Sentenze recenti Tribunale Amministrativo Regionale Basilicata

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9394 del 2023, proposto da -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati Fr. Ma. Fu., Fl. De Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Ministero della Difesa, non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata Sezione Prima n. -OMISSIS- resa tra le parti; Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 marzo 2024 il Cons. Raffaello Scarpato e uditi per le parti gli avvocati; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. -OMISSIS-, già titolare di porto d'armi n. -OMISSIS- rilasciato dalla Questura di Potenza e di una distinta licenza permanente per collezione di armi antiche, artistiche e rare, rilasciata dalla Questura di Potenza nell'anno 2001, è stata attinta da un decreto penale di condanna, in ragione della detenzione abusiva di 95 munizioni e dell'omessa denuncia del trasferimento di una pistola Beretta, legalmente detenuta in forza del suddetto porto d'armi, presso un diverso indirizzo di residenza. 2. Interposta opposizione avverso il suddetto decreto penale di condanna, il conseguente procedimento penale si è concluso con l'estinzione del reato contestato per avvenuta oblazione. 3. A seguito di tali accadimenti, la ricorrente è stata attinta, in via amministrativa, dal provvedimento di divieto di detenzione di armi, munizioni o materiali esplodenti, emesso dalla Prefettura di Potenza in data 1.2.2023 ai sensi degli artt. 11, 39 e 43 del R.D. n. 773/1931 (T.U.L.P.S.), non esplicitamente limitato alla pistola Beretta ed alle cartucce già oggetto della vicenda penale e, quindi, esteso a tutte le armi detenute, ivi comprese quelle facenti parte della collezione storica, con obbligo di cessione, ovvero di disattivazione, pena la successiva confisca e distruzione ai sensi dell'art. 6 comma 5 della L. n. 152/1975. 4. La ricorrente ha impugnato il divieto, in quanto illegittimo e carente dei presupposti, sia nella parte in cui è stato applicato alle armi comuni (pistola Beretta e munizioni), sia nella parte in cui l'Amministrazione ne ha esteso lo spettro applicativo anche alle armi storiche, facenti parte della Collezione autorizzata con il decreto questorile sopracitato. 5. Quanto al primo profilo, la ricorrente ha dedotto che il trasferimento della pistola Beretta dalla vecchia alla nuova residenza, risalente all'anno 2000, non era stato comunicato all'Amministrazione in buona fede, senza intenti fraudolenti; in relazione alla mancata denuncia delle cartucce, acquistate nel 1991, la ricorrente ha giustificato il proprio comportamento sotto il profilo dell'errore scusabile, avendo ritenuto che al di sotto delle 200 munizione non vi fossero obblighi di denuncia. 6. Quanto al secondo profilo, la ricorrente, premesso che il riferimento a "qualsiasi arma o munizione" contenuto nel provvedimento fosse idoneo ad estendere il divieto anche alla Collezione di armi storiche, ha eccepito che la licenza relativa a queste ultime non era mai stata formalmente ritirata dal Questore, non risultando il Prefetto competente a disporne il ritiro e non potendo in nessun caso le armi storiche essere passibili di distruzione, in caso di mancata cessione volontaria o disattivazione da parte del titolare, ai sensi dell'art. 32 commi 9 e 10 della L. n. 110/1975. 7. Il Tribunale amministrativo regionale della Basilicata, con la sentenza in epigrafe, ha respinto il ricorso, ritenendo il divieto giustificato dalla condizione di inaffidabilità della ricorrente, siccome emergente dalla vicenda penale, e correttamente esteso anche alle armi facenti parte della Collezione storica, dovendosi ogni ulteriore valutazione relativa all'eventuale distruzione delle stesse ritenere riservata all'Autorità competente per la fase esecutiva. 8. Con atto d'appello ritualmente notificato e depositato, la ricorrente ha impugnato la sentenza, deducendo, quanto al primo profilo, che erroneamente la Prefettura ed il T.a.r. avevano ritenuto la risalente ed isolata condotta penalmente rilevante indice di inaffidabilità, violando i limiti della ragionevolezza e della proporzionalità . Quanto al secondo profilo, l'appellante ha censurato il provvedimento impugnato e la decisione del primo giudice riproponendo i motivi già posti a fondamento del ricorso di primo grado, deducendo che la Collezione relativa alle armi storiche ha carattere permanente, potendo essere revocata solo mediante un provvedimento espresso, di competenza del solo Questore e non del Prefetto. 9. Il Ministero dell'interno si è costituito in giudizio, depositando la pertinente documentazione. 10. Con ordinanza n. 2023/5166 la Sezione ha sospeso l'efficacia esecutiva della sentenza, nelle more della definizione del giudizio nel merito. 11. All'udienza pubblica del 21 marzo 2024 l'appello è stato introitato per la decisione. 12. L'appello è parzialmente fondato, in relazione alla illegittima estensione del divieto anche alla Collezione di armi storiche, artistiche e rare, mentre la sentenza impugnata merita conferma limitatamente alle statuizioni relative alle armi comuni (pistola Beretta e munizioni), legittimamente colpite dal divieto di detenzione (capo n. 5.1 della decisione impugnata). 13. Deve richiamarsi, preliminarmente, il granitico orientamento della giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, in relazione alla discrezionalità amministrativa che connota i provvedimenti relativi alla detenzione delle armi ed al conseguente sindacato del giudice amministrativo. La oramai univoca giurisprudenza ha infatti accertato l'insussistenza di una posizione di diritto soggettivo assoluto in relazione all'ottenimento ed alla conservazione del permesso di detenzione e porto di armi in deroga al generale divieto di cui all'art. 699 c.p. e di cui all'art. 4, comma 1, l. 18 aprile 1970, n. 110 (Corte cost. n. 440 del 1993; Cons. Stato, sez. III, n. 2974 del 2018; n. 3502 del 2018). Pertanto, ai sensi degli artt. 11, 39 e 43 del TULPS, l'Amministrazione può legittimamente fondare il giudizio di "non affidabilità " del titolare del porto d'armi valorizzando il verificarsi di situazioni genericamente non ascrivibili alla "buona condotta" dell'interessato, non rendendosi necessario al riguardo né un giudizio di pericolosità sociale del soggetto né un comprovato abuso nell'utilizzo delle armi (Cons. Stato, sez. III, n. 2987 del 2014; n. 4121 del 2014; n. 4518 del 2016; sez. VI, n. 107 del 2017; sez. III, n. 2404 del 2017; n. 4955 del 2018; n. 6812 del 2018) in quanto, ai fini della revoca della licenza, l'Autorità di pubblica sicurezza può apprezzare discrezionalmente, quali indici rivelatori della possibilità d'abuso delle armi, fatti o episodi anche privi di rilievo penale, indipendentemente dalla riconducibilità degli stessi alla responsabilità dell'interessato, purché l'apprezzamento non sia irrazionale e sia motivato in modo congruo (Cons. Stato, sez. VI, n. 107 del 2017; sez. III, n. 2974 del 2018; n. 3502 del 2018), trattandosi di un provvedimento, privo di intento sanzionatorio o punitivo, avente natura cautelare al fine di prevenire possibili abusi nell'uso delle armi a tutela delle esigenze di incolumità di tutti i consociati (Cons. Stato, sez. III, n. 2974 del 2018). Proprio la natura cautelare del provvedimento fa sì che lo stesso si fondi su considerazioni probabilistiche, basate su circostanze di fatto assistite da sufficiente fumus al momento della loro adozione (Cons. Stato, sez. III, n. 3979 del 2013; n. 5398 del 2014; n. 2404 del 2017; n. 6812 del 2018). In materia di autorizzazioni di polizia inerenti il porto e l'uso delle armi, infatti, l'autorità di pubblica sicurezza dispone, ai sensi degli artt. 10,11, 42 e 43 del T.U.L.P.S., di una lata discrezionalità nell'apprezzare se la persona richiedente sia meritevole del titolo, per le evidenti ricadute che tali atti abilitativi possono avere ai fini di una efficace protezione di due beni giuridici di primario interesse pubblico, quali l'ordine e la sicurezza pubblica (ex plurimis, Con. St., Sez. VI, 06.04.2010, n. 1925). La legislazione affida all'autorità di pubblica sicurezza il compito di valutare con il massimo rigore le eccezioni al divieto di circolare armati e, dunque, qualsiasi circostanza che consigli l'adozione del provvedimento di rigetto della domanda di porto d'armi, onde prevenire la commissione di reati e, in genere, di fatti lesivi della pubblica sicurezza. Infatti, ai sensi dell'art. 39, comma 1, T.U.L.P.S., "Il prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell'articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne". Pertanto, la revoca o il diniego dell'autorizzazione possono essere adottate sulla base di un giudizio ampiamente discrezionale circa la prevedibilità dell'abuso dell'autorizzazione stessa, potendo assumere rilevanza anche fatti isolati, ma significativi (cfr. Cons. Stato, III, n. 5398/2014), e potendo l'Amministrazione valorizzare nella loro oggettività sia fatti di reato diversi, sia vicende e situazioni personali del soggetto che non assumano rilevanza penale, concretamente avvenuti, anche non attinenti alla materia delle armi, da cui si possa desumere la non completa "affidabilità " all'uso delle stesse (cfr. Cons. Stato, III, n. 3979/2013; n. 4121/2014). Conseguentemente, il divieto non richiede una particolare motivazione e il successivo vaglio del giudice amministrativo deve limitarsi alla sussistenza dei presupposti idonei a far ritenere che le valutazioni effettuate non siano irrazionali o arbitrarie (Consiglio di Stato sez. III, 18 aprile 2016, n. 1536). Alla luce di tali premesse, deve ritenersi che nel caso di specie il divieto risulti sufficientemente motivato rispetto alla mancata denuncia di acquisto di n. 95 cartucce ed alla mancata comunicazione di trasferimento della pistola presso la nuova residenza, che integrano circostanze indicative di una scarsa affidabilità e diligenza nella tenuta delle armi, violando il generale dovere informativo - che incombe su tutti coloro che posseggono armi - nei confronti degli organi di pubblica sicurezza. Proprio a tale riguardo, la giurisprudenza ha avuto modo di affermare la sufficienza del mutamento del luogo di custodia delle armi, omettendone la comunicazione all'Autorità, a sostenere sotto il profilo motivazionale il divieto di detenzione. È, infatti, pacifico che "l'omessa denuncia del trasferimento delle armi, di per sé, evidenzia un comportamento superficiale indicativo di scarsa affidabilità nella custodia delle stesse, come tale sufficiente a legittimare l'imposizione del divieto ex art. 39 del TULPS" (Cons. Stato, sentenze nn. 4621/2018, 4334/2017). Non risultano pertanto fondate le censure relative al carattere non attuale ed isolato delle condotte, ovvero all'erroneo convincimento della titolare circa l'insussistenza dell'obbligo di comunicare all'autorità di pubblica sicurezza lo spostamento dell'arma, ovvero l'acquisto delle munizioni; così come l'esito del procedimento penale, culminato con l'estinzione del reato per avvenuta oblazione, non può privare di rilevanza il comportamento non diligente posto a fondamento del diniego impugnato. 14. Differenti considerazioni devono invece essere riferite all'estensione del divieto anche alla Collezione delle armi storiche. 14.1 Il divieto sub iudice, pur non recando alcuno specifico riferimento alla suddetta Collezione, si riferisce "a qualsiasi specie di armi, munizioni o materiali esplodenti", con lata estensione applicativa anche alle armi storiche, detenute dalla ricorrente in forza di un differente titolo, costituito dall'autorizzazione questorile datata 9.11.2001. Tale estensione non risulta legittima, per le seguenti ragioni. Le armi storiche sono sottoposte ad un regime giuridico parzialmente diverso rispetto a quello delle armi comuni e seguono un differente canale di autorizzazione alla detenzione e di revoca, come emerge: - dall'art. 47 del R.D. 6 maggio 1940, n. 635 e dall'art. 11 del D.M. 14.4.1982, che prevedono il carattere permanente della licenza; - dall'art. 32 della legge n. 110 del 1975, che vieta la distruzione delle armi antiche e artistiche comunque versate all'autorità di pubblica sicurezza o alle direzioni di artiglieria senza il preventivo consenso di un esperto nominato dal sovrintendente per le gallerie competente per territorio, prevedendo che le armi riconosciute di interesse storico e artistico debbano essere destinate alle raccolte pubbliche indicate dalla sovrintendenza; - dall'art. 8 del D.M. 14.4.1982, che disciplina un procedimento ad hoc per l'ottenimento della licenza di "Collezione"; - dall'art. 12 del medesimo D.M. 14.4.1982 "Collezioni - Revoca della licenza", il quale, nel richiamare l'art. 11 ultimo comma del R.D. n. 773/1931 ("Le autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego dell'autorizzazione"), affida la revoca alla competenza del Questore, che ha l'obbligo di riferire al Sovraintendente per i beni artistici e storici ed al Prefetto, il quale deve invitare l'interessato a trasferire le armi a persone od enti legittimati, ovvero a depositarle presso un ente di diritto pubblico abilitato, indicato dalla competente sovraintendenza. Tale particolareggiato quadro normativo consente di affermare che, in relazione alle Collezioni di armi storiche, non si applica l'obbligo di cessione a terzi o disattivazione, ovvero in mancanza la confisca con successivo versamento alla competente Direzione di artiglieria per la distruzione. Tali conseguenze, infatti, determinerebbero la compromissione dell'interesse alla conservazione del bene, in ragione del suo intrinseco valore storico artistico, oggetto di specifica tutela da parte del legislatore mediante la soprarichiamata specifica disciplina legislativa e regolamentare. Del resto, com'è stato correttamente evidenziato dall'appellante, il divieto di detenzione impugnato è stato adottato in dichiarata applicazione dell'art. 39 R.D. n. 773/1931, il quale attribuisce al Prefetto il potere di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, "denunciate ai termini dell'articolo precedente", ovverossia dell'art. art. 38, il quale esenta dall'obbligo di denuncia "i possessori di raccolte autorizzate di armi artistiche, rare o antiche" (cfr. comma 2). Ciò conferma che, indubbiamente, il divieto di detenzione impugnato può concernere esclusivamente le armi e munizioni per le quali sussiste l'obbligo di denuncia di detenzione ex art. 38 cit. (nella specie la Beretta e le sue cartucce) ma non anche la collezione di armi artistiche, rare o antiche di proprietà dell'appellante. Per tali ragioni, non può essere condivisa la decisione impugnata nella parte in cui, non considerando il sopradelineato quadro normativo, ha accomunato le armi artistiche, rare o antiche costituenti Collezione alle armi comuni da sparo, estendendo ad esse il divieto di detenzione e relegando ad una fase meramente esecutiva il compimento delle verifiche prescritte dall'art. 32, co. 9 e 10, della L. n. 110/1975. 14.2 A differenti conclusioni non potrebbe peraltro giungersi nemmeno attribuendo al provvedimento impugnato valore e sostanza di provvedimento di revoca implicita della licenza di raccolta e detenzione emessa dal Questore della Provincia di Potenza in data 9.11.2001. Ed infatti, nel tratteggiare i connotati ed i limiti di ammissibilità del cd. "provvedimento implicito", la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha chiarito che: "a) deve esistere, a monte, una manifestazione espressa di volontà della pubblica amministrazione (sub specie comportamento concludente o altro atto amministrativo); b) tale atto o comportamento deve provenire da un organo amministrativo competente e nell'esercizio delle sue attribuzioni; c) l'atto implicito deve, a sua volta, rientrare nella sfera di competenza dell'autorità amministrativa che ha emanato l'atto presupposto; d) per l'atto implicito la legge non deve richiedere una forma determinata a pena di nullità, dovendosi, comunque, rispettare le forme procedimentali previste per l'emanazione dell'atto; e) deve sussistere un collegamento esclusivo e bilaterale tra l'atto implicito e l'atto presupponente, il primo dovendo costituire l'unica conseguenza possibile dell'atto a monte espresso f) che in ogni caso, emergano e factis (avuto riguardo al concreto andamento dell'iter procedimentale e alle effettiva acquisizioni istruttorie) gli elementi necessari alla ricostruzione del potere esercitato" (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 1034/2018; Cons. Stato, sez. V, n. 5822/2019). Nel caso oggetto del presente giudizio, difettano i presupposti previsti dalla lettera "c", stante la competenza del Questore, normativamente prevista, per la revoca della licenza, e dalla lettera "e", dovendosi escludere, per le già indicate distinzioni di disciplina e di ratio giustificatrice, che la revoca della licenza della Collezione possa considerarsi l'unica conseguenza possibile dell'atto a monte, concernente le armi comuni detenute dall'appellante e soggiacenti alla disciplina propria delle stesse, non automaticamente estendibile anche alle Collezioni. 15. Per tali ragioni, in parziale riforma della decisione impugnata, l'originario ricorso deve essere accolto ed il provvedimento impugnato deve essere riformato, limitatamente alla parte in cui il divieto è stato esteso anche alla Collezione delle armi antiche, artistiche e rare, autorizzata con la licenza rilasciata dal Questore della Provincia di Potenza in data 9.11.2001. Il divieto rimane pertanto valido ed efficace in relazione alle rimanenti armi comuni e munizioni. 16. Le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate, in ragione delle motivazioni poste a fondamento della decisione e della peculiarità delle questioni trattate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie parzialmente, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l'appellante; Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Giovanni Pescatore - Presidente FF Ezio Fedullo - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere Antonio Massimo Marra - Consigliere Raffaello Scarpato - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 190 del 2020, proposto da Al. Co., rappresentato e difeso dagli avvocati Fr. Ga. Sc. e Ig. Tr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Fr. Ga. Sc. in Roma, via (...); contro Comune di (omissis), non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata Sezione Prima n. 428/2019. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 giugno 2023 il Cons. Giordano Lamberti e udito l'avvocato Ig. Tr.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Con deliberazione C.C. n. 87 del 13.9.1984, il Comune di (omissis) approvava il Piano di Lottizzazione convenzionata, denominato "Li.", le cui autorizzazioni amministrative venivano volturate con la delibera n. 164 del 28.8.1986 in favore dell'appellante. Con concessioni edilizie, rilasciate l'11.12.1986 ed il 15.7.1989, l'appellante veniva autorizzato a realizzare un complesso edilizio di 17 alloggi, oltre box auto pertinenziali, su 5 lotti, aventi una superficie complessiva di 3.194 mq (al netto degli standard urbanistici pari a 734 mq) ed una volumetria di 5.360,22 mc, a fronte di una volumetria massima consentita dalla strumentazione urbanistica di 5.589,50 mc. Tale complesso edilizio veniva ultimato e collaudato il 14.5.1993. 1.1 - Con permesso di costruire rilasciato il 3.11.2003, il Comune autorizzava Al. Co. a costruire un locale seminterrato, da adibire a Centro per Attività Motorie, per il quale il Comune in data 3.3.2005 rilasciava il certificato di agibilità ; tale locale è rimasto di proprietà dell'appellante, mentre i 17 alloggi sono stati venduti. 2 - A seguito di apposita segnalazione, in data 8.3.2006, il Comune eseguiva un sopralluogo presso il predetto complesso edilizio, in esito al quale veniva accertato: 1) la realizzazione di una volumetria eccedente di 1.232,01 mc, ulteriore a quella autorizzata di 5.360,22 mc, di cui 1.154,50 mc relativi ad un corpo di fabbrica autonomo, realizzato abusivamente, che costituiva l'ampliamento del suddetto Centro per Attività Motorie, e 77,51 mc adibiti a deposito; 2) il posizionamento del citato complesso edilizio in modo difforme rispetto al progetto autorizzato, ma non in maniera tale da comportare la violazione delle norme in materia di distanze dalle strade; 3) la mancata realizzazione di 610 mq da destinare a verde pubblico, e di 124 mq, da destinare a parcheggi pubblici; 4) la costruzione di scale esterne in cemento armato, non previste nel progetto autorizzato; 5) la difformità dei prospetti dell'edificio in esame rispetto a quelli assentiti. 2.1 - Con l'ordinanza n. 16 del 7.5.2007, il Comune ordinava a Al. Co. e agli acquirenti degli appartamenti del fabbricato di demolire, entro 90 giorni, i suindicati abusi edilizi, specificando che l'aumento di volumetria di 1.232,01 mc costituiva una variazione essenziale ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. c), L.R. n. 28/1991, e di rilasciare al Comune i 610 mq destinati a verde pubblico, ed i 124 mq destinati a parcheggi pubblici. 3 - Al. Co. ha impugnato tale provvedimento avanti il TAR per la Basilicata, deducendo: 1) la violazione degli artt. 31, comma 2, e 32 del D.P.R. n. 380/2001, in quanto, poiché l'aumento di volumetria riscontato non era consistente, non poteva essere qualificato come totale difformità e/o variazione essenziale alle concessioni edilizie dell'11.12.1986 e del 15.7.1989, anche perché il calcolo del volume del piano seminterrato avrebbe dovuto essere effettuato prendendo in considerazione esclusivamente la parte eccedente il piano di campagna; 2) l'eccesso di potere per difetto di motivazione, in quanto il provvedimento impugnato non aveva comparato l'interesse pubblico con l'affidamento del ricorrente, tenuto conto del notevole periodo di 14 anni decorso dalla realizzazione dei suddetti abusi edilizi; 3) la violazione dell'art. 36 D.P.R. n. 380/2001, in quanto il ricorrente in data 5.7.2007 aveva presentato istanza di sanatoria; 4) la prescrizione ordinaria decennale ex art. 2934, comma 1, c.c. con riferimento alla mancata realizzazione di 610 mq da destinare a verde pubblico, e di 124 mq da destinare a parcheggi pubblici. 4 - Il TAR adito, con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto tutte le censure ad eccezione del quarto motivo di ricorso, ritenendo fondata l'eccezione di prescrizione. Per l'effetto, ha disposto l'annullamento dell'impugnata ordinanza n. 16 del 7.5.2007 nella parte in cui ha disposto l'obbligo del rilascio dei 610 mq destinati a verde pubblico, e dei 124 mq destinati a parcheggi pubblici. 5 - Il ricorrente originario ha proposto appello avverso tale pronuncia per i seguenti motivi. 5.1 - Con il primo motivo deduce la violazione degli artt. 31 e 32 D.P.R. 380/01. Ad avviso di parte appellante, l'impugnata sentenza avrebbe errato nel ritenere che le difformità riscontrate rispetto alle originarie concessioni edilizie fossero qualificabili come variazioni essenziali ai sensi dell'art. 32 del D.P.R. 380/01. Tale conclusione sarebbe il frutto dell'erronea applicazione della L.R. Basilicata n. 28/1991, che secondo l'appellante non sarebbe più applicabile a seguito dell'entrata in vigore del Testo Unico Edilizia, scontando "un evidente disallineamento rispetto alla normativa statale sopravvenuta". Le statuizioni del giudice di primo grado, inoltre, si baserebbero su calcoli errati e su una percezione travisata della perizia depositata in primo grado. La corretta applicazione dei criteri di calcolo previsti dalla normativa di riferimento avrebbe consentito di rilevare che gli aumenti di volumetria riscontrati sono ampiamente assorbiti dalla cubatura di piano residuava e non utilizzata (pari a 5.589,50 - 5.360,22 = mc. 229,28), e in ogni caso si pongono al di sotto della soglia del 6% individuata dalla L.R. 28/1991 per individuare le variazioni essenziali; la volumetria complessiva, inoltre, avrebbe dovuto essere ridotta in applicazione dell'art. 5, ultimo comma, della variante al Piano di Fabbricazione del Comune di (omissis), in base al quale "non viene computato il volume destinato a porticato e a spazi liberi a piano terra e quelle dei garages se interrati o parzialmente interrati con estradosso della copertura a quota pari od inferiore a 1,00 rispetto alla quota media del terreno". 6 - La censura è inammissibile e infondata. Deve osservarsi che la censura di parte appellante si concentra sull'aspetto relativo all'accesso di volumetria, limitandosi per il resto a definire "irrilevanti" gli ulteriori profili di difformità rispetto alle originarie concessioni edilizie, senza tuttavia indicare le ragioni di tale irrilevanza. Tuttavia, il provvedimento impugnato giustifica l'abusività delle opere e la qualificazione dell'abuso in termini di variazioni essenziali ai sensi dell'art 32 D.P.R. 380/01, oltre che per l'accertato aumento volumetrico, in ragione degli ulteriori seguenti aspetti: - posizionamento del complesso edilizio in maniera difforme rispetto al progetto autorizzato; - costruzione di scale esterne in cemento armato, non previste nel progetto autorizzato; - difformità dei prospetti dell'edificio, rispetto a quelli assentiti. Tali difformità non sono state contestate dall'appellante, potendosi pertanto prospettare la carenza di interesse ad esaminare il solo aspetto relativo all'aumento volumetrico. 6.1 - In ogni caso, la censura è infondata. Il TAR ha correttamente rilevato che l'art. 8, comma 1, lett. b), L. n. 47/1985, come il vigente art. 32, comma 1, lett. c), del DPR n. 380, nel qualificare come variazione essenziale l'aumento "consistente" della cubatura, demandano espressamente alle Regioni di stabilire "quali siano le variazioni essenziali al progetto approvato" e perciò anche la decisione di determinare l'aumento di volumetria ritenuto "consistente". Pertanto, nella fattispecie in esame, va applicato l'art. 3, comma 1, lett. c), della L.R. n. 28/1991, ai sensi del quale costituisce variazione essenziale l'aumento della cubatura rispetto al progetto approvato, che comporta modifiche delle superfici di solaio superiori "del 6% per gli edifici eccedenti i 2.000 mc", nella specie ampiamente superato, in quanto, a fronte di una volumetria autorizzata di 5.360,22 mc, sono stati realizzati 1.232,01 mc in più . I rilievi dell'appellante non sono idonei ad incrinare le considerazioni che precedono. In primo luogo, infatti, come correttamente rilevato dal TAR, non vi è alcun contrasto fra il disposto dell'art 32 del D.P.R. 380/01 e l'art 3 della L.R. 28/1991, in quanto è la stessa normativa statale a demandare alle regioni di stabilire quali siano le variazioni essenziali al progetto approvato, con la conseguenza che i parametri individuati dalla normativa regionale risultano applicabili al caso di specie. 6.2 - Anche i rilievi relativi al computo del volume eccedentario sono infondati. Ricordato che "una perizia di parte, ancorché giurata, non è dotata di efficacia probatoria e pertanto non è qualificabile come mezzo di prova" (cfr. Cons. St., Sez. IV, 19 luglio 2018, n. 5128) e che "il verbale redatto e sottoscritto dagli agenti e dai tecnici del Comune a seguito di sopralluogo, attestante l'esistenza di manufatti abusivi, costituisce atto pubblico, fidefaciente fino a querela di falso, ai sensi dell'art. 2700 c.c., delle circostanze di fatto in esse accertate sia relativamente allo stato di fatto e sia rispetto allo status quo ante" (cfr. Cons. St., Sez. IV, 14 dicembre 2016, n. 5262), la tesi dell'appellante - che non esclude la sussistenza di una volumetria eccedentaria, prospettandone solo la compatibilità con la volumetria realizzabile sul lotto, e secondo la quale ai fini del computo del volume dovrebbero prendersi in considerazione esclusivamente le altezze al di fuori del piano di campagna - si scontra con il disposto del penultimo comma dell'art. 5 del Regolamento Edilizio all'epoca vigente, in base al quale non deve essere computato il volume degli interrati o parzialmente interrati "con estradosso delle coperture a quota pari o inferiore ad 1 m rispetto alla quota media del terreno", mentre nel caso di specie, a seguito dei rilievi svolti dei tecnici comunali, risulta che l'altezza media del fabbricato fuori terra è di circa 1,89 mt, e pertanto la suddetta norma non è applicabile. Ad indiretta conferma della natura abusiva dell'opera deve osservarsi che lo stesso interessato ha presentato istanza di sanatoria. 7 - Con il secondo motivo si deduce l'erroneità della sentenza impugnata per aver disatteso il secondo motivo di ricorso, relativo all'omessa comparazione dell'interesse pubblico con quello del ricorrente e la mancata considerazione del lungo periodo di tempo decorso dalla realizzazione degli abusi edilizi. Ad avviso di parte appellante l'ordinanza di demolizione è sottoposta ad un onere di motivazione rafforzata che, avuto riguardo anche all'entità ed alla tipologia dell'abuso, indichi il pubblico interesse, diverso dal mero ripristino della legalità violata, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato, quando, a causa del lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell'abuso, si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato. 8 - La censura è infondata. Sul punto, il TAR ha fatto corretta applicazione del principio affermato dall'Adunanza Plenaria di questo Consiglio, secondo la quale "il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino" (Consiglio di Stato, Ad. Plen., 17/10/2017, n. 9). Gli argomenti dedotti da parte appellante e la giurisprudenza citata, antecedente alla predetta pronuncia, sono inidonei a pervenire ad una diversa valutazione. 9 - Con il terzo motivo si lamenta l'erroneità della sentenza di primo grado per aver dichiarato inammissibile - e comunque infondato - il terzo motivo di ricorso di primo grado, con il quale si chiedeva di dichiarare inefficace l'ordine di demolizione, in quanto successivamente alla sua adozione l'appellante aveva presentato un'istanza di accertamento di conformità ex art 36 del D.P.R. 380/01. 10 - La censura è inammissibile e/o infondata. In via preliminare, deve osservarsi che dal tenore del motivo di appello non è dato comprendere gli esatti termini della critica avverso la statuizione impugnata. In ogni caso, avuto riguardo al terzo motivo del ricorso di primo grado, deve rilevarsi che la giurisprudenza più recente, alla quale il Collegio ritiene di aderire, ha precisato che la presentazione di una istanza di sanatoria ex art. 36 del D.P.R. 380/2011 non rende inefficace il provvedimento sanzionatorio pregresso; non vi è dunque una automatica necessità per l'amministrazione di adottare, se del caso, un nuovo provvedimento di demolizione. La domanda di accertamento di conformità determina un arresto dell'efficacia dell'ordine di demolizione, ma tale inefficacia opera in termini di mera sospensione. In caso di rigetto dell'istanza di sanatoria, l'ordine di demolizione riacquista la sua efficacia (Cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 25/10/2022, n. 9070; Consiglio di Stato, Sez. II, 6/5/2021, n. 3545; Consiglio di Stato, Sez. VI, 6/6/2018, n. 3417; Consiglio di Stato, Sez. VI, 28/9/2020, n. 5669; Consiglio di Stato, Sez. VI, 27/9/2022, n. 8320). 11 - Per le ragioni esposte l'appello va respinto, non essendo neppure necessario l'approfondimento istruttorio richiesto dall'appellante. Non è necessario pronunciarsi sulle spese di lite, stante la mancata costituzione del Comune di (omissis). P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta respinge l'appello. Nulla sulle spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2023 con l'intervento dei magistrati: Giancarlo Montedoro - Presidente Oreste Mario Caputo - Consigliere Giordano Lamberti - Consigliere, Estensore Davide Ponte - Consigliere Lorenzo Cordà - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 3657 del 2023, proposto dalla società Sl. S.r.l., con sede in (...), Via (...), in persona dell'amministratore delegato e legale rappresentante pro tempore Sig. Sa. La., rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, giusta allegata procura, dagli Avv.ti Prof. An. Cl., Prof. Al. Lo., Pa. Pr. e Gi. La Fa., ed elettivamente domiciliata presso lo Studio del Prof. Avv. An. Cl. in Roma, Via (...), con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro l'Azienda Ospedaliera Regionale "Sa. Ca." di Po. in persona del Direttore Generale nella qualità di legale rappresentante pro tempore, con sede in Potenza (PZ), alla Via (...), rappresentata e difesa all'Avv. Do. Ca., come da procura alle liti depositata in atti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo Studio professionale dell'Avv. An. Ni. in Roma - 00199, alla Via (...); nei confronti della società Se. Ri. s.p.a., con sede in Vicenza, Viale (...), in persona del legale rappresentante pro tempore Sig. Ma. Pu., rappresentata e difesa dall'Avv. An. Ma. del Foro di Roma, con domicilio eletto presso lo studio dell'Avv. An. Ma. sito in Roma, alla via (...), giusta procura allegata in calce alla memoria di costituzione, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; della Regione Basilicata, non costituita in giudizio; per la riforma della sentenza del Tar Potenza n. 133, pubblicata in data 28.02.2023, con la quale è stato respinto il ricorso n. R.G. 428/2022 proposto dalla SL.. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Azienda Ospedaliera Regionale "Sa. Ca." di Po. e della società Se. Ri. s.p.a.