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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm. sul ricorso numero di registro generale 3552 del 2024, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Fa. Bu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro il Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via (...); la Prefettura di Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sez. I, -OMISSIS- marzo 2024, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 30 maggio 2024 il Cons. Giulia Ferrari e uditi per le parti gli avvocati presenti, come da verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; 1. Il Collegio, chiamato a pronunciare sulla domanda cautelare di sospensiva dell'atto impugnato, ha deciso di definire immediatamente il giudizio nel merito, con sentenza resa in forma semplificata e ne ha dato comunicazione ai difensori presenti delle parti in causa. 2. È impugnata la sentenza del Tar Lazio, sez. I, -OMISSIS- marzo 2024, che ha dichiarato improcedibile il ricorso proposto per l'annullamento del provvedimento del Prefetto di Roma del 19 settembre 2022, che ha rigettato la domanda di emersione di lavoro irregolare presentata dal datore di lavoro, signor -OMISSIS- in favore del signor -OMISSIS-, cittadino -OMISSIS-. La decisione è stata adottata dopo che, con ordinanza -OMISSIS- dicembre 2023, il Tribunale aveva invitato le parti del giudizio ad interloquire, ai sensi dell'art. 73, comma 3, c.p.a., su un eventuale sopravvenuta carenza di interesse all'annullamento del provvedimento di rigetto oggetto del ricorso introduttivo, assegnando alle stesse il termine di trenta giorni per il deposito di memorie sul punto. Il ricorrente in primo grado non ha presentato memorie né ha espletato difese orali all'udienza pubblica del 13 febbraio 2024. Come chiarito nella citata ordinanza -OMISSIS- dicembre 2023, la sopravvenuta carenza di interesse è stata dichiarata per non avere il ricorrente impugnato il provvedimento del 7 aprile 2023, che, su ordine del giudice (ordinanza -OMISSIS- dicembre 2022), aveva riesaminato la posizione dello straniero. 3. L'appello è infondato e deve essere respinto, essendo stato il provvedimento del 7 aprile 2023 adottato a seguito di una rinnovata istruttoria e con argomentazioni nuove rispetto all'impugnato provvedimento del Prefetto di Roma del 19 settembre 2022. Va richiamata la distinzione tra atti "meramente confermativi" e atti "di conferma in senso proprio". La distinzione ha qui rilievo in quanto l'eventuale appartenenza del provvedimento del 7 aprile 2023 al novero degli atti "di conferma in senso proprio", permetterebbe di apprezzarne gli effetti autonomamente lesivi e, quindi, la sua soggezione all'impugnazione nei termini decadenziali e la sua capacità di determinare il consolidamento della statuizione non oggetto di nuovo gravame. Va rilevato che gli atti "meramente confermativi" sono quegli atti che, a differenza degli atti "di conferma", si connotano per la ritenuta insussistenza, da parte dell'amministrazione, di valide ragioni di riapertura del procedimento conclusosi con la precedente determinazione; mancando detta riapertura e la conseguente nuova ponderazione degli interessi coinvolti, nello schema tipico dei c.d. "provvedimenti di secondo grado", essi sono insuscettibili di autonoma impugnazione per carenza di un carattere autonomamente lesivo (Cons. Stato, sez. V, 4 ottobre 2021, n. 6606; id. 8 novembre 2019, n. 7655; id. 17 gennaio 2019, n. 432; id., sez. III, 27 dicembre 2018, n. 7230; id., sez. IV, 12 settembre 2018, n. 5341; id., sez. VI, 10 settembre 2018, n. 5301; id., sez. III, 8 giugno 2018, n. 3493; id., sez. V, 10 aprile 2018, n. 2172; id. 27 novembre 2017, n. 5547; id., sez. IV, 27 gennaio 2017, n. 357; id. 12 ottobre 2016, n. 4214; id. 29 febbraio 2016, n. 812). In pratica, l'atto meramente confermativo ricorre quando l'amministrazione si limita a dichiarare l'esistenza di un suo precedente provvedimento, senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione (Cons. Stato, sez. V, 22 giugno 2018, n. 3867). In altre parole, esso si connota per la sola funzione di illustrare all'interessato che la questione è stata già delibata con precedente espressione provvedimentale, di cui si opera un integrale richiamo. Tale condizione, quale sostanziale diniego di esercizio del riesame dell'affare, espressione di lata discrezionalità amministrativa, lo rende privo di spessore provvedimentale, da cui, ordinariamente, la intrinseca insuscettibilità di una sua impugnazione (Cons. Stato, sez. IV, 3 giugno 2021, n. 4237; id. 29 marzo 2021, n. 2622). Di contro, l'atto di conferma in senso proprio è quello adottato all'esito di una nuova istruttoria e di una rinnovata ponderazione degli interessi, e pertanto connotato anche da una nuova motivazione (Cons. Stato, sez. VI, 13 luglio 2020, n. 4525; id., sez. II, 24 giugno 2020, n. 4054; id., sez. VI, 30 giugno 2017, n. 3207; id., sez. IV, 12 ottobre 2016, n. 4214; id. 29 febbraio 2016, n. 812; id. 12 febbraio 2015, n. 758; id. 14 aprile 2014, n. 1805). In particolare, non può considerarsi "meramente confermativo" di un precedente provvedimento l'atto la cui adozione sia stata preceduta da un riesame della situazione che aveva condotto al primo provvedimento, giacché solo l'esperimento di un ulteriore adempimento istruttorio, mediante la rivalutazione degli interessi in gioco e un nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto che caratterizzano la fase considerata, può condurre a un atto "propriamente confermativo", in grado, come tale, di dare vita a un provvedimento diverso dal precedente e quindi suscettibile di autonoma impugnazione (Cons. Stato, sez. V, 7 maggio 2021, n. 3579). Sulla base dei sopra riferiti elementi, non può dubitarsi che il provvedimento del 7 aprile 2023 in esame - adottato a seguito di un riesame dell'intera vicenda contenziosa, andando anche oltre il remand ordinato dal giudice e con nuove argomentazioni - appartenga alla categoria degli atti "di conferma in senso proprio", che avrebbe dovuto essere tempestivamente impugnato dinanzi al Tar Lazio. Di tale impugnazione non viene dato atto neanche in appello, per confutare la decisione di improcedibilità pronunciata dal Tar Lazio. 4. La conferma della improcedibilità del ricorso di primo grado esonera il Collegio dall'esaminare gli ulteriori motivi di appello. 5. Per le ragioni sopra esposte l'appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza del Tar per il Lazio, sez. I, -OMISSIS- marzo 2024. 6. Le spese e gli onorari del giudizio sono compensate con il Ministero dell'interno; nulla per le spese nei confronti della Prefettura di Roma, non costituita in giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, respinge l'appello come in epigrafe proposto. Compensa le spese e gli onorari del giudizio con il Ministero dell'interno; nulla per le spese nei confronti della Prefettura di Roma. Ordine all'Amministrazione di eseguire la presente decisione. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Giovanni Pescatore - Presidente FF Nicola D'Angelo - Consigliere Giulia Ferrari - Consigliere, Estensore Luca Di Raimondo - Consigliere Angelo Roberto Cerroni - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9178 del 2023, proposto da Ma. Or. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Al. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Ba., Si. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Condominio Vi. Bo., rappresentato e difeso dagli avvocati Ri. Mo., An. In., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ro. De Mu. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Gi. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Torino, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 703/2023, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di (omissis), del Condominio Vi. Bo. e di Ro. De Mu. e altri come sopra individuati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024 il Cons. Marco Morgantini e uditi per le parti gli avvocati Ma. Al.; Ma. Si.; Ga. Gi.; In. An.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue; FATTO e DIRITTO 1. Con la sentenza appellata è stato dichiarato inammissibile il ricorso proposto per l'annullamento dell'ordinanza n. 77 in data 1 giugno 2022, assunta dal Segretario del Comune di (omissis), avente ad oggetto la sospensione dei lavori di ricostruzione di un muro di sostegno di area retrostante comprendente la linea ferroviaria (omissis) - (omissis) nonché un edificio residenziale. La motivazione della sentenza appellata fa riferimento alle seguenti circostanze. I ricorrenti sono proprietari di un compendio immobiliare nel Comune di (omissis), frazione (omissis), costituito da un antico edificio residenziale ("villa del Ve.") e un'area pertinenziale che si estende fino al litorale. Con provvedimento del 27 novembre 2019, il Comandante della Capitaneria di porto di Imperia autorizzava uno dei ricorrenti, ai sensi dell'art. 55 cod. nav. e fatto salvo il necessario titolo edilizio, ad effettuare i lavori di ricostruzione di un muro di protezione dal mare; secondo le risultanze catastali, il manufatto da erigere rientrava nel perimetro della proprietà privata. Previa acquisizione dell'autorizzazione paesaggistica, gli interessati presentavano al Comune di (omissis), in data 18 febbraio 2020, una s.c.i.a. per la ricostruzione del muro in cemento armato, qualificando l'intervento come manutenzione straordinaria. Con nota del 11 maggio 2022, considerato che i lavori non erano stati ancora realizzati e che lo stato dei luoghi poteva aver subito mutamenti nel periodo trascorso dal rilascio dell'autorizzazione, il Comandante della Capitaneria di porto sospendeva l'efficacia del titolo medesimo, diffidando gli interessati a non realizzare l'intervento. Con successiva nota del 16 maggio 2022, la stessa Autorità comunicava che, alla luce delle risultanze emerse in apposita riunione cui avevano partecipato i rappresentanti del Provveditorato alle opere pubbliche e dell'Agenzia del demanio, la diffida era stata revocata. I lavori sono stati avviati nello stesso mese di maggio del 2022. Tuttavia, essendo emersi elementi di incertezza in ordine alla titolarità dell'area di intervento (che, secondo alcuni esposti pervenuti all'Ente locale, sarebbe appartenuta al demanio marittimo), il Comune di (omissis) disponeva l'immediata sospensione dei lavori con ordinanza del 1 giugno 2022. In pari data, il Comune presentava alla Capitaneria di porto un'istanza urgente per la rideterminazione della dividente demaniale ex art. 32 cod. nav. Il Comandante della Capitaneria di porto riscontrava l'istanza con nota del 14 giugno 2022, significando che la questione inerente alla persistente attualità dell'autorizzazione ex art. 55 cod. nav. rilasciata ai ricorrenti era già stata affrontata e positivamente definita nella menzionata riunione cui il Comune non aveva ritenuto di partecipare. A questo punto, preso atto che i solleciti volti all'esercizio del potere di autotutela erano rimasti privi di riscontro, gli interessati hanno impugnato l'ordine di sospensione dei lavori con ricorso notificato e depositato in data 8 luglio 2022. In via preliminare il Tar ha fatto riferimento all'affermazione di parte ricorrente secondo cui, essendo decorso il termine di 45 giorni stabilito dall'art. 27, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001, l'impugnata ordinanza di sospensione dei lavori sarebbe divenuta inefficace nel corso del giudizio e, in conseguenza, dovrebbe essere dichiarata l'improcedibilità del ricorso. È evidente che, in questa prospettiva, l'invocata declaratoria di improcedibilità risulterebbe sostanzialmente satisfattiva della pretesa azionata in giudizio, poiché implica l'accertamento della sopravvenuta inefficacia del provvedimento che impedisce la ripresa dei lavori avviati dai ricorrenti. Il Tar ha condiviso, a tale riguardo, la stigmatizzazione operata dai primi intervenienti, non essendo plausibile che il ricorso, cui accedeva la domanda di tutela cautelare anche monocratica, fosse stato proposto avverso un provvedimento la cui efficacia, in tesi, sarebbe venuta meno appena otto giorni dopo: l'atto introduttivo del presente giudizio, infatti, è stato notificato e depositato in data 8 luglio 2022, laddove il preteso termine di efficacia del provvedimento impugnato sarebbe scaduto il successivo 16 luglio. In ogni caso, anche volendo ammettere che i pochi giorni residui di "paralisi del cantiere" fossero forieri di gravi pregiudizi per i ricorrenti, la tardiva segnalazione di una circostanza potenzialmente idonea a consentire la sollecita definizione del giudizio già in sede cautelare configura un abuso dello strumento processuale. Il Tar ha poi evidenziato l'infondatezza della tesi inerente alla sopravvenuta inefficacia dell'impugnata ordinanza. Nel caso in esame, infatti, l'Amministrazione ha disposto la sospensione dei lavori "fino al provvedimento di delimitazione ex articolo 32 cod. nav. richiesto, in via di urgenza, con nota prot. n. 23171 del 1 giugno 2022". La scadenza dell'efficacia dell'atto dipendeva, quindi, da un evento futuro e incerto nel quando, ma non nell'an, poiché il Comune di (omissis) non aveva ragioni per dubitare, anche in un'ottica di leale collaborazione tra pubbliche amministrazioni, che la propria istanza di rideterminazione della dividente demaniale avrebbe dato impulso ad un procedimento destinato a concludersi con un provvedimento espresso. Non risulta, d'altronde, che l'istanza predetta sia stata formalmente rigettata, atteso che la nota del 14 giugno 2022 della Capitaneria di porto si pronunciava in merito alla diversa questione concernente l'invarianza dei presupposti sottesi all'autorizzazione ex art. 55 cod. nav. già rilasciata ai ricorrenti. Alla luce di tali precisazioni, può farsi questione della legittimità di un termine diverso da quello previsto dalla fonte primaria, ma non dubitare della sua esistenza e, dunque, della perdurante efficacia del provvedimento impugnato, con conseguente insussistenza delle condizioni necessarie per dichiarare l'improcedibilità del ricorso. Il Tar ha fatto riferimento all'indagine relativa all'effettivo stato dei luoghi interessati dall'attività edificatoria, in funzione dell'accertamento incidentale della demanialità dell'area di intervento. Trattasi di accertamento sicuramente non eccedente l'ambito della competenza del giudice amministrativo, poiché l'ipotizzato carattere demaniale del bene costituisce presupposto del provvedimento impugnato. Il Tar ha ricordato che ai sensi dell'art. 822, primo comma, cod. civ., il lido del mare e la spiaggia "appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico". I beni che assumono i connotati naturali di "lido del mare" o di "spiaggia" sono acquisiti al demanio marittimo necessario, indipendentemente da un atto costitutivo della pubblica amministrazione. Per univoco orientamento giurisprudenziale, il lido del mare è la porzione di riva a contatto diretto con le acque del mare da cui resta normalmente coperta per le ordinarie mareggiate, mentre la spiaggia comprende i tratti di terra prossimi al mare che siano sottoposti alle mareggiate straordinarie (cfr., ex plurimis, Cass. civ., sez. II, 22 ottobre 2019, n. 26877). Rientra nel demanio marittimo necessario anche l'arenile, vale a dire quel tratto di terraferma relitto dal naturale ritirarsi delle acque che resti idoneo ai pubblici usi del mare (Cass. civ., sez. II, 16 ottobre 2020, n. 22567). Il verificatore pur non avendo risposto espressamente al quesito che chiedeva di accertare se il muro da erigere insista, in tutto o in parte, sul lido del mare o sulla spiaggia, ha fornito informazioni che consentono di ravvisare gli elementi costitutivi della demanialità con riguardo al terreno interessato dall'intervento edilizio, rimanendo irrilevante la sua iscrizione in catasto come proprietà privata. Riferisce innanzitutto il verificatore che il muro dovrebbe sorgere sull'appezzamento di terreno identificato a catasto al foglio (omissis), mappali (omissis), "posto fronte mare al di sotto della linea ferroviaria" (pag. 6). Le fotografie interfogliate nella relazione rivelano che il terreno in questione è privo di scogli e coperto da ciottoli fino al terrapieno posto a monte; si nota "la presenza sulla linea di battigia di blocchi di cemento e numerosi tondini di ferro installati lungo una linea che rappresenterebbe il tracciato dove far sorgere il muro" (pag. 8). Tale tratto di litorale "è caratterizzato da fenomeni di mareggiate particolarmente intense e saltuarie" (pag. 15), come dimostrato anche dall'erosione del terrapieno predetto cagionata dal "frangersi del moto ondoso durante le mareggiate" (pag. 28). Infine, per quanto concerne l'esatta ubicazione del muro, il verificatore precisa che esso si collocherebbe a circa 11 metri dalla linea di battigia nella parte più distante e ad un paio di metri in quella più prossima al mare (pag. 28). Tali elementi dimostrano che la porzione di riva sulla quale dovrebbe sorgere il muro, restando coperta nella sua interezza da mareggiate non eccezionali, non consente altro uso che non sia quello marittimo e, in conseguenza, ha qualità intrinseca di "lido del mare" o di "spiaggia", comunque riconducibile alle categorie indicate dall'art. 822, primo comma, cod. civ. Anzi, considerando che le operazioni peritali sono state effettuate in condizioni di mare calmo, vento assente e bassa marea (pag. 28), è verosimile che la parte di muro più vicina al mare sorga direttamente sulla battigia, ossia sulla fascia costiera interessata dal movimento ordinario di flusso e riflusso delle onde, come dimostra chiaramente anche la fotografia inserita alla pag. 8 della relazione peritale. La sicura qualificazione dell'area come bene appartenente al demanio marittimo necessario rende irrilevanti le ulteriori questioni afferenti la sua potenziale attitudine a realizzare i pubblici usi del mare. Discende da tali considerazioni la diagnosi di fondatezza dell'eccezione di inammissibilità del ricorso espressamente sollevata dai primi intervenienti (ma insita anche nelle argomentazioni difensive delle altre parti resistenti). In assenza di concessione, infatti, i ricorrenti non avevano alcun titolo di legittimazione per realizzare l'opera su un bene del demanio marittimo, sicché la s.c.i.a. edilizia, di per sé inidonea ad esplicare effetti sul piano del governo dei diritti demaniali, deve considerarsi tamquam non esset. Ne consegue che, non disponendo del bene della vita, i ricorrenti non possono vantare un interesse astrattamente meritevole di tutela o, più precisamente, un interesse legittimo oppositivo nei confronti del provvedimento adottato dal Comune di (omissis) che, inibendo la prosecuzione dei lavori (a prescindere dalla natura del potere concretamente esercitato), non determina alcun effetto restrittivo della sfera giuridica dei soggetti privi dello ius aedificandi. 2. Si sono costituiti in giudizio per resistere all'appello il Comune di (omissis), Ro. De Mu. ed altri e il Condominio "Vi. Bo.". 3. Parte appellante fa presente che nel corso del giudizio di primo grado i ricorrenti odierni appellanti hanno chiesto che il ricorso venisse dichiarato improcedibile per sopravvenuta inefficacia dell'ordine di sospensione lavori, essendo decorso il termine di 45 giorni stabilito dall'art. 27, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001. Contesta la tesi del Tar secondo cui, stante la perdurante efficacia del provvedimento impugnato di sospensione lavori, difetterebbero le condizioni necessarie per dichiarare l'improcedibilità del ricorso. Ritiene che: - la dichiarazione di improcedibilità del ricorso avverso l'ordine di sospensione non sia in alcun modo satisfattiva delle ragioni dei ricorrenti in quanto se è vero che ciò avrebbe consentito di riprendere i lavori è altrettanto vero che gli stessi sarebbero rimasti pur sempre esposti alla vigilanza del Comune e alla emissione di atti repressivi di eventuali illeciti; - la proposizione del ricorso in questione non sarebbe abuso del processo, ma invece normale esercizio del diritto di difesa al fine di ottenere l'annullamento nel merito dell'ordinanza di sospensione lavori o quantomeno la dichiarazione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta inefficacia dell'atto per decorso del termine stabilito dalla legge anche in funzione della proponenda azione risarcitoria dei danni causati dall'arbitraria sospensione lavori. Ritiene che il giudice di prime cure abbia ignorato che la stessa ordinanza ha esplicitamente riconosciuto la propria natura cautelare e ha richiamato le disposizioni del D.P.R. n. 380/2001. Sulla base di ciò non potrebbero sussistere dubbi sull'applicabilità nel caso di specie dell'art. 27 del D.P.R. n. 380/2001 (il cui contenuto è trasfuso anche nella Legge Regionale sull'edilizia n. 16 del 2008 all'art. 40) ed in particolare del termine di efficacia di 45 giorni per la sospensione lavori. Il provvedimento del Comune di (omissis) non sarebbe semplicemente illegittimo per violazione delle norme che stabiliscono il termine di efficacia dell'ordinanza di sospensione, ma diverrebbe addirittura nullo per difetto assoluto di attribuzione. Parte appellante ribadisce pertanto l'improcedibilità del ricorso originario per sopravvenuta inefficacia del provvedimento di sospensione lavori atteso che nel termine perentorio di 45 giorni - ma neppure successivamente - non è stato adottato alcun provvedimento definitivo comunale. 3 - bis. L'appello è infondato e pertanto il collegio può prescindere dall'esame delle eccezioni preliminari. Le censure sono infondate. Infatti, l'Amministrazione ha disposto la sospensione dei lavori "fino al provvedimento di delimitazione ex articolo 32 cod. nav. richiesto, in via di urgenza, con nota prot. n. 23171 del 1 giugno 2022". La scadenza dell'efficacia dell'atto dipendeva, quindi, da un evento futuro e incerto nel quando, ma non nell'an, poiché il Comune di (omissis) non aveva ragioni per dubitare, anche in un'ottica di leale collaborazione tra pubbliche amministrazioni, che la propria istanza di rideterminazione della dividente demaniale avrebbe dato impulso ad un procedimento destinato a concludersi con un provvedimento espresso. Non risulta, d'altronde, che l'istanza predetta sia stata formalmente rigettata, atteso che la nota del 14 giugno 2022 della Capitaneria di porto si pronunciava in merito alla diversa questione concernente l'invarianza dei presupposti sottesi all'autorizzazione ex art. 55 cod. nav. già rilasciata ai ricorrenti. Alla luce di tali precisazioni, come affermato dal Tar, può farsi questione della legittimità di un termine diverso (ossia fino alla data di adozione del provvedimento di delimitazione) da quello previsto dalla fonte primaria, ma non dubitare della sua esistenza e, dunque, della perdurante efficacia del provvedimento impugnato, con conseguente insussistenza delle condizioni necessarie per dichiarare l'improcedibilità del ricorso o la cessata materia del contendere. 4. Parte appellante lamenta poi l'illegittimità dell'accertamento incidentale sulla proprietà contenuto nella sentenza appellata. Infatti la natura stessa dell'ordinanza di sospensione lavori non presuppone alcun accertamento definitivo sulla titolarità dell'area oggetto di intervento edilizio impedendo che si possa instaurare un rapporto di pregiudizialità tra esame del ricorso giurisdizionale attinente la legittimità del provvedimento e l'accertamento in via incidentale del diritto di proprietà sul terreno in questione. L'impossibilità di un accertamento incidentale sarebbe reso ancor più evidente dal fatto che parte ricorrente all'udienza del 24 maggio 2023 ha concentrato la subordinata azione di annullamento insistendo solo sulla violazione del termine finale della sospensione lavori legato nel suo termine finale ad un evento incertus an et quando. 4 - bis. Le censure sono infondate. Il Tar ha fatto riferimento all'indagine relativa all'effettivo stato dei luoghi interessati dall'attività edificatoria, in funzione dell'accertamento incidentale della demanialità dell'area di intervento. Trattasi di accertamento sicuramente non eccedente l'ambito della giurisdizione del giudice amministrativo, poiché l'ipotizzato carattere demaniale del bene costituisce presupposto del provvedimento impugnato e non questione principale. Infatti sul punto l'ordinanza impugnata in primo grado fa specifico riferimento alla descrizione dei luoghi e alla conseguente possibilità che le opere sono state previste ed eseguite sul demanio marittimo. Nel caso di specie oggetto principale della contestazione è proprio l'ordine di sospensione dei lavori e la connessa sopra richiamata motivazione. L'accertamento della proprietà demaniale costituisce questione incidentale scrutinabile dal giudice amministrativo ai sensi del primo comma dell'art. 8 del cod. del proc. amm. secondo cui il giudice amministrativo nelle materie in cui non ha giurisdizione esclusiva conosce, senza efficacia di giudicato, di tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti, la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale (così Cons. di Stato, Sez. VII, 23 settembre 2022, n. 8225). 5. Parte appellante ritiene che la sentenza appellata sia illegittima perché il giudice di prime cure si sarebbe discostato dalle determinazioni in materia di confine demaniale delle Amministrazioni competenti. Fa riferimento alla circostanza che: - la Capitaneria di Porto, dopo aver esaminato la questione con nota del 16 maggio 2022 prot. n. 9424 aveva esplicitamente consentito la prosecuzione dei lavori; - l'Agenzia del Demanio ha avuto modo di chiarire che il muro in corso di realizzazione, una volta completato, avrebbe rappresentato "il confine demaniale aggiornato". Il giudice di prime cure, pur in presenza di queste valutazioni delle competenti Amministrazioni sul profilo della demanialità, se ne sarebbe inopinatamente discostato e avrebbe provveduto in autonomia ad individuare di fatto un nuovo confine tra proprietà privata e demanio marittimo, quando la legge assegna tale compito all'Amministrazione nella figura del Capitaneria di Porto competente o al giudice ordinario. Secondo parte appellante la controversia in esame riguarderebbe un'ordinanza di sospensione lavori che non comporta alcun accertamento sulla regolarità o meno dell'opera edilizia con conseguente impossibilità da parte del giudice di prime cure di esaminare la legittimità ovvero l'esistenza della SCIA edilizia che ha assentito il muro di protezione dagli eventi meteo-marini. 5 - bis. Le censure sono infondate. La sentenza appellata è congruamente motivata sul punto anche con riferimento agli esiti della verificazione espletata nel giudizio di primo grado. Infatti il Tar ha premesso che ai sensi dell'art. 822, primo comma, cod. civ., il lido del mare e la spiaggia "appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico". I beni che assumono i connotati naturali di "lido del mare" o di "spiaggia" sono acquisiti al demanio marittimo necessario, indipendentemente da un atto costitutivo della pubblica amministrazione. Per univoco orientamento giurisprudenziale, il lido del mare è la porzione di riva a contatto diretto con le acque del mare da cui resta normalmente coperta per le ordinarie mareggiate, mentre la spiaggia comprende i tratti di terra prossimi al mare che siano sottoposti alle mareggiate straordinarie (cfr., ex plurimis, Cass. civ., sez. II, 22 ottobre 2019, n. 26877). Rientra nel demanio marittimo necessario anche l'arenile, vale a dire quel tratto di terraferma relitto dal naturale ritirarsi delle acque che resti idoneo ai pubblici usi del mare (Cass. civ., sez. II, 16 ottobre 2020, n. 22567). Il verificatore pur non avendo risposto espressamente al quesito che chiedeva di accertare se il muro da erigere insista, in tutto o in parte, sul lido del mare o sulla spiaggia, ha fornito informazioni che consentono di ravvisare gli elementi costitutivi della demanialità con riguardo al terreno interessato dall'intervento edilizio, rimanendo irrilevante la sua iscrizione in catasto come proprietà privata. Riferisce innanzitutto il verificatore che il muro dovrebbe sorgere sull'appezzamento di terreno identificato a catasto al foglio (omissis), mappali (omissis), "posto fronte mare al di sotto della linea ferroviaria" (pag. 6). Le fotografie interfogliate nella relazione rivelano che il terreno in questione è privo di scogli e coperto da ciottoli fino al terrapieno posto a monte; si nota "la presenza sulla linea di battigia di blocchi di cemento e numerosi tondini di ferro installati lungo una linea che rappresenterebbe il tracciato dove far sorgere il muro" (pag. 8). Tale tratto di litorale "è caratterizzato da fenomeni di mareggiate particolarmente intense e saltuarie" (pag. 15), come dimostrato anche dall'erosione del terrapieno predetto cagionata dal "frangersi del moto ondoso durante le mareggiate" (pag. 28). Infine, per quanto concerne l'esatta ubicazione del muro, il verificatore precisa che esso si collocherebbe a circa 11 metri dalla linea di battigia nella parte più distante e ad un paio di metri in quella più prossima al mare (pag. 28). Tali elementi dimostrano che la porzione di riva sulla quale dovrebbe sorgere il muro, restando coperta nella sua interezza da mareggiate non eccezionali, non consente altro uso che non sia quello marittimo e, in conseguenza, ha qualità intrinseca di "lido del mare" o di "spiaggia", comunque riconducibile alle categorie indicate dall'art. 822, primo comma, cod. civ. Anzi, considerando che le operazioni peritali sono state effettuate in condizioni di mare calmo, vento assente e bassa marea (pag. 28), è verosimile che la parte di muro più vicina al mare sorga direttamente sulla battigia, ossia sulla fascia costiera interessata dal movimento ordinario di flusso e riflusso delle onde, come dimostra chiaramente anche la fotografia inserita alla pag. 8 della relazione peritale. La sicura qualificazione dell'area come bene appartenente al demanio marittimo necessario rende irrilevanti le ulteriori questioni afferenti la sua potenziale attitudine a realizzare i pubblici usi del mare. Discende da tali considerazioni la diagnosi di fondatezza dell'eccezione di inammissibilità del ricorso espressamente sollevata dai primi intervenienti (ma insita anche nelle argomentazioni difensive delle altre parti resistenti). In assenza di concessione, infatti, i ricorrenti non avevano alcun titolo di legittimazione per realizzare l'opera su un bene del demanio marittimo, sicché la s.c.i.a. edilizia, di per sé inidonea ad esplicare effetti sul piano del governo dei diritti demaniali, deve considerarsi tamquam non esset. Ne consegue che, non disponendo del bene della vita, i ricorrenti non possono vantare un interesse astrattamente meritevole di tutela o, più precisamente, un interesse legittimo oppositivo nei confronti del provvedimento adottato dal Comune di (omissis) che, inibendo la prosecuzione dei lavori (a prescindere dalla natura del potere concretamente esercitato), non determina alcun effetto restrittivo della sfera giuridica dei soggetti privi dello ius aedificandi. Contrariamente a quanto sostenuto da parte appellante, l'accertato difetto di legittimazione ad eseguire le opere comporta necessariamente la non regolarità delle opere edilizie di cui alla Scia. In conclusione l'appello deve essere respinto. La condanna alle spese dell'appello segue la soccombenza con liquidazione nella misura di: - Euro 2.000 a favore del Comune di (omissis); - Euro 2.000 per i seguenti intervenienti costituitisi in appello con unico atto: Ro. De Mu.ed altri; - Euro 2.000 a favore del Condominio "Vi. Bo.". P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna parte appellante al pagamento delle spese dell'appello nella misura di: Euro 2.000/00 (Duemila/00) a favore del Comune di (omissis); Euro 2.000/00 (Duemila/00) a favore dei seguenti intervenienti costituitisi in appello con unico atto: Ro. De Mu. ed altri; Euro 2.000/00 (Duemila/00) a favore del Condominio "Vi. Bo.". Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere, Estensore Laura Marzano - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 10021 del 2019, proposto dalla signora St. Mi., rappresentata e difesa dall'avvocato An. Vi., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale (...); contro Comune di Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pi. Lu. Pa. e poi dall'avvocato Ro. Mu., domiciliati in Roma, via (...), con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Signor Ce. Ro., non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda n. 9625/2019, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Roma Capitale; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 6 marzo 2024 il Cons. Raffaello Sestini; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - La vicenda contenziosa in esame prendeva avvio quando Roma Capitale approvava la graduatoria finalizzata all'assegnazione di 300 licenze per il servizio di trasporto pubblico non di linea, che vedeva attribuito alla sig.ra Mi. St. il punteggio di 33,46 con collocazione al n. 323 della graduatoria. 2 - La sig.ra Mi. proponeva ricorso dinanzi al TAR del Lazio, lamentando l'asserito mancato riconoscimento, da parte della Commissione giudicatrice, di 8 punti per il possesso del titolo di studio di scuola secondaria superiore, pur di durata triennale, del suo percorso scolastico di scuola media secondaria (diploma di qualifica professionale di addetto alla contabilità conseguito presso l'Istituto professionale per il commercio Lu. Ei. di Roma). 3 - Successivamente, in conseguenza dell'aggiornamento della originaria graduatoria in base alle ulteriori verifiche compiute dall'ufficio sui titoli dei concorrenti, la sig.ra Mi. era collocata al n. 319 della graduatoria, e la nuova delibera non veniva impugnata né con motivi aggiunti né con ricorso autonomo. 4 - Si costituivano in giudizio il Comune di Roma, ora Roma Capitale, nonché il sig. Fa. Pa., che contestava la qualifica di controinteressato chiedendo ed ottenendo l'estromissione dal giudizio. 5 - Nel contempo, con deliberazione n. 584 del 21.11.2006, l'Amministrazione comunale aumentava di 1000 unità il numero delle licenze da rilasciare. Conseguentemente, con determinazione comunale n. 552 del 7.3.2007, veniva rilasciata la licenza n. 6100 alla sig.ra Mi., che presentava atto di rinunzia al ricorso. 6 - Ciononostante, con la sentenza appellata il TAR respingeva il ricorso della sig.ra Mi., che proponeva il presente appello argomentando ampiamente la spettanza degli 8 punti ai fini della modifica della graduatoria in suo favore e del conseguente ottenimento della licenza. 7 - Roma capitale si costituiva in giudizio e con l'appello incidentale lamentava la erroneità della sentenza in quanto, anziché rigettare il ricorso nel merito, lo avrebbe dovuto dichiarare inammissibile e improcedibile. Le parti procedevano poi ad un ampio scambio di memorie. 8 - Successivamente, con determinazione dirigenziale n. 2008 in data 27.4.2010, l'Amministrazione Capitolina revocava la concessa licenza, con atto impugnato dalla sig.ra Mi. con separato ricorso dinanzi al TAR Lazio, che sospendeva la revoca. Il ricorso veniva poi dichiarato perento. 9 - Con l'appello in epigrafe la signora Mi. deduce i seguenti motivi d'impugnazione: "falsa o erronea interpretazione o applicazione di legge ed in particolare dell'art. 191 del d.lgs n. 297/1994; errore in judicando". Nel respingere il ricorso proposto il TAR avrebbe erroneamente ritenuto che il diploma triennale di qualifica professionale conseguito dalla ricorrente non potesse essere considerato "diploma di Istruzione Secondaria di secondo grado" ritenendo erroneamente una sua "differenza ontologica" dai titoli rilasciati dopo un percorso scolastico di durata quinquennale nonostante la difesa di parte ricorrente avesse prodotto, allegandolo al ricorso, il parere di contrario avviso reso dal Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca - Dipartimento per l'istruzione, prot. n. 3764 del 20 aprile 2006 e nonostante che su tale questione si fosse pronunciata la Corte di Cassazione con la sentenza 24460/16 del 30.11.2016, conforme alla sentenza n 26281/09 a Sezioni Unite, ritenendo "che gli istituti e scuole di istruzione secondaria superiore sono il liceo-ginnasio classico, il liceo scientifico, gli istituti tecnici, il liceo artistico, l'istituto magistrale, la scuola magistrale, gli istituti professionali e gli istituti d'arte." Inoltre nella fattispecie in esame il Bando di Concorso prevedeva l'assegnazione di 8 punti in base al possesso del "Diploma di Istruzione Secondaria Superiore", nulla dicendo in ordine alla durata del relativo corso di studi. Infine l'art 191 D.lgs n. 297/1994 stabilisce che l'istruzione secondaria superiore comprende tutti i tipi di istituti e scuole immediatamente successivi alla scuola media ed ai quali si accede con la scuola media. 10 - Pertanto la signora Mi. chiede la riforma della sentenza del TAR del Lazio con il conseguente accertamento della nullità o annullabilità della determinazione del dirigente della U.O. Trasporto pubblico locale -Servizio trasporto pubblico non di linea n 2221 del 21.11.2006 del Dipartimento VII - Politiche della mobilità del Comune di Roma, nella parte in cui alla ricorrente veniva attribuito il punteggio di punti 33,46 con collocazione della stessa al n. 323 della graduatoria, non riconoscendole gli 8 punti relativi al titolo di studio posseduto quale diploma di istruzione secondaria di secondo grado, nonché di accertare il diritto e l'interesse della ricorrente a vedersi attribuiti gli 8 punti previsti dal bando di concorso pubblico con la conseguente modifica della graduatoria finalizzata all'assegnazione di n. 300 licenze per il servizio di trasporto pubblico non di linea. 11 - Il Comune di Roma, costituitosi in giudizio, argomenta le ragioni per le quali ritiene l'appello inammissibile ed infondato: il TAR avrebbe del tutto correttamente statuito in ordine alla mancata attribuzione alla odierna appellante del punteggio aggiuntivo previsto per il possesso del titolo di scuola media superiore in quanto la giurisprudenza amministrativa è ferma nel ribadire la sostanziale differenza ontologica tra i diplomi rilasciati dopo un corso triennale di studi con quelli rilasciati dopo un percorso scolastico di durata quinquennale che, in quanto tali, costituiscono il diploma di maturità di secondo grado (Cons. di Stato, sez. VI, n. 3992/2005; sez. IV n. 3383/2011) di modo che solo la testuale dizione del bando avrebbe potuto equiparare, per giustificate finalità della pubblica amministrazione, il possesso di un titolo di scuola media superiore con un percorso scolastico triennale (Cons. St., sez. III, n. 6034/2014). 12 - Lo stesso Comune propone inoltre appello incidentale per la parziale riforma dell'appellata sentenza n. 9625/2019, deducendo i seguenti motivi: "perplessità e insufficienza della motivazione; travisamento della eccezione di improcedibilità del ricorso; erronea valutazione e travisamento dei fatti; mancata pronuncia". Infatti il TAR, dopo aver affermato che la mancata contestazione giurisdizionale della determinazione dirigenziale n. 2446/2006 costituiva motivo di improcedibilità del ricorso e rilevata la avvenuta rinuncia al ricorso, non si sarebbe peraltro pronunciato sulla sua improcedibilità, omettendo altresì di pronunciarsi sul fatto che l'oggetto della controversia era stato superato del tutto dagli eventi successivi (rilascio della licenza, successiva revoca, restituzione della licenza alla sig.ra Mi. a seguito di ordinanza cautelare del TAR del 2010, pronunciata nell'ambito del ricorso n. 5055/2010) risultando confermata, anche sotto tale profilo, l'improcedibilità del ricorso. 13 - L'appello incidentale è fondato. Infatti, così come dedotto dal Comune, il TAR, pur dopo aver correttamente rilevato la mancata impugnativa della citata determinazione n. 2446 del 21.12.2006, non ne ha tratto le necessarie conseguenze, né ha considerato la avvenuta rinuncia al ricorso. Il TAR neppure ha considerato che dopo l'introduzione del ricorso di primo grado sono accaduti fatti nuovi, che hanno reso lo stesso improcedibile prima ancora che, come statuito dalla stessa sentenza, infondato nel merito. In particolare, successivamente alla proposizione dell'impugnativa, in data 21.12.2006 il Comune di Roma - U.O. TPL sostituiva la precedente determinazione dirigenziale con quella n. 2446, in conseguenza dell'aggiornamento della originaria graduatoria in base alle ulteriori verifiche compiute dall'ufficio sui titoli dei concorrenti. Tale nuova determinazione, che collocava l'appellante al 319 posto in graduatoria, antecedente rispetto al precedente n. 323 ma ancora in posizione non utile, non veniva impugnata. Con deliberazione GC n. 584 del 2.11.2006, veniva poi ampliato l'organico di autovetture di servizio pubblico non di linea (TAXI) con ulteriori 1000 licenze e, quindi, la sig.ra Mi. risultava collocata in posizione utile. Per tali ragioni, con determinazione dirigenziale n. 552 del 7.03.2007 le veniva conferita licenza taxi n. 6100 e l'interessata notificava, in data 17.04.2007, atto di rinuncia al ricorso. Vero è che il provvedimento di rilascio della licenza n. 6100 veniva poi revocato con determinazione dirigenziale n. 208 del 27.04.2010, ma tale revoca era impugnata dalla sig.ra Mi. con separato ricorso dinanzi al TAR del Lazio, che accoglieva la domanda cautelare con ordinanza n. 2792/2010 con conseguente provvisoria restituzione del titolo. 14 - L'accoglimento dell'appello incidentale nei termini che precedono determina la necessità di dichiarare improcedibile il ricorso di primo grado, prima ancora di rigettarlo nel merito come statuito dell'appellata senrenza del TAR, e ne preclude in ogni caso l'accoglimento, dovendosi di conseguenza respingere l'appello principale. 15 - La peculiarità e complessità della fattispecie contenziosa giustifica, infine, la compensazione fra le parti delle spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, respinge l'appello principale; accoglie l'appello incidentale proposto dal Comune intimato e, per l'effetto, in riforma dell'appellata sentenza dichiara improcedibile il ricorso di primo grado. Compensa fra le parti le spese del presente grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2024, tenutasi da remoto, con l'intervento dei magistrati: Fabio Franconiero - Presidente FF Giordano Lamberti - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere, Estensore Giovanni Sabbato - Consigliere Davide Ponte - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2357 del 2024, proposto da: Co. Consorzio Ge. In., in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Ce., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; contro Comune di Caserta, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Ma., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; nei confronti Sa. - Se. per l'a. S.r.l., in liquidazione, non costituita in giudizio; per l'annullamento della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione sesta, n. 1272/2024. