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REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta da: Dott. DE MARZO Giuseppe - Presidente Dott. PISTORELLI Luca - Consigliere Dott. SESSA Renata - Relatore Dott. CIRILLO Pierangelo - Consigliere Dott. RENOLDI Carlo - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: Tr.Cr. nato a G il (Omissis) avverso la sentenza del 09/10/2023 della CORTE APPELLO di ANCONA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere RENATA SESSA; RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 21.12.2023 la Corte di Appello di Ancona ha confermato la pronuncia emessa in primo grado nei confronti di Tr.Cr., che, all'esito di giudizio abbreviato, lo aveva dichiarato colpevole dei reati di lesione, esclusa l'aggravante della durata superiore a 40 giorni, e di danneggiamento, posti in continuazione con determinazione della pena finale in mesi otto e giorni venti di reclusione. 2. Avverso la suindicata sentenza, ricorre per cassazione l'imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo, con l'unico motivo articolato, di seguito enunciato nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., l'erronea applicazione della legge penale in relazione alla determinazione della pena ex art. 582 e 81 cpv. cod. pen., alla stregua di quanto affermato da questa Corte di Cassazione, anche con la sentenza a Sezioni Unite del 14/12/2023, in ordine al trattamento sanzionatorio applicabile in caso di durata della lesione inferiore a giorni a 40 giorni, a seguito della c.d. riforma Cartabia. Indi, si conclude che deve ritenersi errata la statuizione che ha ritenuto più grave il reato di lesione personale giudicata guaribili in misura inferiore a 40 giorni operando su questo la continuazione col reato di danneggiamento, e si insta per l'annullamento della sentenza impugnata per l'illegalità della pena inflitta. 3. Il ricorso è stato trattato - ai sensi dell'art. 23, comma 8, del d.l. n. 137 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n.1 76, che continua ad applicarsi, in virtù del comma secondo dell'art. 94 del D.Lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall'art. 11, comma 7, d.l. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito con modificazioni dalla l. del 23.2.2024 n. 18, per le impugnazioni proposte sino al 30.6.2024 - senza l'intervento delle parti che hanno così concluso per iscritto: il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso; il difensore dell'imputato ha insistito nell'accoglimento del ricorso, evidenziando altresì l'ulteriore profilo di illegittimità del trattamento sanzionatorio per essere stato individuato quale reato più grave ai fini della continuazione quello di lesione. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Premesso che risulta in atti la denuncia - querela in ordine al fatto in argomento, si osserva che il ricorso è fondato relativamente al trattamento sanzionatorio risultando illegale la pena applicata. Deve, invero, rilevarsi la illegalità della pena irrogata con riferimento al reato di lesione personale, ritenuta di tipo lieve - superiore ai venti giorni ma inferiore ai 41 - e non grave dai giudici di merito, rispetto alla quale devono essere applicate le più miti sanzioni previste dal D.Lgs. n. 274 del 2000. Ed invero, come ha avuto modo di affermare - tra le altre - Sez. 5, n. 41372 del 05/07/2023, Rv. 285876 - 01; Sez. 5, n. 10669 del 31/01/2023, Rv. 284371 - 01, in tema di lesioni personali lievi, divenute procedibili a querela per effetto dell'art. 2, comma 1, lett. b), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, rientrando il delitto nella competenza per materia del giudice dì pace, è illegale l'inflizione della pena della reclusione, anche nel caso in cui esso sia stato commesso prima dell'entrata in vigore della suddetta disposizione normativa o sia stato giudicato da un giudice diverso (in motivazione, questa Corte ha evidenziato un difetto di coordinamento tra l'art. 4, comma 1, lett. a), D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274 e l'art. 582, comma secondo, cod. pen., in quanto il primo, che non è stato modificato, continua a riferirsi al secondo che, invece, non individua più ipotesi procedibili a querela). Al riguardo si sono di recente pronunciate, in data 14.12.2023, anche le Sezioni Unite di questa Corte che hanno affermato, come risulta dall'informazione provvisoria, ed ora anche dal corpo della motivazione della sentenza - non ancora massimata - n. 12759/23, depositata il 28.3.2024, che la competenza per materia per il delitto di lesione personale, nei casi procedibili a querela, anche quando comporti una malattia di durata superiore a venti giorni e non eccedente i quaranta, dopo le modifiche introdotte dall'art. 2, comma 1, lett. b), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, è stata attribuita al giudice di pace (fatti salvi i casi espressamente esclusi dall'ordinamento) perché il mancato coordinamento di tale disposizione con quella di cui all'art. 4, comma 1, lett. a) del decreto legislativo 74/2000, deve essere risolto attraverso l'interpretazione estensiva di tale ultima disposizione conformemente alla volontà del legislatore riformatore di ampliare la competenza della predetta autorità giudiziaria a tutti i casi di lesione procedibile a querela. Sicché, trattandosi di reato punito con la sola pena della reclusione, ai sensi dell'art. 52, comma 2, lett. b), D.Lgs. n. 274/2000, deve applicarsi la pena pecuniaria della specie corrispondente da Euro 516,00 ad Euro 2582,00 o la pena della permanenza domiciliare da quindici a quarantacinque giorni ovvero la pena del lavoro di pubblica utilità da venti giorni a sei mesi; e, stante l'alternativa riguardo alla pena applicabile, s'impone l'annullamento con rinvio affinché alla rideterminazione della stessa - anche con riferimento all'individuazione del reato più grave - vi proceda il giudice di merito a cui compete la valutazione al riguardo. 2. Dalie ragioni sin qui esposte deriva che, ferma restando l'irrevocabilità della dichiarazione di responsabilità penale del ricorrente, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al punto del trattamento sanzionatorio, con rinvio al giudice di merito, che va individuato nella Corte di Appello di Perugia a norma dell'art. 623, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.. In caso di diffusione del presente provvedimento devono essere omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, limitatamente alla determinazione del trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d'appello di Perugia. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge. Così deciso il 10 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2024.
Z20 11-Z 4 Composta da: REPUBBUCA ITAUANA In nome del Popolo Italiano LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE QUINTA SEZIONE PENALE ROSA PEZZULLO ALFREDO GUARDIANO GIUSEPPE DE MARZO PIERANGELO CIRILLO ROSARIA GIORDANO - Presidente - - Relatore - Sento n. sez. 530/2024 UP - 23/02/2024 R.G.N. 41626/2023 ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: SAlIR GHEORGHE LUCIAN nato il 05/11/2001 avverso la sentenza del 12/06/2023 della CORTE APPELLO di ROMA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ALFREDO GUARDIANO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PASQUALE SERRAO D'AQUINO che ha concluso chiedendo udito il difensore FATTO E DIRITTO 1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Roma confermava la sentenza con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Tivoli, in data 9.6.2022, decidendo in sede di giudizio abbreviato, aveva condannato Batir Gheorghe Lucian alla pena ritenuta di giustizia, in relazione al reato ex art. 612 bis, co. 1 e 2, c.p., in rubrica ascrittogli. 2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l'annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il Batir, lamentando: 1) nullità della sentenza di primo grado per nullità della citazione dell'imputato ex artt. 178, 179, c.p.p., derivante dalla mancata traduzione dell'imputato, detenuto per altra causa, in udienza (stato di detenzione per altra causa noto al giudice procedente) e conseguente erronea e illegittima dichiarazione di assenza; 2) nullità della sentenza di secondo grado per nullità della citazione dell'imputato ex art. 178, c.p.p., in quanto avvenuta in violazione degli artt. 156, co. 3 e 4, 157, c.p.p.; 3) vizio di motivazione e violazione di legge in punto di mancato accoglimento della richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, volta all'espletamento di una prova decisiva, sub specie di una perizia per accerta la capacità di intendere e di volere e la capacità di stare in giudizio del prevenuto; 4) violazione di legge in punto di ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi del reato per cui si procede. 3. Con requisitoria scritta del 25.1.2024, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, dotto Pasquale Serrao d'Aquino, chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile. Con memoria del 18.2.2024, pervenuta a mezzo di posta elettronica certificata, il difensore di fiducia dell'imputato, nel replicare alla requisitoria scritta del pubblico ministero, insiste per l'accoglimento del- ricorso. 4. Il ricorso va accolto, essendo fondato il primo motivo di impugnazione, in esso assorbite le ulteriori censure. 5. Come si evince dalla lettura degli atti, consentita in questa sede di legittimità, essendo stato dedotto un error in procedendo, e comunque allegati al ricorso, in ossequio al principio della cd. autosufficienza, nei confronti dell'imputato era stato emesso decreto di giudizio immediato in data 21.7.2021, in relazione al quale era stata formulata, ai sensi dell'art. 458, c.p.p., richiesta di giudizio abbreviato, che veniva fissato dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Tivoli per la camera di consiglio del 3.2.2022. In tale data era stato disposto il rinvio della trattazione del giudizio alla successiva udienza del 9.6.2022, in presenza di un legittimo . impedimento a comparire dell'imputato, vittima di un gravissimo incidente stradale, al quale veniva notificato il verbale dell'udienza del 3.2.2022, con l'indicazione della data del rinvio, a cura della Tenenza dei Cc. di Guidonia Montecelio, il cui comandante, nella nota del 27.5.2022, indirizzata al Commissariato di P.S. di Tivoli e all'Ufficio del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Tivoli, trasmessa con successo il 28.5.2022 attraverso posta elettronica all'indirizzo telematico della suddetta autorità giudiziaria, segnalava che Batir "risulta sottoposto alla misura degli arresti domiciliari" e "in carico" alla menzionata Tenenza, per i relativi controlli. All'udienza del 9.6.2022 il Batir veniva dichiarato assente, non ravvisando il giudice procedente alcuna causa di legittimo impedimento a comparire dell'imputato, per cui, ammesso al giudizio abbreviato, quest'ultimo veniva condannato alla pena ritenuta di giustizia per il delitto di cui all'art. 612 bis, co. le 2, c.p. Evidente, dunque, l'errore in cui è incorso il giudice di primo grado, il quale, pur essendo stato formalmente edotto, tempestivamente rispetto alla data fissata per l'udienza, della circostanza che l'imputato si trovava in stato di restrizione agli arresti domiciliari per altra causa, dunque impossibilitato a essere presente per un legittimo impedimento, ne ha dichiarato l'assenza, procedendo alla celebrazione del giudizio abbreviato, violando il disposto dell'art. 420 ter, co. 1, c.p.p. Secondo tale norma, infatti, il giudice procedente avrebbe dovuto disporre il rinvio a una nuova udienza, disponendo la rinnovazione dell'avviso all'imputato e la traduzione per la nuova udienza, in modo da consentirgli di essere presente, norma applicabile al giudizio abbreviato in virtù del richiamo alle disposizioni previste per l'udienza preliminare operato dall'art. 441, co. 1, c.p.p., a sua volta richiamato dall'art. 458, co. 2, del codice di rito. In questo senso si è espressa la giurisprudenza di legittimità nella sua espressione più autorevole, rilevando che la restrizione dell'imputato agli arresti domiciliari per altra causa, documentata o, comunque, comunicata al giudice procedente, in qualunque tempo, integra un impedimento legittimo a comparire che impone il rinvio del procedimento ad una nuova udienza e la traduzione dell'imputato stesso. Il giudice che procede, infatti, alla luce dell'incondizionato diritto dell'imputato alla partecipazione al processo, come disegnato in maniera univoca anche dalle disposizioni internazionali e convenzionali, nell'ipotesi in cui emerga, in qualsiasi modo, dagli atti la circostanza che l'imputato, libero nel suo procedimento, sia in condizione di restrizione di qualsiasi natura per altra causa, deve attivarsi a disporre l'ordine di traduzione, ed il rinvio del procedimento, qualora tale ordine non sia eseguibile per l'udienza già fissata - nell'ipotesi in cui tale conoscenza sia acquisita nell'immediatezza della prima udienza e non sia possibile procedere utilmente all'emissione dell'ordine per quella data -con correlato obbligo di rinnovo dell'avviso. L'assenza dell'imputato, rilevano le Sezioni Unite, può costituire chiara espressione dell'abdicazione del diritto a partecipare solo ove non risulti in alcun modo la presenza di un impedimento e possa essere ricondotta univocamente ad una libera rinuncia dell'imputato ad esercitare il suo diritto. Tale condizione non sussiste in tutte le ipotesi nelle quali il giudice che procede ha conoscenza dell'esistenza di un impedimento dell'imputato a partecipare al processo a causa della limitazione della libertà personale e non sia stata manifestata da parte dell'interessato, in maniera inequivoca, la volontà di rinunciare a presenziare. In tal caso incombe al giudice procedente l'obbligo di esercitare, di ufficio e senza ulteriori sollecitazioni da parte dell'imputato, tutti i poteri che l'ordinamento gli conferisce al fine di assicurare la partecipazione dell'imputato non rinunciante. Diversamente, l'irrituale instaurazione del contraddittorio, non può che determinare, come nel caso che ci occupa, l'illegittimità della decisione di primo grado, in forza di quanto espressamente previsto dall'art. 604, comma 5-bis, c.p.p., per tutte le ipotesi in cui non siano state rispettate le disposizioni di cui agli art. 420-ter e 420-quater, c.p.p. (cfr. Sez. U, n. 7635 del 30/09/2021, Rv. 282806). Tanto premesso occorre stabilire la natura della nullità, il cui verificarsi, per le illustrate, ragioni non è revocabile in dubbio. In un recente arresto di questa sezione si è evidenziato che, in tema di giudizio dibattimentale, l'omessa traduzione dell'imputato detenuto, dovuta ad un errore percettivo circa la sua rinuncia a comparire, determina la nullità assoluta e insanabile dell'udienza irritualmente celebrata e la conseguente inutilizzabilità delle prove in essa assunte (cfr. Sez. S, n. 22115 del 22/03/2022, Rv. 283438). A sostegno di tale conclusione si rilevava come nel sistema accusatorio la partecipazione dell'imputato al processo è condizione indefettibile per il regolare esercizio della giurisdizione, afferendo al fondamentale diritto di difesa, che può solo essere oggetto di una rinuncia da parte del suo titolare attraverso una non equivoca manifestazione di volontà abdicativa in tale senso In questo senso si erano espresse in passato le Sezioni Unite Penali, osservando che la detenzione dell'imputato per altra causa, sopravvenuta nel corso del processo e comunicata solo in udienza, integra un'ipotesi di legittimo impedimento a comparire e preclude la celebrazione del giudizio in contumacia, anche quando risulti che l'imputato medesimo avrebbe potuto informare il giudice del sopravvenuto stato di detenzione in tempo utile per la traduzione, in quanto non è configurabile a suo carico, a differenza di quanto accade per il difensore, alcun onere di tempestiva comunicazione dell'impedimento (cfr. Sez. U, n. 37483 del 26/09/2006, Rv. 234600). Consolidato, altresì, appare nella giurisprudenza 'di legittimità l'orientamento secondo cui la mancata traduzione all'udienza camerale d'appello, perché non disposta o non eseguita, dell'imputato che abbia tempestivamente manifestato in qualsiasi modo la volontà di comparire e che si trovi detenuto o soggetto a misure limitative della libertà personale, determina la nullità assoluta e insanabile del giudizio camerale e della relativa sentenza, ai sensi degli artt' 178 e 179, c.p.p. (cfr., ex plurimis, Sez. U, n. 35399 del 24/06/2010, Rv. 247836; Sez. 3, n. 9756 del 03/02/2022, Rv. 282923). Di particolare interesse, ai fini del ragionamento svolto in questa sede, risulta un passaggio della motivazione delle Sezioni Unite n. 35399 del 24/06/2010, richiamato, in forma adesiva, dalla successiva sentenza della Terza sezione n. 9756 del 03/02/2022, che appare opportuno riportare integralmente: "nell'ipotesi di indagato o imputato detenuto, la cui partecipazione all'udienza camerale è subordinata ad una positiva manifestazione di volontà in tal senso, l'ordine di traduzione e la sua esecuzione costituiscono, insieme con l'avviso