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 giugno 2023 il Cons. Paolo Carpentieri e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con il ricorso in esame, notificato il 24 aprile 2023, la società Sl. S.r.l. ha proposto appello avverso la sentenza n. 133 del 28 febbraio 2023 con la quale il Tar della Basilicata ha respinto il ricorso (n. R.G. 428/2022) da essa appellante proposto per l'annullamento della determina del Direttore generale dell'AOR Po. n. 2022/00765 del 4 luglio 2022 emanata in ottemperanza alla sentenza di questa Sezione n. 1283/2022 per riscontrare l'istanza di verifica circa il possesso in capo alla società Se. (nella qualità di aggiudicataria) dei requisiti di esecuzione dell'appalto del "Servizio di preparazione e somministrazione pasti veicolati ai degenti e al personale dei presidi dell'ASM, dell'ASP, dell'AOR Sa. Ca., dell'IRCCS CR., dell'ARDSU", gara n. 6747069 - lotto 3 - (CIG. 7083040583)" (nonché per l'annullamento della deliberazione del Direttore generale dell'AOR Po. n. 2019/00737 del 12 luglio 2019 di presa d'atto della stipula della convenzione con la ditta Se. Ri. s.p.a. unitamente al verbale di avvio d'urgenza nelle more della contrattualizzazione, dei verbali di affidamento d'urgenza del 27 giugno 2019 e del 15 ottobre 2019, nonché per l'illegittimità sopravvenuta e/o per l'inefficacia della deliberazione di aggiudicazione alla ditta La Se. s.p.a. del servizio oggetto di lite e per la dichiarazione di inefficacia del contratto di appalto stipulato tra l'AOR Sa. Ca. e la Se. s.p.a. - rep. 2235 del 15 giugno 2020, stante l'assenza in capo a quest'ultima dei requisiti di esecuzione). 2. La società appellante ha così esposto la complessa vicenda litigiosa concernente la sua partecipazione alla procedura aperta per l'affidamento del servizio di preparazione e somministrazione pasti sopra indicato, aggiudicato con determinazione dirigenziale n. 20AB.2018/D.00231 del 19 novembre 2018 alla società controinteressata Se. Ri. s.p.a. 2.1. Con ricorso iscritto al R.G. n. 555/2018 impugnava dinanzi al Tar Basilicata, in quanto classificata al secondo posto della graduatoria, la predetta aggiudicazione alla società controinteressata, contestando la mancata disponibilità giuridica dei centri di cottura contemplati nell'offerta tecnica della ditta aggiudicataria. 2.2. Il Tribunale adito, con sentenza n. 371/2019, confermata in sede di appello dalla pronuncia n. 249/2020, respingeva l'impugnativa sul presupposto che la disponibilità effettiva dei centri di cottura non integrasse un requisito di partecipazione ma di esecuzione e, in quanto tale, dovesse essere richiesta (e dimostrata) anteriormente alla stipula del contratto. 2.3. Stante la perdurante indisponibilità in capo alla società Se. dei centri di cottura (primari e secondari) promessi in sede di offerta, essa esponente, dapprima con nota del 3-6 giugno 2020, poi con ulteriore sollecito del 21 settembre 2020, invitava e diffidava la stazione appaltante ad effettuare la prescritta verifica dei requisiti di esecuzione richiesta dalla lex specialis prima di procedere alla stipula del contratto. 2.4. Essendo la detta diffida rimasta senza riscontro, la ricorrente adiva nuovamente il Tar Basilicata avverso il silenzio serbato dall'Ente, ma tale ricorso (R.G n. 404/2020) veniva dichiarato inammissibile per carenza di interesse con sentenza n. 151 del 2021. 2.5. Tale ultima sentenza, appellata, veniva infine riformata da questa Sezione con sentenza n. 1283 del 2022, che giudicava ammissibile la pretesa della SL. alla verifica dei requisiti di esecuzione dichiarati dall'aggiudicataria in sede di offerta tecnica, statuendo il relativo obbligo per la Stazione appaltante. 2.6. A seguito della sentenza del Consiglio di Stato, l'Azienda Ospedaliera adottava la deliberazione del Direttore generale n. 2022/765 del 4 luglio 2022, avente ad oggetto "ottemperanza sentenza del Consiglio di Stato n. 1283/2022...", con la quale ha affermato di aver acquisito dalla società Se. la documentazione integrativa inerente il possesso dei centri di cottura esterni e di emergenza dichiarati in sede di gara ed ha deliberato di sanare la situazione, dichiarando, ora per allora, che quest'ultima possiede la disponibilità dei centri di cottura dichiarati in data anteriore alla stipula del contratto (avvenuta il 15 giugno 2020). La suddetta delibera è stato oggetto del ricorso n. R.G. 428/2022 respinto dal Tar della Basilicata e gravato con l'appello in trattazione. 3. Con la sentenza n. 133 del 28 febbraio 2023 il Tar della Basilicata ha respinto il ricorso ora detto con le seguenti motivazioni: la verifica dei requisiti di esecuzione in capo all'aggiudicataria, pur avvenuta necessariamente in via postuma rispetto alla stipula del contratto, non si appalesa per ciò solo viziata, poiché tale sopravvenienza non estingue il potere/dovere di controllo che gravava sull'Amministrazione circa il possesso dei requisiti necessari per accedere alla stipula del contratto, non essendo evincibile dalla disciplina di settore una sanzione decadenziale per il mancato esercizio di tali poteri nella tempistica all'uopo fissata, atteso che l'art. 32, comma 7, del d.lgs. n. 50 del 2016 stabilisce che l'aggiudicazione diviene efficace dopo la verifica del possesso dei prescritti requisiti e l'eventuale riscontro dell'illegittimità di tale verifica si ripercuote inevitabilmente sull'aggiudicazione con la possibilità della dichiarazione di inefficacia del contratto; la verifica sub iudice è stata correttamente riferita alla situazione esistente alla data di effettiva contrattualizzazione del servizio e non già, come preteso dalla ricorrente, anticipata a quella di avvio d'urgenza delle prestazioni ovvero a quella, ancora precedente, in cui il servizio avrebbe dovuto essere contrattualizzato, atteso che la verifica dei requisiti di esecuzione va comunque compiuta "ora per allora", avuto esclusivo riguardo alla data di stipula del contratto, ciò a prescindere dalla non perentorietà del termine previsto dall'art. 32, comma 8, del d.lgs. n. 50 del 2016; infondate risulterebbero poi anche le censure riguardanti i singoli centri di cottura (centro di cottura principale di (omissis), centro di cottura di (omissis), centro di cottura di (omissis), centro di cottura di (omissis), centri di cottura di (omissis), (omissis) e (omissis)). 4. A sostegno del proposto appello la società ricorrente ha articolato i seguenti motivi di censura. 4.1. "Errores in iudicando. Violazione degli artt. 32, 33 e 100 D.LGS. 50/2016; Violazione e falsa applicazione della sentenza del Consiglio di Stato n. 1283/2022. Carenza di istruttoria; illogicità ": con il motivo in esame parte appellante sostiene, contrariamente a quanto opinato dal primo Giudice, che la verifica dei requisiti di esecuzione non poteva essere effettuata nel 2022 sulla scorta della situazione esistente al momento della stipula del contratto, che è stata ritardata di ben due anni, ma andava invece espletata tenendo presente la data di immissione nel servizio o, quantomeno, il termine previsto dalla legge per stipulare il contratto, mentre nella fattispecie tutti i centri di cottura sono stati acquisiti nel 2020 e, dunque, tardivamente sia rispetto al termine codicistico per la stipula del contratto di 60 giorni dall'aggiudicazione, sia rispetto all'immissione anticipata nel servizio come da verbali del 27 giugno e del 15 ottobre 2019; il Tar non avrebbe affrontato il tema fondamentale della controversia, ovvero la mancata disponibilità di quei centri di cottura, autorizzati ed operativi, dichiarati in offerta al momento della immissione in servizio, nel giugno 2019; sarebbe errato il giudizio del Tar lì dove ha attribuito rilevanza al momento della stipula del contratto (intervenuta due anni dopo l'aggiudicazione), anziché al momento, antecedente, dell'avvio anticipato delle prestazioni; tale distinzione sarebbe comunque irrilevante, atteso che, anche a voler valorizzare solo il momento di stipula del contratto (giugno 2020), sarebbe comunque pacifico che a quella data il centro di cottura esterno ordinario di (omissis), indicato in offerta quale centro principale per la preparazione dei pasti, non era stato ancora attivato e che nel contempo non era stata nemmeno dimostrata la disponibilità dei centri di cottura alternativi di (omissis) (Via (omissis)), di (omissis) (Contrada (omissis)), di (omissis) (Piazza (omissis)), ad oggi del tutto assenti dalla proposta esecutiva della controinteressata, ancorché fossero stati dichiarati in sede d'offerta (e ciò ferma restando comunque l'illogicità e non condivisibilità della distinzione operata dal Tar tra avvio anticipato delle prestazioni e successiva stipula del contratto, al fine di imputare solo a tale momento l'effettivo insorgere delle obbligazioni contrattuali). 4.2. "Errores in iudicando. Violazione degli artt. 32, 33 e 100 D.LGS. 50/2016; Carenza di istruttoria; illogicità ": contrariamente a quanto ritenuto dal Tar, sussisterebbero le criticità inerenti i centri di cottura verificati dall'Azienda Ospedaliera. 5. Si sono costituiti in giudizio per resistere al proposto appello l'Azienda Ospedaliera Regionale "Sa. Ca." di Po. e la società Se. Ri. s.p.a. 6. Alla pubblica udienza dell'8 giugno 2023 la causa è stata chiamata e assegnata in decisione. DIRITTO 1. L'appello è fondato e deve essere accolto, nei termini e nei limiti che qui di seguito si precisano. 2. La sentenza di questa Sezione 23 febbraio 2022, n. 1283, con statuizioni ormai passate in giudicato, ha affermato la giurisdizione amministrativa (punto 8.1) sulla considerazione che la verifica richiesta della disponibilità dei centri cottura non costituirebbe "un comportamento da attuare secondo il programma negoziale concordato tra le parti nell'ambito di un rapporto contrattuale già perfezionato e declinabile secondo il binomio diritto/obbligo ma", in quanto "verifica di un requisito tecnico dell'offerta... inciderebbe sulla stessa definitiva possibilità di accedere alla stipula del contratto condizionandone l'an in stretta correlazione ad un potere di sindacato esigibile dall'Amministrazione nell'esercizio delle proprie prerogative pubblicistiche e temporalmente inquadrabile in una fase anticipata rispetto a quella di perfezionamento della fattispecie genetica del rapporto", sicché "l'accertamento sollecitato e riferito resterebbe funzionale a conferire efficacia all'aggiudicazione definitiva e non riguarderebbe, quindi, una vicenda attinente all'esecuzione del contratto". Con la conseguenza per cui "8.3. Orbene, così inquadrata la res iudicanda, non può essere revocata in dubbio la configurabilità della giurisdizione del giudice amministrativo, correttamente affermata dal TAR con la decisione appellata e che, per tali profili, va confermata, dovendo per converso respingersi sul punto l'appello incidentale spiegato dalla società Se. Ri.". 3. La Sezione ha inoltre aggiunto quanto segue: "9.3. Né può essere revocato in dubbio che, anche dopo la stipula del contratto, restano immutate le prerogative di autotutela in capo all'Amministrazione ove mai la stazione appaltante acclarasse - anche in conseguenza dell'esercizio delle verifiche qui sollecitate - la mancanza ab origine di uno dei requisiti qualificanti l'offerta tecnica, non potendo parimenti dubitarsi del fatto che il relativo esercizio dei poteri di autotutela amministrativa (diversa da quella contrattuale), ancorché intervenuto dopo la stipulazione del contratto, ove contestato, resti soggetto al sindacato del giudice amministrativo. 9.4. È, infatti, evidente come in siffatte evenienze non è di certo il contratto a far da velo all'efficace esercizio di tale potere: l'art. 32 comma 7 del d.lgs. 50 del 2016 stabilisce che l'aggiudicazione diviene efficace dopo la verifica del possesso dei prescritti requisiti e l'eventuale riscontro dell'illegittimità di tale verifica si ripercuote inevitabilmente sull'aggiudicazione con la possibilità della dichiarazione di inefficacia del contratto (cfr. Cons. St., sez. V, n. 4100 del 26.6.2020)". 4. È dunque acquisita e non più ridiscutibile in questa sede la sussistenza di un interesse qualificato e differenziato e di un interesse pratico-processuale della odierna appellante a ottenere l'annullamento degli atti impugnati in primo grado, atteso che, in base alle statuizioni contenute nella sentenza di questa Sezione n. 1283 del 2022, la pretesa tutelata dell'impresa non aggiudicataria, seconda graduata nella procedura selettiva a vedere annullata l'aggiudicazione alla società vincitrice si prolunga oltre la conclusione della gara proiettandosi anche sulla fase "intermedia" che si sviluppa tra l'aggiudicazione e la stipula del contratto, segnatamente per quanto attiene alla doverosa verifica del possesso, in capo alla ditta vincitrice, non solo dei requisiti di partecipazione e di ammissione alla procedura, ma anche di quelli di esecuzione del contratto (ancorché attinenti, come dice la parola stessa, alla esecuzione e dunque all'adempimento del contratto). 5. Dovendosi acquisire in questa sede per irretrattabile questa indicazione (e l'annessa rivendicazione della cognizione di questo G.A.), ritiene il Collegio che siano fondate e meritino accoglimento le censure mosse in appello alla sentenza di primo grado di rigetto del ricorso introduttivo, non risultando in particolare condivisibile la tesi esposta in quella decisione, secondo la quale "La verifica dei requisiti di esecuzione in capo all'aggiudicataria, pur avvenuta necessariamente in via postuma rispetto alla stipula del contratto, non si appalesa per ciò solo viziata" e (pag. 8 della sentenza appellata) "Per altro verso, la verifica sub iudice è stata correttamente parametrata - dal punto di vista temporale - alla situazione esistente alla data di effettiva contrattualizzazione del servizio e non già, come preteso dalla ricorrente, anticipata a quella di avvio d'urgenza delle prestazioni (peraltro interinale e ormai conclusa) ovvero a quella, ancora precedente, in cui il servizio avrebbe dovuto essere contrattualizzato ex art. 32, co. 8, del D.lgs. n. 50/2016..., tenuto conto di quanto statuito nella predetta sentenza del Consiglio di Stato n. 249/2020, nella quale si è precisato che la piena disponibilità dei centri di cottura "(...) deve essere garantita "al momento della stipula del contratto"". Parimenti non condivisibile risulta, ad avviso del Collegio, l'ulteriore considerazione svolta nella sentenza appellata, secondo la quale "Né gli eventuali ritardi maturati nella contrattualizzazione del servizio possono riflettersi sulle modalità di espletamento della verifica dei requisiti di esecuzione (che va comunque compiuta "ora per allora", avuto esclusivo riguardo alla data di stipula del contratto) ovvero integrare vizi di legittimità di detta attività ; ciò, a prescindere dalla manifesta non perentorietà del termine sancito dall'art. 32, co. 8, del D.lgs. n. 50/2016". 6. I passaggi motivazionali della sentenza appellata, ora richiamati, sono criticabili sotto il duplice profilo, da un lato, di una non corretta lettura della sentenza di questa Sezione e, dall'altro lato, della non condivisibile ricostruzione dei termini previsti, nella legge e nel bado di gara, per la stipula del contratto e per la verifica del possesso, in capo all'operatore economico aggiudicatario, dei promessi requisiti di esecuzione del contratto. 6.1. Sotto il primo profilo occorre precisare che, contrariamente alla lettura datane dal Tar e ripresa dalle difese dell'Azienda ospedaliera, la sentenza della Sezione n. 1283 del 2022, lì dove ha affermato che "tale sopravvenienza non estingue di certo il potere/dovere di controllo che gravava sull'Amministrazione circa il possesso dei requisiti necessari per accedere alla stipula del contratto non essendo evincibile dalla disciplina di settore una sanzione decadenziale per il mancato esercizio di tali poteri nella tempistica all'uopo fissata" (par. 9.2, nonché par. 9.4), non ha affatto inteso sostenere che il termine per la stipula del contratto sia un termine "libero", rinviabile sine die e senza motivazione, e con esso fosse parimenti prorogabile ad libitum il termine per l'aggiudicatario di adempiere alla sua specifica obbligazione di mettere a disposizione della stazione committente i mezzi necessari per il pronto e perfetto adempimento dell'offerta presentata in gara; la frase sopra citata, estrapolata dalla sentenza citata, si limitava semplicemente a dire una cosa diversa (e ovvia), e cioè che l'emersione e l'accertamento della mancanza di un requisito di esecuzione ben può accadere ed essere effettuato dall'amministrazione anche dopo la stipula del contratto, ossia che l'amministrazione non perde il potere di controllare, anche successivamente, il possesso dei requisiti di esecuzione; ma non dice affatto che non ci sia un dovere funzionale dell'amministrazione di effettuare tempestivamente questo controllo, di regola (e salvo motivati casi eccezionali) prima della stipula del contratto e possibilmente nei termini per la stipula previsti nel bando (e, in mancanza, nella legge); sicché non può certo fondarsi su quelle proposizioni l'assunto per cui l'amministrazione può rinviare di circa due anni, come avvenuto nel caso di specie, senza una specifica, stringente motivazione nell'interesse pubblico prevalente, la stipula del contratto e la verifica dei requisiti suddetti. 6.2. Sotto il secondo profilo, il Collegio osserva che se occorre "leggere" in chiave amministrativistica la fase di verifica del possesso dei requisiti di esecuzione del contratto dichiarati in gara, quale adempimento di un dovere funzionale dell'amministrazione ed esercizio di un connesso potere autoritativo, come stabilito nella ripetuta sentenza di questa Sezione n. 1283 del 2022, allora non può accettarsi la tesi, sostenuta dal Tar, secondo la quale tale verifica può ritardarsi anche per anni senza soggiacere ad alcun termine: così argomentando si vanifica indirettamente, ex post, la par condicio dei partecipanti alla procedura selettiva, poiché si consente alla stazione appaltante, ritardando oltremodo la verifica e affidando nelle more in via d'urgenza l'esecuzione anticipata dal contratto, di favorire l'aggiudicatario consentendogli tutto il tempo desiderato per apprestare quei mezzi di esecuzione e di adempimento del contratto che, sì, non dovevano essere posseduti già al momento della partecipazione alla gara e avrebbero potuto essere acquisiti successivamente, ma che certamente non possono essere apprestati in un tempo successivo indeterminato, sine die. 6.3. Occorre pertanto introdurre le seguenti precisazioni, rispetto a quanto statuito nella sentenza appellata, in ordine al tema di quale sia la natura del termine di conclusione del contratto e, quindi, di quale sia il termine ragionevole entro il quale l'operatore economico aggiudicatario deve disporre dei requisiti di esecuzione promessi in gara. 6.3.1. L'art. 32, comma 8, del d.lgs. n. 50 del 2016 è chiaro nel prevedere che "Divenuta efficace l'aggiudicazione, e fatto salvo l'esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti, la stipulazione del contratto di appalto o di concessione deve avere luogo entro i successivi sessanta giorni, salvo diverso termine previsto nel bando o nell'invito ad offrire, ovvero l'ipotesi di differimento espressamente concordata con l'aggiudicatario, purché comunque giustificata dall'interesse alla sollecita esecuzione del contratto". Ancor più chiaramente l'art. 18 del nuovo codice dei contratti, approvato con la il decreto legislativo n. 36 del 2023, prevede, nel comma 2, lettera c), che può derogarsi alla regola generale per cui la stipula del contratto ha luogo entro i 60 giorni successivi all'efficacia dell'aggiudicazione "nell'ipotesi di differimento concordato con l'aggiudicatario e motivato in base all'interesse della stazione appaltante o dell'ente concedente, compatibilmente con quello generale alla sollecita esecuzione del contratto". 6.3.2. Nel caso di specie in esame, conformemente peraltro alla prassi comune e prevalente, la lex specialis della gara (art. 13.1 del capitolato) stabiliva che i requisiti di esecuzione (come irrevocabilmente accertato da questa Sezione con la sentenza 10 gennaio 2020, n. 249, di conferma della pronuncia del Tar n. 371 del 16 aprile 2019) dovevano essere posseduti "al momento della stipula del contratto". Ed è pacifico in atti che la procedura di gara prevedeva la stipula del contratto entro sessanta giorni dall'aggiudicazione, in linea con la regola generale stabilita dal citato art. 32 del codice di settore. La giurisprudenza è peraltro univoca (Cons. Stato, sez. V, 7 marzo 2022, n. 1617) nel ritenere che "Non essendo ovviamente in discussione che il possesso dei requisiti di partecipazione sia richiesto al concorrente sin dal momento della presentazione dell'offerta, merita evidenziare che i requisiti di esecuzione sono, di regola, condizioni per la stipulazione del contratto di appalto (cfr. Cons. Stato, V, 30 settembre 2020, n. 5734; 30 settembre 2020, n. 5740; 12 febbraio 2020, n. 1071), pur potendo essere considerati nella lex specialis come elementi dell'offerta, a volte essenziali (cfr. Cons. Stato, V, 3 aprile 2019, n. 2190), più spesso idonei all'attribuzione di un punteggio premiale (cfr. Cons. Stato, V, 29 luglio 2019, n. 5309 e 25 marzo 2020, n. 2090)", con l'ulteriore considerazione che, per "principio giurisprudenziale - posto a salvaguardia dell'attendibilità delle offerte e della serietà della competizione, nonché dell'efficienza ed economicità dell'azione amministrativa - (che), in caso di incertezza interpretativa, va preferita un'interpretazione delle clausole del bando nel senso che i mezzi e le dotazioni funzionali all'esecuzione del contratto devono essere individuati già al momento della presentazione dell'offerta, con un impegno del concorrente ad acquisirne la disponibilità, a carattere vincolante (cfr. Cons. Stato, sez. V, 25 marzo 2020, n. 2090; 23 agosto 2019, n. 5806; 29 luglio 2019, n. 5308) ovvero compiutamente modulato dalla stazione appaltante quanto alla serietà ed alla modalità della sua assunzione o alle condizioni e ai termini di adempimento dell'obbligazione futura (cfr. Cons. Stato, V, n. 8159/2020 citata, laddove richiama Cons. Stato, V, n. 2090/2020, citata)". 6.3.3. Una volta stabilito che nella fattispecie in esame i requisiti di esecuzione dovevano essere posseduti "al momento della stipula del contratto", si tratta ora di stabilire quale fosse il termine entro il quale il contratto doveva essere stipulato e se tale termine, ordinatorio e non perentorio, potesse legittimamente essere "spostato in avanti", come nei fatti avvenuto, di circa un anno e sei mesi (dal 19 gennaio 2019, sessantesimo giorno rispetto alla data dell'aggiudicazione, intervenuta il 19 novembre 2018, fino al 15 giugno 2020), con conseguente dilazione del termine per l'appaltatore di dotarsi dei mezzi promessi e necessari per l'adempimento delle obbligazioni assunte. 6.4. Sul primo punto, come detto, la procedura di gara prevedeva la stipula del contratto entro sessanta giorni dall'aggiudicazione, in linea con la regola generale di legge. Ciò posto, se è vero che il termine per la conclusione del contratto non può ritenersi inderogabilmente perentorio, è altresì vero che l'intera normativa nella materia dei contratti pubblici converge univocamente nel senso di ritenere la conclusione del contratto un adempimento da definirsi nel tempo più rapido possibile: l'art. 32, comma 8, del codice dei contratti pubblici, sopra citato, configura chiaramente il predetto termine come derogabile solo in via di eccezione, con conseguenziale obbligo di motivazione, imposto in capo alla stazione appaltante, sul preminente interesse pubblico che giustifica la dilazione, quale deroga alla spedita conclusione del contratto in potenziale contrasto con l'interesse prevalente alla esecuzione puntuale dei connessi adempimenti contrattuali, in una dinamica improntata sempre più a criteri di massima accelerazione. 6.4.1. La procedura di gara serve del resto esattamente a fornire all'amministrazione i mezzi di cui abbisogna per esercitare le sue funzioni ed erogare i servizi di sua competenza, sicché sarebbe paradossale affermare la tesi secondo la quale, fatta la gara e selezionato il fornitore, non vi sia poi alcun termine cogente entro il quale la fornitura debba essere effettivamente e compiutamente prestata sulla base di un regolare contratto (e non in modo provvisorio, incompleto e precario, come avviene nell'anticipo di esecuzione, che deve costituire comunque una molto ben motivata eccezione alla regola, come reso esplicito dall'ultimo periodo del comma 8 dell'art. 32 del d.lgs. n. 50 del 2016, in base al quale "L'esecuzione d'urgenza di cui al presente comma è ammessa esclusivamente nelle ipotesi di eventi oggettivamente imprevedibili, per ovviare a situazioni di pericolo per persone, animali o cose, ovvero per l'igiene e la salute pubblica, ovvero per il patrimonio, storico, artistico, culturale ovvero nei casi in cui la mancata esecuzione immediata della prestazione dedotta nella gara determinerebbe un grave danno all'interesse pubblico che è destinata a soddisfare, ivi compresa la perdita di finanziamenti comunitari"). Consentire termini indeterminati e liberi per la piena esecuzione della fornitura, pur dopo esperita la gara, significherebbe negare contraddittoriamente quel bisogno di acquisto di beni, servizi, lavori che ha mosso l'amministrazione a procedere (secondo un dovere funzionale, peraltro, di razionale programmazione degli acquisti) e che ha giustificato l'indizione della procedura selettiva. Il che cozzerebbe frontalmente con il principio di buona amministrazione e con i principi di economicità, efficacia, tempestività ripetutamente richiamati nel codice dei contratti pubblici. 7. Va dunque conseguentemente disattesa la tesi sostenuta nella sentenza appellata, secondo la quale "Né gli eventuali ritardi maturati nella contrattualizzazione del servizio possono riflettersi sulle modalità di espletamento della verifica dei requisiti di esecuzione... ovvero integrare vizi di legittimità di detta attività ; ciò, a prescindere dalla manifesta non perentorietà del termine sancito dall'art. 32, co. 8, del D.lgs. n. 50/2016". La non perentorietà del suddetto termine non implica che la sua funzione acceleratoria possa e debba essere vanificata, senza una stringente motivazione sulle ragioni specifiche, preferibilmente legate a sopravvenienze imprevedibili, che ne impongano la dilazione. Il che, d'altra parte, discende pianamente anche dai soli principi del diritto civile in tema di adempimento delle obbligazioni. E se - come irretrattabilmente statuito nella sentenza di questa Sezione n. 1283 del 2022 - la fase di verifica dei requisiti di esecuzione appartiene, nella sostanza, alla procedura di scelta del contraente e soggiace alle sue regole interamente pubblicistiche (anziché ascriversi alla fase dell'adempimento del rapporto obbligatori, devoluta al Giudice civile), allora non potrà negarsi che l'immotivato rinvio dei suddetti adempimenti - stipula del contratto e annessa verifica del possesso dei requisiti di esecuzione - possa riflettersi e ridondare sulla legittimità dell'operato dell'amministrazione integrando vizi di legittimità della sua azione autoritativa (come specificamente dedotti nel ricorso in appello). 8. Orbene, nel caso di specie in esame l'unica giustificazione del rilevato ritardo che si evince dagli atti consisterebbe nel "lungo e travagliato contenzioso giudiziario sulla corretta interpretazione della verifica del possesso dei requisiti di esecuzione del contratto in capo alla soc. Se.", al quale avrebbe "posto fine" la sentenza di questa Sezione n. 1283 del 2022, "riconoscendo, in definitiva, il diritto della soc. SL. ad avere risposta, con formale provvedimento, assunto ex art. 2 L. 241/1990 ss. mm. e ii., alle istanze rispettivamente del 3.6.2020 e del 21.9.2020 in ordine alla avvenuta verifica da parte della SA- AOR Sa. Ca. della sussistenza in capo alla aggiudicataria soc. Se. dei requisiti di esecuzione del contratto.... consistenti nel possesso giuridico degli immobili da adibire a centri di cottura emergenziale dei PP.OO. di (omissis), (omissis), (omissis), (omissis) e (omissis) e centri di cottura esterni dei PP.OO (omissis) e (omissis)". Tale giustificazione risulta invero inadeguata e tale aspetto appare trascurato nella sentenza appellata, che non ha indagato sufficientemente il profilo della violazione immotivata, da parte dell'amministrazione committente, del dovere funzionale di effettuare i predetti controlli con la dovuta solerzia e tempestività, e ciò anche prescindendo dalle sollecitazioni e dalle istanze di accesso della società qui appellante, trattandosi di doveri funzionali incombenti d'ufficio sulla stazione appaltante, per tutte le ragioni sopra esposte, in funzione del buon andamento e dell'efficienza ed efficacia dell'azione amministrativa. 9. In conclusione, ad avviso del Collegio, nel caso di specie in esame emerge un irragionevole e immotivato ritardo nell'approntamento dei mezzi necessari per l'esecuzione del contratto e le verifiche doverose da parte della stazione appaltante si sono immotivatamente diluite eccessivamente nel tempo. Anche a voler escludere che vi fosse un termine perentorio per la stipula del contratto e/o per la verifica del possesso dei requisiti de quibus, peraltro essenziale per l'esecuzione dell'appalto, tuttavia emerge nel caso concreto un ingiustificato ritardo che, se non attiene alla fase di adempimento contrattuale, ma coinvolge, come statuito dalla sentenza della Sezione, poteri/doveri funzionali e doverosi della stazione appaltante, legittimamente denunciabili (ancora) dal secondo graduato nella procedura di gara, allora si traduce in un vizio di legittimità dell'atto, impugnato in primo grado, di verifica ora per allora dei ripetuti requisiti di esecuzione. 10. L'accoglimento dell'esaminato primo motivo di appello assorbe ogni altra questione e consente di prescindere dall'analisi particolare del possesso dei predetti requisiti - contestato nel secondo motivo di appello - con riferimento ai diversi centri di cottura della società controinteressata, di cui al secondo motivo di appello. 10.1. Non senza il rilievo che dalla copiosa documentazione versata in atti dalle parti è possibile evincere già ictu oculi l'oggettiva sussistenza e consistenza - per taluni aspetti ammessa anche dalle controparti, ancorché variamente giustificata o ritenuta non rilevante o non incidente sul rapporto - di non poche criticità e difficoltà concernenti l'effettiva e regolare disponibilità, in capo alla società aggiudicataria, di uno o più dei centri di cottura promessi in gara, ciò che obiettivamente fornisce un sia pur indiretto supporto ulteriore alla tesi di fondo qui affermata, secondo la quale, in conclusione, lo spostamento del possesso dei requisiti di esecuzione a "dopo la gara" non può e non deve in alcun modo consentire la vanificazione, anche parziale, dell'interesse pubblico fondamentale perseguito e garantito da tutta la disciplina delle procedure selettive, ossia dell'interesse primario alla pronta esecuzione piena e perfetta delle prestazioni di fornitura, servizi e lavori di cui l'amministrazione ha bisogno per poter erogare i suoi servizi ai cittadini. 10.2. Risulta dagli atti - ad esempio e in particolare - che al tempo della stipula del contratto (giugno 2020) il centro di cottura esterno ordinario di (omissis), indicato in offerta quale centro principale per la preparazione dei pasti per il presidio dell'AOR "Sa. Ca." di Po., non era stato ancora attivato (nella propria memoria difensiva in data 6 maggio 2023 l'Azienda ospedaliera Sa. Ca. si limita ad affermare l'erroneità della ricostruzione di controparte "in quanto afferma che il requisito del possesso deve essere individuato al 21.07.2021 (All.1.4.1) data dell'acquisto dell'altra parte di immobile già posseduta dalla medesima società a seguito del contratto stipulato il 28.07.2017", aggiungendo che la società Se. Ri. s.p.a. aveva già il possesso dell'immobile al momento dell'avvio in urgenza, ma non nega il fatto dell'avvio del centro di cottura successivamente alla data di stipula del contratto, fatto invece ribadito in modo circostanziato dalla parte appellante nella memoria del 23 maggio 2023, dove si afferma che "il centro di cottura esterno ordinario di (omissis), indicato in offerta quale centro principale per la preparazione dei pasti, non è mai stato attivato sino al 27.10.2020 (quindi l'attivazione è intervenuta un anno dopo l'avvio delle prestazioni in via anticipata e quattro mesi dopo la stipula del contratto)" e che "che in sostituzione del suddetto centro è stato allestito un centro di cottura sito in (omissis) alla Via Rifreddo, che non era previsto in offerta (non risulta presente nemmeno tra i centri di cottura alternativi)"). Alla stessa stregua, nella stessa memoria difensiva del 6 maggio 2023 dell'Azienda ospedaliera si afferma (pag. 8) che "Il servizio per i presì di di (omissis), (omissis) e (omissis) proseguiva, con i precedenti gestori, in virtù di successivi provvedimenti sino a tutto il 24.06.2020". 11. L'appello, in conclusione, deve essere accolto, con conseguente annullamento, in riforma della sentenza appellata, della determina del Direttore generale dell'AOR di Po. n. 2022/00765 del 4 luglio 2022. 