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Caserta; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli artt. 105, comma 2 e 87, comma 3, cod. proc. amm.; Relatore il Cons. Laura Marzano; Uditi, nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024, l'avvocato Pa. Ce. e l'avvocato Ma. Me. in sostituzione dell'avvocato Pa. Ma.; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Co., Consorzio Ge. In. in liquidazione (per brevità "Consorzio"), ha impugnato la sentenza n. 1272 del 26 febbraio 2024 con cui il Tar Campania, sezione VIII, ha dichiarato il difetto di giurisdizione sul ricorso, integrato da motivi aggiunti, proposto per l'annullamento dell'ordinanza del comune di Caserta n. 54542 del 3 maggio 2023 di sgombero e rilascio del compendio immobiliare denominato "parcheggio interrato di Piazza (omissis)" ubicato in Caserta, al Viale (omissis) e della nota n. 61752 del 19 maggio 2023 a firma del dirigente ing. Lu. Vi.. Il Comune appellato si è costituito nel presente grado di giudizio eccependo l'inammissibilità dell'appello. Alla camera di consiglio del 28 maggio 2024, sentiti i difensori presenti, la causa è stata trattenuta in decisione. Devono essere tratteggiati i fatti di causa. 2. Il Consorzio, costituito nel 1990, a seguito di procedura ad evidenza pubblica si è aggiudicato il servizio di progettazione, costruzione e successiva gestione - in regime di concessione - dell'infrastruttura di parcheggio sotterraneo attualmente ubicata sotto il piazzale del museo Reggia di Caserta. Il comune di Caserta, nella qualità di ente procedente, avendo adottato i provvedimenti volti a regolare i rapporti e le obbligazioni tra le parti, affermava di avere disponibilità dei luoghi e di essere titolare del potere di definirne la destinazione e l'utilizzo. L'amministrazione comunale, infatti, promuoveva e ratificava ogni iniziativa relativa all'utilizzo e alla destinazione ad uso pubblico del bene. In virtù di tanto, la società realizzava l'infrastruttura e ne avviava la gestione, proseguita negli anni fino ad oggi. Nello specifico, la vicenda ha avuto il seguente svolgimento. Con delibere CIPE del 3 agosto 1988 e 29 marzo 1990 venivano stanziati i fondi relativi alla realizzazione dei progetti per due parcheggi sotterranei da ubicare in via (omissis) ed in piazza (omissis) a Caserta. Con successiva delibera del Consiglio comunale n. 106 del 18 ottobre 1990, integrata con delibera di Giunta n. 807 del 21 giugno 1991, l'amministrazione decideva di unificare i due parcheggi e deliberava di affidare la realizzazione del Piano parcheggi e viabilità connessa all'Associazione te. d'I. costituita dalla società It. spa (subentrata all'I. spa, entrambi soggetti interamente pubblici) e dal Consorzio CO.: in esecuzione delle menzionate delibere il comune di Caserta, con atto notarile n. 76636 del 10 ottobre 1991, stipulava apposita convenzione con la suddetta ATI. Con convenzione n. 197/90, stipulata il 13 marzo 1992 tra il comune di Caserta e l'Agenzia per la promozione dello sviluppo del mezzogiorno, veniva finanziato il progetto per la realizzazione del parcheggio sotterraneo sito in Caserta, alla piazza (omissis). In particolare, in tale atto il comune di Caserta assicurava, sotto la propria responsabilità, che "per l'esecuzione dell'opera come risultante dal progetto esecutivo non sussistevano impedimenti di sorta per l'espletamento di tutti gli adempimenti di legge e regolamentari per consensi, autorizzazioni, permessi, pareri di qualunque Autorità, di Enti o di terzi comunque in causa per le opere di che trattasi". Nella stessa convenzione era previsto, all'art. 2, che "il Concessionario provvederà in primo luogo alla realizzazione ed alla successiva gestione del parcheggio ubicato in Piazza (omissis), quale risulta dall'unificazione dei precedenti progetti di due distinti parcheggi in Piazza (omissis) e Via (omissis) ai sensi della predetta delibera consiliare del 18 ottobre 1990, n. 106". Ancora prima del completamento delle opere il comune aveva richiesto al Consorzio di avviare le attività di gestione del parcheggio ed aveva riconosciuto in favore di quest'ultimo il diritto al rimborso di alcuni oneri conseguenti alla gestione in perdita dello stesso. Nell'attesa della sottoscrizione degli atti aggiuntivi alla convenzione di concessione, su espressa richiesta del comune, nel 2001, veniva avviata la gestione provvisoria del parcheggio. L'amministrazione comunale, tuttavia, non provvedeva a stipulare gli atti aggiuntivi previsti dall'atto di concessione, né si adoperava per costituire il diritto di superficie previsto in convenzione, talché il Consorzio - viste le difficoltà finanziarie causate dai ritardati pagamenti da parte del comune - era costretto a sospendere la gestione del parcheggio. Il comune di Caserta richiedeva però immediatamente la riattivazione del servizio, ritenendo "assolutamente necessario che tutte le attività connesse alla gestione del parcheggio non vengano interrotte". In particolare, con nota del 28 aprile 2008, il comune rappresentava al consorzio appellante che "data la complessità del rapporto e le notevoli implicazioni che la gestione del parcheggio comporta nel sistema della mobilità cittadina appare non opportuno prevedere la sua chiusura". A seguito di numerosi solleciti volti a compulsare la costituzione del diritto di superficie, con Protocollo di intesa del 21 luglio 2009, il comune di Caserta e il Demanio si impegnavano ad effettuare una permuta di edifici ed aree delle loro rispettive proprietà : tra i beni oggetto dell'accordo figuravano anche cui l'area denominata "campetti antistanti la Reggia" e il "sottostante parcheggio interrato a due piani", che venivano inclusi tra i beni demaniali da trasferire all'ente locale. Solo in quel momento emergeva, dunque, che il comune di Caserta, fin dagli anni '90, aveva compiuto atti di disposizione di un suolo di proprietà del demanio statale e che, in assenza di un trasferimento da parte dello Stato, il comune mai avrebbe potuto legittimamente costituire il diritto di superficie in favore del concessionario, né adottare una serie di provvedimenti relativi alla definizione dei rapporti con il concessionario. In data 5 giugno 2012, il comune di Caserta trasmetteva al concessionario una nota con cui l'Agenzia del demanio aveva richiesto al comune "la riconsegna del menzionato complesso demaniale libero di persone e cose". Con successivo provvedimento prot. n. 61463 del 31 luglio 2012, il comune di Caserta disponeva "di annullare l'atto di concessione della gestione del parcheggio; di dichiarare che tale atto è comunque nullo per le ragioni sopra indicate; di dichiarare risolta e comunque priva di validità e di effetti, per le ragioni di cui in premessa, la convenzione del 1991; in ogni caso, per le ragioni indicate nel paragrafo sugli inadempimenti e sulle violazioni del Consorzio Co., di dichiarare la decadenza della concessione di gestione e della convenzione accessiva; di ordinare al Consorzio Co. di liberare il parcheggio sotterraneo di piazza (omissis) e di restituirlo al Comune di Caserta entro 60 giorni dalla notifica e comunicazione del presente provvedimento; di riservarsi ogni determinazione in ordine ai rapporti patrimoniali con il Consorzio Co. all'esito di una più approfondita verifica anche in ordine allo stato del parcheggio al momento della sua restituzione". In sintesi, l'Agenzia del demanio, in qualità di proprietaria dei suoli, chiedeva la riconsegna dell'immobile; viceversa, il comune ne chiedeva la restituzione in proprio favore. Di fatto, nella vigenza del rapporto concessorio con il comune di Caserta e stante la confusione circa la proprietà del bene alla luce del Protocollo di intesa del 2009, il concessionario non avrebbe potuto retrocedere l'infrastruttura ad un ente terzo, pena la violazione degli obblighi contrattualmente assunti con la convenzione stipulata nel 1991. La situazione restava invariata sino al 2017, allorquando - nella pendenza di alcuni giudizi - l'Agenzia del demanio dava parere favorevole al trasferimento della proprietà in favore del comune di Caserta, che dava atto dell'acquisizione del bene al proprio patrimonio con delibera consiliare del 12 luglio 2017, n. 71. Poco dopo, con delibera del Consiglio comunale n. 24 del 17 aprile 2018, il comune di Caserta approvava il "Piano delle Alienazioni e delle Valorizzazioni del patrimonio immobiliare disponibile non strumentali all'esercizio delle funzioni istituzionali", inserendo tra gli immobili suscettibili di alienazione l'infrastruttura adibita a parcheggio ed oggetto del provvedimento per cui è causa. La pendenza del contezioso in ordine alla legittimità dell'annullamento in autotutela dell'atto di concessione - conclusosi solo nell'anno 2021 - e l'incertezza sulla validità o meno degli impegni contrattuali assunti, hanno impedito al concessionario (ma anche al comune) di assumere determinazioni in ordine al rilascio dell'infrastruttura, perdurando la vigenza degli impegni contrattuali - la cui nullità è stata accertata in via definitiva solo nel 2021 - che imponevano la prosecuzione nella gestione per ragioni di interesse pubblico. Il comune, peraltro, dall'avvenuta adozione del menzionato provvedimento di annullamento in autotutela del 2012 fino alla notifica dell'ordinanza di sgombero oggetto del presente giudizio - dunque per oltre 10 anni - ha consentito la prosecuzione della gestione dell'infrastruttura, pur avendo annullato l'atto concessorio. Il provvedimento di annullamento in autotutela veniva impugnato innanzi al Tar Campania il quale accertava che l'amministrazione comunale di Caserta non aveva titolo per disporre delle aree in questione e che pertanto tali beni erano insuscettibili di formare oggetto di atti di disposizione materiale e giuridica da parte del comune stesso: pertanto con sentenza n. 2661 del 14 maggio 2014, il Tar respingeva il ricorso e affermava, tra l'altro che "le obbligazioni assunte dal Comune concedente in ordine alla costituzione di un diritto di superficie, indispensabile per la costruzione e la successiva gestione del parcheggio, hanno geneticamente un oggetto giuridicamente impossibile, attesa la natura demaniale dell'immobile, non rientrante nella disponibilità dell'ente comunale. Pertanto, la relativa convenzione risulta affetta da nullità per impossibilità dell'oggetto, in base agli artt. 1418 e 1346 c.c." e osservava che "il comportamento delle amministrazioni dello Stato nel corso degli anni, pur manifestando la conoscenza dell'iniziativa fin dalla sua origine, palesa una tollerante inerzia per le iniziative del Comune e, tutt'al più, la disponibilità ad esplorare possibili soluzioni, senza tuttavia mai pervenire all'adozione di atti definitivi dai quali sia possibile evincere una manifestazione espressa di volontà equipollente ad una cessione o concessione dell'area in questione". In sintesi, il Tar Campania affermava la legittimità del provvedimento di annullamento in autotutela stante la indisponibilità del bene oggetto di convenzione e accertava che tale circostanza era ben nota a tutte le amministrazioni resistenti fin dal momento della stipula della convenzione con il concessionario. La sentenza veniva sostanzialmente confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 5231 del 24 luglio 2019, ancorché con motivazione parzialmente diversa da quella del primo giudice. Ulteriore conferma della statuizione avveniva a seguito di ricorso per cassazione, concluso con ordinanza di rigetto n. 36595/2021. In definitiva, all'esito dell'intero contenzioso, veniva accertato che il comune non aveva disponibilità delle aree oggetto di affidamento in concessione e che pertanto la progettazione, costruzione e gestione del parcheggio era avvenuta, ab origine, sine titulo. A seguito della cessazione del rapporto concessorio e fino all'adozione dell'ordinanza impugnata nel primo grado di giudizio, il comune di Caserta non ha assunto determinazioni chiare in ordine alla natura e all'uso cui intende destinare il bene. Il parcheggio, infatti, è stato inserito tra gli immobili suscettibili di alienazione e facenti parte del patrimonio disponibile non strumentale all'esercizio di funzioni istituzionali. Il nuovo Piano delle alienazioni e valorizzazioni adottato nel mese di gennaio 2022 e relativo al triennio 2022-2024 ha poi qualificato il bene come suscettibile di valorizzazione. L'infrastruttura, in seguito, è stata sottoposta a procedura esecutiva da parte della società Sa. in liquidazione, che vantava crediti nei confronti del comune per un ammontare complessivo di circa 43 milioni di euro ed aveva pertanto individuato nell'area in questione il bene da sottoporre ad esecuzione forzata. Il relativo pignoramento immobiliare veniva regolarmente trascritto nel mese di gennaio 2023, per poi cessare i propri effetti in conseguenza dell'adempimento parziale da parte Comune. Tali essendo gli antefatti, con ordinanza dirigenziale n. 5454 del 3 maggio 2023 il comune di Caserta premesso che "è interesse dell'ente comunale rientrare nel possesso e nella disponibilità del parcheggio interrato nell'area sottostante Piazza (omissis), bene immobile che il Comune intende valorizzare mantenendone in ogni caso l'uso pubblico" ed osservato che "l'articolo 283 comma 2 del codice civile, nel disciplinare la condizione giuridica del demanio pubblico stabilisce che spetta all'autorità amministrativa la tutela dei beni che fanno parte del patrimonio dello stesso, e che essa alla facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso" ed ancora che "l'autotutela patrimoniale delle amministrazioni pubbliche è esercitabile nei confronti dei beni appartenenti anche al demanio e al patrimonio indisponibile dell'ente comunale per effetto del combinato disposto degli articoli 826 comma 3 e 828 (...) la facoltà di autotutela esecutiva amministrativa per rientrare nel possesso della disponibilità del bene", ha ordinato al Consorzio il rilascio dell'area denominata "Parcheggio interrato di piazza Carlo 12 III", ubicato in Caserta, viale (omissis) intimando "di lasciare entro 15 giorni il compendio immobiliare libero da cose e/o persone al fine di consentirne il pieno e libero utilizzo da parte del Comune di Caserta per le proprie finalità pubbliche". Infine avvertiva che, decorso inutilmente il termine di 15 giorni dalla data della notifica del provvedimento, l'amministrazione avrebbe proceduto all'esecuzione forzata con l'ausilio della forza pubblica. Ancora, in data 8 maggio 2023, la società Sa., stante il perdurante inadempimento del comune di Caserta, provvedeva a notificare un nuovo pignoramento per la parte residua del credito: la procedura esecutiva veniva poi rinnovata con notifica del precetto e pignoramento del 29 febbraio 2024. 3. Con il ricorso introduttivo del giudizio incardinato innanzi al Tar Campania l'appellante, nella qualità di gestore di fatto del parcheggio interrato sito in Caserta, alla piazza (omissis) di Borbone, ha impugnato l'ordinanza dirigenziale di sgombero adottata dal comune di Caserta in data 3 maggio 2023, n. 5454, chiedendone l'annullamento. Tra i motivi di ricorso deduceva l'illegittimità del provvedimento in quanto, a suo dire, il potere di polizia demaniale sarebbe stato esercitato su un bene immobile facente parte del patrimonio disponibile dell'amministrazione: sarebbe mancato pertanto il presupposto per l'esercizio del potere autoritativo. Osservava che la natura disponibile del bene si evincerebbe dagli atti di pianificazione delle risorse, adottati dall'amministrazione comunale, che ha inserito il cespite nel Piano delle alienazioni e valorizzazioni del patrimonio immobiliare, sicché sarebbe provato che l'immobile in questione ha natura di bene disponibile e non strumentale all'esercizio delle funzioni. Con ordinanza n. 902 del 25 maggio 2023, il Tar accoglieva la domanda cautelare rilevando che, "ad un primo sommario esame, sembra sussistere la giurisdizione del giudice amministrativo, non essendo in contestazione il difetto di attribuzione in capo al Comune quanto, piuttosto, il non corretto esercizio, in relazione ai presupposti di fatto, del potere in concreto esercitato"; e che "sembra fondata la censura con la quale parte ricorrente lamenta che, a fronte di un bene appartenente al patrimonio disponibile del Comune (come sembrerebbe evincersi dall'inclusione dello stesso nel Piano delle alienazioni e valorizzazioni del patrimonio immobiliare disponibile di cui alla delibera di G.C. n. 14 del 28 gennaio 2022 e, prima ancora, alla delibera di C.C. n. 24/2018 - cfr. art. 58, comma 2 del d.l. n. 112/2008), l'attivazione del potere di autotutela esecutiva ex art. 823, comma 2 c.c. non era consentita". Il comune di Caserta, nel costituirsi in giudizio in primo grado, ha depositato l'atto, adottato il 19 maggio 2023 dal dirigente dell'ente locale ing. Vi., in cui si afferma che "da verifiche effettuate è emerso che l'impianto denominato Piazza (omissis) è inserito nell'inventario come beni immobili di uso pubblico per natura o destinazione e pertanto lo stesso non ricade nei beni immobili patrimoniali disponibili". L'atto richiama, sul punto, la delibera di Giunta comunale n. 183/2019, successivamente impugnata con ricorso per motivi aggiunti. Con la sentenza n. 1272 del 26 febbraio 2024 il Tar ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, individuando quale giudice munito di giurisdizione quello ordinario: la motivazione si fonda sul richiamo dell'ordinanza regolatoria delle sezioni unite della Corte di cassazione n. 255 del 4 gennaio 2024. 4. L'appello è affidato a due motivi. Con il primo motivo si deduce error in iudicando in relazione alla declinatoria di giurisdizione. In sintesi l'appellante fa presente che uno dei motivi di ricorso investiva l'illegittimità del provvedimento impugnato per carenza dei presupposti per l'esercizio del potere: si trattava, infatti, di un provvedimento emanato dall'amministrazione comunale nell'esercizio del potere autoritativo di polizia demaniale su un bene facente parte del patrimonio disponibile e che a fronte di un siffatto provvedimento, il destinatario dell'atto non può che assumere una posizione giuridica di interesse legittimo. Quindi lamenta che, nella sentenza, il Tar avrebbe declinato la giurisdizione richiamando un precedente delle sezioni unite della Corte di Cassazione, che avrebbe deciso una fattispecie del tutto diversa da quella in esame. Nel caso di specie infatti non sarebbe possibile affermare che il provvedimento impugnato sia stato adottato dall'amministrazione nella gestione di un rapporto iure privatorum, né potrebbe esservi ricondotto in via esegetica qualificandolo, a posteriori, come mera "diffida". In definitiva ritiene che il provvedimento impugnato in primo grado si configuri come atto autoritativo illegittimo, in quanto viziato per carenza di potere in concreto, con conseguente radicamento della giurisdizione amministrativa. Con il secondo motivo sono riproposti i motivi formulati in primo grado. 5. L'appello è fondato. La narrazione dei fatti di causa si è resa necessaria per perimetrare l'oggetto del presente giudizio e per chiarire quale sia l'origine del provvedimento impugnato in primo grado. L'ordinanza dell'11 maggio 2023, adottata dal dirigente del comune di Caserta, rappresenta l'atto conclusivo di un rapporto concessorio che, essendo stato dichiarato nullo dal giudice amministrativo, impone al comune di rientrare nella disponibilità del bene concesso. Osserva il Collegio che, nel caso di specie, il comune non ha agito in posizione paritetica con il concessionario bensì esercitando poteri chiaramente autoritativi: la differenza tra la vicenda esaminata dalle sezioni unite e la fattispecie in esame è, peraltro, agevolmente ricavabile proprio dall'ordinanza richiamata dal Tar, di cui si dirà nel prosieguo. Dal provvedimento impugnato in primo grado risulta testualmente che lo stesso è stato adottato ai sensi dell'art. 823, comma 2, del codice civile, il quale nel disciplinare la condizione giuridica del demanio pubblico stabilisce che "spetta all'autorità amministrativa la tutela dei beni che ne fanno parte del demanio pubblico. Essa ha la facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso, regolati dal presente codice". Richiamata e trascritta la suddetta norma il dirigente prosegue ricordando: "che l'autotutela patrimoniale delle Amministrazioni pubbliche è esercitabile nei confronti di beni appartenenti anche al patrimonio indisponibile dell'ente comunale per effetto del combinato disposto degli artt. 826, comma 3, e 828 c.c."; che "nella fattispecie, ricorre la facoltà di autotutela esecutiva amministrativa per rientrare nel possesso della disponibilità del bene sopra citato"; che "l'art. 21ter, comma 1, della legge n. 241/90, prevede che "nei casi e con le modalità stabiliti dalla legge, le pubbliche amministrazioni possono imporre coattivamente l'adempimento degli obblighi nei loro confronti. Il provvedimento costitutivo di obblighi indica il termine e le modalità dell'esecuzione da parte del soggetto obbligato. Qualora l'interessato non ottemperi, le pubbliche amministrazioni, previa diffida, possono provvedere all'esecuzione coattiva nelle ipotesi e secondo le modalità previste dalla legge"". Dunque il dirigente ha inteso spendere il potere di autotutela esecutiva sul presupposto, affermato nel provvedimento, che il bene di cui è ordinato lo sgombero appartenga al patrimonio indisponibile del comune. La ricorrente, invece, già in primo grado sosteneva che il bene in questione apparterrebbe al patrimonio disponibile del comune, ricavando tale qualificazione dal "Piano delle Alienazioni e delle Valorizzazioni del patrimonio immobiliare disponibile non strumentali all'esercizio delle funzioni istituzionali", approvato con delibera del Consiglio comunale n. 24 del 17 aprile 2018, in cui l'infrastruttura adibita a parcheggio ed oggetto del provvedimento per cui è causa risulta inserita tra gli immobili suscettibili di alienazione (detta circostanza è, peraltro, contestata dal comune nelle sue difese, richiamando la delibera di Giunta comunale n. 183 dell'11 novembre 2019 che riporterebbe una diversa collocazione del bene in questione nell'elenco dei beni comunali appartenenti al patrimonio disponibile ed indisponibile dell'Ente), con la necessaria conseguenza dell'impossibilità per il comune di avvalersi dell'autotutela esecutiva, dovendo viceversa, a suo dire, procedere con gli ordinari rimedi civilistici a tutela della proprietà e del possesso. Dunque l'oggetto del giudizio postula un duplice accertamento: quello riguardante la legittimità del potere esercitato in concreto e quello riguardante la natura del bene di che trattasi: se appartenente al patrimonio disponibile, l'autotutela non poteva essere esercitata, se appartenente al patrimonio indisponibile, come affermato nel provvedimento dal dirigente, l'autotutela era ammissibile. Osserva il Collegio che il principio affermato dalle sezioni unite della Corte di cassazione nell'ordinanza n. 255/2024, richiamata dal Tar, è pienamente condiviso dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. tra le tante, sez. VII, 16 aprile 2024, n. 3449; id., 30 aprile 2024, n. 2980), tanto che l'incipit del principio affermato dalle sezioni unite, non riportato dal Tar nel virgolettato, è il seguente: "Costituisce principio acquisito, tanto nella giurisprudenza della Suprema Corte, quanto nella giurisprudenza amministrativa, che il potere di autotutela....". É infatti pacifico, come afferma la citata ordinanza, che il potere di autotutela, attribuito all'amministrazione in relazione ai beni demaniali, è esteso, in virtù del combinato disposto degli artt. 823 e 825 c.c., ai beni del patrimonio indisponibile, mentre resta escluso per la tutela dei beni del patrimonio disponibile, rispetto ai quali l'amministrazione potrà avvalersi solo delle ordinarie azioni a tutela della proprietà e del possesso. Pertanto, in presenza di beni del patrimonio disponibile di proprietà del comune, occupati sine titulo, gli atti posti in essere dall'amministrazione comunale non possono ritenersi riconducibili all'esercizio di un potere autoritativo a tutela di un bene pubblico, quale è quello attribuito dall'art. 823 con riferimento ai beni demaniali e ai beni patrimoniali indisponibili, quanto piuttosto all'esercizio di un potere di autotutela del patrimonio immobiliare, posto in essere iure privatorum. L'affermazione consequenziale contenuta nell'ordinanza in rassegna, secondo cui "Si tratta, in altre parole, di atti di diffida di natura paritetica volti alla tutela della proprietà comunale, a fronte dei quali sussistono posizioni di diritto soggettivo, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario sulle relative controversie", sulla quale il Tar ha fatto acriticamente leva per declinare la giurisdizione, è tuttavia correlata alla fattispecie concreta ivi dedotta in giudizio che, come risulta dalla parte in fatto della stessa ordinanza, riguardava una "azione di manutenzione nel possesso di un fabbricato e di terreni", in relazione ai quali il comune proprietario aveva ordinato "di rimuovere dalle dette particelle... qualsiasi oggetto e bene di proprietà entro 10 giorni dal ricevimento; con avvertenza che decaduto tale termine il Comune di... provvederà a rimuovere la recinzione della particella sopra citata nonché il manufatto esistente" aggiungendo che, in riferimento a tale missiva, il ricorrente aveva dedotto "che l'ordine con essa rivolto non trovava giustificazione nell'esercizio di un potere autoritativo dell'ente, costituendo, pertanto, una molestia al proprio possesso, nel quale chiese di essere mantenuto". Nel caso di specie, invece, è del tutto evidente che non si tratti di azione possessoria bensì di ordinanza di sgombero di un immobile di proprietà pubblica, adottato nell'esercizio di poteri autoritativi. Ciò posto, premesso che l'autorità amministrativa è titolare, in astratto, dei poteri di autotutela esecutiva, come ricordato anche dalle sezioni unite, ciò che discrimina la legittimità dell'uso di tale potere in concreto, è la natura del bene a tutela del quale esso viene esercitato. Nel declinare la giurisdizione il Tar ha compiuto un salto logico, omettendo di accertare proprio la natura del bene di cui è stato ordinato lo sgombero, al fine di verificare "se" quel potere concretamente esercitato, potesse essere esercitato oppure no. In altri termini il primo giudice, che sembrerebbe essersi orientato nel senso di ritenere l'ordinanza impugnata come riferibile ad un bene del patrimonio disponibile, quindi emessa in carenza di potere in concreto, anziché rispondere alla domanda di giustizia formulata dalla parte ricorrente, che sosteneva appunto tale tesi, erroneamente si è spogliato della giurisdizione. Osserva il Collegio che la risposta che, in questo caso, il giudice amministrativo deve dare è se il comune, nel caso di specie, possa esercitare i poteri autoritativi. Se la risposta dovesse essere positiva perché il bene viene fatto rientrare nel patrimonio indisponibile dell'ente, il ricorso (salvo l'esame delle ulteriori censure non scrutinate) andrebbe respinto in quanto, una volta verificato che l'area continua ad essere abusivamente adibita ad uso privato, legittimamente e doverosamente il comune deve attivare il proprio potere di autotutela esecutiva di cui all'art. 823 del codice civile, esercitabile anche a tutela dei beni del patrimonio indisponibile (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 30 settembre 2015, n. 4554). Siffatto provvedimento avrebbe natura doverosa e vincolata e non necessiterebbe né della preventiva comparazione con gli interessi del privato occupante, non potendosi giammai ingenerare un affidamento "legittimo" in presenza di una situazione connotata da evidente abusività, né di specifica motivazione, se non quella necessaria a dare atto dell'accertamento dell'abusiva occupazione e nei confronti del quale non è configurabile il vizio di eccesso di potere, perché l'esercizio del potere di autotutela esecutiva si giustifica unicamente in ragione della perdurante occupazione sine titulo del bene pubblico (cfr. Cons. Stato, sez. VII, 29 gennaio 2024, n. 862). Né, in tal caso, rileverebbe una eventuale iniziale tolleranza in merito all'occupazione del bene (tolleranza tutt'altro che sussistente nel caso di specie) non radicando un simile contegno dell'amministrazione alcuna posizione di diritto o di interesse legittimo in capo all'occupante sine titulo (cfr., per il principio, Cons. Stato, sez. V, 26 settembre 2013, n. 4775). Se, viceversa, la risposta dovesse essere negativa, l'atto impugnato non potrebbe che essere annullato. Soltanto sulla successiva attività che il comune dovesse porre in essere affidandosi (questa volta correttamente) agli ordinari rimedi civilistici, mediante azioni petitorie o possessorie, si radicherebbe correttamente la giurisdizione del giudice ordinario: si tratta, tuttavia, di attività che, nel caso di specie, non risulta ancora posta in essere e che, esula, quindi dal thema decidendum. A maggior chiarimento di quale sia l'accertamento che il giudice deve compiere, valga richiamare una recente pronuncia (Cons. Stato, sez. V, 9 febbraio 2024, n. 1337), che ha affrontato il tema della corretta qualificazione del potere esercitato dal comune, in una fattispecie in cui era stato ingiunto lo sgombero di un immobile acquisito al patrimonio pubblico. Nella fattispecie ivi esaminata il Tar aveva accolto il ricorso sull'assorbente rilevo dell'illegittimo ricorso all'autotutela esecutiva con riferimento a un bene del patrimonio disponibile, sicché il comune non avrebbe potuto esercitare poteri autoritativi, ma avrebbe dovuto agire innanzi al giudice ordinario, ricorrendo agli strumenti previsti dalla legge per la tutela della proprietà e del possesso. Il Consiglio di Stato ha innanzitutto sciolto il dubbio sulla giurisdizione con le seguenti argomentazioni: - il provvedimento con il quale l'amministrazione comunale ordina lo sgombero di un immobile abusivamente realizzato, acquisito al patrimonio pubblico a seguito di inottemperanza all'ordine di demolizione, "costituisce esercizio di poteri pubblicistici di repressione dell'abusivismo e conseguentemente la giurisdizione appartiene al Giudice amministrativo" (C.g.a., sez. giur., 20 marzo 2020 n. 194); - l'atto di sgombero dell'immobile abusivo che sia stato acquisito al patrimonio comunale per inottemperanza all'ordine di demolizione notificato al privato - che si inserisce nell'ambito dei provvedimenti repressivi dell'abusivismo ordinariamente di competenza dirigenziale - ha dunque natura provvedimentale e autoritativa, essendo riconducibile all'esercizio di poteri pubblicistici dell'ente locale, il che dà luogo alla potestas iudicandi del giudice amministrativo sulle relative controversie; - a tal riguardo le sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 19889 del 22 settembre 2014, hanno chiarito che: "la giurisdizione in relazione al provvedimento di demolizione (e, per quel che concerne la fattispecie in esame, in relazione a quello "propedeutico" di sgombero) adottato dalla P.A. spetta al giudice amministrativo, e ciò a prescindere dalle ragioni addotte in tale provvedimento - che saranno eventualmente sindacate dinanzi a quel giudice - onde ogni eventuale contestazione circa la spettanza del relativo potere in capo alla Amministrazione che ha adottato il provvedimento ovvero circa le modalità con cui esso è stato esercitato (...) configura questione devoluta al giudice amministrativo"; - la giurisprudenza (cfr. C.g.a., sez. giur. 3 aprile 2018, n. 178), muovendo dalla considerazione per cui l'art. 823 c.c. ammette il ricorso dell'amministrazione all'esercizio dei poteri amministrativi al solo fine di tutelare i beni del demanio pubblico e del patrimonio indisponibile, ha affermato che il potere di autotutela esecutiva presuppone il previo accertamento della natura del compendio immobiliare oggetto di tutela recuperatoria, sicchè "l'Amministrazione può, ove richiesto, adottare solo i rimedi di carattere ordinario. Ipotesi che ricorre nella controversia oggetto dell'appello, non avendo l'immobile di cui si discute i requisiti che ne consentirebbero la qualificazione come bene appartenente al patrimonio indisponibile. Con la conseguenza che appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia in ordine all'ordinanza di sgombero di un immobile che si colloca nell'alveo del patrimonio disponibile del comune, essendo stata tale ordinanza emessa in carenza assoluta di potere e, pertanto nulla, con conseguente lesione di diritti soggettivi tutelabili innanzi al giudice ordinario" (C.g.a., 3 aprile 2018, n. 178; anche Cons. Stato, sez. VII, 19 maggio 2023, n. 4987; Cons. Stato, sez. VI, 29 agosto 2019, n. 5934); - non sembra dubitabile che ogni qualvolta in cui l'atto di sgombero costituisca "nient'altro che il terminale esecutivo dei provvedimenti di demolizione e di acquisizione al patrimonio comunale dell'opera abusiva, di per sé dotati, in quanto estrinsecazioni dei poteri di vigilanza e di repressione urbanistico-edilizia sul territorio (cfr. art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001), del connotato dell'esecutorietà, ossia della possibilità di essere portati ad esecuzione coattivamente ad opera della stessa amministrazione e senza l'intermediazione dell'autorità giudiziaria" (Cons. Stato, sez. VI, 26 gennaio 2015 n. 316), esso viene a configurarsi a guisa di vero e proprio provvedimento amministrativo, esecutivo di precedenti misure repressive di opere abusive, attratto, come tale, al sistema tipizzato delle sanzioni in materia edilizia, vertendosi in un'ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti in materia urbanistica ed edilizia ai sensi dell'art. 133, lett. f), c.p.a. (cfr. C.g.a., n. 194 del 2020 cit.). Ciò posto, la sentenza ha confermato la decisione del Tar attraverso i seguenti snodi argomentativi: - sebbene, come detto, l'amministrazione possa legittimamente agire seguendo le regole proprie dell'esercizio dei poteri autoritativi di sgombero nell'ambito del procedimento repressivo-ripristinatorio degli abusi edilizi così come tratteggiato dalla disciplina del d.P.R. n. 380 del 2001 al fine di ottenere il rilascio dell'immobile occupato da soggetti privati (il più delle volte gli ex proprietari), onde eseguire concretamente l'immissione in possesso finalizzata alla successiva demolizione dello stesso oppure, a determinate condizioni, al suo utilizzo per fini pubblici, di tanto, però, non vi è alcuna evidenza nell'ordinanza di sgombero impugnata; - se è vero che l'atto di sgombero è certamente strumento idoneo a perseguire il mancato rilascio dei beni, spesso occupati, anche dopo l'acquisizione, dagli stessi soggetti che hanno perpetrato l'illecito edilizio, deve, tuttavia, rilevarsi come il provvedimento impugnato non contenga alcun riferimento all'esercizio dei poteri repressivi in materia edilizia ai sensi dell'art. 31 del d.P.R. 380 del 2001, né cenno alcuno all'abusività dei manufatti o a eventuali ordinanze di demolizione che non risultano nel frattempo neanche adottate (né la difesa dell'amministrazione ha dato prova contraria), avendo il comune soltanto disposto che l'ufficio tecnico avesse cura di provvedere alla loro adozione; - l'ordinanza di sgombero si limita, infatti, a enunciare che sui lotti occupati senza titolo dei ricorrenti in cui è suddiviso il terreno "vi sono dei manufatti edili diversi tra loro per tipologia, forma e utilizzo di materiali costruttivi con annessa strada interpoderale delimitata da due cancelli metallici, uno posizionato in corrispondenza della complanare, l'altra a delimitazione della spiaggia" e a richiamare succintamente alcune risalenti ordinanze con le quali, rispettivamente, si vietò di disporre con atto tra vivi dell'immobile, se ne dispose l'acquisizione di diritto al patrimonio del comune e si ordinò, a suo tempo, lo sgombero dell'area già occupata; ma non contiene il benché minimo riferimento alla commissione di abusi edilizi o indicazione sulla loro concreta consistenza; - solo in sede di giudizio, con le deduzioni processuali contenute negli atti di causa, il comune ha sostenuto che l'impugnata ordinanza di sgombero sia riconducibile ad attività esecutiva del procedimento repressivo e sanzionatorio di illeciti edilizi avviato nel 1992 con l'acquisizione del bene al patrimonio disponibile a seguito del contestato frazionamento per finalità edificatorie, viceversa il provvedimento non contiene alcun riferimento che consenta di ricondurlo all'esercizio dei poteri pubblicistici afferenti alle funzioni di controllo e sanzione in materia edilizia, avendo soltanto ordinato il rilascio del bene disponibile di sua proprietà occupato sine titulo, dichiarando espressamente di agire con lo strumento in parola per far fronte alla "occupazione di immobile di proprietà comunale"; - in assenza di elementi che consentano di configurare l'ordinanza in questione come il terminale esecutivo dei provvedimenti di demolizione e di acquisizione al patrimonio comunale dell'opera abusiva, di per sé dotati, in quanto estrinsecazioni dei poteri di vigilanza e di repressione urbanistico-edilizia sul territorio (cfr. art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001), del connotato dell'esecutorietà, "non resta che ricondurre l'azione intrapresa dal comune, per come concretamente esercitata, ai poteri di autotutela disciplinati dall'art. 823 comma 2 del codice civile"; - "in tal caso, tuttavia, al cospetto di un bene al patrimonio disponibile del comune - quale pacificamente è il terreno oggetto della presente controversia acquisito gratuitamente al patrimonio dell'ente a seguito dell'illegittimo frazionamento per pretese finalità edificatorie contestato ai ricorrenti - il comune non avrebbe potuto esercitare l'autotutela amministrativa per le ragioni correttamente indicate dal primo giudice ma il recupero del bene avrebbe dovuto seguire, invece, le vie contrassegnate dagli strumenti giurisdizionali ordinari, a mezzo delle azioni possessorie o della rei vindicatio civilistica (Cons. Stato, sez. VI, 29 agosto 2019, n. 5934)"; - "i poteri di tutela esecutoria dell'amministrazione in presenza di occupazioni da terzi sono da ritenersi sine titulo quando la pubblica amministrazione agisca in area appartenente al patrimonio disponibile, dove l'esercizio di tale potere autoritativo non trova fondamento: l'autotutela demaniale si collega, infatti, al regime dominicale del bene pubblico, in coerenza con le funzioni amministrative di disciplina, ordinata gestione e uso del bene medesimo e con l'esigenza di "reagire" rispetto a condotte appropriative o usurpative di carattere privato". Quindi la sentenza ha concluso che sussiste una effettiva e comprovata divergenza, nei sensi sopra indicati, fra l'atto di sgombero e la sua funzione tipica, essendo stato il potere esercitato per finalità diverse da quelle enunciate dalla norma di cui all'art. 823 c.c., attributiva dello stesso. Come si evince (anche) dalla decisione innanzi riportata, l'accertamento del giudice, ove si controverta di esercizio dei poteri di autotutela esecutiva, va svolto "in concreto", avendo riguardo alla fattispecie dedotta in giudizio e alle caratteristiche degli atti adottati. In conclusione l'appello è fondato e va accolto. Come noto, laddove sussista la giurisdizione del giudice amministrativo, declinata in primo grado dal Tar, il giudice di secondo grado non può che annullare la sentenza impugnata, senza ulteriore trattazione della causa (cfr. tra le tante, Cons. Stato, sez. VI, 14 ottobre 2010, n. 7510), poiché, nel caso di erronea declaratoria di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo nella sentenza di primo grado, la causa deve essere rimessa al Tar e da questi decisa, ai sensi dell'art. 105 c.p.a. (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 12 dicembre 2011, n. 6492). Pertanto, la sentenza impugnata va annullata con rinvio al giudice di primo grado, secondo le modalità di cui all'art. 105, comma 3, del codice del processo amministrativo, non potendo il Consiglio di Stato pronunciarsi nel merito (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 847). 5. In ragione della particolarità della questione di giurisdizione esaminata, si può disporre l'integrale compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo e annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tar della Campania, dinanzi al quale il giudizio dovrà essere riassunto entro il termine di novanta giorni dalla notificazione o, se anteriore, dalla comunicazione della presente sentenza. Spese del doppio grado di giudizio compensate. Ordina che la pubblica amministrazione dia esecuzione alla presente decisione. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024, con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere Laura Marzano - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1198 del 2024, proposto dal Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Mi. Gr. e Vl. Pe., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Mi. Gr. in Padova, Piazzale (...); contro El. Sa., rappresentata e difesa dall'avvocato An. Re. D'A., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); nei confronti della Regione Veneto e dell'Ente Parco Regionale dei Colli Euganei, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza n. 1564 del 2023 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione Seconda. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di El. Sa.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 il Cons. Eugenio Tagliasacchi e uditi per le parti gli avvocati presenti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con l'appello in epigrafe il Comune di (omissis) ha impugnato la sentenza del T.a.r. Veneto n. 1564 del 2023 che ha accolto il ricorso proposto dalla signora El. Sa. avverso il silenzio serbato dall'anzidetto Comune in relazione all'istanza dalla medesima presentata in data 29 dicembre 2022 intesa a ottenere l'avvio del procedimento diretto all'approvazione della variante al Piano Ambientale del Parco dei Colli Euganei, necessaria per la prosecuzione dell'iter di approvazione dell'accordo di programma relativo al "progetto strategico turistico" ai sensi dell'art. 26 della l.r. Veneto n. 11 del 2004, proposto dalla ricorrente in primo grado e odierna appellata. 