Sentenze recenti Corte Costituzionale

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA 1. sul ricorso numero di registro generale 1017 del 2023, integrato da motivi aggiunti, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro - Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo di Perugia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, anche domiciliataria ex lege in Perugia, via (...); - Questura di Perugia, non costituita in giudizio; 2. sul ricorso numero di registro generale 30 del 2024, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Al. Fo., El. Ma. e An. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo di Perugia, Questura di Perugia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, anche domiciliataria ex lege in Perugia, via (...); nei confronti -OMISSIS-, non costituito in giudizio; per l'annullamento 1. quanto al ricorso n. 1017 del 2023: per quanto riguarda il ricorso introduttivo: - del decreto della Prefettura di Perugia - Ufficio Territoriale del Governo prot. n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, Area I - Ordine e Sicurezza Pubblica e Tutela della Legalità Territoriale, notificato il -OMISSIS-, con il quale "è fatto divieto (al ricorrente) di detenere le armi e le munizioni in suo possesso, che dovranno essere ritirate dal Comando Stazione Carabinieri di -OMISSIS-, unitamente alla licenza di porto di fucile di cui il predetto è titolare, all'atto della notifica del presente decreto. Si ingiunge al predetto di cedere le stesse a persona non convivente entro e non oltre il termine di 150 giorni dalla data di notifica del presente decreto, ammonendolo che, scaduto tale termine, se inadempiente, le armi e le munizioni si intenderanno confiscate e saranno versate, a cura della Stazione Carabinieri di -OMISSIS- e in assenza di ulteriori comunicazioni da parte di questa Prefettura, alla competente Direzione Artiglieria, ai sensi e per gli effetti dell'art. 6 della Legge 22.5.1975, n. 152", con ogni riconnessa sanzione e/o conseguenza pregiudizievole; - nonché di ogni altro atto o provvedimento connesso, presupposto e/o consequenziale, anche allo stato non conosciuto ove lesivo degli interessi del ricorrente, ivi inclusa la nota della Stazione Carabinieri di -OMISSIS- n. -OMISSIS--1 del -OMISSIS-; per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati il 16/2/2024: - del decreto prot. n. -OMISSIS-, emesso in data -OMISSIS-, notificato il -OMISSIS-, con il quale il Questore di Perugia ha revocato al ricorrente il porto d'armi ad uso venatorio n. -OMISSIS- per quanto riguarda gli ulteriori motivi aggiunti presentati il 19/4/2024: del decreto della Prefettura di Perugia n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, notificato il -OMISSIS-, con il quale è stato definito il procedimento amministrativo avviato in esecuzione dell'Ordinanza del TAR Umbria n. -OMISSIS- e confermato il precedente provvedimento n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, con il quale è stato fatto divieto al ricorrente di detenere armi e munizioni. 2. quanto al ricorso n. 30 del 2024: - del decreto nr. -OMISSIS- del -OMISSIS- della Prefettura di Perugia - Ufficio Territoriale del Governo, notificato in pari data, con il quale è stato "fatto divieto al (ricorrente) di detenere le armi e le munizioni in suo possesso"; - del decreto prot. nr. -OMISSIS- emesso in data -OMISSIS- dal Questore della Provincia di Perugia e notificato il -OMISSIS-, con il quale è stata revocata la licenza di porto d'armi uso venatorio n. -OMISSIS-, rilasciata al (ricorrente) il -OMISSIS- dal Commissariato di P.S. di -OMISSIS-; di ogni altro atto presupposto, connesso, consequenziale o comunque collegato. Visti i ricorsi i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo di Perugia e Questura di Perugia; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 maggio 2024 il dott. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. All'origine delle cause in esame vi è la conflittualità esistente tra gli odierni ricorrenti, padre e figlio, residenti in appartamenti ubicati in piani diversi dello stesso stabile. 1.1. In particolare, in data -OMISSIS-, si è verificata tra i due un'accesa lite (con minacce da parte del figlio) all'interno della stazione dei Carabinieri di -OMISSIS-; venti giorni prima, a dire del padre, il figlio lo aveva aggredito fisicamente, causandogli un ematoma all'addome. 1.2. Secondo quanto riferito nel rapporto redatto dai Carabinieri in quell'occasione (e non confutato, sotto il profilo fattuale, dagli interessati, salvo quanto appresso specificato), il figlio rimprovera al padre di intrattenere una relazione sentimentale, di aver trascurato ed offeso la madre, da cui è separato, malgrado sia affetta da una grave malattia che richiede assistenza quotidiana, e di aver sperperato il patrimonio di famiglia; mentre il padre, lamenta che il figlio non perda occasione per insultarlo ed abbia un carattere aggressivo. 1.3. Ciò ha indotto l'UTG di Perugia a disporre, nei loro confronti, mediante distinti provvedimenti in data -OMISSIS-, il divieto di detenzione di armi e munizioni, in applicazione dell'art. 39, del TULPS; e, conseguentemente, il Questore di Perugia a revocare, mediante distinti provvedimenti in data -OMISSIS-, le licenze di porto d'armi ad uso venatorio da essi possedute. 1.4. Nei provvedimenti di divieto si sottolinea che le armi di entrambi sono custodite all'interno di un caveau, ubicato nel sottoscala dell'edificio; e si afferma, in sintesi, che "La richiamata situazione di conflittualità famigliare, tenuto conto della sua attualità e gravità, risulta del tutto incompatibile con una sicura detenzione delle armi da parte di tutti i soggetti coinvolti" (nel provvedimento riguardante il figlio, viene sottolineata anche "un'insufficiente capacità di controllo dei propri impulsi ed emozioni"). 2. Il primo dei ricorsi in esame (NRG -OMISSIS-) è stato proposto dal padre nei confronti del provvedimento di divieto. 2.1. Il ricorrente ha lamentato, in sostanza: la mancanza dei presupposti richiesti dall'art. 39, in combinato disposto con l'art. 11, del TULPS, in ragione dell'omessa considerazione della sua situazione personale complessiva (ha la licenza di caccia da cinquant'anni e non ha mai dato adito a rilievi negativi); il travisamento dei fatti (essendo l'accaduto, ed in particolare l'atteggiamento violento, interamente addebitabili al figlio, abitando i due in diverse unità immobiliari ed essendo le armi custodite in un caveau di cui il ricorrente ha la esclusiva disponibilità ); l'ingiustificata omissione della partecipazione procedimentale. In conclusione, i provvedimenti risulterebbero sproporzionati, impedendo al ricorrente di svolgere la propria attività lavorativa (è -OMISSIS- di un'azienda agrituristico-venatoria). 2.2. Questo Tribunale ha esaminato il ricorso in sede cautelare, accogliendo con ordinanza n. -OMISSIS- la domanda di sospensiva, ai soli fini del riesame. 2.3. Con motivi aggiunti, il ricorrente ha poi impugnato il provvedimento di revoca, riproponendo, oltre a censure di invalidità derivata, quelle dedotte con il ricorso introduttivo. 2.4. L'UTG di Perugia ha eseguito il riesame, adottando in data -OMISSIS- un provvedimento che conferma il divieto di detenzione, sulla base di una motivazione più argomentata, che prende in considerazione (oltre all'esistenza di alcune denunce pregresse nei confronti del ricorrente, laddove nel primo divieto risultava indicata solo la pendenza di un procedimento penale per -OMISSIS-): - la situazione di conflittualità famigliare, e sottolinea, in particolare, come "la circostanza di risiedere nel medesimo immobile favorisce di per sé la possibilità di frequenti incontri tra i predetti, che potrebbero costituire occasione di ulteriori, gravi alterchi; (...) pur non risultando imputabili al (ricorrente per motivi aggiunti) i comportamenti aggressivi verificatisi in ambito familiare, la detenzione di armi da parte del predetto appare comunque inopportuna. Non può, infatti, escludersi, sulla base di un giudizio prognostico, il pericolo di abuso delle stesse, sia da parte del medesimo (...) a seguito di reazioni inconsulte che potrebbero derivare da ulteriori accesi alterchi con il figlio (...), sia da parte di quest'ultimo, il quale potrebbe impossessarsi delle armi del genitore custodite nel caveau (ad uso promiscuo) di famiglia"; - l'incidenza del divieto sull'attività lavorativa, sottolineando che non preclude il mantenimento dell'incarico di -OMISSIS- dell'azienda agrituristica venatoria, potendo la vigilanza durante le battute di caccia essere delegata a guardiacaccia, di cui l'azienda dispone. 2.5. Il ricorrente lo ha impugnato mediante ulteriori motivi aggiunti, sostenendo il carattere meramente confermativo del provvedimento, e comunque riproponendo, con argomentazioni più articolate, le censure sostanzialmente già dedotte. In particolare, ha stigmatizzato che non sia stata adeguatamente considerata la motivazione del remand, in cui era stata sottolineata la possibilità "che la doverosa cautela nel rilascio (mantenimento) dei titoli autorizzativi relativi alle armi venga assicurata mediante strumenti diversi dal divieto di detenzione nei confronti del ricorrente", ed ha ribadito le caratteristiche di sicurezza ed accesso controllato del caveau dove sono custodite le armi. 3. Il secondo ricorso (NRG n. -OMISSIS-) è stato proposto dal figlio avverso entrambi i provvedimenti che lo riguardano, il quale ha lamentato, in sostanza, l'ingiustificata omissione della partecipazione procedimentale, la mancanza dei presupposti richiesti dagli artt. 11, 39 e 43 del TULPS, il travisamento dei fatti. 3.1. Il giudizio di inaffidabilità non sarebbe supportato da un'adeguata istruttoria e motivazione, anche considerato che si è trattato di uno semplice "sfogo tra padre e figlio", senza alcun episodio di violenza (l'episodio dell'aggressione riferito dal padre sarebbe "del tutto indimostrato e privo di qualsiasi riscontro oggettivo") e senza che sia stata presa in esame la complessiva personalità e condotta di vita del ricorrente. 3.2. Il divieto difetta comunque di proporzionalità ; l'accaduto avrebbe ben potuto ed anzi dovuto indurre l'Amministrazione a disporre, in via cautelativa, la sospensione temporanea della licenza, in applicazione dell'art. 10 del TULPS, in considerazione dei rilevanti profili di incertezza e indeterminatezza che connotano la vicenda, tali da non permettere un'attendibile valutazione sulla pericolosità e non affidabilità del ricorrente. 3.3. Anche il secondo ricorrente sottolinea il pregiudizio alla propria attività lavorativa di -OMISSIS- di sistemi di sicurezza, compresi quelli di puntamento delle armi. 4. In entrambi i giudizi, l'Amministrazione si è costituita ed ha controdedotto puntualmente, ribadendo che la condotta dei ricorrenti e la situazione in cui si trovano giustificava l'adozione del divieto, e chiedendo il rigetto dei ricorsi. 5. Le parti hanno depositato memorie e repliche, puntualizzando le rispettive difese. 6. I ricorsi possono essere riuniti, risultando evidente la loro connessione oggettiva e soggettiva. 7. Occorre anzitutto precisare che il provvedimento adottato in esecuzione della misura cautelare di riesame (NRG -OMISSIS-) non ha carattere meramente confermativo, come sostiene il ricorrente, bensì confermativo in senso proprio, risultando l'esito di un approfondimento degli elementi rilevanti, supportato da una più estesa motivazione. 8. Il Collegio sottolinea poi che, a seguito dei depositi documentali in corso di giudizio, non è più in discussione l'incidenza negativa concreta del divieto sullo svolgimento delle attività lavorative dei ricorrenti. Peraltro, risulta anche accertato che tale incidenza investe solo una parte delle attività potenzialmente ricomprese nei rispettivi incarichi professionali, e sarebbe in qualche modo ovviabile (anche se, è presumibile, ciò comporterebbe oneri o svantaggi). 9. Le acquisizioni processuali hanno anche consentito di accertare che le armi erano e sono custodite in un caveau situato al piano terra dell'immobile in cui entrambi i ricorrenti (ancorché in distinte unità immobiliari) risiedono, le cui chiavi sono attualmente detenute da un altro figlio, estraneo (così come un terzo figlio) alla conflittualità in questione. 10. Occorre a questo punto ricordare, sul piano dei principi, che, secondo la giurisprudenza consolidata (cfr., di recente e riassuntivamente, Cons. Stato, III, n. 358-OMISSIS- e n. 923/2023; TAR Umbria, n. 655/2023; vedi anche, idem, n. -OMISSIS-): - il potere di rilasciare le licenze in materia di armi costituisce una deroga al divieto sancito dall'art. 699 c.p. e dall'art. 4, comma 1, legge 110/1975; la regola generale è, pertanto, il divieto di detenzione delle armi, al quale l'autorizzazione di polizia può derogare in presenza di specifiche ragioni e in assenza di rischi anche solo potenziali, che è compito dell'Autorità di pubblica sicurezza prevenire; - infatti, la Corte Costituzionale ha sottolineato, sin dalla sentenza n. 440/1993, che "il porto d'armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, una eccezione al normale divieto di portare le armi, che può divenire operante soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la perfetta e completa sicurezza circa il buon uso delle armi stesse" e che "dalla eccezionale permissività del porto d'armi e dai rigidi criteri restrittivi regolatori della materia deriva che il controllo dell'autorità amministrativa deve essere più penetrante rispetto al controllo che la stessa autorità è tenuta ad effettuare con riguardo a provvedimenti permissivi di tipo diverso, talora volti a rimuovere ostacoli e situazioni giuridiche soggettive di cui sono titolari i richiedenti"; cosicché "deve riconoscersi in linea di principio un ampio margine di discrezionalità in capo al legislatore nella regolamentazione dei presupposti in presenza dei quali può essere concessa al privato la relativa licenza, nell'ambito di bilanciamenti che - entro il limite della non manifesta irragionevolezza - mirino a contemperare l'interesse dei soggetti che richiedono la licenza di porto d'armi per motivi giudicati leciti dall'ordinamento e il dovere costituzionale di tutelare, da parte dello Stato, la sicurezza e l'incolumità pubblica: beni, questi ultimi, che una diffusione incontrollata di armi presso i privati potrebbe porre in grave pericolo, e che pertanto il legislatore ben può decidere di tutelare anche attraverso la previsione di requisiti soggettivi di affidabilità particolarmente rigorosi per chi intenda chiedere la licenza di portare armi" (sent. n. 109/2019); - la giurisprudenza amministrativa, nel solco dei principi affermati dalla Corte Costituzionale, è consolidata nel ritenere che il porto d'armi non costituisce oggetto di un diritto assoluto, rappresentando un'eccezione al normale divieto di detenere armi e potendo essere riconosciuto soltanto a fronte della perfetta e completa sicurezza circa il loro buon uso, in modo da scongiurare dubbi o perplessità, sotto il profilo prognostico, per l'ordine pubblico e per la tranquilla convivenza della collettività (cfr., ex multis, Cons. Stato, III, n. 1972/2019 e n. 3435/2018); - ai sensi degli artt. 11, 39 e 43 del TULPS, l'Amministrazione può legittimamente fondare il giudizio di "non affidabilità " del titolare del porto d'armi valorizzando il verificarsi di situazioni genericamente non ascrivibili alla "buona condotta" dell'interessato, non rendendosi necessario al riguardo né un giudizio di pericolosità sociale del soggetto né un comprovato abuso nell'utilizzo delle armi (Cons. Stato, III, nn. 6812/2018, 4955/2018, 2404/2017, 4518/2016, 2987/2014, 4121/2014; VI, n. 107/2017) in quanto, ai fini della revoca della licenza, l'Autorità di pubblica sicurezza può apprezzare discrezionalmente, quali indici rivelatori della possibilità di abuso delle armi, fatti o episodi anche privi di rilievo penale, indipendentemente dalla riconducibilità degli stessi alla responsabilità dell'interessato, purché l'apprezzamento non sia irrazionale e sia motivato in modo congruo (Cons. Stato, VI, n. 107/2017; III, nn. 3502/2018, 2974 del 2018), trattandosi di un provvedimento, privo di intento sanzionatorio o punitivo, avente natura cautelare al fine di prevenire possibili abusi nell'uso delle armi a tutela delle esigenze di incolumità di tutti i consociati (Cons. Stato, III, n. 2974/2018); - il giudizio che riguardo a detti profili compie l'Autorità di pubblica sicurezza è espressione di una valutazione ampiamente discrezionale, che presuppone una analisi comparativa dell'interesse pubblico primario, degli interessi pubblici secondari, nonché degli interessi dei privati, oltre che un giudizio di completa affidabilità del soggetto istante basato su rigorosi parametri tecnici; nello specifico settore delle armi, tale valutazione comparativa si connota in modo peculiare rispetto al giudizio che tradizionalmente l'Amministrazione compie nell'adottare provvedimenti permissivi di tipo diverso; la peculiarità deriva dal fatto che, stante la ricordata assenza di un diritto assoluto al porto d'armi, nella valutazione comparativa degli interessi coinvolti assume carattere prevalente, nella scelta selettiva dell'Amministrazione, quello di rilievo pubblico, inerente alla sicurezza e all'incolumità delle persone, rispetto a quello del privato; - l'apprezzamento discrezionale rimesso all'Autorità di pubblica sicurezza involge soprattutto il giudizio di affidabilità del soggetto che detiene le armi o aspira ad ottenerne il porto; a tal fine, l'Amministrazione è chiamata a compiere una valutazione in ordine al pericolo di abuso delle armi, secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico; - tale esegesi è peraltro confermata sul piano legislativo dalla formulazione dell'art. 39 del TULPS, laddove, nel prevedere che "il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell'articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne", considera sufficiente l'esistenza di elementi che fondino solo una ragionevole previsione di un uso inappropriato. 11. Con specifico riferimento a vicende analoghe a quella in esame, è stato ritenuto, condivisibilmente, che una situazione di conflittualità familiare nella sua oggettività è valido motivo per l'emanazione di provvedimenti interdittivi in tema di armi, a prescindere dalla responsabilità della sua causazione (cfr. TAR Toscana, II, n. 1305/2022). In tali situazioni, infatti, ciò che l'amministrazione è chiamata a valutare è il pericolo che la situazione di conflitto familiare in atto, nella sua oggettività ed a prescindere da chi ne sia responsabile, possa degenerare in fatti antigiuridici, le cui conseguenze potrebbero essere ulteriormente aggravate dalla disponibilità delle armi (cfr. TAR Umbria, n. 303/2023). 12. Ciò stante, la conflittualità tra i ricorrenti - che, secondo quanto emerge dagli atti, è dovuta a vicende personali, ha radici profonde e non è venuta meno - la vicinanza delle abitazioni dei ricorrenti e l'ubicazione del luogo di custodia delle armi (ancorché il caveau sia sottoposto a sistemi di videosorveglianza) fanno sì che risulti tutt'altro che illogico il giudizio di inaffidabilità nella detenzione delle stesse formulato dall'Amministrazione nei confronti di entrambi, quali che possano ritenersi le responsabilità di ciascuno di essi nell'aver determinato tale situazione. 13. In altri termini, la situazione fattuale è stata presa in esame dall'Amministrazione e ritenuta, con valutazione che risulta immune dalle censure formulate dai ricorrenti, sufficiente a giustificare il divieto di detenzione delle armi e la revoca dei titoli autorizzatori di p.s. conseguenti (che del primo costituisce una conseguenza naturale e praticamente vincolata - cfr. Cons. Stato, III, nn. 3583/2024, 1292/2013). Detta situazione, si ripete, a prescindere da ogni ulteriore considerazione in ordine alle condotte dei ricorrenti, è stata reputata suscettibile di costituire il sostrato di fatti antigiuridici ben più gravi ed una simile valutazione non risulta irragionevole, tenuto conto che lo scopo del potere attribuito in materia alla pubblica amministrazione è proprio quello di evitare che tali fatti abbiano a verificarsi. Pertanto, non può nemmeno ritenersi sproporzionata l'utilizzazione dello strumento cautelare del divieto (con correlata sottrazione della disponibilità materiale delle stesse), non essendo sufficiente a conseguire lo scopo la mera sospensione della licenza di uso delle armi. 14. In conclusione, i ricorsi sono infondati e devono pertanto essere respinti. 15. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, previa riunione, li respinge. Condanna i ricorrenti al pagamento in favore dell'Amministrazione, della somma di euro 1.000,00 (mille/00), oltre agli oneri ed accessori di legge, ciascuno, per spese di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare i ricorrenti. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente, Estensore Daniela Carrarelli - Primo Referendario Davide De Grazia - Primo Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 218 del 2022, integrato da motivi aggiunti, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Sa. Lo. e Gi. Li. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero della Difesa (Brigata Alpina "Julia" - 8° Reggimento Alpini), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Trieste, domiciliataria ex lege in Trieste, piazza (...); Per quanto riguarda il ricorso introduttivo: per l'annullamento dell'ALLEGATO "B" - foglio prot.-OMISSIS- a firma del Comandante del Reggimento Col. -OMISSIS- notificato al ricorrente a mani in data 04/04/2022; per il risarcimento dei danni subiti in conseguenza del provvedimento sopra citato nonché dell'allegato "D" (a firma del Comandante del Reggimento Col. -OMISSIS- alla comunicazione -OMISSIS- dd. 21/12/2021; ivi compreso l'invito a produrre la documentazione relativa all'obbligo vaccinale; di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale, ove lesivo o allo stato non conosciuto; nonché per l'accertamento del diritto del ricorrente a percepire la retribuzione ed ogni altro compenso o emolumento, comunque denominati, relativamente al periodo di sospensione o, in via gradata, del diritto a percepire la metà degli assegni a carattere fisso e continuativo secondo le disposizioni del Codice dell'Ordinamento Militare e per la relativa condanna dell'Amministrazione a corrispondere tali somme quale risarcimento del danno subito dal ricorrente in conseguenza dei provvedimenti sopra citati; nonché per l'accertamento del diritto del ricorrente a vedersi riconosciuti, per il periodo di sospensione, la maturazione di classi e scatti economici, la maturazione della licenza ordinaria, gli effetti pensionistici, gli accantonamenti contributivi, i trattamenti fissi e continuativi, gli assegni accessori, i compensi indennitari e l'accertamento della validità del periodo di sospensione ai fini dello svolgimento delle attribuzioni specifiche/periodi di comando richiesti per l'avanzamento; nonché per la condanna dell'Amministrazione, ex art. 30 c.p.a., al risarcimento in forma specifica del danno ingiusto subito dal ricorrente derivante dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa in via equitativa ritenuta di giustizia; previa, ove necessario, disapplicazione dell'art. 2 del Decreto Legge n. 172 del 26.11.2021, convertito in Legge n. 3 del 21.01.2022, recante "Misure urgenti per il contenimento dell'epidemia da COVID-19 e per lo svolgimento in sicurezza delle attività economiche e sociali"; previa, ove necessario, remissione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 del decreto legge n. 172 del 26.11.2021, convertito in legge n. 3 del 21.01.2022; Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati dal signor -OMISSIS- il 21/6/2023: per l'annullamento - del decreto di detrazione dell'anzianità di grado -OMISSIS-, notificato l'11/04/2023, emesso dal Ministero della Difesa, Direzione Generale per il Personale Militare, a firma del Dirigente dott. -OMISSIS-; - di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale, ove lesivo o allo stato non conosciuto; nonché per la condanna dell'Amministrazione al pagamento della perdita economica subita dal ricorrente a seguito della detrazione di anzianità decretata e degli effetti derivanti dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa in via equitativa ritenuta di giustizia; Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 marzo 2024 la dott.ssa Manuela Sinigoi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con ricorso introduttivo notificato il 19 aprile 2022 e depositato il successivo giorno 18 maggio 2022, il ricorrente, C.le Magg. C.a. dell'Esercito italiano effettivo alla Compagnia Comando Supporto Logistico - 8° Reggimento Alpini di Venzone (UD), ha impugnato l'atto in epigrafe compiutamente indicato, con cui è stata disposta nei suoi confronti la sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa per inosservanza dell'obbligo vaccinale e, conseguentemente, decurtata la sua retribuzione nel periodo di sospensione. Il ricorrente ha dedotto le seguenti censure: 1) Violazione ed errata applicazione degli artt. 885 - 877 - 878 - 893 - 914 -915 - 916 - 917 - 920 - 922 - 936 e 1352 del Codice dell'Ordinamento militare, decreto legislativo n. 66 del 15.03.2010 - incompetenza - violazione ed errata applicazione dell'art. 4 della legge n. 17 del 25.01.1982 e dell'art. 4 della legge n. 97 del 27.03.2001 - violazione del decreto legge 127/2021 - violazione del decreto legge n. 44/2021 - violazione della legge n. 76/2021 - violazione della legge n. 106/2021 - violazione dei principi di imparzialità e proporzionalità - illogicità ed ingiustizia manifesta; 2) Illegittimità costituzionale del decreto legge n. 172 del 26.11.2021, convertito in legge n. 3 del 21.01.2022, per violazione degli artt. 2 - 3 - 4 - 13 - 32 - 35 - 36 - 117 della Costituzione - violazione degli artt. 3, 21 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - violazione dell'art. 14 della Convenzione dei diritti dell'uomo - violazione dell'art. 1 del Protocollo addizionale n. 12 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali - violazione dell'art. 8 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - violazione del regolamento UE 953/2021 - violazione della dichiarazione di Helsinki - violazione art. 500 del d.lgs. n. 297/1994 (T.U. della scuola) e dell'art. 82 del d.P.R. n. 3/1957. Ha indi chiesto: a) l'annullamento del provvedimento impugnato, previa eventuale rimessione alla Corte Costituzionale delle questioni di legittimità costituzionale prospettate; b) l'accertamento del diritto a percepire la retribuzione ed ogni altro compenso o emolumento relativamente al periodo di sospensione; c) in via gradata, l'accertamento del diritto a percepire la metà degli assegni a carattere fisso e continuativo secondo le disposizioni del d.lgs. n. 66/2010; d) in ogni caso, la condanna dell'Amministrazione al risarcimento in forma specifica del danno ingiusto. 2. L'Amministrazione si è costituita in giudizio in resistenza al ricorso. 3. Con l'ordinanza -OMISSIS-del 23 marzo 2023 questo T.A.R. ha sospeso il giudizio nell'attesa della pronuncia della Corte di Giustizia dell'Unione Europea nella causa C-765/2021 su questione pregiudiziale. 4. Con ricorso per motivi aggiunti notificato il 9 giugno 2023 e depositato il successivo 21 giugno 2023, il ricorrente ha gravato, chiedendone l'annullamento, il decreto di detrazione dell'anzianità di grado nel frattempo emesso dall'Amministrazione, denunciandone l'illegittimità per: 1) Violazione dell'art. 4 ter del decreto legge n. 44/2021 convertito in legge n. 76 del 28.05.2021 - eccesso di potere per errore nei presupposti - violazione dei principi di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa; 2) Violazione delle disposizioni in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze armate - violazione degli articoli 2251 bis, 2251 ter, 2251 quater, 2251 sexies, 2252, 2252 bis, 2252 ter, 2253, 2253 bis, 2253 ter, 2253 quater, 2253 quinquies, 2253 sexsies, 2253 septies, 2254 bis, 2254 ter, 2254 quater, 2255, 2255 bis, 2255 ter, 2256 del d.lgs. n. 66/2010 - violazione del decreto legislativo n. 94 del 29.05.2017 - violazione del decreto legislativo n. 173 del 27.12.2019 - eccesso di potere per errore nei presupposti - violazione dei principi di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa. 5. Il 5 settembre 2023 ha presentato apposita istanza di fissazione dell'udienza per la prosecuzione del giudizio e, poi, con atto in data 18 marzo 2024 ha chiesto il passaggio della causa in decisione senza discussione. 6. All'udienza pubblica del giorno 20 marzo 2024 la causa è passata in decisione. 7. Il ricorso è fondato solo in minima parte. Per il resto è, in parte, inammissibile e, in parte, infondato. 8. Le censure relative all'illegittimità della disposta sospensione dal servizio sono inammissibili. Dall'esame degli atti risulta infatti che con atto -OMISSIS- del 21 dicembre 2021, spedito per la notifica al ricorrente in data 23 dicembre 2021 e da questi ricevuto il successivo 30 dicembre 2021 (doc. 007 - fascicolo Ministero in data 31/05/2024), è stato accertato l'inadempimento dell'obbligo vaccinale ed è stata disposta a carico del medesimo la sospensione dall'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari, con i correlati effetti di legge. Come da preliminare rilievo formulato con l'ordinanza collegiale n. -OMISSIS- e ribadito all'odierna udienza ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 73, comma 3, c.p.a., l'effetto lesivo della sfera giuridica del ricorrente, in ragione della sospensione dal servizio, si era già manifestato il 21 dicembre 2021 (rectius il 30 dicembre 2021); sicché era quell'atto a dover essere immediatamente impugnato, cosa che invece non è avvenuta. Con l'atto del 31 marzo 2022, impugnato con il presente ricorso, l'Amministrazione ha solamente operato una ricognizione del periodo di sospensione, quantificando l'effettiva durata della sospensione dal servizio già in precedenza disposta. Per la parte in cui si ribadisce la già disposta sospensione ed i suoi effetti, l'atto ricognitorio impugnato non presenta alcuna novità ; ne consegue la natura meramente confermativa dell'atto in parte qua (cfr. T.A.R. Piemonte, n. 196/2024). Le censure che in questa sede contestano in sé l'istituto della sospensione sono quindi inammissibili per carenza d'interesse. 9. Quanto alle restanti questioni di merito, in buona parte infondate, questo Collegio condivide in toto le argomentazioni sviluppate dal T.A.R. Lombardia, Brescia, nella sentenza n. 940/2023 che devono qui intendersi richiamate. 9.1. Nello specifico del primo motivo di ricorso, quanto alla censura d'incompetenza del Comandante di Corpo ad adottare l'atto ricognitivo del periodo di sospensione, è sufficiente ribadire che l'art. 4-ter, comma 2, del d.l. 44/2021, prevede che il rispetto dell'obbligo vaccinale sia assicurato, per il personale del comparto difesa e sicurezza, da "i responsabili delle strutture in cui presta servizio il personale", nel senso chiarito dal T.A.R. Lombardia, Brescia, n. 940/2023 ("La competenza di cui alla disposizione appena citata si riferisce ad " assicurare il rispetto dell'obbligo" di vaccinazione: questo significa, con tutta evidenza, non solo accertare i casi di inosservanza di tale obbligo, ma anche applicare la sospensione dal lavoro che la legge prevede come conseguenza di tale inosservanza, perché il rispetto di un qualsivoglia obbligo viene assicurato anche applicando le conseguenze sfavorevoli che l'ordinamento prevede per il caso di inosservanza. Peraltro la legge prevede che la sospensione sia automatica e contestuale all'accertamento dell'inosservanza dell'obbligo vaccinale: il 3° comma dell'art. 4 ter cit. dispone infatti che " L'atto di accertamento dell'inadempimento determina l'immediata sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro" . Pertanto il titolare del potere di accertamento può senza dubbio dichiarare l'avvenuta sospensione dal lavoro del pubblico dipendente, con un atto che è meramente ricognitivo dell'effetto prodotto ex lege, e non costitutivo"). 