12. Non possono tuttavia ricevere accoglimento le ulteriori domande proposte in primo grado e qui reiterate. Parte appellante ha difatti chiesto, nel dispositivo dell'atto di appello, "l'accoglimento dell'appello e (per) la conseguente riforma della sentenza di primo grado e l'accoglimento del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti", ossia l'accoglimento anche delle domande in quella sede avanzate e qui riprodotte alla pag. 3 dell'atto di appello ("per l'annullamento... - ove occorra: della deliberazione del Direttore Generale dell'AOR Po. n. 2019/00737 del 12.07.2019, avente ad oggetto la presa d'atto della stipula della convenzione con la ditta Se. Ri. S.p.A. unitamente al verbale di avvio d'urgenza nelle more della contrattualizzazione; - ove occorra: dei verbali di affidamento d'urgenza del 27.6.2019 e del 15.10.2019 del Servizio di preparazione e somministrazione pasti veicolati ai degenti e al personale dei presidi dell'ASM, dell'ASP, dell'AOR Sa. Ca., dell'IRCCS CROB, dell'ARDSU". SIMOG: GARA n. 6747069 - Lotto 3 - (CIG. 7083040583), nonché di ogni altra determina e deliberazione reiterativa dell'affidamento del servizio a Se. S.p.A. alle regole e condizioni di aggiudicazione nelle more della stipula del contratto d'appalto; - ove occorra, per l'illegittimità sopravvenuta e/o per l'inefficacia della deliberazione di aggiudicazione alla Ditta La Se. S.p.A. del Servizio di preparazione e somministrazione pasti veicolati ai degenti e al personale dei presidi dell'ASM, dell'ASP, dell'AOR Sa. Ca., dell'IRCCS CROB, dell'ARDSU". SIMOG: GARA n. 6747069 - Lotto 3 - (CIG. 7083040583), ovvero ove occorra della deliberazione commissariale dell'AOR Sa. Ca. n. 2018/01415 del 13.12.2018, nonché della determina dirigenziale dell'ufficio centrale di committenza e soggetto aggregatore del Dipartimento SUA-RB n. 20AB.2018/D.00231 del 19.11.2018 e della relativa nota di trasmissione; nonché - per la dichiarazione di inefficacia del contratto di appalto stipulato tra l'AOR Sa. Ca. e la Se. S.p.A. (rep. 2235 del 15 giugno 2020), stante l'assenza in capo a quest'ultima dei requisiti di esecuzione"). 12.1. Tali domande sono in parte inammissibili, in parte non accoglibili. Sono inammissibili per carenza d'interesse le domande di annullamento degli atti attinenti all'avvio d'urgenza e di affidamento d'urgenza nelle more della contrattualizzazione, trattandosi di atti già eseguiti al tempo della proposizione dell'azione, rispetto ai quali l'annullamento non porterebbe alcun vantaggio alla ricorrente. 12.2. Non sono accoglibili le domande di annullamento e di accertamento dell'illegittimità sopravvenuta e/o dell'inefficacia della deliberazione di aggiudicazione del servizio oggetto di lite alla società controinteressata e di declaratoria di inefficacia del contratto di appalto stipulato tra l'AOR Sa. Ca. e la società Se. s.p.a. (rep. 2235 del 15 giugno 2020), stante l'assenza in capo a quest'ultima dei requisiti di esecuzione. Ai sensi e per gli effetti dell'art. 122 c.p.a., ritiene il Collegio, tenendo conto dello stato di esecuzione del contratto e delle oggettive difficoltà di subentro, anche sul piano della continuità dei servizi erogati, che nella fattispecie non si debba dare corso alla declaratoria di inefficacia del contratto nelle more stipulato. 13. Sussistono giusti motivi per disporre l'integrale compensazione tra le parti le spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe indicato, lo accoglie in parte, nei termini di cui in motivazione e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla la determina del Direttore generale dell'AOR di Po. n. 2022/00765 del 4 luglio 2022. Spese del doppio grado di giudizio compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2023 con l'intervento dei magistrati: Michele Corradino - Presidente Pierfrancesco Ungari - Consigliere Paolo Carpentieri - Consigliere, Estensore Stefania Santoleri - Consigliere Ezio Fedullo - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1707 del 2023, proposto dal Consorzio Na. Co. di Pr. e La. "Ci. Me." Soc. Coop. per Azioni, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Mi. Pe., Al. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via (...); nei confronti Azienda Ospedaliera Regionale Sa. Ca., Regione Basilicata, Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche Campania Molise Puglia e Basilicata - Sede Coord. di Potenza, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata Sezione Prima n. 771/2022, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 4 maggio 2023 il Cons. Giovanni Tulumello e viste le conclusioni delle parti come in atti; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con sentenza n. 771/2022, il T.A.R. della Basilicata ha declinato la giurisdizione in relazione al ricorso proposto dall'odierna appellante per l'annullamento del verbale della sede coordinata di Napoli del Comitato Tecnico Amministrativo del Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche Campania-Molise-Puglia-Basilicata del Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile, n. 20 del 4.11.2021. L'indicata sentenza è stata impugnata con ricorso in appello dalla parte ricorrente in primo grado. Si è costituito in giudizio il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Il ricorso è stato trattenuto in decisione alla camera di consiglio del 4 maggio 2023. 2. Il provvedimento impugnato in primo grado ha espresso - ai sensi dell'art. 5, comma 2-quater del decreto-legge n. 136/2004 - parere non favorevole all'accertamento della conformità alle Norme Tecniche per le Costruzioni del 2008 dei lavori di adeguamento del fabbricato I6 dell'Azienda Ospedaliera Sa. Ca. di Po.. Il T.A.R. ha ritenuto che "la fattispecie, oggetto della controversia, della verifica ex art. 5,comma 2 quater D.L. n. 136/2004 conv. nella L. n. 186/2004 di conformità al D.M.v14.1.2008 dei progetti di lavori pubblici di importo inferiore a Euro 50.000.000,00, finanziati per il almeno il 50% dallo Stato, da parte dei Comitati Tecnici Amministrativi dei Provveditorati Interregionali per le Opere Pubbliche attiene alla fase esecutiva del contratto di appalto dei lavori di realizzazione del nuovo Trauma Center, di adeguamento sismico dei fabbricati (omissis) e di demolizione e ricostruzione del Gruppo Operatorio ubicato nel padiglione (omissis), nell'ambito della quale, poiché i contraenti si trovano in una posizione paritaria (cd. Rapporto paritetico), sono titolari esclusivamente di diritti soggettivi ed anche perché l'accertamento tecnico in questione, di conformità al D.M. 14.1.2008, è di tipo vincolato con esclusione di qualsiasi apprezzamento discrezionale". 3. La tesi dell'appellante poggia sulla distinzione fra profilo meramente cronologico e profilo funzionale della vicenda: "le controversie relative ai provvedimenti emessi dal CTA e relative all'approvazione del progetto esecutivo sotto il profilo strutturale, rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, e ciò anche nell'ipotesi in cui detti provvedimenti intervengano nella fase successiva alla stipula del contratto d'appalto, venendo comunque in rilievo l'esercizio di un potere pubblico da parte di una amministrazione che, peraltro, non è parte del contratto. Nell'ambito della funzione pubblicistica di espressione del parere non può non essere ricompreso anche l'accertamento del progetto de quo che configura un'ipotesi di esercizio del potere autoritativo della P.A. che giustifica il radicamento della giurisdizione del Giudice Amministrativo". Argomenta poi l'appellante che la valorizzazione, da parte del T.A.R., del Disciplinare di gara (nella parte in cui stabilisce che "l'aggiudicatario è tenuto ad apportare, senza alcun onere per la stazione appaltante, tutte le modifiche richieste al progetto definitivo presentato in gara, richieste dalla stessa stazione appaltante ovvero richieste dagli Enti preposti al rilascio dei pareri e/o delle autorizzazioni indispensabili per l'esecuzione") non è pertinente, perché nel caso di specie "non vi è alcuna evidenza della richiesta di modifica al progetto (che peraltro è pianamente conforme alle Norme Tecniche) né da parte del CTA, che si limita ad emettere un parere non favorevole sulla scorta di mere perplessità, e men che mai da parte della Stazione Appaltante, che al riguardo non ha avanzato alcuna richiesta di modifica del progetto". L'appellante deduce che, ancorchè in fase esecutiva, la verifica in questione non avviene in posizione paritaria, perché la parte pubblica esercita in essa poteri autoritativi. 4. L'appello è fondato. Osserva il Collegio che è anzitutto inconferente ogni richiamo alla natura vincolata del potere, posto che anche a fronte del potere vincolato la posizione del privato può assumere la consistenza di interesse legittimo (Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 6371/2020). La fattispecie dedotta in giudizio attiene alla fase esecutiva del rapporto negoziale unicamente come collocazione temporale, ma non concerne l'inadempimento di obblighi negoziali gravanti sull'appellante. Per questo correttamente l'appellante deduce- alternativamente rispetto alla tesi della giurisdizione esclusiva ex art. 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm. - la tesi della posizione non paritaria delle parti, e dunque la natura di interesse legittimo della posizione soggettiva dell'appellante. L'appello è pertanto fondato perché il ricorso di primo grado ha ad oggetto un provvedimento del Comitato Tecnico Amministrativo istituito presso il Provveditorato alle Opere Pubbliche, relativo ad un intervento oggetto di contratto (in fase di esecuzione) stipulato da altra amministrazione (l'Azienda Ospedaliera Regionale Sa. Ca. di Po.), e sostanzialmente attinente non al rispetto delle condizioni contrattuali, ma alla conformità dell'intervento oggetto del contratto ad una normativa pubblicistica, posta a presidio di interessi superindividuali. L'autorità che ha emanato il provvedimento impugnato, pertanto - che è comunque diversa dall'amministrazione contraente - non interviene sull'esecuzione del rapporto contrattuale, ma su un suo presupposto provvedimentale (ancorché tale intervento si collochi, sul piano meramente cronologico, a valle della stipula). Il potere esercitato è pertanto autoritativo e non negoziale. Ne consegue che tale provvedimento non può ricondursi in senso proprio - né dal punto di vista strutturale, né sul piano funzionale - alla fase esecutiva del rapporto contrattuale che giustificherebbe la declinatoria di giurisdizione. Peraltro, lo stesso giudice del riparto mostra di non ritenere in assoluto precluso un esercizio di poteri pubblicistici della stessa amministrazione committente (il che, come detto, qui non è ) pur dopo la stipula del contratto, e in fase di esecuzione dello stesso: "non potendo escludersi che anche nella fase esecutiva del contratto di appalto l'Amministrazione committente disponga di poteri autoritativi, il cui esercizio si manifesti attraverso atti aventi natura provvedimentale espressione di discrezionalità valutativa, a fronte dei quali la posizione soggettiva del privato si atteggia a interesse legittimo" (Cass. Civ., SU, 18 novembre 2016 n. 23468). 5. Il ricorso in appello ripropone infine le censure del ricorso di primo grado. Tuttavia l'accoglimento del motivo di appello sul riparto della giurisdizione comporta l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 105, cod. proc. amm. Ne segue che, in accoglimento dell'appello, debba essere affermata la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine all'intera controversia e che, annullata la decisione qui impugnata, la stessa controversia debba essere rimessa in toto alla cognizione del Tribunale amministrativo regionale per la Basilicata nel termine stabilito dall'art. 105, comma 3, c.p.a. Le parti devono, ai sensi dell'art. 105, comma 3, c.p.a., riassumere avanti al Tribunale il processo con ricorso notificato nel termine perentorio di novanta giorni dalla notificazione o, se anteriore, dalla comunicazione della presente sentenza. Le spese del doppio grado del giudizio, per la parziale novità delle questioni esaminate, possono essere interamente compensate tra le parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo, annulla la sentenza di primo grado con rinvio della causa al Tribunale amministrativo regionale per la Basilicata. Compensa interamente tra le parti le spese del doppio grado del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati: Mario Luigi Torsello - Presidente Paolo Carpentieri - Consigliere Nicola D'Angelo - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere, Estensore Luca Di Raimondo - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 498 del 2022, proposto dalla Agenzia del Demanio - Direzione Regionale Puglia e Basilicata, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via (...); contro Signor Gi. Ba., rappresentato e difeso dall'avvocato Ni. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Sezione Seconda n. 1097/2021, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Signor Gi. Ba.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 maggio 2023 il Cons. Raffaello Sestini e udito per le parti l'avvocato Ni. Ga.. Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - L'Agenzia del Demanio appella la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Sezione Seconda n. 1097/2021, che ha accolto in parte il ricorso proposto dal Signor Gi. Ba., odierno resistente. 2 - La parte resistente è proprietaria di un antico immobile su più piani sito in (omissis), in prossimità della costa e confinante con la scogliera. Il piano inferiore dell'immobile è coperto da un lastrico solare sul quale si affacciano le porte-finestre del piano superiore, ma che costituisce anche il punto di accesso alla confinante stazione di vedetta ad uso della Marina edificata sulla scogliera intorno al 1920 per scopi militari. Lo stesso terrazzo è stato quindi gravato da servitù di passaggio verso la costruzione demaniale sopraindicata, concessa dal Ministero delle Finanze dapprima ad un privato per uso studio artistico- archeologico e poi al Presidente della Onlus "Ve. sul Me.", che ha fatto eseguire alcuni lavori sul terrazzo e lo ha occupato con alcuni arredi. 3 - Il proprietario pertanto ha proposto ricorso nei confronti del predetto concessionario dinanzi al Tribunale di Bitonto per la reintegra nel possesso dei beni in esame. Proposto reclamo al Collegio contro il rigetto da parte del Giudice Unico del Tribunale di Bitonto, con ordinanza cautelare ormai passata in giudicato il giudice civile ha disposto di reintegrare l'istante "nel compossesso della rampa con arco (c.d. fornice) che attraversa il portone di cui al civico n. 11 della via Marco Polo in (omissis), immette sull'ampio terrazzo sovrastante nonché nel compossesso di quest'ultimo terrazzo". 4 - Nel frattempo, però, l'agenzia del Demanio - Direzione Regionale Puglia e Basilicata, con nota prot. 5637 del 18/3/2016 ha ordinato ai sensi dell'art. 823 c.c. al proprietario odierno resistente il rilascio del terrazzo. 5 - Il proprietario ha proposto ricorso davanti al TAR per la Puglia, Sede di Bari,, che con sentenza della Sezione Seconda del 23 agosto 2016, n. 1059, ha declinato la propria giurisdizione. Il Consiglio di Stato con sentenza 2340 del 2019 della IV Sezione ha solo in parte confermato il difetto di giurisdizione, ritenendo che "ove il bene in discorso, come sostiene l'appellante, non appartenesse al demanio o al patrimonio indisponibile dell'Agenzia del Demanio, gli atti posti in essere dall'Amministrazione, oggetto dell'impugnativa, non potrebbero ritenersi riconducibili all'esercizio di un potere autoritativo a tutela di un bene pubblico - potere attribuito dall'art. 823 c.c. solo con riferimento ai beni demaniali ed ai beni patrimoniali indisponibili degli enti pubblici - bensì all'espletamento di attività privata di autotutela del patrimonio immobiliare posta in essere iure privatorum, e cioè dovrebbero qualificarsi come atti di diffida di natura paritetica volti alla tutela di beni di proprietà comunale, a fronte dei quali sussistono posizioni di diritto soggettivo, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario sulle relative controversie". "Diversamente", prosegue le predetta sentenza, "gli altri motivi di impugnativa dedotti in primo grado - con i quali il signor Ba. ha contestato che, anche quando l'Amministrazione, ai sensi dell'art. 823, secondo comma, c.c., ritenga di esercitare l'azione possessoria, adottando un ordinanza di rilascio di un bene demaniale occupato, occorre che il bene sia occupato abusivamente (motivo sub 2), il potere di autotutela relativo ai beni demaniali non potrebbe considerarsi legittimamente esercitato quando sia trascorso un anno dal sofferto spoglio o dalla scoperta di esso (motivo sub 3), il provvedimento impugnato, atteso che la contestazione in ordine al possesso era stata già delibata dal giudice ordinario, sarebbe stato emanato in carenza di motivazione e difetto di istruttoria (motivo sub 4) - rientrano nella giurisdizione amministrativa, in quanto attengono a vizi di legittimità dell'atto, che postulano la natura demaniale del bene e che, comunque, prescindono dall'accertamento della natura del regime giuridico del bene. 2.3. In conclusione, in parziale accoglimento dell'appello, la sentenza impugnata va annullata esclusivamente in parte qua (capo 2.2. della presente sentenza), con rinvio al medesimo giudice di primo grado". 6 - Il TAR con la sentenza ora appellata dall'amministrazione, preso atto degli esiti favorevoli per il ricorrente davanti al giudice civile, ha accolto il ricorso di primo grado con riferimento all'illegittimità dell'intervento autoritativo per carenza di motivazione e sviamento dalla causa tipica. 7 - L'Avvocatura con propria memoria contesta la sua mancata evocazione in giudizio nonché la riconducibilità del bene al demanio dello Stato. 8 - In primo luogo si rileva l'infondatezza della eccezione di inammissibilità del ricorso in appello per genericità, in quanto l'amministrazione appellante ha correttamente contestato con specifiche censure la sentenza di primo grado 9 - Ai fini della decisione il Collegio prende atto che il giudicato interno formatosi sulla giurisdizione preclude la valutazione della rivendicazione del titolo di appartenenza del bene in esame come bene non demaniale. La natura demaniale del bene non può quindi essere contestata in questa sede e, allo stato, risulta idonea a giustificare il contestato intervento pubblicistico attivato dall'Amministrazione preposta alla tutela del predetto bene pubblico, evidenziando altresì l'erroneità della sentenza ora appellata, che ha motivato la pronuncia di accoglimento proprio in base alla presunta incertezza in merito alla proprietà pubblica o meno della terrazza/piazzale dell'immobile "Ex Stazione di Ve. sul Me." sulla base di una pronuncia possessoria del giudice ordinario, peraltro non opponibile all'amministrazione appellante. Il provvedimento impugnato in primo grado risulta quindi essere stato correttamente istruito e motivato sulla natura demaniale del bene, la cui contestazione potrà avvenire davanti al giudice ordinario. 9 - L'appello deve essere pertanto accolto, conseguendone la reiezione, in parziale riforma della sentenza appellata, del ricorso di primo grado. 10 - La singolarità e complessità della questione controversa giustificano, infine, la integrale compensazione fra le parti delle spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto, in riforma dell'appellata sentenza, respinge il ricorso di primo grado. Compensa fra le parti le spese del doppio grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati: Roberto Chieppa - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Daniela Di Carlo - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere, Estensore Marco Morgantini - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 10342 del 2021, proposto dai signori Ch. Am. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Gu. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); contro Ministero dell'Istruzione, Ufficio Scolastico Regionale Campania, Ufficio Scolastico Regionale Lazio, Ufficio Scolastico Regionale Friuli Venezia Giulia, Ufficio Scolastico Regionale Puglia, Ufficio Scolastico Regionale Toscana, Ufficio Scolastico Regionale Lombardia, Ufficio Scolastico Regionale Sardegna, Ufficio Scolastico Regionale Marche, Ufficio Scolastico Regionale Veneto, Ufficio Scolastico Regionale Liguria, Usr - Ufficio Scolastico Regionale Sicilia - Direzione Generale, Ufficio Scolastico Regionale Piemonte, Ufficio Scolastico Regionale Calabria, Ufficio Scolastico Regionale Emilia Romagna, Ufficio Scolastico Regionale Basilicata, Ufficio Scolastico Regionale Umbria, Ufficio Scolastico Regionale Molise, Ufficio Scolastico Regionale Abruzzo, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato ex lege in Roma, via (...); Ufficio Scolastico Regionale per L'Abruzzo, non costituito in giudizio; nei confronti Signora An. Li., non costituita in giudizio; per la riforma della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza n. 10905/2021, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio degli Uffici del Ministero dell'Istruzione; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 marzo 2023 il Cons. Raffaello Sestini, nessuno presente per le parti costituite; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Gli appellanti impugnano la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, Sez. III bis, n. 10905/2021 depositata in data 25 ottobre 2021, con la quale veniva dichiarato inammissibile il ricorso collettivo proposto avverso le graduatorie definitive ed il d.D.G. 23 aprile 2020 n. 510, recante bando di indizione della procedura straordinaria di reclutamento del personale ai sensi dell'art. 1 del d.l. 29 ottobre 2019 n. 126 (conv. dalla L. 20 dicembre 2019 n. 159), nella parte in cui prevede una prova scritta selettiva da intendersi superata con il conseguimento del punteggio minimo pari a 56/80 (art. 13), nonché nella parte in cui prevede la formazione di una graduatoria di vincitori e/o idonei all'assunzione (art. 15). 2 - Il Ministero argomenta ampiamente circa l'inammissibilità del ricorso collettivo di primo grado e, comunque, circa la legittimità della previsione della soglia di sbarramento impugnata in primo grado. 3 - In sede di sommaria delibazione il Consiglio di Stato, con ordinanza del 24 gennaio 2022, ha respinto la domanda cautelare motivando circa l'assenza del fumus. 4 - In particolare, con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado gli odierni appellanti rappresentavano di essere tutti docenti precari in possesso di un'anzianità di servizio pre-ruolo almeno triennale, maturata su posti vacanti e disponibili, e quindi chiedevano di veder stabilizzato il proprio rapporto lavorativo sulla base di procedure di assunzioni di tipo idoneativo e non selettivo. Essi pertanto impugnavano le graduatorie definitive nonché il d.D.G. 23 aprile 2020 n. 510, recante bando di indizione della procedura straordinaria di reclutamento del personale ai sensi dell'art. 1 del d.l. 29 ottobre 2019 n. 126 (conv. dalla L. 20 dicembre 2019 n. 159), siccome delineavano un meccanismo concorsuale altamente competitivo che determinava la concorrenza su un novero di posti estremamente limitato. Al riguardo venivano articolate plurime censure intese a contestare l'impianto della procedura, alla quale gli odierni appellanti avevano comunque partecipato non superando la prova scritta. Veniva inoltre dedotta una specifica questione incidentale di legittimità costituzionale. Costituitosi il Ministero resistente, a seguito della Camera di Consiglio cautelare del 6 settembre 2021, con ordinanza interlocutoria n. 9548/2021 del 7 settembre 2021 il giudice di primo grado sottoponeva al contraddittorio delle parti la questione di ammissibilità del ricorso collettivo per asserita carenza dei presupposti, e all'esito della Camera di consiglio del 19 ottobre 2021, con sentenza n. 10905/2021 depositata in data 25 ottobre 2021 emessa in forma breve ex art. 60 cod. proc. amm., dichiarava il ricorso inammissibile in quanto collettivo e cumulativo, confermando un precedente in termini della medesima Sezione. 5 - Avverso la predetta sentenza viene proposto appello, deducendo gli appellanti i motivi di seguito sintetizzati. 5.1 - In primo luogo viene dedotta l'erroneità della sentenza appellata per "error in iudicando. violazione e falsa applicazione degli artt. 24, 111 e 113 cost. violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 35 e 40 cod. proc. amm. violazione e falsa applicazione dei principi in tema di proposizione del ricorso in forma collettiva. motivazione incongrua e perplessa". La sentenza impugnata, infatti, dichiarerebbe inammissibile la domanda giudiziale sulla scorta di motivazioni che non attengono al merito della controversia o alla sussistenza dei presupposti di accesso alla tutela interinale, ma si fondano invece sull'ammissibilità del ricorso per la proposizione dell'azione in forma collettiva, con una visione ritenuta rispondente a "meri schemi formali ed atomistici", il cui effetto sarebbe solo la produzione di decine o centinaia, di cause-fotocopia, sulla base dell'erroneo assunto secondo cui il ricorso sarebbe e finalizzato ad impugnare graduatorie distinte e non riferibili a ciascun candidato e, quindi, alla parte processuale collettivamente intesa. Vi sarebbe però un manifesto errore di percezione in ordine all'oggetto del giudizio, tenuto conto del petitum sostanziale del ricorso proposto. Il diritto azionato, infatti, era da individuarsi nella pretesa ad ottenere la stabilizzazione della propria posizione lavorativa, siccome docenti muniti di anzianità di servizio almeno triennale, mediante procedure idoneative e non selettive. Di talché, da un lato, con impugnazione parziale del bando concorsuale volta quindi all'eliminazione della soglia di idoneità della prova scritta ed alla previsione di una graduatoria di soli vincitori, gli odierni appellanti intendevano ottenere la trasformazione della procedura in canale a scorrimento integrale, e, dall'altro, con espressa domanda di accertamento, essi chiedevano il riconoscimento del diritto in parola sulla base della costante giurisprudenza europea e nazionale. In tal modo l'accoglimento del ricorso avverso l'atto generale non sarebbe stato suscettibile di caducare integralmente le graduatorie medio tempore approvate. 5.2 - In secondo luogo vengono dedotti i vizi di "error in iudicando. violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 60, 74 e 88 cod. proc. amm. omessa pronuncia sui motivi di ricorso". Ciò in quanto la sentenza impugnata ometterebbe qualsiasi disamina delle censure sollevate nel ricorso introduttivo del giudizio di prime cure, ritenendo erroneamente che ogni valutazione sia impedita dalla sussistenza di una questione preliminare di inammissibilità . Gli appellanti al riguardo rinviano quindi ai motivi di impugnazione (di seguito sintetizzati) non esaminati dal TAR. 5.3 - In particolare in primo grado gli odierni appellanti, premessa la giurisdizione del TAR, la competenza del TAR del Lazio e l'ammissibilità del ricorso in forma collettiva, deducevano la "violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 97 e 117 cost. violazione e falsa applicazione della direttiva 1999/70/ce. violazione e falsa applicazione dell'art. 19 del d.lgs. 15 giugno 2015 n. 81. violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e 70 del d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165. violazione e falsa applicazione dell'art. 9 del d.l. 13 maggio 2011 n. 70 (conv. con l. 12 luglio 2011 n. 106). violazione e falsa applicazione dell'art. 1 del d.l. 25 settembre 2009 n. 134 (conv. con l. 24 novembre 2009 n. 167)", ritenendo i provvedimenti impugnati non idonei ad assicurare piena ed integrale tutela nei confronti dei docenti precari che avevano maturato un'anzianità di servizio pari a 36 mesi ovvero tre annualità complete ai sensi dell'art. 11, co. 14 della L. 3 maggio 1999 n. 124, e pertanto non consentivano il ristoro dei pregiudizi patiti a causa dell'illecita reiterazione di contratti a tempo determinato. 5.4 - Veniva inoltre dedotta la "violazione e falsa applicazione dei principi di ragionevolezza, congruità e proporzionalità di cui agli artt. 3 e 97 cost. violazione e falsa applicazione dei principi di par condicio, trasparenza ed imparzialità di cui all'art. 1 della l. 7 agosto 1990 n. 241. violazione e falsa applicazione delle regole della concorsualità e del principio meritocratico. violazione e falsa applicazione del principio del favor partecipationis. violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 14 e 16 della direttiva comunitaria 2005/36/ce (modificata dalla direttiva 2013/55/ue). violazione del principio di proporzionalità . mancata valutazione dell'esperienza professionale maturata. eccesso di potere. irragionevolezza. manifesta illogicità . difetto di motivazione. difetto istruttorio. illegittimità della soglia di idoneità in quanto sensibilmente superiore alla sufficienza", dal momento che i provvedimenti impugnati comportavano l'esclusione di candidati che, all'esito della prova, avevano comunque conseguito un giudizio positivo, avendo ottenuto un punteggio almeno pari - se non superiore - alla sufficienza aritmetica espressa in centesimi (60/100). In tal senso, il mancato adeguamento della soglia di ammissione al reale fabbisogno di personale avrebbe prodotto una ingiustificata lesione del favor partecipationis nonché una evidente vanificazione del confronto concorrenziale fra i candidati rimasti nel concorso, il cui numero sarebbe stato corrispondente o, in alcuni casi, inferiore ai posti vacanti e disponibili messi a concorso. 5.5 - Da ultimo, veniva altresì proposta una questione incidentale di legittimità costituzionale, in quanto i provvedimenti impugnati violerebbero il diritto alla stabilizzazione dei ricorrenti scaturito dall'illecita reiterazione di incarichi a tempo determinato per un periodo complessivo pari ad almeno 36 mesi, in patente violazione della direttiva 1999/70/Ce secondo quanto già accertato dalla Corte di Giustizia UE. Le disposizioni normative contenute nell'art. 1 del d.l. 29 ottobre 2019 n. 126 (conv. con L. 20 dicembre 2019, n. 159), così come modificato e integrato dall'art. 2 del d.l. 8 aprile 2020 n. 22 (conv. con L. 6 giugno 2020 n. 22), si porrebbero pertanto in contrasto con i principi costituzionali di ragionevolezza e trasparenza (art. 3 Cost.), imparzialità e buon andamento (art. 97 Cost.), di tutela del lavoro (art. 4 Cost.), di uguaglianza di accesso alle cariche pubbliche (art. 51 Cost.) nonché di conformità ai principi e delle norme dell'ordinamento europeo (art. 117 Cost.). 7 - L'Amministrazione contro deduce, con propria ampia relazione, la piena legittimità della procedura concorsuale, l'esattezza della sentenza impugnata e l'inammissibilità ed infondatezza dell'appello. 8 - Osserva il Collegio, preliminarmente, che, come rilevato dagli appellanti, il Tar ha errato nel dichiarare inammissibile il ricorso in quanto collettivo. Al riguardo, come recentemente affermato dalla Sezione in fattispecie analoghe (Cons. Stato, VII, n. 3998/2023), deve essere in primo luogo considerato che il ricorso originario appartiene ad una ricorrente serialità di impugnazioni aventi ad oggetto questioni identiche o analoghe. In relazione a ciò, non è infondato considerare legittimo un approccio giurisdizionale c.d. sostanzialistico che, in linea con quanto affermato nella sentenza n. 7045/2021 di questo Consiglio, richiamata da parte appellante sebbene afferente ad altro contesto, consenta di realizzare i principi di concentrazione e ragionevole durata del processo, evitando il proliferare di innumerevoli ricorsi identici su medesime censure di legittimità . Si tratta, come pure evidenziato dalla richiamata giurisprudenza, di accedere a una concezione non formalistica, fondata sull'identità del bene della vita oggetto del ricorso in riferimento all'interesse azionato dai ricorrenti. Nella controversia di cui è causa, sebbene le graduatorie impugnate non sono comuni a tutti i ricorrenti e le posizioni sono relative a ognuno di essi, non può essere condivisa la conclusione del primo giudice che fa discendere da ciò il difetto di qualsiasi interesse a impugnare, mediante ricorso cumulativo, graduatorie per le quali non è stata presentata domanda di inserimento. Si tratta, evidentemente, di prendere in considerazione un'eccezione al principio secondo cui ogni distinto provvedimento si impugna con distinto ricorso, eccezione tuttavia giustificata alla luce delle richiamate circostanze di contesto che, in questo come in altri casi analoghi, senza rappresentare un vulnus per i principi in materia di ricorsi collettivi, correttamente indicati dal giudice di primo grado, consenta tuttavia di non confliggere con altri rilevanti principi dello svolgimento del processo, come quelli richiamati di concentrazione e ragionevole durata. D'altro canto, va pure considerato che, nell'atto d'appello, con il quale si impugna il bando, viene rappresentato come la finalità dell'impugnazione fosse diretta a lamentare la disciplina generale del procedimento concorsuale, ritenuta lesiva, e come rispetto a questa, specificamente, sussistano l'identità della posizione sostanziale dei ricorrenti, l'identità dei motivi di censura, l'identità del tipo di pronuncia richiesto al giudice ed infine l'identità degli atti impugnati. E' pur vero che oggetto di impugnazione avanti il primo giudice sono state anche le distinte graduatorie. Tuttavia, può essere accolta la deduzione di parte appellante che la circostanza dell'impugnazione anche di distinte graduatorie non sia sufficiente a determinare nel caso di specie l'inammissibilità del ricorso collettivo, tenuto conto dell'affermata impugnazione tuzioristica di queste, al solo fine di evitare pronunce di inammissibilità, ma soprattutto alla luce della disamina dei motivi di ricorso e degli argomenti a tal fine sviluppati, che effettivamente non pongono in diretta contestazione la formazione di dette graduatorie. 9 - Con gli ulteriori motivi di appello, vengono riproposte le censure sollevate nel primo giudizio e non esaminate dal giudice, in quanto impedite dalla preliminare pronuncia di inammissibilità . Tali censure sono infondate e, conseguentemente, va respinto il ricorso di primo grado. 