in tal senso", ma aveva comunque ritenuto di applicare l'aggravante. La condanna e' da ritenersi pertanto errata sia per mancata correlazione tra accusa e sentenza, sia perche' non sono stati enucleati e debitamente provati gli elementi essenziali. Occorrerebbe la prova certa di una condotta materiale in favore dell'intera associazione e non soltanto di un associato, oltre alla necessaria coscienza e volonta' di favorire l'associazione "(OMISSIS)", mentre sul punto una motivazione e' del tutto mancante, o comunque illogica. 7.6. Al sesto motivo di ricorso si deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al trattamento sanzionatorio. Il ricorrente afferma che la Corte non ha sostanzialmente risposto e motivato in ordine alle doglianze mosse con i motivi di appello. La difesa, infine, fa riferimento anche al fatto che il ricorrente, nelle more del primo e del secondo grado, e' stato anche sottoposto agli arresti domiciliari e poi scarcerato, e ha sempre mantenuto un comportamento ineccepibile durante il corso del procedimento, motivo per cui ritiene giusto, vista anche la sua posizione del tutto secondaria nel processo in corso, che si limiti a scontare un residuo di pena. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso proposto da (OMISSIS) e' infondato, per le ragioni che seguono. 2. Il primo motivo articola doglianze in punto di responsabilita' e va letto unitamente al secondo, che si dirige alla qualificazione giuridica. 2.1 Va premessa la illustrazione di alcuni principi di diritto in punto di vizio di motivazione, specie li' dove la critica si presenti - come nel caso in esame - diretta a neutralizzare la valenza argomentativa dei singoli elementi di prova. Il sistema processuale vigente offre una doppia fase di giudizio di merito intendendosi per tale quello idoneo ad operare la compiuta ricostruzione del fatto oggetto di giudizio - cui segue una fase di controllo il cui oggetto, perimetrato dai motivi legali di ricorso, consiste essenzialmente nella verifica della correttezza della decisione in diritto (corretta applicazione delle norme di diritto sostanziale, esistenza o meno di violazioni procedurali tali da importare nullita' o altra sanzione processuale non sanata) e nel controllo non gia' del ‘fatto' quanto della motivazione espressa a sostegno della sua ricostruzione (secondo i tradizionali canoni della assenza, manifesta illogicita' o contraddittorieta'). Si suole affermare che il giudizio di legittimita', pertanto, non si costruisce sull'esame delle possibilita' rappresentative - anche plausibili - del fatto, ma sulla opzione del fatto come recepita dal giudice di merito, nel senso che il controllo sulla corretta applicazione dei canoni logici e normativi che presidiano l'attribuzione del fatto all'imputato passa necessariamente attraverso l'analisi dello sviluppo motivazionale della decisione impugnata e della sua interna coerenza logico-giuridica, non essendo possibile compiere in sede di legittimita' "nuove" attribuzioni di significato o realizzare una diversa lettura dei medesimi dati dimostrativi e cio' anche nei casi in cui si ritenga preferibile una diversa lettura, maggiormente esplicativa, e sempre che non sia rilevabile un vizio tale da comportare l'annullamento (si veda, ex multis, Sez. VI n. 11194 del 8.3.2012, Lupo, Rv 252178). Non puo', dunque, prescindersi da un dato di fondo: la decisione di merito tende a porsi necessariamente come una adeguata e razionale sintesi dei temi dimostrativi emersi nel processo, attraverso un tentativo di organica reductio ad unum degli argomenti trattati sul quesito iniziale posto dalla formulazione della imputazione. In tale sua dimensione finalistica, se e' vero che sussiste l'obbligo normativo di esplicitare - in un modello dialettico - non soltanto le ragioni (e le prove) che sostengono la decisione presa ma anche quelle da cui e' stata dedotta la inattendibilita' delle ‘prove contrarie' (articolo 546 c.p.p., comma 1 lettera e), cio' non si traduce in un dovere di confutazione espressa - da parte del giudice di merito della valenza potenzialmente antagonista di ogni singolo elemento acquisito al processo, potendo emergere, nell'ambito della necessaria sintesi di cui sopra, la linea interpretativa della decisione tramite la valorizzazione di dati dal chiaro contenuto di asseverazione della opzione prescelta, il che consente di ritenere (anche in modo implicito) disattese argomentazioni diverse. Come e' stato efficacemente affermato gia' da Sez. V, n. 8411 del 21.5.1992 (rv 191487), il vizio di motivazione non puo', pertanto, essere ravvisato sulla base di una critica frammentaria dei singoli punti di essa; la sentenza, infatti, costituisce un tutto coerente ed organico, onde, ai fini del controllo critico sulla sussistenza di una valida motivazione, ogni punto di essa non puo' essere preso a se', ma va posto in relazione agli altri. 2.2 La premessa di cui sopra risulta necessaria proprio in ragione della tecnica di redazione del ricorso, che tende a ‘scomporre' la valenza indiziante dei singoli elementi di prova a carico del (OMISSIS), elementi che - seppur eterogenei - vanno sempre letti in modo congiunto e non atomistico. Con cio' si intende dire: a) che correttamente, in diritto, la decisione di secondo grado, a fronte di un duplice giudicato di condanna per il delitto di associazione mafiosa (con ruolo direttivo accertato sino al 2013) ha ritenuto di non poter prescindere, nell'esame dei dati probatori, da simili esiti (rilevanti ai sensi dell'articolo 238-bis c.p.p.), sicche' il tema di prova e' rappresentato dalla "continuita'" di un ruolo gia' ricoperto in passato dal (OMISSIS). Cio' se da un lato non comporta attenuazioni della presunzione di non colpevolezza (sul punto si concorda con il ricorrente), dall'altro consente di attribuire agli elementi di prova raccolti nel processo una eventuale valenza ‘sintomatica' della ri-assunzione (dopo il periodo di detenzione) di ‘quel'ruolo gia' ricoperto in precedenza dal (OMISSIS) medesimo; b) che correttamente, in diritto, la decisione di secondo grado ha posto in correlazione tra loro elementi di prova tratti da fonti diverse (dichiarazioni, captazioni di conversazioni, comportamenti), ma tutti ‘indicativi', in modo univoco, della perdurante influenza del (OMISSIS) sulle dinamiche relazionali ed economiche del territorio agrigentino in cui era rientrato ad abitare dopo la scarcerazione del (OMISSIS). Cio' perche' la dimostrazione del ruolo associativo in ambito mafioso (una volta accertata con precedenti giudicati la ricorrenza della compagine associativa in quanto tale, tema non oggetto di specifica doglianza difensiva) ben puo' derivare dall'analisi congiunta di singoli "segmenti fattuali" li' dove si tratti di episodi storici capaci di illustrare in concreto la capacita' del soggetto in questione di recare un apporto al sodalizio o, comunque, espressivi di un ruolo dirigenziale (si veda, in proposito, la consolidata affermazione secondo cui la prova di condotte partecipative o direttive ben puo' derivare da ‘indicatori logici', risalente a Sez. U Mannino del 2005). 2.3 In simile quadro, la fondatezza della doglianza difensiva, sia sulla responsabilita' che sulla qualificazione del ruolo direttivo del (OMISSIS), (secondo motivo), potrebbe essere affermata solo nel caso in cui le "circostanze fattuali" censite in sede di merito e ritenute indicative della "perduranza del ruolo",fossero, in realta', non dotate di alcuna attitudine indicativa, con scorretta attribuzione della valenza rappresentativa, sul piano della logica inferenziale. Ma cosi' non e', sia in riferimento ai singoli dati dimostrativi che in rapporto alla loro valutazione congiunta. In particolare: a) l'apporto dichiarativo reso dal (OMISSIS) e' stato sottoposto ad accurato vaglio critico da parte della Corte di Appello (che ha confermato i profili di attendibilita' intrinseca) ed e', sul piano logico, risultato idoneo ad offrire (anche in rapporto al periodo posteriore alla scarcerazione del (OMISSIS)) uno dei ‘segmenti fattuali' che concorrono a integrare la materialita' della condotta, rappresentato dall'interessamento del (OMISSIS) circa l'esistenza o meno della relazione sentimentale tra il (OMISSIS) e la moglie di altro affiliato. Si tratta di un elemento che correttamente, sul piano delle massime di esperienza relative al fenomeno mafioso, e' stato ritenuto significativo. Cio' perche' il sospetto circa l'esistenza della relazione creava attriti interni alla organizzazione (v. pag. 22 e ss. della sentenza impugnata) che solo un soggetto ‘di vertice' era legittimato a comporre; b) l'episodio in questione va letto congiuntamente agli altri elementi acquisiti che - contrariamente a quanto prospettato dalla difesa del ricorrente - offrono riscontro logico al ‘rinnovato attivismo mafioso' del (OMISSIS). Ci si riferisce, in particolare, alla captazione intervenuta in data 11 novembre 2018 tra (OMISSIS) Vito(OMISSIS)9Guarneri Antonina (durante la quale il (OMISSIS) indica il (OMISSIS) come capo di tutta la provincia di Agrigento), alla analoga considerazione del ruolo di vertice del (OMISSIS) espressa da 3SALVATO MARIA, in altra conversazione captata (in data (OMISSIS)), alla stessa realizzazione della "rete di protezione" che consentiva al (OMISSIS) di monitorare il territorio e spostarsi senza essere fermato dalle forze dell'ordine (si veda l'episodio del 1 marzo 2018 con acquisto del rilevatore di microspie), alla accertata influenza del (OMISSIS) sulla esecuzione di opere edilizie (episodi dell'interessamento in favore del 2TABONE (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)1SUTERA (OMISSIS) (OMISSIS)1SUTERA (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)1SUTERA (OMISSIS) (OMISSIS)2TABONE GIUSEPPE (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)2TABONE (OMISSIS)1SUTERA (OMISSIS)10Rizzuto Calogero (OMISSIS)2TABONE (OMISSIS)1SUTERA (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)3SALVATO MARIA (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)3SALVATO (OMISSIS)2TABONE (OMISSIS)1SUTERA (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)1SUTERA (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)4VACCARO Vito (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)1SUTERA (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)4VACCARO (OMISSIS) (OMISSIS)4VACCARO (OMISSIS)1SUTERA (OMISSIS)1SUTERA (OMISSIS)4VACCARO (OMISSIS)1SUTERA (OMISSIS) (OMISSIS)4VACCARO (OMISSIS) (OMISSIS)4VACCARO (OMISSIS)1SUTERA (OMISSIS) (OMISSIS)1SUTERA (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)1SUTERA LEO (OMISSIS) (OMISSIS)2TABONE GIUSEPPE (OMISSIS)3SALVATO MARIA(OMISSIS)4VACCARO Vito (OMISSIS)

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GUARDIANO Alfredo - Presidente Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere Dott. SESSA Renata - Consigliere Dott. PILLA Egle - Consigliere Dott. BIFULCO Daniela - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sui ricorsi proposti da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 27/04/2022 della CORTE APPELLO di MILANO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere BIFULCO DANIELA; lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, Dott. Serrao d'Aquino Pasquale, il quale ha chiesto pronunciarsi il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza indicata in epigrafe, la Corte appello Milano, in parziale riforma del provvedimento di primo grado con cui (OMISSIS) e (OMISSIS) erano stati condannati per il delitto di rapina aggravata, ha derubricato il delitto in quello di violenza privata aggravata ai sensi dell'articolo 610, c.p., comma 2, rideterminando la pena in mesi otto di reclusione ciascuno. 2. Avverso la sentenza, hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, per il tramite del proprio difensore, Avv. (OMISSIS), affidando le proprie censure ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall'articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. Con il primo motivo, si deduce vizio di motivazione in relazione alla ricostruzione della vicenda, per avere la Corte territoriale acriticamente recepito il narrato della persona offesa, Tropea, che avrebbe tentato di aggravare i fatti avendo un interesse economico nella vicenda, senza considerare con altrettanta cura altre dichiarazioni acquisite agli atti, il cui contenuto si porrebbe in contrasto con le dichiarazioni della p.o.. 2.2 Col secondo motivo, si lamenta violazione di legge con riferimento all'articolo 192, comma 3 del codice di rito, per avere la Corte d'appello ritenuto attendibile il narrato della p.o., senza sottoporre a riscontri esterni le dichiarazioni dello stesso e senza adeguato vaglio della credibilita' soggettiva del dichiarante e dell'attendibilita' intrinseca del suo racconto. 2.3 Col terzo motivo, si lamenta violazione di legge, con riguardo agli articoli 393 e 610 c.p.. Nel disattendere l'eccezione difensiva, tesa alla riqualificazione della condotta ascritta agli imputati in esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente approfondito il profilo del convincimento, da parte degli imputati, di agire nella convinzione di tutelare un proprio diritto (alla riservatezza e alla sicurezza). 2.4 Col quarto motivo si lamenta violazione dell'articolo 111 Cost., per avere la Corte applicato una aggravante (di cui all'articolo 610 c.p., comma 2) mai contestata, e dell'articolo 69 c.p., per non essere la Corte territoriale addivenuta a un giudizio di prevalenza delle concesse circostanze attenuanti generiche rispetto alla contestata aggravante delle piu' persone riunite e alla recidiva per (OMISSIS), nonche' a fortiori per il ricorrente (OMISSIS), incensurato. 2.5 Col quinto motivo, si lamenta violazione di legge in relazione all'articolo 539 per avere i Giudici d'appello confermato la liquidazione della provvisionale esecutiva senza previo accertamento della prova dell'ammontare del danno; la parte civile osserva la difesa- non ha prodotto prova alcuna del danno subito (documentazione medica, spese sostenute). 3. Sono state trasmesse, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, conv. con L. 18 dicembre 2020, n. 176, le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, Dott. Serrao d'Aquino Pasquale, il quale ha chiesto pronunciarsi il rigetto del ricorso. La difesa di parte civile ha depositato conclusioni, in cui si riporta una sintesi della vicenda processuale e si chiede il rigetto dei ricorsi con condanna dei ricorrenti alla refusione delle spese legali sostenute per il presente grado di giudizio, secondo il prospetto dell'allegata nota spese. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I primi due motivi sono inammissibili per manifesta infondatezza e assenza di specificita'. Occorre premettere che le regole dettate dall'articolo 192 c.p.p., comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilita' dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilita' soggettiva del dichiarante e dell'attendibilita' intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere piu' penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte, Rv. 253214). In ogni caso, la verifica attraverso indici esterni delle dichiarazioni della persona offesa non si deve tradurre nell'individuazione di prove dotate di autonoma efficacia dimostrativa, dal momento che cio' comporterebbe la vanificazione della rilevanza probatoria delle prime. Cio' posto, le critiche sviluppate nel primo e nel secondo motivo, a parte la genericita' di formulazione e la loro assertivita', si risolvono nell'aspirazione ad una rivalutazione delle risultanze istruttorie, preclusa in sede di legittimita'. Al riguardo, va ribadito (v., di recente, Sez. 5, n. 17568 del 22/03/2021) che e' estraneo all'ambito applicativo dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), ogni discorso confutativo sul significato della prova, ovvero di mera contrapposizione dimostrativa, considerato che nessun elemento di prova, per quanto significativo, puo' essere interpretato per "brani" ne' fuori dal contesto in cui e' inserito, sicche' gli aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell'apprezzamento del significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimita' se non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacita' dimostrativa. Sono, pertanto, inammissibili, in sede di legittimita', le censure che siano nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio (Sez. 5, n. 8094 del 11/01/2007, Ienco, Rv. 236540; conf. ex plurimis, Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, Carone, Rv. 250168). Cosi' come sono estranei al sindacato della Corte di cassazione i rilievi in merito al significato della prova ed alla sua capacita' dimostrativa (Sez. 5, n. 36764 del 24/05/2006, Bevilacqua, Rv. 234605; conf., ex plurimis, Sez. 6, n. 36546 del 03/10/2006, Bruzzese, Rv. 235510). Pertanto, il vizio di motivazione deducibile in cassazione consente di verificare la conformita' allo specifico atto del processo, rilevante e decisivo, della rappresentazione che di esso da' la motivazione del provvedimento impugnato, fermo restando il divieto di rilettura e reinterpretazione nel merito dell'elemento di prova (Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006, Stojanovic, Rv. 234167). 2. Il terzo motivo e' inammissibile per manifesta infondatezza e assenza di specificita'. Come chiarito dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ai fini della configurabilita' del reato, occorre che l'autore agisca nella ragionevole opinione della legittimita' della sua pretesa, ovvero ad autotutela di un suo diritto suscettibile di costituire oggetto di una contestazione giudiziale, anche se detto diritto non sia realmente esistente; tale pretesa, inoltre, deve corrispondere perfettamente all'oggetto della tutela apprestata in concreto dall'ordinamento giuridico, e non mirare ad ottenere un qualsiasi quid pluris, atteso che cio' che caratterizza il reato in questione e' la sostituzione, operata dall'agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato (Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, Musa, Rv. 268362 - 01). Ora, con accertamento in fatto che non appare caratterizzato da illogicita', la Corte territoriale ha escluso l'esistenza di ragionevole opinione della legittimita' della pretesa a proteggere la privacy e la sicurezza del proprio domicilio, cogliendo piuttosto il fine di cancellare le immagini che documentavano un'irregolarita' tecnica. Del tutto infondatamente il ricorso sostiene che anche un timore, eventualmente irrazionale, dell'agente potrebbe giustificare l'invocata riqualificazione dei fatti. 3. Il quarto motivo e' inammissibile per due ordini di ragioni: da un lato, la riqualificazione in termini piu' miti del fatto originariamente contestato esattamente nei suoi termini fattuali non pone alcuna questione di violazione del contraddittorio, soprattutto alla luce della piena possibilita' degli imputati di svolgere le loro difese con il ricorso per cassazione (si veda, di recente, alla stregua di un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, Sez. 6, n. 422 del 19/11/2019, dep. 2020, Petittoni, Rv. 278093 - 01, secondo cui, in tema di correlazione tra accusa e sentenza, la diversa qualificazione del fatto effettuata dal giudice di appello non determina alcuna compressione o limitazione del diritto al contraddittorio, anche alla luce del principio affermato da Corte EDU 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia, essendo consentito all'imputato di contestarla nel merito con il ricorso per cassazione). D'altro lato, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimita' quando, come nel caso di specie, non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la piu' idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931). 4. Inammissibile e', infine, il quinto motivo, dal momento che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il provvedimento col quale il giudice di merito, nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno, assegna alla parte civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva non e' impugnabile per cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento (Sez. U., 19 dicembre 1990, Capelli, Rv. 186722; Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, Tuccio, Rv. 2777730). 6. Alla pronuncia di inammissibilita' consegue, ex articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche' al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in Euro 3.000,00. Non va pronunciata condanna alle spese in favore delle parti civili, dal momento che quest'ultima si e' limitata a depositare mere conclusioni, senza apportare alcun contributo al dibattito processuale (v. Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, Sacchettino, Rv. 283886 - 01, in motivazione: par. 20.2.1.). P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa d'elle ammende. Nulla per le spese della parte civile.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CASA Filippo - Presidente Dott. SANTALUCIA Giuseppe - Consigliere Dott. DI GIURO Gaetano - Consigliere Dott. TOSCANI Eva - Consigliere Dott. RENOLDI Carlo - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del Tribunale del riesame di Roma in data 17/08/2022; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Dr. Carlo Renoldi; udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. De Masellis Mariella, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; uditi, per l'indagato, gli avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali hanno chiesto l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza in data 17/08/2022, il Tribunale di Roma, in funzione di giudice del riesame, ha confermato l'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma del 27/07/2022 con cui (OMISSIS) era stato sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere per concorso nel delitto di omicidio premeditato e aggravato ai sensi dell'articolo 416-bis.1 c.p. in danno di (OMISSIS), per il quale erano gia' stati destinatari di analogo provvedimento coercitivo gli esecutori materiali, (OMISSIS) ed (OMISSIS), nonche' per i delitti di detenzione e porto illegali di armi da sparo (in concorso con (OMISSIS) e lo stesso (OMISSIS)) e ricettazione di un motociclo (in concorso con (OMISSIS) e (OMISSIS)), utilizzati per commettere l'omicidio. 2. Avverso il provvedimento del riesame ha proposto ricorso per cassazione lo stesso (OMISSIS) per mezzo del difensore di fiducia, avv. (OMISSIS), deducendo cinque distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e c), la inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c), articolo 191 c.p.p., articolo 291 c.p.p., comma 1, articolo 309 c.p.p., commi 5 e 10, articolo 111 Cost. e articolo 6 CEDU, nonche' l'inosservanza dell'articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c) e articolo 191 c.p.p., norme processuali stabilite a pena di nullita' e inutilizzabilita'. La difesa denuncia che, da un lato, la mancata trasmissione, da parte del Pubblico ministero, della documentazione relativa al processo di acquisizione delle chat (ad es. con le analisi preliminari compiute dalla polizia giudiziaria sui database presso Europol, attraverso il Reparto operativo speciale dei Carabinieri che rappresentava l'Italia nella Operation Task Force e che avevano consentito un primo riscontro positivo sulle utenze di interesse), non permetterebbe alla difesa di saggiare l'attendibilita' e genuinita' del dato informatico e di verificare se le modalita' di acquisizione della messaggistica contrastassero con i principi fondamentali dell'ordinamento, con conseguente nullita' di ordine generale a regime intermedio ai sensi dell'articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c), per violazione della disciplina diretta ad assicurare l'assistenza e la rappresentanza dell'imputato; e, dall'altro lato, che la mancata trasmissione di tutte le conversazioni effettuate, via chat, tra il 1 agosto e il 1 ottobre 2020, e la produzione frammentata di dialoghi dei quali verrebbero riportate le affermazioni di uno solo dei due interlocutori, comporterebbero l'impossibilita' di fornirne una logica interpretazione. 2.