9.2. L'ulteriore censura relativa alla violazione dell'art. 893, comma 2, del d.lgs. n. 66/2010 ("Il rapporto di impiego può essere interrotto, sospeso o cessare solo in base alle disposizioni del presente codice") è inammissibile, perché essa attiene, a ben vedere, ad un vizio che doveva essere dedotto con la tempestiva impugnativa del presupposto decreto di sospensione dal servizio. La censura è comunque manifestamente infondata "perché è nozione istituzionale che un atto avente forza di legge, quale il decreto legge che ha introdotto l'obbligo di vaccinazione anti-Covid per alcune categorie di lavoratori, ben può derogare a una fonte di pari rango, qual è il codice dell'ordinamento militare. Che poi la norma derogatoria, giustificata dall'emergenza pandemica, sia collocata all'interno del medesimo codice oppure in un corpus normativo distinto, non ha nessuna incidenza sulla legittimità e sull'efficacia della norma medesima. Peraltro la scelta di non collocare la norma all'interno del c.o.m. risulta del tutto ragionevole, considerando sia il carattere temporaneo della stessa, collegata alla durata della pandemia, sia il fatto che l'obbligo vaccinale è stato previsto con identica disciplina, in un corpus normativo unitario, anche per altre categorie di dipendenti pubblici estranei all'ordinamento militare" (T.A.R. Lombardia, Brescia, n. 940/2023). 9.3. La censura relativa alla violazione dell'art. 920 del d.lgs. n. 66/2010 ("Al militare durante la sospensione dall'impiego compete la metà degli assegni a carattere fisso e continuativo. Agli effetti della pensione, il tempo trascorso in sospensione dal servizio è computato per metà ") è fuori fuoco atteso che essa non tiene conto né si confronta con quanto previsto dalla norma speciale derogatoria. L'art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, introdotto dall'art. 2 del d.l. n. 172 del 2021, come convertito, dettava precise disposizioni sulle modalità di accertamento della violazione dell'obbligo vaccinale e sulle sue esatte conseguenze, prevedendo al riguardo che "... L'atto di accertamento dell'inadempimento determina l'immediata sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati". Si osserva, peraltro, che le ipotesi in cui è prevista la corresponsione di emolumenti al personale sospeso dall'impiego (art. 82 del d.P.R. 3/1957, art. 920 del d.lgs. 66/2010) si correlano a vicende (procedimenti penali o disciplinari pendenti) che "procedono in modo autonomo ed insensibile, rispetto alla volontà dell'incolpato o dell'imputato di poterne bloccare lo svolgimento (per l'effetto, dimostrandosi giustificata l'erogazione di alcune provvidenze, quali la corresponsione di parte degli assegni a carattere fisso e continuativo e dell'assegno alimentare); laddove la persistenza della sospensione dal diritto all'erogazione della prestazione lavorativa (e della percezione degli emolumenti a fronte di essa spettanti) consegue a fatto "proprio", volontariamente posto in essere dal dipendente (obbligato a vaccinarsi) e dal medesimo liberamente rimuovibile, in ogni momento, per effetto del mero assolvimento del comportamento doveroso di cui trattasi" (cfr. T.A.R. Lazio, n. 4914/2022). Come ha chiarito la Corte costituzionale nella sentenza n. 14/2023 (al paragrafo 13.2) a proposito della norma analoga valevole per il personale sanitario, la sospensione dal lavoro prevista dall'art. 4 ter del d.l. 44/2021 non è una sanzione, ma è "una conseguenza calibrata, in termini di sacrificio dei diritti dell'operatore sanitario, che sia strettamente funzionale rispetto alla finalità perseguita di riduzione della circolazione del virus. E ciò tanto in termini di durata, posto che... il legislatore ha introdotto, sin dall'inizio, una durata predeterminata dell'obbligo vaccinale, modificandola, costantemente, in base all'andamento della situazione sanitaria, giungendo ad anticiparla appena la situazione epidemiologica lo ha consentito; quanto in termini di intensità, trattandosi di una sospensione del rapporto lavorativo, senza alcuna conseguenza di tipo disciplinare, e non di una sua risoluzione". Del tutto generica è poi la deduzione che "alle categorie di soggetti obbligati per legge alla somministrazione del vaccino in oggetto avrebbe dovuto essere rilasciata una apposita prescrizione medica che, invece, come noto, non viene rilasciata da alcun medico curante derivandone anche da tale circostanza l'illegittimità del provvedimento di sospensione oggi impugnato", atteso che l'obbligo di vaccinazione discendeva direttamente dalla legge, senza necessità di ulteriori intermediazioni. In ogni caso il vizio attiene all'originario provvedimento sospensivo. 10. Il secondo motivo è in buona parte inammissibile e precisamente nella parte in cui con esso la parte ricorrente ha dedotto l'illegittimità della disposta sospensione per la violazione di parametri costituzionali e internazionali; censure che, tuttavia, andavano rivolte al provvedimento col quale la sospensione era stata disposta. 10.1. Quanto alle conseguenze patrimoniali, connesse in effetti agli specifici provvedimenti qui gravati, si rileva quanto segue. 10.1.1. Quanto agli aspetti concernenti il riconoscimento di un assegno alimentare, sotto il profilo della legittimità costituzionale dell'art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021, la Corte Costituzionale ha già esaminato la questione, ritenendola infondata, anche sotto il profilo della proporzionalità e ragionevolezza (cfr. par. 14 della sentenza n. 15/2023). 10.1.2. Fatto salvo quanto si osserverà in seguito (pt. 10.1.4), anche la dedotta violazione dell'art. 36 Cost. risulta manifestamente infondata atteso che "la situazione di temporanea impossibilità della prestazione lavorativa in cui si viene a trovare il dipendente che non abbia adempiuto all'obbligo vaccinale deriva pur sempre da una scelta individuale di quest'ultimo e non da un fatto oggettivo. Nondimeno il legislatore, proprio nel rispetto della eventuale scelta del lavoratore di non attenersi all'obbligo vaccinale, si è limitato a prevedere la sospensione del rapporto di lavoro, disciplinando la fattispecie alla stregua di una impossibilità temporanea non imputabile. Di conseguenza, poiché la prestazione offerta dal lavoratore che non si è sottoposto all'obbligo vaccinale non è conforme al contratto, come integrato dalla legge, è certamente giustificato il rifiuto della stessa da parte del datore di lavoro e lo stato di quiescenza in cui entra l'intero rapporto è semplicemente un mezzo per la conservazione dell'equilibrio giuridico-economico del contratto" (così la richiamata sentenza n. 15/2023). 10.1.3. Le altre censure proposte (violazione dell'obbligo vaccinale in oggetto rispetto all'art. 32 della Costituzione e le questioni relative al consenso libero e informato della persona interessata) erano da dedursi con l'impugnativa del provvedimento del dicembre 2021, ormai consolidatosi. Non giova alla ricorrente nemmeno il richiamo alla sentenza della Corte di Giustizia C-765/2021 che ha giudicato irricevibile il rinvio pregiudiziale sottopostole dal Tribunale di Padova. La ricorrente, nella sua memoria depositata in giudizio il 16 febbraio 2024, enfatizza un unico passaggio motivazionale della pronuncia del giudice europeo ("il rilascio di dette autorizzazioni condizionate non comporta, in quanto tale, alcun obbligo, in capo ai destinatari potenziali di tali vaccini, di farsi somministrare questi ultimi, tanto più che il giudice del rinvio non ha esplicitamente posto l'interrogativo se le persone assoggettate all'obbligo vaccinale previsto all'articolo 4 del decreto-legge n. 44/2021 fossero obbligate ad assumere unicamente i vaccini oggetto delle suddette autorizzazioni condizionate" (punto 36) senza cogliere che l'argomento è stato speso per rilevare che non era stata adeguatamente chiarita dal giudice rimettente la rilevanza del parametro del diritto Ue invocato. D'altra parte la stessa pronuncia sul punto chiarisce senza equivoci che "Di conseguenza, in assenza di qualsiasi spiegazione da parte del giudice del rinvio circa i motivi per cui esso mette in discussione la validità delle autorizzazioni all'immissione in commercio condizionate nonché circa quelli relativi all'eventuale nesso tra, da un lato, la validità di tali autorizzazioni e, dall'altro, l'obbligo vaccinale contro la COVID-19 previsto all'articolo 4 del decreto legge n. 44/2021, si deve giudicare che la presente domanda di pronuncia pregiudiziale non soddisfa i requisiti ricordati al punto 31 della presente sentenza per quanto riguarda la prima questione" (punto 37). 10.1.4. L'impugnazione merita, invece, di essere accolta, laddove rivolta alle conseguenze pregiudizievoli ulteriori rispetto alla privazione della retribuzione o di altro compenso o emolumento, fatte derivare dal Ministero intimato e compendiate nel provvedimento del 31 marzo 2022 e, poi, in quello del 22 giugno 2022, gravato col ricorso per motivi aggiunti. L'art. 4-ter, comma 3, del d.l. 1 aprile 2021, n. 44 legittima, invero, durante la sospensione dal servizio, unicamente la privazione della retribuzione o compenso o emolumento (in termini T.A.R. Lombardia - Milano, sez. I, 2 gennaio 2023, n. 16; T.A.R. FVG, sez. I, 27 febbraio 2023, n. 74; T.A.R. Sicilia - Palermo, sez. III, 6 giugno 2023, n. 1877; T.A.R. Lombardia - Milano, sez. V, 21 novembre 2023, n. 2750). Depone, invero, in tal senso, oltre al pacifico dato testuale, la circostanza, correttamente evidenziata dal ricorrente, che il legislatore, con riguardo ai casi di sospensione dal servizio per motivi penali e disciplinari, si è preoccupato di disciplinare specificamente le conseguenze che ne derivano sotto il profilo economico e giuridico, nel mentre, nel caso specifico, nulla ha disposto sul punto, essendosi limitato a stabilire che "L'atto di accertamento dell'inadempimento determina l'immediata sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati". In parte qua, il ricorso va, pertanto, accolto e, per l'effetto, annullati i provvedimenti gravati laddove viziati. Ne deriva l'obbligo per l'Amministrazione intimata di conformarsi sul punto alla presente decisione e di disporre in merito, adottando ogni necessario atto e/o provvedimento. 11. Le domande di accertamento (i trattamenti fissi e continuativi, gli assegni accessori, i compensi indennitari) e di condanna dell'amministrazione al risarcimento del danno sono del tutto generiche e, pur proposte, non sono state adeguatamente e analiticamente dedotte nel corpo del ricorso. 12. In conclusione, alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso e il ricorso per motivi aggiunti vanno accolti nei sensi e limiti dianzi evidenziati. Il ricorso introduttivo, per il resto, deve essere, in parte, dichiarato inammissibile e, in parte, rigettato. 13. Le spese di lite, per la novità di alcune delle questioni esaminate, possono essere compensate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso e sul ricorso per motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li accoglie nei sensi e limiti evidenziati in motivazione e, per l'effetto, annulla il provvedimento prot.-OMISSIS- (in parte qua) e il provvedimento n. -OMISSIS- 22/06/2022. Per il resto, dichiara il ricorso introduttivo in parte inammissibile e in parte lo respinge. Compensa le spese di lite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all'articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all'articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate. Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 20 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Carlo Modica de Mohac - Presidente Manuela Sinigoi - Consigliere, Estensore Daniele Busico - Primo Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta da: Dott. GALTERIO Donatella - Presidente Dott. SOCCI Angelo Matteo - Relatore Dott. LIBERATI Giovanni Dott. MENGONI Enrico Dott. ZUNICA Fabio ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: Na.Da. nato il Omissis avverso la sentenza del 21/11/2022 della CORTE APPELLO di PERUGIA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere ANGELO MATTEO SOCCI; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUIGI CUOMO che ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso. L'avvocato RO.MA., sost. proc., per le PARTI CIVILI, chiede la conferma dell'impugnata sentenza. Deposita conclusioni e nota spese dichiarando che le parti civili sono ammesse al patrocinio a spese dello Stato. L'avvocato BI.FR., in difesa di Na.Da., si riporta al ricorso e ne chiede l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza della Corte di appello di Perugia del 21 novembre 2022, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Perugia del 1 luglio 2021, si è dichiarato di non doversi procedere nei confronti di Na.Da. in ordine al reato di cui al capo 1 dell'imputazione (art. 609 bis cod. pen.; commesso il 15 gennaio 2009) per prescrizione ed è stata rideterminata la pena per il residuo reato (art. 609 bis, ultimo comma, cod. pen. commesso nei confronti di Er.Ma.; commesso il 23 aprile 2012) in anni 1 e mesi 8 di reclusione 2. L'imputato ha proposto ricorso in cassazione, per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen. 2. 1. Mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in relazione alle valutazioni di attendibilità delle dichiarazioni della parte offesa e ai ritenuti riscontri alle stesse (in ordine alla divisa di colore verde che avrebbe indossato il ricorrente per apparire un medico). Per la donna il ricorrente aveva indossato una divisa di colore verde (con una scritta "Servizio lavanderia"), per farsi scambiare per un medico. Il ricorrente invece esercitava nell'ospedale la professione di infermiere. In querela la donna non aveva riferito del particolare della divisa verde, solo in dibattimento, all'udienza dell'8 ottobre 2019 (dopo circa otto anni dai fatti) riferiva del camice verde. Il contrasto tra quanto dichiarato in querela e quanto riferito in dibattimento è rilevante in termini di valutazione della credibilità delle dichiarazioni della parte offesa. La Corte di appello non motiva sulla concreta possibilità per il ricorrente di procurarsi un camice verde; solo il personale medico ha accesso alle divise di colore verde. Il ricorrente è conosciuto nel reparto di urologia quale infermiere (lavorando ivi dal 2009) e con una divisa verde sarebbe stato notato e sottoposto a sanzioni disciplinari. Il Tribunale aveva indicato le dichiarazioni di Be.Ni. (caposala) e di Ci.Fr. (impiegato) per individuare il tipo di divisa indossato dagli operatori sanitari. Comunque, nessuno dei due testi aveva riferito della possibilità di accedere alle divise verdi da parte dell'imputato. Inoltre, la stessa parte offesa ha indicato sempre il ricorrente quale infermiere e non lo ha mai confuso con il personale medico. 2. 2. Difetto di motivazione sulla ritenuta attendibilità della parte offesa. Per le due sentenze la parte offesa avrebbe sempre raccontato i fatti in maniera dettagliata e costante. Per la sentenza di appello la donna sarebbe credibile anche per il comportamento tenuto immediatamente dopo i fatti di cui all'imputazione (sarebbe andata da una paziente in un'altra camera a piangere per l'accaduto e poi nell'aver riferito tutto alla caposala). Tutti i testi di riferimento, comunque, non sono stati mai escussi nel dibattimento. La sentenza, poi, non affronta nella motivazione le dichiarazioni rese dall'imputato alla caposala sullo svolgimento dei fatti, secondo la sua versione, nonostante la difesa dell'imputato avesse specificamente fatto riferimento alle dichiarazioni rese dall'imputato alla caposala. Inoltre, il ricorrente ha sempre svolto il suo lavoro con estrema professionalità come dichiarato da Be.Ni., caposala. La parte offesa in contraddizione con quanto denunciato con la querela in dibattimento negava l'effettuazione di paleggiamenti in due momenti distinti, come pure l'abbassamento dei pantaloni per toccamenti alle parti intime. Il racconto della donna risulta, quindi, estremamente incerto e contraddittorio tale da inficiare la sua attendibilità. Anche sulla reazione alle invasioni alla sua sfera sessuale la donna si contraddiceva tra quanto dichiarato in querela (non diceva nulla per paura) e quanto riferito, poi, in dibattimento (pensava di potersi fidare del ricorrente). Sulle origini etniche del ricorrente la donna si contraddiceva in quanto indicava il ricorrente come un filippino (le avevano riferito fosse filippino), mentre l'imputato è originario del Guatemala come tutti sapevano nel reparto. Conseguentemente, nessuno avrebbe potuto indicare alla donna l'imputato come un filippino. 2. 2. La parte offesa richiedeva un danno di euro 200.000,00 e il giudice di primo grado le riconosceva solo euro 2.000,00 di danni morali. La donna affermava di aver subito danni rilevanti in quanto dai fatti non avrebbe avuto più rapporti con il suo fidanzato; invece, emergeva dai social che la donna aveva avuto altre relazioni ed anche una gravidanza. Inoltre, aveva anche conseguito un diploma presso l'Istituto d'arte. 2. 3. Difetto di motivazione sulla valenza negativa attribuita dal Tribunale al mancato esame dell'imputato. Il Tribunale valorizzava negativamente l'omesso esame dell'imputato, che rendeva solo spontanee dichiarazioni. Il silenzio è un diritto dell'imputato e non può essere considerato negativamente per l'affermazione della sua responsabilità. Sul punto la decisione impugnata non motiva. 2. 4. Difetto di motivazione sulla valenza probatoria reciproca, ritenuta dal giudice di primo grado, in relazione al racconto delle due parti offese (capo 1 e capo 2 dell'imputazione). La sentenza di primo grado conferiva valore di conferma alle dichiarazioni delle parti offese la loro valutazione reciproca. Anche quest'aspetto era motivo di appello, ma la Corte di appello non motiva. Ha chiesto pertanto l'annullamento della sentenza impugnata. 2. 5. La Procura generale ha depositato richiesta scritta di inammissibilità del ricorso. 2. 6. L'imputato ha depositato memoria nella quale riprende i motivi del ricorso e ne chiede l'accoglimento. CONSIDERATO IN DIRITTO 3. Il ricorso è manifestamente infondato, in quanto i motivi sono generici e ripetitivi dell'appello, senza critiche specifiche di legittimità alle motivazioni della sentenza impugnata. Inoltre, il ricorso, articolato in fatto, valutato nel suo complesso, richiede alla Corte di Cassazione una rivalutazione, non consentita in sede di legittimità. La decisione della Corte di appello (e la sentenza dì primo grado, in doppia conforme) contiene ampia e adeguata motivazione, senza contraddizioni e senza manifeste illogicità, sulla responsabilità del ricorrente, e sulla piena attendibilità della donna, parte offesa. In tema di giudizio di Cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 - dep. 27/11/2015, Musso, Rv. 265482). In tema di motivi di ricorso per Cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento. (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 - dep. 31/03/2015, O., Rv. 262965). In tema di impugnazioni, il vizio di motivazione non può essere utilmente dedotto in Cassazione solo perché il giudice abbia trascurato o disatteso degli elementi di valutazione che, ad avviso della parte, avrebbero dovuto o potuto dar luogo ad una diversa decisione, poiché ciò si tradurrebbe in una rivalutazione del fatto preclusa in sede di legittimità. (Sez. 1, n. 3385 del 09/03/1995 - dep. 28/03/1995, Pischedda ed altri, Rv. 200705). 4. La Corte di appello (e il Giudice di primo grado), come visto, ha con esauriente motivazione, immune da vizi di manifesta illogicità o contraddizioni, dato conto del suo ragionamento che ha portato alla valutazione di attendibilità della parte offesa. Infatti, in tema di reati sessuali, poiché la testimonianza della persona offesa è spesso unica fonte del convincimento del giudice, è essenziale la valutazione circa l'attendibilità del teste; tale giudizio, essendo di tipo fattuale, ossia di merito, in quanto attiene il modo di essere della persona escussa, può essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità, specialmente quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria. (Sez. 3, n. 41282 del 05/10/2006 - dep. 18/12/2006, Agnelli e altro, Rv. 235578). Le dichiarazioni della persona offesa possono da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell'affermazione di responsabilità penale dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. A tal fine è necessario che il giudice indichi le emergenze processuali determinanti per la formazione del suo convincimento, consentendo così l'individuazione dell'iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata; mentre non ha rilievo, al riguardo, il silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame qualora si tratti di deduzione disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, non essendo necessaria l'esplicita confutazione delle specifiche tesi difensive disattese ed essendo, invece, sufficiente una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale deduzione senza lasciare spazio ad una valida alternativa. (Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014 - dep. 14/01/2015, Pirajno e altro, Rv. 261730); le regole dettate dall'art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012 - dep. 24/10/2012, Bell'Arte ed altri, Rv. 253214). 4. 1. Nel caso in giudizio le analisi delle due decisioni (conformi) sono precise, puntuali e rigorose nell'affrontare l'attendibilità della donna, rilevando come i fatti sono emersi dalle sue dichiarazioni lineari e dal suo comportamento immediatamente successivo ai fatti, ovvero era "andata in un'altra camera da una ragazza che ho conosciuto lì e sono scoppiata a piangere con la mamma, le ho raccontato più o meno i fatti e poi, niente, è venuto mio padre, ho spiegato un po' la situazione, ho spiegato la situazione alla capo reparto, nessuno mi voleva credere e alla fine ho fatto denuncia". Su questi aspetti il ricorso, articolato in fatto e in maniera del tutto generica, reitera le motivazioni dell'atto di appello senza confrontarsi con la sentenza impugnata. Sostanzialmente non contiene motivi di legittimità nei confronti delle motivazioni della sentenza impugnata. Ripropone acriticamente dubbi soggettivi, adeguatamente risolti dalle decisioni di merito. 4. 2. Dalla querela (nel ricorso si insiste sulla valutazione del contenuto della querela per l'inattendibilità della donna), del resto, non possono trarsi elementi per la valutazione di attendibilità della querelante e, al contrario, nemmeno elementi di inattendibilità, in mancanza di acquisizione al fascicolo per il dibattimento e di lettura ("In tema di letture consentite, ex artt. 431 e 511 cod. proc. pen., la querela può essere inserita nel fascicolo per il dibattimento ed è utilizzabile ai soli fini della procedibilità dell'azione penale, con la conseguenza che da essa il giudice non può trarre elementi di convincimento circa la valutazione di attendibilità della persona offesa, tranne che per circostanze o fatti imprevedibili, risulti impossibile la testimonianza dell'autore della denuncia-querela, perchè in tal caso la lettura è consentita ai sensi dell'art. 512 cod. proc. pen., anche per utilizzarne il contenuto ai fini della prova. (Nella specie, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza che aveva tratto dalla querela valutazioni inerenti alla attendibilità e credibilità della persona offesa, confrontandone il contenuto con le dichiarazioni rese dallo stesso querelante in udienza)" Sez. 5, Sentenza n. 21665 del 16/02/2018 Ud. (dep. 16/05/2018) Rv. 273167 - 01). Comunque, la questione della divisa verde (in uso ai medici e indossata dal ricorrente), che non sarebbe stata indicata dalla donna nella querela, è un'argomentazione in fatto; inoltre, non sono stati indicati elementi certi che possano dimostrare l'impossibilità per l'imputato di procurarsi una divisa verde, momentaneamente. 4. 3. Anche sulle dichiarazioni relative al danno patito (che per il ricorrente sarebbero contraddittorie e non provate) non può ritenersi una complessiva inattendibilità delle dichiarazioni della donna sul contenuto essenziale delle stesse, riferibili alla violenza sessuale. Si tratta di elementi diversi: uno riferito al danno, l'altro alla commissione del reato. 5. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità ", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al gratuito patrocinio a spese dello Stato nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Perugia con separato decreto di pagamento ai sensi degli art. 82 e 83 d.P.R. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati significativi, a norma dell'art. 52 del D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge. Così deciso il 13 dicembre 2023. Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: ERNESTINO LUIGI BRUSCHETTA Presidente ENRICO MANZON Consigliere GIOVANNI LA ROCCA Consigliere-Rel. LUNELLA CARADONNA Consigliere MARIA GIULIA PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Consigliere Oggetto: TRIBUTI ACCERTAMENTO Ud.06/12/2023 PU ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 19424/2015 R.G. proposto da: FORNO ETTORE, domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati TAMBASCO FRANCESCA (TMBFNC84C41C351V), DI PAOLA NUNZIO SANTI GIUSEPPE (DPLNZS67B25C351B); -ricorrente- contro AGENZIA DELLE ENTRATE, domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (ADS80224030587) che la rappresenta e difende; -controricorrente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. CALTANISSETTA n. 350/2015 depositata il 29/01/2015. Udita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni La Rocca nella pubblica udienza del 6 dicembre 2023; Sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Alberto Cardino, che ha concluso per l’accoglimento del quinto e del settimo motivo, non essendo comparso nessuno per le altre parti. FATTI DI CAUSA 1. A seguito di PVC di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza di Enna, l’Agenzia delle Entrate notificava al sig. Ettore Forno, in qualità di titolare dell’omonima ditta individuale, in data 01.08.2012, l’avviso di accertamento n.TYU01T200460/2012, con il quale veniva recuperato imponibile per l’anno d’imposta 2010, con conseguenti maggiori imposte IRPEF, IRAP e IVA, oltre interessi e sanzioni correlate. 2. L’Ufficio accertava l’omessa contabilizzazione di incassi, una plusvalenza derivante da cessione d’azienda e ricavi non dichiarati desunti da accertamenti bancari. 3. Il contribuente impugnava, quindi, l’avviso di accertamento e la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Enna emetteva la sentenza n. 432/01/13, depositata il 20.12.2013, con la quale rigettava il ricorso e condannava il ricorrente alle spese di giudizio. 4. Il contribuente proponeva appello e la Commissione Tributaria Regionale (CTR) della Sicilia, con la sentenza in epigrafe, rigettava il gravame, confermando la decisione di primo grado. 5. La CTR osservava che con l’atto impugnato, correttamente motivato per relationem con riferimento al PVC, regolarmente notificato al Forno, l’Ufficio aveva «adeguatamente motivato, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche poste a base dell’accertamento»; nel merito confermava tutti i rilievi, osservando, in particolare, quanto agli accertamenti bancari che questi pongono una presunzione legale in base alla quale sia i versamenti sia i prelevamenti costituiscono ricavi, mentre è onere del contribuente fornire la prova contraria e, in questo caso, «i prelevamenti contestati dall’Ufficio sono quelli per i quali non è stata fornita alcuna giustificazione e quelli per i quali il contribuente, pur fornendo qualche forma di giustificazione non è stato in grado di produrre idonea documentazione probatoria a supporto, così come precisato a pag. 104 del processo verbale di giustificazione». 6. Il contribuente ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza fondato su quindici motivi. 7. Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo il ricorrente deducel’«inesistenza giuridica dell’avviso impugnato per carenza del potere dirigenziale del Direttore firmatario» alla luce della sentenza n. 37/2015 della Corte costituzionale, in quanto «pare» che la nomina del Direttore provinciale che aveva sottoscritto l’atto impugnato «rientrerebbe» tra quelle interessate dalla predetta dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 8 comma 24 del d.l. n. 16/2012. 1.1. L'eccezione di inammissibilità sollevata dall’Agenzia, la quale rileva che la questione non era stata proposta con il ricorso iniziale in primo grado, può essere superata trattandosi di ius superveniens per effetto della pronuncia della Corte costituzionale invocata. Il motivo è inammissibile, piuttosto, perché si esprime in maniera ipotetica e dubitativa sul fatto che la nomina del sottoscrittore rientrasse tra quelle interessate dalla pronunzia di incostituzionalità. 1.2. Il motivo, in ogni caso, è infondato alla luce dell’orientamento di questa Corte secondo cui «In tema di accertamento tributario, ai sensi dell'art. 42, commi 1 e 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, gli avvisi di accertamento in rettifica e gli accertamenti d'ufficio devono essere sottoscritti a pena di nullità dal capo dell'ufficio o da altro funzionario delegato di carriera direttiva e, cioè, da un funzionario di area terza di cui al contratto del comparto agenzie fiscali per il quadriennio 2002-2005, di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale, con la conseguenza che nessun effetto sulla validità di tali atti può conseguire dalla declaratoria d'incostituzionalità dell'art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, convertito nella l. n. 44 del 2012» (Cass. n. 22810 del 2015; conf. Cass. n. 5177 del 2020). 2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art.7 dello Statuto del contribuente e dell’art.42 d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c., nella parte in cui non è stato annullato l’avviso per mancata indicazione della metodologia di accertamento, essendo insufficiente il riferimento all’art. 39 comma 1 d.P.R. n. 600/1973 che contempla diverse metodologie – l’accertamento analitico e l’accertamento analitico – induttivo - , con conseguente violazione del diritto di difesa del contribuente. 2.1. La censura è infondata, posto che è irrilevante la formale qualificazione della metodologia a fondamento dell’atto da parte dell’Amministrazione finanziaria, essendo essenziale invece che siano chiari i suoi presupposti di fatto e di diritto. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, non è necessaria l'indicazione delle «norme di riferimento», bastando che l'avviso indichi i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che permettano al contribuente di esercitare il proprio diritto difensivo (Cass. n. 9499 del 2017; Cass. n. 28968 del 2008; Cass. n. 3257 del 2002); d’altro canto, all’Amministrazione finanziaria è consentito impiegare sia il metodo di accertamento induttivo che quello analitico- induttivo contemporaneamente, ove consti una complessiva inattendibilità delle scritture contabili la quale, peraltro, non esclude che l’accertamento possa essere fondato anche su elementi contabili (Cass. n.7626 del 2008; Cass. n. 27068 del 2006). 3. Con il terzo motivo il contribuente deduce violazione e falsa applicazione dell’art.7 Statuto del contribuente e dell’art.42 d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c., nella parte in cui la CTR non ha annullato, per omessa motivazione, l’avviso impugnato che aveva malamente sintetizzato il PVC che non conteneva specifici accertamenti di irregolarità contabili. 3.1. Il motivo è, per un verso, inammissibile e, per altro verso, infondato. 3.2. Il motivo è inammissibile per difetto di specificità e autosufficienza, denunciando genericamente carenze del PVC e acritico recepimento di questo da parte dell’Agenzia ma senza riportare puntualmente il contenuto dell’atto né offrire comunque elementi specifici in grado di circostanziare queste doglianze. 3.4. In ogni caso il motivo è infondato. Come osservato dalla stessa CTR, la motivazione per relationem con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell'esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell'Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l'Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio (Cass. n. 32957 del 2018; Cass. n. 30560 del 2017; Cass. n. 21119 del 2011; Cass. n. 8183 del 2011); inoltre, non sussisteva alcun obbligo di allegazione del processo verbale di constatazione all’avviso di accertamento, trattandosi di atto già a conoscenza del contribuente (tra le tante, Cass. n. 28060 del 2017; Cass. n. 16976 del 2012). 4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art.2697 c.c. sul mancato assolvimento dell’onere della prova da parte dell’Agenzia dalle entrate, laddove la CTR ha ritenuto provata l’omessa contabilizzazione di incassi «atteso che il contribuente non è riuscito a provare l’omesso pagamento della somma in questione», invertendo di fatto l’onere della prova e addossando sul contribuente un fatto negativo, quando deve essere l’Amministrazione a dimostrare che il pagamento vi era stato. 4.1. Il motivo è inammissibile, perché non coglie la ratio decidendi, ed è comunque infondato. 