9.1 - La giurisprudenza amministrativa si è, infatti, già pronunciata nel senso della legittimità della previsione di una soglia di sbarramento, sotto forma di punteggio concorsuale minimo, ai fini dell'inserimento nella graduatoria di riferimento. In particolare, il decreto legge 29 ottobre 2019 n. 126, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 2019, n. 159, recante "Misure di straordinaria necessità ed urgenza in materia di reclutamento del personale scolastico e degli enti di ricerca e di abilitazione dei docenti", e il decreto legge 08 aprile 2020, n. 22, recante "Misure urgenti sulla regolare conclusione e l'ordinato avvio dell'anno scolastico e sullo svolgimento degli esami di Stato" convertito, con modificazioni, dalla legge 06 giugno 2020, n. 41, hanno dettato la disciplina della procedura concorsuale straordinaria finalizzata all'immissione in ruolo del personale docente della scuola secondaria di primo e secondo grado in numero di 32.000 insegnanti in organico dall'a.s. 2021/22, bandita con decreto dipartimentale del Ministero dell'istruzione 23 aprile 2020 n. 510 e ulteriormente modificata con D.D. 8 luglio 2020 n. 783. In tale quadro, l'art. 1, comma 10, prevede espressamente il superamento della prova scritta della predetta selezione per i soli candidati "che conseguano il punteggio minimo di sette decimi o equivalente". La pretesa di vedere eliminare la predetta soglia comporterebbe pertanto l'eliminazione del carattere concorsuale della procedura in materia di reclutamento stabile nei ruoli dell'Amministrazione, in violazione dell'art. 97 Cost. con la corrispondente violazione dei principi del merito, del pubblico concorso e del buon andamento dell'amministrazione perseguibile attraverso la scelta del miglior candidato. 9.2 - Con riferimento alla ragionevolezza della soglia stabilita, considera altresì il Collegio che, avendo il procedimento in oggetto carattere concorsuale e non di abilitazione, l'amministrazione ben poteva stabilire una soglia rapportata al numero dei candidati piuttosto che al numero di risposte giuste fornite da parte del candidato. 9.3 - Quanto, poi, alla previsione del requisito di conoscenza al livello B2 della lingua inglese, la stessa non appare né ultronea né irragionevole rispetto alla previsione dell'art. 37 del d.lgs. 165/2001, come modificato dall'art. 7 d.lgs. 75/2017, secondo la quale i bandi di concorso per l'accesso alle pubbliche amministrazioni prevedono l'accertamento della conoscenza della lingua inglese nonché, ove opportuno in relazione al profilo professionale richiesto, di altre lingue straniere. La citata disposizione normativa, infatti, da un lato indica espressamente la lingua inglese quale idioma straniero di cui si prevede l'accertamento della conoscenza, dall'altro si riferisce ad altre lingue straniere a condizione che sia ritenuto opportuno in relazione al profilo professionale richiesto. In tale cornice primaria, risulta evidentemente rimessa alla discrezionalità dell'amministrazione, che nel caso di specie è stata esercitata in modo ragionevole, determinare in sede di bando di concorso la lingua prescelta, mentre per converso non risulta provato che le relative prove richiedano o abbiano richiesto una conoscenza "eccezionalmente approfondita", come lamentato da parte appellante. 9.4 -Neppure risultano fondate le censure di violazione della normativa e della giurisprudenza euro unitaria in tema di abusiva reiterazione dei contratti a termine, risultando manifestamente infondata la dedotta questione di legittimità costituzionale. Gli appellanti contestano la legittimità dei provvedimenti impugnati in quanto non idonei ad assicurare piena e integrale tutela nei confronti dei docenti precari che hanno maturato un'anzianità di servizio pari a 36 mesi ovvero tre annualità complete ai sensi dell'art. 11, co. 14 della legge 3 maggio 1999, n. 124, e pertanto non idonei a soddisfare la pretesa al ristoro dei pregiudizi patiti a causa dell'illecita reiterazione di contratti a tempo determinato. La questione è stata già affrontata in plurime decisioni di questa Sezione, qui richiamate e condivise, alla luce delle quali (ex plurimis, Consiglio di Stato, Sezione VII, n. 3699/2023) " (....) l'Adunanza Plenaria, 20 dicembre 2017, n. 11 ha chiarito che "la normativa in esame, così come interpretata e ricostruita non solleva...dubbi di illegittimità costituzionale o di contrarietà con l'ordinamento dell'Unione Europea", evidenziando in proposito che "nella situazione in esame appare ragionevole ed ispirato a consistenti ragioni di interesse pubblico il ripristino a regime del sistema di reclutamento degli insegnanti attraverso selezione concorsuale per esami, con salvaguardia delle sole più antiche posizioni di "precariato storico", per evidenti ragioni sociali. Ragioni, quelle appena indicate, che giustificano pienamente l'attuale disciplina anche in rapporto al diritto comunitario, con particolare riguardo alla clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 e allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio in data 28 giugno 1999, che esclude ogni discriminazione dei lavoratori a tempo determinato rispetto a quelli a tempo indeterminato e postula estensione ai primi degli istituti propri del rapporto dei secondi (...). Come chiarito dalla giurisprudenza, tuttavia, spetta al giudice nazionale una delicata valutazione - da condurre caso per caso - al fine di verificare la sussistenza, o meno, di "ragioni oggettive", che a norma della medesima direttiva possono giustificare un trattamento differenziato dei lavoratori a tempo determinato (Corte di Giustizia, Valenza e a. - da C-302/11 a C-305/11). Per l'individuazione di tali ragioni, in effetti, non si rinvengono parametri di riscontro nella direttiva 1999/70/CE, ma la Corte di Giustizia (Grande sezione, sentenza del 4 luglio 2006, causa C-212/04 -Adeneler) ha precisato che il significato e la portata della relativa nozione debbono essere determinati in funzione dell'obiettivo perseguito dall'accordo-quadro e, in particolare, del contesto in cui si inserisce la clausola 5, n. 1, lettera a) dello stesso (...) "È di tutta evidenza che le disposizioni normative in esame rispondono pienamente alla disciplina comunitaria, in quanto, appunto, volte ad eliminare il precariato (pur nel rispetto di parametri di gradualità, introdotti a tutela di situazioni a lungo protrattesi nel tempo e destinate alla stabilizzazione), con tendenziale, generalizzato ritorno ai contratti di lavoro a tempo indeterminato, previa selezione concorsuale per merito, nel già ricordato interesse pubblico alla formazione culturale dei giovani, che la scuola deve garantire attraverso personale docente qualificato (....)". Ed inoltre (Consiglio di Stato, Sezione VII, n. 3077/2023) " (....) - nella stessa sentenza Mascolo la Corte di Giustizia ha ritenuto aleatoria la possibilità per un docente che abbia effettuato supplenze, ai sensi dell'articolo 4 della legge n. 124/1999, in una scuola statale di ottenere la trasformazione dei suoi contratti di lavoro a tempo determinato successivi in un contratto o in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con immissione in ruolo per effetto dell'avanzamento in graduatoria; con la conseguenza che tale possibilità non potrebbe comunque essere considerata una sanzione a carattere sufficientemente effettivo e dissuasivo ai fini di garantire la piena efficacia delle norme adottate in applicazione dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (punti 116 e 117); - in ogni caso, dall'accordo quadro in esame e dalla sentenza Mascolo non è possibile evincere un dovere di stabilizzazione in favore degli appellanti in termini di effetti reali (cfr. anche Corte Cost. n. 187 del 2016) (.....) Tale pronuncia (Mascolo) si limita a prevedere che "quando, come nel caso di specie, il diritto dell'Unione non prevede sanzioni specifiche nell'ipotesi in cui vengano nondimeno accertati abusi, spetta alle autorità nazionali adottare misure che devono rivestire un carattere non solo proporzionato, ma anche sufficientemente energico e dissuasivo per garantire la piena efficacia delle norme adottate in applicazione dell'accordo quadro" (punto 77). 27.3 In riferimento a quest'ultima precisazione, va ricordato, dovendosi sul punto escludere ogni contrasto con i principi generali di uguaglianza e di non discriminazione tra dipendenti pubblici e privati, che la diversità di tutele tra lavoro pubblico e privato - dove l'illegittimo ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato comporta, in caso di violazione delle prescrizioni dettate dal d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368, la conversione del rapporto (ex plurimis, Cass., 23 agosto 2006, n. 18378) - è stata ritenuta legittima non soltanto dalla Corte costituzionale (sentenza n. 89 del 2003), ma anche dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea, che ha ritenuto la disciplina nazionale astrattamente compatibile con il diritto europeo, purché sia assicurata altra analoga misura sanzionatoria effettiva, proporzionata e dissuasiva (Corte di Giustizia 12 dicembre 2013, Papalia, C-50/13, cfr. anche sentenze del 4 luglio 2006, Adeneler e a., C-212/04 e del 7 settembre 2006, Marrosu e Sardino, C-53/04) (......) parimenti, la previsione di piani straordinari di assunzione è volta a fornire una soluzione, sia pur graduale, del fenomeno del precariato, contemperando la pressante esigenza di stabilizzazione di esso con la regola generale del pubblico concorso; a tali fini risulta differente la posizione dei soggetti iscritti a pieno titolo nelle graduatorie ad esaurimento, avuto riguardo all'esigenza di salvaguardare le "sole più antiche posizioni di "precariato storico" per evidenti ragioni sociali" (Cons. Stato, Ad. Plen., 20 dicembre 2017, n. 11) (....)". Va aggiunto che l'assimilazione al servizio di "ruolo" di quello "pre-ruolo" quale requisito per l'ammissione a procedure concorsuali è possibile soltanto se prevista espressamente (Cons. Stato sez. VI, 10/7/2013 n. 3658; 19/10/2009 n. 6384), atteso che il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost. impone di trattare in modo uguale situazioni ragionevolmente uguali ed in modo diverso situazioni ragionevolmente diverse. Neppure la prospettata questione di legittimità costituzionale palesa pertanto i necessari profili di non manifesta infondatezza. 10 - Alla stregua delle pregresse considerazioni, pronunciando sul ricorso in appello, deve essere respinto il ricorso di primo grado. Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara ammissibile il ricorso di primo grado e lo respinge. Condanna gli appellanti alla rifusione in favore delle amministrazioni appellate delle spese del giudizio di appello, che liquida in Euro 4.000 (quattromila/00), oltre ad IVA e CPA. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Roberto Chieppa - Presidente Daniela Di Carlo - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere, Estensore Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1138 del 2022, proposto da Do. An. ed altri, rappresentati e difesi dagli avvocati Ni. Za., Wa. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Sa. Ru. in Roma, via (...); contro Ministero dell'Istruzione, Ufficio Scolastico Regionale Abruzzo, Ufficio Scolastico Regionale Basilicata, Ufficio Scolastico Regionale Calabria, Ufficio Scolastico Regionale Campania, Ufficio Scolastico Regionale Emilia Romagna, Ufficio Scolastico Regionale Friuli Venezia Giulia, Ufficio Scolastico Regionale Lazio, Ufficio Scolastico Regionale Liguria, Ufficio Scolastico Regionale Lombardia, Ufficio Scolastico Regionale Marche, Ufficio Scolastico Regionale Molise, Ufficio Scolastico Regionale Piemonte, Ufficio Scolastico Regionale Puglia, Ufficio Scolastico Regionale Sardegna, Usr Ufficio Scolastico Regionale Sicilia Direzione Generale, Ufficio Scolastico Regionale Toscana, Ufficio Scolastico Regionale Umbria, Ufficio Scolastico Regionale Veneto, Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff III Ambito Terr per la Provincia dell'Aquila, Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff IV Ambito Terr Provinciale di Chieti Pescara Sede Pescara, Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Chieti e Pescara Sede Chi, Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff V Ambito Terr per la Provincia di Teramo, Uff Scolastico Reg Basilicata Uff III Ambito Terr per la Provincia di Potenza, Uff Scolastico Reg Basilicata Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Matera, Uff Scolastico Reg Calabria Uff III Ambito Terr per la Provincia di Crotone, Uff Scolastico Reg Calabria Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Vibo Valentia, Uff Scolastico Reg Calabria Uff II Ambito Terr per la Provincia di Catanzaro, Uff Scolastico Reg Calabria Uff V Ambito Terr per la Provincia di Cosenza, Uff Scolastico Reg Calabria Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Reggio Calabria, Uff Scolastico Reg Campania Ambito Terr per la Provincia di Avellino, Uff Scolastico Reg Campania Ambito Terr per la Provincia di Benevento, Uff Scolastico Reg Campania Ambito Terr per la Provincia di Caserta, Uff Scolastico Reg Campania Ambito Terr per la Provincia di Napoli, Uff Scolastico Reg Campania Ambito Terr per la Provincia di Salerno, Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff V Ambito Terr per la Provincia di Bologna, Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Ferrara, Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff VII Ambito Terr per la Provincia di Forlà Cesena Rimini, Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff VIII Ambito Terr per la Provincia di Modena, Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff IX Ambito Terr per la Provincia di Parma e Piacenza Se, Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff X Ambito Terr per la Provincia di Ravenna, Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff XI Ambito Terr per la Provincia di Reggio Emilia, Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Gorizia, Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Uff V Ambito Terr per la Provincia di Pordenone, Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Ambito Terr per la Provincia di Trieste, Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Udine, Uff Scolastico Reg Lazio Uff IX Ambito Terr per la Provincia di Rieti, Uff Scolastico Reg Lazio Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Roma, Uff Scolastico Reg Lazio Uff VII Ambito Terr per la Provincia di Frosinone, Uff Scolastico Reg Lazio Uff VIII Ambito Terr per la Provincia di Latina, Uff Scolastico Reg Lazio Uff X Ambito Terr per la Provincia di Viterbo, Uff Scolastico Reg Liguria Uff II Ambito Terr per la Provincia di Genova, Uff Scolastico Reg Liguria Uff IV Ambito Terr per la Provincia di La Spezia, Uff Scolastico Reg Liguria Uff V Ambito Terr per la Provincia di Imperia, Uff Scolastico Reg Liguria Uff III Ambito Terr per la Provincia di Savona, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Bergamo, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Como, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Cremona, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Lecco, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Lodi, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Mantova, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Milano, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Monza e Brianza, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Pavia, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Sondrio, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Varese, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Brescia, Uff Scolastico Reg Marche Uff III Ambito Terr per la Provincia di Ancona, Uff Scolastico Reg Marche Uff IV per Le Province di Ascoli Piceno e Fermo, Uff Scolastico Reg Marche Uff V Ambito Terr per la Provincia di Macerata, Uff Scolastico Reg Marche Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Pesaro Urbino, Uff Scolastico Reg Molise Ambito Terr per la Provincia di Campobasso, Uff Scolastico Reg Molise A, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Cuneo, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff V Ambito Terr per la Provincia di Torino, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Alessandria, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff VII Ambito Terr per la Provincia di Novara, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Asti, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff IX Ambito Terr per la Provincia del Verbano Cusio Ossola, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff X Ambito Terr per la Provincia di Biella, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff VIII Ambito Terr per la Provincia di Vercelli, Uff Scolastico Reg Puglia Uff V Ambito Terr per la Provincia di Foggia, Uff Scolastico Reg Puglia Uff III Ambito Terr per la Provincia di Bari, Uff Scolastico Reg Puglia Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Brindisi, Uff Scolastico Reg Puglia Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Lecce, Uff Scolastico Reg Puglia Uff VII Ambito Terr per la Provincia di Taranto, Uff Scolastico Reg Sardegna Uff V Ambito Terr per la Provincia di Cagliari, Uff Scolastico Reg Sardegna Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Sassari, Uff Scolastico Reg Sardegna Uff VII Ambito Terr per la Provincia di Nuoro, Uff Scolastico Reg Sardegna Uff VIII Ambito Terr per la Provincia di Oristano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Ambito Territoriale per la Provincia di Agrigento, Ambito Territoriale per la Provincia di Ancona, Ambito Territoriale per la Provincia di Bari, Ambito Territoriale per la Provincia di Belluno, Ambito Territoriale per la Provincia di Bergamo, Ambito Territoriale per la Provincia di Bologna, Ambito Territoriale per la Provincia di Cagliari, Ambito Territoriale per la Provincia di Catania, Ambito Territoriale per la Provincia di Catanzaro, Ambito Territoriale per la Provincia di Cosenza, Ambito Territoriale per la Provincia di Cuneo, Ambito Territoriale per la Provincia di Firenze, Ambito Territoriale per la Provincia di Foggia, Ambito Territoriale per la Provincia di Genova, Ambito Territoriale per la Provincia di L'Aquila, Ambito Territoriale per la Provincia di Lecce, Ambito Territoriale per la Provincia di Messina, Ambito Territoriale per la Provincia di Milano, Ambito Territoriale per la Provincia di Napoli, Ambito Territoriale per la Provincia di Padova, Ambito Territoriale per la Provincia di Palermo, Ambito Territoriale per la Provincia di Parma, Ambito Territoriale per la Provincia di Perugia, Ambito Territoriale per la Provincia di Pesaro-Urbino, Ambito Territoriale per la Provincia di Pescara, Ambito Territoriale per la Provincia di Pistoia, Ambito Territoriale per la Provincia di Pordenone, Ambito Territoriale per la Provincia di Reggio Calabria, Ambito Territoriale per la Provincia di Reggio Emilia, Ambito Territoriale per la Provincia di Roma, Ambito Territoriale per la Provincia di Salerno, Ambito Territoriale per la Provincia di Savona, Ambito Territoriale per la Provincia di Siracusa, Ambito Territoriale per la Provincia di Taranto, Ambito Territoriale per la Provincia di Teramo, Ambito Territoriale per la Provincia di Torino, Ambito Territoriale per la Provincia di Trapani, Ambito Territoriale per la Provincia di Treviso e Verona, Ufficio Scolastico Regionale per L'Abruzzo, Ufficio Scolastico Regionale per la Calabria, Ufficio Scolastico Regionale per la Campania, Ufficio Scolastico Regionale per L'Emilia Romagna, Ufficio Scolastico Regionale per il Friuli Venezia Giulia, Ufficio Scolastico Regionale per la Liguria, Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia, Ufficio Scolastico Regionale per Le Marche, Ufficio Scolastico Regionale per il Piemonte, Ufficio Scolastico Reginale per la Puglia, Ufficio Scolastico Regionale per la Sicilia, Ufficio Scolastico Regionale per la Sardegna, Ufficio Scolastico Regionale per la Toscana, Ufficio Scolastico Regionale per L'Umbria, Ufficio Scolastico Regionale per il Veneto, Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza Bis n. 08128/2021, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Istruzione e di Ufficio Scolastico Regionale Abruzzo e di Ufficio Scolastico Regionale Basilicata e di Ufficio Scolastico Regionale Calabria e di Ufficio Scolastico Regionale Campania e di Ufficio Scolastico Regionale Emilia Romagna e di Ufficio Scolastico Regionale Friuli Venezia Giulia e di Ufficio Scolastico Regionale Lazio e di Ufficio Scolastico Regionale Liguria e di Ufficio Scolastico Regionale Lombardia e di Ufficio Scolastico Regionale Marche e di Ufficio Scolastico Regionale Molise e di Ufficio Scolastico Regionale Piemonte e di Ufficio Scolastico Regionale Puglia e di Ufficio Scolastico Regionale Sardegna e di Usr Ufficio Scolastico Regionale Sicilia Direzione Generale e di Ufficio Scolastico Regionale Toscana e di Ufficio Scolastico Regionale Umbria e di Ufficio Scolastico Regionale Veneto e di Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff III Ambito Terr per la Provincia dell'Aquila e di Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff IV Ambito Terr Provinciale di Chieti Pescara Sede Pescara e di Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Chieti e Pescara Sede Chi e di Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff V Ambito Terr per la Provincia di Teramo e di Uff Scolastico Reg Basilicata Uff III Ambito Terr per la Provincia di Potenza e di Uff Scolastico Reg Basilicata Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Matera e di Uff Scolastico Reg Calabria Uff III Ambito Terr per la Provincia di Crotone e di Uff Scolastico Reg Calabria Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Vibo Valentia e di Uff Scolastico Reg Calabria Uff II Ambito Terr per la Provincia di Catanzaro e di Uff Scolastico Reg Calabria Uff V Ambito Terr per la Provincia di Cosenza e di Uff Scolastico Reg Calabria Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Reggio Calabria e di Uff Scolastico Reg Campania Ambito Terr per la Provincia di Avellino e di Uff Scolastico Reg Campania Ambito Terr per la Provincia di Benevento e di Uff Scolastico Reg Campania Ambito Terr per la Provincia di Caserta e di Uff Scolastico Reg Campania Ambito Terr per la Provincia di Napoli e di Uff Scolastico Reg Campania Ambito Terr per la Provincia di Salerno e di Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff V Ambito Terr per la Provincia di Bologna e di Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Ferrara e di Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff VII Ambito Terr per la Provincia di Forlà Cesena Rimini e di Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff VIII Ambito Terr per la Provincia di Modena e di Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff IX Ambito Terr per la Provincia di Parma e Piacenza Se e di Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff X Ambito Terr per la Provincia di Ravenna e di Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff XI Ambito Terr per la Provincia di Reggio Emilia e di Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Gorizia e di Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Uff V Ambito Terr per la Provincia di Pordenone e di Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Ambito Terr per la Provincia di Trieste e di Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Udine e di Uff Scolastico Reg Lazio Uff IX Ambito Terr per la Provincia di Rieti e di Uff Scolastico Reg Lazio Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Roma e di Uff Scolastico Reg Lazio Uff VII Ambito Terr per la Provincia di Frosinone e di Uff Scolastico Reg Lazio Uff VIII Ambito Terr per la Provincia di Latina e di Uff Scolastico Reg Lazio Uff X Ambito Terr per la Provincia di Viterbo e di Uff Scolastico Reg Liguria Uff II Ambito Terr per la Provincia di Genova e di Uff Scolastico Reg Liguria Uff IV Ambito Terr per la Provincia di La Spezia e di Uff Scolastico Reg Liguria Uff V Ambito Terr per la Provincia di Imperia e di Uff Scolastico Reg Liguria Uff III Ambito Terr per la Provincia di Savona e di Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Bergamo e di Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Como e di Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Cremona e di Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Lecco e di Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Lodi e di Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Mantova e di Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Milano e di Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Monza e Brianza e di Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Pavia e di Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Sondrio e di Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Varese e di Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Brescia e di Uff Scolastico Reg Marche Uff III Ambito Terr per la Provincia di Ancona e di Uff Scolastico Reg Marche Uff IV per Le Province di Ascoli Piceno e Fermo e di Uff Scolastico Reg Marche Uff V Ambito Terr per la Provincia di Macerata e di Uff Scolastico Reg Marche Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Pesaro Urbino e di Uff Scolastico Reg Molise Ambito Terr per la Provincia di Campobasso e di Uff Scolastico Reg Molise A e di Uff Scolastico Reg Piemonte Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Cuneo e di Uff Scolastico Reg Piemonte Uff V Ambito Terr per la Provincia di Torino e di Uff Scolastico Reg Piemonte Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Alessandria e di Uff Scolastico Reg Piemonte Uff Vii Ambito Terr per la Provincia di Novara e di Uff Scolastico Reg Piemonte Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Asti e di Uff Scolastico Reg Piemonte Uff Ix Ambito Terr per la Provincia del Verbano Cusio Ossola e di Uff Scolastico Reg Piemonte Uff X Ambito Terr per la Provincia di Biella e di Uff Scolastico Reg Piemonte Uff Viii Ambito Terr per la Provincia di Vercelli e di Uff Scolastico Reg Puglia Uff V Ambito Terr per la Provincia di Foggia e di Uff Scolastico Reg Puglia Uff III Ambito Terr per la Provincia di Bari e di Uff Scolastico Reg Puglia Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Brindisi e di Uff Scolastico Reg Puglia Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Lecce e di Uff Scolastico Reg Puglia Uff VII Ambito Terr per la Provincia di Taranto e di Uff Scolastico Reg Sardegna Uff V Ambito Terr per la Provincia di Cagliari e di Uff Scolastico Reg Sardegna Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Sassari e di Uff Scolastico Reg Sardegna Uff VII Ambito Terr per la Provincia di Nuoro e di Uff Scolastico Reg Sardegna Uff VIII Ambito Terr per la Provincia di Oristano; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 maggio 2023 il Cons. Marco Valentini, nessuno è presente per le parti; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con ricorso collettivo avanti il giudice di prime cure sono state impugnate le disposizioni dell'ordinanza ministeriale n. 60/2020 con cui sono state disciplinate, per gli anni scolastici 2020/21 e 2021/22, le graduatorie provinciali per le supplenze (GPS), nella parte in cui non consentono l'iscrizione degli originari ricorrenti nella seconda fascia per mancato possesso dei 24 CFU o in alternativa del possesso dell'abilitazione in altra classe di concorso o del precedente inserimento nelle graduatorie d'istituto. Col medesimo gravame i ricorrenti hanno chiesto, oltre all'annullamento degli atti impugnati, che comprendono anche le graduatorie redatte dai diversi Uffici scolastici regionali, anche l'accertamento del loro diritto ad essere inseriti nelle GPS. Il ricorso è stato giudicato in primo grado infondato anche in aderenza a giurisprudenza ormai consolidata relativa alla natura non abilitante del titolo ITP. In particolare, il giudice di prime cure ha richiamato la sentenza di questo Consiglio, Sezione VI, n. 4095/2021, secondo cui "(...) il possesso del diploma rilasciato da un Istituto tecnico professionale non ha valore di per sé abilitante, pertanto non è idoneo all'inserimento nelle GAE e nella II fascia delle GI; presupposto necessario per l'accesso alle stesse è che gli ITP siano in possesso di abilitazione o d'idoneità all'insegnamento, diversa dal ed ulteriore al titolo di studio posseduto in illo tempore (diploma) e conseguita a seguito di concorsi per titoli e/o per esami, anche ai soli fini abilitanti (cfr., per tutti, Cons. St., VI, 6 luglio 2018 n. 3158; id., 23 luglio 2018 n. 4503; id., 8 aprile 2019 n. 2268; id., 9 luglio 2019 n. 4820; id., 24 aprile 2020 n. 2632 - infatti, di regola il possesso del diploma rilasciato da un Istituto tecnico professionale non ha di per sé valore abilitante, onde non è idoneo all'inserimento nelle GAE e nella II fascia delle GI, per accedere alle quali occorre che gli ITP siano effettivamente in possesso d'un titolo di abilitazione o d'idoneità all'insegnamento, conseguiti a seguito di concorsi per titoli e/o per esami, anche ai soli fini abilitanti, o di uno degli specifici titoli di abilitazione previsti dal vigente ordinamento; - in particolare, il predetto diploma non ha in sé valore abilitante, né tale valore può desumersi dal DM 39/1998, poiché quest'ultimo si limitò ad ordinare le classi di concorso, senza incidere sulle vigenti norme inerenti all'abilitazione all'insegnamento ed ai modi per conseguirla per il vigente ordinamento, sicché il mero possesso del diploma ITP, sol perché conseguito in un sistema che non si curava della concreta formazione del personale da destinare all'insegnamento, è adesso divenuto sempre inopponibile ed insufficiente all'iscrizione nella II fascia delle GI; - neppure convince la mancanza di percorsi abilitanti ordinari per i diplomati ITP nel previgente ordinamento, in quanto, a parte che più volte tali percorsi furono attivati per gli insegnanti tecnico-pratici -onde chi non volle parteciparvi, imputet sibi-, tal vicenda non è invocabile a guisa di sanatoria per consentire comunque l'iscrizione al personale sprovvisto del prescritto titolo di abilitazione (che s'aggiunge al e non si confonde col titolo di studio del vecchio ordinamento) a detta II fascia, la quale, com'è noto, permette l'accesso direttamente l'insegnamento (....)". Il ricorso è stato respinto in quanto infondato. DIRITTO In sede di appello, è stato dedotta l'erroneità della decisione del TAR. In particolare sono dedotti i seguenti motivi: I.VIOLAZIONE DEL REGIME TRANSITORIO E DEROGATORIO PREVISTO, PER GLI INSEGNANTI TECNICO PRATICI, DALL'ART. 402 DEL D. LGS N. 297/1994, DALL'ART. 3, COMMA 2, DEL DPR N. 19/2016 E DALL'ART. 22, COMMA 2, DEL DECRETO LEGISLATIVO 13 APRILE 2017 Preliminarmente, gli appellanti evidenziano che l'art. 4 della L. 124/1999 distingue tre tipologie di supplenze del personale docente - che danno luogo al conferimento di incarichi a tempo determinato - e indica a quali graduatorie attingere per le nomine: ( (supplenze annuali (fino, cioè, al 31 agosto), per la copertura di cattedre e posti di insegnamento effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l'intero anno scolastico. Per il conferimento di tali supplenze si utilizzano le graduatorie ad esaurimento (GAE); ( (supplenze temporanee fino al termine delle attività didattiche (fino, cioè, al 30 giugno), per la copertura di cattedre e posti di insegnamento non vacanti, di fatto disponibili entro la data del 31 dicembre e fino al termine dell'anno scolastico, ovvero per la copertura delle ore di insegnamento che non concorrono a costituire cattedre o posti orario (intendendo per posti orario gli abbinamenti di spezzoni che non raggiungono l'orario di cattedra). Per il conferimento di tali supplenze si utilizzano le GAE; ( (supplenze temporanee più brevi, nei casi diversi da quelli citati. Per il conferimento di tali supplenze si utilizzano le graduatorie di circolo o di Istituto. La disciplina per l'affidamento delle supplenze è stata definita più nel dettaglio con il regolamento emanato con DM 131/2007. Nello specifico, evidenziano gli appellanti che in base all'art. 5: la prima fascia delle graduatorie d'istituto comprende gli aspiranti inseriti nelle GAE per il medesimo posto o classe di concorso cui è riferita la graduatoria di circolo o di istituto; la seconda fascia comprende gli aspiranti non inseriti nella corrispondente GAE ma forniti di specifica abilitazione; la terza fascia comprende gli aspiranti che, come i ricorrenti, sono semplicemente forniti di titolo di studio valido per l'accesso all'insegnamento richiesto. Rispetto al quadro esposto, l'art. 1-quater del decreto legge 29 ottobre 2019, n. 126 - recante misure di straordinaria necessità ed urgenza in materia di reclutamento del personale scolastico e degli enti di ricerca e di abilitazione dei docenti - ha previsto "al fine di ottimizzare l'attribuzione degli incarichi di supplenza" la costituzione di nuove graduatorie provinciali (in sigla G.P.S) da utilizzare, in subordine alle GAE, dall'a.s. 2020/2021 per il conferimento delle supplenze annuali e delle supplenze fino al termine delle attività didattiche. Infine, il decreto-legge 8 aprile 2020, n. 22, recante "Misure urgenti sulla regolare conclusione e l'ordinato avvio dell'anno scolastico e sullo svolgimento degli esami di Stato nonché in materia di procedure concorsuali e di abilitazione e per la continuità della gestione accademica", convertito, con modificazioni, dalla legge 06 giugno 2020, n. 41, con l'articolo 2, comma 4-ter, ha previsto che in considerazione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, le procedure di istituzione delle graduatorie di cui all'articolo 4, commi 6-bis e 6-ter, della legge 3 maggio 1999, n. 124, come modificato dal comma 4 dello stesso articolo, e le procedure di conferimento delle relative supplenze per il personale docente ed educativo, ad esclusione di ogni aspetto relativo alla costituzione e alla composizione dei posti da conferire a supplenza, siano disciplinate, in prima applicazione e per gli anni scolastici 2020/2021 e 2021/2022, anche in deroga all'articolo 4, comma 5, della predetta legge, con ordinanza del Ministro dell'istruzione ai sensi del comma 1, al fine dell'individuazione nonché della graduazione degli aspiranti. Evidenziano gli appellanti che il Ministero oggi resistente, ai