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), la inosservanza o erronea applicazione degli articoli 254-bis e 729 c.p.p., delle disposizioni del Decreto Legislativo n. 108 del 2017, degli articoli 3 e 6, lettera b), Direttiva 41/2014/UE, nonche' la manifesta illogicita' della motivazione in relazione ai provvedimenti dei Giudici francesi del 22/12/2021 e del 18/01/2022, al contenuto degli O.E.I. nn. 119/21 e 121/21, alle informative della Legione Carabinieri Lazio, Comando Provinciale di Roma-RONI datate 1/09/2021 e 24/01/2022. La difesa eccepisce l'assenza in atti dei provvedimenti attraverso cui il Giudice francese, destinatario delle richieste di assistenza giudiziaria avanzate con gli O.E.I. nn. 119/21 e 121/21, aveva autorizzato l'Autorita' giudiziaria italiana all'utilizzo del materiale probatorio trasmesso, atteso che i due atti aventi contenuto "autorizzativo" citati nell'ordinanza impugnata non sarebbero, in realta', riconducibili alle richieste formulate dalla Procura romana. Inoltre, si deduce la violazione dell'articolo 3 della Direttiva Comunitaria 2014 UE (in materia di ordine Europeo di indagine), che sancisce il divieto di ricorrere all'O.E.I. nei casi di "istituzione di una squadra investigativa comune e all'acquisizione di prove nell'ambito di tale squadra". In base a tale disposizione gli O.E.I. non avrebbero dovuto essere utilizzati per l'acquisizione di prove ottenute nell'ambito di una squadra investigativa comune istituita in sede Europol; e come prescritto dal Decreto Legislativo n. 34 del 2016 richiamato dal Tribunale del riesame, l'acquisizione del materiale probatorio sarebbe dovuta, comunque, avvenire "secondo le disposizione del codice di procedura penale". Sotto altro profilo, la difesa lamenta che anche a voler considerare l'attivita' di indagine come diretta all'acquisizione di un documento informatico gia' in possesso dello Stato di esecuzione, in ogni caso tale acquisizione dovrebbe rispettare la regola secondo cui un O.E.I. e' legittimo solo ove l'atto da compiere avrebbe potuto essere emesso alle stesse condizioni in un caso interno analogo. Cio' che nella specie non sarebbe possibile, posto che l'articolo 234 c.p.p., richiamato dal Tribunale capitolino, sarebbe norma dettata per l'acquisizione di documenti nella fase dibattimentale, dovendo l'acquisizione essere compiuta mediante il ricorso ad una delle modalita' tipizzate dall'articolo 244 c.p.p. ss. (e, quindi, come ispezione, perquisizione, sequestro, intercettazione, ecc.). Infine, la difesa deduce l'inutilizzabilita' dei dati delle chat poiche' acquisiti in assenza della "copia forense" e della garanzia del c.d. codice hash. Il materiale acquisito, infatti, non offrirebbe alcuna attendibilita' dei dati acquisiti, come dimostrato dagli errori contenuti nelle informative di polizia giudiziaria su alcuni passaggi delle chat e dal fatto che non vi sarebbe certezza sul fatto che le utenze fossero state effettivamente nella disponibilita' di (OMISSIS). Nel caso di specie, in particolare, non esisterebbe alcun verbale delle operazioni relative all'estrazione dei dati informatici e alla loro copiatura per la successiva trasmissione all'Italia, posto che gli unici verbali presenti sarebbero quelli relativi alle operazioni di lettura dei contenuti dei messaggi successivamente eseguite dai Carabinieri di Roma. 2.3. Con il terzo motivo, il ricorso denuncia, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) ed e), la inosservanza o erronea applicazione degli articoli 191 e 271 c.p.p., articolo 15 Cost. e articolo 8 CEDU, nonche' la manifesta illogicita' della motivazione in relazione a quanto riportato nel parere pro veritate redatto dagli avvocati francesi, al cui contenuto fa richiamo anche l'ordinanza impugnata. Secondo l'ordinanza impugnata le chat sarebbero utilizzabili ex articolo 234 c.p.p. o comunque ex articolo 234-bis c.p.p., dovendo identificarsi il consenso del titolare con la cooperazione offerta dall'Autorita' giudiziaria francese che le deteneva. Tesi gia' condivisa dalla Prima Sezione penale con la sentenza n. 34059, depositata il 15/09/2022, ma su circostanze fattuali erronee. Infatti, all'esito di indagini difensive, sarebbe emerso che la Francia sia riuscita a entrare in possesso dei dati di comunicazione delle piattaforme Encrochat e Sky-Ecc grazie a operazioni di intercettazione aventi ad oggetto i due interi sistemi di comunicazione e non singole utenze, avendo la gendarmeria francese "hackerato" i dati che transitavano sulle piattaforme. In ogni caso, le modalita' di acquisizione delle informazioni avrebbero violato i principi inderogabili del nostro ordinamento posti dall'articolo 15 Cost. e articolo 8 CEDU, i quali tutelano la liberta' e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione da ogni ingerenza che non avvenga nel rispetto dei limiti previsti dalla legge. Nel caso di specie, l'acquisizione delle conversazioni su utenze in uso a (OMISSIS), sarebbe avvenuta senza il provvedimento di un giudice che autorizzasse l'intercettazione su ogni specifica utenza, posto che l'operazione di polizia parrebbe avere avuto a oggetto gli interi sistemi di comunicazione Encrochat e Sky-Ecc, senza distinguere gli utilizzatori e i milioni di comunicazioni da questi posti in essere. Ne' l'operazione sarebbe stata possibile in Italia in base all'articolo 266-bis c.p.p., posto che l'organizzazione contro la quale si sarebbe proceduto in Francia non sarebbe stata finalizzata alla commissione di delitti, sicche' non sarebbe rimasto integrato l'articolo 416 c.p. e tenuto conto che la norma del codice di rito non consentirebbe intercettazioni di massa, ma solo quella di un'utenza o di un sistema informatico che abbia uno specifico collegamento con la particolare ipotesi di reato per la quale si indaga. Tanto piu' che la Corte di Giustizia UE avrebbe sanzionato la conservazione o acquisizione indiscriminata e di massa dei dati di comunicazione, ritenuta sempre illegittima anche se giustificata da esigenze di sicurezza nazionale (cfr. C-623/17 c.d. privacy international; C511/18, C-512/18 e C-520/18; CEDU, Big Brother Watch c. UK). 2.4. Con il quarto motivo, il ricorso deduce, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) ed e), la inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 266 c.p.p., comma 2, articolo 267 c.p.p. e articolo 14 Cost., stabiliti a pena di inutilizzabilita', nonche' la mancanza assoluta di motivazione in relazione alle questioni relative all'utilizzabilita' del materiale probatorio valutato per sostenere l'interessamento di (OMISSIS) alla realizzazione dell'omicidio, in particolare per quanto riguarda le intercettazioni di comunicazioni tra presenti poste in essere nell'ambito del diverso procedimento a carico di (OMISSIS), nonche' l'utilizzabilita' delle video-riprese effettuate all'interno del suo domicilio. Le conversazioni tra (OMISSIS) e altri suoi interlocutori (identificati grazie alle video riprese) avrebbero consentito il diretto riferimento anche a (OMISSIS), nonche' l'interpretazione del contenuto di alcuni messaggi scambiati tra (OMISSIS) e (OMISSIS). A tale questione il Tribunale non avrebbe offerto risposta, limitandosi ad affermare, da pag. 15, che "non e' questa la sede (ne' sarebbe possibile procedervi sulla base di dati parziali) per vagliare la legittimita' delle attivita' tecniche svolte nel diverso procedimento a carico di (OMISSIS)...", salvo poi ripercorrere il contenuto di quei dati parziali, al fine della ricostruzione degli eventi proposta dall'Accusa e attinente al movente dell'omicidio. Tuttavia, proprio per la rilevanza delle informazioni cosi' acquisite, si sarebbe dovuta "saggiare" la legittimita' di quel materiale indiziario, anche perche' il Tribunale sarebbe stato in possesso di tutti gli elementi necessari, essendo presenti tutti i decreti con cui il Giudice per le indagini preliminari aveva autorizzato quelle discusse attivita' di indagine. 2.5. Con il quinto motivo, il ricorso lamenta, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), la inosservanza o erronea applicazione degli articoli 192 e 273 c.p.p., nonche' la mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in relazione alla ritenuta gravita' indiziaria, fondata esclusivamente sul contenuto della messaggistica Encrochat e Sky-Ecc. Sotto un primo profilo si opina che cosi' come non sarebbe possibile, sulla base di una fonte anonima, porre sotto intercettazione una data utenza, analogamente non sarebbe possibile utilizzare i contenuti delle comunicazione di utenze delle quali non sia dato conoscere il loro collegamento rispetto all'indagine. Sotto altro aspetto, si osserva che dai dati ricavabili dalle celle operative nella zona geografica corrispondente all'abitazione di (OMISSIS) non sarebbe emersa, nel periodo considerato, alcuna attivita' riferibile alle utenze in uso all'indagato, sicche' dovrebbe revocarsi in dubbio l'attribuibilita' delle utenze in questione allo stesso (OMISSIS) in assenza di un metodo scientifico idoneo a dimostrare la certa corrispondenza tra "ID" e utenza nell'intero arco temporale considerato. E di fronte alle problematiche denunciate dalla difesa circa la sussistenza di errori nella riproposizione dei messaggi da parte della polizia giudiziaria, con una inversione, in molte occasioni, tra mittente e destinatario e con la presenza di dialoghi monchi, il Collegio, da un lato, avrebbe rappresentato la necessita' di opportuni "chiarimenti" e, dall'altro lato, avrebbe fatto riferimento "ad una carenza a monte dell'acquisizione dei messaggi da parte dell'AG francese", giungendo a ipotizzare un errore di trascrizione rispetto al dato originale trasmesso dalla Francia. Con cio' ammettendo la necessita' di approfondimento e, al contempo, affermando, contraddittoriamente, la completa attendibilita' del dato probatorio. Quanto al contributo offerto da (OMISSIS) alla realizzazione del fatto illecito, in nessuna delle chat in commento vi sarebbero espliciti riferimenti di (OMISSIS) al destinatario dell'azione omicida, ne' sarebbe emerso quale interesse egli avesse alla realizzazione dell'evento, non essendo credibile che egli intendesse vendicare l'amico (OMISSIS), non avendo egli manifestato ai suoi interlocutori una tale intenzione e considerato il notevole tempo trascorso da quel fatto, dopo il quale (OMISSIS) si era adoperato per colpire un altro soggetto (tale (OMISSIS)). E anche con riferimento ai dialoghi relativi all'arma e al mezzo, non trasparirebbe mai la consapevolezza, da parte di (OMISSIS), che essi sarebbero stati utilizzati per l'omicidio di Torvaianica e non per quello dei fratelli (OMISSIS). A questo riguardo, nella nota dei Carabinieri del RONI datata 5-7/02/2022 si ipotizzerebbe che il progetto di uccisione di (OMISSIS) e quello di eliminazione dei fratelli (OMISSIS) si sovrappongano, nelle chat, soltanto nell'arco temporale del 9-20 settembre, senza chiarire perche' i conversanti, per 10 giorni, avrebbero dovuto sospendere l'oggetto dei propri discorsi; un'affermazione in contraddizione con quanto affermato nella stessa nota, ovvero che i messaggi intercorsi, tra i due, nei mesi di luglio e agosto, sarebbero stati "riconducibili in maniera incontrovertibile esclusivamente al piano omicidiario ai danni dei (OMISSIS)". 3. In data 31/01/2023, i difensori dell'indagato hanno trasmesso telematicamente una memoria recante vari allegati e contenente motivi nuovi, con i quali si censura, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) ed e), l'inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilita' con riferimento all'articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c), articoli 191 e 244 c.p.p., nonche' all'articolo 6, lettera b), Direttiva 41/2014 UE, nonche' la motivazione apparente e manifestamente illogica in relazione al profilo della legittimita' degli atti trasmessi con rogatoria dalle autorita' giudiziarie straniere. Infatti, con sentenza n. 1226 emessa in data 11/10/2022, la Corte di cassazione francese, pronunciandosi nel procedimento per associazione finalizzata all'utilizzo di telefoni criptati, nel corso delle cui indagini erano stati acquisiti e decriptati i dati delle chat presenti sul server Encrochat, avrebbe annullato la decisione della Corte di appello di Nancy per violazione dell'articolo 230-3 del codice di procedura penale francese, riscontrando la mancanza del certificato di originalita' dei dati estratti dalle chat. E non essendovi certezza, nello stesso Paese di creazione, sulla integrita' dei dati trasmessi, questo si riverbererebbe, a cascata, sulla concreta utilizzabilita' di quegli elementi nel nostro ordinamento. Cio' che rafforzerebbe anche la solidita' dei principi enunciati nella sentenza n. 32915 del 15/07/2022, Lory, della Quarta Sezione, gia' richiamata in ricorso, secondo cui la riscontrata impossibilita' di conoscere (e verificare) le modalita' di acquisizione della messaggistica acquisita in Francia ne comporterebbe l'inutilizzabilita' nel procedimento penale interno. Inoltre, si sottolinea che anche aderendo alla ricostruzione accusatoria, la utilizzabilita' dei dati nel nostro ordinamento presupporrebbe la verifica che l'atto di indagine effettuato all'estero avrebbe potuto essere realizzato, alle medesime condizioni, anche sul piano interno, individuando l'atto investigativo interno equipollente, da identificarsi negli atti di ispezione e perquisizione informatica disciplinati ex articolo 244 c.p.p., comma 2 e 247 c.p.p., comma 1-bis, che richiedono la predisposizione di garanzie che assicurino il contraddittorio, oltre a "misure tecniche" di realizzazione della cd. copia forense. Verifica che, nel caso di specie, non sarebbe stata compiuta, come dimostrato dalla citata pronuncia della Corte Suprema francese. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' infondato e, pertanto, deve essere respinto. 2. La presente vicenda giudiziaria e' stata ricostruita, dai Giudici di merito, essenzialmente attraverso il contenuto di una serie di conversazioni che si ritiene siano state effettuate dall'indagato e da alcuni dei suoi complici attraverso i sistemi di messaggistica criptata denominati Encrochat e Sky Ecc, cui i conversanti accedevano attraverso dei criptophonini, ovvero degli smartphone, modificati nel software, che garantiscono la cifratura dei dati trasmessi e di quelli memorizzati, la possibilita' per l'utilizzatore di cancellare, quasi in tempo reale e anche da remoto, l'intera memoria del telefono inserendo un cd. panic code, la possibilita' di segnalare la presenza di sistemi di individuazione (cd. IMSI catcher) o di tentativi di aggressione informatica da parte di agenti esterni. Il contenuto delle chat, ritenuto di univoco tenore indiziante, ha poi trovato alcuni importanti elementi di conferma nella perquisizione domiciliare effettuata il 20/01/2022 presso l'abitazione in uso a (OMISSIS) (allorche' erano stati rinvenuti alcuni attrezzi ginnici ritratti in foto inviate con lo smartphone), nelle dichiarazioni di alcune persone informate sui fatti (come (OMISSIS) e (OMISSIS)), nelle risultanze di talune attivita' investigative di natura tecnica (quali alcune immagini degli impianti di videosorveglianza) e nel ritrovamento del motociclo XMAX utilizzato per l'esecuzione dell'omicidio e citato in alcune conversazioni cui aveva partecipato (OMISSIS). 2.1. Da complesso delle informazioni ricavabili dall'ordinanza impugnata, dalla stessa documentazione versata in atti dalla difesa e dal contenuto del fascicolo processuale da essi richiamato e' possibile ricostruire, in relazione alle modalita' di acquisizione delle chat in questione, quanto di seguito riportato. Nel marzo 2021 si e' conclusa un'operazione svolta da autorita' francesi, olandesi e belghe, grazie alla quale gli inquirenti hanno avuto accesso a milioni di messaggi degli utenti delle piattaforme criptate, custoditi sotto forma di stringhe alfanumeriche. Tali stringhe sono state decriptate dalle Forze di polizia straniere che hanno partecipato alle operazioni, attraverso l'utilizzo di uno speciale algoritmo. Gli utenti, a loro volta, sono stati identificati attraverso i codici IMEI degli smartphone nella disponibilita' dei vari utilizzatori, tra i quali l'odierno indagato. La Procura di Roma ha, quindi, trasmesso all'Autorita' giudiziaria francese tre distinti ordini Europei di indagine (di seguito O.E.I.), identificati con i nn. 119/21, 121/21 e 17/22, nei quali si indicavano i codici IMEI dello smartphone nella disponibilita' dell'indagato e i messaggi riferibili ai PIN di interesse, gia' acquisiti dall'Autorita' giudiziaria francese. Quest'ultima ha, quindi, trasmesso alla Procura di Roma alcuni CD, con allegato verbale delle operazioni, in cui e' stato masterizzato il materiale in formato elettronico (files), costituito da stringhe informatiche corrispondenti al contenuto delle comunicazioni di cui si componevano le chat, autorizzando la Procura di Roma a utilizzare i dati in questione per il prosieguo delle varie attivita' giudiziarie. 2.2. Alla luce di quanto evidenziato, appare centrale, dunque, stabilire la fondatezza o meno delle numerose censure che sono state avanzate dalla difesa in relazione alle chat in questione e che e' possibile ricondurre a una serie di nuclei problematici: la natura delle chat (se esse siano comunicazioni oggetto di intercettazione o documenti informatici) e la relativa procedura di acquisizione (se sia applicabile l'articolo 266-bis c.p.p. o l'articolo 234-bis c.p.p.); la regolarita' della procedura di acquisizione delle chat (sotto i diversi profili dedotti, quali: l'impossibilita' di verificare il rispetto delle regole procedurali dettate per l'acquisizione dei dati, in particolare per quanto concerne: la mancata acquisizione delle informative dalle quali sarebbero stati individuati i codici IMEI e/o IMSI delle utenze ritenute in uso a (OMISSIS), nonche' la mancanza della documentazione delle varie operazioni atta a garantire la corrispondenza tra il dato originale e quello trasmesso e l'assenza, in atti, dei provvedimenti attraverso cui il Giudice francese aveva autorizzato l'Autorita' giudiziaria italiana all'utilizzo del materiale trasmesso; il rispetto della disciplina dettata dall'articolo 266-bis c.p.p.; l'esecuzione dell'acquisizione dei dati da parte dell'Autorita' giudiziaria francese ovvero da parte di unita' di polizia giudiziaria; l'illegittima acquisizione dei dati da parte di una squadra investigativa comune); e, infine, la inidoneita' delle chat a consentire la puntuale e attendibile ricostruzione di quanto accaduto in ragione, lamenta ancora la difesa, della mancata trasmissione delle stesse in forma integrale. 3. Tanto premesso, occorre affrontare la prima questione, relativa alla natura giuridica delle chat e alla procedura da seguire nelle relative operazioni di acquisizione. 3.1. Sul punto, la difesa deduce, con il terzo motivo, che le conversazioni criptate sarebbero state oggetto di una attivita' di intercettazione di flussi telematici; e da questa premessa fa derivare una serie di asserite violazioni della relativa procedura di acquisizione, sostanzialmente riconducibili alla inosservanza di alcuni principi inderogabili del nostro ordinamento posti dall'articolo 15 Cost. e articolo 8 CEDU e, in primis, la mancanza di un'autorizzazione all'attivita' di indagine da parte di un giudice. Osserva, nondimeno, il Collegio che il tema della natura giuridica delle chat in rilievo e' gia' stato approfonditamente scrutinato dalla Prima Sezione della Corte di cassazione con la sentenza n. 34059 del 1/07/2022, depositata il 15/09/2022, relativa ad altra vicenda nella quale era coinvolto lo stesso (OMISSIS); e la cui motivazione deve essere integralmente condivisa. In quel frangente, si e' evidenziato come occorra distinguere due diversi tipi di operazioni investigative riguardanti questo genere di comunicazioni: quelle di captazione e di registrazione del messaggio cifrato effettuate mentre esso e' in transito dall'apparecchio del mittente a quello del destinatario; e le operazioni di decriptazione del contenuto del messaggio, necessarie per trasformare stringhe informatiche in dati comunicativi intellegibili (cfr. Sez. 6 n. 18907 del 20/04/2021, Civale, Rv. 281819-01). E si e', altresi', osservato che solo alla prima operazione e' applicabile l'articolo 266-bis c.p.p., che estende le norme del codice di rito relative alle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni a distanza, alle intercettazioni di flussi di comunicazioni relativi a sistemi telematici ovvero intercorrenti tra piu' sistemi telematici: flussi che sfruttano la trasmissione dei dati in via telematica, via cavo o ponti radio, ovvero per mezzo di altra analoga strumentazione tecnica. Nel caso in esame, tuttavia, come peraltro si evince dalla lettura dell'O.E.I. trasmesso al Tribunal judiciaire di Parigi, l'Autorita' giudiziaria italiana non ha mai formulato richiesta, a quella francese, di procedere ad attivita' di intercettazione telefonica/telematica (in questo caso avrebbe dovuto completare la sezione H7 dell'O.E.I.) ovvero di atti d'indagine che implicano l'acquisizione di prove in tempo reale, in modo continuo e per un determinato periodo di tempo (nel qual caso sarebbe venuta in rilievo la sezione H5 dell'O.E.I.), ma ha unicamente formulato richiesta di trasmissione di copia dei messaggi riferibili ai PIN di interesse scambiati sulla piattaforma Sky-ECC, messaggi che, come detto, erano stati gia' acquisiti. Dunque, il compendio in questione ha riguardato un documento informatico, ovvero una "rappresentazione comunicativa incorporata in una base materiale con un metodo digitale", ossia dei files contenenti dei dialoghi decrittati attraverso l'uso di un algoritmo che ha consentito di rendere intellegibile il contenuto di stringhe redatte secondo il sistema binario. Rimane, pertanto, una mera petizione di principio, del tutto indimostrata, la deduzione difensiva secondo cui l'acquisizione dei dati delle piattaforme Encrochat e Sky-Ecc sarebbe avvenuta grazie a operazioni di intercettazione aventi ad oggetto i due interi sistemi di comunicazione e non singole utenze. Cio' che, del resto, e' escluso dalla stessa difesa laddove, nel secondo motivo di ricorso, la stessa prospetta che negli O.E.I. nn. 119/21 e 121/21 l'attivita' richiesta avesse a oggetto la "estrazione di tutti i dati (chat, foto, audio-video) presenti all'interno del dataset Sky-Ecc (o Encrochat) inerente le IMEI-IMSI dei dispositivi sotto indicati..."; sicche' allo Stato di esecuzione sarebbe stata, appunto, richiesta la "estrazione" di documentazione informatica, presente all'interno di un dataset e riconducibile a determinate utenze. Ne consegue che al caso in esame, come correttamente osservato dalla sentenza citata, deve essere applicato l'articolo 234-bis c.p.p., a mente del quale "e' sempre consentita l'acquisizione di documenti e dati informatici conservati all'estero, anche diversi da quelli disponibili al pubblico, previo consenso, in quest'ultimo caso, del legittimo titolare". Una disposizione, questa, pacificamente applicabile, attesa l'ampiezza della sua formulazione, anche in fase di indagine e, dunque, in materia cautelare e non solo nella fase dibattimentale, secondo quanto, in contrario, sostiene la difesa, peraltro senza spiegare le ragioni di una interpretazione cosi' restrittiva. Ne consegue che, da un lato, sono infondate tutte le doglianze difensive relative alla dedotta violazione delle disposizioni di cui all'articolo 266 c.p.p. ss.; e, dall'altro lato, la necessita' di verificare se siano state rispettate le condizioni poste dall'articolo 234-bis c.p.p. per l'acquisizione dei documenti informatici. In proposito, la difesa opina che non sia stato acquisito il preventivo consenso del legittimo titolare dei documenti informatici. Osserva, nondimeno, il Collegio che secondo quanto correttamente posto in luce dal provvedimento impugnato per "legittimo titolare" deve intendersi il soggetto giuridico che di quei documenti o di quei dati poteva disporre, secondo l'ordinamento giuridico del paese estero, in forza di un legittimo titolo; soggetto identificabile nella persona fisica e/o giuridica che procede alla trasmissione e alla conservazione dei dati, nella polizia giudiziaria, nell'autorita' giudiziaria, nella persona offesa, nell'amministrazione pubblica, nella societa' che gestisce il servizio telefonico, nell'internet service provider. Quanto, poi, all'affermazione che le operazioni in esame abbiano avuto luogo in assenza del provvedimento di un giudice, anche questa pare essere una mera asserzione, del tutto indimostrata. E, anzi, il fatto che gli O.E.I. siano stati indirizzati, dalla Procura di Roma, a vari Uffici istruzione di Autorita' giudiziarie francesi dimostra l'infondatezza dell'assunto, essendosi la complessiva attivita' di acquisizione svolta, dunque, sotto la direzione dei giudici francesi. 4. La difesa ha, pero', articolato una serie di ulteriori questioni che attengono alla regolarita' della procedura di acquisizione delle chat, innanzitutto lamentando, con il primo motivo, di non essere nelle condizioni per verificare l'attendibilita' e genuinita' del dato informatico e se le modalita' di acquisizione della messaggistica contrastassero con i principi fondamentali dell'ordinamento italiano. In proposito, deve osservarsi che l'acquisizione delle chat da parte della Autorita' giudiziaria italiana e' avvenuta attraverso il ricorso, da parte di quest'ultima, al cd. ordine Europeo d'indagine, disciplinato dal Decreto Legislativo 27 giugno 2017, n. 108, emanato in attuazione della direttiva 2014/41/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 3 aprile 2014. Secondo quanto stabilito dall'articolo 2 della direttiva, "gli Stati membri eseguono un O.E.I. in base al principio del riconoscimento reciproco e conformemente alla presente direttiva"; e in base all'articolo 9, "l'autorita' di esecuzione riconosce un O.E.I., trasmesso conformemente alle disposizioni della presente direttiva, senza imporre ulteriori formalita' e ne assicura l'esecuzione nello stesso modo e secondo le stesse modalita' con cui procederebbe se l'atto d'indagine in questione fosse stato disposto da un'autorita' dello Stato di esecuzione, a meno che non decida di addurre uno dei motivi di non riconoscimento o di non esecuzione ovvero uno dei motivi di rinvio previsti dalla presente direttiva". Tali previsioni, che assumono rilievo ai fini dell'interpretazione del decreto attuativo, implicano che l'ordine Europeo d'indagine deve avere ad oggetto una prova acquisibile nello Stato di emissione e deve essere eseguito in conformita' di quanto previsto nello Stato di esecuzione per il compimento di un analogo atto di acquisizione probatoria. Rispetto a tali attivita', deve presumersi, salvo concreta verifica di segno contrario, il rispetto della disciplina dettata e dei diritti fondamentali. Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimita', infatti, l'utilizzazione degli atti trasmessi a seguito di attivita' di cooperazione internazionale non e' condizionata a un accertamento da parte del giudice italiano della regolarita' delle modalita' di acquisizione esperite dall'autorita' straniera, vigendo la presunzione di legittimita' dell'attivita' svolta e spettando al giudice straniero la verifica della correttezza della procedura e l'eventuale risoluzione di ogni questione relativa alle irregolarita' lamentate nella fase delle indagini preliminari. In particolare, in tema di valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, e' stata affermata l'utilizzabilita' della documentazione di atti compiuti autonomamente da autorita' straniere in un diverso procedimento penale all'estero, anche al di fuori dei limiti stabiliti per la loro utilizzabilita' dall'articolo 238 c.p.p. e articolo 78 disp. att. c.p.p., con il solo limite che tale attivita' non sia in contrasto con norme inderogabili e principi fondamentali, i quali, pero', non si identificano, necessariamente, con il complesso delle regole dettate dal nostro codice di rito, spettando a chi eccepisca tale incompatibilita' l'onere di fornire la prova di tale incompatibilita'. Questo limite appare difficilmente rinvenibile in attivita' giudiziarie di uno Stato membro dell'Unione Europea, tenuto a condividere i principi fondamentali dell'ordinamento Europeo, come la Francia, nel cui ordinamento le garanzie della liberta' individuale e della riservatezza delle comunicazioni rappresentano un baluardo costituzionale e le cui attivita' investigative relative a queste piattaforme sono state ritenute correttamente svolte sia dalla Corte di cassazione (cfr. Sez. 6 n. 18907 del 20/04/2021, Civale, citata), sia dalla Corte costituzionale francese (cfr. decisione n. 2022-987 QPC dell'8/04/2022). Il giudice italiano, dunque, non puo' e non deve conoscere della regolarita' degli atti di esecuzione di attivita' di indagine compiuta dall'autorita' giudiziaria francese, giacche' detta attivita' investigativa e' eseguita secondo la legislazione dello Stato straniero; e, a maggior ragione, cio' vale ove l'originaria attivita' investigativa non sia stata compiuta su richiesta dell'autorita' giudiziaria italiana, ma sia stata eseguita, nell'ambito di altro procedimento instaurato nello Stato estero, su iniziativa di quell'autorita' giudiziaria i cui esiti sono stati trasmessi, come dati c.d. freddi, siccome acquisiti in epoca antecedente alla richiesta di O.E.I. Nel caso in esame, peraltro, non si e' in presenza di una richiesta di procedere a intercettazioni, ma di una richiesta di acquisizione degli esiti documentali di attivita' d'indagine che l'autorita' straniera ha gia' svolto, in piena autonomia, nel rispetto della sua legislazione in relazione ad altri reati; sicche' la tutela giurisdizionale relativa a quegli atti deve trovare spazio in tale ordinamento. Dunque, in assenza di specifiche deduzioni di segno diverso, deve ritenersi che l'Autorita' giudiziaria francese si sia resa garante del rispetto delle procedure dello Stato di esecuzione, a partire dalle intercettazioni svolte in quello Stato, nonche' della trasmissione dei dati all'Autorita' italiana richiedente. Sotto tale profilo, risultando dal verbale di trasmissione francese in data 22/12/2021, le modalita' di conservazione e di download dei dati informatici su apposito CD a supporto delle conversazioni estratte, cui si e' apposto un sigillo, deve ritenersi che la competente Autorita' dello Stato di esecuzione abbia assolto alla funzione di assicurare il trasferimento di dati disponibili, la cui concreta attendibilita' risulta dall'insieme delle informazioni acquisite e che non viene scalfita dalle generiche deduzioni difensive, di tenore prevalentemente esplorativo, ne' dalla allegazione della sentenza della Corte di cassazione francese, allegata ai motivi nuovi, all'evidenza riferibile a tutt'altra vicenda processuale. 5. Il ricorso denuncia, tuttavia, una serie di violazioni di legge che determinerebbero, in tesi, l'inutilizzabilita', anche in fase cautelare, del contenuto delle chat, che atterrebbero alla inosservanza delle disposizioni dettate in materia di O.E.I. e che sarebbero in grado di mettere in crisi la presunzione di legittimita' dell'attivita' compiuta dall'Autorita' giudiziaria francese. 5.1. In particolare, con il primo motivo, si censura la mancata acquisizione delle informative dalle quali sarebbero stati individuati i codici IMEI e/o IMSI delle utenze ritenute in uso a (OMISSIS); e con il sesto motivo, articolandosi ulteriormente le medesime deduzioni critiche, si osserva che non sarebbe possibile utilizzare i contenuti delle comunicazioni di utenze delle quali non sia dato conoscere il loro collegamento rispetto all'indagine, analogamente a quanto avverrebbe con il divieto processuale di effettuare intercettazioni a partire da fonti anonime. In proposito, come peraltro osservato dal Tribunale del riesame, deve rilevarsi come i vizi del "percorso investigativo" che ha portato ad associare all'indagato il codice IMEI e, quindi, l'utenza utilizzata per le chat, oltre ad essere stati prospettati in maniera del tutto ipotetica e congetturale, debbano ritenersi ininfluenti rispetto all'utilizzabilita' dei dati acquisiti, una volta che sia stato comunque accertato che l'utenza era effettivamente in uso a (OMISSIS). Cio' che e' stato ritenuto riscontrato a partire dal dato, definito individualizzante dalla stessa difesa, dell'avvenuta trasmissione di messaggi e fotografie che, ritraendo alcuni oggetti poi rinvenuti in sede di perquisizione, rimandavano inequivocabilmente all'abitazione dell'indagato, rimanendo confinata all'ambito delle suggestioni l'osservazione difensiva secondo cui l'ID abbinato dal sistema di comunicazione utilizzato dall'utenza di (OMISSIS) avrebbe potuto essergli attribuito in via non esclusiva. E cio' anche a prescindere dall'argomento, richiamato dal Tribunale del riesame, secondo cui la giurisprudenza di legittimita' ritiene irrilevante, ai fini della utilizzabilita' del contenuto di conversazioni intercettate, che il numero dell'utenza utilizzata dall'indagato sia stato riferito agli inquirenti da una fonte anonima (Sez. 6, n. 39766 del 15/04/2014, Pascali, Rv. 260456-01), ne' che per il tramite di una fonte anonima sia stato effettuato dagli inquirenti il collegamento tra il soggetto da intercettare e l'utenza telefonica: profili che, sempre secondo la giurisprudenza, non rientrano nell'attivita' di ricostituzione del quadro indiziario (Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, dep. 2020, Bolla, Rv. 279555 - 03). 5.2. Infondata e' anche la tesi difensiva, dedotta con il secondo motivo, della inutilizzabilita' conseguente all'assenza in atti dei provvedimenti attraverso cui il Giudice francese aveva autorizzato l'Autorita' giudiziaria italiana all'utilizzo del materiale probatorio trasmesso. Si e' affermato, sul punto, che i due atti aventi contenuto "autorizzativo", non sarebbero riconducibili alle richieste formulate dalla Procura romana. Deve, tuttavia, rilevarsi che l'ordinanza impugnata, alle pagine 8-9, riporta i tratti essenziali dei tre provvedimenti autorizzatori, sicche', sul punto, la censura e' infondata. Quanto, poi, al fatto che il documento recante la data del 22/12/2021, non conterrebbe alcun riferimento alla richiesta italiana formulata con l'O.E.I. n. 121/21 e soprattutto non conterrebbe la precisazione che gli atti trasmessi avrebbero potuto essere utilizzati per qualsiasi procedimento pendente presso l'Autorita' giudiziaria italiana, considerato che essi verrebbero ora utilizzati in un procedimento afferente ad altra ipotesi di reato, si rileva, da un lato, che la presenza di un distinto O.E.I. si ricava dalla data, diversa dagli altri due, in cui esso era stato inviato, ovvero il 18/11/2021; e, dall'altro lato, che esso autorizzava la Procura richiedente a utilizzare i dati che le sarebbero stati trasmessi, senza limitazioni di sorta e, dunque, anche nel presente procedimento. 5.3. Quanto alla violazione, prospettata sempre con il secondo motivo, dell'articolo 3 della Direttiva Comunitaria 2014 UE, che vieta di ricorrere all'O.E.I. nei casi di "istituzione di una squadra investigativa comune" e la "acquisizione di prove nell'ambito di tale squadra", l'ordinanza impugnata ha respinto l'eccezione affermando che gli O.E.I. richiesti dalla Procura romana "non erano certamente volti all'istituzione di una squadra investigativa comune". La difesa, tuttavia, ha ribattuto che la violazione riguarderebbe il ricorso agli O.E.I. per l'acquisizione di prove ottenute nell'ambito di una squadra investigativa comune istituita in sede Europol e che cio' renderebbe inutilizzabili le chat a norma dell'articolo 191 c.p.p., tenuto conto della funzione squisitamente preventiva svolta dalle squadre investigative comuni, secondo quanto emergerebbe dalla lettura congiunta del considerando 8 della Direttiva (secondo cui "L'O.E.I. dovrebbe avere una portata orizzontale e pertanto dovrebbe applicarsi a tutti gli atti di indagine finalizzati all'acquisizione di prove. Tuttavia, l'istituzione di una squadra investigativa comune e l'acquisizione di prove nell'ambito di tale squadra richiedono disposizioni specifiche, che e' piu' opportuno disciplinare separatamente. Fatta salva l'applicazione della presente direttiva, gli strumenti esistenti dovrebbero pertanto continuare ad applicarsi a questo tipo di atto d'indagine") e dell'articolo 3 della Direttiva (secondo cui l'O.E.I. "si applica a qualsiasi atto d'indagine, tranne all'istituzione di una squadra investigativa comune e all'acquisizione di prove nell'ambito di tale squadra ai sensi dell'articolo 13 della convenzione relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell'Unione Europea (la "convenzione") e della decisione quadro 2002/465/GAI del Consiglio eccetto che ai fini dell'applicazione, rispettivamente, dell'articolo 13, paragrafo 8, della convenzione e dell'articolo 1, paragrafo 8 della decisione quadro"). In realta', l'articolo 3 della Direttiva, per le ragioni di opportunita' indicate nel considerando 8, prevede il divieto di istituire, con l'O.E.I., le squadre investigative comuni, nonche', conseguentemente, di acquisire le prove assunte nell'ambito di una squadra cosi' costituita; ma non prevede il divieto di acquisire i risultati di un'attivita' investigativa gia' compiuta, in ipotesi, anche da squadre investigative comuni; acquisizione che, stando al considerando 7, costituisce l'in se' dell'ordine d'indagine Europeo ("L'O.E.I. deve essere emesso affinche' nello Stato che lo esegue (lo "Stato di esecuzione"), siano compiuti uno o piu' atti di indagine specifici ai fini dell'acquisizione di prove. Cio' include anche l'acquisizione di prove gia' in possesso dell'autorita' di esecuzione"). Ne consegue, pertanto, l'infondatezza della relativa censura. 5.4. Parimenti infondata e' la tesi di una presunta violazione dell'articolo 6, lettera b), Direttiva UE 2014/41/UE nella parte in cui esso prevede che "l'atto o gli atti di indagine richiesti nell'O.E.I. avrebbero potuto essere emessi alle stesse condizioni in un caso interno analogo", ovvero attraverso una delle modalita' di ricerca della prova previste dal codice di procedura penale. Sul punto, l'ordinanza impugnata, a pag. 9, ha evidenziato come l'attivita' di acquisizione dei documenti informatici, consentita ai sensi dell'articolo 234-bis c.p.p., rientrasse pienamente nella competenza del Pubblico ministero e nell'ambito dell'ordinaria attivita' di direzione delle indagini di cui all'articolo 327 c.p.p.; tanto piu' che il Decreto Legislativo 21 giugno 2017, n. 108, articolo 2, comma 1, lettera a), di attuazione in Italia della direttiva, definisce l'ordine Europeo di indagine penale come il provvedimento emesso "per compiere atti di indagine o di assunzione probatoria che hanno ad oggetto persone o cose che si trovano nel territorio dello Stato o di un altro Stato membro dell'Unione ovvero per acquisire informazioni o prove che sono gia' disponibili", consentendo il ricorso a tale strumento sia rispetto agli atti di indagine, sia rispetto agli atti di acquisizione di prove gia' esistenti. La difesa opina, tuttavia, che la norma processuale di riferimento non potrebbe essere individuata nell'articolo 234 c.p.p., applicabile soltanto alla fase dibattimentale, quanto nell'articolo 254-bis c.p.p., secondo cui deve essere garantito che la "acquisizione avvenga mediante copia di essi su adeguato supporto, con una procedura che assicuri la conformita' dei dati acquisiti a quelli originali e la loro immodificabilita'". Cio' che, secondo la difesa, non sarebbe accaduto, considerata l'assenza della "copia forense" e della garanzia del c.d. codice hash e considerata la mancanza di qualunque riscontro circa l'adozione di accorgimenti volti a garantire la conformita' del dato agli originali, ne' la loro genuinita' e immodificabilita', non esistendo, nel caso di specie, alcun verbale relativo alle operazioni eseguite nella procedura che aveva consentito l'estrazione dei suddetti dati informatici dai data-set e la loro copiatura per la successiva trasmissione all'Italia, ne' come cio' fosse avvenuto (con l'indicazione dell'ufficiale di polizia giudiziaria che se ne era occupato, delle procedure o dei programmi utilizzati ecc.), posto che gli unici verbali presenti sarebbero quelli relativi alle operazioni di lettura dei contenuti dei messaggi poi eseguite dai Carabinieri di Roma. Osserva, sul punto, il Collegio che la tesi difensiva relativa all'applicabilita' dell'articolo 254-bis c.p.p. e' infondata, non essendosi al cospetto, per le ragioni ricordate, di un sequestro, quanto della acquisizione di documenti informatici avvenuta con il consenso del legittimo titolare. Diversa questione e', invece, quella relativa alla violazione delle garanzie difensive in relazione alla genuinita' del dato decrittato e alla preservazione della cd. catena di custodia. Sotto il primo profilo, va evidenziato come l'acquisizione di dati criptati presupponga l'impiego di un algoritmo o di una chiave di cifratura che ne consenta la trasformazione volta a renderlo intelligibile. Una chiave che e' abbinata, inscindibilmente, al messaggio di riferimento, con la conseguenza che, secondo la scienza informatica, non e' possibile ricavare, da una chiave errata, il messaggio decifrato, ne' che dalla chiave corretta possano ricavarsi, al contempo, parti del messaggio corrette e parti difformi dal reale (cfr. Sez. 2, n. 30395 del 21/04/2022, Chianchiano, Rv. 283454-01; Sez. 6, n. 14395 del 27/11/2019, Testa, Rv. 275534-01), potendo al piu' ricavarsi una sequenza alfanumerica o simbolica (detta stringa) priva di senso. Cio' che, in assenza di specifici e concreti elementi di segno contrario, non consente, nel presente caso, di ipotizzare l'esistenza di alterazioni o la manipolazione dei testi captati. Sotto il secondo profilo, infondata e' la deduzione difensiva circa la supposta violazione della catena di custodia, posto che quella dell'algoritmo di Hash non e' l'unica modalita' attraverso cui garantire tale catena, che nella specie e' stata preservata attraverso l'uso di supporti di memoria a tecnologia ottica non riscrivibile, come tali non modificabili, secondo quanto risulta dal verbale di trasmissione in data 22/12/2021, da cui e' emerso che i dati richiesti erano stati riversati in supporti ottici non riscrivibili (cd-rom) e trasmessi all'interno di buste sigillate antieffrazione. E cio' anche a voler prescindere dal fatto che, come gia' ricordato, l'utilizzabilita' processuale degli atti trasmessi dalle autorita' giudiziarie straniere non e' condizionata all'accertamento, da parte del giudice italiano, della loro regolarita', alla luce della gia' richiamata presunzione di legittimita' dell'attivita' svolta e spettando al giudice straniero la verifica della correttezza della procedura e l'eventuale risoluzione di ogni questione relativa alle irregolarita' riscontrate (Sez. 4, n. 19216 del 6/11/2019, dep. 2020, Ascone, Rv. 279246-02; Sez. 5, n. 45002 del 13/07/2016, Crupi, Rv. 268457-01; Sez. 2, n. 24776 del 18/05/2010, Mutari, Rv. 247750-01). 6. Le ulteriori censure svolte nel ricorso riguardano il tema, affrontato da diversi angoli visuali, di una supposta incompletezza e/o insufficienza degli elementi raccolti a fondare il giudizio di gravita' indiziaria a carico di (OMISSIS). 6.1. Sotto un primo profilo, la difesa lamenta, con il primo motivo, che il Tribunale del riesame, come gia' il Giudice della cautela, non abbiano proceduto alla acquisizione integrale delle chat. In proposito, al di la' della puntuale osservazione, svolta nell'ordinanza impugnata, secondo cui l'obbligo di trasmissione riguarda, ex articolo 309 c.p.p., comma 5, solo il materiale utilizzato per la richiesta di misura cautelare e per la sua successiva applicazione, va evidenziato come la richiesta sia stata articolata in maniera del tutto generica, non comprendendosi che cosa le parti mancanti dovrebbero dimostrare, tanto piu' alla luce dell'osservazione difensiva secondo cui le stesse chat, evidentemente conosciute dalla difesa, sarebbero state utilizzate in altro procedimento a sostegno del giudizio di gravita' indiziaria per il tentato omicidio dei fratelli (OMISSIS). E quanto alla opportunita', espressa dal Tribunale del riesame, di successivi approfondimenti al fine di comprendere l'origine di alcune alterazioni dei messaggi, con lo scambio dell'identita' dei due interlocutori, la censura difensiva circa presunte contraddizioni rispetto all'attendibilita' del dato appare ancora una volta generica, essendo rimasto indimostrato che la trascrizione delle conversazioni sia stata infedele rispetto al nucleo essenziale e significativo sul piano indiziario delle stesse. 6.2. Del tutto generico e', poi, il quarto motivo, non essendo stato chiarito quali sarebbero i vizi che riguarderebbero le conversazioni tra (OMISSIS), di cui non si comprende, dalla lettura del provvedimento, il coinvolgimento nella presente vicenda, e altri suoi non meglio identificati interlocutori, ne' quali vizi logici inficerebbero l'interpretazione del contenuto di alcuni messaggi scambiati tra lo stesso (OMISSIS) e (OMISSIS). Infatti, l'ordinanza impugnata non richiama quei dati al fine della ricostruzione dell'omicidio e del relativo movente, restando quelle intercettazioni assolutamente sullo sfondo dell'ordinanza del riesame. 6.3. Il tema dell'interesse (e, dunque, del movente) di (OMISSIS) rispetto all'esecuzione dell'omicidio si rinviene anche nel sesto motivo, ove la difesa lamenta che non sia stata acclarata la ragione per la quale l'indagato avrebbe partecipato alla sua realizzazione. Cosi' come non emergerebbe, dai dialoghi relativi all'arma e al motociclo utilizzati per l'omicidio, la consapevolezza da parte di (OMISSIS) che tali strumenti fossero destinati all'esecuzione dell'omicidio di Torvaianica e non per il tentato omicidio dei fratelli (OMISSIS). In realta', l'interesse di (OMISSIS) si evince chiaramente dal complesso della vicenda, avendo l'ordinanza ricostruito il contesto in cui era maturato l'omicidio e la partecipazione dell'indagato al gruppo criminale che aveva inteso vendicarsi contro la fazione degli albanesi dopo che costoro avevano compiuto l'attentato ai danni di (OMISSIS). E anche la consapevolezza della destinazione del motociclo e' puntualmente illustrata dal Tribunale del riesame, tanto piu' che, seguendo il ragionamento difensivo, la sovrapposizione delle conversazioni rispetto alle due azioni di sangue, tale da non consentire a di comprendere a quale di esse si riferissero, riguarda, secondo quanto riportato nello stesso ricorso, un arco temporale di soli 10 giorni. Quanto, poi, alle chat relative alle conversazioni avvenute nel mese di luglio, che la difesa non ritiene rilevanti, e' appena il caso di osservare che, in quel periodo, (OMISSIS), esecutore materiale dell'omicidio, aveva iniziato a recarsi a Torvaianica per studiare le abitudini della vittima, secondo quanto riportato nell'ordinanza impugnata. 7. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. 7.1. Non comportando la presente decisione la rimessione in liberta' del ricorrente, la Cancelleria provvedera' agli adempimenti di cui all'articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94 disp. Att. c.p.p., comma 1-ter.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FIDELBO Giorgio - Presidente Dott. VIGNA Maria S. - Consigliere Dott. DI NICOLA Paola - rel. Consigliere Dott. TRIPICCIONE Debora - Consigliere Dott. D'ARCANGELO Fabrizio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA su ricorso proposto da: Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Enna nel procedimento a carico di (OMISSIS), nato il (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 09/11/2022 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Enna; visti gli atti, l'ordinanza impugnata e il ricorso; sentita la relazione svolta dalla Consigliera Paola Di Nicola Travaglini; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Pietro Gaeta, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata e trasmissione degli atti al Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Enna per il prosieguo. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza di cui in epigrafe il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Enna, nel procedimento a carico di (OMISSIS) per il reato di cui all'articolo 572 c.p., all'esito dell'udienza fissata ex articolo 409 c.p.p., a seguito della richiesta di archiviazione avanzata dal pubblico ministero e sull'opposizione della persona offesa, disponeva che l'organo dell'accusa svolgesse, entro trenta giorni dalla notifica del provvedimento, attivita' di indagine suppletiva dettagliatamente indicate. 2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Enna, chiedendone l'annullamento per abnormita' sia sotto il profilo strutturale che sotto il profilo funzionale. Sotto il profilo strutturale in quanto il Giudice per le indagini preliminari non si e' limitato a disporre indagini suppletive, ma ha imposto all'organo dell'accusa forme e modalita' di svolgimento degli accertamenti indicando di acquisire i tabulati telefonici in violazione del Decreto Legge n. 132 del 30 settembre 2021 che ne rimette la scelta al solo pubblico ministero e attribuisce al Giudice per le indagini preliminari esclusivamente l'autorizzazione a provvedervi. Sotto il profilo funzionale, inoltre, il Giudice per le indagini preliminari ha ordinato l'acquisizione dei dati del traffico telefonico con riferimento ad un periodo antecedente alla data di consumazione del reato (marzo 2021), tanto da retrodatare temporalmente il campo investigativo, anche oltre l'ultimo biennio utile per l'acquisizione dei dati del traffico telefonico, alla luce, peraltro, della condanna dell'indagato in altro procedimento per il reato di molestie telefoniche ai danni di (OMISSIS), fatti commessi dal (OMISSIS). Infine, secondo il ricorrente il provvedimento impugnato e' carente della motivazione necessaria ai sensi dell'articolo 132 del Codice della privacy che consente l'acquisizione dei dati menzionati solo "ove rilevanti ai fini della prosecuzione delle indagini" e comunque non richiede anche l'acquisizione dei dati in uscita dall'utenza della persona offesa. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile per manifesta infondatezza. 2. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Enna denuncia l'abnormita' del provvedimento con il quale il Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, all'esito della richiesta di archiviazione avanzata dal pubblico ministero per il delitto di maltrattamenti e dell'opposizione della persona offesa, ha disposto che l'organo dell'accusa svolgesse ulteriori attivita' investigative consistenti: 1) nell'acquisizione, presso la societa' di telecomunicazione che ne ha la materiale disponibilita', dei dati di traffico telefonico in entrata sull'utenza della persona offesa (con indicazione del nominativo e del numero telefonico) ed in uscita sull'utenza telefonica in uso alla persona offesa (con indicazione del numero telefonico), per il periodo compreso tra l'1.7.2020 ed il 31.3.2021, "con la ulteriore indicazione delle celle di aggancio per le giornate del 29 e 30 marzo 2021"; 2) nell'analisi dei tabulati oggetto di indagine suppletiva, indicando il numero delle telefonate tra le due utenze nel periodo di riferimento. 2.1. In sostanza la Procura ricorrente ritiene che il giudice abbia travalicato i propri ambiti di controllo e si sia sostituito all'organo dell'accusa per avere sollecitato una precisa attivita' investigativa, quale quella dell'acquisizione dei dati del traffico telefonico sull'utenza della persona offesa, cosi' violando le prerogative ordinamentali spettanti al pubblico ministero, unico titolare dell'azione penale, e eludendo il Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 132, comma 3, per come modificato che consente soltanto al Pubblico ministero l'acquisizione della fonte di prova. 2.2. Poiche' solo un atto abnorme legittima il ricorso per cassazione avverso un provvedimento che altrimenti non sarebbe impugnabile, ai sensi della Cost., articoli 111 e 568, comma 2, c.p.p., e' necessario accertare se, nel caso di specie, il provvedimento impugnato dal pubblico ministero ed emesso dal Giudice per le indagini preliminari all'esito dell'udienza camerale di cui all'articolo 409, comma 4, c.p.p. possa qualificarsi come atto abnorme. 2.3. Per affrontare la questione posta e' necessario inquadrare la categoria dell'abnormita' nei termini delineati dalle Sezioni unite secondo le quali un atto e' abnorme quando "per la sua singolarita' si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale" (abnormita' strutturale) oppure quando "pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l'impossibilita' di proseguirlo" oppure "si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di la' di ogni ragionevole limite" (Sez. U, n. 26 del 24/11/1999, dep. 2000, Magnani, Rv. 215094; Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, Toni, Rv. 243590). Al contrario, non puo' invocarsi la categoria dell'abnormita' per giustificare la ricorribilita' immediata per cassazione di atti illegittimi, affetti solo da nullita' o comunque sgraditi e non condivisi (Sez. U, n. 33 del 22/11/2000, Boniotti, Rv. 217244). 