dell'udienza camerale e la sua notificazione, atti indefettibili della procedura diretta alla regolare costituzione del contraddittorio. Senza di essi, infatti, l'avviso non può svolgere in concreto l'unica funzione che gli è propria, quella della vocatio in iudicium, che può definirsi tale solo in quanto rivolta a chi ad essa sia in grado di rispondere. Di conseguenza, la citazione dell'imputato detenuto realizza un'unica fattispecie complessa, costituita dall'avviso, dalla dichiarazione di volontà dell'interessato detenuto di comparire e dalla sua successiva traduzione, atti tutti da guardarsi, per il rapporto di stretta consequenzialità che li caratterizza, in una visione unitaria in funzione dello scopo loro proprio, la vocatio in iudicium per la valida instaurazione del contraddittorio, con la conseguenza che la mancata traduzione, perché non disposta o non eseguita, determina la nullità assoluta e insanabile della udienza e della successiva pronunzia, ai sensi dell'art. 178 cod. proc. pen., lett. c) e art.179 cod. proc. pen.". Orbene, ritiene il Collegio che tali principi debbano trovare applicazione nella fattispecie in esame, pur difettando una dichiarazione di volontà dell'imputato, ristretto agli arresti domiciliari, di voler presenziare all'udienza fissata innanzi al giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Tivoli. Non appare, infatti, applicabile al giudizio abbreviato di primo grado la disciplina dell'art. 127, co. 3 e co 4, c.p.p. in quanto, da un lato, l'art. 441, co. 3, c.p.p., fa riferimento al procedimento in camera di consiglio solo per escludere che il giudizio di svolga in pubblica udienza, a meno che non ne facciano richiesta tutti gli imputati; dall'altro, il rinvio esplicito alle forme previste dall'art. 127, c.p.p., è previsto solo per la celebrazione del giudizio abbreviato di appello, ai sensi dell'art. 443, co. 4, c.p.p. Pertanto, una volta affermata, come si è visto, la natura incondizionata del diritto dell'imputato alla partecipazione al processo, che prescinde da un onere a carico di quest'ultimo di comunicare al giudice procedente lo stato di restrizione agli arresti domiciliari, non è possibile subordinare l'esercizio di un diritto fondamentale, come quello di partecipare al processo, ad oneri che non siano espressamente previsti da una disposizione legislativa (nel caso che ci occupa la manifestazione della volontà del prevenuto di essere presente all'udienza di celebrazione del giudizio abbreviato di primo grado), avendo rilievo soltanto il fatto che il giudice abbia comunque conoscenza di una obiettiva situazione di impedimento e manchi un'esplicita rinuncia a comparire (cfr. la già richiamata Sez. U, n. 7635 del 30/09/2021, Rv. 282806, nonché Sez. U, n. 34483 del 26/09/2006, Arena). Non vi sono, di conseguenza, motivi per escludere che anche nel casò in esame l'ordine di traduzione e la sua esecuzione costituiscano, insieme con l'avviso dell'udienza camerale e la sua notificazione, atti indefettibili della procedura diretta alla regolare costituzione del contraddittorio, posto che senza di essi l'avviso non può svolgere in concreto l'unica funzione che gli è propria, quella della vocatio in iudicium. La natura di nullità assoluta ai sensi dell'art. 179, co. 1, c.p.p., in quanto attinente all'omessa citazione dell'imputato, determinando, ai sensi dell'art. 185, C.p.p., l'invalidità degli atti consecutivi, dipendenti da tale omessa citazione, impone di annullare senza rinvio le sentenze di primo e di secondo grado, con trasmissione degli atti al tribunale di Tivoli per l'ulteriore corso. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e quella di primo grado, disponendosi la trasmissione degli atti al tribunale di Tivoli per l'ulteriore corso. Q.y~tJ JGk· .j-- Così deciso in Roma il 23.2.2024. I .presidente~. Jh C . , l ;"1 . Il Consigliere Estensore o~::~ O~~ ~tat;t ~ ;1 r. -\' ~:' "" ... ~ Ci ~-~ ,"i ,a, ....3 1 MAG 2024'" 1~~~1iziarn
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta da Dott. SABEONE Gerardo - Presidente Dott. PISTORELLI Luca - Consigliere Dott. SCORDAMAGLIA Irene - Consigliere Dott. CUOCO Michele - Relatore Dott. RENOLDI Carlo - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da Al.Ra. nato a T il (Omissis); avverso la sentenza del 16 ottobre 2023 della Corte d'appello di Trieste; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Michele Cuoco; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Tomaso Epidendio, che ha concluso per l'annullamento, con rinvio, del provvedimento impugnato, limitatamente al trattamento sanzionatolo; udito l'avv. Vi.Vi., difensore di fiducia dell'imputato, che si associa alle richieste del Procuratore generale e insiste per l'accoglimento del ricorso; RITENUTO IN FATTO e CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Oggetto dell'impugnazione è la sentenza con la quale la Corte d'appello di Trieste, confermando la condanna pronunciata in primo grado (riformata solo quanto al trattamento sanzionatorio), ha ritenuto Al.Ra. responsabile del reato di lesioni personali commesse ai danni di Ma.Gu.. 2. Il ricorso si compone di un unico motivo d'impugnazione a mezzo del quale si deduce la sopravvenuta illegalità della pena irrogata (la reclusione), atteso che, a seguito del D.Lgs. N. 150 del 2022, il reato è divenuto procedibile a querela e, quindi, rientrando nella competenza del giudice di pace, doveva essere sanzionato con le pene previste dall'art. 52, comma 2, lett. b) del D.Lgs. N. 274 del 2000. 3. Il ricorso è fondato e la sentenza impugnata deve essere annullata. Per effetto dell'entrata in vigore del D.Lgs. 150/2022, risulta oggi mutato il quadro del regime di procedibilità e conseguentemente del trattamento sanzionatorio del reato di lesioni personali dolose, laddove queste arrechino una malattia di durata superiore a venti giorni ed inferiore a quaranta giorni. L'art. 2 comma 1 lett. b) del decreto in questione, infatti, ha novellato il comma 1 che il comma 2 dell'art. 582 cod. pen., così ingenerando, da un lato, la generale procedibilità a querela delle lesioni che hanno cagionato malattie con durate inferiori ai 40 giorni (salve le ipotesi aggravate esplicitate dal nuovo capoverso dell'art. 582), e dall'altro, in combinato disposto con l'art. 4 comma 1 D.Lgs. 274/2000, la competenza per materia del giudice di pace, posto che quest'ultima norma radica la competenza del giudice di pace sulle ipotesi di lesioni procedibili a querela di parte (Sez. U. del 14 dicembre 2023, inf. provv.). Ciò considerato, l'art. 52 comma 2 lett. b) del D.Lgs. 274/2000 chiarisce che per i reati di competenza del giudice di pace "quando il reato è punito con la sola pena della reclusione o dell'arresto, si applica la pena pecuniaria della specie corrispondente da lire un milione a cinque milioni o la pena della permanenza domiciliare da quindici giorni a quarantacinque giorni ovvero la pena del lavoro di pubblica utilità da venti giorni a sei mesi". Sicché, per effetto della modifica del regime di procedibilità del reato di lesioni personali dolose - e sempre tenendo a mente il principio della retroattività della legge penale favorevole di cui all'art. 2 cod. pen. - l'eventuale pena detentiva irrogata per reato che oggi sarebbe di competenza del giudice di pace non è più conforme al tipo legale, che, allo stato, contempla, per quella violazione, solo la sanzione pecuniaria e quella della permanenza domiciliare. Ebbene, in concreto, dato atto della presentazione di una valida querela da parte della persona offesa (per come chiaramente rappresentato nella sentenza impugnata), la pena alla reclusione inflitta risulta illegale, in quanto irrogata rispetto ad un reato, le lesioni che arrecano malattia di durata superiore a venti giorni (ma inferiore a quaranta giorni), che oggi rientrerebbe nella fattispecie dell'art. 582 cod. pen. comma 1, mentre prima del 30 dicembre 2022 andava perimetrato nel comma 2 della medesima disposizione, per cui era prevista la procedibilità d'ufficio (e dunque la competenza del Tribunale e la pena detentiva). In conclusione, la sentenza deve essere annullata in relazione al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Trieste. In ragione della natura dei reati contestati e del rapporto esistente tra le parti deve essere disposto l'oscuramento del presente provvedimento. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte d'appello di Trieste. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge. Così deciso il 23 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta da: Dott. SABEONE Gerardo - Presidente Dott. MASINI Tiziano - Consigliere Dott. SESSA Renata - Relatore Dott. CAPUTO Angelo - Consigliere Dott. MELE Maria Elena - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: Di.El. nato a R il (Omissis) avverso la sentenza del 12/10/2023 della CORTE APPELLO di ROMA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere RENATA SESSA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUIGI GIORDANO che ha concluso chiedendo udito il difensore RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 123,10,2023 la Corte dì Appello di Roma ha confermato la pronuncia emessa in primo grado nei confronti di Di.El., che lo aveva dichiarato colpevole del reato di lesione volontaria. 2. Avverso la suindicata sentenza, ricorre per cassazione l'imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.. 2.1. Col primo motivo deduce la nullità della sentenza impugnata per mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in riferimento alla ritenuta colpevolezza dell'imputato. Si rappresenta, dopo un breve excursus sul tenore delle dichiarazioni rese dai testi e dalla persona offesa, ritenute non esaustive ai fini della certa identificazione dell'imputato nell'autore dell'aggressione, che all'esito dell'articolata istruttoria sarebbe emerso unicamente che un soggetto sconosciuto sia alla persona offesa che ai suoi amici, all'esterno della discoteca e successivamente all'aggressione, aveva dichiarato di chiamarsi Di.El.. 2.2.Col secondo motivo deduce la nullità della sentenza impugnata per mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in riferimento alla eccessiva quantificazione della pena detentiva e pecuniaria inflitta. 3. Il ricorso è stato trattato - ai sensi dell'art. 23, comma 8, del d. l. n. 137 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, che continua ad applicarsi, in virtù del comma secondo dell'art. 94 del D.Lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall'art. 11, comma 7, d.l. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito con modificazioni dalla l. del 23.2.2024 n. 18, per le impugnazioni proposte sino al 30.6.2024 - senza l'intervento delle parti che hanno così concluso per iscritto: il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso; il difensore della parte civile ha chiesto rigettarsi il ricorso, allegando nota spese; CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato limitatamente al trattamento sanzionatorio, esso è inammissibile nel resto. 1.1. Il primo motivo è aspecifico e meramente reiterativo della questione della identificazione dell'imputato come autore dell'aggressione posta in essere ai danni della persona offesa, che è stata già ampiamente valutata dalla Corte d'appello nella sentenza impugnata. Il collegio di merito, in particolare, ha indicato gli elementi di prova che hanno permesso tale identificazione, precisando, tra l'altro, che lo stesso imputato si era presentato a uno dei testimoni, e ai suoi amici, il quale, per questa ragione, aveva potuto riferirne il nome alla vittima. 1.2. Quanto al trattamento sanzionatorio deve rilevarsi la illegalità della pena - di mesi quattro di reclusione - irrogata con riferimento al reato di lesione personale, ritenuta di tipo lieve - superiore ai venti giorni ma inferiore ai 41 - e non grave dai giudici di merito, rispetto alla quale devono essere applicate le più miti sanzioni previste dal D.Lgs. n. 274 del 2000. Ed invero, come ha avuto modo di affermare - tra le altre - Sez. 5, n. 41372 del 05/07/2023, Rv. 285876 - 01; Sez. 5, Sentenza n. 10669 del 31/01/2023, Rv. 284371 - 01, in tema di lesioni personali lievi, divenute procedibili a querela per effetto dell'art. 2, comma 1, lett. b), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, rientrando il delitto nella competenza per materia del giudice di pace, è illegale l'inflizione della pena della reclusione, anche nel caso in cui esso sia stato commesso prima dell'entrata in vigore della suddetta disposizione normativa o sia stato giudicato da un giudice diverso (in motivazione, questa Corte ha evidenziato un difetto di coordinamento tra l'art. 4, comma 1, lett. a), D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274 e l'art. 582, comma secondo, cod. pen., in quanto il primo, che non è stato modificato, continua a riferirsi al secondo che, invece, non individua più ipotesi procedibili a querela). Al riguardo sì sono di recente pronunciate, in data 14.12.2023, anche le Sezioni Unite di questa Corte che hanno affermato che appartiene al giudice di pace, dopo l'entrata in vigore delle modifiche introdotte dall'art. 2, comma 1, lett. b), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, la competenza per materia ex art. 4, comma 1, lett. a), D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274 in ordine al delitto di lesione personale di cui all'art. 582 cod. pen., nei casi procedibili a querela, anche quando comporti una malattia di durata superiore a venti giorni e fino a quaranta giorni, fatte salve le ipotesi espressamente escluse dall'ordinamento (in motivazione si è precisato che il mancato coordinamento di tale disposizione con quella di cui all'art. 4 comma 1 lett. a) del decreto legislativo 74/2000, deve essere risolto attraverso l'interpretazione estensiva di tale ultima disposizione conformemente alla volontà del legislatore riformatore di ampliare la competenza della predetta autorità giudiziaria a tutti i casi di lesione procedibile a querela). In motivazione le Sezioni Unite hanno altresì precisato che la soluzione non è però automaticamente quella dell'applicazione delle sanzioni previste per i reati di competenza del giudice di pace relativamente ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2022, potendo risultare in concreto più favorevole il trattamento sanzionatorio comminato per i reati di competenza del tribunale in caso di concedibilità della sospensione condizionale della pena e secondo una valutazione da compiere di volta in volta alla luce della singola vicenda processuale; sospensione condizionale della pena che nel caso di specie risulta essere stata riconosciuta dai giudici di merito, con la conseguenza che il giudice del rinvio dovrà procedere alle valutazioni del caso secondo i suindicati dettami delle Sezioni Unite. Sicché, trattandosi di reato punito con la sola pena della reclusione, ai sensi dell'art. 52, comma 2, lett. b), sarà applicabile la pena pecuniaria della specie corrispondente da Euro 516,00 ad Euro 2582,00 o la pena della permanenza domiciliare da quindici a quarantacinque giorni ovvero la pena del lavoro di pubblica utilità da venti giorni a sei mesi, e, stante l'alternativa riguardo alla pena applicabile, e a monte la necessità di valutare in merito alla opportunità della modifica della pena inflitta tenendo conto delle circostanze del caso concreto, s'impone l'annullamento con rinvio affinché alla - eventuale - rideterminazione della stessa - vi proceda il giudice di merito a cui compete ogni valutazione al riguardo. 2. Dalle ragioni sin qui esposte deriva che la sentenza impugnata dev'essere annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma; che nel resto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Consegue altresì che l'imputato deve essere condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile liquidate in complessivi Euro 3.500, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento devono essere omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma. Inammissibile il ricorso nel resto. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 3.500, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge. Così deciso il 3 maggio 2024. Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta da Dott. APRILE Ercole - Presidente Dott. CAPOZZI Angelo - Relatore Dott. ROSATI Martino - Consigliere Dott. DI NICOLA TRAVAGLINI Paola - Consigliere Dott. IANNICIELLO Mariella - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da Sa.Gi., nato a R il (Omissis) avverso la sentenza del 16/04/2024 della Corte di appello di Catania visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Angelo Capozzi; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Roberto Aniello, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito il difensore, avv. Em.Ci., che ha chiesto l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Catania, giudicando in sede di rinvio a seguito di sentenza emessa in data 9 maggio 2023 dalla Seconda sezione di questa Corte di cassazione, ha disposto la consegna di Sa.Gi. alla Autorità Giudiziaria di Malta a seguito di mandato di arresto europeo emesso in data 26 gennaio 2021 dalla Corte di giustizia di Malta per fini processuali in quanto imputato per i reati di cui agli artt. 308, 309, 293, 294, 310 del codice penale maltese (truffa e appropriazione indebita) commessi in M dal (Omissis), ordinandone la riconsegna alla Autorità italiana affinché lo stesso espiasse la pena eventualmente inflitta nelle carceri italiane. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore del consegnando deducendo i seguenti motivi: 2.1. Con il primo motivo erronea applicazione degli artt. 2 e 18 della legge n. 69/2005 in relazione all'omesso riconoscimento di una condizione ostativa all'accoglimento della richiesta di consegna per la sussistenza di un pericolo grave ed attuale di violazione dei diritti inalienabili della persona in conseguenza delle condizioni di detenzione in Malta; violazione dell'art. 627, comma 3, cod. proc. pen. anche in relazione agli artt. 17 e 22 della legge n. 69/2005. La Corte di appello ha omesso di verificare - come disposto dalla sentenza rescindente - la sussistenza "in concreto del pericolo di trattamenti inumani e degradanti conseguenti alla carcerazione del consegnando in M". Le informazioni integrative richieste dalla Corte sono del tutto insufficienti e inidonee alla richiesta verifica non essendosi potuto affermare che al singolo detenuto, ristretto presso il penitenziario maltese, sia assicurato, all'interno della cella di detenzione, uno spazio minimo vitale di almeno tre metri quadrati netti. Alla specifica richiesta della Corte, l'Autorità maltese - con nota del 6.03.2024 - ha risposto fornendo unicamente le dimensioni delle celle al netto dei mobili e dei letti, senza computare i servizi igienici allocati nella cella, comunicando che la cella più piccola del carcere di C è più grande di tre metri quadrati e che esistono celle di diverse dimensioni, senza fornire alcun dato sul numero di detenuti allocabili in dette celle. Inoltre, in relazione alla disponibilità o meno di acqua potabile, vi è la mera constatazione che il detenuto "ha accesso all'acqua in ogni momento" a fronte della annotazione da parte della stessa Corte della genericità della risposta "sul profilo se l'acqua disponibile ai detenuti sia potabile o no". Infine, quanto alla salubrità delle celle ed alla possibilità di accesso agli spazi esterni è parziale il richiamo operato dalla sentenza, facendo la relativa nota maltese del 19.12.2023, da cui esso è estratto, espresso riferimento anche alle notevoli variazioni della temperatura media all'interno e all'esterno della cella. 2.2. Con il secondo motivo violazione dell'art. 627, comma 3, cod. proc. pen. anche in relazione agli artt. 17 e 22 della legge n. 69/2005 essendosi disattesa la specifica questione di diritto posta nella prima sentenza di annullamento in data 11.01.2022, quando si afferma la mera ipoteticità ed eventualità della sottoposizione del consegnando a misura cautelare restrittiva in M, invece posta dalla predetta decisione di legittimità come ulteriore elemento di valutazione rispetto al dedotto rischio di violazione dell'art. 3 C.E.D.U. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Il primo motivo è manifestamente infondato. 2.1. La sentenza rescindente emessa in data 9 maggio 2023 disponeva che il giudice del rinvio acquisisse "informazioni individualizzate presso l'autorità maltese atte ad escludere, in concreto, il pericolo di trattamenti inumani e degradanti conseguenti alla carcerazione del consegnando", rilevando che la sentenza rescissa si era limitata a recepire la astratta indicazione della superficie disponibile all'interno delle celle dell'istituto di detenzione individuato, "mentre nulla è stato specificato quanto alla presenza di altri arredi tendenzialmente fissi idonei ad ulteriormente ridurre lo spazio calpestabile interno alla cella per ciascuno dei detenuti ivi ristretti, o quanto alla disponibilità di acqua potabile all'interno della cella, alla allocazione dei servizi igienici, ad altri "fattori" eventualmente compensativi, quali lo spazio esterno comune riservato al passeggio, il grado di affollamento medio delle celle, le ore dedicate quotidianamente alla fruizione di spazi comuni, l'accesso ai servizi igienici comuni e l'assicurazione di servizi sanitari interni alla struttura detentiva". 2.2. La sentenza impugnata ha, innanzitutto, considerato le informazioni fornite in data 16.10.2023 dalla Agenzia per i Servizi Penitenziari Triq II-Blet Valletta, Paola, PLA 1518 in risposta ai precedenti quesiti posti dalla Corte di appello e, a seguito di deduzioni difensive a riguardo, ha richiesto con ordinanza interlocutoria del 23-20/11/2023 informazioni integrative pervenute con nota del 19.12.2023 ritenute generiche - oltre al profilo dell'acqua potabile a disposizione dei detenuti in stanza - in ordine allo spazio netto calpestabile interno alla cella per ciascun detenuto ivi ristretto. Cosicché con ordinanza del 01.02.2024 si richiedevano ulteriori informazioni che pervenivano con nota del 06.03.2024 secondo la quale "la cella più piccola del penitenziario C è più grande di tre metri quadrati specificati dal Comitato per la prevenzione della tortura. La prigione menzionata contiene celle di varie dimensioni... nessuna cella è inferiore a sei metri quadrati... Lo spazio rimanente dopo aver dedotto (quindi escluso) lo spazio utilizzato per tutti i mobili ed anche per il letto, è superiore a tre metri quadrati". Pertanto, in base alle informazioni acquisite la Corte ha ritenuto di escludere il pericolo che il consegnando fosse sottoposto a trattamenti inumani e degradanti in relazione alla restrizione carceraria sul rilievo che già con la nota integrativa del 19.12.2023 il competente ufficio maltese aveva rappresentato "che lo spazio abitativo personale garantito per detenuto è di sei metri quadrati per detenuto, che, al netto di "un letto fisso, servizi igienici e mobili" si indica nella nota del 6.3.2024 "più grande di tra metri quadri"". Nella nota del 19.12.23 si precisa inoltre che "Gli standard stabiliti dal Cominato per la Prevenzione della Tortura (CPT) per lo spazio abitativo personale, che garantiscono un minimo di sei metri quadri per detenuto, sono destinati ad essere mantenuti anche in caso di sovraffollamento delle carceri. Ogni detenuto ha accesso all'acqua in ogni momento, anche nei casi in cui il detenuto cambia cella". Inoltre, "i detenuti sono liberi di lasciare le celle dalle 08,00 alle 12,00 e dalle 14,00 alle 19,30" informazione che ove necessitasse, rappresenta la sussistenza di quei "fattori compensativi" ritenuti necessari. Peraltro, "la ventilazione è assicurata attraverso l'installazione di ventilatori oscillanti e finestre all'interno delle celle"". Ha, poi, rilevato che i disposti accertamenti non risultavano acquisiti e certificati nell'ambito della diversa procedura allegata dalla difesa conclusasi con il rifiuto della consegna per mancato accertamento della garanzia al detenuto di uno spazio minimo vitale. 2.3. Ritiene questa Corte che gli approfonditi accertamenti svolti dalla Corte di appello si sottraggono alle censure del ricorrente essendosi puntualmente verificate - in conformità al devoluto della sentenza rescindente - le specifiche condizioni di detenzione presso l'istituto penitenziario maltese che rispettano i requisiti richiesti per escludere il pericolo di trattamenti inumani e degradanti, essendo superato il minimo di tre metri quadri di spazio individuale calpestabile - al di sotto del quale vi è la presunzione della violazione dell'art. 3 C.E.D.U. indicata nella nota sentenza della Corte E.D.U. Grande Camera del 20/10/2016 Muric c. Croazia - ed essendo considerate le condizioni di contesto della detenzione in conformità al principio secondo il quale, in tema di mandato di arresto europeo, non sussiste il "serio pericolo" che la persona ricercata venga sottoposta a trattamenti inumani o degradanti qualora dal paese richiedente venga garantito al detenuto uno spazio non inferiore a tre metri quadrati in regime chiuso, ovvero uno spazio inferiore in presenza di circostanze che consentano di beneficiare di maggiore libertà di movimento durante il giorno, rendendo possibile il libero accesso alla luce naturale ed all'aria, in modo da compensare l'insufficiente assegnazione di spazio (Sez. 6, n. 5472 del 01/02/2017, Mihai, Rv. 269008). 3. Il secondo motivo, peraltro riguardante una pretesa difformità da una prima sentenza rescindente e su una questione non devoluta dalla seconda sentenza rescindente del 9 maggio 2023, è assorbito dalla inammissibilità del precedente motivo. 4. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma che si stima equo determinare in euro tremila in favore della Cassa delle ammende. 5. Devono essere disposti gli adempimenti di cui all'art. 22, comma 5, L. n. 69/2005. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 22, comma 5, L. n. 69/2005. Così deciso il 29 maggio 2024. Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta da Dott. DI STEFANO Pierluigi - Presidente Dott. VILLONI Orlando - Consigliere Dott. GIORGI Maria Silvia - Consigliere Dott. PACILLI Giuseppina A.R. - Consigliere Dott. VIGNA Maria Sabina - Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da Ma.Mi. nato a T il (Omissis) avverso la sentenza del 20/06/2023 del Tribunale di Trento Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Maria Sabina Vigna; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Pasquale Serrao D'Aquino, che ha chiesto l'inammissibilità del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata, il Tribunale di Trento applicava a Ma.Mi., in relazione ai reati di concorso, anche omissivo, con la compagna convivente, nei reati di maltrattamenti nei confronti dei due figli e di lesioni aggravate, previo riconoscimento della circostanza attenuante dell'avvenuto risarcimento del danno prevalente sulle circostanze aggravanti, riconosciuta la continuazione con il reato di lesioni aggravate, contestato al capo 2), la pena di anni quattro e mesi otto di reclusione. 2. Avverso la sentenza, ricorre per Cassazione l'imputato, deducendo i seguenti motivi: 2.1. Violazione dell'art. 448, comma 2-bis, cod. pen., per erronea qualificazione giuridica del fatto in relazione al mancato assorbimento nel reato di concorso in maltrattamenti in famiglia di cui al capo 1), del reato di concorso in lesioni di cui al capo 2) in violazione dell'art. 15 cod. pen. e del principio del ne bis in idem. 2.2. Violazione dell'art. 448, comma 2-bis, cod. pen. per illegalità della pena in relazione alla errata qualificazione giuridica del fatto di cui al punto precedente e della conseguente omessa in riduzione obbligatoria della pena per il rito in violazione del principio di legalità della pena. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Il primo motivo è manifestamente infondato, non ravvisandosi alcuna erronea qualificazione giuridica del fatto. Osserva il Collegio che costituisce principio di diritto consolidato quello in base al quale è configurabile il concorso formale - e non l'assorbimento - tra le fattispecie incriminatrici previste dagli artt. 572 e 582 cod. pen. quando le lesioni risultano consumate in occasione della commissione del delitto di maltrattamenti, con conseguente sussistenza dell'aggravante dell'art. 576, comma primo, n. 5, cod. pen.: in tal caso, infatti, non ricorre l'ipotesi del reato complesso, per la cui configurabilità non è sufficiente che le particolari modalità di realizzazione in concreto del fatto tipico determinino un'occasionale convergenza di più norme e, quindi, un concorso di reati, ma è necessario che sia la legge a prevedere un reato come elemento costitutivo o circostanza aggravante di un altro (Sez. 6, n. 17872 del 22/04/2022, C., Rv. 283154 - 01). Il Tribunale si è quindi correttamente conformata al principio sopra richiamato. 3. Conseguentemente, anche il secondo motivo è manifestamente infondato, essendo correttamente stato operato l'aumento della pena in continuazione con il reato di lesione e la riduzione della stessa per la scelta del rito. 4. Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento. Considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro, in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso il 28 febbraio 2024. Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE composta da Dott. DI STEFANO Pierluigi - Presidente Dott. VILLONI Orlando - Consigliere Dott. GIORGI Maria Silvia - Consigliere Dott. PACILLI Giuseppina A.R. - Consigliere Dott. VIGNA Maria Sabina - Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da De.Si. nato a C il (Omissis) avverso la sentenza del 01/03/2023 della Corte di appello di Trento Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Maria Sabina Vigna; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Mariella De Masellis, che ha chiesto il rigetto del ricorso; letta la memoria della difesa di De.Si., che ha insistito per l'annullamento della sentenza; lette le conclusioni scritte della parte civile, che ha insistito per l'inammissibilità o il rigetto del ricorso e ha depositando nota spese. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Trento, all'esito di rito abbreviato, ha confermato la sentenza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Trento del 25 gennaio 2022, che dichiarava De.Si. responsabile del reato di maltrattamenti nei confronti della ex compagna Ve.Ma. (erroneamente indicata come ex moglie nel capo di imputazione} e lo condannava la pena di anni uno e mesi quattro di reclusione. La sentenza, pur precisando l'assenza di un vincolo familiare e/o di convivenza tra imputato e persona offesa, sottolineava che le condotte vessatorie erano state attuate dall'imputato nell'ambito di un rapporto di convivenza, di non trascurabile durata, connotato da non irrilevante stabilità e da aspettative di mutua solidarietà. In particolare, l'imputato, quando già era cessata la relazione more uxorio con la Ve.Ma., veniva ospitato per alcuni mesi dalla stessa, perché non riusciva a trovare altra sistemazione; nel febbraio 2020 la donna lo allontanava da casa e, a partire da quel momento, veniva percossa, minacciata e ingiuriata fino ad ottobre 2020. 2. Avverso la sentenza ricorre per cassazione l'imputato, deducendo seguenti motivi: 2.1. Vizio di motivazione nella parte in cui il giudice di secondo grado, pur accertando e dichiarando che i fatti erano tutti stati commessi in periodo in cui l'imputato non abitava con la persona offesa, desumeva da tali fatti il raggiungimento della prova circa la sussistenza del rapporto familiare. È manifestamente illogica la motivazione dell'impugnata sentenza nella parte in cui, pur dando atto che il rapporto more uxorio era cessato nel 2011, ritiene che la ospitalità offerta all'imputato dalla persona offesa dal dicembre 2019 al gennaio 2020 - fosse caratterizzata da non irrilevante stabilità e da aspettative di mutua solidarietà. Sin dall'avvio della ospitalità, infatti, la Ve.Ma. aveva precisato che si trattava di disponibilità provvisoria e aveva intimato all'imputato di cercare immediatamente un proprio alloggio. I fatti per i quali De.Si. è imputato si sono tutti verificati mesi dopo il febbraio 2020: uno nel marzo 2020, altri nel settembre 2020 e altri ancora nell'ottobre 2020. 2.2. Violazione di legge con riferimento agli artt. 572 e 612-bis cod. pen., 25 Cost. e 14 delle disposizioni preliminari, con riferimento alla asserita sussistenza, allorché si sono consumate le condotte, di un rapporto di natura familiare o di convivenza tra la persona offesa e l'imputato. La difesa richiama sul punto la sentenza della Corte costituzionale che ha espressamente ammonito contro l'applicazione analogica dell'art. 572 cod. pen. e la più recente giurisprudenza di questa sezione circa i confini tra il reato di maltrattamenti e quello di stalking. Nel caso in esame, al più, possono ritenersi sussistenti gli estremi del reato di cui all'art. 612-bis, secondo comma, cod. pen. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati. 2. Occorre premettere che, richiamando un consistente indirizzo ermeneutico manifestatosi nella giurisprudenza di legittimità, i giudici di merito hanno ritenuto che, per la configurabilità del delitto di maltrattamenti, il dato essenziale e qualificante risieda nell'instaurazione, tra autore e vittima, di un rapporto connotato da reciproche aspettative di mutua solidarietà ed assistenza; con il corollario per cui, se un siffatto rapporto esiste, e se, dunque, sussistano tra costoro strette relazioni dalle quali dovrebbero derivare rispetto e solidarietà, non è nemmeno necessaria una stabile o prolungata convivenza, potendo il reato configurarsi anche qualora la coabitazione sia di breve durata, instabile od anomala (fra molte altre, Sez. 6, n. 17888 del 11/02/2021, O., Rv. 281092; Sez. 6, n. 31121 del 18/03/2014, C, Rv. 261472; Sez. 6, n. 22915 del 07/05/2013, I., Rv. 255628). Il suindicato indirizzo è frutto dello sforzo dell'interprete di ampliare lo spettro di tutela per soggetti tipicamente vulnerabili, poiché vittime di condotte prevaricatrici che maturano nell'ambito di rapporti affettivi dai quali hanno naturale difficoltà a sottrarsi. 