sensi dell'articolo 2, comma 4-ter, del decreto legge 8 aprile 2020, n. 22, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2020, n. 41, con l'ordinanza n. 60 del 10 luglio 2020 ha emanato disposizioni specifiche per disciplinare l'aggiornamento delle Graduatorie Provinciali per le Supplenze da disporre sui posti vacanti in organico di diritto (con scadenza al 31 agosto) e sui posti vacanti in organico di fatto (con scadenza al 30 giugno) distinguendole in due fasce: la prima riservata ai docenti in possesso di specifica abilitazione o idoneità al concorso; e la seconda aperta ai docenti abilitati in altre classi di concorso, oppure già inseriti nelle precedenti graduatorie d'istituto o, infine, in possesso dei titoli necessarie per la partecipazione ai concorsi a cattedre ai sensi dell'art. dell'articolo 5, commi 1, lettera b), e 2, lettera b), del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 59 (ossia, in possesso del titolo di studio valido per l'accesso all'insegnamento e di 24 crediti formativi universitari o accademici). Osservano gli appellanti che, coerentemente con il dato normativo, il Ministero resistente ha collocato nella seconda fascia delle GPS tutti i docenti che fossero in possesso dei requisiti d'accesso al concorso ordinario (oppure che fossero inseriti nella terza fascia delle G.I). Nel far ciò, tuttavia, secondo gli appellanti l'amministrazione convenuta ha omesso di considerare che gli insegnanti tecnico pratici sono assoggettati a un regime derogatorio e transitorio ai fini dell'accesso all'insegnamento richiesto e per la partecipazione ai concorsi a cattedre. Il titolo di studio degli insegnanti tecnico pratici è, ad avviso degli appellanti, idoneo per l'accesso all'insegnamento richiesto ai sensi della tabella C del Decreto Ministeriale n. 39 del 30 gennaio 1998 e valido per la partecipazione al concorso a cattedre già ai sensi dell'art. 402 del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297. Se, dunque, rilevano gli appellanti, i corsi di sostegno didattico sono riservati esclusivamente al personale docente abilitato e/o in possesso di un titolo di studio idoneo per la partecipazione ai concorsi a cattedre, se ne deduce che la negazione dell'idoneità del titolo ITP ai fini dell'inserimento nelle GPS, insieme agli altri docenti in possesso di un titolo di studio valido per l'accesso ai concorsi e per la partecipazione ai corsi di specializzazione didattica per le attività di sostegno, sarebbe del tutto illogica e incoerente con il descritto quadro normativo. E ciò anche perché, ribadiscono gli appellanti, ai sensi dell'art. 2 della legge 06 giugno 2020, n. 41, l'ordinanza ministeriale istitutiva delle GPS avrebbe potuto disciplinare unicamente "le procedure di conferimento delle relative supplenze per il personale docente ed educativo, ad esclusione di ogni aspetto relativo alla costituzione e alla composizione dei posti da conferire a supplenza". II. VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI AFFIDAMENTO L'illegittimità degli atti impugnati, infine, deriva secondo gli appellanti anche dalla lesione del principio dell'affidamento, che a sua volta discende dalla legittima aspettativa degli interessati sulla transitoria validità del titolo di studio posseduto ai fini del conferimento delle supplenze. L'affidamento si sostanzia nella fiducia, nella delusione della fiducia e nel danno subito a causa della condotta dettata dalla fiducia mal riposta; si tratta, in sostanza, di "un'aspettativa di coerenza e non contraddittorietà del comportamento dell'amministrazione fondata sulla buona fede" (così Cass. civ., sez. un., ord. 28 aprile 2020, n. 8236). I principi posti in luce dalla giurisprudenza in materia di tutela dell'affidamento calzano perfettamente, secondo gli appellanti, alle vicende di cui è causa. I ricorrenti, invero, sapevano di possedere un titolo di studio interinalmente valido per la stipula dei contratti a tempo indeterminato e per la partecipazione ai concorsi a cattedre. Onde la lesione della legittima aspettativa dei ricorrenti sulla validità di tale titolo di studio ai fini dell'inserimento nelle nuove graduatorie provinciali per le supplenze. III. SULL'ILLEGITTIMITÀ DELLE DISPOSIZIONI SECONDO LE QUALI LE DOMANDE DEVONO ESSERE PRESENTATE ESCLUSIVAMENTE CON MODALITÀ TELEMATICA PER VIOLAZIONE DELL'ART. 51, COMMA 1, DELLA COSTITUZIONE E DELL'ART. 4, COMMI 1 E 2, DEL DPR 487/1994. È altresì evidente l'illegittimità, secondo gli appellanti, per violazione dell'art. 51, comma 1, della Costituzione, di un atto amministrativo che determini una aprioristica preclusione alla stessa presentazione delle domande di partecipazione al concorso. La possibilità di produrre domanda esclusivamente con modalità via web, violerebbe anche l'art. 4, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 487/1994, ai sensi del quale le domande di ammissione al concorso possono essere redatte in carta semplice. L'attualizzazione della normativa concorsuale determina la possibilità di presentare le domande di partecipazione ad una procedura non già in via esclusiva ma, come modalità alternativa, anche in via telematica. Risulterebbe quindi evidente come l'Amministrazione oggi resistente non avrebbe potuto considerare tamquam non essent le domande redatte in carta semplice e tempestivamente indirizzate dai ricorrenti a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento. In conclusione, gli appellanti formulano richiesta di accoglimento dell'appello, con conseguente obbligo conformativo dell'amministrazione resistente di inserire i ricorrenti nelle GPS di rispettivo interesse. L'appello non può essere accolto in quanto non fondato. Osserva il Collegio che, a partire dall'orientamento espresso dalla sentenza n. 4503/2018, si è sviluppata una costante giurisprudenza di questo Consiglio dalla quale si evince la distinzione tra titoli abilitanti e titoli di accesso all'insegnamento: nell'ambito di questi ultimi si colloca il diploma tecnico posseduto dagli appellanti. Da ultimo, con la sentenza della Sezione n. 11598/22, si è ribadito che "La giurisprudenza di questo consesso, dopo la sentenza n. 4503 del 2018, si è orientata nel ritenere, da un lato, che per l'iscrizione - che consente l'accesso diretto all'attività di insegnamento - sia necessario il possesso di un titolo abilitante, e, dall'altro, che il diploma di insegnante tecnico-pratico posseduto dagli attuali appellanti non attribuisce il predetto titolo". Nessuno dei tre motivi dedotti nell'atto di appello, pertanto, in conformità alla richiamata giurisprudenza della Sezione, qui condivisa, può essere accolto. Sussistono nondimeno peculiari motivi per la compensazione delle spese della presente fase tra le parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, respinge l'appello e, per l'effetto, conferma la sentenza di primo grado. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati: Roberto Giovagnoli - Presidente Daniela Di Carlo - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere Rosaria Maria Castorina - Consigliere Marco Valentini - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6478 del 2016, proposto dalla ditta B& B Ec. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Or. Ab., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ti. in Roma, via (...); contro l'Ente parco nazionale appennino Lucano Val d'Agri lagonegrese, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Basilicata, sezione prima, n. 31 del 18 gennaio 2016. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Ente parco nazionale appennino lucano Val d'Agri lagonegrese; Visti tutti gli atti della causa; Relatrice nell'udienza pubblica del giorno 15 dicembre 2022 il consigliere Emanuela Loria; Viste le conclusioni delle parti presenti, o considerate tali ai sensi di legge, come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. L'oggetto del presente contenzioso è costituito dall'ordinanza n. 8 del 13 novembre 2014, emessa dalla Direzione generale dell'Ente Parco nazionale appennino Lucano Val d'Agri lagonegrese ("Ente parco"), con la quale è stata disposta la chiusura della stazione di trasferenza gestita dall'appellante in località (omissis), in agro di (omissis). 2. In punto di fatto, dagli atti di causa si rileva che:                     - la società ricorrente ha gestito una discarica, ubicata in (omissis), località (omissis), autorizzata con deliberazioni della Giunta regionale della Basilicata n. 172/1992, n. 3932/1993 e 2351/1996; - le attività della discarica si sono protratte sino al 6 agosto 2004, data in cui la Regione Basilicata ne ha disposto la chiusura con d.g.r. n. 1902/2004; - in seguito, tale sito è stato utilizzato come stazione di trasferenza di rifiuti urbani per effetto dell'ordinanza n. 38, prot. 850/P del 31 luglio 2007, emanata ai sensi dell'art. 191, n. 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, dal Presidente della Provincia di Potenza, successivamente reiterata in più occasioni; - con nota prot. n. 4905/U, ricevuta il 29 ottobre 2014, l'Ente Parco intimato ha comunicato, ai sensi della legge n. 241/1990, l'attivazione del procedimento finalizzato alla chiusura della predetta stazione di trasferenza, ai sensi dell'art. 29 della legge n. 394 del 1991; - il 30 ottobre 2014 la Provincia di Potenza ha adottato la determinazione dirigenziale n. 37868, per l'utilizzo del sito in questione per il periodo dall'1 novembre 2014 al 31 maggio 2015, ai sensi dell'art. 42, n. 3, della legge regionale n. 26 del 18 agosto 2014; - con l'impugnata ordinanza n. 8/2014, l'Ente parco ha disposto la chiusura della ripetuta stazione di trasferenza. 3. Con il ricorso instaurato dinanzi al T.a.r. per la Basilicata, la ditta ha dedotto la violazione e falsa applicazione di legge in relazione all'art. 8 della l. n. 241 del 1990, all'art. 11 l. n. 394 del 1991, al d.lgs. n. 152 del 2006, alla l.r. n. 46 del 2014), la violazione dei principi generali di trasparenza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, e l'eccesso di potere (illogicità manifesta; contraddittorietà ). 4. La sentenza impugnata n. 31 del 2016 ha respinto il ricorso e ha compensato le spese del giudizio. 5. Con l'appello in esame l'istante ha proposto un unico articolato motivo, esteso da pag. 6 a pag. 11 e ha riproposto la domanda di risarcimento del danno asseritamente subito. In particolare con il motivo di gravame è fatta valere la violazione dell'art. 11, comma 3, lett. b), della l. n. 394 del 1991, il travisamento e il difetto di istruttoria e l'erroneità della sentenza di primo grado per essere stati erroneamente valutati gli atti, gli accadimenti e la cronologia dei fatti di giudizio per come rappresentati ed effettivamente accaduti. 5.1. L'Ente parco si è costituito con memoria di stile il 2 settembre 2016. 5.2. Con nota del 12 luglio 2022, l'appellante ha depositato la dichiarazione di permanenza dell'interesse alla decisione dell'appello. 5.3. Alla pubblica udienza del 15 dicembre 2022 la causa è stata trattenuta in decisione. 6. Preliminarmente il Collegio rileva che a seguito dell'appello sono state riproposte le censure relative alla violazione dell'art. 11, comma 3, lett. b) l. n. 394/1991 nonché di travisamento dei fatti e di difetto di istruttoria, per cui è sceso il giudicato sui profili di censura non ritualmente riproposti, vale a dire la violazione e falsa applicazione delle previsioni di legge n. 241 del 1990 e in particolare dell'art. 8, nonché la mancata assegnazione di un termine per controdedurre e il vizio di mancata notifica dell'atto finale. 7. Nel merito il ricorso è infondato. 7.1. Con una prima argomentazione l'appellante sostiene che il provvedimento impugnato non avrebbe potuto essere emanato in applicazione dell'art. 11, comma 3, legge n. 394 del 1991 poiché l'attività di trasferenza dei rifiuti non è tra quelle espressamente vietate nell'ambito degli Enti parco per cui avrebbe dovuto essere accertata la sua effettiva lesività e il fatto che la stessa sia fonte di danno ambientale. L'attività di trasferenza consiste, infatti, nello scarico e nel carico di rifiuti solidi urbani non pericolosi e non inquinanti perché derivanti da raccolta differenziata dei Comuni ed esenti da rifiuti pericolosi e viene condotta in ambiente chiuso, sicché può essere vietata solo se ne venga accertata la lesività per il contesto. 7.2. In secondo luogo, nel caso in esame l'attività è stata autorizzata ed il sito è sottoposto a monitoraggio ambientale da un decennio da parte della Provincia di Potenza e dall'Agenzia regionale ambientale che non hanno mai rilevato valori pericolosi. L'attività di discarica esercitata per anni e chiusa avrebbe interessato un'altra area diversa e distinta ed è stata autorizzata dalla Provincia con i poteri straordinari ad essa conferiti ai sensi dell'art. 191, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006 e successivamente ricompresa nel Piano rifiuti regionale (art. 10 lett. c) pag. 84) e provinciale (pag. 139) dalla l.r. n. 17/2011 art. 25 e dall'Osservatorio straordinario del Piano regionale dei rifiuti. 7.3. L'appellante rileva altresì il difetto di istruttoria e di motivazione poiché il provvedimento avrebbe dovuto verificare in concreto il contrasto con il bene protetto laddove avrebbe invece confuso le due attività, da tenere invece distinte, di trasferenza e di discarica. 8. Le argomentazioni spese dall'appellante sono complessivamente infondate. In liea di principio, la finalità della legge sulle aree protette è dichiaratamente quella di garantire e promuovere, "in attuazione degli art. 9 e 32 Cost., e nel rispetto degli accordi internazionali", la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del Paese, nei territori che, costituendo espressione di detto patrimonio, meritano speciale tutela (cfr. L. n. 394 del 1991, art. 1, commi 1, 2 e 3), sicché risulta evidente che nelle aree, che, rispondendo alle anzidette caratteristiche, sono istituite in Parco naturale, è la tutela dell'ambiente ad assumere, per specifica scelta del legislatore, rilievo preminente su qualsiasi altro interesse anche di primaria importanza (sul punto Cass. SS.UU. n. 19389 dell'11 novembre 2012). Alla luce di tale ratio, deve essere letto il comma 3 dell'art. 11 della legge 394 del 1991, che prevede che "Salvo quanto previsto dal comma 5, nei parchi sono vietate le attività e le opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette e ai rispettivi habitat. In particolare sono vietati: (...) b) l'apertura e l'esercizio di cave, di miniere e di discariche, nonché l'asportazione di minerali; ". Nei parchi vi è pertanto il divieto di tutte indistintamente le attività e le opere che possano comunque recare pregiudizio alla salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati. La disposizione indica un elenco non esaustivo di attività ed interventi - declinato alle lettere da a) ad h) - che sono direttamente inibiti dalla legge, in quanto, ritenuti, in forza di presunzione assoluta, di per sè idonei a compromettere "la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati". E' evidente che con riferimento alla materia dei rifiuti, il riferimento alle "discariche", di cui alla lettera b) dello stesso art. 11, n. 3, costituisce solo una specificazione, non avente portata certamente esaustiva, delle attività relative ai rifiuti. 8.1. Nel caso in esame dev'essere in primo luogo sottolineato che la stazione di trasferenza sorge in area limitrofa ad altra già oggetto di contaminazione ambientale (discarica) per la quale la società ricorrente risulta aver attivato le procedure operative di cui all'art. 242 del d.lgs. n. 152 del 2006, tant'è che proprio il dichiarato avvio di tali attività ha consentito la conferma dell'utilizzo dell'area sopracitata quale stazione di trasferimento dei rifiuti (cfr. note del dirigente dell'Ufficio ambiente della Provincia di Potenza n. 46525 del 26 novembre 2010, all. n. 16 fascicolo primo grado dep. Provincia del 21 settembre 2015, e del dirigente dell'Ufficio prevenzione e controllo ambientale della Regione Basilicata prot. n. 226777 del 29 novembre 2010, all. n. 18 fascicolo primo grado dep. Provincia del 21 settembre 2015). 8.2. Inoltre risulta dagli atti di causa che il competente Comando stazione del Corpo forestale dello Stato, con nota prot. n. 1113 del 14 ottobre 2014 (all. n. 3 fascicolo primo grado dep. Ente parco 13 dicembre 2014), ha comunicato all'Ente resistente di aver: "attivato le procedure previste ai sensi dell'art. 244 del d.lvo. n. 152 del 3/04/2006 per il sito ricadente nella località (omissis) in agro del Comune di (omissis)", risultando superati taluni valori di concentrazione previsti dalla tabella 2, allegato 5, parte IV del d.lgs. n. 152/2006, nonché che: "In data 30.09.2014, la Provincia di Potenza ha emesso ordinanza di diffida n. 33650/14 nei confronti della B& B Eco srl, per gli adempimenti previsti ai sensi dell'art. 242 del d.lgs. n. 152/2006". 8.3. Inoltre, è necessario considerare la mole dell'attività gestita dalla stazione di trasferenza come si evince dalla determinazione della Provincia di Potenza n. 37868 del 30 ottobre 2014 (fascicolo primo grado all. n. 1 dep. Ente parco 15 maggio 2015): al momento dell'emanazione del provvedimento di chiusura, presso di essa erano conferiti i rifiuti provenienti dai Comuni di (omissis) (c.d. I gruppo), nonché dai Comuni di (omissis) (c.d. II gruppo). In particolare, tale stazione: a) riceveva i rifiuti urbani prodotti dai Comuni del I e del II gruppo; b) trasferiva tali rifiuti presso le piattaforme di (omissis), di (omissis) e di (omissis), secondo le quantità riportate nel prospetto A1, allegato alla stessa determinazione, ovverosia complessivamente 2700 tonnellate al mese. Inoltre, a seguito dell'istruttoria disposta dal primo giudice (note del dirigente del Settore ambiente della Provincia di Potenza prot. n. 461 del 30 luglio 2007, e prot. n. 432 del 6 agosto 2008) è risultato che le operazioni effettuate presso la predetta stazione di trasferenza sono consistite: "nell'accettazione dei rifiuti, il deposito nell'area individuata, eventuali altri interventi compatibili con la qualità del rifiuto, con le condizioni del sito e con le attrezzature disponibili, captazione del percolato, carico per il trasporto e lo smaltimento presso impianti autorizzati, il tutto secondo le valutazioni del gestore". Il quadro che risulta da quanto sopra rilevato fa concludere per una incompatibilità dell'attività di trasferenza rispetto alla finalità che l'Amministrazione ha inteso perseguire con l'istituzione dell'Ente parco e con la tutela dell'ambiente che al suo interno assume, per specifica scelta del legislatore, un rilievo preminente su qualsiasi altro interesse anche di primaria importanza ai sensi della l. n. 394 del 1991. Pertanto non si ravvisano i dedotti vizi di violazione dell'art. 11, comma 3, l. n. 394 del 1991 né il difetto di istruttoria e di motivazione. 9. Per quanto concerne l'ulteriore censura dedotta, per cui vi sarebbe un contrasto tra il provvedimento impugnato e i provvedimenti assunti dalla Provincia di Potenza e dalla Regione Basilicata "in regime di emergenza ex art. 191, comma 1 del d.lgs. del d.lgs. n. 152/2006" che avrebbero autorizzato il sito in questione anteriormente all'istituzione dell'Ente parco, anch' essa è infondata. L'art. 191 del d.lgs. n. 152 del 2006, che prevede il potere di emanare ordinanze contingibili e urgenti in materia di rifiuti per un periodo non superiore a diciotto mesi, è una norma di carattere eccezionale e pertanto di stretta interpretazione. Nel caso in esame, i provvedimenti adottati, ai sensi dell'art. 191 del d.lgs. n. 152 del 2006, dal Presidente della Provincia di Potenza o dal Presidente della Giunta regionale della Basilicata, hanno cessato di avere efficacia il 30 novembre 2011, ovverosia dal decorso dell'ordinanza della predetta Amministrazione provinciale n. 64/amb. del 30 novembre 2011. In seguito, risultano emanate una pluralità di determinazioni dirigenziali della Provincia di Potenza che non richiamano l'art. 191 del d.lgs. n. 152 del 2006, bensì dapprima l'art. 25, n. 4, della legge regionale n. 17 del 4 agosto 2011 e poi l'art. 42, n. 3 della legge regionale n. 26 del 18 agosto 2014. Né l'art. 25 n. 4 della l.r. 17 del 2011 né l'art. 42, n. 3, della l.r. n. 26 del 18 agosto 2014, nel testo vigente ratione temporis, contemplano il potere di ordinanza in deroga ma prevedono la possibilità per la Provincia di disporre le modificazioni del flusso dei rifiuti qualora si verifichino carenze nelle capacità di smaltimento e di trattamento di rifiuti solidi urbani nei comprensori provinciali. Pertanto, non si può affermare che il provvedimento dell'Amministrazione provinciale n. 37868 del 30 ottobre 2014 (all. n. 1 fascicolo primo grado dep. Ente parco), in vigore al momento dell'emanazione dell'atto impugnato, rivesta la forma ed i caratteri dell'ordinanza contingibile e urgente, non richiamando l'art. 191 d.lgs. n. 152 del 2006, né indicando, come prescrive il n. 3 dello stesso articolo 191, la deroga alle disposizioni di cui alla legge n. 394 del 1991. Invero, con la successiva determinazione dirigenziale n. 40734 del 19 novembre 2014 (all. n. 2 fascicolo primo grado dep. Ente parco) la Provincia si è limitata a prendere atto dell'ordinanza di chiusura della stazione di trasferenza e a disporre le conseguenti modificazioni del flusso dei rifiuti, non facendo in alcun modo valere la portata derogatoria della propria precedente attività provvedimentale. 10. Conclusivamente l'appello deve essere respinto. 11. Al respingimento delle censure dedotte consegue la legittimità del provvedimento gravato e l'infondatezza della domanda risarcitoria. 12. Le spese del giudizio possono essere compensate a motivo della costituzione soltanto formale dell'Amministrazione. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello r.g.n. 6478/2016, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2022 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Neri - Presidente FF Luca Lamberti - Consigliere Francesco Gambato Spisani - Consigliere Giuseppe Rotondo - Consigliere Emanuela Loria - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2476 del 2018, proposto dal Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Ru., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Lu. Na. in Roma, via (...); contro Al. Gu., rappresentato e difeso dall'avvocato Do. Vi., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); nei confronti Città Metropolitana di Napoli, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ve. Be., Ma. Ma. Ma., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ma. Ma. Ma. in Napoli, piazza (...); Commissario ad acta arch. Lu. Sa., Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza 20 dicembre 2017, n. 5978 del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sezione Seconda. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Città Metropolitana di Napoli e di Al. Gu.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 aprile 2023 il Cons. Vincenzo Lopilato, uditi per le parti gli avvocati, viste le conclusioni delle parti presenti, o considerate tali ai sensi di legge, come da verbale. FATTO e DIRITTO 1.- Il sig. Gu. Al. è comproprietario, insieme al sig. Gu. Pi. Gi., di alcuni terreni siti nel Comune di (omissis). La Provincia di Napoli, con decreto del 14 maggio 1990, n. 71, approvava il piano regolatore generale del suddetto Comune, con stralcio di alcune aree, che, pertanto, era sottoposte al regime delle zone bianche. Il Comune, con delibera 22 settembre 2011, n. 94, adottava il nuovo strumento urbanistico che, però, la Provincia non approvava per difetto di coerenza. I terreni dei sig.ri Gu., essendo stati, in parte, "stralciati" dal piano regolatore generale sono rimati privi di classificazione urbanistica. La sig.ra Ac. Ma., dante causa dei sig.ri Gu., a fronte dell'inerzia del Comune aveva chiesto, ai sensi dell'art. 39 della legge della Regione Campania 22 dicembre 2004, n. 16, l'intervento sostitutivo della Provincia di Napoli, che, con atto del 25 febbraio 2014, n. 1501, ha nominato il commissario ad acta al fine di provvedere alla riclassificazione dell'area. Il Comune successivamente ha adottato le determinazioni 28 febbraio 2014, n 22 e n. 4426. I sig.ri Gu. hanno proposto, innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, azione avverso il silenzio nei confronti del Comune di (omissis) per non avere proceduto alla riclassificazione dei suddetti terreni. 2.- Il Tar, con sentenza 20 dicembre 2017, n. 5978: i) ha dichiarato inammissibile l'azione avverso il silenzio, in quanto il Comune, prima dell'instaurazione del processo, con le suddette determinazioni numeri 22 e 4426 del 2014, ha rigettato la domanda; ii) ha dichiarato illegittime tali determinazioni, in quanto "pur riconoscendo la sussistenza di un obbligo a provvedere all'adozione di una idonea disciplina urbanistica addivengono ad un diniego nonostante il contenuto inequivoco delle osservazioni presentate dagli interessati" ed ha fissato il termine di duecentoquaranta giorni dalla comunicazione della sentenza per la classificazione dell'area dei ricorrenti. 3.- Il Comune ha impugnato tale sentenza, rilevando che gli atti impugnati sono legittimi, avendo il Comune, per evitare discriminazioni, rigettato le istanze di riclassificazione al fine di procedere ad una riclassificazione complessiva delle aree. 3.1.- Si sono costituiti in giudizio i ricorrenti di primo grado, chiedendo il rigetto dell'appello e proponendo appello incidentale con richiesta di riforma della sentenza impugnata nella parte in cui, da un lato, ha concesso un termine troppo lungo al Comune per provvedere, dall'altro, non ha disposto la reviviscenza, a seguito dell'annullamento dei provvedimenti comunali, delle determinazioni provinciali di nomina del commissario. 3.2.- Il Comune, con memoria del 22 febbraio 2023, ha chiesto che venga dichiarato improcedibile il ricorso in appello, in quanto ha approvato, con delibera pubblicata in data 4 luglio 2022, il nuovo piano urbanistico comunale, che ha proceduto alla classificazione urbanistica anche dell'area di proprietà degli appellati. 3.3.- Questi ultimi, con memoria del 3 marzo 2023, si sono opposti alla dichiarazione di improcedibilità . In particolare, hanno fatto presente che, nelle more del giudizio, lo stesso Tar ha accolto, con sentenza 15 aprile 2019, n. 2106, il ricorso di ottemperanza ed ha assegnato al Comune il termine di centoventi giorni per dare esecuzione alla sentenza di cognizione sopra indicata, nominando, in caso di persistente inadempimento, quale commissario ad acta, il Provveditore alle opere pubbliche della Campania, Molise, Puglia e Basilicata. Il commissario ha già avviato la fase di consultazione e di partecipazione popolare ed "è prossima l'adozione, da parte del commissario, della variante al piano regolatore generale per la riclassificazione urbanistica dell'area" in esame. 4.- La causa è stata decisa all'esito dell'udienza pubblica del 6 aprile 2023. 5.- Il ricorso in appello deve essere dichiarato improcedibile per difetto di interesse. 5.1.- L'art. 35, la cui rubrica reca "pronunce di rito", dispone che il ricorso è dichiarato "improcedibile quando nel corso del giudizio sopravviene il difetto di interesse delle parti alla decisione" (comma 1, lett. c.). L a sopravvenuta carenza di interesse presuppone la mancanza di interesse alla decisione perché, tra l'altro: i) il ricorrente non ha impugnato un atto presupposto o collegato da cui derivano effetti sfavorevoli; ii) il provvedimento impugnato si basa su più ragioni indipendenti e sono state censurate soltanto alcune di esse; iii) sopravviene un atto o un fatto che rende sostanzialmente inutile l'eventuale annullamento dell'atto impugnato; iv) la parte dichiara di non avere più interesse alla decisione (Cons. Stato, sez. IV, 17 marzo 2023, n. 2768; Cons. Stato, sez. VI, 11 ottobre 2021, n. 6824). 5.2.- Nel caso in esame, ricorre sia una oggettiva sopravvenienza, costituita dall'adozione del nuovo piano regolatore generale, sia la espressa richiesta della parte appellante. Non sussistono ostacoli a tale dichiarazione in ragione della avvenuta nomina del commissario ad acta nel giudizio di ottemperanza. L'Adunanza plenaria, con sentenza 25 maggio 2021, n. 8, ha ritenuto che anche a seguito di tale nomina l'amministrazione, fino a quando non viene adottata la determinazione finale, non perde il potere di regolare il rapporto controverso. In particolare, si è affermato che: "a) il potere dell'amministrazione e quello del commissario ad acta sono poteri concorrenti, di modo che ciascuno dei due soggetti può dare attuazione a quanto prescritto dalla sentenza passata in giudicato, o provvisoriamente esecutiva e non sospesa, o dall'ordinanza cautelare fintanto che l'altro soggetto non abbia concretamente provveduto; b) gli atti emanati dall'amministrazione, pur in presenza della nomina e dell'insediamento del commissario ad acta, non possono essere considerati di per sé affetti da nullità, in quanto gli stessi sono adottati da un soggetto nella pienezza dei propri poteri, a nulla rilevando a tal fine la nomina o l'insediamento del commissario". Ne consegue che l'atto successivo, costituito dal nuovo strumento urbanistico, adottato dall'amministrazione priva di qualunque oggettiva utilità la decisione del merito di questa causa. Infatti, anche qualora l'appello principale venisse rigettato, in ogni caso il rapporto giuridico sarebbe ugualmente regolato dal nuovo provvedimento sopravvenuto. Lo stesso vale per l'appello incidentale, in quanto anche in questo caso dall'eventuale accoglimento non deriverebbe alcuna utilità per le parti. Rimangono ferme le forme di tutela che le parti, ricorrendone i presupposti, intenderanno azionare nei confronti di tale sopravenuta decisione amministrativa. 6.- La natura della controversia giustifica l'integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando: a) dichiara l'improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse dell'appello principale e dell'appello incidentale; b) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 aprile 2023 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Neri - Presidente Vincenzo Lopilato - Consigliere, Estensore Luca Lamberti - Consigliere Giuseppe Rotondo - Consigliere Michele Conforti - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2549 del 2019, proposto da Do. Io., rappresentato e difeso dall'avvocato Cl. D'A., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ri. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Terza n. 5311/2018, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria del giorno 14 aprile 2023 il Cons. Giovanni Tulumello e viste altresì le conclusioni della parte appellata come in atti; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La sentenza gravata ha respinto il ricorso proposto dall'odierno appellante per l'annullamento della nota n. 4382 del 18.7.2013 con la quale il Dirigente del V Settore del Comune di (omissis) ha disposto il rigetto della domanda di condono edilizio n. 410, ai sensi delle legge n. 47/1985, registrata al prot. n. 5285 del 28.3.1986 a nome della sua dante causa Si. Im.. Il ricorrente in primo grado ha impugnato l'indicata sentenza con ricorso in appello. Si è costituito in giudizio, per resistere, il Comune di (omissis). Il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione all'udienza straordinaria del 14 aprile 2023. 2. La sentenza del T.A.R. ha osservato che "il procedimento di condono attivato da Si. Im. con la presentazione in data 28.03.1986, della domanda di condono con prot. n. 5285 è stato legittimamente concluso con l'emanazione del provvedimento di cui alla nota n. 4382 del 18.7.2013 emesso e notificato alla medesima Si. Im., senza che in alcun modo rilevi la circostanza che in data 06.7.2007 (rep. 56498 - racc. 19452), la Si. aveva donato la proprietà al figlio, Io. Do., avente causa per modo che a pieno titolo in data 05.06.2008, (quindi a distanza di circa un anno dalla donazione) il Comune di (omissis) inoltrava alla Si. richiesta di integrazione della documentazione; tale conclusione si giustifica in quanto Io. Do., odierno ricorrente, non si era legittimato di fronte al Comune di (omissis), nell'ambito della istruttoria condotta dalla Ri. Ch. s.r.l., per la sua qualità di nuovo proprietario del cespite in attesa di condono. Orbene, ove l'Amministrazione, a fronte di una domanda di condono edilizio incompleta, richieda all'interessato l'integrazione della documentazione, assegnandogli un termine per provvedere, quest'ultimo deve ritenersi (salvi i casi d'impossibilità non imputabile) tassativo, sicché l'inottemperanza alla richiesta determina la chiusura della pratica e costituisce legittimo motivo di diniego della concessione edilizia in sanatoria (cfr. T.A.R. Potenza, (Basilicata), sez. I, 20/01/2014, n. 78). Nella fattispecie, la medesima parte ricorrente riconosce, che nel 2008, a fronte della richiesta del Comune di (omissis) alla Si. di integrare la pratica di condono mediante la produzione di ulteriore documentazione, integrazione che "la Si. ometteva per sopravvenuta mancanza di interesse, avendo nel frattempo ceduto la proprietà dell'immobile oggetto di condono al figlio, Io. Do., giusta atto pubblico del 6.7.2007". Dal suo canto l'odierno ricorrente neppure in data 19.07.2010, allorquando veniva inviata la comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza di condono i sensi degli artt. 7, 8 e 10 bis, L. 241/90, attendeva personalmente alla richiesta di integrazione documentale proveniente dal Comune". 