4.2. La decisione non si fonda sulla mancata prova di un fatto negativo ma poggia sull’assenza degli adempimenti che fiscalmente fanno ritenere che non vi è materiale imponibile tassabile. Infatti, l’emissione di fattura per operazioni imponibili fa sorgere l’obbligazione tributaria di versamento della relativa IVA, ex art. 6, comma 5, d.P.R. 26.10.1972, n. 633 e l’eventuale mancato pagamento della fattura emessa, per portare all’annullamento dell’obbligazione tributaria di versamento dell’IVA, deve essere contabilizzato mediante nota di credito, ex art. 26, d.P.R. n. 633/1972, la cui emissione non è stata dedotta né tantomeno provata. Ai fini delle imposte dirette, invece, il venir meno dell’imponibile fatturato deve essere registrato come sopravvenienza passiva, ex art. 101 (ex art. 66), d.P.R. 22.12.1986, n. 917 (Cass. n. 7313 del 2003) ma non è stato indicato neppure questo adempimento. 5. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art.86 comma 2 TUIR e dell’art.2 d.P.R. n.460/1996 nella parte in cui non si è annullato il rilievo sulla plusvalenza da cessione di azienda nonché deduce, in relazione all’art.360 comma 1 n. 5 c.p.c., omesso esame circa un fatto decisivo con riferimento alla plusvalenza per cessione di azienda, erroneamente calcolata sulla base di quanto definitivamente accertato ai fini dell’imposta di registro, anziché sulla base del corrispettivo conseguito. 5.1. Il motivo è fondato con riguardo alla violazione di legge, mentre è inammissibile la censura sotto il paradigma del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. non trattandosi di un fatto storico e ricorrendo una c.d. “doppia conforme” (v. § 9.2. e § 9.3.). 5.2. Va rammentato che la norma di interpretazione autentica di cui all'art. 5, comma 3, d.lgs. 14.9.2015, n. 147, avente efficacia retroattiva, esclude che l'Amministrazione finanziaria possa determinare, in via induttiva, la plusvalenza realizzata dalla cessione di immobili e di aziende solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell'imposta di registro, ipotecaria o catastale, dovendo l'Ufficio individuare ulteriori indizi, gravi, precisi e concordanti, che supportino l'accertamento del maggior corrispettivo rispetto a quanto dichiarato dal contribuente, su cui grava la prova contraria (Cass. n. 12131 del 2019; Cass. n. 9513 del 2018; Cass. n. 19227 del 2017); in questo caso, invece, come riportato in sentenza, la plusvalenza accertata deriva dalla rettifica dall’atto ai fini dell’imposta di registro. 6. Con il sesto motivo il ricorrente denunzia, in relazione all’art.360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art.32 d.P.R. n. 600/73 e dell’art.2967 c.c., perché la CTR non ha annullato la ripresa a tassazione dei prelevamenti di cui è stato indicato il beneficiario. 6.1. Il motivo è inammissibile, perché in realtà tenta di rimettere in discussione l’accertamento in fatto svolto dal giudice di merito che è incensurabile come tale nel giudizio di legittimità, ed è comunque infondato. 6.2. Il citato art. 32, n. 2), d.P.R. n. 600/1973, prevede che vengano posti come ricavi o compensi a base delle rettifiche ed accertamenti i prelevamenti o gli importi riscossi nell'ambito dei rapporti bancari, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili. Si pone così una presunzione relativa, di fonte legale, circa la corrispondenza fra versamenti e prelevamenti bancari, non risultanti dalle scritture contabili, e ricavi occultati, che determina in capo al contribuente un preciso ed analitico onere di prova contraria; quest’onere non può essere assolto solo attraverso il ricorso a dichiarazioni di terzi, non potendo queste ultime assurgere né a rango di prove esclusive della provenienza del reddito accertato, né essere idonee, di per sé, a fondare il convincimento del Giudice (Cass. n. 6405 del 2021; Cass. n. 22302 del 2022). Va altresì osservato che l’indicazione del beneficiario non può risolversi nella mera menzione di un nominativo, in quanto ciò permetterebbe facili elusioni della presunzione, ma deve essere accompagnata da una qualche documentazione che giustifichi la causa del prelevamento a favore del terzo o, comunque, da elementi che rendano credibili che tale prelevamento sia stato effettuato al di fuori dell’attività di impresa, in modo che sia fornita prova che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili (tra le altre, v. Cass. n. 15161 del 2020; n. 16896 del 2014). 6.3. Incombeva, quindi, sul ricorrente allegare di aver superato la presunzione attraverso la dimostrazione in modo analitico dell'estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili (Cass. n. 35258 del 2021); solo in questa evenienza il giudice di merito è tenuto ad effettuare una verifica rigorosa in ordine all'efficacia dimostrativa delle prove fornite dallo stesso contribuente, avuto riguardo ad ogni singola movimentazione e dandone conto in motivazione. Nel caso in esame, però, il motivo si sostanzia nella elencazione dei prelevamenti recuperati con indicazione di causali in gran parte generiche, mentre, come riferito in sentenza, il recupero ha riguardato solo i prelevamenti per i quali il ricorrente non è stato in grado di produrre idonea documentazione probatoria a supporto. 7. Con il settimo motivo il ricorrente deducenullità della sentenza per violazione dell’art.32 D.P.R. 600/1973 e art. 53 Cost. nella parte in cui non tiene conto degli eventuali costi per produrre il reddito. 7.1. Il motivo è fondato. 7.2. A seguito della sentenza della Corte cost. n. 10/2023, che ha operato un'interpretazione adeguatrice dell'art. 32, comma 1, n. 2), d.P.R. n. 600/1973, a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati, e quindi occulti, scaturente da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore può sempre opporre la prova presuntiva contraria, eccependo una incidenza percentuale forfettaria di costi di produzione, che vanno quindi detratti dall'ammontare dei maggiori ricavi presunti (Cass. n. 18653 del 2023; n. 6874 del 2023; v. anche n. 7122 del 2022). 8. Con l’ottavo motivo rileva nullità della sentenza, in relazione all’art.360 comma 1 n. 3 c.p.c., per violazione dell’art.36 d.lgs. n. 546/1992 e 115 c.p.c. avendo la CTR erroneamente ritenuti assorbiti una serie di motivi d’appello, riguardanti singole riprese. e mancato di esaminare i documenti prodotti e mai contestati dall’Ufficio, cosicché risulta un vizio di omessa motivazione che rende nulla la sentenza. 8.1. Il motivo è inammissibile in quanto l'assorbimento erroneamente dichiarato si traduce in una omessa pronunzia (Cass. n. 26520 del 2023; Cass n. 12193 del 2020), che deve essere censurata in sede di legittimità ai sensi dell’art. 112 c.p.c. (Cass. n. 11459 del 2019). In questo caso il motivo si discosta dalle regole in materia secondo cui, la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell'art.112 c.p.c., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l'indicazione specifica, altresì, dell'atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l'una o l'altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d'ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del "fatto processuale", intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all'onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un'autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi (Cass. n. 28072 del 2021). 9. Con i motivi dal nono al quindicesimo il ricorrente denunzia la sentenza impugnata, in relazione all’art.360 comma 1 n.5 c.p.c., per l’omesso esame circa un fatto decisivo della controversia e segnatamente: «non avere annullato la ripresa a tassazione dei versamenti relativi all’acquisto di vendita e di carburante Eni» (motivo 9); «non avere annullato la ripresa a tassazione dei versamenti relativi agli incassi del negozio di telefonia Tim» (motivo 10); «non avere annullato la ripresa a tassazione delle operazioni effettuate quale “anticipo socio”, “finanziamento a favore di Ipsale” (Rosa, Salvatore, Luca, Fortunato), “restituzione finanziamento Ipsale”» (motivo 11); «non avere annullato la ripresa a tassazione delle operazioni neutre» (motivo 12); «non avere annullato la ripresa a tassazione dell’importo di € 90.000,00 relativo all’acquisto dell’appartamento in via Canfora 55 Catania» (motivo 13); «non avere annullato la ripresa a tassazione dell’importo di € 515.000,00 relativo all’acquisto delle quote di Villa Parlapiano» (motivo 14); «non avere annullato la ripresa a tassazione dell’importo di € 300,000,00 relativo all’acquisto di un immobile a Milano alla via Teuliè n.13» (motivo 15). 9.1. Questi motivi sono inammissibili. 9.2. La censura prevista dal novellato art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. introduce nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, ossia di un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico- naturalistico, la cui esistenza risulti dalla sentenza o dagli atti processuali, che ha costituito oggetto di discussione tra le parti e che abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) (Cass. n. 13024 del 2022; Cass. n. 14802 del 2017); non possono considerarsi tali né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, né le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio (Cass. n. 10525 del 2022). 9.3. Va considerato, inoltre, che, secondo quanto previsto dall’art. 348 ter, comma 5, c.p.c. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), è escluso che possa essere impugnata ex art. 360, n. 5, c.p.c. la sentenza di appello che conferma la decisione di primo grado (c.d. “doppia conforme”), salvo che il ricorrente non dimostri che le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell'appello sono tra loro diverse (Cass. n.5947 del 2023); la “doppia conforme”, peraltro, ricorre non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni sono fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo Giudice (Cass. n. 7724 del 2022). 9.4. In questo caso, da un lato, manca la precisa indicazione dei fatti storici decisivi che la CTR avrebbe omesso di esaminare, poiché le doglianze riguardano la valutazione di mezzi istruttori ovvero istanze difensive, e, dall’altro, il ricorrente non si è fatto carico di superare la preclusione derivante dalla c.d. “doppia conforme”. 10. Conclusivamente, accolti il quinto motivo nei limiti in motivazione e il settimo motivo, rigettati gli altri, la causa deve essere cassata di conseguenza con rinvio alla Corte di merito in diversa composizione che deciderà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. accoglie il quinto motivo nei limiti in motivazione e il settimo motivo, rigettati gli altri, cassa di conseguenza la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 06/12/2023. Il Consigliere estensore Il Presidente GIOVANNI LA ROCCA ERNESTINO LUIGI BRUSCHETTA

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati Dott. FIDELBO Giorgio - Presidente Dott. GIORDANO Emilia Anna - Consigliere Dott. ROSATI Martino - Consigliere Dott. SILVESTRI Pietro - Consigliere Dott. D'ARCANGELO Fabrizio - Consigliere - Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da Ig.Gi. , nato a R il (Omissis); avverso l'ordinanza del 13/09/2023 emessa dal Tribunale di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Fabrizio D'Arcangelo; udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Silvia Salvadori, che ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso; udito il difensore, avvocato Vi.Ca., che ha insistito per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza impugnata, il Tribunale di Roma ha rigettato l'appello cautelare proposto avverso il provvedimento del 19 gennaio 2023 con il quale la Corte di Appello di Roma ha rigettato la richiesta di revoca dell'ordinanza di ripristino della misura cautelare della custodia in carcere disposta nei confronti di Ig.Gi. Il ricorrente è stato condannato, all'esito del giudizio di primo grado, alla pena di due anni e sei mesi di reclusione per il delitto di maltrattamenti in famiglia ai danni di Ki.He. , di lesioni personali ai danni della stessa e di resistenza a pubblico ufficiale. 2. L'avvocato Vi.Ca., nell'interesse dell'Ig.Gi. , ricorre avverso tale ordinanza e ne chiede l'annullamento. Con un unico motivo, il difensore censura la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari e all'adeguatezza della misura cautelare della custodia in carcere. Rileva il difensore che il Tribunale di Roma non avrebbe considerato che l'imputato, dopo la sentenza di condanna di primo grado, non ha tenuto condotte violente ai danni delle persone offese. Precisa, inoltre, il difensore che la persona offesa, nelle sommarie informazioni rese in data 26 novembre 2022, ha escluso che, in occasione dell'ultima violazione contestata del divieto di avvicinamento, l'imputato avesse usato violenza nei suoi confronti e ha precisato che era stata lei stessa a chiedergli di incontrarsi, per trascorre del tempo insieme e fargli conoscere il loro figlio, nato pochi mesi prima; la persona offesa, peraltro, avrebbe espresso "parere favorevole alla scarcerazione" del ricorrente, depositato personalmente in data 16 gennaio 2023 presso la cancelleria della Corte di appello di Roma. Ad avviso del difensore, dunque, anche in ragione dei sette mesi già trascorsi dall'imputato in carcere, non sussisterebbe più alcuna esigenza cautelare e, comunque, la misura della custodia cautelare in carcere si rivelerebbe, ormai, sproporzionata. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in quanto in quanto i motivi proposti sono manifestamente infondati e, comunque, diversi da quelli consentiti dalla legge. 2. Con un unico motivo, il difensore censura congiuntamente la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari e all'adeguatezza della misura cautelare della custodia in carcere. 3. Il motivo è, tuttavia, inammissibile, in quanto si risolve nella confutazione in fatto delle argomentazioni espresse dal Tribunale di Roma, senza dimostrarne la manifesta illogicità, e, dunque, in una sollecitazione a pervenire a nuovo esame in ordine alle esigenze cautelari ravvisabile nel caso di specie. Occorre, tuttavia, rilevare che esula dalle funzioni della Corte di cassazione la valutazione della sussistenza o meno dei gravi indizi e delle esigenze cautelari, essendo questo compito primario ed esclusivo dei giudici di merito. Il ricorso per cassazione che deduca l'assenza esigenze cautelari è, dunque, ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito (ex plurimis: Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, Di Iasi, Rv. 269884 - 01). Muovendo da tali premesse, deve rilevarsi che il Tribunale di Roma ha argomentato congruamente la permanente attualità delle esigenze cautelari in ragione della propensione a delinquere del ricorrente e della sua acclarata e costante inaffidabilità, in ragione delle plurime violazioni accertate alla misura coercitiva del divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa. Il Tribunale ha rilevato, infatti, che l'imputato ha maltrattato la persona offesa e cagionato lesioni alla stessa nelle date del 15 settembre 2021, del 27 ottobre 2021, del 28 novembre 2021, del 15 dicembre 2021 e del 10 marzo 2022, quando, in occasione dell'arresto, ha commesso anche il reato di resistenza a pubblico ufficiale; ulteriori episodi di aggressività e di violenza nei confronti anche dei familiari della persona offesa erano stati denunciati dalla stessa in data 27 dicembre 2021 e in data 8 gennaio 2022. In data 24 novembre 2022, inoltre, l'imputato ha violato il divieto di avvicinamento impostogli dall'autorità giudiziaria, accettando di incontrare la persona offesa e trascorrendo con lei un giorno e una notte. Il Tribunale ha, inoltre, congruamente ritenuto che tali elementi siano così significativi da rendere subvalente il consenso della persona offesa all'ultimo incontro e l'assenza di violenza e di maltrattamenti da parte dell'imputato nel corso dello stesso. D'altra parte, il consenso della persona offesa all'incontro con l'imputato, sottoposto al divieto di avvicinamento di cui all'art. 282 - ter cod. proc. pen. , non elide la volontarietà della violazione accertata, né la giustifica, in quanto non può derogare alla misura coercitiva imposta dall'autorità giudiziaria. Nella valutazione, non certo illogica, del Tribunale, dunque, le reiterate condotte violente poste in essere dall'imputato, anche quando la persona offesa era in stato di gravidanza e nei confronti dei suoi famigliari, rendono necessario il ricorso ad un presidio cautelare non rimesso all'autodisciplina dell'imputato e l'unica misura coercitiva adeguata e proporzionata all'intensità delle esigenze cautelari ravvisate nel caso di specie è la custodia cautelare in carcere. 4. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen. , al pagamento delle spese del procedimento. In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso siano stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata invia equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1 - ter, disp. att. cod. proc. pen. Così deciso il 7 febbraio 2024. Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. COSTANZO Angelo - Presidente Dott. RICCIARDELLI Massimo - Consigliere Dott. SILVESTRI Pietro - Consigliere Dott. D'ARCANGELO Fabrizio - Consigliere-Rel. Dott. DI GIOVINE Ombretta - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso presentato da Pubblico Ministero presso il Tribunale di Bari nel procedimento a carico di Sc.Ge., nato a B il (Omissis); avverso l'ordinanza del 14 dicembre 2023 emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione del consigliere D'Arcangelo Fabrizio; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Piccirillo Raffaele, che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza impugnata il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, nel procedimento penale pendente nei confronti di Sc.Ge. per il delitto di maltrattamenti in famiglia, ha rigettato la richiesta di incidente probatorio presentata dal Pubblico Ministero, ai sensi dell'art. 392, comma 1 -bis, cod. proc. pen., per l'assunzione della testimonianza delle persone offese e, in particolare, della moglie della persona sottoposta ad indagine (La.Ma.) e delle due figlie minorenni (Sc.Vi. e Sc.Ca.). Il Giudice per le indagini preliminari nel provvedimento impugnato, citando i principi affermati da Sez. 1, n. 46821 del 08/06/2023, Favia, Rv. 285455 - 01, ha rilevato che la moglie e le figlie dell'indagato sono state già sentite nel corso delle indagini e non versano in condizioni di particolare vulnerabilità (in ragione dell'età prossima alla maggiore età delle figlie, dell'inserimento sociale e della reazione opposta all'aggressore); nel caso di specie, peraltro, la persona offesa sarebbe solo la moglie dell'indagato, in quanto il delitto di maltrattamenti in famiglia sarebbe aggravato solo dalla c.d. violenza assistita e non commessa ai danni delle figlie. L'art. 392, comma 1 -bis, cod. proc. pen., inoltre, non sancisce un obbligo per il giudice di accogliere la richiesta di prova anticipata in ragione dei reati per i quali si procede e/o delle condizioni di vulnerabilità della vittima e, comunque, il rigetto di tale richiesta, secondo l'ordinamento prevalente della giurisprudenza di legittimità, non determina l'abnormità dell'atto. 2. Il Pubblico Ministero ricorre avverso tale ordinanza e ne chiede l'annullamento, deducendone l'abnormità. Il Pubblico Ministero ricorrente, citando i principi affermati dalle sentenze Sez. 3, n. 34091 del 16/05/2019, P., Rv. 277686 - 01, e Sez. 3, n. 47572 del 10/10/2019, P., Rv. 277756 - 01, deduce l'abnormità dell'ordinanza del giudice per le indagini preliminari che respinga la richiesta di incidente probatorio formulata del pubblico ministero ai sensi dell'art. 392, comma 1 -bis, cod. proc. pen. Il provvedimento impugnato, infatti, disapplicherebbe una regola generale di assunzione anticipata della prova, introdotta in ottemperanza agli obblighi assunti dallo Stato e derivanti dalle convenzioni internazionali, per evitare la vittimizzazione secondaria delle persone offese di reati sessuali e di maltrattamenti; il giudice per le indagini preliminari sarebbe, dunque, obbligato a disporre l'incidente probatorio sulla base del mero titolo di reato iscritto. Il Giudice per le indagini preliminari, peraltro, avrebbe errato nell'escludere che le vittime fossero in condizione di particolare vulnerabilità, in quanto le figlie hanno una dipendenza affettiva dall'autore del reato e tutte le persone offese dal reato per cui si procede subirebbero una dipendenza economica dall'indagato, che le costringerebbe a vivere in condizioni di estrema difficoltà. Errata sarebbe, inoltre, l'esclusione della qualità di persone offese delle figlie minori, in quanto l'art. 572, quarto comma, cod. pen., sancisce che "Il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa dal reato". 3. Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 23 aprile 2024, il Procuratore generale, Piccirillo Raffaele, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso. Con memoria depositata in data 29 marzo 2023, l'avvocato Di.Sa., difensore della persona sottoposta ad indagine, ha chiesto di rigettare il ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Ritiene la Corte che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, in quanto il motivo proposto è manifestamente infondato. 2. L'art. 392, comma 1 -bis cod. proc. pen., contempla un'ipotesi di incidente probatorio ritenuto "speciale o atipico" (come rilevato anche da Corte Cost., sentenza n. 92 del 2018), in quanto, essendo svincolato dall'ordinario presupposto della non rinviabilità della prova al dibattimento, deroga rispetto agli ordinari presupposti che governano la formazione anticipata della prova rispetto a tale fase. Tale disposizione, introdotta con la L. 15 febbraio 1996 n. 66, di contrasto alla violenza sessuale, e sostituita dalla L. 1 ottobre 2012 n. 172, di ratifica ed esecuzione della Convenzione firmata a Lanzarote nel 2007, per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, offre la possibilità alla persona sottoposta alle indagini e al pubblico ministero, anche su richiesta della persona offesa, di chiedere l'assunzione della testimonianza della persona offesa minorenne, ovvero maggiorenne, che sia stata vittima di gravi reati, tra i quali il delitto di maltrattamenti in famiglia di cui all'art. 572 cod. pen., "anche al di fuori delle ipotesi del comma 1". La disposizione in esame è stata integrata, da ultimo, dal D.Lgs. 15 dicembre 2015, n. 212, che recepisce la direttiva 2012/29/UE, in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, consentendo l'audizione della vittima mediante incidente probatorio, indipendentemente dal reato per cui si procede, qualora essa "versi in condizione di particolare vulnerabilità". Come emerge dai lavori parlamentari, il legislatore, nel conformarsi all'assetto normativo sovranazionale con l'introduzione dell'incidente probatorio speciale, ha inteso perseguire una duplice finalità: anzitutto, evitare la vittimizzazione secondaria, ovvero "quel processo che porta il testimone persona offesa a rivivere i sentimenti di paura, di ansia e di dolore provati al momento della commissione del fatto" (come definito da C. Cost., sentenza n. 92 del 2018); in secondo luogo, salvaguardare, per quanto possibile, la genuinità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, specialmente là dove queste rappresentino la principale prova d'accusa, atteso che l'assunzione delle stesse in un momento quanto più prossimo alla commissione del fatto costituisce anche una garanzia per l'imputato, perché lo tutela dal rischio di deperimento dell'apporto cognitivo che contrassegna, in particolare, il mantenimento del ricordo del minore. 3. Controversa è statatila valutazione della giurisprudenza di legittimità la possibilità di considerare abnorme il provvedimento con cui il giudice delle indagini preliminari rigetti la richiesta di esame in incidente probatorio, ex art. 392, comma 1 - bis, cod. proc. pen., della persona offesa vulnerabile. Una sentenza della Terza Sezione ha ritenuto abnorme l'ordinanza del giudice per le indagini preliminari che, in ragione dell'assenza di motivi di urgenza che non consentano l'espletamento della prova nel dibattimento, respinga l'istanza del pubblico ministero di incidente probatorio presentata ai sensi dell'art. 392, comma 1 -bis, cod. proc. pen. per l'assunzione della testimonianza della vittima di uno dei reati elencati dalla disposizione citata (che nella specie era quello di violenza sessuale), con ciò sostanzialmente disapplicando una regola generale di assunzione della prova, prevista in ottemperanza agli obblighi dello Stato derivanti dalle convenzioni internazionali per evitare la vittimizzazione secondaria delle persone offese di reati sessuali (Sez. 3, n. 34091 del 16/05/2019, P., Rv. 277686). Il principio affermato da questa sentenza è stato ripreso da un'altra pronuncia della stessa Sezione che ha ritenuto parimenti abnorme il provvedimento di rigetto della richiesta di assunzione della testimonianza della persona offesa nelle forme dell'incidente probatorio ai sensi del citato art. 392, comma 1 -bis, cod. proc. pen. perché non preceduta dall'acquisizione di sommarie informazioni testimoniali rese da parte della medesima persona offesa (Sez. 3, n. 47572 del 10/10/2019, P., Rv. 277756). Secondo tali pronunce l'art. 35 della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla protezione dei minori dallo sfruttamento e dagli abusi sessuali, conclusa a L, in data 25 ottobre 2007, e ratificata dall'Italia con la L. 1 ottobre 2012, n. 172, l'art. 18 della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, firmata ad I, in data 11 maggio 2011, ratificata dall'Italia con L. 23 giugno 2013, n. 77, gli artt. 18 e 20 della Direttiva 2012/29/UE del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime del reato e sostituisce la precedente Decisione-quadro 2001/220/GAI, recepita nel nostro ordinamento con il D.Lgs. 15 dicembre 2015, n. 212 imporrebbero l'obbligatoria assunzione dell'incidente probatorio al fine di salvaguardare l'integrità fisica psicologica del soggetto vulnerabile e di contenere il rischio di vittimizzazione secondaria legato alla reiterazione dell'atto istruttorio. Entrambe le pronunce affermano, dunque, un vero e proprio obbligo del giudice di ammettere l'incidente probatorio finalizzato all'assunzione della deposizione di un soggetto vulnerabile richiesto ai sensi dell'art. 392, comma 1-bis, cod. pen. pen., consentendogli di rigettare la relativa richiesta esclusivamente qualora rilevi il difetto dei presupposti normativamente configurati che legittimano l'anticipazione dell'atto istruttorio (e cioè che la richiesta provenga dal pubblico ministero o dall'indagato, venga presentata nel corso delle indagini preliminari per uno dei reati elencati dalla disposizione citata, che abbia ad oggetto la testimonianza di un minore ovvero di un maggiorenne, se si tratta della persona offesa del reato o di soggetto che versa in stato di particolare vulnerabilità) anche in assenza delle condizioni generali stabilite dal comma 1 dello stesso articolo. Il giudice, nella fattispecie prevista dall'art. 392, comma 1 -bis, cod. proc. pen., sarebbe titolare di un mero onere di verifica della legittimità della richiesta e, al contempo, privo di qualsiasi potere discrezionale di valutarne la fondatezza in riferimento agli ordinari indici di ammissione della prova previsti dall'art. 190, comma 1, cod. proc. pen. 4. Secondo l'orientamento prevalente e ormai largamente dominante nella giurisprudenza di legittimità, non è, invece, abnorme il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari rigetta la richiesta, ex art. 392, comma 1 -bis, cod. proc. pen., di esame in incidente probatorio della persona offesa vulnerabile, trattandosi di provvedimento che non si pone al di fuori del sistema processuale, che rimette al potere discrezionale del giudice la decisione sulla fondatezza della istanza, né determina la stasi del procedimento (Sez. 3, n. 29594 del 28/05/2021, P. Rv. 281878; Sez. 3, n. 29594 del 28/05/2021, P., Rv. 281718; Sez. 6, n. 46109 del 28/10/2021, P., Rv. 282354 - 01; Sez. 4, n. 3982 del 21/01/2021, Pmt. contro Orlandini, Rv. 280378; Sez. 5, n. 2554 dell'I 1/12/2020, P., Rv. 280337; Sez. 6, n. 24996 del 15/07/2020, P., Rv. 279604). 5. Ritiene il Collegio di condividere quest'ultimo orientamento. Non ricorrono, infatti, nella specie gli estremi strutturali o funzionali dell'atto abnorme; secondo l'elaborazione delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 7 del 26/04/1989, Goria, Rv. 181303; Sez. U, n. 11 del 09/07/1997, Quarantelli, Rv. 208221; Sez. U, n. 17 del 10/12/1997, dep. 1998, Di Battista, Rv. 209603; Sez. Un., 24/11/1999, dep. 2000, Magnani, Rv 215094; Sez. U, n. 33 del 22/11/2000, Boniotti, Rv. 217244; Sez. U, n. 4 del 31/01/2001, Romano, Rv. 217760; Sez. Un., 31/5/2005 n. 22909, Minervini, Rv. 231163; Sez. U, n. 5307 del 20/12/2007, dep. 2008, P.M. in proc. Battistella, Rv. 238240; Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, P.M. in proc. Toni e altro, Rv. 243590; Sez. U, n. 21243 del 25/03/2010, P.G. in proc. Zedda, Rv. 246910; Sez. U, n. 40984 del 22/03/2018, Gianforte, Rv. 273581) può, infatti, ritenersi abnorme il provvedimento che, per la singolarità e stranezza del suo contenuto, risulti avulso dall'intero ordinamento processuale, ovvero che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste al di là di ogni ragionevole limite; il vizio di abnormità può riguardare sia il profilo strutturale, allorché l'atto si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, sia il profilo funzionale, quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l'impossibilità di proseguirlo. Alla luce di tali consolidate coordinate interpretative il provvedimento di rigetto dell'incidente probatorio richiesto ai sensi dell'art. 392, comma 1 - bis, cod. proc. pen., risulta riconducibile ad uno schema tipico contemplato dalla legge processuale (e, segnatamente, dall'art. 398 cod. proc. pen.) ed il suo contenuto non diverge in maniera irragionevole dai limiti che la stessa pone al giudice; men che meno determina, poi, una stasi del procedimento e, dunque, non può essere considerato abnorme, costituendo l'estrinsecazione di un potere discrezionale del giudice che risulta inidoneo a paralizzare lo sviluppo processuale (ex multis: Sez. 4, n. 2678 del 30/11/2000, dep. 2001, PM in proc. D'Amiano ed altri, Rv. 218480; Sez. 2, n. 47075 del 13/11/2003, Manzi, Rv. 227086). Al fine della qualificazione dell'atto come abnorme, del resto, non può attribuirsi rilevanza all'interesse "terzo" della persona offesa, di per sé è estraneo alla nozione della abnormità funzionale (Sez. 3, n. 29594 del 28/05/2012, P. Rv. 281878) e strutturale. Per il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, l'ordinanza di rigetto della richiesta di incidente probatorio è, del resto, inoppugnabile (ex multis Sez. 5 n. 49030 del 17/07/2017, Palmeri e altri, Rv. 271776) e tale regola non subisce eccezione solo perché l'incidente probatorio viene promosso ai sensi dell'art. 392, comma 1 - bis, cod. proc. pen., come questa Corte ha già avuto occasione di affermare (Sez. 3, n. 21930 del 13/03/2013, P.M. in proc. Bertolini, Rv. 25548301). Deve, dunque, ribadirsi che il provvedimento di rigetto dell'incidente probatorio non è impugnabile e non può considerarsi abnorme, nemmeno qualora la relativa richiesta sia stata proposta ai sensi ed ai fini di cui all'art. 392, comma 1 -bis, cod. proc. pen. 6. L'interpretazione adottata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto in ordine all'esistenza di un sindacato discrezionale del giudice sull'ammissione dell'incidente probatorio di persona vulnerabile, del resto, è pienamente legittima. La deroga introdotta dall'art. 392, comma 1-bis, cod. proc. pen. alla disciplina generale dell'ammissione dell'incidente probatorio attiene, infatti, esclusivamente all'irrilevanza in tale fattispecie del presupposto della non rinviabilità della prova al dibattimento e non già agli ulteriori profili della delibazione richiesta al giudice. Nell'esercizio del suo potere discrezionale di bilanciamento dei contrastanti interessi legati, da un lato, alle esigenze di tutela della vittima e, dall'altro, alle garanzie processuali del diritto di difesa dell'imputato, il giudice, al quale è rimessa la decisione sulla richiesta presentata ai sensi dell'art. 392, comma 1-bis cod. proc. pen., è tenuto a vagliare, in un primo momento, i requisiti di ammissibilità della richiesta e, successivamente, la fondatezza della stessa; valutazione, quest'ultima, che egli compie, nella prospettiva della rilevanza della prova ai fini della decisione dibattimentale, sulla base sia delle argomentazioni addotte dalla parte istante (ex art. 393, comma 1, cod. proc. pen.), sia delle eventuali deduzioni presentate dalla parte avversa, in ragione del contraddittorio cartolare sviluppatosi sulla richiesta, quale diritto egualmente riconosciuto alle parti dall'art. 396, comma 1, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 24996 del 15/07/2020, P., Rv. 279604). 