2.1. Ritiene, tuttavia, il Collegio che tale lettura normativa debba essere superata, anche in considerazione dei numerosi passi avanti in tal direzione compiuti dalla legislazione più recente, a cominciare dal D.L. n. 11 del 2009, conv. dalla legge n.38 del 2009, che ha introdotto il delitto di atti persecutori (art. 612-bis, cod. pen.), e dalla stessa I. 172/2012, che ha esteso la platea dei soggetti passivi del delitto di maltrattamenti alla persona "comunque convivente", senza altro aggiungere. In tal senso, non può non osservarsi l'espresso monito di recente rivolto dalla Corte costituzionale al giudice penale, affinché rimanga aderente al testo normativo, correndo altrimenti il rischio di violare il divieto di analogia in malam partem, che caratterizza le norme incriminatrici. Chiamato a pronunciarsi su una questione di rito, sorta all'interno di un processo per tal specie di condotte, il Giudice delle leggi ha affidato all'interprete il compito di stabilire se relazioni affettive - per così dire - non tradizionali (in quel caso si trattava di un rapporto sentimentale protrattosi nell'arco di qualche mese e caratterizzato da permanenze non continuative di un partner nell'abitazione dell'altro) possano farsi rientrare nelle nozioni di famiglia" o di "convivenza", alla stregua dell'ordinario significato di queste espressioni. Ma immediatamente dopo ha ammonito che, "in difetto di una tale dimostrazione, l'applicazione dell'art. 572, cod. pen., in casi siffatti - in luogo dell'art. 612-bis, secondo comma, cod. pen., che pure contempla espressamente l'ipotesi di condotte commesse a danno di persona "legata da relazione affettiva" all'agente - apparirebbe come il frutto di una interpretazione analogica a sfavore del reo della norma incriminatrice: una interpretazione magari sostenibile dal punto di vista teleologico e sistematico (...), ma comunque preclusa dall'art. 25, secondo comma, Cast." (Corte cost., sentenza n. 98 del 2021). 2.2. Tale sollecitazione è stata raccolta dalla più recente giurisprudenza di legittimità, alla quale il Collegio intende dar seguito. In ipotesi analoghe a quella in esame - poiché caratterizzate dal comune denominatore dell'assenza di un rapporto familiare o di convivenza tra autore e vittima al momento dei fatti - questa Sezione ha infatti ritenuto che non sia configurabile il reato di maltrattamenti, bensì, eventualmente, l'ipotesi aggravata del reato di atti persecutori, in presenza di condotte poste in essere da parte di uno dei conviventi more uxorio ai danni dell'altro dopo la cessazione della convivenza (Sez. 6, n. 39532 del 06/09/2021, B., Rv. 282254, ribadita da Sez. 6, n. 45095 del 17/11/2021, H., Rv. 282398, con la precisazione per cui, terminata la convivenza, vengono meno la comunanza di vita e di affetti nonché il rapporto di reciproco affidamento; in termini, da ultimo, Sez. 6, n. 38336 del 28/09/2022, D. 11/10/2022, Rv. 283939-01). Invero, il divieto di interpretazione analogica delle norme incriminatrici (art. 14, preleggi), immediato precipitato del principio di legalità (art. 25, Cost.), nonché la presenza di un apparato normativa che amplia lo spettro delle condotte prevaricatrici di rilievo penale tenute nell'ambito di relazioni interpersonali non qualificate, impongono, nell'applicazione dell'art. 572, cod. pen., di intendere i concetti di "famiglia" e di "convivenza" nell'accezione più ristretta: quella, cioè, di una comunità connotata da una radicata e stabile relazione affettiva interpersonale, da una duratura comunanza d'affetti, che non solo implichi reciproche aspettative di mutua solidarietà ed assistenza, ma sia fondata sul rapporto di coniugio o di parentela o, comunque, su una stabile condivisione dell'abitazione, ancorché, ovviamente, non necessariamente continua (si pensi, ad esempio, al frequente caso di coloro che, per ragioni di lavoro, dimorino in luogo diverso dall'abitazione comune, per periodi più o meno lunghi ma comunque circoscritti). 2.3. In applicazione di tale principio, emerge, con sufficiente nitidezza, dal provvedimento impugnato, che le condotte poste in essere dall'imputato successivamente alla cessazione della convivenza non sono riconducibili nell'alveo del reato di cui all'art. 572 cod. pen. Risulta, infatti, dalla sentenza della Corte di appello che: - la stabile convivenza tra imputato e persona offesa era cessata nel febbraio 2011; - nel 2018 i figli della ex coppia venivano allontanati dalla madre e affidati al servizio sociale e veniva altresì sospesa la responsabilità genitoriale di entrambi, affetti da alcolismo e disturbi mentali; - a distanza di anni, tra il dicembre 2019 e il febbraio 2020, la persona offesa aveva dato ospitalità saltuaria all'imputato, il quale era rimasto senza casa; detta ospitalità era, per espressa dichiarazione resa dalla persona offesa, provvisoria ed esclusivamente volta a far fronte alla indisponibilità di un alloggio da parte dell'imputato; - nel febbraio 2020 la Ve.Ma. revocava la disponibilità ad ospitare l'imputato; - i fatti per cui De.Si. è imputato si sono tutti verificati mesi dopo il febbraio 2020: uno nel marzo 2020, altri nel settembre 2020 e altri ancora nell'ottobre 2020. È, quindi, di tutta evidenza che, essendo venuta meno la convivenza, il reato di maltrattamenti non è configurabile. 3. La sentenza impugnata deve, dunque, essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, che, in sede di rinvio, adeguandosi al principio di diritto sopra dettato, dovrà valutare la sussistenza dei presupposti del reato di cui all'art. 612-bis cod. pen. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Trento Sezione distaccata di Bolzano. Così deciso il 28 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 30 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta da: Dott. FIDELBO Giorgio - Presidente Dott. PACILLI Anna R. Giuseppina - Consigliere Dott. COSTANTINI Antonio - Consigliere Dott. SILVESTRI Pietro - Relatore Dott. TRIPICCIONE Debora - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da Ta.Ma., nata a M il (Omissis), quale parte civile costituita in proprio e nella qualità di socia della R.D.R. Snc di Ma.Ro. e C. avverso l'ordinanza emessa dal Tribunale di Piacenza il 29/06/2023 nell'ambito del procedimento penale nei riguardi di Ma.Ro., nato a P il (Omissis); visti gli atti ed esaminato il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere, Pietro Silvestri; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, dott. Vincenzo Senatore, che ha chiesto l'annullamento della ordinanza impugnata; lette le conclusioni dell'avv. Ma.Ma., difensore di fiducia dell'indagato, Ma.Ro., che ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile; lette le conclusioni dell'avv.ssa An.Fo., difensore della ricorrente, che ha insistito per l'accoglimento del motivo di ricorso; RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale di Piacenza, in sede di giudizio di rinvio, ha annullato il provvedimento con cui è stato disposto il sequestro conservativo di un immobile - sito in G ed identificato nel catasto fabbricato di quel Comune al foglio 11, part. 185 - disposto, fino alla concorrenza di 60.000 euro, nei riguardi di Ma.Ro., indagato per appropriazione indebita. L'annullamento da parte della Corte di Cassazione (Sez. 2, n. 17605 del 23.3.2023) e del Tribunale sono stati disposti, seppur per ragioni diverse, per ragioni attinenti alla configurabilità del fumus commissi delicti. 2. Ha proposto ricorso per cassazione Ta.Ma., in proprio e nella qualità di socia della società R.D.R. di Ma.Ro. e c., articolando un unico motivo con cui deduce violazione di legge processuale in relazione alla omessa notificazione a lei, parte civile costituita, dell'avviso relativo all'udienza camerale fissata davanti al Tribunale e conseguente alla richiesta di riesame proposta dall'imputato. Si produce il provvedimento di fissazione della udienza fissata il 27 giugno 2023 in sede di giudizio di rinvio; si sostiene che la parte civile avrebbe avuto conoscenza del provvedimento di annullamento del sequestro conservativo da parte del Tribunale della libertà solo nel corso della successiva udienza dibattimentale, fissata il 19.9.2023. Aggiunge la ricorrente di non avere avuto conoscenza nemmeno del ricorso in cassazione proposto dall'imputato avverso il primo provvedimento del Tribunale del riesame che invece aveva confermato la misura cautelare. 3. È pervenuta una memoria nell'interesse dell'imputato con la quale si deduce che: - la ricorrente avrebbe sempre partecipato alle udienze dibattimentali e, potendo accedere al fascicolo, sarebbe stata sempre al corrente dello stato della procedura, e, in particolare, dell'annullamento disposto dalla Corte di cassazione e della data della udienza per il giudizio di rinvio; - la ricorrente avrebbe quindi impugnato tardivamente l'ordinanza del Tribunale; - nel caso di specie non vi sarebbe interesse ad impugnare, atteso che il Tribunale sarebbe comunque vincolato al principio di diritto fissato dalla Corte di cassazione che aveva annullato la prima ordinanza di conferma del sequestro conservativo; - l'assenza di interesse sussisterebbe anche in ragione della intervenuta prescrizione del reato che non potrebbe non essere rilevata. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato. 2. Le Sezioni unite hanno spiegato, in tema di sequestro conservativo, che l'avviso della fissazione dell'udienza per la decisione sulla richiesta di riesame proposta dall'imputato deve essere comunicato anche alla parte civile che ha richiesto ed ottenuto l'emissione del relativo provvedimento, al fine di assicurargli la possibilità di esporre le ragioni a sostento della legittimità del provvedimento cautelare emesso in prima istanza. (Sez. U., n. 15290 del 28/09/2017, dep. 2018, Pino, Rv. 272253 in cui in motivazione la Corte ha precisato che, qualora non riceva l'avviso, la parte civile è legittimata a proporre ricorso per cassazione contro l'ordinanza che ha annullato o revocato il sequestro conservativo al solo scopo di far accertare la nullità ex art. 178, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., conseguente alla lesione del diritto di intervento della parte privata). 3. Nel caso di specie non è in contestazione che la parte civile non abbia ricevuto comunicazione dell'udienza fissata davanti al Tribunale del riesame per la celebrazione del giudizio di rinvio (cfr., decreto di fissazione e verbale dell'udienza del 27.6.2023) e non vi sono elementi certi da cui desumere che la parte in questione abbia avuto conoscenza dell'ordinanza con cui fu disposta la revoca della misura cautelare prima della udienza dibattimentale del 19 settembre 2023. Dunque, da una parte, un ricorso proposto tempestivamente nel termine (Cfr. Sez. L), n. 5 del 20/04/1994, Iorizzo, Rv. 197701) e, dall'altra, una ordinanza emessa in chiara violazione del principio del contraddittorio Ne consegue che l'ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio con trasmissione degli atti al Tribunale del riesame competente per l'ulteriore corso. Le questioni dedotte dall'imputato sono assorbite. P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Piacenza competente ai sensi dell'art. 324, comma 5, cod. proc. pen. per l'ulteriore corso. Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2024. Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta da: Dott. SANTALUCIA Giuseppe - Presidente Dott. CENTOFANTI Francesco - Consigliere Dott. POSCIA Giorgio - Consigliere Dott. CURAMI Micaela Serena - Relatore Dott. ALIFFI Francesco - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: Bu.Gi. nato a M il (Omissis) avverso l'ordinanza del 23/06/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di MILANO udita la relazione svolta dal Consigliere MICAELA SERENA CURAMI; RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 23/06/2023, Tribunale di Sorveglianza di Milano ha rigettato il reclamo proposto da Bu.Gi. avverso l'ordinanza con la quale, in data 21/10/2022, il locale magistrato di sorveglianza aveva respinto la sua istanza ex art. 35-ter, comma 1, legge 26 luglio 1975, n. 354, con la quale lamentava condizioni detentive degradanti a decorrere dal 2010, con riferimento ai periodi trascorsi presso l'Istituto di S (dal 29/04/2010 al 27/05/2010) e presso la casa di reclusione di Opera (dal 05/10/2010 al 09/01/2.020). Il Tribunale, a fondamento del provvedimento reiettivo, richiamava, quanto al periodo trascorso presso il carcere di S, lei nota 15/10/2022 inviata da detto istituto, dalla quale non si evidenziavano condizioni disumane e degradanti in violazione dell'art. 3 CEDU, essendosi chiarito che era garantita ai detenuti l'accessibilità alle docce e la disponibilità di acqua corrente, e che la presenza di uno spioncino fosse funzionale ad esigenze di controllo. Quanto al periodo trascorso presso la C.C. di Opera, si richiamava la nota 19/09/2020 che descriveva in termini particolareggiati le celle in cui il reclamante era stato recluso, evidenziandosi come le limitazioni di luce naturale e d'aria fossero contenute, e che, per altro aspetto, molte delle lamentale avanzate dal detenuto attenessero genericamente alla regolamentazione e applicazione del regime differenziato ex art. 41-bis ord. pen. 2. Propone ricorso per cassazione il difensore di Bu.Gi., che lamenta violazione di legge ex art. 606 lett. b) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 3 CEDU, 2, 3, 27 c. 3 Cost., 35-ter, 41-bis ord. pen., e vizio della motivazione. 2.1. Con riferimento alla detenzione patita dal Bu.Gi. presso l'Istituto di S, la Difesa lamenta l'assoluta mancanza di motivazione su quanto evidenziato dalla difesa nel proprio reclamo, oltre ad un travisamento della prova: la relazione dell'istituto in esame non contiene infatti alcuna indicazione in ordine alle condizioni della struttura penitenziaria nel corso del periodo oggetto di considerazione; il ricorrente richiama il rapporto sulla visita nella Regione Campania del 29 novembre - 6 dicembre 2016 e del 23 marzo- 31 marzo 2017, stilato a cura del Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute e private della libertà personale, che ha definito "paradossale" la mancanza di acqua nella casa circondariale di S, dovuta al fatto che l'istituto fu costruito senza preventivamente realizzare l'allaccio alla rete idrica, e che l'accesso all'acqua da parte dei detenuti è rimesso alla fornitura di bottiglie di acqua; nel rapporto si evidenzia anche come nei pressi del carcere vi sia uno stabilimento di tritovagliatura e imballaggio rifiuti dove quotidianamente viene bruciato materiale di compostaggio i cui miasmi raggiungono l'istituto. Ancora la difesa lamenta come il Tribunale avesse richiesto all'Istituto di controdedurre rispetto alle doglianze difensive, per poi decidere senza avere ottenuto risposta. 2.2. Quanto al periodo detentivo trascorso presso la casa di reclusione di Milano Opera, la difesa si duole della carenza motivazionale del provvedimento impugnato, avendo il Tribunale omesso di esplicitare i criteri adottati al fine di ritenere adeguatamente contemperati i molteplici elementi negativi prospettati dal detenuto nella sua istanza, e non avendo attribuito alcuna rilevanza alle allegazioni concernenti le condizioni della cella, l'accesso alla luce naturale, l'accesso all'aria aperta, le condizioni igienico sanitarie, l'accesso all'acqua calda, la qualità e la quantità del vitto, la totale mancanza di offerta trattamentale. Il detenuto lamentava in particolare la multipla schermatura posta innanzi alla finestra della camera di pernotta mento che impediva un adeguato accesso di area naturale e di luce naturale all'interno del locale, alle estese tracce di muffa e macchie di umidità causate dalle infiltrazioni, alla presenza di scarafaggi all'interno della camera di pernottamento e di topi nel cortile esterno, al fatto che l'acqua calda è spesso assente per giorni; ancora lamenta il ricorrente come nessuna risposta sia stata data in ordine alla circostanza che il vaso sanitario della camera di pernottamento è interessato dal costante riversamento di materiale biologico proveniente dagli scarichi delle celle attigue, al fatto di essere stato privato della possibilità di fruire di due ore di esposizione all'aria, avendo goduto di una sola ora d'aria al giorno e una di socialità, e dalla scarsa qualità del vitto. 3. Il Procuratore generale presso questa Corte ha depositato la sua requisitoria in data 5 febbraio 2024. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. La requisitoria è stata depositata oltre il termine del quindicesimo giorno antecedente l'udienza camerale, previsto dall'art. 611, comma 1, cod. proc. pen. Poiché il rispetto di tale termine è funzionale alle esigenze di effettività e adeguatezza del contraddittorio cartolare in vista dell'udienza, cui le parti non sono ammesse a comparire, potendo tuttavia trasmettere memorie di replica sino al quinto giorno antecedente, l'intervento del pubblico ministero è da considerare tardivo e delle relative argomentazioni e conclusioni non è possibile tenere conto in questa sede (Sez. 1, n. 28299 del 27/05/2019, R., Rv. 276414-01). 