3. L'appellante con il primo motivo ha dedotto "errores in judicando - violazione e falsa applicazione dell'art. 35, l. n. 47/85 s.m.i. - eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione, omessa e/o erronea individuazione e valutazione dei presupposti, difetto di istruttoria, contraddittorietà, cattivo esercizio del potere". Il mezzo deduce che la richiesta di integrazione documentale risale al 2008, vale a dire a 22 anni dopo la presentazione dell'istanza, e dopo che nel 2007 l'immobile era stato donato dall'istante all'odierno appellante. La censura deduce quindi l'illegittimità del provvedimento impugnato in primo grado per non aver tenuto conto dell'intervenuta formazione del silenzio-assenso. Entrambi i profili di censura sono manifestamente infondati. Quanto al primo, correttamente il T.A.R. ha ritenuto che era onere dell'avente causa (o comunque della dante causa) comunicare al Comune di (omissis) il subentro nella proprietà dell'immobile: non avendolo fatto, non può imputarsi al Comune la mancata comunicazione al nuovo proprietario di ogni comunicazione endoprocedimentale relativa alla pratica. Per giurisprudenza assolutamente pacifica e consolidata il silenzio-assenso sull'istanza di condono si forma solo qualora sussistano i presupposti e comunque l'istanza sia completa: il che non è nel caso di specie. Come confermato anche dalla più recente giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (da ultimo, sentenza n. 1826/2023", "nello specifico ed eccezionale sistema del condono edilizio, di cui all'art. 35, comma 18, della L. n. 47 del 1985, il termine biennale, previsto ai fini della formazione del silenzio-assenso, non decorre nel caso in cui la domanda sia carente dei documenti necessari ad identificare compiutamente le opere oggetto della richiesta sanatoria, nonché quando non sia stata interamente pagata l'oblazione e altresì quando l'opera sia in contrasto con i vincoli di inedificabilità (ex plurimis: Consiglio di Stato, Sez. VI, 26 settembre 2022, n. 8303; 12 luglio 2022, n. 5853; 15 marzo 2022, n. 1813; Id., 24 novembre 2020, n. 7382). Il termine biennale decorre dal momento in cui tali carenze siano state eliminate ad opera della parte interessata, ponendo l'Amministrazione in condizione di esaminare compiutamente la relativa domanda (ex plurimis, cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 26 gennaio 2022, n. 535; sez. II, 18 febbraio 2021, n. 1474). A sua volta, il termine di trentasei mesi per la prescrizione breve del diritto al rimborso e al conguaglio, decorre esclusivamente nei casi in cui il procedimento risulti definito con la formazione del silenzio assenso". Nel caso di specie la mancata produzione dei documenti richiesti ha dunque impedito che la pratica in questione avesse i presupposti per l'accoglimento (espresso o implicito), sicché correttamente il T.A.R. ha ritenuto legittimo sotto questo profilo il provvedimento di diniego. 4. Con il secondo motivo l'appellante ha dedotto "errores in judicando - violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2, comma 37, lett. d), legge 662/96 e della legge n. 47/85 in relazione all'art. 35 - eccesso di potere per difetto di istruttoria, superficialità, assoluta carenza dei presupposti e difetto di motivazione". Il mezzo deduce in sostanza la non necessarietà, ai fini dell'accoglimento (anche implicito) dell'istanza, della integrazione documentale richiesta dal Comune. L'appellante sostiene poi che i documenti necessari comunque fossero già presenti nella pratica. Entrambi i profili di censura sono infondati. Va anzitutto osservato che i documenti cui si riferisce l'appellante sono quelli previsti come necessari dalla legge: tuttavia laddove l'esame della pratica necessiti, nel singolo caso, ulteriore documentazione, non può disconoscersi il potere in tal senso dell'amministrazione comunale, e porre nel nulla la sua richiesta di integrazione. Rimane pertanto insuperata la condivisibile affermazione del T.A.R. secondo la quale "la valutazione degli elementi istruttori ed, ancor prima la individuazione, anche al di là dei documenti normativamente prescritti, dei documenti necessari, in relazione alle peculiarità della fattispecie concreta, per la definizione dell'istanza di condono è materia coperta da una riserva di amministrazione, mentre l'assunto di parte ricorrente che tutti i documenti sono stati prodotti e comunque si dichiara disposto a produrli, è affermazione generica e apodittica, comunque priva di alcuna prova, bastando tra l'altro la mancanza anche di un solo documento necessario per impedire l'esaurimento dell'istruttoria". Peraltro lo stesso ricorrente, come pure ricorda la sentenza gravata, si era detto genericamente disponibile ad effettuare l'integrazione richiesta: il che per un verso conferma l'acquiescenza prestata al ridetto esercizio del potere istruttorio, e per altro verso impedisce di attribuire a tale generica affermazione un effetto che non sia meramente (ed inutilmente) dilatorio, e che paralizzi il successivo esercizio del potere decisorio. 5. Il ricorso in appello è pertanto infondato, e come tale deve essere respinto. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la regola della soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante al pagamento in favore del Comune appellato delle spese del giudizio, liquidate in complessivi euro quattromila/00, oltre accessori come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 aprile 2023 con l'intervento dei magistrati: Marco Lipari - Presidente Fabio Franconiero - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 793 del 2022, proposto da An. Mo., rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Pe., con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, Corso (...) e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Regione Basilicata, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Br., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ordine Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Potenza, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio; nei confronti Ch. Bi., non costituita in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata, Sezione I, 21 giugno 2021, n. 457, resa tra le parti, non notificata ed avente ad oggetto la richiesta di annullamento del provvedimento di espulsione dal corso di formazione specifica in medicina generale 2016/2019, del provvedimento di annullamento dell'idoneità conseguita e del provvedimento di recupero delle somme erogate a titolo di borsa di studio; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Basilicata; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 18 maggio 2023 il consigliere Luca Di Raimondo e dato atto della presenza, ai sensi di legge, degli avvocati delle parti come da verbale dell'udienza; Ritenuto in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con appello notificato il 21 gennaio 2022 e depositato il 31 gennaio successivo, la dottoressa An. Mo. ha impugnato, chiedendone la riforma, la sentenza 21 giugno 2021, n. 457, con la quale il Tribunale amministrativo regionale per la Basilicata, Sezione I, ha respinto il suo ricorso per l'annullamento della determinazione dirigenziale del 12 dicembre 2019 n. 13AP.2019/D.00691, con cui la Regione Basilicata ha disposto la sua esclusione dal corso triennale ormai concluso di specializzazione per medico di medicina generale, l'annullamento dell'idoneità conseguita, nonché la determinazione di procedere al recupero delle intere somme erogate a titolo di borsa di studio per il periodo 2016/2019, di cui alla nota dell'Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Potenza del 07 febbraio 2020, pure oggetto di impugnativa, con la quale era stata richiesta alla ricorrente la restituzione dell'intera somma di Euro 28.839,00. 2. L'appellante affida il proprio gravame a due motivi di censura, con i quali lamenta, in sostanza, l'erroneità della sentenza impugnata, nella parte in cui il Tar non ha adeguatamente valorizzato la specificità della vicenda da cui origina il presente contenzioso, con particolare riguardo alla partecipazione con successo della ricorrente al corso di specializzazione, all'esiguità della somma percepita, in violazione delle regole sulla corresponsione della borsa di studio, in corrispondenza con la sospensione dell'erogazione dei relativi importi da parte della Regione e all'eccessività della richiesta di ripetizione di tutte le somme erogate nel triennio 2016/2019. 3. La Regione Basilicata si è costituita in giudizio con memoria depositata il 3 marzo 2022, in data 17 aprile 2023 l'appellante ha depositato memoria ex articolo 73 c.p.a., alla quale l'Amministrazione ha replicato con memoria depositata il 27 aprile 2023. 4. All'udienza pubblica del 18 maggio 2023 la causa è stata trattenuta in decisione. 5. L'appello non può trovare accoglimento e le doglianze che ne sono alla base possono essere esaminate congiuntamente per economia processuale. 6. Deduce l'appellante di aver partecipato con successo il concorso per essere ammessa al corso triennale di specializzazione 2016-2019 per medico di medicina generale e di aver frequentato con assiduità e profitto per l'intero triennio tale corso, conseguendo valutazione finale di "ottimo" e "buono" nelle diverse aree e superando con pieno successo l'esame finale conseguendo l'abilitazione. Aggiunge, inoltre, di aver attivato, senza aver smesso di partecipare a tutte le attività didattiche e formative previste, un rapporto di collaborazione con l'INPS per appena due mesi (luglio - settembre 2019) nella parte finale dell'ultimo dei tre anni di corso, in coincidenza con l'interruzione da parte della Regione dell'erogazione della borsa di studio in favore di tutti i corsisti. Con i provvedimenti impugnati, è stata disposta la revoca dell'abilitazione conseguita dall'appellante, la sua espulsione dal corso ormai terminato e ordinata la restituzione dell'intero importo erogato a titolo di borsa. 7. Il Tar Basilicata: - con decreto presidenziale 25 marzo 2020, n. 70 ha respinto la domanda cautelare incidentalmente proposta ai sensi dell'art. 55 c.p.a.; - con ordinanza 20 maggio 2020, n. 144, non impugnata, ha rigettato la domanda interinale di sospensione dell'esecutività degli atti impugnati; - con sentenza 21 giugno 2021, n. 457, qui impugnata, ha respinto il ricorso. 8. In particolare, il giudice di primo grado ha correttamente inquadrato la fattispecie nell'ambito della normativa primaria e secondaria applicabile. Da una parte, ha osservato che l'articolo 24, comma 2 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368. stabilisce che il diploma di formazione specifica in medicina generale si consegue partecipando al relativo corso, con "un impegno dei partecipanti a tempo pieno con obbligo della frequenza alle attività didattiche teoriche e pratiche, da svolgersi sotto il controllo delle regioni e province autonome e degli enti competenti", essendo poi previsto che "la formazione a tempo pieno, implica la partecipazione alla totalità delle attività mediche del servizio nel quale si effettua la formazione, comprese le guardie, in modo che il medico in formazione dedichi a tale formazione pratica e teorica tutta la sua attività professionale per l'intera durata della normale settimana lavorativa e per tutta la durata dell'anno." (comma 3). Da un concorrente angolo prospettico, il Tribunale territoriale ha rilevato che l'articolo 11, comma 1 del decreto del Ministero della salute 7 marzo 2006, non impugnato, recante "Principi fondamentali per la disciplina unitaria in materia di formazione specifica in medicina generale" ed espressamente richiamato nella d.G.r. n. 242 del 16 marzo 2016 di approvazione del bando di concorso e nella dichiarazione resa dall'interessata, ai sensi dell'articolo 47 decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, prevede quanto segue: "il corso è strutturato a tempo pieno. La formazione a tempo pieno implica la partecipazione alla totalità delle attività mediche del servizio nel quale si effettua la formazione, comprese le guardie, in modo che il medico in formazione dedichi a tale formazione pratica e teorica tutta la sua attività professionale per l'intera durata della normale settimana lavorativa e per tutta la durata dell'anno. Conseguentemente, è inibito al medico in formazione l'esercizio di attività libero-professionali ed ogni rapporto convenzionale, precario o di consulenza con il Servizio sanitario nazionale o enti e istituzioni pubbliche o private, anche di carattere saltuario o temporaneo. Durante la frequenza del corso è, altresì, esclusa la contemporanea iscrizione o frequenza a corsi di specializzazione o dottorati di ricerca, anche qualora si consegua tale stato successivamente all'inizio del corso di formazione specifica in medicina generale. A tal fine e prima dell'inizio dei corsi di formazione, le regioni o province autonome provvedono a far sottoscrivere a tutti i tirocinanti dichiarazioni sostitutive di atto notorio ai sensi della legge 4 gennaio 1968, n. 15, e successive modificazioni, attestanti la non sussistenza di cause di incompatibilità ovvero dichiarazioni di rinuncia ai suddetti rapporti incompatibili". Il successivo comma 2 introduce un'eccezione al divieto di contemporanea attività professionale, stabilendo che "sono consentite - unicamente nei casi di accertata carente disponibilità dei medici già iscritti nei relativi elenchi regionali per la medicina convenzionata e purché compatibili con lo svolgimento dei corsi stessi - le sostituzioni a tempo determinato di medici di medicina generale convenzionati con il Servizio sanitario nazionale, nonché le sostituzioni per le guardie mediche notturne, festive e turistiche", tanto che viene stabilito al comma 4 che "il carattere eccezionale della deroga di cui al citato art. 19, comma 11, legge n. 448/2001 esclude la possibilità di estendere la stessa ad altri rapporti di lavoro di tipo convenzionali. In presenza di accertata incompatibilità ne consegue l'espulsione del medico tirocinante dal corso". 9. Richiamando anche la giurisprudenza formatasi in materia, il primo giudice ha condivisibilmente stabilito che "la disciplina ordinaria dei corsi di formazione di medicina generale si basa sulle seguenti caratteristiche: - numero chiuso dei partecipanti (con un concorso di ammissione); - impegno "a tempo pieno" con prestazione anche di attività assistenziale inerente alla formazione; - corresponsione di una "borsa di studio"; - obbligo di esclusività, con conseguente incompatibilità della frequenza rispetto ad ogni altra attività professionale retribuita, a titolo di lavoro subordinato o di libera professione, salva la tipizzata eccezione del servizio di continuità assistenziale prestato in favore del Servizio Sanitario nazionale, ai sensi dell'art. 19, co. 11, del D.lgs. n. 448/2001." 10. Il carattere di cogenza delle diposizioni citate e l'assenza di una previsione normativa che imponga (o, soltanto, consenta) una valutazione discrezionale in ordine alla qualità e quantità delle violazioni commesse dall'appellante rispetto al suo impegno, assunto all'inizio del suo svolgimento con dichiarazione ai sensi dell'articolo 47 del d.P.R. 445/2000, a non trovarsi in condizioni di incompatibilità sia prima che durante il corso, sottraggono consistenza alla censura di carenza di istruttoria seguita dall'Amministrazione dell'emanazione degli atti impugnati, non residuando alcun potere legittimamente esercitabile per valutare, come chiede l'appellante, la sua particolare situazione all'esterno del perimetro normativo sopra ricostruito. 11. Osserva, al riguardo, il Collegio che la circostanza, valorizzata sia in primo che in questo grado dalla dottoressa Mo., in relazione al ridotto periodo in cui l'appellante ha svolto attività professionale per l'INPS, non sposta l'angolazione corretta da cui deve valutarsi la violazione effettuata, come correttamente argomentato dal Tar, che ha stabilito che i provvedimenti impugnati sono immuni dai vizi denunciati, essendo stati adottati in esito ad un'istruttoria adeguata e completa, che ha doverosamente tenuto in conto anche le osservazioni ex articolo 10 della legge 7 agosto 1990, n. 241 trasmesse dall'interessata con pec del 29 novembre 2019 dopo la comunicazione di avvio del procedimento. Più in particolare, il primo giudice ha osservato quanto segue: "la violazione della richiamata regula iuris ha comportato, quale conseguenza doverosa, "l'espulsione del medico tirocinante dal corso", secondo quanto disposto dall'art. 11, co. 4, cit.. Detta previsione, a prescindere dalla sua espressa menzione nella lex specialis, è vincolante ope legis per l'Amministrazione (non potendo essa diversamente determinarsi) e non può ragionevolmente generare alcun contrario affidamento in capo al corsista che abbia trasgredito al vincolo di esclusività . Né, per tali ragioni, può rilevare la circostanza per cui la ricorrente abbia rimosso la causa di incompatibilità (mediante immediata risoluzione del rapporto di lavoro con l'Inps), ritenendo che ciò fosse rimedio sufficiente, considerata l'indisponibilità dell'effetto legale derivante dall'inosservanza del divieto (che conduce all'esclusione), nonché il carattere lato sensu sanzionatorio della previsione." 12. All'espulsione si collega, come conseguenza obbligata e diretta, l'annullamento dell'idoneità conseguita, tenuto conto dei tempi fisiologici, che verrebbero irrimediabilmente frustrati, in cui l'Amministrazione si può e deve attivare per verificare la sussistenza di eventuali cause di incompatibilità . 13. Sullo stesso piano - e qui viene in rilievo la domanda subordinata formulata dall'appellante - deve valutarsi, secondo giurisprudenza della Sezione da cui il Collegio non vede ragioni di discostarsi (Consiglio di Stato, Sezione III, 10 maggio 2017, n. 2171 e, più di recente, 31 gennaio 2023, n. 1107) l'obbligo dell'Amministrazione di procedere al recupero dell'intera somma erogata a titolo di borsa di studio per il triennio di durata del corso, non residuando alcun margine di discrezionalità - pena l'assunzione di responsabilità quanto meno di natura amministrativa e contabile - per provvedere ad una ripetizione soltanto parziale delle somme corrispondenti al periodo in cui l'appellante, per sua stessa ammissione, si è trovata in condizioni di incompatibilità per l'assunzione di un incarico professionale, ancorché circoscritto nel tempo, considerato che, come argomenta il Tar Basilicata, "la violazione di incompatibilità vulnera la ratio dell'erogazione della borsa di studio, finalizzata a sopperire alle esigenze materiali dei tirocinanti, a fronte dell'impegno ad una frequenza a tempo pieno ed esclusivo." 14. Né, da questo punto di vista, possono essere positivamente apprezzate le ulteriori doglianze dell'appellante, che ricollega l'assunzione dell'incarico presso l'INPS all'interruzione dell'erogazione della borsa di studio da parte della Regione, considerato che, in tesi, l'interessata avrebbe potuto richiedere le somme residue, promuovendo, se del caso, la relativa azione di recupero del credito. 15. Allo stesso modo, non corrobora la fondatezza delle censure dedotte dalla dottoressa Mo. neppure il riferimento alla natura eccezionale della normativa emergenziale, introdotta con il decreto legge 9 marzo 2020, n. 14, convertito con modificazioni dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126 (cfr. pagina 5 dell'appello), che ha consentito ai nuovi corsisti di medicina generale la possibilità di lavorare in ambiti differenti dal corso di formazione e di non rinunciare agli incarichi di Continuità Assistenziale (guardia medica), di USCA e di Assistenza primaria. Al contrario, la natura derogatoria della disciplina contenuta nella normativa introdotta a causa della pandemia conferma che la regola di carattere generale applicabile alla vicenda in esame, che introduce l'incompatibilità, è derogabile solo nei casi, espressamente previsti a determinate e precise condizioni, di sostituzioni a tempo determinato di medici di medicina generale convenzionati con il Servizio sanitario nazionale, nonché le sostituzioni per le guardie mediche notturne, festive e turistiche (cfr. articolo 11, comma 2 del d.m. 7 marzo 2006), a nulla rilevando, sotto questo profilo, l'affidamento dell'appellante sulla possibilità di continuare a percepire una borsa di studio, cui non aveva più diritto. In altre parole, proprio la riflessione sull'introduzione della normativa emergenziale, che ha ammesso la deroga alla regola dell'incompatibilità della partecipazione al corso di specializzazione con altri incarichi professionali, porta con sé un argomento che milita proprio nella direzione voluta in materia dal legislatore primario e secondario, che considera inammissibile - in via generale - lo svolgimento contestuale delle due attività . 16. A ciò si aggiunga che, con argomentazioni condivise dal Collegio, la Sezione ha di recente stabilito che "la necessità dell'espulsione come effetto automaticamente connesso alla violazione dell'obbligo sancito dall'art. 11, così come disposto dal comma 4 del medesimo art. 11, rende evidenza del suo carattere vincolato", con il risultato che non sono "rilevanti le deduzioni sulla necessità di una verifica in concreto del grado di interferenza tra le due attività parallele" e considerato che "l'espulsione non appare misura inappropriata, ma del tutto adeguata alla violazione di un fondamentale obbligo posto a carico dei corsisti, che ben ne conoscono il fondamento, il contenuto e soprattutto la irrimediabile sanzione.. a fronte della sua violazione" (Cons. Stato, sez. III, n. 2171 del 2017, § 7.11" (Consiglio di Stato, Sezione III, 31 gennaio 2023, n. 1107). La Sezione ha anche aggiunto, con argomentazioni che si attagliano alla fattispecie, che "vi è dunque un portato sanzionatorio insito nella ratio della disposizione che si giustifica, anche sotto il profilo della sua congruità e proporzionalità, alla luce della delicatezza e gravosità delle funzioni formative alle quali il corsista è chiamato", considerato che "il legislatore ha introdotto un sistema che non ammette deroghe (se non nei limitati casi espressamente previsti) ed esclude verifiche casistiche sull'effettivo distoglimento dall'attività formativa, tanto più che dette indagini si rivelerebbero di difficile conduzione ed esito incerto", non essendo in ogni caso ammissibile la possibilità di prestazioni lavorative da esercitare al di fuori dell'orario di frequenza del corso, potendo, diversamente, essere così facilmente eluso il diviato di cumulabilità (Consiglio di Stato, Sezione III, 1° giungo 2021, n. 3549, 10 maggio 2017, n. 2171). 17. In base a tutte le considerazioni che precedono, dunque, l'appello non può trovare accoglimento. 18. In considerazione della particolarità della questione contenziosa, le spese del giudizio possono, tuttavia, essere compensate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello (n. r.g. 793/2022), come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati: Stefania Santoleri - Presidente FF Giovanni Pescatore - Consigliere Nicola D'Angelo - Consigliere Giulia Ferrari - Consigliere Luca Di Raimondo - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7696 del 2022, proposto da Pa. Co. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Centrale Unica di Committenza dell'Area Programma (omissis) - (omissis) - (omissis) e Comune di (omissis), non costituiti in giudizio; Ma. Ma., rappresentato e difeso dall'avvocato Do. Ge., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la revocazione della sentenza del Consiglio di Stato - Sez. V n. 07567/2022, resa tra le parti, e pubblicata in data 30 agosto 2022, e resa nel giudizio R.G.N. 9661/2021; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ma. Ma.; Viste le memorie delle parti; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 marzo 2023 il Cons. Annamaria Fasano e viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1.La società Pa. Co. s.r.l. ricorre per la revocazione della sentenza n. 7567/2022 del 5 maggio 2022, emessa da questa Sezione del Consiglio di Stato e resa nel giudizio R.G. N. 9661/2021, riferendo quanto segue. 2. La ricorrente aveva impugnato dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Basilicata tutti gli atti relativi alla procedura di gara ad evidenza europea relativa ad "Intervento di mitigazione del rischio idrogeologico Comune di (omissis) indetta dalla CUC (omissis) e Comune di (omissis), ai sensi dell'art. 60 decreto legislativo n. 50 del 2016, sulla base del progetto redatto ai sensi dell'art. 23, comma 15, decreto legislativo n. 50 del 2016. La procedura era interamente telematica, ai sensi dell'articolo 58 del d.lgs. n. 50 del 2016, sulla base del progetto redatto ex l'art. 23, comma 15, decreto legislativo n. 50 del 2016, con aggiudicazione secondo il criterio del minor prezzo. 3. Con il ricorso di primo grado la società aveva dedotto che, con bando di gara prot. 1899 del 3.6.2021, veniva reso noto l'esperimento di procedura aperta ex art. 60 d.lgs. n. 50 del 2016 per l'appalto dei lavori in oggetto e che avevano partecipato alla gara di appalto n. 213 operatori economici; di questi n. 1 escluso, giusta verbale n. 2 del 5.7.2021, e n. 212 ammessi all'apertura delle offerte a seguito della quale, escludendo il dieci per cento delle offerte, arrotondato all'unità superiore, rispettivamente delle offerte di maggior ribasso (n. 22) e quelle di minor ribasso (n. 22), a termini dell'art. 97, comma 2, lett. a), residuavano n. 168 partecipanti tra cui la società appellante e la ditta Ma. Ma.. La società Pa. Co. s.r.l. offriva un ribasso pari a 32, 234%, mentre la ditta Ma. Ma. offriva un ribasso pari a 32,469%. Il bando di gara prescriveva che 'l'offerta economica deve contenere il ribasso da applicare all'importo posto a base di gara con l'indicazione di tre decimali dopo la virgola'. Alla procedura veniva allegato il relativo disciplinare di gara che prescriveva a pag. 7 punto 4, con riferimento all'offerta economica, che la stessa avrebbe dovuto contenere 'la percentuale di ribasso da applicare all'importo posto a base di gara con l'indicazione di tre decimali dopo la virgola'. Esperite le procedure di gara, con verbale n. 2 del 5.7.2021, veniva proposta l'aggiudicazione dei lavori alla ditta Ma. Ma. con il ribasso d'asta del 32,469%. Con nota del 19.7.2021, la C.U.C. trasmetteva la determinazione n. 230 del 19.7.2021, con la quale recepiva ed approvava le risultanze della procedura di gara di cui ai verbali nn. 1 e 2, disponendo l'aggiudicazione definitiva dell'appalto in favore della ditta Ma. Ma., con il ribasso del 32, 469%. 3.1. La ricorrente riferiva che la Commissione di gara, nel procedere al calcolo della soglia d'anomalia, errando, aveva acquisito tra i dati numerici presupposti al calcolo (percentuali di ribasso offerte) anche le cifre decimali oltre la terza, espressamente non ammesse dalla legge di gara. Pertanto, la società comunicava, con nota del 28.7.2021 indirizzata all'Amministrazione, come il calcolo elaborato dal seggio di gara fosse errato, e in contrasto con quanto prescritto sia dal bando di gara che dal disciplinare di gara, in ordine al numero dei decimali da considerare dopo la virgola per le percentuali di ribasso delle offerte che costituivano i dati numerici, quale presupposto alla fase successiva di calcolo: tre decimali dopo la virgola; inoltre, veniva segnalato che il calcolo della soglia d'anomalia, effettuato dalla CUC (omissis), riportava un arrotondamento dei vari risultati del calcolo alla 5 cifra dopo la virgola, non consentito dalla lex specialis in quanto la stessa nulla stabiliva in merito all'arrotondamento o troncamento del calcolo. Secondo la ricorrente, la Commissione di gara, a seguito della predetta segnalazione, provvedeva ad annullare le precedenti operazioni di calcolo, riformulando un nuovo calcolo ancora una volta erroneo, in quanto in sede di ricalcolo non solo aveva continuato ad utilizzare il dato numerico di partenza illegittimo, cioè inserendo le percentuali di ribasso con cifre decimali espressamente escluse dalla legge di gara, ma aveva persino effettuato il troncamento delle risultanze di calcolo alla terza cifra decimale. La società riteneva che la CUC, invece di procedere all'acquisizione del dato numerico (presupposto del calcolo), ammettendo le percentuali offerte dalle concorrenti secondo 'lex specialis' quindi sino alla terza cifra decimale, rielaborava il calcolo acquisendo come dato di partenza anche le cifre decimali dopo la terza delle sole quattro offerte rimaste in gara dopo il taglio delle ali, di fatto lasciando invariato l'erroneo dato di partenza, che avrebbe comunque assicurato la gara all'illegittima aggiudicataria. In questo modo veniva confusa volutamente tale operazione preliminare, con il calcolo della soglia d'anomalia in cui, in luogo dell'illegittimo precedente arrotondamento alla 5 cifra decimale delle risultanze di calcolo, si procedeva all'illegittimo troncamento dei risultati del calcolo e delle successive risultanze della soglia di anomalia alla terza cifra decimale. 3.2. Il Tribunale amministrativo per la Basilicata, con sentenza n. 736 del 2021, accoglieva il ricorso proposto dalla società Pa. Co. s.r.l. e il successivo ricorso per motivi aggiunti, ritenendo fondate le censure con cui si era dedotta l'erroneità del metodo di 'calcolo elaborato dal seggio di gara (...) in contrasto con quanto prescritto sia dal bando di gara che dal disciplinare di gara (...) per la determinazione della somma dei ribassi', al fine del calcolo della soglia di anomalia di cui all'art. 97, comma 2, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50. Il Tribunale di primo grado, nell'accogliere il ricorso sulla base dei calcoli contenuti nell'elaborato peritale della ricorrente, osservava che il bando di gara, alla sezione VI 'altre informazionà lett. b.2), prescriveva, tra l'altro, l'indicazione della: 'percentuale di ribasso da applicare all'importo posto a base di gara con l'indicazione di tre decimali dopo la virgola, IVA e oneri di sicurezza esclusi'. Il disciplinare di gara, a sua volta, all'art. 4 contenuto dell'offerta economica, ribadiva l'obbligo per gli offerenti di indicare: 'la percentuale di ribasso da applicare all'importo posto a base di gara con l'indicazione di tre decimali dopo la virgola, IVA e oneri di sicurezza esclusi'. Il Tribunale adito, in sostanza, riteneva che tale irregolare modus agendi, sebbene di per sé non determinasse l'esclusione della gara, certamente non poteva influire sull'esito della procedura, come diversamente emergente dal contestato approdo provvedimentale. Opinare diversamente, ad avviso del T.A.R., significava porre nel nulla le suddette previsioni, mentre, in applicazione del generale canone ermeneutico di cui all'art. 1367 c.c., applicabile anche alle norme regolatrici delle procedure di affidamento di contratti pubblici stabilite unilateralmente dall'Amministrazione, si privilegiava una interpretazione da cui discendeva, appunto, un qualche effetto. Secondo il giudicante, da tale assunto conseguiva l'illegittimità della scelta fatta propria dalla commissione di gara ed avvalorata dalla Centrale Unica di Committenza, di computare per intero i ribassi divergenti in modo lampante, nella formulazione, dalla lex specialis, superandone le disposizioni. 4. La ditta Ma. Ma. appellava la suddetta pronuncia, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 97, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016 nonché della lex specialis di gara. L'appellante riteneva che la Stazione appaltante aveva correttamente calcolato la soglia di anomalia delle offerte, in applicazione della disciplina di gara e delle disposizioni di legge, atteso che l'offerta, secondo quanto evincibile dalla lex specialis di gara, era stata generata automaticamente dalla piattaforma e-procurement, non avendo tutti i concorrenti formulato la propria percentuale del ribasso offerto, indicando soli tre decimali dopo la virgola, sicchè tale piattaforma predisposta dalla Centrale, che non fissava limitazione operative, aveva consentito a sette imprese partecipanti di formulare offerte con oltre tre decimali oltre la virgola. Pertanto, poiché la disciplina di gara non prevedeva che le offerte con più di tre cifre decimali sarebbero state troncate e/o arrotondate, il Seggio di gara aveva correttamente computato, ai fini della determinazione della soglia di anomalia, ex art. 97, secondo comma, del d.lgs. 50/2016, le offerte così come formulate dai partecipanti alla gara, conformandosi a principi giurisprudenziali consolidati della giurisprudenza amministrativa, secondo cui in assenza di puntuale e specifica disposizione del bando, per il calcolo della soglia di anomalia, doveva considerarsi tutta l'offerta. Secondo l'appellante, inoltre era errato il richiamo, fatto proprio dal giudice di prime cure al punto 6.2.1 della sentenza impugnata al'generale principio secondo cui le prescrizioni della lex specialis sono intangibili per la stazione appaltante e non possono essere modificate o disapplicate, salvo l'esercizio del potere di autotutela', mancando del tutto nella lex specialis la precisione delle conseguenze a cui sarebbero andati incontro i concorrenti nell'ipotesi della formulazione di un ribasso con più di tre cifre decimali. L'appellante censurava anche il capo della sentenza sulle spese, assumendo che lo stesso avrebbe dovuto essere riformato, in conseguenza dell'accoglimento dell'appello, e che comunque la sentenza era errata nella parte in cui aveva condannato la Centrale Unica di Committenza alla refusione del contributo unificato, pur non essendovi prova in atti del suo versamento. 5. Questa Sezione, con sentenza n. 7567 del 2022, accoglieva l'appello statuendo che: "contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di prime cure, la Stazione appaltante ha correttamente calcolato la soglia di anomalia delle offerte, in applicazione della disciplina di gara e dell'art. 97, 2 comma del codice dei contratti pubblici". 