2.4. Nel caso in esame, il Giudice per le indagini preliminari, con riferimento al delitto di maltrattamenti, ha disposto che il pubblico ministero acquisisse i dati del traffico telefonico - in entrata sull'utenza della persona offesa ed in uscita sull'utenza in uso all'indagato - con indicazione del periodo e delle celle di aggancio, e svolgesse l'analisi dei tabulati, con quantificazione del numero di telefonate. Si tratta, all'evidenza, di un provvedimento che non si e' limitato a delineare i soli "temi di indagine", ma ha individuato, pur in modo specifico, le indagini suppletive utili ai fini del decidere. Questo, pero', non si traduce affatto in una abnormita' nei termini prospettati dal ricorso, non solo perche' l'articolo 409, comma 4, c.p.p., sotto il profilo testuale, consente al giudice di indicare "ulteriori indagini", senza stabilirne il livello di dettaglio o meno, ma anche perche', attraverso detta attivita', non avviene, alcun travalicamento dei poteri di controllo sul corretto esercizio dell'azione penale che sono propri del giudice, specialmente in questa fase e alla luce del contraddittorio tra le parti, sollecitato proprio dalla persona offesa, all'esito della sua opposizione all'archiviazione. Non si puo' di certo negare che appartenga proprio al ruolo della giurisdizione accertare gli ambiti di integrazione probatoria non percorsi dal pubblico ministero, e questo non per sostituirvisi, ma per evitare che non si provveda ad esplorare tutti gli ambiti utili al soddisfacimento di un'indagine completa, pur nei limiti della fase oggetto di esame. 2.5. Detta esigenza vale, a maggior ragione, in relazione a reati, quale quello contestato nella specie, di violenza contro le donne, in cui il delimitato ruolo di controllo procedimentale del giudice sull'organo dell'accusa non puo' essere letto, come emerge dal ricorso, in una chiave di competizione, alterazione o sconfinamento tra poteri delle diverse autorita' giudiziarie, ma nell'unico superiore interesse ordinamentale ed istituzionale che consiste nell'evitare che le indagini siano inadeguate e lacunose. Tra l'altro, va considerato che, rispetto a reati come la violenza domestica, la cornice anche sovranazionale impone allo Stato precisi obblighi di garanzia, adeguatezza e tutela, proprio nella fase investigativa in cui si opera la valutazione dei rischi di letalita', per come previsto dagli articoli 18, 50 e 51 della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata con L. 27 giugno 2013, n. 77, specialmente a seguito delle plurime condanne dell'Italia da parte della Corte EDU per attivita' di indagine risultate non celeri e non adeguate (par. 106 della sentenza Talpis contro Italia del 2 marzo 2017; parr. 82 e ss. della sentenza Landi contro Italia del 7 aprile 2022; parr. 88 e ss. della sentenza De Giorgi contro Italia del 16 giugno 2022). In sostanza, l'ordinamento processuale prevede, attraverso un organo terzo ed imparziale, un ulteriore presidio di controllo sulla completezza investigativa per evitare quella che, la Corte EDU, ha definito "passivita' giudiziaria" (sentenza Landi contro Italia del 7 aprile 2022). Peraltro, l'acquisizione dei dati del traffico telefonico e' strettamente connessa al tipo di delitto nella specie contestato e, insieme all'indicazione delle celle di aggancio, costituisce una modalita' ordinaria attraverso la quale verificare l'attendibilita' della persona offesa e operare l'indispensabile valutazione del rischio per delineare il contesto complessivo delle condotte denunciate. Si tratta di elementi necessari al giudice, specie alla luce dell'irrevocabilita' del decreto penale di condanna per molestie telefoniche emesso nei confronti dello stesso indagato nei confronti della medesima vittima poco tempo prima, come segnalato dallo stesso ricorso. Detta acquisizione, peraltro, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, non altera la sequenza delineata dal Decreto Legge n. 132 del 30 settembre 2021, come temuto dal Pubblico ministero, in quanto, comunque, resta affidato al giudice il potere di vagliarne successivamente la richiesta, a fronte di un organo dell'accusa che non vi ha provveduto. Inoltre, la censura sul dato temporale della disposta acquisizione dei tabulati, comprensiva anche di una frazione di condotta oggetto di un decreto penale di condanna emesso nei confronti del medesimo soggetto, per il meno grave reato di molestie, e' questione che sara' valutata successivamente dall'organo decidente ed attiene all'inutilizzabilita' delle indagini e non alla questione dell'abnormita' del provvedimento che la dispone. 3. In conclusione, non e' abnorme, perche' rientra nei suoi poteri, l'ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari, in esito all'udienza camerale fissata a seguito di opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione per il delitto di maltrattamenti contro familiari, indichi al pubblico ministero tra le indagini necessarie, anche ai fini della valutazione del rischio, l'acquisizione dei dati del traffico telefonico con indicazione delle celle di aggancio. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SABEONE Gerardo - Presidente Dott. CATENA Rossella - Consigliere Dott. PISTORELLI Luca - Consigliere Dott. CAPUTO Angelo - rel. Consigliere Dott. GIORDANO Rosaria - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 29/09/2021 della CORTE APPELLO di PALERMO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ANGELO CAPUTO; Rilevato che le parti non hanno formulato richiesta di discussione orale Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, ex articolo 23, comma 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato, quanto alla disciplina processuale, in forza del Decreto Legge 30 dicembre 2021, n. 228, articolo 16 convertito, con modificazioni, nella L. 25 febbraio 2022, n. 15. Lette la requisitoria scritta ex articolo 23, comma 8, cit. del Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione Giuseppe Riccardi, che ha concluso per il rigetto del ricorso, nonche', per il ricorrente, le conclusioni dell'Avv. (OMISSIS), nel senso dell'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza deliberata il 29/09/2021, la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza del 15/10/2019 con la quale il Tribunale di Sciacca, per quanto e' qui di interesse, aveva dichiarato (OMISSIS) responsabile del reato di tentata violenza privata (per aver minacciato a (OMISSIS) un male ingiusto per impedirle di esibire a terzi fotografie oscene dell'imputato sul balcone, non essendosi verificato l'evento perche' la persona offesa denunciava l'accaduto producendo le foto) e lo aveva condannato alla pena di mesi 6 e giorni 10 di reclusione e al risarcimento dei danni a favore della parte civile. 2. Avverso l'indicata sentenza della Corte di appello di Palermo ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), attraverso il difensore Avv. (OMISSIS), articolando tre motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 2.1. Il primo motivo denuncia violazione dell'articolo 610 c.p., in quanto l'imputato voleva impedire una condotta illecita, quale l'esibizione di foto ritraenti nudita' in violazione della privacy. 2.2. Il secondo motivo denuncia inosservanza degli articoli 133, 62-bis e 56 c.p. e omesso esame dei motivi di appello, non avendo la sentenza impugnata motivato sul diniego delle circostanze attenuanti generiche, sulla determinazione della pena e sulla diminuzione della pena per il tentativo nella misura solo di un terzo. 2.3. Il terzo motivo denuncia inosservanza degli articoli 541 e 598 c.p.p. in relazione alla condanna alla rifusione delle spese della parte civile. 3. Con requisitoria scritta Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, ex articolo 23, comma 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione Giuseppe Riccardi ha concluso per il rigetto del ricorso. Il difensore del ricorrente, Avv. (OMISSIS), ha concluso per l'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' solo in parte fondato. 2. Il primo motivo e' inammissibile, per plurime, convergenti ragioni. Sotto un primo profilo e' manifestamente infondato, avendo messo in luce il giudice di appello l'uso lecito fatto dalla persona offesa delle foto scattate mentre l'imputato si masturbava sul suo balcone (situato di fronte a quello di (OMISSIS)). Peraltro, il motivo risulta reiterativo delle censure gia' dedotte in appello e puntualmente disattese dalla Corte di merito, dovendo le stesse essere considerate, pertanto, non specifiche ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere alla tipica funzione di una critica argomentata alla sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710; conf., ex plurimis, Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone, Rv. 243838; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, Giagnorio, Rv. 231708). 3. Il secondo motivo e' manifestamente infondato, in quanto, motivando a proposito del diniego dell'applicazione della causa di non punibilita' di cui all'articolo 131-bis c.p., la Corte di appello ha rimarcato la gravita' della condotta dell'imputato e delle reiterate minacce rivolte alla persona offesa, elementi all'evidenza valorizzati anche nella formulazione del giudizio di congruita' della pena. 4. Il terzo motivo e' invece, fondato. Premesso che dalla sentenza impugnata risulta l'assenza della parte civile e del suo difensore nel giudizio di appello, mentre non risulta svolta attivita' difensiva (ad esempio, attraverso memorie), questa Corte ha precisato che la condanna alle spese processuali, a norma dell'articolo 541 c.p.p., trova il suo fondamento nell'esigenza di evitare una diminuzione patrimoniale alla parte che ha dovuto svolgere un'attivita' processuale per ottenere il riconoscimento e l'attuazione del suo diritto; ne consegue che essa non puo' essere pronunziata in favore della parte civile vittoriosa che non abbia partecipato al giudizio d'appello, poiche' essa, non avendo espletato alcuna attivita' processuale, non ha sopportato spese al cui rimborso abbia diritto (Sez. 2, n. 6965 del 18/10/2018, dep. 2019, Di Bartolo, Rv. 275524). Del resto, e' costante indirizzo di questa Corte la mancata liquidazione delle spese a favore delle parti civili, che si siano limitate a trasmettere solo conclusioni scritte senza svolgere un'effettiva attivita' difensiva volta a contrastare l'avversa pretesa a tutela dei propri interessi di natura civile risarcitoria, fornendo un utile contributo alla decisione (cfr. Sez. U, n. 5466 del 28/01/2004, Gallo, Rv. 226716); sicche', a fortiori, la rifusione non puo' essere disposta in caso di assenza nel giudizio di appello e mancato svolgimento di attivita' difensiva. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla condanna dell'imputato alla rifusione delle spese in favore della parte civile, condanna che elimina. Inammissibile il ricorso nel resto. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MICCOLI Grazia - Presidente Dott. GUARDIANO Alfredo - Consigliere Dott. ROMANO Michele - rel. Consigliere Dott. BRANCACCIO Matilde - Consigliere Dott. FRANCOLINI Giovanni - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS) nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 13/07/2021 della CORTE APPELLO di ROMA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere MATILDE BRANCACCIO; udito il Sostituto Procuratore Generale KATE TASSONE che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' del ricorso. udito il difensore, l'avvocato (OMISSIS), che si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza della Corte d'Appello di Roma impugnata si e' confermata la decisione di primo grado, resa in esito a rito abbreviato, con cui (OMISSIS) e' stato condannato alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione, ritenuta la continuazione, in relazione ai reati di atti persecutori (articolo 612-bis c.p.) e diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (articolo 612-ter c.p.), commessi ai danni di (OMISSIS), gia' legata all'imputato da una relazione sentimentale extraconiugale. Secondo quanto accertato dai giudici di merito, (OMISSIS), insofferente alla decisione della vittima di troncare il rapporto sentimentale con lui, ha preso a molestare e minacciare ripetutamente l'incolumita' di costei e ad ingiuriarla, nonche' a prospettare di rivelare tutto ai suoi due figli ed al marito, attuando poi il proposito, con l'invio ai primi, oltre che di messaggi offensivi nei confronti della madre, di foto dai contenuti sessualmente espliciti (una la ritraeva, a seno nudo, nell'atto di mimare un bacio definito "erotizzante", foto trasmessa tramite messaggistica telefonica anche ad un'amica della donna). Da tale comportamento e' derivato un grave stato d'ansia della persona offesa ed un radicale mutamento delle sue abitudini di vita, con l'interruzione della convivenza matrimoniale e la necessita' per la vittima del reato di andare a vivere dalla madre. 2. Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso l'imputato, tramite il difensore di fiducia, articolando quattro diversi motivi di censura. 2.1. Il primo argomento difensivo eccepisce violazione di legge in relazione al rigetto, da parte della Corte d'Appello, della richiesta difensiva di rinnovazione dell'istruttoria mediante perizia informatica sui telefoni cellulari dell'imputato, sull'erroneo presupposto di condividere la motivazione del giudice di primo grado circa il fatto che si trattasse di una prova non integrativa, incompatibile con la scelta del rito abbreviato. Il ricorrente, nel motivo di ricorso, in realta', deduce l'insufficienza del quadro indiziario a suo carico, in particolare per il reato di cui all'articolo 612-ter c.p., e ribadisce la necessita' che si assumesse la perizia sui dati informatici telefonici, per accertare l'esistenza di messaggi tra lui, la vittima ed i familiari ed amici di costei. 2.2. Il secondo argomento difensivo denuncia violazione di legge in relazione all'affermazione di responsabilita' del ricorrente per il delitto di cui all'articolo 612-ter c.p., in violazione del canone dell'al di la' di ogni ragionevole dubbio. La tesi difensiva e' che non vi sarebbe certezza probatoria del fatto che sia stato lui a diffondere la foto a seno nudo della vittima, inviandola ai figli e ad un'amica di lei, e che le dichiarazioni della persona offesa non sarebbero precise ne' avrebbero attendibilita' certa; inoltre, non sono stati sentiti entrambi i figli di costei, ma solo uno di loro. Il motivo si concentra, poi, sulla ricostruzione di canoni interpretativi per la valutazione degli indizi e della prova dichiarativa in generale. 2.3. La terza eccezione difensiva denuncia l'insussistenza degli elementi costitutivi del delitto di atti persecutori, sulla base dei risultati della prova dibattimentale, avuto riguardo al mancato verificarsi degli eventi del reato contestati: la vittima non sarebbe caduta in uno stato d'ansia grave; non avrebbe avuto timore per la sua incolumita' ne' avrebbe cambiato abitudini di vita in ragione del comportamento dell'imputato. La denuncia della persona offesa e' generica e imprecisa rispetto a fatti concreti addebitabili al ricorrente e non idonea a consolidare, insieme alle altre prove in atti, la sua colpevolezza per il delitto di stalking, sulla base dei canoni interpretativi stilati dalla giurisprudenza di legittimita'. 2.4. Un ulteriore, quarto motivo di censura affronta nuovamente il tema della insufficienza della prova relativa al fatto che il ricorrente sia colui il quale ha diffuso la foto sessualmente esplicita della vittima, inviandola a terze persone (i figli di lei ed una sua amica). In particolare, si sottolinea che non e' stato accertato documentalmente in dibattimento l'invio di tale foto ai figli della persona offesa (poiche' il telefono della donna era stato distrutto dal marito ed il figlio (OMISSIS) l'aveva subito cancellata) e che l'invio all'amica di lei, (OMISSIS), era stato fatto dalla sorella di quest'ultima e non direttamente dall'imputato. Inoltre, la relazione del consulente tecnico della difesa ha dimostrato che la fotografia era stata inviata spontaneamente dalla vittima al ricorrente, ricorre, quindi, la seconda ipotesi dell'articolo 612-ter c.p., che incrimina chi riceve o comunque acquisisce da altri immagini o video a contenuto sessualmente esplicito solo se con l'intento di recare nocumento alle persone rappresentate nei video o nelle fotografie destinati a rimanere privati; e' necessario, dunque, un dolo specifico, che nella specie non risulta. Inoltre, il ricorrente non ha voluto far circolare l'immagine della vittima, ma l'ha solo inviata al figlio della donna, nella consapevolezza che questi mai ne avrebbe proseguito la divulgazione. Infine, a giudizio del ricorrente, una foto a seno nudo di una donna, che mimi il gesto di un bacio serrando le labbra, non puo' ritenersi oggettivamente di contenuto sessualmente scandaloso o lascivo: per immagini sessualmente esplicite, in altre parole, dovrebbero intendersi soltanto quelle raffiguranti atti sessuali ovvero organi genitali. 2.5. In vista dell'udienza sono stati depositati motivi aggiunti dal difensore dell'imputato, con i quali si ribadiscono le ragioni del ricorso e si risponde al PG. 3. Il PG Andrea Venegoni ha chiesto l'inammissibilita' o l'infondatezza del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' complessivamente infondato e deve essere rigettato. 2. Il primo motivo di censura che propone la difesa del ricorrente, centrato sulla mancata adesione alla richiesta di perizia integrativa del rito abbreviato, volta ad analizzare i contenuti dei telefoni cellulari del ricorrente, sul presupposto della loro rilevanza ai fini della decisione, e' manifestamente infondato ed anche formulato secondo schemi di censura sottratti al sindacato di legittimita', sia per l'orizzonte decisorio evocato - che attinge valutazioni di merito non consentite in sede di giudizio di legittimita', riguardo alla consistenza del quadro probatorio derivante dall'accesso al rito abbreviato, senza che possa essere rilevata una qualche aporia motivazionale della sentenza impugnata - sia per la genericita' delle deduzioni proposte, aspecifiche riguardo alla decisivita' della prova richiesta. E difatti, quanto a tale secondo aspetto di verifica, il Collegio evidenzia che, dalle sentenze di primo e secondo grado, conformi e ampiamente e piu' che adeguatamente motivate (in particolare, la decisione del GIP di Latina, in esito al rito abbreviato, si distingue per la precisione logico-ricostruttiva), emerge un tessuto di prova del reato costruito intorno alle prove dichiarative, molteplici e coerenti tra loro, valutate attendibili e reciprocamente riscontratesi, che il ricorso non scalfisce nella loro valenza, ma delle quali tende a prospettare una inammissibile rivalutazione, attraverso l'argomento incidentale della perizia tecnica rigettata, perizia che neppure si spiega precisamente cosa avrebbe dovuto provare a confutazione dei risultati delle dichiarazioni precise e concordanti in atti, risolvendosi in una richiesta "esplorativa" di validazione di dette dichiarazioni. Peraltro, e' lo stesso ricorso che, a pag. 27, finisce con l'ammettere l'oggetto centrale della richiesta di perizia, vale a dire l'invio (con relativi tempi e modalita'), ai figli della persona offesa da parte dell'imputato, di foto che ritraevano la madre, tra l'altro, a seno nudo (cio' facendo nel tentativo di sostenere la tesi dell'invio non finalizzato alla diffusione e di evitare l'affermazione di colpevolezza per il delitto di cui all'articolo 612-ter c.p.) Infine, il motivo mal si confronta con la giurisprudenza di legittimita' in tema di possibilita' di richiedere prova integrativa nell'ambito del giudizio abbreviato, che, anzitutto, come ben interpretato dalla sentenza impugnata, afferma, ai fini dell'ammissione al giudizio abbreviato condizionato, che la necessita' dell'integrazione probatoria e' configurabile quando la prova richiesta abbia i requisiti della novita' e decisivita', e, pertanto, presuppone, da un lato, l'incompletezza di un'informazione probatoria in atti, e, dall'altro, una prognosi di oggettiva e sicura utilita', o idoneita', del probabile risultato dell'attivita' istruttoria richiesta ad assicurare il completo accertamento dei fatti del giudizio (cosi', Sez. 2, n. 10235 del 10/11/2020, dep. 2021, Fragala', Rv. 280990; Sez. 5, n. 600 del 14/11/2013, dep. 2014, V., Rv. 258676; Sez. 6, n. 11558 del 23/1/2009, Trentadue, Rv. 243063). Del resto, rimane ancora valido il canone valutativo di ammissibilita' dettato dalle Sezioni Unite, sia pur in tempi non recenti, secondo cui, in tema di giudizio abbreviato, la prova sollecitata dall'imputato con la richiesta condizionata di accesso al rito, che deve essere integrativa e non sostitutiva rispetto al materiale gia' raccolto ed utilizzabile, puo' considerarsi "necessaria" quando risulta indispensabile ai fini di un solido e decisivo supporto logico-valutativo per la deliberazione in merito ad un qualsiasi aspetto della "regiudicanda" (Sez. U, n. 44711 del 27/10/2004, Wajib, Rv. 229175; da ultimo, conforme Sez. 1, n. 10016 del 13/7/2018, dep. 2019, Maxim, Rv. 274920). Inoltre, e' altrettanto consolidato il principio di diritto secondo cui la finalita' di economia processuale (rapportate al giudizio ordinario dibattimentale, come rammentano le Sezioni Unite Wajib) costituisce un ulteriore parametro di verifica della ammissibilita' della prova integrativa richiesta, in coerenza con gli obiettivi del rito alternativo previsto dagli articoli 438 e ss. c.p.p. (in tal senso si muovono, toccando ulteriori, piu' specifici profili, le decisioni Sez. 3, n. 3993 del 1/12/2020, dep. 2021, Trapanese, Rv. 280873; Sez. 3, n. 7961 del 13/1/2011, Troiani, Rv. 249387; Sez. 1, n. 5942 del 26/11/2008, dep. 2009, Malku, Rv. 243344). 2.1. Orbene, la Corte d'Appello, e prima ancora il giudice del Tribunale, hanno orientato la loro decisione, riguardo alla richiesta difensiva, in coerenza ai richiamati caratteri di novita', decisivita' e rispetto della finalita' di economia processuale che sovrintendono all'ammissibilita' della prova integrativa nel giudizio abbreviato. Si legge, invero, nelle ragioni argomentative dell'analogo motivo di censura, e della nuova richiesta istruttoria, proposti in appello: "..la prova richiesta non risultava una prova meramente integrativa..ponendosi in una logica di apertura di una fase dialettica tipica del dibattimento del tutto incompatibile con la scelta del rito abbreviato. In particolare, attraverso la perizia sul cellulare si intende da parte dell'appellante introdurre la prova della correttezza dei rapporti tra le parti, dell'assenza di un tenore e contenuto ingiurioso ed offensivo delle conversazioni con la persona offesa ovvero raggiungere la prova che ribalterebbe il quadro probatorio acquisito durante le indagini attraverso le dichiarazioni della persona offesa e riscontri acquisiti alle sue dichiarazioni.. Per tali ragioni, ed anche in considerazione della esaustivita' del quadro probatorio, deve essere rigettata la richiesta di perizia informatica avanzata dall'appellante.". Una simile motivazione corrisponde alle verifiche di ammissibilita' della prova integrativa da "abbreviato condizionato" gia' enunciate; cosi' come corretto, alla luce di tali premesse, appare l'esito cui le decisioni di merito sono giunte, tanto piu' che - come pure e' stato messo in risalto - i contenuti della perizia ripercorrono dati di prova gia' certi ed inequivoci, per la presenza di plurime dichiarazioni reciprocamente riscontrantesi e di documenti in atti (gli screenshot dei telefoni, ad esempio, che cristallizzano i contenuti dei messaggi e le foto), mentre, sotto il profilo del reato di cui all'articolo 612-ter c.p., la stessa ammissione da parte della persona offesa di aver inviato lei stessa i "selfie" poi purtroppo da lui diffusi in modo malevolo, come si precisera' di qui a poco, rende oltremodo evidentemente inutile la perizia per la verifica di circostanze gia' acquisite anche nel senso auspicato dalla difesa. Il motivo, pertanto, all'esito dell'analisi ermeneutica condotta, e' inammissibile sotto piu' aspetti (manifesta infondatezza e genericita'), nonche', conclusivamente, poiche' la motivazione della sentenza impugnata con cui si e' rigettata nuovamente la richiesta di prova integrativa del rito abbreviato, vista la sua logicita' e doviziosa ragione argomentativa, e' insindacabile in sede di legittimita'. Il Collegio aderisce, invero, all'orientamento secondo cui la valutazione sull'inammissibilita' dell'integrazione probatoria nel rito abbreviato, verificati i presupposti dell'incompletezza di un'informazione probatoria in atti e della prognosi di positivo completamento del materiale a disposizione per il tramite dell'attivita' integrativa, e' insindacabile in sede di legittimita' se congruamente e logicamente motivata (cfr. Sez. 2, n. 5229 del 14/1/2009, Massaroni Gabrieli, Rv. 243282, con cui si e' precisato che il rito speciale non deve comunque essere illegittimamente piegato per attivare in maniera surrettizia il meccanismo del contraddittorio, in contrasto con la natura del giudizio abbreviato che prevede una decisione allo stato degli atti; Sez. 2, n. 43329 del 18/10/2007, Mirizzi, Rv. 238833); con efficace sintesi, il principio e' espresso, dalla massima della citata Sez. 6, n. 11558 del 23/1/2009, Trentadue, secondo cui in tema di rito abbreviato, le valutazioni circa l'attivita' integrativa, qualora congruamente e logicamente motivate, sono insindacabili in sede di legittimita'. 3. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso (che prospettano l'insussistenza degli elementi di prova per giungere all'affermazione di colpevolezza dell'imputato, rispetto ad entrambi i reati contestatigli) sono anch'essi inammissibili, poiche' manifestamente infondati, oltre che meramente rivalutativi della prova in atti e costruiti secondo logiche di censura "in fatto", non consentite in sede di legittimita'. Si e' gia' anticipato, invero, che sono precluse alla Cassazione - a meno che non si rivelino fattori di manifesta illogicita' della motivazione del provvedimento impugnato - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita' esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., tra le piu' recenti, Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482). 