2. Il ricorso è fondato limitatamente al periodo sofferto presso l'Istituto di S, dovendosi respingere nel resto. 3. Va premesso che in materia di rimedi risarcitori ex art. 35-ter ord. pen., il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, nozione nella quale va ricompresa la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento, che ricorre quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo prospettato da una parte che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio. Nel giudizio di cassazione, pertanto, è esclusa la sindacabilità del vizio di manifesta illogicità mentre il ricorrente ha la possibilità di denunciare un vizio di motivazione apparente, atteso che, in tal caso (e solo in tal caso), si prospetta la violazione dell'art. 125, comma 3, cod. proc. pen., che impone sempre l'obbligo della motivazione dei provvedimenti giurisdizionali. Questo vizio è ravvisabile solo quando la motivazione sia completamente priva dei requisiti minimi di coerenza e di completezza, al punto da risultare inidonea a rendere comprensibile l'iter logico seguito dal giudice di merito, oppure quando le linee argomentative siano talmente scoordinate da rendere oscure le ragioni che hanno giustificato il provvedimento. 4. Per quanto riguarda il periodo di detenzione presso la casa circondariale di Milano Opera, il Tribunale ha osservato come, sulla base delle informazioni acquisite, il Bu.Gi., sempre in regime di cui all'art. 41-bis ord. pen., fosse stato allocato in cella singola con uno spazio individuale superiore ai 4 mq, con annesso locale bagno dotato di lavabo, water, doccia con sistema di aerazione interna, acqua corrente, calda e fredda, e porta divisoria per garantire la privacy, la camera disponeva di una finestra delle dimensioni di 1,1 x 1,1 metri circa, con grate sufficientemente ampie, ed un pannello adeguatamente distanziato dalla finestra onde garantire il giusto apporto di luce naturale ed aerazione, e nel contempo impedire contatti con l'esterno. A fronte di doglianze contenute in ricorso, in parte generiche e prive di specificità per carenza di autosufficienza dell'impugnazione (Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, Schioppo, Rv. 270071-01; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, Bregannotti, Rv. 26505301), la decisione impugnata si palesa, pertanto, congruamente argomentata, avendo il Tribunale correttamente osservato come molti aspetti delle lamentale attengano alla regolamentazione e applicazione del regime differenziato di cui all'art. 41-bis ord. pen., e che, in particolare, la schermatura apposta alle finestre - che risponde alla primaria esigenza di sicurezza, essendo deputata ad impedire illecite comunicazioni con l'esterno -, fosse posta a distanza tale da consentire il passaggio dell'aria e della luce. 5. Il vizio denunciato sussiste invece con riferimento alla valutazione effettuata dal Tribunale di Milano in relazione al periodo detentivo trascorso dal Bu.Gi. presso l'Istituto di S. Il ricorrente ha dedotto l'inadeguatezza dell'offerta trattamentale in ragione della carenza di acqua potabile nelle celle, nonché a fattori ambientali pregiudizievoli per l'igiene e la salute (vicinanza del reparto ad una discarica di rifiuti). Si tratta di aspetti di indubbia rilevanza, atteso che tanto la prolungata assenza di acqua potabile, quanto i fattori ambientali pregiudizievoli - ove verificati in fatto - sono situazioni capaci di deteriorare, da una parte, la salute dei detenuti e, dall'altra, il senso di umanità che deve contraddistinguere la detenzione. Il Tribunale di sorveglianza ha fondato il provvedimento reiettivo sulla base di una relazione pervenuta dall'istituto di S, datata 15 ottobre 2020, che, riportata in seno al provvedimento, si appalesa generica con riferimento allo specifico periodo temporale trascorso dal detenuto presso il citato istituto di pena; il Tribunale che pure aveva disposto integrazione istruttoria, preso atto che l'istituto di S non aveva inviato la pur richiesta relazione integrativa, ha comunque deciso sulla base delle informazioni già assunte. In tal modo ha tuttavia omesso di accertare se la situazione riferita all'anno 2020 fosse la stessa esistente anche nel periodo oggetto dell'istanza del Bu.Gi., compreso tra l'aprile ed il luglio 2010, o se in quegli anni le condizioni igieniche, a causa dei miasmi provenienti dall'impianto di tritovagliatura e alla notoria mancanza di acqua corrente, fossero peggiori, e tali da costituire un trattamento inumano e degradante, così grave da risultare non compensato dai fattori indicati. La valutazione complessiva delle condizioni di detenzione del ricorrente non è stata, pertanto, compiutamente effettuata, non essendo stata presa in esame la situazione igienica esistente in quel periodo nell'istituto penitenziario, al fine di verificare se essa avesse un gravità tale da rendere inumano e degradante il trattamento carcerario da lui subito, e se i fattori positivi esistenti fossero tali da compensare tale gravità e da far ritenere tale trattamento, nel suo complesso, sufficientemente dignitoso. Si deve, infatti, ricordare che "Nei procedimenti instaurati ai sensi dell'art. 35-ter ord. pen., le allegazioni dell'istante sul fatto costitutivo della lesione, addotte a fondamento di una domanda sufficientemente determinata e riscontrata sotto il profilo dell'esistenza e della decorrenza della detenzione, sono assistite da una presunzione relativa di veridicità del contenuto, per effetto della quale incombe sull'Amministrazione penitenziaria l'onere di fornire idonei elementi di valutazione di segno contrario. (Nella specie la Corte ha annullato il provvedimento di rigetto della domanda di tutela compensativa, emesso dal giudice del rinvio, per l'omessa attivazione dei poteri di verifica d'ufficio, necessaria ove sussista una condizione di incertezza probatoria non altrimenti superabile)" (Sez. 5, n. 18328 del 08/06/2020, Rv. 279208; Sez. 1, n. 23362 del 11/05/2018, Rv. 273144). 6. Sulla base delle considerazioni che precedono l'ordinanza va pertanto annullata con rinvio al Tribunale di Sorveglianza di Milano per nuovo giudizio, limitatamente al periodo di detenzione del Bu.Gi. presso l'istituto penitenziario di S. Il ricorso va respinto nel resto. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata limitatamente, al periodo di detenzione presso l'istituto di S, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Sorveglianza di Milano. Rigetta nel resto il ricorso. Così deciso in Roma, l'8 febbraio 2024. Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta da: Dott. BELTRANI Sergio - Presidente Dott. PELLEGRINO Andrea - Consigliere Dott. CIANFROCCA Pierluigi - Relatore Dott. SGADARI Giuseppe - Consigliere Dott. RECCHIONE Sandra - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto nell'interesse di: Pa.Em., nato a N il (omissis), contro la sentenza della Corte d'appello di Roma del 4.12.2023; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Pierluigi Cianfrocca; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Pasquale Luigi Orsi, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso; udito l'Avv. Ni.Pe., in difesa del ricorrente, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'appello di Roma ha confermato la sentenza con cui, il 17.3.2023, il Tribunale di Tivoli aveva riconosciuto Pa.Em. responsabile dei delitti di rapina pluriaggravata e lesioni personali aggravate e, esclusa la pur contestata recidiva, con le ritenute circostanze attenuanti generiche, l'aumento per la continuazione e la finale riduzione per la scelta del rito, lo aveva condannato alla pena di anni 3 e mesi 4 di reclusione ed euro 1.600 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali e di mantenimento in carcere; aveva applicato le pene accessorie conseguenti alla entità di quella principale e condannato l'imputato al risarcimento dei danni patiti dalle costituite parti civili; aveva da ultimo revocato il beneficio della sospensione condizionale della pena concessa all'imputato con la sentenza del 4.10.2019 del Tribunale di Salerno, irrevocabile il 22.10.2019; 2. ricorre per cassazione Pa.Em. a mezzo del difensore che deduce: 2.1 inosservanza dell'art. 628, comma secondo, cod. pen., con riguardo al requisito della violenza e contraddittorietà ed illogicità della motivazione in ordine al narrato offerto dai dichiaranti, omessa risposta alle censure articolate con l'atto di appello anche sotto il profilo del travisamento: rileva che la Corte d'appello, disattendendo le censure articolate dalla difesa, ha confermato la responsabilità del ricorrente ritenendo credibili ed attendibili le dichiarazioni dei testi in ordine alla violenza che sarebbe stata esercitata dal ricorrente dopo l'impossessamento dei preziosi; osserva che la Corte territoriale ha superato in termini semplicistici la doglianza relativa alla distanza temporale tra la data del fatto, e della prima denuncia, e quello in cui la persona offesa, per la prima volta, aveva riferito del gesto violento dell'autore del fatto, senza essersi sottoposta ad alcun controllo medico nemmeno successivamente al superamento dello stato di agitazione e shock emotivo che, secondo la Corte, aveva giustificato la tardiva dichiarazione; denunzia, inoltre, il travisamento delle parole dell'odierno ricorrente avendo costui riferito che l'intervento del Ta.Ro. era avvenuto quando la De.Ma. era ormai alle sue spalle sicché, una volta vistosi scoperto, si era allontanato senza entrare in contatto con la donna e che le parole del teste erano coerenti con la versione fornita dal ricorrente mentre del tutto confuse quanto alla presunta colluttazione che sarebbe scaturita dal tentativo del predetto di trattenerlo impedendogli di allontanarsi; aggiunge che la versione del Ta.Ro. era in ogni caso difforme sia rispetto a quanto riferito dalla anziana donna sul come egli si fosse procurato le lesioni che con quelle propinata dal di lei fratello; 2.2 inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 61 n. 5 cod. pen., 125, comma terzo e 546, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., in ordine alla aggravante della minorata difesa correlata erroneamente con il diverso reato di truffa; rileva che la Corte d'appello ha riferito la aggravante della minorata difesa alla condotta di truffa e non ha motivato in ordine alle circostanze di tempo, luogo o persona di cui il ricorrente avrebbe profittato per commettere la rapina; richiama il motivo di appello articolato sul punto dove, anche alla luce del recente chiarimento offerto dalle SS. UU. in ordine alle condizioni per ritenere l'aggravante della minorata difesa, si era evidenziato che l'azione si era svolta alla presenza del genero della persona offesa, sovrintendente della Polizia di Stato in quiescenza e segnala che la Corte d'appello ha fornito, sul punto, una risposta incongrua concentrando la propria attenzione sulla condotta inizialmente programmata dal ricorrente e non su quella in cui l'episodio era infine sfociato successivamente all'impossessamento del denaro e dei preziosi; rileva, a tal proposito, che l'azione si era svolta in pieno giorno ed all'interno di un immobile situato in zona non periferica dove, peraltro, il fratello della donna era riuscito prontamente ad accorrere sul posto in aiuto della sorella utilizzando lo spray urticante ed immobilizzando il ricorrente insieme al genero; segnala che, oltre al dato dell'età, non vi erano altre situazioni di decadimento fisico e psichico della donna di cui il ricorrente avrebbe profittato; 3. la Procura Generale ha trasmesso la requisitoria scritta ai sensi dell'art. 23, comma 8, del D.L. 137 del 2020 concludendo per l'inammissibilità del ricorso: rileva, quanto al primo motivo, che la decisione, conforme nei due gradi di merito, si basa sul minuzioso e diffuso scrutinio di attendibilità della narrativa offerta dalle persone offese e dal teste De.Mi.; quanto al secondo motivo, rileva che il giudice di merito ha chiarito come l'imputato abbia operato una scelta mirata della vittima che per la sua condizione ha effettivamente dato credito alla storia inventata dal Pa.Em. per farsi consegnare i valori, precisando che la condizione della donna è poi confermata siccome critica dagli sviluppi dell'azione criminosa, quando l'imputato si è valso di un falso interlocutore telefonico. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso è inammissibile perché articolato con censure manifestamente infondate ovvero non consentite in questa sede. L'odierno ricorrente era stato tratto a giudizio e riconosciuto responsabile, nei due gradi di merito, ed all'esito di un conforme apprezzamento delle medesime emergenze istruttorie, del delitto di rapina impropria aggravata ai sensi dell'art. 61 n. 5 cod. pen. ed ai sensi del comma terzo dell'art. 628 cod. pen. e di quello di lesioni personali in quanto "... per assicurarsi il possesso della cosa sottratta e per procurarsi l'impunità, usava violenza immediatamente dopo aver sottratto fraudolentemente denaro in contanti per circa 9.000 euro ed oggetti in oro per un valore di circa 10.000 euro a De.Ma., di anni 76; in particolare, dopo aver indotto l'anziana donna, con artifizi e raggiri, a consegnargli la somma di denaro e gli oggetti in oro sopra indicati, paventando un pericolo imminente ma inesistente per il figlio, scoperto dal genero della donna Ta.Ro., sopraggiunto in casa, al fine di garantirsi il bottino e la fuga colpiva dapprima la De.Ma. con una forte spinta dandosi alla fuga e, successivamente, inseguito e raggiunto dal Ta.Ro., impegnava quest'ultimo in una violenta colluttazione in conseguenza della quale il Ta.Ro. riportava le lesioni descritte nel capo 2)". 2. Il Tribunale aveva ricostruito l'episodio alla luce delle dichiarazioni dei testi escussi nel corso del dibattimento: era emerso che De.Ma., il giorno 20.9.2022, aveva ricevuto una telefonata da un tale che si era qualificato come suo figlio Ro. il quale le aveva fatto presente di avere mal di gola e di dover fare un tampone per il COVID; contemporaneamente, la donna aveva ricevuto una chiamata sul telefono fisso da una persona che le aveva preavvertita che sarebbe passato da lei a prelevare una somma di denaro da portare all'ufficio postale onde scongiurare la denuncia che altrimenti sarebbe stata inoltrata nei confronti del figlio; nel contempo, il predetto aveva invitato la donna ad inviare il marito presso l'ufficio postale per ritirare la ricevuta che sarebbe stata consegnata non appena recapitato il denaro. Una volta uscito di casa il marito, lo sconosciuto - pacificamente identificato nel Pa.Em. - si era presentava in casa dell'anziana dove si era fatto consegnare denaro contante per 9.000 euro e monili in oro per 10.000 euro che la persona offesa conservava nello sgabuzzino situato sul terrazzo. In quel frangente, tuttavia, era giunto sul posto il genero della donna, Ta.Ro., ex poliziotto, al quale il Pa.Em. si era qualificato come carabiniere passandogli il telefono per parlare con il "maresciallo"; il Ta.Ro. tuttavia non gli aveva creduto sicché il ricorrente aveva cercato di fuggire spintonando la donna ed allontanarsi venendo tuttavia sgambettato dal Ta.Ro. e cadendo a terra con la scatola dei gioielli che aveva tuttavia prontamente raccolto per riprendere la fuga; il giovane era stato tuttavia nuovamente raggiunto dal Ta.Ro. che, dopo aver ingaggiato una breve colluttazione, questa volta era riuscito a bloccarlo anche con l'aiuto del fratello della De.Ma. giunto sul posto e munito di una bomboletta di spray urticante. 3. Con l'atto di appello la difesa aveva chiesto la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale della De.Ma. e del Ta.Ro. che avrebbero fornito una versione dei fatti confusa e non lineare avendo in particolare la donna riferito della spinta subita dall'imputato solo dopo due giorni e senza mai essersi recata in ospedale; quanto al Ta.Ro., per aver reso dichiarazioni non in linea con quelle del fratello della persona offesa. Aveva poi insistito nella riqualificazione del fatto nella ipotesi delittuosa delineata dall'art. 640, comma 2, n. 2-bis cod. pen. ovvero, in subordine, nel delitto di rapina impropria (solo) tentata; da ultimo, nell'esclusione dell'aggravante della "minorata difesa" come di quella di cui al comma 3-quinques del comma terzo dell'art. 628 cod. pen. 4. Rileva il collegio che la Corte territoriale è pervenuta alla conferma della sentenza di primo grado disattendendo le doglianze difensive con argomentazioni puntuali in fatto e corrette in diritto, non giustificandosi, perciò, le censure articolate in questa sede. 4.1 Quanto alla ricostruzione dell'episodio ed alla sua corretta qualificazione in termini di rapina impropria consumata, la Corte d'appello ha fatto presente che l'imputato aveva ammesso di essersi fraudolentemente introdotto nella abitazione della donna per farsi consegnare denaro e beni preziosi: ha inoltre puntualmente "risolto" la presunta incertezza nella deposizione della donna circa la spinta che costei avrebbe ricevuto nel tentativo del giovane di darsi alla fuga e che, indipendentemente dai "tempi" in cui la persona offesa l'avrebbe fatta presente agli investigatori, era stata comunque riferita dal genero, circostanza su cui il ricorso è del tutto silente. Quanto, poi, al tentativo di darsi alla fuga, la Corte d'appello ha sottolineato la convergenza delle dichiarazioni del Ta.Ro. rispetto a quelle di De.Mi. ma anche della stessa persona offesa, giudicata assolutamente attendibile sull'intera dinamica dell'episodio. 