2. Più precisamente, l'originaria istanza della signora Sa. - presentata in data 28 dicembre 2015 prot. n. 19701 e poi successivamente integrata e specificata nel maggio 2016 - riguardava un "progetto strategico turistico" per la realizzazione di un'area adibita a servizi nell'ambito dell'anello ciclo-turistico dei Colli Euganei, con completamento della pista ciclabile lungo la S.P. n. 89 e lungo via (omissis). In estrema sintesi, tale istanza dapprima fu positivamente valutata dall'amministrazione comunale e il Sindaco del Comune di (omissis), nel maggio 2016, promosse un incontro con le associazioni di categoria al cui esito venne redatto un apposito verbale per la valutazione del progetto strategico turistico, come previsto dalla D.G.R.V. n. 450 del 2015. Successivamente, il Comune dispose la trasmissione degli atti alla Regione e, con Deliberazione n. 1770 del 2 novembre 2016, la Giunta Regionale riconobbe le caratteristiche di progetto strategico ai sensi dell'art. 15 della l.r. n. 32 del 2013, al fine avviare il procedimento relativo alla stipula di un Accordo di Programma. Poi, con decreto n. 11770/2016/1109 dell'1 febbraio 2017, l'Ente Parco dei Colli Euganei ha rilevato l'incompatibilità del progetto turistico rispetto alle previsioni del Piano ambientale, dichiarata anche nel successivo parere reso nella seduta del 3 marzo 2021 e con la successiva nota prot. 24141 del 14 dicembre 2021 l'Ente Parco dei Colli Euganei ha precisato che la procedura di variante del Piano ambientale avrebbe dovuto essere preceduta dall'adozione di una variante allo strumento urbanistico comunale. Infine con la nota prot. n. 21361 del 4 novembre 2022, il Sindaco del Comune di (omissis) ha segnalato alla signora Sa. la difformità del progetto rispetto alle previsioni del Piano di Assetto del Territorito (P.A.T.) e del Piano degli Interventi (P.I.) sostenendo di non poter "approvare una variante" al P.I. in difformità rispetto al P.A.T., che non prevede il Progetto Strategico Turistico in quanto in contrasto con il Piano ambientale; sotto diverso profilo ha rilevato che una eventuale variante al P.A.T. non solo sarebbe di competenza della Provincia, ma non sarebbe neppure attuabile poiché sarebbe, per l'appunto, in contrasto con il Piano Ambientale. 3. Dalle considerazioni che precedono risulta quindi che il procedimento relativo al progetto, in sostanza, non è stato proseguito a causa della divergenza emersa tra le amministrazioni con riferimento all'individuazione dell'iter da seguire per pervenire all'adozione delle modifiche al Piano Ambientale. 4. La signora Sa. - pertanto - ha presentato l'ulteriore e già menzionata diffida del 29 dicembre 2022 attraverso la quale ha chiesto che il Comune di (omissis) e l'Ente Parco dei Colli Euganei avviassero entro il termine di trenta giorni il procedimento volto all'adozione della variante al Piano Ambientale, necessaria per proseguire l'iter dell'accordo strategico turistico e, a fronte del silenzio del Comune, ha introdotto il presente giudizio avverso il silenzio. 5. Il T.a.r. Veneto, con la sentenza impugnata, ha accolto il ricorso rilevando che, nel caso di specie, l'obbligo di concludere il procedimento dipendeva dall'affidamento ingenerato in capo alla ricorrente. Ad avviso del giudice di prime cure, infatti, per la particolarità del caso di specie e per la specificità della posizione della ricorrente, sarebbe consentito discostarsi dal principio generale, secondo cui non è configurabile alcun obbligo di provvedere rispetto agli atti di pianificazione urbanistica, che risultano connotati da ampia discrezionalità nell'an e nel quomodo, con la conseguenza che sarebbe ravvisabile in capo all'amministrazione comunale uno specifico obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso, eventualmente anche attraverso un rigetto nel merito della richiesta di avvio dell'iter di adozione delle varianti agli strumenti urbanistici comunali prodromiche alla variante generale al Piano Ambientale del Parco, dal momento che l'amministrazione comunale fino a quel momento non si era espressa nel merito limitandosi ad osservazioni definite "procedurali" (come quella di cui alla nota sindacale del 4 novembre 2022). 6. Avverso tale sentenza ha proposto appello il Comune di (omissis), prospettando anzitutto - nella parte in fatto - una diversa ricostruzione della vicenda procedimentale volta a porre in evidenza il difetto di competenza del Comune rispetto all'adozione degli atti propedeutici alla prosecuzione dell'iter, osservando, in proposito, che il Comune non sarebbe "l'Ente capofila" nel procedimento volto all'adozione dell'Accordo di Programma, né sarebbe titolare di un "autonomo onere di variante dello strumento urbanistico", né, ancora, sarebbe competente a variare il Piano Ambientale. In altri termini, il Comune appellante ritiene che l'arresto del procedimento debba essere imputato agli altri enti coinvolti e, sul punto, osserva, infatti, che: "gli Enti che avrebbero potuto/dovuto portare avanti il procedimento, in realtà, si arrestavano, sembrando pretendere che il Comune, seppur incompetente, facesse le loro veci". In questa prospettiva, pertanto, ad avviso dell'Ente locale, l'adozione della variante comunale integrava un adempimento non previsto dal procedimento di Accordo di Programma, che, al contrario, assorbirebbe di per sé la variante stessa rendendone così superflua l'adozione da parte del Comune e, inoltre, non si tratterebbe neppure di un adempimento richiesto per la Variante Generale al Piano Ambientale, che, secondo il Comune, l'Ente Parco avrebbe potuto avviare autonomamente. L'appellante sostiene, inoltre, di aver puntualmente rappresentato i predetti profili critici mediante la nota del 4 novembre 2022 nella quale il Sindaco di (omissis) ha indicato alla signora Sa. le ragioni per le quali il Comune non avrebbe potuto adottare la variante allo strumento urbanistico e, a fronte dell'ulteriore diffida del 29 dicembre 2022, l'amministrazione ha ritenuto di non dover dare ulteriori riscontri avendo, a suo dire, già indicato puntualmente le ragioni per le quali non sarebbe stato possibile dar seguito al procedimento, spettando la prosecuzione dell'iter alla Regione e all'Ente Parco. 6.1. Con il primo motivo di gravame, il Comune appellante sostiene che il ricorso di primo grado sia irricevibile o inammissibile in quanto proposto oltre il termine annuale previsto dall'art. 31, comma 2, c.p.a. dal momento che il procedimento ha avuto avvio nel dicembre 2015 con la presentazione dell'originaria istanza, mentre il ricorso è stato depositato solo nel 2023. Nella prospettazione del Comune, pertanto, la diffida del 29 dicembre 2022 non sarebbe una nuova istanza ma un mero sollecito per la prosecuzione del procedimento. Il Comune osserva inoltre che considerando l'anzidetta diffida alla stregua di un'istanza presentata ex novo nel 2022 non avrebbe potuto trovare applicazione l'art. 26, comma 2-ter, della l.r. Veneto n. 11 del 2004, che era stato medio tempore abrogato; mentre qualificandola come mera richiesta di variante urbanistica non sarebbe stato possibile configurare alcun obbligo di provvedere in capo al Comune. 6.2. Con il secondo motivo di gravame, il Comune contesta la sentenza sostenendo che il primo giudice abbia omesso di rilevare un ulteriore profilo di inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio, in quanto l'istanza del 29 dicembre 2022 era da ritenersi la mera reiterazione di una precedente richiesta formulata dalla stessa ricorrente alla quale il Comune - con il già richiamato provvedimento del Sindaco del 4 novembre 2022 - aveva dato riscontro, indicando le ragioni ostative alla prosecuzione del procedimento attraverso l'adozione, da parte del Comune medesimo, di una variante urbanistica. Tale provvedimento - che non è stato impugnato - aveva indicato le ragioni poste a fondamento dell'incompetenza del Comune di (omissis) e della conseguente impossibilità di adottare una variante. Conseguentemente, il giudice avrebbe errato a qualificare la nota sindacale del 4 novembre 2022 quale atto "meramente interlocutorio" nonché "proveniente da Organo non competente alla pianificazione". 6.3. Con il terzo motivo di gravame, insiste nel sostenere che in capo al Comune non sussista alcun obbligo di adottare la variante urbanistica in considerazione di quanto previsto dall'art. 26, comma 2-ter, della l.r. Veneto n. 11 del 2004 e dalla D.G.R.V. n. 450/2015. 7. Si è costituita in giudizio El. Sa. eccependo l'inammissibilità dell'appello per difetto di interesse poiché a seguito della sentenza del T.a.r., con la deliberazione del Consiglio Comunale n. 68 del 27 dicembre 2023, comunicata con nota del 28 febbraio 2024, il Comune ha rigettato l'istanza della Sa. ritenendo di non poter accogliere la proposta di accordo di programma. La delibera dispone testualmente di rigettare "l'istanza presentata in data 29.12.22 dalla ditta Sa. Elisa volta all'introduzione di una Variante al Piano di Assetto del Territorio (P.A.T.) e di una Variante al Piano degli Interventi e per l'effetto di rigettare anche l'istanza volta all'adozione delle determinazioni necessarie a dare impulso all'approvazione di una Variante al Piano Ambientale del Parco Colli Euganei". Ad avviso della signora Sa. si tratta, dunque, di un provvedimento espresso adottato successivamente alla pubblicazione della sentenza appellata e già impugnato, a sua volta, davanti al T.a.r., con la conseguenza che l'appello dovrebbe a suo dire essere dichiarato inammissibile. Ferma restando l'eccezione che precede, la parte appellata ha replicato nel merito alle censure del Comune. 8. Con la memoria di replica del 3 maggio 2024, il Comune di (omissis) insiste nel sostenere che la variante dello strumento urbanistico non è riconducibile alla sfera decisionale del Comune, trattandosi di una conseguenza diretta e immediata della procedura di approvazione dell'accordo di programma avente ad oggetto un intervento di interesse regionale. Con riferimento all'eccezione di inammissibilità dell'appello a seguito della delibera n. 68 del 27 dicembre 2023, il Comune di (omissis) eccepisce la tardività del deposito della delibera medesima e sostiene che l'eccezione sia comunque infondata dal momento che l'anzidetta delibera è stata adottata solo per ottemperare alla sentenza immediatamente esecutiva, sicché "l'Amministrazione comunale ha un interesse attuale e concreto ad ottenere una pronuncia della presente impugnazione, posto che l'accertamento dell'insussistenza, in capo alla medesima, di un obbligo di provvedere renderebbe inutiliter data la stessa Delibera consiliare n. 68/2023". 9. Tanto premesso, il Collegio - trattenuta la causa in decisione alla camera di consiglio del 16 maggio 2024 - reputa che l'appello non sia fondato. 10. Preliminarmente, va esaminate l'eccezione di inammissibilità dell'appello per difetto di interesse, in considerazione dell'adozione del provvedimento espresso mediante la delibera n. 68 del 27 dicembre 2023. Si deve, infatti, escludere che con l'anzidetta delibera il Comune abbia inteso fare acquiescenza alla sentenza, dal momento che nella delibera stessa si legge espressamente quanto segue: "il presente provvedimento viene assunto in forza di quanto disposto dalla sentenza T.A.R. Veneto n. 1564 del 6.11.2023, esecutiva, al fine di ottemperare a un obbligo giudiziale, senza che, però, il Comune intenda fare acquiescenza alla predetta pronuncia e, quindi, con riserva di proporre avverso la stessa impugnazione". Sul punto, il Collegio intende dare continuità al consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato, secondo cui dall'esecuzione della sentenza di primo grado non si può desumere l'acquiescenza alla sentenza stessa, dal momento che l'esecuzione della pronuncia, in assenza di misure cautelari del giudice d'appello, è un dovere dell'amministrazione soccombente, salvo il caso in cui l'amministrazione abbia dichiarato espressamente di accettare la decisione o che comunque tale accettazione sia evincibile dal complessivo comportamento tenuto; in questo senso, ex multis, cfr. Cons. Stato, Sez. II, 20 novembre 2023, n. 9909; Cons. Stato, Sez. II, 2 ottobre 2023, n. 8614; Cons. Stato, Sez. V, 1 dicembre 2022, n. 10565. L'infondatezza dell'eccezione di inammissibilità dell'appello consente di prescindere dall'esame dell'ulteriore eccezione, sollevata dal Comune, concernente la tardività del deposito della delibera n. 68 del 27 dicembre 2023, fermo restando comunque che il contenuto della delibera non è stato contestato dal Comune. 11. Passando all'esame dei motivi di gravame, il Collegio rileva che la prima censura, concernente l'inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio per decorso del termine annuale previsto dall'art. 117 c.p.a., è infondato poiché occorre avere riguardo non già, come sostenuto dal Comune appellante, al procedimento avviato con l'istanza presentata in data 28 dicembre 2015 prot. n. 19701, bensì al diverso procedimento di cui all'istanza del 29 dicembre 2022, concernente la variante urbanistica che, come già affermato dal T.a.r., di regola non fa sorgere alcun obbligo di provvedere in capo al Comune. Tuttavia, nel caso di specie, sussistono una pluralità di elementi che impongono all'amministrazione, per fondamentali esigenze di tutela dell'affidamento del privato, di riscontrare espressamente la predetta istanza. In primo luogo, assume rilievo la circostanza che, nella prospettiva della signora Sa. si trattasse di un adempimento da considerare non già in sé e per sé, bensì da inserire nel contesto della prosecuzione dell'iter procedimentale per la realizzazione del progetto strategico turistico dalla medesima proposto. In secondo luogo, assume rilievo anche la circostanza che la signora Sa. si sia trovata di fronte a una situazione del tutto peculiare connotata da una disciplina regionale senza dubbio di per sé caratterizzata da profili di una certa complessità e ulteriormente complicata dall'evidente contrapposizione venutasi a creare tra le amministrazioni coinvolte nel procedimento con riferimento ai successivi passaggi necessari per la prosecuzione dell'iter, come chiaramente si desume dai documenti versati in atti e, in particolare, dalla già menzionata nota del 4 novembre 2022 del Sindaco di (omissis) nonché dalla nota dell'Ente Parco dei Colli Euganei del 14 dicembre 2021 che aveva fatto presente la necessità della preventiva adozione della variante urbanistica da parte del Consiglio Comunale. Oltre a ciò, come già osservato dal T.a.r., non può essere ritenuta priva di rilevanza neppure la circostanza che il Comune medesimo aveva assunto un ruolo non secondario nell'ambito dell'iter per l'approvazione dell'accordo di programma, come dimostrato dal fatto che aveva dapprima promosso un incontro con le associazioni di categoria per la valutazione del progetto e aveva poi trasmesso alla Regione, in data 1 giugno 2016, l'istanza di attivazione del progetto stesso, chiedendo la prosecuzione dell'iter. Inoltre, già con la D.G.R. n. 1770 del 2015, la Regione aveva deliberato "di confermare che il progetto per la realizzazione di un'area adibita a servizio dell'anello ciclo - turistico dei Colli Euganei, con completamento della pista ciclabile lungo la SP n. 89 e via (omissis), e l'urbanizzazione e realizzazione di una nuova zona residenziale denominata "Al frutteto" in Comune di (omissis) (PD), riveste le caratteristiche di progetto strategico". Conseguentemente, il primo motivo di appello è infondato, non potendosi condividere la prospettazione di parte appellante né con riferimento all'eccezione di tardività del ricorso introduttivo, né avuto riguardo all'assenza di un obbligo di provvedere in capo al Comune, che, al contrario, è desumibile dalle caratteristiche del tutto peculiari del procedimento e dalla necessità di tutelare l'affidamento del privato a fronte di divergenti indicazioni delle amministrazioni coinvolte. 12. Anche il secondo motivo di appello, con cui il Comune ha sostenuto che il T.a.r. dovesse rilevare l'inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio, avendo l'amministrazione già risposto con la nota del 4 novembre 2022, è infondato. Sul punto è dirimente la circostanza che l'anzidetta nota risulta essere meramente interlocutoria come è agevole desumere dalla precisazione con cui il Sindaco di (omissis) comunica letteralmente quanto segue: "sperando di aver contribuito ad un approfondimento dello stato dell'arte sul Progetto Strategico Turistico". Si tratta, infatti, di un contenuto di carattere non già provvedimentale, bensì solo interlocutorio, che per l'appunto offre un mero contributo di approfondimento con l'essenziale finalità di pervenire alla corretta interpretazione delle disposizioni, in conformità con il dovere di leale collaborazione. 13. Con riferimento, infine, al terzo motivo di gravame per il cui tramite il Comune sostiene che non sussista alcun suo obbligo di adottare la variante urbanistica in considerazione di quanto previsto dall'art. 26, comma 2-ter, della l.r. Veneto n. 11 del 2004, si deve rilevare come tale osservazione sia sostanzialmente inconferente rispetto alla ratio decidendi della sentenza del T.a.r., la quale, per le ragioni già illustrate, ha correttamente affermato la sussistenza dell'obbligo di provvedere in capo al Comune, precisando espressamente che l'amministrazione comunale ben avrebbe potuto respingere l'istanza (eventualmente anche alla luce delle ragioni indicate nell'ambito del terzo motivo di gravame). 14. Dalle considerazioni che precedono discende, dunque, il rigetto dell'appello. 15. Le spese processuali del presente grado sono integralmente compensate in ragione della complessità e della peculiarità della fattispecie. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Neri - Presidente Francesco Gambato Spisani - Consigliere Giuseppe Rotondo - Consigliere Paolo Marotta - Consigliere Eugenio Tagliasacchi - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 3549 del 2021, proposto dalla Wi. En. Pr. 2 S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. St. Da., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia; contro la Regione Puglia, non costituita in giudizio; per la riforma della sentenza n. 1636 del 2020 del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia - Bari, Sezione Prima. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2024 il Cons. Eugenio Tagliasacchi; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con l'appello in epigrafe la società Wi. En. Pr. 2 S.p.a. ha impugnato la sentenza del T.a.r. Puglia - Bari n. 1636 del 2020, che ha respinto il ricorso dalla medesima proposto per il risarcimento dei danni derivanti dal provvedimento prot. n. 5374 del 26 giugno 2013 del Servizio Energia della Regione Puglia, recante il diniego dell'autorizzazione unica richiesta dall'anzidetta società per la realizzazione di un impianto eolico nel Comune di (omissis), in località (omissis). 2. La domanda risarcitoria è stata proposta dalla ricorrente, odierna appellante, a seguito della sentenza del Consiglio di Stato n. 4736 del 2015, che - in riforma della sentenza del T.a.r. Puglia n. 718 del 12 giugno 2014 - ha accolto il precedente ricorso proposto dalla medesima società per l'annullamento del menzionato diniego di autorizzazione unica del 26 giugno 2013, prot. n. 5374. Dopo questa sentenza del Consiglio di Stato, infatti, l'istanza dell'odierna appellante è stata accolta soltanto in parte e tale accoglimento solo parziale dipenderebbe, nella prospettiva della società, dalla sopravvenuta introduzione di nuovi vincoli per effetto del P.P.T.R. approvato in epoca successiva al provvedimento impugnato, con il conseguente danno derivante dall'impossibilità di conseguire l'autorizzazione in base all'originaria richiesta. 3. In punto di fatto, la vicenda oggetto del presente giudizio può essere sintetizzata nei termini che seguono. 3.1. La società odierna appellante ha presentato in data 20 marzo 2008 l'istanza di autorizzazione unica per la costruzione e l'esercizio di un impianto eolico di potenza pari a 18 MW nel Comune di (omissis), in località (omissis). Tale impianto sarebbe stato costituito, secondo l'originario progetto, da quindici aerogeneratori e da una stazione elettrica di trasformazione da inserire sulla linea RTN "Foggia-Larino" nel Comune di (omissis). 3.2. La Provincia di Foggia, con le note n. 3007/6.15 del 14 settembre 2010 e n. 4172/6.15 del 29 dicembre 2010, ha rilasciato provvedimenti di V.I.A. favorevoli per dieci dei predetti quindici aerogeneratori. 3.3. Successivamente, è stata indetta la conferenza di servizi per la data del 12 dicembre 2011 nel cui ambito le amministrazioni chiamate a pronunciarsi in quella sede hanno espresso parere favorevole. 3.4. Il Commissario ad acta del Servizio Ambiente della Provincia di Foggia, con determinazione n. 2745 del 4 settembre 2012, ha poi espresso positiva valutazione di incidenza (V.INC.A.) in relazione alla stazione elettrica Te., con contestuale riduzione del numero degli aerogeneratori a sei unità . 3.5. La seconda seduta della conferenza di servizi del 26 ottobre 2012, nell'ambito della quale erano emerse talune criticità, si è poi conclusa con una valutazione positiva del progetto e l'Ufficio Energia della Regione Puglia, in quella sede, si è limitato a condizionare il rilascio dell'autorizzazione unica alla conclusione del procedimento di revisione dei primi tre adempimenti del PUTT/p da parte del Comune di (omissis) - realizzati con delibera n. 6 del 9 marzo 2013 - e al conseguente parere favorevole dell'Ufficio assetto del territorio della Regione Puglia intervenuto con nota prot. n. 0002812 del 5 aprile 2013. 3.6. Tuttavia, il medesimo Ufficio Energia della Regione Puglia, con la nota dirigenziale prot. 3278 del 16 aprile 2013, ha altresì richiesto alla Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Puglia e all'Ufficio parchi regionale se, alla luce degli atti richiamati al punto che precede (ossia la delibera del Comune di (omissis) n. 6 del 9 marzo 2013 e la nota dell'Ufficio assetto del territorio della Regione Puglia, prot. n. 0002812 del 5 aprile 2013), potevano ritenersi superati i profili critici in ordine alla compatibilità paesaggistica e ambientale per la stazione elettrica Terna. 3.7. A seguito di tale richiesta, la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Bari, Barletta-Andria-Trani e Foggia (con nota del 15 maggio 2013) e l'Ufficio parchi della Regione Puglia (con nota del 14 maggio 2013) hanno evidenziato - senza esprimersi nell'ambito della conferenza di servizi prevista dall'art. 12 del d.lgs. 29 dicembre 2003 n. 387 - taluni profili ostativi alla realizzazione della stazione elettrica. 3.8. In ragione dei profili ostativi evidenziati nei pareri testé menzionati, il Servizio Energia regionale ha ritenuto di negare l'autorizzazione unica, adottando il provvedimento di diniego prot. n. 5374 del 26 giugno 2013, poi impugnato dalla società odierna appellante nell'ambito del precedente giudizio sopra richiamato. 4. Con la già citata sentenza n. 4736 del 2015, il Consiglio di Stato, in riforma della sentenza del T.a.r. Puglia - Bari n. 718 del 2014, ha annullato l'anzidetto diniego rilevando che i due pareri avrebbero dovuto essere acquisiti "nella sede procedimentale tipica di valutazione d'incidenza ambientale" e ha altresì osservato che i medesimi "non integravano un dissenso radicale e insuperabile", respingendo, pertanto, la domanda risarcitoria già avanzata in quella sede. 5. In esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato, poi, l'Ufficio Energia della Regione Puglia ha rinnovato la convocazione della conferenza di servizi e, in quella sede, il Segretario regionale Mi.B.A.C.T. della Regione Puglia ha ritenuto di accogliere l'istanza di autorizzazione unica limitatamente alla realizzazione di un solo aerogeneratore tenuto conto della sopravvenuta apposizione di vincoli sull'area in questione per effetto del Piano Paesaggistico Territoriale Regionale approvato dalla Regione Puglia. 6. Con nota dell'8 aprile 2016, l'odierna appellante ha ribadito che il progetto dell'impianto, nella originaria configurazione con sei aerogeneratori era stato già valutato positivamente da tutti gli enti interessati e ha quindi chiesto alla Regione di provvedere al rilascio dell'autorizzazione unica e, solo in via di mero subordine, ha chiesto la rimessione degli atti al Consiglio dei Ministri ai sensi dell'art. 14-quater, comma 3, della l. n. 241/1990, in considerazione del dissenso espresso dal Segretariato regionale Mi.B.A.C.T. della Puglia. 7. Con deliberazione del 20 gennaio 2017, il Consiglio dei Ministri ha condiviso il parere del Segretariato regionale Mi.B.A.C.T. della Puglia, consentendo "la prosecuzione del procedimento, volto alla realizzazione di un solo aerogeneratore, contraddistinto dal numero A1" e con il provvedimento prot. n. 0000672 del 23 febbraio 2017 la Sezione infrastrutture energetiche e digitali della Regione Puglia ha invitato la ricorrente a provvedere alla produzione documentale necessaria al rilascio dell'autorizzazione unica per il "solo aerogeneratore, contraddistinto dal numero A1". 8. L'anzidetto provvedimento del 23 febbraio 2017 che ha autorizzato un solo aerogeneratore non è stato impugnato dall'odierna appellante. 9. Tuttavia, pur non avendo impugnato il predetto provvedimento di autorizzazione relativo a un solo aerogeneratore, la società ha proposto il ricorso introduttivo del presente giudizio formulando la domanda risarcitoria per il cui tramite ha chiesto il ristoro dei danni che ritiene di aver subito in ragione dell'illegittimo operato della Regione. Infatti, secondo la società Wi. En. Pr. 2 S.p.a., qualora la Regione avesse agito ab origine in modo conforme alla legge, pervenendo all'adozione del provvedimento di autorizzazione unica anziché del diniego poi ritenuto illegittimo e annullato dal Consiglio di Stato, non si sarebbero verificati "i notevoli pregiudizi economici causati dall'impossibilità di realizzare il progetto dell'Impianto nella sua configurazione originaria". 10. Il T.a.r. Puglia, con l'impugnata sentenza, ha respinto il ricorso per il risarcimento del danno condividendo il rilievo dell'Amministrazione resistente secondo cui la questione oggetto del presente giudizio risulta sovrapponibile ad altra identica controversia definita dal medesimo T.a.r. con la sentenza n. 852 del 20 giugno 2019, che aveva parimenti respinto la domanda risarcitoria connessa agli effetti della sentenza n. 4732 del 2015 della Sezione IV del Consiglio di Stato che, a sua volta, aveva riformato la sentenza n. 716 del 12 giugno 2014, riguardante l'identico diniego di autorizzazione unica di cui alla nota dirigenziale prot. n. 5374 del 26 giugno 2013 e degli atti a essa presupposti. Nella motivazione della sentenza n. 852 del 2019, tra l'altro, sono stati richiamati alcuni passaggi di un'ulteriore pronuncia, sempre del Consiglio di Stato, Sez. IV, 1 dicembre 2016, n. 5054, per il cui tramite era stato respinto il ricorso per l'ottemperanza alla sentenza n. 4732 del 2015 (di cui la sentenza n. 4736 del 2015 sarebbe pertanto sostanzialmente "gemella"). 11. Per esigenze di chiarezza, dunque, la sequenza delle pronunce rilevanti ai fini del presente giudizio può essere sintetizzata nei termini che seguono: a) sentenza del T.a.r. Puglia n. 718 del 12 giugno 2014 che ha respinto l'originario ricorso per l'annullamento del diniego di autorizzazione unica del 26 giugno 2013, prot. n. 5374, gemella della sentenza del medesimo T.a.r., n. 716 del 12 giugno 2014; b) sentenza del Consiglio di Stato n. 4736 del 13 ottobre 2015 che, in riforma della sentenza sub a), ha annullato il provvedimento di diniego ma ha respinto la domanda risarcitoria in quanto, all'epoca, sussisteva ancora la possibilità di conseguire il bene della vita a seguito della rinnovazione del procedimento; c) sentenza del Consiglio di Stato n. 4732 del 13 ottobre 2015, gemella della precedente, che in un caso del tutto ana aveva a sua volta riformato la già citata sentenza del T.a.r. Puglia n. 716 del 12 giugno 2014 (per l'appunto del pari gemella della sentenza, del medesimo T.a.r. Puglia, n. 718 del 12 giugno 2014); d) sentenza del Consiglio di Stato n. 5054 del 2016 che ha respinto il ricorso per l'ottemperanza della sentenza n. 4732 del 2015; e) sentenza del T.a.r. Puglia n. 852 del 20 giugno 2019 che, pronunciandosi sulla vicenda analoga a quella del presente giudizio, ha respinto la domanda risarcitoria connessa agli effetti della già citata sentenza del Consiglio di Stato n. 4732 del 13 ottobre 2015, gemella della n. 4736 del 2015, che ha riformato la sentenza del T.a.r. Puglia n. 716 del 12 giugno 2014, annullando il diniego di autorizzazione unica; f) sentenza del Consiglio di Stato n. 6353 del 2020 che ha respinto l'appello avverso la sentenza sub e), T.a.r. Puglia n. 852 del 2019. 12. Con la pronuncia qui impugnata, dunque, il T.a.r. Puglia (si tratta della sentenza - lo si precisa per ulteriore chiarezza - n. 1636 del 2020) ha sottolineato l'analogia esistente tra le fattispecie concrete esaminate dalle pronunce del Consiglio di Stato n. 4732 e n. 4736 del 13 ottobre 2015, traendo ulteriori elementi per il rigetto della domanda risarcitoria anche dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 6353 del 2020. Ferme restando le considerazioni che precedono, il T.a.r., con la sentenza impugnata, ha ritenuto che la società ricorrente - dopo aver ottenuto la "rinnovazione del procedimento e la riconvocazione della conferenza di servizi" - avrebbe prestato acquiescenza ai provvedimenti che hanno determinato la possibilità di ottenere l'autorizzazione unica per un impianto costituito da un solo aerogeneratore. Sotto questo profilo, inoltre, il T.a.r. ha precisato che si tratterebbe per l'appunto esclusivamente di una mera possibilità, poiché sulla base degli atti depositati in giudizio non vi sarebbe prova né dell'effettivo rilascio dell'autorizzazione unica né dell'entrata in funzione dell'impianto. Sotto un ulteriore profilo, il T.a.r. ha sottolineato che l'appellante non aveva neppure impugnato gli atti recanti le valutazioni istruttorie sulla base delle quali era stato ridotto il numero degli aerogeneratori, sicché difetterebbe in radice il presupposto dell'illegittimità o erroneità della "non compatibilità paesaggistica" dell'impianto; del resto il parere del Segretariato regionale Mi.B.A.C.T. è poi stato integralmente recepito dal Consiglio dei Ministri, con la conseguenza che "la prova dell'autorizzabilità ab origine dell'impianto basato su sei aerogeneratori è rimasta una mera congettura". 13. Avverso tale pronuncia ha proposto appello la Wi. En. Pr. 2 S.p.a. formulando tre distinti motivi di gravame. 14. Con il primo motivo di appello, la società contesta la sentenza nella parte in cui ha fondato il rigetto della domanda risarcitoria sull'asserita acquiescenza prestata al provvedimento del 23 febbraio 2017 e a quelli ad esso presupposti. A tale proposito, l'appellante evidenzia che, nella sua prospettiva, la domanda di risarcimento del danno si riferisce non già al provvedimento del 23 febbraio 2017, bensì all'illegittimità del diniego di autorizzazione unica opposto dalla Regione Puglia attraverso il precedente provvedimento del 26 giugno 2013, con la conseguenza che i successivi atti adottati dalla Regione Puglia nel 2016 e nel 2017, a seguito della sopravvenienza dei vincoli introdotti dal P.P.T.R., "segnano quindi solo il momento in cui il danno in parola si è prodotto" ma "non ne costituiscono la fonte". Ritiene, inoltre, che ciò sarebbe confermato anche dalla circostanza che la sentenza del Consiglio di Stato n. 4736 del 2015 aveva negato il risarcimento perché il danno era in quel momento "soltanto eventuale" posto che l'appellante avrebbe ancora potuto conseguire l'autorizzazione unica per tutti gli aerogeneratori previsti dal progetto, mentre, a seguito dell'introduzione dei vincoli del P.P.T.R., il danno sarebbe effettivamente divenuto "concreto ed attuale". Sotto un diverso profilo, l'appellante censura l'argomentazione secondo cui dalla mancata impugnazione dei provvedimenti in questione possa desumersi una "mancanza di prova in ordine all'autorizzabilità ab origine dell'Impianto". Del pari ritiene che dalla successiva autorizzazione di un solo impianto a causa dei vincoli sopravvenuti non si possa inferire che il progetto dell'impianto nella sua versione originaria fosse ab origine irrealizzabile. In altri termini, l'appellante sostiene che il fatto che sia stato poi autorizzato un solo impianto non significherebbe di per sé che fosse autorizzabile fin dall'origine un solo impianto, in quanto, attraverso il provvedimento di autorizzazione del 23 febbraio 2017, l'amministrazione avrebbe preso atto delle sopravvenute disposizioni del P.P.T.R. che non consentivano la realizzazione di tutti gli aerogeneratori previsti dal progetto. 15. Con il secondo motivo di gravame, l'appellante censura la decisione del T.a.r. sostenendo che sia stata travisata la portata della sentenza del Consiglio di Stato n. 4736 del 2015, dal momento che ad avviso del T.a.r. tale sentenza si sarebbe limitata a disporre, in chiave conformativa, la sola rinnovazione del procedimento senza accertare la spettanza del bene della vita in capo all'odierna ricorrente. Secondo l'appellante, invece, l'anzidetta sentenza non si sarebbe limitata a rilevare che i pareri della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Bari, Barletta-Andria-Trani e Foggia e dell'Ufficio parchi della Regione Puglia (di cui alle note rispettivamente del 13 e del 14 maggio 2013) erano stati resi fuori dalla sede in cui avrebbero dovuto essere espressi, ossia fuori dalla conferenza di servizi, avendo per contro precisato altresì che i medesimi "non integravano un dissenso radicale e insuperabile" in relazione al progetto. 16. Con il terzo motivo di gravame, l'appellante deduce il vizio di omessa pronuncia o, comunque, la carenza assoluta di motivazione in relazione alle censure articolate in primo grado che conseguentemente "vengono integralmente riproposte". 16.1. Con il primo motivo del ricorso introduttivo aveva prospettato l'illegittimità del diniego di autorizzazione unica adottato dalla Regione Puglia in data 26 giugno per una pluralità di ragioni. In estrema sintesi l'illegittimità del provvedimento - peraltro già accertata dal Consiglio di Stato con la più volte richiamate sentenza n. 4736 del 2015 - deriverebbe dai seguenti vizi: a) il provvedimento di diniego sarebbe stato fondato su pareri resi dalla Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici acquisiti al di fuori e dopo la conclusione della conferenza di servizi; b) sarebbe stato travisato il contenuto dei pareri espressi assumendo erroneamente che gli stessi recassero un radicale dissenso alla realizzazione della stazione di trasformazione Te. 380/Kv; c) l'illegittimità deriverebbe dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 4736 del 2015. Sempre col primo motivo del ricorso introduttivo (ribadendo, invero, concetti già espressi) insiste sull'illegittimità per violazione dell'art. 14-quater della l. n. 241/1990 e in ragione della circostanza che i pareri erano stati resi in sede diversa da quella in cui dovevano essere espressi, ossia fuori dal procedimento unico deputato al rilascio dell'autorizzazione alla realizzazione degli impianti elettrici alimentati da fonte rinnovabile, mentre l'art. 12 del d.lgs. n. 387/2003 prescrive espressamente che l'autorizzazione unica debba essere rilasciata all'esito di un procedimento unico al quale partecipano tutte le amministrazioni coinvolte, per il tramite della conferenza di servizi, con conseguente valutazione contestuale e sincrona di tutti gli interessi che vengono in rilievo. Sotto un ulteriore profilo, ad avviso della ricorrente - come parimenti già prospettato con il secondo motivo di appello - con i richiamati pareri del 13 e 14 maggio 2013 non sarebbe stato espresso un radicale dissenso alla realizzazione della stazione elettrica Terna nel Comune di (omissis), come risulterebbe altresì dimostrato dalla circostanza che nella nota prot. n. 0004445 del 28 maggio 2013, lo stesso Servizio Energia della Regione Puglia aveva espressamente affermato che: "la Soprintendenza ha rilevato alcune criticità ritenute superabili con l'apporto di modifiche al progetto proposto". L'appellante aveva dunque presentato le proprie osservazioni ma era poi intervenuto il provvedimento di diniego senza che venissero prese in considerazione le proposte progettuali alternative. 17. Infine, con riferimento all'elemento della colpa dell'amministrazione, l'appellante ritiene che essa possa essere desunta in via presuntiva dall'illegittimità del provvedimento oltre che dalla circostanza che era stato attribuito rilievo a pareri espressi tardivamente. 18. Non si è costituita in giudizio la Regione Puglia. 19. Il Collegio - trattenuta la causa in decisione all'udienza pubblica del 16 maggio 2024 - reputa che l'appello non possa essere accolto per le ragioni che di seguito si espongono. 20. Anche a prescindere dal profilo già evidenziato dal T.a.r., secondo cui vi sarebbe stata acquiescenza dell'odierna appellante desumibile dall'omessa impugnazione del provvedimento che ha autorizzato un solo impianto, la domanda risarcitoria non può essere accolta per due distinte ragioni, ciascuna delle quali di per sé assorbente. 21. In primo luogo, si deve rilevare che la complessità dell'iter che ha preceduto l'adozione dell'atto annullato può di per sé essere valutata alla stregua di un elemento sintomatico dell'assenza di profili di dolo o colpa dell'amministrazione. Sul punto, la prospettazione dell'appellante si riduce alla mera considerazione che la colpa sia suscettibile di essere desunta in via presuntiva dall'illegittimità del provvedimento. Tuttavia, in tal modo, l'appellante omette del tutto di considerare che l'illegittimità dell'atto amministrativo, poi annullato dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 4736 del 2015, era per contro stata esclusa in primo grado dal T.a.r. Puglia - Bari nell'ambito della sentenza n. 718 del 2014. Inoltre, anche nella pronuncia del Consiglio di Stato appena richiamata vi è un esplicito riconoscimento della complessità della vicenda amministrativa come si desume chiaramente dalla circostanza che già nel primo paragrafo il Collegio ha precisato che il diniego è stato adottato "All'esito di laborioso procedimento". In relazione ai due pareri resi rispettivamente dalla Sovrintendenza per i beni architettonici e paesaggistici n. 6976 del 15 maggio 2013 e dall'Ufficio parchi della Regione Puglia n. 4298 del 14 maggio 2013, il T.a.r., respingendo il ricorso, aveva rilevato che si trattava di "plurime e non censurabili valutazioni tecniche operate dalla Amministrazione regionale...costituenti espressioni di ampia discrezionalità tecnica, non inficiate da vizi macroscopici, a fronte di una motivazione estremamente dettagliata in ordine ai vari profili ostativi alla installazione del progetto proposto" e il Consiglio di Stato ha altresì riconosciuto che "deve convenirsi che i due pareri non possano considerarsi ex se irrilevanti o nulli". 22. In secondo luogo, pur essendo pacifica l'illegittimità del diniego, come risulta definitivamente accertato dalla più volte citata sentenza del Consiglio di Stato n. 4736 del 2015, l'odierna appellante non ha dimostrato la spettanza del bene della vita. La Wi. En. Pr. 2 S.p.a., infatti, avrebbe dovuto dare prova della circostanza che l'impianto, nella sua originaria versione con sei aerogeneratori, avrebbe dovuto essere autorizzato dall'amministrazione. Al riguardo si deve osservare che nel caso di specie viene in rilievo un'ipotesi riconducibile al risarcimento degli interessi legittimi pretensivi poiché il danno di cui la ricorrente, odierna appellante, chiede il ristoro viene fatto derivare dal mancato conseguimento del provvedimento di autorizzazione secondo l'originaria istanza. Tuttavia, con riferimento al risarcimento del danno derivante dalla lesione degli interessi legittimi pretensivi, secondo la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, non risulta sufficiente la mera illegittimità del provvedimento di diniego, dovendo, per contro, sussistere la prova che "l'esercizio illegittimo del relativo potere abbia leso un bene della vita del privato, che quest'ultimo avrebbe avuto titolo per mantenere o ottenere"; in questo senso, cfr. ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 17 agosto 2023, n. 7793; Cons. Stato, Sez. II, 1 settembre 2021, n. 6163. Questa Sezione, in tempi ancor più recenti, ha avuto modo di ribadire i principi testé richiamati precisando quanto che: "Il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica e costante dell'annullamento giurisdizionale di un provvedimento amministrativo, ma richiede la verifica di tutti i requisiti dell'illecito (condotta, colpa, nesso di causalità, evento dannoso) e, nel caso di richiesta di risarcimento del danno conseguente alla lesione di un interesse legittimo pretensivo, è subordinato alla dimostrazione, secondo un giudizio prognostico, con accertamento in termini di certezza o, quanto meno, di probabilità vicina alla certezza, che il provvedimento sarebbe stato rilasciato in assenza dell'agire illegittimo della pubblica amministrazione; ed infatti per danno ingiusto risarcibile ai sensi dell'art. 2043 cod. civ. si intende non qualsiasi perdita economica, ma solo la perdita economica ingiusta, ovvero verificatasi con modalità contrarie al diritto; ne consegue quindi la necessità, per chiunque pretenda un risarcimento, di dimostrare la c.d. spettanza del bene della vita, ovvero la necessità di allegare e provare di essere titolare, in base ad una norma giuridica, del bene della vita che ha perduto od al quale anela, e di cui attraverso la domanda giudiziale vorrebbe ottenere l'equivalente economico" (Cons. Stato, Sez. IV, 12 settembre 2023, n. 8282). Nel caso di specie, la società appellante non ha dato prova degli elementi che precedono, essendosi limitata a sostenere che il provvedimento di autorizzazione per un solo impianto non implicava di per sé che gli altri cinque fossero ex ante non autorizzabili. Tale rilievo - pur essendo condivisibile - non è tuttavia dirimente poiché l'appellante avrebbe dovuto dimostrare non già che gli altri non fossero "non autorizzabili ex ante", in senso negativo, bensì - al contrario e in senso quindi positivo - che sarebbero stati effettivamente autorizzati tutti e sei gli aerogeneratori oggetto della richiesta. In altri termini, la dimostrazione della spettanza del bene della vita doveva essere fornita non già negando che sussistessero elementi sufficienti per ritenere che gli impianti sarebbero stati in ogni caso "non autorizzati", bensì provando in senso positivo che essi dovevano essere effettivamente autorizzati. Il carattere solo ipotetico dell'autorizzabilità ex ante - in epoca quindi antecedente alla modifica del P.P.T.R. - risulta confermato anzitutto proprio dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 4736 del 2015, secondo cui i pareri "non integravano un dissenso radicale e insuperabile" e avrebbero pertanto dovuto comportare non già il diretto rilascio dell'autorizzazione unica secondo il progetto presentato dalla società, bensì la riconvocazione della conferenza di servizi. Sul punto, risulta particolarmente significativo il seguente passaggio della motivazione della sentenza: "Nell'alveo della riconvocanda conferenza di servizi, andava ricondotto l'esame dei profili di criticità espressi dai due pareri che, secondo quanto pure esattamente dedotto dall'appellante, non integravano un dissenso radicale e insuperabile, e che in ogni caso, pena l'elusione del principio del "dissenso costruttivo", andavano assoggettati a più puntuale e dialogico esame, al fine consentire sia puntualizzazioni e chiarimenti in ordine alle loro indicazioni, nonché eventuali ulteriori affinamenti progettuali tali da rendere del tutto compatibile con i valori paesistici e naturalistici la realizzazione della stazione elettrica a 380/150 kV collegata alla linea di rete di trasmissione nazionale a 380 kV Foggia-Larino, cui dovevano connettersi i vari parchi eolici". Dalla motivazione della pronuncia risulta, dunque, evidente che la legittima alternativa rispetto al diniego non sarebbe stata di per sé il rilascio dell'autorizzazione, bensì la riconvocazione della conferenza di servizi e un'ulteriore interlocuzione per rendere il progetto compatibile con i valori paesaggistici; del resto la sentenza ha anche precisato che con la nota dirigenziale prot. n. 3278 del 16 aprile 2013, per il cui tramite sono stati richiesti i pareri della Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Puglia e dell'Ufficio Parchi regionale, "si è, di fatto, provveduto a colmare una lacuna istruttoria rilevante". Conseguentemente, dalla stessa sentenza del Consiglio di Stato si desume chiaramente che non sussiste la prova della spettanza del bene della vita richiesto dal privato, poiché il rilascio dell'autorizzazione risultava ancora soltanto eventuale, occorrendo per l'appunto un ulteriore approfondimento istruttorio. Nella citata sentenza n. 4736 del 2015, del resto, si esclude espressamente la fondatezza della tesi, sostenuta dalla società, secondo cui la il provvedimento favorevole di V.INC.A. avrebbe assorbito ogni altro profilo; in proposito il Consiglio ha precisato infatti che: "Ne consegue che, almeno per tale aspetto, comunque decisivo, il primo ordine di censure è destituito di fondamento giuridico, non potendosi postulare l'invocato "assorbimento" nel provvedimento di V.INC.A. di valutazioni che non sono state espresse nel relativo subprocedimento". La stessa Soprintendenza, inoltre, aveva rilevato alcune criticità ritenute "superabili con l'apporto di modifiche al progetto proposto". 23. Infine, la prova della spettanza ab origine del bene della vita non può neppure essere desunta, per ragioni logiche prima ancora che giuridiche, dalla circostanza che ex post sia stato autorizzato un solo aerogeneratore sulla base della valutazione espressa dal Segretario Regionale del Mi.B.A.C.T. e confermata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri con la deliberazione del 20 gennaio 2017. Tale circostanza, infatti, dimostra per l'appunto soltanto che ex post è stato autorizzato un solo impianto ma non consente di trarre alcun elemento che deponga nel senso che ex ante fossero autorizzabili tutti gli impianti oggetto della richiesta. 24. In definitiva, dunque, come già osservato dal T.a.r., non è dimostrato che l'impianto con sei aerogeneratori avrebbe dovuto essere autorizzato senz'altro ab origine, con la conseguenza che, in difetto della prova della spettanza del bene della vita, la domanda risarcitoria - così come formulata dalla società - deve essere respinta, con integrale rigetto dell'appello. 25. Poiché l'amministrazione appellata non si è costituita in giudizio nulla si dispone in punto spese processuali. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Nulla sulle spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Neri - Presidente Francesco Gambato Spisani - Consigliere Giuseppe Rotondo - Consigliere Paolo Marotta - Consigliere Eugenio Tagliasacchi - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7690 del 2023, proposto da An. Al. ed altri, tutti rappresentati e difesi dall'Avvocato Se. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Treviso, via (...); contro Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del Ministero pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Consap - Concessionaria Servizi Assicurativi Pubblici s.p.a., non costituita in giudizio; Commissione Tecnica del Fondo Indennizzo Risparmiatori, non costituita in giudizio; nei confronti Ve. Ba. s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa, non costituita in giudizio; Ba. Po. di Vi. s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa, non costituita in giudizio; Ca. Gi., non costituita in giudizio; per la riforma della sentenza n. 2489 del 13 febbraio 2023 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, sez. II, resa tra le parti, che ha respinto il ricorso contro il silenzio proposto in primo grado dagli odierni appellanti e volto, previo riconoscimento dell'errore scusabile e conseguente rimessione in termini ex art. 37 c.p.a. dei ricorrenti, a fare comunque annullare in via subordinata i provvedimenti emessi nei confronti dei ricorrenti, prodotti dal n. 1 al n. 163) con cui è stato negato l'accesso al Fondo Indennizzo Risparmiatori (FIR) e, in particolare, nella parte in cui, dopo aver ritenuto insussistenti i requisiti per l'accesso all'indennizzo forfettario, hanno concluso che "in ragione di ciò, la Commissione tecnica di cui all'art, 1, co. 501, l. 30.12.2018, n. 145, ha deliberato che, nel caso di specie, non sussistono i requisiti per il riconoscimento dell'indennizzo previsto dalla richiamata normativa". visti il ricorso in appello e i relativi allegati; visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Economia e delle Finanze; visti tutti gli atti della causa; relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024 il Consigliere Massimiliano Noccelli e viste le conclusioni delle parti come da verbale; ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. I ricorrenti indicati in epigrafe sono risparmiatori danneggiati dalle vicende che hanno riguardato la Ve. Ba. e la Ba. Po. di Vi., poste entrambe in liquidazione coatta amministrativa. 1.1. Nel mese di febbraio 2020 hanno presentato domanda per ottenere l'erogazione di un indennizzo forfettario da parte del Fondo indennizzo risparmiatori (FIR) previsto dall'art. 1, comma 493, della legge del 30 dicembre 2018, n. 145, in favore dei risparmiatori danneggiati dalle banche poste in liquidazione coatta amministrativa, "dopo il 16 novembre 2015 e prima del 1° gennaio 2018", al ricorrere dei presupposti ivi stabiliti. 1.2. Nel periodo compreso tra il 7 dicembre 2021 e il 28 dicembre 2021 hanno ricevuto, tramite la piattaforma predisposta da parte di Cosap che gestisce le richieste di indennizzo, prima la comunicazione sul "cambio di stato" della loro domanda di indennizzo e dopo il rigetto della domanda. 1.3. In particolare, Consap faceva pervenire all'interessato la comunicazione secondo cui, testualmente, "in relazione alla Sua posizione, come certificato dall'AdE, non sono stati soddisfatti i requisiti reddito-patrimoniali ai fini dell'accesso alla procedura di indennizzo forfettario di cui all'art, 1, co. 502 bis, L. 30.12.2018, n. 145" e "in ragione di ciò, la Commissione tecnica di cui all'art, 1, co. 501, l. 30.12.2018, n. 145, ha deliberato che, nel caso di specie, non sussistono i requisiti per il riconoscimento dell'indennizzo previsto dalla richiamata normativa". 1.4. Benché la domanda di indennizzo forfettario fosse stata respinta da Consap, i ricorrenti hanno ritenuto che il procedimento per il riconoscimento dell'indennizzo non si fosse in realtà concluso in quanto l'amministrazione avrebbe dovuto comunque convertire la domanda di indennizzo forfettario (art. 1, comma 502-bis) in domanda di indennizzo ordinario (art. 1, comma 501) in virtù dell'auto-vincolo espresso con la Comunicazione della Segreteria Tecnica di Consap del 6 agosto 2020. 1.5. Quest'ultimo atto prevede infatti che in caso di controllo negativo sui requisiti reddituali posti a fondamento della domanda di indennizzo ordinario "sarà inviata all'utente apposita richiesta di integrazione istruttoria al fine di raccogliere, in primo luogo, l'eventuale dichiarazione sul possesso del requisito patrimoniale (< 100.000 euro), e, in secondo luogo ed in via alternativa - dunque in mancanza dei requisiti per l'accesso all'indennizzo forfettario - la documentazione relativa alle violazioni massive del T.U.F.". 1.6. Dopo aver diffidato in data 20 ottobre 2022 il Ministero dell'Economia e delle Finanze e Consap s.p.a. a concludere il procedimento mediante "passaggio alla procedura di indennizzo ordinaria di cui all'art. 1, co. 493, L. 30.12.2018, n. 145" previa acquisizione della "documentazione volta a comprovare il possesso dei relativi requisiti", gli istanti hanno impugnato avanti al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma (di qui in avanti, per brevità, il Tribunale), il silenzio formatosi sulla predetta diffida chiedendo di accertare "il silenzio-inadempimento delle Amministrazioni resistenti per quanto di rispettiva competenza, alla determinazione dalla Commissione Tecnica assunta nella seduta del 06.08.2021 e all'atto di diffida di cui sopra" ai sensi e per gli effetti degli artt. 31 e 117 c.p.a. 1.7. In via subordinata, i ricorrenti in prime cure hanno altresì proposto domanda di annullamento, previa rimessione in termini ex art. 37 c.p.a., dei provvedimenti emessi nei lori confronti con cui è stato negato l'accesso all'indennizzo forfettario di cui all'art. 1, comma 501, della l. n. 145 del 2018. 1.8. Le pubbliche amministrazioni intimate si sono costituite nel primo grado del giudizio soltanto formalmente. 1.9. All'udienza dell'8 febbraio 2023, dopo la discussione di rito, la causa è stata trattenuta in decisione dal primo giudice. 2. Il Tribunale, con la sentenza n. 2489 del 13 febbraio 2023, ha respinto il ricorso contro il silenzio. 2.1. In particolare, il primo giudice, richiamando la sentenza n. 664 del 29 gennaio 2023 di questa Sezione, ha statuito che non sussiste l'obbligo di provvedere sull'istanza di parte ricorrente in quanto l'amministrazione non è obbligata a convertire la domanda di indennizzo forfettario che è stata rigettata in domanda di indennizzo massivo, attesa l'autonomia dei due distinti procedimenti, né in base alla legge (all'art. 1, commi da 493/501-bis, della l. n. 145 del 2018), né in base ad atti di auto-vincolo (deliberazione della Segreteria Tecnica di Consap del 6 agosto 2020). 2.2. Di conseguenza, non sussistono gli estremi per concedere la rimessione in termini ai sensi dell'art. 37 c.p.a. al fine di poter ritenere tempestivamente impugnati i provvedimenti di rigetto delle domande di indennizzo forfettario conosciute nel mese di dicembre 2021. 2.3. Sempre secondo il primo giudice, infatti, i ricorrenti avrebbero con le loro censure posto una questione sostanziale, nell'assumere che l'art. 1, comma 501, della l. n. 148 del 2018 non preclude la possibilità di applicare il procedimento ordinario anche alle domande attivate tramite il canale dell'indennizzo forfettario (art. 1, comma 502-bis). 2.4. Si tratterebbe tuttavia di una questione che attiene al merito della controversia che non incide, in quanto tanto, sull'esercizio del potere processuale di reagire contro la comunicazione del rigetto della domanda di indennizzo forfettario ricevuto da Cosap che i ricorrenti avrebbero potuto senza altro impugnare anziché attendere la conversione del procedimento, conversione che, peraltro, non era stata neppure comunicata in via diretta. 3. Avverso questa sentenza hanno proposto appello gli interessati, meglio in epigrafe indicati, lamentandone l'erroneità, e ne hanno chiesto la riforma, al fine di far riconoscere, in via preliminare, l'errore scusabile e conseguentemente, previa rimessione in termini ex art. 37 c.p.a. dei ricorrenti, accogliere il ricorso di primo grado - se ritenuto necessario, anche previa sottoposizione della questione di costituzionalità formulata - e per l'effetto annullare i provvedimenti emessi nei confronti dei ricorrenti, prodotti dal n. 1 al n. 163, che hanno negato l'accesso all'indennizzo e, in particolare, nella parte in cui, dopo aver ritenuto insussistenti i requisiti per l'accesso all'indennizzo forfettario, hanno concluso che "in ragione di ciò, la Commissione tecnica di cui all'art, 1, co. 501, l. 30.12.2018, n. 145., ha deliberato che, nel caso di specie, non sussistono i requisiti per il riconoscimento dell'indennizzo previsto dalla richiamata normativa". 3.1. Si è costituito il Ministero appellato per eccepire l'inammissibilità e, nel merito, l'infondatezza dell'appello. 3.2. Nell'udienza pubblica del 28 maggio 2024 il Collegio, non essendo presenti i difensori delle parti, ha comunque rilevato d'ufficio, facendola constare a verbale, ai sensi dell'art. 73, comma 3, c.p.a., la questione inerente all'eventuale irricevibilità dell'appello per violazione del termine dimidiato di cui all'art. 87, commi 2 e 3, c.p.a. e, all'esito, ha trattenuto la causa in decisione. 4. L'appello è irricevibile. 5. Invero, come il Collegio ha rilevato d'ufficio nell'udienza pubblica del 28 maggio 2024, ai sensi dell'art. 73, comma 3, c.p.a., nell'assenza dei difensori delle parti (che non può precludere al Collegio, solo per la scelta di non presenziare all'udienza da parte di questi, la possibilità di indicare questioni rilevabili d'ufficio in udienza e di farle constare a verbale), l'appello presenta evidenti profili di irricevibilità (art. 35, comma 1, lett. c), c.p.a.) perché esso è stato notificato il 25 settembre 2023, ben oltre il termine di tre mesi dalla pubblicazione della sentenza impugnata. 6. Al riguardo si deve rammentare che il ricorso di primo grado era rivolto ai sensi dell'art. 117 c.p.a. contro il silenzio del Ministero sulla domanda di indennizzo proposta dagli appellanti e, dunque, essi avevano l'onere di impugnare la sentenza, che ha respinto la loro domanda, nel termine dimidiato previsto dall'art. 87, commi 2 e 3, c.p.a. (v., ex plurimis, C.G.A.R.S., sez. giurisd., 8 maggio 2013, n. 455). 6.1. Il rito sul silenzio è assoggettato a termini processuali dimezzati rispetto a quelli ordinari, salvo quelli concernenti la notificazione del ricorso introduttivo in primo grado (art. 87, commi 2 e 3, c.p.a.). 6.2. È noto che, secondo la previsione dell'art. 87, comma 3, c.p.a. (nel testo conseguente alle modifiche apportate dal primo correttivo del 2011), nei giudizi che si svolgono in camera di consiglio di cui al comma 2 - tra cui il giudizio in materia di silenzio - l'eccezione alla regola generale del dimezzamento dei termini processuali è circoscritta al solo giudizio di primo grado e, pertanto, tutti i termini processuali sono dimezzati rispetto a quelli del processo ordinario, tranne, nel giudizio di primo grado, quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti (cfr., ex plurimis, Cons. St., sez. IV, 27 giugno 2022, n. 5233). 6.3. Né in senso contrario nel caso qui in esame, a giustificare la tardiva proposizione dell'appello e rendere scusabile il relativo errore, può rilevare che la trattazione del ricorso in appello - a differenza di quanto accaduto, invece, ritualmente in primo grado - sia avvenuta in udienza pubblica anziché con il rito camerale, in quanto è pure noto - anzitutto agli stessi appellanti, che non potevano incolpevolmente ignorare tale dato normativo - che ai sensi dell'art. 87, comma 4, c.p.a. la trattazione in udienza pubblica non è causa di nullità della decisione, ma costituisce anzi una maggiore garanzia di contraddittorio per le parti. 7. Da tanto discende che l'appello, notificato oltre il termine lungo dimidiato di tre mesi dalla pubblicazione della sentenza, è irricevibile per tardività . 8. Le spese del presente grado del giudizio, considerato il rilievo officioso della questione nell'udienza pubblica del 28 maggio 2024 nell'assenza dei difensori, possono essere interamente compensate tra le parti. 8.1. Rimane definitivamente a carico degli appellanti il contributo unificato corrisposto per la proposizione dell'irricevibile gravame. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, proposto dai ricorrenti in epigrafe indicati, lo dichiara irricevibile per tardività . Compensa interamente tra le parti le spese del presente grado del giudizio. Pone definitivamente e solidalmente a carico degli appellanti il contributo unificato richiesto per la proposizione del gravame. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024, con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere, Estensore Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere Laura Marzano - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5839 del 2023, proposto da St. Ou. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ca. Di Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Bari, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ro. Ci., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Fa. Ca. in Roma, via (...); nei confronti Er. It. S.r.l. e Cl. Ch. It. S.p.A., non costituite in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Sezione Terza n. 1776/2022 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Bari; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 marzo 2024 il Cons. Daniela Di Carlo e uditi per le parti gli avvocati Ca. Di Gi. e Ro. Ci.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La società ricorrente ha appellato la sentenza di cui in epigrafe con la quale il Tar per la Puglia, Bari, ha respinto il suo ricorso per l'annullamento dell'ordinanza datata 25 ottobre 2021, n. 2021/03412, con cui le è stata ingiunta la rimozione degli impianti pubblicitari installati sul suolo comunale. In particolare, il provvedimento comunale è stato motivato con il riferimento al fatto che "è spirato alla data del 22 settembre 2021 il termine per la presentazione delle offerte nell'ambito della procedura selettiva cod. S21010 bandita con avviso pubblico del 14.05.2021 relativa a "affidamento in concessione degli spazi comunali per l'installazione dei gruppi omogenei di mezzi pubblicitari sul suolo pubblico di cui all'art. 9 del regolamento sulla Pubblicità, suddiviso in venti lotti" e che, per l'effetto e ai sensi della D.G.C. n. 40/2021, è consentita la permanenza sul territorio ai soli operatori, titolari di impianti e proponenti offerta, limitatamente agli impianti oggetto della relativa dichiarazione di permanenza; la permanenza sul territorio comunale oltre il termine di cui alla D.G.C. n. 40 del 22.01.2021 è consentita ai soli operatori economici che hanno presentato dichiarazione di permanenza e risultano aver formulato l'offerta di gara, in linea con le risultanze della prima fase di controllo di regolarità formale della documentazione amministrativa dichiarate da ultimo con la determina n. 1442 del 01.10.2021 da parte della Ripartizione Stazione Unica Appaltante, Contratti e Gestione LL.PP; l'amministrazione comunale può agire in autotutela ai sensi dell'art. 823, co. 2 del codice civile al fine della tutela dei beni sottoposti al regime del demanio pubblico di cui all'art. 822, co. 2 c.c.; l'art. 1, co. 822, della legge n. 160/2019 attinente al Bilancio di previsione dello Stato per l'anno 2020 prevede la "rimozione delle occupazioni e dei mezzi pubblicitari privi della prescritta concessione o autorizzazione o effettuati in difformità dalle stesse". In merito alla situazione specifica della società ricorrente, veniva infatti rilevato che l'operatore economico "è presente sul territorio comunale con impianti su suolo pubblico, ha presentato dichiarazione di permanenza ai sensi della D.G.C. 40/2021, ricevuta dalla scrivente ripartizione con nota prot. 027868 del 03.02.2021, ha presentato offerta nei termini indicati dagli atti della procedura ad evidenza pubblica S21010 ma è stata esclusa per mancata regolarizzazione della documentazione amministrativa ai sensi dell'art. 83, co. 9 del d.lgs. 50/2016". Senonché, è poi accaduto che la società abbia impugnato la suddetta esclusione dalla procedura con ricorso n. 1148/2021, riportando vittoria nel giudizio. Riammessa quindi alla procedura, ne ha conseguito anche la definitiva aggiudicazione. Reclama pertanto ora, con il ricorso in oggetto, la illegittimità dell'ordine di rimuovere gli impianti pubblicitari, essendo stato definitivamente acclarato in via giudiziale, seppure in via postuma rispetto all'adozione dell'atto impugnato, il suo diritto a partecipare alla procedura di aggiudicazione, finanche poi vinta. 2. Il Tar adito ha prescisso dall'esame delle preliminari eccezioni di inammissibilità sollevate dal Comune intimato e ha respinto il ricorso, tuttavia compensando le spese del giudizio. 3. La società ricorrente ha riproposto le originarie censure, articolate quali ragioni di critica specifica avverso la sentenza impugnata, così nella sostanza devolvendo alla odierna cognizione tutta l'originaria materia del contendere. In particolare, la stessa ha dedotto: 1) la violazione e falsa applicazione della delibera di Giunta comunale n. 40 del 22 gennaio 2021 e degli atti deliberativi presupposti, pregressi, successivi o comunque collegati, ivi compreso il regolamento comunale, delibera di c.c. n. 114/2017 - violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3, legge n. 241/1990, art. 97 Cost. - eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità manifesta, contraddittorietà ; 2) sotto diverso profilo, la violazione e falsa applicazione della succitata delibera n. 40/2021 e di quella, a essa presupposta, n. 963 del 4 dicembre 2020, unitamente agli ulteriori atti, a essa pure connessi e presupposti - violazione e falsa applicazione dell'art. 41 Cost., dell'art. 10, d.lgs. n. 59/2010, nonché dell'art. 48, commi 1 e 2, del regolamento sulla pubblicità, approvato con delibera di c.c. n. 114/2017 - violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3, legge n. 241/1990 - violazione del principio di proporzionalità e contrasto con i principi di cui all'art. 97 Cost. - eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità manifesta, contraddittorietà, sviamento di potere - violazione e falsa applicazione dell'art. 42 del T.u.e.l. - violazione dei principii di libera concorrenza. 4. Il Comune di Bari ha resistito al gravame e ne ha chiesto la reiezione. 5. Le parti hanno ulteriormente insistito sulle rispettive tesi difensive. 6. Alla udienza pubblica del 12 marzo 2024, la causa è passata in decisione. 7. Anzitutto va respinta l'eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado riproposta dal Comune appellato in quanto la rimozione degli impianti, contrariamente a quanto si afferma nel corpo dell'ordinanza di rimozione impugnata, non rappresenta una misura applicativa della delibera giuntale n. 40/2021, di talché non può condividersi l'eccezione di tardività della sua impugnazione e di quella della presupposta delibera giuntale n. 963/2020. L'applicazione dei precetti promananti dalla delibera in parola, infatti, inerenti all'obbligo di rimozione degli impianti esistenti, deve ritenersi riferibile solo agli operatori che non avevano partecipato alla procedura per l'assegnazione dei lotti, e non anche a quelli che, come la società ricorrente, vi avevano preso parte, indipendentemente dalle vicende che poi ne sono seguite (esclusione, impugnativa dell'esclusione, riammissione alla gara per effetto dell'accoglimento del ricorso, finanche l'aggiudicazione definitiva). 8. Nel merito, l'appello è fondato. La questione giuridica sottesa alla materia del contendere può così sintetizzarsi. Se, come motivato dal Comune di Bari e ritenuto dal Tar, la permanenza degli impianti di affissione deve essere fatta dipendere dalla ammissione della società alla gara, allora l'atto di rimozione impugnato va ritenuto legittimo, in quanto il vaglio di legittimità va necessariamente ancorato alla situazione di fatto e di diritto esistente al tempo della sua emanazione, quando cioè la società era stata dichiarata esclusa dalla procedura. Secondo questa ricostruzione esegetica, in particolare, il fatto che poi la società abbia impugnato la propria esclusione, abbia riportato vittoria nel giudizio e sia stata di conseguenza riammessa alla gara, addirittura aggiudicandosela, rappresenterebbero, tutti, nella sostanza, dei postfatti irrilevanti ai fini dell'adozione dell'atto, che resterebbe così insensibile alle sopravvenienze di fatto e giuridiche poi effettivamente verificatesi. Se invece, come propugnato dalla società ricorrente, la permanenza degli impianti di affissione va fatta dipendere dalla propria effettiva partecipazione alla gara, allora l'atto impugnato deve di conseguenza reputarsi illegittimo in quanto lo stesso non ha considerato che l'esclusione dalla gara era sub iudice e quindi, nelle more, l'Amministrazione non avrebbe potuto provvedere o, se già lo avesse fatto, l'atto avrebbe poi dovuto essere rimosso, rappresentando il sopravvenuto accertamento giurisdizionale del diritto a partecipare alla gara, in conseguenza della avvenuta caducazione dell'atto di illegittima esclusione, il necessario antefatto logico-giuridico rispetto all'ordine di rimozione degli impianti pubblicitari. 9. Ad avviso del Collegio, la ricostruzione esegetica corretta è la seconda. Deve anzitutto precisarsi che non è qui in discussione, e va anzi condivisa, la parte della sentenza in cui il primo giudice con articolata motivazione ricostruisce il quadro giuridico di riferimento alla base della riorganizzazione del sistema pubblicitario nel Comune di Bari, quale atto generale di programmazione e indirizzo nel trapasso dal sistema autorizzatorio a quello concessorio ai fini di programmazione e controllo, di attuazione dei principi costituzionali in materia di concorrenza e libertà economica di impresa e di quelli dell'evidenza pubblica, europea e nazionale. In particolare, è corretto affermare che il riordino di questo specifico settore di mercato è stato graduale ed è stato posto in essere attraverso la proroga del mantenimento degli impianti pubblicitari esistenti alla condizione che l'operatore economico interessato a continuare ad esercitare la propria attività imprenditoriale abbia manifestato in tal senso il proprio perdurante interesse attraverso l'apposita presentazione di domanda di partecipazione alla gara per le nuove assegnazioni degli spazi. In linea, infatti, con l'esigenza di ripensare il previgente regime basato su autorizzazione ad un sistema competitivo incentrato su rilascio di titolo concessorio, l'Amministrazione comunale ha programmato l'indizione di procedure di evidenza pubblica per l'assegnazione dei suoli pubblici sui quali consentire ai privati imprenditori di installare o mantenere i propri cartelloni pubblicitari. Senonché, rispetto a tale condivisibile premessa generale, ciò che però non può essere condiviso è l'esito decisionale al quale è giunto il primo giudice, sulla base del ragionamento logico-giuridico incentrato sul concetto di ammissione alla gara, piuttosto che di effettiva partecipazione alla stessa, che lo ha portato a valutare la legittimità dell'atto impugnato considerando unicamente l'avvenuta esclusione della società ricorrente dalla gara, ma non anche le conseguenze giuridiche che ne sono poi derivate. In particolare, non è condivisibile la parte della sentenza in cui si motiva "(c)he poi la fine del regime transitorio sia stata individuata nella scadenza del termine per la presentazione delle offerte di partecipazione alla gara e sia coincisa, per la società ricorrente, nel momento in cui ne è stata decretata l'esclusione per mancata produzione di documentazione ritenuta necessaria, riflette coerentemente l'impostazione generale del Comune, ed è conseguenza ragionevole di un programma attraverso il quale, lo si ripete, il regime concessorio soppianta definitivamente le autorizzazioni ad installare i cartelloni pubblicitari" e che "(l)a decisione di rimuovere gli impianti della ricorrente, contrariamente a quanto sottolineato dalla difesa della stessa, è del tutto adeguata e proporzionata al fine pubblico perseguito, che è quello di ampliare il mercato degli operatori del settore attraverso una procedura selettiva in linea con la libertà di impresa tutelata in sede sovranazionale, e assolutamente non in contrasto con l'art. 41 della Costituzione". Ritiene infatti il Collegio che non possano imputarsi alla ricorrente, peraltro risultata illegittimamente esclusa dalla gara, gli effetti pregiudizievoli conseguenti all'adozione dell'ordine di rimozione qui impugnato, dal momento che se per un verso è corretto affermare che la legittimità dell'atto va valutata sulla base delle circostanze di fatto e di diritto esistenti al momento della sua emanazione, per un altro verso è anche corretto affermare che nelle suddette circostanze rientrano pure le vicende successive che ne sono seguite. Di conseguenza, il Comune di Bari non avrebbe potuto obliterare le conseguenze derivanti dall'avere adottato l'atto di esclusione della società ricorrente dalla gara, ma anzi avrebbe dovuto considerare, nella pienezza dello svolgimento del rapporto tra le parti, l'impugnativa proposta dalla società esclusa e gli esiti giudiziari che ne sarebbero seguiti, essendo l'ordine di rimozione basato su un atto, ossia l'esclusione della gara, ancora sub iudice. Nemmeno possono poi essere condivise le motivazioni della sentenza nella parte in cui fa riferimento alla ritenuta corretta applicazione dei principi costituzionali in materia di libertà economica di impresa "in un quadro di bilanciamento doveroso con altri interessi ritenuti parimenti meritevoli di protezione al più alto livello normativo" e al fatto che "nel caso in esame, a fronte della pretesa della società ricorrente di beneficiare di una ulteriore proroga del mantenimento dei propri impianti pubblicitari, nonostante la scadenza abbondantemente consumata del regime transitorio fissato con il regolamento, è decisamente prevalente il pubblico interesse dell'amministrazione comunale a porre in essere una procedura selettiva per l'assegnazione dei suoli pubblici di localizzazione degli impianti, in modo tale da aprire al mercato e favorire la concorrenza, che della libertà di iniziativa economica costituisce un precipitato tecnico irrinunciabile". Tale lettura si appalesa infatti sproporzionata ed eccessiva rispetto alla legittima finalità perseguita dagli atti di programmazione generale del Comune, in quanto ha l'effetto di traslare la responsabilità gravante sul Comune per la corretta conduzione della gara in capo alla società ricorrente per la subita illegittima esclusione dalla gara. Di conseguenza, proprio nell'ottica di una lettura costituzionalmente orientata ad attuare un regime effettivamente paritario e concorrenziale fra gli operatori economici, non può ritenersi legittimo l'operato dell'Amministrazione comunale, in quanto lo stesso condurrebbe a discriminare la società ricorrente rispetto alle altre imprese concorrenti, pur avendo anch'essa, come queste ultime, legittimamente manifestato il proprio perdurante interesse alla prosecuzione dell'attività economica attraverso la partecipazione alla gara. 10. In definitiva, l'appello va accolto. 11. Le spese del doppio grado di giudizio possono compensarsi attesa la novità delle questioni esaminate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e di conseguenza annulla l'atto impugnato. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Marco Lipari - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Daniela Di Carlo - Consigliere, Estensore Sergio Zeuli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9542 del 2023, proposto da: Er. Pa., rappresentata e difesa dall'avvocato Cr. Pe. Qu., con domicilio digitale pec in registri di giustizia contro Università degli studi di Siena, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Il. D'A. e Br. Pi., con domicilio digitale pec in registri di giustizia per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, sezione prima, n. 945/2023. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Università degli studi di Siena; Visti tutti gli atti della causa; Relatore il Cons. Laura Marzano; Udito, nell'udienza pubblica del giorno 21 maggio 2024, l'avvocato Cr. Pe. Qu.; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con atto notificato in data 4 dicembre 2023 la dott.ssa Er. Pa. ha impugnato la sentenza del Tar Toscana, sezione IV, n. 945 del 18 ottobre 2023 con cui è stato respinto il ricorso proposto per l'annullamento: - del provvedimento di mancata iscrizione, in favore di parte appellante, ad anno successivo al primo del corso di laurea in medicina e chirurgia a.a. 2022/2023, in relazione ai posti resi disponibili giusto decreto-bando dell'Università degli Studi di Siena denominato "Corso di laurea in Medicina e chirurgia Avviso pubblico per l'accesso agli anni successivi al primo - anno accademico 2022/2023"; - del decreto di approvazione atti e della graduatoria definitiva degli ammessi ad anni successivi al primo al corso di laurea magistrale a ciclo unico in medicina e chirurgia, emanate con Decreto Rettorale prot. 38971 del 21 febbraio 2023, per il III anno di corso, per il IV anno di corso, per il V anno di corso, nella parte in cui non collocano parte appellante in posizione utile alla iscrizione, nonché, ove occorra, di tutti i provvedimenti in essa richiamati e/o menzionati, nonché dei successivi scorrimenti delle graduatorie predette; - della omessa e/o errata valutazione della domanda di partecipazione della appellante alla procedura concorsuale riferita all'ammissione al IV anno del corso di laurea in medicina e chirurgia, e/o, comunque, a quella del III o V anno; - del decreto-bando, emanato dal Rettore dell'Università indicata in epigrafe, relativo alle procedure di ammissione ad anni successivi al primo del corso di laurea in medicina e chirurgia a.a. 2022/2023, nonché, ove occorra, di tutti i provvedimenti in esso richiamati e/o menzionati ovvero delle pregresse relative delibere, ancorché non conosciute, adottate dagli organi accademici competenti; - dei criteri di valutazione delle candidature e dei curricula adottati dall'Ateneo ai fini della predisposizione della graduatoria finale per l'accoglimento o meno delle istanze di iscrizione in questione, nonché di tutti i relativi atti ed i verbali; - della valutazione delle istanze da parte della Commissione all'uopo nominata, nonché di tutti i relativi atti ed i verbali, ivi compresi quelli oggetto di ostensione da parte dell'Università di Siena, giusta nota 2023-UNSISIE-0069989 dell'11 aprile 2023 e, segnatamente, dei verbali della Commissione per l'esame delle domande pervenute per l'accesso agli anni successivi al primo del corso di laurea in medicina e chirurgia (a.a. 2022-2023) nominata dal Comitato per la didattica nella seduta del 17 novembre 2022: 1. Verbale del 19 dicembre 2022 e relativi allegati; 2. Verbale del 24 gennaio 2023 e relativi allegati; 3. Verbale del 10 febbraio 2023 e relativi allegati; 4. Verbale del 21 marzo 2023 e relativi allegati; - della determinazione dell'Università in epigrafe del numero dei posti per trasferimento e passaggio di sede ad anno successivo al primo, a valere sul corso di laurea in medicina e chirurgia per l'a.a. 2022/2023, degli atti ed i verbali a tale determinazione relativi e dell'istruttoria compiuta a tale riguardo. La domanda di misure cautelari monocratiche è stata respinta con decreto n. 4887 del 5 dicembre 2023. L'Università appellata si è costituita nel presente grado di giudizio con memoria del 27 dicembre 2023, con cui ha chiesto la reiezione dell'appello. Con ordinanza n. 27 del 10 gennaio 2024 la sezione, in considerazione del contenuto della decisione impugnata e del necessario bilanciamento dei diversi interessi, ha fissato l'udienza per la trattazione dell'appello avendo ritenuto che le ragioni fatte valere dall'appellante possano essere efficacemente tutelate attraverso la sollecita definizione del giudizio. In vista della trattazione le parti hanno depositato memorie conclusive. Con atto depositato il 15 maggio 2024 l'amministrazione ha chiesto la decisione della causa sugli scritti. All'udienza pubblica del 21 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 2. Oggetto del giudizio è il mancato inserimento dell'appellante, in qualità di candidata già laureata in odontoiatria, nella graduatoria per l'iscrizione al quarto anno del corso di medicina e chirurgia presso l'Università degli studi di Siena per l'anno accademico 2022/2023, in posizione utile per potersi immatricolare, avendo conseguito un punteggio che non la colloca nei primi sei classificati, corrispondenti ai posti disponibili per il quarto anno. Unitamente alla graduatoria, la ricorrente in primo grado ha impugnato anche una serie di atti che, a suo dire, per ragioni di metodo e di merito, avrebbero condizionato negativamente la compilazione della graduatoria. La premessa che precede e l'elencazione degli atti impugnati è essenziale per perimetrare l'oggetto del presente giudizio e per sgombrare il campo da possibili equivoci indotti da alcuni atti depositati e da varie argomentazioni difensive. Rileva il Collegio, infatti, che l'appellante ha depositato nel presente grado di giudizio un documento (doc. B), che indica essere il ricorso di primo grado: tale atto, tuttavia, firmato digitalmente in data 23 ottobre 2024, non corrisponde né per contenuto né per data, al ricorso introduttivo del presente giudizio essendo un ricorso che la parte (verosimilmente) ha proposto o aveva intenzione di proporre al Tar Toscana incardinando un ulteriore giudizio, avente il diverso oggetto concernente il riconoscimento della carriera di provenienza della ricorrente, di cui al provvedimento adottato dal Comitato per la didattica del corso di laurea specialistica/magistrale in medicina e chirurgia dell'Università degli studi di Siena, al relativo verbale recante prot. n. 0155921 del 2 agosto 2023 ed atti successivi. Il contenuto di tale impugnazione non risulta trasfuso nel presente giudizio mediante la proposizione di motivi aggiunti, sicché la tematica del riconoscimento della carriera di provenienza della appellante e della convalida degli esami sostenuti nel corso di laurea in odontoiatria è estranea al thema decidendum. Tali atti successivi, peraltro, in quanto non impugnati nel presente giudizio, assumono comunque rilevanza ai fini della decisione del presente contenzioso. 3. Chiarito e definito l'ambito del giudizio, devono essere riportate le vicende fattuali della presente controversia. L'appellante ha presentato istanza per l'iscrizione ad anno successivo al primo del corso di laurea in medicina e chirurgia per l'anno accademico 2022/2023, indetta con decreto-bando dell'Università degli studi di Siena denominato "Corso di laurea in Medicina e chirurgia Avviso pubblico per l'accesso agli anni successivi al primo - anno accademico 2022/2023", chiedendo l'iscrizione al IV anno del corso di laurea in medicina e chirurgia, in quanto studentessa già laureata in odontoiatria e protesi dentaria (conseguita presso l'Università degli studi di Perugia nel 2006) e, pertanto, in ragione del possesso di CFU sufficienti ad ottenere l'immatricolazione richiesta. Nella procedura di iscrizione al IV anno ella ha ottenuto il riconoscimento di 75 punti (a suo dire errati in difetto), calcolati sulla base del criterio e del coefficiente stabilito dall'art. 4, lett. B, del bando, posizionandosi in graduatoria in posizione non utile ai fini della ammissione al relativo corso di laurea. Quindi, avendo rilevato incongruenze nelle graduatorie (incluse quelle del terzo e del quinto anno) e nella propria valutazione, anche in merito all'applicazione dei criteri dettati dal bando, ha presentato all'Università istanza di accesso agli atti, volta a conoscere tutti gli atti e i verbali della commissione di ateneo all'uopo preposta. L'Università ha fornito riscontro, con nota dell'11 aprile 2023, ostendendo i seguenti verbali: 19 dicembre 2022 e relativi allegati; 24 gennaio 2023 e relativi allegati; 10 febbraio 2023 e relativi allegati; 21 marzo 2023 e relativi allegati. Tali atti, unitamente alle tre graduatorie e agli atti di indizione della procedura (in epigrafe elencati), sono stati impugnati dinanzi al Tar Toscana per i seguenti motivi: I. Illegittimità delle graduatorie del III, IV e V anno di cui all'"Avviso pubblico per l'accesso agli anni successivi al primo - anno accademico 2022/2023" dell'Università di Siena. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 33, 34 e 97 della costituzione - Violazione e falsa applicazione del Bando dell'Università . Eccesso di potere. Illogicità . Violazione del giusto procedimento; II. Illegittimità della valutazione della carriera universitaria di provenienza della ricorrente, con particolare riguardo al punteggio attribuitole nella graduatoria del IV anno. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 33, 34 e 97 della costituzione. Violazione e falsa applicazione del decreto interministeriale del 9 luglio 2009 del Ministro dell'istruzione dell'università e della ricerca di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e l'Innovazione. Violazione e falsa applicazione del bando dell'Università . Eccesso di potere. Illogicità . Violazione del giusto procedimento; III. Illegittimità delle graduatorie del III, IV e V anno di cui all'"Avviso pubblico per l'accesso agli anni successivi al primo - anno accademico 2022/2023" dell'Università di Siena. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 33, 34 e 97 della costituzione. Violazione e falsa applicazione del bando dell'Università . Violazione e falsa applicazione del verbale della commissione del 24 gennaio 2023 prot. n. 24497 dell'8 febbraio 2023. Eccesso di potere. Illogicità . Violazione del giusto procedimento; IV. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 33, 34 e 97 della costituzione. Eccesso di potere. Illogicità . Violazione del giusto procedimento; V. Illegittima determinazione del contingente di posti per l'ammissione e/o trasferimento e/o passaggio ad anno successivo al primo del corso di laurea in medicina e chirurgia presso l'Università degli Studi di Siena a.a. 2022/2023. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 33, 34 e 97 della costituzione. Violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della legge n. 264/1999. Violazione e falsa applicazione dell'art. 6 ter del decreto legislativo n. 502/1992. Eccesso di potere. Illogicità . Sviamento per carente od insufficiente motivazione. Violazione del giusto procedimento per carenza di adeguata attività istruttoria. Eccesso di potere. Illogicità e contraddittorietà . Il Tar Toscana con ordinanza n. 179 del 25 maggio 2023 ha accolto l'istanza cautelare, disponendo l'ammissione con riserva della ricorrente al quarto anno del corso di medicina e chirurgia, anche in sovrannumero, con la seguente motivazione: "Considerato che ad un primo esame della fase cautelare appare fondato il primo motivo del ricorso nella parte in cui si deduce la violazione del bando laddove si è previsto che dovevano essere "ammessi alla graduatoria dell IV° anno coloro il cui punteggio calcolato secondo quanto previsto al precedente punto b) sia compreso tra 71 e 105 CFU"; Ritenuto che la previsione del possesso dell'ulteriore requisito delle iscrizioni agli anni precedenti, appare alla base del mancato rispetto delle soglie e degli scaglioni di CFU ai fini dell'inserimento della graduatoria di ciascun anno; Rilevato che, nel contemperamento dei diversi interessi coinvolti, appare prevalente l'interesse a consentire l'immatricolazione, con riserva e in caso anche in sovrannumero della ricorrente, al IV anno del corso di laurea in medicina e chirurgia presso l'Università in epigrafe". L'Università di Siena, quindi, in esecuzione dell'ordinanza, ha disposto l'iscrizione dell'appellante al IV anno del corso di laurea in medicina e chirurgia, con conseguente inserimento della stessa nel percorso formativo di Ateneo. Tuttavia, con sentenza n. 945 del 18 ottobre 2023, il Tar ha respinto il ricorso e, di conseguenza, l'Università di Siena, con decreto rettorale prot. 206848 del 3 novembre 2023, ha disposto l'annullamento dell'iscrizione al corso di laurea in medicina e chirurgia della appellante. 4. Le motivazioni poste alla base della suindicata sentenza possono così schematizzarsi: - sono infondati i primi due motivi con i quali si sostiene che la graduatoria sarebbe illegittima, in quanto contrastante con le prescrizioni del bando e, ciò, in conseguenza dell'introduzione da parte della commissione di un nuovo sottocriterio, non previsto dallo stesso bando, che avrebbe impedito alla ricorrente di essere in posizione utile per essere iscritta al quarto anno del corso di laurea in medicina, in quanto, sebbene "È la stessa Università di Siena ad ammettere che la Commissione ha integrato i criteri del bando prevedendo che, oltre ad essere in possesso dei CFU sopra citati, i candidati dovevano essere iscritti agli anni precedenti a quello nel quale intendevano concorrere", "Ad un più attento esame questo Tribunale ritiene che, malgrado una non chiarissima previsione del bando, la Commissione non avrebbe potuto che applicare il criterio sopra descritto" atteso che il decreto ministeriale del 16 marzo 2007 "prevede che il corso di Laurea in medicina ha una durata pari a sei anni e, in quanto tale, non è suscettibile di essere ridotto ad un numero di anni inferiore", quindi quello contestato "non è suscettibile di essere qualificato quale un "nuovo" criterio, in quanto la Commissione si è limitata ad applicare la disciplina vigente, meglio precisando quanto già contenuto (in modo forse non del tutto intellegibile) nel bando di concorso nella normativa vigente e, ciò, nell'intento di evitare l'abbreviazione della durata del corso di laurea a ciclo unico di Medicina e Chirurgia, avente necessariamente una durata legale di almeno 6 anni"; - "Analoghe considerazioni possono essere estese con riferimento alla conversione dei voti dei candidati provenienti dalle Università straniere che non adottano il sistema in 30esimi, laddove la Commissione ha previsto che, per il calcolo della relativa media, venissero utilizzate le apposite tabelle di conversione allegate al Decreto Direttoriale n. 909 del 2002"; - non è condivisibile l'argomentazione diretta ad affermare che la commissione avrebbe dovuto attribuire alla ricorrente 360 CFU in luogo dei 300 riconosciuti nella valutazione del corso di laurea in odontoiatria (secondo motivo di ricorso), atteso che la valutazione della commissione è stata posta in essere in applicazione del DM n. 583 del 24 giugno 2022 laddove prevede che il giudizio sia strettamente attinente al percorso formativo compiuto dallo studente e che, in ogni caso, non risulta superata la prova di resistenza in quanto, anche laddove alla ricorrente fossero stati riconosciuti i 360 CFU richiesti, ella avrebbe raggiunto un punteggio di 90 (calcolato sempre con il criterio e il coefficiente di cui all'art. 4, lett. B, del bando, comunque non sufficiente a collocarsi nei primi 6 posti; - è infondato il terzo motivo, con il quale si sostiene che sarebbe illegittimo il criterio previsto dalla commissione secondo il quale non potevano essere conteggiati due volte i CFU in caso di presentazione di più carriere da parte di uno studente avendo invece la commissione precisato che in caso di "candidati che abbiano presentato più carriere non sono conteggiati i CFU che risultano chiaramente convalidati dalla carriera pregressa presentata a favore di quella più recente", così evitando di conteggiare due volte gli stessi CFU; - attengono all'esercizio di un potere discrezionale le censure contenute nel quarto e nel quinto motivo con le quali si è contestata l'attribuzione di un coefficiente di 0,25 per la laurea in odontoiatria e, ancora, il numero dei posti messi a concorso dall'amministrazione, essendo congruo il coefficiente "in quanto la commissione ha valutato un percorso di laurea secondo il vecchio ordinamento (quale è quello conseguito dalla ricorrente), corso che non appartiene alla classe di laurea di Medicina e Chirurgia, ma ad una classe di laurea diversa" ed avendo il decreto ministeriale n. 583 del 24 giugno 2022, nel chiarire le modalità concrete con le quali gli atenei devono calcolare i posti disponibili per ciascun anno di corso, escluso la possibilità di iscrivere gli studenti oltre i posti disponibili vietando, altresì, le iscrizioni in sovrannumero. 5. L'appello è affidato ai motivi di seguito sintetizzati. 1) Con il primo motivo la sentenza impugnata è censurata per contraddittorietà fra la motivata soluzione adottata in cautelare e la poco motivata soluzione adottata nella decisione di merito, sia con riferimento alla violazione delle regole del bando per quanto riguarda il range di punteggio previsto per l'inserimento in ciascuna graduatoria, sia per l'illegittima introduzione del criterio aggiuntivo da parte della commissione, consistente nel richiedere che i candidati "abbiano almeno 2 anni di iscrizioni pregresse in altro o altri corsi di laurea", per l'iscrizione al terzo anno, ovvero 3 anni per l'iscrizione al quarto anno e 4 anni per l'iscrizione al quinto anno. Lamenta che l'introduzione di tale ulteriore criterio, non indicato nel bando, avrebbe completamente falsato le graduatorie, in quanto avrebbe svilito e disapplicato le soglie e gli scaglioni di CFU per l'ingresso nella graduatoria di un anno piuttosto che in quella di un altro anno. 2) Con il secondo motivo lamenta che la valutazione della sua carriera pregressa e il punteggio attribuitole dalla commissione sarebbe errato, poiché in contrasto con il decreto interministeriale del 9 luglio 2009 del Ministro dell'istruzione dell'università e della ricerca di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e l'Innovazione, il quale all'allegato 1, recante la tabella di equiparazione, stabilisce che la laurea in odontoiatria e protesi dentaria di cui al vecchio ordinamento (52/S Odontoiatria e protesi dentaria) è equiparata a quella del nuovo (LM-46 Odontoiatria e protesi dentaria), la quale ultima prevede un numero di crediti formativi universitari (CFU) pari a 360, come peraltro risulta dalla attestazione del sito dell'Università di Perugia, depositata in atti. Quindi ritiene che quale base di calcolo per il coefficiente moltiplicatore, si sarebbe dovuto assumere il numero di CFU pari a 360 e non 300, come erroneamente avrebbe fatto la commissione. Censura pertanto quanto deliberato dalla commissione nel verbale del 24 gennaio 2023 in cui si legge: "La Commissione, seguendo le indicazioni del detto avviso pubblico e i criteri per l'esame delle domande valide declinati nella seduta del 19 dicembre 2022, precisa inoltre quanto segue: - i candidati laureati nei corsi di laurea appartenenti a ordinamenti nei quali non erano previsti CFU ma solo annualità sono valutate per 60 CFU per ciascun anno della durata legale del corso al momento del conseguimento del titolo". Tale criterio di valutazione (che ha determinato la riduttiva valutazione dei CFU) sarebbe illegittimo sia perché introduce un criterio di valutazione non previsto dal bando, sia perché contrasta con il richiamato decreto interministeriale. 3) Con il terzo motivo l'appellante censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto infondato il terzo motivo facendo rilevare che, diversamente da quanto erroneamente interpretato dal Tar, la censura formulata in primo grado riguardava non il criterio (secondo cui chi avesse più lauree non poteva far valere CFU già conteggiati in ragione della prima laurea) in sé, bensì la violazione del suddetto criterio evidenziando che, quanto meno per i concorrenti individuati specificamente nel ricorso, la commissione avrebbe conteggiato per due volte gli stessi CFU. Sostiene che tali candidati, in virtù del sistema di calcolo (moltiplicatore) del punteggio dei CFU previsto dal bando, sarebbero stati avvantaggiati avendo visto considerata una duplicazione delle proprie carriere. 4) Con il quarto motivo l'appellante censura la sentenza nella parte in cui avrebbe, a suo dire, liquidato sbrigativamente il quarto motivo di ricorso, sulla scorta della discrezionalità di cui gode la commissione (rectius l'amministrazione). Osserva che la censura, in questo caso, riguardava l'illogicità del coefficiente moltiplicatore indicato dal bando per la laurea in odontoiatria e protesi dentaria. Sostiene che il coefficiente di 0, 25 sarebbe: - riduttivo perché non terrebbe conto che il corso di odontoiatria ha il primo biennio, praticamente, in comune con il percorso di medicina; - illogico perché ha posto sullo stesso piano (indicando lo stesso coefficiente) percorsi di laurea che, invece, sono molto differenti (biotecnologie, scienze biologiche, magistrali in biotecnologie mediche, veterinarie e farmaceutiche, magistrali in psicologia) senza tener conto del fatto che tali ultimi percorsi di laurea hanno una evidente inferiore affinità (in termini di compatibilità di esami) rispetto a quello di odontoiatria; - sproporzionato rispetto allo stesso corso di medicina, ai cui candidati richiedenti trasferimento è stato assegnato un coefficiente moltiplicatore pari a 1,00 (ciò anche in considerazione del fatto che la maggior parte dei candidati istanti risultava essere proveniente da università straniere, il cui percorso formativo non è propriamente sovrapponibile a quello italiano). Infine osserva che tale criterio di valutazione delle domande è stato introdotto, per la prima volta, nel corrente anno accademico e nella selezione per cui è causa mentre in precedenza, come si evince anche dal bando dell'anno precedente presso il medesimo ateneo (depositato in atti), era stato utilizzato il più equo criterio di conteggio dei CFU corrispondenti agli esami sostenuti nel piano degli studi di ciascun candidato, senza prevedere l'applicazione di alcun coefficiente moltiplicatore. 5) Con il quinto motivo l'appellante censura la sentenza nella parte in cui ha respinto il motivo concernente l'illegittima determinazione dei posti disponibili che sarebbe stata effettuata in carenza di istruttoria. 6. Le difese dell'amministrazione poggiano essenzialmente sulla tesi, accolta dal Tar, che la commissione non avrebbe introdotto alcun nuovo criterio ma si sarebbe limitata a specificare il portato di una disciplina sovraordinata che, in mancanza di intervento della commissione, avrebbe comunque comportato l'eterointegrazione del bando, osservando che il decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 583 del 24 giugno 2002, all'allegato 12, quanto all'iscrizione agli anni successivi al primo, dispone che: "agli atenei è consentito di procedere all'iscrizione dei candidati collocati in posizione utile in graduatoria ad anni successivi al primo esclusivamente a seguito del riconoscimento dei relativi crediti e delle necessarie propedeuticità previste dai regolamenti di corso di studio di Ateneo" e l'art. 32 del regolamento dell'ateneo di Siena prevede che il corso di laurea in medicina e chirurgia non può essere abbreviato, sicché correttamente la commissione avrebbe previsto che per l'ammissione agli anni successivi è necessario acquisire, oltre che il numero dei crediti previsti dal bando, anche i precedenti anni di iscrizione e, quindi, gli esami compiuti. Fa presente che, come dimostrato nel corso del primo grado di giudizio, la non applicazione del suddetto criterio avrebbe comportato, per tornare all'ipotesi invocata dall'appellante, che il primo candidato in posizione utile nella graduatoria del quarto anno, con un punteggio di 191,5 (derivante dai CFU conseguiti in 3 anni di iscrizione nel corso di laurea in medicina e chirurgia), sarebbe stato inserito nella graduatoria del quinto anno e iscritto a tale annualità di corso, ottenendo illegittimamente ed in spregio alla normativa vigente in materia una abbreviazione del corso di laurea in medicina e chirurgia, frequentando un anno in meno rispetto a quanto previsto a livello comunitario. In ordine all'asserita erroneità della valutazione, effettuata della commissione, della carriera di provenienza della appellante, poiché considerata contrastante rispetto a quanto prescritto dal decreto interministeriale del 9 luglio 2009, ribadisce che l'appellante non ha dimostrato in giudizio il superamento della prova di resistenza. In ogni caso ricorda che l'equiparazione di cui al citato decreto interministeriale è prevista ai soli fini dell'accesso ai pubblici concorsi, mentre in questo caso si tratta dell'ammissione di uno studente alla frequenza delle attività didattiche di un corso di laurea, per le quali si deve applicare quanto prescritto dal decreto ministeriale n. 583 del 24 giugno 2022. La correttezza dell'operazione effettuata dalla commissione sarebbe, peraltro, confermata dalle determinazioni assunte dal Comitato della didattica di ateneo del 22 giugno 2023 e del 17 agosto 2023 (atti depositati nel fascicolo di primo grado), con cui l'organo a ciò espressamente preposto, nel ricostruire la carriera della ricorrente in sede di iscrizione al quarto anno, le ha riconosciuto integralmente solo due degli esami sostenuti nel corso di laurea in odontoiatria, stanti le differenze formative e di ordinamento didattico del corso di studi di odontoiatria vecchio ordinamento rispetto a quello di medicina, così come precisate dai rispettivi decreti ministeriali di riferimento. Contesta, alla luce dei documenti prodotti, la circostanza, peraltro non provata, secondo cui la commissione avrebbe effettuato una valutazione multipla delle carriere dei candidati. In ogni caso rileva che la censura dell'appellante su questo punto sarebbe anche inammissibile non essendo stato provato in giudizio il vantaggio in graduatoria che l'appellante avrebbe potuto conseguire ove fosse stato espunto tale criterio. Osserva che il coefficiente di 0,25 attribuito al corso di laurea in odontoiatria sarebbe coerente con la normativa universitaria di riferimento, attese le indubbie ed evidenti differenze formative dei due corsi di laurea di cui si discute. 7. Nelle memorie conclusive (conclusionale e replica), l'appellante ha sostanzialmente ripetuto le stesse argomentazioni più volte formulate, fra le quali merita di essere segnalata la specificazione, relativa alla censura riguardante la duplicazione di valutazione di CFU asseritamente effettuata dalla commissione per alcuni candidati. Osserva l'appellante che, nella memoria dell'amministrazione depositata in primo grado si legge (pag. 13) che: "Invero, la Commissione espletando il suo potere/dovere di predeterminazione dei criteri da seguire nel valutare le domande ha precisato che in caso di "... candidati che abbiano presentato più carriere non sono conteggiati i CFU che risultano chiaramente convalidati dalla carriera pregressa presentata a favore di quella più recente". (vedi al proposito all.8). In pratica, la Commissione, attenendosi a tale criterio, ha correttamente proceduto a valutare ai fini del punteggio da attribuire tutti i CFU conseguiti dagli studenti nelle diverse carriere universitarie nel frattempo sostenute; essa ha ritenuto, quindi, maggiormente garantista ed equo effettuare un conteggio pieno e completo solo ove non fosse evidente e/o non dichiarato dallo stesso candidato che i CFU conseguiti nella vecchia carriera fossero stati riconosciuti anche nella carriera più recente da parte dell'Ateneo di ultima iscrizione, e ciò al fine di evitare di conteggiare doppiamente lo stesso sforzo compiuto da uno studente per l'ottenimento dei medesimi CFU. Al contrario, nei casi in cui tale evidenza non si evincesse dalla domanda di partecipazione, la Commissione ha considerato, in virtù di un principio generale di favor, che la più recente acquisizione di CFU rappresentasse uno sforzo effettivo dello studente; tale criterio era necessario a fronte della non rara evenienza di ripetizione di un esame, dal momento che ciascuno Ateneo ha piena autonomia nelle modalità di convalida degli esami, soprattutto in un contesto in cui spesso si tratta di Atenei appartenenti a sistemi universitari nazionali ed esteri, con ordinamenti didattici eterogenei e talvolta anche molto diversi fra loro". Quindi l'appellante evidenzia che l'Università avrebbe ammesso che è stata considerata la doppia carriera, a meno che non fosse espressamente dichiarato dal candidato una duplicazione dello stesso esame nei due o più percorsi: ipotesi che ritiene inverosimile. Ciò posto denuncia, ancora una volta, il travisamento del motivo da parte del Tar, l'erroneità della sentenza e l'illegittimità, in via ulteriore, delle graduatorie. 8. Seguendo l'ordine logico, in luogo dell'ordine impresso dall'appellante alle censure, il Collegio ritiene di dover esaminare per primo il quarto motivo con cui è dedotta l'illogicità del coefficiente moltiplicatore di 0,25 indicato dal bando per la laurea in odontoiatria e protesi dentaria. Innanzitutto va osservato che non è dirimente la circostanza che nei bandi degli anni precedenti tale criterio non fosse previsto: non appare illegittima (né peraltro ne è dedotta l'irragionevolezza) l'introduzione nel bando di tale coefficiente moltiplicatore, dal momento che l'amministrazione può discrezionalmente introdurre criteri di calcolo o di valutazione, purché non manifestamente errati o irragionevoli. Nel caso di specie da una parte tale scelta non appare irragionevole e, dall'altra, l'appellante non ha evidenziato come tale coefficiente, peraltro applicato uniformemente a tutti i candidati della medesima provenienza, l'avrebbe penalizzata, essendosi limitata ad argomentazioni generiche e di principio. Quanto alla scelta del coefficiente deve rilevarsi che si tratta di quello più alto, dopo quello di 1, attribuito soltanto ai candidati provenienti dal corso di medicina, ed è attribuito in modo uniforme a discipline che, evidentemente, sulla base dei rispettivi piani di studio, sono state non irragionevolmente ritenute di pari attinenza (biotecnologie, scienze biologiche, magistrali in biotecnologie mediche, veterinarie e farmaceutiche, magistrali in odontoiatria e protesi dentaria, magistrali in psicologia) ma comunque di maggiore vicinanza al corso di medicina rispetto ad altre discipline sanitarie, cui però è stato attribuito il minore coefficiente 0,10 (scienze delle attività motorie, scienze e tecniche psicologiche, scienze e tecnologie farmaceutiche, professioni sanitarie infermieristiche e professione sanitaria ostetrica, professioni sanitarie della riabilitazione, professioni sanitarie tecniche, professioni sanitarie della prevenzione, magistrali biologia, magistrali in farmacia e farmacia industriale, magistrali in ingegneria biomedica, magistrali in medicina veterinaria, magistrali in scienze della nutrizione umana, lauree magistrali nelle scienze infermieristiche e ostetriche, magistrali nelle scienze delle professioni sanitarie della riabilitazione, magistrali nelle scienze delle professioni sanitarie tecniche, magistrali nelle scienze delle professioni sanitarie della prevenzione). Anche la circostanza che il coefficiente 1 sia stato previsto soltanto per i candidati provenienti dal corso di medicina non appare illegittimo, non essendo irragionevole dare precedenza, verosimilmente anche per ragioni di continuità didattica, a chi provenga da altri atenei e stia già seguendo tale corso di laurea. 9. Sempre in ordine logico va esaminato il secondo motivo, con cui l'appellante lamenta l'errata attribuzione in suo favore di 300 CFU e non di 360, come previsto nel decreto interministeriale del 9 luglio 2009. Il motivo è infondato atteso che, come rilevato dalla difesa dell'amministrazione, tale decreto ha ad oggetto le "Equiparazioni tra diplomi di lauree di vecchio ordinamento, lauree specialistiche (LS) ex decreto n. 509/1999 e lauree magistrali (LM) ex decreto n. 270/2004, ai fini della partecipazione ai pubblici concorsi". Il suddetto decreto, pertanto, sarebbe potuto essere assunto come base di riferimento ma non può considerarsi obbligatorio nei confronti dell'ateneo senese, con riferimento ad una procedura che non riguarda la partecipazione ad un concorso pubblico ma che disciplina l'accesso ad un corso di laurea: nel predisporre tale disciplina l'ateneo, nell'ambito della propria autonomia, può fissare e, nel caso di specie, ha fissato un diverso criterio, valido per tutti i candidati già laureati, attribuendo 60 CFU a ciascun anno del corso di laurea concluso dal candidato. Sotto tale profilo gli atti impugnati si presentano immuni da vizi. D'altra parte non può sottacersi la circostanza, posta in luce anche nella sentenza impugnata, che l'appellante, anche se le fossero stati riconosciuti 360 CFU, avrebbe conseguito un punteggio di 90, comunque insufficiente per collocarsi utilmente in graduatoria. 10. A seguire va esaminato il terzo motivo con cui l'appellante, censurando la sentenza, lamenta la violazione da parte della commissione del criterio autoimpostosi di non conteggiare per due volte gli stessi CFU. L'appellante ha indicato, nel dettaglio, i codici di alcuni candidati che sarebbero stati avvantaggiati da tale doppio conteggio. Il motivo è infondato. Nella documentazione in atti è presente una scheda che elenca le domande in cui la commissione ha semplicemente riportato quanto dichiarato dai candidati; invece, esaminando le graduatorie, è possibile rilevare che, dei codici indicati dall'appellante, soltanto 4 risultano inseriti in una graduatoria e, segnatamente, nella graduatoria del quarto anno, quella di interesse della dottoressa Pa. (ossia il candidato n. protoc. 2022-UNISISIE-0223325, il candidato n. protoc. 2022-UNISISIE-0223989, il candidato n. protoc. 2022-UNISISIE-0223322 e il candidato n. protoc. 2022-UNISISIE-0226222, i quali tuttavia, al pari dell'appellante, sono tutti collocati in posizione non utile). Ne discende che è palese l'inammissibilità della censura dal momento che, anche escludendo i suddetti candidati, l'appellante comunque non si collocherebbe in posizione utile per immatricolarsi, ossia fra i primi sei. Quanto precede, priva di rilevanza il richiamo fatto dall'appellante alle difese dell'amministrazione, con le quali, a suo dire, la stessa avrebbe ammesso che in alcuni casi vi sia stata duplicazione nella valutazione dei CFU. A prescindere dal rilevo che le affermazioni del difensore dell'ateneo sono espresse in forma meramente ipotetica, è dirimente la circostanza che non risulta provato in concreto quale delle valutazioni della commissione possa aver vulnerato la posizione della ricorrente. 10. Quanto al primo motivo, il Collegio ne rileva innanzitutto l'inammissibilità per carenza di interesse. Va osservato che la dottoressa Pa. non è stata esclusa dalla graduatoria perché, in ipotesi, priva del requisito dell'iscrizione ad anni precedenti; al contrario è stata collocata in graduatoria ma in posizione non utile per insufficienza del punteggio per collocarsi bei primi sei posti. Il suddetto criterio, che l'appellante qualifica illegittimo perché non previsto nel bando, non l'ha in concreto danneggiata, quindi ella non ha interesse a censurarlo. Ciò posto deve anche rilevarsi che la commissione ha specificato espressamente un criterio che, comunque, avrebbe eterointegrato il bando, dal momento che l'art. 32 del regolamento dell'ateneo di Siena prevede che il corso di laurea in medicina e chirurgia non può essere abbreviato. Detta previsione si pone in linea con l'allegato 1 al decreto del Ministero dell'università e della ricerca del 16 marzo 2007, recante "Determinazione delle classi di laurea magistrale", il quale prevede che per la facoltà di medicina e chirurgia sono necessari 6 anni e 360 CFU (60 x anno) di cui 60 acquisiti in attività formative volte alla maturazione di specifiche capacità professionali (cfr. pag. 115 della Gazzetta ufficiale della Repubblica del 9 luglio 2007, n. 157). La regola, va osservato, non è assoluta in quanto in altri atenei è possibile ottenere l'abbreviazione del corso di laurea: per esempio nel "Regolamento per la frequenza dei corsi di laurea e laurea magistrale e contribuzione studentesca" dell'università di Roma "La Sapienza" è previsto all'art. 49, al comma 1 che "1. E' possibile ottenere una abbreviazione di corso a seguito di passaggio ad altro Corso di studio della Sapienza (art. 10), a seguito di trasferimento da altra Università (art. 44), a seguito di riconoscimento esame dopo rinuncia agli studi (art. 48), a seguito di riconoscimento esami dopo la decadenza (art. 34), a seguito di un cambio di ordinamento (art. 38), all'atto di una nuova iscrizione al primo anno di corso, per chi risulta già in possesso di un titolo di studio italiano o estero o, come previsto dal Regolamento Didattico di Ateneo, per chi ha terminato un Master o un Corso di perfezionamento. Per questi ultimi due casi sono riconoscibili massimo 12 Cfu" e al comma 5: "Valutazione del percorso formativo e variazione dell'anno di corso. La valutazione della carriera ai fini del riconoscimento dei crediti è effettuata sull'intero percorso formativo pregresso, fatte salve eventuali disposizioni delle strutture didattiche. La struttura didattica del corso, dopo la valutazione della carriera pregressa, definirà l'anno di corso a cui ci si potrà iscrivere, in base al numero di esami riconoscibili e la Segreteria amministrativa effettuerà la variazione". Tanto chiarito in ordine alla carenza di interesse dell'appellante a dolersi del criterio in questione, che non l'ha affatto danneggiata, per completezza deve comunque osservarsi che, così come risultante dalla integrazione operata dalla commissione, il bando risulta piuttosto oscuro e intrinsecamente contraddittorio. Invero, se si ammette, come previsto nel bando, che possa accedere direttamente al terzo, al quarto o al quinto anno di corso, un candidato in possesso di un'altra laurea, implicitamente si esclude (e non potrebbe essere diversamente) che costui sia già iscritto ad un corso di medicina: chiedendo dunque, in aggiunta, anche la pregressa iscrizione a medicina per due, tre o quattro anni, si finirebbe per consentire l'accesso soltanto a candidati già iscritti a medicina, provenienti da altri atenei, italiani o stranieri. Ma, nel bando, così non è . D'altra parte, ammettere, come è previsto nel bando, che un candidato possa accedere al terzo, al quarto o al quinto anno di medicina, perché in possesso di un diploma di laurea i cui CFU siano sufficienti per l'immatricolazione, significa implicitamente consentire (e non potrebbe essere diversamente) che il corso di studi di 6 anni possa essere abbreviato. Dunque è evidente l'aporia rilevabile nel bando, come predisposto dall'Università di Siena e integrato dalla commissione. Pertanto, se lo scopo che l'Università si prefigge di raggiungere, è quello di evitare che lo studente che si iscriva ad anni successivi abbia una preparazione non conforme al percorso di studi che tutti gli studenti di medicina hanno seguito negli anni precedenti, il vincolo da imporre, a parere di questo Collegio, non è quello del numero di anni, bensì quello del numero e del tipo di esami già proficuamente sostenuti nel corso di laurea di provenienza. Non a caso, nella valutazione successiva (la cui tematica è estranea al perimetro di questo giudizio) la commissione ha riconosciuto all'appellante soltanto due degli esami sostenuti nel corso di odontoiatria, vecchio ordinamento: a parere del Collegio questo è il dato da esigere e valorizzare ai fini dell'ammissione ad anni successivi. Il dato numerico è di per sé insignificante, dal momento che chi ha concluso un altro corso di laurea ha certamente svolto, all'interno della struttura universitaria, un numero di anni che, sommato a quelli che andrà a svolgere immatricolandosi al terzo, al quarto o al quinto anno di medicina, coprirà comunque e senza ombra di dubbio i sei anni di corso fissati per la facoltà di medicina. Chiusa questa digressione in punto di metodo, quanto alla doglianza che investe la contraddittorietà nella decisione del Tar laddove, nella sentenza appellata, ha manifestato un orientamento opposto a quello manifestato in sede cautelare, il Collegio deve ricordare che la fase cautelare per sua natura comporta provvedimenti giurisdizionali non definitivi, emanati con riserva di accertamento della fondatezza nel merito, con l'evidente finalità di evitare che la pendenza del giudizio pregiudichi la parte vittoriosa all'esito del processo. Questi provvedimenti dunque sono interinalmente subordinati alla verifica definitiva della fondatezza della tesi del ricorrente e i definitivi effetti di carattere sostanziale conseguono solo al passaggio in giudicato della pronuncia di merito favorevole, che è la sola idonea a conformare con effetti permanenti la realtà giuridica interinalmente cristallizzata dal provvedimento cautelare del giudice (cfr. Cons. Stato, sez. III, 8 giugno 2016, n. 2448). Da ciò discende che il provvedimento interinale per definizione non può che essere provvisorio e prodromico alla pronuncia che chiude il giudizio (cfr., in argomento, Cons. Stato, sez. II, 13 agosto 2019, n. 5711). Non a caso le ordinanze cautelari, in quanto prive di contenuto definitivamente decisorio, sono insuscettibili di passare in giudicato, analogamente ai provvedimenti istruttori, interlocutori o di rinvio al ruolo ordinario (cfr. Cons. Stato, sez. III, 29 agosto 2018, n. 5084 e sez. V, 10 giugno 2015, n. 2847). Un provvedimento di sospensione dell'esecuzione dell'atto amministrativo si limita ad impedire temporaneamente e con efficacia ex nunc, la possibilità di portare l'atto ad ulteriore esecuzione e, per questo, è inevitabilmente connesso alla conclusione del giudizio. Quindi gli effetti di carattere sostanziale possono conseguire solo al passaggio in giudicato della pronuncia di merito, che è la sola idonea a rimuovere dalla realtà giuridica l'atto con effetti permanenti ovvero a confermarla (cfr. Cons. Stato, sez. III, 28 giugno 2019 n. 4461). Sotto il profilo sistematico, poi, la inconfigurabilità di un giudicato cautelare è direttamente dimostrata anche dall'art. 21 septies della legge 241/1990, il quale sanziona con la nullità solo ed esclusivamente l'atto che viola o elude il giudicato sulla sentenza e non anche della pronuncia del giudice che non abbia ancora il carattere della definitività come la pronuncia cautelare (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 9 marzo 2021, n. 2004). Dai principi fin qui declinati emerge con chiarezza come la decisione definitiva non sia in alcun modo condizionata da quella assunta in sede cautelare la quale, infatti, non produce effetti sostanziali, stante la sua naturale interinalità . La possibile divergenza fra decisione cautelare e decisione di merito, lungi dall'essere sintomo di contraddittorietà, è semmai la conferma, ove mai ve ne fosse necessità, di come l'esame approfondito del merito della vicenda dedotta in giudizio possa dar luogo ad un esito diverso da quello conseguente ad una cognizione meramente sommaria (cfr. Cons. Stato, sez. VII, 10 maggio 2024, n. 4222). 11. Infine, solo per completezza, trattandosi di censura che l'appellante ha sostanzialmente abbandonato, non avendola ribadita nelle memorie conclusive, è inammissibile per genericità il quinto motivo, con cui si lamenta il presunto difetto di istruttoria nella determinazione, da parte dell'ateneo, dei posti disponibili. Osserva il Collegio che l'appellante non ha indicato in alcun modo in cosa consista il lamentato difetto di istruttoria né quali verifiche ulteriori l'ateneo avrebbe in ipotesi dovuto effettuare, onde pervenire ad un numero di posti superiore; fermo restando il rilievo che l'appellante è collocata in graduatoria in posizione piuttosto deteriore, sicché è difficile perfino ipotizzare che, con una istruttoria più approfondita, i posti potessero essere portati da 6 sei a circa 150, fino a raggiungere i candidati con punteggio pari a quello dell'appellante. Conclusivamente, per quanto precede, l'appello deve essere respinto. 12. Le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate tenuto conto della novità delle questioni trattate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2024, con l'intervento dei magistrati: Claudio Contessa - Presidente Daniela Di Carlo - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere Laura Marzano - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9877 del 2023, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Pe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, in persona dei Ministri pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima n. -OMISSIS-, resa tra le parti, sul ricorso per l'annullamento del provvedimento Cat. Prot. Nr -OMISSIS-, emesso dal Ministro dell'Interno, in data 19.2.2020 e notificato in data 18.7.2022, con il quale il ricorrente veniva allontanato dal territorio dello Stato ed accompagnato alla frontiera a mezzo della forza pubblica Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale; Visti tutti gli atti della causa; Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 11 aprile 2024, il Cons. Angelo Roberto Cerroni e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. - Il signor -OMISSIS-, cittadino marocchino, in Italia dal 12 ottobre 2007 in forza di permesso di soggiorno per lavoro subordinato, è stato raggiunto da provvedimento del Ministro dell'interno del 19 febbraio 2020, che ne ha decretato l'espulsione dal territorio dello Stato con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica. La determinazione ministeriale si è fondata sul rilievo che dall'attività info-investigativa sarebbe emerso che il prevenuto ha intrapreso un percorso di radicalizzazione, maturato anche attraverso la frequentazione di luoghi di culto e di soggetti distintisi per aver assunto posizioni religiose radicali di impronta jihadista e di sostegno all'autoproclamato Stato islamico, tra i quali un connazionale già condannato per il reato di cui all'art. 270-bis c.p. e 414, co. 3 e 4 c.p.. L'Autorità avrebbe rilevato, altresì, che il prevenuto risulterebbe molto attivo sul web mediante la condivisione di video e immagini di esaltazione del martirio, riportanti esplicite manifestazioni di odio e violenza verso gli occidentali, nonché mediante pubblicazione di messaggi di sostegno nei confronti di predicatori islamici e dello Stato islamico. L'espulsione ministeriale è stata corredata da divieto di reingresso sul territorio nazionale per 15 anni in considerazione del particolare profilo di pericolosità sociale evidenziato dallo straniero. La notifica formale del provvedimento è avvenuta solo il 18 luglio 2022, a cura della Polizia di frontiera marittima e aerea di Genova, al rientro dello straniero da -OMISSIS-via nave; assieme al provvedimento ministeriale è stata notificata anche la revoca questorile del permesso di soggiorno. 2. - Il cittadino marocchino ha impugnato il provvedimento innanzi al TAR per il Lazio deducendo tre profili di censura per eccesso di potere, sotto l'aspetto dell'irragionevolezza, dello sviamento di potere e del travisamento: in primo luogo, il ricorrente ha denunciato l'insussistenza di evidenze fattuali a supporto della determinazione espulsiva, segnatamente con riguardo alle frequentazioni con connazionali radicalizzati, mentre le posizioni assunte sul web costituirebbero libera espressione del proprio pensiero; in secondo luogo, la motivazione sarebbe carente e insufficiente sotto il profilo della mancata indicazione delle fonti e dei documenti; da ultimo, il giudizio di pericolosità sociale verrebbe profondamente minato dal fatto che il provvedimento di espulsione è stato notificato al ricorrente dopo oltre tre anni dalla perquisizione (risalente a maggio 2019) e dopo oltre due anni dall'emanazione dell'atto (avvenuta il 19.2.2020). 3. - Il giudice di prime cure ha disatteso l'iter argomentativo seguito da parte ricorrente e, sul rilievo della natura latamente discrezionale dell'atto impugnato, ha aderito alle tesi difensive dell'amministrazione opinando che le risultanze info-investigative e le evidenze raccolte in occasione della perquisizione domiciliare comprovano, da un lato, che il ricorrente ha intrapreso un percorso di radicalizzazione, maturato anche attraverso la frequentazione di luoghi di culto e di soggetti distintisi per aver assunto posizioni religiose radicali di impronta jihadista e di sostegno all'autoproclamato Stato Islamico, dall'altro, che lo stesso ha diffuso e propagandato sulla rete messaggi di esaltazione del martirio, esplicite manifestazioni di odio e violenza verso la civiltà occidentale, nonché messaggi di sostegno ai predicatori contigui agli ambienti estremistici islamici e all'organizzazione terroristica dell'autoproclamato Stato Islamico. 4. - Il sig. -OMISSIS-ha quindi appellato la statuizione sfavorevole affidandosi a due motivi di gravame. In primis, lo straniero ha dedotto nuovamente l'error in iudicando per violazione dell'art. 3, comma 1, del D.L. 144/2005, conv. in legge 31 luglio 2005, n. 15 e dell'art. 13 d.lgs. 286/1998: al riguardo, contesta la carenza di concreti elementi di fatto dai quali evincere la percezione del pericolo, anche potenziale, per la sicurezza dello Stato. L'appellante stigmatizza altresì l'assoluta mancanza di un'adeguata istruttoria e di una doverosa valutazione dei documenti prodotti, che avrebbe consentito di verificare come la condotta di vita del -OMISSIS-sia inconciliabile (secondo dati di comune esperienza) con la possibilità che questi volesse arrecare a chicchessia un reale nocumento; infine, lamenta anche l'eccessivo divario tra la confezione del provvedimento (2020) e la sua materiale notifica (2022) ed esecuzione. 5. - Si è costituito in resistenza il Ministero dell'interno per il tramite della difesa erariale, che ha depositato la relazione difensiva predisposta dall'Amministrazione. 6. - La causa è venuta in discussione all'udienza pubblica del giorno 11 aprile 2024 all'esito della quale è stata spedita in decisione. 7. - La disamina della vertenza impone un preliminare richiamo dei parametri normativi entro cui si inscrive la fattispecie amministrativa: il provvedimento è stato, infatti, emanato ai sensi dell'art. 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e dell'art. 3 del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144 alla stregua dei quali l'espulsione in via amministrativa dello straniero anche non residente nel territorio dello Stato può essere disposta dal Ministro dell'interno "per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato" oppure a carico di quei soggetti nei cui confronti vi sono fondati motivi di ritenere che la relativa permanenza nel territorio dello Stato possa in qualsiasi modo agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali. Secondo la consolidata elaborazione giurisprudenziale, trattandosi di atto rimesso all'organo di vertice del Ministero dell'Interno, che investe la responsabilità del Capo del Governo, nonché l'organo di vertice dell'amministrazione maggiormente interessata alla materia dei rapporti con i cittadini stranieri (tanto che la disciplina legislativa stabilisce l'onere di preventiva notizia al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro degli affari esteri), esso costituisce senz'altro espressione di esercizio di alta discrezionalità amministrativa. Ne è testimonianza il carattere estremamente generico dei presupposti delineati dall'art. 13 cit. che si limita a richiamare le locuzioni ampie e comprensive dell'ordine pubblico e della sicurezza dello Stato, la cui applicazione nel caso concreto è rimessa al prudente apprezzamento dell'organo politico di vertice del Dicastero. Parallelamente, anche la disciplina coniata dal legislatore all'art. 3 del D.L. n. 144/2005, giustapponendosi come aggiuntiva alla fattispecie di carattere generale appena esaminata, rafforza il potere ministeriale di espulsione degli stranieri per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato (particolarmente nel caso in cui essi godano di una particolare tutela come avviene per i titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo), prevedendo una ipotesi ulteriore con specifico riferimento alla minaccia terroristica e ai comportamenti ritenuti in grado di agevolarla. 