3.1. Nel caso di specie, la Corte d'Appello, coerentemente a quanto affermato dal giudice di primo grado, sicche' il sindacato di legittimita' si innesta su una doppia pronuncia "perfettamente" conforme nei contenuti e nell'esito, ha ampiamente e soddisfacentemente argomentato, quanto al reato di atti persecutori, in particolare, sull'attendibilita' della persona offesa, in termini di chiarezza, precisione ed assenza di interesse economico all'accusa, non essendosi costituita neppure parte civile nel processo; le sue dichiarazioni, peraltro, sono riscontrate in tutte le parti essenziali dai figli, coinvolti nelle condotte delittuose dell'imputato e da reputarsi, allo stesso modo, assolutamente attendibili nel contesto dato (come del tutto convincentemente ha pure sottolineato la sentenza impugnata); dall'amica (OMISSIS) e dagli screenshot dei messaggi offensivi inviati dall'imputato. La vicenda, sulla base di tali prove, e' chiaramente ricostruita: la vittima, nel marzo 2019, ha iniziato una relazione extraconiugale con l'imputato che poi ha deciso di interrompere definitivamente intorno alla fine di settembre dello stesso anno; il ricorrente, non accettando la decisione unilaterale di interrompere la relazione, ha messo in campo una serie di condotte di ingiuria e minaccia tramite messaggi telefonici insistenti ed ossessivi, in particolare prospettando di rendere nota ai suoi familiari la relazione extraconiugale e di rovinare la vita familiare alla vittima, tanto che costei ha "bloccato" il contatto con la sua utenza telefonica; il ricorrente, a quel punto, ha coinvolto nella campagna persecutoria anche i figli della vittima, uno dei quali, all'epoca minorenne, inviando loro, via messaggistica telefonica e tramite "facebook", frasi offensive sulla madre e sul padre, nonche' alcune foto; tra queste, una che riprendeva la donna a seno nudo; infine, l'imputato si e' appostato anche un giorno presso l'azienda agricola della persona offesa (che ha raccontato di essere rimasta fortemente turbata da cio') ed ha contattato il marito, piu' volte, svelandogli il tradimento, tanto che questi ha invitato la moglie a lasciare la dimora familiare. Le foto a seno nudo, peraltro, sono state inviate dal ricorrente, secondo quanto accertato nei giudizi di merito, anche alla sorella di (OMISSIS), che poi le aveva girate a costei, per informarla di quanto stava accadendo. La condotta posta in essere assume senza dubbio i caratteri di tipicita' del delitto di atti persecutori, poiche' si tratta di evidenti manifestazioni di molestia continuata da parte del ricorrente, ai danni della vittima e dei suoi familiari anche, accompagnate dalla minaccia, anche questa ripetuta nel tempo e poi realizzata, di un male ingiusto costituito dalla rivelazione della relazione extraconiugale al marito ed ai figli della persona offesa, funzionale a danneggiare l'immagine della persona offesa (del resto, i messaggi, anche quelli con i quali venivano accompagnate le foto, contenevano tutti ingiurie ed epiteti offensivi per l'onore della vittima) ed a rovinare la sua vita familiare. Quanto agli eventi del reato, come noto, il delitto di cui all'articolo 612-bis cod. cen. si configura e consuma al verificarsi anche di uno solo degli eventi alternativi previsti dalla disposizione incriminatrici, eventi ciascuno dei quali e' idoneo a realizzare il reato (cfr. Sez. 5, n. 43085 del 24/9/2015, A., Rv. 265231; Sez. 5, n. 29782 del 19/5/2011, L., Rv. 250399; Sez. 5, n. 34015 del 22/6/2010, De Guglielmo, Rv. 248412) e che disegnano la tipicita' oggettiva della fattispecie di staiking e si realizzano "per accumulo" di condotte reiterate, le quali integrano minacce e molestie verso taluno, tanto da provocargli un grave stato d'ansia o di paura, ovvero da ingenerare fondato timore per l'incolumita' propria o di un prossimo congiunto ovvero ancora da costringere la vittima ad alterare le proprie abitudini di vita. Ebbene, la persona offesa ha chiaramente descritto le condotte vessatorie subite morbosamente ed ossessivamente dall'imputato: offese ripetute, indirizzate anche ai suoi figli ed al marito, e minacce di interferire con la vita familiare della vittima, per turbarne la tranquillita' esistenziale; con la stessa precisione e trasparenza narrativa ha descritto le conseguenze di tali condotte: l'esasperazione e la paura, il grave stato d'ansia e lo squilibrio psicologico riportati dalla vicenda. Peraltro, secondo la pacifica opzione della giurisprudenza questa Corte di legittimita' - il realizzarsi di uno degli eventi alternativi descritti dalla fattispecie di atti persecutori e' evincibile in ogni caso (anche) dal complesso degli elementi fattuali altrimenti acquisiti e dalla condotta stessa dell'agente per come risulta accertata, senza neppure che sia necessario che la vittima prospetti tali eventi espressamente o li descriva con esattezza (Sez. 5, n. 57704 del 14/9/2017, P., Rv. 272086; Sez. 5, n. 47195 del 6/10/2015, S., Rv. 265530). Ed e' indubbio che il complessivo snodarsi della vicenda attesti l'idoneita' oggettiva dei comportamenti realizzati dall'imputato a realizzare gli eventi suddetti, costituiti da un numero rilevantissimo di messaggi molesti e offensivi (ma anche telefonate) all'indirizzo della vittima, particolarmente provata psicologicamente da tali condotte, cosi' come fortemente turbati e prostrati erano i suoi due figli, destinatari anche loro di messaggi analoghi: la motivazione della sentenza impugnata e quella di primo grado mettono in evidenza la condizione dei ragazzi, sottolineando che avevano dovuto "bloccare" il contatto dell'imputato. Di sicura valenza oggettiva, ai fini della configurabilita' degli eventi del reato, le chiamate al marito della persona offesa, per informarlo della relazione exatraconiugale e raccontargli particolari, cui e' seguito l'allontanamento dalla casa familiare della vittima. Alla luce dell'evidenza probatoria in atti, si riducono a mere asserzioni apodittiche le affermazioni difensive secondo le quali la vittima non sarebbe caduta in uno stato d'ansia grave; non avrebbe avuto timore per la sua incolumita' ne' avrebbe cambiato abitudini di vita in ragione del comportamento dell'imputato. 3.2. Quanto ai motivi (il secondo, ma anche la prima parte del quarto) dedicati a sostenere che non sia stato l'imputato ad inviare le foto ai figli ed all'amica della vittima, ai fini della sua inammissibilita', valgano le stesse considerazioni sull'attendibilita' della prova dichiarativa in atti gia' svolte al paragrafo precedente e, in aggiunta, si consideri l'evidente formulazione generica, oltre che in fatto, del motivo di ricorso, con cui si enunciano orientamenti ermeneutici sulla valutazione della prova indiziaria, evocando il canone dell'oltre ogni ragionevole dubbio senza confronto con gli argomenti della sentenza impugnata, che hanno accertato la assoluta affidabilita' della ricostruzione processuale con cui si e' attribuita al ricorrente la condotta rilevante ai fini dell'articolo 612-ter c.p.., ne' rileva la distruzione del telefono della vittima, da parte del marito. 4. Il quarto argomento di censura riprende, in parte, le questioni gia' sollevate con il secondo motivo di ricorso e punta a sostenere la non configurabilita', nel caso di specie, del delitto previsto dall'articolo 612-ter c.p.. Le ragioni difensive, tuttavia, non hanno fondamento. 4.1. Collegando le motivazioni dei due provvedimenti decisori di merito, emerge che il ricorrente e' stato condannato per l'ipotesi delittuosa prevista dal comma 2 dell'articolo 612-ter c.p., - che punisce chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video a contenuto sessualmente esplicito destinati a rimanere privati, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento - con l'indicazione degli esatti presupposti di fattispecie (in particolare, nella sentenza di primo grado, cui quella d'appello si richiama espressamente quanto alle "giuste e corrette considerazioni in diritto": cfr. pag. 3). La disposizione, introdotta dalla L. 10 luglio 2019, n. 69, prevede, al comma 1, il reato di chi invia, consegna, cede, pubblica o diffonde, senza il consenso delle persone rappresentate, immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, dopo averli realizzati o sottratti, e, al comma 2, estende l'area di rilevanza penale anche alle condotte di chi, avendo solo ricevuto o comunque acquisito, magari anche dalla persona direttamente protagonista (come accaduto nel caso di specie, in cui la ricezione pur si innesta su di un rapporto sentimentale esistente tra vittima e autore del reato), le immagini e/o i video predetti, pone in essere le medesime azioni "diffusive", sempre senza il consenso di coloro i quali sono ritratti nelle immagini o video e, altresi', con l'espressa richiesta della "finalita' di recare loro nocumento", che suggella la proiezione del legislatore verso la necessita' di richiedere, per la fattispecie di reato prevista all'articolo 612-ter, comma 2, c.p., il dolo specifico. Fatta tale premessa e segnalata l'ampiezza del presupposto oggettivo del reato, che fa riferimento a chi abbia "anche solo ricevuto o comunque acquisito" le immagini o i video a contenuto sessualmente esplicito poi diffusi (in cui puo' rientrare, dunque, anche la fattispecie in esame), le eccezioni del ricorrente, riferite alla possibilita' o meno di ritenere configurabile l'ipotesi delittuosa da ultimo citata - in qualche modo evocata anche rispetto al tema dell'acquisizione tramite invio volontario da parte della stessa vittima, aspetto che, tuttavia, non costituisce spunto per motivi specifici di ricorso - si risolvono essenzialmente nella posizione di tre questioni: a) se l'invio della foto al figlio (rectius ai figli) della vittima abbia una connotazione "diffusiva", visto che l'imputato, inoltrandogliela, aveva la certezza che questi non l'avrebbe a sua volta diffusa; b) se sussista, nel caso di specie, il dolo specifico di aver agito con la finalita' di recare nocumento alla persona offesa; c) se possa essere ricompresa nella categoria delle "immagini a contenuto sessualmente esplicito" la foto che ritrae la vittima a seno nudo, mentre mima un bacio serrando le labbra, che, secondo la difesa, non rientra nella tipicita' penale, che ricomprenderebbe soltanto le immagini che raffigurano organi genitali ovvero atti sessuali. Ebbene, nessun pregio ha la prima delle questioni poste, manifestamente infondata, anzitutto, poiche' e' evidente che integra un "invio" rilevante ai fini della configurabilita' del delitto di cui all'articolo 612-ter c.p. quello che venga effettuato "verso chiunque", purche' senza il consenso della persona ritratta, da parte di chi, "in qualsiasi modo" fatte salve le condotte che rientrano nella sfera di operativita' del comma 1 della disposizione - abbia acquisito l'immagine o il video a contenuto sessualmente esplicito. Il reato, infatti, e' configurabile come istantaneo, secondo la lettera normativa, e si consuma nel momento in cui avviene il primo invio dei contenuti sessualmente non importa se diretto a familiari della vittima, che possano, eventualmente, avere interesse a non alimentare una successiva diffusione. In realta', con il primo invio, la diffusione e' gia' avvenuta, per quanto stabilito dalla disposizione incriminatrice, che non fa questione di reiterazione della condotta diffusiva ne' "quantifica" o qualifica in alcun modo la diffusione lesiva del bene protetto; il reato e' inserito tra quelli a tutela della liberta' morale individuale e si rivolge alla sfera di intimita' personale e della privacy, intesa quale diritto a controllare l'esposizione del proprio corpo e della propria sessualita', in un'ottica di autodeterminazione della sfera sessuale individuale. Nella specie, peraltro, il motivo di ricorso e' anche in parte generico, poiche', come si e' gia' evidenziato, oltre che ai figli della vittima, la foto che ritraeva costei in parte nuda e nell'atto di mimare un bacio, qualificato come "erotizzato" (con le labbra serrate) dalla sentenza impugnata, e' stata diffusa anche ad una terza persona (raggiungendo l'imputato un'amica della vittima). La seconda questione posta, strettamente collegata alla prima, e' priva di fondamento: il dolo specifico del reato previsto dal comma 2 dell'articolo 612-ter c.p. e' stato diffusamente richiamato, in fatto, dalla sentenza impugnata e da quella conforme di primo grado e, in parte, e' ammesso dallo stesso ricorso, poiche' risulta accertato che l'invio della foto a seno nudo della vittima e' stato effettuato dall'imputato evidentemente senza il suo consenso, proprio con la finalita' di provocarle un nocumento, costituito dal minarne la reputazione aggredendone la moralita' con offese ed ingiurie dirette anche ai suoi figli ed al marito, informandoli della relazione extraconiugale tra lei ed il ricorrente, mosso, nel suo agire, per di piu', nel caso di specie, da quel finalismo ulteriore e tipico del cd. revenge porne, dato dalla "vendetta" nei suoi confronti ed integrato dal movente di "punirla" per aver deciso unilateralmente di interrompere il rapporto tra loro; finalismo che e' parte preponderante, a monte, della scelta legislativa di nuova criminalizzazione. E quanto la condotta abbia nuociuto alla vita della persona offesa, diventata dapprima "impossibile" e poi del tutto naufragata nella fine del rapporto coniugale e nella perdita della serenita' familiare e' evidentemente richiamato nelle decisioni di merito. In conclusione, puo' affermarsi che integra il reato previsto dal comma 2 dell'articolo 612-ter c.p. la condotta di chi, avendo ricevuto o comunque acquisito - anche dalla stessa persona ritratta, come accaduto nel caso di specie - immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde, senza il consenso della persona rappresentata e con il dolo specifico di recarle nocumento (nella specie, rappresentato dalla volonta' di minarne la reputazione aggredendone la moralita' con offese ed ingiurie dirette anche ai suoi figli ed al marito, informandoli, altresi', della relazione extraconiugale tra lei e l'imputato). 4.2. Infine, e' infondato anche il quesito circa il contenuto sessualmente esplicito della foto al centro della contestazione di cui all'articolo 612-ter c.p.. Il ricorrente intende limitare la nozione di "contenuti sessualmente espliciti" soltanto alle immagini o ai video che ritraggano organi genitali - e dunque non ricomprendendo il seno femminile tra questi, ancorche' nudo - ovvero atti sessuali veri e propri. La prospettiva ermeneutica da cui muove il ricorso non e' esatta, invece, poiche' il testo normativo non pone esplicite riserve in tal senso, ne' l'interpretazione giurisprudenziale mostra accenti contrari, in materie analoghe sulle quali gia' questa Corte regolatrice ha avuto modo di pronunciarsi (laddove non vi sono ancora affermazioni di principio sui presupposti di configurabilita' del reato di nuovo conio). Anzitutto, si osserva che la locuzione normativa "a contenuto sessualmente esplicito" non rimanda evidentemente e necessariamente alla diffusione di video o immagini di un organo proprio dell'apparato sessuale-riproduttivo in senso medico-scientifico, ne' tantomeno allude solo ad un atto sessuale vero e proprio (sulla cui nozione, complessa, molto ci si interroga ai fini dell'integrazione delle diverse fattispecie penali nelle quali essa viene inserita), essendo evidente che la sessualita' di una persona, vittima del reato, puo' essere evocata in maniera manifesta anche soltanto attraverso la proposizione di parti del suo corpo "erogene" diverse dagli organi genitali, eppure capaci di richiamare, per il contesto e le condizioni concrete nelle quali vengono ritratte, l'istinto sessuale: tali "zone erogene" possono essere il seno e i glutei, ancor piu' se nudi ovvero in condizioni di contesto che richiamino il sesso. Sicche', qualora la diffusione avvenga senza il consenso della persona offesa, si stabilizzera' una violazione della liberta' di autodeterminazione della sua sfera sessuale complessivamente intesa, rilevante ai sensi del comma 2 dell'articolo 612-ter c.p. se, come si e' piu' volte precisato, accompagnata dal dolo specifico di recare nocumento alla persona le cui immagini (o video) vengano diffusi. Inoltre, seguendo le declinazioni interpretative della disciplina penale della pornografia minorile, nella quale egualmente viene in gioco il tema della sessualita' e del significato sessuale di immagini, si e' conferito rilievo sessuale alla nudita' in quanto tale (Sez. 3, n. 39685 del 1/12/2017, dep. 2018, C., Rv. 273960) ovvero anche a movimenti e atteggiamenti, ancorche' inconsapevoli o involontari (Sez. 3, n. 42964 del 10/6/2015, B., Rv. 265157 in cui si e' affermato che, ai fini della configurabilita' del delitto di pornografia minorile, il carattere pedopornografico del "materiale prodotto" non presuppone necessariamente un'interazione consapevole fra l'autore della condotta e il minore presentato, ben potendo essere individuato nella rappresentazione di movimenti in cui i minori assumono posizioni che si concretizzano in atteggiamenti lascivi ed eroticamente eccitanti, seppur assunti involontariamente ed inconsapevolmente). Specificamente, poi, il seno e' stato inserito nel novero delle zone erogene e si e' chiarito, sempre in tema di pornografia minorile, che il riferimento alla "rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto" di cui all'ultimo comma dell'articolo 600-ter c.p. ricomprende non solo gli organi genitali, ma anche altre zone erogene, come il seno e i glutei (Sez. 3, n. 9354 del 8/1/2020, C., Rv. 278639; vedi anche Sez. 3, n. 549 del 15/11/2005, dep. 2006, Beraldo, Rv. 233115). Deve affermarsi, quindi, che, ai fini della configurabilita' del reato di cui all'articolo 612-ter c.p., la diffusione illecita di contenuti sessualmente espliciti puo' avere ad oggetto immagini o video che ritraggano atti sessuali ovvero organi genitali ovvero anche altre parti erogene del corpo umano, come i seni o i glutei, nudi o in condizioni e contesto tali da evocare la sessualita'. Nella fattispecie all'esame del Collegio, l'immagine diffusa, che ritrae la vittima a seno nudo, in un contesto intimo e nell'atto di mandare un bacio "erotizzante", mimato da un particolare atteggiamento delle labbra serrate, descritto nelle sentenze di merito (ed anche nel ricorso), entra senza dubbio nel novero di quelle "a contenuto sessualmente esplicito". 5. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. 5.1. Deve essere disposto, altresi', che siano omesse le generalita' e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SARNO Giulio - Presidente Dott. DI NICOLA Vito - Consigliere Dott. CORBO Antonio - Consigliere Dott. NOVIELLO Giuseppe - rel. Consigliere Dott. ZUNICA Fabio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nata a (OMISSIS); avverso la sentenza del 07/07/2021 della corte di appello di Palermo; udita la relazione svolta dal Consigliere Giuseppe Noviello; lette le conclusioni del PG Dott.ssa Marilia di Nardo che ha chiesto la dichiarazione di inammissibilita' del ricorso; lette le conclusioni del difensore dell'imputata, avv.to (OMISSIS) che ha chiesto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e in subordine l'annullamento della stessa con rinvio. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 7 luglio 2021, la Corte di appello di Palermo riformava parzialmente, la sentenza del tribunale di Palermo con la quale (OMISSIS) era stata condannata, previa riqualificazione, in relazione al reato di cui all'articolo 615 bis comma 1 e 2 c.p., riqualificando nuovamente il fatto nei termini della originaria contestazione di cui all'articolo 167 Decreto Legislativo n.. 196 del 2003 e rideterminando le pena finale inflitta. 2. Avverso tale sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso mediante il proprio difensore, deducendo un solo motivo di impugnazione. 3. Si deduce la violazione dell'articolo 167 del Decreto Legislativo n.. 196 del 2003, ritenendosi non configurabile tale fattispecie per le ragioni gia' espresse dal primo giudice, ossia perche' il predetto articolo non annovererebbe tra i destinatari del precetto e della sanzione soggetti diversi dalla Pubblica Amministrazione, dai privati appositamente qualificati dalla normativa di riferimento e da altri organismi specificamente preposti al trattamento di dati personali, e perche' quindi le condotte come appurate nei due giudizi non potrebbero rientrate nel concetto di trattamento di dati personali di cui al citato articolo. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.Il ricorso e' manifestamente infondato. Va premesso che il trattamento dei dati personali sensibili senza il consenso dell'interessato, dal quale derivi nocumento per la persona offesa, era gia' punito ai sensi dell'articolo 35, comma 3 della L. 31 dicembre 1996, n. 675, ed e' tutt'ora punibile ai sensi dell'articolo 167, comma 2 del Decreto Legislativo n. 30 giugno 2003 n. 196, in quanto tra le due fattispecie sussiste un rapporto di continuita' normativa, essendo identici sia l'elemento soggettivo caratterizzato dal dolo specifico, sia gli elementi oggettivi, in quanto le condotte di "comunicazione" e "diffusione" dei dati sensibili sono ora ricomprese nella piu' ampia dizione di "trattamento" dei dati sensibili, ed il nocumento per la persona offesa che si configurava nella previgente fattispecie come circostanza aggravante, rappresenta nella disposizione in vigore una condizione obiettiva di punibilita' (cfr. Sez. 3, n. 28680 del 26/03/2004 Rv. 229465 - 01). Questa corte con riferimento alla sopravvenuta disposizione del citato articolo 167 ha poi precisato (cfr. Sez. 3, n. 29549 del 07/02/2017 Ud. (dep. 14/06/2017) Rv. 270458 - 01) che ai sensi dell'articolo 167 comma 2 del Decreto Legislativo n.. 196/03, come articolato prima della riforma del 2018 e quindi riportabile ai fatti come contestati, del 2014, e' punito salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, colui il quale, al fine di trarne per se' o per altri profitto o di recare ad altri un danno procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli articoli 17, 20, 21, 22, commi 8 e 11, 25, 26, 27, 45, sempre che ne derivi un nocumento. Il "trattamento", ai sensi dell'articolo 4 comma 1 lettera a) del Decreto Legislativo n.. citato, corrisponde a "qualunque operazione o complesso di operazioni, effettuati anche senza l'ausilio di strumenti elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la conservazione, la consultazione, l'elaborazione, la modificazione, la selezione, l'estrazione, il raffronto, l'utilizzo, l'interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione di dati anche se non registrati in una banca dati". Quanto al concetto di "dato personale", esso e' definito, ai sensi della successiva lettera b) del citato articolo 4 comma 1, come "qualunque informazione relativa a persona fisica, identificata o identificabile, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale" mentre per "dati sensibili" si intendono, ai sensi della lettera d), "i dati personali idonei a rivelare l'origine razziale ed etnica le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni, od organizzazioni a carattere religioso, filosofico politico o sindacale, nonche' i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale". Quanto alla sua struttura il reato, oltre alla clausola di riserva, contempla una condotta di trattamento di dati personali indicati ai citati articoli 17, 20, 21, 22, commi 8 e 11, 25 26, 27, 45, purche' ne derivi un nocumento. La predetta condotta presuppone l'assenza di consenso da parte dell'interessato, ed essa puo' anche essere effettuata dal cittadino privato, il quale sia, anche solo occasionalmente venuto a conoscenza di un dato sensibile. Di particolare interesse, in questa sede, alla luce del motivo in esame, e' quest'ultima precisazione. Questa Suprema Corte ha evidenziato infatti, diversamente da quanto sostenuto in ricorso dalla difesa, che e' del tutto infondata la tesi volta ad escludere dal novero dei destinatari della norma punitiva (rappresentata poi dall'articolo 167 citato) il privato cittadino che occasionalmente sia venuto in possesso di un dato rilevante appartenente ad altro soggetto, dandogli diffusione indebita. Ad una semplice lettura della norma punitiva, l'incipit "chiunque" gia' esclude in radice una interpretazione in senso restrittivo riferita ai destinatari: ma, anche a voler ricollegare l'articolo 167 all'articolo 4, e' evidente che, laddove si parla di persona fisica, ci si intende riferire al soggetto privato in se' considerato, e non solo a quello che svolga un compito, per cosi' dire, istituzionale, di depositario della tenuta dei dati sensibili e delle loro modalita' di utilizzazione all'esterno: una interpretazione siffatta finirebbe con l'esonerare in modo irragionevole dall'area penale tutti i soggetti privati, cosi' permettendo quella massiccia diffusione di dati personali che il legislatore, invece, tende ad evitare. Puo' quindi affermarsi senza tema di smentita che l'assoggettamento alla norma in tema di divieto di diffusione di dati sensibili riguardi tutti indistintamente i soggetti entrati in possesso di dati, i quali saranno tenuti a rispettare sacralmente la privacy di altri soggetti con i primi entrati in contatto, al fine di assicurare un corretto trattamento di quei dati senza arbitri o pericolose intrusioni. Ne' la punibilita' - in caso di indebita diffusione dei dati - puo' dirsi esclusa se il soggetto detentore del dato abbia cio' acquisito in via casuale, in quanto la norma non punisce di certo il recepimento del dato, quanto la sua indebita diffusione. Va sottolineato, infine, che il concetto di trattamento va inteso in senso ampio per come gia' lo afferma il legislatore laddove elenca tutta una serie di condotte sintomatiche, non circoscritto quindi ad una raccolta di dati, ma anche - e soprattutto - alla diffusione indebita senza il consenso dell'interessato, del dato acquisito, non importa se casualmente o meno. E' poi contemplato, sempre nel quadro strutturale della fattispecie, il dolo specifico di "trarre per se' o per altri profitto di recare ad altri un danno " attraverso la descritta condotta di trattamento dei dati. Ed e' elemento costitutivo oggettivo la circostanza che dal fatto "derivi un nocumento". Dunque del tutto destituita di fondamento e' la tesi che vorrebbe escludere la ricorrente, siccome privato "non qualificato", dal novero dei destinatari della norma, alla luce di un ormai acclarato indirizzo giurisprudenziale sul punto. 2. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrentie ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi e' ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita'", si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CATENA Rossella - Presidente Dott. MICCOLI Grazia Rosa - rel. Consigliere Dott. GUARDIANO Alfredo - Consigliere Dott. ROMANO Michele - Consigliere Dott. MAURO Anna - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI BARI; nel procedimento a carico di: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); nel procedimento a carico di questi ultimi; avverso la sentenza del 24/05/2021 della CORTE ASSISE APPELLO di BARI; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa MICCOLI Grazia Rosa Anna; - udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. RICCARDI Giuseppe, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilita' dei ricorsi dei ricorrenti, nonche' l'annullamento con rinvio limitatamente alla aggravante della premeditazione dell'omicidio (OMISSIS); rigetto nel resto del ricorso del Procuratore Generale; - uditi gli avvocati BUONO Enrico e GIULITTO Giuseppe, difensori di (OMISSIS), i quali hanno concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso; - udito l'avv. VIANELLO ACCORRETTI Giorgio, in sostituzione dell'avv. RUSSO FRATTASI Carlo e dell'avv. VIANELLO ACCORRETTI Valerio, che per l'imputato (OMISSIS) ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso; - uditi gli avvocati VIANELLO ACCORRETTI Giorgio e INCARDONA Lorenzo, che nell'interesse dell'imputato (OMISSIS) hanno chiesto l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa in data 24 gennaio 2018 la Corte di assise di appello di Bari ha confermato la pronunzia di primo grado (emessa in data 26 gennaio 2016, all'esito del giudizio abbreviato, dal Giudice per l'udienza preliminare di Bari), che aveva affermato la penale responsabilita' di (OMISSIS) e (OMISSIS) in relazione alle imputazioni di omicidio di (OMISSIS) e tentato omicidio di (OMISSIS) (sodali del Clan (OMISSIS) - (OMISSIS)), aggravati dalla premeditazione (esclusa l'aggravante prevista dall'articolo 577 c.p., comma 1, n. 4), assorbite nel piu' grave delitto di cui all'articolo 575 c.p. le lesioni personali cagionate a (OMISSIS) (capo A), nonche' in relazione ai reati di ricettazione, porto e detenzione dell'arma utilizzata per commettere i delitti (capo B). Tutti i reati sono stati ritenuti, altresi', aggravati ai sensi dell'articolo 416bis.1 c.p. (aggravanti prima previste dalla L. n. 203 del 1991, articolo 7). Con la stessa sentenza il (OMISSIS) e (OMISSIS) sono stati ritenuti responsabili dell'omicidio di (OMISSIS) (appartenente al clan (OMISSIS)) e degli altri delitti connessi a tale vicenda (capi C, D e E); in particolare, sono stati ritenuti responsabili dei delitti di cui al capo C (omicidio aggravato anche dalla premeditazione ed esclusa l'aggravante prevista dall'articolo 577 c.p., comma 1, n. 4), capo D (con esclusione della ricettazione e del delitto di cui alla L. n. 110 del 1975, articolo 23) e il solo (OMISSIS) anche del reato di occultamento di cadavere del (OMISSIS) di cui al capo E). 2. Avverso la suindicata sentenza di appello avevano proposto ricorso in cassazione gli imputati e la Prima Sezione di questa Corte, con sentenza n. 44531 del 29 ottobre 2019, ha accolto gli stessi ricorsi, ritenendo fondata la deduzione - comune a tutti i ricorrenti - di mera apparenza di motivazione. La sentenza di annullamento ha affermato che la decisione impugnata - nel suo sviluppo argomentativo indipendente dalla testuale riproduzione della sentenza di primo grado - non contenesse alcuna reale espressione di quel necessario percorso di considerazione ed elaborazione dei contenuti delle doglianze difensive, risultando condensata tanto la sintesi dei motivi che le risposte ai medesimi in due sole pagine dell'elaborato (pag. 108 e pag. 109). 3. Con sentenza del 12 agosto 2021, la Corte di assise di appello di Bari, all'esito del giudizio di rinvio, ha confermato l'affermazione di responsabilita' degli imputati, ma ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado, escludendo l'aggravante della premeditazione di cui all'articolo 577 c.p., comma 1, n. 3 in relazione ai reati sub A) e C), dichiarate assorbite quanto al capo B) le imputazioni L. n. 497 del 1974, ex articoli 9-10-12 in quelle L. n. 110 del 1975, ex articolo 23, con le gia' riconosciute continuazione tra i reati per tutti gli imputati e recidiva per il solo (OMISSIS); ha, quindi, rideterminato la pena nei confronti di (OMISSIS) in 20 anni di reclusione, la pena nei confronti di (OMISSIS) in 19 anni e 4 mesi di reclusione e la pena nei confronti di (OMISSIS) in 17 anni di reclusione. Nel giudizio di rinvio, sono stati acquisiti (udienza del 5 novembre 2020), con il consenso di tutte le parti, il verbale di manifestazione della volonta' di collaborare in data 19 settembre 2019 ed il verbale di interrogatorio in data 15 novembre 2019 di (OMISSIS), affiliato nell'articolazione del quartiere (OMISSIS) del clan (OMISSIS), poi spostatosi al quartiere (OMISSIS), dove c'era il (OMISSIS). 4. Avverso la sentenza del 12 agosto 2021 ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Bari. 4.1. Con il primo motivo si denunzia violazione di legge in relazione all'esclusione dell'aggravante di cui all'articolo 577 c.p., comma 1, n. 3. Assume il ricorrente che la Corte territoriale non ha correttamente applicato la disposizione relativa all'applicazione della circostanza aggravante della premeditazione alla luce dei criteri interpretativi della giurisprudenza di legittimita', non ritenendola sussistente nonostante le evidenze processuali poste alla base della stessa decisione. 4.1.1. Evidenzia, quindi, il Procuratore Generale che, in riferimento all'omicidio di (OMISSIS), l'applicazione dei criteri indiziari elaborati dalla giurisprudenza alle valutazioni probatorie operate nella sentenza di appello fuga ogni dubbio in ordine alla sussistenza della premeditazione. 4.1.2. Sostiene il Procuratore Generale ricorrente che l'ancoraggio ai criteri di riconoscimento della premeditazione conduce alle medesime conclusioni in riferimento all'imputazione di cui al capo C). 4.2. Con il secondo motivo il ricorrente denunzia contraddittorieta' intrinseca della motivazione relativa all'esclusione dell'aggravante della premeditazione. 4.3. Con il terzo motivo il Procuratore Generale denunzia insufficienza della motivazione. 5. Con atto a firma del difensore avv. Giulitto Giuseppe, ha proposto ricorso (OMISSIS); atto al quale sono stati allegati copia dei motivi di appello, dei motivi aggiunti, delle memorie difensive, della consulenza medico - legale e di quella informatica. 5.1. Con il primo motivo il ricorrente denunzia violazione di legge e correlati vizi motivazionali in relazione all'affermazione di responsabilita'. Assume che la sentenza impugnata e' inficiata da plurimi vizi che, da soli ed unitariamente considerati, stravolgono, in maniera radicale, l'epilogo decisorio. Sul punto, il ricorrente rimarca l'errore di diritto in cui cade il giudice del rinvio, quando (a pag. 41 della sentenza) afferma che la sicura attendibilita' intrinseca dei collaboratori scaturisce dal giudizio di affidabilita' delle loro dichiarazioni gia' espresse dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari in altra vicenda processuale (proc. n. 1953/06 RG). Sotto altro aspetto (a pag. 42 della sentenza) la Corte di assise di appello ha rimproverato alle difese di non aver allegato ragioni di odio, di rancore o di animosita' che avrebbero ispirato la falsa indicazione del (OMISSIS) quale concorrente negli omicidi. Sostiene quindi il ricorrente che, in questo modo, il giudice di merito ha introdotto un elemento di valutazione estraneo al protocollo di validazione dei contributi ex articolo 192 c.p.p., comma 3, in cui sono le dichiarazioni a costituire oggetto di prova; peraltro, la difesa aveva individuato una precisa ragione sottostante all'indicazione calunniosa del (OMISSIS) da parte del (OMISSIS) (ovverosia, la necessita' di dissimulare la partecipazione del proprio nipote, (OMISSIS), coinvolto nell'episodio attraverso il riscontro di plurime fonti di prova). Ne' puo' condividersi l'assunto della Corte territoriale secondo cui questa motivazione potrebbe riferirsi al solo (OMISSIS), ma non anche estendersi al (OMISSIS) e all' (OMISSIS). La Corte territoriale ha, infatti, omesso di considerare (impiegando una tecnica elusiva della confutazione delle censure difensive) che e' endemico il rischio delle circolarita' della prova. Assume, altresi', il ricorrente che il collaboratore (OMISSIS) ha proposto, per certi versi, una ricostruzione totalmente diversa rispetto ai riferimenti rievocati dal (OMISSIS) e dal (OMISSIS) e, comunque, in rotta di collisione con le evidenze oggettive. In altri termini, una terza verita' incompatibile ed inconciliabile con il racconto degli altri collaboranti. Tanto che la stessa Corte territoriale e' stata costretta a riconoscere che piu' significativo e' il contrasto delle dichiarazioni del (OMISSIS) con quelle dell' (OMISSIS), il quale ha inserito l'incontro con i rivali del clan (OMISSIS) in un contesto diverso, nell'ambito del quale ci sarebbe stata la sua fuga e, quindi, la decisione dei quattro soggetti indicati dal (OMISSIS) di rispondere a loro volta. Aggiunge il ricorrente che la Corte territoriale ha evidenziato l'esistenza di ineliminabili contrasti anche in altri snodi dell'iter argomentativo, ma, cio' nonostante, ha omesso di dirimere tali contrasti, proponendo una ricostruzione coerente e logica in cui trovino composizione le dichiarazioni confliggenti tra di loro. Il deducente indica i passaggi delle dichiarazioni dei collaboratori che sarebbero in contrasto, svolgendo una serie di considerazioni in fatto, al fine di evidenziare la mancanza di attendibilita' delle stesse propalazioni e, comunque, l'inconciliabilita' degli accadimenti storici, anche in considerazione delle risultanze degli accertamenti tecnici e delle intercettazioni. 5.2. Con il secondo motivo di ricorso si denunziano vizi motivazionali in relazione al trattamento sanzionatorio. Sostiene il ricorrente che la motivazione e' anche graficamente mancante in ordine al concreto esercizio del potere discrezionale di determinazione della pena. 5.3. In data 31 ottobre 2022 l'avv. Giulitto ha depositato memoria, con la quale ha chiesto dichiararsi l'inammissibilita' del ricorso del Procuratore Generale. 5.4. Nell'interesse del (OMISSIS) e' stata presentata una memoria, contenente motivi aggiunti, a firma dell'avv. Buono Enrico. 5.4.1. Si denunziano vizi motivazionali in relazione alla valutazione delle prove. La difesa indica una serie di elementi che non sarebbero stati valutati dalla Corte territoriale: a) la giovanissima eta' dell'imputato al momento della commissione del fatto (appena diciottenne); b) la circostanza che il (OMISSIS) non fosse affiliato ad alcun clan e che fosse addirittura incensurato; c) la circostanza, alquanto improbabile, che un capoclan, quale il (OMISSIS), possa aver affidato la commissione di un duplice omicidio ad un ragazzo appena diciottenne e, tra l'altro, non affiliato, con particolare riferimento alla commissione del secondo omicidio, ben diverso dal primo per l'importanza del fine da raggiungere (evitare che il (OMISSIS) crollasse emotivamente e potesse far arrestare gli altri sodali), e che prevedeva delle modalita' ed una preparazione non comune, nonche' un'affidabilita' assoluta e difficilmente rinvenibile in un ragazzo di diciotto anni (soprattutto laddove, a dire del (OMISSIS), si era creata la necessita' di modificare l'originario gruppo di fuoco, che sarebbe dovuto essere composto, in un primo momento, dal (OMISSIS) e dal (OMISSIS), sostituendo il primo con il (OMISSIS)); d) la mancata menzione e il mancato riconoscimento, da parte dell'appuntato Ciaccia, all'interno dell'auto Fiat Uno di proprieta' del (OMISSIS), del (OMISSIS), sebbene lo stesso appuntato avesse dichiarato espressamente di operare nel territorio di (OMISSIS) da 19 anni e di escludere che si fosse trattato di soggetti di (OMISSIS); e) il mancato rinvenimento, da parte dei carabinieri operanti ed intervenuti nell'immediatezza del fatto per effettuare il sequestro della Fiat Uno, di impronte digitali riconducibili al (OMISSIS); f) la discrasia tra le dichiarazioni rese dal (OMISSIS) all'interrogatorio del 23/4/2009, in cui lo stesso GUP, descrivendo le affermazioni del propalante come "precise indicazioni in ordine alle circostanze di tempo e luogo dell'omicidio (OMISSIS) (pochi giorni dopo, vicino ai carabinieri) e delle responsabilita' dello stesso (OMISSIS) (pero' non sono andato io, l'ho mandato io. Ho mandato cinque persone)" e la relazione di servizio dell'app. Ciaccia di cui al punto precedente, descrive la presenza di soli quattro soggetti e non cinque; g) la diversa collocazione, all'interno della Fiat Uno, dei componenti del gruppo di fuoco, laddove in un primo momento il (OMISSIS) era collocato sul sedile posteriore lato destro e, in un secondo momento, sul sedile anteriore, al lato destro del guidatore; h) la completa mancanza di sovrapponibilita' effettiva sia tra le dichiarazioni di (OMISSIS) e (OMISSIS) e l'assoluta discrasia tra tali dichiarazioni e quelle di (OMISSIS). 5.4.2. Si denunziano violazione di legge e vizi motivazionali con riferimento agli articoli 56 e 575 c.p.. Assume il ricorrente che il motivo ha rilevanza a seguito dell'intervenuta decisione, da parte della Corte di assise di appello, di escludere la premeditazione con riferimento alle ipotesi di omicidio consumato e omicidio tentato e, in particolare, all'aumento di pena stabilito ex articolo 81 cpv. c.p., con riferimento al tentato omicidio di (OMISSIS). In primo luogo, non sarebbe configurabile l'ipotesi delittuosa in esame, cosi' come si evince tanto dalla contestazione, recante, esclusivamente, la menzione della norma senza alcun riferimento alla condotta contestata. Il capo d'imputazione, anche a seguito di un'attenta analisi, descrive la condotta omicidiaria, esclusivamente nei confronti di (OMISSIS), per nulla argomentando, poi, sul tentativo di omicidio di (OMISSIS). I due destinatari del commando, all'avvicinarsi della Fiat Uno, presero, spontaneamente, direzioni diverse (entrambi non si erano accorti di essere seguiti) e i colpi della mitraglietta erano stati diretti solo all'indirizzo del (OMISSIS). Nessuna ulteriore azione di fuoco era stata intrapresa successivamente all'esplosione, ai danni dell'altro presunto bersaglio dei killer. Persino le dichiarazioni di (OMISSIS) si riferiscono a un "mandato esplorativo", inidoneo per se' stesso, a configurare addirittura un duplice omicidio in pieno giorno. Inoltre, sul punto vi e' una completa mancanza di motivazione nel corpo della sentenza impugnata; la Corte territoriale, malgrado i molteplici rilievi difensivi attinenti all'attribuzione della responsabilita' penale in relazione alla contestazione dei fatti - reato, nulla sostiene in relazione al tentato omicidio, limitandosi ad effettuare, sotto il profilo sanzionatorio, l'aumento di pena ex articolo 81 c.p.. 5.4.3. Si denunziano vizi motivazionali con riferimento al trattamento sanzionatorio rideterminato a seguito dell'annullamento della sentenza, relativamente all'aggravante della premeditazione, nonche' omessa motivazione in riferimento all'aumento di pena ex articolo 416bis.1 c.p.. 5.4.4. Vengono svolte controdeduzioni al ricorso del Procuratore Generale, sostenendo l'inammissibilita' dell'impugnazione, atteso che l'aggravante della premeditazione, il cui annullamento costituisce oggetto del gravame, in realta' nei capi d'imputazione e' stata solo menzionata nell'ambito della rubrica, ma non e' stata descritta in alcun modo la condotta premeditata nei suoi connotati essenziali ai fini della contestabilita' dell'aggravante medesima. 6. L'avvocato Incardona Lorenzo ha proposto ricorso nell'interesse di (OMISSIS). 6.1. In via generale, il ricorrente censura la sentenza impugnata perche' la motivazione sarebbe strutturata per relationem a quella di primo grado, senza valutare in maniera adeguata le deduzioni difensive. In particolare, sia nei motivi di appello principali sia in quelli aggiunti (nonche' nelle memorie difensive) si era contestato il percorso della sentenza di primo grado, la quale, adagiandosi su una acritica presunzione di attendibilita' del (OMISSIS) e del (OMISSIS) (ritenuti tali in altra sentenza), ha del tutto disatteso il protocollo di valutazione della chiamata in correita' (e dei relativi riscontri individualizzati), cosi' come elaborato dalla consolidata giurisprudenza di legittimita'. E, in questo caso, si imponeva una indagine ancora piu' stringente e penetrante in ordine alla credibilita' del propalante (OMISSIS), ove si ponga mente alla circostanza (del tutto sottovalutata dal primo giudice) che il collaboratore aveva individuato, quale concorrente, (OMISSIS), la cui estraneita' era stata invece acclarata con un provvedimento di archiviazione. 6.2. Richiamati i principi giurisprudenziali in materia di valutazione della prova dichiarativa dei collaboratori di giustizia, il ricorrente sostiene che il Giudice di primo grado ha trascurato che le dichiarazioni del (OMISSIS) (e quelle de relato di (OMISSIS)) sono contrastate da tutti i dati oggettivi ed i contributi dichiarativi acquisiti al patrimonio processuale; e la relativa censura proposta in appello e' rimasta priva di qualsiasi risposta nella pronuncia della Corte territoriale. 6.3. Aggiunge il ricorrente che emerge dagli atti come il (OMISSIS) abbia, letteralmente, saccheggiato il racconto del (OMISSIS), adeguandosi alla ricostruzione di quest'ultimo, gia' ritenuto soggettivamente attendibile dagli inquirenti, nella prospettiva utilitaristica di meritare analogo giudizio e trattamento premiale. Quanto, poi, ad altri particolari di contorno (il luogo dell'omicidio; l'auto utilizzata; il fermo del ragazzo risultato estraneo; le modalita' dell'esecuzione, etc.), ricorda il ricorrente che l'episodio in oggetto aveva trovato vasta eco nei mass - media locali, che avevano diffuso le notizie relative all'omicidio del (OMISSIS) ed ai successivi sviluppi investigativi; sicche', queste circostanze si appartenevano al patrimonio di conoscenza del (OMISSIS). 6.4. Il ricorrente evidenzia gli altri vizi motivazionali in cui sarebbe incorsa la sentenza di primo grado, sostenendo che, anche dopo l'annullamento con rinvio disposto da questa Corte, quella territoriale non ha argomentato in maniera specifica su tutte le censure difensive relative alla valutazione delle prove. In proposito, vengono indicate tutte le risultanze che sono state oggetto di contestazione dinanzi ai giudici dell'appello, evidenziando anche i contrasti tra le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e le altre emergenze processuali, ivi compreso la documentazione depositata dalla difesa relativa alla misura cautelare dell'obbligo di presentazione alla P.G., alla quale all'epoca dei fatti il ricorrente era sottoposto. 6.5. Il ricorrente, inoltre, richiama le dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), che mettono in crisi l'impianto accusatorio, avendo ricostruito il delitto in termini del tutto diversi dagli altri due collaboratori. 6.7. Vengono poi analizzati tutti i dati relativi ai cc.dd. riscontri, sui quali il ricorrente svolge censure, anche con riferimento al percorso valutativo operato dai giudici di merito. 7. Con atto sottoscritto dall'avv. Frattasi Carlo Russo, ha proposto ricorso (OMISSIS). 7.1. Con il primo motivo di ricorso si denunziano violazione di legge in ordine all'utilizzabilita' per la decisione dei tabulati telefonici. Il ricorrente, in via preliminare e quale questione non proponibile nel giudizio di appello, perche' sorta successivamente, eccepisce l'inutilizzabilita' dei tabulati acquisiti nel corso delle indagini, in violazione del disposto di cui al Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, articolo 132 (Codice della privacy), per come modificato con il Decreto Legge n. 132 del 2021, entrato in vigore il 30 settembre 2021. Sostiene il ricorrente che il decreto - legge non ha previsto alcuna norma intertemporale, il che rende necessario individuare nei principi giurisprudenziali la soluzione in ordine all'applicabilita' immediata della nuova normativa anche ai processi in corso. Richiama quindi i principi affermati dalle Sezioni Unite nelle sentenze n. 4265/1998 e n. 10086/1998. Sostiene, altresi', che la questione e' decisiva per la valutazione dei fatti oggetto del processo: l'importanza dei tabulati emerge, infatti, dalle stesse motivazioni della sentenza, in cui vi si fa piu' volte riferimento. E' evidente, dunque, che i tabulati telefonici - acquisiti nel corso delle indagini - debbano essere dichiarati inutilizzabili, con conseguente pronuncia di annullamento con rinvio della sentenza, che permetta lo svolgimento di un nuovo giudizio di merito al netto del materiale probatorio cosi' escluso. 7.2. Con il secondo motivo si denunziano violazione di legge e vizi motivazionali in relazione all'affermazione di responsabilita'. Sostiene il ricorrente che la sentenza impugnata merita comunque censura per aver confermato la responsabilita' penale attraverso una motivazione inidonea a confutare le doglianze della difesa. Le lacune motivazionali gia' censurate nella precedente sentenza di appello - relative alle anomalie della pronuncia di primo grado - sono presenti anche nel provvedimento qui impugnato, ovviamente nel confronto con gli argomenti sviluppati dalla difesa, sia nell'atto di appello, che nella memoria depositata per il giudizio di rinvio (anche alla luce della piu' recente acquisizione del verbale di interrogatorio del collaboratore (OMISSIS)). Nell'atto di impugnazione la difesa aveva segnalato che: le dichiarazioni del (OMISSIS) e del (OMISSIS) non avevano trovato alcun riscontro estrinseco individualizzante; le stesse contenevano diverse e rilevanti discrasie, ammesse dallo stesso Giudice; oltre a cio', diversi passaggi della ricostruzione collidevano con dati documentali e oggetti emersi dalle indagini, che vengono specificamente indicati nella articolazione del motivo di ricorso. In punto di diritto, nell'atto di impugnazione la difesa aveva segnalato: un'errata applicazione del principio della c.d. frazionabilita' delle dichiarazioni dei propalanti, inversa rispetto alla sua ratio; l'assenza di una effettiva e concreta valutazione sulla attendibilita' dei collaboratori; l'errata valorizzazione, quale riscontro alle propalazioni del (OMISSIS), delle dichiarazioni del (OMISSIS), nonostante lo stesso a volte avesse riferito fatti a suo dire appresi dallo stesso (OMISSIS) (in violazione di quanto affermato nella sentenza delle Sezioni Unite, sentenza n. 20804 del 29 novembre 2012). Tali argomenti erano stati approfonditi anche attraverso una memoria depositata nel giudizio di rinvio, in cui, tra l'altro, si segnalava: l'anomalia di una ricostruzione degli eventi che - a voler considerare il (OMISSIS) attendibile - da un punto di vista temporale non sarebbe stata coerente con le distanze e le condotte che il (OMISSIS) avrebbe dovuto realizzare; l'assenza di riscontri a tale ricostruzione nel materiale in atti, considerando che erano stati acquisiti i tabulati telefonici di alcuni dei soggetti coinvolti - tra cui appunto lo stesso (OMISSIS) -, da cui avrebbe dovuto, nel caso, emergere la corrispondenza al vero delle numerose telefonate ricevute (mentre dormiva) dal (OMISSIS); cosi' come l'acquisizione, non svolta, dei tabulati del (OMISSIS) avrebbe potuto verificare o smentire spostamenti sul territorio coerenti con le condotte a lui attribuite, ma in assenza di tale elemento non si poteva certo ricorrere a mere conclusioni apodittiche; l'anomalia di aver coinvolto nel delitto un soggetto - il ricorrente - completamente avulso dalle fasi precedenti, ne' tanto meno risultato in contatto con gli altri soggetti coinvolti nei fatti; la smentita alla ricostruzione dei fatti fornita da (OMISSIS) - per la fase successiva all'agguato in danno di (OMISSIS) e (OMISSIS) - individuabile nella documentazione sulla misura applicata in quel periodo al (OMISSIS); la circostanza che le dichiarazioni dell' (OMISSIS) nulla aggiungevano di genuino nella ricostruzione del fatto, al contrario limitandosi a riportare per l'omicidio (OMISSIS) fatti noti processualmente e sulla stampa da tempo (come ammesso dallo stesso collaborante); la circostanza che, in ordine al coinvolgimento del (OMISSIS), l' (OMISSIS) indicava lo stesso imputato quale fonte delle sue dichiarazioni, cosi' riproponendosi la problematica della identita' di fonte per i diversi propalanti de relato. Evidenzia il ricorrente che anche in ordine a tali censure la Corte territoriale si e' limitata a richiamare la sentenza di primo grado, poi approfondendo quanto emerso successivamente (ossia le dichiarazioni di (OMISSIS)) e dichiarando di aderire ai criteri valutativi delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. In tale parte di motivazione, tuttavia, la sentenza non ha in alcun modo espresso una propria valutazione in ordine alle evenienze rappresentate nell'interesse del ricorrente sia nell'atto di appello, sia nella memoria difensiva. Invero, nulla la sentenza ha risposto in merito a: l'anomalia di una ricostruzione degli eventi che - a voler considerare il (OMISSIS) attendibile - da un punto di vista temporale, non sarebbe stata coerente con le distanze e le condotte che il (OMISSIS) avrebbe dovuto realizzare; la conoscenza da parte del (OMISSIS) delle dichiarazioni del (OMISSIS), perche' contenute nell'ordinanza cautelare emessa a suo carico nel proc. "(OMISSIS)"; l'anomalia di aver coinvolto nel delitto un soggetto - il ricorrente - completamente avulso dalle fasi precedenti, ne' tanto meno risultato in contatto con gli altri soggetti coinvolti nei fatti; l'evidente mendacio che emergeva nelle propalazioni del (OMISSIS), laddove non menzionava il (OMISSIS) tra i soggetti incaricati inizialmente del delitto - nonostante fosse suo uomo di stretta fiducia; le dichiarazioni dell' (OMISSIS) che nulla aggiungevano di genuino nella ricostruzione del fatto, al contrario limitandosi a riportare per l'omicidio (OMISSIS) fatti noti processualmente e sulla stampa da tempo (come ammesso dallo stesso collaborante); il coinvolgimento del (OMISSIS) da parte dell' (OMISSIS), che pero' indicava lo stesso ricorrente quale fonte delle sue dichiarazioni, cosi' riproponendosi la problematica della identita' di fonte per i diversi propalanti de relato. Aggiunge il ricorrente che, se per gli argomenti sin qui elencati la sentenza non ha formulato alcuna motivazione, su molte delle altre evenienze le considerazioni della Corte di Assise di appello sono da considerarsi non legittime per contraddizione o illogicita' evidente. E' il caso, ad esempio, del fatto che il (OMISSIS) avesse omesso - non solo di fare il nome di uno dei suoi piu' stretti collaboratori (il (OMISSIS)) tra i soggetti coinvolti nel delitto - ma anche di indicare il nome della donna con cui intratteneva una relazione, a cui affido' per qualche giorno il (OMISSIS), prima dell'omicidio. Invero, sul punto la Corte - con evidente tenore illogico - ha affermato che la questione non sarebbe rilevante per definire l'attendibilita' del collaboratore, in quanto lo stesso avrebbe avuto molte relazioni sentimentali, e dunque - si presume sia il ragionamento della sentenza- non avrebbe potuto ricordarsi il nome di tutte (pag. 51 della sentenza qui impugnata). La realta' e' che la duplice omissione da parte del (OMISSIS) palesava come lo stesso avesse scelto quali elementi fornire agli inquirenti, inevitabilmente ammantando le sue propalazioni di inattendibilita'. C'e' poi un passaggio di evidente rilievo, risolto dalla Corte territoriale con ragionamento chiaramente contraddittorio, nonche' illogico. Il ricorrente si riferisce, in particolare, a quanto espresso in sentenza in merito alla versione dei fatti fornita dal (OMISSIS) - in particolare quando affermava che, inizialmente incaricato del delitto, non lo avrebbe realizzato perche' si sarebbe addormentato, e non avrebbe sentito le chiamate del (OMISSIS): "impedimento" che avrebbe portato, secondo il collaboratore, al conferimento dell'incarico omicidiario al (OMISSIS). Orbene, la sentenza ritiene tale versione dei fatti inverosimile, affermando chiaramente che in questa parte della narrazione il (OMISSIS) e' da considerarsi inattendibile. Tale incongruenza viene pero' considerata dalla stessa Corte territoriale "innocua", perche' sostengono i Giudici - se il collaboratore avesse voluto coprire proprie o altrui responsabilita', avrebbe fornito altra versione. Assume il ricorrente che il giudizio espresso dalla sentenza sulla inattendibilita' di tale parte del narrato non puo' ritenersi "innocuo", perche' riguardava specificamente il presupposto che avrebbe poi portato (secondo il collaboratore) il (OMISSIS) a partecipare al delitto: se, dunque, la spiegazione del (OMISSIS) era giudicata non attendibile, cio' per logica e coerenza avrebbe dovuto travolgere anche la chiamata in reita' a carico del ricorrente, venendo cosi' a mancare la convergenza con quanto affermato dal (OMISSIS). Conclude il ricorrente che il fallimento della tenuta logica del giudizio espresso sul narrato del (OMISSIS) e la laconica valutazione del narrato dell' (OMISSIS) - al netto delle ulteriori e numerose anomalie descritte nel ricorso - lasciano le dichiarazioni del (OMISSIS) palesemente prive di elementi confermativi, e come tali inidonee a costruire una motivazione di condanna legittima. 