4.2 Ed è proprio sulla scorta della ricostruzione in tal modo operata che i giudici di merito hanno potuto correttamente ribadire la qualificazione della condotta del ricorrente in termini di rapina impropria consumata che, come è noto, si articola nella sottrazione della "res" (nel caso di specie acquisita dal ricorrente in maniera truffaldina) seguita dalla violenza e/o dalla minaccia poste in essere per mantenerne la disponibilità e realizzare il definitivo impossessamento della refurtiva o darsi alla fuga. (cfr., in tal senso, tra le tante, Sez. 2 - , n. 15584 del 12/02/2021, Bevilacqua, Rv. 281117 - 01; conf., Sez. 2, n. 11135 del 22/02/2017, Tagaswill, Rv. 269858 - 01, in cui la Corte ha spiegato che, ai fini della configurazione della rapina impropria consumata, è sufficiente che l'agente, dopo aver compiuto la sottrazione della cosa mobile altrui, adoperi violenza o minaccia per assicurare a sé o ad altri il possesso della "res", mentre non è necessario che ne consegua l'impossessamento, non costituendo quest'ultimo l'evento del reato ma un elemento che riguarda, invece, 91 dolo specifico). È pacifico, poi, che nella rapina impropria, la violenza o la minaccia possono realizzarsi anche nei confronti di persona diversa dal derubato e che, per la configurazione del reato, non è richiesta la contestualità temporale tra sottrazione e uso della violenza o minaccia, essendo sufficiente che tra le due diverse attività intercorra un arco temporale tale da non interrompere l'unitarietà dell'azione volta ad impedire al derubato di tornare in possesso delle cose sottratte o di assicurare al colpevole l'impunità (cfr., così, ad esempio, Sez. 2, n. 43764 del 04/10/2013, Mitrovic, Rv. 257310 - 01; conf., Sez. 7, Ord. n. 34056 del 29/05/201, Belergouh, Rv. 273617 - 01). 4.3 Quanto all'aggravante di cui all'art. 61 n. 5, cod. pen., la Corte ha puntualmente motivato sottolineando che, nel caso di specie, essa non era stata ritenuta esclusivamente in considerazione dell'età della vittima ma del rilievo secondo cui l'imputato aveva attentamente mirato ad una persona anziana, di settantasette anni, che avrebbe potuto dar credito alla storia da lui inventata per farsi consegnare denaro e gioielli come, infatti, era accaduto avendo la donna consegnato una somma di gran lunga superiore alla richiesta iniziale accompagnata, inoltre, da quella di gioielli la cui destinazione a saldare un debito era quantomeno discutibile e, tuttavia, non era stata colta dalla vittima, turbata anche dalla previa telefonata del "figlio". Per altro verso, i giudici di secondo grado hanno spiegato che il ricorrente aveva anche avuto la "accortezza" di far in modo che l'anziana donna fosse sola in casa, invitando il di lei marito a recarsi preso l'ufficio postale per ritirare la fantomatica ricevuta. In tal modo, quindi, la Corte ha fatto corretta applicazione del principio ormai autorevolmente ribadito in questa sede di legittimità, secondo cui, ai fini dell'integrazione della circostanza aggravante della minorata difesa, prevista dall'art. 61, primo comma, n. 5, cod. pen., le circostanze di tempo, di luogo o di persona, di cui l'agente abbia profittato, devono tradursi, in concreto, in una particolare situazione di vulnerabilità del soggetto passivo del reato, non essendo sufficiente l'idoneità astratta delle predette condizioni a favorire la commissione dello stesso (cfr., così, infatti, Sez. U., n. 40275 del 15/07/2021, Cardellini, Rv. 282095 - 02). Ed è proprio la struttura del delitto di rapina impropria, come in precedenza ribadita, che consente di ritenere la aggravante anche laddove le condizioni previste dall'art. 61 n. 5 cod. pen. abbiano agevolato la sottrazione della "res" alla vittima indipendentemente dal fatto che, nella fase successiva, la violenza e/o la minaccia siano state esercitate nei confronti di soggetti o in contesti che non avevano comportato alcuna concreta "agevolazione". Si è anche chiarito che la circostanza aggravante speciale, prevista, per il delitto di rapina, dall'art. 628, comma terzo, n. 3-quinquies, cod. pen., è correlata al dato del superamento dell'età di sessantacinque anni da parte della persona offesa, e non alla presunzione relativa di maggior vulnerabilità della vittima in ragione dell'età, cui fa, invece, riferimento la circostanza aggravante comune prevista dall'art. 61, n. 5, cod. pen. (cfr., in tal senso, Sez. 2 - , n. 17320 del 09/12/2022, dep. 26/04/2023, Cantimir, Rv. 284527 - 01, in cui la Corte ha precisato che ricorre l'aggravante dell'età della vittima di cui all'art. 628, terzo comma, n. 3-quinquies, cod. pen. nel caso di rapina commessa in danno di persona ultrasessantacinquenne, senza che sia necessaria una specifica indagine sull'effettiva incidenza dell'età della parte lesa sulla consumazione della condotta criminosa, ovvero senza possibilità di dimostrare l'irrilevanza, nel caso specifico, del dato anagrafico). È vero che l'aggravante speciale dell'età della vittima eccedente i sessantacinque anni, prevista dall'art. 628, comma terzo, n. 3-quinquies cod. pen., esclude l'applicazione concorrente dell'aggravante comune, determinativa di un minore incremento sanzionatorio, di cui all'art. 61 n. 5, cod. pen., ove contestata in riferimento all'età senile della persona offesa e alla sua ritenuta minore capacità di resistenza, vietando l'art. 68 cod. pen., in tema di componenti accessorie del reato, l'addebito plurimo di un medesimo elemento fattuale (cfr., in tal senso, Sez. 2 -, n. 3496 del 02/11/2022, dep. 27/01/2023, Pannone, Rv. 284193 - 01; Sez. 2 - , n. 14489 del 06/12/2022, dep. 05/04/2023, Borrelli, Rv. 284479 - 01). E, tuttavia, se per un verso non è questo il profilo su cui è incentrato il motivo di ricorso, va pur detto che nel caso di specie l'aggravante di cui all'art. 61 n. 5 cod. pen. non ha avuto alcun riflesso sul piano del trattamento sanzionatorio che è stato determinato partendo dal minimo edittale stabilito dal comma quinti dell'art. 628 cod. pen. per il caso di più aggravanti concorrenti (nel caso di specie, quelle di cui al n. 3-bis - non bilanciabile - ed al n. 3-quinquies su cui, invero, non c'è ricorso), su cui è stata operata la riduzione massima per le riconosciute circostanze attenuanti generiche, l'aumento per la continuazione con il capo B) e la finale riduzione per il rito. 5. L'inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle somma - che si stima equa - di euro tremila, in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso in Roma, il 19 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 30 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta da: Dott. ROCCHI Giacomo - Presidente Dott. SIANI Vincenzo - Consigliere Dott. APRILE Stefano - Consigliere Dott. MAGI Raffaello - Consigliere Dott. LANNA Angelo Valerio - Relatore ha pronunciato la seguente sentenza sul ricorso proposto da: PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI BARI nel procedimento a carico di: Kh.Ta., nato a A il (omissis); avverso l'ordinanza del 06/02/2024 del TRIB. LIBERTÀ MINORI di BARI; udita la relazione svolta dal Consigliere ANGELO VALERIO LANNA; letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale MARIA FRANCESCA LOY, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale per i minorenni di Bari - in funzione di giudice del riesame - ha accolto il ricorso della difesa e ha annullato l'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del 17/01/2024, che aveva applicato nei confronti di Kh.Ta. la misura cautelare del collocamento in comunità, in relazione al reato di cui all'art. 412-bis cod. pen., ascritto sub b) della provvisoria rubrica, per avere - in concorso con altri soggetti anche maggiorenni, al fine di suscitare pubblico disordine o attentare alla sicurezza pubblica - fatto esplodere molteplici ordigni esplosivi, anche compiendo le condotte di danneggiamento contestate al capo a) del medesimo editto accusatorio, in tal modo ingenerando timore nella cittadinanza, tanto da indurre i proprietari delle vetture danneggiate a non sporgere denuncia, in relazione ai danni da queste ultime riportate. 1.1. Il provvedimento reiettivo, in primo luogo, ha ricostruito gli accadimenti verificatisi in M nella notte fra il 31/12/2023 e il 01/01/2024, allorquando un gruppo di giovani fece ripetutamente esplodere "molteplici e potenti esplosivi collocandoli e facendoli deflagrare anche all'interno della vettura Renault Clio targata (omissis) di proprietà di Fa.Gi. ribaltandola ed esplodendovi anche all'interno diversi ordigni di natura artigianale". La linea difensiva si è interamente dipanata sostenendo trattarsi, esclusivamente, di festeggiamenti in occasione del nuovo anno; il Tribunale per i minorenni, invece, ha condiviso la qualificazione giuridica dei fatti ex art. 421-bis cod. pen., contenuta nell'ordinanza genetica. 1.2. Il Tribunale ha però ritenuto inconsistenti, dunque inadatti a fondare un provvedimento restrittivo della libertà personale, gli elementi di valutazione e conoscenza che sorreggono il profilo della riferiibilità soggettiva, anche all'indagato Kh.Ta., della condotta accertata sotto il profilo storico e oggettivo. Quest'ultimo, a differenza di altri indagati, infatti, compare in un video caricato su internet alle ore 00.24 della suddetta notte, ossia dopo che la maggior parte degli ordigni era stata già fatta esplodere, all'interno della autovettura di cui sopra. Kh.Ta. partecipa all'azione di ribaltamento della vettura, per cui è da ritenersi gravemente indiziato del reato di danneggiamento contestato sub a); non altrettanto è a dirsi, invece, per quanto attiene al delitto ex art. 421-bis cod. pen. contestato al capo b). Anche la mera presenza del soggetto nei medesimi luoghi sin dalle ore 23.58, del resto, non può assumere una reale valenza evocativa in punto di concorsualità morale, rispetto alle esplosioni, non essendo emerso un qualsivoglia comportamento esteriormente percepibile, dotato di univoca significazione partecipativa. 2. Ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Bari, deducendo due motivi, che vengono di seguito riassunti entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 2.1. Con il primo motivo, viene denunciata inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 309, comma 9 cod. proc. pen. Durante l'udienza del 06/02/2024, il Tribunale ha impedito al Pubblico ministero di depositare l'annotazione dei Carabinieri di M redatta in pari data, da cui emergeva con chiarezza la partecipazione del Kh.Ta. alla perpetrazione del fatto sub b). Tale scelta contrasta con il dettato della disposizione codicistica riportata in enunciazione. 2.2. Con il secondo motivo ci si duole della mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in ordine a rilevanti elementi indiziari gravanti sull'indagato. Non risultano chiare le ragioni per le quali non sono stati ritenuti validi gli elementi indizianti, che erano stati addotti dal Pubblico ministero. Nell'annotazione sopra indicata, inoltre, venivano evidenziati alcuni fotogrammi, temporalmente collocabili a quando erano da poco trascorse le ore 23.58, nei quali si nota Kh.Ta. avvicinarsi alla vettura del coindagato maggiorenne Gi.An., per poi prelevarne una cassetta di fuochi pirotecnici, che poi viene posizionata al centro della piazza per la successiva accensione; tale ricostruzione sconfessa, del resto, quanto dichiarato dall'indagato in sede di interrogatorio di garanzia. 3. Il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, in quanto volto a prospettare una diversa valutazione dei fatti. Il fotogramma che ritrarrebbe l'indagato, inoltre, viene solo menzionato nell'atto di impugnazione, ma non è allegato allo stesso, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso. La motivazione del provvedimento impugnato, contrariamente alle deduzioni contenute nell'atto di impugnazione, è invece congrua e priva di illogicità manifeste. 4. L'avv. Mi.Sa., nella qualità di difensore di Kh.Ta., ha presentato memoria difensiva, a mezzo della quale ha rappresentato. 4.1. Erronea interpretazione della legge penale. Già sulla base dell'imputazione, è possibile riqualificare il fatto, focalizzando meglio il bene giuridico tutelato dall'ipotizzato modello legale. Le condotte riguardavano i festeggiamenti per il nuovo anno e aggredivano un unico bene privato, così limitando l'offensività dell'azione alla sfera strettamente privatistica. 4.2. Inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inammissibilità (art. 606 lett. c), in relazione all'art. 581, comma 1, lett. d) cod, proc. peri.). L'ordinanza cautelare è stata annullata per carenza della necessaria gravità indiziaria, senza pronunciarsi sulle esigenze cautelari; il Pubblico ministero ricorrente, quindi, si sarebbe dovuto soffermare sul profilo delle persistenti esigenze giustificative della cautela che mira a ripristinare. 4.3. Inammissibilità per genericità del primo motivo di gravame. La prima doglianza è inammissibile. La produzione documentale negata, anzitutto, era stata chiesta dopo la discussione dell'indagato. Il ricorrente, inoltre, avrebbe dovuto precisare quali fossero gli elementi desumibili a carico dell'indagato specificamente dall'atto, per poi compararle con la motivazione dell'ordinanza avversata, ai fini della ed. prova di resistenza. 4.4. Inammissibilità per genericità del secondo motivo. Il ricorrente non chiarisce a quali fotogrammi faccia riferimento, né spiega quale sia l'atto che li contenga e, infine, non indica gli elementi decisivi che essi siano in grado di fornire. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Con il primo motivo (enumerato in parte narrativa sub 2.1. e oggetto delle considerazioni difensive contenute in memoria, sopra riassunte sub 4.3.) si lamenta la errata applicazione del disposto dell'art. 309, comma 9, cod. proc. pen., per non avere il Tribunale del riesame inteso acquisire una annotazione, che il Pubblico ministero aveva chiesto di produrre in udienza. 2.1. Giova precisare, in diritto, come il principio di diritto che governa la materia sia stato ripetutamente enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, trovandosi quindi cristallizzato in numerose pronunce. Può richiamarsi, dunque, il dictum di Sez. 1, n. 11091 del 18/10/2022, dep. 2023, Di Gesù, Rv. 284410 - 01, a mente della quale: "In tema di riesame di misure cautelari personali, il tribunale può utilizzare, ai fini della decisione, documenti formati successivamente all'emissione dell'ordinanza applicativa, purché prodotti dalle parti nel corso dell'udienza, quando è ancora possibile l'instaurazione del contraddittorio sul loro contenuto"; nello stesso senso si erano già espresse Sez. 3, n. 4647 del 09/12/2015, dep. 2016, Mangano, Rv 266269 - 01 ("In tema di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari coercitive, ai sensi dell'art. 309, comma nono, cod. proc. pen., il Tribunale può tenere conto, ai fini della decisione, delle nuove acquisizioni probatorie effettuate dal PM, anche se sfavorevoli all'indagato e successive non solo a quelle poste a base della richiesta della misura cautelare, ma anche al provvedimento che l'ha disposta ed alla stessa istanza di riesame") e Sez. 1, n. 45246 del 22/10/2003, Carucci, Rv. 226818. Tali regole ermeneutiche, in sostanza, sono imperniate sull'esistenza non di un obbligo di acquisizione del materiale valutativo formatosi in epoca successiva, rispetto all'emissione del provvedimento cautelare, bensì di una mera facoltà in tal senso, esercitabile entro il perimetro rappresentato dalla possibilità che sia sempre assicurato il necessario contraddittorio sullo stesso. 2.2. È poi noto l'insegnamento della Corte di cassazione, che ha più volte chiarito come - allorquando venga posta al vaglio del giudice di legittimità la correttezza di una decisione in rito, in tal modo deducendosi un "error in procedendo" - la Corte stessa diviene ipso facto giudice dei presupposti della decisione contestata; su quest'ultima, quindi, esso esplica il proprio controllo, quale che sia il ragionamento seguito dal giudice di merito per giustificarla e, inoltre, quale che sia l'apparato motivazione esibito. Corollario logico e sistematico di tale impostazione concettuale è il fatto che la Corte - in presenza di una doglianza strettamente attinente al rito, ossia di carattere prettamente processuale - può e deve prescindere dalla motivazione addotta dal giudice a quo e così, ove necessario anche accedendo agli atti, è tenuta a valutare la correttezza in diritto della decisione adottata, pure laddove essa non appaia correttamente giustificata, ovvero sorretta da argomentazioni addotte solo "a posteriori (Sez. U., n. 42792 del 31/10/2001, Polìcastro, Rv. 220092; Sez. 5, n. 19970 del 15/03/2019, Girardi, Rv. 275636 - 01; Sez. 5, n. 19388 del 26/02/2018, Monagheddu, Rv. 273311; Sez. 1, n. 8521 del 09/01/2013, Chahid, Rv. 255304). 