7.1. - Sul piano dell'inquadramento dell'istituto, la giurisprudenza di questa Sezione ha già avuto modo di puntualizzare con riferimento all'espulsione ex art. 3, comma 1, d.l. n. 144 del 2005 - con argomentazioni ben estendibili alla misura adottata ai sensi dell'art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998 - che si tratta di una disposizione che prevede procedure pienamente assimilabili alle misure di sicurezza che si adottano con finalità di prevenzione e che, avendo come finalità quella di prevenire il compimento di reati, non richiede che sia comprovata la responsabilità penale e neppure che il reato sia stato già compiuto. (v., ex plurimis, Cons. Stato, sez. III, 19 maggio 2021, n. 3886, Cons. Stato, sez. III, 27 febbraio 2021, n. 1687, Cons. Stato, sez. III, 23 settembre 2015, n. 4471). In altre parole, lo standard motivazionale e probatorio si discosta da quello penalistico dell'"oltre ogni ragionevole dubbio" per assestarsi al livello della preponderanza dell'evidenza (cd. canone del più probabile che non) in quanto non mira a formulare un giudizio di colpevolezza assistito da elevata plausibilità logico-razionale, bensì persegue finalità di prevenzione a favore di interessi pubblicistici il cui rango elevato giustifica la spiccata anticipazione della soglia di tutela: in definitiva, il cuore dell'impianto motivazionale dei provvedimenti di espulsione tratteggiati dalle norme in esame si condensa in un sillogismo inferenziale che sottende il giudizio prognostico di pericolosità sociale parametrata rispetto agli interessi dell'ordine pubblico e della sicurezza dello Stato e alla possibile agevolazione delle organizzazioni o attività terroristiche. 7.2. - Tanto considerato, nel caso di specie il compendio indiziario posto a base della determinazione espulsiva e meglio sviscerato nella relazione difensiva dall'Amministrazione resistente, si profila tutt'altro che scarno di elementi pregnanti: a) in primo luogo, le risultanze info-investigative testimoniano che il sig. -OMISSIS-ha intrapreso un percorso di radicalizzazione snodatosi nella assidua frequentazione non solo di luoghi di culto (quello di -OMISSIS-) - il che sarebbe legittima manifestazione della libertà di culto costituzionalmente tutelata - ma anche di persone gravate da pregiudizi penali di matrice terroristica dal particolare disvalore (nel caso di specie, associazione con finalità di terrorismo, anche internazionale, prevista e punita dall'art. 270-bis c.p. e istigazione a delinquere ex art. 414 c.p.); dalla consultazione della banca dati interforze è emerso altresì che l'appellante annovera una notizia di reato del Compartimento della Polizia postale di Perugia per i medesimi titoli di reato; b) tale percorso di radicalizzazione non si è limitato alla sfera interna della manifestazione del pensiero, in astratto intangibile in quanto espressione di una libertà costituzionalmente tutelata, ma è trasmodata in una significativa attività di propaganda jihadista e di militanza mediatica. Dalle informazioni raccolte nell'indagine condotta dalla DIGOS e dal Compartimento di Polizia postale di Perugia nell'ambito delle indagini penali scaturite dalla segnalazione per istigazione a delinquere e associazione con finalità di terrorismo, è emerso, infatti, tra i profili di social network dediti alla propaganda di ideologie jihadiste proprio quello del -OMISSIS-: ne è scaturita la perquisizione degli strumenti tecnologici - personal computer e telefono cellulare - da cui si è appurato che questi risultava autore della diffusione di messaggi, immagini e video in cui aderiva alle manifestazioni di sentimenti antioccidentali, plaudeva alle attività delle organizzazioni terroristiche di matrice islamista ed esaltava i gesti di martirio jihadista, oltre a pubblicare messaggi di sostegno ai predicatori contigui agli ambienti estremisti islamici. Al riguardo, mette conto di osservare che tale intensa attività di supporto mediatico non si è limitata a mera manifestazione del pensiero, ma per le sue modalità è stata suscettibile di integrare comportamenti concretamente idonei a provocare la commissione di delitti in conformità all'insegnamento della Corte costituzionale, ormai risalente e consolidato, per cui "plaudire a fatti che l'ordinamento giuridico punisce come delitto e glorificarne gli autori é da molti considerata una ipotesi di istigazione indiretta: certo é attacco contro le basi stesse di ogni immaginabile ordinamento apologizzare il delitto come mezzo lodevole per ottenere l'abrogazione della legge che lo prevede come tale. Non sono concepibili, infatti, libertà e democrazia se non sotto forma di obbedienza alle leggi che un popolo libero si dà liberamente e può liberamente mutare" (Corte cost., 4 maggio 1970, n. 65). 7.3. - Orbene, indipendentemente dagli esiti degli accertamenti penali, il Ministro dell'interno si è mosso in un'ottica squisitamente socialpreventiva e cautelare al dichiarato scopo di allontanare dal territorio nazionale una figura così insidiosa per la sicurezza interna e internazionale. Nell'apprezzare il compendio indiziario appena passato in rassegna, l'Autorità si è attenuta al sillogismo inferenziale secondo cui appare plausibile e razionale che, a fronte di questi elementi info-investigativi raccolti dalla DIGOS, il cittadino marocchino possa costituire una minaccia alla sicurezza dello Stato ex art. 13, co. 1 d.lgs. 286/1998, secondo lo standard del "più probabile che non"; al contempo, ricorrono anche gli estremi più specifici di cui all'art. 3 D.L. 14472005 giacché gli elementi passati in rassegna corroborano i prescritti fondati motivi che lasciano ritenere che la permanenza dello straniero nel territorio dello Stato possa in qualsiasi modo agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali. 7.4. - Tanto considerato, l'argomentare dell'Amministrazione resistente, per quanto succinto, appare idoneo e sufficiente a corroborare il giudizio prognostico di pericolosità sociale sub specie di agevolazione terroristica e, del pari, ben ha opinato il TAR quando ha giudicato il provvedimento, sotto tale angolo visuale, come scevro da profili di manifesta irragionevolezza o travisamento o difetto di istruttoria. Non milita efficacemente in senso contrario la copiosa documentazione versata in atti dal ricorrente che attiene a dichiarazioni di conoscenti, colleghi e concittadini che, pur attestando una apparente proficua integrazione del sig. -OMISSIS-nel tessuto socio-economico, non scalfisce le forti controindicazioni rivenienti dai materiali rinvenuti a seguito della perquisizione degli apparati tecnologici di comunicazione del prevenuto. 8. - Venendo al secondo profilo censorio, il Collegio osserva che il ragguardevole lasso di tempo intercorso tra l'emanazione del provvedimento espulsivo (19 febbraio 2020) e la sua materiale esecuzione mediante respingimento alla frontiera (18 luglio 2022) è stato ampiamente delucidato dalla produzione documentale dell'Amministrazione che ha dovuto soprassedere all'esecuzione del provvedimento per indisponibilità dei collegamenti diretti per i rimpatri nel corso della fase emergenziale da covid-19: a rigore, trattandosi di provvedimento fortemente afflittivo sulla sfera personale del destinatario e, in definitiva, limitativo della sua sfera giuridica deve trovare applicazione l'art. 21-bis della legge n. 241 del 1990 giusta il quale tale tipo di provvedimento acquista efficacia con la comunicazione allo stesso effettuata anche nelle forme stabilite per la notifica agli irreperibili nei casi previsti dal codice di procedura civile. Sicché, l'appellante non ha di che dolersi se l'esecuzione del provvedimento è avvenuta immediatamente dopo la notifica del decreto ministeriale di espulsione, pur a distanza di tempo per le ragioni testé esposte, con il conseguente affidamento del passeggero irregolare alla custodia del Comandante della Motonave GNV diretta a -OMISSIS-lo stesso giorno 18 luglio 2022. La notifica del provvedimento, nel caso di specie, si atteggia ad elemento perfezionativo della fattispecie ed incide giocoforza sull'acquisto della piena efficacia provvedimentale. Il protrarsi del tempo endoprocedimentale tra emanazione della decisione e definitivo perfezionamento della fattispecie mediante la rituale notifica al destinatario del provvedimento di espulsione, oltre che ampiamente scriminato dalle sopravvenienze di vis maior connesse alla contingenza pandemica non imputabili all'Amministrazione - peraltro anche foriere di una sospensione ex lege dei termini procedimentali (v. art. 103, D.L. 18/2020) - non impinge sulla validità ed efficacia del provvedimento definitivo tardivamente notificato, né milita in favore della sussunzione della fattispecie nel paradigma di cui all'art. 13, co. 2 d.lgs. 286/1998 vale a dire in una diversa species di provvedimento a firma prefettizia - e non già ministeriale. 9. - Alla luce di quanto precede, l'appello deve essere conclusivamente respinto. 10. - Tenuto conto delle peculiarità della vicenda, il Collegio ritiene che sussistano giustificati motivi per compensare integralmente le spese di lite tra le parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la persona dell'appellante. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Michele Corradino - Presidente Stefania Santoleri - Consigliere Giovanni Pescatore - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere Angelo Roberto Cerroni - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9862 del 2023, proposto da: -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato Fe. Di., con domicilio digitale pec in registri di giustizia contro Ministero della giustizia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui è domiciliato in Roma, via (...) nei confronti -OMISSIS-, non costituita in giudizio per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione prima, n. -OMISSIS-. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della giustizia; Visti tutti gli atti della causa; Relatore il Cons. Laura Marzano; Udito, nell'udienza pubblica del giorno 21 maggio 2024, l'avvocato Fe. Di.; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. L'appellante ha impugnato la sentenza del Tar Lazio, sez. I stralcio, del -OMISSIS-, con cui è stato dichiarato inammissibile il ricorso proposto per l'annullamento di alcune comunicazioni via email, di riscontro ad una istanza di autotutela, inviata in data 4 luglio 2017 per ottenere la ripetizione della prova orale del concorso a 365 posti per l'accesso alla magistratura ordinaria, indetto con decreto ministeriale del 30 ottobre 2013. Nel presente grado di giudizio si è costituito il Ministero della giustizia il quale, nella memoria conclusiva, ha esposto le ragioni in fatto e in diritto, per le quali ha chiesto la reiezione dell'appello. A tale scritto difensivo ha replicato l'appellante con memoria depositata in data 26 aprile 2024, insistendo per l'accoglimento dell'appello. Con atto depositato il 20 aprile 2024 il difensore dell'amministrazione ha chiesto la decisione della causa sugli scritti. All'udienza pubblica del 21 maggio 2024, sentito il difensore dell'appellante, la causa è stata trattenuta in decisione. 2. L'appellante ha partecipato alla selezione pubblica per il reclutamento di n. 365 magistrati ordinari, indetta con decreto ministeriale del 30 ottobre 2013, ma non ha superato la prova orale, sostenuta in data 27 ottobre 2015. Avverso tale giudizio di non idoneità l'interessata ha proposto, dinanzi al Tar Lazio, un ricorso che è stato respinto con sentenza n. -OMISSIS-, non impugnata. In pendenza di tale giudizio, in data 1 luglio 2017, l'appellante ha proposto un'istanza di autotutela con la quale ha domandato "la riconvocazione della Commissione esaminatrice al fine di consentire la ripetizione della prova orale da parte di Ella istante". Con tale istanza, indirizzata all'ufficio concorsi del Ministero della giustizia, la dottoressa rendeva note, per la prima volta, le cattive condizioni di salute in cui versava al momento in cui sostenne la prova orale, condizioni che non aveva palesato né in occasione della prova orale, né nel corso del giudizio dinanzi al Tar, per la ritrosia a divulgare la patologia che le era stata diagnosticata dalla ASL di Salerno il giorno prima dell'orale, ossia un "-OMISSIS-", per il quale le era stato prescritto, in aggiunta alla "-OMISSIS-", la "astensione da ogni circostanza o situazione di stress ambientale": prescrizione alla quale la ricorrente non si era attenuta scegliendo di recarsi comunque a sostenere l'orale del concorso il giorno dopo. La dirigente dell'ufficio concorsi ha riscontrato la email in pari data con nota del seguente tenore: "In merito alla richiesta della S.V., si comunica che la stessa è stata inviata per competenza al Presidente della Commissione esaminatrice, per gli eventuali provvedimenti. Questo Ufficio, avendo competenze organizzative, non può disporre in merito, tanto più che la procedura è stata ormai conclusa con l'approvazione della graduatoria, la nomina dei magistrati idonei e l'assunzione degli stessi.... Direttore Ufficio Concorsi Magistrati". A stretto giro il Presidente della commissione rispondeva alla dirigente con email del seguente tenore: "carissima...; non credo ci sia bisogno di un mio parere. L'istanza è davvero tardiva e non potrei certo interloquire su -OMISSIS-. Cari saluti....". Pertanto la dirigente, in data 5 luglio 2017, rispondeva alla istante con la seguente email: "Il Presidente della Commissione esaminatrice, stante anche la tardività della istanza, ritiene di non procedere. Come già comunicato e come noto alla S.V., la procedura concorsuale si è conclusa da tempo, con l'approvazione della graduatoria, la nomina e l'assunzione dei magistrati in tirocinio.... Ufficio Concorsi Magistrati". L'appellante, in data 19 luglio 2017, con una nuova istanza, ha chiesto che "il procedimento avviato con la presentazione dell'istanza di cui all'oggetto venga concluso, ai sensi della legislazione vigente, con l'emanazione di un provvedimento espresso entro i termini di legge (art. 2 L. 241/90)". Ne è seguita una nuova comunicazione email del Presidente della commissione alla dirigente, in data 22 luglio 2017, del seguente contenuto: "in effetti, la nuova istanza non aggiunge nulla al rilevo della tardività delle iniziative della concorrente, basate sul rigurgito mnemonico di -OMISSIS-coevi alla prova d'esame. Tanto basta, presumo, anche rispetto all'eventuale proliferare di nuove istanze, memorie, deduzioni e quant'altro ad opera dell'interessata. Un caro saluto...". Quindi la dirigente, in data 25 luglio 2017 comunicava via email quanto segue: "Si trasmette di seguito l'ulteriore risposta inviata dal già Presidente della Commissione esaminatrice del concorso a 365 posti, indetto con d.m. 30 ottobre 2013, in cui si ribadisce, per le motivazioni esposte, l'impossibilità di dar corso alla Sua istanza di autotutela. A tal fine, si rappresenta nuovamente che questo Ufficio ha competenze organizzative e non è legittimato ad adottare provvedimenti in autotutela, stante la competenza esclusiva, nella materia di cui trattasi, della Commissione esaminatrice. La procedura concorsuale, si ribadisce, si è già conclusa da tempo, con l'entrata in servizio dei vincitori. Pertanto, la presente mail vale a tutti gli effetti come chiusura del procedimento da Lei avviato con la presentazione dell'istanza in autotutela. La conclusione del procedimento conseguiva già dalla mail precedente, inviata alla S.V. in data 5 luglio 2017 e dalla S.V. riscontrata, come risulta dalla espressa menzione nella nuova richiesta di conclusione del procedimento che con l'invio della presente mail deve intendersi definitivamente concluso.... Direttore Ufficio Concorsi Magistrati". 3. L'appellante ha impugnato questo atto con ricorso al Tar Lazio deducendone l'illegittimità in quanto: - a fronte dell'avvio del procedimento, da parte della dirigente, volto all'esame dell'istanza proposta dalla ricorrente ai fini dell'emanazione di eventuali provvedimenti di riesame, non sarebbe stata fornita risposta, non potendosi considerare validamente concluso il procedimento con la nota del Presidente del 4 luglio 2017, il quale non avrebbe poteri monocratici ma solo di direzione dell'organo collegiale, pertanto egli avrebbe dovuto convocare la commissione; - premesso, quindi, che quanto scritto nella suddetta nota andrebbe considerato come un atto endoprocedimentale, sarebbe infondata l'affermazione per cui l'istanza di autotutela si fonderebbe su un: "rigurgito mnemonico di -OMISSIS-coevi alla prova d'esame", avendo ella dimostrato documentalmente, tramite seria certificazione di struttura pubblica specializzata, l'entità e la gravità della sua patologia. 4. Il Tar del Lazio, con la sentenza n. -OMISSIS-, ha dichiarato inammissibile il ricorso avendo considerato l'atto impugnato come atto meramente confermativo che, a differenza degli atti di conferma, si connota per la ritenuta insussistenza, da parte dell'amministrazione, di valide ragioni di riapertura del procedimento conclusosi con la precedente determinazione. Secondo il Tar non vi è stato riesercizio del potere, bensì la mera comunicazione della bontà della precedente decisione. 5. L'appello è affidato ai motivi di seguito sintetizzati. 1) "Error in iudicando nella parte in cui la sentenza ha ritenuto inammissibile il ricorso senza pronunciarsi sul vizio di incompetenza del presidente della commissione". Sostiene l'appellante il Tar avrebbe errato non pronunciandosi sulla prospettata censura di incompetenza e ribadisce che sull'istanza si sarebbe dovuta pronunciare la commissione essendo il Presidente incompetente. Aggiunge che "Traguardata da questa prospettiva, la questione della natura giuridica dell'atto adottato dal (solo) Presidente, se di atto di conferma o di atto meramente confermativo, assume una rilevanza logicamente secondaria. Il vizio di incompetenza, infatti, ha rilievo assorbente, ed è idoneo ad inficiare anche l'atto meramente confermativo" (così a pag. 8 dell'appello). 2) "Error in iudicando della sentenza nella parte in cui ha ritenuto che l'atto adottato dal presidente della commissione avesse natura meramente confermativa e riproposizione delle censure non esaminate dal Tar. Error in iudicando e in procedendo per violazione dell'art. 34, comma 2, cod. proc. amm.". La sentenza sarebbe errata anche nella parte in cui ha ritenuto che l'atto del Presidente fosse meramente confermativo e aggiunge che "Il Presidente ha ritenuto discrezionalmente che questo nuovo elemento non fosse sufficiente a supportare la richiesta della candidata di essere sottoposta ad una rinnovazione dell'esame orale" (così a pag. 11 dell'appello). Nel dolersi, ancora una volta, delle parole usate dal Presidente, laddove avrebbe dubitato della veridicità di quanto da lei rappresentato, definendo la sua istanza come "rigurgito mnemonico di -OMISSIS-coevi alla prova d'esame" e ricordando che la certificazione della struttura pubblica sanitaria fa fede fino a querela di falso, l'appellante afferma che ciò avrebbe determinato "un'anomala conclusione del procedimento di riesame ritualmente avviato, frustrando l'esigenza di adeguato approfondimento istruttorio che la peculiarità della fattispecie avrebbe obiettivamente meritato" (così a pag. 13 id.) e contesta la sentenza nella parte in cui ha ritenuto la discrezionalità correttamente esercitata in quanto, in ragione della incompetenza dell'organo che ha assunto la decisione, verrebbe in considerazione un'ipotesi di potere non ancora esercitato, che il Tar non avrebbe potuto sindacare, neppure nel senso di ritenerlo legittimo. Quindi, al fine di provare le circostanze poste alla base dell'istanza di riesame, ha reiterato l'istanza, già formulata in primo grado (nella memoria di replica del 4 maggio 2023), di ammissione di prova testimoniale. 6. L'appello è infondato e la sentenza va confermata con diversa motivazione. Dalla lettura della corrispondenza intercorsa fra l'appellante e la dirigente dell'Ufficio concorsi del Ministero della giustizia, nonché dalla corrispondenza intercorsa tra quest'ultima e l'ex Presidente della commissione, riportate testualmente nella parte narrativa, è possibile evincere che il sollecitato procedimento di autotutela in realtà non è stato neanche avviato. Il Presidente, infatti, al quale la dirigente dell'ufficio ha girato la richiesta dell'appellante, ha ritenuto insussistenti i presupposti per dare ingresso ad una valutazione della stessa. Al di là delle più o meno gradevoli espressioni utilizzate da costui, che peraltro sono state spese nell'ambito di una corrispondenza con la dirigente dell'ufficio che sarebbe dovuta restare privata, nella sostanza il Presidente, titolare del potere di convocazione della commissione, ha ritenuto di non dover esercitare tale potere di impulso avendo ravvisato la evidente tardività della richiesta, intervenuta, come più volte precisato dalla dirigente, a distanza di anni dalla conclusione della procedura con l'approvazione della graduatoria, la nomina dei magistrati idonei e l'assunzione degli stessi. La terminologia adoperata dalla dirigente nella corrispondenza con l'appellante non è idonea a smentire il dato evidente del mancato avvio di qualsivoglia procedimento di autotutela. Il contenuto sostanziale della comunicazione del 25 luglio 2017 risiede nella "impossibilità di dar corso alla Sua istanza di autotutela": l'uso, nella stessa email, dell'espressione "definitivamente chiuso", riferita ad un procedimento che, diversamente da quanto opina l'appellante, non risulta mai avviato, rappresenta, piuttosto, una formula di chiusura ("La conclusione del procedimento conseguiva già dalla mail precedente, inviata alla S.V. in data 5 luglio 2017 e dalla S.V. riscontrata, come risulta dalla espressa menzione nella nuova richiesta di conclusione del procedimento che con l'invio della presente mail deve intendersi definitivamente concluso") con la quale la dirigente, facendo proprie e interpretando le osservazioni del Presidente ("Tanto basta, presumo, anche rispetto all'eventuale proliferare di nuove istanze, memorie, deduzioni e quant'altro ad opera dell'interessata"), ha tentato di rappresentare alla richiedente, in modo il più possibile tranchant, l'inopportunità di insistere con ulteriori domande o solleciti. Dunque, non è possibile attribuire alle comunicazioni della dirigente dell'ufficio concorsi la valenza di comunicazioni di avvio e di chiusura, in senso tecnico, del procedimento di esame dell'istanza di autotutela: come già posto in luce, tale significato, nel caso di specie, non è rinvenibile alla stregua dell'effettivo contenuto delle richiamate comunicazioni. Spostando poi l'attenzione al piano più generale non può non rilevarsi come, ragionando come opina l'appellante, si finirebbe con il consentire, attraverso la presentazione di istanze di autotutela tardive o strumentali e utilizzando il metodo della "caccia all'errore lessicale" nelle risposte dell'amministrazione, da una parte di procrastinare sine die procedimenti già conclusi da anni e, dall'altra, di aggirare le preclusioni derivanti dal giudicato che, come noto, copre dedotto e deducibile. Chiarito che, nel caso di specie, il procedimento di autotutela non è mai stato avviato né è stato adottato alcun provvedimento, non può non ricordarsi che la giurisprudenza è granitica nel ritenere che, in caso di presentazione di istanza di autotutela, l'amministrazione non ha l'obbligo di pronunciarsi in maniera esplicita in quanto la relativa determinazione costituisce una manifestazione tipica della discrezionalità amministrativa, di cui è titolare in via esclusiva l'amministrazione per la tutela dell'interesse pubblico; non è quindi configurabile un obbligo di provvedere a fronte di istanze di riesame di atti precedentemente emanati, conseguente alla natura officiosa e ampiamente discrezionale, soprattutto nell'an, del potere di autotutela ed al fatto che, rispetto all'esercizio di tale potere, il privato può avanzare solo mere sollecitazioni o segnalazioni prive di valore giuridicamente cogente (cfr. Cons. Stato, sez. V, 9 gennaio 2024, n. 301). L'amministrazione, infatti, non ha alcun obbligo di provvedere sulle richieste di esercizio del potere di autotutela verso atti divenuti inoppugnabili; in questi casi l'impugnativa del diniego di autotutela è inammissibile, in coerenza con il principio generale della impossibilità di assicurare tutela all'interesse strumentale se non nei casi eccezionali espressamente previsti dalla legge (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 settembre 2023, n. 8284). Nel caso di specie, il mancato avvio del procedimento finalizzato all'esame dell'istanza presentata dall'appellante, innanzitutto esclude in radice che sia stato adottato un nuovo provvedimento, anche solo meramente confermativo: ciò che emerge pacificamente dalla documentazione versata in atti è l'inesistenza di qualsivoglia nuovo atto, stante la affermata impossibilità di dar corso all'esame dell'istanza. Precipitato della conclusione che precede è che il dedotto vizio di incompetenza del Presidente, su cui l'appellante ritorna anche nel presente grado di giudizio e sul quale il difensore ha insistito anche nel corso della discussione orale, è del tutto insussistente stante la mancata adozione, da parte di costui, di un qualsivoglia atto avente natura provvedimentale. Conclusivamente, per quanto precede, l'appello deve essere respinto e la sentenza impugnata deve essere confermata con diversa motivazione. 7. Le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate tenuto conto della parziale novità delle questioni trattate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge, confermando la sentenza impugnata con diversa motivazione. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all'articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all'articolo 2 septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità dell'appellante e della patologia menzionata in sentenza. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2024, con l'intervento dei magistrati: Claudio Contessa - Presidente Daniela Di Carlo - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere Laura Marzano - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9863 del 2023, proposto da -OMISSIS- S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Ro. e An. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero delle Imprese e del Made in Italy, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Me. Ce. - Banca del Me. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Ia., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima n. -OMISSIS-/2023. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2024 il Cons. Giordano Lamberti e uditi per le parti gli avvocati An. Ma., An. Gr. e La. Ro., in sostituzione dell'avvocato Gi. Ia.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Con bando pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 32 del 7 febbraio 2002, il Ministero delle Attività Produttive ha indetto una gara concernente servizi per la gestione degli interventi di cui all'articolo 1, lettera b, del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 28.3.2001, relativo allo sviluppo di imprese di recente costituzione. Mediante tali atti sono stati disciplinati gli interventi finalizzati allo sviluppo di imprese di recente costituzione attraverso la concessione a soggetti intermediari di anticipazioni finanziarie per l'acquisizione di partecipazioni temporanee e di minoranza in nuove imprese, a fronte di programmi di sviluppo di prodotti e servizi nel campo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, ivi comprese quelle relative alle applicazioni di rete (web applications), al software innovativo, allo sviluppo dei contenuti multimediali e alla formazione interattiva a distanza. 1.1 - In data 31.1.2006, la società -OMISSIS- S.p.A. (successivamente denominata -OMISSIS- S.p.A.) ha presentato a Me. Ce. S.p.A, in qualità di soggetto gestore della procedura, una domanda di concessione di un'anticipazione finanziaria per l'acquisizione, per conto del fondo Principia al quale appartiene, di una partecipazione nel capitale di rischio di -OMISSIS- s.r.l. (poi denominata -OMISSIS- s.r.l.) al fine di capitalizzare tale ultimo soggetto per un programma pluriennale di sviluppo, consistente nella realizzazione di un impianto per il trattamento e il riciclaggio dei residui provenienti dalla frantumazione degli autoveicoli a fine vita, nonché per la lavorazione, triturazione e separazione dei metalli ferrosi e non ferrosi dalle materie plastiche e dalle sostanze non riciclabili, con recupero degli stessi metalli e successiva immissione in mercato sotto forma di sfere. 1.2 - Medio Credito ha erogato due distinte anticipazioni finanziarie di Euro.1.400.000 e di Euro. 600.000, rispettivamente in data 16.2.2006 e 18.7.2008, e -OMISSIS- ha iniziato la capitalizzazione di -OMISSIS- s.r.l. mediante quattro, progressivi, aumenti di Euro. 1.200.000, di Euro. 600.00 e due da Euro. 400.000, a valere a titolo di MC11 (c.d. "prima anticipazione"). Si è, poi, proceduto alla cd. "seconda anticipazione" (MC45), originariamente determinata in Euro600.000, (con la conseguenza che è stato fissato in Euro.300.000, a valere sull'anticipazione MC45, come erogazione parziale al 50% prevista dalla legge 388/2000), ma, in concreto, erogata in misura parziale per interventi legislativi che hanno inciso sulla distribuzione della misura su altri interventi, nonché per verifiche sul progetto oggetto del finanziamento: il che ha determinato una svalutazione del contributo fino ad Euro172.800. In sostanza, -OMISSIS-, per quanto dalla stessa affermato, a partire dal 2006 ha acquisito quote della -OMISSIS- s.r.l. per complessivi euro 3.450.000, di cui euro 1.725.000, provenienti da anticipazioni ex L. 388/2000 somma da rideterminarsi in euro 1.225.500, in quanto, in data 23.1.2008, la -OMISSIS- aveva ceduto il 16,67% della propria partecipazione per euro 1.000.000, destinando euro 500.000,00 al Ministero delle attività produttive a parziale restituzione delle somme anticipate. 2 - Non sono stati corrisposti al Ministero gli importi previsti dal contratto di cessione a partire dalla prima rata in scadenza e l'appellante ha chiesto l'applicazione delle clausole risarcitorie previste nell'ambito della compravendita della -OMISSIS- s.r.l. e relative garanzie, tenuto conto che questa è stata dichiarata fallita con sentenza n. 65/2014 del Tribunale di Milano. 2.1 - Nel 2013 il legale rappresentante di -OMISSIS- s.r.l. è stato coinvolto in un procedimento penale nell'ambito del quale è stata contestata la commissione dei reati di cui agli artt. 640 bis, 640 e 61 n. 7 del c.p. (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e truffa, con l'aggravante di aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità ) sul presupposto che lo stesso avesse indotto in errore l'allora Ministero delle Attività produttive il quale, tramite la -OMISSIS-, aveva erogato a favore della -OMISSIS- un finanziamento complessivo di Euro3.400.000, costituito per il 50% da fondi messi a disposizione attraverso anticipazioni finanziarie ai sensi della legge 388/2000, e che il medesimo avrebbe dirottato gli utili della -OMISSIS- a società a sé riconducibili, così sottraendoli alla distribuzione a favore della -OMISSIS-, cui spettavano per patti parasociali e, per essa, al Ministero finanziatore. Il tutto sulla circostanza pacifica che l'impianto industriale, che si sarebbe dovuto realizzare per mezzo dei predetti fondi, non è mai entrato in funzione. La posizione dell'imputato, nel predetto procedimento, è stata definita con una sentenza di applicazione della pena su richiesta (cd. patteggiamento), emessa dal Tribunale di Milano in data 16.3.2015. 2.2 - L'appellante ha inoltre riferito che, nel 2015, ha agito giudizialmente nei confronti del legale rappresentante di -OMISSIS- s.r.l. ex art. 2935 c.c. per il risarcimento dei danni derivati dagli atti gestori illeciti e distrattivi dallo stesso posti in essere e che tale procedimento si è concluso con la sentenza del Tribunale di Milano n. 11923/2018, con la quale è stata respinta la domanda, accertandosi la legittimazione attiva della -OMISSIS- limitatamente alla porzione di investimento derivante da fondi propri della medesima -OMISSIS-, non in relazione ai fondi erogati dal Ministero. 3 - Il Ministero, con nota del 30.9.2022 di avvio del procedimento di revoca delle anticipazioni finanziarie precedentemente concesse, ha evidenziato che in conseguenza dei "fatti emersi nell'ambito degli accertamenti istruttori del procedimento penale instaurato innanzi il Tribunale di Milano nei confronti dell'impresa beneficiaria "-OMISSIS- s.r.l. in fallimento" e del legale rappresentante della stessa..." si sarebbero concretizzati "in capo all'impresa beneficiaria e al suo legale rappresentante la mancata realizzazione del progetto nei termini in cui è risultato ammesso all'agevolazione con conseguente sviamento del denaro pubblico. La capacità e la professionalità della -OMISSIS-, unita alle circostanze emerse con la sentenza del Tribunale di Milano, n. 11923/2018, pubblicata il 27/11/2018, ove si conferma che la -OMISSIS- entrava fin dal giugno 2006 nel capitale sociale di -OMISSIS- s.r.l. dopo aver condotto una due diligente durata ben nove mesi, e dunque dovendo essere ben consapevole della rispondenza o meno del progetto effettivo, rispetto a quello previsto per la fruizione dell'intervento agevolativo, implicano che la stessa avrebbe dovuto avvedersi già sul piano tecnico delle richiamate difformità ". Ha, quindi, comunicato che "alla luce delle dette risultanze, appaiono concretizzatisi i motivi di revoca dell'anticipazione erogata di cui al punto 16, rubricato "Revoca delle anticipazioni", delle "Condizioni di ammissibilità e disposizioni di carattere generale per gli interventi di concessione di anticipazioni finanziarie per l'acquisizione di partecipazioni temporanee e di minoranza nel capitale di rischio di imprese di cui agli articoli 103, comma 1, e 106 della legge 23 dicembre 2000, n. 388" adottate dal Ministero Delle Attività Produttive con decreto 19 gennaio 2004 (Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 23 del 29-01-2004); in particolare, appaiono realizzatisi i motivi per procedere alla revoca dell'anticipazione previsti dai punti 16.1.1, 16.1.3 e 16.1.9, del citato decreto del 19 gennaio 2004, quali rispettivamente: percepimento dell'anticipazione, da parte dei soggetti accreditati, sulla base di notizie, dichiarazioni o dati falsi, inesatti o reticenti; mancata destinazione dell'anticipazione agli scopi previsti dalla legge, dalla normativa di attuazione e dalle disposizioni dello stesso decreto 19 gennaio 2004; qualsiasi violazione od omissione degli obblighi derivanti dalle norme di legge, regolamentari e dall'intera normativa di riferimento in genere". 3.1 - Quindi, con il Decreto del Ministero delle imprese e del made in Italy prot. n. 0001378 del 2 maggio 2023 è stata disposta la revoca delle anticipazioni finanziarie, pari ad Euro928.393,00 (posizione MC 11) ed Euro325.500,00 (posizione MC 45); e si è disposto il "recupero della cifra complessiva di Euro4.326.012,07 corrispondente alla somma dei seguenti importi: a) importo di Euro928.393,00 relativo alla somma erogata alla ditta -OMISSIS--OMISSIS- in data 16 febbraio 2006 (posizione MC 11); b) importo di Euro325.500,00 relativo alla somma erogata alla ditta -OMISSIS--OMISSIS- in data 18 luglio 2008 (posizione MC 45); c) importo di Euro359.631,47 corrispondente alla maggiorazione, a titolo di interessi, da applicarsi all'importo di cui al punto a) sulla base di quanto previsto dal comma 4, articolo 9, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 123; d) importo di Euro204.701,60 corrispondente alla maggiorazione, a titolo di interessi, da applicarsi all'importo di cui al punto b), sulla base di quanto previsto dal comma 4, articolo 9, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 123; e) importo di Euro1.856.786,00 riferito alla pozione MC 11, a titolo di sanzione, sulla base di quanto previsto dal comma 2, articolo 9, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 123; f) importo di Euro651.000,00 riferito alla pozione MC 45, a titolo di sanzione, sulla base di quanto previsto dal comma 2, articolo 9, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 123". 4 - -OMISSIS- S.p.A. ha impugnato avanti il Tar per il Lazio tale provvedimento. Con successivi motivi aggiunti ha esteso l'impugnazione alla nota del 21.3.2023, con cui Me. Ce. S.p.A., nell'ambito del procedimento di revoca dell'anticipazione finanziaria precedentemente erogata, ha trasmesso al Ministero delle imprese le proprie osservazioni conclusive, secondo quanto previsto al punto 16.3 del DM 16.1.2004, nonché alla nota del 2.5.2023, con cui il predetto Ministero ha riscontrato tale nota. 4.1 - Il Tar adito, con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti. 5 - La società originariamente ricorrente ha impugnato tale pronuncia per i motivi di seguito esaminati. 5.1 - Con il primo motivo ("Erronea applicazione dell'art. 34 del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104. Erronea applicazione dell'art. 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241. Erronea applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c.. Erronea applicazione degli artt. 63 e 64 del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104. Erronea applicazione dell'art. 296 del TFUE. Erronea applicazione dell'art. 41 della Carta Fondamentale dei Diritti dell'Uomo. Violazione del divieto di integrazione postuma della motivazione. Violazione del divieto di ultrapetizione. Difetto dei presupposti, difetto di istruttoria, incongruità della motivazione, illogicità e irragionevolezza, travisamento, sviamento") l'appellante rileva che la decisione di rigetto del ricorso di primo grado assunta dal Tar poggia sostanzialmente su un unico elemento e, segnatamente, sulla circostanza che, alle vicende criminose che hanno coinvolto il legale rappresentante della -OMISSIS-, avrebbe partecipato anche l'amministratore delegato di -OMISSIS- S.p.A. fino al 23 luglio 2008. 5.2 - L'appellante evidenzia che dagli elementi versati in giudizio, il Giudice di prime cure avrebbe potuto acquisire contezza del fatto che l'amministratore delegato di -OMISSIS- è stato riconosciuto del tutto estraneo alle vicende criminose in questione, come risulta dalla richiesta di archiviazione formulata dal Pubblico Ministero l'8 dicembre 2013 e dal decreto di archiviazione successivamente emesso in data 8 gennaio 2014. 5.3 - La censura è infondata. La questione del coinvolgimento del legale rappresentante dell'appellante ha una rilevanza trascurabile rispetto all'oggetto del giudizio, costituito dalla revoca del finanziamento. Il Tar si è limitato a dare atto del coinvolgimento del legale rappresentante di -OMISSIS-, come in effetti verificatosi all'inizio del procedimento penale, senza trarre automaticamente da tale circostanza il rigetto del ricorso di primo grado. In questa sede deve darsi atto dell'archiviazione della sua posizione come evidenziato dall'appellante. Come anticipato tale aspetto non è, tuttavia, determinante ai fini della decisione, che deve aver riguardo alla sussistenza dei presupposti dell'atto di ritiro del finanziamento a prescindere dalla specifica posizione assunta dal legale rappresentante del procedimento penale. 6 - Con il secondo motivo ("Violazione, falsa applicazione degli artt. 7 e 10 della L. 7 agosto 1990, n. 241. Violazione, falsa applicazione del punto 16 del D.M. del Ministero delle Attività 25 Produttive del 19 gennaio 2004. Violazione, falsa applicazione dell'art. 97 della Costituzione. Violazione, falsa applicazione dell'art. 24 della Costituzione. Violazione dei principi di imparzialità, buon andamento e correttezza dell'azione amministrativa. Eccesso di potere sotto i profili di difetto dei presupposti, difetto di istruttoria, carenza di motivazione, contraddittorietà manifesta, illogicità e irragionevolezza, travisamento, sviamento") l'appellante rileva che in base al decreto del Ministero del 19 gennaio 2004, ai fini della revoca dell'anticipazione, il Comitato di Gestione non può limitarsi - in ossequio ai più basilari e minimali principi di tutela del contraddittorio e del diritto di difesa - a prendere atto delle osservazioni conclusive formulate dal Soggetto Gestore, essendo piuttosto tenuto a vagliare accuratamente siffatte osservazioni, nonché, in sede di adozione del provvedimento conclusivo, a dare espressamente conto delle valutazioni compiute al riguardo e ad esplicitare le ragioni per cui le abbia ritenute eventualmente fondate. Secondo l'appellante, tanto MCC, all'atto della formulazione delle osservazioni conclusive, quanto il Ministero, all'atto della adozione del Provvedimento, avrebbero agito in violazioni di tali principi. Nello specifico, il Soggetto Gestore ha proceduto a segnalare che "la motivazione da porre a fondamento del provvedimento definitivo di revoca è quella evidenziata nell'atto di avvio dello stesso", secondo l'appellante, con ciò dando erroneamente per assunto che il Ministero avrebbe dovuto semplicemente aderire a tale posizione. 6.1 - Sotto altro profilo, l'appellante prospetta che l'avvenuto riscontro da parte di MCC, con la nota prot. n. 0010966 del 22 dicembre 2022, alle deduzioni formulate dalla società non poteva consentire al Ministero di esimersi dall'entrare nel merito delle deduzioni presentate dalla società, ivi comprese quelle relative alla non assimilabilità dell'Anticipazione MC11 rispetto all'Anticipazione MC45 e alla conseguente necessità di differenziare le due posizioni. Secondo la società, il Ministero si sarebbe limitato ad adottare il provvedimento "sulla (sola) base delle informazioni trasmesse con la... nota del 21.03.2023", tralasciando integralmente, come invece avrebbe dovuto, di esaminare e valutare autonomamente l'intero corredo documentale, di prendere puntualmente posizione sulle singole contestazioni mosse da MCC e sulle relative deduzioni della società . 