6. La società Pa. Co. s.r.l. ha proposto ricorso per revocazione avverso la suddetta pronuncia, illustrato con memorie, denunciando: "I. Violazione dell'art. 395, co. n. 4, c.p.c. e 106 c.p.a.; II. Violazione dell'art. 395, co. n. 4 c.p.c. e 106 c.p.a. Erronea interpretazione della Delibera ANAC n. 243 del 23 marzo 2021 laddove si è supposto che il contenuto della predetta delibera consentisse l'estensione del principio del divieto di troncamento o di arrotondamento, in assenza di espressa previsione in bando di gara, applicabile esclusivamente al calcolo della soglia d'anomalia ex art. 97, 2° comma, del d.lgs. 50/2016, anche al dato numerico iniziale e costituito dalle percentuali di ribasso". La ricorrente in revocazione ha proposto domanda di subentro nel contratto medio tempore stipulato, previo annullamento dell'aggiudicazione in favore della ditta individuale Ma. Ma. a cui dovrebbe seguire la declaratoria di inefficacia del contratto. La società ha, altresì, proposto domanda di risarcimento del danno per l'utile non conseguito, per il tempo cui non ha eseguito i lavori d'appalto e per il danno c.d. curriculare, con determinazione del quantum anche in via equitativa. 7. La ditta Ma. Ma. si è costituita in resistenza, domandando il rigetto del ricorso per revocazione. 8. All'udienza pubblica del 30 marzo 2023, la causa è stata assunta in decisione. DIRITTO 9. Con il primo mezzo, la ricorrente lamenta che questa Sezione avrebbe esaminato il gravame oggetto di revocazione erroneamente, supponendo che la lex specialis non escluderebbe che siano considerate nella loro globalità le offerte formulate dai concorrenti, affermando, in assoluta contraddizione con la legge di gara e con il bando di gara a pag. 8 punto VI. 3, lett. B.2 - disciplinare di gara pag. 7 punto 4, che vengono così ammesse alla gara ed al successivo calcolo della soglia d'anomalia cifre decimali oltre la terza, invece espressamente escluse dal legislatore di gara, falsando in tal modo la procedura, e il risultato del calcolo della soglia di anomalia. Da tale strutturale errore discenderebbe il primo risultato di calcolo falsato, e riguardante la somma dei ribassi, inquinato da cifre decimali oltre la terza (in contrasto con la lex specialis), di 5312,40095, dal quale consegue un prodotto pari a zero (4X0=), che modificherebbe radicalmente la soglia di anomalia, attribuendo illegittimamente l'aggiudicazione alla controinteressata ditta Ma. Ma.. Secondo la ricorrente, sarebbe vero l'esatto contrario di quanto affermato nella revocanda sentenza, in quanto il bando di gara prevede espressamente a pag. 8 punto VI. 3, lett. b.2, che 'offerta economica deve contenere il ribasso da applicare all'importo posto a base di gara con l'indicazione di tre decimali dopo la virgola (all. in atti)"; il relativo disciplinare di gara prescrive, a pag. 7 punto 4 contenuto nella busta offerta economica che l'offerta economica dovrà contenere 'la percentuale di ribasso da applicare all'importo posto a base di gara con l'indicazione di tre decimali dopo la virgola'. La società Pa. Co. s.r.l. lamenta che questa Sezione, nella sentenza revocanda, sarebbe andata alla ricerca di una inesistente espressa statuizione di esclusione rispetto a cifre numeriche decimali che, in quanto non ammesse alla procedura di gara, non potrebbero in alcun modo essere oggetto di disciplina di gara perché inesistenti per la procedura. La sentenza revocanda sarebbe, pertanto, affetta da errore revocatorio dal momento che si è supposto che la lex specialis potesse consentire l'accesso alla procedura di cifre decimali invece espressamente escluse dal legislatore di gara con le previsioni sopraddette, sicchè tale erronea supposizione avrebbe consentito l'illegittimo ingresso nella procedura di gara di cifre espressamente escluse in violazione della par condicio dei partecipanti e, soprattutto, alterando e falsando la procedura, gli esiti e la relativa aggiudicazione. 10. Con la seconda censura, si denuncia l'errata interpretazione della Delibera ANAC n. 243 del 23 marzo 2021, laddove si è supposto che il contenuto della predetta delibera consente l'estensione del principio del divieto di troncamento o di arrotondamento, in assenza di espressa previsione in bando di gara, applicabile esclusivamente al calcolo della soglia di anomalia ex art. 97, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016, anche al dato numerico iniziale e costituito dalle percentuali di ribasso. Secondo la ricorrente, il troncamento nella Delibera ANAC avrebbe riguardato il risultato del calcolo della soglia di anomalia, e non già il dato numerico di partenza relativo alla percentuale di ribasso offerto, come erroneamente affermato dal Consiglio di Stato nella revocanda sentenza. 11. Le suddette censure, in quanto attinenti a profili connessi, vanno esaminate congiuntamente. 12. Il Collegio ritiene che alla soluzione della controversia debba pervenirsi analizzando preliminarmente gli approdi interpretativi della giurisprudenza amministrativa e di legittimità in tema di ricorso per revocazione. 12.1. Questo Consiglio di Stato ha, in più occasioni, chiarito che nel processo amministrativo il rimedio della revocazione ha natura straordinaria e l'errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 106 del c.p.a. e 395 n. 4 del c.p.c., deve rispondere a tre requisiti: a) derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l'organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto fattuale, ritenendo così un fatto documentalmente escluso, ovvero inesistente un fatto documentalmente provato; b) attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato; c) essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò di un rapporto di causalità tra l'erronea presupposizione e la pronuncia stessa. Inoltre, l'errore deve apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche; esso è configurabile nell'attività preliminare del giudice, relativa alla lettura ed alla percezione degli atti acquisiti al processo quanto alla loro esistenza ed al loro significato letterale, ma non coinvolge la successiva attività di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni, ai fini della formazione del convincimento; in sostanza l'errore di fatto, eccezionalmente idoneo a fondare una domanda di revocazione è configurabile solo riguardo all'attività ricognitiva di lettura e di percezione degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza ed al loro significato letterale, per modo che del fatto vi siano due divergenti rappresentazioni, quella emergente dalla sentenza e quella emergente dagli atti e dai documenti processuali; ma non coinvolge la successiva attività di ragionamento e apprezzamento, cioè di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande, delle eccezioni e del materiale probatorio, ai fini della formazione del convincimento del giudice (Cons. Stato, sez. IV, n. 3671 del 2018; Cons. Stato, sez. IV, n. 406 del 2018; Cons. Stato, sez. V, n. 56 del 2017; Cons. Stato, sez. V, n. 4825 del 2017). Ma soprattutto, l'errore di fatto revocatorio si sostanzia in una svista che ha provocato l'errata percezione del contenuto degli atti del giudizio e non può confondersi con quello che coinvolge l'attività valutativa del giudice, ipotizzabile nel caso di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali ovvero di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, in cui si è in presenza di un errore di giudizio, non censurabile mediante revocazione, dovendosi escludere che il giudizio revocatorio, in quanto rimedio eccezionale, possa essere trasformato in un ulteriore grado di giudizio (Cons. Stato, sez. III, n. 7378 del 2022; Cons. Stato, 2394 del 2015). In sostanza, la revocazione non può mai cadere sul contenuto concettuale delle tesi difensive delle parti, sia perché le argomentazioni giuridiche non costituiscono fatta, sia poiché un tale errore si configura necessariamente non come errore percettivo, bensì come errore di giudizio, investendo per sua natura l'attività valutativa ed interpretativa del giudice (Cass.Sez.Un., nn. 5303 del 1997, 26022 del 2008, 13181 del 2013; nonché Cassazione nn. 17443 del 2008, 836 e 9835 del 2012, 4605 e 22569 del 2013). 12.2. Nella specie, la società Pa. Co. s.r.l. lamenta che la revocanda sentenza è affetta da errore di fatto revocatorio dal momento che si è supposto che la lex specialis potesse consentire l'accesso alla procedura di cifre decimali, invece espressamente escluse dalla legge di gara. Tale censura investe un profilo che attiene non un errore di fatto della sentenza, ma un errore di diritto. E' noto che il bando di gara indica con precisione i requisiti che gli operatori economici devono possedere per l'accesso alla procedura concorrenziale (cfr. art. 83, comma 4, d.lgs. cit.). Peraltro, l'insieme delle regole fondanti la gara, che valgono a delineare la c.d. lex specialis della selezione, può essere ricavato anche dagli atti 'allegatà al bando (capitolato speciale l'appalto e/o disciplinare di gara), semprechè - come ha, con consolidato orientamento, precisato la giurisprudenza amministrativa - nel bando sia individuato con chiarezza un criterio certo di reperimento degli stessi. In particolare, il capitolato speciale svolge la funzione di definire i contenuti del futuro rapporto contrattuale e, nella prodromica procedura di affidamento, svolge invece il ruolo di fonte integratrice delle regole di gara rispetto al bando e il disciplinare, senza alcuna portata modificatrice di questi ultimi. Il bando, il disciplinare e il capitolato hanno una propria autonomia e una peculiare funzione nell'economia della procedura evidenziale, tutti concorrendo a costituire la legge di gara (Cons. Stato, n. 1804 del 2021; Cons. Stato, n. 2186 del 2015), il primo fissando le regole di gara, il secondo disciplinando in particolare i dettagli procedimentali, il terzo (eventualmente) integrando le disposizioni del bando, di norma con particolare riferimento agli aspetti tecnici anche in funzione dell'assumendo vincolo contrattuale. Ciò premesso, la giurisprudenza è unanime nel ritenere che la lex specialis è la legge di gara, pertanto, il bando, il disciplinare e il capitolato hanno sostanzialmente un contenuto 'normativò, regolamentando la procedura pubblica e stabilendo la regola iuris. Ne consegue che l'eventuale errata interpretazione della legge di gara, denunciata dalla ricorrente in revocazione (tale da costituire a suo avviso, sostanzialmente, una regola di gara del tutto diversa da quella contenuta effettivamente nella lex specialis) non integra affatto un errore di fatto, ma tutt'al più un errore di diritto, concernente appunto l'interpretazione del dato normativo (Cons. Stato n. 7632 del 2021), sicchè le eventuali censure investono l'attività valutativa e interpretativa del giudice. 12.3. Nella sentenza revocanda, il Collegio, dopo aver riportato il contenuto delle disposizioni del bando di gara e del disciplinare ha concluso che "dai calcoli depositati dall'appellante risulta claris verbis che Egli sarebbe risultato aggiudicatario anche nell'ipotesi in cui si fosse proceduto all'arrotondamento delle percentuali di ribasso che presentavano oltre tre decimali dopo la virgola e che per contro l'aggiudicazione sarebbe spettata alla società ricorrente in prime cure solo nell'ipotesi di troncamento, peraltro non prevista dalla lex specialis di gara. (...) Nello stesso solco si colloca la recente delibera ANAC n. 243 del 23 marzo 2021 (depositata nel giudizio di primo grado), in cui l'Autorità, confermando e ribadendo suoi precedenti e richiamando la giurisprudenza in materia, afferma che la lex specialis di gara, nella parte in cui indica che saranno prese in considerazione, nella formulazione dell'offerta economica, fino a due cifre decimali e che pertanto tutti i valori offerti dovranno essere espressi con un massimo di due cifre decimali, non determina l'estensione di tale criterio anche al procedimento di determinazione della soglia di anomalia, salvo che non lo specifichi espressamente. Tali assunti sono pertanto applicabili anche alla fattispecie di cui è causa, laddove pur prevedendo la lex specialis di gara che le offerte dovessero recare l'indicazione del ribasso offerto con tre decimali dopo la virgola, nulla specifica in ordine alle modalità di calcolo della soglia di anomalia, con la conseguenza che a tali fini, come correttamente avvenuto ad opera della Centrale Unica di Committenza, doveva tenersi conto delle offerte così come formulate, senza procedere ad alcun troncamento né arrotondamento". Questa Sezione, invero, ha svolto una funzione interpretativa e una funzione nomofilattica della regola di gara, estrapolando il significato prescrittivo della lex specialis della procedura ad evidenza pubblica e provvedendo all'applicazione alla fattispecie in esame. Ne consegue che non sussiste alcun errore revocatorio nella specie ravvisabile, oltre al fatto che la questione della interpretazione della regola iuris da applicare al caso concreto ha costituito un punto controverso nel precedente giudizio, sia in primo che in secondo grado, sicchè la domanda di revocazione appare ulteriormente inammissibile perché relativa a questione controversa. 12.4. Il Collegio, pertanto, deve concludere per l'insussistenza nella fattispecie di una svista percettiva sull'intero oggetto del contendere. Né può predicarsi un contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emergerebbe dalla sentenza, l'altra dai documenti processuali, tenuto conto che l'eventuale contrasto, per i rilievi enunciati, si sostanzierebbe anche esso in un vizio del giudizio, formatosi sulla base del procedimento interpretativo e valutativo della legge di gara effettuato dal giudice, quindi in un ipotetico errore di diritto. E' evidente che la società Pa. Co. s.r.l., con il presente giudizio di revocazione, dietro l'apparente prospettazione di un errore revocatorio, ha mirato ad ottenere una rivalutazione delle conclusioni rassegnate dal Collegio nella sentenza revocanda, così aspirando ad un inammissibile terzo grado di giudizio, che pervenga a conclusioni diverse. 13. Da tali rilievi consegue che l'ammissibilità di siffatto giudizio va esclusa, ciò in quanto l'art. 395, n. 4, c.p.c. non prevede come causa di revocazione della sentenza l'errore di diritto (sostanziale o processuale), o l'errore di giudizio o di valutazione; pertanto, non essendosi il ricorrente attenuto ai suddetti principi, il ricorso va dichiarato inammissibile. 14. Le spese di lite del grado seguono il criterio della soccombenza e vanno liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione lo dichiara inammissibile. Condanna la società Pa. Co. s.r.l. alla rifusione delle spese del presente grado di giudizio a favore della ditta Ma. Ma., che si liquidano in complessivi euro 6.000,00 (seimila/00) oltre accessori di legge se dovuti, con distrazione a favore dell'avvocato Donatello Genovese che si è dichiarato antistatario, ex art. 93 c.p.c. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del giorno 30 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Diego Sabatino - Presidente Giovanni Grasso - Consigliere Alberto Urso - Consigliere Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere Annamaria Fasano - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 822 del 2023, proposto da -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Sa. St. Da., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, contro - la Regione Basilicata, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Vi. Io., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; - la Regione Basilicata - Dipartimento Stazione Unica Appaltante - Rb, l'Azienda Sanitaria Locale di Potenza, l'ASP Basilicata, l'Azienda Ospedaliera Regionale "San Carlo", l'Azienda Sanitaria Locale di Matera,-OMISSIS-, non costituiti in giudizio; nei confronti di -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Va. Vu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...), per l'ottemperanza della sentenza del Consiglio di Stato, Sezione III, n. -OMISSIS-, resa tra le parti. Visti il ricorso in ottemperanza e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Basilicata e di -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatrice, nella camera di consiglio del giorno 20 aprile 2023, il Cons. Stefania Santoleri e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. - Con bando di gara del 5 luglio 2018 la Stazione Appaltante Unica per la Regione Basilicata ha indetto una procedura di gara suddivisa in 69 lotti, per l'affidamento dei servizi integrati per la manutenzione delle apparecchiature elettromedicali in dotazione alle aziende del servizio sanitario regionale, cui hanno preso parte - tra gli altri - anche -OMISSIS- e -OMISSIS-- a seguito di delibera dell'assemblea straordinaria del giorno 8 ottobre 2021). La gara è stata aggiudicata a -OMISSIS-, giusta determinazione dirigenziale n. -OMISSIS- del 22 novembre 2019. In data 29 gennaio 2020 è stata firmata la convenzione. Successivamente, le Aziende sanitarie e ospedaliere si sono attivate per stipulare i relativi contratti. 2. - A distanza di quasi un anno dall'aggiudicazione, -OMISSIS-, seconda graduata, ha informato la stazione appaltante della sopravvenienza di indagini penali per concorso in corruzione aggravata, a carico dell'ex amministratore delegato della -OMISSIS- e di un dirigente, fattispecie penale in relazione alla quale erano stati mossi addebiti anche alla società, ai sensi del d.lgs. n. 231/2001. La SUA, riscontrando la segnalazione, ha comunicato ad -OMISSIS- i contenuti del verbale del 22 ottobre 2020 con cui il seggio di gara aveva ritenuto "la mancata sussistenza degli estremi costitutivi della fattispecie escludente di cui all'art. 80, comma 5, lettera c) del Codice dei Contratti Pubblici a carico della società -OMISSIS-" 3. - Tale provvedimento è stato impugnato da -OMISSIS- dinanzi al TAR Basilicata. 4. - Con la sentenza n. -OMISSIS- il TAR ha respinto il ricorso. Il TAR ha ritenuto che "Come emerge da una piana lettura dell'impianto motivazionale del provvedimento di diniego dell'Amministrazione, quest'ultima non ha affatto affermato che un'ordinanza di custodia cautelare non possa in alcun modo integrare una fattispecie escludente, ma ha posto in essere un articolato iter argomentativo che ha tenuto conto delle circostanze del caso concreto e delle indicazioni offerte dalle linee guida dell'ANAC.....Nel caso di specie, come si è testé evidenziato, è stato svolto un giudizio di complessiva non incidenza sull'integrità ed affidabilità della -OMISSIS- degli episodi di cui è cenno; giudizio svolto alla stregua di una ricognizione della cornice giuridica di riferimento e dello stadio di accertamento e dell'entità degli episodi in questione che risulta scevro da manifesta illogicità ed irragionevolezza". Il giudice di prime cure ha poi aggiunto: "come mal si attagli alla presente vicenda (a dimostrazione della sua specificità ) l'ulteriore principio elaborato dalla giurisprudenza con riguardo a 'omissioni dichiarativè di condotte apprezzabili ai fini che qui rilevano, concretatesi anteriormente alla presentazione della domanda di ammissione o dell'aggiudicazione, secondo cui le misure di c.d. 'self cleaning', avendo effetto pro futuro, ovvero per la partecipazione a gare successive alla adozione delle misure stesse, non rivestono portata retroattiva (ex multis, Cons. Stato, sez. V, 6 aprile 2020, n. 2260). Invero, nel caso di specie è agevole rilevare come le misure rimediali di carattere organizzativo adottate da -OMISSIS-, consistenti nella rimozione, dopo l'apprensione della notizia di indagini penali, l'amministratore delegato e il dirigente indagati e nell'adozione di iniziative propedeutiche all'adeguamento del modello di cui al d.lgs. n. 231 del 2001, siano idonee già allo stato a consentire (salvi i successivi apprezzamenti in punto di adeguatezza delle stazioni appaltanti) la formulazione di offerte in pubblici incanti. Ragioni di simmetria logica, quindi, inducono a ritenere che delle medesime misure di 'self cleaning' non possa non tenersi conto anche nel caso di specie, ove gli accadimenti oggetto di indagine penale, giova ribadire, si collocano a valle dell'intero esperimento dell'appalto, essendo emersi successivamente all'aggiudicazione". 5. - Avverso tale sentenza -OMISSIS- ha interposto appello chiedendone l'integrale riforma. 6. - La Sezione, con sentenza n. -OMISSIS- ha accolto l'appello proposto da -OMISSIS-, e per l'effetto "in riforma della sentenza n. -OMISSIS- novembre 2020 del Tribunale amministrativo regionale per la Basilicata" ha annullato gli atti impugnati in primo grado. Inoltre, verificata l'impraticabilità del subentro, ha accolto la domanda di risarcimento del danno per equivalente, rimettendone alle parti la quantificazione "mediante la verifica dell'utile di impresa incorporato nel ribasso offerto in sede di gara". 7. - Avverso la predetta sentenza, Tecnologie sanitarie, divenuta oggi --OMISSIS-, ha proposto ricorso per revocazione, con il quale ha dedotto che la sentenza impugnata sarebbe affetta da una serie di errori di fatto: essa non avrebbe vagliato, né dato atto, dell'eccezione di difetto di giurisdizione; avrebbe omesso qualsiasi riferimento all'eccepita incoercibilità dell'azione amministrativa in materia di autotutela; avrebbe, altresì, omesso l'esame dell'eccezione relativa all'insindacabilità del merito amministrativo; avrebbe, inoltre, omesso l'esame della sopravvenuta delibera del 13 aprile 2021, con la quale l'ANAC, all'esito di un'approfondita istruttoria, proprio con riferimento alla vicenda giudiziaria che aveva colpito l'ex esponente aziendale di -OMISSIS-, avrebbe accertato che "non si possa ritenere la condotta segnalata come connotata da una gravità tale da rendere configurabile la fattispecie di cui all'art. 80, comma 5, lett. c) del d.lgs. 50/16, quale 'grave illecito professionale". 8. - Il giudizio di revocazione è stato definito da questa Sezione con la sentenza n. -OMISSIS-, oggetto del presente giudizio di ottemperanza; con tale decisione è stato accolto, in via rescindente, il ricorso per revocazione proposto da -OMISSIS-e, per l'effetto, è stata annullata la sentenza di questa Sezione n. -OMISSIS-; in via rescissoria, pronunciandosi sull'appello di -OMISSIS-, la Sezione lo ha accolto nei limiti e per gli effetti indicati in motivazione. 8.1 - Nel dettaglio, con la sentenza ottemperanda, questa Sezione, dopo aver respinto l'eccezione di -OMISSIS-incentrata sul carattere non provvedimentale del provvedimento impugnato, ha ritenuto che: - l'atto con il quale l'Amministrazione aveva dato riscontro alla sollecitazione di -OMISSIS- (nota della Regione Basilicata - Dipartimento Stazione Unica Appaltante prot. n. -OMISSIS- del 26 novembre 2020 che ha recepito il verbale del Seggio di gara n. -OMISSIS-) costituiva un diniego di autotutela impugnabile e sindacabile dal giudice amministrativo; - nondimeno, nei confronti delle valutazioni di merito che la stazione appaltante effettua in ordine alla valenza escludente dei fatti sopravvenuti, il sindacato del giudice amministrativo incontra i consueti limiti, non potendo sostituirsi alle valutazioni di merito assunte dall'Amministrazione, salvo il controllo esterno di ragionevolezza; - nel caso di specie, la Sezione ha ritenuto carente la motivazione del provvedimento, atteso che "non v'è cenno alcuno, nella motivazione fornita dalla stazione appaltante, al Patto di integrità che "governava" i profili morali dei partecipanti" nel quale "era espressamente prevista una causa risolutiva espressa ex art. 1456 c.c. "ogniqualvolta nei confronti dell'imprenditore o dei componenti la compagine sociale, o dei dirigenti dell'impresa sia stata disposta misura cautelare o il rinvio a giudizio per taluno dei delitti di cui alla lett. b) del co. 1 dell'art. 80 D.lgs. 50/2016""; - tale motivazione è stata ritenuta, inoltre, irragionevole, in quanto, nel richiamare il principio di proporzionalità, "piuttosto contraddice le cautele che in via preventiva la SUA ha imposto in executivis"; - doveva ritenersi priva di fondamento l'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata da -OMISSIS-; - altrettanto infondata era la prospettazione di -OMISSIS-, secondo cui la successiva delibera ANAC del 13 aprile 2021, recante l'archiviazione del procedimento di annotazione sul Casellario informatico ex art. 213, comma 10, avrebbe definitivamente confermato la correttezza delle valutazioni contestate, tenuto conto che la Sezione si era già occupata del tema nell'ambito di ana contenzioso concernente la posizione di TS e il rilievo della sopravvenuta deliberazione ANAC, escludendo che quest'ultima potesse assumere una valenza "sanante". 8.2 - Con la sentenza n. -OMISSIS-, questa Sezione, una volta superata la fase rescindente, ha esaminato, in via rescissoria, l'appello di -OMISSIS- e lo ha accolto; per l'effetto, in riforma della sentenza del TAR Basilicata, ha accolto la domanda di annullamento della nota della Regione Basilicata - Dipartimento Stazione Unica Appaltante prot. n. -OMISSIS- del 26 novembre 2020, che ha fatto proprio il verbale del Seggio di gara n. -OMISSIS-; la Sezione ha, quindi, indicato gli effetti della propria decisione statuendo che: "l'amministrazione dovrà rideterminarsi considerando quanto esposto in motivazione". 8.3 - Quanto alla domanda di conseguimento dell'aggiudicazione e (previo annullamento di quella disposta in favore di TS), di inefficacia del contratto e di subentro, ha rilevato che "E' fin troppo noto che il giudice amministrativo non possa in tali casi sostituirsi all'amministrazione, residuando impregiudicato il potere dell'amministrazione di determinarsi sulla valutazione discrezionale oggetto di annullamento e conseguenti provvedimenti da adottare a seconda del tenore di tale rinnovata valutazione". Ha poi aggiunto che non poteva "accedersi alla domanda di risarcimento del danno per equivalente, essendo evidente che essa presuppone l'accertamento di un diritto all'aggiudicazione in capo ad -OMISSIS-, che per i limiti di questo giudizio, non può certamente essere svolto". 9. - Con il ricorso ex art. 114 c.p.a. -OMISSIS- ha chiesto l'esecuzione della suddetta sentenza n. -OMISSIS-, rilevando che questa Sezione aveva accolto il ricorso per revocazione proposto da -OMISSIS-, ma poi, in via rescissoria, aveva confermato l'accoglimento dell'appello di -OMISSIS-, già disposto con la sentenza revocata n. -OMISSIS-, sottolineando che era stato riformato il solo capo della sentenza n. -OMISSIS- nella parte in cui aveva riconosciuto il diritto di -OMISSIS- all'aggiudicazione e al risarcimento del danno per equivalente. Ha poi aggiunto che questa Sezione aveva statuito che dall'accoglimento dell'appello di -OMISSIS- era derivato l'obbligo dell'Amministrazione di "rideterminarsi considerando quanto esposto in motivazione"; ha poi aggiunto che, nonostante l'invio di due diffide, la sentenza era rimasta ineseguita. Con il ricorso in ottemperanza, quindi, -OMISSIS- ha chiesto di ordinare l'esecuzione della sentenza, anche mediante l'eventuale nomina di un Commissario ad acta e/o mediante l'imposizione di una penalità di mora ai sensi dell'art. 114, comma 4, lett. c), c.p.a. nel caso di perdurante inadempienza, onde assicurare l'effettività della tutela giurisdizionale già riconosciuta in sede di cognizione. 9.1 - Il 2 febbraio 2023 si è costituita in giudizio -OMISSIS-chiedendo il rigetto del ricorso. 9.2 - In data 14 aprile 2023 si è costituita in giudizio l'Amministrazione appellata comunicando di aver avviato il procedimento per l'esecuzione della sentenza ottemperanda (cfr. nota 55799 del 9 marzo 2023 versata in atti); nella discussione orale il difensore della Regione Basilicata ha precisato che il procedimento è ancora in corso. 9.3 - Il 4 aprile 2023 -OMISSIS- e -OMISSIS-hanno depositato memorie difensive, seguite da memorie di replica depositate il 7 aprile 2023. 10. - Alla camera di consiglio del 20 aprile 2023 la causa è stata trattenuta in decisione. 11. - Il ricorso in ottemperanza è fondato e va, quindi, accolto. 12. - Per completezza espositiva occorre dare conto che -OMISSIS-, nella propria memoria difensiva, ha formulato la richiesta di rinvio della trattazione della presente controversia, in attesa dalla decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, sul ricorso da essa proposto avverso la sentenza n. -OMISSIS-, la cui udienza è stata fissata per il 6 giugno 2023. 12.1 - Alla camera di consiglio del 20 aprile 2023 l'istanza di rinvio non è stata accolta in ragione del principio di ragionevole durata del processo previsto dall'art. 2, comma 2, c.p.a.: la gara in questione, infatti, è stata bandita con determinazione del 5 luglio 2018 ed è stata aggiudicata a Tecnologie Sanitarie con provvedimento del 22 novembre 2019. A seguito della vicenda penale alla quale si è fatto cenno in precedenza, è insorto un contenzioso che perdura, ormai da molto tempo: la sentenza del TAR Basilicata, infatti, risale al 2021 e la sentenza di cui si chiede l'ottemperanza è stata pubblicata in data 8 luglio 2022; quest'ultima decisione, inoltre, ha comportato la riapertura del procedimento diretto alla valutazione dell'esistenza dei requisiti in capo all'aggiudicataria -OMISSIS-, e tale procedimento è ancora pendente e deve essere tempestivamente concluso. 12.2 - Ragioni di celerità imponevano, quindi, al Collegio di definire il presente giudizio. 13. - Prima di esaminare il merito del ricorso, il Collegio dove scrutinare le eccezioni di inammissibilità e improcedibilità sollevate da -OMISSIS-nella propria memoria difensiva. 13.1 - -OMISSIS-ha eccepito l'inammissibilità del ricorso, per difetto di interesse: a) in quanto nessuna utilità -OMISSIS- potrebbe ricavare dall'esecuzione del giudicato, essendo a sua volta gravata da condizioni ostative che le precluderebbero di conseguire l'aggiudicazione; b) per l'insussistenza delle condizioni di legge affinché la stazione appaltante possa adottare qualsivoglia provvedimento di autotutela avverso l'aggiudicazione; c) per impossibilità di adottare in ogni caso determinazioni definitive, non essendo la sentenza n. -OMISSIS- ancora passata in giudicato (stante la pendenza del già richiamato ricorso per cassazione). 13.2 - Le predette eccezioni sono infondate. 13.3 - La tesi di -OMISSIS-secondo cui ricorso per ottemperanza sarebbe inammissibile per presunta carenza di interesse di -OMISSIS-, che non avrebbe più titolo per ottenere l'aggiudicazione e il subentro nell'esecuzione contrattuale, essendo incorsa in una causa di esclusione ai sensi dell'art. 80, comma 5, lett. f), c) e c-bis) del Codice, non può essere condivisa. 13.4 - Altrettanto infondata è la prospettazione della controinteressata, secondo cui la verifica della permanente capacità e possesso dei requisiti in capo alla ricorrente sarebbe "pregiudiziale" rispetto alla valutazione delle azioni da porre in essere in esecuzione della sentenza n. -OMISSIS-: dalla pronuncia ottemperanda, infatti, deriva l'obbligo per l'Amministrazione di riesame alla luce dei principi affermati nella sentenza di cui si chiede l'esecuzione; -OMISSIS-, vincitrice in appello, ha pieno titolo per chiedere l'ottemperanza della sentenza in questione, considerato che si è classificata al secondo posto della graduatoria e, in caso di esito a sé favorevole del procedimento di riesame eseguito dalla P.A., potrebbe ottenere l'aggiudicazione dell'appalto. Come già rilevato, dalla sentenza ottemperanda è derivato l'obbligo di riesaminare la situazione di -OMISSIS-: quindi, l'eventuale portata ostativa delle situazioni segnalate da -OMISSIS-nei confronti di -OMISSIS-, dovrebbe essere valutata dalla stazione appaltante solo laddove, all'esito della rivalutazione della posizione di -OMISSIS-in esecuzione di questa decisione, si pervenisse alla rimozione dell'aggiudicazione. Ciò comporta che la permanenza del possesso dei requisiti in capo ad -OMISSIS- non potrebbe mai essere scrutinata nell'odierno contenzioso, vigendo il divieto di esaminare poteri amministrativi non ancora esercitati, ex art. 34, comma 2, c.p.a. 13.5 - Come ha correttamente rilevato -OMISSIS- nella propria memoria di replica, "la verifica sul possesso dei requisiti di -OMISSIS- dovrebbe essere effettuata, a tutto voler concedere, in un autonomo procedimento amministrativo che, allo stato, non risulta neppure avviato e che tutt'altro che pregiudiziale rispetto alla doverosa ottemperanza della sentenza epigrafata". 13.6 - Per quanto concerne la presunta perdita di requisiti di -OMISSIS-, occorre ribadire che la questione esula dal presente giudizio di ottemperanza, che riguarda l'esecuzione della sentenza n -OMISSIS-, che ha decretato l'obbligo di rivalutazione della sola posizione di -OMISSIS-. Condivisibilmente la società ricorrente ha rilevato che l'esito dell'odierno contenzioso non può essere condizionato, né subordinato, alla conclusione delle verifiche sul possesso dei requisiti in capo ad -OMISSIS-: l'Amministrazione deve provvedere a dare esecuzione alla sentenza mediante l'adozione di un provvedimento amministrativo frutto del riesercizio doveroso del potere amministrativo, tenendo conto del principio conformativo derivante dalla decisione da eseguire; all'esito di tale decisione spetterà all'Amministrazione valutare se sia necessario eseguire verifiche sulla posizione di -OMISSIS-. L'eccezione va, quindi, respinta. 14. - Altrettanto infondata è l'ulteriore eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse sollevata dalla controinteressata, secondo cui la sentenza n. -OMISSIS- avrebbe qualificato il verbale del 22 ottobre 2020 come diniego di autotutela rispetto all'istanza di riesame proposta da -OMISSIS- in data 10 agosto 2020, lasciando impregiudicata la validità dell'aggiudicazione a suo tempo disposta in suo favore. -OMISSIS-ha quindi aggiunto che, essendo stata già stipulata la convenzione in data 29 gennaio 2020, in capo alla stazione appaltante residuerebbe solo il potere di risoluzione di cui all'art. 108 del D.lgs. n. 50/2016; tale potere, però, sarebbe precluso, potendo esercitarsi nei soli casi di esclusione obbligatoria mentre, nel caso di specie, viene in rilievo un'ipotesi di esclusione facoltativa dalla gara. In definitiva, secondo -OMISSIS-, l'attività rivalutativa sarebbe ormai "preclusa dai limiti legali all'esercizio dei poteri amministrativi di secondo grado, come risultati, peraltro, anche dal vigente art. 108 del D.lgs. n. 50/2016". 