2.3. Nel caso di specie, l'esame del fascicolo processuale mostra come, allorquando si è tenuta udienza dinanzi al Tribunale per i minorenni, i fotogrammi fossero stati già versati nell'incarto processuale. Può leggersi nel verbale riassuntivo della sopra indicata udienza, infatti, come il Pubblico ministero abbia in prima battuta dichiarato di voler produrre determinati fotogrammi, chiedendone quindi l'acquisizione al fascicolo, per poi affermare, immediatamente dopo, di non voler procedere a tale acquisizione, ma di volersi limitare esclusivamente ad effettuare un semplice richiamo a tale materiale. Non essendo stata invocata la produzione di documentazione fino a quel momento assente in atti, alcun provvedimento ammissivo in tal senso avrebbe mai potuto essere adottato. 2.4. Quanto poi alla pretesa valenza dimostrativa, a carico dell'indagato, di tali elementi indiziari, è utile precisare come non vi sia stata alcuna allegazione degli stessi al presente atto di impugnazione, ad opera del ricorrente. Sotto questo profilo, pertanto, il ricorso non può che essere ritenuto inammissibile, appunto a causa della violazione del generale principio di autosufficienza. Invero, è regola sempre affermata da questa Corte, il fatto che tale principio si traduca nell'onere di puntuale indicazione, da parte del ricorrente, degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l'allegazione. La giurisprudenza di legittimità, infatti, ha più volte affermato come sia inammissibile il ricorso per cassazione che, pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga la loro integrale trascrizione o allegazione, così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze specifiche (Sez. 5, n. 5897 del 03/12/2020, Cossu, Rv. 280419 - 01; Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, Talamanca, Rv. 276432 - 01). 3. Il secondo motivo di ricorso (enumerato in parte narrativa sub 2.2. e oggetto delle considerazioni difensive contenute in memoria, sopra riportate sub 4.1. e 4.4.), attiene alla attitudine evocativa dei fotogrammi uniti al fascicolo e deduce un vizio di carenza di motivazione, quanto al tema della ritenuta impossibilità di giungere alla riferibilità soggettiva della condotta - pur ricostruita, sotto il profilo oggettivo, in termini di conformità al contestato paradigma normativo - anche al Kh.Ta. 3.1. Va evidenziato, allora, come tali censure si sviluppino interamente sul piano del fatto e siano tese, sostanzialmente, a sovrapporre una nuova interpretazione delle risultanze probatorie, diversa da quella recepita nell'impugnato provvedimento, più che a rilevare un vizio rientrante nella rosa di quelli delineati dall'art. 606 cod. proc. pen. Tale operazione, con tutta evidenza, fuoriesce dal perimetro del sindacato rimesso al giudice di legittimità. Secondo la linea interpretativa da tempo tracciata da questa Corte regolatrice, infatti, l'epilogo decisorio non può essere invalidato sulla base di prospettazioni alternative, che sostanzialmente si risolvano in una "mirata rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell'autonoma assunzione di nuovi e differenti canoni ricostruttivi e valutativi dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perché illustrati come maggiormente plausibili, o perché assertivamente dotati d una più efficace potenzialità esplicativa, nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, Rv. 235507). 3.2. D'altronde, nessun vizio logico argomentativo è ravvisabile, nella motivazione posta a fondamento della avversata decisione, che è - contrariamente alle deduzioni del ricorrente - esaustiva e lineare, oltre che priva di spunti di contraddittorietà. 4. La difesa introduce, infine, il tema della pretesa inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inammissibilità (l'argomento è oggetto delle considerazioni difensive contenute in memoria, sopra riportate sub 4.2.). Essendo stato il provvedimento restrittivo della libertà personale annullato, in ragione della ritenuta carenza della necessaria gravità indiziaria, senza quindi che sia stato affrontato il versante inerente alle esigenze cautelari, il Pubblico ministero ricorrente avrebbe avuto l'onere - in ipotesi difensiva - di soffermarsi specificamente sul profilo delle persistenti esigenze giustificative della cautela. 4.1. Occorre quindi rifarsi, prioritariamente, alle regole ermeneutiche più volte fissate in sede di legittimità, con riferimento anzitutto al tema del necessario interesse a proporre impugnazione. Sotto tale profilo, non può esser ritenuta bastevole la semplice pretesa, volta ad affermare la astratta conformità del provvedimento alle norme, oppure alla correttezza giuridica dello stesso, occorrendo invece la effettiva deduzione di un pregiudizio concretamente valutabile, oltre che suscettibile di essere eliminato, attraverso la riforma della decisione avversata (così Sez. 3, n. 30547 del 06/03/2019, Chiocchio, Rv. 276274 - 01; più specificamente, sul tema introdotto dalla difesa, si veda Sez. 6, n. 43948 del 21/09/2023, Manna, Rv. 285400 - 01, a mente della quale: "Il pubblico ministero che impugni l'ordinanza che, in sede di appello ex art. 310 cod. proc. pen., abbia annullato la misura cautelare per difetto di gravità indiziaria, deve indicare, a pena di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, le ragioni a sostegno dell'attualità e concretezza delle esigenze cautelari, laddove la misura riguardi reati per i quali non opera la presunzione di cui all'art. 275, comma 3, cod. proc. pen."; in questo senso anche Sez. 3, n. 13284 del 25/2/2021, Acanfora, Rv 281010; Sez. 6, n. 46129 del 25/11/2021, Marcus Steven, Rv. 282355 - 01; Sez. 6, n. 12228 del 30/10/2018, De Gasperis, Rv. 276375). La disciplina di carattere generale che si trae, quindi, è nel senso che -laddove il provvedimento impugnato abbia ritenuto assente solo uno dei presupposti atti a fondare un titolo cautelare, reputando così assorbito l'esame dell'altro profilo - l'impugnazione del Pubblico ministero dovrà esporre specifiche doglianze in ordine al profilo esaminato e ritenuto carente, dovendo poi anche soffermarsi sugli aspetti in grado di supportare la tesi della persistenza dell'interesse alla decisione (nel caso di annullamento per carenza di gravi indizi, dunque, sarà in ogni caso soffermarsi anche sul punto relativo alla persistente attualità delle esigenze cautelari). Il compito argomentativo gravante sul Pubblico ministero ricorrente, in pratica, può essere modulato secondo parametri differenti, in relazione al fatto che i requisiti per l'applicazione della misura siano stati espressamente esclusi ab origine, ovvero soltanto in sede di impugnazione di merito, essendo sicuramente consentito - in tale ultimo caso - allorquando il provvedimento impugnato non attinga direttamente il versante delle esigenze cautelari, riportarsi al già delineato quadro cautelare, effettuando un mero "aggiornamento" del medesimo, così da suffragare l'interesse a impugnare. In conclusione, incombe sul Pubblico ministero l'onere di apportare elementi atti a delineare l'attualità del suo interesse, in relazione ai presupposti per l'adozione della misura, anche nel caso in cui il provvedimento impugnato abbia tralasciato l'esame di taluno di quei presupposti. Allorquando sia stato escluso solo uno dei presupposti su cui deve fondarsi il provvedimento cautelare, è consentito il mero richiamo alle precedenti deduzioni e la semplice attualizzazione argomentativa, circa il profilo pretermesso. Laddove il provvedimento demolitorio, invece, abbia specificamente escluso la sussistenza tanto della gravità indiziaria, quanto delle esigenze cautelari, l'impugnazione dovrà incentrarsi - con articolate e specifiche censure - su entrambi i profili esclusi (si veda anche Sez. 6, n. 2386 del 24/6/1998, Machetti, Rv. 212898). 4.2. Nella concreta fattispecie ora al vaglio del Collegio, il Tribunale del riesame non si è minimamente soffermato sul tema delle esigenze cautelari, avendo ritenuto - come già detto - assorbente il profilo della ritenuta carenza indiziaria a carico di Kh.Ta. Il Pubblico ministero ricorrente, quindi, aveva l'onere di addurre argomentate censure solo in ordine a tale profilo, potendosi invece limitare - quanto al versante della cautela - ad effettuare un richiamo alle pregresse argomentazioni, attualizzate in punto di persistente interesse. E infatti, nel ricorso è specificamente affrontato il tema cautelare, sebbene in maniera estremamente concisa. 5. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Deve essere disposta, infine, l'annotazione di cui all'art. 52, comma 1, del decreto legislativo 20 giugno 2003, n. 196, recante il "codice in materia di protezione dei dati personali". P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge. Così deciso in Roma, il 28 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 30 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE composta dai signori: Dott. BELTRANI Sergio - Presidente Dott. BORSELLINO Maria Daniela - Consigliere Dott. D'AURIA Donato - Consigliere Dott. SGADARI Giuseppe - Consigliere est. Dott. LEOPIZZI Alessandro - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA Sul ricorso proposto da: Go.Ma., nata a N l'(Omissis), avverso l'ordinanza del 29/01/2024 del Tribunale di Napoli, visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione della causa svolta dal consigliere Giuseppe Sgadari; sentito il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale Luigi Cuomo, che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso; sentito il difensore, Avv. Ma.Au., anche in sostituzione dell'Avv. Ge.Ca., che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Napoli, in sede di riesame di provvedimenti impositivi di misura cautelare personale, ha confermato l'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, emessa l'8 gennaio 2024, che aveva applicato alla ricorrente la misura degli arresti domiciliari in relazione al reato di estorsione aggravata, per avere costretto la persona offesa - una suora della (Omissis) - anche con violenza fisica, a consegnarle denaro a più riprese e a donarle l'usufrutto di un immobile, minacciandola che avrebbe rivelato alla madre superiora di quella congregazione la loro pregressa relazione sentimentale. 2. Ricorre per cassazione Go.Ma., deducendo: 1) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all'assenza di autonoma valutazione del Tribunale degli indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, avendo l'ordinanza copiato interi passaggi del provvedimento genetico impositivo della misura, a sua volta ripetitivo rispetto al contenuto della richiesta avanzata dal Pubblico ministero. Nel ricorso, attraverso diversi richiami testuali, si evidenziano i punti specifici della operazione di copia-incolla, censurando come meramente terminologiche le rilevate differenze tra il primo ed il secondo provvedimento dei giudici della cautela e la richiesta di misura. Di tal che, l'ordinanza impugnata non si sarebbe confrontata con le doglianze difensive contenute agli atti ed esplicitate ai fgg. 16 - 21 del ricorso; 2) violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza di gravi indizi di colpevolezza quanto al segmento della incolpazione provvisoria inerente alla donazione dell'usufrutto di un appartamento. Anche in questo caso, il Tribunale non avrebbe offerto autonoma valutazione, fidandosi delle dichiarazioni della persona offesa sebbene contraddette da altre risultanze, indicate ai fgg. 23 - 25 del ricorso; 3) violazione di legge e vizio di motivazione quanto alle esigenze cautelari. Il ricorso ribadisce l'assenza di autonoma valutazione da parte del Tribunale, che non avrebbe valorizzato il tempo trascorso dai fatti (l'ultimo episodio risalendo al giugno 2021) idoneo ad escludere concretezza ed attualità al pericolo di recidiva. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso, proposto per motivi complessivamente infondati, deve essere rigettato. 1.1. Quanto ai primi due motivi, che possono essere trattati congiuntamente, deve ricordarsi, in punto di diritto, che l'ordinanza cautelare adottata dal tribunale del riesame non richiede, a pena di nullità, l'autonoma valutazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, in quanto tale requisito è previsto dall'art. 292, comma 2, cod. proc. pen. con riguardo alla sola decisione adottata dal giudice che emette la misura inaudita altera parte, essendo funzionale a garantire l'equidistanza tra l'organo requirente che ha formulato la richiesta e l'organo giudicante (in motivazione, la Corte ha precisato che, con riferimento ai provvedimenti cautelari diversi dall'ordinanza genetica ex art. 292, cod. proc. pen., possono farsi valere unicamente i vizi della motivazione o la motivazione assente o apparente). (Sez. 1 n. 8518 del 10/09/2020, dep. 2021, Galletta, Rv. 280603). Inoltre, in tema di impugnazioni avverso i provvedimenti de libertate, il ricorrente per cassazione che denunci la nullità dell'ordinanza cautelare per omessa autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza ha l'onere di indicare gli aspetti della motivazione in relazione ai quali detta omissione abbia impedito apprezzamenti di segno contrario di tale rilevanza da condurre a conclusioni diverse da quelle adottate (Sez. 1, n. 46447 del 16/10/2019, Firozpoor, Rv. 277496). 1.2. Nel caso in esame, pertanto, devono ritenersi non consentite tutte le censure con le quali la ricorrente lamenta il difetto di autonoma valutazione da parte del Tribunale. 1.3. Quanto alle restanti censure che ineriscono alla mancanza di autonoma valutazione da parte del Giudice per le indagini preliminari dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, il ricorso è generico - così come lo era l'istanza di riesame - perché si limita a richiamare alcuni insignificanti passaggi della richiesta di misura cautelare, avanzata dal Pubblico ministero, che sarebbero stati oggetto di copiatura non valutativa da parte del primo giudice, evitando ogni confronto con numerose risultanze ritenute decisive a sostegno dell'ordinanza genetica e poi ulteriormente valorizzate dal Tribunale, così da rendere sterile la censura sia dal punto di vista procedurale che in ordine ai vizi motivazionali riconducibili all'art. 606, comma 1,lett. e), cod. proc. pen. per quanto relativo alla valutazione della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Infatti, il ricorso prova a mettere in dubbio l'attendibilità della persona offesa senza confrontarsi con le numerose testimonianze a riscontro provenienti da soggetti terzi, indicati dal Tribunale nella sorella della vittima, nella teste De.Ma., nella teste Pi.Lu., nel teste Pu.Ge., nella teste In.Fi., oltre che da documenti e dalle dichiarazioni della madre superiora Co.An.; risultanze, tutte, idonee a corroborare interi segmenti del racconto della vittima, che il Tribunale ha analizzato anche cronologicamente senza incorrere in alcuna manifesta illogicità. Tanto assorbe e supera ogni altra considerazione difensiva. 2. È infondato anche il motivo di ricorso che inerisce alle esigenze cautelari, dal momento che non mette in luce la circostanza decisiva che ha indotto il Tribunale a ritenere sussistente il pericolo di recidiva, vale a dire la professionalità manifestata dalla ricorrente nel commettere una condotta illecita in modo continuativo per lungo tempo, ottenendo cospicui benefici attraverso una condotta marcatamente priva di scrupoli ed anche violenta (fg. 8 dell'ordinanza impugnata). Si tratta di motivazione congrua, non attaccata da alcuna specifica confutazione e idonea a superare ogni altro elemento a discarico. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deliberato in Roma, udienza in camera di consiglio dell'8 maggio 2024. Depositata in Cancelleria il 30 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta da: Dott. SANTALUCIA Giuseppe - Presidente Dott. CENTOFANTI Francesco - Giudice Dott. POSCIA Giorgio - Giudice Dott. CURAMI Micaela Serena - Relatore Dott. ALIFFI Francesco - Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: SC.AN. nato a N. (...) avverso l'ordinanza del 21/03/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di NAPOLI udita la relazione svolta dal Consigliere MICAELA SERENA CURAMI; lette le conclusioni del PG, M. FRANCESCA LOY, che ha chiesto declaratoria di inammissibilità del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Sc.An. ricorre, per il tramite il proprio difensore, avverso il provvedimento emesso dal Tribunale di sorveglianza di Napoli in data 21/03/2023 che gli aveva concesso la misura dell'affidamento in prova al servizio sociale, lamentando con un unico motivo di gravame, la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all'art. 47 ord. pen., con riferimento alle prescrizioni imposte nel citato provvedimento. In particolare, si lamenta la illogicità della motivazione perché il Tribunale avrebbe disposto, al punto 4 delle prescrizioni, di non uscire dalla propria abitazione prima delle ore 14 e di farvi rientro entro le 20.30, con obbligo di permanenza nelle giornate di sabato e domenica, disponendo così di fatto una detenzione domiciliare. 