6.2 - La censura è infondata. Il provvedimento impugnato è stato adottato sulla base di una motivazione che richiama espressamente "la nota del 22 dicembre 2022 con cui Me. Cr. Ce. s.p.a. ha puntualmente esposto i motivi per i quali le memorie difensive prodotte non possono ritenersi idonee al fine dell'archiviazione dell'avvio del procedimento di revoca". Tale nota è stata inviata dal MCC, quale Soggetto Gestore, dopo aver ricevuto dalla società ricorrente la nota "del 29 ottobre 2022 con cui la -OMISSIS--OMISSIS- s.p.a. ha trasmesso a Me. Cr. Ce. s.p.a. le proprie memorie difensive all'avvio del procedimento di revoca". Tanto precisato, i rilievi di parte appellante non possono trovare accoglimento, dovendosi ricordare, da un lato, che la motivazione dell'atto può essere anche data "per relationem", nel senso che la motivazione può essere espressa anche con riferimento ad atti del procedimento amministrativo, giacché tale richiamo sottintende l'intenzione dell'autorità emanante di farli propri, assumendoli a causa giustificativa della determinazione adottata (cfr. Consiglio Stat, sez. VI, 24 febbraio 2011, n. 1156). Da un altro punto di vista, deve in ogni caso ricordarsi che l'onere di spiegare le ragioni per le quali non si è tenuto conto delle osservazioni presentate dai privati non deve essere inteso in senso formalistico, considerato che tale obbligo viene meno qualora le stesse non avrebbero potuto influenzare effettivamente la concreta portata del provvedimento finale (cfr. Consiglio di Stato, sezione II, sentenza 20 febbraio 2020, n. 1306). 7 - Con il terzo motivo ("Violazione, falsa applicazione del punto 6 del D.M. del Ministero delle Attività Produttive del 19 gennaio 2004. Violazione, falsa applicazione dell'art. 5 della Direttiva del Ministero delle Attività Produttive del 3 febbraio 2003. Violazione, falsa applicazione dell'art. 9 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 123. Violazione, falsa applicazione dell'art. 21 nonies della L. 7 agosto 1990, n. 241. Violazione del principio del legittimo affidamento. Eccesso di potere sotto i profili di difetto dei presupposti, difetto di istruttoria, incongruità della motivazione, illogicità e irragionevolezza, travisamento, sviamento") l'appellante deduce l'illegittimità dell'intervento del Ministero - da cui l'erroneità, anche sotto tale profilo, della sentenza impugnata - stante, da un lato, il decorso del termine di durata della partecipazione, originariamente fissato in un periodo massimo di 7 anni dalla data di acquisizione e poi elevato, per effetto dell'art. 4, comma 11 octies, del D.L. 24 gennaio 2015, n. 3, a 10 anni dalla stessa data ovvero, nel caso di -OMISSIS-, alla data di effettiva scadenza (già intervenuta) del fondo mobiliare gestito che ha acquisito la partecipazione - e, dall'altro lato, l'avvenuta cessione definitiva, in data 26 settembre 2012, dell'intera partecipazione residua inerente alle anticipazioni. Nello specifico, posto che la -OMISSIS- ha provveduto il 16 giugno 2006 ad acquisire la partecipazione in -OMISSIS- a valere inizialmente sull'Anticipazione MC11 - poi cedendola parzialmente (con profitto assegnato ritualmente al Ministero) a gennaio 2008 e dismettendola integralmente il 26 settembre 2012 - e tenuto conto, altresì, che in data 21 novembre 2013 è stato dichiarato il fallimento di detta società, secondo l'appellante dovrebbe concludersi che la posizione relativa alle anticipazioni non può che considerarsi definitivamente chiusa, con la conseguenza che il Ministero e MCC non vantavano, né vantano alcun titolo per procedere legittimamente alla revoca delle stesse anticipazioni. Al riguardo, sarebbero privi di pregio l'assunto contenuto nella nota di MCC prot. n. 0010956/22 del 22 dicembre 2022, ove si legge che è solo la sentenza civile ad avere "evidenziato in più punti argomentativi che non potesse evincersi l'assoluta disinformazione della -OMISSIS- nell'effettuazione del suo investimento in -OMISSIS- originata dall'illecito del leg. Rapp.te -OMISSIS-", nonché le argomentazioni secondo cui di tale sentenza le parti appellante avrebbero acquisito conoscenza solo in seguito alla pubblicazione della sentenza della Corte dei Conti. 7.1 - Anche volendo ritenere che l'intervenuto decorso del termine di 7 anni dalla data di acquisizione, da parte della -OMISSIS-, della partecipazione nel capitale di -OMISSIS- o l'intervenuta cessione totale, nel 2012, della partecipazione detenuta dalla stessa -OMISSIS- nella predetta società non consentano di poter ritenere "chiusa" e "definita" la posizione in questione, l'appellante prospetta che il provvedimento sia comunque illegittimo, in quanto assunto ben oltre un termine ragionevole, tanto più a fronte dell'operato, appunto "inerte", della stessa MCC. Invero, l'atto di ritiro si porrebbe in contrasto con l'art. 21 nonies della L. 7 agosto 1990, n. 241 - dovendosi qualificare l'atto in questione quale annullamento d'ufficio e non come erroneamente ritenuto dal Tar alla stregua di una revoca - nonché con la tutela del legittimo affidamento ad esso sottesa. 7.2 - L'appellante evidenzia inoltre il ruolo di mero soggetto intermediario assunto nell'ambito dell'operazione in questione dalla -OMISSIS-, rispetto alla quale, pertanto, MCC e il Ministero non possono fondatamente vantare il diritto alla restituzione delle anticipazioni erogate. L'unico soggetto dal quale il Ministero avrebbe potuto legittimamente pretendere la restituzione delle somme erogate, a risarcimento del danno subito, è -OMISSIS-, non potendo diversamente ipotizzarsi che, in ragione dell'impossibilità di agire in tal senso per l'intervenuta prescrizione di tale azione, a causa dell'inerzia dello stesso Ministero, quest'ultimo possa oggi, nell'ambito di un procedimento di revoca (per di più successivo di oltre 10 anni rispetto alla cessione delle partecipazioni e di 4 anni dalla sentenza civile), fondatamente pretendere la restituzione di tali somme dalla -OMISSIS- che, quale soggetto intermediario, ha ritualmente e correttamente eseguito il suo compito e alla quale, pertanto, non sono ascrivibili responsabilità, come del resto evidenziato anche dalla Corte dei Conti. 8 - La censura deve trovare accoglimento nei termini di seguito esposti. Il Giudice di primo grado ha ritenuto che nella specie non è stato applicato l'art. 21 nonies della legge 241/1990, avendo l'Amministrazione applicato il diverso istituto della cd. revoca - sanzione, stante l'espresso richiamato al d.lgs. 123/1998 ("Disposizioni per la razionalizzazione degli interventi di sostegno pubblico alle imprese"), che all'art. 9, rubricato "revoca dei benefici e sanzioni", prevede che "in caso di revoca degli interventi, disposta ai sensi del comma 1, si applica anche una sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma in misura da due a quattro volte l'importo dell'intervento indebitamente fruito" (comma 2). In disparte il fatto che anche la difesa del Ministero invoca l'applicazione dell'art. 21 nonies cit., l'assunto in base al quale il Tar ha rigettato la censura in esame non appare risolutivo, posto che, anche laddove si ritenga che la base legale del potere esercitato non sia rintracciabile nell'art. 21 nonies, che limita temporalmente il potere di annullamento di un precedente provvedimento ampliativo della sfera giuridica del destinatario, ciò non significa che sia sempre possibile un intervento, sine die, dell'amministrazione su un beneficio in precedenza attribuito. A prescindere dalla questione se il potere esercitato sia riconducibile all'istituto generale di cui all'art. 21 nonies, piuttosto che ad una specifica ipotesi di revoca-decadenza (vedasi al riguardo Cons. St. Ad. Plen n. 18/2020 secondo la quale "la decadenza, intesa quale vicenda pubblicistica estintiva, ex tunc (o in alcuni casi ex nunc), di una posizione giuridica di vantaggio (c.d. beneficio), è istituto che, pur presentando tratti comuni col più ampio genus dell'autotutela, ne deve essere opportunamente differenziato, caratterizzandosi specificatamente: a) per l'espressa e specifica previsione, da parte della legge, non sussistendo, in materia di decadenza, una norma generale quale quelle prevista dall'art. 21 nonies della legge 241/90 che ne disciplini presupposti, condizioni ed effetti; b) per la tipologia del vizio, more solito individuato nella falsità o non veridicità degli stati e delle condizioni dichiarate dall'istante, o nella violazione di prescrizioni amministrative ritenute essenziali per il perdurante godimento dei benefici, ovvero, ancora, nel venir meno dei requisiti di idoneità per la costituzione e la continuazione del rapporto; c) per il carattere vincolato del potere, una volta accertato il ricorrere dei presupposti") deve comunque esigersi che questo vada esercitato entro un termine ragionevole, avuto riguardo alle circostanze del caso. Ciò che emerge dalla vicenda oggetto di causa appare sintomatico di uno svolgersi dell'attività amministrativa secondo logiche lontane dal modello di correttezza e buona amministrazione di cui all'art. 97 della Costituzione, come si è andato evolvendo nel diritto vivente. Modello in cui, alla tradizionale ed imprescindibile funzione di garanzia di legalità nel perseguimento dell'interesse pubblico, la funzione amministrativa viene a rivestire anche un ruolo di preminente importanza per la creazione di un contesto idoneo a consentire l'intrapresa di iniziative private, alla quale si collega direttamente la necessità di certezza del quadro giuridico di riferimento che non può, senza una valida giustificazione, essere alterato ad anni di distanza dalla sua originaria stabilizzazione. I princì pi generali di economicità, di efficacia, di buon andamento ed imparzialità, che devono sempre presidiare l'attività amministrativa, impongono che l'amministrazione (pur in assenza della predeterminazione legale del termine massimo per la conclusione del procedimento) deve agire comunque in modo tempestivo, rispettando l'esigenza del cittadino di certezza, nella specifica accezione di prevedibilità temporale, delle conseguenze derivanti dall'esercizio dei pubblici poteri (cfr. Consiglio di Stato, sez. VII, 14.02.2022, n. 1081). Nel caso in esame, l'amministrazione, essendone nelle condizioni, doveva agire in modo tempestivo al fine di preservare la specifica esigenza alla certezza economico-giuridica del soggetto direttamente inciso, nonché, indirettamente, al fine di garantire una condizione generale di stabilità del mercato nel quale lo stesso opera e sul quale possono riflettersi gli effetti dell'atto impugnato. Alla luce dei principi innanzi esposti, deve ritenersi che il provvedimento impugnato, comunque lo si voglia qualificare, sia intervenuto immotivatamente in un tempo eccessivamente lontano dai fatti che lo giustificano, rendendo pertanto il ritardo intollerabile e suscettibile di determinare l'illegittimità dell'atto. 8.1 - In fatto: l'appellante ha terminato di acquisire partecipazioni in -OMISSIS- nel 2008. E' pacifico che le partecipazioni sono stata dismesse nel 2012 ed è altrettanto pacifico che, in data 29/11/2012, era pervenuta al soggetto Gestore comunicazione da parte della -OMISSIS- con cui si informava che era stata conclusa la cessione della residua partecipazione complessiva dalla stessa detenuta. A decorrere da quella data non sussisteva più alcuna partecipazione da gestire da parte dell'appellante, il rapporto di partecipazione societaria che aveva avuto origine dalla concessione dell'anticipazione si era dunque chiuso. Il fatto, allegato dal Ministero, per cui l'intermediario non avrebbe fornito notizie in merito all'effettivo incasso delle somme alle scadenze non rileva ai fini del presente giudizio, ove si consideri che la contestazione mossa all'appellante non attiene a tale aspetto, né tale aspetto, per quel che consta, è mai stato formalmente contestato dal Ministero. Anzi, tale circostanza riferita dall'amministrazione doveva costituire un evidente campanello di allarme per quest'ultima che avrebbe potuto e dovuto attivarsi già allora per tutelare la propria posizione. Tanto precisato, l'avvio del procedimento poi sfociato nel provvedimento impugnato è del 30.9.2022; è quindi intervenuto circa dieci anni dopo che la partecipazione in -OMISSIS- era stata liquidata e definitivamente chiusa; durante tale decennio, la -OMISSIS- non aveva ovviamente più svolto alcuna attività connessa all'originario rapporto che ha dato luogo al provvedimento impugnato. 8.2 - Il dato per cui nel 2012 il rapporto doveva ritenersi ormai chiuso si desume dalle seguenti disposizioni del Decreto 19 gennaio 2004 che regola lo specifico finanziamento per cui è causa: - il punto 6 del Decreto prevede che le partecipazioni devono, tra l'altro, "avere una durata massima di sette anni a decorrere dalla data di acquisizione della partecipazione risultante dall'estratto notarile del libro soci"; - il punto 13 prevede che, "Dismessa la partecipazione, il soggetto accreditato deve restituire al Gestore un importo pari al valore di cui al punto 12.2.2 ridotto della commissione di gestione di cui al punto 12.1 e del premio di cui al punto 12.2 con valuta di accredito al Gestore entro un mese dalla data di dismissione risultante dall'estratto notarile del libro soci"; - il punto 14 (Mancata dismissione delle partecipazioni) prevede che: "qualora i soggetti accreditati non abbiano dismesso la partecipazione nel termine di sette anni a decorrere dalla data di acquisizione della partecipazione, risultante dall'estratto notarile del libro soci, sono tenuti a restituire al Gestore l'importo della anticipazione calcolato alla data di scadenza. La restituzione dell'anticipazione deve avvenire con le modalità di cui al punto 13.1. entro il termine di un mese dalla data di scadenza del periodo massimo di detenzione della partecipazione". Dalle disposizioni innanzi richiamate emerge, in primo luogo, come la durata della partecipazione avesse un termine massimo di durata di sette anni (poi elevato, per effetto dell'art. 4, comma 11 octies, del D.L. 24 gennaio 2015, n. 3, a 10 anni); emerge inoltre che, una volta dismessa la partecipazione, scattano gli adempimenti restitutori in favore del Ministero da parte della -OMISSIS- "entro un mese dalla data di dismissione risultante dall'estratto notarile del libro soci" o "entro il termine di un mese dalla data di scadenza del periodo massimo di detenzione della partecipazione". Alla luce delle scansioni temporali predeterminate dal Decreto che regola il finanziamento in questione, siccome l'ingresso in -OMISSIS- risale al 2006, non è dato comprendere per quale ragione il Ministero abbia atteso sino al 2022 per revocare il finanziamento a suo tempo concesso, ovvero dieci anni dopo la dismissione della partecipazione e ben diciotto anni dopo l'iniziale concessione del finanziamento. Seppure a rigore la prospettazione del Ministero - secondo il quale il termine di 7 anni regolerebbe la detenzione della partecipazione e non l'esercizio del potere di revoca - appaia condivisibile, resta il fatto che, siccome nel caso di specie la posizione era stata incontestabilmente liquidata sin dal 2012, da tale data, in base alle disposizioni citate, avrebbero comunque dovuto aprirsi le procedure di chiusura anche dei rapporti tra la -OMISSIS- e il Ministero (entro il termine di un mese) ed in tale frangente avrebbero verosimilmente potuto emergere i fatti poi oggetto degli addebiti di cui al provvedimento impugnato emesso nel 2022. 8.3 - La giustificazione addotta dal Ministero per cui avrebbe acquisito conoscenza dei motivi di revoca solo in seguito alla pubblicazione della sentenza della Corte dei Conti n. 220/2022 non appare sostenibile per le ragioni di seguito spiegate: - lo stesso Ministero ha affermato di avere trasmesso al Gestore, a settembre 2013, l'informativa riservata pervenuta dalla Guardia di Finanza il 24 settembre 2013, recante gli esiti delle indagini condotte nell'ambito del procedimento penale; tale circostanza è valorizzata anche nella sentenza della Corte dei Conti cit.; - nel 2013 la -OMISSIS-, società beneficiaria dell'anticipazione, è stata dichiarata fallita; - la sentenza penale con la quale il legale rappresentante di -OMISSIS- ha patteggiato la pena risale al 15 marzo 2015 e il Mise era stato indicato tra le parti offese nella richiesta di rinvio a giudizio, che risale al 7 maggio 2014; - la sentenza del Tribunale civile di Milano relativa all'azione di responsabilità promossa nei confronti dello stesso risale al 27 novembre 2018. In definitiva: le vicende relative al procedimento penale, i cui fatti sono sostanzialmente i medesimi di quelli portati a giustificazione del provvedimento impugnato, sono emerse ben prima della sentenza della Corte dei Conti e della sentenza del Tribunale civile di Milano (che comunque risale al 2018), dovendosi per l'effetto ragionevolmente ritenere che il Ministero ne dovesse essere consapevole, se non dalla trasmissione della relazione della Guardia di Finanza, quanto meno dall'intervenuta sentenza in sede penale che risale al 2015, rendendo ingiustificato ed intollerabile il ritardo con il quale è stato avviato, solo nel 2022, il successivo procedimento di revoca. 8.4 - Alla luce delle circostanze innanzi evidenziate non risulta risolutivo il richiamo del Ministero al secondo comma dell'art. 21 nonies della L. n. 241 del 1990, che regola l'annullamento del provvedimento illegittimo conseguito sulla base di false rappresentazioni dei fatti (o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci). Tale richiamo non appare pertinente ove si consideri che: - da un lato, il legale rappresentate dell'appellante è stato completamente scagionato dall'iniziale imputazione penale, non potendosi pertanto ritenere che l'appellante abbia posto in essere un'attività insidiosa atta a giustificare la dilazione del potere di autotutela, dovendosi anzi evidenziare che l'appellante, in qualità di danneggiata, si è costituita parte civile nel procedimento penale ed ha ivi ricevuto parziale ristoro; - in ogni caso, come già osservato, il Ministero già nel 2013 era stato notiziato dalla Giardia di Finanza dei fatti penalmente rilevanti e nel 2015 è intervenuta la sentenza penale di patteggiamento, non essendo dato comprendere le ragioni dell'attesa, sino al 2022, per l'avvio del procedimento di revoca. 9 - L'accoglimento dell'appello nei termini che precedono è idoneo ad esaurire la materia del contendere, non residuando alcun interesse all'esame degli ulteriori motivi di appello con i quali la società contesta la sussistenza di una sua responsabilità per la mancata attuazione del progetto al quale era funzionale l'erogazione dell'anticipazione poi revocata. In ogni caso, si osserva che non era la società di gestione la beneficiaria ultima del finanziamento di cui trattasi. La -OMISSIS-, infatti, ha ricevuto il denaro pubblico non per un vantaggio proprio, ma per investirlo, quale intermediario, in conformità ai modi stabiliti dall'amministrazione in un progetto che quest'ultima ha approvato (ai sensi del punto 8.5 del Decreto, la valutazione dei programmi di sviluppo è effettuata dal Comitato di Gestione). Al riguardo, la Corte dei Conti ha precisato che "l'unico legittimato ad interrompere la prescrizione dell'azione di responsabilità era il titolare del diritto, ossia l'ente danneggiato MISE, per la quota di sua competenza", concludendo nel senso che "L'inerzia del Ministero ha, quindi, causato un danno erariale costituito dalla prescrizione dell'azione di responsabilità esercitata dalla Procura nei confronti di -OMISSIS- e del fall. -OMISSIS- srl" (sentenza n. 220/2022). 10 - Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta al Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 maggio 2019, n. 3110). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. 10.1 - Le spese di lite del doppio grado di giudizio, ad una valutazione complessiva della controversia, possono essere compensate. 11 - Deve infine disporsi la trasmissione della presenta sentenza, unitamente agli atti della causa, alla competente Procura della Corte dei Conti, per ogni eventuale valutazione in riferimento ai fatti emersi nel corso del giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta accoglie l'appello e, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla l'atto impugnato. Spese di lite compensate. Dispone la trasmissione a cura della Segreteria della presente sentenza e degli atti di causa alla competente Procura della Corte dei Conti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone fisiche citate nel provvedimento. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Hadrian Simonetti - Presidente Giordano Lamberti - Consigliere, Estensore Davide Ponte - Consigliere Lorenzo Cordà - Consigliere Marco Poppi - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 855 del 2024, proposto da Ap. s.p.a. (incorporante di Li. Ge. s.r.l.) e So. Consorzio di Co. So. s.c.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 9651063522, rappresentate e difese dagli avvocati Gi. Pe., Cl. Vi. ed El. So., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ec. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Fi. e Sa. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Do. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Se. Co. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Al. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Comune di (omissis), Comune di (omissis), Centrale unica di committenza - C.U.C. tra i Comuni di (omissis), (omissis) e (omissis), So. Pr. cooperativa sociale onlus, Ve. l'A. - società cooperativa sociale onlus, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia, Sezione prima n. 918 del 18 dicembre 2023 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ec. s.r.l., del Comune di (omissis) e di Se. Co. s.p.a.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 aprile 2024 il consigliere Ofelia Fratamico; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue FATTO e DIRITTO 1. L'oggetto del presente giudizio è costituito: - dalla determinazione n. 492 del 6 giugno 2023, successivamente pubblicata in data 7 giugno 2023, con cui, al termine della procedura indetta dalla centrale unica di committenza CUC costituita fra i Comuni di (omissis), (omissis) e (omissis), il Comune di (omissis) ha aggiudicato in via definitiva il servizio di igiene urbana, con durata quinquennale, in favore del costituendo RTI tra Li. Ge. s.r.l. (capogruppo e mandataria) e So. società consortile cooperativa a r.l. (mandante, che ha indicato quali consorziate esecutrici So. Pr. coop. sociale ONLUS e Ve. l'A. cooperativa sociale); - dalla proposta di aggiudicazione formulata dalla Commissione giudicatrice in seno al verbale del 10 maggio 2023 - registrato al prot. n. 18123 dell''11 maggio 2023; - dal paragrafo 7.4 del disciplinare di gara; - da tutti i verbali di gara e da tutti gli atti presupposti, conseguenziali, o comunque connessi della procedura. 2. La Ec. s.r.l., terza classificata nella graduatoria finale della gara, ha impugnato tali atti dinanzi al T.a.r. per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia, chiedendo l'esclusione del RTI aggiudicatario, la declaratoria di inefficacia del contratto di appalto eventualmente medio tempore stipulato, nonché la condanna dell'Amministrazione a disporre la riedizione del segmento di gara relativo alla valutazione delle offerte tecniche secondo i differenti criteri di giudizio previsti dal paragrafo 18.2 della lex specialis per il caso di soli due partecipanti alla gara (non più confronto a coppie, ma confronto cd. "scolastico"). 3. Affermando di avere un concreto interesse alla "riedizione della gara" nei termini suddetti, la ricorrente ha articolato i seguenti motivi di ricorso: a) violazione artt. 45 e 47 del d.lgs. 50/2016, violazione artt. 7- 7.1- 7.3 - 7.4 - 7.5 del disciplinare, carenza dei requisiti speciali e mezzi di prova; b) violazione del paragrafo 7.2, mancata dimostrazione dei requisiti di capacità economica e finanziaria, violazione e falsa applicazione dell'art. 86, co. 4, del d.lgs 50/2016; c) violazione del paragrafo 7.3 lett. a) del disciplinare di gara, mancata dimostrazione e comprova dei requisiti di capacità tecnica e professionale in ordine all'esecuzione dei servizi analoghi dell'ultimo triennio, grave incompletezza del DGUE dell'aggiudicataria; d) violazione art. 95 d.lgs. n. 50/2016, violazione punto 18. 2 del disciplinare, eccesso di potere per cattivo esercizio della discrezionalità tecnica; e) apertura in seduta riservata della documentazione amministrativa, violazione degli artt. 29 e 30 del d.lgs 50/2016, violazione dei principi di trasparenza e pubblicità, violazione e falsa applicazione del paragrafo 19 del disciplinare di gara. 4. Con la sentenza n. 918 del 18 dicembre 2023 il T.a.r. per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia, ha accolto il ricorso, rigettando, in particolare, l'eccezione di inammissibilità del gravame formulata dalla aggiudicataria per mancanza della prova di resistenza e ritenendo fondata la prima censura proposta da Ec. s.r.l. in rapporto al mancato possesso dell'iscrizione ANGA (Albo nazionale gestori ambientali) in capo alla mandante del RTI controinteressato, Consorzio So.. 5. Ap. s.p.a., società incorporante di Li. Ge. s.r.l., mandataria del RTI aggiudicatario, e il Consorzio So. (mandante) hanno chiesto al Consiglio di Stato di riformare, previa sospensione dell'esecutività, la pronuncia del T.a.r., affidando il proprio appello a tre motivi così rubricati: I - error in iudicando: violazione degli artt. 39 c.p.a. e 100 c.p.c. e dei principi in materia di interesse ad agire e prova di resistenza, errata valutazione dei presupposti di fatto e di diritto, contraddittorietà, inammissibilità del ricorso di primo grado per carenza di interesse; II - error in iudicando: violazione degli artt. 45, 47, 48 e 83 d.lgs. n. 50/2016, errata interpretazione e applicazione del disciplinare di gara, violazione dell'art. 212 d.lgs. n. 152/2016, infondatezza del primo motivo di ricorso avversario in primo grado; III - riproposizione delle eccezioni formulate in primo grado ai sensi dell'art. 101 c.p.a. 6. Si sono costituiti in giudizio il Comune di (omissis), che ha aderito integralmente agli argomenti e ai motivi di appello, la Se. Co. s.p.a., seconda classificata nella gara, e la originaria ricorrente Ec. s.r.l. che hanno, invece, eccepito l'inammissibilità e, in ogni caso, l'infondatezza nel merito dell'appello. 7. Con ordinanza n. 586 del 19 febbraio 2024 l'istanza cautelare è stata accolta. 8. Con memorie del 2 aprile 2024 e repliche del 5 e 6 aprile 2024 le parti hanno ulteriormente articolato le loro difese, insistendo nelle rispettive conclusioni. 9. All'udienza pubblica del 18 aprile 2024 la causa è stata, infine, trattenuta in decisione. 10. Con il loro appello Ap. s.r.l. ed il Consorzio So. hanno riproposto, in primo luogo, l'eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado, sostenendo che l'originaria ricorrente Ec. s.r.l., terza in graduatoria, avrebbe dovuto preliminarmente fornire in giudizio la c.d. prova di resistenza, dimostrando specificamente la possibilità di trarre un qualche vantaggio dall'annullamento dell'aggiudicazione. Secondo gli appellanti, infatti, anche nell'ipotesi di loro esclusione dalla gara, l'Amministrazione non avrebbe dovuto o potuto effettuare una nuova valutazione delle offerte, come erroneamente ritenuto dal T.a.r. per giustificare l'ammissibilità del ricorso, ma un mero ricalcolo matematico dei punteggi già ottenuti dai concorrenti, che avrebbero dovuto essere semplicemente "depurati" degli effetti del confronto. Tale operazione di mera conversione non avrebbe rappresentato, dunque, una rinnovazione della procedura, ma un semplice riconteggio automatico, rendendo indispensabile per l'ammissibilità del gravame la prova di resistenza, tanto più necessaria visto il notevole divario tra il punteggio ottenuto dalla seconda classificata Se. Co. s.p.a. sotto numerosi profili dell'offerta tecnica e quello della Ec. s.r.l. 11. Con il secondo motivo di appello Ap. s.r.l. e il Consorzio So. hanno denunciato un'altra profonda criticità che avrebbe caratterizzato, a loro dire, l'iter motivazionale seguito dal T.a.r. nell'accogliere il ricorso di primo grado, costituita dalla applicazione solo parziale del disciplinare di gara, con completa pretermissione dell'art. 7.5 e attribuzione di esclusivo rilievo all'art. 7.4 nella valutazione del possesso del requisito di iscrizione all'ANGA da parte del RTI aggiudicatario. 12. Nell'affermare la carenza in capo alla mandante So. del requisito in parola il giudice di prime cure non avrebbe considerato adeguatamente la specifica natura di tale soggetto che, essendo un consorzio di cooperative, avrebbe potuto, appunto, a norma dell'art. 7.5 del disciplinare, ben soddisfare le richieste della lex specialis attraverso le imprese consorziate indicate come esecutrici, So. Pr. e Ve. l'A., entrambe in possesso del requisito stesso, senza che su tale facoltà potesse influire la scelta del Consorzio di partecipare alla gara non da solo, ma in RTI. Le medesime argomentazioni sarebbero, poi, dovute valere anche per le certificazioni di qualità regolarmente possedute, nella loro versione aggiornata, dalle imprese consorziate indicate come esecutrici. 13. Con l'ultimo motivo gli appellanti hanno, infine, riproposto in appello le eccezioni di inammissibilità per difetto di interesse di alcune censure formulate dall'originaria ricorrente in rapporto alla pretesa illegittimità dell'esame da parte della Commissione della documentazione dei concorrenti, che sarebbe avvenuto in seduta riservata anziché pubblica, ma secondo Ap. s.r.l. e il Consorzio non avrebbe comunque impedito ad Ec. s.r.l. di visionare con completezza tutti gli atti di gara e la loro domanda e di far valere efficacemente in giudizio i propri interessi attraverso la proposizione del ricorso. 14. Tali doglianze sono state fatte proprie, come detto, dal Comune di (omissis), che ha sottolineato come l'originaria ricorrente non avesse specificamente impugnato l'art. 7.5 del disciplinare, che costituiva la norma speciale applicabile alla fattispecie. 15. Ec. s.r.l. ha, da parte sua, chiesto la conferma della sentenza del T.a.r., ribadendo in appello le doglianze di mancata dimostrazione dell'iscrizione per tutte le categorie richieste anche da parte della Cooperativa Ve. l'A. e di difetto di validità delle certificazioni di qualità del Consorzio So., non specificamente esaminate in primo grado, mentre Se. Co. s.p.a. ha eccepito l'inammissibilità dell'appello, nella parte volta a contestare la carenza di interesse di Ec. s.r.l. e la correttezza dell'interpretazione data dal T.a.r. alla lex specialis, in considerazione del carattere "personalissimo" e "non trasferibile" del requisito dell'iscrizione all'ANGA e della obbligatorietà, a norma dell'art. 7.1 del disciplinare, per ciascun "concorrente" alla gara, qual era il Consorzio So., dell'iscrizione stessa. 16. Se l'eccezione di inammissibilità dell'originario ricorso di Ec., riproposta da Ap. e dal Consorzio con il primo motivo di appello, deve essere rigettata alla luce della oggettiva complessità della "conversione" dei valori assegnati alle offerte dei concorrenti con il confronto a coppie nei punteggi "autonomi" del c.d. confronto scolastico, dimostrata anche dalla grande diversità dei risultati ottenuti nelle varie simulazioni effettuate dalle parti, il secondo motivo articolato dagli appellanti risulta, invece, fondato e meritevole di accoglimento nei termini di seguito illustrati. 17. A differenza di quanto ritenuto dal T.a.r., le disposizioni dettate dal disciplinare di gara all'art. 7.1 circa i requisiti di idoneità - tra i quali l'"iscrizione all'Albo nazionale gestori ambientali alle seguenti categorie e classi: categoria 1 classe D o superiori, categoria 4 classe F o superiori, categoria 5 classe F o superiori" e all'art. 7.4. per la partecipazione alla procedura di un RTI, per cui il requisito stesso "deve essere posseduto da ciascuna delle imprese raggruppate", devono essere, infatti, essere lette in combinato disposto con la disciplina dell'art. 7.5, specificamente dedicata ai consorzi di cooperative, nei quali "il requisito di cui al punto 7.1 lett. b) deve essere posseduto dalla/e impresa/e consorziata/e indicata/e come esecutrice/i", essendo l'ipotesi in questione contraddistinta proprio dalla coesistenza di entrambe le fattispecie che, combinate insieme, danno, appunto, origine al caso particolare del consorzio di cooperative componente di un RTI. 18. La suddetta interpretazione sistematica della lex specialis di gara non può che condurre a ritenere integrato il requisito dell'iscrizione ANGA da parte del Consorzio So. attraverso le cooperative indicate come esecutrici (in possesso dell'iscrizione, l'una, So. Pr. coop onlus, per tutte le categorie e classi richieste, e l'altra, Ve. l'A. soc. coop., per la parte di servizio che era destinata a svolgere in concreto (consistente nella gestione del centro per la raccolta dei rifiuti, attività ad essa attribuita anche nel precedente affidamento). 19. Pur avendo partecipato Li. Ge. e il Consorzio So. in RTI orizzontale alla gara, la mandante So. non risulta, infatti, aver dichiarato di concorrere "in proprio" per lo svolgimento del servizio, non potendo tra l'altro i consorzi di cooperative, a causa dello scopo mutualistico che li contraddistingue, indicare se stessi come esecutori. 20. La diversa opzione ermeneutica proposta da Ec. s.r.l. e accolta dal T.a.r., oltre che confliggere con il significato letterale delle parole del disciplinare, nella loro successione, contrasta, poi, come dedotto dagli appellanti, anche con la ratio stessa della previsione della facoltà per le imprese di partecipare alle gare in raggruppamento temporaneo, nonché con il diritto comunitario in materia. 21. L'utilizzo in una procedura di gara del RTI, che non costituisce, in verità, un nuovo ente dotato di personalità giuridica distinto dalle imprese che lo compongono, ma rappresenta un semplice modulo organizzativo basato sul mandato tra operatori, non può, dunque, incidere sulla natura del soggetto partecipante, cosicché anche al suo interno un consorzio di cooperative non perde le sue caratteristiche specifiche, né le sue peculiari modalità di funzionamento, potendo dimostrare il possesso dei requisiti, ove consentito appunto dalla lex specialis, come in questo caso, attraverso le consorziate indicate come esecutrici. 22. Ciò è confermato anche dal diritto unionale (cfr. direttiva 2014/24/UE), secondo cui i raggruppamenti di operatori economici partecipano di regola alle procedure di aggiudicazione senza dover assumere una forma giuridica specifica e possono subire l'imposizione di particolari condizioni solo ove proporzionate, non discriminatorie e giustificate da ragioni obiettive. Da qui la necessità di un'interpretazione che sia in linea con i principi comunitari e non penalizzi la scelta di partecipare ad una gara in RTI. Non pertinenti appaiono, poi, sia il riferimento al cd. cumulo alla rinfusa, riguardante tipologie di requisiti diverse da quelle in questione, sia il rinvio ad una recente sentenza di questo Consiglio di Stato, concernente profili anch'essi del tutto distinti ed estranei alla controversia in esame. 23. Non meritevoli di accoglimento sono, inoltre, le censure riproposte da Ec. di mancata integrazione del requisito di iscrizione ANGA neppure da parte delle cooperative esecutrici e, in particolare, da parte della cooperativa Ve. l'A. e di insufficienza delle certificazioni di qualità . 24. Da un lato, come detto, la suddivisione delle prestazioni è stata definita tra Li. Ge. e So. nell'ambito dell'impegno a costituire il RTI con assunzione da parte del Consorzio, in particolare, della gestione del CDR, dall'altro, l'art. 7.5 non imponeva che ciascuna consorziata possedesse l'iscrizione in tutte le categorie e classifiche richieste, ma solo che queste dovessero essere soddisfatte integralmente dalle esecutrici nel loro complesso, come verificatosi nell'ipotesi de qua. Dagli atti di causa risulta, poi, che tutte le componenti del RTI e le consorziate fossero in possesso di una certificazione regolare e in corso di validità che, in caso di dubbio da parte dell'Amministrazione, avrebbe ben potuto essere oggetto di approfondimento o verifica presso gli enti competenti. 25. In conclusione, l'appello deve, perciò, essere accolto, con conseguente rigetto, in riforma della sentenza appellata, del ricorso proposto in primo grado da Ec. s.r.l. 26. Per la particolarità e la complessità delle questioni trattate sussistono, tuttavia, giusti motivi per compensare tra le parti le spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, rigetta il ricorso proposto in primo grado da Ec. s.r.l. Compensa tra le parti le spese del doppio grado. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Gerardo Mastrandrea - Presidente Giuseppe Rotondo - Consigliere Michele Conforti - Consigliere Emanuela Loria - Consigliere Ofelia Fratamico - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1639 del 2022, proposto da Vi. Pa., in proprio e quale titolare e legale rappresentante della ditta individuale Pa. Vi., rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Fa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Bolzano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Al. Me. e Bi. Ma. Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l'avvocatura comunale; Provincia Autonoma di Bolzano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati La. Fa., Mi. Pu., Al. Ro. e Cr. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l'avvocatura provinciale; per la riforma della sentenza del T.R.G.A. - Sezione Autonoma di Bolzano, n. 354/2021, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Bolzano e della Provincia Autonoma di Bolzano; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 maggio 2024 il Cons. Thomas Mathà e udito per la parte appellata l'avvocato Al. Me.; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il signor Vi. Pa. esercitava dal 2011 l'attività di vendita di frutta e verdura su un'area pubblica in via (omissis) a Bolzano, in base a titoli di occupazione del suolo pubblico temporanei (annuali) e rilasciati in via precaria e ripetutamente. L'ultima concessione, risalente al 2020, indicava il periodo di validità dal 28.1.2020 al 31.12.2020. Il rispettivo posteggio (6,30 x 2,20 metri con autocarro, 1,00 x 1,00 metri con tavolino e 3,00 x 3,00 metri con ombrellone) non era inserito nel regolamento comunale per il commercio su aree pubbliche. 2. In data 10.2.2021il signor Pa. presentava un ulteriore istanza per la concessione del posteggio in via (omissis) (protocollato dal Comune al n. 30088/2021 del 10.2.2021), chiedendo con essa una proroga di dodici anni. 3. L'amministrazione comunale, con il provvedimento n. 15 del 13.5.2021 rigettava l'istanza, ritenendo che: - il vigente Regolamento del commercio su aree pubbliche del Comune di Bolzano non prevede alcun posteggio con attività quotidiana e settimanale in Via (omissis); - il rilascio di una nuova concessione di occupazione di suolo pubblico per un posteggio in mercati e fiere o fuori mercato, in attuazione di quanto previsto dall'art. 26 della L.P. n. 12/2019, deve avvenire con una procedura ad evidenza pubblica, attraverso appositi bandi adeguatamente pubblicizzati, e solo successivamente all'inserimento di un nuovo posteggio nel Regolamento Comunale del commercio su aree pubbliche; - l'Amministrazione Comunale valuterà l'opportunità di inserire e/o rimuovere dei posteggi nel nuovo Regolamento del commercio su aree pubbliche, da mettere in gara, in attuazione a quanto previsto dall'art. 24 della L.P. 12/2019; - la Commissione competente ha preso atto, in data 15/2/2021, tenuto conto del quadro normativo sopra evidenziato, del fatto che il posteggio in oggetto non è regolamentato, e della decisione di non ritenere più opportuno rilasciare ulteriori posteggi al di fuori delle aree attualmente previste nel Regolamento comunale del commercio su aree pubbliche. 4. Tale ultima determinazione era l'atto impugnato nel giudizio dinanzi al TRGA, Sezione Autonoma di Bolzano. 5. Il signor Pa. deduceva l'illegittimità del provvedimento supportato da due ordini di censura: a) violazione e falsa interpretazione dell'art. 65 della L.P. n. 12/2019 nonché dell'art. 181, comma 4 bis, del D.L. n. 34/2020; eccesso di potere per difetto d'istruttoria e travisamento dei fatti nonché per difetto di motivazione, ritenendo illegittima la mancata proroga ex lege per dodici anni, di cui beneficiano le concessioni di posteggio scadute al 31.12.2020; tale proroga sarebbe prevista dalle misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19; b) violazione e/o falsa applicazione dell'art. 65 della L.P. n. 12/2019, eccesso di potere per difetto di competenza della Giunta provinciale a poter integrare i requisiti per l'attuazione della proroga prevista da tale norma. Quest'ultima doglianza era formulata per mero tuziorismo difensivo e per l'ipotesi residuale di ritenere applicabile la delibera della Giunta provinciale n. 389 del 2021. Ad avviso del ricorrente la delibera della Provincia sarebbe lesiva del disposto legislativo di base, che non prevedrebbe alcuna delega all'esecutivo provinciale. 6. Si erano costituiti in resistenza il Comune di Bolzano e, ad opponendum, la Provincia Autonoma di Bolzano, che concludevano entrambi per il rigetto del gravame. 7. La sentenza indicata in epigrafe ha ritenuto infondato il ricorso. Più in particolare, il primo giudice ha motivato la sua decisione in base ai seguenti ragionamenti: - la proroga prevista dall'art. 65 della L.P. 12/2019 va concessa alle occupazioni pluriennali, ai sensi della disciplina del commercio su aree pubbliche; - i titoli del signor Pa. erano sempre stati limitati nel tempo (annuali) e rilasciati al di fuori dell'ambito disciplinare del commercio su aree pubbliche; - la proroga di 12 anni sarebbe quindi dodici volte superiore a quella originaria; - le ragioni che avevano spinto il Comune di Bolzano a rigettare l'istanza erano corrette, atteso che - conformemente al vigente quadro normativo - era necessario prima l'inserimento del posteggio nel piano comunale per il commercio su aree pubbliche e, poi, successivamente l'esperimento di una procedura ad evidenza pubblica di per assegnare l'area; - il carattere provvisorio e precario della concessione di occupazione è motivo evidente per non poter radicare nell'istante il principio di tutela dell'affidamento in un suo ulteriore rinnovo o addirittura nella sua automatica proroga; - per quanto concerne la seconda censura, che riguardava la legittimità della delibera della Giunta Provinciale, essa non era richiamata nell'impugnato provvedimento di rigetto e le sue motivazioni prescindevano da ogni questione attinente all'istituto della proroga ex lege. 8. Il signor Pa. ha proposto appello per la riforma della sentenza con la quale il ricorso è stato respinto. 