7.3. Con il terzo motivo si denunziano violazione di legge e vizi motivazionali in relazione alle aggravanti di cui all'articolo 416 bis.1 c.p. (gia' Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7). Evidenzia il ricorrente che nell'atto di appello si era segnalato che per entrambe le ipotesi imputate in relazione al delitto omicidiario e a quello di armi - quella del c.d. metodo mafioso e quella della finalita' di avvantaggiare la consorteria - fossero state riconosciute attraverso motivazione apodittica e pregiudizievole, quasi fosse sufficiente la mera "matrice mafiosa" del delitto (come se fosse una sorta di condizione ambientale). CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Tutti i ricorsi sono inammissibili. 2. Prima di analizzare i singoli ricorsi, appare utile inquadrare le vicende oggetto della decisione, come ricostruite dai giudici di merito. 2.1. Il percorso argomentativo della sentenza di primo grado in ordine alle vicende per cui e' processo e' il seguente: a) nel momento dello svolgimento della prima azione delittuosa un teste - (OMISSIS), carabiniere, non in servizio in quel momento - ebbe ad assistere alla sequenza che porto' alla morte di (OMISSIS) e al tentato omicidio di (OMISSIS), con identificazione dell'autovettura su cui viaggiavano gli aggressori; b) cio' aveva consentito di indirizzare, nell'immediatezza, le indagini verso gli appartenenti al clan (OMISSIS) del quartiere (OMISSIS), posto che l'autovettura in questione - una Fiat Uno - era stata oggetto di recenti controlli, che ne avevano segnalato l'utilizzo da parte di soggetti partecipi di tale organizzazione di stampo mafioso; c) tale circostanza veniva avvalorata dal rinvenimento e sequestro dell'auto, a poche ore dalla consumazione del delitto, nel quartiere (OMISSIS). Si apprendeva, inoltre, che la vettura era stata ceduta in proprieta' al (OMISSIS), che non ne aveva ancora trascritto l'acquisto. Il (OMISSIS) risultava irreperibile. Quanto alla vittima dell'omicidio - (OMISSIS) - si apprendeva che era stato scarcerato da soli tre mesi rispetto al momento del fatto e che era aderente al clan (OMISSIS)- (OMISSIS), operante in (OMISSIS) ed attivo nelle estorsioni e nel traffico di stupefacenti, unitamente al soggetto che lo accompagnava, (OMISSIS), rimasto illeso nell'agguato. Le ipotesi investigative di coinvolgimento nell'omicidio degli affiliati al clan (OMISSIS) della zona di (OMISSIS) trovavano conferma sia nelle verifiche tecniche relative all'autovettura Fiat Uno (al cui interno erano state rinvenute tracce univoche di arma da sparo) che, soprattutto, nei successivi contributi dichiarativi provenienti da (OMISSIS) e (OMISSIS), entrambi gia' aderenti a tale organizzazione, il primo con ruolo di vertice nell'ambito del quartiere (OMISSIS). In particolare, (OMISSIS) affermava di essere il mandante dell'omicidio di (OMISSIS), per contrasti insorti nel territorio di (OMISSIS) con il gruppo (OMISSIS)- (OMISSIS) e relativi alle attivita' di spaccio di stupefacenti. Il (OMISSIS) narrava, inoltre, sia degli antecedenti causali - tra cui il tentato omicidio commesso proprio dal (OMISSIS) e dal (OMISSIS) pochi giorni prima del 20 luglio 2007 in danno di (OMISSIS), ragazzo vicino al (OMISSIS) - che delle modalita' organizzative ed esecutive del delitto. Affermava, sul punto, che la vettura incaricata di perlustrare il territorio sensibile e di passare all'azione in caso di avvistamento del (OMISSIS) o del (OMISSIS) era proprio la Fiat Uno condotta dal (OMISSIS). A bordo vi erano, per quanto qui rileva, oltre al (OMISSIS), sia il (OMISSIS) (la cui presenza era necessaria proprio in quanto di (OMISSIS) e, dunque, conoscitore di luoghi e di persone) che il (OMISSIS), il quale avrebbe materialmente esploso i colpi con una mitraglietta. L'avvenuta individuazione della vettura del (OMISSIS) - testimoniata dalle immediate attivita' di indagine - determino' il successivo omicidio di quest'ultimo, posto che egli, inizialmente rifugiatosi con gli altri correi in localita' (OMISSIS) (come testimoniato anche dall'analisi delle celle di aggancio telefonico), inizio' a manifestare estrema fragilita' psicologica. I correi, compreso il (OMISSIS), temevano che costui - ove rintracciato dalle forze dell'ordine - decidesse di collaborare. Per tale ragione, sempre su incarico del (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) si occuparono della sua eliminazione - dopo averlo prelevato con una scusa dal secondo nascondiglio in localita' (OMISSIS) - e dell'occultamento del cadavere. (OMISSIS) affermava di essere venuto immediatamente a conoscenza dell'omicidio di (OMISSIS) e di avere - su incarico del (OMISSIS) - prestato assistenza agli esecutori ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) quando questi ultimi si erano rifugiati in (OMISSIS) per un paio di giorni. Il dichiarante confermava, per conoscenza diretta, la genesi del delitto nel contrasto insorto sul territorio di (OMISSIS) con gli aderenti al clan (OMISSIS)- (OMISSIS), tra cui il (OMISSIS) e il (OMISSIS), e riferiva di aver avuto diretta conferma dal (OMISSIS) circa l'identita' delle persone ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) che gli avevano teso l'agguato il (OMISSIS). Le fasi dell'omicidio del (OMISSIS) gli sarebbero state narrate dagli esecutori. Raccontava, altresi', anche per coinvolgimento diretto, della fase immediatamente successiva e delle preoccupazioni insorte per lo stato di ansia vissuto dal (OMISSIS). Precisava che lui stesso aveva ricevuto l'incarico dal (OMISSIS) di procedere all'eliminazione del (OMISSIS), con l'ausilio del (OMISSIS). Tuttavia, nel pomeriggio concordato con il complice, egli si era addormentato e, per questo, non aveva sentito le chiamate al cellulare (aveva la sola vibrazione) a lui destinate, tanto che l'azione venne portata a termine da (OMISSIS) e (OMISSIS). Cio' gli sarebbe stato narrato, subito dopo, proprio dal (OMISSIS), il soggetto che aveva preso il suo posto. Quanto alla valutazione di detti contributi, la sentenza di primo grado ha affermato che da decisioni giudiziarie relative all'esistenza e alla composizione del clan (OMISSIS) emerge con certezza il ruolo svolto in tale ambito dai due dichiaranti, il che evidenzia l'attendibilita' intrinseca. Tale dato e' avvalorato anche dagli elementi di prova generica e tecnica in atti, specie per quanto riguarda l'avvenuto utilizzo della vettura del (OMISSIS) e la localizzazione, in serata del (OMISSIS), sia di (OMISSIS) che di (OMISSIS) in localita' (OMISSIS). 2.2. La sentenza di appello del 24 gennaio 2018 ha ritenuto esauriente e completa la motivazione del primo giudice ed alla stessa si e' riportata. Ha affermato, in particolare, che i due episodi delittuosi - in virtu' della particolare rilevanza e gravita' - dovevano necessariamente rientrare nel patrimonio cognitivo di tutti i componenti del gruppo criminale coinvolto. Ha ribadito la piena autonomia dei contributi dichiarativi e ha ritenuto ampiamente giustificabili le marginali divergenze tra le due principali narrazioni, in virtu' dei diversi momenti storici in cui i due soggetti ebbero a decidere - il primo - e ad apprendere - il secondo - delle modalita' dell'agguato del (OMISSIS). Ha ritenuto inoltre corretta la valutazione relativa alla sussistenza delle circostanze aggravanti della finalita' di agevolazione mafiosa e della premeditazione, cosi' come il diniego delle circostanze attenuanti generiche, fondato sulla profonda, acuta e grave determinazione criminale mostrata dai correi. 2.3. Come si e' gia' detto, la sentenza qui in esame ha confermato l'affermazione di responsabilita' degli imputati, ma ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado, escludendo l'aggravante della premeditazione di cui all'articolo 577 c.p., comma 1, n. 3 in relazione ai reati sub A) e C), dichiarate assorbite quanto al capo B) le imputazioni L. n. 497 del 1974, ex articoli 910-12 in quelle L. n. 110 del 1975, ex articolo 23, con le gia' riconosciute continuazione tra i reati per tutti gli imputati e recidiva per il solo (OMISSIS). La sentenza ha anche valutato le nuove risultanze processuali conseguite all'acquisizione nel giudizio di rinvio (udienza del 5 novembre 2020), con il consenso di tutte le parti, del verbale di manifestazione della volonta' di collaborare in data 19 settembre 2019 ed del verbale di interrogatorio in data 15 novembre 2019 di (OMISSIS), affiliato nell'articolazione del quartiere (OMISSIS) del clan (OMISSIS), poi spostatosi al quartiere (OMISSIS), dove c'era il (OMISSIS). Ha ancora una volta ritenuto sussistente la piena autonomia dei contributi dichiarativi e ha giustificabili le marginali divergenze tra le narrazioni, in virtu' dei diversi ruoli e momenti storici in cui i soggetti operarono nei delitti per cui e' processo. 3. Inammissibile e' il ricorso del Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Bari, incentrato sull'esclusione dell'aggravante della premeditazione di cui all'articolo 577 c.p., comma 1, n. 3. 3.1. La Corte territoriale ha trattato specificamente tale profilo nel paragrafo n. 15, dedicato alla determinazione del trattamento sanzionatorio (pagg. 61 e 62 della sentenza in esame), evidenziando come, mentre le dichiarazioni dei collaboratori sono sostanzialmente convergenti e logicamente coerenti con il restante materiale processuale quanto agli autori dei due delitti, al dolo ed all'uso di armi per l'attuazione del progetto criminoso, sono state rilevate "delle incertezze e contraddizioni quanto all'aggravante in questione, le quali, per la loro non marginalita' sul punto, non possono che giustificare l'applicazione dell'articolo 530 c.p.p., comma 2". Dopo aver richiamato i principi interpretativi sugli elementi costitutivi della premeditazione (elemento cronologico ed elemento ideologico), la sentenza ha affermato che, con riferimento al primo omicidio, le dichiarazioni dell' (OMISSIS), ritenute particolarmente attendibili per la diretta presenza nell'attivita' delittuosa, introducono una serie incertezze in merito, per tutto quanto gia' evidenziato nella ricostruzione dei fatti (paragrafi 13 e 14 della stessa sentenza), aggiungendo che lo "stesso (OMISSIS) ha parlato di un incarico "esplorativo" poco compatibile con i requisiti citati". Nel vagliare le difformita' e le incertezze relative ad alcuni profili dei racconti dei collaboratori di giustizia rilevanti ai fini della configurabilita' dell'aggravante della premeditazione, la Corte territoriale ha annotato che piu' "significativo e' il contrasto delle dichiarazioni del (OMISSIS) con quelle dell' (OMISSIS), il quale ha inserito l'incontro con i rivali del clan (OMISSIS) in un contesto diverso, nell'ambito del quale ci sarebbe stata la sua fuga e quindi la decisione dei quattro soggetti indicati dal (OMISSIS) di rispondere a loro volta (per il resto le dichiarazioni dell' (OMISSIS) non contraddicono le dichiarazioni di (OMISSIS) quanto alla decisione di espandersi nella zona di Bitonto ed alla reazione che questa scateno' nel clan locale). (OMISSIS) per un verso parla di un incarico conferito per quel giorno ("no, solamente quel giorno, che poi l'incrociarono la', si incrociarono la'"), ammettendo di non aver assistito alla partenza sotto i portici del (OMISSIS) ("partirono loro"), dove anche (OMISSIS) sarebbe in precedenza arrivato (secondo (OMISSIS), la partenza avvenne con modalita' differenti): e' verosimile che (OMISSIS) abbia ricordato a posteriori come incarico specifico per quel giorno quello che era un incarico, comunque da lui ammesso, di stare pronti e di ricorrere anche alla soluzione estrema nell'ipotesi di un nuovo incontro con il gruppo avverso. D'altronde l'uso dell'autovettura del (OMISSIS), "pulita" e facilmente riconoscibile, e' maggiormente coerente con la dinamica del delitto riferita dall' (OMISSIS): un incarico di morte specifico per quel giorno sarebbe stato piu' verosimilmente realizzato con una macchina rubata, per esempio" (pag. 49 della sentenza impugnata). Quest'ultima annotazione appare logica ed obiettivamente pone in crisi l'ipotesi secondo la quale vi sia stata un'accurata preparazione dei delitti, con predisposizione dei mezzi necessari. D'altronde, va ribadito che, in tema di omicidio, la mera preordinazione del delitto - intesa come apprestamento dei mezzi minimi necessari all'esecuzione, nella fase a questa ultima immediatamente precedente - non e' sufficiente ad integrare l'aggravante della premeditazione, che postula invece il radicamento e la persistenza costante, per apprezzabile lasso di tempo, nella psiche del reo del proposito omicida, del quale sono sintomi il previo studio delle occasioni ed opportunita' per l'attuazione, un'adeguata organizzazione di mezzi e la predisposizione delle modalita' esecutive (Sez. 1, n. 37825 del 29/04/2022, Rv. 283512; Sez. 1, n. 5147 del 14/07/2015 - dep. 09/02/2016 - Rv. 266205; Sez. 1, n. 3082 del 05/03/1996, Rv. 204299). Con riferimento al secondo omicidio, la Corte territoriale ha evidenziato "tutte le titubanze e le incertezze che accompagnarono la decisione di uccidere (OMISSIS), inevitabilmente legate alla comune appartenenza, fino al momento in cui fu chiara l'ingovernabilita' dello stesso. (OMISSIS) (pagg. 97 e ss.) ha descritto il travaglio che accompagno' la decisione, in particolare le resistenze opposte da (OMISSIS) all'idea di ammazzare (OMISSIS), da loro caldeggiata per evitare cio' che avrebbe significato l'ergastolo, peraltro per persone tutte di giovane eta', fino al momento in cui fu lo stesso (OMISSIS) a dire che avrebbe "sbrigato" la questione. Secondo (OMISSIS), invece, l'omicidio fu eseguito a distanza di una settimana dall'uccisione di (OMISSIS), ma gia' "dopo un paio di giorni" fu presa la decisione. In ogni caso, con riferimento ai due odierni imputati, bisogna evidenziare che nessuno dei collaboratori ha fatto riferimenti specifici a (OMISSIS), quanto ai soggetti che premevano per l'uccisione di (OMISSIS): dato coerente con la posizione differente dell'imputato, per collocazione territoriale e per caratura criminale, rispetto ai soggetti piu' vicini a (OMISSIS). Per quanto riguarda (OMISSIS) si deve tenere conto delle dichiarazioni di (OMISSIS) che introducono comunque un ragionevole dubbio in merito alla premeditazione del (OMISSIS)" (pagg. 61 - 62). A fronte di tale motivazione, che da' compiuto conto delle incertezze emerse in ordine alla sussistenza dell'aggravante, le doglianze del Procuratore Generale territoriale si risolvono in una richiesta di rivalutazione del merito e delle risultanze processuali. Manifestamente infondate, poi, sono le censure con le quali si denunzia violazione di legge, assumendo che non sarebbe stata correttamente applicata la disposizione relativa alla circostanza aggravante della premeditazione alla luce dei criteri interpretativi della giurisprudenza di legittimita'. Da tempo le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 337 del 18/12/2008 - dep. 09/01/2009 - Rv. 241575) hanno avuto modo di chiarire che elementi costitutivi della circostanza aggravante della premeditazione sono un apprezzabile intervallo temporale tra l'insorgenza del proposito criminoso e l'attuazione di esso, tale da consentire una ponderata riflessione circa l'opportunita' del recesso (elemento di natura cronologica) e la ferma risoluzione criminosa perdurante senza soluzione di continuita' nell'animo dell'agente fino alla commissione del crimine (elemento di natura ideologica). Ne' di per se' puo' essere rilevante valutare solo il movente; esso, infatti, puo' costituire un elemento indiziante per ritenere sussistente l'aggravante, ma non sufficiente, da solo, ad integrarla (Sez. 1, n. 5147 del 14/07/2015 - dep. 09/02/2016 - Rv. 266206; Sez. 1, n. 345 del 03/12/1990 - dep. 15/01/1991 - Rv. 186156). La Corte territoriale ha fatto buon governo di tali principi, richiamandoli e valutando le emergenze processuali alla stregua dei parametri correttamente individuati. 3.2. Va, infine, detto, anche se puo' risultare ultroneo a fronte delle argomentazioni sopra esposte, che non risultano del tutto destituite di fondamento le deduzioni difensive secondo le quali l'aggravante della premeditazione nei capi d'imputazione e' stata solo menzionata nell'ambito della rubrica, ma non e' stata descritta in alcun modo la "condotta premeditata" nei suoi connotati essenziali. Tale circostanza risulta rilevante, perche' la precisazione degli elementi fattuali costitutivi dell'aggravante costituisce condizione perche' la contestazione in questa forma possa essere ritenuta valida, pure in una prospettiva sostanzialistica fondata sulla concreta possibilita' per l'imputato di difendersi sull'oggetto dell'addebito (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051). La sentenza delle Sezioni Unite Sorge (Sez. U, n. 24906 del 18/04/2019, Rv. 275436) ha chiarito che "da questa condizione discende che l'ammissibilita' della contestazione in fatto delle circostanze aggravanti deve essere verificata rispetto alle caratteristiche delle singole fattispecie circostanziali e, in particolare, alla natura degli elementi costitutivi delle stesse. Questo aspetto, infatti, determina inevitabilmente il livello di precisione e determinatezza che rende l'indicazione di tali elementi, nell'imputazione contestata, sufficiente a garantire la puntuale comprensione del contenuto dell'accusa da parte dell'imputato". Si e' quindi precisato che nella "prospettiva appena delineata, e' evidente come la contestazione in fatto non dia luogo a particolari problematiche di ammissibilita' per le circostanze aggravanti le cui fattispecie, secondo la previsione normativa, si esauriscono in comportamenti descritti nella loro materialita', ovvero riferiti a mezzi o oggetti determinati nelle loro caratteristiche oggettive. In questi casi, invero, l'indicazione di tali fatti materiali e' idonea a riportare nell'imputazione la fattispecie aggravatrice in tutti i suoi elementi costitutivi, rendendo possibile l'adeguato esercizio dei diritti di difesa dell'imputato. Diversamente avviene con riguardo alle circostanze aggravanti nelle quali, in luogo dei fatti materiali o in aggiunta agli stessi, la previsione normativa include componenti valutative; risultandone di conseguenza che le modalita' della condotta integrano l'ipotesi aggravata ove alle stesse siano attribuibili particolari connotazioni qualitative o quantitative. Essendo tali, dette connotazioni sono ritenute o meno ricorrenti nei singoli casi in base ad una valutazione compiuta in primo luogo dal pubblico ministero nella formulazione dell'imputazione, e di seguito sottoposta alla verifica del giudizio. Ove il risultato di questa valutazione non sia esplicitato nell'imputazione, con la precisazione della ritenuta esistenza delle connotazioni di cui sopra, la contestazione risultera' priva di una compiuta indicazione degli elementi costitutivi della fattispecie circostanziale. Ne' puo' esigersi dall'imputato, pur se assistito da una difesa tecnica, l'individuazione dell'esito qualificativo che connota l'ipotesi aggravata in base ad un autonomo compimento del percorso valutativo dell'autorita' giudiziaria sulla base dei dati di fatto contestati, trattandosi per l'appunto di una valutazione potenzialmente destinata a condurre a conclusioni diverse. La necessita' dell'enunciazione in forma chiara e precisa del contenuto dell'imputazione, prevista dalla legge processuale, impone che la scelta operata dalla pubblica accusa fra tali possibili conclusioni sia portata a conoscenza della difesa; non potendosi pertanto ravvisare una valida contestazione della circostanza aggravante nella mera prospettazione in fatto degli elementi materiali della relativa fattispecie" (cosi' in motivazione Sezioni Unite Sorge). Alla luce di tali principi, appare superato l'orientamento interpretativo secondo il quale la "circostanza aggravante della premeditazione, in quanto relativa alla particolare intensita' del dolo, non richiede, ai fini della ritualita' della contestazione, che nel capo d'imputazione siano descritti gli elementi di fatto dai quali sarebbe desumibile la sua sussistenza, essendo sufficiente e necessario che ne sia indicato il solo "nomen juris"" (Sez. 1, n. 41124 del 10/04/2018, Rv. 274356; Sez. 1, n. 3169 del 27/02/1998, Rv. 210193). 