3. Il Sostituto Procuratore generale presso questa Corte, dott.ssa M. Francesca Loy, ha fatto pervenire requisitoria scritta con la quale ha chiesto declaratoria di inammissibilità del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato, nei termini di seguito esposti. 2. Appare utile premettere che, attraverso la misura alternativa al carcere dell'affidamento in prova al servizio sociale, l'ordinamento ha inteso attuare una forma dell'esecuzione della pena esterna al carcere nei confronti di condannati per i quali, alla luce dell'osservazione della personalità e di altre acquisizioni ed elementi di conoscenza, sia possibile formulare una ragionevole prognosi di completo reinserimento sociale all'esito della misura alternativa (Corte cost., 5 dicembre 1997, n. 377). Osserva il Collegio che uno degli elementi previsti dall'art. 47 ord. pen., ai fini della concessione della misura alternativa in esame, è costituito dalla formulazione di un giudizio prognostico favorevole nei confronti dell'affidato, rilevante sia nella fase genetica, sia nella fase dell'applicazione della misura. Né potrebbe essere diversamente, dovendosi in proposito ribadire l'orientamento consolidato di questa Corte, secondo cui: "Ai fini della concessione dell'affidamento in prova al servizio sociale, pur non potendosi prescindere, dalla natura e dalla gravità dei reati per cui è stata irrogata la pena in espiazione, quale punto di partenza dell'analisi della personalità del soggetto, è tuttavia necessaria la valutazione della condotta successivamente serbata dal condannato, essendo indispensabile l'esame anche dei comportamenti attuali del medesimo, attesa l'esigenza di accertare non solo l'assenza di indicazioni negative, ma anche la presenza di elementi positivi che consentano un giudizio prognostico di buon esito della prova e di prevenzione del pericolo di recidiva" (Sez. 1, n. 31420 del 05/05/2015, Incarbone, Rv. 264602; si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, n. 773 del 03/12/2013, Naretto, Rv. 258042). È principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità che nessuna limitazione sia prevista dall'art. 47, comma 5 e 6, ord. pen. in ordine al contenuto delle prescrizioni, che, quindi, purché non contrarie alla legge e non immotivatamente afflittive, debbono considerarsi legittime quali strumenti di risocializzazione, siccome rispondenti alle finalità normative e, segnatamente, di impedire al soggetto dì svolgere attività o di avere rapporti personali che possano portare al compimento di altri reati (Sez. 1, n. 29860 del 22/03/2019, Boi, Rv. 276601; Sez. 1 n. 54339 del 20/11/2018, Arnone, Rv. 274756; Sez. 1, n. 2026 del 07/04/1998, Girardo, Rv. 211030). Dette prescrizioni non hanno pertanto una loro autonomia concettuale, ma fanno parte del giudizio prognostico che deve esprimere il tribunale di sorveglianza in punto di sussistenza delle condizioni per l'ammissione del condannato alla misura alternativa, le cui finalità rieducative e di prevenzione della recidiva, possono essere perseguite anche attraverso le prescrizioni stesse. Il controllo sulla loro legalità deve pertanto consistere nella verifica che le stesse siano ricollegate alle categorie che le connotano, siccome tipizzate dallo statuto normativo cui l'interprete deve attenersi. 3. Stante la sopra delineata cornice teorica, non è controversa l'astratta possibilità del Tribunale di sorveglianza di imporre al condannato determinate prescrizioni, in quanto ritenute indispensabili per una proficua risocializzazione dell'affidato, tenuto conto del giudizio prognostico eseguito nei suoi confronti. In proposito, occorre anche ribadire che - una volta ammesso al regime dell'affidamento in prova al servizio sociale - il condannato ha l'obbligo di collaborare alla migliore riuscita del percorso trattamentale connesso alla misura, consentendo l'attuazione del programma di intervento attraverso il rispetto delle prescrizioni, funzionali alla rieducazione del reo ed a prevenire il pericolo di commissione di nuovi reati (Sez. 1, n. 31809 del 09/07/2009, Gobbo, Rv. 244322; Sez. 1, n. 371 del 15/11/2001, dep. 2002, Chifari, 220473). 4. Ciò premesso, le doglianze difensive appaiono fondate, nei limiti che si vanno ad esplicitare. Tenuto conto dei parametri ermeneutici che si sono sopra richiamati, deve allora rilevarsi come il provvedimento impugnato si connoti per una complessiva carenza motivazionale - già sotto il profilo grafico - in ordine all'effettiva necessità delle singole prescrizioni contenute nell'ordinanza, e precipuamente di quella di cui al punto n. 4 specificatamente aggredita nel ricorso, inerente il divieto uscire dalla propria abitazione prima delle ore 14 e di farvi rientro entro le 20.30, con obbligo di permanenza nelle giornate di sabato e domenica. Il Tribunale di sorveglianza napoletano, nella sua sintetica ordinanza, si è infatti limitato ad elencare le condanne subite dallo Sc.An., osservando come, attesa la confermata idoneità del domicilio, e la disponibilità di attività lavorativa (con turni lavorativi dal lunedì al venerdì dalle ore 15:00 alle 20:00), l'istanza di ammissione all'affidamento in prova fosse accoglibile. Coglie allora nel segno la censura difensiva laddove evidenzia come la prescrizione di cui al punto 4 del provvedimento (non uscire dalla propria abitazione prima delle ore 14 e di farvi rientro entro le 20.30, con obbligo di permanenza nelle giornate di sabato e domenica) introduca una consistente limitazione dei movimenti del condannato, in totale assenza di un vaglio preliminare, finalizzato a correlare tale prescrizione ai giudizio prognostico formulato nei confronti del condannato, nell'ambito del programma trattamentale. Il provvedimento impugnato risulta quindi effettivamente carente, non essendo state esplicitate le ragioni che giustificavano le prescrizioni connesse al regime dell'affidamento in prova al servizio sociale applicato al ricorrente, ed il percorso valutativo attraverso cui si perveniva alle imposizioni di cui al punto 4. 5. In presenza di tali lacune motivazionali, s'impone pertanto l'annullamento dell'ordinanza impugnata, relativamente alla prescrizione di cui al punto 4), ed il rinvio al Tribunale di sorveglianza di Napoli per nuovo esame. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata relativamente alla prescrizione di cui al n. 4), con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Napoli. Così deciso l'8 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 30 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta da Dott. APRILE Ercole - Presidente Dott. CAPOZZI Angelo - Consigliere Dott. ROSATI Martino - Relatore Dott. DI NICOLA TRAVAGLINI Paola - Consigliere Dott. IANNICIELLO Mariella - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da Be.So., nata a R il (Omissis) avverso la sentenza del 16/04/2024 della Corte di appello di Milano; letti gli atti del procedimento, il ricorso e la sentenza impugnata; udita la relazione del consigliere Martino Rosati; udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Roberto Aniello, che ha concluso per il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. La cittadina serba Be.So., con atto del proprio difensore, impugna la sentenza della Corte dì appello di Milano dello scorso 16 aprile, che ha dichiarato l'esistenza delle condizioni per la sua consegna alla Repubblica di Croazia, in esecuzione del mandato di arresto europeo emesso dalla Procura della Repubblica di Slavonski Brod di quello Stato, dinanzi alla quale ella è indagata per reati di falso documentale, tuttavia disponendo il differimento della consegna all'esito dell'esecuzione della pena inflittale con sentenza definitiva in Italia per fatti diversi da quelli oggetto del mandato. 2. Il ricorso consta di tre motivi. 2.1. Il primo denuncia vizi cumulativi di motivazione, nella parte in cui la sentenza impugnata non avrebbe tenuto in considerazione il rinvio obbligatorio di esecuzione della pena, a norma dell'art. 146, cod. pen., essendo la Be.So. madre di prole di età inferiore ad un anno. 2.2. Il secondo rappresenta i medesimi vizi con riferimento alla motivazione con la quale la sentenza impugnata ha escluso il pericolo di trattamenti inumani o degradanti in relazione alle condizioni penitenziarie in Croazia. Si citano, a sostegno, alcune precedenti decisioni della Corte EDU, relative a diversi istituti penitenziari croati, lamentandosi la mancata richiesta, da parte della Corte d'appello, di informazioni ulteriori sul trattamento riservato alla Be.So. in caso di consegna, tenuto altresì conto della sua condizione di madre di prole in tenera età e, dunque, delle misure ivi previste a tutela dei figli minori. 2.3. Gli stessi vizi della motivazione vengono dedotti, infine, con riferimento all'esclusione del rifiuto della consegna a norma dell'art. 18-bis, comma 2, legge n. 69 del 2005, per avere la Corte d'appello escluso il c.d. "radicamento" in Italia della ricorrente. Osserva la difesa che, nella tradizione della comunità rom, alla quale appartiene la ricorrente, la donna, a sèguito del matrimonio, interrompe di fatto i legami con la propria famiglia d'origine, divenendo parte di quella del marito, i cui componenti, nel caso specifico, risiedono tutti in Italia; con la conseguenza che, laddove ella venisse ristretta in Croazia, nessuno sarebbe in grado di visitarla ed assisterla. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Nessuno dei motivi di ricorso può essere ammesso, lamentandosi con essi esclusivamente dei vizi di motivazione, mentre il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge (art. 22, comma 1, legge n. 69 del 2005, come modificato dal D.Lgs. n. 10 del 2021). 2. In ogni caso, il primo motivo è, se non altro, manifestamente infondato, non riuscendosi francamente a comprendere di cosa si dolga la difesa ricorrente, ove si consideri che l'esecuzione del mandato è stata differita all'esito dell'esecuzione della condanna definitiva inflitta in Italia. Laddove - come potrebbe ritenersi - abbia inteso lamentarsi del perdurare della misura cautelare in attesa dell'esecuzione di tale condanna definitiva, il ricorso è generico, poiché non deduce alcuna ragione a confutazione. 3. Il secondo motivo è generico. La sentenza impugnata contiene una dettagliata disamina dei risultati del rapporto redatto dal Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d'Europa, a sèguito di visita ispettiva condotta presso le carceri croate nel settembre del 2022, dal quale emergono l'assenza di un rischio serio e generalizzato di trattamenti penitenziari inumani o degradanti e, con particolare riferimento alle condizioni delle madri detenute, l'esistenza di istituti di pena con reparti specificamente dedicati alle madri di prole di età inferiore a tre anni, nei quali non sono stati riscontrati sovraffollamento od altre criticità (sull'impossibilità, per lo Stato richiesto, di rifiutare la consegna, in esecuzione di un m.a.e., di madre di prole in tenera età, qualora non sussistano carenze sistemiche e generalizzate nel sistema penitenziario dello Stato richiedente ed il serio e comprovato pericolo che, in concreto, la persona da consegnare possa subire trattamenti inumani o degradanti in ragione di tale sua condizione, vds. CGUE, Grande Camera, sentenza 21/12/2023, in causa C-261/22, nonché il recente precedente di questa Corte, Sez. 6, n. 18365 del 07/05/2024, Young, non mass.). A tali rilievi il ricorso non oppone critiche specifiche ed argomentate, limitandosi ad evocare alcuni precedenti della Corte EDU, tuttavia relativi a situazioni non prospettabili nel caso in esame, ed a dolersi genericamente della mancata richiesta di informazioni supplementari, a norma dell'art. 16, legge n. 69 del 2005, invece motivatamente disattesa dalla Corte distrettuale. 4. Il terzo motivo di ricorso è anch'esso generico, ma, ancor prima, manifestamente infondato. È generico perché, a fronte di una dettagliata descrizione, contenuta in sentenza, delle ragioni per cui non è ravvisabile alcun elemento di "radicamento" della ricorrente sul territorio italiano (sul quale vive sola con i figli, senza svolgere alcun lavoro), la difesa si limita ad addurre l'esistenza di usi familiari semplicemente asseriti. Ma soprattutto la doglianza non può trovare ingresso, poiché il motivo di rifiuto facoltativo invocato è previsto dall'art. 18-bis, comma 2, legge n. 69, cit., soltanto per i mandati d'arresto strumentali all'esecuzione di condanne definitive, e non anche per quelli - come nel caso in esame - cc.dd. "processuali", funzionali, cioè, all'esercizio di un'azione penale. 5. All'inammissibilità del ricorso consegue obbligatoriamente - ai sensi dell'art. 616, cod. proc. pen. - la condanna della proponente alle spese del procedimento ed al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d'inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta carenza di diligenza, va fissata in tremila Euro. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 22, comma 5, legge n. 69/2005. Così deciso in Roma, il 29 maggio 2024. Depositato in Cancelleria il 30 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta da: Dott. SANTALUCIA Giuseppe - Presidente Dott. CENTOFANTI Francesco - Giudice Dott. POSCIA Giorgio - Giudice Dott. CURAMI Micaela Serena - Relatore Dott. ALIFFI Francesco - Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: AT.AL. nato a S. (...) avverso il decreto del 20/03/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di TRIESTE udita la relazione svolta dal Consigliere MICAELA SERENA CURAMI; lette le conclusioni del PG, SABRINA PASSAFIUME, che ha chiesto declaratoria di inammissibilità del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con decreto del 20.3.2023, il Presidente del Tribunale di sorveglianza di Trieste ha dichiarato inammissibile, de plano ex art. 666 co. 2 cod. proc. pen. in relazione all'art. 678 cod. proc. pen. (richiamati dal comma 5 dell'art. 35 bis ord. pen.), la richiesta di ottemperanza ad ordinanza n. 2021/74 del Tribunale di sorveglianza, avanzata ex art. 35 bis ord. pen. da At.Al., sul presupposto che il Tribunale di sorveglianza avesse già provveduto con ordinanza in data 19.10.2021. 2. Avverso il provvedimento ricorre At.Al. per mezzo del difensore avv. Ma.Pi., che denuncia, come unico motivo di ricorso, violazione di legge ex art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 666 co. 2, 125 co. 3 cod. proc. pen. e 35 bis co. 5 ord. pen., per mera apparenza della motivazione del provvedimento impugnato. 2.1. Sotto un primo profilo il ricorrente osserva che il Presidente del Tribunale di sorveglianza di Trieste non potesse dichiarare l'inammissibilità del ricorso de plano, in assenza di contraddittorio, come già stabilito in numerose pronunce di questa Corte. 2.2. Secondariamente, si duole della genericità della motivazione assunta che, nel richiamare il precedente provvedimento del 19/01/2021, non specifica il motivo per il quale il detenuto non possa nuovamente rivolgersi al Tribunale di sorveglianza in caso di mancata esecuzione. 3. Il Sostituto Procuratore generale presso questa Corte, dott.ssa Sabrina Passafiume, ha fatto pervenire requisitoria scritta con la quale ha chiesto declaratoria di inammissibilità del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso merita accoglimento, per le ragioni di seguito esposte. 2. Occorre premettere che il ricorso per cassazione avverso i provvedimenti emessi dal magistrato di sorveglianza in sede di giudizio di ottemperanza di provvedimenti emessi a seguito di reclamo giurisdizionale del detenuto e rimasti ineseguiti è proponibile, ai sensi dell'art. 35-bis comma 8 ord. pen., soltanto per violazione di legge, vizio al quale è riconducibile - sotto il profilo della violazione dell'art. 125 comma 3 cod. proc. pen. - quello derivante dalla mancanza o dalla mera apparenza della motivazione del provvedimento impugnato (Sez. 6 n. 50946 del 18/09/2014, Rv. 261590). 3. Nel caso di specie, il provvedimento impugnato, emesso dal Presidente del Tribunale di sorveglianza di Trieste il 20.03.2023, è inficiato da un'effettiva carenza di motivazione, che integra la violazione di legge denunciata dal ricorrente, dal momento che dalla lettura del provvedimento non emerge quale sia il contenuto del reclamo e, pertanto, le ragioni della asserita inammissibilità: il provvedimento infatti non esplicita quale fosse l'effettivo oggetto dell'istanza del detenuto, e motiva l'inammissibilità limitandosi a citare un precedente provvedimento del 2021, senza specificare ulteriormente, di talché non è dato comprendere su quale oggetto abbia deciso ed a quale principio o regola si sia attenuto. 3. L'ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio, con trasmissione degli atti al Tribunale di sorveglianza di Trieste per l'ulteriore corso. P.Q.M. Annulla senza rinvio il decreto impugnato e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di sorveglianza di Trieste per l'ulteriore corso. Così deciso l'8 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 30 maggio 2024.
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