9. Il Comune di Bolzano e la Provincia Autonoma di Bolzano si sono costituiti per resistere al gravame. 10. Con ordinanza n. 1266/2022 la Sezione ha respinto l'incidentale domanda dell'appellante di sospensione della sentenza, rilevato che la concessione del posteggio, per cui è causa, è scaduta il 31.12.2020, e che, nella nuova pianificazione comunale, non impugnata con specifici motivi di censura, l'area non è stata più assegnata in concessione al ricorrente, il quale, peraltro, è stato titolare di mera concessione temporanea di durata annuale che non fonda alcuna tutela dell'aspettativa, tale da giustificare l'ulteriore occupazione dell'area demaniale. 11. L'appellante, con atto depositato nel PAT il 22.3.2022 ha chiesto la revoca della predetta ordinanza cautelare, specificando che il piano commerciale del Comune di Bolzano, ai sensi della legge provinciale n. 12/2010, non era ancora stato approvato, ritenendo ciò un elemento revocatorio. 12. La Sezione, con l'ordinanza n. 1907 del 22.4.2022, rigettando l'istanza di revocazione, ha rilevato che: - l'istanza di revoca e/o revocazione dell'ordinanza è infondata per assenza dei presupposti della revoca e della revocazione in quanto il rilievo, contenuto nell'ordinanza revocanda, relativo alla mancata impugnazione a mezzo di motivi specifici della pianificazione comunale in vigore, non costituisce un errore decisivo e non può di conseguenza essere revocato; - il Collegio aveva ritenuto che, alla scadenza della concessione di titolarità dell'appellante, la nuova pianificazione comunale (successiva al 31.12.2020) non comprendeva il posteggio di via (omissis) e che tale scelta pianificatoria non era stata oggetto di specifica impugnazione; - la restante parte della motivazione dell'ordinanza (per cui si rilevava che l'appellante è stato titolare di mera concessione temporanea di durata annuale e che ciò non fonda alcuna tutela dell'aspettativa, tale da giustificare l'ulteriore occupazione dell'area demaniale) è già per sé sufficiente al diniego della sospensiva, non potendo il motivo, pertanto, comportare in ogni modo la revocazione, per la cui ammissibilità sarebbe richiesto un errore decisivo; - l'ordinanza revocanda si basa sul presupposto giuridico che la disciplina statale e la disciplina provinciale invocate da parte appellante risultino - come sostenuto dalla Provincia - applicabili alle sole concessioni pluriennali per l'esercizio del commercio su aree pubbliche relative a posteggi inseriti in mercati, fiere e isolati (art. 181, comma 4-bis, D.L. n. 34/ 2020 e Allegato A, art. 2, D.M. 25.12.2020, nonché art. 65, primo comma, L.P. n. 12/2019 e deliberazione della Giunta provinciale n. 389 del 4 maggio 2021) e che tale presupposto attiene al quadro giuridico e non ad un errore di fatto revocatorio; - risulta evidente che, anche in assenza del riferimento alla "nuova pianificazione comunale", la decisione, fondata sulla inconfigurabilità di una aspettativa giuridicamente rilevante in capo al titolare di una concessione meramente temporanea - e pertanto inidonea a fondare una pretesa di proroga ultradecennale senza gara del titolare di un posteggio isolato -, non potrebbe avere un contenuto diverso. 13. La parte appellante ha depositato una memoria conclusionale il 23.4.2024, che è stata replicata dalla Provincia il 30.3.2024 e dal Comune il 2.5.2024. L'ente civico ha eccepito la tardività della memoria dell'appellante. 14. Alla pubblica udienza del 23 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 15. Preliminarmente va scrutinata l'eccezione di tardività della memoria dell'appellante (depositata il 23.4.2024 alle ore 18:36) sollevata dal Comune di Bolzano. Essa è fondata in quanto doveva essere depositata 30 giorni liberi prima dell'udienza pubblica, entro le ore 12:00. Come affermato dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, infatti, il deposito effettuato oltre le ore 12:00 dell'ultimo giorno utile è da ritenersi tardivo (Cons. Stato, Sez. IV, 30 settembre 2022, n. 8418), in quanto "Dal combinato disposto degli artt. 73, comma 1, c.p.a. e 4, comma 4, disp. att. c.p.a., si evince che il deposito con il processo amministrativo telematico è possibile fino alle ore 24.00 ma, qualora venga effettuato l'ultimo giorno utile rispetto ai termini previsti dal comma 1 dell'art. 73 c.p.a., ove avvenga oltre le ore 12 si considera effettuato il giorno successivo, dovendo quindi considerare lo stesso come tardivo", nonché, nel medesimo senso, Cons. Stato, Sez. IV, 14 settembre 2022, n. 7977, secondo cui "L'apparente antinomia, rilevabile tra il primo ed il terzo periodo dell'art. 4, comma 4, disp. att. c.p.a., va risolta nel senso che il termine delle ore 24.00 per il deposito degli atti di parte vale solo per quegli atti processuali che non siano depositati in vista di una camera di consiglio o di un'udienza di cui sia (in quel momento) già fissata o già nota la data; invece, in presenza di una camera di consiglio o di un'udienza già fissata, il deposito effettuato oltre le ore 12.00 dell'ultimo giorno utile è inammissibile". Pertanto va stralciato dal fascicolo processuale. 16. L'esito dello scrutinio delle domande attoree non giungono a positivo apprezzamento, come già anticipato in sede di sommaria delibazione in sede cautelare, e, più estesamente, nell'ordinanza che ha affrontato la domanda di revocazione. 17. L'appellante ha rassegnato tre ampi motivi di censura così rubricati: I. ERROR IN IUDICANDO - VIOLAZIONE DELL'ART. 2, 27 E 28 D.LGS. 31/3/1998 N. 114 - VIOLAZIONE DELL'ART. 2, 5 E 6 DEL REGOLAMENTO COSAP DEL COMUNE DI BOLZANO APPROVATO CON DELIBERA DI CONSIGLIO COMUNALE N. 18 DEL 7/12/2012 IN CONNESSIONE CON QUANTO DISPOSTO DALL'ART. 65 DELLA LEGGE PROVINCIALE DELLA PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO DEL 3/12/2019 N. 12 COME MODIFICATO DALLA LEGGE PROVINCIALE 13/10/2020 N. 12 - VIOLAZIONE DELL'ART. 181, COMMA 4 BIS, D.L. 34/2020 CONV. LEGGE 12/7/2020 N. 77- VIOLAZIONE DEL D.M. DEL MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, DEL 25/11/2020 - VIOLAZIONE DELLA DELIBERA 4/5/2021 N. 389 - VIOLAZIONE DELL'ART. 41 DELLA COSTITUZIONE - ECCESSO DI POTERE PER DIFETTO DI ISTRUTTORIA E DI MOTIVAZIONE - ERRORE DEL PRESUPPOSTO - SVIAMENTO - VIOLAZIONE DELL'ART. 97 DELLA COSTITUZIONE - ILLOGICITÀ MANIFESTA - CARENZA DI INTERESSE PUBBLICO IN CONCRETO; II. ERROR IN IUDICANDO - VIOLAZIONE DELL'ART. 65 DELLA LEGGE PROVINCIALE 12/2019 COME MODIFICATO DALLA L.P. 12/2020 - VIOLAZIONE DELL'ART. 181, COMMA 4, D.L. 34/2020 - VIOLAZIONE DEL D.M. DEL MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, DEL 25/11/2020 - VIOLAZIONE DELLA DELIBERA 4/5/2021 N. 389 - VIOLAZIONE DELL'ART. 41 DELLA COSTITUZIONE - ECCESSO DI POTERE PER DIFETTO DI ISTRUTTORIA E DI MOTIVAZIONE - VIOLAZIONE DELL'ART. 97 DELLA COSTITUZIONE - ILLOGICITÀ MANIFESTA; III. ERROR IN IUDICANDO - VIOLAZIONE DI LEGGE - VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL'ART. 181, COMMA 4 BIS, D.L. 34/2020 CONV. LEGGE 77/2020 - VIOLAZIONE DELL'ART. 65 L.P. BOLZANO 12/2019 COME MODFICATA CON L.P. 12/2020 - VIOLAZIONE DELL'ART. 41 DELLA COSTITUZIONE - VIOLAZIONE DEL GIUSTO PROCEDIMENTO DI LEGGE - ERRORE MANIFESTO PER VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DELLA LIBERTÀ ECONOMICA - DIFETTO DI ISTRUTTORIA E DI MOTIVAZIONE - TRAVISAMENTO DEI FATTI - ILLOGICITÀ MANIFESTA - VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DEL LEGITTIMO AFFIDAMENTO - CARENZA DI INTERESSE PUBBLICO IN CONCRETO - VIOLAZIONE DELLA DELIBERA DI C.C. 76 DEL 25/11/2021. 18. Con il primo motivo l'appellante ritiene che la sentenza sia erronea in quanto si sarebbe basata su un erroneo esame delle norme in riferimento al rilascio delle concessioni di occupazione del suolo pubblico. Ad avviso del signor Pa., invece, una corretta interpretazione del quadro normativo di riferimento evidenzierebbe che le norme che disciplinano il rilascio di concessione di suolo pubblico per posteggi esistenti all'interno dei mercati sono diverse da quella che regolamentano la concessione di spazi pubblici per i c.d. posteggi isolati e che ciò avrebbe determinato l'accoglimento del ricorso. Il Comune avrebbe dunque dovuto applicare il regolamento COSAP (delibera del consiglio comunale n. 18/2012). Inoltre, le concessioni rilasciate non avrebbero il carattere precario, ma sarebbero di carattere permanente. Se il TAR avesse inquadrato la precisa normativa di riferimento, non avrebbe qualificato l'occupazione dell'area di Via (omissis) quale occupazione precaria di suolo pubblico, ma come occupazione di posteggio isolato di natura permanente, con applicazione delle disposizioni di rinnovo previste a livello generale dal D.L. 34/2020, come attuato dal D.M. 25.11.2020 e come applicato dalla Provincia di Bolzano, ai sensi dell'art. 65 L.P. n. 12/2019 e come modificata ai sensi della L.P. n. 12/2020, non avendo il Comune di Bolzano provveduto ad adottare il nuovo piano di commercio. 19. Con la seconda doglianza, l'appellante ritorna sull'errata qualificazione del carattere precario delle concessioni a lui rilasciate. La semplice lettura di esse evidenzierebbe che non avrebbero natura itinerante, non prevedendo limiti né temporali, né di orari. La precarietà di una concessione di suolo pubblico ai fini commerciali apparterrebbe alle sole concessioni di carattere itinerante, ma non anche a quelle sui posteggi. Le concessioni di natura itinerante non sarebbero previste tra quelle "rinnovabili" ex D.L. 34/2020, a differenza di quelle per i posteggi, anche se di carattere isolato. 20. Con l'ultima censura si deduce la violazione del principio della tutela dell'iniziativa economica, garantito dall'art. 41 della Costituzione, oltre che del generale principio del legittimo affidamento ingenerato nel privato. La legge provinciale n. 12/2019, all'art. 30 prevedrebbe che i Comuni debbano dotarsi di un nuovo piano commerciale nel termine di 180 giorni dalla pubblicazione di tale disposizione, ma alcuna attività sarebbe stata posta in essere dal Comune finalizzata all'approvazione di un nuovo Piano di commercio, con individuazione di aree di posteggio, anche isolati, come previsto dal nuovo Codice del Commercio. La motivazione del rigetto dell'istanza dell'appellante sarebbe quindi generica, illogica e frutto di una deficitaria istruttoria. In una corretta ponderazione degli interessi pubblici con quelli privati non si potrebbe tutelare l'inerzia comunale. Il Comune di Bolzano avrebbe rilasciato le concessioni dell'area di Via (omissis) vincolandola all'eventuale riapertura o ripristino della fermata dell'autobus, ma tale ripristino non vi sarebbe mai stato. 21. Il primo motivo, oltre che essere parzialmente inammissibile, per evidente violazione dell'introduzione di nova nel giudizio d'appello di cui all'art. 104 cod. proc. amm. in quanto l'appellante deduce solo in sede d'appello che la concessione in esame riguarderebbe un posteggio isolato, con conseguente necessità di applicare il regolamento COSAP del Comune di Bolzano in luogo del regolamento del commercio su aree pubblico, risulta anche manifestamente infondato, come già considerato con le ordinanze rese in sede di sommaria cognizione. 22. Ai sensi dell'art. 30 della legge provinciale 2 dicembre 2019, n. 12, l'individuazione delle zone destinate all'esercizio del commercio al dettaglio su aree pubbliche, i criteri di assegnazione dei posteggi e l'estensione della loro superficie, nonché i settori merceologici cui sono destinate, sono demandati al Comune con pianificazione comunale. L'art. 19 comma 3 della L.P. 7/2020 ha stabilito che "l'ampiezza complessiva delle aree destinate all'esercizio del commercio su aree pubbliche nonché i criteri di assegnazione dei posteggi, la loro superficie e i criteri di assegnazione delle aree riservate agli agricoltori singoli od associati che esercitano la vendita dei loro prodotti, sono stabiliti dal comune in conformità agli indirizzi della Provincia e tenuto conto delle eventuali prescrizioni sugli strumenti urbanistici. I posteggi, secondo gli usi e le tradizioni locali, possono avere una specifica destinatone merceologica per i settori alimentare, ortofrutta, abbigliamento e non alimentare, che vincolano l'operatore a trattare unicamente tali merceologie. Tali aree sono stabilite sulla base delle caratteristiche economiche del territorio, della densità della rete distributiva e della presumibile capacità di domanda della popolazione residente e fluttuante, al fine di assicurare la migliore funzionalità e produttività del servizio da rendere al consumatore ed a un adeguato equilibrio con le installazioni commerciali a posto fisso e le altre forme di distribuzione in uso, compreso il settore dei pubblici esercizi." Dello stesso tenore è la disciplina prevista dall'art. 30 della L.P. 12/2019, che recita: "1. Il Comune approva il piano comunale per l'esercizio del commercio su aree pubbliche. 2. Con il piano comunale sono individuati in particolare: i posteggi in mercati, fiere e fuori mercato (omissis). 6. Unitamente al piano di cui al comma 2, il Comune approva il regolamento comunale che disciplina l'organizzazione e le funzioni comunali in materia di commercio su aree pubbliche." Il legislatore provinciale ha demandato al Comune l'individuazione delle aree pubbliche da destinare all'esercizio del commercio al dettaglio, nell'ambito e nell'esercizio delle sue funzioni di gestione del territorio. L'occupazione di aree pubbliche attraverso chioschi è disciplinata dal Comune di Bolzano con il regolamento del commercio su aree pubbliche (vendita al pubblico di merci di dettaglio, di alimenti e bevande effettuata su aree pubbliche o su aree private delle quali ultime il Comune abbia la disponibilità, scoperte o coperte) all'art. 1 comma 2 e art. 3. Da tale disciplina - contrariamente alla tesi dell'appellante - emerge che esso è riferito sia alle postazioni mercatali (quotidiane e settimanali), sia ai posteggi isolati (con attività quotidiana o saltuaria). Ai posteggi isolati con attività quotidiana, che è la fattispecie oggetto del giudizio, è dedicato l'elenco previsto dall'art. 2 lettera b ("Vari posteggi con attività quotidiana"). Tutti i posteggi ivi elencati sono posteggi isolati, quindi non inseriti in attività di fiere e mercati. L'appellante erra anche sulla normativa applicabile, che non è il regolamento COSAP (delibera del Consiglio Comunale n. 18/2012). Esso riguarda generalmente l'occupazione di suolo pubblico, indipendentemente dall'esercizio del commercio, e regola i criteri per l'individuazione del canone, ma non contiene alcuna disposizione per la quale le concessioni pari ad un anno sarebbero da considerare di carattere permanente. In ogni modo non gli giova neppure il richiamo a tale regolamento. L'unico inciso sulla natura permanente si ricaverebbe dall'art. 2 del regolamento COSAP, che definisce "permanenti le occupazioni, di carattere stabile, effettuate anche con manufatti, la cui durata, risultante dal provvedimento di concessione, è superiore all'anno." Viste le concessioni ottenute dal signor Pa., di durata annuale (l'ultima è anche inferiore all'anno), la tesi è smentita per tabulas. Ha ragione il TRGA a concludere che la normativa applicabile è il regolamento per il commercio su aree pubbliche (delibera del Consiglio Comunale n. 74/2015), essendo essa la disciplina specifica di settore da cui non è possibile prescindere ai fini dell'individuazione delle piazzole su aree pubbliche destinate specificatamente allo scopo. Risulta però dall'atto gravato e dalla documentazione dimessa in giudizio che la piazzola in questione è stata assegnata all'appellante in via del tutto provvisoria e precaria, comunque al di fuori della disciplina del regolamento comunale vigente, e non può godere della proroga pluriennale relativa al settore. In via ancora subordinata va rilevato che non si può comunque accertare un suo diritto di proroga, alla luce del chiaro disposto dell'art. 65 che prevede il rinnovo di 12 anni nell'ambito dell'attività regolata dal "Codice del Commercio", e non riguarda pertanto genericamente l'occupazione di suolo pubblico. 23. L'asserito error in iudicando in merito alla precarietà, dedotto con il secondo motivo e già parzialmente oggetto di scrutinio negativo nell'ambito del precedente motivo, è infondato. Si deve aggiungere che le concessioni di posteggio per l'esercizio del commercio su aree pubbliche sono regolamentate da apposita disciplina che rimette espressamente ai comuni la previa individuazione, attraverso uno strumento programmatico di natura pianificatoria, delle aree pubbliche da assegnare ai privati sottraendole all'utilizzo collettivo. Nel caso specifico, il carattere precario del posteggio di via (omissis) si desume dal fatto che lo stesso non è mai stato inserito nel regolamento comunale, e che le relative concessioni sono sempre state connotate da temporaneità, in quanto rilasciate di volta in volta per la durata limitata di un anno. Ciò esclude un affidamento del privato concessionario, anche perché il rinnovo di cui all'art. 65 della L.P. 12/2019 interviene in un contesto già definito con disposizione di legge provinciale e regolamentare comunale. Orbene, è evidente che esso non può che riferirsi alle concessioni regolarmente previste nel piano comunale come piazzole destinate al commercio su suolo pubblico in base alla disciplina di settore, fra cui non rientra quella di via (omissis). Le concessioni di posteggio per l'esercizio del commercio su aree pubbliche sono regolamentate dall'apposita disciplina che rimette espressamente ai comuni la previa individuazione, attraverso uno strumento programmatico di natura pianificatoria, delle aree pubbliche da assegnare ai privati sottraendole all'utilizzo collettivo. Nel caso specifico, il carattere provvisorio del posteggio di via (omissis) si desume dal fatto che lo stesso non è mai stato inserito nel regolamento comunale, e le relative concessioni sono sempre state connotate da assoluta precarietà, in quanto rilasciate di volta in volta per la durata limitata di un anno. 24. Anche l'ultimo motivo, oltre ad essere inammissibile in quanto mai dedotto nel ricorso di primo grado e quindi è evidente la sua tardività e la novità, in violazione dell'art. 104 c.p.a. e dei perentori termini impugnatori (Cons. Stato, sez. IV, 12 ottobre 2017, n. 4729), è completamente infondato. Il Collegio rileva che il Comune di Bolzano, in base all'art. 30 della L.P. n. 12/2019, dovrà attendere il regolamento di esecuzione della L.P. n. 12/2019 per poter procedere all'approvazione del piano comunale per l'esercizio del commercio su aree pubbliche in cui verranno individuati i posteggi in mercati, fieri e fuori mercato da assegnare tramite appositi bandi. In assenza di tale individuazione l'appellante non può pretendere alcun rinnovo di una concessione precaria rilasciata al di fuori delle aree comunali previste per l'esercizio del commercio su aree pubbliche. 25. La tesi attorea per cui l'approvazione del piano debba essere considerata prorogata di 12 anni in ragione delle norme "Covid" è frutto di una interpretazione erronea. L'individuazione delle piazzole di suolo pubblico, che saranno oggetto di future procedure concorsuali allo scadere delle concessioni esistenti, non trova infatti alcun impedimento concreto nella disciplina dei recenti rinnovi. Non sussiste alcun ostacolo a che il Comune provveda alla approvazione di un nuovo piano per il commercio anche in pendenza delle autorizzazioni rinnovate ex lege. Il principio per cui il concessionario di un bene demaniale, se non diversamente indicato nell'atto concessorio, non può vantare alcuna aspettativa al rinnovo della concessione, e l'eventuale diniego alla richiesta di autorizzazione, comunque esplicitato, nei limiti ordinari della ragionevolezza e della logicità dell'agire amministrativo, non necessita di ulteriore motivazione (Cons. Stato, Sez. V, 21 novembre 2011, n. 6132). Non è quindi ravvisabile nel caso di specie alcuna violazione dell'art. 41 della Costituzione. 26. In conclusione l'appello va respinto. 27. Le spese del giudizio sono a carico dell'appellante, in attuazione del principio della soccombenza, come liquidate nel dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante alla refusione delle spese di lite a favore del Comune di Bolzano e della Provincia Autonoma di Bolzano, che liquida in 4.000 Euro (quattromila/00), oltre accessori di legge, se dovuti, cadauna. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Giancarlo Montedoro - Presidente Oreste Mario Caputo - Consigliere Roberto Caponigro - Consigliere Giovanni Gallone - Consigliere Thomas Mathà - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2346 del 2024, proposto dai sigg.ri -OMISSIS-, -OMISSIS- -OMISSIS- e -OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avv.ti Fr. Ca. e Vi. Al. Ci. e con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, viale (...); contro Comune di (omissis) (AQ), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Ad. Ca. e con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Ch. Del Bu., in Roma, via (...); nei confronti Regione Abruzzo, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato e domiciliata presso gli Uffici della stessa, in Roma, via (...); sigg.ri -OMISSIS- -OMISSIS-, -OMISSIS- -OMISSIS-, -OMISSIS- -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall'avv. Ubaldo Lopardi e con domicilio eletto presso lo studio dello stesso, in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo, L'Aquila, Sezione Prima, n. -OMISSIS-, resa tra le parti, con cui è stato respinto il ricorso R.G. n. -OMISSIS-. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) (AQ), nonché della Regione Abruzzo; Vista la memoria di costituzione e difensiva dei sigg.ri -OMISSIS- -OMISSIS-, -OMISSIS- -OMISSIS- e -OMISSIS- -OMISSIS-; Viste le memorie e le repliche delle parti; Visto l'ulteriore documento depositato dagli appellanti; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 il Cons. Pietro De Berardinis e uditi per le parti l'avv. Fr. Ca., l'avv. Ma. Me. in sostituzione dell'avv. Ad. Ca. e l'Avvocato dello Stato Gi. Gr.; Considerato: - che con il ricorso in epigrafe i sigg.ri -OMISSIS- ed -OMISSIS- -OMISSIS- e la sigg.ra -OMISSIS- hanno proposto appello avverso la sentenza del T.A.R. Abruzzo, L'Aquila, Sez. I, n. -OMISSIS-, chiedendone la riforma; - che la sentenza di prime cure ha respinto il ricorso proposto dagli odierni appellanti per ottenere la declaratoria dell'illegittimità dell'inerzia serbata dal Comune di (omissis) (AQ) sull'istanza da essi presentata a mezzo P.E.C. il -OMISSIS-, a mezzo della quale: a) avevano chiesto di sapere se fosse stata ultimata la verifica affidata dal Comune al -OMISSIS-per la ricognizione dei terreni aventi natura demaniale e in particolare a quale esito definitivo avesse condotto detta verifica per il terreno con sovrastante fabbricato (del quale i ricorrenti rivendicano la titolarità, in contrasto con alcuni congiunti) censito in Catasto al fg. -OMISSIS-; b) avevano chiesto altresì di conoscere le ragioni per le quali il Comune, dopo aver deciso di vendere la succitata -OMISSIS- agli odierni appellanti e agli altri sigg.ri -OMISSIS- (con i quali vi è contesa per l'eredità del sig. -OMISSIS- -OMISSIS-), non si è presentato alla stipula; c) avevano da ultimo diffidato il Comune a procedere senza indugi alla vendita di detto compendio o altrimenti a concederlo in uso temporaneo al sig. -OMISSIS- e alla sig.ra -OMISSIS- (la quale intenderebbe esercitarvi l'attività agrituristica, avendo la relativa abilitazione); - che il T.A.R., nel dichiarare il ricorso infondato, ha evidenziato: - quanto alla richiesta di cui alla lett. a), che il silenzio del Comune di (omissis) è legittimo, poiché l'Amministrazione comunale aveva già comunicato ai sigg.ri -OMISSIS-, nell'incontro svoltosi il 2 marzo 2018, che il terreno censito al fg. -OMISSIS- era da considerare demanio civico e che la Regione Abruzzo aveva autorizzato la reintegra del terreno a favore del predetto Comune ai fini della sua successiva alienazione. La sentenza ha poi disconosciuto l'esistenza di un interesse dei ricorrenti a conoscere lo stato della ricognizione dei beni del demanio civico insistenti nel territorio del Comune diversi dall'immobile in questione e ha evidenziato come l'accertamento contenuto nel primo stralcio della perizia del -OMISSIS-dovesse ritenersi definitivo per i terreni in esso compresi, in quanto poi recepito da provvedimenti comunali e regionali; - in merito alla richiesta sub b), che questa era stata già soddisfatta dal Comune di (omissis), essendo stati i ricorrenti presenti alla riunione del 2 marzo 2018 in cui il Comune aveva manifestato l'intenzione di vendere il terreno in comunione pro indiviso a tutti i privati ivi presenti (i ricorrenti e i loro familiari con cui sono in contesa). Senonché - aggiunge la sentenza - in tale riunione furono proprio i ricorrenti (l'uno direttamente, l'altro tramite il suo legale) a esprimere dubbi sulla giuridica attuabilità dell'alienazione, se non preceduta dalla ripartizione delle quote tra i privati, con il ché si deve ritenere che i ricorrenti fossero ben consapevoli del fatto che la mancata alienazione del terreno è dipesa dal mancato accordo tra i privati sul riparto delle quote dell'immobile; - in ordine, infine, alla richiesta sub c), che il terreno per cui è causa non può essere alienato ai soli ricorrenti, o concesso in uso temporaneo a due di loro, essendovi contrasto su di esso tra i privati interessati, tanto che quella parte dei loro familiari che sono intervenuti ad opponendum nel giudizio (sigg.ri -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS- -OMISSIS-), hanno negato la legittimazione del sig. -OMISSIS- e della sig.ra -OMISSIS- a esercitare alcun diritto sugli immobili in discorso; - che nel gravame gli appellanti hanno contestato per più profili la sentenza gravata, senza rubricare le censure da essi proposte in formali motivi di appello; - che in sintesi gli appellanti lamentano che il T.A.R. avrebbe esorbitato dall'alveo dei poteri decisori assegnati dalla legge al G.A. nelle controversie in materia di c.d. silenzio inadempimento, poiché si sarebbe sostituito al Comune e alla Regione con il far proprie, in sede decisoria, le ragioni difensive esternate dal primo tramite il proprio difensore in memoria, e dalla seconda nel rapporto informativo depositato dall'Avvocatura dello Stato; - che in questo modo, però, il T.A.R., secondo gli appellanti, avrebbe respinto il ricorso nel merito, pronunciandosi quindi sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio al di fuori dei limiti in cui tale pronuncia è ammessa dall'art. 31, comma 3, c.p.a.: nel caso di specie, infatti, non si verserebbe in un'ipotesi di attività vincolata, a cui ha riguardo l'art. 31, comma 3, cit.; il T.A.R., in altre parole, avrebbe sostituito ai provvedimenti amministrativi mancanti la propria decisione, la quale, perciò, avrebbe sostanza di provvedimento amministrativo; - che di seguito gli appellanti hanno comunque contestato le motivazioni addotte dal T.A.R. su ogni singolo punto oggetto della loro istanza rimasta inevasa; Considerato, inoltre: - che si è costituito in giudizio il Comune di (omissis) (AQ), depositando di seguito una memoria con cui ha eccepito l'inammissibilità, l'irricevibilità e comunque l'infondatezza nel merito dell'appello; - che si è altresì costituita in giudizio la Regione Abruzzo, con atto formale; - che si sono costituiti in giudizio i sigg.ri -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS- -OMISSIS-, reiterando le conclusioni già formulate nell'atto di intervento ad opponendum spiegato in primo grado; - che gli appellanti hanno depositato memoria e replica e che del pari una replica hanno depositato i sigg.ri -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS- -OMISSIS-; - che da ultimo gli appellanti hanno depositato la sentenza del T.A.R. Abruzzo, L'Aquila, Sez. I, -OMISSIS- la quale, in accoglimento di distinto ricorso dei sigg.ri -OMISSIS- ed -OMISSIS- -OMISSIS-, ha annullato la delibera del Consiglio Comunale di (omissis) -OMISSIS-, con cui il Comune ha espresso parere favorevole all'accoglimento dell'istanza di mutamento di destinazione d'uso del terreno di cui al fg. -OMISSIS- (avente natura demaniale civica) ai fini della sua successiva alienazione, e la determinazione della Regione Abruzzo del -OMISSIS- che, sulla scorta di tale delibera, ha disposto la reintegra del predetto terreno a favore della collettività di (omissis), la sua classificazione nella categoria A) dell'art. 11 della l. n. 1766/1927, nonché ha autorizzato il Comune ad alienare la particella in questione ai sigg.ri -OMISSIS- (-OMISSIS-, -OMISSIS-, Os., An. Ma., -OMISSIS-, -OMISSIS- ed -OMISSIS-); - che alla camera di consiglio del 28 maggio 2024, fissata per la discussione del ricorso, sono comparsi i difensori degli appellanti, del Comune e della Regione; - che il Presidente del Collegio ha sottoposto alle parti la questione, rilevata d'ufficio ai sensi dell'art. 73, comma 3, c.p.a., della possibile incidenza della sentenza del T.A.R. Abruzzo -OMISSIS-, sopra citata, sulla procedibilità dell'appello e, più in generale, dell'intero giudizio; - che il difensore degli appellanti ha replicato a tale questione, insistendo per la permanenza in capo ai propri assistiti dell'interesse alla decisione del ricorso; - che di seguito il Collegio ha trattenuto la causa in decisione; Ritenuto di poter prescindere dalle eccezioni preliminari sollevate avverso l'appello dalle controparti (in specie: dal Comune), nonché dalla questione, rilevata d'ufficio, della procedibilità dell'appello e dell'intero giudizio in virtù del sopravvenire della sentenza del T.A.R. Abruzzo -OMISSIS-, cit.: ciò, in ossequio al criterio della "ragione più liquida", espressione dei principi di economia processuale che governano il processo amministrativo e che rappresentano a propria volta espressione del canone costituzionale del giusto processo (C.d.S., A.P., 27 aprile 2015, n. 5; Sez. VII, 18 settembre 2023, n. 8398; id., 3 novembre 2022, n. 9596; Sez. III, 6 maggio 2021, n. 3534; Sez. IV, 27 agosto 2019, n. 5891), attesa la complessiva infondatezza del ricorso; Considerato, infatti: - che devono respingersi le censure degli appellanti secondo cui il T.A.R. avrebbe esorbitato dai poteri decisori ad esso assegnati nel giudizio ex artt. 31 e 117 c.p.a., poiché le motivazioni della sentenza gravata - in uno con il tenore stesso delle doglianze degli appellanti - fanno emergere l'inesistenza di un obbligo di provvedere in capo al Comune di (omissis) (AQ), compulsato con l'istanza del -OMISSIS-, in relazione a ciascuno dei punti di detta istanza; - che, infatti, il c.d. silenzio inadempimento, giustiziabile con il rimedio del giudizio ex artt. 31 e 117 c.p.a., presuppone che il richiedente abbia sollecitato l'esercizio da parte della P.A. di un'attività provvedimentale, comportante esercizio di pubblici poteri (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. IV, 12 ottobre 2023, n. 8897; id., 26 maggio 2023, n. 5206; id. 10 febbraio 2022, n. 967; id., 2 settembre 2019, n. 6048; Sez. V, 22 agosto 2023, n. 7912; id., 29 luglio 2019, n. 5310; Sez. VI, 5 settembre 2022, n. 7703; Sez. III, 1° luglio 2020, n. 4204). "Il rimedio processuale, oggi regolato dagli art. 31 e 117 c.p.a., non è esperibile contro qualsiasi tipologia di omissione amministrativa, restando esclusi dalla sua sfera applicativa non solo i casi di silenzio significativo o tipizzato, ma anche gli obblighi di eseguire che richiedono, per il loro assolvimento, un'attività materiale e non provvedimentale" (così C.d.S., Sez. IV, 23 gennaio 2019, n. 577); - che, tuttavia, per quanto riguarda le prime due richieste, sopra riportate ai punti a) e b), va escluso che attraverso esse i richiedenti abbiano inteso sollecitare l'esercizio da parte del Comune di (omissis) di un'attività provvedimentale, poiché le suddette richieste miravano a ottenere dal Comune interpellato non l'adozione di provvedimenti puntuali, ma la fornitura di mere informazioni, peraltro altrimenti acquisibili (ad es. tramite la procedura ex art. 22 e ss. della l. n. 241/1990); - che, dunque, per le richieste di cui ai punti a) e b) non era attivabile il rimedio del rito speciale ex artt. 31 e 117 c.p.a.; - che in ogni caso le informazioni richieste erano già in possesso dei richiedenti, dal ché la sentenza appellata ha sostanzialmente desunto l'inesistenza di un obbligo di riscontro da parte della P.A. (per evitare un'inutile e defatigante reiterazione di attività ); - che, infatti, la sentenza di primo grado ha fornito, con dovizia di argomenti, la prova del fatto che i ricorrenti erano perfettamente a conoscenza: I) dell'esito della verifica di demanialità di cui alla perizia del -OMISSIS-per quanto riguarda il terreno censito al al fg. -OMISSIS- e della definitività, per il Comune e per la Regione, del primo stralcio di tale perizia recante, per la -OMISSIS-, l'accertamento della sua appartenenza al demanio civico comunale. La definitività di tale accertamento costituisce, del resto, un presupposto ineludibile della decisione del Comune di procedere all'alienazione del terreno in esame, in disparte il successivo annullamento della relativa delibera operato dalla sentenza -OMISSIS- cit.; II) dei motivi per i quali il Comune non aveva successivamente dato corso all'alienazione del bene, trattandosi di motivi attinenti alle controversie insorte tra i privati sulle rispettive quote di proprietà, alla luce dei dubbi sollevati proprio dai sigg.ri -OMISSIS- -OMISSIS- ed -OMISSIS- (di cui è inverosimile pensare che la sig.ra -OMISSIS- non fosse al corrente); - che tali risultanze non sono state efficacemente confutate dagli appellanti nel gravame; - che anche per quanto riguarda la richiesta c), si deve escludere che tramite essa, nella parte in cui ha avuto a oggetto la diffida del Comune a stipulare il contratto, i richiedenti abbiano inteso sollecitare l'esercizio da parte dello stesso Comune di un'attività provvedimentale: deve perciò escludersi che l'inerzia serbata dal Comune su tale parte della citata diffida configurasse un'ipotesi di c.d. silenzio inadempimento, giustiziabile con il rito speciale ex art. 31 e 117 c.p.a.; - che, infatti, per questo aspetto ciò di cui i ricorrenti si lamentano è la mancata presentazione dei rappresentanti del Comune alla stipula del contratto e dunque la fattispecie dedotta in giudizio resta esclusa dalla sfera applicativa del rimedio di cui all'art. 117 c.p.a., esperibile solo quando la P.A. sia tenuto all'esercizio di una potestà autoritativa, mentre nel caso di specie l'attività richiesta al Comune impegna la sua capacità di diritto privato e ha natura negoziale (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 3 febbraio 2017, n. 713); - che, invero, "la condizione di proponibilità di un'azione avverso il silenzio amministrativo (...) è che vi sia un obbligo giuridico di provvedere in capo alla P.A. (art. 2, comma 1, l. n. 241 del 1990), ossia il dovere di emettere un provvedimento in esplicazione di una pubblica funzione, sicché il rito speciale avverso il silenzio non ha lo scopo di tutelare, come rimedio di carattere generale, la posizione del privato di fronte a qualsiasi tipo di inerzia comportamentale della P.A., bensì quello di apprestare una garanzia avverso il mancato esercizio di potestà pubbliche (C.d.S., sez. V, 19 luglio 2022, n. 6238); né la giurisdizione del giudice amministrativo in tema di silenzio deriva dall'art. 117 c.p.a., che è norma sul rito, bensì dai consueti criteri di riparto (ibidem). In definitiva, la consistenza della posizione soggettiva tutelata col rito speciale di cui agli artt. 31 e 117 c.p.a. non è compatibile con le controversie che non implicano l'esercizio di poteri autoritativi, bensì una attività riconducibile all'ambito dei rapporti di natura paritetica, nelle quali, al di là della qualificazione attribuitagli dall'istante, l'azione si risolve in un'azione di accertamento di pretese patrimoniali e non di sindacato sulla funzione amministrativa (cfr. C.d.S., sez. IV, 1° luglio 2021, n. 5037)" (così C.d.S., Sez. II, 24 ottobre 2022, n. 9049); - che, pertanto, nel caso di specie avendo l'attività della P.A. sollecitata dai privati natura meramente negoziale e paritetica, il rimedio esperibile per questa parte è semmai, ove ne sussistano i presupposti, quello previsto dall'art. 2932 c.c.; - che sempre con l'istanza del -OMISSIS- i privati hanno, per altro verso, diffidato il Comune a rilasciare a favore dei sigg.ri -OMISSIS- -OMISSIS- e -OMISSIS- una concessione in uso temporaneo degli immobili di cui si discute: tuttavia, neppure sotto questo aspetto è configurabile, nel caso concreto in esame, un obbligo del Comune di provvedere, visti i contrasti esistenti tra i privati in merito alle quote di rispettiva appartenenza di detti immobili. Tali contrasti sono vieppiù confermati dalle conclusioni formulate dagli interventori ad opponendum (peraltro inammissibili, in quanto volte ad ampliare il thema decidendi: C.d.S., Sez. V, 30 agosto 2023, n. 8075; id. 25 settembre 2006, n. 5625; Sez. III, 12 giugno 2020, n. 3760; Sez. IV, 14 aprile 2014, n. 1810): questi ultimi, infatti, in subordine hanno chiesto, nel caso in cui il Comune di (omissis) avesse deciso di concedere l'uso temporaneo degli immobili (terreno e sovrastante fabbricato) al sig. -OMISSIS- -OMISSIS- (negandosi qualsiasi legittimazione agli altri appellanti), la condanna del Comune stesso a concedere l'uso temporaneo di detti immobili anche ai medesimi interventori; - che allo stato l'impossibilità per il Comune di procedere all'alienazione, ovvero alla concessione in uso temporaneo, degli immobili per cui è causa discende anche dal dictum della sentenza del T.A.R. Abruzzo, L'Aquila, Sez. I, -OMISSIS-; - che infatti da detta sentenza, non sospesa, si ricava l'obbligo per la Regione Abruzzo di procedere previamente, ai sensi della l.r, n 25/1988, alla redazione di un piano di massima, al fine di poter stabilire se il terreno demaniale civico di cui alla -OMISSIS- rientri nella categoria A) (bosco o pascolo permanente, con possibilità di mutamento di destinazione d'uso o alienazione) o in quella B) (coltura agraria, con possibilità di quotizzazione, o legittimazione/affrancazione) previste dall'art. 11 della l. n. 1766/1927; - che pertanto l'annullamento sia della delibera del Consiglio Comunale di (omissis) -OMISSIS-, sia della determinazione regionale del -OMISSIS-, con la quale la Regione Abruzzo aveva classificato il terreno demaniale per cui è causa nella categoria A) sopra citata e aveva autorizzato il Comune ad alienarlo ai privati, non solo non consente ad oggi di procedere alla suddetta alienazione, ma preclude, altresì, il suo affidamento in concessione temporanea, essendo prioritario, sul piano logico-giuridico, stabilire la natura esatta di tale terreno; - che ad avviso del Collegio il principio sancito dall'art. 1, comma 2-bis, della l. 7 agosto 1990, n. 241, ai sensi del quale "i rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princì pi della collaborazione e della buona fede", di carattere generale rispetto all'agire pubblicistico e che trova fondamento nei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento ex art. 97 Cost. (C.d.S., Sez. V, 27 ottobre 2023, n. 9298; Sez. III, 25 novembre 2021, n. 7891; Sez. VI, 1° luglio 2021, n. 5008), da un lato impone ai privati di non pretendere dalla P.A. l'esercizio di poteri che gli stessi privati hanno consapevolezza essere allo stato impedito in diritto e in fatto; dall'altro, induce a escludere, in presenza di impedimenti di tal natura e finché gli stessi perdurino, la configurabilità in capo alla P.A. di un obbligo di provvedere; - che a tale considerazione non osta l'indirizzo giurisprudenziale secondo cui il canone di buona fede rileva sul piano delle regole di responsabilità, e non anche su quello delle regole di validità (C.d.S., A.P., 29 novembre 2021, n. 21; Sez. III, 1° febbraio 2024, n. 1050; id., 4 agosto 2021, n. 5758). Se, infatti, è vero che il fondamento dell'obbligo per la P.A. di provvedere va rinvenuto nell'art. 2 della l. n. 241/1990, "la norma sulla buona fede ha un evidente significato rafforzativo di tale obbligo, specie nella parte in cui impone una condotta collaborativa fra amministrazione e privato" (C.d.S., Sez. III, n. 1050/2024, cit.), ma ciò non può non valere anche nella direzione opposta e cioè quando l'impedimento materiale e/o giuridico a provvedere è frapposto dagli stessi privati, portando così ad escludere la sussistenza di un simile obbligo in capo alla P.A.; il che è quanto si è verificato nel caso di specie, in cui: I) sono stati proprio i sigg.ri -OMISSIS- ed -OMISSIS- -OMISSIS- a esprimere dubbi e riserve sull'alienazione in comunione pro indiviso degli immobili proposta dal Comune; II) è pacifica allo stato la mancanza di un accordo tra le parti private sulla previa ripartizione delle quote in ordine agli immobili stessi; III) sempre i sigg.ri -OMISSIS- hanno esperito vittoriosamente il giudizio sfociato nell'annullamento degli atti comunali e regionali preordinati all'alienazione della -OMISSIS-; Ritenuto in conclusione, per tutto quanto esposto, di dover respingere l'appello, con le precisazioni in punto di motivazione sopra riportate, rispetto alla sentenza appellata; Ritenuto, da ultimo, di liquidare le spese del presente giudizio di appello secondo soccombenza, nella misura di cui al dispositivo; P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sezione Settima (VII), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna gli appellanti in solido tra loro a rifondere alle controparti le spese del presente giudizio di appello, che liquida in Euro 1.000 (mille/00) per ciascuna delle controparti stesse (Comune, Regione e interventori ad opponendum, questi ultimi in solido tra loro), per complessivi Euro 3.000,00 (tremila/00), oltre a spese generali e accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, commi 1 e 2, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (ed agli artt. 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti e della dignità degli interessati, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità, nonché di qualsiasi altro dato idoneo a consentire l'identificazione delle persone fisiche menzionate in sentenza. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024, con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere, Estensore Marco Morgantini - Consigliere Laura Marzano - Consigliere
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