7. Gli obblighi internazionali invocati dal Pubblico Ministero ricorrente, del resto, vincolano lo Stato italiano e il giudice quanto allo scopo di evitare la vittimizzazione secondaria del soggetto debole per effetto della reiterazione dell'atto istruttorio, ma non sanciscono l'obbligo incondizionato di assunzione delle dichiarazioni di tale soggetto nelle forme dell'incidente probatorio, escludendo ogni sindacato giudiziale sul punto. L'art. 20, par. 1, della direttiva 2012/29/UE sancisce, infatti, che "fatti salvi i diritti della difesa e nel rispetto della discrezionalità giudiziale, gli Stati membri provvedono a che durante le indagini penali: a) l'audizione della vittima si svolga senza indebito ritardo dopo la presentazione della denuncia relativa a un reato presso l'autorità competente". Il diritto dell'Unione Europea, come evidenziato anche dal considerando 58 di tale direttiva, pertanto, non elide ma anzi lascia espressamente integro l'ambito di discrezionalità del giudice nella decisione in ordine all'assunzione della prova nelle forme dell'incidente probatorio. Proprio l'indefettibile assunzione dell'incidente probatorio potrebbe, del resto, risultare sproporzionata rispetto allo scopo legittimo di tutelare la personalità e la dignità del soggetto vulnerabile, ad esempio nei casi in cui la sua escussione si riveli irrilevante o superflua, perché la prova sia stata raggiunta aliunde, o perché le condizioni della vittima, per effetto della condotta delittuosa o di altra causa, sconsiglino l'immediata assunzione della testimonianza nella fase delle indagini. Il diritto dell'Unione Europea, dunque, riserva al giudice il bilanciamento tra contrapposti interessi, quali quello alla tutela della dignità e della personalità della vittima, all'accertamento processuale dei reati e alla tutela del diritto fondamentale di difesa della persona sottoposta ad indagini. Tale bilanciamento deve prioritariamente tendere a scongiurare il rischio di vittimizzazione secondaria del soggetto vulnerabile chiamato a deporre ma il perseguimento di tale fondamentale fine non fonda un obbligo di incondizionata assunzione dell'incidente probatorio. 8. L'assenza di un obbligo, in capo al giudice, di disporre l'assunzione delle prove dichiarative della persona offesa vulnerabile a seguito della presentazione di una richiesta di incidente probatorio formulata ai sensi dell'art. 392, comma 1-bis, cod. proc. pen. non è neppure censurabile sul piano costituzionale. La scelta discrezionale del legislatore - legata alla necessità di speditezza della fase delle indagini e a quella di non "appesantire oltre modo una parentesi istruttoria che la ratio del sistema vuole quanto più possibile snella" - non si pone in contrasto con le fonti internazionali, dalle quali emerge esclusivamente "un interesse primario all'adozione di misure finalizzate alla limitazione delle audizioni della vittima" e non anche un "automatismo probatorio legato all'introduzione di un vero e proprio obbligo, in capo al giudice, di disporre l'assunzione delle prove dichiarative della persona offesa vulnerabile a seguito della mera presentazione di una richiesta di incidente probatorio" (Sez. 6, n. 24996 del 15/07/2020, P., Rv. 279604). La Corte costituzionale nella sentenza n. 529 del 2002, del resto, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale della formulazione originaria dell'art. 392, comma 1 -bis, cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 2 e 32 della Costituzione, nella parte in cui non prevedeva che si potesse procedere con incidente probatorio all'assunzione della testimonianza di un minore di anni sedici, ha significativamente affermato che "tutela della personalità del minore e genuinità della prova sono certo interessi costituzionalmente garantiti: non lo è però lo specifico strumento, consistente nell'anticipazione, con incidente probatorio, delle testimonianze in questione". Anche in tale prospettiva, dunque, il rilievo fondamentale accordato alla tutela della vittima vulnerabile non si traduce nella costituzionalizzazione dell'obbligo di procedere all'assunzione della prova nelle forme dell'incidente probatorio. 9. Una volta escluso che il provvedimento di rigetto della richiesta di incidente probatorio, anche se formulata ai sensi dell'art. 392, comma 1-bis, cod. proc. pen., possa integrare un atto abnorme, le modalità concrete di esercizio della discrezionalità accordata da tale disposizione al giudice esulano dal sindacato di legittimità della Corte di cassazione. 10. Alla stregua dei rilievi che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. P.Q.M. Dichiara il ricorso inammissibile. Così deciso in Roma, l'8 maggio 2024. Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7939 del 2023, proposto da Be. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati St. Vi., Ch. Ca., Vi. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ex Monopoli, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Be. It. S.r.l., non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda n. 13004/2023 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ex Monopoli e di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Presidenza del Consiglio dei Ministri; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 febbraio 2024 il Cons. Sergio Zeuli e uditi per le parti gli avvocati St. Vi., Ch. Ca. e Vi. Ba. Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La società ricorrente, in qualità di concessionaria della raccolta da scommesse relative a eventi sportivi di ogni genere, ha appellato la sentenza in epigrafe, con cui il Tar del Lazio - Sede di Roma- ha respinto il suo ricorso per l'annullamento della determinazione direttoriale prot. n. 10337/RU del 5 gennaio 2023, con cui l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli aveva disposto l'annullamento, in autotutela, ai sensi della Legge 7 agosto 1990, n. 241, articolo 21 nonies, della Determinazione Direttoriale prot. n. 5721/RU dell'8 gennaio 2022 e delle note, trasmesse ai concessionari, di invito a effettuare i versamenti delle somme destinate ad alimentare il Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale, calcolate in applicazione dei criteri esposti in detta Determinazione Direttoriale, nonché delle singole note con le quali la medesima Agenzia aveva comunicato le rinnovate quantificazioni degli importi aggiuntivi dovuti a titolo di versamento dell'importo dello 0,5 per cento della raccolta delle scommesse di cui all'art. 217, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (in Suppl. Ord. n. 21 alla Gazz. Uff., 19 maggio 2020, n. 128) convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, recante le Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19 (cd. DECRETO RILANCIO). In particolare, l'effetto lesivo per la società ricorrente derivava dal fatto di essere considerata soggetto passivo dell'imposta indiretta nella percentuale dello 0,5% sulle complessive entrate derivanti dalla raccolta delle scommesse per il periodo di riferimento, anziché fino alle sole soglie massime previste per il finanziamento del Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale (40 milioni di euro per l'anno 2020 e 50 milioni di euro per l'anno 2021), come avrebbe invece potuto e dovuto evincersi dalla suddetta normativa legislativa. La controversia, quindi, è bene preliminarmente chiarirlo, non concerne il pagamento degli importi dovuti, per il periodo di riferimento, fino al raggiungimento dei suddetti limiti di stanziamento, necessari a coprire la spesa di costituzione e funzionamento del Fondo (importi tutti già interamente versati e dei quali la concessionaria non contesta la debenza), ma riguarda invece gli importi aggiuntivi richiesti in pagamento, calcolati sempre nella percentuale dello 0,5% per il periodo di riferimento, ma su tutte le complessive entrate provenienti dalla raccolta delle scommesse, a prescindere dal già avvenuto raggiungimento della soglia di finanziamento del Fondo pari ai già indicati 40 milioni di euro, massimi. 2. Il ricorso veniva affidato a plurime censure di violazione di legge e di eccesso di potere, tra cui, in particolare: a) la violazione dei limiti che la legge impone alla PA per l'esercizio del potere di autotutela ai sensi dell'art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990); b) la lesione del principio del legittimo affidamento, avendo l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (di seguito, l'Agenzia) aspettato più di due anni per ribaltare una prassi interpretativa che si era ormai consolidata circa l'interpretazione della normativa recata dall'art. 217, comma 2, decreto-legge n. 34/2020; c) la violazione delle garanzie procedimentali di cui agli artt. 7 e seguenti della legge n. 241 del 1990; d) il difetto di istruttoria e di motivazione; e) l'erronea interpretazione della succitata norma recata dall'art. 217, comma 2, decreto-legge n. 34/2020, il cui unico dichiarato scopo sarebbe, ad avviso della società ricorrente, quello di costituire e finanziare un fondo speciale salva-sport e non, invece, come preteso dall'Amministrazione, anche quello di introdurre un ulteriore prelievo erariale generale strumentale ad imprecisate esigenze di finanza pubblica slegate dal finanziamento del suddetto fondo; g) l'erronea individuazione della base imponibile del contributo dovuto, così come effettuata dalla impugnata determinazione direttoriale del 5 gennaio 2023, in quanto in contrasto con la base imponibile identificata dalla base legale di cui al citato art. 217. Il ricorso sollecitava, inoltre, in via subordinata, per il caso del mancato accoglimento delle doglianze così prospettate, il rinvio pregiudiziale interpretativo ai sensi dell'art. 267, TFUE, ovvero la rimessione in Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale ivi prospettata. 3. Il Tar del Lazio adito ha esaminato e respinto partitamente tutte le censure proposte, motivando anche in ordine alla insussistenza delle condizioni per adire le Corti superiori con le prospettate questioni pregiudiziali, tuttavia compensando le spese del giudizio. 4. La società ricorrente ha riproposto tutti gli originari motivi di ricorso di primo grado, articolandoli quali specifiche censure contro i capi della sentenza gravata ai sensi dell'art. 101, c.p.a., così sostanzialmente devolvendo alla odierna cognizione tutta l'originaria materia del contendere. 5. L'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e il Ministero dell'Economia e delle Finanze hanno resistito al gravame, insistendo ancora sulla legittimità del proprio operato e sulla conseguente necessità di confermare la sentenza di primo grado. 6. Con l'ordinanza cautelare n. 3515/2023, la Sezione ha ritenuto sussistenti le condizioni per sospendere l'esecutività della sentenza appellata, "anche avuto riguardo, nel bilanciamento dei contrapposti interessi, sia all'interesse pubblico generale a che l'attività di riscossione sia esercitata entro un quadro di plausibile certezza, anche per evitare inutile dispendio di attività amministrativa nel caso si dovesse far poi luogo alle restituzioni, sia alla tutela dell'attività impresa, attesa l'ingente entità delle somme richieste e l'impatto che le stesse avrebbero sul bilancio delle società interessate". 7. La causa è stata discussa dalle parti ed è stata trattenuta in decisione dal Collegio alla odierna udienza. 8. Nel merito, ritiene il Collegio che debba essere esaminato con priorità logico-giuridica il motivo di appello, ripropositivo del corrispondente motivo di primo grado, che, se fondato, condurrebbe ad annullare gli atti impugnati con il massimo grado di satisfattività per la pretesa giuridica azionata dalla società ricorrente. Ad avviso del Collegio, per evidenti ragioni legate alla sussistenza stessa del presupposto legale impositivo, la questione giuridica principale è quella se, al di là della asserita mancata osservanza delle garanzie procedimentali partecipative e della lamentata insussistenza delle condizioni, soprattutto temporali, per fare luogo all'autotutela amministrativa, sussista o meno, in radice, la base legale in virtù della quale l'Amministrazione finanziaria e, per essa, lo Stato, pretendono oggi dalle società ricorrente il pagamento dei suddetti importi aggiuntivi. Le tesi interpretative che si frappongono riposano sulla distinzione tra la posizione difesa dall'Avvocatura generale dello Stato e accolta dalla sentenza impugnata, secondo cui il limite massimo allo stanziamento riguarderebbe la sola parte di prelievo destinata ad alimentare il Fondo e non anche la misura massima del prelievo al quale sarebbero assoggettabili gli operatori economici del settore, e quella propugnata dalla società ricorrente, secondo cui il limite allo stanziamento del Fondo fungerebbe anche da limite implicito al prelievo, in virtù del legame teleologico impresso dalla decretazione d'urgenza al prelievo medesimo per il perseguimento della specifica finalità solidaristica consistente nel dotare il Fondo delle sole risorse necessarie per potere operare. 9. Tale essendo la questione di fondo controversa, ritiene il Collegio che il ragionamento logico-giuridico sul quale il primo giudice ha incentrato la reiezione dei ricorsi non possa condividersi, dovendosi, anzi, al contrario, ritenere che, tra le due frapposte opzioni ermeneutiche, quella che aderisce al dettato normativo secondo il principio di legalità e che risponde alla sottesa ratio legis, è la tesi propugnata dalla società ricorrente. Sono decisive in tal senso le considerazioni giuridiche ritraibili prima di tutto dal sistema normativo nazionale, e poi anche da quello euro-unitario, sulla base dei principi dei Trattati, così come costantemente interpretati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia. 10. Anzitutto occorre partire dal dato normativo interno. Come si è poc'anzi detto, la controversia che oppone la società ricorrente all'Amministrazione finanziaria dello Stato riguarda il calcolo dell'imposta introdotta dall'art. 217, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (in Suppl. Ord. n. 21 alla Gazz. Uff., 19 maggio 2020, n. 128) convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, recante le Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19 (cd. DECRETO RILANCIO). In particolare, detto articolo ha previsto che: "1. Al fine di far fronte alla crisi economica dei soggetti operanti nel settore sportivo determinatasi in ragione delle misure in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, è istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze il "Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale" le cui risorse, come definite dal comma 2, sono trasferite al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri, per essere assegnate all'Ufficio per lo sport per l'adozione di misure di sostegno e di ripresa del movimento sportivo. 2. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto e sino al 31 dicembre 2021, una quota pari allo 0,5 per cento del totale della raccolta da scommesse relative a eventi sportivi di ogni genere, anche in formato virtuale, effettuate in qualsiasi modo e su qualsiasi mezzo, sia on-line, sia tramite canali tradizionali, come determinata con cadenza quadrimestrale dall'ente incaricato dallo Stato, al netto della quota riferita all'imposta unica di cui al decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504, viene versata all'entrata del bilancio dello Stato e resta acquisita all'erario. Il finanziamento del Fondo di cui al comma 1 è determinato nel limite massimo di 40 milioni di euro per l'anno 2020 e 50 milioni di euro per l'anno 2021. Qualora, negli anni 2020 e 2021, l'ammontare delle entrate corrispondenti alla percentuale di cui al presente comma sia inferiore alle somme iscritte nel Fondo ai sensi del precedente periodo, è corrispondentemente ridotta la quota di cui all'articolo 1, comma 630 della legge 30 dicembre 2018, n. 145. 3. Con decreto dell'Autorità delegata in materia di sport, di concerto con il Ministro dell'Economia e delle Finanze, da adottare entro 10 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono individuati i criteri di gestione del Fondo di cui ai commi precedenti. La norma è entrata in vigore lo stesso giorno della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ossia in data 19 maggio 2020. 11. Occorre poi prestare attenzione alle vicende amministrative che si sono susseguite in fase di prima applicazione. Con la determinazione n. 307276/RU dell'8 settembre 2020, l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli aveva definito le modalità di calcolo e di applicazione dell'importo dello 0,5 per cento per le singole tipologie di scommessa, nonché i termini di versamento delle somme da corrispondere a cura dei concessionari, con cadenza quadrimestrale e pari alla somma degli importi calcolati mensilmente per ciascuna tipologia di gioco. In particolare, all'art. 6, aveva previsto che "Qualora prima del 31 dicembre di ciascun anno sia raggiunto il limite massimo, rispettivamente, di 40 milioni di euro per l'anno 2020 e 50 milioni di euro per l'anno 2021, il calcolo dell'importo è limitato al mese in cui detto limite è raggiunto e l'importo mensile è ricalcolato in misura proporzionale rispetto alla somma registrata in eccesso". Successivamente, con la circolare n. 12 del 12 marzo 2021, l'Agenzia, sulla base del limite di cui al citato articolo 6, aveva esplicitato le modalità di calcolo degli importi mensili dovuti per scommessa, disciplinando gli arrotondamenti, definendo il criterio per la "Determinazione dell'importo riferito al mese in cui è raggiunto il limite annuo", nonché la procedura da seguire nel caso di "Raggiungimento del limite annuo di cui all'articolo 6, qualora sia necessario integrare o ridurre l'importo calcolato", e fornendo gli "importi totali calcolati da ADM per il secondo e terzo quadrimestre 2020" per raggiungere il citato tetto massimo (relativo al 2020) di 40 mln di euro. L'elemento che caratterizzava e accomunava tutti i detti provvedimenti era l'affermazione implicita del principio del parallelismo tra l'entità del prelievo fiscale e il limite allo stanziamento del Fondo salva sport, nel senso cioè che il tetto massimo previsto per dotare il Fondo delle risorse necessarie per operare, fissato in 40 milioni di euro per l'anno 2020 e in 50 milioni di euro per l'anno 2021, fungeva, altresì, da limite implicito al prelievo di imposta, attraverso il precipuo meccanismo della riparametrazione proporzionale dell'importo mensile dovuto. In tal modo, la pretesa fiscale non aveva ad oggetto il pagamento dell'intera quota pari allo 0,5 per cento del totale della raccolta da scommesse, bensì, nell'ambito di detta quota, attraverso il ricalcolo mensile in misura proporzionale, il pagamento necessario per dotare il Fondo dello stanziamento previsto, con conseguente possibilità di registrare anche somme in eccesso. 12. Occorre considerare, infine, ciò che è accaduto immediatamente prima l'emanazione della impugnata determinazione n. 10337/RU del 5 gennaio 2023, recante "l'annullamento, in autotutela, ai sensi della Legge 7 agosto 1990, n. 241, articolo 21 nonies, della Determinazione Direttoriale prot. n. 5721/RU dell'8 gennaio 2022 e delle note, trasmesse ai concessionari, di invito a effettuare i versamenti delle somme destinate ad alimentare il Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale, calcolate in applicazione dei criteri esposti in detta Determinazione Direttoriale". Invero la determinazione direttoriale alla quale si fa riferimento, da annullare in via di autotutela, riguardava, in realtà, una diversa vicenda svoltasi in relazione ad un altro contenzioso, insorto sempre tra taluni operatori del settore e l'Agenzia, e sempre collegato alle modalità di calcolo del prelievo di cui trattasi, ma questa volta nel settore specifico del cd. Betting Exchange, che poi è stato regolato proprio con la succitata determina n. 5721/RU dell'8 gennaio 2022. E' stato proprio da tale antefatto che ha preso le mosse il revirement interpretativo dell'Agenzia, la quale, trovatasi nella situazione di dovere ridefinire la nuova disciplina di calcolo per il Betting Exchange a seguito del giudicato amministrativo nel frattempo formatosi in senso ad essa sfavorevole, ha poi in effetti deciso di riverificare in senso complessivo la conformità a legge del proprio operato concernente le modalità di calcolo del prelievo ai sensi dell'art. 217, decreto-legge n. 34/2020. A seguito di interlocuzioni con la Ragioneria Generale dello Stato e la Corte dei conti - Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, l'Agenzia ha reinterpretato la summenzionata normativa fiscale e l'ha applicata, da allora in avanti, in senso diametralmente opposto rispetto al passato, ossia nel senso che il limite massimo di 40 milioni di euro per l'anno 2020 e di 50 milioni di euro per l'anno 2021 non dovesse riferirsi "alla misura massima delle somme dovute dai soggetti passivi del prelievo, bensì alla parte di prelievo destinata ad alimentare il "Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale", con la conseguenza che i concessionari sono tenuti a versare per intero l'aliquota dello 0,5 per cento della raccolta, calcolata secondo le modalità espresse all'articolo 3 della nuova determina, senza più quindi la possibilità che l'importo mensile dovuto sia ricalcolato proporzionalmente al raggiungimento dei previsti limiti di stanziamento, come era invece stabilito dall'art. 6 della originaria determina n. 307276/RU dell'8 settembre 2020, disposizione, questa, difatti, non più riprodotta con l'impugnata determinazione del 5 gennaio 2023. 13. Sulla base di ciò, sussistono ad avviso del Collegio plurimi elementi, sia testuali, sia sistematici, tali per cui non devono nutrirsi dubbi circa il fatto che l'unica interpretazione corretta della disposizione recata dall'art. 217, decreto-legge n. 34/2020 sia quella che l'Amministrazione finanziaria ha seguito in fase di prima applicazione della norma, poi tuttavia dalla stessa abbandonata e sostituita da quella, opposta e qui impugnata, da ritenersi non conforme a legge, in quanto non rinveniente nel dato normativo la necessaria 'base legalè della pretesa impositiva. 14. L'art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale (cd. Preleggi), rubricato "Interpretazione della legge", prevede che "Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore. Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato". Nell'ordine, quindi, i canoni ermeneutici di cui l'interprete deve fare applicazione sono: a) l'interpretazione letterale palesata dal significato proprio delle parole; b) l'interpretazione sistematica delle parole secondo la connessione di esse; c) l'analogia iuris e l'analogia legis, per i casi simili o le materie analoghe; d) se il caso rimane ancora dubbio, i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato. 15. Sul piano testuale, il legislatore ha chiaramente enunciato la propria intenzione di introdurre misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19, con lo scopo cioè di bilanciare il sacrificio economico imposto a taluni operatori economici assoggettati ad una nuova forma di imposizione indiretta (nella specie, i concessionari della raccolta delle scommesse), con le superiori, generali e imperative esigenze di solidarietà economica e sociale, indispensabili non tanto per sostenere in generale l'economia, ma proprio per rilanciare specifici settori dell'economia gravemente pregiudicati a seguito delle misure restrittive e delle chiusure alle attività imposte dalla normativa di contrasto al COVID-19, tra cui quelle facenti capo ad associazioni sportive e dilettantistiche. Letteralmente, difatti, il primo comma del cit. art. 217 prevede che le risorse, come definite dal comma 2, sono trasferite al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri, per essere assegnate all'Ufficio per lo sport per l'adozione di misure di sostegno e di ripresa del movimento sportivo. Ancora sul piano testuale, va poi considerata la rubrica dell'articolo in commento, intitolata "Costituzione del "Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale"", anche in questo caso stabilendo un sicuro vincolo funzionale tra la ragione del prelievo e la finalità perseguita, ossia non il perseguimento di generali e non meglio precisate ragioni di interesse pubblico, ma proprio la finalità specifica di mostrarsi solidali con il sistema sportivo nazionale, al cui rilancio è deputata la costituzione del Fondo. Sempre sul piano testuale, è pur vero che il secondo comma del medesimo art. 217 prevede che "(d)alla data di entrata in vigore del presente decreto e sino al 31 dicembre 2021, una quota pari allo 0,5 per cento del totale della raccolta da scommesse relative a eventi sportivi di ogni genere... al netto della quota riferita all'imposta unica di cui al decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504, viene versata all'entrata del bilancio dello Stato e resta acquisita all'erario", ma tale espressione va messa in correlazione e (soprattutto) va letta in connessione con le previsioni recate dal primo comma e con il senso complessivo delle misure emergenziali introdotte dalla decretazione in via d'urgenza, così come poc'anzi illustrate, con la conseguenza che non può sostenersi che il limite massimo allo stanziamento riguardi la sola parte di prelievo destinata ad alimentare il fondo e non anche la misura massima del prelievo al quale sono assoggettati gli operatori economici del settore, dal momento che le risorse alle quali si fa riferimento nel primo comma per dotare il Fondo dei mezzi necessari per potere operare sono proprie quelle e solo quelle reperite secondo le modalità descritte dal comma 2 del medesimo art. 217, e che le finalità solidaristiche espressamente previste dalla norma sono solo quelle che riguardano l'adozione delle misure di sostegno e di ripresa del movimento sportivo, e non altre esigenze che pure la Difesa erariale ha prospettato come "finalità omologhe", con formula tuttavia non meglio precisata. 16. Sul piano sistematico e complessivo, quindi, deve affermarsi il principio di diritto secondo cui, seppure il legislatore non abbia fatto uso di espressioni letterali tali da esplicitare verbalmente il concetto che il limite di stanziamento del Fondo funziona anche quale limite al prelievo, è tuttavia evidente e incontrovertibile che il suddetto principio sia ricavabile sulla base della intentio legis, per come palesata nell'epigrafe che dà il titolo al decreto-legge; della ratio iuris perseguita, per come anch'essa resa chiara dalla rubrica dell'articolato normativo; e del necessario raccordo tra le previsioni recate dal primo e dal secondo comma, che non possono essere lette e interpretate in modo isolato e atomistico l'una dall'altra, ma che anzi impongono una lettura coordinata secondo i principi della logica giuridica. 17. Vi è poi una ulteriore considerazione da svolgere. La necessità di rilanciare il settore dello sport, e in particolare il mondo delle piccole associazioni sportive e dilettantistiche che vi operano, è stata una esigenza così sentita dallo Stato da indurlo a introdurre, nell'ultima parte del secondo comma del cit. 217, la previsione che "Qualora, negli anni 2020 e 2021, l'ammontare delle entrate corrispondenti alla percentuale di cui al presente comma sia inferiore alle somme iscritte nel Fondo ai sensi del precedente periodo, è corrispondentemente ridotta la quota di cui all'articolo 1, comma 630 della legge 30 dicembre 2018, n. 145". Questo evento, come si è già ampiamente chiarito, non si è verificato nel caso all'esame, originando difatti l'odierna controversia proprio dal fatto che le soglie di stanziamento del Fondo sono state ampiamente raggiunte. La considerazione della suddetta eventualità, tuttavia, è utile per comprendere sul piano esegetico, sulla base di un ragionamento logico controfattuale, cosa per l'appunto sarebbe accaduto se ciò si fosse verificato. E' evidente infatti, che laddove detto ammontare fosse stato inferiore, lo Stato avrebbe dovuto integrare i limiti di stanziamento previsti, operando la corrispondente riduzione della quota di cui all'articolo 1, comma 630 della legge 30 dicembre 2018, n. 145. Anche alla luce della conferma che, da detta previsione, si trae sulla complessiva filosofia dell'intervento normativo, perciò non si rinviene alcuna ragione di assoggettare i concessionari dello Stato ad uno sforzo di contribuzione per esigenze solidaristiche (va ribadito, dagli stessi non contestato nei limiti necessari al raggiungimento delle soglie di stanziamento del Fondo) maggiore di quello al quale si sottoporrebbe lo Stato stesso nel caso in cui le suddette soglie non venissero raggiunte, perché in questo ultimo caso è certo, per espressa previsione di legge, che la riduzione corrispondente della quota di cui all'articolo 1, comma 630 della legge 30 dicembre 2018, n. 145 opererebbe solo fino al raggiungimento delle soglie, e non oltre. Il che dimostra, se ve ne fosse bisogno, che l'unica lettura possibile della disposizione normativa contenuta all'art. 217, decreto-legge n. 34/2020, nel raccordo fra il primo e il secondo comma, è esclusivamente quella che riposa sul principio del parallelismo tra il prelievo e la dotazione del fondo, con la conseguenza che il limite allo stanziamento del Fondo rappresenta anche il necessario tetto implicito al prelievo. 18. Discendendo dalle considerazioni appena illustrate l'integrale e satisfattivo accoglimento delle ragioni giuridiche prospettate con gli odierni appelli, non sarebbe di per sé necessario, anzi per vero diventerebbe recessivo per mancanza del presupposto della rilevanza, l'esame delle questioni pregiudiziali interpretative (costituzionale ed europea) correttamente prospettate dalla società appellante in via solo subordinata, per il caso cioè in cui il Collegio fosse pervenuto alla decisione opposta. Peraltro, sullo sfondo di tali questioni prospettate, si staglia con chiarezza il corollario del c.d. generale "principio di conservazione" che permea di sé l'ordinamento giuridico, secondo cui tra due eventuali interpretazioni plausibili, il Giudice è tenuto a privilegiare quella che conduce all'affermazione che la norma applicata è immune da mende rispetto a quella che possa presentare profili di incompatibilità con altri valori dell'ordinamento. È noto che il detto principio è stato, negli anni, evocato a più riprese dal Giudice delle leggi (celebre, in proposito, il canone enunciato nella sentenza n. 356 del 1996, e poi più volte ripetuto a partire dalla sentenza n. 147 del 2008 e reso con la fortunata espressione "in linea di principio, le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime -o una disposizione non può essere ritenuta costituzionalmente illegittima- perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali -e qualche giudice ritenga di darne-, ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali". Lo stesso principio trova pure riscontro, seppur con minore frequenza, nella giurisprudenza della CGUE (Corte giustizia UE grande sezione, 8.11.2016, n. 554, consideranda 58 e 59 "58 In base, altresì, a una consolidata giurisprudenza, anche se le decisioni quadro, ai sensi dell'articolo 34, paragrafo 2, lettera b), UE, non possono avere efficacia diretta, il loro carattere vincolante comporta tuttavia in capo alle autorità nazionali, in particolare ai giudici nazionali, un obbligo di interpretazione conforme del diritto nazionale (v. sentenza del 5 settembre 2012, Lopes Da Silva Jorge, C-42/11, EU:C:2012:517, punto 53 e giurisprudenza ivi citata). 59 Nell'applicare il diritto interno, il giudice nazionale chiamato ad interpretare quest'ultimo è quindi tenuto a farlo, quanto più possibile, alla luce della lettera e dello scopo della decisione quadro al fine di conseguire il risultato da essa perseguito. Tale obbligo di interpretazione conforme del diritto nazionale è insito nel sistema del Trattato FUE, in quanto permette ai giudici nazionali di assicurare, nell'ambito delle rispettive competenze, la piena efficacia del diritto dell'Unione quando risolvono le controversie ad essi sottoposte (v. sentenza del 5 settembre 2012, Lopes Da Silva Jorge, C-42/11, EU:C:2012:517, punto 54 e giurisprudenza ivi citata).". In tale ottica, sebbene non ai fini del rinvio pregiudiziale, è comunque opportuno svolgere qualche considerazione finale sul piano della integrazione del nostro ordinamento giuridico in quello europeo, alla luce dei principi del Trattato, così come interpretati con indirizzo esegetico consolidato dalla Corte di Giustizia, a riprova dell'ormai raggiunto grado di maturità, chiarezza e adeguatezza, nel settore dei giochi e delle scommesse, dei principi interpretativi elaborati dal giudice europeo, cosicché ogni giudice nazionale può farne immediatamente applicazione, conoscendo il punto di vista della Corte in materia. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, devono considerarsi quali restrizioni alla libertà di stabilimento o alla libera prestazione dei servizi tutte le misure che vietino, ostacolino o rendano meno attraente l'esercizio delle libertà garantite dagli articoli 49 e 56 TFUE (sentenza del 22 gennaio 2015, Stanley International Betting e Stanleybet Malta, C-463/13, punto 45 e la giurisprudenza ivi citata; sentenza del 20 dicembre 2017, n. 322, punto 35). Diversamente dal caso esaminato dalla sentenza del 22 gennaio 2015, ma similmente a quello oggetto della sentenza del 20 dicembre 2017, anche nel caso qui trattato la normativa nazionale non ha imposto ai concessionari nuove condizioni di esercizio dell'attività (es. proroghe del contratto), bensì ha introdotto una nuova disciplina fiscale, sia pure limitata, in questo specifico caso, ad un biennio (anni 2020-2021). Sebbene la materia della imposizione fiscale rientri nella competenza degli Stati membri, una costante giurisprudenza della Corte afferma che questi ultimi devono esercitare tale competenza nel rispetto del diritto dell'Unione e, in particolare, delle libertà fondamentali garantite dal Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (sentenza dell'11 giugno 2015, Berlington Hungary e a., C-98/14, punto 34). Pur in assenza di una disciplina europea specifica di fonte derivata, si applicano, difatti, le norme del Trattato che tutelano sia la libertà di stabilimento (che importa l'accesso alle attività autonome e al loro esercizio ai sensi dell'art. 49), sia la libertà di prestazione di servizi (art. 56) che implica, tra l'altro, il libero svolgimento di attività di impresa, in quanto viene in rilievo un'attività economica di impresa. Al fine di stabilire quando tali libertà europee siano violate, occorre previamente accertare se la misura nazionale abbia determinato una restrizione delle suddette libertà . In secondo luogo, ove la restrizione effettivamente sussista, occorre stabilire se la stessa possa essere giustificata alla luce sia di limiti specifici espressamente consentiti dal Trattato, sia del limite generale costituito dai "motivi imperativi di interesse generale", che sono diversamente costruiti a seconda del settore di riferimento. Infine, se i suddetti motivi imperativi sussistono, occorre valutare se la normativa nazionale derogatoria rispetto alle libertà europee rispetti i seguenti altri principi generali europei: i) principio del pari trattamento, che vieta che la deroga nazionale crei discriminazione tra situazioni giuridiche nazionali ed europee; ii) principio di proporzionalità, che impone che la misura nazionale sia adeguata, idonea e proporzionata in senso stretto rispetto alla tutela dell'interesse pubblico nazionale, al fine di stabilire se il sacrificio dell'interesse pubblico europeo sia in concreto giustificato; iii) principio di affidamento dei privati incisi da una normativa eventualmente retroattiva, ovvero che pregiudichi posizioni consolidate; iv) principio di trasparenza e principio di concorrenza per il mercato, qualora sussista l'esigenza di scelta limitata dei soggetti privati che possano svolgere quella attività (Consiglio di Stato, Sezione IV, ordinanza n. 1071 del 31 gennaio 2023). Nel caso all'esame, come si è poc'anzi chiarito, mentre non occorre approfondire il primo aspetto, in quanto gli appelli vanno accolti, sicché per definizione nessuna lesione alle libertà garantite dal Trattato si prospetta, è invece utile ripercorrere l'orientamento della Corte sulla nozione di motivo imperativo di interesse generale. La disciplina dei giochi d'azzardo e delle scommesse rientra nei settori in cui sussistono tra gli Stati membri divergenze considerevoli di ordine morale, religioso e culturale. In assenza di un'armonizzazione in materia a livello dell'Unione, gli Stati membri godono di un ampio potere discrezionale per quanto riguarda la scelta del livello di tutela dei consumatori e dell'ordine sociale che essi considerano più appropriato (sentenza del 20 dicembre 2017, Global Starnet, C-322/16, punto 39 e la giurisprudenza ivi citata). Gli Stati membri sono, di conseguenza, liberi di fissare gli obiettivi della loro politica in materia di giochi d'azzardo e, eventualmente, di definire con precisione il livello di tutela perseguito. Tuttavia, le restrizioni che essi impongono devono soddisfare le condizioni che risultano dalla giurisprudenza della Corte per quanto riguarda, segnatamente, la loro giustificazione sulla base di motivi imperativi di interesse generale e la loro proporzionalità (sentenza del 20 dicembre 2017, Global Starnet, C-322/16, punto 40 e la giurisprudenza ivi citata). Pertanto, purché esse soddisfino quest'ultimo requisito, eventuali restrizioni delle attività di gioco d'azzardo possono essere giustificate in virtù di motivi imperativi di interesse generale, quali la tutela dei consumatori e la prevenzione delle frodi e dell'incitamento dei cittadini a spese eccessive legate al gioco (sentenza del 22 gennaio 2015, Stanley International Betting e Stanleybet Malta, C-463/13, punto 48 nonché la giurisprudenza ivi citata). Le considerazioni appena illustrate chiariscono quindi ulteriormente, rafforzandola, la conclusione interpretativa della normativa recata dal decreto-legge n. 34/2020, alla quale già si era pervenuti sulla base del diritto interno, ovverossia che, siccome detta normativa è stata introdotta in via di decretazione d'urgenza per far fronte all'emergenza economica insorta a seguito della chiusura e delle restrizioni alle attività economiche, con lo scopo di reperire le risorse necessarie per finanziare le misure di sostegno e di rilancio dell'economia e, per quanto interessa l'art. 217, del settore sportivo, il vincolo di scopo al prelievo non può che essere sorretto, sul piano della tenuta del sistema, dalla sussistenza di serie e gravi esigenze imperative di interesse generale, non riducibili alla generica ragion fiscale . Laddove, infatti, si negasse il principio dell'allineamento o corrispondenza fra entità del prelievo forzoso e limite massimo allo stanziamento, da intendersi dunque (anche) come limite (implicito) al prelievo medesimo, l'effetto pratico che si produrrebbe sarebbe quello di finanziare la spesa pubblica in generale, non essendo manifestate dalla norma ulteriori o diverse specifiche ragioni imperative di interesse pubblico da perseguire. A tal fine, del resto, non potrebbero giammai sopperire le non meglio precisate "finalità omologhe" pure prospettate dalla Difesa erariale nei propri scritti difensivi, sia perché testualmente non previste dalla norma, sia perché frutto, al limite, di una destinazione spontanea e di mero fatto da parte dello Stato in favore delle associazioni sportive e dilettantistiche, tale cioè da non consentire sia nella prospettiva del diritto europeo, sia in quella nazionale, la necessaria obiettività e misurabilità delle esigenze effettivamente volute e perseguite dal legislatore (secondo la consolidata giurisprudenza della Corte, l'identificazione degli obiettivi effettivamente perseguiti dalle disposizioni nazionali in esame nel procedimento principale rientra comunque nella competenza del giudice del rinvio: in tal senso, sentenza del 28 gennaio 2016, Laezza, C-375/14, punto 35). 19. In definitiva, l'appello, così come in epigrafe proposto, va accolto per le considerazioni assorbenti e integralmente satisfattorie prima declinate (il che consente di prescindere dalla disamina delle ulteriori censure articolate) e, in riforma dell'impugnata sentenza, va di conseguenza accolto il ricorso di primo grado e così annullati gli atti impugnati. 20. Le spese del doppio grado di giudizio possono compensarsi tenuto conto della parziale novità e complessità delle questioni esaminate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, di conseguenza, in riforma dell'impugnata sentenza, accoglie il ricorso di primo grado e annulla gli atti impugnati. Compensa le spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Marco Lipari - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Daniela Di Carlo - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere, Estensore Rosaria Maria Castorina - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta da: Dott. DI STEFANO Pierluigi - Presidente Dott. RICCIARELLI Massimo - Relatore Dott. GALLUCCI Enrico - Consigliere Dott. SILVESTRI Pietro - Consigliere Dott. DI GERONIMO Paolo - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: Ma.Gi., nato il (Omissis) a C; avverso l'ordinanza in data 08/09/2023 della Corte di appello di Milano; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Massimo Ricciarelli; udite le conclusioni del Pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Perla Lori, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito il difensore Avv. El.Ma. in sost. dell'Avv. Ma.Na. per la parte civile, che ha depositato conclusioni e nota spese; udito il difensore Avv. Pa.Le. per il ricorrente, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso, riportandosi alla questione di illegittimità costituzionale. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 08/09/2023 la Corte di appello di Milano ha dichiarato inammissibile per mancata allegazione di elezione o dichiarazione di domicilio l'appello presentato da Ma.Gi. avverso la sentenza del Tribunale di Pavia in data 02/02/2023, con cui il predetto è stato riconosciuto colpevole dei delitti di maltrattamenti e lesioni. 2. Ha proposto ricorso Ma.Gi. tramite il suo difensore. Deduce violazione dell'art. 581, comma 1-ter cod. proc. pen. in relazione agli artt. 6 CEDU, 3, 24, 27, 111 Cost. Il provvedimento impugnato non considera che l'imputato aveva eletto e mai modificato il domicilio e che nell'atto di appello era stato operato richiamo al domicilio fiduciario, risolvendosi in un mero formalismo la valorizzazione della mancata allegazione della dichiarazione o elezione di domicilio, tale da privare l'imputato del giudizio di appello a fronte di condanna per gravi reati. Ciò si risolveva in una violazione di garanzie, tale da determinare un contrasto con gli artt. 3, 24, 27, 111 Cost. e con l'art. 6 CEDU, sollevandosi in subordine questione di legittimità costituzionale dell'art. 581, comma 1-ter cod. proc. pen. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è inammissibile. 2. L'art. 581, comma 1-ter cod. proc. pen., introdotto dall'art. 33, comma 1, lett. d) del D.Lgs. 150 del 2022 e applicabile, ai sensi dell'art. 89, comma 3, D.Lgs. 150 cit., alle sentenze pronunciate dopo l'entrata in vigore dello stesso decreto legislativo, prevede che con l'atto di impugnazione delle parti private e dei difensori è depositata a pena di inammissibilità la dichiarazione o elezione di domicilio, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio. L'art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen., anch'esso introdotto dal citato art. 33, comma 1, lett. d), D.Lgs. 150 del 2022 si riferisce invece all'impugnazione dell'imputato giudicato in assenza, stabilendo che a pena di inammissibilità è depositato specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente l'elezione o la dichiarazione di domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio. Ciò si correla alla previsione dell'art. 157-ter, comma 3, cod. proc. pen., inserito dallo stesso D.Lgs. 150 del 2022, secondo cui in caso di impugnazione proposta dall'imputato o nel suo interesse la notificazione dell'atto di citazione a giudizio è eseguita esclusivamente presso il domicilio dichiarato o eletto ai sensi dell'art. 581, comma 1-ter e 1-quater. Tali disposizioni devono essere lette alla luce delle direttive contenute nella legge delega 134 del 2021, che, oltre a prefiggersi lo scopo di evitare procedimenti inutili nei confronti dell'imputato inconsapevole, destinati ad essere travolti dalla rescissione - in tale prospettiva disciplinando il processo in assenza anche nei gradi di impugnazione -, aveva più in generale perseguito la finalità di rendere il processo più celere ed efficiente, prevedendo (art. 1, comma 6, lett. f) che nel caso di impugnazione proposta dall'imputato o nel suo interesse "la notificazione dell'atto di citazione a giudizio" nei suoi confronti deve essere effettuata presso il domicilio dichiarato o eletto e (art. 1, comma 13, lett. a) che "con l'atto di impugnazione, a pena di inammissibilità, sia depositata dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione dell'atto introduttivo del giudizio di impugnazione". Dai lavori preparatori e dalla relazione di accompagnamento si trae conferma dell'intendimento di facilitare la celebrazione dei giudizi di impugnazione, semplificando sia in via generale la "notificazione dell'atto introduttivo del giudizio di impugnazione" attraverso l'onere imposto all'impugnante di dichiarare o eleggere domicilio, sia in modo specifico "la notificazione dell'atto di citazione a giudizio" per l'impugnazione proposta dall'imputato o nel suo interesse, utilizzando la dichiarazione o elezione di cui sopra. 3. Con specifico riguardo all'art. 581, comma 1-ter cod. proc. pen., a seguito della sua entrata in vigore, la giurisprudenza si è pronunciata in modo non sempre uniforme. Innanzi tutto, si è rilevato che la disposizione non è applicabile nel caso di imputato detenuto (Sez. 4, n. 4342 del 09/01/2024, Shala Rafael, Rv. 285749; Sez. 2, n. 51273 del 10/11/2023, Savoia, Rv. 285546; Sez. 2, n. 33355 del 28/06/2023, Quattrocchi, Rv. 285021), ma, in un caso, è stata distinta la posizione dell'imputato detenuto per altra causa, rispetto al quale la norma è stata ritenuta applicabile (Sez. 5, n. 4606 del 28/11/2023, D'Amuri, Rv. 285973), essendosi inoltre ritenuto in una circostanza che la restrizione agli arresti domiciliari parimenti non valga ad impedire l'applicabilità della disposizione (Sez. 4, n. 41858 del 08/06/2023, Andrioli, Rv. 285146). In secondo luogo, si è posto il problema di stabilire se l'allegazione dell'elezione o dichiarazione di domicilio all'atto di appello implichi una specifica dichiarazione o elezione successiva alla sentenza impugnata ovvero possa aver ad oggetto una dichiarazione o elezione effettuata nella fase precedente: nel primo senso si è rilevato che "la dichiarazione o elezione di domicilio che, ai sensi dell'art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., va depositata, a pena di inammissibilità, unitamente al gravame delle parti private e dei difensori, dev'essere successiva alla pronuncia della sentenza impugnata, poiché, alla luce della nuova formulazione dell'art. 164 cod. proc. pen., quella effettuata nel precedente grado non ha più una durata estesa ai gradi successivi" (così Sez. 6, n. 7020 del 16/01/2024, Mirabile, Rv. 285985; Sez. 5, n. 3118 del 10/01/2024, Mohamed Ahmad Hasan, Rv. 285805), ma nel secondo senso si è sottolineato che "nel caso di imputato non processato" in absentia", la dichiarazione o l'elezione di domicilio richieste ex art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. possono essere effettuate anche nel corso del procedimento di primo grado, e non necessariamente in un momento successivo alla pronuncia della sentenza impugnata, a condizione che siano depositate unitamente all'atto di appello, atteso che la contraria interpretazione ostacolerebbe indebitamente l'accesso al giudizio di impugnazione, in violazione dei diritti costituzionalmente e convenzionalmente garantiti" (Sez. 2, n. 8014 del 11/01/2024, El Janati, Rv. 285936). Peraltro, in altra occasione, si è sottolineato sullo specifico tema che è ammissibile l'appello che contenga, senza materiale allegazione, la domiciliazione, anche al fine della notifica dell'atto di citazione (Sez. 2, n. 16480 del 29/02/2024, Miraoui Mohamed, non massimata). 4. Ciò posto, si rileva che, nel caso in esame, non viene in rilievo né l'ipotesi dell'imputato assente né quella dell'imputato detenuto. In concreto, l'atto di appello indicava la domiciliazione dell'imputato, ma senza che fosse allegato l'atto che la conteneva, senza che l'atto recasse la firma anche dell'imputato e senza che fosse specificata la precisa collocazione della dichiarazione di domicilio nel fascicolo processuale. La Corte di appello, facendo applicazione dell'art. 581, comma 1-ter cod. proc. pen., ha ritenuto l'appello inammissibile, in quanto privo dell'allegazione della dichiarazione di domicilio e della firma dell'imputato, pur non ritenendo necessario che tale domiciliazione fosse intervenuta dopo la sentenza impugnata. 5. Orbene, richiamando quanto osservato in ordine alla ratio della disposizione, che è quella di assicurare la celerità ed efficienza del processo e dunque, in primo luogo, l'individuazione sicura del luogo di notifica, non di rado fonte di incertezze, da cui possono discendere nullità processuali, deve ritenersi che la valutazione della Corte territoriale non si esponga in alcun modo alle censure proposte nel motivo di ricorso. Va infatti rimarcato come l'adempimento previsto a pena di inammissibilità consista nel deposito della dichiarazione o elezione di domicilio e come tale adempimento sia funzionale alla notifica dell'atto di citazione. La norma non chiarisce se la dichiarazione o elezione debba essere successiva alla sentenza impugnata, come previsto invece espressamente nel caso di imputato assente e come, nondimeno, ritenuto da una parte della giurisprudenza. Sta di fatto che la nozione di deposito implica un'attività di materiale produzione, avente ad oggetto la dichiarazione o elezione di domicilio, quale atto proveniente specificamente dall'imputato e recante dunque la sua firma, al fine di consentire l'inequivoca individuazione del luogo della notifica. Anche volendo ritenere sufficiente una dichiarazione o elezione anteriore alla sentenza impugnata, si tratta tuttavia di stabilire se tale produzione comporti un'allegazione all'atto di appello o possa risolversi nella sua riproduzione nel corpo dell'atto. Quel che pare certo è, da un lato, che debba emergere la provenienza sicura dell'atto e che dunque possa con certezza attribuirsi la dichiarazione o elezione all'imputato e, dall'altro, che ciò possa farsi senza equivoci fin dal momento della presentazione dell'atto di impugnazione. In tale prospettiva deve escludersi che possa ritenersi bastevole il generico richiamo del luogo della domiciliazione nell'atto di appello, ove la stessa non sia corroborata e accompagnata dalla firma dell'imputato, giacché quel richiamo, al di là dell'assunzione di responsabilità da parte del legale, non varrebbe comunque a conferire certezza alla domiciliazione fin dal momento della presentazione dell'impugnazione. Tutt'al più, in una prospettiva volta, sul piano interpretativo, a ridimensionare la portata dell'onere previsto ma, nel contempo, ad assicurare in pari misura la provenienza e la certezza della domiciliazione, potrebbe ritenersi se del caso idonea, alla stregua di una produzione, la puntuale, specifica e precisa indicazione della collocazione della domiciliazione nel fascicolo processuale, così da inverarne l'attualità senza la necessità di imporre una incerta esplorazione dell'incartamento, tanto più problematica nel caso di fascicoli particolarmente ponderosi. Sta di fatto che nel caso di specie, come detto, non ricorre neppure tale ipotesi, dovendosi dunque ribadire la valutazione formulata dalla Corte di appello. 6. Una siffatta conclusione non si pone in contrasto con la tutela dei diritti difensivi e in conflitto con garanzie costituzionali, sia pur mediate da norme convenzionali. La prospettata questione di legittimità costituzionale, peraltro formulata in termini generici, risulta, invero, anche manifestamente infondata. È stato più volte rilevato come le nuove disposizioni introdotte dagli artt. 581, comma 1-ter e 1-quater cod. proc. pen., non si pongano in contrasto con le invocate garanzie (Sez. 6, n. 3365 del 20/12/2023, dep. 2024, Terrasi, Rv. 285900; Sez. 4, n. 43718 del 11/10/2023, Ben Khalifa Mohamed, Rv. 285324; cfr. anche Sez. 6, n. 223 del 07/11/2023, dep. 2024, Sechovcov, non massimata). Con particolare riguardo all'art. 581, comma 1-ter cod. proc. pen. va infatti richiamata la nitida ratio sottesa alla disposizione, funzionale alla salvaguardia di un'esigenza che trova tutela e riconoscimento nella Carta costituzionale: la norma non è volta a limitare il diritto di difesa e si risolve nella definizione di una modalità strutturale dell'atto di impugnazione, che non implica un adempimento irragionevole e inutile, in quanto volto, semmai, a rafforzare il rispetto delle garanzie senza un aggravio intollerabile e tale da costituire di fatto una limitazione nell'esercizio delle facoltà difensive. Si tratta infatti di assicurare una permanente vigilanza da parte dell'imputato in ordine all'indicazione del luogo della notifica, senza peraltro pretenderne una non esigibile collaborazione, tale da eccedere il limite di quella minima vigilanza e da interferire con gli adempimenti, per contro, esigibili dagli organi deputati all'amministrazione della giustizia. Ciò non determina alcuna tensione con il principio di uguaglianza, con il diritto di difesa e con il diritto di impugnazione e dunque con la facoltà di accesso ai rimedi previsti, essendo introdotta una modalità che non si risolve in un vuoto formalismo tale da comprimere irragionevolmente quella facoltà, al contrario idoneamente calibrata in modo assicurare il contemperamento di tutte le esigenze, senza tuttavia incidere sul ruolo del difensore, creando un'indebita frattura con la sua pregressa azione. Ciò vale a fortiori ove l'adempimento richiesto sia inteso riduttivamente non come nuova elezione o dichiarazione ma come allegazione di una dichiarazione precedente o addirittura come mera puntale indicazione della collocazione nel fascicolo della dichiarazione precedente, essendo evidente come un siffatto adempimento possa essere agevolmente assicurato dalla parte interessata o dal suo difensore, a fronte di uno scopo legittimo e della concreta proporzione della prescrizione, rispettosa dei canoni evocati in generale dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (sul punto Corte edu, 28 ottobre 2021, Succi et al. c. Italia, ric. nn. 55064/11, 37781/13 e 26049/14). 7. Su tali basi deve concludersi che la questione di illegittimità costituzionale è manifestamente infondata e che radicalmente infondato risulta il ricorso nel suo complesso. 8. All'inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ma non anche quella al pagamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, dovendosi valutare la peculiarità della situazione, coinvolgente il diritto di difesa avverso ordinanza emessa, pur legittimamente, de plano. Proprio la peculiarità della questione devoluta con il ricorso, non immediatamente coinvolgente i profili civilistici, induce a ritenere compensate le spese di costituzione e difesa sostenute nel presente grado dalla parte civile. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Compensa integralmente le spese di costituzione del grado della parte civile. Così deciso il 16 aprile 2024. Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta da: Dott. FIDELBO Giorgio - Presidente Dott. APRILE Ercole - Relatore Dott. VIGNA Maria Sabina - Consigliere Dott. TRIPICCIONE Debora - Consigliere Dott. D'ARCANGELO Fabrizio - Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: Sa.Fr., nato a M il (Omissis); avverso la sentenza del 04/10/2023 della Corte di appello di Messina; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Raffaele Gargiulo, che ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso; letta la memoria dell'Avv. Gi.Ab., difensore del ricorrente, che ha concluso chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Messina riformava parzialmente la pronuncia di primo grado, rideterminando la pena finale, e confermava nel resto la medesima pronuncia del 16 gennaio 2023 con la quale il Tribunale di Messina aveva condannato Sa.Fr. in relazione al reato di cui all'art. 572 cod. pen. (in esso assorbito il reato già contestato ai sensi dell'art. 612-bis cod. pen.), per avere, dal 2003 ed almeno sino al settembre 2014, maltrattato abitualmente la compagna Ma.An.. tirandole addosso oggetti, spintonandola, picchiandola, minacciandola di morte e ingiuriandola. 2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il Sa.Fr., con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale ha dedotto i seguenti motivi. 2.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 572 cod. pen., 192 e 546 cod. proc. pen., 111 Cost., e vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte territoriale confermato la pronuncia di condanna di primo grado, benché le dichiarazioni della persona offesa fossero risultate inattendibili per le evidenti reticenze e ingiustificate contraddizioni, e per l'anomalia delle condotte tenute durante il suo esame, avendo ella "gonfiato" il suo narrato ed essendo apparsa soggettivamente e intrinsecamente non credibile. 2.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 572 cod. pen., 192 e 546 cod. proc. pen., 111 Cost., e vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte distrettuale omesso di considerare che i comportamenti aggressivi denunciati erano stati reciproci tra le parti del rapporto, con un grado di gravità e di intensità equivalenti. 2.3. Violazione di legge, in relazione agli artt. 612-bis, 157, 160 e 161 cod. pen., 111 Cost., e vizio di motivazione, per avere la Corte di merito omesso di dichiarare l'intervenuta estinzione per prescrizione del reato di atti persecutori, originariamente contestato al capo b), commesso fino al 2014. 2.4. Violazione di legge, in relazione agli artt. 572 e 612-bis, 111 Cost., e vizio di motivazione, per avere la Corte di appello erroneamente ritenuto le condotte del capo b) "assorbite" in quelle del capo a), nonostante la convivenza tra i compagni fosse cessata nel 2014. 2.5. Violazione di legge, in relazione agli artt. 62-bis, 132 e 133 cod. pen., 27 e 111 Cost., e vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale ingiustificatamente negato all'imputato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, benché il prevenuto sia incensurato e non abbia più avvicinato la persona offesa dopo la presentazione della denuncia. 3. Il procedimento è stato trattato nell'odierna udienza in camera di consiglio con le forme e con le modalità di cui all'art. 23, commi 8 e 9, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, i cui effetti sono stati prorogati da successive modifiche legislative. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Ritiene la Corte che il ricorso presentato nell'interesse di Sa.Fr. vada accolto, sia pur nei limiti e con gli effetti di seguito precisati. 2. I primi due motivi del ricorso, strettamente connessi tra loro, non superano il vaglio preliminare di ammissibilità perché contenenti la deduzione di ragioni diverse da quelle per le quali la legge consente tale impugnazione. Il ricorrente solo formalmente ha denunciato una serie di vizi di carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione della decisione gravata, senza però prospettare alcuna reale contraddizione logica, intesa come implausibilità delle premesse dell'argomentazione, irrazionalità delle regole di inferenza, ovvero manifesto ed insanabile contrasto tra quelle premesse e le conclusioni; né è riconoscibile alcuna delle denunciate violazioni di norme di legge. Il ricorrente si è limitato a criticare - peraltro, talora in maniera indeterminata - il significato che la Corte di appello di Messina aveva dato al contenuto delle emergenze acquisite durante il giudizio di primo grado, sollecitando un'inammissibile rivalutazione dell'intero materiale conoscitivo, rispetto al quale è stata proposta dalla difesa una spiegazione alternativa alla semantica privilegiata dalla Corte territoriale nell'ambito di un sistema motivazionale logicamente completo ed esauriente. In particolare, i giudici di merito hanno chiarito, con motivazione che resta esente da qualsivoglia censura di manifesta illogicità, come la prova della sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di maltrattamenti per il quale vi è stata condanna, fosse desumibile dalla deposizione della persona offesa, intrinsecamente attendibili per la loro sufficiente precisione e linearità, la cui valenza non era stata inficiata dall'atteggiamento assunto nel processo dalla donna: la quale, dopo essersi oramai riappacificata con l'imputato, a distanza di tre anni dalla denuncia, oltre che decidere di non costituirsi parte civile, aveva cercato di ridimensionare le accuse e di sostenere, molto genericamente, che le sue precedenti indicazioni fossero state da lei "gonfiate", senza però essere stata in grado, significativamente, di precisare quali riferimenti non corrispondessero al vero. Per giunta, la testimonianza della prevenuta - che aveva, comunque, raffigurato una sua sottoposizione ad un regime vessatorio e degradante - era risultata riscontrata, nei suoi aspetti essenziali, dalle deposizioni dei di lei genitori, nonché dalle dichiarazioni di un sottufficiale dei carabinieri (v. pagg. 5-7 sent. impugn.; pagg. 6 ss. sent. primo grado). 3. Il terzo e quarto motivo del ricorso sono, invece, fondati. Richiamando quanto puntualizzato dal giudice del primo grado, la Corte territoriale ha ritenuto che le condotte contestate in termini di atti persecutori nel capo d'imputazione b) della rubrica, dovessero considerarsi assorbite nel più ampio addebito di maltrattamenti in famiglia del capo a), benché le prime fosse state tenute quando il rapporto di convivenza tra i due era oramai cessato, la donna aveva instaurato una nuova relazione sentimentale con un altro uomo e le relazioni tra i due ex conviventi erano proseguite solo per affrontare le esigenze dei figli minori che la coppia aveva in precedenza avuto (v. pagg. 7-8 sent. impugn.; pagg. 10-12 sent. primo grado). Tale impostazione esegetica, tuttora sostenuta da un indirizzo giurisprudenziale minoritario (per il quale si veda, da ultimo, Sez. 2, n. 43846 del 29/09/2023, V., Rv. 285330), non è condivisa da questo Collegio: apparendo preferibile il contrario orientamento esegetico secondo il quale, in tema di rapporti fra il delitto di maltrattamenti in famiglia e quello di atti persecutori, il divieto di interpretazione analogica delle norme incriminatrici impone di intendere i concetti di "famiglia" e di "convivenza" di cui all'art. 572 cod. pen. nell'accezione più ristretta, quale comunità connotata da una radicata e stabile relazione affettiva interpersonale e da una duratura comunanza di affetti implicante reciproche aspettative di mutua solidarietà ed assistenza, fondata sul rapporto di coniugio o di parentela o, comunque, su una stabile condivisione dell'abitazione, ancorché non necessariamente continuativa: sicché è configurabile l'ipotesi aggravata di atti persecutori di cui all'art. 612-bis, comma secondo, cod. pen., e non il reato di maltrattamenti in famiglia, quando le reiterate condotte moleste e vessatorie siano perpetrate dall'imputato dopo la cessazione della convivenza "more uxorio" con la persona offesa (così, tra le molte, Sez. 6, n. 31390 del 30/03/2023, P., Rv. 285087; Sez. 6, Sentenza n. 38336 del 28/09/2022, D., Rv. 283939; Sez. 6, n. 15883 del 16/03/2022, D., Rv. 283436; Sez. 6, n. 10626 del 16/02/2022, L. Rv. 283003; Sez. 6, n. 45095 del 17/11/2021, H., Rv. 282398). È indispensabile, infatti, rispettare la lettera della norma incriminatrice di diritto sostanziale in argomento e non modificarne la portata operativa in termini tali da formulare opzioni applicative fondate su soluzioni che rispondono ad una logica di interpretazione analogica in malam partem, non consentita in materia penale. In tale contesto è significativa la presa di posizione della Corte Costituzionale che, nell'esaminare una specifica questione processuale avente ad oggetto l'art. 521 cod. proc. pen., ha evidenziato il rischio che l'esercizio del relativo potere da parte del giudice possa determinare una violazione del principio di tassatività sancito dall'art. 25 Cost., che impone che "in materia penale il possibile significato letterale della legge fissa il limite estremo della sua legittima interpretazione". Ciò la Consulta ha fatto proprio con riferimento al rapporto tra le due norme incriminatrici previste dagli artt. 572 e 612-bis cod. pen., sottolineando come "il divieto di analogia in malam partem impon(ga) di chiarire se il rapporto affettivo dipanatosi nell'arco di qualche mese e caratterizzato da permanenze non continuative di un partner nell'abitazione dell'altro possa già considerarsi, alla stregua dell'ordinario significato di questa espressione, come una ipotesi di "convivenza"...