14.1 - L'eccezione è infondata. Come già rilevato, dalla sentenza n. -OMISSIS- discende l'obbligo per l'Amministrazione di verificare la permanenza, o meno, dei requisiti in capo all'aggiudicataria; solo all'esito della rinnovata valutazione, la stazione appaltante dovrà valutare se sia necessario l'esercizio dei poteri di autotutela sull'aggiudicazione; in ogni caso, -OMISSIS- ha proposto anche la domanda di risarcimento per equivalente, sicché sussiste, comunque, l'interesse di -OMISSIS- a vedere accertata - se non altro a fini risarcitori - l'illegittimità dell'aggiudicazione medesima. Ciò comporta il rigetto della suddetta eccezione. 15. - Con la terza eccezione, -OMISSIS-ha dedotto l'inammissibilità del ricorso ex art. 114, comma 4, lett. c), c.p.a., sostenendo che porterebbe ad "effetti irreversibili" non compatibili con la pendenza del ricorso per cassazione: l'eccezione è infondata in quanto, qualora l'esecuzione della decisione di ottemperanza portasse a modifiche sostanziali della situazione di fatto o di diritto, diverrebbe improcedibile il ricorso per cassazione. 16. - -OMISSIS-ha poi eccepito l'improcedibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse, sostenendo che i giudizi sulla sua affidabilità, compiuti da altre stazioni appaltanti su gare analoghe a quella in questione, la delibera ANAC del 16 aprile 2022 di archiviazione del procedimento di annotazione della vicenda penale di cui trattasi, la certificazione del proprio modello organizzativo, alcune recenti giurisdizionali di questa Sezione, renderebbero inammissibile "il tentativo avversario di prospettare come ineludibile il giudizio di inaffidabilità su -OMISSIS-"; ha poi aggiunto che l'avvio del procedimento di riesame effettuato dalla stazione appaltante, avrebbe di per sé soddisfatto l'interesse di Anthea. 16.1 - L'eccezione non può essere condivisa, in quanto la tesi di -OMISSIS-anticipa una valutazione (quella sulla portata delle misure di self-cleaning) che dovrà formare oggetto della nuova valutazione che l'Amministrazione dovrà compiere in esecuzione della sentenza ottemperanda, sicché pronunciarsi sul tema integrerebbe una violazione del divieto di pronunciarsi su poteri non ancora esercitati. 16.2 - Quanto al mero avvio del procedimento dinanzi all'Amministrazione, questo non può comportare la soddisfazione dell'interesse azionato da -OMISSIS-, per le ragioni già esplicitate. 17. - -OMISSIS-ha quindi eccepito l'inammissibilità della richiesta di nomina di un Commissario ad acta, rilevando che, gli atti esecutivi che quest'ultimo dovrebbe eseguire (scioglimento dei rapporti contrattuali con -OMISSIS-e subentro nella convenzione e nei contratti attuativi), esulano dalla giurisdizione del giudice amministrativo: ha aggiunto, infatti, che il contratto di appalto, una volta stipulato, può venir meno o per effetto della declaratoria di inefficacia in via giudiziale, ai sensi degli artt. 121-122 c.p.a., reso nell'ambito del giudizio impugnatorio, oppure al ricorrere delle tassative ipotesi previste dall'art. 108 del d.lgs. 50/2016. 17.1 - Poiché in sede di legittimità tale declaratoria non è stata affermata, si ricadrebbe nelle ipotesi di risoluzione del contratto, che rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, afferendo alla fase esecutiva del rapporto di appalto; ha quindi rilevato che anche le ipotesi di nullità e di annullabilità del contratto, ricadrebbero nella giurisdizione ordinaria. 17.2 - La prospettazione non può essere condivisa: l'esecuzione della sentenza n. -OMISSIS- comporta l'obbligo per l'Amministrazione di attivare il procedimento di rinnovata verifica dei requisiti di -OMISSIS-, atteso che il provvedimento impugnato in primo grado, ed annullato con la sentenza ottemperanda, è stato ritenuto viziato per le ragioni indicate in motivazione. L'Amministrazione ha dato inizio a tale procedimento, ma non lo ha ancora concluso. È del tutto evidente che, qualora il suddetto procedimento non venisse definito entro un determinato termine, sarebbe necessario provvedere alla nomina del Commissario ad acta, chiamato a svolgere un'attività palesemente rientrante nella giurisdizione del giudice amministrativo. 17.3 - Quanto agli effetti della decisione, nella sentenza n. -OMISSIS- è stato chiarito che "rimane invece discrezionale il potere di provvedere in autotutela in conseguenza delle valutazioni di merito che la stazione effettua in ordine alla valenza escludente dei fatti sopravvenuti". Anche in questo caso, quindi, l'eccezione di -OMISSIS-riguarda l'esercizio di un ipotetico potere non ancora esercitato e, come tale, deve ritenersi inammissibile. 18. - Terminata la disamina delle eccezioni di rito, il Collegio può pronunciarsi sulla domanda ex art. 114 c.p.a. avanzata da -OMISSIS-. Per le ragioni già anticipate, il ricorso va accolto: la sentenza n. -OMISSIS- ha chiaramente stabilito l'obbligo per l'Amministrazione di rivalutare il possesso dei requisiti di -OMISSIS-alla luce dei principi espressi in motivazione; la Regione Basilicata ha dato inizio al procedimento, ma non lo ha ancora concluso; la ricorrente - che ha effettuato la segnalazione alla stazione appaltante - ha interesse alla decisione sulla questione. 18.1 - Pertanto, il Collegio: - ordina alla Regione Basilicata di concludere, con provvedimento espresso, da adottarsi entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione della presente decisione, salvo motivata istanza di proroga, il procedimento di riesame, avviato fin dal 9 marzo 2023, dando attuazione al principio conformativo discendente dalla sentenza n. -OMISSIS-, oggetto di esecuzione; - riserva, all'ipotesi dell'eventuale ulteriore inadempimento, su richiesta di -OMISSIS-, la nomina del Commissario ad acta che provveda in sostituzione dell'Amministrazione inadempiente; - respinge la richiesta di condanna al pagamento della penalità di mora, tenuto conto della complessità della situazione e del breve termine assegnato per l'esecuzione; - compensa tra le parti le spese del presente giudizio in considerazione della complessità delle questioni oggetto di disamina. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso in ottemperanza della sentenza di questa Sezione n. -OMISSIS-, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei termini indicati in motivazione e, per l'effetto: - ordina alla Regione Basilicata di concludere, entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione della presente decisione, salvo motivata istanza di proroga, con provvedimento espresso, il procedimento di riesame, avviato fin dal 9 marzo 2023, dando attuazione al principio conformativo discendente dalla sentenza n. -OMISSIS-, oggetto di esecuzione; - riserva, all'ipotesi dell'eventuale ulteriore inadempimento, su richiesta della parte interessata, la nomina del Commissario ad acta, che provveda in sostituzione dell'Amministrazione inadempiente; - respinge la richiesta di condanna al pagamento della penalità di mora; - compensa tra le parti le spese del presente giudizio; Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le parti. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 aprile 2023 con l'intervento dei magistrati: Raffaele Greco - Presidente Stefania Santoleri - Consigliere, Estensore Giovanni Pescatore - Consigliere Ezio Fedullo - Consigliere Antonio Massimo Marra - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8068 del 2022, proposto dal Comitato di Scopo denominato “(omissis)”, in persona del Presidente p.t., e dai signori Et. Bu., Ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Fa. Lo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro l’Agenzia del Demanio, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero della giustizia, il Ministero dell’economia e delle finanze, il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, il Commissario straordinario per l’opera: “(omissis)”, il Presidente della Corte di appello di Bari, tutti rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12; il Comune di Bari, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ch. Lo. Ba. e Ni. Se. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti del Comitato per lo sviluppo del verde pubblico, dell’Associazione Ww. It. Onlus, ed altri, non costituitisi in giudizio; e con l'intervento di ad adiuvandum: dell’Associazione ambientalista “(omissis)” Onlus, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Lu. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, Sez. II, n. 1174 del 2022, resa tra le parti;   Visto il ricorso in appello con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate; Visto l’atto di intervento ad adiuvandum; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell’udienza pubblica del giorno 2 marzo 2023 il consigliere Silvia Martino; Viste le conclusioni delle parti, come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.   FATTO e DIRITTO Nell’anno 2014 la Commissione di Manutenzione presso la Corte d’appello di Bari e il Comune di Bari, all’epoca competente in materia di edilizia giudiziaria, convenivano in ordine alla necessità di realizzare un unico “Polo della Giustizia di Bari”, quale sede unica delle attività giudiziarie svolte a Bari; a tal fine veniva individuata, su impulso del Prefetto e a seguito di sopralluogo svolto in data 10 dicembre 2014, quale possibile area dove realizzare tale accorpamento degli uffici giudiziari (penali e civili), quella occupata dalle caserme dismesse “Capozzi” e “Milano” di Bari. All’esito di tale intesa, l’Agenzia del Demanio adottava i decreti del 24 dicembre 2014 e del 30 luglio 2015, con cui le due caserme venivano dismesse e riconosciute non più utili alle finalità della difesa. 1.1. In data 17 maggio 2016 la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la Città Metropolitana di Bari sottoscrivevano il “Patto per lo Sviluppo della Città Metropolitana di Bari”. Tale intervento, ritenuto strategico e qualificante per il territorio, prevedeva la realizzazione del “nuovo polo della Giustizia di Bari” nell’area di sedime delle ex caserme Milano e Capozzi ed era sostenuto, per il tramite della Città Metropolitana di Bari, da un finanziamento di circa € 300.000,00 destinato alla realizzazione di uno studio di prefattibilità preliminare all’elaborazione del progetto di realizzazione della nuova sede, affidato dalla Città Metropolitana ad Invitalia. 1.2. In data 17 gennaio 2018 veniva sottoscritto un Protocollo tra l’Agenzia del Demanio ed Invitalia con l’intento di promuovere ed attuare modalità e strumenti di cooperazione e collaborazione interistituzionale, al fine di porre in essere tutte le condizioni necessarie per l’elaborazione di un’Analisi di prefattibilità del nuovo Polo della Giustizia. 1.3. Successivamente, il 25 gennaio 2018, il Ministero della giustizia ed il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, l’Agenzia del Demanio, il Comune di Bari, la Città Metropolitana di Bari, la Corte di appello di Bari, la Procura Generale presso la Corte di appello ed il Provveditorato interregionale alle OO.PP. per la Campania-Molise-Puglia e Basilicata sottoscrivevano un Protocollo d’Intesa (successivamente integrato con Protocollo d’Intesa del 30 luglio 2019) per la realizzazione del progetto. L’obiettivo dei Protocolli era quello di unificare gli Uffici giudiziari di Bari, attualmente dislocati in più sedi sul territorio comunale e ospitati in immobili non più idonei, anche al fine di superare le criticità derivanti dalla situazione logistica degli uffici, frazionati in locali spesso provvisori. 1.4. Con Convenzione in data 1 ottobre 2020, il Ministero della giustizia affidava all’Agenzia del Demanio le funzioni di stazione appaltante e tutte le attività tecnico - amministrative finalizzate alla realizzazione del (omissis) di Bari. L’Agenzia, con bando di gara pubblicato sulla G.U.R.I. - V^ Serie Speciale – Contratti Pubblici n. 136 del 20 novembre 2020, indiceva una procedura aperta per l’affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria relativi alle indagini preliminari al Progetto di fattibilità tecnico- economica. La gara veniva aggiudicata al RTP Politecnica Ingegneria ed Architettura Soc.coop., che elaborava uno studio di inserimento urbanistico volto a fornire un quadro conoscitivo circa lo stato di fatto dei luoghi ed il contesto socio-economico, elaborando un piano di razionalizzazione e valorizzazione della zona, tenuto conto dell’analisi del quadro legislativo e dei vincoli nonché del contesto insediativo, socio-economico e della mobilità in cui si inserisce l’area oggetto di intervento. 1.5. In seguito, con D.P.C.M. del 5 agosto 2021, emanato in attuazione dell’articolo 9 del decreto-legge 16 luglio 2020 n.76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120 che ha modificato l’articolo 4 del decreto legge n.32 del 2019, il “(omissis) di Bari” veniva individuato quale intervento infrastrutturale caratterizzato da un elevato grado di complessità progettuale, per la cui realizzazione si rendeva necessaria la nomina di un Commissario straordinario, nominato nella persona dell’ing. Antonio Ottavio Ficchì, DirEt. della Direzione regionale Puglia e Basilicata dell’Agenzia del Demanio. 1.6. Da ultimo, con l’art. 9 del d.l. 10 settembre 2021 n.121, recante “Disposizioni urgenti in materia di investimenti e sicurezza delle infrastrutture, dei trasporti e della circolazione stradale, per la funzionalità del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, del Consiglio superiore dei lavori pubblici e dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle infrastrutture stradali e autostradali”, venivano emanate disposizioni volte ad accelerare l’approvazione e la realizzazione dell’opera. 1.7. L’Agenzia del Demanio ha quindi indetto il “Concorso di progettazione in unico grado, in modalità informatica, per la realizzazione del (omissis) di Bari presso l’area occupata dalle caserme dismesse “Capozzi” e “Milano” ”, oggetto principale del presente contenzioso. In particolare, il bando di concorso, pubblicato in data 7 febbraio 2022, prevede che al soggetto che verrà individuato come vincitore venga affidata anche, con procedura negoziata senza pubblicazione del bando di gara, la progettazione definitiva del primo lotto; la stazione appaltante si è inoltre riservata la facoltà di affidare al vincitore del concorso anche la progettazione definitiva dei restanti lotti. 1.8. Avverso tale bando (unitamente agli atti presupposti rappresentati dai Protocolli d’intesa del 25 gennaio 2018 e del 30 luglio 2019 e dalla Convenzione del 1° ottobre 2020), proponeva ricorso innanzi al T.a.r. per la Puglia, sede di Bari, il neo costituito Comitato di Scopo Denominato “(omissis)” insieme ad altri soggetti, dichiaratisi residenti nel rione denominato “Carrassi” e comunque nelle vicinanze delle ex Caserme. Essi avanzavano anche una domanda risarcitoria in relazione al danno patrimoniale che, a loro dire, sarebbe stato causato ai cittadini dalla realizzazione del (omissis) di Bari nella località prescelta. 1.9. I ricorrenti, in primo grado, articolavano tre mezzi di gravame (da pag. 10 a pag. 26). Essi deducevano, altresì, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9 del d.l., n.121 del 2021, convertito con modificazioni dalla l. 9 novembre 2021, n. 156 nella parte in cui avrebbe affidato al Commissario straordinario del (omissis) di Bari - nominato ai sensi dell’art. 4 del decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 giugno 2019, n. 55 - poteri in contrasto con il dettato costituzionale. Il T.a.r., con la sentenza oggetto dell’odierna impugnativa: - ha dichiarato inammissibile l’intervento ad adiuvandum del signor Bitetto; - ha dichiarato il ricorso inammissibile per carenza di interesse; - ha condannato i ricorrenti alla rifusione delle spese di lite. L’appello è affidato ai seguenti motivi. In via preliminare: erroneità della sentenza in rito, in relazione alla carenza di interesse. La gara sarebbe stata bandita sull’erroneo presupposto della primaria individuazione all’interno del quartiere Carrassi di una grande maglia, di oltre 40 ettari, interamente destinata a “Verde di Quartiere”, da sacrificare per la realizzazione dell’edilizia della Giustizia, presupponendo l’adozione della variante al PRG che modifichi la zonizzazione e vocazione stessa dell’area. La zonizzazione sarebbe tuttavia intoccabile, data l’impossibilità (in thesi) di destinare lo standard minimo di verde su altre aree del quartiere ovvero in aree adiacenti. Il ricorso sarebbe stato promosso avverso i primi atti esecutivi del disegno prefigurato sin dal 2014. Gli atti di gara si baserebbero su un presupposto impossibile e irrealizzabile e sarebbero quindi radicalmente viziati. Sebbene l’art. 9, comma 3, del d.l.121/2021, convertito con modificazioni dalla l. 156/2021, abbia previsto che è l’approvazione del progetto a perfezionare, ad ogni fine urbanistico ed edilizio, l’intesa tra Stato e Regione, tuttavia, nel “Documento di indirizzo alla progettazione” allegato agli atti di gara sarebbero stati già chiariti tutti gli elementi specifici della variante. Segue: erroneità ed ingiustizia della sentenza in relazione alla presunta tardività e alla mancata presunta impugnativa di atti prodromici. Gli atti con cui è stata scelta la localizzazione non sarebbero stati, al tempo, immediatamente lesivi. La lesione degli interessi dei ricorrenti si sarebbe concretizzata solo con il concorso di idee che avrebbe cristallizzato l’opera per ubicazione e qualità. I ricorrenti non avrebbero avuto inoltre interesse ad impugnare il bando precedente, relativo all’affidamento delle indagini preliminari, in quanto essi ritenevano che i tecnici avrebbero fatto emergere l’impossibilità della realizzazione dell’opera sull’area prescelta. Quanto alla mancata impugnativa del D.P.C.M. del 5 agosto 2021, che ha individuato il (omissis) di Bari presso l’area delle Caserme quale intervento infrastrutturale prioritario da commissariare, anche in questo caso si tratterebbe di un atto privo di portata lesiva. 3.1. Gli appellanti hanno riproposto i motivi di merito non esaminati dal T.a.r.. Si sono costituite, per resistere, le Amministrazioni intimate. Il Comune di Bari e le Amministrazioni difese dall’Avvocatura dello Stato, hanno presentato articolate memorie difensive – in particolare riproponendo le ulteriori eccezioni preliminari il cui esame è stato assorbito dal T.a.r. - in vista della camera di consiglio fissata per l’esame dell’istanza cautelare. Tale istanza è stata respinta con l’ordinanza n. 5310 dell’11 novembre 2022. In data 19 gennaio 2023 è intervenuta ad adiuvandum, l’Associazione “(omissis)” Onlus. Le parti hanno depositato memorie conclusionali in data 9 febbraio 2023 e 14 febbraio 2023. Gli appellanti, l’Associazione interveniente e il Comune di Bari hanno depositato memorie di replica in data 17 febbraio 2023. L’appello è stato assunto in decisione alla pubblica udienza del 2 marzo 2023. Oggetto del contendere è il concorso di progettazione in unico grado, in modalità informatica, per la realizzazione del (omissis) di Bari presso l’area occupata dalle Caserme dismesse “Capozzi” e “Milano”, unitamente ai Protocolli di Intesa stipulati a partire dal 2014. 10.1. La gara indetta dall’Agenzia del Demanio, oggetto dell’odierna impugnativa, è finalizzata ad acquisire il progetto di fattibilità tecnica ed economica, con la conseguente individuazione del soggetto vincitore al quale affidare, ai sensi dell’art. 152, comma 5, del Codice dei contratti, con procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara, la progettazione definitiva del primo lotto relativamente all’area in esame, di proprietà dello Stato. La stazione appaltante si è riservata, altresì, la facoltà di affidare al vincitore del concorso la progettazione definitiva dei lotti successivi. In precedenza, sempre mediante procedura di evidenza pubblica (non impugnata dai ricorrenti), era stato acquisito lo studio di inserimento urbanistico il quale, come si legge nella Relazione dei progettisti depositata in primo grado “rappresenta l’elemento di sintesi e d’integrazione delle indagini ambientali (su terreni, sottosuolo e vegetazione), delle analisi del quadro legislativo e dei vincoli e del contesto insediativo, socio-economico e della mobilità in cui si inserisce l’area oggetto di intervento”. 10.2. Va altresì ricordato che l’esigenza di accorpare gli edifici giudiziari era da tempo avvertita dal Comune di Bari che, nel 2007, avviò anche un’indagine di mercato finalizzata alla realizzazione della cittadella giudiziaria, sulla base di un quadro esigenziale formulato dalla Commissione di manutenzione presso la Corte d'Appello di Bari. Tale iniziativa risale all’epoca in cui le spese di funzionamento degli Uffici giudiziari gravavano ancora sui Comuni. Successivamente, ai sensi dell’art. 1, comma 526 della legge n. 190/2014 (legge di stabilità 2015), a decorrere dal 1° settembre 2015, tali spese sono state trasferite allo Stato. Come noto, quella vicenda fu caratterizzata da un complesso contenzioso con l’Impresa Pizzarotti s.p.a., che si è chiuso con la pronuncia dell’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato n. 11 del 2016, che ha respinto l’azione di ottemperanza della predetta società finalizzata all’accertamento del suo diritto ad eseguire il progetto proposto all’Amministrazione. L’Adunanza plenaria ha in particolare statuito che “Le sentenze ottemperande riconoscono solo un obbligo di natura procedimentale, la cui ulteriore attuazione risulta, peraltro, ormai preclusa dall’insormontabile ostacolo rappresentato dalla sentenza della Corte di Giustizia 10 luglio 2014, C-213/13, la quale, intervenendo su un tratto di procedimento non investito dal giudicato, ha diretta applicazione e prevale, secondo un criterio di successione temporale, sulla “regola conformativa” desumibile dalle sentenze amministrative rese dalla Quinta Sezione del Consiglio di Stato nel corso della vicenda in oggetto”. 10.3. I Protocolli di Intesa intervenuti a partire dal 2014 si sono poi orientati verso il recupero urbanistico dell’area delle Caserme. Inoltre, con D.P.C.M. del 5 agosto 2021, emanato in attuazione dell’articolo 9 del decreto-legge 16 luglio 2020 n.76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120 (che ha modificato l’articolo 4 del decreto legge n.32 del 2019), il “(omissis) di Bari” è stato individuato quale intervento infrastrutturale caratterizzato da un elevato grado di complessità progettuale, per la cui realizzazione è stato nominato un Commissario straordinario. Da ultimo, con l’art. 9 del d.l. 10 settembre 2021 n.121, sono state emanate una serie di disposizioni finalizzate ad accelerare l’approvazione e la realizzazione dell’opera di cui trattasi. Ciò posto, si può prescindere dall’esame delle (ulteriori) eccezioni di inammissibilità del ricorso di primo grado sollevate dalle parti resistenti, in quanto l’appello è infondato e deve essere respinto. Il T.a.r. ha infatti correttamente dichiarato il ricorso inammissibile per carenza di interesse, sul rilievo che gli odierni appellanti non hanno dedotto vizi propri degli atti oggetto di impugnativa, bensì censure relative all’assetto urbanistico dell’area e al pregiudizio ambientale che si produrrebbe qualora il progetto acquisito tramite gara, sulla base degli indirizzi forniti ai concorrenti, dovesse essere approvato. La lesione dedotta riguarda “l’interesse ad una buona qualità dell’aria, alla fruibilità del verde pubblico ed alla tranquillità di quartiere” ed è riconducibile alla variante al PRG, presupposto necessario ai fini dell’insediamento delle opere di cui trattasi, ancora in corso di progettazione. Dall’analisi dei documenti di gara, ed in particolar modo del Documento di indirizzo alla progettazione, risulta infatti che la realizzazione del “(omissis)” richiede la modifica delle previsioni contenute negli strumenti urbanistici vigenti. Al riguardo, è utile riportare la procedura prevista dall’art. 9, del d.l. 10 settembre 2021 n. 121 (cd. “Decreto infrastrutture”), convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2021, n. 156: “1. Il Commissario straordinario del (omissis) di Bari, nominato ai sensi dell'articolo 4 del decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 giugno 2019, n. 55, approva il progetto di fattibilità tecnica ed economica di cui all'articolo 23, commi 5 e 6, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, convocando la conferenza di servizi, ai sensi dell'articolo 14, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241, alla quale partecipa obbligatoriamente, in deroga a quanto previsto dall'articolo 14-ter, comma 4, della citata legge n. 241 del 1990, anche un rappresentante del Ministero della giustizia.[...]. Il progetto di fattibilità tecnica ed economica di cui al comma 1 [...] è trasmesso, a cura del Commissario, altresì all'autorità competente ai fini dell'espressione del provvedimento di valutazione ambientale di cui alla Parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, unitamente alla documentazione di cui agli articoli 13, comma 3 e 22, comma 1, del medesimo decreto legislativo n. 152 del 2006. [...] Gli esiti della valutazione ambientale sono trasmessi e comunicati dall'autorità competente alle altre amministrazioni che partecipano alla conferenza di servizi di cui al comma 1. [...]. L'approvazione del progetto da parte del Commissario tiene luogo dei pareri, nulla osta e autorizzazioni necessari ai fini della localizzazione dell'opera, della conformità urbanistica e paesaggistica dell'intervento, della risoluzione delle interferenze e delle relative opere mitigatrici e compensative. L'approvazione del progetto perfeziona, ad ogni fine urbanistico ed edilizio, l'intesa tra Stato e regione, in ordine alla localizzazione dell'opera, ha effetto di variante degli strumenti urbanistici vigenti e comprende il parere reso dal Consiglio superiore dei lavori pubblici di cui all'articolo 215 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, i provvedimenti di valutazione ambientale e i titoli abilitativi rilasciati per la realizzazione e l'esercizio del progetto, recandone l'indicazione esplicita. La variante urbanistica, conseguente all'approvazione del progetto, comporta l'assoggettamento dell'area a vincolo preordinato all'esproprio ai sensi dell'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 [...]”. Orbene, come peraltro riconosciuto dagli stessi appellanti, l’approvazione del progetto da parte del Commissario straordinario – la quale comporta ex lege l’effetto di variante – non è ancora intervenuta. La stessa carenza di interesse si riscontra peraltro anche rispetto ai vari Protocolli di intesa oggetto di impugnativa, perché la “localizzazione” dagli stessi individuata è comunque ancora allo stadio programmatico e diventerà vincolante solo quando il progetto verrà approvato, realizzando altresì “ad ogni fine urbanistico ed edilizio, l’intesa tra Stato e regione, in ordine alla localizzazione dell’opera”, con il ricordato, connesso effetto ex lege “di variante degli strumenti urbanistici vigenti” (art. 9, comma 3, d.l. ult.cit.). In tal senso, la motivazione del T.a.r. deve essere modificata, in quanto la relativa impugnazione è non già irricevibile, quanto inammissibile. In definitiva, fino al momento dell’approvazione del progetto di fattibilità tecnica ed economica dell’opera da parte del Commissario straordinario del (omissis) di Bari, la lesione dedotta dai ricorrenti non è concretamente ipotizzabile. 13.1. Va soggiunto che, secondo la disciplina sopra richiamata, è in sede di Conferenza di servizi che potrà essere esattamente individuato il contenuto del progetto (o meglio, della proposta progettuale) che sarà ritenuto suscettibile di approvazione, anche dal punto di vista della sostenibilità ambientale. 13.1. Allo stato, è quindi priva di rilevanza anche la dedotta questione di legittimità costituzionale in ordine ai poteri del Commissario straordinario, in quanto gli stessi non sono stati ancora esercitati. 13.2. Non può quindi in alcun modo procedersi all’esame delle censure relativo al merito del progetto poiché, fino all’esame in Conferenza e all’approvazione da parte del Commissario, il progetto stesso non avrà alcuna valenza vincolante né incidenza sull’assetto urbanistico. 13.3. Giova ricordare che il giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 34, comma 2, c.p.a., non può operare alcun sindacato su poteri non ancora esercitati poiché in tal modo verrebbe a condizionare le attribuzioni istituzionali delle Amministrazioni competenti, in violazione del principio di separazione dei poteri. 13.4. Va infine evidenziato che, al contrario di quanto argomentato nelle memorie conclusionali dagli appellanti e dall’Associazione interveniente, la sopravvenuta aggiudicazione della gara per l’acquisizione del progetto di fattibilità tecnico – economica non concretizza ancora alcuna lesione rispetto all’interesse ambientale di cui essi si affermano titolari, trattandosi di attività endoprocedimentale, finalizzata al successivo esame in sede di Conferenza di servizi. Allo stesso modo, anche la nota del Commissario straordinario del 23 dicembre 2022, con la quale è stato avviato il procedimento di verifica di assoggettabilità a VIA, comprova che l’approvazione del progetto di fattibilità è tuttora in itinere. Infatti, secondo il menzionato art. 9, comma 2, del cit. d.l. n. 121 del 2021, “Gli esiti della valutazione ambientale sono trasmessi e comunicati dall'autorità competente alle altre amministrazioni che partecipano alla conferenza di servizi” finalizzata all’approvazione dell’opera da parte del Commissario. In definitiva, per quanto sopra argomentato, l’appello deve essere respinto. Le spese del grado seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello n. 8068 del 2022, di cui in epigrafe, lo respinge nei sensi di cui in motivazione. Condanna gli appellanti e l’Associazione interveniente, in solido tra loro, alla rifusione delle spese del grado che liquida, in favore di ciascuna delle due parti resistenti in euro 5.000,00 (cinquemila/00) e quindi per complessivi euro 10.000,00 (diecimila/00), oltre IVA, CPA e spese generali al 15% come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Luigi Carbone, Presidente Luca Lamberti, Consigliere Francesco Gambato Spisani, Consigliere Silvia Martino, Consigliere, Estensore Giuseppe Rotondo, Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 10551 del 2018, proposto da An. De Lu., rappresentata e difesa dall'avvocato An. Au., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Pa. Ro. Pa., rappresentata e difesa dall'avvocato Fr. Bu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Regione Basilicata, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Va. Di Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; En. D'A. ed altri, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata Sezione Prima n. 346/2018. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Pa. Ro. Pa. e di Regione Basilicata; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 28 febbraio 2023 il Cons. Sergio Zeuli e uditi per le parti gli avvocati in collegamento da remoto Au. e Bu. noti all'ufficio; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La sentenza gravata ha accolto il ricorso con cui la parte appellata ha chiesto l'annullamento del giudizio della Commissione del concorso nominata a seguito dell'"Avviso pubblico per l'individuazione di un Coordinatore e di n. 5 esperti a supporto del Nucleo Regionale di Valutazione degli Investimenti Pubblici (NRVVIP) della Regione Basilicata" di cui alla Determinazione Dirigenziale del 21 ottobre 2014, n. 11A2.2014/D.00391, nella parte in cui aveva ritenuto, in violazione della precedente sentenza n. 477 del 2016 del TAR Basilicata avente medesimo oggetto, di non valutare una serie di esperienze professionali possedute dalla stessa, ritenendole non sufficientemente documentate. Avverso la sentenza sono dedotti i seguenti motivi di appello, così rubricati: 1. ERRORES IN IUDICANDO. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEI PRINCIPI GENERALI CHE GOVERNANO LE PROCEDURE CONCORSUALI ED IN PARTICOLARE IL PRINCIPIO DEL SOCCORSO ISTRUTTORIO E IL PRINCIPIO DELLA PAR CONDICIO DEI CONCORRENTI. CONTRADDITTORIETÀ INTRINSECA ED ILLOGICITÀ ". 2. ERRORES IN IUDICANDO. ERRONEA INTERPRETAZIONE DELLE CLAUSOLE DEL BANDO. ERRONEITÀ DEI PRESUPPOSTI. VIOLAZIONE DEL GIUDICATO CON RIFERIMENTO ALL'INTERPRETAZIONE DELLE CLAUSOLE DEL BANDO E AL MODUS PROCEDENDI DELLA COMMISSIONE ESAMINATRICE"). 3. ERRORES IN IUDICANDO. ERRONEA INTERPRETAZIONE DELLE CLAUSOLE DEL BANDO. ERRONEITÀ DEI PRESUPPOSTI. VIOLAZIONE DEL GIUDICATO CON RIFERIMENTO ALL'INTERPRETAZIONE DELLE CLAUSOLE DEL BANDO E AL MODUS PROCEDENDI DELLA COMMISSIONE ESAMINATRICE". 2. La Regione Basilicata e la controinteressata Pa. Pa. Ro. si sono costituite in giudizio, contestando l'avverso dedotto e chiedendo il rigetto del gravame. In diritto si osserva che, con memoria depositata il 25 febbraio del 2023 la parte appellante ha dichiarato di rinunciare all'appello. Tale circostanza integra, ai sensi del comma 4 dell'art. 84 del c.p.a., una sopravvenuta carenza di interesse alla decisione, con conseguente declaratoria di improcedibilità del gravame. L'esito della controversia giustifica la compensazione integrale delle spese di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse. Compensa le spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 febbraio 2023 con l'intervento dei magistrati: Fabio Franconiero - Presidente FF Giovanni Sabbato - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere, Estensore Giorgio Manca - Consigliere Annamaria Fasano - Consigliere

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