4. Prima di passare all'esame dei singoli ricorsi degli imputati, avendo riguardo alle censure comuni a tutti, giova evidenziare in via generale come la Corte territoriale abbia motivato in maniera congruente, articolata e non manifestamente illogica in ordine alla valutazione delle prove costituite dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (paragrafi 10, 11 e 13 della sentenza), facendo pure riferimento a tutte le altre risultanze processuali e alle deduzioni difensive sul punto (si veda, in particolare, il paragrafo 14 - pagg. 40 - 61 -, nonche' paragrafi i paragrafi 10 - dichiarazioni di (OMISSIS) - 11 - dichiarazioni di (OMISSIS) - 13 - dichiarazioni di (OMISSIS)). Risulta sulla base delle argomentazioni della sentenza impugnata che, nella valutazione delle chiamate in correita' o in reita' dei collaboratori, i giudici di merito, ancora prima di accertare la sussistenza di riscontri esterni, hanno proceduto a verificare la credibilita' soggettiva dei dichiaranti e l'attendibilita' oggettiva delle loro dichiarazioni, rispettando le seguenti condizioni: a) valutazione positiva della credibilita' soggettiva di ciascun dichiarante e dell'attendibilita' intrinseca di ogni singola dichiarazione, in base ai criteri della specificita', della coerenza, della costanza, della spontaneita'; b) nel caso di dichiarazioni "de relato", accertamento dei rapporti personali fra il dichiarante e la fonte diretta, per inferirne dati sintomatici della corrispondenza al vero di quanto dalla seconda confidato al primo; c) verifica della convergenza delle varie chiamate, riscontrate reciprocamente in maniera individualizzante, in relazione a circostanze rilevanti del "thema probandum"; d) sussistenza dell'indipendenza delle chiamate; e) sussistenza dell'autonomia genetica delle chiamate (si veda in materia Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012 - dep. 14/05/2013 - Rv. 255143). La Corte territoriale ha anche esaminato in maniera approfondita (pagg. 41 e ss.) tutte "le contraddizioni ed incongruenze" emerse nell'esame delle prove dichiarative, allo scopo di verificarne l'eventuale irrimediabile inattendibilita' ovvero la complessiva tenuta del quadro probatorio. Cio' ha fatto confrontandosi specificamente con tutte le argomentazioni sviluppate dalle difese sul punto, articolando una motivazione logicamente coerente e dando compiuto conto delle ragioni in fatto e in diritto che hanno sorretto il convincimento, tanto da addivenire alla parziale riforma della sentenza di primo grado nei termini sopra indicati. In particolare, la Corte di assise di appello ha rilevato che le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (OMISSIS) e (OMISSIS): - si collocavano a brevissima distanza dai tempi in cui gli stessi collaboratori avevano manifestato la volonta' di collaborare, rivelando fatti e circostanze relative alla loro attivita' criminale in seno al clan di stampo mafioso denominato clan (OMISSIS); - erano state sostanzialmente precise, univoche e costanti nella duplice occasione in cui erano state raccolte, in molteplici passaggi tali da consentire un controllo attraverso riferimenti a fatti obiettivamente accertabili; - che le stesse, infine, si erano inserite in modo coerente e logico all'interno di una serie di dati processuali che avvaloravano la serieta' dei fatti riferiti. Tuttavia, come si e' visto nel precedente paragrafo, la Corte territoriale, proprio accogliendo le doglianze difensive, ha ritenuto che le dichiarazioni stesse incorressero in incertezze e contraddizioni, quanto all'aggravante della premeditazione, tanto da escluderla ai sensi dell'articolo 530 c.p.p., comma 2 (pag. 61). Insomma, in via generale, deve ritenersi che la sentenza impugnata, disattendendo alcune censure comuni a tutti i ricorsi degli imputati e accogliendone altre, abbia assolto al dovere di motivazione attraverso la valutazione globale delle deduzioni delle parti e delle risultanze processuali; in proposito, va rammentato che non sono necessari l'analisi approfondita e l'esame dettagliato delle predette deduzioni difensive, essendo sufficiente che si spieghino le ragioni che hanno determinato il convincimento, cosi' dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le allegazioni che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata. 5. Molteplici profili di inammissibilita' presenta il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS). 5.1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunziato violazione di legge e correlati vizi motivazionali in relazione all'affermazione di responsabilita', evidenziando in primo luogo come la Corte di assise di appello, sebbene abbia rimarcato l'esistenza di contraddizioni nella trama narrativa dei tre contributi dichiarativi (di (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS)), non ne abbia tratto le corrette conseguenze e non abbia fornito sul punto un'adeguata risposta motivazionale. Si e' gia' detto della manifesta infondatezza di tale assunto (si veda sopra paragrafo n. 4), giacche' la motivazione della sentenza impugnata da compiuto conto di essersi attenuta ai principi in materia di valutazione della prova dichiarativa ex articolo 192 c.p.p., comma 3. E, in tale prospettiva, del tutto inconferenti si rivelano le censure sulla parte della sentenza nella quale (pag. 42) la Corte territoriale ha rilevato come le difese non abbiano allegato ragioni di rancore, invidia o di risentimento dei collaboratori nei confronti degli imputati. In effetti, tale annotazione della Corte territoriale non risulta affatto decisiva nell'ambito complessivo della valutazione dei contributi dichiarativi dei collaboranti. Versate in fatto e finalizzate alla rivalutazione delle prove risultano le deduzioni difensive secondo le quali il collaboratore (OMISSIS) ha fornito una ricostruzione totalmente diversa rispetto ai riferimenti rievocati dal (OMISSIS) e dal (OMISSIS). Come si e' detto sopra, nel paragrafo n. 4, la Corte territoriale ha dato compiuto conto, con motivazione esente da vizi, anche di tutte "le contraddizioni ed incongruenze" emerse nell'esame delle prove dichiarative, proprio allo scopo di verificarne l'eventuale irrimediabile inattendibilita' ovvero la complessiva tenuta del quadro probatorio. Cio' ha fatto confrontandosi specificamente con tutte le argomentazioni sviluppate dalle difese sul punto, tanto da addivenire alla parziale riforma della sentenza di primo grado. 5.2. Anche le argomentazioni in ordine all'affermazione di responsabilita' allegata nella memoria contenente motivi aggiunti sono state elaborate con la finalita' di richiedere a questa Corte un'inammissibile ricostruzione dei fatti e una non consentita rivalutazione delle prove, in relazione alle quali non si ravvisano vizi di travisamento. Risulta peraltro manifestamente infondata la doglianza secondo la quale la Corte territoriale non abbia considerato una serie di elementi indicati dalla difesa nell'atto di appello, giacche' nella motivazione della sentenza impugnata si da' specifico conto della valutazione delle circostanze allegate (quali, per esempio, quella che il (OMISSIS) non fosse all'epoca dei fatti affiliato ad alcun clan o quella delle ragioni per cui il (OMISSIS) abbia affidato la commissione di un duplice omicidio ad un ragazzo appena diciottenne), ritenute pero' non utili a scardinare il complessivo compendio probatorio a carico dell'imputato (si vedano, in particolare, pagg. 5558 della sentenza impugnata). 5.3. Precluse, in quanto nuove, sono le censure difensive con riferimento alla imputazione di tentato omicidio di (OMISSIS). Dalla incontestata sintesi dei motivi di appello contenuta nella sentenza impugnata e dalla copia dell'atto di appello (allegata anche all'atto di ricorso a firma dell'avv. Giulitto Giuseppe), non risulta impugnata la sentenza di primo grado con riferimento alla condotta di tentato omicidio come ascritta nel capo A) delle imputazioni. Peraltro, le allegazioni difensive risultano manifestamente infondate, anche con riferimento alla descrizione della condotta contenuta nel suindicato capo di imputazione, alla luce della ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito sulla base delle risultanze processuali, di cui hanno dato articolato e specifico conto con motivazione esente da vizi. In particolare, nella sentenza impugnata si fa piu' volte riferimento specifico alla circostanza che sia il (OMISSIS) che il (OMISSIS) erano stati individuati come i soggetti destinatari dell'agguato perpetrato in data (OMISSIS), in quanto ritenuti dal (OMISSIS) responsabili del ferimento del (OMISSIS). 5.4. Aspecifiche e, comunque, manifestamente infondate sono le censure difensive in ordine al trattamento sanzionatorio, come rideterminato nella sentenza di appello. La Corte territoriale ha valorizzato ai fini della determinazione della pena (pagg. 62 e 63) "il numero degli omicidi, la estrema gravita' dei medesimi, anche per il contesto di criminalita' organizzata in cui furono concepiti", non trascurando a favore dell'imputato di tener conto della sua giovanissima eta' e dell'incensuratezza. Si tratta di motivazione congrua e non manifestamente illogica, con la quale la Corte territoriale ha assolto all'onere argomentativo attraverso un congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti. E, in proposito, giova ribadire che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti e per fissare la pena base, rientra nella discrezionalita' del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 c.p.. 6. Inammissibile e' il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS). 6.1. Manifestamente infondata e' la doglianza con la quale viene censurata la sentenza impugnata perche' la motivazione sarebbe strutturata per relationem a quella di primo grado, senza valutare in maniera adeguata le deduzioni difensive. In effetti, nella sentenza impugnata, come si e' gia' piu' volte detto sopra, si da' conto della decisione del giudice di primo grado e delle deduzioni difensive, per poi valutare autonomamente il compendio probatorio e correggere in parte anche le argomentazioni che hanno supportato la decisione del Giudice per l'udienza preliminare. Quanto, poi, alle doglianze relative alla valutazione delle prove dichiarative dei collaboratori di giustizia, si rinvia a quanto gia' sopra rilevato (si veda paragrafo n. 4), dovendo qui ancora una volta ribadirsi che, a fronte della articolata e logica motivazione sul punto della sentenza impugnata, le censure difensive si risolvono in un'inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito. In proposito, giova ribadire che esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione (per tutte: Sez. U, n. 6402, del 30/4/1997, Dessimone, Rv. 207944). Tale preclusione per la Corte di cassazione, di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta dalle sentenze di merito, si estende anche alla tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l'apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall'esterno (tra le altre, Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260). 6.2. Risulta che la Corte territoriale ha risposto specificamente (correggendo pure la sentenza di primo grado sul punto) anche alle deduzioni difensive del (OMISSIS) afferenti alla allegata documentazione relativa alla misura cautelare dell'obbligo di presentazione alla P.G., alla quale all'epoca dei fatti il ricorrente era sottoposto. Si legge nella sentenza quanto segue: "Il difensore dell'imputato (OMISSIS) ha mosso alla ricostruzione dei collaboratori una specifica obiezione, legata alla sottoposizione dell'imputato all'obbligo di firma, in quel periodo, ed al fatto che lo stesso certo non poteva rimanere nascosto per ben due giorni in altro comune, sottraendosi alle prescrizioni del titolo cautelare. Sul punto il primo Giudice ha osservato impropriamente che non e' stata offerta alcuna prova dell'esistenza del titolo cautelare ne' del puntuale adempimento delle relative prescrizioni. In realta', nel corso del primo giudizio di appello, e' stata acquisita la documentazione che attesta la sottoposizione dei (OMISSIS) all'obbligo di presentazione alla P.G. ed il puntuale adempimento nei giorni in questione. Orbene, la prova offerta dalla difesa non dimostra circostanze incompatibili con la dinamica dei fatti indicata dai collaboratori: a. l'obbligo di firma doveva essere adempiuto alle 18.30; b. l'omicidio di (OMISSIS) si verifico' alle 16.30; c. lo spostamento da (OMISSIS) si verifico' nella tarda serata; d. secondo (OMISSIS)- (OMISSIS), come tutti gli altri soggetti diversi da (OMISSIS), stettero a (OMISSIS) solo una notte, per poi tornare alle ordinarie occupazioni. Si puo' aggiungere che il collaboratore (OMISSIS) ha spontaneamente confermato l'apposizione della firma da parte del (OMISSIS), il 20 luglio, secondo una ricostruzione lineare e credibile, sostanzialmente coerente con la documentazione citata, indicando unicamente le ore 19.00 (anziche' 18.30) come orario della firma..." (pagg. 58-59 della sentenza impugnata). 7. Va dichiarata l'inammissibilita' anche del ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS). 7.1. Manifestamente infondato e' il motivo con il quale si denunzia violazione di legge in ordine all'utilizzabilita' per la decisione dei tabulati telefonici. Il ricorrente, precisando che la questione non era proponibile nel giudizio di appello, perche' sorta successivamente, ha eccepito l'inutilizzabilita' dei tabulati acquisiti nel corso delle indagini, in violazione del disposto di cui al Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, articolo 132 (Codice della privacy), per come modificato con il Decreto Legge n. 132 del 2021, entrato in vigore il 30 settembre 2021. Questa Sezione, con la sentenza n. 8968 del 24/02/2022 (Rv. 282989), dopo aver ripercorso puntualmente alcuni approdi normativi e giurisprudenziali in materia, ha chiarito una serie di principi interpretativi della nuova normativa, con articolate argomentazioni condivise pienamente da questo collegio. Il Decreto Legge n. 132 del 2021, articolo 1, entrato in vigore il 30 settembre 2021 (e, poi, convertito, con modificazioni, dalla L. 23 novembre 2021, n. 178), e' intervenuto sul Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 132 con il fine, dichiarato nel preambolo, di adeguare la disciplina nazionale ai principi enunciati dalla Corte di giustizia (nella sentenza 2 marzo 2021, nella causa C-746/18), limitando la possibilita' di acquisizione di tabulati telefonici e informatici a determinate forme gravi di criminalita' e introducendo un controllo giurisdizionale ex ante sulla richiesta del pubblico ministero (o una convalida successiva in caso di urgenza). In particolare, l'articolo 1 del citato Decreto Legge - intitolato "Disposizioni in materia di acquisizione dei dati di traffico telefonico e telematico per fini di indagine penale" - ha riscritto il Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, articolo 132, comma 3, prevedendo che: "entro il termine di conservazione imposto dalla legge, se sussistono sufficienti indizi di reati per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni determinata a norma dell'articolo 4 c.p.p., e di reati di minaccia e di molestia o disturbo alle persone col mezzo del telefono, quando la minaccia, la molestia e il disturbo sono gravi, ove rilevanti ai fini della prosecuzione delle indagini, i dati sono acquisiti presso il fornitore con decreto motivato del giudice su richiesta del pubblico ministero o su istanza del difensore dell'imputato, della persona sottoposta a indagini, della persona offesa e delle altre parti private". Il decreto legge, nel suo testo originario, non prevedeva una norma transitoria, cosi' come allegato dal ricorrente. Tuttavia, in sede di conversione (avvenuta con la L. n. 178 del 2021), il legislatore, oltre ad apportare alcuni correttivi, ha dettato una specifica norma transitoria. La legge di conversione e' intervenuta: sostituendo alla precedente formula "...ai fini della prosecuzione delle indagini" quella, piu' chiara, "...ove rilevanti per l'accertamento dei fatti"; precisando la natura autorizzatoria del decreto del giudice; introducendo la previsione espressa di inutilizzabilita'. I dati del traffico telefonico sono tutti i dati cd. "esteriori" della conversazione telefonica, diversi da quelli attinenti al suo contenuto, e che comprendono autori, tempo, durata e luogo della comunicazione, dunque anche quelli tratti dalla dislocazione della "cella" da cui una chiamata di telefonia mobile ha origine o nella quale si conclude (si veda la citata Sez. 5, n. 8968 del 24/02/2022, Rv. 282989). I dati in rassegna possono essere acquisiti con riguardo a un catalogo predeterminato di reati che il legislatore italiano ha reputato espressione di "forme gravi di criminalita'"; in presenza di sufficienti indizi di reato; ove rilevanti per l'accertamento dei fatti. L'autorizzazione deve essere data dal giudice con decreto motivato (salvi i casi di urgenza in cui il giudice interviene in fase di convalida). E' stata, peraltro, innovata la disciplina che regola il passato. La legge di conversione n. 178 del 2021, con l'inserimento del comma 1-bis all'interno del Decreto Legge n. 132 del 2021, articolo 1, ha stabilito che i dati relativi al traffico telefonico acquisiti nei procedimenti penali prima della entrata in vigore del Decreto Legge n. 132 del 2021 "possono essere utilizzati a carico dell'imputato solo unitamente ad altri elementi di prova ed esclusivamente per l'accertamento dei reati per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, determinata a norma dell'articolo 4 c.p.p. e dei reati di minaccia e di molestia o disturbo alle persone con il mezzo del telefono, quando la, minaccia, la molestia o il disturbo sono gravi". Dunque, in deroga al principio tempus regit actum, i dati esteriori relativi alle comunicazioni telefoniche (con cio' intendendosi, per quanto sopra detto, i numeri di chiamante e chiamato, data, ora, durata, compreso il luogo) - acquisiti, come nella specie, prima del 30 settembre 2021, in base a decreto motivato del pubblico ministero (modalita' legittima secondo la legge in precedenza vigente)- possono essere utilizzati come elemento di prova a carico dell'imputato solo "unitamente ad altri elementi di prova" e solo per l'accertamento dei reati che rientrano nella categoria gia' delineata "per il futuro" dal Decreto Legge n. 132 del 2021. Consegue a cio' che il novero dei reati per i quali i tabulati sono utilizzabili dal 30 settembre 2021 vale anche per il passato e la limitazione e' inderogabile. Invece viene "salvata", a determinate condizioni, la precedente modalita' acquisitiva effettuata attraverso il decreto motivato del pubblico ministero. Al riguardo non e' superfluo rimarcare come il sistema italiano garantiva, comunque, il recupero di un controllo giurisdizionale esercitato di ufficio (Sez. U, n. 16 del 21/06/2000, Tammaro cit.). E' stata prevista, pero', anche un'altra limitazione: i tabulati telefonici, acquisiti con decreto motivato del pubblico ministero, non possono da soli fondare un giudizio di colpevolezza, essendo richiesto il conforto di altri elementi di prova. In sostanza, per il passato, ferme le categorie di reato (che pongono un limite invalicabile), il legislatore, piuttosto che delineare una sanzione processuale (solo evocata dal termine "utilizzati"), ha delineato una regola legale di valutazione della prova mutuata dall'articolo 192 c.p.p., comma 3, in tema di chiamata di correo. In proposito (come condivisibilmente sottolineato dalla citata Sez. 5 n. 8968 del 24/02/2022), indice non equivoco di siffatta intenzione del legislatore si trae dalla costruzione positiva della formulazione, che non sanziona una inutilizzabilita', ma stabilisce, in positivo, in quali limiti la prova possa essere valutata al fine di pervenire a una affermazione di responsabilita'. Sulla scorta di queste considerazioni puo' affermarsi che gli "altri elementi di prova", non essendo predeterminati nella specie e nella qualita', "possono essere di qualsiasi tipo e natura, ricomprendere non soltanto le prove storiche dirette, ma ogni altro elemento probatorio, anche indiretto, legittimamente acquisito al processo ed idoneo, anche sul piano della mera consequenzialita' logica, a corroborare, nell'ambito di una valutazione probatoria unitaria, il mezzo di prova ritenuto ex lege bisognoso di conferma" (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. 255145). E' evidente, allora, come correttamente sottolineato dalla citata sentenza Sez. 5 n. 8968 del 24/02/2022, che "l'esatto inquadramento dogmatico della regola dettata dal Decreto Legge n. 132 del 2021, articolo 1, comma 1-bis, introdotto dalla L. n. 178 del 2021 non e' di poco conto nell'ottica del giudice di legittimita', atteso che l'inutilizzabilita' della prova e' deducibile dinanzi alla Corte di cassazione ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c); mentre la violazione di una regola di valutazione della prova puo' essere fatta valere solo a norma dell'articolo 606 c.p.p., lettera e) (cfr. tra le altre Sez. 6 n. 4119 del 30/04/2019, dep. 2020, Romeo gestioni s.p.a., Rv. 278196) cioe' come vizio della giustificazione del giudizio di fatto. Non solo; la inutilizzabilita' e' rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del procedimento (sebbene la Corte di cassazione si sia dotata di un insieme di canoni molto precisi sul regime delle inutilizzabilita', sugli oneri di deducibilita' e sulle condizioni di rilevabilita'); mentre il vizio di motivazione deve essere sempre dedotto dal ricorrente. In questa seconda ipotesi e' difficile che i ricorsi proposti prima della entrata in vigore della norma transitoria censurino una decisione per l'inosservanza di una regola valutativa all'epoca inesistente. E, tuttavia, l'introduzione di una previsione di maggior rigore valutativo a favore dell'imputato, che modifica il quadro dei doveri argomentativi del giudice, impone di ritenere che, al di fuori dei casi di inammissibilita' del ricorso, qualora il ricorrente abbia impugnato la sentenza di appello censurando la mancanza, la contraddittorieta' o la manifesta illogicita' della motivazione con riguardo alla idoneita' dei tabulati a provare la responsabilita' dell'imputato, pur senza fare specifico riferimento al principio contenuto nel citato articolo 1, comma 1-bis in esame (neppure conoscibile all'epoca di proposizione del ricorso), la Corte di cassazione deve annullare con rinvio la sentenza impugnata". Nel caso in esame i tabulati telefonici sono stati acquisiti con decreto motivato del pubblico ministero ai fini dell'accertamento anche dei reati di omicidio aggravato di (OMISSIS) e (OMISSIS) ovvero certamente per delitti rientranti nella suindicata previsione normativa. Occorre allora verificare, in primo luogo, se questo collegio possa ritenersi investito della questione sul regime dei tabulati e, in secondo luogo, se la valutazione operata dal giudice di merito, nel vigore della normativa precedente, risponda o meno al nuovo parametro legale della esistenza di "altri elementi di prova". Al primo quesito va data risposta positiva. Peraltro, nessun problema si pone nel caso si ritenga che il Decreto Legge n. 132 del 2021, articolo 1, comma 1-bis introduca una sanzione di inutilizzabilita' anche per il passato, in ragione della rilevabilita' di ufficio in ogni stato e grado del procedimento; invece, a voler inquadrare il vizio come violazione di una regola valutativa deducibile ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), va osservato che il ricorrente non ha prospettato il tema dell'idoneita' probatoria degli elementi a suo carico ricavati dai tabulati, introducendo, in maniera specifica, il relativo vizio motivazionale. Al secondo quesito va data, invece, risposta negativa. Nella specie, come si e' gia' evidenziato sopra, l'affermazione di responsabilita' degli imputati non si fonda unicamente sui dati esteriori del traffico telefonico, giacche' i giudici di merito hanno fatto ampio ed articolato riferimento a molteplici risultanze processuali (dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, altre prove dichiarative, accertamenti tecnici, etc.), mentre l'indicazione dei dati ricavabili dai tabulati acquisiti e' stata fatta a completamento del percorso valutativo di un quadro probatorio gia' solido (pagg. 15 e ss., pag. 51 e pag. 56 della sentenza in esame); ne consegue che puo' ritenersi che la sentenza impugnata, in ragione del percorso decisionale seguito, soddisfi la regola normativa cui si e' sopra fatto riferimento. 7.2. Generico, versato in fatto e finalizzato alla rivalutazione delle prove e' il secondo motivo di ricorso del (OMISSIS), con il quale si denunziano violazione di legge e vizi motivazionali in relazione all'affermazione di responsabilita'. Si richiamano tutte le argomentazioni gia' articolate sopra (nel paragrafo n. 4) sulla valutazione dell'attendibilita' delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, dovendo invece qui precisarsi che non si rileva affatto la dedotta errata applicazione del principio della c.d. frazionabilita' delle dichiarazioni dei propalanti, cosi' come facilmente desumibile dalla lettura della lineare e logica motivazione sul punto della sentenza in esame. Tutte le allegazioni difensive del ricorso, che richiamano quelle gia' articolate nella memoria depositata nel giudizio di rinvio, non si confrontano con le argomentazioni della sentenza (finendo cosi' per risultare anche generiche), che - come si e' gia' detto - non si e' limitata a richiamare la sentenza di primo grado, ma ha compiuto un'autonoma e specifica valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. 7.3. Manifestamente infondato e' il terzo motivo, con il quale si denunziano violazione di legge e vizi motivazionali in relazione alle aggravanti di cui all'articolo 416 bis.1 c.p. (gia' Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7). Sulle analoghe (e, per vero, generiche) censure proposte con l'atto di appello, la Corte territoriale ha risposto in maniera congruente, corretta e logica. Si legge in sentenza: "Correttamente il primo Giudice, richiamato il contenuto della sentenza G.U.P. emessa nel proc. n. 1953/06 r.g.n.r. quanto alla connotazione del clan (OMISSIS) ed i consolidati principi della Suprema Corte sul punto, ha osservato che l'omicidio di (OMISSIS) fu programmato ed eseguito al precipuo scopo di consentire all'associazione di stampo camorristico-mafioso denominata clan (OMISSIS) la prosecuzione dell'attivita' di spaccio di sostanza stupefacente, fronteggiando le resistenze del clan opposto. Non solo, ma anche il metodo mafioso risulta pacificamente ravvisabile nelle modalita' del delitto, con particolare riferimento alla platealita' dell'esecuzione, al luogo, all'orario ed all'arma utilizzata. Anche l'omicidio del (OMISSIS) fu ispirato dalla finalita' di garantire la persistente solidita' del sodalizio criminale, dal momento che la temuta collaborazione avrebbe avuto una portata dirompente sulla vita del clan. L'omicidio fu commesso proprio per evitare questo effetto. Ed anche in questo caso l'aggravante della finalita' e' arricchita dal metodo mafioso, ravvisabile nel raggiro perpetrato ai danni del (OMISSIS), nelle modalita' dell'omicidio e nel successivo occultamento del cadavere". Con evidenza, quella sopra riportata non e' affatto una motivazione "apodittica", non avendo la Corte territoriale fatto solo riferimento alla "matrice mafiosa" dei delitti ascritti al (OMISSIS). Di contro, le argomentazioni difensive risultano ancora una volta generiche in quanto non si confrontano con le specifiche argomentazioni svolte sul punto dalla Corte territoriale; argomentazioni che, peraltro, sono supportate dall'obiettiva considerazione delle modalita' dei fatti e dalla finalita' perseguita dagli imputati. 8. Alla declaratoria di inammissibilita' dei ricorsi degli imputati consegue la loro condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi degli imputati, che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Dichiara inammissibile il ricorso del Procuratore Generale.

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