(e se)... davvero possa sostenersi che la sussistenza di una (tale) relazione consenta di qualificare quest'ultima come persona appartenente alla medesima "famiglia" dell'imputato (...). In difetto di una tale dimostrazione, l'applicazione dell'art. 572 cod. pen. in casi siffatti - in luogo dell'art, 612-bis, secondo comma, cod. pen., che pure contempla espressamente l'ipotesi di condotte commesse a danno di persona "legata da relazione affettiva" all'agente - apparirebbe come il frutto di una interpretazione analogica a sfavore del reo della norma incriminatrice" (Corte cost., sent. n. 98 del 2021). In buona sostanza, alla luce di una esegesi rispettosa del principio costituzionale di legalità, ai fini della applicazione della norma incriminatrice dell'art. 572 cod. pen., di "convivenza" si può parlare solamente laddove risulti acclarata l'esistenza di una relazione affettiva qualificata dalla continuità e connotata da elementi oggettivi di stabilità: lungi dall'essere confuso con la mera coabitazione, il concetto di convivenza deve essere espressione di una stabile relazione personale caratterizzata da una reale condivisione e comunanza materiale e spirituale di vita. Seguendo questa impostazione la motivazione della sentenza impugnata, mentre si presenta corretta nella parte in cui ha ritenuto configurabile il reato di maltrattamenti in famiglia fino al momento in cui vi era stata convivenza tra il soggetto attivo e la persona offesa, è invece errata nella parte in cui ha sostenuto che il delitto di cui all'art. 572 cod. pen. fosse configurabile anche per le condotte tenute dall'odierno ricorrente in danno della ex compagna nel periodo in cui era cessata la loro convivenza: periodo con riferimento al quale andrà valutata, ovviamente nel rispetto del divieto di reformatio in peius, la possibilità di qualificare i fatti ai sensi dell'art, 612-bis cod. pen., con ogni conseguenza di legge in ordine all'eventuale declaratoria di estinzione del reato del capo b) e alle rideterminazione della pena per il reato del capo a). 4. Nel riconoscimento della fondatezza del terzo e del quarto motivo, resta assorbito l'esame del quinto motivo, poiché la delimitazione cronologica del riconosciuto reato di maltrattamenti in famiglia e la rideterminazione del trattamento sanzionatorio imporranno al giudice di rinvio di rivalutare la questione concernente il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche. La sentenza impugnata va, dunque, annullata limitatamente al dichiarato assorbimento del reato del capo b) in quello del capo a), nonché al trattamento sanzionatorio, con rinvio, per nuovo giudizio su tali punti, ad altra sezione della Corte di appello di Messina. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Messina. Così deciso il 30 aprile 2024. Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9329 del 2023, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Ra. De Vi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, contro l'Agenzia Nazionale per l'Amministrazione e la Destinazione dei Beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...), per la riforma della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima n. -OMISSIS-, resa tra le parti, sul ricorso per l'annullamento dell'ordinanza di sgombero ex art. 47, co. 2, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, di due immobili confiscati siti nel Comune di -OMISSIS-. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Agenzia Nazionale per l'Amministrazione e la Destinazione dei Beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata; Visti tutti gli atti della causa; Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 23 aprile 2024, il Cons. Angelo Roberto Cerroni e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. - Il signor -OMISSIS- è stato attinto da un'ordinanza di sgombero ex art. 47, comma 2, del d.lgs. n. 159/2011 dell'Agenzia Nazionale per l'Amministrazione e la Destinazione dei Beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (di seguito, breviter, Agenzia) n. -OMISSIS-del 23 novembre 2022, notificata il 2 dicembre 2022, relativa a due beni immobili, acquisiti al patrimonio dello Stato in forza di confisca e siti nel Comune di -OMISSIS-, via -OMISSIS-, censiti nel N.C.E.U. di detto Comune al foglio -OMISSIS-particella -OMISSIS-subb. -OMISSIS- Il provvedimento è stato impugnato innanzi al TAR per il Lazio sull'addebito, articolato in un unico motivo, di violazione dell'art. 823, co. 2, cod. civ., carenza di motivazione, erroneità dei presupposti di fatto e difetto di istruttoria. Il giudice di prime cure ha rigettato la domanda demolitoria dopo aver motivatamente disatteso la censura incentrata sulla sussistenza del diritto di proprietà sui beni confiscati in capo al ricorrente, sia in forza di un titolo negoziale non trascritto, sia in forza di una indimostrata usucapione, sia in virtù di un successivo provvedimento di assegnazione della casa familiare al coniuge. 2. - Assumendo l'illegittimità della prima statuizione, il sig. -OMISSIS-ha interposto rituale appello, assistito da domanda cautelare, col quale lamenta, da un lato, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore di quella del giudice ordinario atteso che i provvedimenti di autotutela esecutiva ex art. 823, co. 2, cod. civ. si atteggiano a strumenti rimediali alternativi alle ordinarie azioni giudiziali petitorie e possessorie spettanti alla cognizione del G.O.; dall'altro lato, contesta la qualificazione di occupante sine titulo e rivendica la piena proprietà del bene, alternativamente, in forza di acquisto a titolo derivativo conseguente ad atto negoziale di compravendita (datato 18 gennaio 2001) o di maturata usucapione ordinaria in virtù di possesso pacifico, continuo e ininterrotto ventennale in corso di accertamento innanzi al giudice civile. L'appellante oppone, altresì, un provvedimento di assegnazione degli immobili in parola, a titolo di casa familiare, disposto in favore della coniuge e dei tre figli a seguito del procedimento di separazione consensuale e lamenta, al contempo, la conculcazione del diritto all'abitazione, protetto a livello costituzionale (art. 2 Cost.) e sovranazionale (art. 8 CEDU). 3. - Si è costituita in giudizio l'Agenzia Nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei Beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata con comparsa di mero stile. 4. - All'esito della trattazione cautelare il Collegio, con ordinanza n. -OMISSIS-del 27 dicembre 2023, ha respinto la domanda di sospensione dell'efficacia della sentenza impugnata rilevando preliminarmente che il provvedimento di confisca è divenuto inoppugnabile in data 14 novembre 2019 e la conseguente acquisizione al patrimonio indisponibile dello Stato è stata regolarmente trascritta nei registri immobiliari come da risultanze ipotecarie versate in atti, sicché i titoli negoziali (atto di compravendita recato da scrittura privata non autenticata, né trascritta del 18 gennaio 2001), legali (usucapione ordinaria) e giudiziali (assegnazione della casa familiare a seguito di omologa dell'accordo di separazione del 17 novembre 2021) fatti valere dall'odierno appellante non paiono idonei a scalfire l'efficacia dell'acquisto a titolo originario disposto per confisca, vuoi perché inopponibili ai terzi (compravendita immobiliare non trascritta), vuoi perché successivi al perfezionarsi della fattispecie acquisitiva in favore dello Stato. 5. - L'Agenzia ha svolto attività difensiva in vista dell'udienza pubblica controdeducendo nel merito delle tre censure svolte in appello. Nulla ha ulteriormente dedotto la parte appellante. 6. - La causa è venuta in discussione all'udienza pubblica del 23 aprile 2024 all'esito della quale è stata spedita in decisione. 7. - L'appello è infondato per le ragioni che si espongono dappresso. 8. - In primis, va dichiarato inammissibile il motivo di appello teso a censurare il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo nel caso di impugnativa di provvedimenti adottati dall'amministrazione nell'esercizio della potestà di autotutela esecutiva di cui all'art. 823, co. 2, cod. civ.. La giurisprudenza amministrativa si è ormai consolidata nel ravvisare nella coltivazione di tale eccezione una condotta abusiva dello strumento processuale immeritevole di tutela da parte dell'ordinamento (ex multis, Cons. Stato, Ad. Plen., 29 novembre 2021, n. 19; Cons. Stato, Ad. plen., ord. 28 luglio 2017, n. 4): inammissibilità che non si fonda unicamente sul rilievo tecnico del difetto della qualità di soccombente in primo grado su quel capo decisorio, anche in via implicita (cfr. Cons. Stato, sez. V, 13 dicembre 2023, n. 10756), ma soprattutto sull'esigenza di sanzionare l'abuso del diritto di difesa ispirato a mere ragioni opportunistiche secundum eventum litis. Segnatamente, ponendosi nel solco della giurisprudenza civile (Cass., SS.UU., 20 ottobre 201-OMISSIS-n. -OMISSIS-; seguita poi dalle sentenze 19 gennaio 2017, n. 1907, 25 maggio 2018, n. 13192, e 24 settembre 2018, n. 22439), si opina che la parte che abbia adito la giurisdizione amministrativa con l'atto introduttivo del giudizio non sia legittimata a contestarla attraverso l'eccezione di difetto di giurisdizione in appello in spregio del divieto di venire contra factum proprium (cfr. Cons. Stato, sez. V, 7 marzo 2023, n. 2362). 8.1. - La fattispecie in esame ricade de plano nel paradigma appena tratteggiato, con l'aggiunta che l'inammissibilità è ulteriormente aggravata dalla peculiare laconicità dell'atto introduttivo del giudizio in ordine ai profili di giurisdizione denunciati poi in appello, con particolare riguardo ai mezzi rimediali alternativi all'autotutela esecutiva e alla relativa devoluzione al giudice ordinario. 9. - Venendo ai profili più strettamente di merito giova ripercorrere succintamente i fatti secondo una scansione diacronica. I beni immobili oggetto dell'ordinanza di sgombero sono stati acquisiti al patrimonio indisponibile dello Stato, in virtù della confisca disposta dalla sentenza n. -OMISSIS-del Tribunale di Napoli, Quarta Sezione penale, depositata in data 28 dicembre 201-OMISSIS-parzialmente riformata con sentenza n. -OMISSIS-emessa in data 31 dicembre 2018 dalla Corte di Appello di Napoli, Sesta Sezione penale, corretta con ordinanza emessa dalla medesima sezione della Corte di Appello in data 11 gennaio 2019 e divenuta irrevocabile a far data dal 14 novembre 2019 a seguito di sentenza della Suprema Corte di Cassazione, Sezione V, n. 3368/2019. La fattispecie acquisitiva in esame, costituita da un provvedimento di confisca di prevenzione, integra un modo di acquisto a titolo originario che estingue e travolge qualsiasi posizione, reale o obbligatoria, come disposto dagli artt. 45 e 52 d.lgs. n. 159/2011 (art. 45: "A seguito della confisca definitiva di prevenzione i beni sono acquisiti al patrimonio dello Stato liberi da oneri e pesi"; art. 52: "la confisca definitiva di un bene determina lo scioglimento dei contratti aventi ad oggetto un diritto personale di godimento o un diritto reale di garanzia, nonché l'estinzione dei diritti reali di godimento sui beni stessi"), salva la tutela dei diritti dei terzi nelle forme previste dal titolo IV del codice antimafia, subordinata comunque all'anteriorità del titolo. Nel caso venuto in esame, l'appellante, a dispetto delle allegazioni svolte, non comprova la titolarità di titoli di proprietà piena opponibili all'Amministrazione e, segnatamente: a) il contratto di compravendita versato in atti, stipulato tra -OMISSIS- il giorno 18 gennaio 2001, è stato confezionato in forma di scrittura privata non autenticata, né trascritta nei registri immobiliari di tal ché non costituisce titolo opponibile erga omnes dispiegando efficacia solo inter partes; b) la fattispecie acquisitiva a titolo originario in forza di usucapione ordinaria resta allo stato di mera allegazione sguarnita di supporto probatorio, essendo tuttora in corso i riferiti giudizi civili volti al relativo accertamento. A tutto concedere, nell'esercizio della cognizione incidentale accordata al Collegio ex art. 8 cod. proc. amm. non si ravvisano neanche i presupposti per la maturazione dell'usucapione ordinaria ex art. 1158 cod. civ. giacché, assumendo come dies a quo di immissione nel possesso il 18 gennaio 2001, non consta il decorso del ventennio di possesso pacifico e non clandestino, interrotto dalla sopravvenienza del provvedimento di confisca, adottata nel 2016 e divenuta irrevocabile nel 2019; c) quanto infine al provvedimento di assegnazione giudiziale dell'immobile a titolo di casa familiare alla coniuge affidataria dei tre figli preme soggiungere che il documento versato in atti è un mero decreto di omologa non accompagnato dal verbale di udienza e dalle note depositate nel relativo giudizio per la definizione delle condizioni della separazione, indi non è chiaramente evincibile l'assegnazione dell'immobile a titolo di casa familiare, perplessità ulteriormente avvalorata dal tenore testuale del decreto di omologa che fa riferimento alla mera "cessione delle rendite immobiliari indicate nell'allegato accordo". A ciò si aggiunga che l'omologa decretata dal giudice delegato dal Presidente del Tribunale di Napoli Nord risale al 25 novembre 2021, dunque in data ampiamente successiva all'irrevocabilità della confisca di prevenzione intervenuta a far data dal 14 novembre 2019, in più non risulta trascritta ai fini dell'opponibilità a terzi, come invece prescritto dall'art. 337-sexies cod. civ. che richiama il regime di pubblicità immobiliare di cui all'art. 2643 cod. civ.. Tale notazione riveste valenza assorbente e consente di prescindere da ogni digressione sul delicato bilanciamento tra effetti della confisca di prevenzione e tutela del diritto all'abitazione, pur non sottacendo per incidens la condivisibilità delle argomentazioni di merito svolte sul punto dal primo giudice. 10. - Tutto ciò considerato, l'appello deve essere conclusivamente respinto. 11. - Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante alla rifusione in favore dell'Agenzia resistente delle spese di lite, che si liquidano nell'importo di euro 3.000,00 (tremila/00) oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 19-OMISSIS-e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 201-OMISSIS-a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la persona dell'appellante. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Raffaele Greco - Presidente Giovanni Pescatore - Consigliere Nicola D'Angelo - Consigliere Luca Di Raimondo - Consigliere Angelo Roberto Cerroni - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta Ter ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 10375 del 2020, proposto da Ra. Eu. As. (R.E.), Te. S.r.l., Na. Ti. S.r.l., Li. - Co. Si. au., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Lu. Pa., con domicilio fisico eletto presso il suo studio in Roma, alla via (...), e domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dello Sviluppo Economico, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, alla via (...); nei confronti Ca. 10 S.r.l., Mu. Me. Coop. Soc. Coop. a r.l., non costituite in giudizio; e con l'intervento di ad opponendum: Associazione Tv Lo. ed altri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati To. Di Ni. e Fr. Iu., con domicilio fisico eletto presso lo studio del primo in Roma, alla via (...) e domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento, previa concessione di idonea misura cautelare ed eventuale rimessione alla corte costituzionale per la legittimità - del Decreto del Ministero dello Sviluppo economico del 12 ottobre 2020 recante "Definizione dei criteri di verifica e delle modalità di erogazione degli stanziamenti previsti a favore delle emittenti locali televisive e radiofoniche, ai sensi dell'articolo 195 del D.L. 19 maggio 2020, n. 34", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 279 del 09-11-2020; - del Decreto mise. AOO_COM.REGISTRO UFFICIALE. Int. 0057319. 13-11-2020 "Definizione dei criteri di verifica e delle modalità di erogazione degli stanziamenti previsti a favore delle emittenti locali televisive e radiofoniche, ai sensi dell'articolo 195 del D.L. 19 maggio 2020, n. 34"; - nonché ogni altro atto presupposto, conseguente, connesso o, comunque, ad esso collegato, ancorché non conosciuto. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dello Sviluppo Economico; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 maggio 2024 la dott.ssa Monica Gallo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO I. Con il ricorso all'esame del Collegio la parte ricorrente impugna, chiedendone l'annullamento, i Decreti ministeriali in epigrafe indicati recanti l'individuazione dei potenziali destinatari del contributo straordinario introdotto dall'articolo 195 del D.L. n. 34/2020, da utilizzarsi per la diffusione di messaggi istituzionali rivolti alla prevenzione del contagio da Covid-19, nonché le modalità di accesso allo stesso. Con il medesimo gravame la stessa parte ricorrente deduce, in relazione agli articoli 3 e 97 della Costituzione, l'illegittimità costituzionale dello stesso articolo 195 del D.L. n. 34/2020, nella parte in cui, nello stanziare l'importo di 50 milioni di euro per l'anno 2020 e di 20 milioni di euro per l'anno 2021, a valere sull'istituito "Fondo emergenza emittenti locali", ai fini dell'erogazione del citato contributo, individua le emittenti radiotelevisive locali beneficiarie dello stesso solo in quelle già inserite nelle graduatorie per l'anno 2019 approvate ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 2017, n. 146, che, facendone espressa domanda, "si impegnano a trasmettere i messaggi di comunicazione istituzionale relativi all'emergenza sanitaria all'interno dei propri spazi informativi". II. Il gravame viene affidato ai seguenti motivi di censura e rilievi: -"I. Violazione dell'art. 41 d.lgs. 177/2005. Violazione degli artt. 3 e 97 Cost. Eccesso di potere per illogicità ed irragionevolezza. Carenza di motivazione". Deduce sul punto la parte ricorrente che i Decreti impugnati restringerebbero illegittimamente la platea dei destinatari del contributo straordinario per i servizi informativi connessi alla diffusione del contagio da Covid-19 ai soggetti inseriti nelle graduatorie 2019 approvate ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 2017, n. 146 e che tale limitazione violerebbe sia l'art. 41 del D.lgs. n. 177/2005 (Testo unico della radiotelevisione) (il quale dispone che "Le somme che le amministrazioni pubbliche o gli enti pubblici anche economici destinano, per fini di comunicazione istituzionale, all'acquisto di spazi sui mezzi di comunicazione di massa, devono risultare complessivamente impegnate, sulla competenza di ciascun esercizio finanziario, per almeno il 15 per cento a favore dell'emittenza privata televisiva locale e radiofonica locale operante nei territori dei Paesi membri dell'Unione europea (...)") sia gli l'articoli 3 e 97 della Costituzione. Conclude il motivo di doglianza la parte ricorrente deducendo, altresì, il difetto di motivazione che inficerebbe la legittimità dei Decreti impugnati, nei quali non sarebbero, in tesi, adeguatamente rappresentate le ragioni poste a fondamento della contestata restrizione della platea delle emittenti aventi accesso al contributo straordinario de quo; -"II. Istanza di rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell'art. 195 del d.l. 1 maggio 2020, n. 34". Deduce la parte ricorrente l'incompatibilità della disciplina di cui all'articolo 195 del D.L. n 34/2020 con gli articoli nn. 3 e 97 della Costituzione: la norma recherebbe una "previsione volta a limitare l'accesso ad un fondo stabilito in occasione di un'emergenza sanitaria globale (che pertanto ha coinvolto tutti e sicuramente tutte le emittenti televisive e radiofoniche locali), tramite il rinvio ad una graduatoria formata in base a requisiti che nulla hanno a che vedere con l'emergenza sanitaria e le difficolta` da covid-19", e, in quanto tale, sarebbe "contraria ai principi di eguaglianza e ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione e, conseguentemente, al principio di buon andamento dell'Amministrazione di cui all'art. 97 Cost.". III. Si è costituito in giudizio il Ministero dello Sviluppo Economico resistendo al ricorso e chiedendone la reiezione sulla scorta di argomentazioni poi sviluppate nella memoria del 7 gennaio 2021. IV. Sono altresì intervenute in giudizio ad opponendum le società in epigrafe indicate, eccependo, in primis, l'inammissibilità del gravame per carenza di interesse, per non avere dimostrato la parte ricorrente e, in particolare, le due emittenti "di poter concretamente aspirare a partecipare alla ripartizione del Fondo" né di essere in possesso dei requisiti previsti dal d.P.R. n. 146/2017 per poter accedere alle graduatorie 2019. Nel merito gli intervenienti hanno dedotto l'infondatezza del ricorso. V. Alla Camera di Consiglio dell'11 gennaio 2021, con ordinanza n. 98 del 12 gennaio 2021, confermata in appello, l'istanza cautelare formulata dalla parte ricorrente è stata rigettata. VI. In vista della udienza pubblica del 21 maggio 2024 gli intervenienti ad opponendum hanno depositato memoria difensiva conclusiva, insistendo per l'inammissibilità e l'infondatezza del ricorso. VII. All'udienza pubblica del 21 maggio 2024 la causa è stata pertanto trattenuta in decisione. VIII. Il ricorso è infondato e va rigettato e tanto consente al Collegio di prescindere dall'esame della eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza originaria di interesse sollevata dagli intervenienti ad opponendum. VIII.1 Infondato è il motivo di gravame sub I, non essendo ravvisabili nella fattispecie i vizi ivi rubricati. VIII.1.1. Con riguardo alla dedotta violazione di legge, vero è che l'articolo 41 del D.lgs n. 177/2005 sancisce la regola, di carattere generale, secondo la quale la spesa per la comunicazione istituzionale da parte delle Pubbliche Amministrazioni deve essere riservata almeno per il 15% alle emittenti televisive private a carattere locale. Preliminarmente va osservato che tale norma individua soltanto la percentuale minima di risorse che, con riguardo ai servizi di comunicazione istituzionale, le Amministrazioni che se ne avvalgano devono assicurare alle emittenti locali. La stessa norma nulla invero aggiunge rispetto al criterio di erogazione di tale percentuale, la cui elargizione, nel rispetto del principio generale di cui all'articolo 12 della Legge n. 241/1990, non può prescindere dalla predeterminazione di criteri e requisiti di attribuzione da parte dell'Amministrazione competente. Né dal tenore della norma in esame, che come detto non affronta affatto il tema dei criteri di attribuzione delle risorse destinate alla comunicazione istituzionale, si evince, come vorrebbe parte ricorrente, che il citato 15% possa essere distribuito "a pioggia" fra tutte le emittenti locali esistenti. Prescindendo da tale profilo che attiene alla sussistenza della condizione dell'azione dell'interesse a ricorrere, nel merito, ciò che rileva ai fini della presente decisione è il rapporto sussistente tra la citata norma, che si assume violata dai D.M. impugnati, e quella alla quale i D.M. danno pedissequa attuazione, ovverossia l'articolo 195 del D.L. n. 34/2020. In effetti sia il D.M. del 12 ottobre 2020 sia il successivo D.M. del 13 novembre 2020, entrambi oggetto di impugnazione, recepiscono esattamente quanto prescritto dal citato articolo, il primo sancendo il riconoscimento, per l'anno 2020, di un contributo straordinario per i servizi informativi connessi alla diffusione del contagio da COVID-19 in favore delle emittenti radiofoniche e televisive locali che si impegnano a trasmettere i relativi messaggi all'interno dei propri spazi informativi ed il secondo individuando i potenziali beneficiari di tale contributo nei soggetti già presenti nella graduatoria elaborata ai sensi del D.P.R. n. 146/2017 per l'anno 2019. La norma di cui all'articolo 195 si inserisce nel più ampio contesto delle misure emergenziali introdotte nell'ordinamento dal D.L. n. 34/2020 e, nello specifico momento pandemico, istituisce uno speciale fondo preordinato ad assicurare, nei tempi contingentati della emergenza, la repentina diffusione di messaggi informativi sul contagio da Covid-19. Trattasi di una norma ad hoc, che istituisce un fondo straordinario a destinazione vincolata, essendo rivolto esclusivamente a finanziare uno specifico tipo di pubblicità istituzionale (ad oggetto l'informativa sul contagio da Covid-19) e per un periodo temporalmente limitato ed ancorato alla fase di emergenza sanitaria (i messaggi avrebbero dovuto essere mandati in onda, per un totale minimo di 60 giornate di campagna istituzionale, distribuite nell'intervallo temporale dal mese di dicembre 2020 al mese di aprile 2021). Orbene, essendo il D.L. n. 34/2020 fonte di rango primario alla stessa stregua del D.lgs n. 177/2005, l'antinomia denunciata dalla parte ricorrente fra i rispettivi articoli 195 e 41 va risolta sulla base dei noti criteri cronologico (lex posterior derogat priori) e di specialità (lex specialis derogat generali). L'articolo 195 del D.L. n. 34/2020 rientra nel novero delle norme eccezionali dettate in un evidente contesto contingente ed emergenziale per combattere la pandemia e, in ragione di tale contesto di riferimento, peraltro temporalmente limitato, ha introdotto elementi derogatori rispetto alla normativa di carattere generale e precedente di cui al citato articolo 41 del D.lgs n. 177/2005. Se ne deve concludere che i Decreti ministeriali impugnati, siccome adottati in attuazione dell'articolo 195 del D.L. n. 34/2020 quale norma di carattere speciale, non possono essere giudicati illegittimi per violazione della norma generale recata dall'articolo 41 del D.lgs n. 177/2005, in quanto tale norma, come visto, secondo i criteri che regolano le antinomie normative, deve essere considerata senz'altro cedevole rispetto alla portata derogatoria della prima. VIII.1.2. Sempre in relazione al primo motivo di doglianza neppure sussiste nella fattispecie il dedotto vizio di motivazione. Si premette che la natura di atti generali propria dei Decreti impugnati, evidentemente rivolti ad un numero incerto di destinatari, determina la non applicabilità dell'obbligo di puntuale motivazione di cui all'articolo 3 della Legge n. 241/1990 che espressamente prevede che quest'ultima non sia richiesta "per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale". In ogni caso, anche a voler prescindere dalla qualificabilità dei citati D.M. quali atti generali, gli stessi recano un contenuto del tutto vincolato siccome dettato dall'articolo 195 del D.L. n. 34/2020 espressamente e puntualmente richiamato negli stessi. Quando l'attività dell'Amministrazione è vincolata, perché sia assolto l'obbligo di motivazione di cui art 3 L. n. 241/1990, è sufficiente l'indicazione del presupposto normativo di riferimento che comporta l'adozione del provvedimento, e ciò in ragione della circostanza per la quale, in tali fattispecie, la selezione e ponderazione dei sottesi interessi risulta compiuta a monte dallo stesso legislatore. VIII.1.3. Le ulteriori doglianze mosse nei confronti dei Decreti Ministeriali gravati, con particolare riguardo alla contestata scelta di utilizzazione della graduatoria 2019 relativa alla distribuzione del contributo ex D.P.R. n. 146/2017 per la erogazione delle risorse di cui al diverso "Fondo emergenze emittenti locali", non possono essere scrutinate da questo giudice come vizi propri degli stessi, atteso che, come innanzi rappresentato, i ridetti decreti si limitano a dare pedissequa applicazione, senza innovare alcunché, rispetto alla norma di legge di cui al richiamato articolo 195 del D.L. n. 34/2020. VIII.2. Va invece esaminata la questione di illegittimità costituzionale che parte ricorrente sottopone al Collegio, deducendo la sussistenza di un conflitto fra quanto prescritto dall'articolo 195 del D.L. n. 34/2020 e poi sancito dai DD.MM. che ne danno attuazione, e gli articoli 3 e 97 della Carta fondamentale. La questione, tuttavia, appare manifestamente infondata sia in relazione all'articolo 3 che in relazione all'articolo 97, rispetto ai quali è possibile una interpretazione costituzionalmente orientata e conforme a Costituzione della norma contestata. Parte ricorrente deduce l'illegittimità costituzionale dell'articolo 195 D.L. 34/2020 citato per aver esso limitato "l'accesso ad un fondo stabilito in occasione di un'emergenza sanitaria globale (che pertanto ha coinvolto tutti e sicuramente tutte le emittenti televisive e radiofoniche locali), tramite il rinvio ad una graduatoria formata in base a requisiti che nulla hanno a che vedere con l'emergenza sanitaria e le difficolta` da covid-19". Sennonché il contributo di cui si controverte, a valere sul "Fondo emergenza emittenti locali", non aveva la finalità di compensare o tenere indenni gli operatori di settore rispetto alle perdite conseguenti alla crisi pandemica, ma soltanto quella di assicurare, finanziandone la spesa, la tempestiva diffusione di messaggi informativi sul contagio da Covid-19, a scopo di prevenzione e di tutela della salute pubblica. Trattasi all'evidenza di una misura rientrante fra quelle, non di sostegno economico, ma di politica sociale, anch'esse, insieme alle prime, oggetto del D.L. n. 34/2020 siccome espressamente annoverate all'articolo 1 del citato Decreto. La scelta del legislatore, necessitata dalla urgenza ed emergenza pandemica, di individuare i soggetti ai quali affidare la missione istituzionale di diffondere i messaggi informativi sul contagio da Covid-19 in quelli già selezionati e presenti nella graduatoria ex D.P.R. n. 146/2017 è compatibile con tale specifica finalità del contributo: non trattandosi di misura compensativa, la circostanza, dedotta dalla parte ricorrente, che lo stato di emergenza sanitaria abbia coinvolto indiscriminatamente tutte le emittenti, senza alcuna distinzione, non assume rilievo rispetto alla gestione dello specifico contributo. Donde, sotto tale primo aspetto, l'esclusione di un manifesto conflitto con il principio di uguaglianza e di buon andamento dell'azione amministrativa. L'esame della compatibilità della norma di cui all'articolo 195 del D.L. n. 34/2020 con l'articolo 3 della Carta Costituzionale conduce poi a concludere per la proporzionalità e ragionevolezza della prima anche per effetto della strutturale temporaneità della misura di cui si controverte e del non irragionevole bilanciamento, operato dal legislatore e sotteso alla ratio della norma, tra la dimensione individuale dei diritti costituzionalmente garantiti, come incisi dalla stessa, e quella collettiva del diritto alla salute. Come affermato dalla Corte Costituzionale nella decisione n. 213/2021, "nella eccezionale situazione di emergenza sanitaria, la discrezionalità del legislatore nel disegnare misure di contrasto della pandemia, bilanciando la tutela di interessi e diritti in gioco, è più ampia che in condizioni ordinarie". Rispetto a tale maggiormente estesa discrezionalità la semplificazione della procedura di individuazione delle emittenti attraverso le quali attuare la specifica finalità informativa perseguita dal legislatore con l'articolo 195 non appare manifestamente irragionevole. Nelle circostanze emergenziali esistenti al momento della introduzione nell'ordinamento della citata norma il dovere di solidarietà sociale, nella sua dimensione orizzontale, deve essere ritenuto idoneo a giustificare il temporaneo sacrificio di alcuni a beneficio dell'interesse collettivo alla tutela della salute. A fronte di malattie altamente contagiose in grado di diffondersi a livello globale, ragioni logiche, prima che giuridiche, ben possono radicare, infatti, nell'ordinamento costituzionale l'esigenza di una disciplina, di carattere eccezionale, funzionale ad assicurare la tutela dell'interesse della collettività . In tale contesto la tutela del principio di uguaglianza invocato da parte ricorrente, piuttosto che limite, diviene ragione fondante della stessa misura emergenziale ove letto da una diversa prospettiva: quella dell'uguaglianza delle persone nell'esercizio del fondamentale diritto alla salute. Con riguardo alla specifica misura introdotta dall'articolo 195 in contestazione è evidente, infatti, che i tempi del contagio e le conseguenze dello stesso rendessero prioritario favorire, nel più breve tempo possibile, la diffusione dei messaggi sul virus, onde fare in modo che tutta la popolazione, nel rispetto del principio di uguaglianza sostanziale di cui al secondo comma dell'articolo 3 della Costituzione, senza distinzione alcuna, disponesse delle medesime informazioni e conoscenze relative al Covid-19. Di contro il tempo necessario all'avvio ed alla conclusione di una procedura selettiva ex novo per l'attribuzione del relativo contributo, non solo avrebbe determinato un aggravio che il legislatore ha ragionevolmente reputato insostenibile rispetto alle immediate esigenze di diffusione dei messaggi istituzionali di prevenzione, ma, nelle more del suo dispiegarsi, avrebbe causato fra i cittadini una disomogeneità di conoscenze, questa sì lesiva del principio di uguaglianza rispetto al diritto a godere delle medesime condizioni di tutela della propria salute. Depongono dunque nel senso della non fondatezza dei dubbi di legittimità costituzionale dell'articolo 195 del D.L. 34 /2020 rispetto all'articolo 3 la genetica transitorietà della disciplina, che ne giustifica l'eccezionalità, connessa alla repentinità ed imprevedibilità della crisi ed ai profili di tutela della salute che imponevano l'urgente rimozione di ogni ostacolo alla piena conoscenza del virus e delle modalità di contagio esistente nella popolazione. In relazione all'articolo 97 della Costituzione poi, la ragionevolezza intrinseca alla scelta del legislatore, nella automatica individuazione dei soggetti ai quali affidare la pubblicizzazione dei messaggi relativi alla diffusione del contagio da Covid-19 sulla base di una graduatoria già confezionata, consente di concludere per la compatibilità della norma censurata con tale articolo. Tanto perché, nel bilanciamento fra l'interesse alla tutela della salute collettiva e quello, individuale, alla percezione di una risorsa economica (di natura straordinaria e non avente, come detto, finalità compensativa né indennitaria), necessitato dallo specifico contesto pandemico in cui si inserisce la norma contestata, la scelta preferenziale a favore della cura del primo non può che essere considerata espressione di buon andamento dell'azione amministrativa. IX. In conclusione il ricorso è infondato e va rigettato. Non sussistono i presupposti per sollevare la questione di legittimità costituzionale in relazione all'articolo 195 del D.L. n. 34/2020, difettando, nella fattispecie, per quanto innanzi detto, il presupposto della non manifesta infondatezza della stessa. X. Le spese di giudizio possono essere integralmente compensate fra le parti attese la peculiarità e la novità della questione. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Compensa integralmente fra tutte le parti le spese di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Rita Tricarico - Presidente Monica Gallo - Referendario, Estensore Valentino Battiloro - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: ERNESTINO LUIGI BRUSCHETTA Presidente ENRICO MANZON Consigliere GIOVANNI LA ROCCA Consigliere-Rel. LUNELLA CARADONNA Consigliere MARIA GIULIA PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA Consigliere Oggetto: TRIBUTI ACCERTAMENTI BANCARI Ud.06/12/2023 PU ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 18120/2018 R.G. proposto da: FORNO ETTORE, domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato DI PAOLA NUNZIO SANTI GIUSEPPE (DPLNZS67B25C351B); -ricorrente- contro AGENZIA DELLE ENTRATE, domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (ADS80224030587) che la rappresenta e difende; -controricorrente e ricorrente incidentale- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. PALERMO n. 5083/2017 depositata il 18/12/2017. Udita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni La Rocca nella pubblica udienza del 6 dicembre 2023, Letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Alberto Cardino, che ha concluso per l’accoglimento del primo e terzo motivo di ricorso, non essendo comparso nessuno per le altre parti. FATTI DI CAUSA 1. Secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata, Ettore Forno, titolare di omonima ditta individuale esercente il commercio di prodotti di telefonia, ha impugnato l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate contenente la determinazione di maggiori ricavi e minori costi deducibili per il 2008 con conseguente recupero di imposte. 2. L'accertamento di maggiori ricavi era fondato, per la gran parte, su accertamenti bancari che il contribuente ha contestato osservando che l’Agenzia aveva acriticamente recepito le risultanze del PVC della Guardia di finanza senza svolgere alcun controllo e la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Enna ha accolto il ricorso, osservando che l’Ufficio non aveva approfondito le giustificazioni rese dal Forno in ordine alle movimentazioni bancarie contestate. 3. Il gravame erariale è stato accolto dalla Commissione Tributaria Regionale (CTR) della Sicilia, la quale ha osservato che l’art. 32 d.P.R. n. 600/1973 in tema di accertamenti bancari pone una presunzione legale a favore dell’Amministrazione, cosicché incombe sul contribuente l’onere di giustificare i versamenti o dimostrare che i prelevamenti erano già stati considerati nella determinazione della base imponibile ovvero erano irrilevanti a quei fini, non essendo onere dell’Amministrazione “approfondire” le proprie indagini sulla base delle giustificazioni fornite dal contribuente. 4. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Forno fondato su cinque motivi. 5. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate che propone ricorso incidentale fondato su un motivo. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Preliminarmente deve esaminarsi l’eccezione di tardività del ricorso iniziale sollevata dall’Agenzia: notificato l’atto impugnato il 23.2.2012, il contribuente aveva proposto ricorso soltanto il 20.7.2012 confidando, secondo la controricorrente, nel termine di sospensione di gg. 90 di cui all’accertamento con adesione che era stato richiesto con chiari intenti dilatori in quanto l'istanza non conteneva alcuna proposta e il contribuente, invitato al contraddittorio, non si era presentato. 1.1. L'eccezione è infondata. 1.2. La giurisprudenza di legittimità ha affermato che la mancata comparizione del contribuente alla data fissata per la definizione, in via amministrativa, della lite, sia essa giustificata o meno, non interrompe la sospensione del termine di novanta giorni per l'impugnazione dell'avviso di accertamento, in quanto detto comportamento non è equiparabile alla formale rinuncia all'istanza, né è idoneo a farne venir meno ab origine gli effetti (Cass. n. 27274 del 2019). L’effetto sospensivo del termine di impugnazione è automatico (Cass. n. 21096 del 2018) e non può dipendere da indagini sulla effettiva intenzione del contribuente di addivenire ad un accordo transattivo, pena l’intollerabile incertezza sulla operatività della sospensione e sul verificarsi della decadenza dall’impugnazione che, per loro stessa natura, debbono essere ancorate unicamente ad eventi oggettivi e immediatamente verificabili. 2. Passando al ricorso principale, con il primo motivoil contribuente deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 nn. 3 e 4, nullità della sentenza per assoluto difetto di motivazione in violazione degli artt. 36 e 61 d.lgs. n. 546/1992 in quanto la motivazione resa dalla CTR non dava conto della complessa articolazione delle controdeduzioni in appello. 3. Con il secondo motivodeduce, in relazione all’art. 360 comma 1 nn. 3 e 4 c.p.c., nullità della sentenza per assoluto difetto di motivazione e omesso esame circa un fatto decisivo nella parte in cui la CTR non si è pronunciata sull’eccezione di inesistenza giuridica dell’avviso impugnato per carenza del potere dirigenziale del direttore firmatario, alla luce della sentenza n. 37/2015 della Corte costituzionale, e ciò in quanto «pare» che la nomina del Direttore Provinciale che aveva sottoscritto l’atto impugnato «rientrerebbe» tra quelle interessate dalla predetta dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 8 comma 24 del d.l. n. 16/2012. 4. Con il terzo motivo deduce, in relazione agli artt. 360 comma 1 nn. 3 e 4, nullità della sentenza per assoluto difetto di motivazione, violazione e falsa applicazione dell’art. 32 d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 51 del d.P.R. n. 633/1972, avendo la CTR accolto l’appello dell’Ufficio senza esaminare le giustificazioni che il contribuente aveva fornito in ordine alle movimentazioni bancarie contestate né precisare perché quelle giustificazioni, che il Giudice di prime cure aveva ritenuto «affidabili», erano state invece disattese in appello. 5. Con il quarto motivo deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 nn. 4 e 5 c.p.c., «nullità della sentenza per assoluto difetto di motivazione e omesso esame circa un fatto decisivo nella parte in cui si contesta l’acquiescenza parziale della sentenza per non aver l’Ufficio indicato la categoria di reddito cui ascrivere l’imponibile recuperato»: in sostanza, il ricorrente rileva che nel giudizio d’appello si era eccepita l’acquiescenza dell’Agenzia sul capo della sentenza di primo grado che aveva annullato l’accertamento perché non era stata indicata la categoria di reddito a cui ascrivere il rilevante imponibile recuperato, «certamente non correlabile all’attività economica esercitata», poiché l’appellante aveva contestato solo l’idoneità della documentazione prodotta a giustificare i movimenti bancari contestati; su tale eccezione, mai contestata dall’Ufficio, la CTR non si era pronunziata. 6. Con il quinto motivo deduce, in relazione agli artt. 360 comma 1 nn. 4 e 5 c.p.c., nullità della sentenza per assoluto difetto di motivazione e omesso esame di fatti decisivi riportati nei rilievi indicati nelle controdeduzioni (da pagg. 18 a pag. 74) e mai esaminati dalla CTR, così riassunti in ricorso: I) nullità dell’accertamento per insanabile difetto di motivazione, mancata indicazione della metodologia di accertamento (pagg. 18-21); II nullità dell’accertamento per aver omesso l’Ufficio qualsiasi controllo o confronto nei riguardi del contribuente (pagg. 21-22); III infondatezza dei rilievi relativi alla presunta inattendibilità della contabilità (pagg. 23-27); IV sulle indagini finanziarie (pagg. 27- 76). 7. Il primo motivo è infondato. 7.1. E’ noto chenon essendo più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del "minimo costituzionale" richiesto dall'art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi - che si convertono in violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale", di "motivazione apparente", di "manifesta ed irriducibile contraddittorietà" e di "motivazione perplessa od incomprensibile", purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata (Cass. n. 23940 del 2018; Cass. sez. un. 8053 del 2014), a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v., ultimamente, anche Cass. n. 7090 del 2022). Questa Corte ha, altresì, precisato che «la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da "error in procedendo", quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Cass., sez. un., n. 22232 del 2016; conf. Cass. n. 9105 del 2017). 7.2. In questo caso la motivazione raggiunge il c.d. “minimo costituzionale” ed esprime chiaramente la sua ratio decidendi, fondata sull’inottemperanza da parte del contribuente all’onere di prova a suo carico, «per i versamenti e i prelevamenti non giustificati», al fine di superare la presunzione legale posta dall’art. 32 comma 2 cit. a favore dell’Amministrazione, la quale, prosegue la CTR, non è tenuta ad approfondire le giustificazioni rese dal contribuente in ordine alle movimentazioni contestate, come erroneamente ritenuto dai giudici di prime cure. 8. Il secondo motivo è inammissibile per difetto di specificità e autosufficienzaesprimendosi in maniera ipotetica e dubitativa sul fatto che la nomina del soggetto che aveva sottoscritto l’atto rientrasse tra quelle incise dalla pronunzia di incostituzionalità. 8.1. Il motivo, in ogni caso, è infondato nel merito alla luce di Cass. n. 22810 del 2015 secondo cui «In tema di accertamento tributario, ai sensi dell'art. 42, commi 1 e 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, gli avvisi di accertamento in rettifica e gli accertamenti d'ufficio devono essere sottoscritti a pena di nullità dal capo dell'ufficio o da altro funzionario delegato di carriera direttiva e, cioè, da un funzionario di area terza di cui al contratto del comparto agenzie fiscali per il quadriennio 2002-2005, di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale, con la conseguenza che nessun effetto sulla validità di tali atti può conseguire dalla declaratoria d'incostituzionalità dell'art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, convertito nella l. n. 44 del 2012» (conf. Cass. n. 5177 del 2020). 9. Il terzo motivo è inammissibile. 9.1. In tema di accertamenti bancari, grava sul contribuente l'onere di superare la presunzione di legge dimostrando in modo analitico l'estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili, in questo caso il Giudice di merito è tenuto ad effettuare una verifica rigorosa in ordine all'efficacia dimostrativa delle prove fornite dallo stesso contribuente, avuto riguardo ad ogni singola movimentazione e dandone conto in motivazione(Cass. n. 35258 del 2021). Tale preciso ed analitico onere della prova contraria non può essere assolto solo attraverso il ricorso a dichiarazioni di terzi, non potendo queste ultime assurgere né a rango di prove esclusive della provenienza del reddito accertato, né essere idonee, di per sé, a fondare il convincimento del Giudice (Cass. n. 6405 del 2021; Cass. n. 22302 del 2022); con riguardo ai prelevamenti, in particolare, non è sufficiente neppure la mera indicazione del nominativo dell’asserito beneficiario, in quanto ciò permetterebbe facili elusioni della presunzione, ma la deduzione deve essere accompagnata da una qualche documentazione che giustifichi la cagione del prelevamento a favore del terzo o, comunque, da elementi che rendano credibili che tale prelevamento sia stato effettuato al di fuori dell’attività di impresa, in modo da fornire la prova che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili (Cass. n. 16896 del 2014; Cass. n. 13035 del 2012; Cass. n. n. 25502 del 2011). 9.2. La denunzia dell’omessa verifica da parte del giudice di merito delle prove fornite dal contribuente, da svolgersi con riguardo ad ogni singola movimentazione e dandone conto in motivazione (Cass. n. 15161 del 2020; Cass. n. 16896 del 2014), presuppone quindi che il contribuente abbia dedotto in modo analitico l'estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili; in questo caso, in cui l’Agenzia ha chiarito che l’avviso impugnato aveva riguardato soltanto le movimentazioni bancarie su cui non si era data alcuna giustificazione o la giustificazione era sprovvista di idonea documentazione, il motivo difetta di autosufficienza; il ricorrente non ha allegato le analitiche giustificazioni e prove relative alle movimentazioni bancarie contestate, che il giudice di merito avrebbe dovuto verificare e valutare; la doglianza resta estremamente generica, manca di puntuali riferimenti alle deduzioni difensive e a tale carenza non può supplire il mero richiamo della sentenza di primo grado che aveva ritenuto «affidabili» le giustificazioni del contribuente. 10. Anche il quarto motivo è inammissibile e, in ogni caso, la questione proposta è infondata. 10.1. Da un lato, come già si è osservato, non ricorre nella sentenza impugnata un difetto assoluto di motivazione e, dall’altro, non è ravvisabile nel motivo l’omesso esame di un fatto decisivo denunciandosi una questione riguardante l’interpretazione e valutazione degli atti processuali (sul contenuto del “fatto decisivo”, v. par. 11.2); il motivo tende, piuttosto, all’esame di quella questione ma non si confronta con il principio, affermato da questa Corte, secondo cui la mancata impugnazione di una o più affermazioni contenute nella sentenza può dare luogo alla formazione del giudicato interno soltanto se le stesse siano configurabili come capi completamente autonomi, risolutivi di questioni controverse che, dotate di propria individualità ed autonomia, integrino una decisione del tutto indipendente, e non anche quando si tratti di mere argomentazioni, oppure della valutazione di presupposti necessari di fatto che, unitamente agli altri, concorrano a formare un capo unico della decisione (Cass. n. 20951 del 2022; Cass. n. 40276 del 2021; Cass. n. 21566 del 2017; Cass. n. 4732 del 2012); in questo caso, la questione non costituisce autonoma ratio decidendi ma è uno dei profili cui deve estendersi, secondo i Giudici di primo grado, l’onere di prova in capo all’Agenzia che peraltro, denunziando «violazione degli artt. 32 del dpr 600 del 1973 e 51 del dpr 633 del 19872 in relazione alle indagini finanziarie» nonché «omessa carente ed erronea motivazione» (v. sentenza della CTR), ha aggredito in termini assai ampi la sentenza di primo grado, in modo da ricomprendere nel gravame anche quel profilo. 11. Il quinto motivo, infine, è inammissibile sotto svariati profili. 11.1. Anche in questo caso la doglianza presenta un difetto di autosufficienza in quanto non riporta i “fatti decisivi” il cui esame sarebbe stato omesso ma il contribuente si limita a rinviare alle sue corpose controdeduzioni difensive in appello (da pag. 18 a pag. 74 delle controdeduzioni), lasciando alla Corte il compito di ricercare ed individuare quegli elementi che, invece, era suo onere indicare in maniera puntuale. 11.2. Dalla riassuntiva esposizione, poi, si desume che l’omesso esame lamentato non riguarda tanto fatti storici decisivi quanto la valutazione di elementi probatori e la valutazione di singole doglianze e allegazioni difensive. La censura di cui all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, deve riguardare un fatto storico, principale o secondario, ossia un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico- naturalistico, la cui esistenza risulti dalla sentenza o dagli atti processuali, che ha costituito oggetto di discussione tra le parti e ha carattere decisivo (Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017), senza che possano considerarsi tali né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, né le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio (ex multis, v. Cass. n. 10525 del 2022; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 5795 del 2017). 12. Con l’unico motivo di ricorso incidentale,l’Agenzia delle entrate ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. da parte della CTR che non si era pronunciata con riguardo a maggiori ricavi per euro 11.665,95, relativi a incassi documentati con scontrino fiscale su cui non era stata riportata l’annotazione “corrispettivo non pagato”. 12.1. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza mancando la puntuale indicazione della riproposizione del rilievo come motivo d’appello contro la sentenza di primo grado che aveva annullato per intero l’avviso di accertamento. La deduzione della violazione dell'art.112 c.p.c. in sede di legittimità postula che la parte abbia formulato la domanda o l'eccezione in modo autonomamente apprezzabile ed inequivoco e che la stessa sia stata puntualmente riportata nel ricorso per cassazione nei suoi esatti termini, con l'indicazione specifica dell'atto difensivo o del verbale di udienza in cui era stata proposta (Cass. n. 16899 del 2023; Cass. n. 29952 del 2022; Cass. n. 28184 del 2020); Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d'ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del "fatto processuale", intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all'onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un'autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi (Cass. n. 28072 del 2021). 13. Conclusivamente devono essere rigettati entrambi i ricorsi e la reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese. P.Q.M. rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale; compensa le spese; Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13. Così deciso in Roma, il 06/12/2023. Il Consigliere estensore Il Presidente GIOVANNI LA ROCCA ERNESTINO LUIGI BRUSCHETTA

  • REPUBBLICA ITALIANA LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta da: Dott. BONI Monica - Presidente Dott. MANCUSO Luigi Fabrizio Augusto - Consigliere Dott. DI GIURO Gaetano - Relatore Dott. MAGI Raffaello - Consigliere Dott. CENTONZE Alessandro - Consigliere ha pronunciato la seguente sentenza sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI TRIESTE nel procedimento a carico di: Me.St. nato il Omissis inoltre: Persone offese/Parti civili Re.Cr. Ro.Pa. De.Vi. Ro.Gi. De.Fa. Mo.Mo. Do.Gi. Sa.Va. MINISTERO DELL'INTERNO ASSOCIAZIONE (omissis) avverso la sentenza del 28/04/2023 della CORTE ASSISE APPELLO di TRIESTE visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere GAETANO DI GIURO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ANTONIETTA PICARDI che ha concluso chiedendo Il PG conclude chiedendo l'inammissibilità del ricorso, udito il difensore L'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, in difesa del Ministero dell'Interno, parte civile, conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso del PG e l'annullamento della sentenza impugnata. Precisa, inoltre, che la prospettata questione di legittimità costituzionale si presenta inammissibile poiché manifestamente infondata. L'avvocato BI.VA. conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso del PG e l'annullamento della sentenza della Corte di Appello di Trieste. L'avvocato FE.GI. conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso del PG. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di assise di appello di Trieste ha confermato la sentenza della Corte di assise di Trieste del 6 maggio 2022 nei confronti di Me.St., appellata dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Trieste e dallo stesso imputato in via incidentale con ricorso per cassazione convertito in appello, che assolveva il suddetto per vizio totale di mente dai reati a lui ascritti (duplice omicidio ai danni degli agenti di polizia Ro.Pi. e De.Ma., tentato omicidio nei confronti di sette agenti di polizia, furto con strappo della pistola Beretta in dotazione dell'agente Ro.Pi., furto aggravato della pistola sottratta all'agente De.Ma. e rapina di un motociclo Aprilia) disponendo la misura di sicurezza del ricovero in Rems per la durata minima di anni trenta. 2. Propone ricorso per cassazione avverso la suddetta pronuncia il Procuratore generale presso la Corte di appello di Trieste. 2.1. Con il primo motivo di impugnazione viene eccepita, in via preliminare, l'illegittimità costituzionale dell'art. 608, comma 1 -bis cod. proc. pen. per violazione degli artt. 3 e 111 Cost. Ci si duole che con la legge n. 103 del 2017 sia stato introdotto il divieto per il P.m. di proporre ricorso per cassazione per motivi diversi da quelli di cui alle lettere a), b) e c) dell'art. 606 cod. proc. pen., in caso di sentenza di conferma della decisione di proscioglimento in primo grado (c.d. doppia conforme assolutoria). Si rileva che tale questione è fondata per l'abnorme disparità di trattamento - con violazione quindi del suddetto art. 3 - con la disciplina prevista per l'imputato, non ponendo l'art. 607 cod. proc. pen. limiti al ricorso dell'imputato anche in caso di doppia conforme di condanna, e per la violazione del suddetto art. Ili, in particolare del comma 5, escludendosi la possibilità di ricorso anche in presenza di motivazioni illogiche, apparenti, palesemente contraddittorie, basate su prove parziali o addirittura prive di reale motivazione, nonostante l'obbligo di motivazione delle sentenze vada inteso non solo in senso formale ma anche in senso sostanziale. Si aggiunge che tale questione è, inoltre, rilevante ai fini del ricorso proposto, le cui doglianze attengono al vizio di motivazione e all'assunzione di una prova decisiva, e, quindi, in assenza della previa rimozione dello sbarramento di cui al comma 1 -bis dell'art. 608 cod. proc. pen., andrebbero dichiarate inammissibili. Passando, quindi, al primo profilo di censura, il ricorrente deduce erronea valutazione della prova, con riferimento alle diverse consulenze psichiatriche, e, quindi, motivazione del tutto non esaustiva e contraddittoria rispetto al dato processuale. Rileva come nel corso del procedimento fossero intervenuti con esiti dissonanti numerosi esperti (il collegio dei consulenti tecnici del P.m. e il perito nominato in dibattimento, prof. Fe.St., avevano concluso per il vizio totale di mente, mentre il collegio dei periti nominati nell'incidente probatorio aveva optato per la seminfermità mentale) e che per tale motivo veniva richiesta alla Corte territoriale la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale mediante nuova perizia volta ad eliminare ogni dubbio. Osserva il ricorrente che, mentre il collegio dei periti dell'incidente probatorio svolgeva una lunga osservazione delle condizioni di Me.St. avvalendosi anche di un perito di madrelingua spagnola come l'imputato che agevolava il rapporto dialettico con lo stesso, la perizia dibattimentale del Prof. Fe.St. si basava su una limitata osservazione del periziando anche per le reazioni del medesimo, che può avere inficiato le sue valutazioni finali, nonché su un'inadeguata valutazione dello stato di alterazione da stupefacenti e della condotta tenuta dall'imputato durante la commissione dei fatti, lucida, determinata e decisa, tale da dimostrare una non comune capacità di giudizio e da escludere che il delirio persecutorio individuato dal prof. Fe.St. fosse l'unico fattore condizionante. Lamenta che, ciò nondimeno, la Corte di assise di appello ha ritenuto il vizio totale di mente, in adesione apodittica e comunque scientificamente non convincente alle conclusioni del perito nominato in sede dibattimentale, individuando una serie di riscontri "interni ed esterni" alla tesi peritale del vizio totale di mente, invece non fondati; quali, quanto ai primi, l'autorevolezza del prof. Fe.St., che però non è superiore a quella dell'intero collegio peritale dell'incidente probatorio, e, quanto ai secondi, la concordanza con le relazioni sanitarie trasmesse dalla Germania, che però risultano attinenti a fatti diversi e ad epoca antecedente di alcuni anni rispetto ai fatti per cui si procede, e con le conclusioni dei consulenti della difesa, con i quali, peraltro, il perito risulta avere avuto rapporti di collaborazione professionale. 2.2. Col secondo motivo di ricorso si deduce violazione delle norme processuali sulla mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale mediante nuova perizia collegiale diretta ad accertare lo stato di mente dell'imputato al momento del fatto, richiesta con motivo di appello dalla Procura generale, e sulla mancata rinnovazione dell'intera istruttoria dibattimentale ai sensi dell'art. 603, comma 3-bis cod. proc. pen. di cui alla richiesta orale proveniente dalla parte civile "Associazione Feriti e Vittime della Criminalità e del Dovere", cui risultano essersi associate le altre parti civili e alla quale non si è opposto il Procuratore generale. Lamenta il ricorrente che le due richieste sono state rigettate con ordinanze immotivate e che tale vizio non può ritenersi sanato dalle argomentazioni dedotte nella successiva sentenza di appello. Il Procuratore generale impugnante insiste per l'annullamento della sentenza impugnata e per l'adozione di ogni altra statuizione di legge. 3. Il Procuratore generale presso questa Corte presenta requisitoria scritta, da valutarsi, in ragione della richiesta di trattazione orale formulata nell'interesse delle parti civili, come memoria, nella quale insiste per l'infondatezza e la non rilevanza ai fini della decisione della questione di legittimità costituzionale sollevata, e per la preclusione dell'esame dei motivi di ricorso, in ogni caso inammissibili. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Trieste è nel complesso infondato e va, pertanto, rigettato. 1.1. Manifestamente infondata è la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal ricorrente in via preliminare, su cui questa Corte già risulta essersi pronunciata. Si è, invero, affermato che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 608, comma 1 -bis, cod. proc. pen., introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, in relazione agli artt. Ili e 112 Cost., in quanto la limitazione alla sola violazione di legge della ricorribilità per cassazione della sentenza d'appello confermativa della decisione di proscioglimento da parte del pubblico ministero trova ragionevole giustificazione, nell'ambito delle scelte discrezionali riservate al legislatore: nell'esigenza di deflazione del giudizio di legittimità; nell'ontologica differenza di posizione delle parti processuali, giustificativa, nei limiti della ragionevolezza e della proporzionalità, d un'asimmetrica distribuzione delle facoltà processuali e di una diversa modulazione dei rispettivi poteri d'impugnazione; nella presunzione d non colpevolezza dell'imputato, stabilizzata dall'esito assolutorio di due gradi di giudizio; nella pienezza del riesame del merito consentito da giudizio di appello; nell'esigenza di non dilatare i tempi di definizione de processo per l'imputato, assicurandone la ragionevole durata e la stabilizzazione del giudizio di non colpevolezza (Sez. 6, n. 5621 de 11/12/2020, dep. 2021, PG c/Mannino Calogero, Rv. 280631; conforme Sez. 4, n. 53349 del 15/11/2018, PG c/Schuster, Rv. 274573). La valutazione della questione preliminare ha senza dubbio valore assorbente rispetto alle restanti censure di cui al primo motivo d impugnazione, che attengono alla contraddittorietà e illogicità delle motivazione in punto di valutazione della prova scientifica relativa all'imputabilità di Me.St., la cui disamina è pertanto preclusa in questa sede. 1.2. Infondato è, invece, il secondo motivo di ricorso. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, invero: - nel giudizio d'appello, la rinnovazione dell'istruttorie dibattimentale, prevista dall'art. 603, comma 1, cod. proc. pen., è subordinata alla verifica dell'incompletezza dell'indagine dibattimentale ed alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere alle stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria, accertamento che è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede d legittimità se correttamente motivata (Sez. 6, n. 48093 del 10/10/2018, G., Rv. 274230); - la mancata rinnovazione in appello dell'istruttoria dibattimentale è censurabile solo sotto l'aspetto dei vizi della motivazione, e a condizione che risulti la esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendo all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (Sez.6, n. 1400 del 22/10/2014, dep. 2015, R.C., Rv. 261799); - la mancata effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell'art.606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova "neutro", sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità de giudice, laddove l'articolo citato, attraverso il richiamo all'art. 495 comma 2, cod. proc. pen., si riferisce esclusivamente alle prove " discarico che abbiano carattere di decisività (Sez. U, n. 39746 de 23/03/2017, A. e altro, Rv. 270936). Tanto premesso e considerato che la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello, che è giudizio allo stato degli atti, è l'eccezion" (si veda a tale riguardo Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016 Ricci Rv. 266820 - 01, secondo cui la rinnovazione dell'istruttoria ne giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell'istruttoria espletata in primo grado, è un istituto di carattere eccezionale al quali può farsi ricorso esclusivamente allorché il giudice ritenga, nella sui discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti), e che li mancata rinnovazione rileva solo ove si riverberi sulla completezza motivazionale della sentenza di secondo grado, neppure potendosi parlare di mancata assunzione di prova decisiva oppure di violazione d norme processuali come da errata prospettazione del ricorrente, " evidente che le doglianze sulla assenza motivazionale delle ordinanze d rigetto delle richieste di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale son" infondate, rilevando a tale riguardo la motivazione della sentenzi impugnata (che, peraltro, alle p. 15-18 spiega le ragioni a fondamenti del rigetto della rinnovazione), la valutazione della cui contraddittorietà illogicità e carenza è preclusa in questa sede per quanto si è sopra detto. 3. Va, infine, disposto l'oscuramento come da dispositivo, in ragioni delle condizioni di salute dell'imputato che ne hanno determinato la nor imputabilità. P.Q.M. Rigetta il ricorso. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/0: in quanto imposto dalla legge. Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta Ter ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 14631 del 2018, proposto da Mi. Ca., rappresentata e difesa dall'avvocato Ro. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Pa. Al., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso la sede dell'Avvocatura capitolina in Roma, Via (...); per l'annullamento - del diniego di condono edilizio prot. n. QI/83535/2018 del 15 maggio 2018. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 17 maggio 2024 la dott.ssa Manuela Bucca e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con istanza prot. n. 0/506832 sot. 0 del 18 marzo 2004, la sig.ra Fr. Pa. chiedeva il rilascio di concessione edilizia in sanatoria per l'opera abusiva realizzata in Roma, Via (omissis), consistente in "un manufatto di superficie pari a mq. 50,00 di s.u.r., immobile distinto al N.C.E.U. al Foglio (omissis), particella (omissis), sub (omissis)". Con nota prot. n. 6259 del 28 gennaio 2013, Roma Capitale comunicava ai sig.ri Mi. Ca. e Fr. De Si., quali nuovi comproprietari dell'immobile, i motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza di condono, ossia l'insistenza dell'opera abusiva in area sottoposta ai seguenti vincoli: "Beni paesaggistici ex art. 134, comma 1, lett. b) del Codice - c - Fossi, parziale inedificabilità - Norme P.R.G., Falde Idrice e P.T.P. (omissis)". Ritenendo di non poter accogliere le osservazioni formulate dagli interessati, con determinazione dirigenziale prot. n. QI/83535/2018 del 15 maggio 2018, l'Amministrazione confermava la reiezione dell'istanza di condono. Avverso il suddetto provvedimento propone ricorso, ritualmente notificato e depositato, la sig.ra Mi. Ca., censurandolo per i seguenti motivi: I. Eccesso di potere per travisamento dei fatti, errore e/o violazione di legge, in particolare della legge 326/2003 e legge reg. 12/2004. Col primo motivo, parte ricorrente sostiene l'illegittimità del provvedimento impugnato in quanto il manufatto oggetto di sanatoria sarebbe stato ultimato entro il 31 marzo 2003, in conformità a quanto previsto dall'art. 32, comma 25, della l. n. 326/03; II. Violazione di legge, in particolare dell'art. 134 d.lgs. 42/2004, delle norme PRG Falde idriche e P.T.P. (omissis), dell'art. 3 della legge reg. 12/2004, della legge 47/1985 - Eccesso di potere, carenza ed inadeguatezza dell'istruttoria condotta da Roma Capitale. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta che il diniego impugnato sia stato adottato nonostante l'abuso insista su area soggetta a vincoli non ostativi al rilascio della sanatoria in quanto: - si tratterebbe di vincoli imposti successivamente alla realizzazione dell'opera abusiva e che non comportano una inedificabilità assoluta; - il vincolo paesistico del Fosso di (omissis) sarebbe superabile con l'acquisizione del rilascio del parere favorevole dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo stesso; - il vincolo per falde idriche - rectius, quello idrogeologico di Pratolungo - sarebbe superabile con la realizzazione di un'adeguata rete fognaria a continuità idraulica e pozzetto di ispezione. Resiste al ricorso Roma Capitale, deducendone l'infondatezza nel merito. Alla pubblica udienza straordinaria del 17 maggio 2024, svolta in modalità telematica ai sensi dell'art. 87, comma 4 bis c.p.a., la causa è stata posta in decisione. DIRITTO Il ricorso è infondato. Come chiarito da consolidato orientamento giurisprudenziale, da cui il Collegio non ha motivo di discostarsi, in ordine ai presupposti per il cd. terzo condono, ai sensi della l. n. 326/2003 e, nella Regione Lazio, della l.r. n. 12/2004: - "Il d.l. n. 269 del 30 settembre 2003, convertito nella legge n. 326 del 24 novembre 2003, che ha previsto un condono edilizio per le opere ultimate entro il 31 marzo 2003, diversamente dalle discipline della legge n. 47 del 1985 e della legge n. 724 del 1994, ha...specificamente individuato le tipologie di opere condonabili ed ha limitato le possibilità di sanatoria in presenza di vincoli. L'art. 32, comma 26, lettera a) del detto decreto legge ha distinto le tipologie di illecito (individuate all'allegato 1), consentendo nelle aree sottoposte a vincolo la sanatoria solo per "le tipologie di illecito di cui all'allegato 1 numeri 4, 5 e 6" ovvero opere di restauro e risanamento conservativo (tipologia 4 e 5), opere di manutenzione straordinaria, opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume (tipologia 6). Ha specificato al comma 27 che non sono suscettibili di sanatoria, tra le altre ipotesi, le opere che "siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici" (lettera d). Il condono edilizio di cui al D.L. n. 269 del 2003, convertito nella L. n. 326 del 2003, non è dunque consentito per "abusi maggiori" (cioè abusi riconducibili a quelli di cui alle tipologie 1, 2 e 3 della tabella allegata al D.L. n. 269 del 2003) commessi in zona sottoposta a vincolo posto in epoca anteriore alla realizzazione delle opere, ciò indipendentemente dal tipo di vincolo, se di inedificabilità assoluta o relativa (Consiglio di Stato Sez. VI 26 luglio 2023, n. 7318; Sez. II, 13 novembre 2020, n. 7014; Sez. II, 21 ottobre 2019, n. 7103). In tali situazioni è stato altresì affermato che è inutile la richiesta del parere di compatibilità paesaggistica, posto che si versa in una situazione di divieto di condono stabilita dal legislatore. Da ciò discende che, in presenza di interventi qualificabili come nuova costruzione o ristrutturazione realizzati in area soggetta a vincoli paesaggistici, il diniego di sanatoria edilizia è atto dovuto ai sensi della L. n. 326 del 2003 (Consiglio di Stato Sez. VI, 24 agosto 2023, n. 7935; Sez. VI, 16 settembre 2022, n. 8043; Sezione VI, 10 gennaio 2023, n. 295). Inoltre, nelle aree sottoposte a vincolo preesistente all'opera neppure può essere concessa la sanatoria qualora l'intervento sia difforme dagli strumenti urbanistici"; - "La legge regionale n. 12 del 2004 ha ampliato le categorie delle opere non sanabili estendendola anche a quelle realizzate, "prima della apposizione del vincolo, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela dei monumenti naturali, dei siti di importanza comunitaria e delle zone a protezione speciale, non ricadenti all'interno dei piani urbanistici attuativi vigenti, nonché a tutela dei parchi e delle aree naturali protette nazionali, regionali e provinciali", rendendo, quindi, più restrittiva la disciplina del condono nella Regione Lazio. Tale scelta restrittiva del legislatore regionale è stata ritenuta legittima dalla Corte costituzionale in relazione alla eccezionalità delle norme statali sul condono e alla rilevanza della maggiore tutela dei beni ambientali e paesaggistici perseguita dalla Regione (sentenza n. 181 del 2021)" (da ultimo, Consiglio di Stato sez. II, 13 marzo 2024, n. 2482). Nel caso di specie, l'intervento oggetto della richiesta di sanatoria consiste in un ampliamento di superficie residenziale, realizzato in zona sottoposta ai seguenti vincoli: "Beni paesaggistici ex art. 134, comma 1, lett. b) del Codice - c - Fossi, parziale inedificabilità - Norme P.R.G., Falde Idriche e P.T.P. (omissis)". In conseguenza, ritiene il Collegio che l'Amministrazione abbia correttamente negato il chiesto condono, rientrando l'abuso commesso nelle tipologie di illecito per le quali l'art. 32 del d.l. n. 269/03, convertito dalla l. n. 326/03, e l'art. 3, comma 1, lettera b) della l.r. n. 12/04 escludono la sanatoria. Trattasi, invero, di un manufatto di mq. 50, cui è conseguito, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, un aumento di superficie e volumetria, senza che possa rilevarne l'entità . Quanto alla doglianza inerente all'applicabilità della l.r. n. 12/2004 rispetto ad abusi realizzati in data antecedente all'istituzione di vincoli paesaggistici nell'area interessata dall'intervento edilizio, è sufficiente osservare che "con la sentenza n. 181/2021, pubblicata il 4 agosto 2021, la Corte Costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità sollevata con riferimento all'art. 3, comma 1, lettera b), della legge della Regione Lazio 8 novembre 2004, n. 12 (Disposizioni in materia di definizione di illeciti edilizi). La Corte ha ritenuto che con la normativa censurata, introducendo un regime più rigoroso di quello disegnato dalla normativa statale, il legislatore regionale del Lazio non ha oltrepassato il limite costituito dal principio di ragionevolezza. Per un verso, infatti, la possibile sopravvenienza di vincoli ostativi alla concessione del condono risulta espressamente prevista dalla disposizione censurata, ciò che ne esclude la lamentata assoluta imprevedibilità . Per altro verso, il regime più restrittivo introdotto dalla legge regionale ha come obiettivo la tutela di valori che presentano precipuo rilievo costituzionale, quali quelli paesaggistici, ambientali, idrogeologici e archeologici, sicché non è irragionevole che il legislatore regionale, nel bilanciare gli interessi in gioco, abbia scelto di proteggerli maggiormente, restringendo l'ambito applicativo del condono statale, sempre restando nel limite delle sue attribuzioni" (T.A.R. Roma, (Lazio) sez. II, 12 aprile 2023, n. 6319). Né rileva la natura relativa del vincolo di inedificabilità impresso all'area in cui insiste l'abuso, in quanto per gli abusi di carattere maggiore in area vincolata, come quello per cui è causa, "è ...preclusa l'assentibilità a prescindere dal carattere assoluto o relativo del vincolo di inedificabilità sulla stessa impressa. Sicché la sola presenza, nella fattispecie incontestata, del predetto vincolo rende le opere in questione non condonabili" (T.A.R. Roma, (Lazio) sez. IV, 24 gennaio 2024, n. 1428). In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite in favore dell'Amministrazione resistente, liquidate in complessivi Euro 1.500,00, oltre alle spese generali nella misura del 15%, nonché IVA e CPA come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Rita Tricarico - Presidente Manuela Bucca - Referendario, Estensore Monica Gallo - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5741 del 2021, proposto dal sig. Ga. Sa., rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Co., Gi. Gr., Ni. Pa., Gi. Ra., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ni. Pa. in Roma, via (...); contro il Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Br. Sa., Fr. Io., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia. per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte Sezione Seconda n. 00227/2021, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 aprile 2024 il consigliere Giuseppe Rotondo; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il presente giudizio ha ad oggetto: a) la deliberazione di consiglio comunale n. 20 del 10 aprile 2019, con la quale il Comune di (omissis) ha approvato ex art. 17, commi 5, 6 e 7 della legge regionale n. 56 del 1977, la "variante parziale n. 02P/2019 aree urbane", limitatamente alle parti in cui in base alla "relazione sui criteri di calcolo e determinazione del contributo straordinario", parte integrante della variante, si stabilisce che l'area di proprietà del ricorrente situata nel D.U. 6 Via (omissis) sia soggetta a contributo straordinario; b) la deliberazione del consiglio comunale di (omissis), n. 6, datata 11 febbraio 2019, recante adozione della "variante parziale n. 02P/2019 aree urbane"; c) la deliberazione consiliare di (omissis), n. 19 del 23 maggio 2016, recante modifica dei criteri di calcolo del maggio valore generato dagli interventi in deroga o variante per adeguamento ai criteri regionali, sempre nelle parti in cui impongono per l'area del ricorrente il pagamento del contributo straordinario. 2. L'appellante espone che: a) il Comune di (omissis), con la deliberazione c.c. n. 20 del 10 aprile 2019, ha approvato una variante parziale avente ad oggetto diverse aree del centro urbano; b) tra queste aree si trova anche un terreno di sua proprietà declassato dall'area residenziale "ca" (complesso ambientale) e inserito in area sempre residenziale "n" da completare, con conseguente riconoscimento di edificabilità ; c) dalla "relazione sui criteri di calcolo e determinazione del contributo straordinario", parte integrante della variante, risulta che eventuali iniziative di carattere edilizio sul terreno dovranno essere assoggettate oltre all'ordinario contributo di costruzione anche al contributo straordinario previsto all'art. 16, comma 4, lett. d-ter), del d.p.r. n. 380 del 2001, inserito dall'art. 17, comma 1, lett. g), della legge n. 164 del 2014. 3. Nel ritenere illegittimi gli atti comunali, il sig. Sa. impugnava innanzi al T.a.r. per il Piemonte, con ricorso iscritto al nrg 625 del 2019, le delibere suindicate (par. 1) avverso le quali ha dedotto 4 motivi (estesi da pagina 3 a pagina 8), così articolati. I) Violazione dell'art. 16, comma 4, lett. d-ter), del T.U. Edilizia; violazione della delibera di giunta regionale 29 febbraio 2016 n. 22-2974; eccesso di potere per contraddittorietà e difetto di motivazione sotto il profilo della "provenienza" della variante: i) la variante approvata dal Comune è ad iniziativa pubblica e non privata; ii) la delibera di giunta regionale 29 febbraio 2016 n. 22-2974 sui criteri di "Determinazione del maggior valore generato da interventi su aree o immobili in variante urbanistica, in deroga o con cambio di destinazione d'uso", esclude espressamente dal contributo in questione "le varianti di iniziativa pubblica del PRG e le varianti di iniziativa pubblica agli strumenti urbanistici esecuti di iniziativa pubblica. II) Violazione dell'art. 16, comma 4, lett. d-ter), del t.u. edilizia; violazione della delibera regionale 29 febbraio 2016 n. 22-2974; eccesso di potere per contraddittorietà e difetto di motivazione sotto altro profilo dell'assenza della necessità di specifiche modifiche o deroghe al p.r.g.: i) la variante è illegittima poiché non è avvenuta allo scopo di consentire un particolare ed individuato intervento privato che richiedesse deroghe o varianti alla vigente normativa urbanistica; ii) anche la delibera regionale 29 febbraio 2016 n. 22- 2974, fa puntuale riferimento ad interventi che richiedono, per essere ammissibili, l'approvazione di specifiche varianti ai piani urbanistici vigenti o il rilascio di deroghe ai sensi della vigente normativa di settore. III) Violazione dell'art. 16, comma 4, lett. d-ter), del t.u. edilizia; violazione della delibera regionale 29 febbraio 2016 n. 22-2974; eccesso di potere per contraddittorietà e difetto di motivazione sotto il profilo dell'assenza di modifiche o deroghe al p.r.g.: i) la variante per l'area di interesse del ricorrente, non comporta alcuna deroga o modifica di destinazione d'uso in quanto il terreno del sig. Sa., completamente circondato dall'edificato, era residenziale nella disciplina urbanistica previgente e lo è anche in quella in variante. Esso è stato semplicemente declassato dall'area residenziale "ca" (immobili costituenti complesso ambientale) che non consentiva alcuna edificabilità e inserito in area sempre residenziale "n" (da completare), con conseguente riconoscimento di edificabilità . IV) Violazione dell'art. 16, comma 4, lett. d-ter), del t.u. edilizia; violazione della delibera regionale 29 febbraio 2016 n. 22-2974; eccesso di potere per contraddittorietà e difetto di motivazione sotto il profilo della mancanza della necessità di opere o servizi pubblici: i) dall'art. 16 citato in epigrafe si evince che uno dei presupposti del contributo straordinario, consiste nel fatto che l'attuazione dell'intervento privato, essendo in variante, in deroga o con cambio di destinazione d'uso rispetto alla disciplina vigente pianificata dall'Amministrazione, comporta la necessità di realizzare specifiche opere pubbliche o di pubblica utilità non presenti; nel caso di specie, nessuna ulteriore opera o servizio di pubblica utilità deve essere all'evidenza realizzata, sicché sarebbe "inutile ed irragionevole l'imposizione di un contributo ulteriore rispetto a quelli ordinari". 3.1. Si costituiva, per resistere, il Comune di (omissis). 4. Con sentenza n. 227 del 2 marzo 2021, il T.a.r. per il Piemonte respingeva il ricorso e compensava le spese. 5. Ha appellato il sig. Ga. Sa. che censura la sentenza del T.a.r. per: a) erronea interpretazione dell'art. 16, comma 4, lett. d-ter), del t.u. edilizia; violazione dell'art. 16, comma 4, lett. d-ter), del t.u. edilizia in relazione alla carenza di un intervento e conseguentemente della necessità di specifiche modifiche o deroghe al p.r.g. violazione della delibera regionale 29 febbraio 2016 n. 22-2974; eccesso di potere per contraddittorietà e difetto di motivazione sotto il profilo dell'eccezionalità della scelta pianificatoria. 5.1. Si è costituito, per resistere, il Comune di (omissis). 5.2. In prossimità dell'udienza, le parti hanno depositato memorie conclusive. 6. All'udienza del giorno 11 aprile 2024, la causa è stata trattenuta per la decisione. 7. L'appello è infondato. 8. Il sig. Ga. Sa. ritiene illegittima la previsione della variante urbanistica approvata dal Comune di (omissis), nella parte in cui assoggetta eventuali iniziative di carattere edilizio sul terreno di proprietà al contributo straordinario di cui all'art. 16, comma 4, lettera d-ter), del d.p.r. n. 380 del 2001, per le seguenti ragioni: - la variante sarebbe di iniziativa pubblica e non privata; - la variante non avverrebbe in deroga o variante allo strumento urbanistico vigente allo scopo di consentire un intervento proposto dal ricorrente; - la variante per l'area di interesse del ricorrente non comporterebbe alcuna deroga o modifica di destinazione d'uso; - la variante non comporterebbe alcuna necessità di realizzare opere o servizi pubblici o di pubblica utilità . 9. Giova una breve ricostruzione del quadro normativo relativo alla materia in esame. 9.1. Nell'ambito della disciplina sul contributo di costruzione contenuta nel d.p.r. n. 380 del 2001 (testo unico edilizia), e in particolare all'articolo 16, è stata inserita (per effetto delle modifiche/integrazioni operate dal decreto legge cd. sblocca cantieri, n. 133/2014, convertito dalla legge 11 novembre 2014, n. 164) una nuova e ulteriore modalità di calcolo del contributo connesso al rilascio del permesso di costruire. All'art. 16, comma 4, del citato decreto è stata aggiunta la lettera d-ter) con cui si è previsto che, nella definizione delle tabelle parametriche, gli oneri di urbanizzazione sono determinati anche in relazione "alla valutazione del maggior valore generato da interventi su aree o immobili in variante urbanistica, in deroga o con cambio di destinazione d'uso. Tale maggior valore, calcolato dall'amministrazione comunale, viene suddiviso in misura non inferiore al 50 per cento tra il comune e la parte privata e da quest'ultima versato al comune stesso sotto forma di contributo straordinario, che attesta l'interesse pubblico vincolato a specifico centro di costo per la realizzazione di opere pubbliche e servizi da realizzare nel contesto in cui ricade l'intervento, cessione di aree o immobili da destinare a servizi di pubblica utilità, edilizia residenziale sociale od opere pubbliche. Sono fatte salve le diverse disposizioni delle legislazioni regionali e degli strumenti urbanistici generali comunali con riferimento al valore di tale contributo". La previsione normativa ha carattere legislativo (e non regolamentare). Si tratta, più in particolare, di una prestazione patrimoniale imposta dalla fonte normativa primaria (nel rispetto della riserva di legge prevista all'art. 23 Cost.) che si applica al plusvalore generato da una modifica alla pianificazione urbanistica. Il contributo straordinario si configura, pertanto, più che come criterio di calcolo degli oneri di urbanizzazione "ordinari", come un ulteriore onere rapportato all'aumento di valore che le aree e gli immobili avranno per effetto di varianti urbanistiche o in deroga. L'articolo 16, comma 4, indica i parametri di riferimento (ampiezza e andamento demografico dei Comuni, caratteristiche geografiche; destinazioni di zona; standard ai sensi dell'art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942 e delle leggi regionali) che le Regioni devono seguire per redigere le tabelle parametriche sulla base delle quali i Comuni definiscono le tariffe per gli oneri di urbanizzazione. In caso di mancato intervento regionale, il comma 5 ha previsto che, fino alla definizione delle tabelle parametriche, i Comuni possono provvedere provvisoriamente con deliberazione di consiglio comunale utilizzando i criteri indicati dal comma 4. Pertanto, fermi i principi definiti dalla norma statale, Regioni e Comuni potranno prevedere una differente modalità di determinazione dell'importo e di versamento dello stesso (v. art. 16 comma 4-bis). La norma in esame non contempla l'esonero dalla corresponsione di tale contributo. Sul punto, la Corte costituzionale, con le sentenze 26 febbraio-10 aprile 2020, n. 64, e 25 novembre 2020, n. 247, ha perimetrato l'ambito di possibile intervento delle Regioni nella materia de qua. Con la sentenza n. 64/2020, la Corte - nel dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma 3, della legge regionale Veneto n. 4 del 2015 per contrasto con l'art. 117, comma terzo, Cost., nella parte in cui fa salve le determinazioni della quota del costo di costruzione in base all'art. 16, comma 9, del t.u. edilizia soltanto ove avvenute all'atto del rilascio del permesso di costruire, e non con una successiva richiesta di conguaglio - ha affermato che la previsione recata dall'art. 16, del t.u. edilizia: i) fissa una cornice entro la quale le singole Regioni possono determinare il contributo per il costo di costruzione; ii) persegue un obiettivo di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale; iii) solo con la previsione di una quota minima e inderogabile, il principio di onerosità del titolo edilizio acquisisce un connotato di effettività ; e ciò in quanto, ove tale previsione mancasse, il legislatore regionale sarebbe libero di prevedere interventi edilizi che non comportano alcun costo, o comportano un esborso talmente irrisorio da eludere ogni profilo di corrispettività del contributo rispetto al titolo edilizio rilasciato. Con la sentenza 25 novembre 2020, n. 247, la Corte ha, invece, dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 11 della legge regionale Veneto 25 luglio 2019, n. 29, nella parte in cui inserisce l'art. 40-bis alla legge regionale Veneto 23 aprile 2004, n. 11, limitatamente alla previsione dell'esonero dal contributo di costruzione di cui all'art. 16, comma 4, lett. d-ter), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, nelle ipotesi di cambio di destinazione d'uso con aumento di valore degli immobili costitutivi della memoria e dell'identità storico-culturale del territorio disciplinati dal medesimo art. 40-bis. La disposizione regionale, nell'escludere la debenza del contributo straordinario - che, secondo l'art. 16, comma 4, lett. d-ter, del t.u. edilizia è dovuto in presenza di una variante urbanistica che comporta un aumento di valore - nelle ipotesi di cambio di destinazione d'uso con aumento di valore degli immobili, non prende in considerazione le specifiche condizioni che lo riguardano fissate dalla normativa statale, ma si limita a dettare una disciplina indifferenziata centrata sulla mancanza di un aumento del carico urbanistico. In particolare, ha affermato la Corte, essa non tiene conto del fatto che ciò che si "colpisce" con il contributo straordinario è il plusvalore di cui beneficia il privato a seguito dell'approvazione di una variante urbanistica, che abbia accresciuto le facoltà edificatorie precedentemente riconosciutegli, ovvero per effetto del rilascio di un permesso in deroga. Ragion per cui, conclude la Corte, la normativa regionale contrasta con i parametri interposti di cui alla lett. d-ter) del comma 4 dell'art. 16 t.u. edilizia e quindi viola l'art. 117, comma 3, Cost. 9.2. Sulla scorta di quanto sopra argomentato, il collegio osserva che: a) a differenza degli oneri di urbanizzazione che, come è noto, sono determinati al momento del rilascio del permesso di costruire, il "maggior valore generato da interventi su aree o immobili in variante urbanistica, in deroga o con cambio di destinazione d'uso" attiene ad una decisione pianificatoria che precede lo stesso; b) mentre gli oneri di urbanizzazione 'ordinarà sono calcolati e dovuti in base ai criteri stabiliti dal testo unico, il "maggior valore" di cui all'art. 16, comma 4, lett. d-ter) in esame, è corrisposto sotto forma di "contributo straordinario", in via eccezionale, nei casi in cui lo stesso sia conseguente ad una variante urbanistica o di deroga che interessi, di norma, specifiche aree; c) nel caso di specie, il carattere eccezionale, richiesto dalla giurisprudenza, esiste trattandosi di una variante che interessa poche, determinate aree o immobili. 10. Il quadro normativo e dei principi sopra delineato consente di affermare che, a livello locale, è possibile prevedere (applicare) oneri aggiuntivi nel caso in cui, per effetto di una variante urbanistica o di una deroga, determinati beni (aree, immobili) ricevano una maggior valorizzazione. 11. La Regione Piemonte ha regolato il contributo straordinario con delibera di giunta regionale n. 22-2974 del 29 febbraio 2016. 12. La delibera regionale ha la finalità di rendere omogenea su tutto il territorio l'applicazione del contributo straordinario previsto alla lettera d-ter), comma 4, art. 16 del d.p.r. n- 380 del 2001. 13. La ratio, esplicitata nella stessa delibera, è quella per cui i parametri relativi alla determinazione del contributo straordinario devono costituire elemento disincentivante alla occupazione di aree libere ed incentivante al riuso di aree già compromesse. 14. Il provvedimento in questione stabilisce che il contributo straordinario è applicato agli interventi su aree o immobili che richiedano, per essere ammissibili sotto il profilo urbanistico-edilizio, l'approvazione di specifiche varianti ai piani urbanistici vigenti oppure il rilascio di deroghe ai sensi della vigente normativa di settore. 15. II contributo è applicato non solo nel caso in cui le varianti o deroghe abbiano ad oggetto l'attribuzione di maggiori potenzialità edificatorie, ma anche nel caso in cui tali procedimenti riguardino cambi della destinazione d'uso di edifici od aree. 16. Con delibera di consiglio comunale 8 aprile 2015, n. 10, il Comune di (omissis), ancor prima della delibera regionale, ha disciplinato l'applicazione, nel proprio territorio, del contributo straordinario avvalendosi della facoltà di immediata applicazione del disposto di cui all'art. 16, comma 4 lettere d-ter) in assenza di determinazioni regionali. 17. Successivamente, il Comune, con delibera consiliare n. 19, del 23 maggio 2016, ha modificato i criteri di calcolo del maggior valore generato dagli interventi in deroga o variante per adeguamento ai criteri regionali. 18. Come sopra riassunto il quadro normativo, i motivi di appello devono ritenersi infondati. 19. Il Comune di (omissis), nella ricostruzione dei fatti, ha documentato che l'area di proprietà dell'appellante era priva di capacità edificatoria (destinazione ambientale, che non consentiva alcuna edificabilità ), in quanto neppure residuavano più volumi utili per la realizzazione di ulteriori residenze. Per un recupero della capacità edificatoria, l'appellante aveva richiesto - con tre distinte istanze succedutesi tra il 2006 e il 2015, tutte respinte - l'eliminazione del vincolo di carattere ambientale nonché l'attribuzione di una specifica volumetria per poter costruire su un terreno libero ancorché ricadente in area, come detto, ormai priva di capacità edificatoria. Tuttavia, le aspettative dell'appellante, tese ad ottenere l'attribuzione di una specifica destinazione di tipo residenziale nonché il riconoscimento dell'edificabilità del proprio terreno, sono state prese in considerazione dal Comune in sede di adozione e successiva approvazione della variante parziale n. 02p/2019 di p.r.g., avvenuta con l'impugnata deliberazione consiliare del 10 aprile 2019, n. 20. 19.1. Nella circostanza, la variante ha preso in esame la situazione dominicale di cinque ditte catastali, tra cui quella dell'appellante, al cui terreno la variante medesima ha attribuito carattere edificatorio. La scheda n. 3 (allegata alla relazione annessa alla variante) prevede, nello specifico, che: "Si declassa quota parte dell'area ca/3, pari a mq 1.475, alla luce dell'assenza dei requisiti caratterizzanti tali aree. Si attribuisce alla medesima area la destinazione n/11 "aree da completare". 19.2. Da qui, il riconoscimento del carattere di edificabilità impresso al terreno di proprietà dell'appellante, con conseguente mutamento della destinazione urbanistica e di uso dell'area, a modifica alle previsioni originarie dello strumento urbanistico. Le stesse norme tecniche di attuazione del p.r.g. confermano il cambio di destinazione urbanistica dell'area che, da "Immobili costituenti complesso ambientale (ca)", grazie alla variante parziale ricevono ex novo la destinazione come "Aree da completare (n)". 19.3. La divisata variante, pertanto, è stata approvata per dare essenzialmente riscontro alle istanze sollecitate nel corso degli anni dai proprietari terrieri. 20. Così stando le cose, sussistono i presupposti fondanti la legittimità del contestato contributo straordinario. E invero: a) la variante parziale - approvata anche per venire incontro alle richieste dei cittadini (tra cui l'appellante) - ha generato un maggior valore; la variante in questione ha attribuito infatti all'area di che trattasi una nuova destinazione di piano che, a differenza della destinazione precedente, esprime ora una autonoma e nuova (prima inesistente a cagione della destinazione ambientale) capacità edificatoria che permette di costruire con un indice edificatorio di 1 metro cubo su 1 metro quadro di superficie utile, per complessivi mc. 1.475 b) non ricorrono le condizioni di cui all'allegato A) della delibera di giunta regionale 29 febbraio 2016, n. 22-2974 - secondo cui sono da escludere dall'applicazione del contributo straordinario "le varianti di iniziativa pubblica al PRG e le varianti di iniziativa pubblica agli strumenti urbanistici esecutivi di iniziativa pubblica, volte al perseguimento dell'interesse collettivo" - perchè il concetto di iniziativa pubblica deve essere interpretato nel senso che se ne deve avvantaggiare la collettività giacché, ragionando diversamente, i piani e le relative varianti sarebbero da intendersi sempre e comunque ad iniziativa pubblica. 20.1. In definitiva, il terreno di proprietà dell'appellante ha ricevuto un indubbio e oggettivo incremento di valore, circostanza che invera il presupposto richiesto dall'art. 16, comma 4, d-ter, del d.p.r. n. 380/2001 e giustifica l'applicazione del contributo straordinario di legge qualora l'appellante intendesse costruire. 20.2. Al contributo straordinario, in ragione delle modalità che ne giustificano la sua applicazione, deve pertanto attribuirsi carattere aggiuntivo rispetto agli oneri di urbanizzazione. 20.3. In sintesi: a) il comma 4, d-ter) dell'articolo 16, d.p.r. n. 380/2001 (che l'appellante reputa erroneamente applicato dal T.a.r.) collega l'applicazione del contributo straordinario al (solo) maggior valore generato da interventi su aree o immobili in variante urbanistica o in deroga; b) il presupposto fondante l'applicazione del contributo è costituito esclusivamente dal maggior consumo di suolo generato dalla variante urbanistica (come nel caso di specie), criterio indicato peraltro anche nella stessa delibera regionale n. 22-2974 del 29 febbraio 2016 (non impugnata). c) la variante in questione ha modificato il piano, nel senso di attribuire ad una specifica area del territorio una nuova destinazione sulla quale realizzare interventi di edificazione a scopo residenziale; d) tale variante ha individuato in modo preciso e indefettibile i caratteri del futuro intervento edificatorio sul terreno dell'appellante, rendendo attuale e immediato il maggior valore dell'immobile grazie all'intervento reso possibile dalla variante medesima; d) la stessa ha impreso al terreno dell'appellante le caratteristiche di area residenziale edificabile, prima inesistenti, così apportando al piano una modifica della destinazione urbanistica e d'uso; e) ciò che giustifica l'applicazione del contributo è, non già la comprovata, contestuale necessità di individuare e realizzare un determinato intervento pubblico o sociale bensì, il beneficio che il titolare del terreno ritrae sia dall'intervento che la variante gli consente di realizzare, sia dalla urbanizzazione già eventualmente presente sul territorio. 25. In conclusione, per quanto sin qui argomentato, l'appello è infondato e va, pertanto, respinto. 26. Le spese relative al presente grado di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna il sig. Ga. Sa. al pagamento delle spese di questo grado di giudizio che si liquidano, in favore del Comune di (omissis), in complessivi euro 4.000,00 (quattromila/00) oltre spese generali e accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Neri - Presidente Francesco Gambato Spisani - Consigliere Silvia Martino - Consigliere Giuseppe Rotondo - Consigliere, Estensore Luca Monteferrante - Consigliere

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